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If you are not located in the United States, you'll have -to check the laws of the country where you are located before using this ebook. - -Title: Pagine sparse - -Author: Edmondo De Amicis - -Release Date: December 31, 2015 [EBook #50806] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - -PAGINE SPARSE - - - La mia padrona di casa — Ritratto d'un'ordinanza — Un incontro - — Un caro pedante = (ALCUNE OSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA - LINGUA ITALIANA): La Lettura del Vocabolario — Appunti — Una - parola nuova — Consigli — Il vivente linguaggio della Toscana - — Quello che si può imparare a Firenze — Un bel parlatore = - Dall'album d'un padre — L'amore dei libri — Manuel Menendez - (racconto) — In Sogno — Scoraggiamenti — Battaglie di Tavolino - — Una visita ad Alessandro Manzoni — Emilio Castelar — Giovanni - Ruffini. - - - - - EDMONDO DE AMICIS - - - PAGINE SPARSE - - - QUARTA EDIZIONE - - - - MILANO - TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA - 1877. - - - - - Proprietà letteraria. - - - - -.... Non riprendeva, anzi lodava ed amava che gli scrittori -ragionassero molto di sè medesimi; perchè diceva che in questo sono -quasi sempre e quasi tutti eloquenti, ed hanno per l'ordinario lo -stile buono e convenevole, eziandio contro il consueto o del tempo, -o della nazione, o proprio loro. E ciò non essere meraviglia; poichè -quelli che scrivono delle cose proprie hanno l'animo fortemente preso -e occupato della materia; non mancano mai nè di pensieri, nè di affetti -nati da essa materia e nell'animo loro stesso, non trasportati d'altri -luoghi, nè bevuti da altre fonti, nè comuni e triti, e con facilità si -astengono dagli ornamenti frivoli in sè, o che non fanno a proposito, -dalle grazie e dalle bellezze false, dall'affettazione e da tutto -quello che è fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori -ordinariamente si curino poco di quello che gli scrittori dicono di sè -medesimi: prima, perchè tutto quello che veramente è pensato e sentito -dallo scrittore stesso, e detto con modo naturale e acconcio, genera -attenzione, e fa effetto; poi, perchè in nessun modo si rappresentano -o discorrono con maggior verità ed efficacia le cose altrui, che -favellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano -tra loro, sì nelle qualità naturali, e sì negli accidenti, e in quel -che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle in sè -stesso, si veggono molto meglio e con maggior sentimento che negli -altri. - - LEOPARDI — _Detti memorabili di Filippo Ottonieri._ - - - - -LA MIA PADRONA DI CASA - - -Non posso pensare a Firenze, senza ricordarmi della mia buona padrona -di casa di via dei ***, la quale m'insegnò in sei mesi più lingua -italiana di quanta io n'abbia imparata in dieci anni da tutti i miei -professori di letteratura, nati, come diceva l'Alfieri, _là dove Italia -boreal diventa_. - -Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interprete d'albergo, buona -come il pane, fiorentina fin nel bianco degli occhi, operosa, assestata -e pulita come un'Olandese. Viveva d'una piccola rendita e di quel po' -che guadagnava tenendo dozzina. Leggicchiava, giocava al lotto, faceva -qualche visita, e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago, -in un cantuccio della sua piccola camera ingombra di mobili vecchi, -vicino a una finestra, dalla quale si vedeva, di là dai tetti di molte -case, la cima del campanile di Giotto. - -Che cos'è questo benedetto parlare toscano! Era una povera donna, -non aveva cultura, sapeva appena leggere e scrivere; ma parlava da -far rimanere a bocca aperta. E non il fiorentino volgare, perchè non -ho mai inteso dalla sua bocca una parola o una frase che una signora -non potesse ripetere in conversazione. Il suo parlare era tutto frasi -efficacissime, immagini, proverbi, diminutivi graziosi, vezzi e fiori -di lingua, che venivan via facili e fitti ad ogni proposito, come nei -novellieri trecentisti, senza che le sfuggisse mai neppure un lampo -di quel sorriso leggerissimo che per il solito tradisce la compiacenza -intima di chi sa di parlar bene. - -Ogni momento gliene sentivo dire una nuova. - -Stentavo un po' a infilare il soprabito: essa mi diceva: Ma perchè non -se lo fa allargare chè le è stretto assaettato? - -Entravo nella sua camera: — Badi, — mi diceva, — di non inciampare, -perchè è buio come in gola. - -Veniva un amico a chiedermi dei denari; essa capiva, e mi domandava: — -Le è venuto a dare una frecciata, non è vero? - -Diceva che il suo predicatore aveva la _parola facile e ornata_; che il -lattaio aveva la voce _come uno di questi cani incimurriti e fiochi_ -che non posson più abbaiare; che erano tre giorni che non vedeva più -l'_effigie_ dello spazzaturaio che pure le aveva promesso di venire; -che il bambino della vicina aveva rotto un vetro, e suo padre non se -ne era anche accorto, ma il poverino stava già rannicchiato dietro -l'_uscio ad aspettare il lampo e la saetta_; che il mio maestro di -spagnuolo aveva _un vestito che gli piangeva addosso_; che con tutte -queste guerre che si fanno dopo che Pio IX _ha date le su' riforme_ -bisogna sempre _stare palpitando per i nostri cari_; che un tale ch'era -caduto dal secondo piano, e non era morto, aveva _il sopravvivolo come -i gatti_; che un certo quadro pareva _fatto coll'alito_; che a una -certa sua amica, in una certa congiuntura, _essa aveva parlato come -al cospetto di Dio, da cuore a cuore_; e altre espressioni gentili ed -argute, che a scriverle tutte, ci sarebbe da fare un vocabolario. - -Però, quando s'accorgeva ch'io mi divertivo a farla parlare, taceva -tutt'a un tratto e mi guardava con aria di diffidenza. Temeva ch'io -la volessi canzonare. Anzi, qualche volta, quando mi lasciavo sfuggire -un'esclamazione di meraviglia, quasi s'indispettiva. - -— Oh insomma, — mi disse un giorno, — io parlo come so. Se dico degli -spropositi, m'insegni lei a parlar meglio. Io non ho mai preteso di -parlar bene. - -— Ma no, cara signora, — le risposi coll'accento della più profonda -sincerità. — Le giuro che ammiro davvero la sua maniera di parlare, che -vorrei parlare io come lei, che vorrei saper scrivere come lei parla. -Che c'è da stupirsi? Non lo sa che i fiorentini parlano meglio degli -italiani delle altre provincie? Non l'ha mai inteso dire? Mi piace -sentir parlare l'italiano da lei come mi piacerebbe sentir parlare il -francese da un parigino. Mi piace perchè lei parla con naturalezza, -perchè pronunzia bene, perchè io imparo. Ne vuole una prova? Guardi -questi fogli. - -E le misi sott'occhio alcuni fogli sui quali avevo notato una lunga -filza dei suoi modi di dire. - -Guardò, sorrise, poi sospettò daccapo e mi disse che non sapeva capire -che cosa io trovassi di _particolare_ in quelle parole. — Qualunque -mercatino, — soggiunse, — è in caso di dirgliele tali e quali. - -Nondimeno, a poco a poco, finì per persuadersi che mi divertivo davvero -a sentirla parlare perchè parlava bene. - -Ma trovavo sempre mille difficoltà a farmi capire quando volevo saper -qualche cosa di preciso in fatto di lingua. — Come direbbe lei, — le -domandavo, — per dire che piove forte? — Gua! — mi rispondeva, — direi -che piove forte. — Io ripetevo la domanda in un'altra forma. — Ah! ho -capito! — esclamava. — Chi si volesse spiegare in un'altra maniera -potrebbe anco dire che piove a rovescio, a catinelle, a orciuoli, a -ciel rotto; ognuno può dire come gli piace; _non c'è regola fissa_. - -Un giorno le diedi un mio libro. — L'ha scritto lei? — mi domandò. — -Sì, — risposi. — Tutto di suo pugno? — Tutto di mio pugno. — Lo tenne -due o tre giorni e vidi che lo leggeva. Quando me lo restituì, mi -disse: — Bravo! mi son divertita; si vede che è un buon figliuolo. _E -poi mi piacque anche lo stile._ - -A poco a poco mi prese a voler bene, mi parlava lungamente della -buon'anima di suo marito, delle sue amiche, del caro dei viveri, delle -tasse, del lotto, dei suoi malanni, della religione, sempre colla -stessa grazia e colla stessa dolcezza. Ma specialmente quando parlava -della sua disgrazia d'esser rimasta sola al mondo e diceva che la -notte, non potendo dormire, pensava, pensava, fin che si metteva a -piangere, aveva parole così dolci, così schiette, così poetiche, che -mi si stringeva il cuore, e nello stesso tempo provavo una specie di -voluttà artistica a sentirla. Mentre essa parlava la sua bella lingua, -io appoggiato alla finestra della sua cameretta, guardavo il campanile -di Giotto dorato dalla luce del tramonto, e provavo uno struggimento -d'amore per Firenze. - -Una s'era, ch'ero già a letto, s'affacciò alla porta e disse con voce -commossa: — Ah! figliuol mio! bisogna proprio credere, sa, che c'è un -Dio! Questa sera il predicatore ha detto che tutti i grandi uomini ci -hanno creduto, — e Dante e Galileo e Colombo, — ne avrà citati più di -cinquanta. E ha conciato per le feste quelli che dicono che il mondo -l'ha fatto il caso! Il caso! E dire che sono gente che ha studiato! Io -che sono una povera donna capisco che è una corbelleria. Se lo studio -non dovesse portare altri frutti! Ma lei, benchè studii, non le pensa -queste cose, non è vero, figliuolo? dica un po': ci crede lei al caso? - -— No, cara padrona, — le risposi; — io credo in Dio. - -— Oh lei non può immaginare la consolazione che mi dà con codeste -parole, — rispose la buona donna. - -La notte, mentre lavoravo a tavolino, a una cert'ora sentivo picchiare -nel muro e poi una voce insonnita che diceva: - -— Non lavori più, figliuolo; s'abbia riguardo agli occhi. - -Ed io: — Ancora una pagina. - -— Nemmeno una pagina. Si ricordi del proverbio: È meglio un.... -cavallino vivo che un dottore morto. - -Passava un altro quarto d'ora e lei daccapo: - -— A letto, a letto, figliuolo. - -— Padrona, domandavo io, — com'è quel proverbio di Berto, che mi disse -stamani? Ne ho bisogno per scriverlo. - -— Berto, rispondeva, — che dava a mangiare le pesche per vendere i -noccioli. Vada a letto. - -— Ancora una cosa. Come si chiama il bastone d'Arlecchino? - -— Non mi cava più una parola, nemmeno se mi fa regina di Spagna. - -E non diceva più una parola davvero e io andavo a dormire. - -La mattina per tempo, appena svegliato, risentivo la sua voce: — Su, -su! È un sereno che smaglia. Vada a fare un giro alle Cascine! - -Una sera tornai a casa pieno di malinconia e mi buttai sul sofà senza -dire una parola. Essa mi venne accanto. Duravo fatica a trattener le -lagrime. Mi domandò che cos'avessi. Non volevo rispondere. Insistette, -e allora le apersi il mio cuore come a un amico. - -— Ho avuto un dispiacere, — le dissi. — Ho saputo che l'altro giorno, -in una casa, hanno detto che i miei scritti sono noiosi e che non -farò mai nulla di buono. Io ne sono persuaso e non ho più voglia -di studiare. Voglio buttar nel fuoco tutti i miei libri e tornare a -fare il soldato. Sono triste, scoraggito e annoiato della vita. Non -m'importerebbe nulla di morire. - -La buona donna si sforzò di ridere; ma era intenerita. Cercò di -consolarmi e di rimettermi di buon umore; chiamò a raccolta tutti i -suoi frizzi, le sue frasi e i suoi proverbi; mi assicurò che i miei -libri erano pieni di _bei concetti_ e che _avrebbe voluto saperli -scrivere lei_; mi promise che sarei riuscito un _bravissimo scienziato_ -a dispetto dei maligni; mi disse che avrebbe voluto trovarsi faccia a -faccia con chi aveva sparlato di me, _per fargli una risciacquata che -non trovasse più la via di tornarsene a casa_; mi fece bere un dito di -vin Santo, mi diede del ragazzo, mi picchiò sotto il mento e gridò: — -Su la testa! — Infine mi lasciò rasserenato, dicendo che se le facevo -un'altra volta una di quelle scene, il pezzo più grosso che sarebbe -rimasto di me, aveva da essere un orecchio, com'è vero che c'è tanto di -Biancone in piazza della Signoria. - -Qualche volta però ci bisticciavamo, per cose da nulla, s'intende; -per esempio perchè tornavo a casa tardi, e lei mi trovava a ridire, -ed io le rispondevo di mala grazia. Allora stavamo una mezza giornata -senza scambiare una parola. La sera poi, pensando ch'essa era là in un -cantuccio della sua camera, sola, malinconica, al buio, mi pigliava il -rimorso, correvo all'uscio e le domandavo per il buco della serratura: -— Padrona, come è quel detto di Cimabue che mi disse ier l'altro? - -— Cimabue che conosceva l'ortica al tasto — rispondeva con una voce in -cui si sentiva un'improvvisa contentezza. - -— Mi perdona? — le domandavo. - -— Oh buon figliuolo! — rispondeva; — perdoni lei a me, che sono una -brontolona e una zotica. Ma veda: glielo dico per il su' bene che non -venga a casa tardi perchè.... io non ho mica il diritto di impicciarmi -nella sua condotta.... si capisce.... ma ho notato che tutte le -sere che viene a casa tardi, e non studia più, la mattina dopo è di -malumore. - -— Ha ragione, padrona, ha ragione! Apra la porta e facciamo la pace. - -Essa apriva la porta e non faceva mai in tempo a levarsi il fazzoletto -dagli occhi. - -Così passarono sei mesi. - -Un giorno, dopo una settimana intera di preparativi e di esitazioni, mi -feci forza e le dissi, guardandola fisso negli occhi: - -— Padrona, io debbo partire da Firenze. - -— Dove va? - -— A casa mia. - -— Va bene. Io terrò le sue camere libere per quando tornerà. Può -lasciar qui libri, quadri, carte, come le lascerebbe alla sua famiglia. -Prima che ritorni farò mettere la stufa, comprerò un altro seggiolone -e se mi salta il ticchio farò cambiare la tappezzeria al salotto. -E passeremo il nostro invernetto insieme d'amore e d'accordo, lei a -studiare ed io a fare le mie faccenduole. Ah! vedo che almeno negli -ultimi anni della mia vita avrò qualche consolazione. Quando tornerà? - -— Cara padrona.... non glielo posso dire. - -— Che forse non tornerebbe più? domandò col viso alterato. - -— Forse non tornerò più! - -Stette qualche momento senza parlare e poi esclamò con voce tremante: -— Ma dunque io resterò sola!... - -E tacque di nuovo come per sentir l'eco di quella triste parola. - -Poi nascose il viso nel grembiale e diede in uno scoppio di pianto. - -M'aiutò a fare i miei bauli, volle riporre tutti i libri colle sue -mani, non mi lasciò più un momento fino all'ora della partenza. -L'ultima notte, verso le undici, mentre scrivevo, picchiò ancora una -volta nella parete e mi pregò di avermi riguardo agli occhi. La mattina -seguente, quando partii, mi accompagnò fin sul pianerottolo e mi disse -colla solita dolcezza: — Lei se ne torna colla sua famiglia; io, povera -vecchia, rimango sola. Si ricordi qualche volta di me che le volevo -bene come a un figliuolo. Abbia giudizio; continui a studiare e sarà -contento. Mentre viaggerà in Spagna e in Francia, io guarderò il suo -ritratto, leggerò i suoi libri e pregherò il Signore per lei. Quando -morirò, lei si ricorderà che le ho voluto bene e piangerà, non è vero? -Ed ora vada, figliuolo, che è tardi; e Dio l'accompagni! - -Le diedi un bacio e discesi per le scale. La povera donna mi mandò -ancora un addio rotto da un singhiozzo e poi rientrò nella sua casa -vuota e triste. - -Oh buona e cara vecchia! se mi son ricordato di te! In viaggio, ogni -volta che ho passata la notte a scrivere in una camera d'albergo, allo -scoccare delle undici ho detto tra me, con tristezza: — Oh! se sentissi -picchiare nel muro, quanto lavorerei più volentieri! — Ogni volta che -scrivo, e rileggendo la mia prosa, la trovo scolorita e senza grazia, -dico con rammarico: — Ah! quanto ci corre da quest'italiano a quello -della mia padrona di casa! — La sera, quando la mia famiglia è raccolta -intorno al fuoco, e tutti ridono e lavorano, io penso col cuore stretto -che tu sei sola nella tua stanza, forse al freddo ed al buio, perchè -la legna e l'olio sono rincarati. E non mi si presenta mai l'immagine -della mia cara Firenze, senza ch'io goda in fondo all'anima pensando -che un giorno forse vi tornerò, che andrò a cercarti, che ti troverò -ancora, che mi rimetterò a imparare da te la lingua armoniosa e gentile -con cui mi rallegravi e mi davi coraggio. - - - - -SCORAGGIAMENTI - - -Erano le nove della sera: Teresa ricamava accanto al fuoco, quando -udì picchiare leggermente, corse all'uscio e più per abitudine che per -diffidenza domandò chi fosse. - -— Io! — rispose una voce aspra. Teresa aperse, entrò un giovane -ravvolto in un mantello, si baciarono, e la ragazza gli domandò subito: - -— Che hai, Mario? - -— Perchè questa domanda? domandò il giovane alla sua volta. - -— Perchè non hai detto _io_ come gli altri giorni. - -Mario la guardò un po' senza rispondere, poi buttò in un canto il -mantello e il cappello, e s'avvicinò al caminetto. La ragazza tornò al -suo posto, e tirò a sè un panchettino, sul quale sedette il giovane, -appoggiando un gomito sul suo ginocchio e la testa sulla mano. - -Stettero così qualche momento senza parlare; poi Teresa domandò -timidamente: - -— Hai scritto? - -— No — rispose il giovane con aria pensierosa. - -— Hai fatto male. - -— Avrei fatto peggio se avessi scritto: anche oggi son vuoto come una -bolla di sapone. - -— È un mese che lo dici. - -— È assai più d'un mese che lo sento. Sento che sono una buccia di -limone spremuto. Un critico disse una volta una verità semplicissima, -ma profonda: — Per scrivere bisogna avere qualcosa da dire ai proprî -concittadini. — Ebbene, io non ho nulla da dire e non scrivo. Scrivere -solamente per far sapere al pubblico che si sa accozzare il verbo col -sostantivo e far delle infilzate di epiteti, non mi par degno d'un -uomo. - -— Mario, — rispose la ragazza mettendogli una mano sul capo e -sorridendo: — dici questo sul serio o soltanto per farmi stizzire? - -— Per farti stizzire? Lo dico con tutta la serietà d'una certezza -dolorosa. È più d'un mese che per me il tavolino è la ruota del -tormento, e mi ci mordo le dita senza riuscir a scrivere un periodo. -Ho un bell'eccitarmi prima, leggere versi ad alta voce come consiglia -il Buffon, _pensarci su_ come dice il Manzoni, ed anche tenere i -piedi nell'acqua fredda come faceva lo Schiller, frugar dentro di me, -ravvivare tutti i sentimenti che m'inspiravano una volta; ogni cosa -è inutile. Seduto che sono al tavolino, mi pare che il cuore e il -cervello mi si raggrinzino come vesciche crepate, e non mi riesce più -di afferrare un'idea che meriti l'omaggio d'una goccia d'inchiostro. Ti -giuro che dico la verità. - -— Non giurare.... m'hai detto altre volte le stesse cose e dopo qualche -giorno le hai disdette. - -— Cara mia, anche le malattie disperate hanno i loro alti e bassi, e -non v'è moribondo al quale non brillino dei barlumi di speranza. Ho -avuto anch'io i miei barlumi. - -— Ma che melanconie son queste, Mario? - -— Non sono melanconie, son disinganni. Vuoi che io ti dica una cosa -che non ho mai detta a nessuno e che non ho quasi mai osato dire a -me medesimo, ma che ormai credo fermissimamente vera, tanto che provo -quasi un sentimento di sdegno contro tutti coloro che per lungo tempo -cospirarono a farmi credere il contrario? Te la dico in tre parole: — -Ho sbagliato strada. - -— Andiamo, — disse con vivacità la ragazza, — ora ti faccio ravveder -io. Io conosco il segreto di tutte queste malinconie. Tu hai una ruga -qui tra ciglio e ciglio che quasi non si vede quando sei sereno, e -quando non lo sei, diventa profonda come una ferita. Ora è un mese -che io ti vedo codesta ruga quasi tutti i giorni. Ecco perchè non puoi -lavorare. Disinganni, vesciche, buccie di limone spremuto, son tutte -fantasie: il male sta qui. Dunque non c'è da far altro che spianare la -ruga; — e appuntandogli l'indice fra ciglio e ciglio soggiunse: — e io -ci terrò il dito su fin che sparisca, e allora vedrai che ti tornerà -l'inspirazione e la fiducia in te stesso. - -Mario le strinse il mento fra l'indice e il pollice, poi lasciando -ricader la mano, rispose con un sospiro: — Ah buona Teresa, sulla ruga -vera tu non puoi mettere il dito perchè è dentro al cervello. - -— Oh allora, — disse la ragazza con quel tuono di ironia benevola che -s'usa coi bambini fingendo di dare importanza a una corbelleria, — -allora non c'è rimedio. Capisco anch'io che hai sbagliato strada. Non -parliamone più. - -— Eppure, — riprese il giovine senza badarle, — benchè questa certezza -si sia impadronita di me a poco a poco, risparmiandomi così il dolore -d'uno di quei disinganni improvvisi, che schiacciano prima che si sia -potuto pensare a resistere, io credevo che l'avrei sopportata con cuore -più fermo. E veramente quando s'è nutrito per molti anni la speranza -di riuscire qualche cosa nel mondo, e s'è veduto godere di questa -medesima speranza la famiglia e gli amici, e s'è avuto dalla gente -mille dimostrazioni di simpatia e di rispetto, non tanto per quello che -s'era quanto per ciò che si prometteva di divenire; dopo tutto questo, -l'accorgersi che ci si è ingannati e che s'è ingannato gli altri; -prevedere che un giorno la gente ci farà scontare col disprezzo le -lodi che le abbiamo scroccate; sentirsi a poco a poco riattrarre e poi -travolgere e annegare nella folla sulla quale si era riusciti ad alzare -un momento la testa; persuadersi infine che s'è sciupato gioventù, -ingegno, fatiche per prepararsi dei disinganni e delle vergogne, mentre -percorrendo una strada più modesta si sarebbe ottenuto un nome onorato -e una vita tranquilla; è un cangiamento questo, mia cara Teresa, che -somiglia a quello di un uomo il quale di ricco e potente si trovi -ridotto mendico. - -Teresa lo guardò attentamente, e poi, sospettando ancora ch'egli non -parlasse sul serio, prese un libro, lo aperse, mise un dito sul nome -dell'autore, e domandò con ingenuità fanciullesca, abbassando la voce: -— È questo signore che parla? - -— È lui, lui, — rispose Mario respingendo il libro. — Ah! cara amica, -quanto t'inganni se credi che la vista di tutta quella cartaccia -stampata mi faccia provare il menomo sentimento di alterezza. Sì, -certo, quando sono in mezzo alla gente, mostro di credermi qualche -cosa; il mio amor proprio sta sulle difese. Il vedere la presunzione -di tanti che valgono anche meno di me, e il timore di fornire agli -altri, mostrando di stimarmi poco io stesso, il pretesto di stimarmi -anche meno, mi tengono un po' su; e per questo, chi mi ferisce dal lato -dell'amor proprio, sente la resistenza dell'orgoglio. Ma davanti a me -stesso è altra cosa! Se ti dicessi che passan dei mesi ch'io non leggo -una pagina di mio, nemmeno se mi cade sott'occhio, per timore della -sgradevole impressione che ne riceverei? Se ti dicessi che, riandando -le cose mie, anche le meno peggio, mi piglia il sospetto che un accordo -d'amici, la benevolenza dei conoscenti e l'indulgenza sollecitata -di molti altri sian stati la cagione di quel po' di fortuna che ho -avuta? E se ti dicessi ancora che, quando correggo le prove di stampa, -qualche volta mi sento tutt'a un tratto salire il sangue al viso, e -penso alla maniera di sciogliermi dall'impegno contratto coll'editore, -e comprendendo che non è più possibile, cerco almeno che ci sarebbe da -fare per impedire la diffusione del libro, o se non altro, per evitare -che lo legga il tale o il tal altro, di cui mi preme non perdere la -stima? - -— Ma queste, scusa, sono esagerazioni! E poi, qualunque opinione tu -abbia di te stesso, non potrai mettere in dubbio un fatto che dovrebbe -bastare a darti coraggio: il favore pubblico. - -— Qui ti volevo. Il favore pubblico! Che cos'è questo favore pubblico? -che cosa prova? Chi non ne ottiene un po' di questo favore, scrivendo, -pur che abbia cuore e non offenda alcuna classe della società e segua -l'andazzo del tempo e scriva cose che la maggior parte sentono o -pensano, o non hanno interesse di negare? Entra in un caffè di una -qualunque delle nostre grandi città, e sarà un miracolo se non ci -troverai in un canto qualche pover'uomo a cui nessuno bada e di cui -nessuno sa il nome, del quale venti o trent'anni prima qualcuno non -abbia detto o stampato che era una speranza della letteratura italiana -e che sarebbe diventato una gloria della patria. A vent'anni abbiamo -tutti qualcosa di bello nel capo e di generoso nel cuore, e abbiamo -tutti bisogno di farlo sapere. Ebbene, io l'ho fatto sapere, ho fatto -il mio sfogo di giovanotto e sta bene. Ma ora basta, ora dovrei buttare -la penna da parte e abbracciare una professione; perchè altro è esser -nato per passare per lo stadio di scrittore, altro è esser nato per -restarci; e una cosa è aver ingegno per scrivere, e un'altra cosa aver -tanto ingegno da poter legittimamente non far altro che scrivere. - -— Io non so rispondere a tutte queste cose, — disse Teresa con -voce commossa, — ma mi pare che non sia tutto vero. Che cosa vuoi -concludere? Che non devi più scrivere? Vuoi farmi dire che non sai far -nulla? Vuoi provarmi che sei uno scemo? - -— No, perchè non lo sono; se lo fossi, non mi sarei disingannato, non -ti terrei questi discorsi; continuerei a credermi un animalaccio raro, -come fan molti, a dispetto del mondo intero. Il mio disinganno prova -che c'è qualche cosa in questo nocciolo di testa. Ma il gran punto -è che questo _qualche cosa_ non basta. Vi sono ben dei momenti che -abbraccio col pensiero un grande spazio intorno a me; ma son vedute -istantanee, come quelle della notte al chiarore d'un lampo. Afferro -colla mente un dei capi d'una catena d'idee; ma dò uno strappo, e -non mi resta in mano che il primo anello. Ci corre, cara mia, da -questi scatti d'ingegno alla forza dell'ingegno vero! a quell'ingegno -confidente e imperioso, che si afferma qualche volta con parole -superbe; quello che getta sprazzi di luce e pezzi di oro massiccio, -che tira a sè e rende muti in sè stesso altri ingegni minori, che -corre la sua strada destando e schiacciando ad un tempo ire ed invidie -mortali, che s'innalza egli stesso degli ostacoli e li rovescia, che -va a battere le ali dove gli altri arrivano appena collo sguardo, che -trascina, innamora e spaventa! Questi sono uomini d'ingegno, spiragli -aperti nella natura umana, per i quali la moltitudine vede confusamente -qualche cosa del mondo di là, che le strappa un grido di meraviglia. -Questi hanno diritto di consacrare tutta la loro vita all'arte; questi -sono i grandi alberi della vegetazione umana; il resto è erbaccia -parassita, ed io sono un filo di quest'erba. - -— Grandi alberi! — mormorò Teresa timidamente. — Fuor che quei quattro -o cinque che tutti sanno, per ora, di grand'alberi che vengano su, -io non ne vedo. E qui pronunziò in fretta una lunga serie di nomi, e -domandò: Son questi forse gli spiragli aperti nella natura umana? - -— No, — rispose Mario; — ma benchè io sia da meno di questi, non mi -debbo paragonar con essi, per aver una idea giusta di quello che sono. -Debbo metter tutti costoro in un mazzo, me compreso, e paragonarli -ai pochissimi che sono sulla sommità della scala. Bisogna uscir dal -proprio paese, cara mia, per vedere che cosa paiono, viste da lontano, -certe gloriole di casa! Quando si vede che i veri grandi nomi, anche -nostri, ed anco di questi ultimi tempi, suonano sul Tamigi come suonano -sul Tevere, sul Tago come sul Reno, sulla Senna come sull'Adige, che -conto vuoi più che si faccia di quelli che cascano come palloncini -sgonfiati sulle frontiere del proprio paese? Che cosa siamo al paragone -di quell'aquile che fanno il giro del mondo, noi moscerini che viviamo -in un soffio d'aria, e facciamo un ronzío che non si sente da una -foglia all'altra d'un fiore? noi che mostriamo con pompa, come tutto -il nostro avere, una qualità che in quelli altri non è che una delle -mille faccette della perla del loro ingegno? Ah come si capisce tutto -questo viaggiando! Quando uno straniero mi domandava: — Lei scrive? — -io rispondevo in fretta arrossendo, come uno che respinga un sospetto -ingiurioso: — No! no! non scrivo! - -Teresa scrollò la testa sorridendo, come per dire: — Sei sempre lo -stesso! - -— E poi, — riprese Mario dopo una breve riflessione — vivere per -scrivere! Bella presunzione è questa di aver nel capo tante cose degne -d'esser dette al mondo, da dover impiegare tutta la vita a dirle! -E con che diritto s'impiega la vita in questa maniera? Scrivere, -in materia d'arte, non si dovrebbe che per soddisfare un bisogno -dell'anima; e soddisfare un bisogno non può valer lo stesso che -pagare un debito. Dunque chi non fa altro che scrivere, non paga il -suo debito alla società; e se ad altri pare, a lui non deve parere. -Rispondere: — Scrivo — a uno che mi domandi qual è la mia professione, -mi pare lo stesso che a uno che mi domandasse: — Che cosa fai costì? -— rispondergli: — Respiro. — E chi è questo poltrone che mentre tanta -gente migliore di lui suda sangue per guadagnarsi la vita, passa la -giornata sur una seggiola a predicar la virtù e ad eccitar gli altri -a fare? Lavori il giorno anche lui, e scriva la sera a tempo avanzato. -Cacciatelo in un'officina! - -— Oh questa poi! — esclamò Teresa tra indispettita e intenerita. — -Tutti non possono lavorare colle braccia! — - -— Ma io posso! E che credi? Che non mi vergogni qualche volta d'esser -robusto? Quando vedo ammontati sul mio tavolo quei cinque o sei -libracci che ho scritti, dei quali fra qualche anno non si troverà -più il titolo in nessun catalogo di libraio, e penso che ho speso -a farli gli anni più vigorosi della gioventù, e che spenderò forse -nello stessa modo, e non con miglior frutto, gli anni che mi restano; -e poi guardandomi nello specchio, mi vedo un par di spalle da atleta, -che so io? sento che c'è una sproporzione fra me e il mio lavoro, -un disaccordo, un qualche cosa che non va; mi sento dentro una voce -di rimprovero; mi pare come di aver sciupato una trave per fare un -bastoncino; e provo non so che bisogno di curvar la schiena sotto dei -pesi e d'incallirmi le mani sopra uno strumento. - -Teresa gli afferrò le mani. - -— Quanti uomini sciupati — continuò Mario — con questo maledetto -scrivere! Uomini di un sentire nobilissimo, dotati d'una certa facoltà -di trasfondere in altri l'anima propria, forniti d'un sentimento pel -bello, parlatori facili, che avrebbero, in un altro campo, acquistato -ed esercitato un potere benefico su molta gente.... sciupati! Io per -esempio, ch'ero nato per fare il maestro di scuola, a segno che, quando -vedo in una stanza quattro banchi e un tavolino, mi sento rimescolare! -E non solo il maestro di scuola: sento che sarebbe stata la mia vita -l'aver che fare con povera gente, con operai; sento che, se fossi -pretore in un villaggio, mi farei fare una statua. E così quando leggo -gli scritti di molti miei amici romanzieri, poeti, critici, vedo tra -riga e riga le belle facoltà mal impiegate, e penso con rammarico -che l'uno sarebbe riuscito un eccellente medico condotto, un altro un -direttore di collegio inimitabile, un altro, un avvocato onestissimo -e valentissimo. E dico a loro e a me: — Siamo fuori di strada! Tutti -fuori di strada per aver preso per nostra dote principale una dote -secondaria, che doveva soltanto servire d'aiuto, d'ornamento alle -altre; per aver creduto che ciò che non ci dovrebbe occupare se -non un'ora al giorno, bastasse a riempirci tutta la vita; per aver -considerato come una vocazione quello che non era che una tendenza! - -— E quando vedi codesti amici — domandò Teresa sorridendo — lo dici -_loro_ che avrebbero fatto meglio a fare i medici condotti? - -— Non mi seccare con quel _loro_, Teresa; di' _glielo_ dici; te -n'ho già pregato altre volte.... E che cosa segue da ciò? Segue che, -avendo l'ambizione, senza aver la potenza di destare l'ammirazione -del paese, diventiamo come gli accattoni che si contentano di quello -che gli si dà: ci contentiamo di ispirar la _simpatia_, la _stima_, -la _considerazione_, di acquistare la _notorietà_, la _distinzione_; -e leggerai infatti ogni momento il simpatico, il pregevole, lo -stimato, il noto, il distinto scrittore, e altri insipidi e sguaiati -appellativi, che pure nella nostra nullità ci fanno sorridere di -compiacenza; ma che a spremerne il sugo voglion dire: mediocre, -insignificante, impotente, nullo, perchè chi, avendo dedicato la vita -all'arte, non riesce che a rendersi simpatico, stimato, pregevole, -ha sciupato tempo e fatica. E in fondo all'anima, lo sentiamo anche -noi. Per questo, invece di lavorare serenamente e nobilmente, ci -affanniamo, facciamo ogni sorta di sforzi disperati per saltar fuori -dalla pegola della mediocrità che ci affoga; e buttiamo fuori in -furia un libro dopo l'altro, avidi, impazienti, sperando sempre che -l'ultimo che stiamo facendo, sia quello che ci porrà sul piedestallo -della gloria; supplicando la gente che passa di soffermarsi; gridando -al paese: Vòltati, guardami, t'assicuro che ho del genio, dammi tempo -a far qualche cos'altro, non profferire ancora l'ultimo giudizio, -aspetta, vedrai. — E intanto il vento porta via libretti e libracci, -e noi invecchiamo trascurati e dispettosi, finchè un bel giorno si -tira il calzino, dieci giornali dicono che s'è lasciato _larga eredità -d'affetti_, e il giorno dopo nessuno pronuncia più il nostro nome. Ecco -la carriera degli scrittori simpatici, stimati, noti, distinti; la mia -carriera e quella di cento altri campioni della _giovine letteratura_. - -— Ma tutti — disse Teresa, — anche i più grandi, hanno avuto di questi -scoraggiamenti! - -— Erano altri scoraggiamenti, — rispose Mario; — stanne sicura. Si -scoraggivano perchè sentivan la loro opera troppo inferiore al loro -ingegno; ma non è che non sentissero l'ingegno. Essi hanno gettato -sul mondo i riflessi della luce che brillava alla loro mente, e a -noi questi riflessi paion già una gran luce; ma chi può immaginare lo -splendore che vedevan loro cogli occhi del genio? Chi sa che portentoso -_Cinque maggio_ balenò ad Alessandro Manzoni, prima che si mettesse -a scrivere quello che noi conosciamo? Tutti i grandi caddero qualche -volta; ma caddero a pochi passi dalla cima della montagna, ed erano già -saliti ad un'altezza tremenda. Non cadevan per fiacchezza, cadevano -per vertigine. Erano battaglie, nelle quali riuscivano ora vinti, -ora vincitori. Ma in me, vedi, non c'è lotta; in me è calma morta. Ai -grandi che picchiano alla porta del tempio dell'Arte, qualche volta -una voce di dentro risponde: — Non ancora: — A me quella voce risponde: -— Via! — Quelli sono pregati d'aspettare, e io sono scacciato come un -cialtrone. - -Teresa aperse il libro che aveva preso poco prima e finse di mettersi -a leggere senza badare alle parole di Mario. - -— Leggi, leggi, — continuò Mario sorridendo, — chi si contenta, gode. -Intanto io farò un pochino di critica al tuo autore. I suoi personaggi -son tutti fantocci che recitano la medesima parte, e non ne vien uno -in iscena, che non lasci veder sotto la mano del burattinaio. Tre -idee tinte di mille colori; ma non più che tre idee. Un manzonismo -annacquato, senza coraggiose affermazioni; un ciondolío perpetuo fra il -credo e il non credo; un voler far sentire la cosa senza compromettersi -colla parola; una doppia paura di far sorridere i miscredenti e di -scontentare le mamme pie; un tirar sempre al cuore, a tradimento, -quando si dovrebbe tirare alla testa; e persino nella lingua, la -persuasione profonda che si debba dare un calcio alle convenzioni, agli -scrupoli grammaticali, alle parole illustri, a tutte le formole della -lingua scipita, pedantesca, bastarda, che si parla fuor di Toscana; -e la vigliaccheria di non farlo per paura di coloro che combattono la -proposta del Manzoni, perchè non vogliono ricominciare a studiare. - -— Io non me ne intendo di lingua, — disse Teresa; — non ti so cosa -rispondere. Ma per quel ch'è dei fantocci, purchè dicano delle cose -buone, che importa se si vede la mano? — Così dicendo, rise e gli prese -la mano. - -— Dir delle cose buone! esclamò Mario. — Vorrei che tu mi dicessi che -diritto ho io di dire delle cose buone, io che non ne faccio, e di -metterci sotto la mia firma, come se le facessi. Mi ricordo, pochi -giorni fa, quando ti dissi che compivo ventisette anni, tu esclamasti: -— Ventisette anni! Hai già fatto molto! — Fatto molto! non ho ancora -salvato la vita a nessuno, — non ho mai passato trenta notti di seguito -al letto d'un ammalato, — non mi sono mai messo a rischio di buscarmi -una coltellata per levare una donna dalle mani d'un brutale che la -schiaffeggia nel mezzo della strada, — non ho mai fatto dieci miglia -a piedi per andar a portare una buona notizia a una famiglia povera, -— non mi son mai privato un mese di seguito del sigaro, del teatro e -della birra, per fare un regalo a un mio antico maestro elementare che -si trova nella strettezza. Ebbene, conosco dei giovani che fecero e che -fanno tutte queste cose, e che si vergognerebbero di scriverle, e che -quando le leggono scritte da me, mi dicono: «bravo! Lei fa del bene! -Beato lei!» - -— Vero, e con questo? - -— Con questo, quando mi dicono quelle parole, io arrossisco perchè -dovrei dirle io a loro; e loro dovrebbero dire a me che sono un -impostore. - -— E allora, — disse Teresa con un'ironia faceta, di cui Mario non -s'accorse; — se scrivendo delle cose morali ti pare di far l'impostore, -scrivine delle immorali e vivrai in pace colla tua coscienza. - -— No! — rispose Mario — mai. Se volessi anche, non potrei. Su questo -punto tu non conosci ancora le mie idee, e te le dico. Da un uomo di -genio, di quelli che ti ho definiti poco fa, accetto tutto; creda, non -creda, sia ottimista o veda tutto nero, non mi riveli che il bello o -non mi mostri che le brutture dei suoi simili e le sue, — dissento, -deploro — ma accetto, — o almeno mi rendo ragione del come gli possa -parer lecito di scrivere quello che pensa e quello che fa. È un uomo -di genio; preferisco averlo com'è al non averlo; anche offendendomi -e sconfortandomi, mi fa vedere molte cose sotto una faccia nova; mi -costringe a pensare; mi fa, se non altro, ammirare in sè un nuovo -stampo d'uomo, e una gradazione di più nell'infinita varietà della -natura. Sta bene. Ma che un uomo d'ingegno della seconda sfera, uno di -quelli dei quali è dubbio se abbiano fatto bene o no a scegliere la via -delle lettere, e che dovrebbero, poichè il mondo può benissimo far di -meno di loro, cercare tutti i modi di farsi perdonare l'ambizione che -li rode; che uno di questi, dico, abbia la sfacciataggine di gridare -al mondo: — Vòltati — per fargli sapere che non crede a nulla, che -è divorato dalla bile, che disprezza i suoi simili, che vive fra le -sgualdrine e s'ubbriaca; questo, per Dio, non solo non lo ammetto, -ma non lo capisco; e non capisco come il pubblico non si stomachi di -queste scimmie degli scapestrati di genio, e non se li levi di torno -colla scopa. - -— Dunque scrivi morale! — disse Teresa — Io non so più che cosa dirti! -Dici che sei un impostore! Basta essere onesto per poter scrivere delle -sante cose senza fingere. Come potresti scrivere, se prima di metterti -a tavolino, dovessi far dieci miglia a piedi per portare una buona -notizia a una famiglia povera? - -Mario sorrise e scrollò una spalla; e dopo qualche minuto di silenzio, -disse: - -— Un giorno, a Firenze, passeggiando fuor di Porta Romana, -sull'imbrunire, vidi tutt'a un tratto una gran luce dietro un gruppo -di case e gente che correva. Presi anch'io la corsa e arrivai dinanzi -a una casa che bruciava, in mezzo a una folla che faceva un grande -strepito. L'incendio era scoppiato da poco; ma uscivan già fiamme -dal tetto e da parecchie finestre, e si sentiva dentro un fracasso -spaventoso di travi che cadevano e si spezzavano, e in mezzo alla -folla grida di donne e di bimbi, che facevan pietà. Arrivarono in quel -momento le pompe e le guardie, e cominciò il solito lavoro di far -dare addietro la gente, coll'urlío e il disordine solito. Tutt'a un -tratto si sentì un grido straziante e si vide molta gente affollarsi -da una parte. Era la solita disgrazia d'una donna che aveva chiuso -il bambino in casa per uscire, e che tornava troppo tardi. La voce -si sparse in un batter d'occhio. Per fortuna la finestra della camera -dava sulla strada; fu portata una scala e appoggiata al davanzale, e -una guardia salì. Ma sì! non era ancora arrivata in cima, che uscì un -nuvolo di fumo nero e una lingua di fuoco dall'alto della finestra, -e il pover uomo si sentì mancare il coraggio. La folla gridò: — Giù! -Giù! — La guardia saltò giù; un'altra salì, e ricascò in terra come -la prima; cinque o sei uomini si agitavano ai piedi della scala, e -nessuno saliva. Intanto la povera donna gettava delle grida orribili, -si buttava in ginocchio, si stracciava i capelli, faceva cose da -lacerare il cuore. Allora non so che cosa seguì in me; mi si velò la -vista, mi balenarono mille pensieri in un punto, quel bambino, mia -madre, una gioia immensa; sentii come una voce sovrumana che mi gridò -nell'orecchio: — Va! — e nello stesso momento un impulso irresistibile -che mi sbalzò quasi ai piedi della scala. Ma là.... mi parve d'essere -afferrato di dietro da un artiglio di ferro, e rimasi inchiodato, -immobile, trasognato, come uno che si trovi tutt'a un tratto sull'orlo -di un precipizio. Mentre guardo intorno e rinvengo in me, un uomo si -spicca dalla folla come una saetta, butta in terra una guardia, sale -in cima alla scala, dispare nella finestra che pareva la bocca d'una -fornace, — si fa un profondo silenzio — l'uomo ricompare — la folla -getta un grido — quegli sale sul davanzale, si gira, mette il piede -sulla scala, discende e casca in terra spossato.... Aveva portato giù -il bambino sano e salvo! Ebbene, è una cosa che seguì molte volte, tu -mi dirai. Ah Teresa! ma quella volta ero là, ho visto tutto; — ho visto -quella donna quando si slanciò al collo di quell'uomo, — l'ho guardata -negli occhi, — ho contato i baci furiosi che gli ha stampati sulla -fronte e sul petto, — ho sentito le sue grida — le sento ancora — non -credevo che un viso umano si potesse trasfigurare in quel modo, e che -delle voci e dei singhiozzi di gioia come quelli là potessero fuggire -da questo petto di creta senza spezzarlo! Non credevo che si potesse -esser belli, felici, gloriosi, com'era quell'uomo, quando si passò una -mano nei capelli strinati — fiutò la mano — e si mise a ridere! - -Teresa era commossa. - -— Io tornai a casa — continuò Mario, — triste e pieno di disprezzo per -me medesimo, come se avessi commesso un'azione vergognosa. Pensavo a -quell'uomo, e mi pareva di essere meno che un verme della terra accanto -a lui. Pensavo ai miei studî, e alle mie piccole soddisfazioni d'amor -proprio, e ogni cosa mi pareva fredda e meschina, al paragone della -gioia infinita che m'ero lasciata sfuggire. Rientrai in casa, accesi il -lume e mi lasciai cadere sopra una poltrona, dicendo a me medesimo: — -Bravo! Ecco il tuo piedestallo! — Sentivo delle voci nella strada, che -mi parevano l'eco delle grida della madre e della folla, e da tutte le -parti vedevo quella finestra infocata, la scala, l'uomo che saliva. A -un tratto, mi cadon gli occhi sul tavolino, c'eran delle carte sparse, -non mi ricordavo che fossero, guardai.... Erano pagine d'uno scritto, -nel quale dicevo mille belle cose intorno all'amor materno, alla virtù -del sacrifizio, alla generosità, al coraggio. Che vuoi che ti dica! -Quelle parole, in quel momento, mi fecero l'effetto d'una ciurmeria -ignobile, d'una ostentazione ipocrita e sfrontata; mi sentii salire -il sangue al viso; buttai in terra, con una manata, quel mucchio di -fogli.... - -Teresa gli pose una mano sulla bocca. - -— E ci sputai sopra tre volte! — soggiunse Mario respingendo la mano. - -— No, Mario! — esclamò Teresa — non le dire queste cose! - -— Lasciamele dire — rispose Mario, con un sorriso mesto e amorevole: — -è questo uno dei pochi bei tratti della mia vita. E ora sai perchè mi -pare un'impostura lo scrivere quello che non faccio. - -— Eppure! — gli disse Teresa — guardandolo negli occhi, dopo alcuni -momenti di silenzio. — Eppure domani tu scriverai. - -Mario si strinse nelle spalle. - -— Sì, scriverai, — riprese Teresa — perchè io son donnina da trovare -nella mia piccola testa delle ragioni convincenti da opporre a tutte -quelle che mi hai dette finora per provarmi che non devi più scrivere. - -— Sentiamole. - -— Ma non oso dirtele perchè.... non mi so esprimere; sono una -scioccherella.... io non m'intendo di letteratura. - -— Credi agli angeli? - -— Io sì. - -— E credi che gli angeli s'intendano di letteratura? - -Teresa sorrise, e continuò: — Ebbene, ecco la mia idea. Dici che -dovrebbero scrivere solamente i grandi e questo non mi par giusto. -In questo mondo ci sono tante anime che si somigliano, che vivono -nella stessa maniera, che vedon le cose dallo stesso lato, che hanno -perfino le medesime debolezze. Ebbene, queste anime si cercano, e -quando s'incontrano, sia anche in una pagina d'un libro, ne godono, -e si attaccano a chi ha scritto quella pagina, come a un intimo -amico. I grandi scrittori ne abbracciano un gran numero di queste -anime, perchè abbracciano la natura sotto moltissimi aspetti. Gli -scrittori che vengon dopo, ne abbracciano soltanto poche; ma bastano -anche queste poche perchè essi abbiano ragione di essere. I grandi -scrittori destano la maraviglia, l'entusiasmo: gli altri solamente -l'affetto e la simpatia. Ebbene, anche far nascere una simpatia mi -pare che sia un effetto che giustifichi un libro, perchè la simpatia -è una disposizione benevola del cuore, e una disposizione benevola è -la metà d'una buona azione. E poi, perchè il grande dovrebbe escludere -il piccolo? e il bellissimo escludere il grazioso? Non ci dovrebbero -essere delle margheritine e delle viole perchè ci sono dei girasoli -e delle rose? Forse che il poema di Dante m'impedisce di piangere -e di sentirmi riaver l'anima leggendo le novelle del Thouar? Quando -uno è sicuro che cinquecento persone leggeranno quello che scrive, -ogni volta che gli viene un buon sentimento, fosse anche a proposito -di due lucciole che passano, lo deve scrivere; e se impiega tutta la -sua vita a scrivere delle cose che trasfondono un buon sentimento -in cinquecento persone, la sua vita mi par che sia bene impiegata. -E quanto allo scrivere quello che non si fa, mi par che tu non abbia -ragione neppure; le buone azioni non si fanno soltanto col coraggio e -coi sacrifizî; destare degli affetti gentili, consolare, intenerire, -rasserenare l'anima per un momento a qualcuno, sono buone azioni non -meno meritorie che star un mese senza fumare per fare un regalo a un -maestro. Che importa se un libro che ha prodotto questi effetti, dopo -un certo tempo è dimenticato? Quante buone azioni non si dimenticano -ogni giorno! Forse che non si dovrebbero fare buone azioni che pei -posteri? Ma perchè mi perdo in ragionamenti? Chi più di te sentiva -queste verità, quando scrivevi le tue prime cose, e ogni volta che ne -finivi una, comparivi qui colle braccia aperte e il viso radiante e mi -dicevi: — Teresa, quanto mi rincrescerebbe morire! — Teresa, non dirmi -che sono superbo: t'assicuro che oggi dentro di me c'era un angelo; era -lui che mi dettava; se non ho scritto meglio, è perchè ho inteso male -quello che diceva, tanto mi parlava in furia! — E vedi che anche adesso -ti splendono gli occhi a sentirti ricordare quei giorni. — Dammi la -mano, Mario — riprendi coraggio e fiducia — cercala qui l'ispirazione — -nel cuore — vedrai che ti risponderà — la tua forza è qui; — promettimi -che scriverai ancora, — che tornerai di nuovo qui contento e glorioso -a farti baciare sulla fronte, — dimmi che ti senti l'angelo, Mario! - -Mario, commosso, le chinò il capo sul seno, e rimase per lungo tempo -immobile e pensieroso. - -Finalmente Teresa gli mormorò all'orecchio: — E l'angelo? - -— Oh! perdio sì! — gridò Mario balzando in piedi col viso radiante e -battendosi una mano sul petto, — c'è ancora! - - - - -RITRATTO D'UN'ORDINANZA - - -Dei capi originali, sotto la vôlta del cielo, ce n'è e posso vantarmi -d'averne conosciuto parecchi; ma uno che possa far la coppia con lui, -credo che abbia ancora da nascere. - -Era sardo, contadino, ventenne, analfabeta e soldato di fanteria. - -La prima volta che mi comparve davanti a Firenze, nell'uffizio d'un -giornale militare, m'ispirò simpatia. Il suo aspetto, però, e qualcuna -delle sue risposte, mi fecero capir subito ch'era un originale curioso. -Visto di fronte, era lui; visto di profilo, pareva un altro. Si -sarebbe detto che nell'atto che si voltava, tutti i suoi lineamenti -s'alteravano. Di fronte, non c'era nulla da dire: era un viso come -tanti altri; di profilo, faceva ridere. La punta del mento e la punta -del naso cercavano di toccarsi, e non ci riuscivano, impedite da due -enormi labbra sempre aperte, che lasciavan vedere due file di denti -scompigliati come un plotone di guardie nazionali. Gli occhi parevano -due capocchie di spillo, tanto erano piccini, e sparivano quasi affatto -tra le rughe, quando rideva. Le sopracciglia avevano la forma di due -accenti circonflessi e la fronte era alta appena tanto da impedire ai -capelli di confondersi colla barba. Un mio amico mi disse che pareva -un uomo fatto per ischerzo. Aveva però una fisonomia che esprimeva -intelligenza e bontà; ma un'intelligenza, se così può dirsi, parziale, -e una bontà _sui generis_. Parlava con voce _aspra e chioccia_ un -italiano del quale avrebbe potuto domandare con tutti i diritti il -brevetto d'invenzione. - -— Come ti piace Firenze? — gli domandai, poichè era arrivato il giorno -innanzi a Firenze. - -— Non c'è male, — mi rispose. - -Per uno che non aveva visto che Cagliari e qualche piccola città -dell'Italia settentrionale, la risposta mi parve un po' severa. - -— Ti piace più Firenze o Bergamo? - -— Sono arrivato ieri; non potrei ancora giudicare. - -Quando se n'andò gli dissi: — addio, — ed egli rispose: — addio. - -Il giorno dopo fece la sua entrata in casa. - -Nei primi giorni fui più volte sulle undici once di perder la pazienza -e di rimandarlo al suo reggimento. Se si fosse contentato di non capire -niente, _transeat_: ma il malanno era che, un po' per la difficoltà -dell'intendere l'italiano, un po' per la novità delle incombenze, -capiva a mezzo e faceva tutto al rovescio. Se dicessi che portò ad -affilare i miei rasoi dal Lemonnier e a stampare i miei manoscritti -dall'arrotino; che rimise un romanzo francese al calzolaio e un paio di -stivali alla porta di casa d'una signora, nessuno lo crederebbe; poichè -per crederlo bisognerebbe aver visto fino a che segno, oltre al capir -male, egli era distratto, non bastando il capir male a dar ragione -di _qui pro quo_ così madornali. Ma non posso trattenermi dal citare -alcune fra le più meravigliose delle sue prodezze. - -Alle undici della mattina lo mandavo a comprare del prosciutto per -far colazione, ed era l'ora che si gridava per le strade il _Corriere -italiano_. Una mattina, sapendo che il giornale conteneva una notizia -che mi premeva, gli dico: — Presto, prosciutto e _Corriere italiano_. -— Due idee alla volta non le afferrava mai. Discese e ritornò dopo un -minuto col prosciutto involto nel _Corriere italiano_. - -Una mattina sfogliettavo sotto gli occhi d'un mio amico, e in -presenza sua, un bellissimo Atlante militare che m'era stato -imprestato dalla Biblioteca, e gli dicevo: — Il male, vedi, è che io -non posso abbracciare tutte queste carte con uno sguardo solo e mi -tocca osservarle una per una. Per afferrar bene il complesso della -battaglia, vorrei vederle tutte inchiodate nel muro, in fila, in -modo che formassero un solo quadro. — La sera, rientrando in casa.... -rabbrividisco ancora a pensarci.... tutte le carte dell'Atlante erano -inchiodate nel muro; e per maggior supplizio, la mattina seguente, mi -toccò vederlo comparir lui col viso modesto e sorridente d'un uomo che -viene a cercare un complimento. - -Un'altra mattina lo mando a comprare due ova da far cuocere collo -spirito. Mentre è fuori, viene un amico a parlarmi d'un affar di -premura. Quel disgraziato rientra; gli dico: — Aspetta; — egli si mette -a sedere in un canto, io continuo a parlare coll'amico. Dopo un momento -vedo il soldato che si fa rosso, bianco, verde, che par seduto sulle -spine, che non sa dove nascondere il viso. Abbasso gli occhi e vedo una -gamba della sua seggiola leggiadramente rigata d'una striscia color -d'oro che non avevo mai veduta. M'avvicino: è giallo d'ovo. L'infame -s'era messo le ova nelle tasche posteriori del cappotto e, rientrando -in casa, s'era seduto senza ricordarsi che aveva la mia colazione di -sotto. - -Ma queste son rose appetto a quello che mi toccò di vedere prima -d'averlo ridotto a mettere in ordine la mia camera, non dico come -volevo, ma in una maniera che rivelasse, alla lontana, l'uomo -ragionevole. Per lui l'arte suprema del metter le cose in ordine -consisteva nel disporle l'una sull'altra in forme architettoniche, -e la sua grande ambizione era di fabbricare degli edifizi alti. Nei -primi giorni i miei libri formavano tutti insieme un semicerchio di -torri tremolanti al menomo soffio; la catinella rovesciata sorreggeva -una piramide ardita di piattini e di vasetti, in cima alla quale si -rizzava alteramente il pennello della barba; i cappelli cilindrici -nuovi e vecchi si elevavano in forma di colonna trionfale ad un'altezza -vertiginosa. Per il che seguivano sovente, anche nel cuore della notte, -rovine fragorose e vasti sparpagliamenti, che, se non fossero state -le pareti della camera, nessuno sa dove sarebbero andati a finire. -Per fargli capire, poi, che lo spazzolino da denti non apparteneva -alla famiglia delle spazzole da testa, che il vasetto della pomata -era tutt'altra cosa che il vasetto dell'estratto di carne, e che il -tavolino da notte non è mobile da mettervi le camicie stirate, mi ci -volle l'eloquenza di Cicerone e la pazienza di Giobbe. - -Se della buona maniera con cui lo trattavo, mi fosse grato, se sentisse -affetto per me, non l'ho mai potuto capire. Una sola volta mostrò -una certa sollecitudine per la mia persona, e la mostrò in un modo -stranissimo. Ero a letto, malato da una quindicina di giorni, e nè -peggioravo, nè accennavo a guarire. Una sera egli fermò per le scale -il mio medico ch'era un uomo ombrosissimo, e gli domandò bruscamente: — -Ma, insomma, lo guarisce o non lo guarisce? — Il medico montò in bestia -e gli fece una lavata di capo. — Gli è che l'è già un po' lunga! — -brontolò lui per tutta risposta. - -Altre volte aveva certi frulli, che, invece di rimproverarglieli, come -avrei dovuto, non potevo far altro che riderne. Una mattina mi svegliò -dicendomi nell'orecchio con un certo suo accento strano: — Signor -tenente, chi dorme non piglia pesci. - -Un giorno entrò in casa mentre ne usciva un personaggio illustre, e -sentì dire da un mio amico, rimasto con me, che quel tal personaggio -era _una personalità molto spiccata_. Quindici giorni dopo, mentre -stavo discorrendo con parecchi amici, egli s'affacciò alla porta della -mia camera e m'annunciò una visita. — Chi è? — domandai. — È..., — -rispose (non si ricordava il nome).... — è _quella personalità molto -spiccata_. — Tutti diedero in uno scoppio di risa, il personaggio -sentì, io gli spiegai la cosa, e ne rise anche lui dai precordi. - -È difficile dare un'idea della lingua che parlava quel curioso -soggetto: era un misto di sardo, di lombardo e d'italiano, tutte frasi -tronche, parole mozze e contratte, verbi all'infinito buttati là a -caso e lasciati in aria, che facevano l'effetto del discorso di un -delirante. Un giorno mi venne a cercare un amico all'ora del desinare, -ed entrando in casa, gli domandò: — A che punto è del desinare il tuo -padrone? — _Trema!_ — gli rispose il soldato. — L'amico rimase colla -bocca aperta. Quel _trema_ voleva dire _termina_. - -In cinque o sei mesi, frequentando le scuole reggimentali, aveva -imparato a leggere e a scrivere stentatamente. Fu la mia disgrazia. -Mentre ero fuor di casa, s'esercitava a scrivere sul mio tavolino, e -soleva scrivere cento, duecento volte la stessa parola, una parola, per -il solito, che il giorno prima aveva sentito pronunciar da me leggendo, -e che gli aveva fatto impressione. Una mattina, per esempio, lo colpiva -il nome di Vercingetorige. La sera, rientrando in casa, io trovavo -Vercingetorige scritto sui margini dei giornali, sul rovescio degli -stamponi, sulle fascie dei libri, sulle buste delle lettere, sulle -carte del cestino, da per tutto dove aveva trovato tanto spazio da -ficcarvi quelle quattordici lettere predilette dal suo cuore. Un'altra -volta gli toccava il cuore la parola Ostrogoti e il giorno dopo la -mia casa era invasa dagli Ostrogoti. Un giorno lo seduceva la parola -rinoceronte e la mattina seguente la mia casa era convertita in un -serraglio di bestie feroci. Ci guadagnai però da un altro lato, e fu -di poter abbandonare l'uso delle croci che facevo con matite di vario -colore sulle lettere che doveva portare a mano a certe persone fisse, -perchè non c'era verso di fargli ritenere i nomi; per cui egli soleva -dire: questa lettera va alla signora celeste (ch'era mondana), questa -al giornalista nero (ch'era rosso), questa all'impiegato giallo (ch'era -al verde). - -Ma a proposito dello scrivere gliene scopersi una assai più curiosa di -quelle che ho citate finora. Si era comprato un quadernino, sul quale -copiava, da tutti i libri che gli venivano alle mani, le dediche degli -autori ai parenti, badando sempre a sostituire ai nomi di questi, -il nome di suo padre, di sua madre o de' suoi fratelli, ai quali -s'immaginava di dare in tal modo uno splendido attestato di affetto e -di gratitudine. Un giorno apersi il quaderno e vi lessi, fra le altre, -le dediche seguenti: — _Pietro Tranci_ (era suo padre, contadino), -_Nato in povertà, Seppe collo studio e colla perseveranza Acquistarsi -un posto segnalato fra i dotti, Soccorrere genitori e fratelli, -Degnamente educare i figli. Alla memoria dell'ottimo padre Questo -libro intitola L'autore Antonio Tranci_, invece di Michele Lessona. -In un'altra pagina: — _A Pietro Tranci mio Padre Che annunziando al -Parlamento subalpino Il disastro di Novara Cadeva svenuto al suolo, E -tra pochi giorni moriva Consacro questo Carme_, ecc. — Più sotto: — _A -Cagliari_ (invece di Trento) _Non ancora rappresentata nel Parlamento -italiano_, ecc. _Antonio Tranci_, invece di Giovanni Prati. - -Quello che mi meravigliava di più in lui, — che non aveva mai visto -nulla, — era una assoluta mancanza del sentimento della meraviglia, -qualunque cosa, per quanto straordinaria, egli vedesse. Vide, nel tempo -che stette a Firenze, le feste per il matrimonio del Principe Umberto; -vide l'opera e il ballo alla Pergola (non aveva mai visto un teatro); -vide le feste del carnevale e l'illuminazione fantastica del viale -dei Colli; vide cento altre cose nuove affatto per lui, che avrebbero -dovuto stupirlo, divertirlo, farlo parlare. Nulla di tutto questo. -La sua ammirazione non andava mai più in là della solita formola: — -Non c'è male. — Santa Maria del Fiore.... non c'è male; la Torre di -Giotto.... non c'è male; il palazzo Pitti.... non c'è male. Io credo -che se Domeneddio in persona gli avesse domandato che cosa gli pareva -della creazione, gli avrebbe risposto che non c'era male. - -Dal primo all'ultimo giorno che stette con me, fu sempre dello stesso -umore, tra serio ed allegro; sempre docile, sempre stordito, sempre -puntuale a capire le cose a rovescio, sempre immerso in una beata -apatia, sempre stravagante ad un modo. Il giorno che ricevette il -suo congedo, scribacchiò non so quante ore nel suo quaderno colla -stessa tranquillità degli altri giorni. Prima di partire venne ad -accomiatarsi. La scena della separazione fu poco tenera. Gli dimandai -se gli rincresceva di lasciar Firenze. Mi rispose: — Perchè no? — Gli -dimandai se tornava a casa volentieri. Mi rispose con una smorfia che -non capii. - -— Se avrà bisogno di qualche cosa, — disse all'ultimo momento, — scriva -pure che mi farà sempre piacere. — Grazie tante! — gli risposi. E -così uscì di casa, dopo più di due anni che stava con me, senza dar il -menomo segno nè di rincrescimento, nè di allegrezza. - -Io lo guardai mentre scendeva le scale. - -Tutt'a un tratto si voltò. - -— Stiamo a vedere, — pensai, — che il suo cuore s'è svegliato e che -ritorna a congedarsi in un altro modo. - -— Signor tenente, — disse: — il pennello per la barba l'ho messo nella -cassetta del tavolino più grande. - -E disparve. - - - - -BATTAGLIE DI TAVOLINO - - -Un giorno un mio amico mi disse: — Tu non studii abbastanza; tu -leggi; leggere non è studiare; leggere è un piacere, e studiare è una -fatica: infatti tutti leggono e pochissimi studiano. Quali sono le ore -della giornata che tu dedichi a uno studio profondo? a quel lavoro di -figgersi nella mente le cose lette, di pensarle, di rimestarle, di -raffrontarle, di spremerne il sugo? a quella fatica di raccogliere -cognizioni precise, di formarsi giudizî proprî, di combattere, -ragionando, i giudizî altrui, che dissentano da' tuoi? Tu con la mente -non lavori, ti balocchi. - - * - * * - -A vent'anni quante ragioni si trovano da opporre a questi consigli! -I libri, i libri! O che si vive pei libri? Io ho del sangue nelle -vene, io ho bisogno d'aria e di luce, io voglio leggere il gran libro -della vita. Prima di studiare bisogna vivere. Perchè legarmi a questo -strumento di tortura ch'è il tavolino? La vita è moto; chi si muove è -sano, chi è sano è allegro, chi è allegro è buono, e chi è buono è più -caro a Dio e più utile agli uomini che questi eremiti della società -che si sono logorati sui libri, pieni di vanità, gonfi d'orgoglio e -svogliati d'ogni cosa. - - * - * * - -Le prime lotte son dure. Voi avete preso la risoluzione di studiare, -date un addio agli amici, correte a casa, aprite un libro. A un tratto -sentite non so che dentro di voi che dà indietro, che si raggomitola, -che si scontorce. Voi ravvicinate la seggiola, e vi ripiegate sul -libro, e vi sentite sbalzato indietro daccapo. V'è qualcuno dentro -di voi, un nemico sordo, muto, cocciuto, che s'impenna, s'ostina, -non vuole intendere ragione; un poltrone che si dibatte come se lo -trascinassero al supplizio. E la lotta dura molto tempo e diventa -accanita fino a farvi morder le dita e picchiare il pugno nel muro -senza quasi sentirne dolore, come se veramente quelle offese non -fossero fatte a voi, ma all'_altro_; e voi foste intimamente persuaso -che siete in _due_: un capitano animoso e un soldato vigliacco. - - * - * * - -Poi si provano le prime gioie della vittoria. Vien sempre il momento in -cui l'_io_ che vuole, traendo dall'ira la forza che non aveva potuto -trarre dal proposito, grida un _voglio_ così imperioso, che l'_altro_ -non osa più di ribellarsi, si acquatta, si annichilisce. Allora vi -sentite in cuore una soddisfazione piena di alterezza e assaporate la -voluttà del comando; provate un sentimento quasi di rispetto per voi -medesimo, come se in voi ci fosse qualcuno più valoroso e più forte di -voi. - - * - * * - -Dopo le prime lotte e le prime gioie, vengono i primi sconforti. -Come nella mente del dotto una nozione chiama l'altra, e per poco che -rimugini ne mette sottosopra una folla, ch'egli si fa sfilare dinanzi -colla compiacenza d'un generale che passa in rassegna un esercito, -o d'un avaro che conta le sue ricchezze; così nella mente di chi -comincia a studiare una lacuna mette in un'altra lacuna, e il povero -esaminatore di sè stesso, dopo aver molto errato nel vuoto, prova un -sentimento di solitudine, che gli precide il coraggio e le forze. Da un -dubbio di lingua a un dubbio di storia, da un dubbio di storia a uno -di geografia, da uno di geografia a uno di fisica, e son tutte cose -elementari, essenziali, necessarie, tali che, sebbene dalla maggior -parte si ignorino, pare nondimeno così vergognoso l'ignorarle che s'è -convenuto fra tutti di fingere reciprocamente di saperle. E allora, -in quell'affollamento di stupori e di vergogne, lo assale una smania -dolorosa di colmare quei vuoti; e tira giù libri, e rovista dizionari, -e piega pagine, e appunta; e mentre una nozione s'appiccica, l'altra si -stacca, e mentre questa riaderisce, quell'altre due si confondono, fin -che gli si fa buio fitto nella testa, le braccia gli cadono, ed egli -esclama sconfortato: È inutile, è tardi, torniamo alla vita di prima. - - * - * * - -Il giorno dopo, a mente fresca, si ripiglia speranza e vigore. Si -studia fino a sera e la sera si coglie il premio. In quel breve riposo -che ci si concede dopo un sobrio desinare, tutte le cose imparate, -come se si fossero data la posta, balzan tutte insieme dai ripostigli -della mente, vengono a galla, non cercate, con una specie di gara a -chi giunga la prima, e fanno nella testa un tumulto che non si può -esprimere. Sentenze di filosofi e regole di grammatica, versi e date, -immagini e pensieri lucidissimi; e poi bagliori, barlumi lontani -d'altri pensieri e d'altre immagini così fitti e rapidi che non lascian -vedere le lacune oscure che poc'anzi ci prostravano nello sgomento. -Quelli son momenti di gioia viva. - - * - * * - -Il sacrifizio più duro è quello della sera nella bella stagione. -L'aria è odorosa, la città è splendida, udite giù per le scale il -passo affrettato dei vicini, e risa di ragazze e di fanciulli; poi -il rumore nella strada; poi la casa rimane silenziosa. Tutti sono -usciti, rimanete solo. Allora vi tocca combattere contro le immagini -seduttrici. Avete la fantasia eccitata dalla lettura, siete giovane, -la lotta è fiera. È appena credibile quello che segue allo studioso in -quei momenti. A volte vi sentite veramente soffiare nel viso un alito -di donna che vi rimescola; vedete passare a traverso il vostro libro -una treccia di capelli; udite dei passi leggeri, dei respiri, qualcosa -che s'agita nell'aria. Allora vi piglia quella maledetta tentazione di -dar una pedata al tavolino e di buttar a terra ogni cosa, gridando con -un accento di trionfo e di disprezzo: — Alla cassetta della spazzatura, -cartaccie! Io voglio vivere! - - * - * * - -Sono belle e feconde queste battaglie combattute nel silenzio d'una -cameretta tra l'immensa avidità del sapere e la foga prepotente della -giovinezza; questo divincolarsi sotto un giogo che ci siamo imposti noi -stessi. Il sudore che ci esce dalla fronte in questa fatica è un sudore -salutare, la stanchezza che ne segue è madre di nuove forze. Allora si -comprende che son sapienti certi consigli che ci parevan degni di riso. -Allora si vede la necessità di combattere acerbamente questo corpo -ribelle che ci vuole imporre una disciplina codarda; d'infliggergli dei -patimenti che lo prostrino, non tanto da renderlo inetto a servire, ma -abbastanza perchè non possa più comandare. Allora si piglia l'abitudine -della colazione alla Franklin: pane, frutta, acqua, e di rigore in -rigore, si è condotti logicamente fino a fare uno sforzo per non -appoggiarsi alla spalliera della seggiola; concessione pericolosa, che -per una serie d'altre concessioni conduce insensibilmente a ricominciar -la battaglia. - - * - * * - -L'arte di comandare a sè stessi consiste in gran parte nel trovar -argomenti e parole efficaci per movere in noi la vergogna. Ci vuol -immaginazione ed eloquenza. Una mattina ch'ero svogliato mi costrinsi -a studiare con questo discorso. Supponi che le pareti, i solai, le -scale della casa diventino ad un tratto trasparenti. Guarda in alto, -in basso, intorno. Tu vedi da ogni parte menar scope, smover sacconi, -spolverar mobili; la casa è tutta in moto e in faccende. Ebbene, -giurami che se tutte quelle donne colle maniche rimboccate e il viso -luccicante di sudore si voltassero tutt'insieme a guardar te sdraiato -sulla poltrona colle braccia in croce, giurami che, in quel punto, non -proveresti un senso di vergogna, non ti verrebbe fatto di afferrar -subito un libro per fingere almeno che studiavi, non ti verrebbe -detto, come a un ragazzo côlto in fallo, con accento di scusa: — Ma io -lavoravo, sapete! - - * - * * - -T'amo, o tavolino! Tu, fra tutti gli oggetti della casa, sei il solo -che rappresenti l'amicizia fedele. La porta che, nei nostri begli -anni, risuona qualche volta al tocco d'un ditino, che ci fa balzare -in piedi col cuore in sussulto, finisce col non aprirsi più che a -qualche vecchio amico che ci viene a parlare di malanni. Lo specchio, -che ci dice tante care cose, fin che abbiamo l'occhio scintillante e -la guancia rosea, finisce per diventarci odioso come un importuno che -ci rammenti sempre una sventura che vorremmo dimenticare. Il letto sul -quale ora dormiamo i sonni pieni e quieti della giovinezza, finisce -per diventare un giaciglio di spine sul quale cerchiamo inutilmente -il riposo. Tu, tavolino, sei l'ultimo ridotto nel quale, affranti -dai disinganni, ripariamo. Caro quando, accesi dall'ispirazione, ti -percotiamo col pugno vigoroso, presentendo la gioia dei trionfi; ci -sei caro ugualmente quando torniamo a te col cuore contristato da una -speranza miseramente delusa. Giovani, t'amiamo per la gloria; vecchi, -per la pace; e riedifichiamo su te l'edifizio caduto della giovinezza. - - * - * * - -V'hanno dei momenti nella giornata dello studioso, — anche giovane, -— nei quali la vita, — non so per che improvviso rivolgimento d'idee -— gli si presenta al pensiero soltanto sotto i tristi aspetti; i -pericoli, le delusioni, le lotte inutili, la vanità di ogni cosa; -— e tutte queste immagini gli paion come altrettante figure umane -che, accennando lui, dicano: — Ecco un fortunato! — In quei momenti -egli prova qualcosa di simile al sentimento di chi, stando chiuso in -una stanza calda, vede cader la neve nella via. Egli si sente bene -nel suo covo, è contento della maniera di vita che ha scelta, prova -come un bisogno di rannicchiarsi, vorrebbe vivere in un guscio anche -più piccino, per tapparvisi meglio, per essere più al sicuro. Gli -par di essere nella sua stanza piena di libri come in una fortezza -inespugnabile, fornita di provvigioni inesauribili, in mezzo à una -vasta pianura corsa da eserciti furiosi che spargano sangue e paura. - - * - * * - -V'hanno altri momenti, per contro, nei quali par che vi manchi tutt'a -un tratto il calore intimo della vita del pensiero. Allora ogni -cosa si agghiaccia intorno a voi; lo scopo delle vostre fatiche vi -par puerile; vi piglia un'uggia invincibile di tutto ciò che avete -dinanzi agli occhi e sotto le mani; i vostri libri ve li sentite come -ammontati tutti sul petto; la finestra vi par diventata lo spiraglio -di un carcere; il soffitto vi par che s'abbassi sulla vostra testa. Vi -manca il respiro, v'alzate, vi guardate allo specchio: avete i capelli -aruffati, la barba lunga, gli occhi rossi; vi sentite inselvatichito, -avvilito; vi pare d'esservi svegliato in una spelonca; provate quasi -orrore di esser così solo, intanato; pensate agli amici, alla campagna, -alla musica, alle signore eleganti, e dite a voi medesimo che siete un -insensato e un infelice. - - * - * * - -Certe figure d'amici vostri che sanno tanto più di voi, dopo che vi -siete dato a studiar di proposito, ingigantiscono. Prima vi pareva -che i lampi che voi mandate valessero assai più dell'oro che essi -possedono, e vi meravigliavate che anch'essi non fossero del vostro -parere. Ma a poco a poco siete arrivato a capire come un uomo che -ha studiato davvero, che ha fatto di quegli sforzi di volere che -costano lotte faticosissime, e riportate di quelle vittorie intime che -insuperbiscono al pari d'un trionfo pubblico, debba naturalmente far -poco conto dell'ingegno che s'alza per la sola forza delle sue ali; che -molto ardisce perchè ignora molto; che non sente la sua vacuità perchè -non essendosi mai messo alla grave impresa di riempirla, non l'ha mai -misurata. Capite ora come a quell'uomo l'opera d'un tale ingegno debba -parere un edifizio fragile. Anche voi, a pari altezza, ammirate di -più il vertice immobile d'una piramide che l'ondeggiamento d'un cervo -volante. Chi studia, conquista; l'ingegno incolto, al suo paragone, par -che rubi. Molti che vi parevano invidiosi perchè non vi battevano le -mani, capite ora che non avevano per voi altro sentimento che quello -d'una fredda disistima. Essi sono boccie di cristallo, e voi siete -bolle di sapone. - - * - * * - -Studia; ma non ti rintanare, scriveva il Giusti a suo fratello; e v'è -un proverbio spagnuolo che tradotto letteralmente, dice: «corsa che non -dà il puledro nel corpo gli rimane.» Guai al giovine che per studiare -si seppellisce! La durerà più o men tempo, e poi gli piglieranno -delle malinconie disperate. Per non aver creduto a chi mi dava questo -consiglio, mi svegliai qualche volta con una così profonda ripugnanza -per lo studio e per la casa, che scappai come un frenetico, corsi alla -campagna, camminai tutta la giornata, dormii in un villaggio, e non -tornai in città che il giorno dopo come torna un forzato alla galera. -E non bisogna tuffarsi intero negli studî, anche per non perdere ogni -attitudine alla vita sociale. Chi sta troppo solo, non più usato a -tollerare i difetti dei suoi simili, a far sacrifizî d'amor proprio, -a soffrire degli attriti spiacevoli, quando poi ritorna in mezzo -alla gente si sente urtato e punto in mille modi, da mille parti. E -va qualche volta tant'oltre questa sensitività penosa, da renderci -insopportabile la più leggiera contraddizione. Nello studio solitario -l'amor proprio ingigantisce; l'_io_ diventa formidabile. Le nostre -fatiche eccessive par che ci diano il diritto, — qualunque sia il -frutto che ne ricaviamo, — di tenerci da più degli altri. Assuefatti -nel nostro piccolo mondo a regnar da principi assoluti, portiamo anche -fuori di esso le pretensioni e le arroganze principesche. Bisogna andar -sempre fra la gente per farsi rintuzzare le corna dell'orgoglio. - - * - * * - -Una volta stetti tre mesi di seguito chiuso in casa a studiare, dalla -mattina alla sera, non uscendo che un po' dopo desinare per pigliare -una boccata d'aria. Facevo la colazione alla Franklin, bevevo appena un -bicchier di vino al giorno, non fumavo, mi levavo la mattina all'alba. -Volli esprimentare fino a che punto di elasticità e di forza si -potessero condurre le facoltà mentali, e che miglioramento si operasse -nelle morali, rifiutando al corpo tutto quello che infiacchisce le une -e corrompe le altre. - - * - * * - -I frutti del primo mese e di mezzo il secondo furono ammirabili. -Sentivo la verità di quella sentenza del Rousseau: — Un giovane che -vivesse in questa maniera fino a venticinque anni, schiaccerebbe poi -facilmente tutti gli altri. — La memoria mi s'era fatta più facile e -più tenace; capivo a volo cose che prima mi davan da pensare un'ora; -idee che pel passato mi si svolgevano nella mente come un filo -sgomitolato a fatica, ora scoppiettavano tutte insieme, al menomo -tocco, come un nuvolo di scintille; ragionando, sentivo che andavo -più addentro; parlando, dovevo fare uno sforzo per contenere la piena -delle parole che volevano prorompere. Poi, per quello che riguarda -il sentimento, valeva addirittura il doppio. La commozione che mi -dava la lettura delle cose poetiche, era più pronta e più durevole. -Leggendo ad alta voce certi versi, mi sfuggivan persino delle grida. -Mi rendevo ragione di certi esaltamenti, che m'erano parsi fino allora -inesplicabili, di artisti, o di uomini nati per essere artisti, che -alla lettura di certi libri erano stati presi dalla febbre, avevan -dato in voci e in gesti da spiritati. E di tutti gli effetti di -quella maniera di vita, quello che mi colpiva di più era questo: che -il mio pensiero tendeva sempre a andare in su, a smarrirsi fuori del -mondo. Per ore e ore non facevo che fantasticare intorno agli astri, -all'immortalità dell'anima, all'infinito. Mi ero chiuso la porta -di casa, scappavo pel tetto. Ma, in complesso, il miglioramento era -grande. - - * - * * - -Il terzo mese fu un mese di lotta, e finì colla mia sconfitta. Mi -parve che la mia intelligenza diventasse inerte e la mia memoria -s'intorbidasse. Rimaneva la commovibilità, ma era giunta al segno -da potersi chiamare piuttosto irritazione morbosa che vigore sano di -sentimento. Ero diventato stravagante. A volte, smettevo di leggere, -per far dei giuochi di forza colle seggiole, fin che sgocciolavo di -sudore. Sovente mi mettevo davanti allo specchio e discorrevo con me -gesticolando e ridendo. Ebbi perfino paura che mi desse un po' volta il -cervello. La mia padrona di casa mi diceva spesso: — Ma che vita la fa, -caro signore? — L'ultima settimana non studiai quasi affatto. Eppure -non volevo cangiar vita. Era una picca d'amor proprio. Avevo detto -agli amici che non mi sarei più fatto vedere; non m'avean creduto; -volevo spuntarla. Finalmente, una sera, irruppero in casa mia alcuni -compagni del buon tempo, mi chiusero i libri, mi misero il cappello, mi -cacciaron fuori a spintoni, e fu finita. Dopo d'all'ora passai due mesi -quasi nell'ozio: solita conseguenza di queste pazzie di solitudine. -Ma il primo giorno la pagai cara. Svegliandomi non mi ricordai subito -della scappata della sera, e corsi col pensiero alla vita di prima. -Allora il ricordo saltò su, vidi i miei bei propositi andati in fumo, -la catena dei miei sacrifizî spezzata, tutto l'edifizio innalzato nella -solitudine, in rovine; e mi sentii oppresso da una grande tristezza, -come una fanciulla alla quale fosse stato tolto a tradimento il diritto -di portare quel nome. - - * - * * - -Il miglioramento che s'era operato in me in quel primo mese di vita -austera, mi fece persuaso di questa verità, che bisognerebbe pestar -bene nella testa a tutti i giovani: che, cioè, noi non ci accorgiamo -del danno che fanno all'intelligenza e al cuore i disordini giovanili, -anche quelli che paiono, per la loro natura e per la loro misura, più -perdonabili; ma che ne fanno, ne fanno, ne fanno. Un giovane d'ingegno -vivacissimo e di vita disordinata, col quale un giorno mi trattenni -su questo argomento, diceva: — Sì, ammetto, si reggerà un po' meno al -lavoro, si scriverà cinque ore invece di dieci; ma l'ingegno non ne può -soffrire; un uomo d'ingegno riman sempre un uomo d'ingegno; il lavoro -della creazione artistica non può essere turbato. — E che ne sai? gli -domandai. Puoi tu accorgerti di tutte le piccolissime alterazioni che -si producono nella misteriosa macchina del pensiero? Puoi dire, quando -ti si desta nella mente quel tumulto d'idee che precede l'ispirazione, -puoi dire che non se ne desterebbe nessuna di più, se il giorno prima -non avessi disordinato? Si citano i grandi scrittori che han menato -una vita disordinata. Ma chi può dire che i cattivi versi e le pagine -scipite che sono uscite anche dalla loro penna, non corrispondano -appunto a quei giorni della loro vita in cui non vissero come dovevano? -Sappiamo noi se, vivendo in un'altra maniera, non avrebbero fatto -un'opera completa di ciò che ci hanno lasciato in frammenti? - - * - * * - -Un giovane che stia solo, se studia, se riman molto in casa, non solo -finisce per amare la sua casa, ma per rispettarla; e molte cose che -prima non gli parevano, gli paiono dopo una profanazione. Fra quelle -quattro pareti dove avete provato tante nobili emozioni, leggendo, -scrivendo, fantasticando creature eccelse e grandi amori, vi ripugna, -vi umilia lasciar penetrare qualcuno per cui i vostri studî, il vostro -ingegno, la parte più eletta di voi, è un argomento di riso o un -mistero. - - * - * * - -La gioia che viene dalla fatica è grande, e grande quella che viene -dall'ingegno; ma più grande senza paragone è quella che viene dalla -fatica dell'ingegno. — Io lavoravo da quasi un anno intorno a quel -soggetto; non avevo mai fatto, sopra un soggetto unico, un così -lungo lavoro; e perciò mi pareva assai più lungo di quello che ora mi -parrebbe. Quando s'ha la penna facile, e molte cose belle da dire (o se -non belle, liete), pare che lo scrivere dovrebbe essere un godimento, -che la giornata dovrebbe riuscir breve alla furia dell'opera, che l'ora -del lavoro dovrebbe essere aspettata con desiderio impaziente. Eppure, -erano appena due o tre giorni ogni quindici quelli in cui mi mettevo -a tavolino volentieri e scrivevo di vena; tutti gli altri giorni -pigliavo la penna collo stesso animo col quale lo schiavo afferra lo -strumento del lavoro che lo rifinisce. Certi giorni avrei preferito -vangare, spaccar legna, e portar sacchi come un facchino, piuttosto che -scrivere. Rimandavo d'ora in ora il momento di cominciare, cercando -mille pretesti, come per ingannare me medesimo; e talvolta, per -salvarmi dal rimorso di quell'ozio, m'imponevo delle fatiche ch'erano -in realtà assai più gravi che quella dello scrivere; come fare una -carta geografica, studiare a memoria lunghi squarci di prosa, imparare -sterminate filze di vocaboli d'una lingua straniera. Quando non avevo -ancora scritto che una cinquantina di pagine del mio libro, mi pareva -che, una volta arrivato a metà, avrei tirato un gran respiro e sarei -andato innanzi sino alla fine, quasi senza sforzo; e pensavo sempre -a quella metà benedetta, come si pensa al termine d'un viaggio pieno -di traversie. Ma arrivato che ci fui, non provai nulla di quanto -avevo sperato; e rimisi le mie speranze ai due terzi. Quante volte, -anche dopo fatto più di mezzo il lavoro, fui tentato di rinunziare a -finirlo! Quante volte mia madre, vedendomi in un canto della stanza -colle braccia incrociate e gli occhi fissi, mi domandò: — Ebbene, -a che punto siamo? — e io le risposi: — Indietro, cara, indietro, e -ho paura che non andrò più innanzi! — Mi ricordo che invidiavo mio -fratello, perchè impiegato che non aveva che da andare all'uffizio; -che invidiavo tanti miei amici i quali non scrivevano che articoletti -di giornale; che invidiavo tutti coloro che non avevano sul collo -quel giogo di dover star tanti mesi lì a tavolino a stillarsi sulla -stessa cosa, quella prigionia dell'immaginazione, quella schiavitù -del pensiero, quel supplizio di tutti i giorni e di tutti i momenti. -Finalmente giunsi alle ultime pagine. Ebbi un ultimo scoraggiamento, -chi lo crederebbe? quando non me ne rimanevan più da scrivere che una -quarantina; ma fu breve; dopo di che mi prese un'attività impetuosa, -gioiosa, febbrile, che durò fino al momento che scrissi l'ultima -parola. Ricordo come se fosse ieri l'ora, il tempo, la luce che -inondava la mia stanzina, l'odore di primavera che di tratto in tratto -mi portava il vento, e persino l'ordine in cui eran disposti i miei -fogli sul tavolino, quando scrissi con mano agitata la parola: — Fine. -— Dio buono, era un ben meschino lavoro quello ch'io finivo, appetto -alle fatiche ventenni (rido del paragone) del Gibbon, del quale avevo -letto pochi giorni innanzi la bellissima prefazione alla _Storia della -decadenza dell'impero romano_! Eppure, in quel momento, sentii anch'io, -come lui, l'immensa gioia della libertà riacquistata, e mi parve di -affacciarmi a una nuova vita. Mia madre non sapeva nulla; il giorno -prima le avevo detto che mi rimaneva un'altra settimana di lavoro; e -la mattina medesima le avevo annunziato che appena scritta l'ultima -pagina avrei rimesso in ordine i miei libri che da parecchi mesi erano -tutti sossopra, e fatto un _ripulisti_ generale sul tavolino, che era -un monte di carte e di prove di stampa da non potercisi raccapezzare. -L'ordine nella mia stanza sarebbe stato il segnale della fine del mio -lavoro. Mi misi dunque in fretta e in furia, ma senza fare rumore, per -non mettere sull'avviso mia madre, a ordinare, a pulire, a sgombrare, -col tremito in cuore di esser sorpreso, trattenendo ogni momento il -respiro per sentire se nessuno s'avvicinava, ridendo da me come un -fanciullo e soffocando le risa, finchè tutti i libri furono al posto, -tutte le cartacce nella cesta, e sul tavolino non rimase che il -calamaio, la penna e gli ultimi fogli del manoscritto. Allora sedetti -ed aspettai; il cuore mi batteva forte, mi sentivo il volto acceso, -sudavo. Passarono alcuni minuti, nessuno veniva: cominciai a tossire; -mi misi a cantarellare. Allora udii nella stanza vicina il passo di -mia madre, mi alzai, le corsi incontro. Essa mi guardò e mi domandò -con aria di meraviglia: — Che cos'hai? — Io le accennai il tavolino -e dissi: — Guarda! — Guardò, non capì subito, stette un momento sopra -pensiero, e poi gridò con uno slancio di gioia: — Ma dunque hai finito! -— Io le gettai le braccia al collo, ed essa mormorò con voce commossa: -Povero figliuolo! - -Tutt'a un tratto mi sentii mutare quella gioia vivissima in un -sentimento quasi di mestizia. Mia madre se ne accorse e mi domandò: -— A che pensi? — O madre mia, risposi, penso che per meritare questa -soddisfazione avrei dovuto fare ben altro lavoro! Nondimeno son -contento (e qui soggiunsi una frase che soglio dirle quando son -contento, e che la fa sempre ridere) e ti ringrazio d'avermi messo al -mondo. - -Ciò detto, le porsi il braccio, uscimmo dal mio gabinetto, e facemmo la -nostra entrata trionfale nella stanza da pranzo dov'era il resto della -famiglia. - -Vorrei che la donna che mi ama m'avesse visto in quel punto, perchè, lo -dico francamente, ero bello. - - . . . . . . . - - - - -UN INCONTRO - - - Caro *** - -Ti spiego la cagione del _singolare aspetto_ che tu mi vedesti, giorni -sono, quando c'incontrammo di sfuggita nella stazione di A.ª Non t'ho -da raccontare un'avventura, od è un'avventura diversa dalle solite, che -consiste in un sentimento piuttosto che in un fatto. Ti ricordi della -_Soireé perdue_ del Musset, di quella figura gentile vista al teatro -e perduta d'occhio all'uscita? Io ti debbo raccontare qualche cosa di -simile. - -La mattina di quel giorno, partendo da T***, entrai, per caso, in un -vagone, dove non c'era che una signora, seduta dalla parte opposta -all'entrata, col viso rivolto fuori. Sentendomi entrare, si voltò, mi -diede un'occhiata, e riprese l'atteggiamento di prima. Era una signora -sui quarant'anni, pallida, sottile, un po' accasciata della persona, e -vestita con quella trascuratezza signorile, che rivela più l'abitudine -che lo studio dell'eleganza. Il treno partì senza che entrasse nessun -altro. - -Mentre io stava aspettando che si voltasse per vederla meglio, essa -fece un gesto colla mano per aggiustarsi i capelli; un gesto che, sul -primo momento, mi colpì; e un momento dopo, pensandoci, mi destò una -lontana reminiscenza insieme a un sentimento di grata meraviglia. Avevo -una canna fra le mani, la lasciai cadere; essa si voltò — la vidi in -viso — e il cuore mi diede un balzo. Non m'ero ingannato, era lei. -Essendosi accorta che avevo mostrato di conoscerla, da quel momento -in poi si voltò di tratto in tratto a guardarmi, come se aspettasse -che io le dirigessi la parola; e così potei vederla bene e finire di -riconoscerla. - -Dio del cielo! Io non avrei mai creduto che un viso umano potesse in -così breve tempo cangiarsi tanto. È vero che non l'avevo più vista -da quattordici anni; ma a quel tempo — me ne ricordo — essa aveva -vent'anni al più; era fresca, florida, splendida; era una delle più -belle signore della piccola città di G. che io pure abitavo; ed ora, -poco più che trentenne, pareva invecchiata non di quattordici, ma quasi -di trent'anni. Appena si riconosceva, piuttosto che ai lineamenti, -a una certa espressione del suo sguardo dolce insieme e triste, che -pareva il presentimento d'una vita sfortunata, ed era la sua più -cara attrattiva. S'era fatta smorta, aveva qualche ruga sulla fronte, -qualche capello bianco sulle tempie, e le mani smunte e color di cera. -Che cosa era seguíto nella sua vita? Io non ne sapevo, e non ne so -ancora che assai poco e in confuso. Prima dei diciott'anni era rimasta -vedova, e due anni dopo s'era rimaritata. E fu appunto in quel tempo, -quando colui che fu poi il suo secondo marito, le faceva la corte, -che io la conobbi — nient'altro che di vista — e da lontano. Seppi -poi che il suo secondo marito era un uomo disordinato e violento, e -ch'essa menava una vita assai triste; ma ero lontanissimo dal pensare -che potesse aver sofferto tanto da trasfigurarsi in quella maniera. Ora -su quel viso si leggeva una lunga storia di disinganni, di sagrifizî, -di torture. Pace, bellezza, gioventù, tutto se n'era andato. Erano -stati quattordici anni di distruzione. Non le rimaneva più che quello -che non si può perdere: la grazia, e quella dignità tranquilla e soave -che viene dalla vita onesta, dalla rassegnazione, e dall'abitudine dei -sentimenti gentili. - -Passata la prima meraviglia e il primo senso di tristezza, pare che -tutto avrebbe dovuto finir lì. Ma per me c'era una ragione che mi -faceva sentire con più amarezza il suo cambiamento, che mi destava per -lei un sentimento di viva pietà, una sollecitudine gentile, qualche -cosa a cui non so trovare un nome, ma che mi metteva il desiderio di -coprir di baci quella povera mano consunta; il desiderio, che so io? -che un assassino ci assalisse, e che difendendola, mi toccasse una -pugnalata — non dico nel petto — ma almeno in un braccio o in una -mano, tanto da poter dire d'aver versato un po' di sangue per lei. -Non potevo staccar gli occhi dal suo viso. Quando incontravo il suo -sguardo mi veniva il suo nome sulle labbra. Stropicciavo le mani, -ero inquieto; avevo bisogno di parlarle, e non osavo. Essa finì per -accorgersi della mia inquietudine e ne parve meravigliata e intimorita. -Allora, vedendo che non m'era più possibile tacere, perchè dovevo, se -non altro, giustificare il mio contegno, mi feci coraggio e le domandai -timidamente: - -— Perdoni.... Lei è la signora ***? e dissi il nome del suo secondo -marito. - -La mia timidità, e il fatto che io sapessi il suo nome, la -rassicurarono completamente. Mi rispose di sì e stette a guardarmi con -molta curiosità. - -— Glie l'ho domandato — soggiunsi — perchè non ne ero ben certo.... -Erano quattordici anni che non avevo la fortuna di vederla. - -Arrossì, pensando certo al gran cambiamento che dovevo aver notato in -lei, e mi guardò attentamente come per cercare di riconoscermi e dirmi -nello stesso tempo che non mi riconosceva. - -— Lei non può sapere chi sono nè ricordarsi d'avermi veduto. Io non ho -mai avuto l'onore di parlarle. La conoscevo di vista, nella città di -G., nell'anno 1860. Io avevo quattordici anni, andavo ancora a scuola. -Lei era vedova. La sua casa aveva il portone in via degli Olmi, ma lei -entrava sempre per la porticina della strada accanto. Lei andava al -teatro tutte le sere, nel palco numero nove, prim'ordine, a destra. -Portava sovente un vestito di seta lilla. La sera del primo dell'anno -le cadde un braccialetto in platea. Aveva un ventaglio tutto d'avorio -e teneva per abitudine la mano destra fuori del palchetto. - -La signora rimase meravigliata, stette un po' pensando, e poi esclamò -sorridendo: — È vero!... Ma come mai si può ricordare di tutte queste -cose? - -— Vuol che glielo dica francamente? — domandai. - -— Lo dica pure, — rispose, guardandomi con grande curiosità. - -— E mi promette prima di credere che qualunque cosa io dica, non dirò -una sola parola che non si accordi col profondo rispetto dovuto a una -signora come lei? - -Mi guardò un momento con stupore, e poi rispose titubando: — .... Non -ne potrei dubitare. Ma di che si tratta dunque? - -— Animo.... Bisogna pur dirlo. Lei è stata la prima donna che io ho -amata in vita mia. — È detto. - -Arrossì, si mise a ridere, e dopo avermi guardato attentamente, -rispose: — Non è possibile. - -— Non è possibile? — io dissi. — È tanto possibile che è vero come il -sole, cara signora. Mi faccia la grazia d'ascoltare. Mi ricordo ogni -cosa come se fosse ieri. L'avevo vista le prime volte al teatro, e -m'ero fatto abbonare da mio padre, unicamente per vederla, e mi mettevo -ogni sera nell'ultimo banco della platea in faccia al suo palco. Da -principio non era che simpatia, che so io? ammirazione. Poi, a poco -a poco, mi si accese il cuore e la testa.... Perdoni, signora, se -m'esprimo in questi termini; non saprei dir la cosa altrimenti.... -Insomma, finii per innamorarmi perdutamente di lei.... Le giuro che le -dico la verità.... E non può immaginare fino a che segno arrivassi. Chi -m'avesse costretto a mancare una sera al teatro, m'avrebbe messo alla -disperazione. Io stavo delle mezz'ore intere a guardarla, immobile, -inchiodato, pietrificato, che m'avrebbero potuto fotografare cento -volte. Mi par strano persino che non se ne sia mai avvista. Se ne -avvidero altri. Poveretto me, se sapesse quante ne passavo! La farò -ridere. Quando lei entrava nel suo palchetto, mi pareva che il fruscío -del suo vestito fosse un gran rumore che facesse voltare tutto il -teatro a guardarmi, e mi sentivo morire dalla vergogna. Non perdevo, -non dico un movimento della sua testa, ma nemmeno una contrazione del -suo viso, delle sue labbra, della mano che teneva fuori del palco. -Quando i suoi occhi cadevano, per caso, sul mio banco, mi saliva -un'ondata di sangue alla testa. Cose da non credersi. Se sapesse quante -parole appassionate le dicevo dentro di me, guardandola, quando sonava -l'orchestra! Quante volte ho desiderato che pigliasse fuoco al teatro, -per correre a salvarla! Mi rodevo di dispetto contro gli ufficiali -che passavano sotto il suo palco, e colla punta del cheppi toccavano -quasi il suo ventaglio. Avrei schiaffeggiato gli uomini che andavano -a farle visita. Una sera fischiai un tenore che lei aveva guardato col -canocchiale. Le mie serate, insomma, erano una successione di rossori, -di batticuori, di gelosie, alle quali, il giorno dopo, corrispondevano -altrettante sgrammaticature nella composizione latina. Capisce, -signora? E fra tanti ammiratori che la circondavano, a lei non passava -nemmeno per la mente che il più ardente di tutti fosse un povero -scolaretto di ginnasio, il quale non doveva avere che quattordici anni -dopo la fortuna di rivolgerle la parola. - -La signora che durante la mia chiacchierata ora aveva sorriso, ora -arrossito, e ora corrugato le sopracciglia, quand'ebbi terminato, rise -più forte e si coperse il viso col ventaglio. Poi mi domandò con viva -curiosità: — Ma dice tutto questo sul serio? - -— Sul serio? — io continuai. — Le dirò ben altro. Me lo permette?... -Che vuole?... Provo un gran piacere a rammentare quel tempo che fu il -più tempestoso della mia adolescenza. La cosa era giunta al punto, -che quando, in casa mia, sentivo pronunziare il suo nome, scappavo -in un'altra stanza col viso rosso come una melagrana. Studiavo in -una stanzina con mio fratello maggiore, il quale di tratto in tratto -mi diceva: — Ma la vuoi finire coi tuoi sospiri, che mi sembri un -innamorato del Metastasio? — Non studiavo più, ero distratto. Una notte -sentii mio padre che parlando di me domandava sottovoce a mia madre: — -Hai notato nessun cambiamento, da un tempo in qua, nelle sue maniere? -E un'altra più curiosa. Il professore d'italiano ci diede da fare una -composizione a tema libero; io scelsi l'_Innamorato_ e scrissi una tale -scempiaggine che fece ridere tutta la scuola e mi coprì di vergogna. Si -figuri che fra le altre frasi, c'era questa: _La testa dell'innamorato -è un'urna di lagrime e di sospiri_.... A poco a poco, m'ero ridotto -al segno che arrossivo passando davanti alla sua casa, incontrando le -signore che vedevo al teatro con lei, udendo pronunziare una parola che -rammentasse alla lontana il suo nome. Quando vedevo comparir lei in -fondo a una strada, mi pigliava un tremito alle gambe, e scantonavo; -se non ero più in tempo a scantonare, mi cacciavo in una bottega; se -non potevo cacciarmi in una bottega, tornavo indietro. Era un terrore. -E ogni sera m'andavo a rinfocolare al teatro e facevo peggio. Mi passò -fin per la mente di indirizzarle una lettera, di scrivere qualche cosa -col carbone sui muri delle sue scale, di gettarle un mazzo di fiori da -un tetto, di travestirmi e andar a portar legna in casa sua. Infine, -vuol che le dica tutto, signora? Lei mi deve essere molto riconoscente -perchè parecchie sere, tornando dal teatro tutto commosso, esaltato, -mezzo fuori di me, e non sapendo come sfogarmi altrimenti, pregai per -lei con un fervore che.... se ne avessi messo la metà a prepararmi agli -esami, non m'avrebbero rimandato. - -La signora rise di nuovo coprendosi il viso col ventaglio, e disse: — -Ed io che non mi sono mai avvista di nulla! È strano!... Ma è proprio -tutto vero?... — e sempre sorridendo, ma con una curiosità, se posso -dir così, più raccolta e più seria, mi domandò: — E dopo? e si rimise -in atto di ascoltare. - -— Dopo, — io ricominciai — .... venne il peggio. Verso la fine del -carnevale cominciò a frequentare il suo palco quello che fu poi suo -marito. Lo vuol credere, signora? Ancora adesso, dopo tanti anni, -provo un sentimento di compassione per me quando penso a quello che ho -sofferto in quei giorni. Le prime volte che intesi dire intorno a me al -teatro: — Eh! pare che il nodo si stringa! — Pare che sia un matrimonio -bell'e fatto! ecc., — creda che, benchè fossi un ragazzo, mi son -sentito agghiacciare il sangue. Ogni sorriso, ogni parola a bassa voce -che loro si scambiavano, mi era una stilettata al cuore. Che so io? mi -pareva d'esser tradito. A lei.... perdonavo. Lui.... bisogna pure che -io dica tutta la verità.... l'odiavo con tutte le forze dell'anima. -Lo vedevo per tutto. Lo sognavo, era il mio incubo. Volevo sfidarlo. -Lo guardavo di sbieco. Un giorno, per la strada, se n'accorse, senza -capirne il perchè, naturalmente; e si fermò a guardarmi; io abbassai -gli occhi e tirai dritto. Infine corse la voce del suo prossimo -matrimonio. Ne fui desolato. Non può farsi un'idea di quello che -mi passava per l'anima. Pensavo di andare a qualche finestra, sulla -strada dove lui passava, e di lasciargli cader sulla testa una grossa -pietra. Mi proponevo di andarmi a gettare a suoi piedi e supplicarla -per amor di Dio di non sposarlo se non voleva vedermi morto. Mi venne -in mente di farmi frate, di fuggire in Svizzera, di diventare uno -di quegli uomini terribili dei romanzi che hanno un perpetuo sorriso -mefistofelico sulla faccia di marmo. Addio latino! Addio studî! Passavo -ore intere nel cortile di casa mia a martirizzare le lucertole e i -vermi; un giorno m'incisi una mano colle forbici e per poco non svenni -vedendo spicciare il sangue; una sera rubai una bottiglia di vino nella -dispensa e m'ubbriacai come un facchino in un ripostiglio di mobili -vecchi, al buio.... Venne finalmente quel giorno terribile.... La sera, -la banda della guardia nazionale suonò sotto le sue finestre. Da casa -mia si sentiva la musica. Ero avvilito, angosciato, disperato. Mi venne -l'idea d'uccidermi. Scesi nel giardino con una corda e m'avvicinai a -un albero.... ma mi mancò il coraggio. Allora mi misi a piangere, mi -buttai in terra, e stetti tutta la sera là, solo, al buio, accovacciato -come un cane, con la mia corda fra le mani, pensando a lei, e -chiamandola di tratto in tratto per nome, fin che la banda cessò di -suonare ed io corsi a casa a gettarmi nelle braccia di mia madre, alla -quale confidai ogni cosa. Mia madre fece le grandi meraviglie, rise, -mi consolò, mi condusse a letto, mi diede la buona notte ridendo, e per -parecchi giorni, di tratto in tratto, continuò a guardarmi fisso, poi a -baciarmi ed a ridere ancora. Il giorno dopo lei partì con suo marito e -non ho più avuto la fortuna di vederla. Ecco la storia del mio amore, -cara signora. Ho aspettato quattordici anni a raccontargliela: spero -che non mi accuserà di precipitazione. Se poi volesse sapere perchè -glie l'ho raccontata, dico la verità, sarei imbarazzato a risponderle. -Il fatto è che ho sempre desiderato d'incontrarla un giorno o l'altro -per farle questo racconto; e che soddisfacendo il mio desiderio, ho -trovato un'emozione gentile, piena di rispetto e di gratitudine per -lei. - -A questo punto la signora, che m'aveva ascoltato con un'attenzione -sempre crescente, si coperse il viso, ma senza ridere; poi mormorò con -voce un po' commossa, sorridendo leggermente: — Certo che... lei m'ha -detto delle cose molto gentili.... e io debbo ringraziarla.... — Qui -rise di nuovo, ma quasi facendo uno sforzo; tornò a coprirsi il viso e -rimase qualche momento in quell'atto. Che cosa abbia pensato in quei -momenti, non saprei. O che il mio racconto, richiamandole vivamente -alla memoria un tempo in cui era felice, e sperava un avvenire -migliore, le abbia inacerbito il sentimento dei suoi disinganni; o che -ripensando il tempo in cui poteva ispirare degli affetti così ardenti, -abbia sentito con più amarezza il rammarico della sua gioventù e della -sua bellezza perduta innanzi tempo; o che l'immagine di quello schietto -e profondo amore giovanile, le abbia fatto parer più triste di non -essere stata amata da colui al quale aveva consacrata la vita; il fatto -è che quando abbassò il ventaglio — con mia grande meraviglia — aveva -il viso tutto rigato di lagrime. - -— Signora! — le dissi vivamente, prendendole una mano. — Che vedo -mai?... Le ho ridestato qualche ricordo doloroso? Mi perdoni.... -sono stato imprudente.... non me ne darò mai più pace.... Mi perdoni, -signora! - -Essa fece cenno di no, che non avevo nessuna colpa; poi sorrise e si -asciugò gli occhi con una mano lasciando un momento l'altra mano nella -mia. - -In quel punto il treno era arrivato alla stazione dove io dovevo -scendere. - -— Signora, — le dissi al momento di mettere il piede sul montatoio — mi -faccia una grazia.... mi permetta di baciarle la mano che teneva fuori -del palchetto! - -Me la porse, glie la baciai tre volte, e rialzando il viso, vidi nel -suo atteggiamento e nei suoi occhi una così cara espressione di bontà, -di mestizia, di rassegnazione; e nello stesso tempo tanta dolcezza e -tanta grazia, che rimasi un momento attonito a guardarla ed esclamai -ingenuamente e con tutto il cuore: — Siete sempre bella! - -— Non è vero! — rispose mestamente, ma sorridendo, e fece cenno di no -col ventaglio. - -Io m'allontanai, mi voltai indietro e feci cenno di sì col capo. - -— No, — ripetè essa col ventaglio — e si ritirò dallo sportello. - -Il treno partì, e nello stesso momento uscì dallo sportello la sua -mano, che rimase così appoggiata, col ventaglio in giù, nello stesso -atteggiamento in cui soleva tenerla fuori del suo palchetto al teatro. - -Il viso non ricomparve. - -Io accompagnai quella mano cogli occhi. - -Era un addio — era un'immagine della sua giovinezza e della mia -adolescenza — era un rimpianto del passato — era un'espressione di -gratitudine — era qualche cosa d'infantile, di pietoso e di melanconico -— era come la mano d'una morta che si fosse rifatta viva un momento -per dare un ultimo saluto alla vita. — Addio! Addio! — dissi nel mio -cuore quando mi sfuggì dalla vista — Addio, cara larva! cara memoria -mia! e rimasi.... rimasi come tu mi trovasti quando c'incontrammo nel -vestibolo della stazione. - - - - -EMILIO CASTELAR - - - 5 dicembre 1873. - - _Caro_ ***. - -È naturalissimo il tuo desiderio di sapere qualche particolare intorno -a Emilio Castelar, ed è giusto il rimprovero che mi fai di non averne -parlato che vagamente nel mio libro. - -Io solevo accompagnarlo da casa sua alle Cortes e lo conobbi in quelle -brevi conversazioni assai meglio che nei suoi libri. Non ti meravigli -ch'egli usasse così famigliarmente con me straniero e sconosciuto, -poichè, oltre ad essere molto alla mano con tutti, è così matto -dell'arte italiana, che coglie con piacere ogni occasione di parlarne -e d'udirne parlare anche dagli ignoranti. - -Il Castelar ha questo di curioso, che a vederlo, a stargli insieme, -nessuno direbbe mai che sia un grande oratore. All'aspetto non ha nulla -di notevole. È piccino, grassoccio, calvo, e ha due grand'occhi, che -spirano un'aria di cor contento. A udirlo poi, sembra meno che mai -quello stess'uomo che strappa gli applausi alle Cortes. Parla a pause, -stilla le parole come per pigliar tempo di cercare la frase, non casca -mai nella declamazione, non si lascia mai sfuggire un'espressione -che non convenga al linguaggio famigliare. Di più, mentre parlando -alle Cortes tratta ogni argomento con una specie di dignità tragica, -nella conversazione famigliare discorre in tuono di scherzo anche -delle cose più gravi. Se qualche volta esce dallo scherzo, casca -nell'indifferenza; ma non dà mai nel serio. Non ho mai visto sul suo -viso, nè udito nella sua voce la più leggera espressione di sdegno. E -infatti a lui, come oratore, manca assolutamente quell'_effet terrible_ -che descrive Vittor Hugo parlando del Mirabeau, e quella, se si può -dire, forza della collera, per la quale grandeggia qualche volta il -Gambetta. Egli piace, seduce e spesso commove; ma non fa mai paura. Non -si può dire che ha i _fulmini dell'eloquenza_; ma i lampi, i raggi, -che so io? l'iride; poichè i suoi discorsi brillano più di colori -gentili che di luce feconda. Un giorno che era annunziato un discorso -del Castelar, un ministro disse giustamente ai suoi colleghi: — Oggi -il pavone Castelar fa la ruota. — Ma aveva ragione anche un dotto -Carlista, il quale, rimproverato da un suo amico perchè gli piacevano -quelle _bolle di sapone_ del Castelar, si scusò dicendogli ch'eran le -più belle che si facessero in Spagna. - -Il primo giudizio che portai del Castelar, fu che non avesse punto -fiele nell'anima. Guardandolo negli occhi quando parlava senza ira -di gente che lo detesta e lo diffama, non gli vidi mai _quelle crespe -delle palpebre e quei guizzi e colori dell'orbe_, come dice benissimo -il reverendo padre Bresciani, che rivelano i sentimenti nascosti dalle -parole. Soltanto mi parve che non fosse insensibile alle punture -della gelosia oratoria, perchè un giorno, alle Cortes, nel momento -che si alzava Cristino Martos, oratore _de pelo en pecho_ (col pelo -sul petto), come si dice in spagnuolo, per dire un uomo di polso; e -che da tutte le parti della sala si faceva improvvisamente un profondo -silenzio; vidi il Castelar rannuvolarsi e tentar di far uno sbadiglio -che non gli riuscì di finire. - -Un sentimento che prova la sua gentilezza d'animo, e che non credevo di -trovare in lui, così genuinamente spagnuolo, è una profonda avversione -per le corse dei tori. — Non me ne parli! — mi disse un giorno facendo -un atto di ribrezzo: — è una stupida barbarie che vorrei veder bandita -per l'onore del mio paese. - -Da principio non riuscivo a raccapezzare come la pensasse in fatto di -religione. Spiritualista avevo capito subito che lo era; ma non capivo -se fosse cristiano, ossia se credesse nella divinità di Gesù Cristo. -La sua opera _La civiltà nei primi cinque secoli del cristianesimo_ -(quattro volumi che si potrebbero ridurre in uno, se si bada alla -sostanza, e che si vorrebbe fossero cento, se si bada alla forma) non -mi lasciava dubbio che fosse ardentemente cattolico. Per contro i suoi -discorsi politici non mi lasciavan dubbio che fosse libero pensatore. -Un giorno gli domandai _ex abrupto_ una spiegazione, e mi parve che -la domanda non gli riuscisse gradita, come segue di tutte le domande -che ci obbligano ad affermare qualcosa di cui non siamo sicuri. — Una -volta, mi rispose, ero cattolico; ora.... son razionalista. — E cambiò -discorso. È insomma anche lui di quei moltissimi che si agitano _fra -la fede e un dubbio serio ed inquieto_, come scriveva il Manzoni al -Giusti; e se avesse da dire in termini recisi quello che pensa e che -crede, si troverebbe imbarazzato. Certo è che la fede nell'esistenza di -Dio e nell'immortalità dell'anima, è il sentimento che gli ha inspirato -le più eloquenti parole dei suoi libri e dei suoi discorsi. - -Come tutti gli artisti, è un po' vano e ghiotto della lode; ma la sua -vanità è così ingenua, che non solo non ristucca, ma piace. Qualunque -lode gli si dia, se la piglia, sta zitto e lascia che si tiri innanzi, -come se si parlasse di un altro. Qualche volta poi dondola il capo come -per dire: — dite bene, avete ragione, io pure son di questo parere. — -Un giorno mi disse amichevolmente: Se lei vuol avere un'idea del mio -genere d'eloquenza, venga a sentire il discorso che farò la settimana -ventura contro la politica estera del governo. Ma lei dalla tribuna dei -giornalisti non può vedermi in viso, e perde il mio gesto.... Ebbene -le farò dare un biglietto per una delle tribune di rimpetto; così non -perderà nulla. — Il mio principale merito, — disse un'altra volta — è -quello d'aver saputo dire in lingua pura e in stile elevato molte cose -nuove che pare non si possano dire che a scapito della dignità dello -stile e della correttezza della lingua. — In questo modo si libera la -gente dalla seccatura di dare il proprio parere. Un giorno gli lessi -un brano d'un suo discorso che avevo tradotto in italiano, ed egli mi -disse candidamente: È bello anche in italiano. - -Come tutti gli uomini d'immaginazione viva e di cuor caldo è -facilissimo all'ammirazione, e non serba, nell'esprimere questo -sentimento, nessuna misura. Quando loda qualcuno o qualcosa, i suoi -amici non gli credono più. Un giorno, alle Cortes, un deputato domandò -a un collega, il quale aveva conosciuto il Gambetta a Parigi, se questo -Gambetta gli fosse parso veramente quel grande uomo che molti dicevano. -— Domandalo al Castelar, — gli rispose il collega; — egli lo conosce -meglio di me. — Che! — disse l'altro; — in queste cose il Castelar è un -bambino. — E in fatti la biografia del Gambetta scritta dal Castelar, -piuttosto che il ritratto d'uno storico fedele è il panegirico di -un partigiano infatuato. Un'altra volta un deputato, me presente, -domandò al Castelar che impressione gli avesse fatta Garibaldi la prima -volta che gli aveva parlato. Il Castelar allargò le braccia e alzò -gli occhi al cielo, esclamando con enfasi: — _Amigo! La de un hombre -extraordinario_ (quella d'un uomo straordinario). — Me lo immaginavo, -— rispose l'amico; — ma già su tutto quello che dici tu bisogna fare la -tara. E per dirne ancor una, ricordo che, mentre il Castelar mi levava -a cielo un tal Santa Maria di Siviglia che canta con molta grazia le -canzonette andaluse, affermando che il Tamberlick, il Mario, lo Stagno, -appetto a lui non valevano un fico secco, parecchi amici suoi diedero -in uno scoppio di risa, e uno gli domandò: — Ma quando la finirai con -codeste esagerazioni, don Emilio? - -Solevo interrogarlo intorno al lavorío col quale prepara i suoi -discorsi, intorno a quei segreti d'artista, _a quei misteri_, per dirla -con Giambattista Giorgini, _che l'anima celebra con sè stessa_. Egli -mi spiegò in che maniera fosse riuscito a parlare e a scrivere così -facilmente e correttamente, e le sue parole mi parvero la rivelazione -d'una nuova teorica dello scrivere, alla quale ho pensato continuamente -d'allora in poi. — Con chiunque parli, mi disse, — e di qualunque cosa -parli, non avessi che da dare un ordine al mio servitore, non trascuro -mai l'espressione, cerco sempre di dir la cosa come la direi se le mie -parole dovessero venir scritte o stampate in sull'atto. E ogni volta -che mi balena un pensiero, lo esprimo subito a me medesimo come se -dovessi esprimerlo a un altro; non mi lascio nulla nel capo in istato -di embrione; penso continuamente parlando con me stesso a periodi -finiti. — In fatti corregge pochissimo le cose scritte. Ma benchè -prepari di lunga mano i suoi lavori per scrivere bisogna che abbia -fretta. Diceva che non poteva far nulla, se non aveva lo stampatore -alla porta. - -Con lui parlavo spagnuolo, e ci voleva del coraggio; ma spesso mi -pregava di parlargli italiano. — Capisco l'italiano, — diceva, — -ma non lo parlo, perchè non lo voglio profanare. In Italia badavo -sempre a pregar la gente che mi parlassero italiano e non francese. -Bella! mirabile lingua! Però, lasciatemelo dire: se per la poesia è -meglio la lingua italiana, per l'oratoria preferisco la spagnuola. — -Su questo punto non voleva intendere ragioni. Qualche volta anzi gli -pigliavano dei dubbi anche sulla poesia, e ripeteva quei versi famosi -dell'Espronceda, coi quali un cavaliere imita il suono della corsa -sfrenata del suo cavallo: - - Mis ojos fuego en su inquietud lanzando - Campo adelande devorando van. - -E dicendoli con quella voce sonora e con quel gesto vigoroso, li faceva -parere anche più belli ed efficaci di quello che sono; ma è superfluo -il dire che non mi lasciava persuaso. - -Tutti sanno quanto egli ama l'arte italiana, ma soltanto quelli che lo -conoscono possono sapere quanto e come l'ha studiata. Non c'è quadro -o statua o basso rilievo di Firenze, di Roma o di Venezia ch'egli -non abbia stampato nella memoria e non sia in grado di descrivere -minutamente come se l'avesse visto il giorno innanzi. Parla delle -nostre città, nominando strade, palazzi e porte, come parla di Toledo -e di Siviglia. Firenze, _la ciudad_, com'egli la chiama, _de la -inteligencia_, è la sua città prediletta. — _Allì_, mi disse un giorno, -_el último limpiabotas tiene mas sello academico que nuestros individuo -de número_. — (Là l'ultimo lustrascarpe ha più carattere accademico che -i nostri accademici). Un giorno, mentre alcuni amici suoi parlavano -di politica, egli interruppe bruscamente la conversazione, a cui non -badava, e fermandosi in mezzo alla strada colle braccia incrociate -sul petto, esclamò con un accento di profondo stupore: — _Y decir que -la puertas de Ghiberti son del siglo quince!_ — (E dire che le porte -del Ghiberti sono del secolo quindicesimo!) Quando si parla d'arte -italiana, va in visibilio. L'ho visto cangiar di colore e tremare -discorrendo d'un quadro del Tintoretto — _Mas si os digo_, — gridava -battendosi la mano sulla fronte — _que se siente crujir la seda!_ — (Ma -se vi dico che si sente il fruscío della seta!) - -Avrei da scrivere molto se volessi riferire tutti i detti arguti che -intesi da lui, e gli aneddoti ameni di cui è amantissimo. - -Diceva dello Zorilla: È un uomo che ha tutti i difetti d'un -temperamento artistico, senz'alcuna delle buone qualità. - -A un amico materialista che gli aveva mandato un libro, nel quale -trattava dell'influsso del cibo sul pensiero, diceva: — Sta bene, ma -tu devi ancora scrivere un libretto per dimostrare quali sono i passi -del _Don Chisciotte_ che il Cervantes scrisse nei tempi in cui mangiava -pane di granturco. - -Raccontava che un giorno, essendo a desinare in una famiglia, la -padrona di casa, in fin di tavola,, gli aveva detto, arrossendo un -pochino: — Signor Castelar, lei ci dovrebbe fare l'immenso favore di -declamarci un bel discorso mentre prendiamo il caffè — Qui il Castelar -rimaneva muto rifacendo tale e quale il viso che aveva fatto in quel -momento, e ti assicuro che c'era da scoppiare dalle risa. - -Un giorno passeggiando nel Prado, il Castelar, un suo amico monarchico -e un terzo importuno ch'ero io, vedemmo venir verso di noi un uomo -colla faccia stravolta, che parlava e gesticolava da sè. Il Castelar -mi tocca col gomito e dice sottovoce: — Costui è uno che aspirava -alla corona di Spagna. Prima che fosse eletto il duca d'Aosta andava -egli stesso distribuendo ai deputati le schede col suo nome per il -giorno della votazione. Non si faccia scorgere: è matto. — Il matto -intese quelle parole, e si fermò; qualcuno che passava si fermò pure; -si formò un gruppo di gente. Quando fummo a due passi da lui, prese -un atteggiamento drammatico e voltandosi verso il Castelar, gli disse -ad alta voce: — Ebbene, sì, io volevo esser re; ma non sono mai stato -un impostore come lei! — Detto questo si allontanò brontolando; la -gente rise; il Castelar fece uno sforzo per ridere egli pure, ma -era diventato rosso come una fragola. — Bravo! — gli disse l'amico -battendogli la mano sulla spalla; — son contento di vedere che non -hai ancora perduto il pudore. — E che! — rispose pronto il Castelar; — -credevi che io fossi diventato monarchico? - -La sua sala di studio, in casa, è l'immagine della sua testa; o per -meglio dire, era l'immagine, perchè non so se il Presidente della -repubblica viva ancora come viveva il modesto deputato. Statuette, -vasi di fiori, gabbie d'uccelli, opere di filosofia, libri di versi, -medaglie antiche, cataloghi di musei, atti ufficiali, lettere di -elettori, stampe, ritratti, giornali, opuscoli; si vedeva un po' -d'ogni cosa sparpagliato sui tavolini, sulle seggiole e pel pavimento, -in un disordine pittoresco, che faceva ridere e fantasticare. Là, -in mezzo ai suoi amici e ai suoi libri, il Castelar era più bello -a vedere che alle Cortes. Un giorno un amico suo fece il giro della -sala con una bacchetta in mano, e toccando l'uno dopo l'altri tutti i -cassetti dei tavolini, disse col tuono d'un cicerone: — Signori! Qui -sono i manoscritti pei giornali del Perù. — Qui, quelli pei giornali -del Messico. — Qui, quelli pei giornali di Cuba. — Qui, quelli pei -giornali del Brasile. — Qui, quelli pei giornali degli Stati Uniti. — -E qui, quelli pei giornali del vecchio continente. Quando un editore -si presenta, il Castelar apre un cassetto, vi tuffa le mani a occhi -chiusi, e butta via quello che trova. — Il Castelar disse una volta che -le corrispondenze dei giornali d'America gli rendono quindicimila scudi -all'anno. E pensare che pochi anni prima, per guadagnare qualche soldo, -scriveva prediche per preti di campagna! - -Mi raccontò egli stesso, un po' per volta, le prime vicende della sua -vita, dicendomi di tratto in tratto che, se volevo, pigliassi pure -degli appunti. È nato a Cadice nel 1832. Suo padre, uomo studioso, -benchè agente di cambio, e possessore d'una ricca biblioteca, morì -in età ancor fresca, lasciando la moglie e il piccolo Emilio, che -non aveva ancora sette anni, in grandi strettezze. Una sua sorella -d'Alicante li accolse in casa tutti e due, e la signora Castelar si -consacrò tutta all'educazione del figliolo, facendo per lui, fra gli -altri sacrifizi, quello di conservare e di arricchire la biblioteca -paterna, affinchè egli prendesse per tempo amore ai libri. Il Castelar, -in fatti, ebbe fin da ragazzo, più che amore, manía per la lettura, e -l'ha ancora, poichè legge continuamente, per le strade, nelle Cortes, -a tavola, a letto, nel bagno, da per tutto dove può tener sotto gli -occhi un libro o un giornale. Con questo gran bisogno di leggere nacque -in lui quasi ad un tempo un gran bisogno di parlare, e ancora bambino, -diede prova di straordinaria facondia. — Facendo gli altarini — mi -disse, — io e i miei piccoli compagni, solevamo pronunziare ciascuno -un'orazione sacra dall'alto d'una seggiola ravvolta in una coperta da -letto. _Yo era el espanto de todos._ (Io ero lo spavento di tutti). — A -dodici anni fu mandato a Elda, dove studiò la lingua latina, e cominciò -a scrivere con grande ardore novelle, discorsi storici, dissertazioni -religiose, poesie, commedie, poemi, saggi d'audacia, com'egli disse, -più che d'ingegno; i quali finiron tutti nel fuoco. Le prime vere prove -d'ingegno e d'eloquenza le diede in Alicante dove si trasferì nel 1845 -per fare il corso di _segunda enseñansa_. Qui si dedicò con entusiasmo -alla filosofia, alla storia e alla letteratura, e in questi studi andò -innanzi d'un gran tratto a tutti i suoi colleghi, parecchi dei quali, -che seggono ora nelle Cortes e professano principi politici affatto -contrari ai suoi, come don Carlos Navarros, il Gallastra ed altri, -attestano che sin d'allora era opinione di tutti, ch'egli sarebbe -diventato un grande oratore e un grande scrittore. Da Alicante andò -nel 1848 a Madrid, dove vinse al concorso un posto gratuito d'alunno -nella _Escuela nacional de filosofia_, e d'allora in poi, non solo -provvide al suo mantenimento, ma scrivendo nei ritagli di tempo che gli -lasciavano gli studi, guadagnò tanto da mantenere sua madre. Pubblicò -in quel tempo, tra le altre cose, un giornaletto letterario, in cui -i letterati ammirarono per la prima volta il suo stile nitidissimo -e scintillante. Suo cugino don Antonio Aparisi, il rinomato oratore -cattolico, leggendo un giorno uno di quegli articoli, disse alla -signora Castelar: — Zia mia, bisogna aver gran cura di questo ragazzo, -perchè se continua come ha cominciato, farà molto rumore nel mondo. -— Fin qui, però, le glorie del Castelar non erano state che glorie -scolastiche. Egli si rivelò per la prima volta alla Spagna nel 1854, -all'età di ventidue anni. Un amico, incontrandolo un giorno per strada, -gli annunziò che c'era un'adunanza popolare nel Teatro Reale, e gli -domandò perchè non ci andasse. Il Castelar non rispose altro che: — -Vado — e corse al Teatro. Quando arrivò, molti oratori avevano già -parlato, il pubblico era stanco, l'adunanza stava per sciogliersi. Ciò -non ostante il Castelar, risoluto a parlare, salì sul palco scenico e -cominciò: — Signori! Io vengo qui a difendere le idee democratiche.... -— Un vivo bisbiglio di disapprovazione lo interruppe. La sua persona -esile, la sua voce sottile, il suo atteggiamento fanciullesco, -non ispiravano alcuna fiducia; lo presero per uno scolaretto; gli -gridarono: — Basta! Basta! Un'altra volta! Un'altra volta! — Il -Castelar, piccato, s'incaponì e tirò innanzi. A poco a poco si fece -silenzio; poi s'udi qualche voce d'approvazione; a un tratto, scoppiò -una tempesta d'applausi; infine ogni periodo fu applaudito con furore, -l'oratore venne condotto fuori quasi in trionfo, il suo nome corse -di bocca in bocca, i giornali di Madrid lo levarono a cielo, tutta la -Spagna, in pochi giorni, lo ripetè: il Castelar fu celebre da quella -sera. La España, autorevole giornale letterario, disse, pubblicando -il suo discorso: — _Està destinado a reemplazar à todos nuestros -grandes oradores y à reemplazarlos con ventaja._ — E il pronostico s'è -avverato. - -Ora ha in mano le sorti della Spagna, se pure le sorti d'un paese così -sfasciato possono mai ridursi nelle mani d'un uomo solo. Che cosa farà? -È un riesci, come si dice in Toscana. Ma io questo ti posso dire, -che quando lo vedevo, in mezzo ai suoi amici, prorompere in scoppi -di risa da giovanetto di quindici anni; o volgere in mente qualche -bel periodo poetico da incastonare in un discorso, mentre un collega -badava a parlargli di leggi e di votazioni; o fare il viso del malumore -perchè il giorno che doveva parlare non c'eran signore nelle tribune; -e in tutte le conversazioni saltar sempre dalla politica all'arte, -dal ragionamento al sentimento, dalla terra alle nuvole; se qualcuno -m'avesse detto allora: — Costui fra un anno governerà la Spagna in -queste e queste condizioni, — con tutta l'ammirazione che avevo per -lui, avrei dato una scrollatina di capo, e detto tutt'al più: Chi sa! -le vie della Provvidenza sono infinite.... - -E poi leggi questo brano di discorso pronunziato da lui alle Cortes, -due anni fa. — «Come? Non è individualista il ministro dell'interno? -E se è tale, non comprende il gran poema della libertà di commercio? -La terra ha attitudini diverse; i climi dánno diversi prodotti; ma -grazie al grand'Ercole moderno, grazie al commercio, con codeste navi -che ora paiono grandi uccelli marini, e ora lasciano la bianca traccia -nell'acque e la densa nube di fumo nell'aria, si riuniscono tutti i -prodotti; la pelle che il Russo strappa agli animali smarriti nei suoi -deserti di gelo e la foglia del tabacco che cresce al sole ardente del -tropico; il ferro scoperto in Siberia e la polvere d'oro che il negro -d'Africa raccoglie nell'arena dei suoi fiumi; le stoffe tessute in -Inghilterra e i prodotti tratti dal seno dell'India, e tinti dei colori -dell'Iride da quelle società, primi testimoni della storia; il dattero -di cui si alimentava il patriarca biblico sotto le palme dell'antica -Asia, e le perle preziose che genera il vergine seno della giovine -America; il grato succo delle viti che abbellano le rive del Reno e -l'ardente vino di Xeres, che reca disciolto nei suoi atomi il raggio -del sole di Andalusia per riscaldar le vene degli intirizziti figli del -norte....» - -A me pare che questo periodo basti per giudicare il Castelar come uomo -politico, come bastano certi sorrisi a rivelare tutta l'anima d'un -uomo. Mi pare che un oratore il quale fa in un parlamento una tirata di -quella natura non possa esser capace di portare a salvamento la baracca -d'uno Stato. - -Ma quando quest'uomo stesso, slanciandosi audacemente, non per -proposito rettorico ma per impulso irresistibile del cuore, fuor dei -confini dell'eloquenza politica, esclama con una voce che viene dal -più profondo dell'anima: — Amo questa terra bagnata dalle lacrime che -ho fatto spargere a mia madre! —; quando, accennando ai suicidi degli -schiavi di Cuba, pronuncia con un accento che ti rimescola il sangue -queste semplici parole: Signori deputati, che orrore! — quando, nella -furia d'un'ispirazione che soverchia quasi le sue forze, rovescia -sul parlamento attonito quei suoi periodi colossali, pieni di grandi -immagini e di grandi sentenze, che passano sonando e sfolgorando come -una legione di cavalieri del medio evo; quando, parlando di religione, -versa la piena dei suoi pensieri affettuosi e malinconici, con una -voce dolce e tremante, e col linguaggio solenne d'un sacerdote; quando -racconta un atto d'eroismo, quando ricorda una sventura, quando invoca -una memoria cara, quando consiglia, quando compiange, quando prega; -quando infine scorda il parlamento e sè stesso, com'egli dice, e non -vede più che terre e popoli lontani, e tutta la sua anima è nel suo -cuore, e tutto il suo cuore nella sua parola; oh allora, quanto egli è -grande ed amabile! come gli si perdonano tutte le sue vanità e tutte le -sue utopie! con che gioia gli si salterebbe al collo dicendogli: — Ah! -don Emilio, se non ti fossi mai immischiato nella politica! - -Infine, io credo che la miglior definizione che si possa dare di lui, -sia la seguente, la quale contiene in quel che dice la lode ch'egli -merita e in quel che tace la censura che gli è dovuta: - -È un grande artista e un gran.... buon ragazzo. - - - - -UN CARO PEDANTE - - -I mezzi pedanti, quelli che pedanteggiano per ambizione di farsi -temere, poichè non riescono a farsi ammirare; i pedanti maligni, che -s'accaniscono contro la parola perchè detestano la persona; i pedanti -freddi, che sorridono e disprezzano, sono gente volgare e noiosa. Ma -quello nato coll'istinto della pedanteria, quello che non dorme per un -francesismo, che si scorruccia con un amico perchè ha scritto _figlio_ -invece di figliuolo, che sente una compassione sincera per chi scrive -_toeletta_ invece di teletta, che inveisce contro un monosillabo colla -voce strozzata dall'ira; quello, infine, che si rode e si consuma, -che non è aguzzino, ma vittima, e che fa il pedante collo zelo e col -coraggio d'un missionario di Nostra Santa Lingua Immacolata, questa -specie di pedante mi piace e m'ispira rispetto, e credo che sarebbe un -peccato che se ne perdesse la semenza. - -Di tale specie era un pedante che conobbi a Firenze, del quale -m'è rimasto un ricordo amenissimo unito a un sentimento di sincera -ammirazione. - -La prima volta che lo vidi, giovanetto com'ero ed entrato allora, -a scappellotto, nella repubblica letteraria, mi fece una viva -impressione. Lo vidi una sera in fondo a una bottega di libraio, che -leggeva. Le sue mani lunghe e scarne, appoggiate sul libro, parevano -due enormi ragni che stessero in agguato per afferrare le mosche -_francesismi_. Il suo naso adunco, che quasi toccava la pagina, -arieggiava il becco d'un uccello che frugasse fra le parole per -trovare i vermi _improprietà_. Tutta la sua persona alta e magra, e -incurvata sul tavolino, mi dava l'immagine di non so che strumento di -tortura messo là per dilaniare lo scrittore che leggeva. Parlando col -libraio, ch'era piemontese, mi sfuggì qualche parola di vernacolo, -e nello stesso momento vidi apparire e sparire sul suo viso, che mi -si presentava di profilo, una gran macchia bianca.... il suo bianco -dell'occhio. Di tanto in tanto si addentava il labbro di sotto o rideva -con isforzo, facendo ballare le spalle. Tutt'a un tratto chiuse il -libro con dispetto e s'alzò esclamando: — Oh che gente! Oh che galera! -— Poi prese il cappello ed uscì. Tutti i presenti risero ed io pure. -Spinto dalla curiosità, m'avvicinai al tavolino e diedi un'occhiata al -libro.... Era mio! - -Qualche tempo dopo, domandai informazioni sul conto suo a un amico -che lo conosceva intimamente. — È una perla d'uomo, — mi disse; — ma -un po' stravagante. Figuratevi ch'egli vive due vite: la vita reale, -quella che viviamo noi, in mezzo ai nostri simili; e un'altra vita, -puramente immaginaria, in un piccolo mondo ch'egli s'è creato colla -lingua. In questo piccolo mondo, nel quale gli uomini son parole e le -frasi avvenimenti, egli vi mette, o per meglio dire vi prova tutte le -passioni che prova nell'altro. Ci ha le parole che ama come figliuoli, -le parole che odia, le parole che disprezza, le parole che perseguita, -le parole che gli turbano i sonni e le digestioni, le parole che lo -consolano e che l'aiutano a sopportare i malanni della vita. Vi sono le -frasi di cui si risente come d'un'ingiuria, quelle che lo affliggono -come una sventura domestica, quelle che gli mettono nell'anima dei -dubbi amari e lo fanno vivere in una continua inquietudine. Che suo -figlio diventi un cattivo soggetto e che la parola _cómpito_ cambi a -poco a poco di significato, son due calamità presso a poco uguali per -lui. Che l'Italia riesca a rassestare le sue finanze e che il verbo -_utimare_ pervenga a pigliare il posto del verbo _exploiter_, sono -due buone fortune che egli desidera col medesimo ardore. Egli ha una -sola grande aspirazione: che nel suo paese si scriva bene; e un solo -grande dolore: che non si sappia più scrivere. I suoi affetti, i suoi -pensieri, tutta la sua vita gira su questo perno: la purità della -lingua. - -Da altri seppi di lui altre cose, che mi parvero incredibili, benchè mi -fossero assicurate con insistenza. Si diceva che un giorno aveva tenuto -con un suo servitore il dialogo seguente: - -— Tonio, il caffè. - -— Ce lo porto. - -— Che hai detto? - -— Che ce lo porto. - -— Hai gli otto giorni per cercarti un altro padrone, manigoldo. - -Una volta, un suo conoscente, incontrandolo per via, gli disse: — Ho -letto con molto _interesse_ il vostro articolo. — Non me ne importa un -fico, — egli rispose, — e gli voltò le spalle. - -Si diceva che una sera, in una conversazione, aveva dimostrato con -un lungo ragionamento e colla massima serietà che un uomo capace di -scrivere, — _al di là dei monti_, — invece di — _di là dai monti_, — -messo al punto, sarebbe stato capacissimo di ammazzare a sangue freddo -suo padre. - -Fossero o non fossero vere queste cose, dopo averne sentite tante, -mi venne il desiderio di conoscerlo. Prima, però, volli sapere -precisamente che cosa pensasse dei fatti miei, benchè la scena accaduta -dal libraio non mi lasciasse alcun dubbio consolante. Un amico comune -lo interpellò e n'ebbe questa risposta: — Ditegli che per quel ch'è -sentimento, non c'è male; ma che per quello che riguarda la lingua, -scrive come un Seraceno. - -Meno male! — pensai. — Ora, almeno, so a che paese appartengo, e qual -è la _nazionalità_ di cui mi debbo spogliare. - -Gli fui presentato; m'accolse cortesemente. Il discorso cadde subito -sulla lingua. Gli domandai dei consigli. Sospirò, mi disse che i -tempi eran tristi, che non v'era più amor di patria, che i bricconi -avevan il mestolo in mano; le quali cose si riferivano unicamente -alla lingua, e non alla politica, come potrebbe parere. Gli domandai -quali degli scrittori del giorno, dei più illustri, s'intende, e -toscani, avrei potuto seguire, in fatto di lingua, per non uscire -dalla buona via; e glieli nominai uno dopo l'altro. — Il tale? — Per -amor di Dio! — rispose; — che mi tocca di sentire! — Il tal altro? — -Oh numi! Ci mancherebbe anche questa! — Tizio, dunque? — Oh povero -figliuolo, che cosa le passa per il capo! — E qui prese a citarmi -una lunga filza di francesismi, d'idiotismi, di neologismi, d'errori -d'ogni natura, sfuggiti a quegli scrittori, usando con la maggior -serietà tutte le espressioni che sogliono adoperarsi al proposito -degli scapestrati e dei malfattori, come ad esempio: — Le pare che -questo sia un procedere da galantuomo? — Non so il tale dei tali che -fine farà. — Bisogna proprio aver perduto ogni pudore, ecc., — a tal -segno che, sapendomi colpevole d'una gran parte degli errori di cui -accusava quei valentuomini, ebbi un momento il timore che m'agguantasse -per la cravatta e mi conducesse alla questura. — Ma chi dunque scrive -italiano? — domandai. — Nessuno! gridò, alzando il bastone. — Vi -sarà qualcuno che scrive con parole italiane, in lingua, frase per -frase, italiana; ma il complesso dello scrivere, ma l'ordito, ma il -processo del pensiero, per Dio, è francese! francese! francese! La -pelle è nazionale, il sangue che circola sotto, è barbaro! Barbari -tutti, italiani rinnegati, scrittori senza coscienza e senza cuore! Se -ne persuada, giovinotto! E una verità vergognosa, ma è la verità, la -verità, la verità! — In quel punto eravamo arrivati dinanzi alla porta -di casa sua. — - -Ma, — dissi io timidamente: — Alessandro Manzoni.... — Santissima -Vergine! — esclamò turandosi le orecchie colle mani, e infilò la porta -correndo. - -Un giorno assistetti a un battibecco curioso tra lui e il più grosso -dei _due fondatori della prosa borghese_, di cui parla il Carducci -nella sua poesia l'_Italia in Campidoglio_. S'era negli uffizi di -una Rivista mensile col Mamiani, il Berti ed altri barbari. Il nostro -personaggio inveiva contro «lo scellerato vezzo» di usare i nomi propri -senz'articolo. — Vi assicuro, — diceva, — che quando leggo _la casa di -Manzoni_ o _la statua di Dupré_, non capisco. - -— Andiamo, via, — gli rispose il prosatore borghese; — codesta è una -esagerazione. - -— Vi dico che non capisco! - -— Vi sostengo che capite benissimo. - -— Vi ripeto che non capisco! gridò il purista col viso acceso. - -— Giuratelo! — urlò il _borghese_. - -— Lo giuro, per Dio! — tuonò l'altro balzando in piedi, e picchiando un -gran pugno sul tavolino. - -— Avete giurato il falso! — ribattè il primo colla sua voce stentorea, -in mezzo alle risa e al vocío generale, — e se mi sfidate, v'ammazzo -senza pietà, perchè son sicuro che andate all'inferno! - -Il povero purista ricadde spossato sulla seggiola, esclamando con voce -fioca e gli occhi rivolti al cielo: — _La casa di Manzoni!_... Oh che -gente! Oh che paese! - -Un'altra sera entrò gravemente nella sala e disse con un accento -di tristezza e di pietà, rivolgendo la parola a tutti: Bisognerebbe -avvertire il Bonghi. - -Tutti pensarono che fosse accaduta al Bonghi qualche disgrazia. - -— Bisognerebbe, — continuò colla stessa gravità. — che se ne -incaricasse un suo amico intimo. È una cosa che ormai passa tutti i -limiti. Quell'uomo perde la testa. - -— Ma che cos'è seguíto? domandarono tutti con ansietà. - -Era seguíto che il Bonghi, in una delle sue rassegne politiche, -aveva scritto _le fila dell'opposizione_ invece di _le file_. Tutti -respirarono. - -E di questi aneddoti ne potrei citare una cinquantina. - -Con me, benchè mi tenesse in conto d'un buon diavolaccio, non potè -mai fare la pace. Riconosceva i miei sforzi ed anco qualche progresso -che avevo fatto dall'Arabia verso l'Italia; ma in fondo, per lui, -ero sempre un Seraceno, e lo diceva ai miei amici, onorandomi di un: -— Peccato! — e di un: — Forse, col tempo!... — che mi dava un po' di -consolazione. Qualche volta, poichè era pedante, ma uomo di cuore, mi -guardava fisso con un'espressione di benevolenza pietosa; pensava, -credo, con rammarico, che io così giovane, ero già così miseramente -traviato; prevedeva i dolori che m'aspettavano; si domandava che vita -avrei trascinata, che razza di educazione avrei data ai miei figliuoli, -che fine miserabile avrei fatta. Ma bastava che io gli domandassi -improvvisamente: — _Cosa_ pensa? — perchè vedesse ricomparire sulla -mia fronte il marchio inviso di Maometto, e mi guardasse come un'anima -perduta. - -Ora la semenza di questa specie di pedanti si va perdendo. In fatto di -lingua, tutte le maniche s'allargano; i puristi più austeri transigono; -gli stessi accademici della Crusca, e i migliori, si lasciano sfuggire -parole e modi nuovi, e tengon dietro al movimento della lingua; i -pedanti indietreggiano da ogni parte, incalzati dalla necessità e -dalla critica; la legione s'è ridotta un drappello, la marea monta e -li affoga. Eppure, sarebbe un peccato che rimanessero tutti affogati. -Nella letteratura, la varietà è ricchezza. È bene che ci siano i -demagoghi temerari e i reazionari arrabbiati. Questi Don Chisciotte -del vocabolario che si slanciano a lancia in resta contro le parole, -hanno il loro bello; questi carcerieri della lingua non sono inutili; -la critica del microscopio può far del bene. - -Oh mio buon pedante! non ti sdegnare contro di me, se ti cadranno -sotto gli occhi queste pagine: io ti giuro sul Corano che non ebbi -intenzione di offenderti. Io ti temo, ma t'amo, perchè nel tuo mondo -di parole tu sei un artista, e sei un artista perchè ami, soffri e -combatti. E prego il cielo che ti lasci lungo tempo ancora in questa -valle di lagrime e di francesismi. E t'auguro che il buon sacerdote che -ti assisterà nei tuoi ultimi momenti, ti parli correttamente la parola -di Dio. E desidero che quando tu non sia più, tutti rammentino il tuo -nome con affetto, nessuno con _interesse_; e che l'amico che scriverà -la tua necrologia, non turbi il riposo delle tue ossa, dicendo che tu, -su questa terra, hai fatto degnamente il tuo _cómpito_; ma proclami -altamente che hai esercitato con onore il tuo ufficio. E chieggo a -Dio come una grazia che se l'anima del Petruccelli della Gattina è -destinata a salvarsi, egli la ponga in un altro cerchio del paradiso, -perchè la tua felicità non sia turbata dal ridestarsi delle ire e dei -dolori terreni. E così sia. - - - - -UNA VISITA AD ALESSANDRO MANZONI - - -È male parlar di sè, e peggio scriverne; ma quando l'Io, invece -d'essere lo scopo di quello che si dice, non è che un mezzo per dire -più facilmente e con più garbo cose che riguardano altri e possono -riuscire gradite a molti, mi pare che sia lecito di servirsene; e tanto -più quando quest'_altri_ sia Alessandro Manzoni, e quell'_io_ tanto -piccino da non poter neppure essere sospetto di vanità. - -Lasciatemi dunque cominciare dal piccino. - -Io ero in collegio, avevo sedici anni e scrivevo dei versi. Il mio -professore di letteratura italiana, quando gli presentavo una poesia, -mi permetteva di leggerla, se gli pareva che lo meritasse, in piena -scuola; e i miei compagni solevano farla stampare a proprie spese, cosa -di cui mi rimorde ancora la coscienza. Una delle prime poesie stampate -fu un canto alla Polonia, ch'era in rivoluzione appunto in quell'anno; -nel qual canto dicevo ira di Dio dello Czar e del Papa, e facevo una -descrizione fantastica dell'isola di Caprera, assicurando che il sole -vibrava su quell'isola i suoi più splendidi raggi e gli angeli la -guardavano dall'alto con una viva simpatia. - -Questo canto, concepito un giorno che il direttore m'avea messo a pane -ed acqua, e composto quasi per intero nelle tenebre del Dormitorio, -mi pareva allora una gran cosa; tanto che a un mio vicino di banco, il -quale, dopo lettolo, mi aveva detto gravemente: — Questo canto resterà, -— io, stringendogli la mano, avevo risposto con non minore gravità: -— Speriamo. — In fine m'ero tanto montata la testa, che un bel giorno -misi una fascia all'opuscoletto, stesi una lettera di accompagnamento, -scrissi sulla busta e sulla fascia: — Al signor Alessandro Manzoni —, e -buttai lettera e opuscolo, dopo esser stato un po' colla mano per aria, -nella buca della posta. - -Passa una settimana, passano quindici giorni, passa un mese; nessuna -risposta. Non me ne meravigliai; sapevo che il Manzoni scriveva -pochissimo; m'avevano detto che riceveva ogni giorno un monte di -lettere e di libri; era naturalissimo che avesse buttato i miei -versacci in un canto; non ci pensai più. - -Un giorno, nel tempo della ricreazione, mentre facevo la ginnastica -sulle parallele, il direttore mi chiama, corro, mi dà una lettera. Il -carattere dell'indirizzo mi era sconosciuto. Guardo il bollo: — Milano -— Chi può essere? Apro, leggo in capo alla prima pagina _Gentilissimo -giovanetto_; volto, tutto il foglio è scritto; volto ancora, e vedo in -fondo alla quarta pagina _Alessandro Manzoni_. - -Come rimanessi non lo so dire. Sul primo momento mi s'imbarbugliò la -vista e mi tremaron le ginocchia; poi rimasi qualche tempo immobile, -guardando quella firma, che pareva s'ingrandisse e s'impicciolisse -a vicenda, come per effetto d'una lente avvicinata e rimossa. Infine -corsi in un angolo appartato del cortile e lessi. - -Ah, mio Dio! Io non posso ricordar quella lettera senza un sentimento -di mestizia. Riguardo ai consigli ch'io avevo avuto l'audacia di -chiedere, c'era detto: — _Anch'io, nella prima gioventù, m'ero formato -di scritti altrui un concetto dal quale, col crescer degli anni, ho -dovuto detrarre. E non di meno non ho poi provato rammarico d'un errore -che m'era stato occasione di voler bene anche ad uomini con cui non -avevo alcuna conoscenza. Così spero che avverrà anche a lei riguardo a -me e alla mia memoria._ - -Riguardo alla poesia. — _Se le dicessi che i versi mi paiono senza -difetti, sarei un adulatore; ma parlerei ugualmente contro il mio -intimo sentimento se dicessi che non mi par di vederci il presagio -d'un vero poeta. In mezzo a di que' difetti che col tempo si perdono, -ci sento (non dia a queste parole altro valore che quello della più -schietta sincerità) quelle virtù che col tempo si perfezionano e che -nessun tempo può far acquistare._ - -Riguardo ai versi della poesia che accennavano al Papa: — -...._Religione e patria sono due gran verità, anzi, in diverso grado, -due verità sante; e ogni verità può spiegar tutte le sue forze e usar -tutte le sue difese senza insultarne un'altra. È vero che le persone -sono naturalmente distinte dalle istituzioni, ma ci sono degli ordini -di cose in cui gli oltraggi (parlo di oltraggi, non di ragionamenti, -che, del resto, non sono materia di poesia) in cui, dico, gli oltraggi -alle persone non possono non alterare il rispetto e la dignità della -istituzione medesima_, ecc. - -E infine v'era scritto: — «_Ho qui nel mio giardinetto un giovane -melagrano che questa primavera ha portato molti fiori, i quali in parte -sono caduti, in parte allegano: il rigoglio di tutti e il sano vigore -di alcuni annunziano insieme che quest'alberetto è destinato a dar -frutti copiosi e scelti._» - -La lettera, ora che scrivo, è in un quadretto, e colui che -dovrebb'essere il melagrano carico di frutti, la guarda con un misto -di tenerezza e di rammarico, pensando alle sue splendide speranze dei -sedici anni come a un bel sogno di tempi lontani. - -La lettera fu per il collegio un grande avvenimento; il professore -di letteratura la lesse nella scuola; fuori del collegio, gli amici -volevano vederla; io non capivo più in me della contentezza; la -rileggevo cento volte al giorno; me la dicevo a memoria; la notte -sognavo che me l'avevan rubata; per istrada mi pareva che quei che mi -passavano accanto si ammiccassero fra loro, come per dirsi: — Eccolo -là; — a tavola facevo i bocconi piccini, in iscuola pigliavo degli -atteggiamenti ispirati; in casa dei parenti sorridevo con una bonarietà -affettata, per far vedere che, in fin dei conti, mi consideravo sempre -come loro parente. - -Quando si dice, le previsioni! Da quell'anno in poi non ho più scritto -un verso altro che per onomastici di famiglia; non ho più avuto nemmeno -la tentazione di scriverne; e sono ora profondamente persuaso che non -sono nato per far dei versi. Chi me l'avesse detto allora, quando un -prosatore mi pareva appena un uomo, e dicevo, leggendo il romanzo _I -promessi sposi_: — Peccato che non sia in ottave! - -Quattro anni dopo ero sottotenente di presidio a Pavia, con un -battaglione del mio reggimento. Non avevo mai visto Milano. Una -mattina, svegliandomi, mi viene il ticchio di farci una scappata. Ma, -e il permesso? To', bella idea! Mi faccio mandar da casa la lettera -del _melagrano_, la mostro al tenente-colonnello, e gli dico: — Vorrei -andar a Milano a vedere il Manzoni. — Così feci; la lettera venne, -la diedi al mio capitano e lo pregai di domandarmi il permesso. Il -tenente-colonnello, quando intese, prima di vedere la lettera, lo scopo -della mia gita, esclamò: — Oh! oh! nientemeno! — come per dire: — Ci -vuol della faccia; — ma, visto ch'ebbe la lettera, accordò il permesso -dicendo: — È un altro par di maniche; vada e ce ne porti notizie. - -Partii la mattina seguente, era domenica, faceva un bellissimo tempo. -Arrivato a Milano e sbarcato in non so che albergo vicino al duomo, -domandai a un piccolo cameriere dove stesse di casa il Manzoni. — _El -negoziant de mobil?_ — mi domandò alla sua volta. Ma che _negoziant de -mobil_, — risposi; — il conte senatore scrittore Alessandro Manzoni. -— Oh mi scusi! — esclamò il ragazzo arrossendo: — io credevo....; il -senatore Alessandro Manzoni sta in piazza Belgiojoso; — e mi descrisse -la casa. Era di buon'ora, scappai a vedere il Duomo, poi difilato in -piazza Belgiojoso. Come mi battè il cuore quando vidi quella casa! -Con che venerazione mi levai il chepì entrando nella stanzina del -portinaio! Ma ahimè! Alessandro Manzoni era a Brusuglio. Salii subito -in una carrozza e mi feci condurre a Brusuglio. Strada facendo pensavo -alle prime parole da dirgli; alla maniera di baciargli la mano prima -che avesse tempo di ritirarla, come sapevo che faceva sempre; al modo -di tener la sciabola in sua presenza. Star davanti al Manzoni, pensavo, -colla sciabola! Mi pareva che non andasse; l'avrei lasciata volentieri -nella carrozza. Per la strada passavan contadine e contadini; mi -parevan tutti visi di sante persone; in ogni vecchietta vedevo Agnese, -in ogni giovane Renzo, in ogni bimbo Menico. Guardavo con insolito -piacere quel cielo di Lombardia _così bello quand'è bello_, e quella -campagna verde e tranquilla; i miei sentimenti e i miei pensieri, -via via che mi avvicinavo, s'innalzavano; provavo quello che si prova -salendo su per una montagna; mi pareva di respirare un'aria sempre più -pura, e la mia mente si staccava dalla terra. - -La carrozza si fermò dinanzi alla villa, scesi, entrai nel giardino, un -servitore mi venne incontro a domandarmi chi cercavo. Glie lo dissi: -mi guardò da capo a piedi, e mi rispose un _ma_, che voleva dire: — -Non so se sarà ricevuto. — Allora gli mostrai la lettera, la prese e -accennandomi che lo seguissi si diresse verso la porta d'una stanza -a terreno, dove entrò, dopo avermi pregato d'aspettare un momento. -M'appoggiai all'uscio e tesi l'orecchio. Dopo un momento sentii una -voce tremola pronunziare lentamente queste parole: — _Gentilissimo -giovanetto. Degl'incomodi abituali non m'hanno permesso di ringraziarla -nel primo momento, come desideravo vivamente, dei versi ch'Ella m'ha -fatto il favore d'inviarmi_.... — Qui la voce tacque, e subito dopo -uscì il servitore, il quale mi fece riattraversare il giardino ed -entrare in un salotto, dove mi lasciò solo dicendomi: — Ora viene. - -Io stetti qualche minuto guardando la porta cogli occhi fissi, con -tutta la persona immobile, respirando appena, come se fossi stato -davanti a una macchina fotografica. - -La porta s'aperse.... - -O miei benevoli amici e non amici, che mi avete detto tante volte e -con tanta ragione, che il mio cuore è una spugna, che i miei occhi -son due fontanelle di lagrime, che i miei soldati sono donnette e che -tutte le righe dalle mie pagine sono come tanti rigagnoli che corrono -al gran mare del pianto in cui morirò un giorno annegato, siate giusti; -riconoscete che almeno questa volta io avevo diritto d'intenerirmi; -confessate che anche voi altri vi sareste sentiti un leggero moto di -convulsione alla gola; e allora mi farò animo e vi dirò che io, lungo -come un granatiere, io, colla mia sciabola d'ordinanza e colle mie -pompose spalline, io, quando il Manzoni comparve, gli corsi incontro, -gli afferrai la mano e diedi in uno scroscio di pianto così improvviso, -così violento e così sonoro, che quello di uno qualunque dei miei -soldati sarebbe parso, al confronto, un vagito di bambino. - -Il buon vecchio mise la sua mano sulla mia e mi disse con accento -amorevole: — Vede.... cosa vuol dire avere un carattere così.... buono -e.... ingenuo; si provano delle sensazioni.... violente; si rimetta, -via.... si rimetta. - -Riferire per ordine la conversazione che seguì poi, se si può chiamar -conversazione un dialogo nel quale uno dei due interlocutori dice -appena quello che è indispensabile per dar appiglio all'altro di -parlare, non saprei. Ricordo che mi domandò sorridendo: — E la poesia? -— e che avendogli io risposto che l'avevo lasciata in disparte, mi -disse: — Torneranno, torneranno i tempi per la poesia. — Ricordo che -parlò della battaglia di Custoza e disse: — _Fracta virtus!_; che -recitò due strofe di una canzonetta del Brofferio intitolata: _El -baron d'Onea_, fermandosi al verso: _a sauta_, _a pista_, _a braia_, -per non dire la parola licenziosa ch'è nel verso seguente; che parlò, -richiesto ripetutamente, del _Cinque maggio_, dicendo che gli aveva -suggerito di scrivere quell'ode sua madre, mentre egli, all'annunzio -della morte di Napoleone, s'era messo a declamare dei versi del Monti; -ode, soggiungeva, piena di latinismi e di francesismi, della quale era -ben lontano, quando la scrisse, dal prevedere _quel po' di fortuna_ che -aveva avuta in seguito; e m'indicò, se non sbaglio, il tavolino su cui -l'aveva scritta. Su quel tavolino v'era il _Fior di memoria_ del Cantù, -che gli diede occasione di parlare d'un suo nipotino, il quale comparve -poco dopo. Dopo il nipotino comparve il suo figliuolo primogenito. — -Vede, disse il Manzoni, che questo figliuolo è una terribile fede di -battesimo e che non posso più fare il giovanotto. — A una cert'ora mi -lasciò per andar a desinare, e io rimasi solo, e mi misi a studiare a -memoria i quadri, i mobili, i libri; e mi stampai così bene ogni cosa -nel capo, che ce l'ho ancora, e sarei in grado di fare un inventario -appuntino di quel salotto, come ne ho poi fatto molte volte lo schizzo -a penna nella stanza dell'uffiziale di picchetto e nel camerino del -furiere. Quando tornò s'andò a fare un giro nel giardino. Ricordo -ch'ero impacciato a camminare, che inciampavo nella sciabola, che -parlavo senza garbo, che facevo delle domande scipite e che standogli -così accanto quasi da toccarlo colle gomita, avevo non so che vergogna -di esser più alto di lui di quasi tutta la testa, e cercavo di farmi -piccino; e provavo poi un vivo dispetto vedendomi in quel modo tutto -luccicante d'argento vicino a lui vestito modestissimamente, e mi -rincresceva di non essermi infilato il cappotto; e guardandolo quando -mi precedeva di alcuni passi che andava chino e lento sulle gambe mal -ferme: — Ah caro vecchio, dicevo tra me, se potessi darti la mia salute -e la mia forza, con che cuore te la darei, dovessi anche domandare -l'_aspettativa per infermità non provenienti dal servizio_! - -Venne finalmente l'ora d'andarsene; accommiatandomi, volli baciargli -la mano; egli mi porse il viso e sentì forse l'umidità delle mie -guance. — _Giuan, el legnn!_ — disse al suo cocchiere mentre uscivo; -lo ringraziai accennandogli la carrozza che mi aspettava. Vidi, -uscendo, le sue due belle nipoti, che forse avevano udito lo scroscio; -attraversai il giardino facendo un gran strepito con quella maledetta -sciabola che mi picchiava sulle gambe; e al momento di risalire in -carrozza, voltandomi, lo vidi ancora fermo sulla porta che salutava col -fazzoletto. - -— Addio! — risposi in cuor mio, — addio, padre, maestro, amico; addio, -santo consolatore; oh se fosse qui il mio reggimento e potessi farti -presentare le armi! - -E lo salutai militarmente, con tutte le regole, come avrei salutato un -generale. - -Arrivato a Milano, all'albergo, scrissi a casa una lettera di otto -pagine nella quale dicevo che Milano m'era parsa la più bella città del -mondo, che il Manzoni era un angelo e che io ero felice. - -La sera tardi arrivai a Pavia, e rientrando in casa trovai parecchi -amici sulla porta che mi domandarono tutti insieme: — Ebbene, l'hai -visto? gli hai parlato? - -— L'ho visto, gli ho parlato e l'ho anche baciato! risposi. - -— Sentiamo, — gridarono tutti in coro, — siedi e racconta. - -— Dirò tutto, — risposi; — ma lasciatemi fare un po' di prefazione. È -male parlar di sè; ma quando l'Io, invece di esser lo scopo di quello -che si dice, non è che un mezzo per dire più facilmente cose che -riguardano altri e che possono riuscire gradite a molti.... - -— Oh basta! — esclamarono gli amici — che seccatura! di' dunque, come -ti sei fatto ricevere? - -— Ve lo dirò, — cominciai; — ma bisogna ritornare un po' addietro. -Io era in Collegio, avevo sedici anni e scrivevo dei versi. Il mio -professore di letteratura.... - -Diavolo! senz'accorgermene ricominciavo a scriver l'articolo. Si vede -che dopo otto anni da quella visita, a pensarci, mi si confonde ancora -la testa. - - - - -ALCUNE OSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA - -(per i ragazzi non toscani). - - - - -LA LETTURA DEL VOCABOLARIO - - -Lessi, non è molto, in uno scritto dedicato a Teofilo Gautier, il -seguente periodo: — «Un giorno il Baudelaire gli domandò: — Come avete -fatto per imparare a scrivere in questo modo? — E il Gautier rispose: -— Ho studiato molto il vocabolario. — Si dice infatti ch'egli soleva -leggere il vocabolario con molto diletto. — Legger queste parole, -e veder come cadere un velo dinanzi ai miei occhi, e apparire un -vocabolario, come il pugnale a Macbetto, in aria, volto di costa verso -la mia mano, perchè l'afferrassi, fu un punto. Compresi, voglio dire, -tutto ad un tratto, e per la prima volta, che leggere il _Vocabolario -della lingua italiana_, leggerlo da capo a fondo, e rileggerlo, e -postillarlo, e farne spogli, e continuare a leggerlo, per consuetudine, -un po' tutti i giorni, è più che un bisogno, un dovere di coscienza, -non solo per chi scrive, ma per qualunque cittadino il quale desideri -di morire senza rimorsi. Mi rammento che al balenare di questa verità, -mi vergognai di non averla scoperta prima (per conto mio, ben inteso, -che del resto la scoperta ha le barbe); e che appuntando il dito -contro il calamaio, come per incaricarlo di rappresentare un momento -la mia persona, gli gridai: — Arrossisci! — Poi presi a snocciolargli -le molte ragioni, per le quali credevo che dovesse arrossire: — che -nessuno, cioè, può ragionevolmente credere d'avere studiato la lingua, -se non s'è servito del mezzo più semplice, più spiccio e più sicuro -di conoscerne, se non tutti, quasi tutti gli elementi, e che questo -mezzo non è altro che il _Vocabolario_, il solo libro nel quale della -lingua si può vedere tutta la ricchezza, e abbracciarne, per così dire, -il complesso, con una qualche sicurezza, nella quale l'intelletto si -riposi, e dalla quale proceda poi, con maggior ardimento, a studiare -nei libri. Che studiar la lingua soltanto nei libri, ed anco solo nel -popolo che la parla, è uno studiarla a caso, poichè nei libri non ce -n'è che una parte, nè il popolo la parla tutta, tacendo pure della -impossibilità, quando tutta la parlasse, di tutta raccoglierla; del -che si ha una prova nel fatto, che non v'è alcuno il quale scorrendo -del _Vocabolario_ solo una minima parte, non trovi un buon numero di -vocaboli propri a significare oggetti o fatti, ch'egli non soltanto -non ricordava, ma di cui non sopponeva nemmeno l'esistenza, e a cui -sostituiva definizioni, paragoni, giri di parole. Che il fatto di non -studiarsi tutto il _Vocabolario_ è cagione che un'infinità di cose non -si dicano mai, nè si scrivano da nessuno e in nessun luogo, neppure in -Toscana; non essendoci altra maniera, fuor di questa, di sapere come -si dicano, quando occorre di dirle, se non facendo ricerche spesso -lunghissime, qualche volta vane, sempre seccanti: onde si preferisce -di lasciar correre. Che nella lingua scritta, ed anco nella parlata -dalla gente colta, per ciò solo che non si studia il _Vocabolario_, c'è -molto meno varietà di quanta ce ne protrebb'essere, essendosi ciascuno, -a una certa età, formato un corredo di parole e di modi, che gli -bastano ad esprimere quello che ordinariamente ha da dire, e che però -non s'accresce più, salvo che per straordinarî bisogni; mentre colla -lettura assidua del _Vocabolario_ faremmo ciascuno al nostro linguaggio -buttare ogni giorno delle messe nuove, e potremmo dire ogni giorno -qualcosa di più, e di questo lavoro di tutti s'arricchirebbe la comune -lingua parlata e scritta. E altre molte ragioni trite e ritrite, ma non -mai ripetute abbastanza, la conclusione delle quali fu che io m'ero -ingannato fino allora nel considerare il _Vocabolario_ come un libro -fatto soltanto per rispondere quand'era interrogato; ch'esso era invece -un libro da leggersi per disteso, come una storia, o un trattato, o -un romanzo; e da tenersi sul tavolino da notte; e da portarselo, a -fascicoli, nelle passeggiate in campagna. - -Mi misi a leggere, cominciando dall'A, con grande ardore, e divorai -in pochi giorni parecchie centinaia di pagine, tempestando i margini -di note in modo da non lasciarli più vedere. Che volete? Il diletto -che ci provai fa tale e tanto, che non potei resistere al desiderio di -esprimerlo, e sospesa la lettura, tirai giù le linee seguenti. - -Mi raffiguro una sala immensa, nella quale siano stati raccolti e -schierati confusamente gli oggetti di cento Esposizioni universali. -Attraversare di corsa questa sala dev'essere un piacere della natura di -quello che si prova leggendo il _Vocabolario_. Voi trascorrete dalla -città alla campagna, dal mare alla terra, dalla terra al cielo, dal -cielo nelle viscere della terra, colla rapidità con cui trascorrerebbe -la vostra immaginazione abbandonata ai suoi grilli. Accanto a un -mobile di casa, vedete un'arma del medio evo, accanto all'arma un pesce -raro, più in là una pianta asiatica, poi un ingegno meccanico, poi una -pietra preziosa, poi un fiore, poi un edifizio, poi un tessuto. Trovate -strumenti di tutte le arti, termini di tutte le scienze, vestimenti di -tutti i popoli, usi di tutti i tempi, immagini di tutte le religioni. -V'accompagna per la via un vocío continuo intercalato di proverbi, -di bisticci, di frizzi plebei, di grida di meraviglia, d'insulti, -di complimenti, di beffe, di saluti. Incontrate una folla di parole -che vi paiono larve di persone; le dotte, tronfie, professori cogli -occhiali; le antiquate, archeologi tabacconi, pieni d'acciacchi, che -brontolano contro la gente nuova; le nuove, fresche, sfrontate, come -giovanotti entrati or ora nel mondo, con qualche lettera commendatizia -di scrittore autorevole; le comuni, uomini pubblici con un lungo -codazzo di clienti; le sinistre, soggetti da questura; le altisonanti, -spacconi da assemblee popolari; le leziose, nobiluccie affettate; le -sconcie, donnaccie senza pudore, con un marchio di riprovazione sulla -fronte; le straniere, viaggiatori smarriti; i diminutivi, frotte di -bambini, in lunghe file, colle mamme alla testa. E voi passate accanto -all'une, senza guardarle, come persone di casa; all'altre fate un -saluto in aria d'indifferenza; a queste correte incontro come a gente -dimenticata, che si rifaccia viva; a quelle vi fermate innanzi un -momento, per fissarvene in mente l'aspetto; e quale vi fa ravvedere -d'un errore, quale vi dà un consiglio amichevole, quale vi accenna un -fatto storico, quale vi espone una tradizione popolesca; e voi pensate, -ridete, fantasticate, e imparate lingua, storia, morale, poesia, -scienza, giuochi, mestieri finchè chiudete il libro storditi, come -all'escir da una sala dove aveste veduto insieme un teatro, un mercato -e un'accademia. Che si può trovare di più in un libro? Come si può -negare che sia un libro incantevole? E quando si potrà dire d'averlo -letto abbastanza? - -Il Mantegazza nella sua _Fisiologia del piacere_ ha dimenticato il -_Vocabolario_, ed è una dimenticanza che non gli si può perdonare. -Mi ricordo d'un professore di matematica, ardentissimo della sua -scienza, il quale, portate per la prima volta in scuola le Tavole -dei logaritmi, chinò il viso sul libro fino a toccare il margine -col mento, e agitando in alto le braccia tese esclamò con un accento -d'inesprimibile soddisfazione: — Com'è dolce nuotare in questo oceano! -— E così è dolce nuotare nel _Vocabolario_. Si va giù per le colonne -come per la corrente d'un fiume, e le parole sono villette, piante e -donnine schierate lungo la riva; ci si lascia andare, e si scivola -placidamente, pensando a mille cose, come quando si scartabella un -albo di paesaggi, e si canta. Il _Vocabolario_ è un libro fantastico. -Si dice che la lettura delle _Mille e una notte_ desta nella mente un -turbinío di immagini abbarbaglianti, che danno una specie di ebbrezza, -seguíta da sogni deliziosi. Cinquanta pagine di _Vocabolario_ suscitano -nella testa una folla d'immagini più fitta, più varia, più turbinosa, -che quella delle _Mille e una notte_. Chiuso il libro, chiudo gli -occhi, e vedo intorno a me una miriade di cose disparatissime, che -girano e s'inseguono, spariscono e riappaiono, come un nuvolo di -farfalle, produgendomi nella mente un tumulto piacevole, che mi dura -anco nel sonno. Il _Vocabolario_ eccita i sensi. - -E lasciando da parte i piaceri, e per farla anche un po' da pedante, -quante cose insegna nel suo casalingo linguaggio e colla sua paterna -bonarietà, quest'aureo libro! Col suo costante, semplice e severo -definire e specificare ogni cosa, dà contorno e lume alle vostre -idee; così che dopo la lettura d'un'ora, se vi mettete a scrivere, -non vi pare che quello che pensate e il come lo esprimete siano -mai abbastanza chiari e determinati, e non vi contentate più della -prima forma, e finite poi col far meglio. Col descrivere minutamente -quegl'infiniti oggetti, che noi sogliamo indicare aiutando la parola -col gesto, senza riuscir mai a porgerne l'immagine a chi non li abbia -veduti, ci esercita alla descrizione minuta, all'uso delle parole -proprie, a quel lavoro di musaico della lingua, a quella lotta contro -le piccole difficoltà, che gli scrittori di libri letterarî scansano -quasi sempre fingendo di sdegnarla, ma in realtà perchè la temono. -Poi, la curiosità è mezza scienza, e il _Vocabolario_ ci mette ad ogni -passo una curiosità; leggendo sentite il bisogno d'aver accanto ora -un botanico, ora un meccanico, ora un archeologo, ora uno storico, -chè l'affollereste di domande; non l'avete? la curiosità resta, le -domande si appuntano, alla prima occasione si faranno. E poi, parola e -pensiero son gemelli della mente: quante faville vi accende nella testa -il _Vocabolario_! Il Gautier diceva che ci son parole diamante, parole -zaffiro, parole rubino, che non domandano che d'essere incastonate; si -può dir di più; ci son parole che gettan l'idea d'un lavoro; parole -che dánno la sveglia a mille pensieri che ci stavano come ravvolti e -nascosti in un angolo della testa; parole che ci ravvivano la memoria -di tutto un libro dimenticato. E infine la lettura del _Vocabolario_ -fa l'effetto d'una lezione di modestia, perchè si può ben esser dotti, -ma in ogni colonna si troverà sempre quella parola che ci fa dire: — -Non sapevo! — e ci rende accorti d'una lacuna che avevamo nella mente. -Molti lo dovrebbero leggere non foss'altro che per esercitarsi a tirare -indietro, come la lumaca, le corna dell'orgoglio. - -Ma non solamente è un libro ameno, utile e morale; il _Vocabolario_ si -fa anco amare perchè è il libro più intimamente «nazionale» di tutta -la letteratura; ci han lavorato tutti i secoli, ci abbiamo lavorato -tutti; dotti, analfabeti, fanciulli; c'è un verso d'ogni poeta e un -periodo d'ogni prosatore; ogni grande avvenimento ci ha lasciato un -ricordo: c'è la storia della nostra lingua; vi si trovano le traccie -della lotta secolare tra la lingua prima e lo spirito trasformatore -del popolo; vi son le parole moribonde, le vittoriose, le storpiate, le -trasfigurate, le invulnerabili, le uccise, le sotterrate, le fracide, -le risorte; è un vero campo di battaglia sul quale tutte le nostre -provincie e tutte le nostre città hanno mandato soldati; è un libro -tutto patria; il più nostro di tutti; si prova, a scorrerlo, quel -piacere della proprietà che il Mantegazza annovera tra i più dolci; si -gode a maneggiarlo come a palpare un mazzo di chiavi di casa nostra; a -uno straniero che ci offendesse, daremmo sulla testa, in nome d'Italia, -a preferenza d'ogni altro libro, questo; a volte ci si sente presi di -vera tenerezza per lui; io gli batto la mano su, e gli dico; — Maestro, -amico, consigliere, che sai tutto e rispondi a tutto ed a tutti, fido -compagno degli studiosi, pedantone caro e glorioso, ti saluto! — - -Quante volte vi piglia la tentazione di consigliare la lettura del -_Vocabolario_ come farebbe un medico d'un medicinale! Quando voi, per -esempio, che non sapete parlare il dialetto, o che vi siete intestati -di non volerlo parlare, entrando in una casa di buona gente, vedete -ragazzi fuggire, signorine turbarsi, e padre e madre, dopo aver -tentato, a più riprese, ma invano, di farvi cambiare linguaggio, -pigliar quasi il broncio, e lasciar languire la conversazione; quanto -volontieri, all'uscire, consegnereste alla cameriera un biglietto di -visita con su scritto, a modo di ricetta: _Vocabolario!_ E quando vi -si presenta un giovanetto, del quale si narran meraviglie, laureato, -autore di belle poesie, che cinguetta il francese, l'inglese, il -tedesco, e che poi, messo al punto di dovervi raccontare in italiano, -alla lesta, non so qual caso seguíto a lui, s'impenna, si ripiglia, non -può dire quello che vuole, e butta fuori strafalcioni da pigliar con -le molle, con che matto gusto, finito quello strazio, gli mormorereste -nell'orecchio, a modo di pietoso confessore: _Vocabolario!_ — -Finalmente se si potesse fare quello che un mio amico repubblicano -desiderava; il quale, per gettare lo spavento in cuore ai partigiani -della monarchia che gavazzano alle spese del povero popolo, avrebbe -voluto che non so quale smisurato gigante immaginato da lui, lanciasse -dall'Alpi a Siracusa un tale grido di disperazione, da far traballare -le mura e andare in frantumi i vetri di tutti i palazzi d'Italia; -sarebbe a desiderarsi che questo gigante, rizzatosi in mezzo a tante -migliaia d'Italiani che non vogliono parlar la lingua propria, o la -stroppiano, o l'appestano, o la castrano, o la svergognano, gridasse -con tutta la forza dei suoi prodigiosi polmoni: — _Vocabolario_. - -E poichè in questi giorni, — come intesi dire a un negoziante — tutto -ciò che si scrive, anche in materia di letteratura, deve avere la sua -«conclusione pratica» ne tirerò una anch'io da questo scritterello. -E dirò come dice chiunque, ormai, che abbia tre lettere dell'alfabeto -in testa, quando vuol mettere innanzi una proposta; se fossi Ministro -della istruzione pubblica, dirò, metterei nel programma d'insegnamento -per le scuole del Regno, colla più profonda convinzione di far cosa -utile all'Italia, la lettura obbligatoria di tutto il _Vocabolario_ -della lingua, con spogli, commenti ed esame alla fine d'ogni anno. -«Come si dice in italiano questo? e quello? e quest'altro?» domande -ragionevolissime da fare a uno studente che sappia tant'altre cose. -Dicono: — C'è dei _Prontuari_! — Lavoro fatto, non ci credo; bisogna -comprar la lingua col nostro santo inchiostro e d'altra parte i -_Prontuari_ non contengon che nomi. Non c'è tempo! Vediamo: io ho il -Fanfani in mano, ultima edizione, millesettecento pagine, otto volumi -di sesto ordinario, di quattrocento pagine l'uno, dieci pagine al -giorno: - -— Un anno. - -Io continuo, e voi, ragazzi, seguite il mio consiglio: cominciate. - - - - -APPUNTI - - -Qualunque italiano non toscano, e specialmente un italiano delle -provincie settentrionali, il quale si metta a leggere il vocabolario, -si persuade fin dalle prime pagine di questa verità: che la lingua -italiana generalmente parlata e scritta nelle sue provincie è tanto -povera, — tanto scarsa, voglio dire, di vocaboli e di modi, — da -doversi chiamare piuttosto una _mezza lingua_, che una lingua intera. -Leggendo il vocabolario, infatti, si trovano centinaia e migliaia -di vocaboli e di modi vivi, efficacissimi, d'un significato che non -sapremmo rendere con altre parole; i quali nell'Italia settentrionale -non si dicono e non si scrivono mai, o rarissimamente, come se fossero -modi e vocaboli morti. È superfluo il dir la ragione di questo fatto, -il quale è comune a tutte le lingue da per tutto dove si parla un -dialetto. Ma non è inutile l'accennarlo e l'insistervi per dimostrare -ai giovani dell'Italia settentrionale i quali si dánno allo studio -della lingua italiana, come per prima cosa essi debbano cercare -d'appropriarsi di questa lingua quella grandissima parte che loro -manca, e della cui mancanza nulla ci può avvertire così prontamente e -così utilmente come la lettura del vocabolario. - - * - * * - -Si notino, per esempio, i seguenti vocaboli tolti dal dizionario del -FANFANI. - - APPICCICHINO. — Uomo che si appiccica ad altri per molestare, o - chiedendo o cianciando, o mostrando famigliarità soverchia. - - ATTACCHINO. — Più maligno, più pungente che _Attaccalite_. - - ATTIZZINO. — Chi attizza gli altri fra loro. Generalmente si dice - _mettimale_ che non è la stessissima cosa. - - CICALINO. — È superfluo notare la differenza che corre fra questa - parola e _cicalone_. - - DONNINO. ES.: _Che camera assestata tiene questo Pietro: è proprio - un donnino_ (Fanf.) - - FARFALLINO. — Uomo volubile. - - FICCHINO. — È quasi lo stesso che _Ficcanaso_; ma dicesi più - specialmente di chi, anche non invitato, cerca di andare o a - pranzi o a ritrovi, ecc.; mentre _Ficcanaso_ è chi si ficca per - curiosità più che per altro. - - FRUCCHINO (da Frucchiare). — Chi mette le mani per ismania di darsi - faccenda in diverse cose, e anche in una sola, ma con gran moto, - senza senno nè gravità, e senza che le cose nelle quali mette le - mani gli appartengano gran fatto. - - FRUGOLINO. — (dimin. di frugolo). — Una donnina, un bimbo, un ometto - che non sta mai fermo. - - GALOPPINO. — Uno che strappa da vivere facendo mille mestieri. - - GIRANDOLINO. — Lo stesso che Farfallino. - - PERTICHINO. — Nel linguaggio teatrale si chiama _pertichino_ quel - cantante che sta fisso in teatro, a un tanto il mese, e che - è adoperato a fare le parti più umili, ordinate solo a tener - bordone e far apparir meglio le parti principali. Si applica per - analogia ad altre persone. - - RABATTINO. — Persona ingegnosissima che in mille modi, ma sempre - per vie oneste, cerca di guadagnare e vantaggiare la propria - masserizia. - - STILLINO. — Lo stesso che _Rabattino_; ma dicesi anche di chi aguzza - l'ingegno per riuscire in alcuna cosa; da _stillare_, trovare - accortamente il modo di far checchessia; _stillo_, modo, via, - ecc. ES.: _Trova qualche stillo per divertire, o per tenere a - dada questa gente._ - - TRITINO. — Dicesi di chi ha la manía di vestir bene, ma non - potendoci arrivar colla spesa, ha sempre dei panni rifiniti, e di - poco valore. - -Quante volte, parlando e scrivendo, noi italiani del settentrione -abbiamo bisogno di queste parole, e non le sapendo, o non avendole, -come suol dirsi, alla mano, ne diciamo altre che non esprimono il -nostro pensiero! Invece di _stillino_, per esempio, uomo ingegnoso; -invece di _tritino_, vestito male; invece di _frugolino_, vivace; -invece di _rabattino_, mestierante; invece di _appiccichino_, -seccatore; parole generiche, adoperabili in mille casi, dalle quali il -linguaggio non riceve nè colore nè garbo. L'_astratto_, come diceva il -Manzoni, invece del _per l'appunto_. - - * - * * - -Si notino quest'altre, tolte pure dal dizionario del Fanfani. - - AFFANNONE - ALMANACCONE - ARRUFFONE - CABALONE - CIABATTONE - FACCENDONE - FIUTONE - FRACASSONE - FRUGONE - GIRANDOLONE - LITIGONE - LUMACONE - IMPICCIONE - MACHIONE - NINNOLONE - NOTTOLONE - PIALLONE - SBALLONE - SCIALONE - SCIOPERONE - SGOMENTONE - SINCERONE - SOFFIONE - STRONFIONE - RIGIRONE - TATTICONE - TENTENNONE - TRAFFICONE - TRAPPOLONE - VILUPPONE - -Di queste trenta parole, ciascuna delle quali ha un significato -distinto, intelligibile da qualunque italiano che le senta per la -prima volta, quante sono usate, così parlando che scrivendo, dagli -italiani settentrionali? Tutt'al più quattro o cinque. E che parole -s'usano invece? Ci rifletta un momento un piemontese, un genovese o un -lombardo, e riconoscerà che usa quasi sempre una perifrasi, o esprime -la cosa con un gesto, o dice una parola la quale non rende che presso -a poco il suo pensiero. - - * - * * - -Di questa povertà della lingua che si parla tra noi, s'ha una prova -ogni momento. Un giorno, per esempio, ch'ero a desinare da una famiglia -piemontese, la padrona di casa mi disse: — Lei oggi non ha appetito. -— Non è che non abbia appetito, — risposi celiando; — è che ho fatto -uno _spuntino_ due ore fa. — Questa parola _spuntino_ destò uno stupore -generale, e tutti mi guardarono come per domandarmi che diavolo avessi -voluto dire. Io continuai: — In ogni modo bisogna che desini per -non essere poi obbligato a fare un _ritocchino_ fra un paio d'ore. -— Nuova meraviglia per questo misterioso _ritocchino_. — Del resto, -soggiunsi, questo piatto è così squisito che vorrei pigliare ancora il -_contentino_. — Terza meraviglia per il _contentino_. - -Infine mi domandarono che cosa significassero quelle tre parole. - - SPUNTINO, — è il piccolo mangiare che si fa fuori dell'ordinario e - tanto per sostenere lo stomaco fino all'ora solita del cibo. (F.) - - RITOCCHINO, — è un piccolo pasto che si fa dopo aver mangiato. (F.) - - CONTENTINO, — è quel po' che si piglia ancora d'una cosa che ci - piaccia, dopo che se n'è già mangiata la propria porzione. (Si - dice pure per la giunta che si dà dopo la derrata). (F.) - -Queste tre parole graziosissime, usate in tutta la Toscana, entrarono -da quel giorno nel vocabolario faceto della famiglia, invece delle -espressioni _mangiare prima del desinare_, _mangiare dopo_, _prendere -ancora un boccone_ che erano usate prima. Ora ci sarà qualcuno il quale -consideri quelle parole come fiorentinismi, e le voglia bandite solo -perchè non sarebbero capite alla prima in tutta l'Italia? Si approvi -o no l'idea del Manzoni, non si può rifiutare di prendere tra le -espressioni e i vocaboli toscani tutti quelli che servono a dir cose -che noi diciamo altrimenti con più parole e con meno garbo. Ho veduto, -per esempio, dei genovesi e dei piemontesi sudar freddo per dire in -italiano quello che in francese si dice _foisonner_, in piemontese _fe -foson_, in genovese _faa reo_, ecc.; una cosa che in famiglia occorre -di dire spessissimo: di alimenti, cioè, i quali per mangiare che se ne -faccia, pare che non consumino e sieno più abbondanti di quello che -sono veramente. Dicevano: _la tal cosa pare più abbondante di quello -che è_, _della tal cosa ce n'è sempre più di quello che si crede_, ecc. -Espressioni vaghe, lunghe e inesatte. Ebbene, in Toscana si dice _far -comparita_. Chi vorrà continuare a filare un lungo periodo per dir male -una cosa semplicissima, se può dirla con un _toscanismo_ di due parole? - - * - * * - -Una delle gran ragioni per le quali molti di noi non capiamo la -necessità di arricchire la propria lingua è questa: che ignorando certi -modi e certi vocaboli, non ci accorgiamo punto, scrivendo o parlando, -delle perifrasi, dei giri di parole, delle contorsioni di frase di -cui ci serviamo per esprimer cose che quei modi e vocaboli esprimono -con poche sillabe. Se io ignoro l'esistenza della parola _golino_, per -esempio, non capisco perchè un Toscano sbadigli quando gli dico: — _il -tale mi diede un colpo nella gola col pollice e coll'indice aperti._ — -Se non so che ci sia la parola _ingozzatura_, non m'accorgo di fare una -lungaggine dicendo invece di: — Gli diedi un'ingozzatura, — _Gli diedi -un colpo colla mano aperta sul capello in modo che glielo feci scendere -fin sulle spalle_, ecc. ecc. Ma mettiamoci un po' a studiare la lingua, -come diceva il Giusti, con tanto d'occhi aperti; vedremo quante lacune -ci son nel nostro parlare e nel nostro scrivere, quante superfluità, -quante improprietà, quante pedanterie, quanta miseria! - - * - * * - -Il miglior mezzo di studiare il vocabolario mi par quello di cavarne -un altro piccolo vocabolario per nostro uso, raggruppando intorno a un -certo numero di soggetti generali tutte le parole e tutti i modi che -ci sembrano degni di nota. Una scorsa data poi di tratto in tratto a -queste note ravviva maggior quantità di lingua nella memoria che non -la lettura di dieci libri. Estraggo, per esempio, dai miei appunti sul -vocabolario del Fanfani, una parte di quello che riguarda il _mangiare_ -e il _bere_. - - _Sulla maniera di mangiare._ - - MANGIARE A DESCO MOLLE. — Mangiare a tavola sparecchiata. - - MANGIARE A BATTISCARPA. — Senza apparecchiare, in fretta e stando in - piedi. - - MANGIARE A SCAPPA E FUGGI. — In fretta. - - MACINARE A MULINO SECCO. — Mangiare senza bere. - - MANGIARE COLL'IMBUTO. — Mangiare in fretta e senza masticare. - -_Espressioni comiche per indicare il mangiar molto o ingordamente._ - - _Diluviare_ — _Scuffiare_ — _Pacchiare_ — _Taffiare_ — - _Sgranocchiare_ — _Spolparsi_, per es., _un tacchino_ — _Mangiare - a scoppiacorpo_ — _Dar ripiego_ (Es.: Egli è una gola che darebbe - ripiego a quanto v'ha in un refettorio di frati. F.) — _Ungere il - dente, sbattere il dente, far ballare il dente, far ballare il - mento_ — _Gonfiar l'otre — Levarsi le crespe di su la pancia_ — - _Fare una mangiataccia_ — _Fare una spanciata_ — _Farsi una buona - satolla di qualche cosa_ — _Far dei bocconi che paiono giuramenti - falsi_ — _Impippiarsi, ingubbiarsi d'una cosa_. - - FAR RIALTO. — Si dice in famiglia per far cena o desinare meglio - dell'usato (F.); a cui male si sostituisce comunemente _far - festa_ od altro. - - BOCCONCINO DELLA CREANZA. — Il _morceau honteur_ dei francesi. - - TORNAGUSTO. — Cosa che fa tornare il gusto e la voglia di mangiare, - ecc. - - _Fame._ - - UZZOLO. — appetito intenso. - - ALLAMPANARE, ALLUPARE, ARRABBIARE DALLA FAME. - - FAR LE FILA SOPRA UN PIATTO. — Guardarlo con avidità grande. - - FAR LE VOLTE DEL LEONE. — Aspettare passeggiando. (F.) L'intesi dire - efficacissimamente in Toscana a proposito del passeggiare che si - fa in una stanza quando s'ha appetito e s'aspetta che vengano a - dire ch'è in tavola. - - PELATINA. — Malore che viene alle bestie, le quali pelatesi, non - mangiano; onde per ironía, quando si vede uno che mangia molto, - si dice che _debbe aver la pelatina_. (F.) - - _Del bere._ - - COLMATURA. — La parte del liquido che riempie il vaso, la quale - rimane sopra l'orlo. (F.) Ho inteso dire molte volte: _il di più - o quello che sporge!_ - - CULACCINO. — L'avanzo del vino che occupa il fondo del bicchiere. - - FAR SPRACCHE. — Quel suono che si fa stringendo e riaprendo la bocca - con forza quando s'è bevuto del vino generoso. (F.) - - FAR LA ZUPPA SEGRETA (graziosissimo). Bere colla bocca piena. - - BERE A SCIACQUABUDELLA. — Ber vino a digiuno. - - BERE A GARGANELLA. — Bere senza accostare il vaso alle labbra. - - BERE A GORGATE. - - SBICCHIERARE. — Vendere il vino a bicchieri. Es.: _Barile con quella - bottega s'è arricchito. Compra tutto vino eccellente, e benchè lo - paghi caro, sbicchierando come fa, ci guadagna il doppio._ (F.) - - _Ubbriachezza._ - - _Prendere una sbornia_ — _Prendere una bertuccia_ — _Prendere - una colta_ — _Prendere una briaca_ — _Prender l'orso_ — - _Perder l'alfabeto_ — _Perder l'erre_ — _Essere in bernecche_ - — _Essere in cimberli_ — _Fare i gattini_ (pure del dialetto - piemontese), _o fare la ricevuta_, per vomitare — _Alzare la - gloria_, bere soverchio — _Essere una gola d'acquaio_, essere un - beone — _Essere un briachella_, aver l'abitudine d'ubbriacarsi - leggermente. - - BEVERIA. — Il ber molto. Fare una beveria. - - COMBIBBIA. — Bevuta fatta con altri nell'osteria. - -Certo che non tutti questi vocaboli e modi sono dell'uso comune -neppure in Toscana, nè tutti sono da adoperarsi a occhi chiusi. Ma nel -prendere appunti sul vocabolario, è meglio largheggiare che essere -scarsi, poichè non v'è parola oziosa o poco usata o antipatica, — -poichè anche in fatto di lingua ci sono le antipatie, — la quale -adoperata in un certo senso o in un certo punto, particolarmente -nel linguaggio faceto, non acquisti un'efficacia singolarissima, -purchè, come diceva il Giusti, si sappia buttar là in modo da non far -sospettare che si sia cercata col lumicino. E proviene appunto da non -conoscere o dal non aver pronte sulle labbra che uno scarsissimo numero -di espressioni, la difficoltà che incontrano i non toscani a celiare -con grazia o raccontare barzellette e far descrizioni burlesche in -modo da far ridere. Perchè se la cosa che hanno da dire non è per sè -stessa comicissima, poco possono aggiungerle per mezzo della lingua. -Vediamo per l'opposto che quando raccontano nel loro dialetto cose -per sè stesse quasi punto ridicole, le fanno riuscire tali, solo -coll'adoperare certi vocaboli e modi particolari che eccitano il riso. - - * - * * - -Par strano, ma è vero: per i non toscani, massime dell'Italia -settentrionale, uno dei maggiori impedimenti a scrivere e a parlar -bene è la paura del proprio dialetto. Per paura, infatti, di lasciarsi -scappare degli idiotismi, bandiscono scrupolosamente dall'italiano -tutte le espressioni del vernacolo, delle quali molte, letteralmente -tradotte, sarebbero italianissime; e ciò facendo, durano una fatica -doppia, e parlano una lingua stentata, leccata e senza vita. Per -citare degli esempi, ho visto una volta un piemontese arrossire di -vergogna perchè credeva di aver detto un grossolano piemontesismo -coll'espressione: — Il tal libro, di cui m'avevan detto tanto male, -lo lessi, e non _mi parre il diacolo_: — ossia non mi parve tanto -cattivo quanto si diceva; modo usatissimo nel dialetto piemontese. — -Bell'italiano — soggiunse con ironia. — Perchè mai? — gli osservai. -— _non mi parve il diavolo_, _non è il diavolo_, _non sarà poi il -diavolo_, lo scrisse Giuseppe Giusti. — Non lo volle credere e gli -dovetti far vedere il libro. Un'altra volta scandolezzai un genovese -dicendo in italiano: — _So assai se il tale dei tali sia venuto_ — Alto -là! — mi gridò — la colgo in flagrante genovesismo. Il suo _so assai_ -è il nostro _so assae_ pretto sputato. — Misi sotto gli occhi anche a -lui le prose del Giusti dove trovò due o tre _so assai_ che lo fecero -rimanere a bocca aperta. E potrei citare mille altre espressioni che -fanno rizzare i capelli a tutti coloro i quali a furia di scrupoli, -di paure, di pedanterie, si son fatti una lingua italiana compassata, -rigida, plumbea, che non è più una lingua. In Toscana, per esempio, si -domanda a un libraio: — Quanto _fate_ codesto libro? — Nove su dieci -italiani delle provincie settentrionali, dovendo fare quella domanda, -ficcano un prudente _pagare_ in mezzo alle parole _fate_ e _codesto_, -perchè per loro _fare un libro_, in questo caso, è un'espressione -assurda, e l'altra, invece, è intera, esatta, a prova di martello. Per -la stessa ragione non dicono mai _nel momento ch'egli usciva_, ma _nel -momento nel quale o in cui_; non _il luogo dove o per dove_, ma _il -luogo nel quale o per il quale_; non _guardai se passasse qualcuno_, -ma _guardai per vedere se passasse qualcuno_, ecc. Ciò che il Giusti -chiamava argutamente _parlare e scrivere colle seste_. - - * - * * - -Per spiegar meglio il modo che, secondo me, si dovrebbe tenere nel -prendere appunti sul vocabolario, mi pare utile addurre ancora alcuni -esempi. Leggendo il vocabolario, credetti opportuno di notare tutti -i seguenti modi e vocaboli che si riferiscono a commercio, affari, -denaro, ecc., perchè m'accorsi, leggendoli, che sebbene fossero -necessarî per dire per l'appunto quelle date cose, non li avevo -mai adoperati perchè in parte non li sapevo, e in parte non m'erano -abbastanza fitti nella mente da averli pronti sulla bocca o sulla punta -della penna parlando o scrivendo. - - METTER SU BOTTEGA. — Rizzare una bottega, un negozio. - - STIRACCHIARE IL PREZZO. (È chiaro). - - SALIRE. — Per rincarare. Es.; _Quest'anno i tartufi son saliti alle - stelle_. (F.) - - RINCARARE. - - Il pane è rincarato. - Rincarare la pigione. - Il rincaro del cotone. - - Nell'Italia settentrionale, massime parlando, si dice generalmente - colla solita lungaggine _il pane è divenuto caro_, invece di - _è rincarato_, e _l'aumento di prezzo del cotone_, invece del - _rincaro del cotone_. - - RINVILIO. — Lo scemar di prezzo. Parola che il Manzoni, correggendo - i _Promessi Sposi_, sostituì a _diminuzione di prezzo_, e che - ora si comincia a usare anche fuor di Toscana. Es.: _C'è stato un - gran rinvilio nell'olio._ - - RIBASSO. — Es.: _Il cotone_ HA FATTO _un ribasso_. Gli scrupolosi - direbbero: _C'è stato un ribasso nel cotone._ - - RICHIESTA. — Una tal mercanzia ha molta richiesta. - - RIENTRARE. — Il popolo e i venditori, in Toscana, dicono - _rientrarci_ per _ripigliare il costo_ con guadagno onesto - vendendo una data mercanzia, Es.: _A volere che ci rientri, quel - drappo bisogna che lo venda otto lire il braccio._ — _A tre lire - non posso darglielo: non ci rientro._ (F.) - - RIENTRO. — Entrata, _rinfranco_ di denari o d'altro, meglio che - _risorsa_. Es.: _Giovanni non ha altro rientro che lo stipendio - di 100 lire al mese._ (F.) - - VANTAGGIARE ALCUNO. — Risparmiargli nel comprare e avanzargli nel - vendere. (F.) - - STARE A SPORTELLO. — Dicono gli artefici quando in alcuni giorni - di mezze feste o simili, non aprono interamente la bottega, ma - tengono solamente aperto lo sportello. (F.) - - SPURGHI. — Le merci rimaste senza vendersi in una bottega. (F.) - - RIPARARE. — Si dice _non ripara_ di una persona che non è - sufficiente a secondare le richieste infinite che le vengono - fatte; di un mercante che spaccia moltissimo di una tal mercanzia - ed ha sempre il banco assediato dai compratori. Es.: _Mise su - quella bottega di mercerie e si arricchirà di certo perchè non - ripara._ (F.) - - COMPRARE COGLI OCCHIALI DI PANNO. — Senza esaminare quello che si - compra. - - SERVIRSI _da_ UN TAL NEGOZIANTE. — Modo scansato da moltissimi per - timore che non sia di _buon italiano_. - - STARE SU UN QUATTRINO, SU UNA LIRA. — Lo spiega l'esempio: _Che - credi ch'io stia sulle dieci lire? To' piglia un napoleone e - vattene._ (F.) - - QUEL FONDACO _va_ SOTTO IL NOME DEL TALE. - - IN QUELLA IMPRESA GLI CI _andarono_ DIECI MILA LIRE. - - RIGIRARE I DENARI. — Utilizzare onestamente _un piccolo corpo di - denari_. Es.: _Ho pochi quattrini; ma mio fratello che ha pratica - di negozi me li rigira bene._ - - RIGIRARSELA. — _Non son ricco, ma me la son sempre rigirata bene._ - - IL SUO INCHIOSTRO CORRE PER TUTTO. — Dicesi d'un negoziante la cui - firma sia tenuta buona in tutte le piazze. E a chi non abbia - credito: _Il tuo inchiostro non tinge o non corre._ - - PUZZARE D'INCHIOSTRO. — Si dice di un abito o di altra cosa non - ancora pagata nella bottega dove si è presa, _e dove è già accesa - la partita del debito_. (F.) - - PRENDERE UNA COSA A CHIODO. — Senza pagarla subito. - - MANGIARSI IL GUADAGNO IN ERBA. — Consumare ciò che si guadagna prima - di riscuoterlo. (F.) - - DANARI GIUSTIFICATI. — Danari spesi in cosa che li vale. (F.) - - DENARI SECCHI. — Danari morti. - - TIRARE LA PAGA. — Per _riscuoterla_. - - VIVERE SUL LAVORO. (È chiaro). - - LAVORARE O FARE SOPRA DI SÈ. — Si dice degli artefici che non stanno - con altri, ma esercitano la loro arte da per sè a loro pro e - danno. - - TIRARE UN GRAN DADO. — Avere una gran sorte. - - FARE UN BUON TRUCCO. — Aver buona fortuna in una cosa. - - GLI È VENUTA LA GUAZZA. — Si dice di chi ha trovato una buona fonte - di guadagno. - - GLI È BALZATA LA PALLA SUL GUANTO. - - TROVARE UNA BELLA VIGNA. — Trovare facile e pronto utile (o piacere) - in alcuna cosa. - - SUCCHIELLARE UNA BELLA CARTA. — Essere in procinto di avere una - qualche buona ventura. Ecc., ecc. - - * - * * - -Per citare un altro esempio, c'è intorno al _parlare_ un gran numero -di vocaboli e di modi efficacissimi, per la più parte lepidi, e molti -comuni ai vari dialetti d'Italia, e per questa ragione, ossia per -paura, non usati da chi vuol parlare e scrivere un italiano castissimo. - -Stiantar bombe (il _craquer_ dei francesi). — Stiantar bugie. — -Stiantar spropositi. — Piantar carote. — Sballar favole. — Sfrottolare. -— Dire delle sballonate. — Dire delle papere. — Dire dei farfalloni. -— Fare delle sparate. — Dirne di quelle che non hanno nè babbo nè -mamma (strafalcioni madornali); ciò che scrisse il povero Guerrazzi, -poco prima di morire, parlando della sua ultima opera, _Il secolo che -muore_. - -Graziosissima l'espressione: — _Dare una calcatella_, per rifiorire o -esagerare una cosa detta da altri. - - DIRE UNA COSA DI RITORNO, DI RIPICCO, DI RINTOPPO, DI RIMBECCO. — - Dire una cosa fuori dei denti. — Dire a uno una fitta d'ingiurie, - una carta di villanie, una sfuriata d'impertinenze. — Fare una - parrucca a uno, fargli una lavata di testa, un lavacapo, una - risciacquata, una ripassata, una sbarbazzata. — Cantargli il - vespro, cantargli la zolfa. — Trinciargli la giubba addosso, - tagliargli le calze, lavarsene la bocca (per dirne male). — Dire, - vomitare ira di Dio. - - RIPAPPARSI UNO (per garrirlo acerbamente). Es.: _Nebbia, in presenza - della gente, tratta suo marito coi guanti, ma in casa poi bisogna - vedere come se lo ripappa._ - - RIMPOLPETTARE. — Lo spiega l'esempio: _Non è padrona di aprir bocca - quella povera donna che bisogna vedere come la rimpolpettano._ - - RIMBRONTOLARE (efficacissimo). — Rammentare spesso ad altri un - beneficio o un favore fattogli. Es.: _Tizio mi regalò una - volta cinquanta lire, è vero; ma non passa giorno che non me le - rimbrontoli._ - - RIFISCHIARE. — _Si cacciò in quell'adunanza il P., e poi andò a - rifischiare ogni cosa al prefetto._ Quanto più efficace che il - solito _riferire_ e _riportare_ che si può dire in cento sensi! - - SPETTEGOLARE. — Chiaccherar molto e senza proposito. — Es.: _Dopo - essere stata là un'ora a spettegolare se ne andò._ — _Già io ti - dico tutto in segreto, e poi tu vai a spettegolare ogni cosa in - casa delle vicine._ - - TIRAR SAGRATI, TIRAR MOCCOLI, ATTACCAR MOCCOLI, TIRAR GIÙ TUTTI I - SANTI, ATTACCARLA A DIO E AL SANTI. - - PARLARE COLLA BOCCA PICCINA (graziosissimo). — Per parlare - timidamente. Es.: _Cogl'inferiori fa il prepotente; ma coi - superiori parla colla bocca piccina._ - - STILLARE, PIOMBARE LE PAROLE, — per parlare lentamente, a stento. - - SPICCICARE LE PAROLE. — Spiccarle. Si dice: _Non spiccica nulla, non - spiccica parola_, di chi volendo parlare, non gli vien fatto. - - DISCORRERE FITTO O FITTO FITTO. — Presto e senza interruzione. - - SFILAR LA CORONA. — Dir tutto senza riguardo. - - SPIPPOLARE. — _Spappolarla_, per es., _tale e quale_. — Chiaro. - - FATICARE, per es., una filza di paternostri, ciò che si esprime - anche al verbo _Spaternostrare_, _Scoronciare_, ecc. - - GONFIAR GLI ORECCHI A UNO. — Dirgli cose che non gli piacciono. - - DARE SPAGO A UNO. — Fingere di secondarlo per farlo parlare e - svelare l'animo suo. - - MENARE A SPASSO UNO. — Aggirarlo con parole. - - INFILARE GLI AGHI AL BUIO. — Parlare di ciò che non si conosce. - - ALLUNGARE LA TELA. — Per allungare il discorso. Es.: _Per cinque - minuti lo stetti a sentire, ma poi, vedendo che allungava la - tela, gli voltai le spalle._ - - DARE UN TASTO. — Toccare un motto di qualche cosa. Es.: _Se vedo il - prefetto, così alla larga gli voglio dare un tasto sulla faccenda - degli arresti di domenica._ - - FARSI DA ALTO. — Per cominciare a parlare d'una cosa dal primissimo - principio o alla lontana. - - FARLA CASCAR D'ALTO. — Dare con parole a una cosa un'importanza - maggiore di quella che ha, volerla far parere più bella, più - difficile, ecc., di quello che è. - - INTONARLA TROPPO ALTA. — Si dice di chi comincia a parlare con un - tuono che non può e non deve poi mantenere. - - TIRARE A TRAVERSO. — Si dice di chi, disputando con noi, vuol - torcere a cattivo senso le nostre parole, o sposta astutamente la - quistione dai suoi veri termini. - - PARLARE PER COMPRARE. — (Chiaro). - - ABBREVIARE IL TESTO. — Farla corta. - - FARE UN DISCORSO CORTO. — Modo usatissimo in Toscana, quando nel - contrattare una cosa si vuol far subito la proposta ultima e - difinitiva. Es.: _S'ha a fare un discorso corto: la m'ha a dar - tanto_, ecc. Si usa anche per venire a una risoluzione contro - qualcuno: _Oh sai? s'ha a fare un discorso corto: tu t'hai a - levar di qui._ - - MOZZIAMOLA! — Lasciamola lì, tronchiamo questo discorso. Gli - Spagnuoli dicono graziosamente: — _Doblémos la hoja_ — pieghiamo - la pagina. - - LEVAR LE REPLICHE. — Lo spiega l'esempio: _Gli fece una di quelle - filippiche che levano le repliche._ - - RIMANERE IN SECCO. — Si dice di quando a un tratto, a chi parla o - scrive, mancano le parole o i concetti. - - RIMANERE COLLA PAROLA IN ARIA. — (È chiaro). In senso affine intesi - dire a un contadino toscano: _Per quanto si sforzasse a parlare, - le parole gli rimanevano attaccate giù per la gola._ - - AGGIUSTARE LE PAROLE IN BOCCA A UNO. — Insegnargli ciò che deve - dire. - - FAR PEDUCCIO A UNO. — Aiutarlo colle parole, dicendo il medesimo che - ha detto lui, facendo buone e fortificando le sue ragioni. - - PISSI PISSI, PISPILLORIA. — Strepito di voci che fanno molti - uccelli, anche applicabile a voci umane, specialmente per - indicare chiacchericcio, cicaleccio di donne. — Es.: _Ogni tanto - la Gigia lo piantava per andare a fare un pissi pissi di mezz'ora - colle sue amiche._ - - PISSIPISSARE. — Bisbigliare, far pissi pissi. - - RIBOBOLARE. — V. att. Ribobolare, per es., un bel pensiero, ossia - nasconderlo con riboboli. — _Il P. è un buon prosatore; ma per - quel maledetto suo vezzo di far vedere che sa scrivere, un bel - pensiero te lo ribobola in modo che non si capisce più._ - - PARLARE COLLE SESTE. — Con cautela. Parlare colle seste in bocca, - disse il Giusti, per parlare con ripicchiata eleganza. - - TIRAR SU LE CALZE A UNO. — Cavargli di bocca, con arte, un segreto, - ecc., ecc. - -A proposito di questo e d'altri modi dello stesso genere, occorre -fare un'osservazione; ed è che son modi vivi, efficaci, usatissimi -e usabilissimi; ma che sono volgari, e che perciò si debbono usare -parcamente, e solo quando il soggetto del discorso lo concede. Molti -non la intendono così. Per costoro tutto quello che è toscano è -dicibile e scrivibile a qualunque proposito. Moltissimi anzi non -fanno propriamente consistere lo scriver toscano, secondo l'idea -del Manzoni, che in una certa sfacciataggine di lingua, in un certo -sprezzo del galateo filologico, nello scrivere, insomma, una lettera -a una signora tale e quale come una lettera a un fattore; un discorso -accademico tale e quale come un aneddoto carnovalesco. Sono costoro -che, da qualche anno in qua, empiono romanzi, novelle, articoli, ecc., -di modi come _cascar l'asino_, _levar le gambe_, _tirar su le calze_, -_tagliar le calze_, _essere agli sgoccioli_, _uscir per il rotto della -cuffia_, ecc., ecc., i quali modi se danno efficacia e sapor comico -al linguaggio quando sono adoperati a tempo e luogo, gli tolgono, -adoperati a casaccio, ogni dignità, ogni gentilezza, ogni grazia. Ed -anche a rischio di farmi dare sulle dita voglio dire che lo stesso -Giuseppe Giusti ha qualche volta peccato da questo lato. Poichè, per -esempio, quando scrivendo a una signora dice in un solo periodo che -«scegliere per un congresso una città piccola come Lucca _è un voler -metter l'asino a cavallo_: ma che i Lucchesi ne leveranno le gambe -meglio che non si crede; che il duca se l'è battuta perchè _gli bolle -a mala pena la pentola per sè e per i suoi_, ecc.,» io sento, non -in ciascuna di queste maniere di dire per sè medesima, ma nella loro -frequenza, nel tuono che danno al discorso, qualche cosa che non mi -piace. Il Manzoni stesso, che in fatto di lingua è così delicatamente -guardingo, nell'usare frasi e vocaboli toscani ha qualche volta mancato -a questo riserbo, e io credo che anche i suoi più ardenti ammiratori, -fra i quali mi vergognerei di non essere in prima riga, cancellerebbero -volentieri in qualche sua pagina le parole _porcheria, me ne impipo_, -ecc., scritte da lui in omaggio all'uso toscano. Ora a me par giusto -che si segua il Manzoni nel preferire un idiotismo a una pedanteria; ma -mi par di vedere che molti toscaneggianti dell'Italia settentrionale -vadano troppo in là. Ammetto, per esempio, che in molti casi, e in -specie nel dialogo, si possa o debba dir _cosa_ invece di _che cosa_ o -_che_; ma che un professore di letteratura italiana, come fanno molti, -faccia perpetuamente scrivere dai suoi scolari _cosa_ in vece di _che_ -o _che cosa_, non mi va. Capisco che piuttosto di scontorcere una frase -e qualche volta tutto un periodo, si scriva _gli_ invece di _loro_; -ma non m'entra che, per seguire l'uso toscano, invece di _vidi Maria -e le dissi_, si debba scrivere _vidi Maria e gli dissi_. Così pure il -dire eternamente _lui_ per _egli_, _lei_ per _essa_, _loro per essi_, -anche quando nè il suono nè la naturalezza lo richiedono, il che è -anche contrario all'uso della Toscana, dove _egli_, _essa_, _essi_ non -sono punto parole scomparse dal vocabolario parlato. Non bisogna, mi -pare, cadere nell'eccesso nè da una parte nè dall'altra. Che si metta -al bando la prosa aristocratica, la lingua ripicchiata, l'affettazione, -la pedanteria, sta bene. Ma che per non scrivere come un accademico -si parli come un mercatino; che per non star soggetti alla tirannia -grammaticale del _che cosa_ e dell'_egli_, si crei un'altra tirannia -del _lui_ e del _cosa_, che, in una parola, dopo aver smessa la -parrucca, si voglia anche levarsi la camicia, non mi pare nè bello, nè -ragionevole. - - * - * * - -Veda chi vuol spigolare nel vocabolario, seguendo il modo che ho -indicato, quante parole e modi e paragoni e immagini si possono -raccogliere intorno al soggetto _Ritratti_, solo dal piccolo -vocabolario del Fanfani; e come lo studiare la lingua in questa -maniera, benchè paia seccante a primo aspetto, possa riuscire -dilettevole. - -_Un uomo magro assaettato — secco allampanato — secco arrabbiato — -secco arrovellato — secco spento — secco come un uscio — secco come un -osso — trito in canna — ridotto sulle cigne — ridotto in un gomitolo -— ridotto un fuscello — ridotto che pare un filo — che ha fatto un -gran calo — che par fatto di calza sfatta — che pare la morte secca -— che regge l'anima coi denti — che si vede e non si vede — che si -piglierebbe col cucchiaio — verde come un ramarro — giallo come un -rigógolo — una mostra d'uomo — una carcassa — un cerotto — un ragazzo -stentino — una cosa stentata — un coso stento stento — un viso di dolor -di corpo — uno sbiobbo — uno scricciolo — un vecchio scaracchione, -ecc._ - -_Un giovane di buon nerbo — un uomo di buon osso — uno stiattone — -un trippone — un gonfione — grasso bracato — che non capisce nella -pelle — con una faccia di mascheron di fontana — con un naso che gli -rifiglia il vino bevuto — un vecchio rimprosciuttito, che va via come -un frullino, che ha rimesso un tallo sul vecchio, ecc._ - -_Una zitella spersonita — ristecchita — vizza — passa rinfichita — -rinfichisecchita — con un viso rinfrignato — cogli occhi cerpellini -— con due gran calamai — con certe piazzate in testa (radure di -capelli) che si può dir quasi pelata — una vecchia squarquoia — un vero -reciticcio — un vero crostino — e perchè non ha dote, un crostino senza -burro — una ricetta da lussuria, come si dice di persona che non solo -non mette, ma scaccia le tentazioni. — ecc._ - -_Una ragazza tanto fatta — una bambolona — una meggiona — una mastiona -— un bel fusto, un bel tocco, una bell'asta di donna — un bel pezzo -di marcantonia — un bel pezzo da ottanta — fatta colle forme — pulita -come un dado — sana come una lasca — soda come una pina — una donnina -minutina — gentilina — una cosolina — un pepino — una bazzina — un viso -di solletico — che ha un'ideina di buona — che ha un'ideina che piace -— che è l'idea della grazia — che è una gentilezza — a cui ridon prima -gli occhi che la bocca, ecc._ - -_Un uomo a sghimbescio, a scatti, a folate, — un uomo scontroso, -muffoso — una testa secca — una testa volante — un cervello -svolazzatoio — un vecchio cascatoio — un vecchio cucco, ecc._ - -_Un uomo grosso di pasta — tondo di pelo — che ha un po' dello scemo -— che ha l'ottavo dono dello Spirito Santo — che non ha di quel che -si frigge — che serve di copertina a un altro — una lanterna senza -moccolo, ecc._ - -_Una lamaccia, un malanno — un uomo che odora di birba — un'anima -bigia — un uomo di scarpe grosse e di cervello sottile — un uomo -che ha l'arco lungo — un uomo che ha l'osso del poltrone, l'osso del -vile, l'osso del furfante — che ha il miele sulle labbra e il rasoio -a cintola — un uomo di bassa estrazione — un terremoto — bravo come un -lampo — bugiardo come un gallo — ecc._ - -_Un dabbenaccio — un galantominone — una coppa d'oro — un uomo di -stocco — un uomo a tutta tempera — un uomo rotto al mondo — un uomo -tagliato al dosso di tutti — un uomo attaccaticcio — un uomo di -ricapito — uomo dei suoi piaceri, dei suoi comodi — un uomo tutto Gesù -e Madonna — un mammamia — un santificetur — un sacco di disdette, ecc._ - -Tutta questa è lingua viva e fresca, che quando s'abbia in mente, vien -opportunissima sulle labbra e sulla punta della penna ad ogni momento; -eppure si può dire che per l'Italia settentrionale è quasi tutta -lettera morta; e nasce appunto dalla mancanza di tutta questa lingua, -il difetto di varietà e di lepore che si lamenta nello scrivere, e -principalmente nel parlare italiano degli italiani settentrionali. - - * - * * - -Da un tempo in qua, in molte famiglie dell'alta Italia s'insegna -a parlare italiano ai bambini. È ottima cosa, se i parenti sono in -grado d'insegnar bene, o se badano almeno a correggere gli errori -di cui s'accorgono; ma è cosa pessima se non sanno insegnare o non -hanno voglia di correggere; il qual caso è frequentissimo. Occorre -infatti ogni momento di sentir ragazzi di sette od otto anni, ed anco -di dieci o di dodici, parlare con una meravigliosa disinvoltura un -italiano scellerato al segno da far desiderare che parlino invece il -loro dialetto. E non è da credere che a poco a poco si correggano poi -da sè stessi. Gli strafalcioni, le frasi viziose, i modi barbari e un -gran numero di piccole improprietà di linguaggio che s'appiccicano -alla lingua in quella prima età, difficilmente si perdono avanzando -negli anni, fuorchè dai pochissimi che si dedicano particolarmente -alle lettere; perchè coll'età cresce a mano a mano l'amor proprio, la -pretensione, il timore, in chi potrebbe correggere, che la correzione -venga presa in mala parte; e così accade che i giovanetti di quindici -o di sedici anni parlano poco meno barbaramente di quelli di otto o di -dieci. - -Ecco, per esempio, un saggio dell'Italiano che si parla generalmente -nell'Italia settentrionale, non solo dai bambini, ma anco dagli adulti: - -«Ho veduto Tizio, e _ci_ dissi che _alla sera_, in casa, noi -giuochiamo, e che _saressimo_ contenti che non ci mancasse nè _egli_, -nè suo fratello. _Ci_ dissi che i libri che m'aveva imprestati mi -_hanno piaciuto_, e gliene _chiamai_ degli altri, particolarmente -quello dell'X, stampato _del_ 1873, che è il romanzo _il_ più bello -che si possa immaginare. Lo ebbi, se non _mi sbaglio_, tre anni fa, lo -lessi d'un fiato, ed _ho ritornato_ a leggerlo, ecc.» - -E non c'è che dire, si sentono buttar giù questi spropositi anche da -persone coltissime, le quali arrossiscono quando, per caso, si lasciano -sfuggire errori assai meno gravi nel parlare francese. - -Ma tornando ai bambini, ecco alcuni vocaboli e modi, che si riferiscono -a loro, e che sono una prova di più del gran giovamento che si può -ricavare dallo spoglio del vocabolario; facendo il quale si finisce col -trovarsi fra le mani un altro vocabolario bell'e fatto, che colma quasi -tutte le lacune della nostra mente. - - GIOCARE A TAMBURELLO. — Tamburello è quel piccolo cerchio, nel quale - è imbulettata una pelle ben tirata, e che serve per giuocare alla - palla. - - GIOCARE A RIMPIATTINO, A RIMPIATTARELLI. — Gioco nel quale uno si - rimpiatta e gli altri debbon trovarlo. - - GIOCARE A RIPIGLINO. — Gioco così detto dal ripigliar col dorso - della mano i noccioli o piccole monete che si sono tirate - all'aria. È pure un altro gioco che si fa in due, avvolgendosi - nelle mani del filo, e ripigliandolo l'un dall'altro in varie - figure. - - GIOCARE A GUANCIALE D'ORO. — Gioco in cui uno posa il capo in - grembo all'altro che siede, e questi gli chiude gli occhi in modo - che non possa vedere chi sia colui che lo percosse in una mano - ch'egli tiene dietro sopra le reni, dovendolo egli indovinare. - - GIOCARE A SCALDAMANE. — Gioco che si fa accordandosi in più a porre - le mani a vicenda l'una sopra l'altra, posata la prima sopra un - piano, e traendo poi quella di sotto, ecc. - - GIOCARE A TOCCAPOMA. — Gioco in cui alcuni ragazzi si pongono - appoggiati o a cantonate o ad alberi che siano attorno, e uno - di essi resta nel mezzo. Quegli che sono agli alberi o cantonate - cercano di mutar posto senza lasciarsi pigliare da colui che è in - mezzo a quest'effetto, ecc. - - GIOCARE A SCARICABARILI. — Gioco che si fa da due soli, i quali si - volgono le spalle l'un l'altro, e intricate scambievolmente le - braccia, s'alzano a vicenda. - - GIOCAR DI PEDINA. — Premersi coi piedi sotto la tavola. - - GIOCARE A NOCINO. — Gioco nel quale si fanno alcune castelline di - noci, quanti sono i giocatori, e ciascuno tira verso quelle con - una noce che si chiama bocco. Quante castelline butta giù il - tiratore, tante ne vince. - - FARE ALLE COMARUCCIE. — Gioco che si fa con un fantoccio, fingendo - che una delle bambine l'abbia messo al mondo; la quale bambina - riceve le visite, e fa le altre cerimonie delle puerpere. - - FARE A PAPPACECI. — Gioco dei fanciulli quando tirano fichi od altro - all'aria e li ricevono colla bocca. - - FARE A GINOCCHINO. — Dicesi di due che essendo accanto si urtano - l'un l'altro col ginocchio. Questo modo però, come l'altro - _giocar di pedina_, si usa di preferenza parlandosi d'un uomo e - d'una donna. - - FARE LE TENEBRE. — Il battere che suol farsi con mazze sulle panche - delle chiese per gli uffici della settimana santa. - - FARE LE BIZZE, FARE LE FURIE. — Si dice dei ragazzi, ed è chiaro. - - FAR GREPPO. — Quel raggrinzare la bocca che fanno i bambini quando - vogliono cominciare a piangere. - - SBATACCHIARSI. — Si dice (oltre che per atti di dolore disperato) - dei bambini quando fanno le furie. - - SMOCCICARE. — Mandar fuora i mocci; il che fanno spesso i bambini - quando piangono. Al qual proposito è da notarsi il modo: _Tirar - su_, che dicesi dell'aspirare fortemente col naso per impedire - che colino i mocci; onde il motto che suol dirsi ai bambini - quando lo fanno: _Tira su e serba a Pasqua._ - - AVER LA LUCIA. — Lo dicono in Firenze ai bambini quando la sera, dal - sonno, non possono tenere gli occhi aperti. - - FARE I LUCCICONI. — Si dicono lucciconi quelle grosse lagrime che - ci cadono dagli occhi per qualche improvvisa cagione di dolore, - e che quasi si vorrebbero celare. - - FARE LE COCCHE. — Battere una mano aperta sull'altra serrata per - segno di beffa. - - FARE UN MANICHETTO. — Si dice di mettere una mano nella snodatura - dell'altro braccio piegandolo all'insù, che è atto di sdegno e - d'ingiuria. - - DARE IL CONGONE. — Atto di scherno che si fa battendo i pugni - chiusi, o coi polpastrelli delle dita raccolti insieme, le gote - gonfiate a questo fine. - - DARE UN LECCHINO. — Lo dicono i ragazzi per quell'atto di dispregio, - che si fa mettendosi un dito in bocca, e poi, così bagnato di - saliva, battendolo sul viso dell'altro. - - FARE IL LINGUINO. — Mostrare la punta della lingua tenendola stretta - fra le labbra; atto che ha differenti significati secondo che è - fatto da bambini o da adulti. - - SONARE LA FURFANTINA. — La furfantina è un concerto di fischi, - urli e varii suoni fatti con la bocca, che si fa dai ragazzi per - ischerno d'alcuno. - - FARE LA SASSAIUOLA. — Sassaiuola, battaglia coi sassi, e il - trarre più persone dei sassi contro alcuno. Es.: _Quei - maledetti ragazzi, appena lo videro, gli cominciarono a fare la - sassaiuola._ - - MARINARE LA SCUOLA. — Non andarvi. - - BUCARE LA SCUOLA. — Sottrarsi con accortezza al dovere d'andarvi. - - BATTERE LE GAZZETTE. — Avere gran freddo. - - PORTARE A CAVALLUCCIO. — Portare altrui sulle spalle con una gamba - di qua e una di là del collo. - - PORTARE A PREDELLINO. — Si dice quando due, intrecciate fra loro le - mani, portano un terzo che ci si mette su a sedere. - - PORTARE A BARELLA. — Dicono i fanciulli del prender uno per le - braccia e per le gambe e così portarlo da luogo a luogo. - - SCENDERE A SCORTICACULO. — Scendere strascinandosi sul deretano. - - ALZARE DI SOPPESO UN BAMBINO. — Alzarlo con la sola forza delle - braccia. - - FARE GAMBETTA. — Attraversare un piede tra le gambe d'un altro - mentre cammina o s'agita, per farlo cadere. - - DORMIRE A GOMITELLO. — Dormire stando a sedere dinanzi a un tavolino - col capo appoggiato sul gomito. - - FARE IL PIZZICORINO. — Fare il sollecito. - - PRENDERE PER IL GANASCINO. — Stringere la gota tra l'indice e il - medio piegato indietro. - - DARE I MONNINI (concettini). — Si dice di chi parlando con alcuno - lo mette al punto di dir parola che rimi con un'altra da dover - a quel tale dispiacere: come chi disse a quel chierico: — _Non - fu mai gelatina senza_.... e qui si fermò; e il chierico subito - disse, per mostrar che sapeva la sentenza: _senza alloro_: e - l'altro ribattè: — _Voi siete il maggior bue che vada in coro._ - - FARE IL GROPPO O METTERE IL TETTO. — Si dice di un ragazzo che ha - finito di crescere; del quale suol dirsi pure con dispetto: _non - cresce nè crepa_. - - FIGLIUOL DI GRAZIA, FIGLIUOL DI VEZZI. — Si dice il bambino - prediletto della famiglia. - - TROTTOLINO. — Dicesi di bambino che va a piccoli e presti passi. - - GNAULINO. — Dicesi per scherzo d'un bambino piccolo. Es.: _Ha un par - di gnaulini che non le danno un momento di bene._ Da _gnaulare_ - (miagolare), che si dice pure del piangere dei bambini. - _Frignare_ significa piangere interrottamente sforzandosi di - rattenersi. - - UN SACCHETTINO DI VIZII. — (Chiaro). - - MALESTRO. — Parola di cui tutte le madri hanno bisogno, alla - quale sostituiscono malamente _monelleria_, _scappatella_, ecc. - _Malestro_ si dice qualunque danno facciano per casa i ragazzi, - come romper piatti, bicchieri e simili. Es.: _Ragazzi, badate di - non far malestri._ (F.) - - NINNARE. — Canterellare per fare addormentare i bambini cullandoli. - Dice il Giusti: - - E lo accostava, al seno e lo ninnava - Con baci e baci come fosse suo. - - SPOPPARE. — Levar la poppa ai bambini, disusarli dal latte; onde si - dice _bambino spoppato_, _ecc._ - -A proposito del linguaggio dei bambini, occorre un'osservazione -sull'uso che si fa dei diminutivi in Toscana. È opinione di molti che -se ne faccia un uso eccessivo, per il che suol dirsi che i Toscani -parlano un italiano fiacco e sdolcinato. Nulla di più falso, a mio -parere, perchè rarissimamente, in Toscana, si sente usare un diminutivo -che non sia giustificato dalla modificazione ch'esso porta al senso -della cosa espressa. È superfluo notare la differenza che corre tra -_bellino_ e _bello_, poichè tutti sanno che _bello_ corrisponde a -_beau_ e _bellino_ a _joli_, e nessuno ignora il differente significato -di queste due parole. Ma si osservino i seguenti esempi. In Toscana, si -dice che una donna ha _giudizio_, e che una bambina ha un _giudizino_ -da far meravigliare. Si dice che una donna, una bottegaia, per -esempio, ha una _manierina_ che piace. Si dice che una bimba ha le -sue _malizine_. Si dice che la madre è tutta _pensieri_ per la sua -figliuoletta, e che la figliuoletta è tutta _pensierini_ per sua -madre. Si dice che una donna è sempre _ravviata_, _ravversata_ e che -i suoi bimbi sono sempre _ravviatini_, _ravversatini_. Una mamma dice -al suo bimbo il quale pretende ch'essa, gli porga qualche cosa: — -_Allunga il santo manino e pigliatela da te_, ecc. Si vede da questi -esempi che i diminutivi non sono adoperati a casaccio. Lo stesso può -dirsi dei peggiorativi che non solo modificano il senso, ma qualche -volta lo cambiano affatto. _Quell'uomo_, si dice, ha _delle idee_: -_giovatevene_: _quell'altro ha delle ideaccie_: _guardatevene_. Si dice -_mettere uno a un puntaccio_; e si sottintende: di fare uno sproposito; -_fare una partaccia a uno_, ossia caricarlo di male parole; _fare -un'azionaccia_, ossia una bricconata; _avere delle praticaccie_, ossia -di donne perdute, che sono _robaccia_; _fare una levataccia_, ossia -levarsi per tempissimo, ecc. Bella novità! — mi diranno molti italiani -settentrionali che studiano la lingua; — tutti questi vocaboli, tutti -questi modi di dire li sapevamo. — Tanto meglio; ma non li dite mai, -non li scrivete mai, non vi suonan mai nella testa quando li potreste -scrivere o dire; e in fatto di lingua, tutto quello che non viene sulle -labbra o sulla penna, non si sa. Ma dunque, mi si domanderà, come s'ha -da fare per rendersi famigliari tutti questi vocaboli e questi modi? Ci -sono molti mezzi. Si notano, si adoprano nelle lettere agli amici, si -usano esprimendo a noi stessi i nostri pensieri, si fa il proponimento -di usarli parlando coll'uno o coll'altro di quelle determinate cose, -si masticano, si mandan giù, si rimestano, si fatica, in una parola, -per imparare l'italiano, almeno almeno come si fatica per imparare il -francese. - - * - * * - -E poichè ho accennato a una lingua straniera, cade qui a proposito -un'altra osservazione. Da qualche anno in qua lo studio delle lingue -straniere è diventato comunissimo in Italia. Un gran numero di -giovani dei due sessi, e di tutte le classi sociali, si sono dati, -per _completare la loro istruzione_, allo studio della lingua inglese -e della lingua tedesca. (Non parlo della francese perchè si può dir -quasi necessaria, come non parlo di coloro che studiano quelle altre -lingue per necessità). Or bene io mi domando se questo studio dà, nella -massima parte dei casi, un frutto corrispondente alla fatica che costa; -un frutto cioè, che equivalga a quello che si ricaverebbe da uno studio -della lingua propria fatto in egual tempo e colla medesima alacrità. - -Ne dubito. - -Prima di tutto, non potendo o non volendo la maggior parte di coloro -che studiano quelle lingue, studiarle scientificamente, questo studio -si riduce per essi a una pura fatica della memoria, a un esercizio di -pazienza, a uno sgobbo scolaresco, che giova pochissimo all'ingegno, -per non dire che lo mortifica e che lo rintuzza. Poi c'è un argomento -di fatto che vale più d'ogni altro contro questi studî; ed è che di -trenta persone che cominciano a studiare, per esempio, il tedesco, -quindici si scoraggiscono e smettono in capo a un anno o a sei mesi; -cinque l'imparano, e lo dimenticano poi, in tutto o in parte, perchè -le vicende della loro vita li costringono a trascurarlo; altri cinque -non lo dimenticano, ma non hanno occasione di servirsene utilmente, o -perchè non possono viaggiare, o perchè non hanno tempo e attitudine a -fare altri studî di cui la lingua per sè stessa non è che la chiave; e -degli ultimi cinque infine, ce ne saranno tutt'al più tre che giungono -a possedere questa lingua in maniera da poter gustare (gustare, -intendiamoci, non capire soltanto) i buoni autori tedeschi. Perchè io -comprendo come a un medico, a un fisico, a un ufficiale (e sottintendo -i dotti di professione), metta conto di studiar tanto il tedesco da -riuscire a comprendere ciascuno i libri della sua scienza, perchè di -questa lingua a loro non occorre di conoscere che una parte, ossia -non più di quanto è necessario per afferrare il senso dei loro libri -speciali, e a ciò possono pervenire in breve tempo. Ma è tutt'altra -cosa per un giovane che voglia imparare quella od altre lingue, come -suol dirsi, per ornamento, il che gl'impone l'obbligo di farne uno -studio vasto e profondo, in modo da riuscire a godere tutte le bellezze -riposte, a sentire tutte le armonie, a toccare, per dir così, tutte le -fibre della poesia del Goethe, dell'Heine, dello Shakspeare! E quanti -sono quelli che dicono di toccarle, e leggono poi di soppiatto le -versioni del Maffei e dello Zendrini, e non godono veramente Shakspeare -che nei versi del Carcano! - -Credo una gran verità che non si possa dire esservi in un paese vera -coltura se non ci fioriscono gli studî filologici; ma ha da essere lo -studio della filologia, ossia la vera e buona scienza di pochi od anche -di molti; non una manía universale di legger male e di balbettar peggio -tre o quattro lingue straniere. - -Invece di faticar tante ore a inchiodarsi nel cervello migliaia di -radicali e di frasi esotiche, imparate le quali, il pensiero straniero -si presenta pur sempre velato alla loro intelligenza, quanto sarebbe -meglio che molti giovani si consacrassero allo studio amoroso e -costante della propria lingua! Può essere una soddisfazione il saper -sostenere, tiranneggiando il proprio pensiero, una conversazione di -mezz'ora con una persona nata cinquecento miglia lontano da noi; ma -è certo una soddisfazione più intima il saper trovare ogni momento, -parlando la lingua materna, una formola evidente e gentile in cui il -proprio pensiero s'adatti e risplenda come una gemma nell'anello; il -poter rendere e stampare nell'anima altrui le più tenui sfumature dei -nostri sentimenti; vedere il volto d'una persona che s'ama rispondere -via via con una gradazione più viva di roseo ad ogni nostra espressione -che giunga più dritta al cuore e lo rimescoli più addentro con una -punta più delicata; rivelare a persone sconosciute, con poche parole -fuggitive, il nostro grado di cultura; colorire e illuminare tutte le -nostre idee; e infine essere italiani di lingua come s'è italiani di -cuore. - - * - * * - -Questi saggi d'appunti intorno al _mangiare_, al _commercio_, al -_parlare_, ai _ritratti_, ai _bambini_, possono dare un'idea di quanto -si sarà acquistato nello studio della lingua quando si sia fatto -altrettanto riguardo a una trentina d'altri soggetti, intorno ai -quali si può raggruppare, man mano che si procede nella lettura del -vocabolario, la maggior parte di quello che si nota. Per conto mio non -conosco mezzo più spiccio, nè più facile, nè più profittevole. - - - - -UNA PAROLA NUOVA - - -Tocchiamo di volo, con un esempio, la molto agitata questione delle -parole nuove. - -Scrivendo intorno a un paese dell'Europa settentrionale, dove l'arte -dello scivolare sul ghiaccio è in grandissima voga, dovevo parlare -molto minutamente di quest'arte, e non vedevo modo di parlarne -senz'adoperare la parola _patinare_ e le sue derivate, che non si -trovavano allora in alcun vocabolario italiano[1]; e mi peritavo ad -adoperarle, prevedendo che i puristi, ed anco i non puristi, i quali -qualche volta sono assai più pedanti, m'avrebbero dato sulle dita. -Prima di mettere sulla carta quelle terribili parole, mi rivolsi a un -linguista rigorosissimo, di quelli a cui un _lui_ messo invece d'un -_egli_ manda a male il desinare, e gli domandai con umili parole il suo -parere. - - [1] Il nuovo vocabolario dell'uso del Fanfani e del Rigattini ha la - parola _patinare_. - -— Non ci può esser dubbio, — mi rispose, — _patinare_ è una parola -barbara; bisogna scrivere _sdrucciolare_. - -— In teoria — dissi, — consento; ma nel caso pratico.... Per esempio, -scriverebbe ella che un contadino olandese _sdrucciolò dall'Aja ad -Amsterdam_ e che uno studente di Leida _sdrucciolò per tre ore di -seguito_? - -— E perchè no? mi domandò il linguista con accento severo. - -— Le citerò degli altri esempî, — continuai; — direbbe ella in una -conversazione che una certa signora _sdrucciola_, che ha l'_abitudine -di sdrucciolare_, che _sdrucciolò molte volte nello scorso carnevale_? - -Il linguista strinse le labbra e rimase sopra pensiero. - -— Vede, — io ripresi, — che ne potrebbero nascere delle conseguenze -spiacevoli. Ma lasciamo pur da parte questi esempi a doppia faccia. Io -le voglio fare un breve ragionamento. A Torino e a Milano moltissime -signore _patinano_, e la maggior parte di esse tengono conversazione; -e nelle loro conversazioni si parla di _patinamento_, usando le parole -_patino_, _patinatrice_, _patinatore_. Orbene, risponda alla mia -domanda, e sia franco. Dovendo fare in una di queste conversazioni un -complimento alla padrona di casa ch'ella avesse visita _patinare_ il -giorno prima, di quale parola si servirebbe? Intendo un complimento a -voce, in presenza di molta gente, badi bene. - -Il linguista esitò un momento e poi disse: - -— Certo che.... se io dicessi _brava sdrucciolatrice_.... anche rimossa -ogni idea d'equivoco.... quei signori.... e forse anche la signora.... -si metterebbero a ridere; ma, caro signor mio, qui si tratta di -scrivere e non di parlare! - -— Ma che Dio la benedica, caro signor linguista, — io esclamai; — ma -per chi si scrive, dunque? e che altro è lo scrivere che un parlare -colla penna? e perchè una parola non deve essere più quella quando è -messa sulla carta? Veda, nessuno mi leva dalla testa che sia appunto -questo falso concetto delle due lingue, la parlata e la scritta, la -cagione principalissima della _poca leggibilità_ dei libri italiani. -Faccia la prova lei che parla perfettamente la così detta _lingua -povera_. Apra un qualunque buon libro francese, legga supponendo di -parlare in una conversazione di gente colta e senza pedanteria, e vedrà -che rarissimamente le occorrerà una parola o un'espressione che strida -colla naturale e logica semplicità del linguaggio parlato. Pigli un -libro italiano anche dei meglio scritti, e se supporrà di dire ella -stessa quello che legge, dovrà arrossire ogni momento. Guardi, apro a -caso il primo libro che mi vien sotto le mani, è un romanzo: — _Quando -primamente si guardò nello specchio...._ Oserebbe ella dire in una -conversazione: _quando primamente mi guardai nello specchio_, invece -di dire la _prima volta_? Apro un altro libro, una novella: — _Deposi -sulla tomba dei miei genitori una semplicetta corona di fiori._ Crede -ella che ci sia mai stato un orfano in Italia che abbia espresso quel -pensiero servendosi della parola _semplicetta_ in quella maniera? Un -altro libro, un racconto: — _La leggiadra e innamorata fanciulla...._ -Crede ella che ci sia mai stato un italiano ragionevole il quale abbia -una volta sola in vita sua, altro che per ischerzo, dette quelle tre -parole in quell'ordine? - -— No, — rispose il linguista; — ma.... - -— Ma, — ripresi io, — che cos'è dunque questo arsenale di frasi e -di parole che non si possono dire senza far ridere e che si scrivono -nelle scritture più famigliari, come se passando dalle labbra sotto -la penna, cambiassero senso, suono, natura? E viceversa che cosa sono -tutte queste parole che tutti dicono, che tutti capiscono, che tutti -sono costretti a usare, e a cui nessuno può sostituirne dell'altre -senza farsi canzonare, e che malgrado ciò, secondo lei, secondo mille -altri, non si debbono scrivere? Ella mi potrà dire, a proposito del -_patinare_, che questa parola si dice nell'Italia settentrionale ma non -in Toscana; e io le rispondo che non è colpa dell'Italia settentrionale -se nella Toscana non si _patina_, primo; e secondo, che sono disposto a -scommettere cento contr'uno che in nessuna città di Toscana, in nessuna -conversazione, nessunissima persona domanderebbe mai a un Torinese -o a un Milanese se quest'anno, per esempio, si è _sdrucciolato_ o -_scivolato_ al Valentino o nell'Arena, ma domanderebbero tutti se si -è _patinato_; e quelli che ignorano questa parola, dopo averla intesa -per la prima volta, l'adopererebbero costantemente per la semplice e -indiscutibile ragione che è necessaria. - -Il linguista stette un po' pensando e poi disse: - -— Eppure.... un'altra parola ci deve essere. Il Bentivoglio, nella sua -_Storia della guerra di Fiandra_, parla di quest'arte di sdrucciolare -sul ghiaccio. Si ricorda ella della parola che usa? - -— Me ne ricordo, caro signor mio. Non adopera veramente nessun verbo -che si possa sostituire al _patinare_, perchè tocca la cosa di volo, e -toccando una cosa di volo si può sempre esprimersi con una perifrasi. -Ma sa ella come se la cava l'eminentissimo cardinale per indicare -i _patini_? Gli Olandesi, scrive, si mettono ai piedi _certe, dirò -così, ali_! Pare a lei un'azione da galantuomo il chiamare _ali_ degli -zoccoli? - -— Ebbene... adoperi la parola _patinare_ in carattere corsivo. - -— Così fece il Giusti, risposi. Ma quest'uso di scrivere le parole -in corsivo non mi va; mi pare una transazione puerile; eccetto che -la parola così scritta non debba essere adoperata che una volta sola. -Seguendo quest'uso si verrebbe a poco a poco a veder dei libri stampati -metà in corsivo e metà no, e ad avere una lingua doppia, bastarda, -ridicola. Che significa il corsivo? Che riprovate la parola. Se la -riprovate perchè l'usate? Perchè non ce n'è altra. E se non ce n'è -altra, perchè riprovate quella? - -La conversazione non terminò qui; ma non approdò a nulla perchè il -linguista non ebbe il coraggio di dare il suo consenso assoluto alla -parola _patinare_. Allora mi rivolsi a uno scrittore e parlatore -elegantissimo, — un uomo che il Giusti diceva _pieno zeppo d'ingegno_ -e del quale il Manzoni faceva grandissimo conto in materia di lingua, -— e questo signore ebbe la bontà di scrivermi la lettera che segue: - -«E il suo _patiner_? Ella ha senza dubbio preso a quest'ora il suo -partito, e io mi sarei trovato molto impicciato a suggerirgliene -uno. Che vuole! Il bimbo si battezza dove nasce, e poi gira il mondo -portando attorno per tutto il suo nome. Così le cose che a noi vengon -di fuori ci vengono col nome che hanno, e la parola che è stata per -noi il mezzo di cognizione, il più delle volte rimane. Per questo non -c'è la minima difficoltà in nessuna parte del mondo, e _consommé_, -per dirne una, è parola di tutte le lingue, che si dice a Londra e a -Pietroburgo come a Parigi. Noi italiani facciamo prima le boccacce e -ci proviamo chi in un modo e chi nell'altro a tenere indietro queste -parole forestiere, e a peggio andare, per non usare la parola scansiamo -di nominare la cosa. Ma le sono ubbie queste, e i fatti son fatti, e -sono all'ultimo i padroni del mondo. La conclusione è che noi abbiamo -dato agli altri le parole finchè abbiamo dato le cose. Ma ora che di -maestri siamo diventati discepoli, invece di dare prendiamo, e questo -è sempre meglio che nulla. Io direi dunque _patinare_ essendo questo -il solo modo di dire la cosa. Non volendo passare sotto queste forche, -uno scrittore ha sempre modo di uscirne. Si descrive, si definisce -invece di nominare. Si pigliano vocaboli che hanno un senso affine, -e con qualche aggiunto, o colla loro collocazione, si fa tanto che -il lettore capisce quello che s'è voluto dire; ma capisce insieme che -la parola venuta alla bocca non era quella, e che l'autore ha dovuto -stillarsi il cervello per trovarne un'altra, la quale sarà in ogni -caso una traduzione più o meno felice della prima, che un altro rifarà -poi a suo modo, più o meno felicemente; cosicchè invece d'aver un modo -spiccio, sicuro, comune, se n'avrà molti, anzi nessuno, perchè i molti -e il nessuno son pure sinonimi quando si parla di lingua.» - -Dunque? Dunque io direi d'aver sempre presenti, in fatto di lingua, -questi due detti: uno del Leopardi, l'altro del Giusti. - -Il Leopardi, domandato da suo fratello Carlo se una certa parola, -che non si trovava nei buoni autori, si potesse usare: — _È vero_, -— rispose, — _che i buoni scrittori non l'hanno usata; ma non hanno -nemmeno lasciato per testamento che non si potesse usare_. - -E il Giusti, a proposito di _diligenza_, parola francese, che, a suo -avviso, aspettava cittadinanza dalla Crusca e la doveva ottenere perchè -il - - cambio delle voci - Fra gente e gente, come l'ombra al corpo, - Tien dietro al cambio delle cose umane - -disse: - - Nè straniero vocabolo corrompe - L'intrinseca virtù d'una favella - Quando lo stile riman paesano. - -Ammessa questa massima, ci sarebbe da divertirsi a raccogliere tutte le -espressioni e i vocaboli ricercati e ridicoli che usarono gli scrittori -troppo teneri della purità per scansare le frasi e le parole nuove. -Per esempio il Tommaseo esprime l'idea della giustezza, o come si dice -militarmente, della precisione del tiro delle artiglierie, dicendo -che _i cannoni con dottamente computato émpito mandano la strage nelle -mura merlate_. L'Ugolini suggerisce di dire _viene da ornarsi_, _sta ad -ornarsi_, _vado ad ornarmi_, invece di viene dalla toeletta, sta alla -toeletta, va a far toeletta. Ma, signor Ugolini, io gli vorrei dire se -avessi l'onore di conoscerlo, mi può ella giurare che se una signora -di sua conoscenza dicesse a lei: — m'aspetti un momento, _vado ad -ornarmi_, — ella non dovrebbe fare un leggiero sforzo per trattenersi -dal ridere? — Così un dotto, ma troppo tenace purista, voleva che in -scritti destinati principalmente ai soldati, io scrivessi _drappello_ -invece di _plotone_, _berretto_ invece di _cheppì_, _fiaschetta_ -invece di _borraccia_. Ma se non posso — io badavo a rispondergli; — -perchè il plotone non è un drappello, il berretto non è un cheppì, la -borraccia non è una fiaschetta; — e se adopero una parola per l'altra, -non mi capiscono più. — Non importa, — avrebbe voluto rispondermi; -ma non osava, e non volendo d'altra parte rendersi complice dei miei -barbarismi, si stringeva nelle spalle e mi lasciava nelle peste. - -O Dio buono! Altro è dire in un vocabolario, in un trattato, in un -elenco di modi errati, questa parola non va e questa frase è barbara; -altro è dover esprimere quella tal cosa in una commedia, in una -novella, in un qualunque scritto destinato al pubblico, dove una -perifrasi sciupa una bella idea, un'espressione non immediatamente -compresa manda a male un dialogo, una parola affettata o vaga o -equivoca guasta tutta una descrizione. Per dare degli esempi di -difficoltà superate, si citano le prose di questo o di quello, che -trattano di storia, di letteratura, di morale, e si dice: — Trovateci -una parola o un modo impuro, se potete. — Non ci si trova, lo so -benissimo. Ma vorrei che questo e quello scrittore avessero raccontato -un viaggio in strada ferrata, descritto un salotto alla moda, riferita -una conversazione di signore, rappresentato un accampamento di soldati, -e scritto tutto questo con spontaneità, grazia ed efficacia, senza -farsi cogliere in fallo dai puristi: allora sì che mi rimetterei e -mi darei del bue. Ma dove sono i modelli di questo genere di scritti? -Andiamo, via; allarghiamo un po' la manica e facciamo a compatirci. - - - - -CONSIGLI - - - (_Risposta a un giovanetto_). - -.... Vi dirò quello che per mia esperienza ritengo utile; ma vi prego -di credere che non ho nessunissima pretensione d'insegnare. Voi, -probabilmente, vi sarete già formato un parere; io v'espongo il mio. Se -saremo d'accordo, tanto meglio; se vi parrà che io sbagli, darete una -scrollatina di spalle, e non ci terremo il broncio per questo. - -Il primo consiglio che vi darei sarebbe di far i bauli e di prendere -il treno di Firenze. Se potete far questo, non m'occorre di dirvi -altro per ora: vi riscriverò a Firenze. Ma se, com'è più probabile, -non potete, ecco ciò che io farei se fossi in voi. Prima di tutto mi -stamperei bene nella testa che lo studio della lingua è uno studio -che richiede molto tempo, molta pazienza e molta regolarità: mezz'ora -tutti i giorni giova più che due giorni interi ogni due settimane. -E farei e cercherei di mantenere i seguenti propositi: — Parlare il -meno possibile il mio dialetto. — Parlando italiano, parlar sempre -con cura, sorvegliare sempre me stesso, e purgare il mio linguaggio di -tutti i _grossi errori di grammatica e di proprietà_, non _avvertiti_, -che sfuggono nella maggior parte d'Italia a _quasi tutte le persone -colte_. — Terzo, correggere e perfezionare la mia pronunzia: il che -può far benissimo un italiano di qualunque provincia, senza cadere -nell'affettazione e senza riuscir ridicolo, purchè lo faccia a poco -a poco e non lasciando apparire lo sforzo. — Per riuscire a _scriver -bene_ non mi pare che ci sia mezzo migliore che quello di cominciare -a _parlar bene_, poichè se è vero che lo _scrivere_ è un _parlare -pensato_, chi parla bene non avrà più, pensando per scrivere, che -da perfezionare, mentre chi parla male, dovrà far doppio lavoro: -ossia evitar di scrivere gli spropositi che gli escono abitualmente -dalla bocca, e poi con un secondo sforzo della mente, fare quello -che l'altro fa alla prima. Ora, non capisco come si possa riuscire a -parlar bene senza pronunziar bene, poichè mi pare che qualunque più -bella espressione italiana perda della sua efficacia se è pronunziata -coll'accento e i suoni del dialetto; e la perde non solo per chi -ascolta, ma anche per chi parla. - -Dopo questo farei una volta per sempre la fatica di leggere e di -annotare tutto il _vocabolario_, e lascerei che i grulli ridessero -di questa _pedanteria_. L'ha fatta il Manzoni, l'ha fatta il Grossi, -l'ha fatta Teofilo Gautier, il più colorito e più ricco scrittore -della Francia; e non erano pedanti. Farei così: raggrupperei tutti -i vocaboli e modi notati nel vocabolario intorno a un certo numero -di argomenti: per esempio, campagna, arte, industria, morale, -architettura, vestiario, movimento, affari, affetti, ecc.; e intorno a -ognuno di questi argomenti raccoglierei poi a mano a mano tutto quello -che mi verrebbe fatto di notare nei libri. Un quaderno dunque! Uno -sgobbo da scolaretto! E sia pure. Capisco che molti ridono di queste -cose, e dicono che bisogna studiare in una maniera più _larga_. Ma -mi consolerei pensando che in questa maniera _stretta_ studiarono la -lingua il Monti, il Foscolo, il Leopardi, il Giusti, il Guerrazzi; -che, poveretti, credevano ancora ai _quaderni_. Ma che norma seguire -nell'annotare e nello scegliere? Non lo so dire. In certe cose non -si possono dar consigli. Io sceglierei ciò che mi bisogna e ciò che -mi piace. Vi son parole e modi _antipatici_ a uno, _simpatici_ a -un altro. Chi li trova antipatici non li adopera mai quand'anche li -veda adoperati da tutti. È dunque inutile che li noti e li ritenga -a mente. Per esempio, vi sono degli scrittori che per cento lire non -scriverebbero _ad ogni piè sospinto_. Ma è italiano! direte. Lo so, — -vi rispondono; — ma lo detesto. — Il gusto deve andare innanzi a tutto. -Quindi in questo lavoro di scegliere vocaboli e modi, ciascuno deve -fare quello che gli pare. Se fa male, ossia contro il gusto dei più, -peggio per lui; non c'è altro da dire. - -Dopo il vocabolario, i libri. Io leggerei quasi esclusivamente libri -toscani, anche quei di poco o nessun valore per la sostanza, perchè -in un libro scritto da un toscano c'è sempre, in fatto di lingua, -qualche cosa da imparare; intendo di dire qualcosa di _speciale_, -come diceva il Grossi, di _vivo_, che non si trova negli scritti più -forbiti degli altri italiani. Tra questi libri toscani, ne sceglierei -alcuni, od anche uno solo, da leggere ad alta voce o da farmi leggere -mezz'ora tutti i giorni. Conosco un tale che scelse l'epistolario del -Giusti. Ci sono molte affettazioni, molte _smorfie_; v'è in qualche -punto la caricatura della naturalezza; v'è spinto sovente fino -all'eccesso quello ch'egli chiamava il _parlare da serve_ o parlare -alla _casalinga_, il contrario di quello definito da lui: — parlare -tirato _a chiaro d'ovo di grammatica e di vocabolario_. — Ma è tanto -ricco, tanto sciolto! v'è un fare così da padrone che, a studiarlo -con discernimento, ci si può imparare più che in cento altri libri -inappuntabili. Ma bisogna tempestarci su molto tempo, — anni ed anni, — -ogni giorno un po'; — bisogna digerirlo e ridigerirlo; — empirsene la -testa e gli orecchi in modo che tutti i momenti, a tutti i propositi, -ci vengano alla memoria e sulle labbra quei modi, quei suoni, quei -periodi. E questo si può dire di tutti gli altri libri. Leggerne -pochi, ma con infaticabile perseveranza, fin che vengano a noia; fin -che, lasciando cader gli occhi sopra una pagina qualunque la memoria -precorra lo sguardo, e torni quasi inutile proseguire la lettura. -E studiare a memoria molto e ridire ad alta voce le cose studiate, -_fin che s'è molto giovani_, come scrisse Giacomo Zanella; perchè a -una certa età questa fatica si può continuare a farla se si è sempre -fatta; ma non si comincia a fare _a caso vergine_; e chi non possiede -una buona quantità di lingua prima dei venticinque anni, è raro che -l'acquisti dopo. - -Il difficile è il ritenere, l'appropriarsi così intimamente i vocaboli -e i modi che si vanno via via notando, da averli poi pronti, spontanei -quando si parla o si scrive. Per ottenere questo ci vuole una certa -industria. Conosco uno che oltre al notare parole e modi nel suo -gran quaderno a colonne, li scriveva, via via che gli occorrevano, -sul margine dei libri, sulle buste delle lettere, sulle assicelle -degli scaffali, sulle porte, sui muri, sui giornali; tanto che nella -stanza dove studiava, in qualunque punto fissasse gli occhi, vedeva -una nota e se la rinfrescava così nella memoria. E qualunque parola o -modo notasse, lo riferiva immediatamente, nel suo pensiero, a qualche -persona o cosa che gli occorresse di vedere o di fare abitualmente -nella giornata. Legava ogni parola a un'immagine, ogni frase ad un -fatto, e se ne serviva il più presto possibile in una lettera o in una -conversazione per istamparsela in mente, per mettervi, in certo modo, -il suo suggello, per impiegarla subito nella sua casa. E dedicava ogni -giorno una mezz'ora a rimestare, a combinare, a logorare, sto per dire, -le sue note. Si formava coll'immaginazione un personaggio qualunque e -scriveva di lui, per esempio, una tiritera come questa: — mi pareva un -galantuomo; feci _fondamento sopra di lui_, e non credevo di _fidarmi -sul vento_; oltrechè mi parve che fosse un uomo _di ricapito_, benchè -sapessi che era anche _un uomo dei suoi comodi_ o _dei suoi piaceri_. -Ma m'ingannai e alla prima occasione _mi girò sotto_. Gli scopersi -mille difetti. Prima di tutto è avaro; _ha il granchio alla borsa, -ha la gotta alle mani, paga colle gomita, sta sul tirato, vive a -stecchetto_; ma è pure ambizioso, e _camperebbe con uno stecco unto_ -per _scialare fuori di casa_, ecc. Accortosi che l'avevo _preso in -tasca, si ruppe con me_, me _l'ha giurata addosso, è nero con me, ha il -sangue guasto con me, s'è guastato con me_, si _lava la bocca_ di me, -_gira largo_ quando mi vede, ecc., ecc. — Tutti questi modi, estratti -dalle sue note, combinava poi un altro giorno in un altro modo intorno -a un altro soggetto, e studiava a mente quello che aveva scritto. -Lo capisco; è una fatica uggiosa, non se ne tocca con mano il frutto -che dopo molto tempo, alle volte se ne riman quasi umiliati, sovente -si perde il coraggio. Ma bisogna perseverare, esser cocciuti, volere -_fermamente_ e a _qualunque costo_, e vien poi il giorno in cui s'è -contenti di non aver ceduto. Se non costasse lunghe e penose fatiche -l'imparare a scriver bene, i libri leggibili sarebbero più numerosi di -quello che sono. - -Scrivendo, però, io mi sforzerei di dimenticare tutte le mie note -e tutti i miei esercizi. Presa la penna in mano, non frugherei più -nella mia memoria. Quello che deve cader sulla carta, deve cader da -sè. Tutto ciò che è _cercato_ è quasi sempre _ricercato_. È inutile -tentar d'ingannare il lettore. Anche il lettore meno perspicace ha un -senso finissimo che lo avverte d'ogni menoma affettazione, e gli fa -discernere nettamente la parola e il modo scritto spontaneamente da -quello tirato fuori cogli uncini dai magazzini della memoria. Tutto ciò -che non vien sulle labbra parlando è difficile che venga a proposito -sulla punta della penna. Per questo ripeto che il migliore esercizio da -farsi per imparare ad _usar_ la lingua è quello di _parlare_. Parlando -s'ha sempre un giudice la cui fisonomia accusa involontariamente -con moti appena percettibili, ma di significazione non dubbia, tutte -le affettazioni, tutte le lungaggini, tutte le oscurità del vostro -linguaggio. Un _ascoltatore_ è il miglior maestro di semplicità, di -rapidità e d'efficacia. - -Resta la quistione delle parole nuove. Io direi che non mette conto -di parlarne. Fa bene a occuparsene, piuttosto di non far nulla, chi -non ha altro da fare. Quello che importa è che la frase, l'andamento, -il giro del periodo, _l'impasto_ della lingua sia italiano. La -quistione delle parole dubbie, ammesse da Caio, respinte da Tizio, è -un puro perditempo. Anzi, in queste cose, vi consiglierei di evitare -le discussioni. In fatto di lingua le discussioni non approdano per -lo più a nulla e non fanno che guastare il sangue, perchè in questa -materia (strano a dirsi) la gente più modesta ha un amor proprio -ombroso, ostinato, intrattabile. È impossibile, credo, trovare un -italiano, anche digiuno d'ogni studio di lingua, il quale in una -questione di parole si lasci persuadere da chi ne sa più di lui. Non -c'è usciere piemontese che non si creda in grado d'insegnare un po' -di _vero_ italiano a un accademico della Crusca, e voi non potete -immaginare quanti maestrucoli di villaggio danno di ciuco al Manzoni. -A che giovò per esempio, la discussione promossa dal _povero vecchio_, -come dicevano i suoi avversarî, sull'unificazione della lingua? -Abbiamo visto saltar su da tutte le parti dei linguaiuoli furiosi che -ripeterono per la centesima volta le loro vecchie ragioni, abbiamo -sentito dire molte impertinenze, siamo ricaduti fino agli occhi nei -vergognosissimi pettegolezzi comareschi dei tempi andati; e ognuno -è rimasto del proprio parere. La questione della lingua bisogna -risolverla colla _pratica_. Un buono e bel libro scritto secondo le -teorie del Manzoni, val più di cento discussioni. Ciascuno scriva -come crede che si debba scrivere, senza pretendere di dettar la legge -agli altri; il pubblico vedrà da sè dov'è la maggior evidenza, la -maggior grazia, la maggior ricchezza; e la miglior _teoria_ trionferà -a poco a poco, tacitamente, senza bisogno che ci pigliamo pei capelli. -Quello che importa sopra ogni cosa è di studiare tenendo sempre ferma -questa sacrosanta verità nella testa: — che senza molta fatica e molta -pazienza non si riesce a nulla in nessuna cosa; e che anche studiando -molto, lo studio della lingua è uno studio di tutta la vita, come tutti -gli altri studi; e che chi lo sberta come una _pedanteria_ che ammazza -l'ingegno, è un fiaccone che non ci s'è mai messo, o un corbello che -non l'ha mai capito. - - - - -IL VIVENTE LINGUAGGIO DELLA TOSCANA - - -I. - -Ho riletto in questi giorni il libro di Giambattista Giuliani -intitolato _Moralità e poesia del vivente linguaggio della Toscana_ -(Successori Lemonier, terza edizione); e ho riprovato la doppia -soddisfazione che dà ogni libro veramente bello e veramente utile. -Son certo che molti dei miei giovani lettori lo conoscono; ma dubito -che molti abbiano avuto la pazienza di postillarlo, di trascriverne i -tratti più notevoli, di ordinare le note, di spremerne il sugo in modo -da poter mettere il libro da parte colla sicurezza d'averne ricavato -il maggior vantaggio possibile. Per questo, credo che non riusciranno -inutili le pagine seguenti. Propongo, in somma, a quelli fra i lettori -che studiano con amore la lingua, di leggere, o rileggere, il libro del -Giuliani in compagnia d'uno che può risparmiar loro una parte della -fatica che avrebbero a durare per far quella lettura da soli e con -profitto. - -Questo libro è quasi tutto composto di discorsi, di frasi, di parole -raccolte dalla bocca di contadini e contadine delle varie provincie -toscane. Il Giuliani ci ha lavorato molti anni. Girò tutta la Toscana, -soggiornò nei villaggi e nelle borgate, s'affratellò coi campagnuoli, -ne studiò i lavori e i costumi, e a furia d'interrogare e di notare, -mise insieme il suo libro, che è una miniera di purissima lingua. E -non di lingua soltanto, perchè son contadini e contadine che parlano -d'agricoltura, delle loro famiglie, dei loro amori, delle loro -disgrazie; quindi c'è racconto, descrizione, affetto. Letto questo -libro, par di essere vissuti un anno in quelle beate valli _popolate -di case e d'oliveti_, e d'aver conosciuto quel buon popolo schietto -e cortese; e per molto tempo rimangono nella mente quei vignaiuoli, -quegli opranti, quei carrettieri, quei cacciatori, quelle fattoresse, -quei garzoni, quelle nonne, quelle spose, quelle ragazze, colle quali -s'è discorso alla sfuggita, come tanti personaggi di un romanzo. - -Io non credo che ci sia al mondo altro popolo contadinesco, — per -servirmi delle parole del Giuliani, — il quale parli una lingua così -gentile, così potente, così splendidamente poetica come quella parlata -dal popolo della campagna toscana. Certuni (non toscani, s'intende), -leggendo questo libro sono stati presi qua e là dal dubbio _che non -fosse tutta farina dei contadini_. — Certe idee, — dissero, — certe -frasi son troppo belle, troppo poetiche per dei contadini. — Io penso -invece che sono tanto poetiche e tanto belle da non poter sospettare -che siano di Giovanbattista Giuliani, per quanto egli abbia ingegno e -buon gusto. E dico il vero: se fossi sicuro che il racconto intitolato -_Tre vittime del lavoro_, compreso nel libro di cui parliamo, non -è stato scritto, quasi sotto dettatura della contadina _Teresa_ e -del pastore _Domenico Nesti_, ma steso per intero, e per sola forza -d'immaginazione, dal signor Giuliani, piglierei questa sera il treno -diretto di Firenze per andare ad abbracciare il degno abate e gridargli -ch'è il primo scrittore d'Italia; tanto io credo che quel meraviglioso -racconto sia al di sopra delle forze di qualunque ingegno, anche -toscano, e che la natura sola l'abbia potuto dettare. - -E poi giudicheranno i lettori, non di quel racconto, ma dell'altre -cose. Spigoleremo nel volume del signor Giuliani. Gran lavoro -davvero da riempirne le pagine d'un libro! Ma qui si tratta di -spigolare riordinando. Il ritenere le cose di lingua dipende in -gran parte dall'ordine col quale ci si presentano. Nel libro del -Giuliani, composto in gran parte in forma di vocabolario, si trovano -discorsi, frasi, immagini di natura svariatissima, l'una sull'altra, -alla rinfusa. Nella stessa pagina, tre persone diverse parlano -d'agricoltura, d'amore e di morte. Noi procederemo in un'altra maniera. -Di più, non cogliendo altro che il fiore delle tante bellezze sparse in -quel libro, lasceremo da banda quella parte di lingua, ed è moltissima, -che riguarda esclusivamente l'agricoltura dal lato tecnico, e che -perciò riuscirebbe inutile al maggior numero dei lettori. - -Cominciamo dalle espressioni poetiche del linguaggio del dolore, -dell'amore e d'altri sentimenti. Molte volte rimarremo meravigliati -del pensiero, non meno che della forma. Una contadina della montagna -pistoiese, per esempio, parlando degli ultimi giorni d'una sua -conoscente, morta poi di malattia, dice che _aveva la carne già morta e -lo spirito sempre vivo_...; che _le morì la carne addosso prima ancora -che se ne fosse ita con Dio_. Un'altra contadina della stessa montagna -dice che _quando il dolore è di quello cocente, la parola resta -dentro_: espressione di cui si ammirerebbe la potenza se si trovasse in -un verso di Dante. — Una contadina senese dice le seguenti parole che -a me paiono sublimi: _La mamma io la perdetti ch'ero piccolina; a ogni -modo mi par di mentovare un gran nome!_ — _A casa_, — dice un'altra -pistoiese, — ci sta il nonno, che gli voglio un bene all'anima. -_Sempre sotto la sua ombra mi son riparata._ — Un'altra, parlando d'un -figliuolo morto: — _La morte, come fa presto! Non si sa la mattina -quando ci si leva, se si finisce il giorno.... Ma Dio ce li dà in pegno -i figliuoli; a tutte l'ore li puole ripigliare, e bisogna renderli._ -— Una donna del Casentino, raccontando un suo sogno d'una passeggiata -fatta colla bambina che poi le è morta: — _Per la strada non si faceva -altro che coglier fiori e fiori, parea fosser nati a bella posta per -noi: era un non so che d'allegria per tutto._ — _A volte_, — dice -un'altra di Valdensa, — _m'arrabbierei dalla disperazione; ma Dio è -misericordioso, e ci svia la mente da queste tristizie._ — Un'altra -madre: — _A noi mamme ci costano sangue tutti a un modo i figliuoli. -C'è n'è tante che non se ne rifanno a mancargli un figliuolo. Tutti -non si nasce d'una stampa; le dita delle mani non son mica tutte -compagne._ — _A rifletterci bene_, dice una contadina di Montamiata, -— _è proprio vero, il mondo è una catena continua d'amore: s'esce d'un -amore e s'entra in uno più grande a pigliar marito_. — Un cieco delle -montagne di Siena dice: — _perso gli occhi, perso il mondo; la luce è -la bellezza della vita_. — Un'altra madre del Casentino dice dei suoi -figliuoli morti: — Mi ricordo di quando li avevo tutti e due; _come -brillavano! allora sì che quella era vita!... Senza la vista degli -occhi_ (era diventata cieca) _si è più di là che ili qua, sparisce il -meglio della vita._ — Un'altra madre: — Quando cominciano a chiamare -_babbo, mamma, anco che non lo scolpiscano bene bene, è una tenerezza -che ci cascano i lucciconi_ (lagrimoni) _ridendo_.... — _Quando c'è -l'amore_, — dice un'altra, — _tutto passa! Quello sì che è proprio un -accorda cristiani!_ — Ed altre, parlando sempre dei figliuoli: — _Le -darei il fiato per tenerla viva_ — Che almeno la rivegga in paradiso! -_Mi reggo viva in questa speranza._ — Sebbene fossi più di là che di -qua, l'avere il mi' figliuolo daccanto nel letto, _mi pareva di essere -più degna di stare nel mondo_, ecc. - -Ecco ora un saggio d'altre espressioni più brevi di dolore e di affetto -tolte qua e là dal libro e riferite tali e quali. Non dimentichiamo mai -che son contadini e contadine che parlano. — Era una vista che levava -il pianto dal cuore. — Sono dolori che ne va la vita. — Quando viene -un rimescolo di sangue l'uomo non scerne più il bianco dal nero. — -Sono pene di morte che fanno andare il cervello in aria. — Mi consumavo -dentro. — Mi sento schiantar dentro dalla passione. — È un pensiero che -mi pesa sull'anima. — È un coltello che m'ha passata l'anima. — È una -disgrazia che m'ha ferita a morte. — Se non fossi in mano di Dio, sarei -già morta sfatta dal dolore. — Una puntura, per forte che sia, finisce -presto, basta che non arrivi al cuore; ma feriti al cuore, addio: è -una morte da vivo; non si guarisce più. — Li ricordo quei giorni! Li ho -contati a goccie di sangue, li ho contati. — Parea distrutta dalla gran -passione. Vede quel sasso? Tant'era lei. — E Teresa? Oh quella sì che -il dolore le s'è fitto nell'ossa! — Vedevo lui (_il marito morto_,) e -mi pareva volesse dir tante cose, e non poteva; che strazio è stato il -mio! — Spasimava tra la vita e la morte. — Mi si travolse il cervello. -— Mi pareva di non aver più senso di nulla. — Ero un turbine di dolore, -ecc. - -Ma nulla di più gentile e di più caro che il linguaggio d'amore. — -«M'ero messa a certi arrischi per vederlo (dice una contadina della -montagna pistoiese parlando del suo damo, che fu poi suo marito) che a -ripensarci mi s'accapona la pelle. Bastava mentovarmi il mio damo, io -ero gelosa di tutte e di tutto. _Mi pativa il cuore, che l'aria me lo -guardasse._ La prima volta che lo vidi, mi principiò subito a garbare.» -— Un giovane contadino di Val di Greve dice: — «Io per me tra 'l -lavoro penso alla mia dama, non sento manco la fatica, tutto mi piace; -_è un gran gusto quando c'è l'amore che rischiara la giornata_.» Una -contadinella, parlando del suo innamorato: — «Quando si va in chiesa, -quanti ne passa e quanti ci entrano, il più bello di tutti è lui: _pare -un fiore, che lo distinguo tra mille_. Anche se mi ritrovo alle feste -e che ci sia lui, _lo vedo sopra tutti_; gli voglio bene; il cuore -non mentisce.» — S'ha un bel dire, ma non c'è barba di scrittore che -valga a mettere insieme di queste parole. Un'altra, una contadina di -Crespole, racconta così l'_andamento_ del suo amore: — «La prima volta -che vidi il mi' omo, era la festa della Madonna delle Grazie. Un giorno -fra gli altri venne da me una mi' zia e mi chiama: Vien qua, Betta, -senti, t'ho da dire una cosa: c'è quel giovinotto di Vellano, che -t'ha visto in chiesa, ti ricordi? _Ti conobbe tanto allegra e con quel -sorriso_ (bellissimo!) che t'ha messo gli occhi addosso; e finchè t'ha -potuto vedere, t'ha guardato e ha detto: Quella è la ragazza che fa per -me; la voglio pigliar per moglie, _mi garba troppo_.» — Una ragazza -di Cutigliano scrive al suo amante: — _Anche solo a poter prendere -qualche boccata d'aria dove tu respiri, sarei contenta._ — La stessa, -in un'altra lettera, temendo d'essere abbandonata: — «Rammentati -bene che v'è un Dio sopra di noi, che se tu _avessi il cuore voltato -a tradirmi_, non te ne darebbe il tempo.» — In uno stornello c'è la -parola _strazia fanciulle_, per amante volubile; e una povera ragazza -abbandonata dice ingenuamente al suo damo: — _Come volete ch'io -faccia a campare?_ Undici sillabe in cui c'è più amore che in tutto il -canzoniere d'un petrarchista. - -Tralascio di riferire un gran numero di parole e d'espressioni del -linguaggio contadinesco, che non potremmo usare. Ma ve n'è molte, fra -queste, che dánno tanta grazia e tanta originalità al discorso, che -sarebbe un peccato lasciarle da parte. Voglio dire di quei vocaboli -e modi che si soglion chiamare _illustri_, e che non convengono -al linguaggio famigliare. Per esempio, si trattenga dal sorridere, -chi può, raffigurandosi un contadino il quale dica le proposizioni -seguenti: — Aveva una _dottoranza_ nel su' dire, che ci si stava a -bocca aperta a sentirlo. — Quando si torna di maremma, guai a non -aversi un po' di _riguardanza_. — Per esser povera gente, l'hanno -portato al cimitero con _onoranza_. — Si vede che il vino nelle botti -non ha preso _possanza_. — Bisogna aspettare che il sole acquisti -_possanza_ di scioglier la neve. — Ho continua _temenza_ che si faccia -del male. — Vecchio, aveva nel cuore _l'ardenza_ della gioventù. — Ero -sfinita, e tutti mi guardavano come _una meraviglia di doglianza_. — -Lavorava per acquistarsi _nominanza_. — Uno dei bimbi le morì perchè -non ebbe _custodimento_. — Ora le racconterò l'_andamento_ della -mia gamba (s'intende del suo male). — Mi sarei mangiate le mani, dal -_rosicamento_ che mi sentivo dentro. — Non mi _nutricavo_ che di pianti -e di sospiri. — Mi fu posto dinanzi un fiasco e potei bere a tutto -tonfo, si figuri! A quella _confortazione_ subito riebbi la vista. -— Quest'aria è una _spirazione_ di salute, ecc. — Noto di volo il -curioso paragone _piangere come una vite tagliata_ e la graziosissima -espressione _donna usciaiola_ per donna che sta sempre sull'uscio a -_spettegolare, a tirarla giù all'uno e all'altro_; tanto differente da -quelle buone donne che _lavorano di genio_, che _si tirano il bene da -tutti_, che non _si guastano con nessuno_ e che non si dan pensiero -delle maldicenze, tenendo per massima che _un paio d'orecchie sorde -chetano cento lingue_. - - -II. - -Si veda se c'è nulla di più grazioso e di più efficace delle -espressioni seguenti, tutte raccolte dalla bocca di contadini, e sparse -per il libro del Giuliani. — L'orologio cammina cammina senza ritegno, -_e non dice più vero_. — Il _verno è nato_, la stagione declina. — -Bella serata ch'è questa! È _uno stellato fitto_, una chiarità che -rallegra, starei qui tutta la notte _a godere le stelle_. — Carlo -voleva partire; sua moglie non fece altro che _contraddirgli l'andata_. -— I ricchi delle volte stanno peggio di noi perchè _hanno il baco che -li rosica_ giorno e notte. — Io non dissi parola; ma _piangevo nel mio -dentro_. — A contare tutto quello che ho passato nel mondo, sarebbe -_una leggenda da far rabbrividire_. — Voleva intendere, voleva sapere -(parla d'uno che sotto colore di chiedere _albergo_, s'era ficcato in -casa per rubare); non _aveva terren sotto i piedi_. — Non _toccava_ -nemmeno _terra dall'allegria_. — _Non batte_ gli occhi _da tanto -che sta lì a guardarla_. — Creda che quando si vuol bene davvero, le -_parole muoiono in bocca_. — Che acqua! _è una freschezza che rompe -il bicchiere._ — Voglio tornar a casa perchè altrimenti c'è quel -benedetto vecchio che m'_ingolla viva_. — _Un dì per me dice tre_ -(parla un vecchio), _calo fuor di maniera._ — La carità, se la facciamo -bene, _Dio la scrive in cielo_. — Che serve disperarsi?_ Tanto questo -mondo è una fiatata._ — Conoscete il mi' figliuolo? Il vostro bimbo -_inchina tutto a quell'idea_ (gli somiglia). _Lo rammenta fin nei -capelli._ — Guadagnarsi il pane a _stille di sudore_, _assaettarsi_ -al lavoro, condurre una vita _arrovellata_. — Mio marito lavora tanto -che quando torna a casa si mette subito a letto _e si sveglia dalla -parte che s'è abbandonato_. — Come diremmo questo, otto su dieci di noi -settentrionali, quando non avessimo tempo a pensarci? _Si sveglia nella -stessa posizione.... nello stesso atteggiamento.... nel quale...._ - -Un bello studio ci sarebbe da fare, con questo libro alla mano, su quei -modi e costrutti che i fautori della prosa compassata rigettano con -orrore, e i novatori, invece, che badano all'efficacia più che alla -regolarità dello stile, cercano e adoperano, non solo senza scrupolo, -ma con predilezione. Lasciamo stare le espressioni come le seguenti: -— Di quei figliuoli non ne _rinasce_ (invece di _rinascono_). — C'_è -morto_ pezzi di giovinotti (invece di _ci son morti_), ecc., che non -han bisogno di essere giustificate. Notiamo invece: — _Il mio omo -è da tre settimane che si sente male._ — A casa ci sta il mio nonno -_che gli voglio_ un bene dell'anima. — Per noi queste libecciate è una -disgrazia grande. — _L'uva ce n'è di tante_ specie. — La maremma _son_ -tutti luoghi ammacchiati. — C'era due che contrattavano della seggina. -_Quello che comprava gli è parso che il venditore l'avesse alterata di -prezzo_, ecc. Che cosa si deve dire di queste licenze? che si possono -pigliare? Il Manzoni non esiterebbe a rispondere di sì poichè egli -stesso ha scritto nei suoi _Promessi Sposi_ (edizione corretta), oltre -a moltissime proposizioni consimili, le seguenti: — _Tutti coloro che -gli pizzicavan le mani...._ — _Queste sono sottigliezze metafisiche -che una moltitudine non ci arriva...._, ecc. Ma nonostante l'illustre -esempio, io starei umilmente con coloro che credono di non doverlo -seguire. Che si debba preferire un idiotismo efficace a una pedanteria -d'effetto contrario, siamo d'accordo; ma a patto che quell'idiotismo -sia indispensabile ad esprimere quella data cosa; a patto che -quando ci sono due espressioni di uguale efficacia da scegliere, una -sgrammaticata e una no, si scelga quest'ultima; a patto, infine, che -non si consideri ogni idiotismo come una gemma per la sola ed unica -ragione che è un idiotismo. In quelle due proposizioni del Manzoni, per -esempio, non mi pare affatto giustificata la violazione della sintassi -regolare. Non trovo che il dire _tutti coloro a cui pizzicavan le mani -o che si sentivano pizzicare le mani_, ecc., sia tanto pedantesco, -tanto forzato, da dover preferire l'altra maniera. Mi pare anzi che -sia appunto questa maniera, preferita come più naturale, quella che, in -simil caso, riesce più forzata. Ma, si dirà, è una forma del linguaggio -parlato, e voi stesso dite che bisogna scrivere come si parla. Certo; -ma _come si parla_ da chi parla bene, correttamente ed elegantemente. -Ora io scommetto che nessun toscano colto dice _coloro che gli pizzican -le mani_ altro che qualche volta e senz'avvedersene. Abitualmente dirà, -per esempio, _coloro che si sentono pizzicar le mani_. È grammaticale -e non è certo meno semplice e meno spontaneo. Capisco che si scriva -in quel modo quando si fanno parlare dei ragazzi, degli operai, dei -contadini: si vuole, si deve imitare il loro linguaggio; lo si imiti, -lo si riferisca anzi tal quale; sta benissimo. Ma non capisco perchè -abbia da parlare lo stesso linguaggio lo scrittore, anche quando -parla per conto proprio e di materie che non richiedono assolutamente -l'estrema semplicità del dire. Non mi va, per esempio, che Emilio -Broglio scriva nella sua _Vita di Federico II_: — _I compagni gli -riuscì di fuggire._ La gran pedanteria che sarebbe stata di scrivere -invece: — _Ai compagni riuscì di fuggire!_ — Dove andremo a riuscire -se ci mettiamo su questa via? Transigere colle sgrammaticature, è un -conto; adorarle, è un altro. Si finirà per considerare come la migliore -prosa quella che sarà più spropositata e più triviale. Vi sono, è vero, -molti modi e costrutti popolari graziosissimi che non stridono nel -linguaggio corretto; questi, per esempio, che si trovano nel libro del -Giuliani: — Si sente già cantare i cicalini; _i cicalini, il caldo li -sollecita_. — _Aver sempre queste pene al cuore, non ci si regge._ — -_Questo stromento_, vedete, _è la prima volta che me ne servo_. — Si -sentiva un gran fracassío di voci; _ma vedere, non si vedeva niente_, -ecc. Altri la penserà diversamente e metterà al bando anche questi -modi; è affar di gusto, e sui gusti, come dice il volgo, non ci si -sputa. - -Questo bel parlare dei contadini toscani, che ha conservato tutta -l'antica purezza, può anche servire a levar molti scrupoli a coloro -che scrivendo italiano si guardano con orrore da tutti i modi del loro -dialetto, come se fossero tutti e necessariamente _non italiani_ per la -sola ragione che appartengono al dialetto. Quanti sono, per esempio, -gli italiani delle provincie settentrionali che sarebbero presi da -mille dubbi sul punto di scrivere le frasi seguenti! — Che? le sai le -divozioni? domanda una contadina a una bimba. E la madre risponde: -— _Altro, se le sa!_ — _Addio, e questa volta non star più tanto_ a -scrivermi (non farmi più aspettar tanto le lettere). — Lui non pensa -che a me; _per essere_, (è una contadina che parla del marito) ho -inciampato bene assai, ecc. — Così c'è da imparare tutte quelle maniere -di chiudere il periodo che usiamo anche parlando, senz'accorgercene, -perchè lo vuole l'orecchio; ed anco quelle parole accoppiate che pure -si dicono, non perchè lo richieda il senso, ma perchè il suono le -chiama. Per esempio: — Troverò io _il verso e la maniera_. — _Senza -dire nè chè nè come._ — E uscendo dal libro del Giuliani, quest'altre: -— _Senza sapere nè perchè nè per come_ — _Senza dire nè asino nè -bestia_, — non ne seppe _nè grado nè grazia_, — _non fa nè ficca_, — -_non cresce nè crepa_, — una lingua che _taglia e fora_, che _taglia e -fende_, che _taglia e cuce_, — _dàgli, picchia e mena, dàgli, picchia -e martella_ — sono d'accordo _bene_ e _meglio_ — _sono un paio e -una coppia_ — è lei in _petto_ e _persona_ — viene in casa _spesso e -volontieri_, ecc., ecc. - -Ed ora torniamo alle bellezze della lingua contadinesca, che il -Giuliani raccolse con tanto amore. Davvero, quando penso alla fatica -che gli dev'esser costata questo lavoro, lo ammiro, perchè conosco un -po' anch'io i contadini toscani, e so per prova quanto è difficile il -farli parlare come occorre che parlino perchè un raccoglitore di lingua -se ne possa valere. Non è che non attacchino discorso volentieri; -chè anzi sono cortesissimi, e una volta che han preso a discorrere, -terrebbero a bada un'accademia. Il male è che quando s'accorgono che -li fate parlare per sentirli, o temono che li vogliate canzonare, e -vi sguisciano di mano; o compiacendosi della vostra ammirazione, e -volendo meritarla meglio con un parlare più scelto, vi cominciano a -tenere dei discorsi così arruffati, così lontani dalla loro grazia -e chiarezza abituale, che vi fanno cascare, come suol dirsi, il pan -di mano. Mi ricordo d'un contadino che invece di dire: _son sceso -perchè avevo da dire una parola al tale_, volendo parlare in punta -di forchetta, mi disse: — _son sceso per via d'una parola che avrei -avuto l'idea_, ecc., e non ricordo come sia andato a finire. Non -basta dunque girare per la campagna e interrogare i contadini; bisogna -guadagnarsene la confidenza, pigliare dimestichezza con loro, imparare -a farli discorrere senza che se n'accorgano, trovare il verso di farsi -ripetere dieci volte lo stesso discorso, ed altre arti in cui non tutti -riescono, e il Giuliani riuscì mirabilmente. Il curioso è che i più -di quei buoni contadini credono di parlar male. Un oprante senese, per -esempio, disse al Giuliani queste parole ingenue e graziosissime: — Mi -pare forestiere lei _perchè la sua parlata non combina colla nostra_. -Si sa anco noi che il peggio parlare è il nostro; bisogna compatirci; -siamo poveri contadini, che non si conosce la lettura. — Così mi -ricordo d'una ragazzina fiorentina, figliuola d'un barbiere, che disse -ingenuamente: — _Mi piace tanto come parlate voi altri piemontesi -l'italiano!_ — - - -III. - -I contadini parlano spesso e volentieri della loro salute e dei loro -malanni, e per questo v'è nel libro del Giuliani un gran numero di -espressioni efficacissime relative a quell'argomento. - -_Una volta gagliardo era che sfidava il vento_, dice un contadino. — -_Fora l'aria come una saetta._ — _Va che manco una saetta l'arriva._ -— _Corre che vola._ — _Ha un braccio che non c'è il compagno._ — _Sta -bene in gamba._ — _Mangia di voglia._ — _È pochino_ (piccoletto della -persona) _ma saldo più dell'acciaio_. - -Ma pur troppo occorre più spesso di parlar di malanni che di salute, e -quindi v'è più messe di lingua da mietere in quel campo che in questo. - -— Poveretto, a vederlo, _casca da tutte le parti_, — _rifiata a -stento_, — è bianco morto, _senza nemmen la forza di rifiatare_. -— È _all'ultime fiatate_. — _Ha un viso da campar più poco._ — _In -otto giorni che ha le febbri_ non si conosce più. — Poverino, a che -s'è condotto! Che voglia durarla a lungo, non credo: _le pere mezze_ -(quasi sfatte) _a una ventata sono in terra_. — Quando viene il colpo -mortale, _si casca giù come pere mezze, e dove uno batte ci resta_. — -_Si strugge a oncia a oncia_ e tanto ha sempre quel suo sorriso sulle -labbra. — Non si lagnava neanco _quando il male lo cuoceva dentro_. -— Le morì il babbo; _dalla gran passione si lasciò andare giù giù, -strutta come una candela_. — È _schietta dentro_ (sana di viscere); -ma non ha più la faccia _rosata_ come prima. — Ebbe un _grosso male, -un male di pericolo_. — Ha una _freddagione_ che gli _mozza la vita_. -— Ci ha un dente che quando _c'entra lo spasimo_ non _gli dà requie_. -— A volte l'enfiagione è cosa di poco, _sfuma_ presto; ma se il male -infuria, se ne va la testa all'aria. — Oggi _m'ha preso una pena tanto -mai grossa_ allo stomaco. — Ho dovuto _tenere il letto_ per un mese, e -non ho avuto nessuno che mi _guardasse_. — Avevo un erpete infistolito; -dal gran _tribolamento_ mi sentivo mancare la vita; ma _tanto mi son -ripigliata_, mi riebbi adagio adagio, e questa _la riconto_. — A un -tratto cascò morta _e non c'è stato più verso a farla risentire_. — La -peggior vita è non essere nè sano nè malato, nè dentro nè fuori, nè di -qua nè di là; essere tra la vita e la morte; onde si dice di uno _che -non muore_ e _non campa_. — Dopo quella caduta, questa gamba non mi -_dice_ più come prima. - -E si veda se è possibile dipingere più mirabilmente una figura -umana di quello che fa una povera contadina colle parole seguenti: -— .... _Ma gli ha i segni della morte in faccia; non vede più lume, -sdentato, il capo senza un pelo, e con quella faccia grinzosa, che la -morte non si può figurare più al naturale._ — Qui vocaboli, elissi, -cadenza, sintassi, tutto giova all'evidenza della descrizione. -Son tante pennellate e non ce n'è una superflua nè una che manchi. -Qualcuno, son certo, leggendo le parole e frasi sopra citate, dirà -che le _conosceva_. Ne son persuaso. Ma convien ripetere la solita -osservazione. In materia di lingua _conoscere_ non significa _sapere_, -perchè _sapere_ vuol dire avere alla mano, sulle labbra, pronto al -bisogno: vuol dire _servirsi_ della lingua. Che importa sapere che -esiste l'espressione _cosa di poco_, per esempio, se ogni volta che -occorre di esprimere quell'idea, si dice, ci scappa detto o ci vien -scritto invece: _cosa di poca importanza_? Ognuno di noi, italiani -delle provincie settentrionali, possiede nei ripostigli della mente -una parte di lingua viva, efficace, bella, — una parte della lingua -raccolta nel libro del Giuliani; — ma che non adopera perchè non è -ancora abbastanza _sua_, perchè appunto l'ha nei rispostigli della -mente e non sulla punta della lingua e della penna, come i Toscani ce -l'hanno. Per questo lo studiar la lingua, per una persona colta delle -nostre provincie, non è tanto un imparare parole e modi nuovi, quanto -un ravvivare nella memoria, un rimestare, un impadronirsi meglio di -quello che già si è acquistato; imparare a spendere il tesoro nascosto; -addestrarsi a maneggiare per tutti i versi lo strumento che si sa -maneggiare per un verso solo. - -Il _tempo_ è un altro grande argomento di discorso per i contadini; -onde il libro del Giuliani è ricchissimo di espressioni e d'immagini -che vi si riferiscono. - -_Il sole cuoceva la carne sull'ossa_, dicono. — _Per la via -s'avvampava._ — Con questo caldo _s'avvampa vivi_. — Il sudore _ci -casca in terra a goccioloni_. — Badi: _sul buon del giorno_ si vive -bene quassù; il _crudo_ è la mattina e la sera. — Oggi ve la siete -scaldata a codesto sole la groppina? — A queste _solate_. — A queste -_nebbiate_, — Signore! par d'esser rinati nel riveder la faccia del -sole! — _È un'aria che fa riavere!_ — Quelle chiare giornate che si -campa tanto volentieri, passano come un lampo! _E ci rientra_ tante -faccende allora! _Le giornate d'ora_ (inverno) _rilucono appena_. -— Oggi tirava un vento che pareva di _fitto inverno_. — _Tirava un -vento diacciato che arrivava alla midolla._ — _Che vita tribolata si -conduce noi poveri, il verno per un verso, l'estate per un altro!_ -— Nel verno _si tribola per un conto_ e d'estate _per un altro_. — -A volte _il vento mena gran rovina_. — _Attaccò per bene a piovere_ -sulla mezzanotte. — _Giù acqua e baleni_, pareva il finimondo. — Per -ora non c'è _disegno_ di piovere. — È un tempo _perverso, infierito_. -— E questa ammirabile descrizione che fa una povera contadina della -montagna pistoiese, presso Castiglione: — Il _vento percoteva forte, i -castagni svettavano_ (agitavano le vette, le cime), _l'aria rintronava, -un mugolío si sentiva che mi parevano urli di morte_. - -Ciò non ostante, mi pare che il linguaggio più immaginoso e più poetico -sia quello che si riferisce all'agricoltura; e per questo l'ho serbato -in fondo. - -Ecco, per esempio, un breve discorso d'un contadino della Valdinievole, -che è una vera meraviglia d'immagini, d'armonia, di gentilezza. Il -Giuliani gli domanda una spiegazione del proverbio: _Sotto la neve -pane e sotto l'acqua fame._ — Perchè, egli risponde, sotto la neve il -grano _accestisce meglio_ (_accestire_ significa venir su con parecchi -fili da un sol ceppo), _compone vita_ adagino adagino, piglia più -campo. Si sa: dalle barbe _riscoppiano più fili e la figliolanza_ si -fa maggiore. E poi, non si dubiti, che se il caldo viene a suo tempo, -_la maturazione s'affretta a buon modo_: lo _spigame_ abbonda. Una -moltitudine di spighe porta, che è una dovizia. Ma unguanno è venuta -tant'acqua, che il grano _ammutolisce_: perchè, m'intende? l'acqua -ripiove giù giù dalle barbe del grano e lo strugge. — Si metta questo -discorso in versi ed è poesia della meglio. - -«Nel corpo (ossia nella parte interna del castagneto), — dice un -contadino di Montamiata, — _i castagni pigliano alterezza_» per dire -che crescon meglio. - -«Belli quassù i grani! — dice un contadino di Valdinievole, — _s'ergono -su su col collo pieno; a vederli è una dignità_.» - -Un contadino di Versilia dice al compagno: — Non lo gittare questo -seme, credi a me, non è terra _degna_, non lo merita. - -Un contadino pistoiese dice che basta una solata a far levare il capo -all'erba, e che si rià a un tratto perchè il _sole è vita alle piante_. - -Un diluvio d'acqua, — dice un senese, — è più una rovina che altro, ma -se vien regolata, che la possa ricevere, _il campo gode e lavora_. - -Le patate a questa _rinfrescata_ si _son risentite_, — dice un di -Versilia, — e _godono_ che è un piacere a vederle. - -Il grano, — dice un pistoiese, — è venuto adagino, pigliò vigore, e -vede come _rizza il capo rigoglioso_! — _È pieno, tien corpo, è bene -spigato._ — _Il sole quassù ha molta possanza_, ecc. - -Vuol essere custodimento, — dice un pisano, — se si vuole che la pianta -_venga in orgoglio_. - -Il buon sugo (pure un pisano) rinvigorisce le piante, le mantien -fresche e le fa _venire in essere_ a tutto punto.... Si cuoce a fiamma -la legna che _prende essere_ di carbone. - -Giù nelle fondate (un altro pisano) le viti non ci approdano: _è il -trionfo dei grani_. — Miri che _trionfo_ di verde! — A volere che la -campagna _trionfi_ ci vorrebbe un pochino d'acqua. - -Son terre magre e sassose (un senese); _è uno sgomento a domarle_. - -Il grano cresce rigoglioso ch'è una bellezza, proprio _una meraviglia -di speranza_. - -Pel freddo il faggio s'abbandona e resta _mortificato_; par che _il -freddo gli rompa l'anima_. - -È una pianta che vuol di molto custodimento, guai abbandonarla! _resta -senza fiato_. - -La terra dà quanto riceve; nutrita poco, dimagra come i cristiani, _e -non ha più nerbo a reggere le piante; la terra rende frutto secondo che -si nutrica, ecc., ecc._ - -E questo è quel «dialetto come tutti gli altri» o «il dialetto che più -s'avvicina alla lingua» e che avrebbe «la pretesa di farsi considerar -come lingua,» quel gergo toscano, infine, che l'ignoranza presuntuosa -e cocciuta di molti non vuole nè ammirare, nè studiare, nè sentire. -— Pare impossibile! — diceva il Manzoni, scrollando il capo, con un -sorriso tra mesto e stizzoso. - - - - -QUELLO CHE SI PUÒ IMPARARE A FIRENZE - - -Che cosa può far dire il dispetto! Qualche tempo fa, essendo corsa -la voce che il ministro della guerra voleva trasferire la Scuola -militare da Modena a Firenze, perchè gli allievi avessero miglior modo -d'imparare l'Italiano, un giornale dell'Alta Italia disse le seguenti -parole tali e quali: — Che cosa potranno mai imparare (gli allievi) a -Firenze? Qualche idiotismo, e nulla più. — È grossa, anzi crassa, o -per dir meglio, briccona. Eppure, se vogliamo esser giusti, non c'è -da meravigliarsene più che tanto, perchè l'opinione di chi scrisse -quelle parole è l'opinione di molti e in Piemonte e in altre provincie -d'Italia. Fino all'età di diciassette anni, mi ricordo d'aver sempre -inteso dire nelle scuole, dai miei professori di letteratura italiana, -che i toscani _parlano con affettazione_, che dicono _molti spropositi -di grammatica_, che _scrivono male_, ecc., e mi ricordo pure che noi -scolari piemontesi credevamo fermamente di conoscer la lingua meglio -dei toscani. — I toscani, — dicevamo, — sapranno un maggior numero -di vocaboli e parleranno con maggiore facilità; ma noi che studiamo -seriamente la lingua, noi ne abbiamo senza dubbio una conoscenza più -esatta, la scriviamo con più correttezza e la parliamo in modo più -scelto. — Perchè il gran che, a quei tempi e in quelle scuole, era di -scrivere scelto. - -E infatti, quando andai per la prima volta a Firenze, per starvi lungo -tempo, v'andai volentierissimo, ma coll'idea d'impararvi la pronunzia, -non la lingua. Avevo la testa tutta imbottita di parole illustri, -sapevo a memoria delle filze sterminate di periodi d'A_ntologia_, avevo -con me una mezza dozzina di quaderni pieni di frasi di «buona lega,» -di «italiane eleganze,» di «modi eletti;» e non mi passava nemmeno -per il capo che il primo venuto dei fiorentini si potesse impancare a -insegnarmi la lingua italiana; — i-ta-li-a-na, — ripetevo tra me — non -toscana, buffoni. - -Però, il giorno medesimo che arrivai a Firenze, appena uscito -dall'albergo, ebbi una piccola mortificazione d'amor proprio. Due -monelli di sette o ott'anni giocavano nella strada. Uno di essi teneva -un coltellino aperto sulla palma della mano e nell'atto di pigliar la -mira per gettarlo contro un uscio, diceva all'altro: — Sta attento: -io lo tiro, vi si configge, oscilla e po' si queta. — La grazia, la -proprietà, l'efficacia di quelle parole, mi colpì. Osservai che non -v'erano nè idiotismi nè sgrammaticature. Interrogai la mia coscienza, -e la coscienza mi rispose che, per dire quella stessa cosa, io mi sarei -espresso altrimenti e men bene. Sentii un po' di dispetto e un pochino -di vergogna. Ma fu un lampo. Ripensai ai miei quaderni e a certi: — -bravo! — dei miei professori, e il mio orgoglio scolaresco rivenne a -galla. - -Conobbi dei fiorentini, frequentai qualche famiglia, passarono alcuni -mesi. - -Ahimè! Allora cominciarono le _dolenti note_. - -Fin che, in una conversazione di molta gente, si trattava di parlare, -colle solite frasi coniate, di politica, di letteratura, di teatri, -il mio italiano correva a meraviglia. Ma quando ero faccia a faccia -con una signora, e dovevo parlare delle mie faccenduole, esprimere -sentimenti intimi, rispondere collo scherzo allo scherzo, raccontare, -descrivere, discutere intorno ad argomenti delicatissimi, dire, in -una parola, quei mille nienti di cui s'alimenta la conversazione -famigliare libera e vagabonda, a tavola e accanto al fuoco; allora -la mia lingua era restía, i miei frasoni scappavano come uccellacci -selvatici, volevo dire una cosa e ne dicevo un'altra, m'impigliavo -nei miei periodi come dentro una rete, stentavo, m'indispettivo, e -qualche volta rinunziavo a esternare un mio pensiero per paura di non -riuscirci. Quanti sorrisi leggerissimi ho visti guizzare sulle labbra -dei miei ascoltatori, mentre parlavo; sorrisi che allora mi facevano -fremere, e che ora benedico, perchè m'accorgo che furono i più utili -insegnamenti che io m'abbia avuti in materia di lingua! Qualche volta -una signora cortese mi dava amabilmente la baia, e anche questa era -una eccellente correzione. — _Il tale_, — io dicevo, — _s'appressò a -me_. — _T'appressa, Oreste!_ — essa esclamava con accento tragico. — Io -esprimevo l'idea più semplice, poniamo il caso, con una frase ricercata -ed altisonante, ed essa esclamava: — Oh come parla bene! — Ogni giorno -cadeva dal mio vocabolario, ferito a morte da uno scherzo affilato, -un piemontesismo, un francesismo, una pedanteria, una frase poetica. -Ogni giorno mi confermavo meglio nella dolorosa persuasione che invece -di _parlare_ italiano, _componevo_; che il mio tesoro linguistico era -uno scrigno di diamanti falsi, e che se volevo riuscire a parlare e a -scrivere a dovere, dovevo rimettermi a studiar daccapo. Son pur bestia! -dicevo come Vittorio Alfieri nel suo sonetto a monna Vocaboliera. - -Ma il cimento più duro per il mio amor proprio fu quando misi per la -prima volta in mani fiorentine gli stamponi dei miei poveri scritti. -Una signora mi presentò un giorno una quarantina di pagine tutte -tempestate di punti neri. Mi morsi le labbra dal dispetto. — Vediamo, -— dissi con la più profonda sicurezza di riuscir vittorioso alla prova, -— vediamo e discutiamo. — Cospetto! — pensavo: — scrivere è tutt'altra -cosa che parlare. Mi può essere sfuggito qualche sproposito; ma cento, -non credo. Son fresco di studi, so dove ho pescato la mia lingua, -citerò i passi degli scrittori. La vedremo. - -Si cominciò. - -— Questa frase non va, — mi diceva. - -— Perchè non va? - -— Perchè non ha garbo, perchè non viene spontanea a chi vuol dire -quello che lei ha voluto dire. - -— Ma l'ha adoperata il tale dei tali, e dicevo il nome d'uno scrittore -consacrato. - -— Me ne dispiace per lui; ha fatto male ad adoperarla; io non -l'adoprerei davvero. - -— Ma è o non è italiana? - -— Ma anche conciofossecosacchè è italiano. Lei l'userebbe per questo? - -— Ma come direbbe lei invece? - -La cortese correttrice mi suggeriva la correzione. Era nove volte -su dieci la semplicità sostituita all'affettazione, l'evidenza -all'equivoco, la grazia alla pedanteria. Ma quella correzione era come -un colpo di catapulta che faceva traballare tutto l'edifizio della mia -educazione letteraria; e perciò io resistevo, mi dibattevo, citavo, -cavillavo, qualche volta credendo davvero di aver ragione, e non di -rado facendo dentro di me il proposito di non sottomettermi mai più a -quella tortura. Ma il giorno dopo ci ripensavo, davo a me stesso di -corbello e di cocciuto e facevo la correzione. E mi ricordo che mi -meravigliavo di vedere, durante le discussioni vivissime, e qualche -volta anche acerbe, che il mio testardo amor proprio sollevava, di -vedere, dico, il viso della mia correttrice sempre pacato e sorridente. -Non capivo ch'essa non s'impazientiva perchè era profondamente sicura -d'aver ragione, e che io avrei finito per riconoscerlo. — Oh questa -poi! — esclamavo qualche volta; — questa assolutamente non la passo! — -Ebbene, ne riparleremo domani, — essa rispondeva. E il giorno dopo non -c'era neppur più bisogno di parlarne. - -Molte volte bastava una semplice osservazione per farmi ravvedere; ed -era quando si trattava di tutte quelle piccole affettazioni, che sono -nella lingua ciò che sul viso umano sono le smorfie, le rughe, i vezzi -ridicoli, i mille segni e atteggiamenti sfuggevoli e inesprimibili, -che rendono una persona antipatica; affettazioni delle quali molti -scrittori italiani, anche valentissimi, non si sono ancora spogliati, e -che sebbene paiano difetti di poco o punto rilievo, deturpano lo stile -e rendono i libri noiosi. - -Leggevo, per esempio, nei miei scartafacci: — «Cadde sul _destro_ -piede.» - -— Perchè non sul piede destro? — mi domandava. - -— Perchè è meno elegante, — rispondevo. Si metteva a ridere così di -cuore che io tiravo un frego sull'eleganza. - -Leggevo: — Partissi da casa.... - -— Ma perchè non _partì_ da casa? Che direbbe di me se le dicessi che -questa mattina _partiimi_ da casa d'una mia amica e _andaimi_ a casa -d'una parente? - -Leggevo: — Prese quel partito, _però che fosse_ l'unico ragionevole -che.... - -— Oh terrore! — esclamava accompagnando la parola con un gesto -drammatico. - -— Ma è italiano! — io dicevo. - -— Ma e batti con questo italiano! Vuole scommettere che senza dire mai -nè una parola nè una frase che non sia italiana, io, questa sera, nel -mio salotto, parlo in maniera da far scappare tutti i miei amici? - -Non erano mica, come si vede, correzioni di errori di grammatica o -d'altri strafalcioni gravi. Erano quasi sempre cambiamenti di una -parola in un'altra di senso affine, trasposizioni, raddrizzamenti di -frasi torte, tocchi e ritocchi da nulla; ma che facevan mutar faccia a -un periodo e colore a un pensiero, e dove il lettore avrebbe inarcato -le ciglia o non badato, facevano sì che o non badasse o sorridesse -di compiacenza. Era soprattutto un insegnamento continuo intorno al -modo di distribuire e di combinare tutta quella parte minuta della -lingua, tutto quel tritume di monosillabi, che è la maggior difficoltà -delle lingue moderne; di distribuirlo e di combinarlo in maniera, che -il linguaggio non ne rimanesse irto e rotto, le giunture dei periodi -rigide, i passaggi stentati, il suono sgradevole, come vediamo accadere -al più degli scrittori non toscani. Erano delicatezze di lingua alle -quali non avevo mai pensato, che anzi non avevo mai neppur sentite nei -buoni scrittori, o le avevo sentite nell'effetto complessivo del loro -modo di scrivere; ma senza rendermi ragione del come e del perchè. — -Paiono inezie, — mi diceva quella colta signora; — e molti ne ridono; -ma a pensarci bene, sono cose essenziali per chi voglia scriver bene. -Perchè in che altro si distingue uno scrittore elegante ed efficace da -uno scrittore rozzo e sgradevole? Scriverebbero tutti bene ad un modo, -se lo scriver bene consistesse nel non violar la grammatica, nel non -adoperare nessuna parola e nessuna frase della quale non vi sia esempio -negli scrittori, nel far capire, presso a poco, quello che si pensa. -L'eleganza, la grazia, l'arte vera del parlare e dello scrivere, sta -tutta nelle _segrete cose_, nei nonnulla che sfuggono all'attenzione -dei più, in un'armonia che gli orecchi non educati non sentono. E in -questo, se ne persuada pure, signor mio, e _lasci dir la gente_: i -toscani possono insegnare qualche cosa ai loro fratelli d'Italia. - -Di questa verità non erano persuasi, neppure dopo due o tre anni di -soggiorno a Firenze, molti Italiani delle Provincie settentrionali, per -i quali l'aspirazione toscana, il _te_ per il _tu_, il _dai retta_ per -il dà retta, l'_un_ per il _non_, e qualche altro idiotismo eran cose -che, messe nella bilancia, facevano saltare in aria tutte le grazie, -tutte le ricchezze, tutte le meraviglie del linguaggio toscano. Ma -nel fatto era come se ne fossero persuasissimi; perchè senza volerlo, -imparavano a parlare ed a scrivere; la loro lingua si snodava; -adoperavano, senza accorgersene, modi vivacissimi e frasi semplici -e piene di garbo, per dir cose che esprimevano prima con perifrasi e -giri di parole ridicoli; si abituavano a raccontare e a scherzare senza -compasso e senza fatica; e in fine canzonavano l'italiano stentato e -mal connesso dei nuovi arrivati a Firenze, e trovavano insopportabili -certe maniere di scrivere che avevano ammirate fino allora con -pecoraggine scolaresca. - -Vi sono però molti, i quali andarono per qualche loro faccenda a -Firenze, stettero una settimana all'albergo, sentirono bestemmiare i -fiacchierai in piazza della Signoria, colsero a volo qualche frammento -di conversazione in mezzo alle erbivendole di Mercato Vecchio, -passarono tutt'al più una serata in una famiglia fiorentina, e poi -tornati a casa, dissero che a Firenze non c'è da imparare che qualche -idiotismo, che la lingua italiana non è là, che un qualunque italiano -colto può parlar meglio d'un toscano, che l'idea del Manzoni è una -stramberia. - -Dio vi perdoni e vi converta, signori. - - - - -UN BEL PARLATORE - - -Ogni volta che l'ho sentito parlare, mi sono persuaso che sono un -barbaro e son tornato a casa umiliato. - -Non so come parli alla Camera e sulla cattedra; suppongo che parli -bene; ma non credo che l'eloquenza politica e la scolastica siano la -sua vera eloquenza. Bisogna sentirlo in conversazione. - -Qui è veramente ammirabile. - -Prima di tutto, bisogna dire, per chi non l'ha mai visto, che la sua -persona non toglie nulla, ma neppure giova gran fatto all'efficacia del -suo parlare. Se ne può fare il ritratto in due tocchi: una gran zazzera -sopra un viso magro ed irregolare nel quale brillano due piccoli occhi -pieni d'ingegno. Ha un sorriso un po' canzonatorio, un gesto un po' -curialesco, una voce dolce e pieghevole. È superfluo il dire che è nato -in Toscana; ma necessario soggiungere che è senatore, e che ha passato -di qualche anno la cinquantina. - -Bisogna, dunque, sentirlo in conversazione. - -È un po' pigro, anche a parlare; e perciò non è molto facile fargli -scioglier la lingua. Se non è in vena, e se il soggetto della -conversazione non lo tira, è capace di non aprir bocca in tutta la -serata. Peggio, poi, quando s'accorge che lo si vuol far parlare per -starlo a sentire. In questo caso è timido e cocciuto come un bambino. -Un giorno una signora, sollecitata da un amico curioso, gli mise -dinanzi un libro di poesie (poichè legge mirabilmente i versi) e lo -pregò ripetutamente di leggere. — Ma come vuole che io legga, — egli -rispose quasi indispettito, — con tutto questo apparato? Diventerei -rosso fino alla radice dei capelli! — E non ci fu verso di fargli -leggere un rigo. - -Bisogna ch'egli s'impegni in una conversazione quasi senz'accorgersene, -che vi scivoli, che vi si trovi legato senz'averlo voluto. Una volta -che ha preso la parola, gl'interlocutori a poco a poco tacciono e -diventano ascoltatori. Allora egli non si avvede d'essere sul palco -scenico e la platea può esser sicura d'avere il fatto suo. - -Seduto in un angolo del salotto, cogli occhi socchiusi e il sorriso -sulle labbra, passandosi di tratto in tratto una mano sul ciuffo, poi -sulla fronte, e poi sul mento, egli dice mille cose argute e gentili -con una grazia e una nobiltà di forma e d'accento che è impossibile -a esprimersi. Parla lentamente e pesa le parole, ma senza sforzo; si -direbbe che le scocca, che le fa scattare l'una dall'altra, che sente e -che fa sentire in ognuna di esse un valor nuovo, scoperto o piuttosto -dato da lui, come un'effigie a una moneta. Qualche volta fa aspettare -una parola, si capisce che la cerca, e che gli sfugge; ma la coglie -sempre, ed è sempre la propria, la necessaria, quella che s'aspettava. -Talora si direbbe che ha compiuto l'espressione del suo pensiero, e -non è; aggiunge ancora un aggettivo, un avverbio, un monosillabo, che -fa sempre l'effetto dell'ultimo tocco d'un pittore sicuro. Si direbbe -che cerca le difficoltà per pigliarsi il piacere di vincerle. Non gira -mai intorno al proprio pensiero. Scava dentro di sè, mette fuori tutto, -fa comprender tutto; colorisce, brunisce, orla, frangia, si trastulla -in mille modi colla sua lingua; tocca con una destrezza meravigliosa -soggetti disparatissimi, si diverte a sguisciar di mano, fa mille -sorprese colla frase e coll'inflessione della voce; e di qualunque cosa -parli, sia di filosofia, sia di finanze, sia di letteratura, sia di -corbellerie, ha sempre la stessa evidenza e lo stesso colorito caldo -e brillante di linguaggio, che seduce egualmente uomini, signore e -bambini. - -Qui dovrebbero essere, — pensavo io quando l'udivo parlare, — coloro -che dicono che _scrivere come si parla è la sapienza degli ignoranti_. -Essi mi direbbero forse che questo signore, per quanto parli bene, -scrive certamente meglio. Meglio, sì, ossia, con più ordine, con -più sobrietà, con un nesso più stretto fra pensiero e pensiero, fra -periodo e periodo; meglio, in una parola, _ma non in una maniera -diversa_. Ossia non adopera, scrivendo, nè una frase nè una parola che -non adopererebbe parlando, e scrive nondimeno con una eleganza e una -nobiltà di stile e di lingua ammirabile. Egli può studiare a memoria -quello che scrive e ripeterlo in conversazione, senza che nessuno -s'accorga che sia stato scritto. Leggendo la sua prosa, par di sentir -parlar lui; lui, — notiamo bene, — lui nascosto dietro una cortina o -coll'anello di Gige nel dito; e non un altro personaggio che non si sa -chi sia, un personaggio non vero, un terzo fittizio che si caccia fra -l'autore e il lettore, un burlone che si vergognerebbe di parlare come -scrive e si vergogna di scrivere come parla, un vanitoso imbellettato, -un ipocrita letterario, un ciurmadore di parole. Scrivere come si parla -vuol dire scrivere come vorremmo saper parlare; osservare, scrivendo, -le stesse leggi che ci sforziamo (e non ci riesce sempre, perchè ci -manca il tempo per riflettere), di osservare parlando; non mettere -sulla carta nessuna frase, nessuna parola, nessuna trasposizione di -parole, che usata parlando, in un crocchio di persone educate, colte -e nemiche d'ogni affettazione e d'ogni caricatura, farebbe inarcar -le ciglia o dare in uno scroscio di risa o dire che siamo pedanti -o pretenziosi o sciocchi. Col quale principio, ch'era quello del -Manzoni, se si esaminano nove su dieci dei libri italiani, e quelli per -i primi di cui son colpevole io, mi duole il doverlo dire, si trova -ogni momento una frase, una parola, un'attaccatura, un'inflessione -di periodo, un qualche cosa, insomma, che non va, che non ha una -ragione d'essere, che non dev'essere _scritto_ perchè non può essere -_detto_, che ci farebbe arrossire se ci sfuggisse discorrendo con una -signora, che è un'eleganza, come diceva il Manzoni, del cassone, una -ruga dello stile, una smorfia della lingua. E con questo si spiega -come al Manzoni non finisse di piacere nessun prosatore italiano. -Cercava il suo ideale e non lo trovava. Leggeva tendendo l'orecchio e -non sentiva parlare, o _sentiva leggere una cosa scritta_. Diceva del -Nicolini medesimo che _parlava meglio di quello che scriveva_. Nelle -sue meditazioni tranquille e profonde sull'arte dello scrivere, non -aveva trovato nessuna buona ragione colla quale si potesse giustificare -una differenza qualunque tra il linguaggio parlato e lo scritto, su -_qualunque materia_ si scriva, poichè nel dialogo sulla _Finzione_ -egli scrisse cose altissime e stupende di filosofia e di morale senza -scostarsi dalla lingua, dalla forma, dal tono d'una conversazione -famigliare. E se qualche volta, in quello e in altri scritti, se n'è -scostato, se n'è accorto poi e ha mutato, e se non ha mutato, sentiva -che avrebbe dovuto mutare, e non c'è bisogno d'averlo conosciuto -intimamente, per poter dire che sapeva di non essere riuscito a -scrivere in tutto e per tutto come voleva, a incarnar meglio il suo -principio, a dare l'esempio più strettamente conforme alla teoria. - -Così la pensa il _bel parlatore_ di cui ho parlato, il quale, se -scrivesse dei libri, sarebbe col fatto il più potente propugnatore -della teoria manzoniana, com'è, parlando, il più ammirabile maestro -di conversazione ch'io abbia conosciuto. E l'ho in fatti per un tale -maestro che quando mi viene sulla punta della penna un'espressione -o una parola o un giro di periodo sospetto, chiudo gli occhi, mi -raffiguro lui che parla, intrometto furtivamente nel suo discorso -quella parola o quell'espressione, e se non la sento stridere, la -scrivo; se stride, la caccio in bando del mio regno. - -Forse, s'egli leggesse queste pagine, direbbe che il mio regno è -popolato di bricconi e mi consiglierebbe di bandire ancora. Abbia -pazienza, caro maestro; mi lasci un altro po' di tempo e le assicuro -che «sarà fatta giustizia» e «forza rimarrà alla legge.» - - - - -DALL'ALBUM D'UN PADRE - -(A VITTORIO BERSEZIO.) - - -Questa creatura che occupa tanta parte della mia vita, e senza la -quale mi sembra che non potrei più vivere, come se fosse legata a me -da un'arteria invisibile, tre anni sono non esisteva nemmeno nella -mia mente! È strano. Mi pare che ripensando profondamente al mio -passato, dovrei trovarne qualche traccia, qualche preannunzio. Cos'è -quest'apparizione? Di dove vieni? Chi sei? Che sei venuto a dire nel -mondo? Qual è il tuo perchè, straniero? Che cosa cerchi, sconosciuto? -Perchè al mio appello hai risposto tu, cogli occhi celesti, e non un -altro cogli occhi neri? Rispondi, personaggio misterioso. - - * - * * - -L'età più bella dei bimbi, per chi ha occhio d'artista oltre che -cuore di padre, è quando passano ancora ritti sotto la tavola e si -può reggerli con una mano sola, portarli a cavalluccio sul collo, -nasconderli sotto un giornale, metterli in prigione in mezzo a due -vocabolari; e tutto il loro vestiario, dalla scuffietta alle scarpe, -sta comodamente dentro un vecchio cappello del babbo. A quell'età -la madre impazzisce per infilare una calza al suo bimbo; ma quando -una volta su dieci egli vi spinge il piedino dentro da sè, essa lo -abbraccia con impeto ed esclama alteramente: — Sei un uomo! - - * - * * - -Hanno un visetto che pare una mela cogli occhi, un collo esile che -si cinge quasi col pollice e l'indice, due manine che c'è bisogno di -guardarle per persuadersi che hanno già tutt'e cinque le dita e un -piedino che proprio non si può pigliare sul serio. La loro testina, -secondo il momento che gliela fiutate, ha odore di passero, di micio, -di coniglio, di nido di rondini, di mattoni, di legno, di vernice, -d'olio di lume, di tutto quello che c'è in casa, che essi possan -toccare; e il fiato un leggiero odore latteo misto colla fragranza di -non so che fiori; un fiato che, ad aspirarlo, par che debba far bene al -sangue, come l'aria della campagna. - - * - * * - -Eppure v'è chi non ama queste creature! Io vedo col pensiero un bambino -roseo e ridente che dalle braccia di sua madre tende tutt'e due le -mani in atto amoroso verso un signore lungo, stecchito e severo, il -quale dà indietro con un movimento quasi di ripugnanza, e facendo un -sorriso forzato, gli agita dinanzi agli occhi un dito nodoso che non -vuol essere toccato. Oh uomo lungo, stecchito e severo, sii pure un -grande ministro o un letterato famoso o un fondatore di opere pie: io -ti detesto. - - * - * * - -Bisogna vedere come sono atteggiati nella culla, la mattina, prima che -si sveglino. Chi può trattenere i baci e le risa? Sono atteggiamenti -di soldati morti sul campo di battaglia, atti di dolore disperato, -contorsioni d'acrobatici, abbandoni svenevoli d'innamorati languenti. -Ora son tutti in un gomitolo sul cuscino, ora rintanati sotto, ora -capovolti, in modo che cercando il visetto trovate la punta dei piedi, -e volendo afferrare un piede ficcate il dito nella bocca. E allora è -bello pigliar tutto in un fascio bimbo, lenzuola, coperta e coltrone, -e fuggir per la casa, colla preda calda fra le braccia. - - * - * * - -Chi vede senza ridere un bambino di tre anni, quando appena svegliato, -vestito e messo in terra, rimane un momento immobile, soffregandosi -gli occhi, e poi va innanzi a passo lento, tutto d'un pezzo insonnito, -scarmigliato, di malumore, piagnucolando e guardando la gente di -traverso; — o quando è preso dal freddo, che ha il nasino livido, e -cammina a passetti di marionetta, facendo la gobbina, e mille vezzi -e graziette minuscole, come per dire: — Son piccino, sono una cosa -da nulla, scaldatemi o sparisco; — o quando tuffa mezzo il capo in un -tazzone di caffè e latte tenuto a due mani, e tracannando avidamente, -fa la guardia colla coda dell'occhio a un pezzo di biscotto sul quale -sospetta che voi abbiate qualche intenzione ostile; — chi vede queste -cose senza ridere, non ha un senso comico delicato. - - * - * * - -A quell'età nulla di più bello che il vederli correre. La loro corsa -ha qualche cosa del saltellare d'una palla elastica, del barcollamento -d'un ubbriaco e dei movimenti d'una foglia portata dal vento. La -piccola creatura si spicca dallo sgabello, si slancia fuori della -stanza, inciampa nel gatto, rovescia una seggiola, infila un corridoio, -e via sgambettando e annaspando colle mani, di stanza in stanza, -inseguito dalla madre, fino all'angolo più lontano della casa, dove si -rifugia dietro un sacco da viaggio, e di là tenta un'ultima resistenza -per strappare una concessione al nemico. Ah! invano! Bisogna lasciarsi -lavare la faccia. - - * - * * - -Chi può dire che cos'è la voce dei bambini? C'è il gorgheggio -dell'usignuolo, il pissi pissi della rondine, il pigolío dei pulcini, -il gnaulío del gatto. Son note di flauto, mormorii e bisbigli -infinitamente soavi, strida e garriti che lacerano le orecchie, trilli -di soprano, scoppi di voce virile, stonature di tenore sgolato, -falsetti di maschere, fioriture e passaggi strani; tutti i suoni -che escono da una gabbia di cento uccelli e da un'orchestra di cento -strumenti. Accostate il viso alla loro bocca e fatevi mormorare qualche -parola nell'orecchio: alle volte n'esce un suono che vi rimescola; vi -pare d'aver posto l'orecchio allo spiraglio d'una porta misteriosa e -sentito una voce sovrumana. - - * - * * - -Egli ride. Non l'ho mai visto ridere così di cuore. È un riso smodato, -squarciato, sgangherato. Ho perfin paura che gli manchi il respiro. -Si butta a destra e a sinistra, rovescia la testa indietro, gli si -empion gli occhi di lagrime, gli si fa il viso pavonazzo. Ora basta, -via, ti puoi far male, smetti di ridere. È un riso inestinguibile, una -convulsione, un riso da schiantare le viscere. Ma finiscila una volta! -Ma perchè ridi? Che cos'è stato?... Ah! non m'ero accorto che m'ha -messo un cappelletto di carta sulla testa. - - * - * * - -Vestiti paiono qualche cosa: spogliati, non son più nulla. Si palpa -quel corpicino, si sente quell'ossatura sottile, che par che si debba -spezzare a premervi sopra la mano, e si trema pensando a che tenue filo -è legata quella cara vita. Quanto tempo e quanti dolori, per lui e per -chi l'ama, prima che questo piccolo braccio possa respingere l'offesa -di un uomo! Guardatelo lì ignudo nato quest'ometto spoppato ieri! -Come! Ha da venire un giorno in cui tu avrai la barba e il cappello -cilindrico? e capirai Tito Livio? e saprai risolvere un'equazione di -secondo grado a tre incognite? Eh via! spaccone, questo non può essere. - - * - * * - -Dovrei proprio guarirmi da questa debolezza. Sono seduto a tavolino, -scrivo, ho la testa piena di pensieri gravi, la menoma distrazione -m'inquieta, mi preme di finire; e con tutto ciò, bisogna che lasci -la penna, che m'alzi, che attraversi la stanza rimovendo le seggiole, -inciampando nei giocattoli e scomodando quattro o cinque persone, per -andare a stringere fra l'indice ed il pollice, per un momento solo, la -polpina di quella gambetta che dal mio posto vedevo biancheggiare in -un angolo oscuro dietro la spalliera della poltrona. Appagato questo -capriccio ritorno al tavolino col cuore in pace e colla mente disposta. -Altrimenti, non mi riusciva di finire la pagina. - - * - * * - -Gran voluttà quella di malmenare un bambino e di coprirlo di vituperi! -Sei un fantaccione, sei pesante, sei rotondo, sei duro, sei brutto; -mangi come un bue e dormi come una talpa; sei un ignorantone e un -fannullone che mi rovini e mi fai dannar l'anima; un giorno o l'altro -ti do un carico di legnate, non ti voglio più, ti butto fuori di casa, -farai una cattiva fine, sei un soggetto d'ergastolo, sei la mia vita, -t'adoro! - - * - * * - -Anche l'amore dei bambini ha le sue furie. Un vero padre si sente -qualche volta un po' antropofago e vorrebbe stare in una casa isolata -per poter saziare la sua fame senza che accorrano i vicini alle -grida della vittima. Non strillare, hai inteso? Il mio dovere è di -mantenerti, il tuo è di lasciarti baciare, sulla testa, — negli occhi, -— nella bocca, — sul petto, — nel collo, — fin che mi resta fiato. -Strilla! Strilla! Che m'importa? Pur che io mi sazi. Ah! se non avessi -paura di soffocarti! Già, è scritto: un giorno o l'altro ti finisco. - - * - * * - -Questa mattina passeggiavo per la stanza con lui disteso sulle braccia, -come in una culla. Egli teneva gli occhi chiusi e lasciava spenzolare -la testa e le gambe. La fantesca disse: — Par morto. — Questa parola -mi agghiacciò il sangue. Mi misi a pensare che cosa seguirebbe di -me se egli morisse. Mi parve che sarei impazzito. M'internai in -quell'immaginazione. Prenderei sulle braccia il bambino morto, — -pensai, — uscirei di casa, attraverserei la città, piglierei la -campagna, e via, di sentiero in sentiero, di villaggio in villaggio, -di giorno, di notte, al vento, alla pioggia, muto, infaticabile, -stringendo colle mani irrigidite quel corpicino freddo, fin che -arriverei in mezzo a una pianura immensa e sinistra, dove darei tutt'a -un tratto in un tale scoppio di pianto che mi si romperebbe una vena -nel petto e cadrei senza vita. - - * - * * - -Ha rotto un bicchiere, ha rovesciato un lume, straccia la tappezzeria, -sbatacchia gli usci, fa tintinnare i vetri,... getta in aria i -fantocci,... copre la voce di tutti.... Che inferno in questa casa! che -pace nel mio cuore! - - * - * * - -Quando son triste, vedo in ogni suo trastullo l'immagine di una -disgrazia che gli potrà accadere, e mi perdo in mille presentimenti -dolorosi. Rompe una gamba a un fantoccio: io penso: si romperà una -gamba in una caduta? Gioca colle pallottole: io mi domando: — Diventerà -un giocatore? Quando suona il tamburo, m'immagino che possa morire in -guerra; quando rovescia un altarino, temo che diventi uno scettico; -quando lo vedo rannicchiato in un cantuccio in mezzo a due seggiole, -mi pare che un giorno abbia da essere gittato in una prigione. Lui! -Son sogni. Fin che io vivo non gli seguiranno disgrazie. Lo seguirò -come l'ombra il corpo. Sarò il suo amico, il suo confessore, la sua -sentinella. Ma poi? Ah! Il pensiero di lasciarlo solo nel mondo mi -spaventa, ho paura della morte, son diventato pusillanime. Vorrei -vivere un secolo, ridurmi decrepito, cieco, paralitico, inchiodato -perpetuamente sopra una seggiola; purchè nei giorni di dubbio o -di pericolo, potessi afferrarlo per la mano, toccargli il capo, -supplicarlo, se non potessi più colla voce, almeno coi gesti e colle -lagrime, di non uscire dalla via dell'onore. - - * - * * - -È una cosa che fa fremere. Qualche volta, guardandolo, io mi raffiguro -le molte migliaia di bambini dell'età sua, nati nello stesso paese, e -che in questo mentre sono come lui innocenti, amorosi, carezzevoli; me -li raffiguro nelle loro culle, fra le braccia delle loro madri, coperti -di baci e chiamati coi più dolci nomi della lingua umana; vedo nel -cuore dei loro genitori le medesime speranze, lo stesso presentimento -ch'essi saranno onesti e contenti, anzi la medesima profonda certezza, -e non altrimenti fondata, che io nutro riguardo al mio: e penso che non -di meno da tutta questa legione di angioletti usciranno dei ladri, dei -falsari, degli assassini, dei parricidi, che getteranno la disperazione -e il disonore nelle loro famiglie. Quando questo pensiero mi s'inchioda -nel capo, mi tocca fare un grande sforzo per liberarmene. Questa -mattina presi il mio bimbo sulle ginocchia e gli domandai: — Bimbo, -sarai un'assassino tu? — Egli non capisce ancora il significato di -questa parola. — Si, — rispose — ma voglio dei dolci. - - * - * * - -Se potessi indovinare il suo avvenire, come fanno le zingare, dalla -palma della mano! Che cosa tratterà questa manina? La spada? Il -pennello? La penna? L'archetto del violino? Il coltello anatomico? -Povera manina, quante volte sorreggerà la testa stanca d'un lavoro -ingrato o d'un pensiero doloroso! Di quante lettere listate di nero -romperà il suggello! Quante destre di falsi amici e di donne indegne -gli occorrerà di stringere! Ma tu la conserverai pura d'ogni macchia, -figliuol mio, e se quando ti colpirà un grande dolore immeritato, ti -verrà fatto di levarla in alto, non la leverai per maledire, ma per -giungerla coll'altra, come ogni sera e ogni mattina t'insegna a fare -tua madre. - - * - * * - -Guardo la sua manina, la stringo, la nascondo tutta nel mio pugno, -e sorrido pensando che passarono per questa forma anche le mani dei -guerrieri più formidabili e degli artefici più potenti del mondo. -E da questo pensiero son condotto alla mia immaginazione prediletta -dell'infanzia degli uomini grandi. Mi raffiguro Omero che si dispera -perchè gli hanno rubato una pesca; Cesare che trema dinanzi a un topo; -Dante che salta in sella a un cavallino di legno; Michelangiolo, che -mentre suo padre gli mostra una statua, è tutto intento a schiacciare -un nocciolo coi piedi; e la signora Buonaparte che dice al futuro -vincitore d'Europa: — Vergogna! Alla tua età, quando se n'ha bisogno, -si dice, e non s'imbratta in codesto modo la casa. - - * - * * - -Se diventasse un grand'uomo! È un sogno di tutti i padri; ma non è -impossibile. Egli è un enimma infine; un geroglifico il cui significato -è ancora ignoto; una parola della quale non è scritta che la prima -lettera; un numero dell'immenso lotto umano. Questo dubbio è il -più dolce alimento della mia vita. Mi pare di possedere uno scrigno -misterioso, nel quale è possibile che ci sia un pugno di sabbia o -un mucchio di perle. Son vicino a trent'anni, e il mio avvenire che -cominciava a restringersi, s'è improvvisamente allargato; ho perduto -le ultime illusioni della gioventù, ho ritrovate le speranze infinite -dell'infanzia. Che importa che i miei capelli cadano? I suoi diventan -folti. Che importa che io discenda? Egli sale. - - * - * * - -E se riuscisse invece d'intelligenza scarsa e di fibra debole, non -solo da non uscire dall'oscurità, ma da rimanere degli ultimi in mezzo -agli oscuri? Quando mi coglie questo pensiero, sento un irresistibile -bisogno di stringermelo al petto e di coprirlo di carezze, come per -domandargli perdono della vana ambizione che me lo fa sognare diverso -da quello che forse egli è destinato ad essere. Sento il bisogno -d'assicurarlo fin d'ora che quanto sarà più angusto il posto che gli -è riservato nel mondo, tanto sarà più grande quello ch'egli avrà nel -mio cuore. Pensando che un giorno, forse, tornando dalla scuola egli mi -dirà piangendo: — Son l'ultimo; — io mi sento uno struggimento d'amore -per lui. Ma questo non sarà, perchè io l'aiuterò nei suoi studî, mi -rimetterò al greco e alle matematiche, veglierò con lui, e gli verserò -tanto affetto nel cuore, che il cuore illuminerà la mente. Quando qui -sotto v'è un tesoro, anche qua sopra v'è qualcosa. - - * - * * - -I bambini sono grandi consolatori. Chi lo sa più di te, povera -vecchia fantesca? In casa tu sei amata; ma la tua testa calva, il tuo -viso rugoso, tutta la tua persona deformata dagli anni, ti rendono -incresciosa alle persone che ti sono più care e sono cagione ch'esse -non ti rendano, ora che ne avresti tanto bisogno, le carezze che tu -prodigasti loro quand'erano bambini. Alberto, giovinetto, si ritira -bruscamente indietro quando tu accosti il tuo volto al suo per guardare -le vignette del libro ch'egli sfoglia; Enrico da molto tempo non vuol -più che tu gli faccia il nodo della cravatta per non sentire il tuo -alito e il contatto delle tue mani; e quando vuoi baciare Adelaide, -la ragazzina che hai portata in braccio per tanti anni e divertita con -tante istorie nelle lunghe sere d'inverno, sei costretta, perchè non ti -respinga, a baciarla furtivamente quando dorme. V'è una sola creatura -al mondo che non respinge le tue carezze, che ama la tua testa calva -e il tuo viso rugoso, che ti compensa di ogni ingratitudine e d'ogni -amarezza, ed è questo bambino di tre anni — Ernesta, — egli ti dice -baciandoti sulla bocca, — tu sei bella. - - * - * * - -E sempre ricasco nel pensiero della bellezza. Non credevo che un -padre, oltre l'affetto che tutti comprendono, dovesse nutrire pel suo -figliuolo un sentimento così affine a quello di uno scultore per la -sua statua. Io pure spio con trepidazione il viso di chi lo guarda, -interpreto i sorrisi e commento i complimenti come un artista incerto -dell'opera sua. Ogni sua bellezza mi pare un merito delle mie mani, -ogni sua imperfezione l'effetto d'una mia svista. Ogni giorno mi si -presenta in un aspetto diverso. Lo guardo e lo riguardo, di faccia, di -profilo, davanti, di dietro, di sopra, di sotto; correggo cogli occhi -certi suoi tratti; rimango perplesso; ci ripenso; ma finisco sempre col -darmi una fregatina alle mani e dire che è un bel lavoretto. - - * - * * - -Gran livellatori del cuore umano i bambini! V'è una povera donna con -un bimbo in braccio seduta sullo scalino della porta, che vede passare -una signora in carrozza con un bimbo sulle ginocchia. Il bimbo della -signora è vestito di velluto, il suo è vestito di cenci; quello ha un -fascio di giocattoli, il suo non ha mai avuto giocattoli; quello mangia -dei confetti, il suo rosicchia un pezzo di pan nero. Eppure degli -sguardi che le due donne si scambiarono sui propri figliuoli, quello -che espresse un sentimento d'invidia è quel della signora! La povera -donna se n'accorse ed esclamò con un fremito di orgoglio: — Il mio è -più bello! - - * - * * - -Io non so se tutti i padri vedano nei loro bambini quello ch'io -vedo nel mio; so che più lo guardo e più ammiro l'infinita amabilità -dell'infanzia, che mi pare un compenso dato da Dio alle ansietà e alle -cure ch'essa ci costa. Ha dei movimenti di capo, delle espressioni -di stupore, dei lampi di sorriso, dei gesti sfuggevoli, dei vezzini, -delle civetterie, dei nonnulla inesprimibili che mi strappano un grido -d'amore. — Non provocarmi! — gli dico qualche volta. E in questa grazia -incantevole di gesti e di atteggiamenti, una varietà immensa, una -trasfigurazione continua, una sorpresa ogni momento. Mi pare che chiuso -con lui in un castello solitario, senza libri, senza lavoro, senz'altra -cura che di custodirlo, non avrei un'ora di noia. - - * - * * - -Comincia, parlando, a legare insieme due proposizioni. È un gran -piacere per me il seguire attentamente l'estrinsecazione laboriosa -del suo pensiero, vedere con che bizzarri artifizî esprime l'idea più -semplice, con che buffe contrazioni del viso pronunzia ogni parola -nuova, come tira e scontorce e spreme il suo piccolo capitale di -venticinque parole; che stroppiature mostruose, che sgrammaticature -colossali, che spropositi enormi e incredibili, mette fuori colla più -ingenua sicurezza, e qualche volta guai a chi gli ride in faccia! -E notare come in questo suo linguaggio stravolto e spropositato, -un giorno si raddrizza una parola, un altro giorno si combina una -concordanza, e a poco a poco i vocaboli si dispongono in ordine, e le -consonanti difficili escono spiccate e sonore, fin che lo strumento -completato e accordato, potrà prendere parte al concerto della -conversazione domestica, non facendo più che qualche stonatura per -caso. - - * - * * - -È strano ch'io ci pensi oggi per la prima volta: questo visetto, -questa vocina, questa grazia angelica, che ora rallegra la mia vita, -fra qualche anno non saranno più. Ogni giorno che passa mi ruba -qualche cosa di questo bambino roseo. Fra qualche anno egli avrà un -altro viso, parlerà con un'altra voce, gestirà in un'altra maniera, e -della creatura d'oggi non mi rimarrà che qualche ritratto e qualche -reminiscenza. Questo corpicino non è che una forma che mi passa -dinanzi e che deve svanire. Sono irragionevole; ma è un pensiero che mi -rattrista. - - * - * * - -Non capisco più, ora, come io abbia potuto vivere tanto tempo, -ed essere quasi felice, in una casa sempre tranquilla —, dove non -c'era mai una seggiola fuori di posto —, dove non si rompeva mai una -bottiglia — dove non s'inciampava mai in una marionetta —, dove non -si facevano mai delle oche di carta —, dove non si vedeva mai nessuno -sotto una tavola —, dove non c'erano che dei letti enormi —, dove non -si sentivano mai che dei passi lenti e gravi —, dove non s'udivano che -voci pacate che dicevano senza errori di grammatica delle cose sempre -ragionevoli. - - * - * * - -Sovente, vedendolo così ben vestito e ben pasciuto, con un monte di -ninnoli davanti, io dico tra me: — E se un rovescio improvviso di -fortuna mi costringesse a non trattarlo più in questa maniera? Tutto -il mio sangue si rimescola violentemente a questo pensiero, e nello -stesso tempo la mia fronte si solleva e la mia anima ingigantisce. Ah! -non sarà mai, bambino mio! dovessi comprare ogni tuo giocattolo con una -notte di lavoro, scontare ogni tuo vestitino nuovo con una ruga della -fronte, pagare ogni tuo giorno di contentezza con una ciocca di capelli -bianchi, conservare il color di rosa del tuo volto colla tortura del -mio cervello e delle mie ossa! Che m'importerebbe che la gente ridesse -della mia faccia scarna e del mio vestito logoro? Io ti condurrei a -passeggiare con me in qualche parte solitaria della campagna, e starei -a veder tramontare il sole premendomi la tua testa sul cuore. Ah, non -temere! Fra te e la povertà, ci sono i miei trent'anni, la mia volontà -indomabile e le forze smisurate dell'amore che mi divora. - - * - * * - -Oggi gli ho fatto fare un bagno in una zuppiera rotta, e vedendolo -così tutto nudo e bello che grondava acqua e rideva, pensavo: — Eppure -queste povere creaturine, la febbre le consuma, il vaiuolo le accieca, -la tosse convulsiva le soffoca, il crup le strozza, e bisogna vederli -diventar neri, dibattersi, stralunar gli occhi pieni di lagrime, -chieder soccorso agitando le manine, e rimanere irrigiditi; bisogna -vederli chiudere in una cassetta, vederli portar via ravvolti in un -panno nero, vederli calare in un fosso e coprir di terra e di sassi; -e poi tornare a casa pensando ch'essi sono là soli sotto la neve, in -mezzo a un campo pieni di scheletri; e rientrando in casa, rivedere -i loro giocattoli e i loro vestiti, la culla vuota, la seggiolina -vuota, la stanza vuota, tutto l'universo vuoto, e sentir risuonare in -quell'orrendo silenzio le risa dei bimbi dei vicini! Ah! quando questo -accade, mi par che non si possan far che due cose: o spezzarsi il -cranio contro una parete o cadere in ginocchio e rimanere perpetuamente -colla fronte inchiodata sulla culla. - - * - * * - -Dopo che la mia vita è legata a questa creatura, il pensiero della -morte non mi atterrisce o non mi rattrista più se non in quanto si lega -a quello del suo avvenire. Ma se per la sua vita dovessi sacrificare -la mia; se dovessi, colla sicurezza di salvarlo, fargli scudo del mio -corpo, e difenderlo senza difendermi, immobile con lui nelle braccia, e -dieci assassini alle spalle; oh! io fremo di non so che voluttà feroce -e superba a questo pensiero: io credo, sento, giuro che mi lascerei -crivellare di pugnalate, coprendogli la testa di baci, senza aprir -la bocca per gridare: — Pietà! — e senza versare una lagrima sul mio -destino. - - * - * * - -Questa mattina, fra le altre sue stranezze, ho scoperto ch'egli crede -che gli uomini siano fatti di legno, e per quanto gli abbia detto.... -— Interrotto dalla caduta d'una palla di gomma elastica che rovesciò il -calamaio. - - - - -SOPRA UNA CULLA - - -I. - - Sono tre giorni che ha 'l visetto bianco - E gira l'occhio illanguidito e lento, - E non cerca la madre, e leva a stento - Le braccia dimagrate e il capo stanco. - - Parla, dottore — dirami aperto e franco - La triste verità ch'io già presento; - E tu fa core, amica; — ecco il momento; - Dammi la mano — e sta stretta al mio fianco. - - E grave? — .... Assai? — .... C'è da temer la morte? - Ebbene, amica — qui — qui sul cor mio, - E opponiamo al dolor l'anima forte. - - Ma no! non posso! mi si spezza il core! - Ho bisogno di piangere! Mio Dio, - Pietà! M'uccido se il mio bimbo muore! - - -II. - - Bambino mio, cos'hai? cosa ti senti? - Sorridi — guarda — moviti — respira; - Non vedi il padre tuo, qui, che delira? - Non le senti le sue lacrime ardenti? - - Non lacerarmi il cor co' tuoi lamenti! - Oh dottore — soccorrilo — egli spira; - Vedi come già trema, e come gira - Gli sguardi tralunati e semispenti. - - Che aspetti dunque? Di parole vane - Non è più tempo! Salvalo, per Dio! - Prova! Tenta! non hai viscere umane? - - No, no, perdona! io son pazzo, lo vedi; - Ma salva dalla morte il bimbo mio, - E bacierò l'impronta de' tuoi piedi! - - -III. - - Come ha già il volto smorto ed affilato, - Povero bimbo, povero angioletto! - Ah per pietà, coprite quel visetto; - Non lo posso veder così mutato. - - Appena appena gli si sente il fiato - Ed un leggiero tremito nel petto; - Sembra già morto — ha già mutato aspetto; - Ha chiuso gli occhi — è immobile — è diacciato! - - Dottore! Amica mia! Ma dunque è vero! - Egli morrà! Lo porteranno via! - Porteranno il mio bimbo al cimitero! - - Il mio bimbo! il mio cor! Ma rispondete! - Dite che è un sogno della mente mia, - O mi spezzo la fronte alla parete! - - -IV. - - Che? — C'è speranza ancor ch'egli non mora? - Non è la tua pietà — dottor — che mente? - È salvo se fra un'ora si risente? - Se fra un'ora il suo volto si colora? - - Un'ora! Un'ora eterna! Un'ora ancora - Per vederlo morir più lentamente! - Ma prima sarò anch'io morto — o demente, - O invecchierò di trenta anni in quest'ora. - - Ebben — coraggio — starò qui prostrato, - Muto — aspettando colle braccia in croce - Che il mio povero bimbo sia spirato. - - Ed aspetta anche tu — cara — pregando; - Non alzar contro Dio l'incauta voce.... - Inginocchiati qui.... te lo comando! - - -V. - - Pietà, tremendo Iddio! Pietà, Signore! - Nel santo nome della madre mia. - Pietà del mio bambino in agonia, - Non rapite quest'angelo al mio core. - - Io redento dal pianto e dal dolore - Vivrò una vita santa, umile e pia, - E non avrò più senso che non sia - Bontà, dolcezza, pentimento, amore. - - E se è fermo nel Vostro alto consiglio - Ch'egli debba morir — ch'io non intenda - La voce che dirà: — non hai più figlio! - - Datemi, eterno Iddio, questo conforto; - Ch'io non la senta la parola orrenda; - Ch'io resti prima o forsennato o morto. - - -VI. - - Povero core! Povero bambino! - Era un angiolo d'anima e d'aspetto; - Pareva un fiore — e qualche riccioletto - Gli usciva già di sotto al cuffiettino. - - La notte, lo cullavo — e sul mattino - Venia — nudo e ridente — nel mio letto, - E sgambettando mi puntava al petto - E contro il volto il suo rosso piedino. - - Ed ogni sera — in lui rapito — chino - Teneramente sul suo bianco nido - Gli coprivo di baci il corpicino; - - E in mezzo ai baci mi fuggía dal core - Un gemito, un singhiozzo, un riso, un grido, - E cadevo in ginocchio ebbro d'amore. - - -VII. - - Addio, mia bella visïon fuggita, - Bel sogno mio svanito sull'aurora, - Larva adorata che brillasti un'ora - Sul deserto cammin della mia vita! - - Non tutta ancor l'anima mia smarrita - Può intendere il dolor che la divora; - Ancor vaneggio; — non lo sento ancora - Tutto lo strazio della mia ferita. - - Avrò per sempre il mio bimbo morente - Dinanzi agli occhi — ed il mio labbro muto - Cercherà la sua fronte eternamente. - - Arte, fede, avvenir, gloria, fortuna, - Speranze, gioventù — tutto è perduto; - Tutto è morto e sepolto in questa cuna. - - -VIII. - - No! non lo credo! Tu m'inganni! Giura - Che dici il vero! Per pietà, dottore, - Non lacerarmi un'altra volta il core, - Non ti far gioco della mia sventura! - - È uno scherno crudel della natura! - È un vano inganno! È un sogno mentitore! - È salvo? Vive? Vive ancor? Non muore? - Ah! la povera mia mente s'oscura! - - Indietro tutti — via da me — lasciate - Ch'io profonda sul mio santo angioletto - Questa piena di lacrime infocate! - - Ride! Parla! Mi guarda! Eterno Iddio, - Che il grande nome tuo sia benedetto! - Mio figlio è salvo — l'universo è mio! - - - - -GIOVANNI RUFFINI - - -Un giorno, a Parigi, ricevetti una lettera con questo poscritto: — «Se -non lo sa, le annunzio che il Ruffini, l'autore del _Dottore Antonio_ -e del _Lorenzo Benoni_, sta in via Boulogne, numero trentasei.» - -Vi sono molti che pure desiderando vivamente di conoscer di persona -un uomo illustre che amano ed ammirano, per nulla al mondo andrebbero -a bussare alla sua porta senz'essere accompagnati da un conoscente -comune, o avere in tasca una lettera di raccomandazione, o essere -stati assicurati in mille modi che possono presentarsi senza timore di -parere impertinenti. Per me, quando ho un desiderio di questa natura, -trovo che la maniera più naturale e più dignitosa di soddisfarlo, è -quella di andar per la via più corta a casa del personaggio, e dire -alla cameriera che viene ad aprire: — Abbia la bontà di annunziare al -padrone che il tale dei tali ha un vivissimo desiderio di vederlo. — -Non mi conosce? che importa? O che vado là per far ammirar me, e non -per ammirar lui? Ma potrebbe supporre che vi abbia condotto a casa -sua una curiosità volgare, o l'ambizioncina di dire poi che l'avete -conosciuto. Ma che! Se è un uomo d'ingegno deve aver l'occhio fino e -conoscere gli uomini: gli basterà guardarmi in viso e sentire il suono -d'una mia parola, per capire che il cuore che mi batte, ch'egli mi fece -del bene, che ho della gratitudine per lui, e che v'è più rispetto e -più amore in quella mia risoluzione di farmi innanzi così alla bella -libera, che in tutte le esitazioni e in tutti gli scrupoli degli -ammiratori timidissimi. - -Andando per via Clichy verso via Boulogne, pensavo al _Dottore -Antonio_, che avevo letto cinque anni innanzi, di primavera, all'uscire -di una grave malattia. Pei libri che si lessero la prima volta in tempo -di convalescenza, quando pare di esser rinati a un'altra vita, e stando -ancora in letto più per prudenza che per bisogno, si guarda colla -curiosità d'un prigoniero quel po' di cielo azzurro che appare dalla -finestra, e quella ciocca di verde che spunta sul terrazzino della -casa dirimpetto; pei libri che si lessero in quei giorni, qualunque -essi sieno, si nutre un sentimento particolare di gratitudine. Se poi -son libri che facciano amare soavemente quella vita che si è temuto di -perdere, e desiderare con ardore quel lavoro che ci fu tanto doloroso -di smettere, e ammirare con entusiasmo quella natura varia e bellissima -che le quattro pareti della nostra stanza ci hanno nascosta per tanto -tempo; se son libri, in una parola, che aggiungano una nota dolcissima -all'inno di gratitudine che si alza dal nostro cuore verso tutto quello -che è intorno noi e sopra di noi, come se ogni cosa si rallegrasse -della nostra salvezza, e ci animasse a rimetterci in cammino con -coraggio; allora quei libri diventano amici di tutta la vita, e il nome -di chi li scrisse ci resta nell'anima come il nome di un benefattore. - -Entrando in via di Boulogne mi ricordai delle affettuose parole colle -quali un amico mio mi espresse un giorno l'impressione che aveva -ricevuta dai romanzi del Ruffini. — È uno di quelli scrittori, ai -quali, dopo letto l'ultima pagina d'un loro libro, domandereste un -consiglio per pigliar moglie, confidereste una vostra sorella per -un viaggio, rimettereste nelle mani denari, memorie secrete, lettere -intime, ogni cosa. - -Tirai il campanello, mi aperse una vecchia cameriera. — C'è? — C'è. — -Abbia la bontà di dirgli che il tale dei tali ha un vivissimo desiderio -di vederlo. — Scomparve, e tornò di lì a un minuto a dirmi ch'entrassi. - -Entrai in una cameretta modesta — lo vidi — aveva capito — mi venne -incontro sorridendo — balbettai qualche parola — sedemmo. - -I primi momenti in cui si trovano l'uno di fronte all'altro un uomo -illustre e uno sconosciuto che è stato spinto verso di lui da un -sentimento di ammirazione e di affetto, passano quasi sempre in -silenzio, poichè il visitatore, lì per lì, è occupato suo malgrado -a fare un raffronto tra la persona che ha dinanzi e quella che si -raffigurava; e l'uomo illustre, dal canto suo, indovinando quel -raffronto, per quanto sia superiore ad ogni sentimento di vanità, -rimane sospeso nell'atto di cercar negli occhi dell'ammiratore -l'impressione che la sua persona gli produce. Fuor che nei momenti -dell'inspirazione, il viso di uno scrittore o d'un artista non riflette -mai così limpidamente la bellezza dell'ingegno e del cuore. Vi si vede -una soddisfazione serena, mista a un non so qual leggiero turbamento -di pudore virile, che farebbe parer bello anche un viso non bello, -e desterebbe un moto di simpatia anche in un'anima dalla quale fosse -svaporata ogni freschezza di sentimenti gentili. - -Il Ruffini ha l'aspetto d'un buon padre di famiglia; uno di quei bei -volti aperti e soavi, che in questi tempi, come dicono coloro che -hanno per intercalare _il mondo peggiora_, non si vedono più; una di -quelle fisonomie che ricordano certi grandi ritratti che ornan le sale -delle case patrizie. Così a occhio si direbbe che ha una sessantina -d'anni; e godo di poter aggiungere che ha l'apparenza d'un uomo -destinato a sbarcarne altri sessanta. Però malgrado il suo aspetto -pacato, s'indovina da certi moti risentiti delle labbra e da certi -suoni profondi della voce, che la sua vita deve essere stata agitata -da passioni vigorose e afflitta da qualche grande dolore. Come nelle -pagine del _Dottor Antonio_, così sul suo viso, nel suo accento, nei -suoi discorsi vi è qualche cosa di melanconico. Ma è una melanconia -temperata di tanta benignità e di tanta dolcezza, che non se ne sente -punto l'amaro. Ha poi una semplicità infantile di modi e di linguaggio, -che vi fa parere d'essergli sempre vissuti insieme, e una maniera di -guardarvi e d'interrogarvi come se foste voi in casa vostra, ed egli -ci fosse venuto, mosso dallo stesso sentimento che condusse voi a casa -sua. - -Alle prime parole che gl'intesi dire fui meravigliato che non avesse -perduto l'accento genovese dopo tanti anni che vive lontano dal suo -paese. È nato a Taggia, vicino a San Remo, su quella beata riviera -ligure che egli dipinse con una meravigliosa freschezza di colori -nel suo secondo romanzo. Si sa che nel 1848 i suoi concittadini lo -mandarono al Parlamento piemontese, e che lo rielessero non è molto, -benchè egli dichiarasse che non avrebbe accettato il mandato, come in -fatti non l'accettò, _per non spellar la mano nei ferri dell'altrui -bottega_. Ora vive un po' a Londra, un po' in Isvizzera e un po' -a Parigi; ma più lungamente a Parigi, dove ha molti amici e molti -ricordi. È stato gravemente malato or fa un anno, credo appunto in -Parigi, e non s'è ancora rimesso affatto dalla malattia; ma la sua è -una convalescenza colla quale molti uomini di pari età vorrebbero poter -cangiare la propria salute. - -Gli feci quella solita dimanda, che per gli uomini come lui dev'essere -importuna come una mosca, tanto spesso e da tanti se la senton fare! ma -che pure è naturalissima, e scappa dalla bocca prima che si sia pensato -a mandarla fuori: — E ora che sta facendo? - -— Non faccio nulla — rispose — perchè non ho niente da dire. — - -Risposta semplicissima che chiude una profonda sentenza: — Scrivere -quando si ha bisogno di scrivere, — o come diceva il Manzoni — -aspettare che la musa ci venga a cercare, e non iscalmanarsi a correr -dietro alla musa. — E poi soggiunse per chiarir meglio il suo pensiero: - -— Ognuno non ha che una certa quantità di roba nel sacco, e quando il -sacco s'è vuotato, se si vuol continuare a dare, non si dan più che -parole — - -Gli domandai se nei soggetti de' suoi romanzi ci fosse il fondamento -d'un qualche fatto vero e n'ebbi la risposta che m'aspettavo. Egli ha -conosciuto quasi tutti i suoi personaggi, ha raccontato i loro casi, -s'è servito delle loro parole. Di qui l'efficacissimo colore di verità -che brilla nei suoi racconti, i dialoghi che par di sentire piuttosto -che di leggere, e i personaggi che, a libro chiuso, si confondono nella -memoria del lettore con gente vera ch'egli conobbe in altri tempi, -così che alle volte gli bisogna quasi fare un atto di riflessione per -separare le persone dalle larve. Dio sa quante cose gli avrei domandato -intorno ai suoi libri, ai suoi studî e alla sua vita se non me ne -avesse trattenuto il timore che egli, osservatore sottile, mi leggesse -negli occhi il proposito segreto di spiattellare in una gazzetta -tutto quello che gli usciva dalla bocca. E perciò fui costretto a -lasciar cascare la conversazione sull'interpellanza contro il decreto -del prefetto di Lione e sulla discussione intorno all'ordine della -Legion di Onore. Il Ruffini conosce la Francia _intus et in cute_, -e spiega, parlando di politica, quell'accorgimento fino e quel buon -senso rettissimo, col quale suol giudicare gli uomini e le cose nei -suoi romanzi; ma pure non mi potei trattenere dall'interrompere quei -suoi discorsi per ricondurlo a parlare di sè, e cogliendo a volo tutti -gli appicchi ch'egli diede involontariamente alle mie interrogazioni -indiscrete, riuscii a raccapezzare qualcosa. - -Come abbia cominciato la sua vita letteraria, i più, credo, lo sanno. -Emigrò giovanissimo, andò a Londra, e trovandosi corto a denari, -dovette pensare a guadagnarsi la vita col lavoro. Prima d'allora non -avea scritto altro che articoli per gazzette, e benchè si sentisse -dentro quella _certa smania inesplicabile_ che agitava l'anima -del Giusti prima che si fosse rivelato a sè stesso, non aveva mai -sognato di salire un giorno su per la sterminata scala dell'arte fino -all'altezza a cui è salito. Gli venne in mente di scrivere un libro -— che fu poi il _Lorenzo Benoni_ — per far conoscere in Inghilterra -quel periodo importantissimo della vita italiana, e destar così un -sentimento di simpatia per il suo paese «che allora aveva bisogno di -tutti.» Manifestò il suo disegno ad alcuni amici che lo approvarono, e -trattò della pubblicazione coll'editore d'un giornale, che lo esortò -a scrivere i primi capitoli, i quali sarebbero stati stampati subito -per tastare l'opinione pubblica, e o smettere a tempo o tirare innanzi -di buono. Il Ruffini scrisse le prime cento pagine e gliele portò; -ma l'editore non fu soddisfatto, e cangiato avviso, volle vedere il -lavoro finito prima di cominciarne la stampa. Allora il Ruffini si -perdette d'animo, buttò in un canto il suo manoscritto e si dedicò ad -altre cose. Qualche tempo dopo, essendo andato a Parigi e avendo dato -a leggere quel poco che aveva fatto ad una colta ed arguta signora, -che gliene fece caldissime lodi, e lo spronò vigorosamente a scrivere, -riprese animo, si rimise al lavoro, lo condusse a fine, e mandò il -romanzo con una lettera di raccomandazione di suo fratello, a un -editore di Edimburgo, il quale approvò, stampò e ricompensò l'autore -con cento lire sterline: non sperata fortuna! che fu, come tutti sanno, -il primo anello d'una catena d'oro. Il _Lorenzo_ ebbe un successo -splendido; la stampa inglese incoraggiò l'autore con larghissime -lodi; lo stesso Mazzini, benchè in quel libro ci fosse qualche nota -stridente per un orecchio repubblicano, gli espresse per lettera -la sua ammirazione; la fama del Ruffini fu assicurata. Poi venne il -_Dottor Antonio_, e dopo il _Dottor Antonio_, tutti gli altri gioielli -smaglianti di limpidissima luce. - -Come ha potuto il Ruffini ridursi in grado di scrivere in inglese, -per quanto si assicura, puro, facile ed elegante, in così breve tempo, -poichè egli medesimo dice che quando andò in Inghilterra non conosceva -che pochissimo la lingua? Voglio che un ingegno potente divini, in gran -parte, il linguaggio del quale ha bisogno per rivelarsi ed espandersi; -ma quanto deve aver faticato in quelle prime lotte del pensiero colla -parola, così lunghe e difficili anche per chi scrive nella lingua -che gli è famigliare dall'infanzia, egli che doveva scrivere in una -lingua straniera, e tanto diversa dalla sua! Io credo che quando va a -Londra, non dimentichi mai di visitare quella stanzina al quarto piano, -nella quale vegliò le prime notti, colla mente affollata di pensieri e -d'immagini che non trovavan l'uscita, e il cuore gonfio d'affetti che -prorompevano in lagrime prima che in parole! Chi avesse potuto in quei -momenti susurrargli nell'orecchio con uno di quegli accenti di voce -sovrumana che annunziano il futuro agli eroi delle leggende: — Tu sarai -ricco, celebre ed amato in questo paese, nel tuo, in molti altri, per -una lunga vita e dopo la vita! - -È facile avvedersi da qualche parola buttata qua e là che il Ruffini -si dà pensiero del rimprovero che molti gli potrebbero fare, che -qualcuno gli fece, d'aver scritto in inglese invece che in italiano. -Per me credo che non occorra nemmeno discolparlo. Per potergli fare un -carico d'aver scritto in inglese, bisognerebbe potergli anche scrivere -a colpa di aver emigrato, d'esser andato a Londra, di essersi trovato -nella strettezza, di aver avuto bisogno di farsi capire dalla gente da -cui voleva farsi leggere. D'altra parte i suoi libri, benchè scritti -in inglese, sono tanto italiani e per soggetto e per sentimento e per -scopo, che si può quasi affermare che appartengono alla letteratura -italiana più che alla letteratura inglese. Scritti in italiano, non -si sarebbero certamente diffusi quanto si diffusero, e non avrebbero -ottenuto in egual misura lo scopo che l'autore si propose: — di far -conoscere ed amare l'Italia fuori d'Italia. — Il Ruffini ha fatto una -buona azione in inglese; e una buona azione è sempre una buona azione -in qualunque forma la si faccia; e il nostro amor proprio nazionale -non è punto meno solleticato da che gl'Inglesi ci dicano: — Alcuni dei -nostri più cari romanzi sono d'un Italiano; — che dal poter dir noi: — -abbiamo un Italiano che scrisse alcuni romanzi degni di stare accanto -ai più cari romanzi inglesi. — - -I romanzi del Ruffini furono tradotti in molte lingue. Mi parlò egli -stesso di una traduzione tedesca che si fece mesi sono, e da quanto -mi parve di capire, tutte queste traduzioni gli fruttarono qualche -cosa, — eccettuate le traduzioni italiane — dalle quali non gli venne -il bellissimo nulla. Non lo disse, ma credo di poterlo affermare; e mi -spiace di poterlo affermare. Eppure i libri del Ruffini furono e sono -tuttora molto letti in Italia. Dal che si può tirare una conseguenza -che non è onorevole per il commercio letterario italiano. - -S'informò delle condizioni della nostra stampa letteraria e mi domandò -che vita possa menare fra noi uno scrittore al quale non manchi il -favore pubblico. Gli risposi che in Italia, uno scrittore al quale il -pubblico sia favorevolissimo, può oramai considerarsi quasi sicuro di -non morir di fame, purchè lavori il doppio di quello che dovrebbe per -rispetto all'arte sua e per riguardo alla propria salute, e purchè i -suoi libri abbiano una straordinaria diffusione. E siccome mi nominò -uno scrittore giovane, autore di alcuni romanzi dei quali si fecero -parecchie edizioni, gli avrei voluto far sapere che appunto quello -scrittore, che pure si può annoverare tra i più fortunati del giorno, -può scrivere ogni sera qualche pagina di romanzo, perchè lungo il -giorno ne scrive molte, e Dio sa che camiciate gli costano, sul corso -forzoso, sulle imposte comunali e sui progetti di strade ferrate. E -gliene avrei potuto nominare un altro, morto giovane, ch'era pieno -d'ingegno e d'affetto, e operosissimo, e i cui libri si leggevano -avidamente, e che pure, non molto tempo prima di morire, si trovava -ridotto a desinare di castagne secche. E gli avrei potuto anche dire -d'un uomo illustre, vivente, autore di alcune opere note anche fuori -d'Italia, che per reggersi ritto, scrive ogni giorno una lettera -politica a un giornale di provincia, che manda cento lire al mese a -un amico suo, il quale si fa passare per corrispondente, e rimette i -denari a lui, che salva così il pudore della povertà. Il Ruffini che -s'è fatto una piccola fortuna con quattro novelle, avrebbe sorriso se -gli avessi detto queste cose. Certo che si può obbiettare: — Scrivete -delle novelle come le sue. — Ma tra farsi una fortuna e campare, ci -corre più che tra le novelle del Ruffini e gli scritti di coloro che -ho accennati, benchè ci corra moltissimo. E non dico questo per cavarne -un'accusa contro l'Italia; ma per dire le cose come sono. - -Non so quanto tempo io sia rimasto con quel caro uomo, — medico di -anime e fattore di galantuomini, — cogli occhi fissi nei suoi e colla -mente tesa per cogliere ogni suo pensiero e impadronirmi di ogni sua -parola. E mi pareva di vedere intorno a lui, come un corteo, tutti i -gentili fantasmi che ci fece amare nei suoi libri, e lontano, in fondo -al quadro che mi rappresentavo colla fantasia, quella bella marina -ligure, quel bel cielo, quel lido verde e queto, ch'egli ci fece parere -più bello e ci rese più caro. E udendolo parlare italiano così un -po' lentamente e con qualche giro di frase straniera, e pensando ai -lunghi anni ch'egli visse fuori della sua patria, e al suo soggiorno -in Francia, e ai suoi viaggi in Isvizzera e in Inghilterra, che lo -allontanano da noi, provavo come un senso di mestizia, e gli avrei -voluto dire quello che ora scrivo, non per chi leggerà, ma proprio -per lui: — Tornate fra noi, caro amico, che se non abbiamo potuto -agevolare i primi passi che faceste sulla nobile via delle lettere, nè -raccoglier di prima mano i fiori di cui l'avete cosparsa, v'abbiamo -però accompagnato da lontano con un sentimento d'orgoglio, misto di -rammarico e di desiderio. Tornate fra noi perchè abbiamo bisogno d'una -persona cara e venerabile, sulla quale versare una parte dell'affetto -che avevamo accumulato sul capo di quel vecchio illustre, del quale voi -avete la bell'anima, e se non pari gloria, la stessa gloria: quella di -aver fatto del bene. — - -Uscendo di casa sua, mi accorsi che per la prima volta, dopo due mesi -che stavo a Parigi, mi sentivo libero da un certo stordimento, da un -turbinio di desiderî, da non so che tumulto del cuore e della testa, -che non mi lasciava ben avere, nè lavorare, nè pensare, come se ogni -giorno fosse il giorno dell'arrivo, e che a volte mi prostrava in -uno sgomento da non potersi esprimere, come di chi credesse d'esser -diventato tutt'ad un tratto povero, stupido, nullo, e che tutti, -incontrandolo, dovessero sentir compassione di lui. Il Ruffini mi guarì -da questa malattia. Dopo di allora non l'ho più visto. Se gli cadranno -sott'occhio queste pagine, pensi che i medici debbono tollerare le -piccole indiscretezze dei malati — accetti la, mia pubblica professione -di gratitudine, — sorrida, — e mi perdoni. - -1873. - - - - -L'AMORE DEI LIBRI - - -Un tale, tempo fa, scrisse contro la pessima abitudine di moltissimi -italiani, i quali benchè siano dediti alla lettura e possano spendere, -non comprano mai un libro. - -Le cagioni di quest'abitudine di non comprare, o meglio, di questa -mancanza dell'abitudine di comprare, son molte; ma le principali -mi paion queste: che _la libreria_ non è ancora considerata come un -_mobile_ necessario al decoro della casa, che il libro non è ancora -capito come oggetto d'ornamento, che si ama la lettura, infine, ma che -non si ama ancora il libro. - -Io credo infatti che di tutti i mobili quello che si vende meno in -Italia sia lo scaffale. - -Moltissimi non capiscono in nessuna maniera come e perchè si abbia da -conservare un libro dopo che si è letto. - -Ogni momento, dai librai, occorre di sentir dire a qualcuno: — leggerei -volontieri questo libro. — Gli domandano perchè non lo compra. — Perchè -non lo compro? — risponde l'interrogato. — E che vuol che ne faccia -quando l'abbia letto? — Per costoro un libro letto non essendo più che -un ingombro, hanno ragione di non voler spender denari per empirsi la -casa di carta sudicia. Entrate nelle case. Nella maggior parte vedete -delle raccolte di conchiglie, d'uova, di pietruzze, di francobolli -esteri, persino di scatoline di fiammiferi; ma non ci vedete una -raccolta di libri. In ogni parte c'è qualche cosa che vi rammenta che -la famiglia mangia, gioca, dorme, suona; nulla che vi rammenti che -legge. È gala se vedete sparsi qua e là pei tavolini e pei cassetti -una ventina di volumi, un terzo dei quali appartengono al ragazzo che -va a scuola e quattro o cinque a un gabinetto di lettura. I pochi che -rimangono, — la sola proprietà libraria della casa, — son laceri e -scuciti e hanno i primi fogli coperti di cifre e di fantocci. Se ne -servono per smorzare la candela, per accendere il fuoco, per fornire -di carta le parti della casa dove è bene che ci sia sempre carta. — -Perchè stracciate questo libro? domandate. — Oh bella! — rispondono — -se l'abbiamo già letto e riletto tatti! - -Una casa senza libreria è una casa senza dignità, — ha qualcosa della -locanda, — è come una città senza librai, — un villaggio senza scuole, -— una lettera senza ortografia. - -Quanto è bella una biblioteca! Quante cose ci vede e quanto piacere ne -può ricavare anche chi legge per puro spasso, se appena ha un po' di -sentimento e d'immaginazione! - -I più mirabili frutti dell'ingegno umano son qui, raccolti in un -piccolo spazio, sotto la mia mano. Frutti d'ispirazioni divine, frutti -di meditazioni e di studi che segnarono di rughe precoci le più nobili -fronti umane, frutti delle più splendide fantasie dell'universo, -son qui ridotti nella forma di piccoli parallelepipedi, imprigionati -fra quattro assicelle, divisi per tempi, per paese, per lingua, per -materia, per dignità, numerati e schierati come un esercito. Uno -scompartimento mi apre i secoli passati, un altro mi trasporta nei -paesi lontani, questo mi tocca il cuore, quello mi stimola la vena del -riso, un terzo mi fa sognare, un quarto mi fa pensare e un quinto mi -fa piangere. Io posso scegliere secondo il mio umore; è una farmacia -morale; vi sono gli scompartimenti per i giorni foschi, quelli per i -giorni sereni, quelli per i giorni di fiaccona, quelli per i giorni -in cui mi piglia la furia del lavoro. E alla varietà delle materie -corrisponde la varietà degli aspetti. Vi sono i colossi, — vocabolari -e grandi opere illustrate, — che formano quasi l'ossatura di questo -piccolo mondo. Vi sono file compatte di volumi tarchiati, di color -oscuro, — vecchie edizioni economiche di opere classiche, — modeste -all'aspetto, ma piene di _vital nutrimento_, come nel mondo reale gli -uomini di vero merito. Sotto questi, l'aristocrazia delle legature, la -classe privilegiata della biblioteca, rivestita di pelli luccicanti -e rabescata di fregi d'oro. Poi la gioventù elegante e gaia: il -roseo del Lemonnier, il turchinetto del Barbera, il rosso aranciato -dell'Hachette, il giallo chiaro del Levy, cento colori di cento -edizioni civettuole, che fanno a chi più tira gli sguardi. Poi daccapo -lunghe file di volumetti uniformi e poveri, che sono come il popolo -minuto della biblioteca, guardato con indifferenza e trattato con pochi -riguardi. Più sotto le edizioncine diamante, genterella irrequieta, che -va e viene dalla città alla campagna, per strada ferrata e in carrozza, -dalla tasca alla valigia, dalla valigia al tavolino da notte, e si -contenta dei ritagli della nostra giornata. In questa folla abbiamo -le nostre simpatie, i vecchi amici, gli amici di ieri, i maestri, i -benefattori, i cattivi consiglieri, i capi scarichi, le anime perdute, -i rigoristi, i seccanti, i buffoni, i parassiti, i predicatori, i -mettimale, i consolatori. E in fondo finalmente, al pian terreno, -quattro dita sopra il pavimento, il cimitero, dove sono ammontati alla -rinfusa, sbrandellati e coperti di polvere, libretti ed opuscoletti -d'ogni forma e d'ogni colore, che vissero un giorno od un'ora nella -nostra mente: stravizi dello spirito, come dice il Guerrazzi; segatura -dell'ingegno umano: poesie di nozze, primi saggi di poeti falliti, -romanzi rachitici, almanacchi, libelli, imitazioni, plagi, capricci, -corbellerie, cenci e cocci della letteratura, destinati al banco del -tabaccaio alla cesta dello spazzino. - -L'amore dei libri, crescendo a poco a poco, finisce poi col diventare -un sentimento affatto distinto dall'amore della lettura, e fonte, -per sè solo, di mille piaceri vivissimi, piaceri della vista, del -tatto, dell'odorato. Certi libri, si gode a palparli, a lisciarli, a -sfogliarli, a fiutarli. L'odore della stampa fresca dà dei fremiti -di voluttà. A occhi chiusi, fiutando, si riconosce se un libro è -antico, o soltanto vecchio, o recente, o recentissimo. Certi colorini -di certe edizioni innamorano, e s'incapriccisce per certi sesti e -certi frontispizî, come per certi corpicini e certi visetti. Si prova -veramente per i libri piccoli e graziosi un sentimento di sollecitudine -più gentile, che pei libri grossi, e a sollevare con uno sforzo certi -libroni si ride d'una compiacenza che non saprei definire; ma che è -tutt'altra da quella che si sente sollevando qualunque altro peso. Si -gode disponendo i proprî libri in un nuovo ordine, che formi una nuova -combinazione di colori; si lavora di mosaico; si fa ogni giorno un -cambiamento; una biblioteca anche piccola da lavorare; c'è da colmare -le lacune, da barattare le edizioni, da ricevere i nuovi venuti, da -congedare quei che partono, da curare quei che soffrono, da ristorare -quei che invecchiano, da far la corte a quei che splendono; è insomma -un piccolo Stato da governare, nel quale si provano tutti i piaceri, -tutti gli sconforti, tutte le invidie ed anche tutte le gloriole d'un -piccolo re, che non potendo allargare i suoi confini quanto vorrebbe, -si diverte e si consola rimestando continuamente quel po' che possiede. - -È un grande errore quello di credere che s'impari ugualmente dai libri -che si possedono e da quelli che si pigliano a prestito. Un libro -non fa tutto il pro che può fare se non è cosa nostra. Bisogna poter -logorarselo, sottolinearselo, farvi dei punti d'esclamazione, piegare -le pagine, segnarne i margini colle nostre unghie. Un libro che non -fa che passarci per casa, non lascia traccia profonda. E poi, che -differenza! Se lo avete in casa, lo leggete e lo rileggete appunto -nei casi in cui siete meglio disposti a riceverne un'impressione -viva ed utile, perchè ciò che vi fa cercar quella lettura piuttosto -che un'altra, è una disposizione particolare dell'animo, la quale se -doveste cercare il libro altrove, sarebbe forse già mutata prima che il -libro fosse nelle vostre mani. - -Quanto è grande l'efficacia d'una biblioteca sull'educazione dei -ragazzi! Il destino di molti uomini dipese dall'esserci o non esserci -stata una biblioteca nella loro casa paterna. L'aver avuto sotto mano, -a tutte le ore del giorno, il modo di soddisfare le prime curiosità -infantili, d'ingannare sfogliando libri la noia delle giornate -piovose, gettò in molti cervelli i primi germi d'un amore allo studio -che divenne col tempo passione ardente per la scienza e fecondò -precocemente certe facoltà dell'ingegno che lo studio obbligato e -circoscritto della scuola avrebbe lasciate inerti. E lasciando pure -da parte i grandi effetti, è bene ispirare all'infanzia il culto dei -libri, anche prima dell'amore della lettura. È ben per il bambino che -ci sia un angolo della casa, dove è eretto quasi un altare allo studio -e al sapere, al quale, senza comprenderne ancora la ragione, egli vede -dai suoi parenti usar certe cure e testimoniare un certo rispetto; una -stanza silenziosa, dove di tratto in tratto egli vede qualcuno immobile -e serio; un luogo consacrato al pensiero come ce n'è uno consacrato -alla mensa, uno al lavoro, uno al riposo. E da giovinetto, leggerà con -un piacere particolare quei libri che gli son famigliari all'occhio fin -dell'infanzia, che ha veduto mille volte ordinare, pulire, accarezzare -dai suoi genitori; che avevano già per lui, ciascuno secondo la sua -forma e il suo colore, un significato fantastico, prima che conoscesse -l'alfabeto. Certo ci dev'essere una differenza tra il giovinetto -che fin dai suoi primi anni ha veduto la sua famiglia conservare e -rispettare religiosamente i libri, e quello che l'ha veduta vivere di -brigantaggio librario e fare dei libri letti quello che si fa delle -scarpe vecchie e degli abiti smessi. - -E poi! che c'è che ravvivi più intimamente e più dolcemente nel cuore -del figliuolo la famiglia o lontana o dispersa, i genitori morti, -l'infanzia, l'affetto e le cure di cui fu circondato? I libri che -portano il nome del padre, ch'egli stesso mise nelle sue mani, di cui -parlò con lui, gli ricordano le sue letture predilette, i suoi giudizî, -le sue opinioni, mille sfumature della sua indole. Su certi libri -gli par di vedere, al lume della candela, chinarsi quegli occhiali -luccicanti e quella barba bianca. Altri gli rammentano la famiglia -seduta in cerchio, intenta alla lettura d'un solo; atteggiamenti di -persone care, esclamazioni e risa allegre o singhiozzi mal soffocati -delle sorelle piccine, che pure gli sarebbero già fuggiti dalla memoria -da lungo tempo. Il figliuolo di chi amò i libri, amerà i libri, e non -sarà mai un'anima affatto volgare quella in cui rimarrà questo culto. - -Ah! vediamo di formarci intorno per tempo questa corona d'amici muti e -fedeli; fabbrichiamoci questa pacifica fortezza per ripararvici dentro -nei giorni in cui saremo assaliti dai dolori della vita. Questi giorni -vengono, e con essi il bisogno della solitudine e del silenzio. Sarà -triste allora il non aver un angolo della casa dove poter rifugiarsi -per tentar di dimenticare i vivi confortandosi coi morti! - - - - -MANUEL MENENDEZ - -(RACCONTO) - - -I. - -La canzonetta andalusa intitolata _Don Manuel Menendez_ è una favola -che non ha quasi punto che fare col fatto vero, il quale si può sapere -soltanto dai Sivigliani che conobbero intimamente il personaggio, -e che son rari, perchè egli partì da Siviglia di quattordici anni, -quando perdette il padre e la madre; non vi tornò che dieci anni dopo, -e ne ripartì per sempre in capo a pochi mesi. In questo breve tempo -riempi la città del suo nome. Non stava però sempre in città: partiva, -tornava, spariva, senza che nessuno sapesse nè perchè, nè dove; e -qualche volta la notizia del suo ritorno giungeva inaspettata ai suoi -amici insieme con quella d'un colpo di spada ch'egli aveva dato o -toccato fuori della Porta di Cordova per una quistione di donne o di -politica. Molti dicevano che aveva un ramo di pazzia, e la credevano -conseguenza d'una cornata nel capo che aveva ricevuto, a tredici anni, -da un toro _novillo_, nei giochi domenicali del circo. L'aveva ricevuta -infatti, e ne portava ancora la traccia; ma il suo cervello n'era -rimasto illeso. Aveva una meravigliosa esuberanza di vita che espandeva -in amore, in moto, in versi, in lacrime, in sangue, senza riuscire -a trovar pace; un cuor grande, un orgoglio satanico, degl'impeti di -rabbia in cui si sfracellava una mano contro il muro, una forza d'animo -da far fremere e il coraggio d'un forsennato. Una signora aveva detto -di lui uno scherzo che gli si attagliava a meraviglia: — Io mi son -fitta in testa che se nelle comete ci sono degli uomini, debbono essere -tutti come Manuel Menendez. — La sua parola non usciva, esplodeva, e -pareva sempre che una parte della sua vita fuggisse nel suono della -sua voce. Quando un _torero_, impaurito, vibrava un colpo da traditore -o straziava l'animale senza ucciderlo, il più formidabile: — Codardo! -— che risonasse nel circo di Siviglia, era il suo; nel teatro di San -Fernando, quando si sentiva improvvisamente nel silenzio d'una scena -sublime, uno di quei _bravo_ fuggiti dalle viscere, che fanno correre -un brivido per la platea, nessuno domandava di chi fosse: tutti -sapevano che era di Manuel Menendez. Qualche suo amico diceva ch'egli -aveva un _talento colosal_; ma era una pura sballonata andalusa. Le -sue liriche non erano che un solo lungo periodo, un'ondata di parole -sonore e d'immagini luccicanti, che finiva in un verso inaspettato, il -quale doveva fare un gran colpo; e tutta la poesia era architettata su -questo verso, che il più delle volte non si capiva. Non si capiva la -sua poesia come non si capiva la sua vita. Chi lo vedeva a mezzanotte -attraversare la _Halameda de Hercules_ senza cappello; chi lo vedeva -uscire all'alba da una piccola porta della Cattedrale; chi lo vedeva -andare e venire tutta una mattinata per la famosa strada delle cento -svoltate, colla testa bassa, come se cercasse uno spillo; nella sua -casa, dalla strada, di notte, ora si sentiva leggere, ora ridere -sgangheratamente, una volta spezzare i vetri delle finestre, un'altra -volta singhiozzare una donna; qualunque cosa si raccontasse di lui, -fuorchè una vigliaccheria, era creduta. Tutta Siviglia lo conosceva. -La società alta, che bazzicava poco, lo guardava di mal occhio un -po' per diffidenza e un po' per paura; il basso popolo lo rispettava -perchè aveva salvato un vecchio facchino dalle acque del Guadalquivir; -e non v'era forse un ventaglio in tutta la città, da quello della -Governatrice a quello dell'ultima operaia della fabbrica di tabacchi, -il quale, almeno una volta, fingendo di riparar dal sole il viso della -sua padrona, non avesse lasciato passare tra le sue stecche uno sguardo -o curioso o provocatore, diretto a quell'indomabile scapato; poichè -Menendez aveva un bel viso d'arabo, contornato da una selva di capelli -neri, e il suo vestire strano, ma elegante, segnava come una maglia le -forme vigorose e signorili del suo bel corpo di ventiquattr'anni. Così -era Menendez, e non una specie d'animale selvaggio come lo dipinge la -canzone popolare, non certo stata fatta dal popolo; o così fu almeno -fino all'ultimo dì del settimo mese del suo soggiorno in Siviglia, -che è la data del suo gran cangiamento. Il suo amico don Hermógenes, -che vive ancora, si ricorda di quel giorno come di ieri, e assicura -che egli presentì quel cangiamento fin da quel giorno. — Manuel — gli -disse — tu sei un uomo sfrenato; codesto non è il modo di vivere; tu ti -uccidi; tu hai bisogno d'un amore potente che ti soggioghi; finora hai -sempre comandato, ora bisogna che tu obbedisca; bisogna che tu trovi -un'anima più forte della tua; bisogna che tu trovi una dominatrice. — -L'ho trovata — rispose sorridendo Manuel. — Chi è? — domandò con aria -incredula don Hermógenes — Fermina! disse Menendez, — Fermina? gridò -l'amico; Fermina del sobborgo di Triana? Fermina di Granata? Fermina -la _princesa_? — Menendez accennò di sì. — Don Hermógenes balzò d'un -salto alla finestra e gridò con voce solenne: — Sivigliani don Manuel -Menendez è morto! - - -II. - -Un mese dopo, Manuel Menendez era un altro. Tutti i Sivigliani che -avevano una testina capricciosa da governare, respiravano. Egli non si -vedeva più nè alla Villa Cristina, nè al Circo, nè al San Fernando. -Chi l'avesse voluto trovare, avrebbe dovuto passare il ponte di -ferro, voltare a sinistra, andare innanzi lungo il fiume fin quasi -all'estremità del borgo di Triana, salire al secondo piano d'una casa -bianca posta in faccia alla Torre d'oro, e guardare per il buco della -serratura in una cameretta modesta, ombreggiata dagli alberi della -riva destra del Guadalquivir. Egli era là, seduto ai piedi della più -bella e più strana creatura dinanzi a cui si fosse mai curvata la sua -fronte di saraceno, e versava l'anima in un torrente di parole amorose -e insensate, ch'essa ascoltava in silenzio, lavorando a una corona -di fiori — Fermina, — le diceva a bassa voce; — tu sei un mistero. Tu -sei una creatura d'un altro pianeta. Da che mondo sei venuta? Come hai -fatto a innamorarti d'un uomo? Io giurerei che ci fu un tempo che tu -avevi i capelli azzurri e le pupille rosse. Perchè non ridi mai? Tu -mi fai paura. Non sto volentieri solo con te. Tu, con quegli occhi, -devi veder qualche cosa o qualcheduno che io non vedo, e che forse -è qui, dietro di me, che ti guarda. La tua anima dev'essere un'anima -trasmigrata, la tua voce dev'essere contraffatta, e la tua lingua non -è certamente lo spagnuolo. Forse se mi parlassi tutt'a un tratto colla -tua voce vera e colla tua lingua nativa, io rimarrei pietrificato. -Però son contento d'essere amato da te; il tuo amore è un anello che mi -congiunge col soprannaturale. Dimmi la verità: chi hai amato nell'altra -vita? Io son geloso d'un abitante di Sirio. — A queste parole Fermina -con un movimento rapido e vigoroso della mano gli sconvolgeva tutti -i capelli e Menendez metteva un grido d'amore. Poi, a un tratto, essa -aggrottava le sopracciglia e fissava uno sguardo sospettoso sopra un -leggiero segno rosso del collo di lui. — Che cosa guardi? — domandava -il giovane meravigliandosi. — Nulla, — rispondeva lei rassicurata; -— ma.... guardati, Manuel! — E dopo qualche momento soggiungeva -freddamente: — Io andrei a pugnalare una regina. - - -III. - -Fermina era tale veramente da ispirare a chiunque la vedesse le -bizzarre fantasie che passavano pel capo a Menendez; la sua indole, la -sua bellezza e la sua vita erano ugualmente singolari. Nel sobborgo di -Triana la chiamavano _la princesa_; i giovani sul serio, le ragazze -con ironia; ma queste più d'ogni altri sentivano ch'essa meritava -veramente l'onore di quel soprannome. Era forse la più alta ragazza del -sobborgo: Menendez, che sarebbe stato un bel corazziere della guardia -reale, non la passava che di mezza la fronte. Il suo occhio nero e -triste e le larghissime soppracciglia che si toccavano, davano al suo -viso bruno, d'una struttura un po' africana, un'espressione quasi di -minaccia; la quale si cangiava a un tratto in una ilarità dolcissima, -appena schiudeva le sue labbra tumide e irrequiete. Ma come le diceva -Menendez, essa non sorrideva che una volta al giorno; e per solito -teneva gli occhi socchiusi quasi in atto di disprezzo. Portava una rosa -nei capelli, una mantiglia di trina bianca, un busto nero, una veste -rosea, e due stivaletti di stoffa chiara che stringevano vigorosamente -il suo piede di bimba e la sua gamba fina e nervosa. Era questo il -costume invariabile in cui Fermina si mostrava, una volta la settimana, -ai mille sguardi curiosi, amorosi, rabbiosi, impertinenti, procaci, che -la saettavano da tutte le parti. Nessuno però osava d'accostarsele, -nemmeno quando era sola, poichè si sapeva che le tre o quattro mani -audaci che s'erano stese sopra di lei, nella prima settimana del suo -soggiorno in Siviglia, s'erano tirate indietro insanguinate. — O è un -angelo — si diceva, — o è un mostro; — ma nessuno sapeva sicuramente -quello che fosse. Si diceva che fosse venuta da Granata, si sapeva che -stava sola, si credeva che vivesse del suo lavoro; e sul resto non si -facevano che congetture; nè i suoi vicini di casa, nè le poche ragazze -con cui scambiava un saluto, conoscevano i fatti suoi meglio di chi la -vedeva passare per strada. Essa s'era invaghita di Menendez, e Menendez -era pazzo d'amore per lei; s'adoravano; erano alteri l'un dell'altro; -si guardavano lungamente, con una attenzione profonda, senza sorridere; -si temevano; si trattavano qualche volta, per eccesso d'amore, con -modi violenti e brutali, che provocavano lacrime di rabbia dalle due -parti, e finivano in pioggie di baci ch'eran tocchi di ferro rovente e -in espansioni di tenerezza da cui rimanevano prostrati. Una sola cosa -turbava la felicità di Menendez: un sentimento vago e intermittente -di gelosia, ch'essa, senza volerlo, alimentava, respingendolo con -una fierezza, la quale pareva a Menendez troppo sdegnosa, e quindi -non sincera. Ma s'ingannava, perchè Fermina sentiva veramente più -che disprezzo, orrore per tutti quei piccoli e bassi sentimenti che -pullulano dall'amore anche più schietto nelle anime volgari. — Manuel, -— gli aveva detto una volta — il giorno in cui tu mi crederai capace -d'averti tradito, ossia d'essere una creatura spregevole, il mio amore -sarà morto. Pensaci bene. Io non sono una donna come le altre donne; tu -non devi essere un uomo come gli altri uomini. Voi altri siete quasi -tutti vigliacchi. Io ho posto amore a te perchè non me lo sei parso. -Non lo diventare. Io sono superba. T'ho dato il mio onore: rispettalo. -Non giocare col mio amore. Io non son di quelle che perdonano. Se si -cade una volta dal mio cuore, non vi si rientra più. Fermina t'ha detto -una volta che t'ama: ti basti per tutta la vita. Stampati bene queste -parole in fondo all'anima, Menendez. - - -IV. - -S'amavano, e tutta Siviglia lo sapeva, o piuttosto lo vedeva. Andavano -a passeggiare di notte in mezzo ai platani d'Oriente _de las delicias -de Cristina_; andavano in barca, sul Guadalquivir, sino a San Juan -d'Aznalfarache, a passar le ore calde all'ombra degli aranci; ed era -ben raro che qualcuno vedesse Fermina inginocchiata dinanzi all'enorme -altar maggiore della Cattedrale, senza riconoscere un momento dopo -nell'ombra di qualche cappella vicina, la figura elegante ed immobile -di Menendez. Per strada erano guardati da tutti con quel sentimento -amaro insieme e voluttuoso di invidia, che ispira anche ai giovani la -vista di due amanti felici, poderosi e superbi. Essi passavano come -due principi in mezzo al mormorío della folla, Fermina, guardando al -di sopra delle teste, Menendez, cercando inutilmente uno sguardo che -si fissasse nel suo; gettavano il loro amore in faccia a Siviglia; -portavano la loro felicità in trionfo; e per tutto dove passavano, -lasciavano una larga traccia d'orgogli feriti e di amoruccoli -schiacciati. A grado a grado, però, Fermina s'era acquistata la -simpatia di molta parte del sesso femminino del suo ceto; molte -avevano piegata la testa dinanzi alla sua invincibile alterezza; era -considerata quasi come un ornamento del sobborgo; era presa a modello; -aveva suscitato delle imitatrici; c'eran molte rozze e facili Gitane, -che s'erano messe a camminare col capo rovesciato indietro e gli occhi -socchiusi, lasciando sporgere fuor del busto il manico d'un pugnale, -che non avrebbero mai adoperato. - - -V. - -In questo stato di cose, un improvviso rivolgimento seguì nell'animo -del Menendez. Nessuno, a Siviglia, ne seppe la cagione, fuorchè colui -o coloro che ne furono colpevoli; ma tutti quelli che conoscevano -il carattere di lui, non se ne meravigliarono punto. In certe nature -esiste sempre intera e pronta la formidabile macchina del sospetto, -alla quale basta buttare un nome e dare una scossa, perchè il più -forte affetto vi rimanga stritolato. Chi, in vita sua, non è stato -almeno una volta o vittima o colpevole d'una di queste precipitose -distruzioni? Un dubbio leggerissimo, che c'era passato un giorno per -la mente, e di cui avevamo sorriso, trova nella riga d'una lettera, -nella parola d'un amico, in un avvenimento fortuito e insignificante, -una presa fatale che lo rialza lentamente, come una lenza, dalla più -oscura profondità dell'anima dove stava sepolto, e ce lo rimette sotto -gli occhi come un insetto schifoso che agita con furia orribile le sue -cento braccia smaniose di preda. Atterriti per un momento, ripigliamo -coraggio e fede, e schiacciamo il piccolo mostro. Ma è inutile. Già -da tutti i ripostigli della memoria, sono usciti, come una folla di -piccoli cattivi genii, mille ricordi, fino allora sopiti, di sorrisi -sfuggevoli, di mezze parole, di movimenti appena percettibili delle -sopracciglia e delle labbra, d'una porta socchiusa, d'un rumor di -passi, d'un fruscío, d'un bisbiglio, d'un'ombra, che prima ribollono -confusamente nel capo, e poi si congiungono e si combinano, pigliano -forza, fuoco e parola, denunziano, affermano, provano, stravolgono il -cuore e la ragione, mettono in mano il pugnale o la penna, e spingono -al delitto o alle offese che non si perdonano, in minor tempo che -non ci saremmo spinti dalla evidenza immediata della realtà. Quando -questo accadde a Menendez, erano le undici di sera; egli si trovava -in casa, ritto dinanzi a un tavolino, con una lettera fra le mani. -Sul primo momento, temette d'essere impazzito; balzò in piedi, si -slanciò alla finestra, e rimase qualche tempo immobile come una statua, -con una mano sulla fronte e l'altra sul cuore, guardando fissamente -in mezzo alla piazza. Poi mise un grido soffocato d'angoscia e di -rabbia, e si precipitò fuor di casa. Attraversò come una freccia la -piazza del Trionfo, girò intorno alla _Caridad_, oltrepassò quasi -correndo la Torre D'Oro, saltò in una barca, raggiunse la riva destra -del fiume, si slanciò nella casa di Fermina e percosse la porta.... -Fermina non c'era! Per un caso straordinario non aveva ancora potuto -tornare a casa, e per la sciagura di tutti e due quell'assenza, in -quell'ora, corrispondeva fortuitamente a un'indicazione della calunnia, -era un'accusa, una prova, una maledizione. Menendez rimase come -pietrificato davanti alla porta. Il dolore dell'amante era già morto -dentro al suo cuore, e non vi fremeva più che l'ira feroce del suo -enorme orgoglio ferito. Un pensiero satanico gli balenò alla mente, -scese di volo le scale e si diresse di corsa verso casa. Arrivato -al ponte, si fermò. Un altro pensiero gli aveva quasi percosso e -schiacciato il primo. — E se non è vero? — si domandò, e per un momento -gli brillò l'anima. Ma la fatalità lo perseguitava. In quel punto -gli passò accanto una donna, lo guardò in viso e gli disse fuggendo: -— Fermina ti tradisce! — A quelle parole il furore, risollevandosi -impetuosamente, gli velò l'intelletto, e lo ricacciò innanzi come -un dannato. Per colmo di sventura, rientrando nella sua stanza trovò -una lettera di Fermina che diceva: — domattina non sarò in casa; — e -anche quest'annunzio avverava sciaguratamente una previsione. Allora -Menendez perdette affatto il lume della ragione, ruggì, rise, maledì, -afferrò la penna, scrisse a grandi caratteri sopra un foglio di carta -il nome di Fermina, un epiteto, l'indicazione d'un'ora e d'un prezzo, -un insulto orrendo; poi volò fuor di casa con quel foglio, rifece la -via di prima, arrivò alla casa dì Fermina, attaccò alla porta con le -mani convulse il cartello infame, e si cacciò digrignando i denti giù -per le scale. Arrivato in fondo, si fermò: sentì aprirsi quella porta, -vide illuminarsi la scala, e udì quasi nello stesso punto un grido -disperato e il rumore della caduta d'un corpo. Dopo pochi momenti sentì -aprire altre porte, — scender gente, — una donna leggere il biglietto -— e molte voci prorompere in un grido d'indignazione: — _Mentira!_ -(Menzogna!)... - - -VI. - -Un'ora dopo egli si trovava nello stato d'uno che si svegli da un sogno -spaventoso. Quel grido l'aveva svegliato. Inutilmente aveva subito -tentato di riadunare e di ricomporre insieme prove, indizî, argomenti, -ricordi, ombre; tutto era fuggito e svanito colla stessa rapidità -fulminea con cui s'era raccolto, e aveva preso forma e saldezza. Come -poca cosa era bastata a farlo credere, così un grido era bastato a -disingannarlo. Egli era rimbalzato da una certezza a un'altra certezza; -non aveva più bisogno di prove; s'era spiegato tutto; aveva capito -tutto; sentiva dentro ed intorno a sè un silenzio solenne, e non vedeva -più che la figura immobile, bianca e sinistra di Fermina, e fra loro -un abisso. Egli la conosceva, capiva che non avrebbe più perdonato, -sentiva che l'aveva uccisa. Un avvilimento profondo, uno sgomento -mortale, un amor nuovo rinvigorito dal rimorso e dalla disperazione, -un desiderio immenso di morire, e insieme una prostrazione di forze -che gl'impediva un qualunque atto risoluto, s'erano impadroniti di -lui. Passò la notte disteso in terra, vicino alla finestra, e la -mattina all'alba, si trovò, senz'accorgersene, sul ponte di ferro, -dove rimase improvvisamente inchiodato. Fermina veniva verso di lui. -Appena la vide, capì ch'essa lo aveva visto, e lesse nel suo volto e -nel suo atteggiamento una risoluzione che gli troncò l'ultimo filo di -speranza. Era vestita come nei giorni festivi; veniva innanzi a passo -franco, quasi impetuoso, colla testa alta, coll'occhio socchiuso e -fisso dinanzi a sè, col viso pallido ed immobile come una maschera -di marmo. Quando gli fu vicina, egli aprì la bocca per parlare, ma la -parola gli restò dentro. Essa passò senza guardarlo, dritta e maestosa, -colla morte nel cuore e col disprezzo sul volto, mandandogli in viso -un'ondata d'odor di rosa, e s'allontanò senza voltarsi. Menendez vide -come un velo nero stendersi fra lei e i suoi occhi e sentì che tutto -era finito. - - -VII. - -Tutto quello ch'egli fece quel giorno e il giorno dopo, lo fece quasi -macchinalmente, e senza energia, perchè era senza speranza. Era il -primo solenne castigo che riceveva il suo carattere orgoglioso e -violento, e n'era come istupidito. Scrisse a Fermina una lunga lettera; -non ebbe risposta; non se ne stupì, e quasi nemmeno se n'accorò, tanto -era sicuro che questo doveva accadere. Le riscrisse; la lettera questa -volta gli ritornò intatta; la riprese e la buttò in un canto senza -badarci. Andò, a sera inoltrata, col cuore tremante, a picchiare alla -sua porta; c'era il lume alla finestra; lei era in casa; ma la porta -non s'aperse. Tornò dopo un'ora; il lume c'era ancora; la porta rimase -chiusa. Se n'andò a casa, e passò mezza la notte seduto alla finestra, -col capo appoggiato sopra una mano. Il giorno dopo non iscrisse più, nè -andò più a cercar Fermina, e forse, se non fosse uscito, non avrebbe -mai più osato cercarla. Ma uscì, e gli seguì un caso che decise della -sorte di tutta la sua vita. Era giorno di festa: girando a caso, di -strada in strada, quasi senza coscienza di sè, si trovò nei viali -della Cristina. Era l'ora della passeggiata; dalla Torre d'oro al -palazzo di san Telmo formicolava una folla brillante e gaia; una musica -festosa riempiva l'aria; il sole dorava le acque del Guadalquivir; -Menendez si sentì per un momento alleggerito del peso mortale della -sua tristezza, e si lasciò trascinare dalla corrente. All'improvviso -una ragazza del popolo, passandogli accanto, gli gridò all'orecchio: -— _Es mentira, Menendez!_ — e disparve. Menendez impallidì e cercò di -sottrarsi agli sguardi curiosi dei vicini che avevan sentito; ma quasi -subito un'altra ragazza, distante da lui una decina di passi, gridò più -forte: — _Mentira!_ — Menendez si voltò dalla parte opposta, confuso -e sgomento, e cercò di fendere la folla, per uscire dal passeggio. -Ma una terza, una quarta, e poi un gruppo di ragazze del sobborgo -di Triana, che l'avevano riconosciuto, gli gridarono alle spalle: — -_Mentira, Menendez, mentira!_ — Molta gente si fermò; altre ragazze, -avvicinandosi, ripeterono quel grido; il suo nome corse di bocca in -bocca; la folla s'aperse per fargli circolo intorno; e questo fu il -suo salvamento. Approfittando di questo vuoto, si slanciò, stravolto -e bianco come un cadavere, fuori del viale, raggiunse una carrozza, -vi saltò dentro, e s'allontanò rapidamente udendo ancora per un buon -tratto le grida lontane delle sue persecutrici. Appena entrato in -casa si coperse il volto colle mani e diede in uno scoppio di pianto -desolato e rabbioso. — Dunque la voce s'è sparsa! — gridò — Io sono il -ludibrio di Siviglia! Io non potrò più mostrare il viso in mezzo alla -gente! Io son disprezzato, insultato, disonorato! — A questo punto -un'idea grande e nuova gli balenò alla mente, la sua anima generosa vi -rispose con un rimescolamento profondo, il suo volto s'illuminò, tutte -le sue fibre si rinvigorino, tutto il suo sangue s'accese. Poi, come -se la voce d'un amico invisibile gli avesse susurrato una preghiera -nell'orecchio: — Sì, — rispose con un accento di condiscendenza: — -ancora una prova. — E si slanciò fuor di casa. - - -VIII. - -Fermina lavorava, col lume, in un angolo della stanza, quando sentì un -passo rapido e leggiero su per la scala, e s'accorse, troppo tardi, che -aveva lasciata la porta socchiusa. Ebbe appena il tempo di alzarsi e di -ricadere sulla seggiola: Menendez si precipitò ai suoi piedi, curvò la -fronte sul pavimento, e gridò singhiozzando: — Perdono, Fermina! - -Essa non rispose. - -Aveva il viso pallidissimo, e stava rivolta verso la finestra, cogli -occhi dilatati e colle labbra tremanti. - -— Fermina! — continuò Menendez con una voce che pareva gli dovesse -spezzare il petto — perdonami! Sono stato un vile e un pazzo! Tu sei -un angelo! Io sono un disgraziato! Mi sono lacerato il cuore colle mie -mani, ho pianto lacrime di sangue, m'hanno insultato per le strade, -credevo d'impazzire, non posso più vivere così, perdonami, rendimi il -tuo amore, non mi condannare a uno strazio eterno, dimentica, amami! -Vedi, io mi striscio ai tuoi piedi, batto la fronte per terra, non ho -più voce, non ho più lacrime, non ho più stima di me, non ho più onore -nel mondo, non ho più che l'amore che mi strazia e la disperazione che -mi uccide! Fermina, abbi compassione di Menendez! - -Fermina continuava a guardar la finestra; aveva il viso stravolto e -convulso, il seno ansante, tutta la persona agitata da un tremito -febbrile; pareva che facesse uno sforzo per ottenere prima da sè -stessa quello che Menendez voleva da lei; che aspettasse essa pure -un improvviso cangiamento del proprio cuore; e Menendez osservava con -profonda ansietà tutti i movimenti del suo viso. Finalmente proruppe -con accento disperato: - -— È inutile, Menendez! Non posso! non sento più niente! son vuota! son -morta! Potresti supplicarmi per tutta la vita, ucciderti sotto i miei -occhi, diventare un re, un santo, un Dio.... è inutile! Non credo più! -Non amo più! M'hai uccisa! Hai capito, Menendez? Hai forse dimenticato -che cos'hai fatto? Fermina t'aveva dato il suo onore e tu v'hai sputato -sopra in faccia a tutta Siviglia! Dio! Dio! Dio! E questo è stato -possibile! e tu vuoi che io ti perdoni! — Poi, facendo un violento -sforzo, si ricompose, e soggiunse freddamente: — Va, Menendez, lasciami -sola, lasciami nella mia tomba, tutto è finito, addio. - -— Pensaci ancora, — disse Menendez con voce supplichevole. - -Fermina si svincolò da lui e gli accennò la porta senza guardarlo in -viso. - -— Ma sei dunque senza cuore! — gridò il giovane balzando in piedi colla -rabbia nel sangue e la minaccia sul volto. - -Fermina lo guardò. - -Menendez diede indietro e si gettò fuor della porta. - - -IX. - -Appena tornato a casa, si mise a preparar le sue robe per partire -la mattina dopo. Egli aveva deciso d'andare a passar un mese a La -Rinconada, piccolo villaggio circondato d'oliveti, poco lontano -dalla città, dove stava don Luis de Guevara, suo amico d'infanzia, -_facultativo_, ossia medico condotto, che gli aveva più volte offerto -la sua casa per quando volesse fuggire i grandi calori di Siviglia. -Terminato ogni cosa, si buttò sul letto, e per la prima volta dopo la -sera fatale del suo delirio, dormì. All'alba si svegliò più tranquillo, -corse alla finestra, fermò la prima carrozza che vide passar sulla -piazza, si vestì, fece portar giù le sue valigie, si mise a tracolla -il suo fucile da caccia, discese rapidamente, e montando sul legno, -ordinò al cocchiere di condurlo sulla riva destra del fiume, in faccia -alla Torre d'oro. Un gran cangiamento era seguíto in lui; non pareva -più l'uomo del giorno innanzi; il suo volto non esprimeva più nè -ansietà nè dolore; era pallido e portava le traccie della tempesta dei -giorni scorsi; ma risoluto e quasi altiero. Scese dinanzi alla casa di -Fermina, salì le scale con passo deciso, sospinse l'uscio e si piantò -ritto immobile sulla soglia. - -Fermina fece un atto di sorpresa sgradevole, e si voltò verso la -finestra. - -— Una sola parola, Fermina, — disse con accento pacato Menendez. - -Fermina voltò la testa verso di lui, tenendo gli occhi socchiusi. - -— Sei profondamente sicura — disse Menendez, — puoi giurarmi sul tuo -onore, per la memoria di tua madre, per la salvezza dell'anima tua, -che lo stato presente del tuo cuore non è l'effetto d'uno sforzo che -fai sopra te stessa? che senti veramente e immutabilmente di non amarmi -più? - -— Sì — rispose con accento risoluto Fermina. - -— Addio — disse Menendez, e disparve. - - -X. - -Fermina mise un sospiro, lasciò cadere il suo lavoro e chinò la testa -sopra una mano. Essa vedeva partire Menendez senza dolore, ma non -senza tristezza. Non era più il suo amante che perdeva, è vero; ma era -pure un'immagine cara, la forma umana in cui le si era presentata per -la prima volta la felicità; l'aspetto dal quale non avrebbe mai più -potuto scindere il ricordo dei più bei giorni della sua giovinezza. -Sul primo momento, anzi, mentre sentiva ancora il rumore lontano della -carrozza, che credeva lo conducesse via da Siviglia per sempre, fu -colta da un dubbio improvviso, che la fece tremare, e sentì il bisogno -d'interrogare ancora una volta sè stessa, di frugare ancora una volta -nel più profondo dell'anima se mai vi fosse rimasta una scintilla, una -speranza, una promessa. Ma interrogò, frugò, e non vi trovò nulla, e -ne sentì quasi un sollievo. Ripetè anzi a sè medesima, e con maggior -sicurezza che per l'addietro, che in quell'anima non c'era mai stato e -non ci poteva essere il grande, cieco e tremendo amore ch'essa aveva -sognato; l'unico amore che la sua natura virile e superba potesse -accettare e rendere; l'amore di Menendez era un delirio passeggiero -della mente, non una febbre profonda e perpetua del cuore; Menendez non -l'aveva capita perchè non l'aveva stimata; se si fossero riconciliati, -si sarebbero rotti un'altra volta; essa non avrebbe più potuto amarlo -che per pietà, ed egli avrebbe diffidato daccapo, alla prima occasione, -e con fondamento; forse anche in lui era morto l'amore, e non era -più che l'orgoglio umiliato e il rimorso che l'aveva spinto a chieder -compassione e perdono; e d'altra parte s'era accomiatato coll'animo più -tranquillo, cominciava forse a rassegnarsi, a dimenticare; col tempo -avrebbe dimenticato; era meglio per tutt'e due che tutto fosse finito -in quella maniera. — Sia così, — disse sospirando Fermina: — è un sogno -svanito, io gli perdono, e Dio l'accompagni. — E riabbassò sopra il -lavoro la sua bella fronte pensierosa. - - -XI. - -I giorni passarono; nessuno a Siviglia vide più Menendez; qualcuno -disse ch'era partito per Cuba; tutti lo credettero, e qualche raro -amico lo rimpianse; ma la maggior parte non lo rammentarono più che -per vituperare il suo nome. Fermina, invece, dopo che s'era sparsa -la notizia dell'avventura, aveva acquistato, anche sull'altra riva -del Guadalquivir, una piccola celebrità romanzesca, d'una parte della -quale si sentivano un po' altere tutte le ragazze di Triana, come se -il raro esempio di sdegnosa fermezza dato da lei, avesse rialzato in -faccia a Siviglia la dignità di tutto il sesso femminino del sobborgo, -non generalmente presa sul serio prima d'allora. Un poeta sconosciuto -aveva scritto dei versi sul muro della sua casa; la moglie del Capitano -generale d'Andalusia le aveva data un'ordinazione di fiori per aver -modo di parlarle; le ragazze, incontrandola per strada, le dicevano: -— _Muy bien, Fermina!_ —; tutti la guardavano con una certa curiosità -rispettosa, e ci fu tra gli altri un panciuto negoziante di telerie, -marito d'una indiavolata brunetta di Badajoz, che incontrandola -due giorni dopo la partenza di Menendez, esclamò con uno slancio di -gratitudine: — Benedetta lei, _senorita_, che ce ne ha liberati! — Ma -Fermina viveva più che mai raccolta e sola, e tutta occupata del suo -lavoro, non lasciandosi vedere che raramente dalle vicine di casa. Non -era contenta, ma tranquilla, e non pensava più a Menendez che con un -sentimento di vaga mestizia, come avrebbe pensato ad un morto. - - -XII. - -Erano passati quindici giorni dalla partenza di Manuel Menendez. Una -mattina, poco dopo il levar del sole, Fermina stava lavorando nella -sua stanza, seduta accanto alla finestra, e alzava di tratto in tratto -la testa, per rivolgere uno sguardo malanconico al fiume, alla Torre -d'oro, alla Cristina, alle guglie lontane della cattedrale, a cento -luoghi e a cento cose che le rammentavano il suo immenso amore svanito, -e sospirava. In quei momenti, avrebbe voluto poter riamare Menendez, -anche sapendo di non doverlo mai più rivedere, non foss'altro che per -dare un alimento alla sua anima vuota; e andava frugando, infatti, -dentro all'anima, non più col timore, come aveva fatto altre volte, -ma colla speranza di ritrovarvi ancora qualche cosa. Ma anche in quei -momenti o non vi trovava nulla, o vi trovava soltanto un resto di -sdegno pronto a riaccendersi, e s'affrettava a spegnerlo cacciandovi -sopra un altro pensiero. — Morto, morto —, diceva tra sè, scrollando la -testa con tristezza, e sentiva profondamente che se anche Menendez le -fosse ricomparso davanti, essa l'avrebbe ricevuto come le altre volte, -senza risentirne la più leggiera scossa, senza dubitare un momento -dell'immutabilità del suo cuore, senza dover fare il menomo sforzo per -ripetergli: — Va, lasciami sola nella mia tomba, tutto è finito. - -Il corso dei suoi pensieri fu improvvisamente interrotto da un leggiero -fruscío; si voltò, mise un grido e balzò in piedi. - -Menendez era dinanzi a lei. - -Fermina si ricompose subito; ma non potè far a meno di fissare per -qualche momento uno sguardo inquieto sopra di lui. - -Il suo viso era pallido e dimagrato; il suo occhio, smorto; le sue -labbra, livide. Aveva la cappa sulle spalle e una borsa da viaggio a -tracolla. Stava ritto sulla soglia della porta, un po' curvo e colle -gambe un po' piegate; e fissava Fermina con uno sguardo profondo, pieno -d'amore e di mestizia. - -— Siete stato malato! — gli disse lei con un leggiero accento di pietà. - -Menendez esitò un momento e poi rispose con voce debole: - -— Sì.... un poco. - -Fermina abbassò la testa. - -— Ed ora parto —, soggiunse il giovane. - -— Per dove? — domandò Fermina senza alzare la testa. - -— Per Cuba. - -— Oggi? - -— Adesso. - -— Per sempre? - -— ..... Per sempre. - -Fermina mise un sospiro, si passò una mano sulla fronte, e poi disse -con un accento pietoso: — Ebbene.... addio, Menendez; il Signore -t'accompagni.... e.... addio! - -— Non hai altro da dirmi? — domandò Menendez colla voce tremante — sei -sempre la stessa? - -Fermina gli rivolse uno sguardo che rivelava il suo cuore desolato di -non potergli dare che una triste risposta. - -— Ebbene, — disse allora Menendez avvicinandosi al suo tavolino;.... — -poichè non ci vedremo più, fammi una grazia, Fermina. Accetta questo -ricordo. — E dicendo così, mise sul tavolino una piccola cassetta di -mogano, colla chiavina nella serratura. — Non respingerlo, Fermina! te -ne prego! Non è un dono. Non contiene che un foglio di carta in cui è -rivelato un segreto che tu devi conoscere; un segreto di famiglia, che -non ho rivelato ad altri che a te; una cosa sacra. Accettalo, Fermina; -ti giuro sul mio onore che è necessario che tu lo accetti; riconoscerai -tu pure questa necessità quando avrai visto di che si tratta, e dirai -che avevo ragione e che ho fatto il mio dovere..... Ed ora non ho più -altro da dirti. Addio, Fermina!.... dimenticami e sii felice! - -Fermina si asciugò una lagrima e gli porse una mano, voltando il viso -dall'altra parte. - -Menendez le coprì la mano di baci e si diresse verso la porta. - -— Menendez! — disse vivamente Fermina. - -Menendez si voltò. - -— Addio! — ripetè la ragazza con voce alterata, ma ferma; — sono più -sventurata di te, perchè non ho più nulla nel cuore! Va, Menendez! Va, -e il Signore sia sulla tua strada! - -Menendez uscì, socchiuse la porta e cominciò a scender lentamente la -scala, coll'orecchio intento, col respiro sospeso, col cuore che gli -batteva come se volesse rompergli il petto. - -A un tratto sentì il rumore della chiavina della cassetta che girava -nella serratura. - -Le gambe gli piegarono sotto e un velo nero gli si stese sugli occhi. - -Si appoggiò al muro del pianerottolo. - -Passarono alcuni secondi. - -All'improvviso, un grido sovrumano di dolore, di terrore e d'amore, -risonò di cima in fondo alla casa, come un colpo di fulmine; la porta -si spalancò, Fermina balzò d'un salto in fondo alla scala, si precipitò -dinanzi a Menendez, e prese a baciargli con una furia disperata i -piedi, le ginocchia, i panni, singhiozzando, gridando, chiedendo -perdono, invocando Iddio, fin che la voce le mancò, gli occhi le si -chiusero e cadde svenuta. - -I vicini erano già accorsi, e fra essi il signor Luis de Guevara, che -aveva accompagnato Menendez dalla Rinconada a Siviglia, e lo stava -aspettando nella strada. - -— Don Luis, — gli disse Menendez appena lo vide, sollevando Fermina -svenuta, e voltandola in modo ch'egli la potesse vedere nel viso: — ti -presento mia moglie. - - -XIII. - -Quindici giorni dopo, infatti, il segretario dell'amministrazione del -Circo dei tori di Siviglia, dovendo mandare a Fermina la chiave del -trentesimo palco _del lado de la sombra_ (della parte dell'ombra), -indirizzava la lettera: — _A doña Fermina Menendez_; — ed essendo -quella la prima lettera ch'essa riceveva col titolo di _doña_ e -col proprio nome legato a quello del suo amante, baciò tre volte -la busta e la mise in serbo come una cosa preziosa. Qualunque altra -Sivigliana, però, avrebbe in quel giorno baciato invece della busta -la chiave, poichè per il felicissimo arrivo di Sua Maestà la Regina -Isabella, la quale per la prima volta si faceva vedere a Siviglia -colla corona, l'Impresario del Circo aveva preparato uno spettacolo -unico nei fasti del _toreo_ andaluso; e basti il dire che la prima -spada si chiamava il _Tato_, e che si sarebbero slanciati nell'arena -otto tori, comprati a peso di dobloni novi, _doblones de Isabel_, nei -pascoli dell'eccellentissimo marchese di Veragua, primo allevatore -della Spagna. Per questo, sebbene lo spettacolo cominciasse alle due -pomeridiane, la _plaza_ era già quasi piena a mezzogiorno, e al tocco -non ci si poteva più entrare. Era una delle più belle giornate che -si possan vedere a Siviglia nel mese di settembre. Il vasto Circo -poligonale presentava sulle sue trenta gradinate una meravigliosa -confusione di visi bruni, di treccie nere, di ventagli agitati e di -mani per aria; vi brillava il fiore della bellezza del sobborgo di -Triana, v'erano le più famose danzatrici delle _escuelas de baile_, -centinaia d'operaie della fabbrica dei tabacchi colle sottane bianche -o rosee, gruppi di gitane con mazzetti nei capelli e sul seno, i più -belli e più terribili schermitori di coltello della provincia, coi loro -cappellotti di velluto nero e loro cinture rosse ed azzurre; tutto il -più ardente sangue andaluso che circolava in quel tempo dal Campo della -fiera alla porta di San Juan e dalla Cartuja alla Trinidad; un'immensa -raccolta d'amori, di gelosie, di capricci, di gioie, di miserie, un -incrociarsi rapidissimo e continuo d'apostrofi clamorose e di occhiate -furtive, di fiori e di risa, di parole galanti e d'aranci: tutto ciò -rallegrato da una musica strepitosa e saettato da un sole ardente. Alle -due precise, gli _alguaciles_ entrarono nell'arena per far sgombrare la -folla, e nello stesso momento, da due lati contigui del Circo, cento -visi si voltarono quasi tutti insieme verso un punto solo e al gridío -generale seguì improvvisamente un profondo silenzio. Fermina, vestita -di bianco, con un gran mazzo di fiori fra le mani, col viso splendido -d'una letizia dignitosa e severa come la sua bellezza, era comparsa nel -suo palco, insieme con Menendez, pallido e sorridente, in mezzo a una -corona d'amici. Al primo silenzio, seguì dopo pochi momenti un lungo -mormorío favorevole, quasi amoroso e altri mille sguardi si fissarono -sui due sposi. Tutta Siviglia sapeva quello ch'era accaduto. A un -tratto, una gitana seduta sul primo gradino sotto il palco, balzò in -piedi, si levò una rosa dai capelli e buttandola a Fermina, gridò: — -_A ti, doña Fermina Menendez, y Dios te dé la buena suerte!_ — Subito -dopo un'altra ragazza buttò un mazzetto a Menendez e gridò: — _A ti, -don Luis Menendez_, cuor valoroso! — L'esempio fu rapidamente imitato: -da tutti i gradini vicini al palco cominciarono a piovere fiori sugli -sposi, accompagnati da un gridío appassionato e festoso: — A te, bella -creatura! — A te, sangue di prode! — A voi, la più bella coppia di -Siviglia! — Amatevi! — Buona fortuna! — Molti giorni come questi! — Dio -vi protegga! — In pochi minuti la notizia e l'entusiasmo si propagarono -per quasi tutto il Circo, e da ogni parte si buttarono fiori, si -agitarono fazzoletti e mantiglie, si mandarono evviva e saluti; tanto -che Fermina, sopraffatta dalla commozione, lasciò cader la testa sulla -spalla di Menendez, e la Regina Isabella, che aveva già preso posto nel -palco reale con tutto il suo corteggio, si voltò a domandare al giovane -generale Serrano chi fossero i due personaggi che mettevano sottosopra -i suoi sudditi. Il _general bonito_, il bel generale, come si chiamava -allora il futuro vincitore d'Alcolea, si fece innanzi rispettosamente, -e disse col tuono più dolce della sua voce: — Sono due sposi, Maestà. -La sposa è la più bella giovane di Siviglia, e lo sposo è un giovane -che ha fatto onore al sangue andaluso. In un accesso di gelosia, avendo -offeso mortalmente la sua fidanzata con un cartello infamante, e non -essendo riuscito in altro modo a farsi perdonare e riamare, ottenne -l'una e l'altra cosa presentandole una cassettina nella quale c'era -la penna fatta in due pezzi, che aveva scritto il cartello; sotto la -penna, un foglio di carta con su scritto col sangue: — _Espiazione_, e -sotto il foglio di carta la sua mano destra.... - -Mentre la Regina appuntava il cannocchiale verso gli sposi, le trombe -squillarono, la folla gettò un altissimo grido, e il primo toro -dell'eccellentissimo signor marchese di Veragua si slanciò muggendo in -mezzo all'arena. - - - - -IN SOGNO - - -Non so se molti altri abbiano un ordine speciale di sogni che si -possano procurare a loro piacere: io ho quello dei viaggi, e mi basta, -per viaggiare in sogno anche tutta una notte, fissarmi col pensiero, -quando sto per addormentarmi, in qualche luogo lontano del quale mi sia -rimasto un ricordo molto vivo; dopo di che, mi passano dinanzi cento -altri luoghi, città, campagne e genti, trasformandosi rapidamente, -senza che nel sogno s'intrometta mai una visione di altra natura. E -questo è strano: che gli avvenimenti, no; ma i luoghi e i personaggi -che sogno, son sempre luoghi e personaggi che ho visti; il che non -m'accade quando, addormentandomi, non metto l'immaginazione sulla via -delle reminiscenze; poichè se chiudo gli occhi pensando a Sydney o a -Batavia, vago poi, sognando, per tutta la terra, ed è facile che mi -trovi a discorrere di politica, a un'ora dopo mezzanotte, con qualche -defunto imperatore chinese. Quale è la ragione di questo? In che -maniera la mente, errando fra le più bizzarre fantasie nel campo degli -avvenimenti, rimane nello stesso tempo legata alla realtà geografica -dei miei viaggi? Come mai in fatti di luoghi e di persone, non fo', -sognando, che ricordarmi, e non vaneggio che in fatto di casi e di -discorsi? Perchè questa costante distinzione? Sarà forse la centesima -volta che mi rivolgo la stessa domanda, e per la centesima volta non -ci so trovare altra risposta che voltar la testa sul cuscino da destra -a sinistra, raccogliendo tutti i miei pensieri nel giardino del duca -di Montpensier, il quale, da quanto sembra, dev'essere questa notte -il punto di partenza d'un lungo pellegrinaggio, poichè mi torna e mi -ritorna in mente con una ostinazione invincibile, e ormai vedo che -m'addormenterò all'ombra degli aranci ducali. Sia almeno un viaggio -allegro e tranquillo, che non m'accada, come altre volte, di svegliar -mia madre con grida di spavento o sospiri di dolore. - - -Com'ero entrato nel giardino del duca di Montpensier, del _Rey -naranjero_, come lo chiamano in Spagna? Era probabilmente il mio -borbonico amico Segovia che m'aveva fatto avere il permesso. Non me ne -ricordo bene. Non ricordo nemmeno gran cosa del giardino. La più viva, -anzi la sola rimembranza viva di quel luogo è la fontana a cui diedi -il nome dei _cinque sensi_. Ah! veramente io posso dire d'aver passato -là l'ora più deliziosamente sensuale del mio soggiorno a Siviglia. Era -tra mezzogiorno e il tocco, splendeva un sole abbarbagliante e tirava -un'arietta leggerissima. Io stavo seduto sull'erba all'ombra d'un -gruppo d'allori accanto alla vasca d'una fontana, sotto i rami curvi -d'un roseto; con una mano mi mettevo in bocca gli spicchi d'un arancio -che stillava sugo a grandi goccie; coll'altra accarezzavo la gamba d'un -putto di marmo finissimo che dalla bocca mi schizzava acqua diaccia -rasente i capelli; le foglie delle rose, scosse dall'aria, mi cadevano -sul petto; l'acqua limpida della vasca rifletteva come uno specchio -il mio viso non turbato dall'ombra d'un pensiero; al disopra del verde -cupo degli alberi, vedevo la terrazza bianca e arabescata d'una casetta -di stile moresco; e più lontano l'enorme statua dorata della fede che -girava fiammeggiando sulla sommità della Giralda nell'azzurro purissimo -del cielo andaluso. — Ancora qualcosa per l'orecchio! — esclamai con un -fremito di piacere. E un momento dopo sentii dietro gli allori, prima -il rumore leggiero d'un rastrello, poi la voce fresca e sonora d'una -ragazza, che cantava con un accento sivigliano pieno di dolcezza: — Io -sono bella e tu hai vent'anni! — Allora ebbi un momento d'ebbrezza; -aspirai una gran boccata d'aria, tuffai il viso nell'acqua, morsi -insieme l'arancio e le rose, risi e mi ravvoltolai nell'erba come un -bambino. Poi, a poco a poco, preso da un languore dolcissimo.... chiusi -gli occhi.... e rimasi assopito.... - - -E tu mi hai svegliato, caro e crudele Parodi! E perchè? Le meraviglie -del _Restaurant Blond_ valgono forse le delizie del giardino dei -Montpensier? Ma bisogna esser giusti, e riconoscere che il signor -Blond ci dà il più succoso brodo e il più saporito manzo di Parigi, -e che è grazia di Dio l'aver per due lire questo pranzetto e questo -spettacolo. Quale spettacolo! Venti tavolate d'affamati; una folla -in movimento perpetuo, che parla in venti lingue diverse di mille -cose assurde o sublimi; cercatori di fortuna d'ogni parte del mondo; -giovanetti colle prime speranze, vecchi colle ultime; inventori di -_sistemi_ e di _riforme universali_, pieni d'utopie e di debiti; grandi -uomini senza senso comune; forse qualche grand'uomo davvero; qualche -rompicollo oscuro, del quale fra tre mesi sarà recitata dieci volte la -prima commedia al _Téàtre français_, e il suo nome correrà l'Europa; -mezzani che ballano a un tanto per sera al Mabille o al Valentino: -giocolieri di teatro che si mettono una spada nella gola fino all'elsa; -giornalisti della macchia che ti piantano il pugnale nelle erni fino al -manico; un bavarese che almanacca da dieci anni un favoloso progetto di -rinnovamento sociale fondato sull'alleanza del Papa colla democrazia; -un brasiliano che ha inventato dei romanzi armonici e odorosi, dalla -copertina dei quali il lettore, giunto a certe pagine, fa uscire con -una leggiera pressione del dito, un profumo e un'arietta d'occasione; -un polacco che ha creato un genere di commedia da rappresentarsi, non -sul palco scenico ma nella vita reale, o piuttosto un genere novo di -vita da viversi in forma di commedia; un inglese che vuol ottenere -dal Governo l'istituzione nelle Università della Francia d'un corso -permanente di lezioni sull'_Arte di governare le donne_; l'inevitabile -inventore della lingua universale; l'indispensabile regolatore -della locomozione aerea; avanguardie mattamente audaci di tutte le -scienze e di tutte le arti; tutte le deformità intellettuali che -corrispondono alle deformità fisiche: menti sbilenche, ingegni gobbi -e guerci, genî idropici, fantasie affette d'elefantiasi; giocatori, -innamorati, bevitori d'assenzio, atei, fanatici, cinici; gente che -s'ammazza a studiare e gente che si finisce nei bagordi; uomini che -dormono sui tetti e giovani che dormono sotto gli alberi dei Campi -Elisi; qualcuno matto d'allegrezza, qualche altro che si brucierà -le cervella la settimana ventura; tutti in cerca di qualcuno: chi -dell'editore, chi del mecenate, chi dell'impresario, chi di scolari, -chi d'affigliati, chi di vittime, chi di complici; un'accozzaglia -cosmopolitica che lavora, digiuna, farnetica, si dibatte sull'immenso -lastrico di Parigi, per lasciar il nome alla posterità, o l'ambizione -in carcere, o l'ingegno al manicomio, o il cadavere all'ospedale. Sì, -caro Parodi, questo spettacolo è bizzarro, ma quest'aria mi soffoca; -domani pranzeremo al _Passage des Princes_; ho anch'io i miei capricci -di povero diavolo; ho bisogno ogni tanto di sdraiare la mia vanità -in una sala dorata e di tuffare la mia miseria in un bicchiere di -Champagne.... - - -..... Champagne? _Kellner_, Champagne al signore. — _Sie beschämen -mich mit Ihren Höflichkeiten_, biondo capitano Schopper. Il vostro -bastimento è un palazzo splendido e voi siete il re del Danubio. Oh -la bellissima sera! Per le finestre aperte, di là dalle acque rosate -del fiume, vedo fuggire la riva boscosa del Banato di Temesvar, -e tra finestra e finestra, i grandi specchi incorniciati d'oro mi -riflettono la campagna malinconica della Slavonia rischiarata dal -tramonto del sole. E la fortuna m'ha messo dinanzi il più bel visetto -e il più svelto corpicino ungherese che sia mai passato sul nuovo -ponte di Pest. Signor Castelulù, recitatemi i versi sulla statua di -Michaiù Vitézlù, io adoro la lingua rumena; e voi, capitano Schopper, -soffiatemi nel viso un nuvoletto di fumo del vostro sigaro d'Avana. -Alla tua salute, mio buon Mahmud Dejézaerli, gloria predestinata della -pittura musulmana; buoni studi a Vienna, e che io ti rivegga fra dieci -anni installato in una bella villetta sulla riva del Bosforo, accanto -alla più bianca moschea di Bujukderé! Mi pare che qualcuno laggiù -canti le lodi del Reno. Capitano Schopper, mandate quell'insolente a -baloccarsi sul suo rigagnolo con una barchetta di carta, e insegnategli -a rispettare il nostro immenso Danubio. Ah! voi ridete, capitano -Schopper! ridete dell'effetto che mi fa il vostro Champagne, è vero? -Ebbene.... - - -.... Ebbene, che è questo? Cosa accade qui? La riva della Slavonia -è sparita, il cielo s'oscura, le acque s'agitano, il vento mugge, -la sala splendida s'è cangiata in uno stambugio rischiarato da un -lanternino, l'elegante capitano Schopper in un vecchio cencioso, la -bella signorina ungherese in una povera contadina con due bimbi in -braccio; e il bastimento rulla, beccheggia e scroscia spaventosamente -mandando ogni cosa sossopra. — _No, no, señor Capitan_, per amor di -Dio, per pietà delle mie due creaturine, non ci moviamo di qua, il mare -è cattivo, può seguire una disgrazia, aspettiamo che faccia giorno, -non passiamo il capo Trafalgar, ve ne scongiuro, non per me, per le -mie povere creaturine! — Non posso, buona donna; _el capitan tiene sus -obligaciones_: ci son cinque passeggieri che vanno in Africa; io debbo -sbarcarli domattina all'alba a Algesira; non posso passar la notte -a Trafalgar; bisogna tentar d'andare innanzi; seguirà quello che Dio -vuole! — No! no! _señor Capitan!_ noi naufraghiamo! noi moriamo! i miei -bambini! _Ave Maria purissima_, se n'è andato! Lei, signor italiano, -per carità, vada lei, vada a supplicare il capitano che non si mova di -qui, che non ci faccia morire! Dio mio! Dio mio! — Chetatevi, buona -donna, vado io. Capitano! Dov'è il capitano? Non c'è modo di trovare -questo capitano? È a prua! — È a poppa! — Passi di qui! — Scenda di -là!... - - -Di qua, di là! Che il malanno vi colga! Son tre ore che cammino e non -mi sono ancora raccapezzato. Sarà ben sonata la mezzanotte. Ah! se me -ne fossi rimasto nel mio piccolo albergo di Leicester-square, invece di -venirmi a cacciare in questo labirinto fetido e oscuro! Dopo una strada -un'altra strada, dopo una svolta un'altra svolta, e crocicchi dietro -crocicchi, e case accanto a case, e non una porta aperta, non un lume a -una finestra, non un _policeman_, non una voce umana, non il suono d'un -passo, non un indizio di vita; null'altro che interminabili muraglie -nere che si perdono nella nebbia, e un silenzio di città disabitata. -Cammino, corro, divoro la via, e mi par sempre d'essere nello stesso -luogo. Forse non faccio che girare e rigirare nelle medesime strade. -Questo sospetto mi sgomenta e le forze cominciano a mancarmi. E poi.... -che serve ch'io lo nasconda a me stesso? Ho paura! paura d'essere -assassinato, di cadere in una fogna, d'inciampare in un cadavere, -di mettere i piedi in una pozza di sangue. Come son venuto qui? Dove -sono? Sapessi almeno dove sono! Sono in White Chapel? a San Gilles? -in Waping? Se fossi sicuro d'essere a Bethnal Green, per esempio, -cercherei di trovare Mile end Road, e di là saprei andare alla torre di -Londra; o se fossi in Seven Dials, potrei sperare di riuscire in Regen -Street o d'infilare Piccadilly. Ma qui non so da che parte voltarmi, -cammino a caso, come un pazzo. M'imbattessi anche in un branco di -ladri, purchè incontrassi qualcuno! Questo silenzio sepolcrale mi -gela il sangue. Dio mio! non domando che il rumore d'un passo o il -latrato d'un cane! E un'altra strada, un'altra di queste interminabili -e lugubri strade! Ah, io non vado più innanzi; in questa strada c'è -qualcosa d'orrendo, ci son dei morti, le mie gambe tremano, il mio -cuore si agghiaccia, la mia ragione si perde, io mi metto a gridare, -io.... Che! Sei tu! Tu, mia amica! Tu, amor mio! Tu qui, a Londra! con -me! Ma è un sogno! Ma parla! No! fuggimmo prima, qua la mano, coraggio, -seguimi, vola.... Oh l'inesprimibile piacere! il vento ci porta, il -cielo si rischiara, il sole ci batte in fronte, Londra è sparita, siamo -sul mare, siam salvi! - - -.... Dove siamo? Ah! tu mi domandi dove siamo, classichetta che tu -sei, piena di greci e di romani, tu che diventi rossa a nominarti -Pindaro, che piangi quando ti dico che un giorno faremo un viaggio -nella Troade, tu che mi hai fatto diventar geloso di Annibale e -prendere in tasca Catone, testolina imbottita di grandi nomi e di -grandi versi! Ebbene. Questa volta sarai felice; ma devi indovinar tu -dove siamo. Guarda questo cielo splendido, questo mare azzurro, questi -colli cinerini, queste roccie nude, queste pietre sparse, e indovina. -Ah, tu impallidisci! — Ebbene, non è la Troade. — No, non sono le -rovine di Cartagine. — Nicea? Meno che mai, signorina. Cerchi, cerchi -ancora, frughi nelle sue reminiscenze storiche, interroghi tutti i -suoi desiderî classici. Ma sì, amica mia, sì! Atene! Atene! Atene! -Siamo sull'Acropoli! Ah io sono pazzo della tua gioia! Qua, nelle mia -braccia, ed ammira: quella è la costa orientale del Peloponneso, — -più in qua l'isola di Salamina; — lì il Pireo, — là il Falereo, — a -destra, su quel colle nudo, il tempio di Teseo, — su questa roccia, -in direzione della mia mano, le rovine dell'Areopago; — qui sotto -il teatro di Bacco, dove il tuo Eschilo e il tuo Sofocle facevano -rappresentare le loro tragedie; — in fondo a quella gola, il tempio -delle Eumenidi; — tu tremi, poverina, a sentir questi nomi; — ed ora, -voltati: ecco le quarantasei colonne del Partenone, — e adesso alzati e -fa pure qualche pazzia perchè le pietre su cui sei stata seduta finora -sostenevano l'enorme Minerva Promacos di Fidia, la quale mostrava al -cielo la punta della sua lancia dorata, la prima immagine della patria -che rivedeva il navigatore ateniese, venendo dal capo Sunium. Ah! la -mia cara classichina che piange!... Dov'è il nostro bambino? Era qui un -momento fa. Zitta! Non t'inquietare; non può esser lontano; tu cercalo -di qua, io lo cerco di là; si sarà nascosto nell'Erecteo; Checchino, -dove sei? Checchino! Checchino!... - - -.... Sentite, galantuomo: ho girato il mondo, e ho conosciuti molti -buffoni; ma vi dico schiettamente che uno del vostro stampo l'avevo -ancora da inciampare. Animo, via; il proverbio insegna che ogni bel -gioco dura poco, il che vuol dire che un gioco stupido deve finire -appena incominciato. Mettete giù il bambino che avete nella mano -destra, che è mio, e quello che avete sulle spalle, e quello che avete -sotto il braccio, e i tre che tenete nella cesta. Eh, dico, metteteli -giù, o m'arrampico su per la vostra colonna, e vi scaravento in terra -come un sacco di cenci. Vi paiono scherzi da fare codesti? O di dove -siete sbucato, faccia patibolare? Chi siete? Come? Osereste? Ah! -l'orribile mostro, che si mette in bocca la testa del mio bambino! -Aiuto! A me, a me, Ateniesi! Sia lodato il Cielo, vien gente. O -perchè tutti ridono? Che c'è da ridere, Ateniesi? È una vergogna -che in una città colta e gentile come la vostra, si permetta a un -mascalzone come costui di torturare i bambini in mezzo a una piazza -pubblica. Rispondete dunque. A voi, cittadino, rendetemi conto voi di -quest'infamie. Sentiamo! — _Eh, monsieur, vous êtes fou; vous n'êtes -pas à Athènes, vous êtes dans la ville de Berne, devant la statue du -mangeur d'enfants, devant la Kindlifresser-Brunnen, que tout le monde -connait; regardez donc dans votre guide Bedeker, farçeur...._ - - -.... Statue! Berna! Son baie. A Berna non c'è questa campagna -solitaria, nè questo cielo di zaffiro, nè questa immensa pace che mi -penetra fino al più profondo dell'anima. Oh la mia bella Bulgaria! -Belle roccie coniche, coronate di castelli muscosi, e tinte di rosa e -di viola dai primi raggi del sole; belle colline vestite di macchie -inestricabili che l'autunno ha screziate dei suoi mille colori -pomposi e tristi; bruni villaggi mezzo sepolti nella terra, come per -sottrarvi alla vista del minareto odioso che vi torreggia sul capo; -vasti pascoli ondulati, immensi armenti, alti pastori dal grande saio -e dal berretto velloso, curvi sopra le traccie dei cavalli dei lilas, -che passarono or ora trascinando alle fortezze del Danubio i vostri -fratelli incatenati; bel paese selvaggio e melanconico, bel popolo -austero, silenzioso e dolce, io ti rispetto e ti amo! Sia maledetta -la strada ferrata che m'ha rotto il filo delle fantasie. Ora convien -scendere e asciugarsi a piedi una galleria d'un miglio e mezzo: cose -che non seguono che in Turchia. Entriamo dunque nella tana. Ma stiamo -stretti, signori, e badiamo di non perderci, perchè è buio fitto. -Vorrei però sapere come fa a passare il treno per questo cunicolo largo -due braccia. Mi spieghino loro questo miracolo, signo.... Non c'è più -nessuno! Poh, peggio per loro. Io accendo il mio cerino e tiro innanzi -tranquillamente.... Oh! che vuol dir questo? Qui non ci sono rotaie! -Questa non è una galleria di strada ferrata! Questo è un corridoio! I -muri son segnati di croci e d'iscrizioni.... spagnuole! Oh l'orribile -cosa! I sotterranei dell'Escuriale!... - - -.... È stato un momento di debolezza; la preghiera m'ha ridato -coraggio; andiamo innanzi; troverò un'uscita; Dio m'assisterà; il tutto -è di riuscire a un cortile. Mi trema il cuore però. Mi spaventa questo -corridoio sterminato. Questo corridoio non c'era la prima volta che -venni al convento. E questo rumore.... che non è quel del mio passo! -Ah! mi si rizzano i capelli! No, un momento, un po' di riflessione: -questo è il suono del mio passo; infatti se io mi fermo.... Gran Dio! -suona ancora! Io divento pazzo! Ma dove suona dunque? Non certo davanti -a me, perchè mi metto a correre e lo sento sempre alla stessa distanza; -nemmeno di dietro, perchè se mi fermo, non mi raggiunge; e sopra la -vôlta non può essere, perchè non lo sentirei così distinto; sotto, è -impossibile. Dov'è dunque? Ho sognato? Eppure no, lo sento, lo sento -vicino a me, monotono, ostinato, sinistro. Questo non è uno spettro, -questo è un frate, un prete, un custode che vuol farmi incanutire dal -terrore. Oh! ma la rabbia che mi divora è anche più forte del terrore. -Questo sconosciuto aguzzino mi è anche più odioso che terribile. O tu -che mi cammini davanti, o dietro, o accanto, o sopra, o sotto, chiunque -tu sia, sei un miserabile che disprezzo e sbeffeggio; e ti sfido a -comparirmi davanti! E se non compari, ti dico che sei un vigliacco e -ti sputo nel viso; e se fosti anche Filippo II, in carne ed ossa, colla -corona e colla spada, io ti giuro che non ho paura di te, e ti comando -di farmiti dinanzi, perchè possa piantarti nel cuore un palmo del mio -pugnale marocchino, e rimandarti a marcire colla tua stupida prosapia -sotto l'altar maggiore di San Lorenzo! — Nessuna risposta, e il passo -continua a risuonare vicino a me, lento, cadenzato, implacabile! Io -divento furioso! Avanti, avvicinati, dimmi da che parte sei, vieni a -portata della mia mano, chè io mi possa liberare da questa tortura! -Sei dentro al muro? Ebbene, guarda, io lo percoto coi pugni e coi -calci, io lo raschio col pugnale, lo sgretolo colle unghie, lo rigo col -mio sangue. Fuori! fuori! fuori! — E nessuno risponde, e sempre alla -medesima distanza, quel passo misurato, sonoro, lugubre come il picchio -d'un martello sopra una bara! Ah questo è troppo, non posso più, ho -paura, è un sogno che m'uccide, svegliatemi, svegliatemi!.... - - -..... Dev'essere il barcarolo che m'ha svegliato con una pedata in -un fianco. Dove andiamo? La campagna è tutta piana e velata dalla -pioggia come da una nebbia; si vede confusamente qualche mulino a -vento e qualche campanile; il canale è largo e colmo; mi pare che -si debba essere tra Leuwarden e Dokkum. Non si starebbe mica male -tappati in questo _trekschuit_ piccino e tepido, con un libro in mano -e colla pipa in bocca; ma bisognerebbe buttar fuori questi diciassette -bimbi paffuti, che mi premono da tutte le parti, e questo donnone, -questo faccione di luna in quintadecima, questa sorella carnale della -_Veneranda_, che mi fa gli occhi soavi parlando a fior di labbra. E -bisogna dire che di questi diciassette marmocchi, le sia molto piaciuto -il primo, poichè l'ha ristampato sedici volte senza correzioni, e -tutti portano l'impronta netta della beata melensaggine della mamma. Oh -questa è Olanda davvero! E chi sarà quel capo matto che ha rovesciato -sui Paesi Bassi questa valanga di putti? e com'è possibile che questa -madre d'un popolo, abbia ancora dei grilli per la testa? E mi tocca -i piedi! Tocca? Pesta, per Giove! Avete una maniera un po' troppo -vigorosa di manifestare le vostre simpatie, signora mia.... vorrei -dirle. Che cosa dite? Eh? Io? Ma voi siete pazza. Io vostro marito? -Io v'ho sposata davanti al borgomastro di Dokkum? Questi diciassette -bimbi son.... nostri? Voi avete il contratto matrimoniale? Ah! la mia -memoria si rischiara.... Ma dunque è vero! Dunque finora io ho sognato! -Non v'inquietate, moglie mia: apro la finestra e metto la testa fuori -per pigliare una boccata d'aria; — vi amo più della vita; — metto -fuori anche il busto; — v'adoro; — mi sporgo ancora un po' innanzi; — -lasciatemi appoggiare il piede sulla seggiola; — così, amor mio; — ed -ora tu, Dio pietoso, accogli il mio spirito, e voi, acque dell'Olanda, -il mio corpo!... Dannazione eterna! Chi mi trattiene? - - -.... _Caballero_, ci perdoni se l'abbiamo tirato indietro così -bruscamente; siamo guardie civili, dobbiamo obbedire agli ordini; è -proibito ai viaggiatori di metter la testa fuori del finestrino dei -vagoni; potrebbe seguire una disgrazia; ci son Carlisti da ogni parte; -ieri erano a Calatayud; avanti ieri scorrazzavano intorno a Siguenza; -non per nulla ci hanno messi cinque per vagone, armati fino ai denti; -non s'appoggi sui fucili: son carichi. — E sta bene! E anche questo -è un bel modo di viaggiare! Due facili carichi dinanzi, due fucili -carichi di dietro, un pistolone rasente il ginocchio, il manico d'una -daga contro il fianco, e sei cinghie di zaino che mi spenzolano sulle -spalle; e se m'affaccio al finestrino, una palla cilindro-conica -nel cranio; e tutte queste dolcezze, per andare al Marocco. Povera -Spagna! Quanto la ritrovo mutata! La campagna, deserta, i villaggi -barricati, le stazioni della strada ferrata arse, diroccate, circondate -di parapetti e di fossi; per tutto gruppi di contadini oziosi e -di soldati stanchi; tende, sentinelle, cavalli rifiniti, traccie -d'accampamenti, case affumicate, miseria. Non sembra però che i miei -compagni di viaggio si diano gran pensiero di questo sottosopra. Vedo -là due sposi che colombeggiano; qui un operaio brillo che fa delle -proposte di matrimonio a una vecchia contadina aragonese; più in là -cinque scamiciati che giocano alle carte; un ufficiale dei cacciatori -che canta, un postiglione castigliano che trinca, e un vecchio parroco -di campagna che stabacca voluttuosamente fra un periodo e l'altro -dell'_España católica_. Allegri, figliuoli, e che Dio vi conservi. Ora -canta anche il postiglione, l'operaio gli fa eco, i cinque scamiciati -entrano nel coro; come, come, anche loro, le signore guardie? Ma, e la -_consegna_? E la disciplina? E i Carlisti? Oh che bel paese di matti! -Il carnovale in mezzo alla guerra civile. Ma bene! Viva la.... darei -un buffetto sul naso a quei due sposi, che si guardano nel bianco -degli occhi. Corpo di Carlo V! Non c'è peggior supplizio per un povero -viaggiatore, che di dover assistere a queste fanciullaggini! Smettiamo -dunque; il vagone non è un'alcova, che diavolo! - - -.... E un'altra coppia, — e un'altra, — e un'altra. Eccomi qui in -piena Arcadia. Ora mi dovrò asciugare quest'uggioso spettacolo fino -a Colonia. Già non ci dovevo venire. Me l'avevano detto che questi -scellerati piroscafi del Reno, in autunno, sono il nido galleggiante di -tutti gli amori nuziali del Belgio, dell'Olanda, della Svizzera tedesca -e dei paesi delle due rive. Eccole qui, tutte queste bionde sdolcinate -e scarmigliate, che alzano gli occhi al cielo e lasciano ricadere la -testa. Ecco gli sguardi velati, le strette di mano furtive, i baci -mandati col ventaglio, le toccatine di piede, i bisbigli, i languori, -le sciocchezze infinite che cinquanta maledetti notari tabaccosi hanno -legittimate pel mio malanno. Quella belga fraschetta! Quella magontina -petulante! Questa lussemburghese ipocrita che nasconde coll'_Allgemeine -Zeitung_ il braccio di suo marito! Le sfrontate! Gli ufficiali -tedeschi salutano il piroscafo dalle terrazze delle ville, le chiese -gotiche specchiano le loro guglie cesellate nelle acque, i vecchi -castelli disegnano le loro gigantesche forme nere sul cielo, passa -la roccia di Coblenza, sparisce la rovina di Hammerstein, si nasconde -dietro ai monti lo splendido castello di Rheineck, si dileguano come -sette nuvole enormi le Sette Montagne; e loro non vedono nulla! e -continuano a bamboleggiare colla punta delle dita e colla punta dei -piedi, stupidamente sicuri di non esser visti, come se fossimo tutti -addormentati, orbi, o cretini.... Eppure se tutte queste sciocchezze -non si facessero, non avrei trovato, le sere dei giorni di festa, nei -giardini d'Anversa e nei viali di Basilea, una folla d'angioletti -coi capelli d'oro, che mi scacciarono dal capo le idee nere, e mi -riempirono il cuore di dolcezza! Ah! io sono un ingrato! Ebbene, sì, -sorridete, guardatevi, amatevi, parlatevi nell'orecchio, giocate colle -punte dei piedi, godete, inebbriatevi, scordatevi di noi e del Reno e -dell'universo! purchè vengano gli angioletti coi capelli d'oro.... - - -.... Eccoli qui! Una folla di bimbi e di bambine che invadono il -_Prater_ di Vienna, sparpagliandosi in mezzo agli alberi sfrondati, per -i viali coperti di foglie gialle. L'autunno s'è cangiato a un tratto in -primavera; l'aria grigia s'è riempita di fragranze e risuona di voci -armoniose, e tutto spira freschezza e allegria. A gruppi, a schiere, -a circoli, a stormi, vanno e vengono, come un nuvolo d'uccelletti e di -farfalle; e rendono l'immagine d'un grande giardino di rose e di gigli -vivi, che da sè stessi intreccino e disfacciano rapidamente mazzi, -corone e ghirlande palpitanti e sonore. Ciarpe scozzesi e pelliccie -russe, giubbette ungheresi e berrette polacche, penne purpuree, -riccioli biondi e nastri azzurri, ondeggiano e si confondono in mezzo -ai cerchi, alle carrozzine, alle racchette, ai cervi volanti, ai -palloncini color di rosa. Tutto ride, tutto brilla, tutto splende, -tutto tripudia, e un senso divino di giovinezza e di speranza invade -l'anima mia. Siate benedetti, o bei fiori appena sbocciati della razza -umana! Benedetti i vostri visi rosei, benedetti i vostri capelli di -seta, benedette le vostre gambettine nude, benedetti i vostri giochi, -la vostra gioia, la vostra innocenza, le vostre famiglie, la vostra -vita! Io v'adoro, creaturine! Venite, accorrete intorno a me, fatemi -fare qualche cosa, fatevi servire, imponetemi i vostri capricci, -divertitevi di me! Volete picchiarmi? Volete farmi l'urlata? Volete -saltarmi a piedi giunti? Volete ch'io vi porti sulle spalle? Volete -che m'arrampichi sopra un albero, per farvi ridere? Se mi rompessi la -testa, voi dite. E che m'importa di rompermi la testa per voi! Animo, -sull'albero. Sono già molto alto, non è vero? Ma salirò ancora. Così? -— Noch! — Così? — _Immer noch!_ — Ma volete dunque ch'io salga fino.... - - -.... Oh l'incantevole panorama! Un golfo coperto di navi, due mari -che si congiungono, tre città che s'abbracciano, l'Europa e l'Asia -che si guardano, mille minareti e mille cupole, in mezzo a migliaia -di chioschi, di bazar, di bagni, di terrazze, d'acquedotti, dentro -a una corona immensa di giardini e di boschi; e in ogni parte una -folla variopinta e innumerevole che sale e scende per venti colline -e venti porti, in mezzo ai cipressi, alle fontane e alle tombe; e su -tutto questo il cielo d'Oriente! Oh com'è bello, splendido e grande! -Io non credevo che una così meravigliosa bellezza si potesse vedere -sulla terra altro che in sogno. Ora comprendo il musulmano moribondo -che dice: — portatemi alla finestra. — Vi comprendo, poeti che avete -spezzata la penna, pittori che avete lacerato la tela, scienziati che -avete perduta la flemma, mercanti che avete balbettato dei versi, -fanciulle che avete gettato un grido e abbracciato vostra madre, -gente d'ogni paese e d'ogni tempra, che vi siete sentiti rimescolare -il sangue e inumidire gli occhi davanti a questa visione di paradiso! -Oh se potessi portar qui tutto quello che amo, e viver qui, a questa -sublime altezza, su questa terrazza aerea salutata dal primo e -dall'ultimo raggio del sole! Custode, non mi seccate. — Faccio il -mio dovere, _captàn_. Tutta Costantinopoli sa che il nostro signore e -padrone Abdul Aziz, che Allà protegga e conservi, non vuole che nessuna -fronte umana si alzi sopra l'ultimo parapetto della torre del Seraskir. -Fammi dunque il favore di abbassare la testa. — Lasciami in pace, ti do -cinque lire franche. — Abbassa la testa, _captàn_. — Ti do due scudi -franchi. — Abbassa la testa, _captàn_! — Ti do un napoleone d'oro, -che tua moglie diventi sterile e gli uccelli del cielo insudicino la -tua barba! S'è mai visto un mulo di turco più mulo di costui? Siamo -d'accordo? - - -.... _D'accord, monsieur, d'accord. Donnez moi le napoleon et voici -la chaise._ — Sta bene; ma aiutatemi a salire, perchè è buio fitto, -e sostenetemi di dietro perchè la folla ondeggia. Ed ora dove devo -guardare? — Al di là della Senna, signore. — Ah! un fascio di raggi -bianchi ha illuminato per un momento un mare di teste nel Campo di -Marte. Ora dalla riva in faccia s'alza e s'allarga un nembo di foco che -vien giù a schizzi, a sprazzi, a pioggioline, a cascatelle splendide -in forma di fiori, di pagliole, di stelle, di fiocchi, d'anelli, e -produce nelle acque un tremolío di riflessi, un turbinío di scintille, -un lampeggiamento di colori, che par che la Senna travolga perle, -cristalli e vezzi d'oro. Intanto dal ponte, dalle case, dalla riva -destra si spandono torrenti di luce che colorano via via di verde -smeraldo, di giallo sulfureo e di rosso sanguigno le sponde, la folla, -l'altura del Trocadero, il padiglione dello Scià; cento cannoni tonano, -cento musiche echeggiano, e l'immensa voce della moltitudine empie -il cielo come il muggito d'un oceano. A un tratto, tutto si spegne, -tutto tace, e la folla, immersa daccapo nelle tenebre, volta le sue -trecentomila teste a monte della Senna. L'incendio di Parigi comincia. -Vampe di luce indiana e fasci di luce elettrica vibrati tutt'insieme da -mille punti, illuminano tutte le sommità dei più alti edifizî. I tetti -delle Tuilleries sfolgorano come piramidi di carbonchio, la cupola del -Panteon è di bragia, il palazzo dell'Industria è d'argento percosso -dal sole, il palazzo degli Invalidi è verde acceso, la torre di San -Giacomo, la colonna di Grenelle, la scuola militare, San Sulpizio, -Nostra Signora di Parigi mostrano i loro grandiosi contorni segnati di -foco, le loro cime coronate d'aureole e velate di fumo luminoso, e il -cielo appare colorato qua e là d'aurore e di tramonti di soli ignoti; e -infine una miriade di razzi scoppia da un capo all'altro di Parigi con -un fragore formidabile, e si risolve in una immensa pioggia silenziosa -di fiori ardenti, accompagnata da un grido universale d'allegrezza -infantile.... - - -.... Vera allegrezza infantile! Lasciate stare codeste fanciullaggini, -e pensate alla morte! — Ah! siete voi, signor Danmann? — Son io, il -vecchio e uggioso filosofo danese, che vi sermoneggia in fondo a una -carrozza, tra Turnu-Severin e Palanka, un'ora prima del levar del sole; -distogliendo voi, stizzito, (perchè vedo che vi stizzite) dal cercare -cogli occhi fra le capanne e le siepi, a traverso la nebbia, le incerte -forme bianche delle contadine valacche. Lasciatemi dunque finire il -discorso. Vi voglio ripetere il mio consiglio, un buon consiglio per -la pace della vostra vita. Pensate tutti i giorni, e lungo tempo alla -morte; ma sprofondatevi in questo pensiero e chiudetevi in esso come -in una tomba, giovandovi di tutta la forza della vostra immaginazione. -Raffigurate voi a voi stesso, colto da una malattia mortale —, -moribondo —, morto; stampatevi bene in mente l'aspetto del vostro -cadavere; osservate ogni movimento degli uomini che vi stendono nella -cassa, che inchiodano il coperchio, che vi portan via; — guardate a -traverso le assicelle la città affaccendata ed allegra; — sentite il -freddo della fossa in cui vi calano —; udite il rumore della terra -che vi gettano sul capo; immaginatevi là solo, immobile, scheletrito, -orrendo, e meditate senza staccar gli occhi da quell'orrore. Ebbene, -credete a me: chi non ne ha fatto esperimento, non può concepire il -grande e salutare cangiamento che produce questa meditazione funebre -di tutti i giorni nella nostra maniera di vedere e di sentire il mondo -e la vita. La nostra sventura è quel sentimento vago d'immortalità -terrena, il quale ci fa vedere tutte le cose che ne circondano, più -grandi e più importanti di quello che sono; onde più grandi i dolori, -e anche le gioie, perchè sproporzionatamente maggiori delle cause, -sorgenti di tristezza. Ma l'abitudine del pensiero della morte, -ravvivando continuamente il sentimento della precarietà d'ogni cosa, -ci presenta tutto ridotto alle sue proporzioni reali, e restituisce -così l'equilibrio tra noi ed il vero, e coll'equilibrio la pace, e -colla pace un misurato e più sicuro godimento della vita. Provate e -rimarrete meravigliato, amico mio, vedendo come fuggiranno da voi tutti -i piccoli sentimenti ignobili, tutti quei piccoli dolori senza cagione, -quella turba miserabile d'irucole, d'invidiole, d'ambizioncelle, di -dispetti, di crucci, che rode sordamente l'anima umana, e la rende -più infelice che non le grandi sventure. Provate: in ogni vostra piaga -morale versate prontamente questo pensiero, come versereste un balsamo -in una piaga del corpo. Ogni volta che v'assale l'orgoglio, osservate -le vene della vostra mano, tastate le vostre costole, trattenete -per qualche momento il respiro, e sentendo così improvvisamente -la debolezza della vostra vita, tornerete umile. Quando qualcuno -v'offende, rappresentatevi alla mente il suo scheletro, tutte le più -minute parti del suo fragile organismo, un vaso sanguigno del suo capo -che, rompendosi, lo può rendere da un momento all'altro forsennato o -cadavere; e perdonerete. Abituatevi a vedere in ogni uomo un moribondo; -nello spettacolo della natura un quadro fantasmagorico che brilla e -svanisce; in tutti i beni della terra, il bene d'un momento, che un -raffreddore vi può togliere; abituatevi a sentirvi morire, fatevi del -pensiero della morte un sostegno, un rifugio; e non temete ch'esso vi -stanchi della vita, e vi renda freddo agli affetti e al lavoro, chè -anzi ogni vostro affetto si colorerà d'una mestizia divina, e si farà -più profondo. Ah! con che delirio d'amore bacerete la vostra amante, -pensando che con una stretta delle braccia potreste slanciare la sua -anima nell'eternità e il suo corpo nella tomba! E il vostro lavoro sarà -più fecondo, perchè stando quasi colla vostra mente fuori della vita, -contemplerete gli uomini e le cose dall'alto, coll'anima più quieta -e coll'occhio più sereno. Eccoci a Palanca; qui dobbiamo separarci; -ricordatevi i consigli del vecchio Danmann, e addio. — Permettetemi -d'abbracciarvi, signore. — A me figliuolo. — .... Gran Dio! Voi non -siete Danmann, voi non siete vivo! Voi siete di bronzo!... - - -.... Una statua. Ah, riconosco le tue sembianze, o potente e caro -agitatore della mia giovinezza. In quest'aspetto io ti vedevo apparire -come un fantasma luminoso, sulla soglia della mia stanza, quando a -tarda notte alzavo dai tuoi libri il volto trasfigurato. Così vedevo -codesta fronte, che porta la traccia delle battaglie ardenti e perpetue -della tua mente; così tutta la tua nobile figura, che pareva sempre -naturalmente atteggiata sul piedestallo che ora ti sorregge, «_tutto -altero e grandioso, fuor che gli occhi, che son dolci_.» Ti riconosco; -sei tu «che t'avanzavi come un conquistatore nell'eterno dominio del -vero, del bene, del bello, lasciando dietro di te, vaga apparenza, la -volgarità che tutti c'incatena;» tu il profondo e sottile investigatore -del cuore umano, l'instancabile rimestatore di problemi, poeta della -libertà e dell'amore, scultore di tiranni e d'eroi, pittore di vergini -e di banditi, glorificatore di schiavi e di martiri; tu «il _vero -uomo_» tu «il giovane eterno» tu che eri ad ogni otto giorni «un essere -novo e più vicino alla perfezione;» ingegno tremendo e gentile, anima -eccelsa e semplice, uomo grande dinanzi alla patria, grande in seno -alla famiglia, grande nella lotta contro te stesso e contro la morte! -Sei tu, dunque? Oh! permetti all'ultimo dei tuoi devoti, a uno che, -te vivo, avrebbe attraversato l'Europa per andar a gridare sotto le -finestre della tua casa che tu sei grande e che ti ama, permettigli -di mettere per un istante sotto la tua mano di bronzo la sua fronte -infocata, come farebbe per chiedere la benedizione d'un Dio. - - -.... Chi profana il nome di Dio? Non c'è altro Dio che Allà e Maometto -è il suo profeta. Ascari, caricate di catene questo miserabile che si -prostra ai piedi d'un idolo di bronzo. — Tu vaneggi, Kaid! Questa è -la statua di Federico Schiller e io sono nella città di Magonza. — Tu -menti, Nazareno! Questo è il simulacro d'un Dio bugiardo e tu sei nel -palazzo imperiale di Fez. — Un momento, in nome di Dio! Abbassate le -spade: io domando di parlare al Sultano! — Voltati indietro e atterra -la fronte: egli s'avanza.... — Ah! Mulei-el-Hassen, i ministri, -la corte! Sia ringraziato il Cielo, son salvo! Mulei! Maestà! Sono -accusato d'idolatria, sono innocente, io non riconosco e non adoro che -il vero Iddio, Signore dei mondi, immensamente misericordioso. Voi non -mi farete morire. Mi dovete riconoscere. Venni qui con un'ambasciata. -Voi montavate un cavallo bardato di verde, e avevate la cappa bianca e -il cappuccio sul turbante; eravate bello e gentile, Mulei, e i vostri -occhi eran pieni di dolcezza. Indietro dunque colle vostre spade, -soldati! la mia vita è nelle mani del vostro Signore. Mulei, voi siete -giusto e buono; io son lontano dalla mia patria, solo, senza difesa; -son giovane, sono amato, ho bisogno di vivere, pronunziate una parola, -fate un cenno, sorridete, guardatemi! Oh, voi vi movete a pietà, Mulei; -la vostra fronte si rasserena, le vostre labbra si schiudono; una -parola, dunque, una sola parola! Fate almeno allontanar queste spade -che mi balenano sugli occhi. Ma scotetevi una volta, principe senza -cuore! Non vedete, per Dio! che son già tutto intriso di sangue....? - - -.... È mio sangue, signor tenente; son io che l'ho macchiato; lei non è -ferito; la palla è toccata a me.... in un fianco; non vada via, signor -tenente; stia qui accanto a me; io sento che la vita m'abbandona; -m'aiuti o morire. — Ma che morire, figliuol mio! Perchè parli di -morire? La tua ferita non è grave; fatti coraggio; appoggiati qui alla -sponda del fosso; mettimi la testa sul braccio; così; ora ti sbottono -il cappotto; a momenti capiterà qui il medico; non ti perder d'animo, -via; vedrai che per questa volta ci si mette ancora una toppa. — Ah, -no, signor tenente! Questa volta è finita.... Sento che è finita.... -Mi si velano gli occhi.... Addio! addio, mio buon uffiziale! addio, -mia buona madre! addio a tutti! — Morto!... Forse il suo cuore batte -ancora. Ah! non batte più. Povero ragazzo! Egli non poteva avere più -di ventidue anni. Ecco un taccuino, una lettera diretta a suo padre; -_al signor Pietro Caretti, contadino_. Contadino! _Fiesole, presso -Firenze._ Un biglietto da due lire: la sua paga degli ultimi cinque -giorni. Il ritratto d'una vecchia: sua madre. Un anellino di capelli -neri: la sua amante. Ecco tutto il suo passato e tutto il suo avvenire, -sommersi in una pozza di sangue; tutto il suo piccolo mondo, frantumato -da un pezzetto di piombo; affetti, promesse, disegni, speranze, tutto -finito! E da chi? Da qualche altro ragazzo che è laggiù in quei campi, -dietro quei nuvoli di fumo, e che forse ha anch'egli sul cuore un -ritratto e una lettera.... ma quella lettera è scritta in tedesco! -Ecco perchè un dei due si è pigliato una palla nel fianco.... — Avanti! -avanti! — Ma come, dove avanti, signor maggiore? Dobbiamo arrampicarci -su per questo muro? È impossibile! — Avanti a ogni modo! Aggrappatevi -all'erba e all'edera, laceratevi il viso e le mani; ma salite! — -Saliamo dunque.... Me se non si può! l'edera cede e si rompe! — Ma come -si rompe! Se è marmo! - - -.... Marmo? E infatti le mie mani stringono due colonnette; il mio -piede destro posa sulla testa d'un santo; il mio piede sinistro, sulla -groppa d'un leoncino, e sulla mia testa, s'alza una finestrina a sesto -acuto; io m'arrampico su per un delicatissimo monumento d'architettura -gotica, tutto rilievi e trafori, e pieno d'aria e di luce; e giù sotto -di me, vi sono altre colonnette, altri santi, altri ricami di marmo; -e ancora più sotto.... Dio eterno! Io sono a un'altezza prodigiosa, -sulla guglia estrema del campanile della cattedrale di Strasburgo! -Vedo Wissemburg, la montagna del Geisberg, il Reno, la foresta nera, -l'Eichelberg, la valle della Murg! Sono sospeso tra il cielo e la -terra! Ah! purchè riesca a cacciare la testa nel finestrino! Coraggio. -— Su — adagio adagio — di statuetta in statuetta — di rilievo in -rilievo.... Ma questo vento che mi caccia i capelli negli occhi! Questo -immenso vuoto che mi circonda! Queste colonnette sottili come verghe -di salice! Queste teste di santo grosse come una noce! Ah, il coraggio -m'abbandona! Le mie mani tremano, i miei piedi scivolano, le colonne si -muovono, i santi vacillano, i rilievi si staccano, il terrore m'invade, -l'abisso mi attira, la vertigine m'accieca! Ah l'orrenda morte! Oh -madre mia! Aiuto! Io precipito.... - - -Cos'è stato? Mi son svegliato con un grido? Chi mi chiama? Ah, la voce -di mia madre nell'altra stanza. Che dici? - -— Ti dico quello che t'ho già detto tante volte, figlio mio: di non -dormire mai sul fianco sinistro. - - - FINE. - - - - -INDICE - - - PAG. - - La mia padrona di casa 7 - Scoraggiamenti 19 - Ritratto d'un'ordinanza 45 - Battaglie di tavolino 55 - Un incontro 77 - Emilio Castelar 91 - Un caro Pedante 109 - Una visita ad Alessandro Manzoni 119 - La lettura del Vocabolario 135 - Appunti 147 - Una parola nuova 191 - Consigli 201 - Il vivente linguaggio della Toscana 211 - Quello che si può imparare a Firenze 235 - Un bel parlatore 245 - Dall'album d'un Padre 253 - Sopra una culla 275 - Giovanni Ruffini 283 - L'amore dei libri 297 - Manuel Menendez (racconto) 307 - In sogno 341 - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - - - - - -End of the Project Gutenberg EBook of Pagine sparse, by Edmondo De Amicis - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE *** - -***** This file should be named 50806-0.txt or 50806-0.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/0/8/0/50806/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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You may copy it, give it away or re-use it under the terms of -the Project Gutenberg License included with this eBook or online at -www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you'll have -to check the laws of the country where you are located before using this ebook. - -Title: Pagine sparse - -Author: Edmondo De Amicis - -Release Date: December 31, 2015 [EBook #50806] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE *** - - - - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - - - - - - -</pre> - - -<div class="booktitle"> -<h1> -PAGINE SPARSE -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="chapter"> -<div class="blockquote"> -<p> -La ma padrona di casa — Ritratto d'un'ordinanza — Un -incontro — Un caro pedante = (ALCUNE -OSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA): -La Lettura del Vocabolario — Appunti — Una -parola nuova — Consigli — Il vivente -linguaggio della Toscana — Quello che si può imparare -a Firenze — Un bel parlatore = Dall'album -d'un padre — L'amore dei libri — Manuel -Menendez (racconto) — In Sogno — Scoraggiamenti — Battaglie -di Tavolino — Una visita ad -Alessandro Manzoni — Emilio Castelar — Giovanni -Ruffini. -</p> -</div> -</div> - -<div class="titlepage"> -<p class="large"> -EDMONDO DE AMICIS -</p> - -<p class="pad2 main-t"> -PAGINE SPARSE -</p> - -<p class="pad2"> -QUARTA EDIZIONE -</p> - -<p class="pad6"> -<span class="small g">MILANO</span><br /> -<span class="x-small">TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA</span><br /> -<span class="small">1877.</span> -</p> -</div> - -<div class="verso"> -<hr class="mid" /> -<p> -Proprietà letteraria. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -</p> - -<div class="blockquote"> -<p> -.... Non riprendeva, anzi lodava ed amava che gli scrittori -ragionassero molto di sè medesimi; perchè diceva che in -questo sono quasi sempre e quasi tutti eloquenti, ed hanno -per l'ordinario lo stile buono e convenevole, eziandio contro -il consueto o del tempo, o della nazione, o proprio loro. E -ciò non essere meraviglia; poichè quelli che scrivono delle -cose proprie hanno l'animo fortemente preso e occupato -della materia; non mancano mai nè di pensieri, nè di affetti -nati da essa materia e nell'animo loro stesso, non -trasportati d'altri luoghi, nè bevuti da altre fonti, nè comuni -e triti, e con facilità si astengono dagli ornamenti -frivoli in sè, o che non fanno a proposito, dalle grazie e -dalle bellezze false, dall'affettazione e da tutto quello che -è fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamente -si curino poco di quello che gli scrittori dicono -di sè medesimi: prima, perchè tutto quello che veramente -è pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto con -modo naturale e acconcio, genera attenzione, e fa effetto; -poi, perchè in nessun modo si rappresentano o discorrono -con maggior verità ed efficacia le cose altrui, che favellando -delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano -tra loro, sì nelle qualità naturali, e sì negli accidenti, e in -quel che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle -in sè stesso, si veggono molto meglio e con maggior -sentimento che negli altri. -</p> - -<p class="indl"> -<span class="smcap">Leopardi</span> — <i>Detti memorabili di Filippo Ottonieri.</i> -</p> -</div> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -</p> - -<h2 id="padrona">LA MIA PADRONA DI CASA</h2> -</div> - -<p> -Non posso pensare a Firenze, senza ricordarmi -della mia buona padrona di casa di via dei ***, la -quale m'insegnò in sei mesi più lingua italiana di -quanta io n'abbia imparata in dieci anni da tutti i -miei professori di letteratura, nati, come diceva l'Alfieri, -<i>là dove Italia boreal diventa</i>. -</p> - -<p> -Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interprete -d'albergo, buona come il pane, fiorentina fin -nel bianco degli occhi, operosa, assestata e pulita -come un'Olandese. Viveva d'una piccola rendita e -di quel po' che guadagnava tenendo dozzina. Leggicchiava, -giocava al lotto, faceva qualche visita, -e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago, -in un cantuccio della sua piccola camera ingombra -di mobili vecchi, vicino a una finestra, dalla -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -quale si vedeva, di là dai tetti di molte case, la -cima del campanile di Giotto. -</p> - -<p> -Che cos'è questo benedetto parlare toscano! Era -una povera donna, non aveva cultura, sapeva appena -leggere e scrivere; ma parlava da far rimanere -a bocca aperta. E non il fiorentino volgare, -perchè non ho mai inteso dalla sua bocca una parola -o una frase che una signora non potesse ripetere -in conversazione. Il suo parlare era tutto frasi -efficacissime, immagini, proverbi, diminutivi graziosi, -vezzi e fiori di lingua, che venivan via facili e fitti -ad ogni proposito, come nei novellieri trecentisti, -senza che le sfuggisse mai neppure un lampo di -quel sorriso leggerissimo che per il solito tradisce -la compiacenza intima di chi sa di parlar bene. -</p> - -<p> -Ogni momento gliene sentivo dire una nuova. -</p> - -<p> -Stentavo un po' a infilare il soprabito: essa mi -diceva: Ma perchè non se lo fa allargare chè le è -stretto assaettato? -</p> - -<p> -Entravo nella sua camera: — Badi, — mi diceva, — di -non inciampare, perchè è buio come in gola. -</p> - -<p> -Veniva un amico a chiedermi dei denari; essa -capiva, e mi domandava: — Le è venuto a dare una -frecciata, non è vero? -</p> - -<p> -Diceva che il suo predicatore aveva la <i>parola -facile e ornata</i>; che il lattaio aveva la voce <i>come -uno di questi cani incimurriti e fiochi</i> che non -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -posson più abbaiare; che erano tre giorni che non -vedeva più l'<i>effigie</i> dello spazzaturaio che pure -le aveva promesso di venire; che il bambino della -vicina aveva rotto un vetro, e suo padre non se ne -era anche accorto, ma il poverino stava già rannicchiato -dietro l'<i>uscio ad aspettare il lampo e la -saetta</i>; che il mio maestro di spagnuolo aveva <i>un -vestito che gli piangeva addosso</i>; che con tutte -queste guerre che si fanno dopo che Pio IX <i>ha date -le su' riforme</i> bisogna sempre <i>stare palpitando -per i nostri cari</i>; che un tale ch'era caduto dal -secondo piano, e non era morto, aveva <i>il sopravvivolo -come i gatti</i>; che un certo quadro pareva -<i>fatto coll'alito</i>; che a una certa sua amica, in una -certa congiuntura, <i>essa aveva parlato come al cospetto -di Dio, da cuore a cuore</i>; e altre espressioni -gentili ed argute, che a scriverle tutte, ci sarebbe -da fare un vocabolario. -</p> - -<p> -Però, quando s'accorgeva ch'io mi divertivo a -farla parlare, taceva tutt'a un tratto e mi guardava -con aria di diffidenza. Temeva ch'io la volessi canzonare. -Anzi, qualche volta, quando mi lasciavo sfuggire -un'esclamazione di meraviglia, quasi s'indispettiva. -</p> - -<p> -— Oh insomma, — mi disse un giorno, — io parlo -come so. Se dico degli spropositi, m'insegni lei a -parlar meglio. Io non ho mai preteso di parlar bene. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -</p> - -<p> -— Ma no, cara signora, — le risposi coll'accento -della più profonda sincerità. — Le giuro che ammiro -davvero la sua maniera di parlare, che vorrei parlare -io come lei, che vorrei saper scrivere come lei -parla. Che c'è da stupirsi? Non lo sa che i fiorentini -parlano meglio degli italiani delle altre provincie? -Non l'ha mai inteso dire? Mi piace sentir parlare -l'italiano da lei come mi piacerebbe sentir parlare -il francese da un parigino. Mi piace perchè lei parla -con naturalezza, perchè pronunzia bene, perchè io -imparo. Ne vuole una prova? Guardi questi fogli. -</p> - -<p> -E le misi sott'occhio alcuni fogli sui quali avevo -notato una lunga filza dei suoi modi di dire. -</p> - -<p> -Guardò, sorrise, poi sospettò daccapo e mi disse -che non sapeva capire che cosa io trovassi di <i>particolare</i> -in quelle parole. — Qualunque mercatino, — soggiunse, — è -in caso di dirgliele tali e quali. -</p> - -<p> -Nondimeno, a poco a poco, finì per persuadersi -che mi divertivo davvero a sentirla parlare perchè -parlava bene. -</p> - -<p> -Ma trovavo sempre mille difficoltà a farmi capire -quando volevo saper qualche cosa di preciso -in fatto di lingua. — Come direbbe lei, — le domandavo, — per -dire che piove forte? — Gua! — mi -rispondeva, — direi che piove forte. — Io ripetevo -la domanda in un'altra forma. — Ah! ho capito! — esclamava. — Chi -si volesse spiegare in un'altra -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -maniera potrebbe anco dire che piove a rovescio, a -catinelle, a orciuoli, a ciel rotto; ognuno può dire -come gli piace; <i>non c'è regola fissa</i>. -</p> - -<p> -Un giorno le diedi un mio libro. — L'ha scritto -lei? — mi domandò. — Sì, — risposi. — Tutto di suo -pugno? — Tutto di mio pugno. — Lo tenne due o -tre giorni e vidi che lo leggeva. Quando me lo restituì, -mi disse: — Bravo! mi son divertita; si vede che -è un buon figliuolo. <i>E poi mi piacque anche lo stile.</i> -</p> - -<p> -A poco a poco mi prese a voler bene, mi parlava -lungamente della buon'anima di suo marito, delle -sue amiche, del caro dei viveri, delle tasse, del lotto, -dei suoi malanni, della religione, sempre colla stessa -grazia e colla stessa dolcezza. Ma specialmente quando -parlava della sua disgrazia d'esser rimasta sola al -mondo e diceva che la notte, non potendo dormire, -pensava, pensava, fin che si metteva a piangere, -aveva parole così dolci, così schiette, così poetiche, -che mi si stringeva il cuore, e nello stesso tempo -provavo una specie di voluttà artistica a sentirla. -Mentre essa parlava la sua bella lingua, io appoggiato -alla finestra della sua cameretta, guardavo il -campanile di Giotto dorato dalla luce del tramonto, -e provavo uno struggimento d'amore per Firenze. -</p> - -<p> -Una s'era, ch'ero già a letto, s'affacciò alla porta -e disse con voce commossa: — Ah! figliuol mio! -bisogna proprio credere, sa, che c'è un Dio! Questa -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -sera il predicatore ha detto che tutti i grandi uomini -ci hanno creduto, — e Dante e Galileo e Colombo, — ne -avrà citati più di cinquanta. E ha conciato per le -feste quelli che dicono che il mondo l'ha fatto il -caso! Il caso! E dire che sono gente che ha studiato! -Io che sono una povera donna capisco che -è una corbelleria. Se lo studio non dovesse portare -altri frutti! Ma lei, benchè studii, non le pensa queste -cose, non è vero, figliuolo? dica un po': ci crede -lei al caso? -</p> - -<p> -— No, cara padrona, — le risposi; — io credo -in Dio. -</p> - -<p> -— Oh lei non può immaginare la consolazione che -mi dà con codeste parole, — rispose la buona donna. -</p> - -<p> -La notte, mentre lavoravo a tavolino, a una cert'ora -sentivo picchiare nel muro e poi una voce insonnita -che diceva: -</p> - -<p> -— Non lavori più, figliuolo; s'abbia riguardo agli -occhi. -</p> - -<p> -Ed io: — Ancora una pagina. -</p> - -<p> -— Nemmeno una pagina. Si ricordi del proverbio: -È meglio un.... cavallino vivo che un dottore morto. -</p> - -<p> -Passava un altro quarto d'ora e lei daccapo: -</p> - -<p> -— A letto, a letto, figliuolo. -</p> - -<p> -— Padrona, domandavo io, — com'è quel proverbio -di Berto, che mi disse stamani? Ne ho bisogno -per scriverlo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -</p> - -<p> -— Berto, rispondeva, — che dava a mangiare le -pesche per vendere i noccioli. Vada a letto. -</p> - -<p> -— Ancora una cosa. Come si chiama il bastone -d'Arlecchino? -</p> - -<p> -— Non mi cava più una parola, nemmeno se mi -fa regina di Spagna. -</p> - -<p> -E non diceva più una parola davvero e io andavo -a dormire. -</p> - -<p> -La mattina per tempo, appena svegliato, risentivo -la sua voce: — Su, su! È un sereno che smaglia. -Vada a fare un giro alle Cascine! -</p> - -<p> -Una sera tornai a casa pieno di malinconia e mi -buttai sul sofà senza dire una parola. Essa mi venne -accanto. Duravo fatica a trattener le lagrime. Mi domandò -che cos'avessi. Non volevo rispondere. Insistette, -e allora le apersi il mio cuore come a un amico. -</p> - -<p> -— Ho avuto un dispiacere, — le dissi. — Ho saputo -che l'altro giorno, in una casa, hanno detto che -i miei scritti sono noiosi e che non farò mai nulla -di buono. Io ne sono persuaso e non ho più voglia -di studiare. Voglio buttar nel fuoco tutti i miei -libri e tornare a fare il soldato. Sono triste, scoraggito -e annoiato della vita. Non m'importerebbe -nulla di morire. -</p> - -<p> -La buona donna si sforzò di ridere; ma era intenerita. -Cercò di consolarmi e di rimettermi di buon -umore; chiamò a raccolta tutti i suoi frizzi, le sue -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -frasi e i suoi proverbi; mi assicurò che i miei libri -erano pieni di <i>bei concetti</i> e che <i>avrebbe voluto -saperli scrivere lei</i>; mi promise che sarei riuscito -un <i>bravissimo scienziato</i> a dispetto dei maligni; -mi disse che avrebbe voluto trovarsi faccia a faccia -con chi aveva sparlato di me, <i>per fargli una risciacquata -che non trovasse più la via di tornarsene -a casa</i>; mi fece bere un dito di vin Santo, -mi diede del ragazzo, mi picchiò sotto il mento e -gridò: — Su la testa! — Infine mi lasciò rasserenato, -dicendo che se le facevo un'altra volta una di -quelle scene, il pezzo più grosso che sarebbe rimasto -di me, aveva da essere un orecchio, com'è vero che -c'è tanto di Biancone in piazza della Signoria. -</p> - -<p> -Qualche volta però ci bisticciavamo, per cose da -nulla, s'intende; per esempio perchè tornavo a casa -tardi, e lei mi trovava a ridire, ed io le rispondevo -di mala grazia. Allora stavamo una mezza giornata -senza scambiare una parola. La sera poi, pensando -ch'essa era là in un cantuccio della sua camera, -sola, malinconica, al buio, mi pigliava il rimorso, -correvo all'uscio e le domandavo per il buco della -serratura: — Padrona, come è quel detto di Cimabue -che mi disse ier l'altro? -</p> - -<p> -— Cimabue che conosceva l'ortica al tasto — rispondeva -con una voce in cui si sentiva un'improvvisa -contentezza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -</p> - -<p> -— Mi perdona? — le domandavo. -</p> - -<p> -— Oh buon figliuolo! — rispondeva; — perdoni -lei a me, che sono una brontolona e una zotica. Ma -veda: glielo dico per il su' bene che non venga a -casa tardi perchè.... io non ho mica il diritto di -impicciarmi nella sua condotta.... si capisce.... ma ho -notato che tutte le sere che viene a casa tardi, e -non studia più, la mattina dopo è di malumore. -</p> - -<p> -— Ha ragione, padrona, ha ragione! Apra la porta -e facciamo la pace. -</p> - -<p> -Essa apriva la porta e non faceva mai in tempo -a levarsi il fazzoletto dagli occhi. -</p> - -<p> -Così passarono sei mesi. -</p> - -<p> -Un giorno, dopo una settimana intera di preparativi -e di esitazioni, mi feci forza e le dissi, guardandola -fisso negli occhi: -</p> - -<p> -— Padrona, io debbo partire da Firenze. -</p> - -<p> -— Dove va? -</p> - -<p> -— A casa mia. -</p> - -<p> -— Va bene. Io terrò le sue camere libere per -quando tornerà. Può lasciar qui libri, quadri, carte, -come le lascerebbe alla sua famiglia. Prima che ritorni -farò mettere la stufa, comprerò un altro seggiolone -e se mi salta il ticchio farò cambiare la tappezzeria -al salotto. E passeremo il nostro invernetto -insieme d'amore e d'accordo, lei a studiare ed io a -fare le mie faccenduole. Ah! vedo che almeno negli -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -ultimi anni della mia vita avrò qualche consolazione. -Quando tornerà? -</p> - -<p> -— Cara padrona.... non glielo posso dire. -</p> - -<p> -— Che forse non tornerebbe più? domandò col -viso alterato. -</p> - -<p> -— Forse non tornerò più! -</p> - -<p> -Stette qualche momento senza parlare e poi -esclamò con voce tremante: — Ma dunque io resterò -sola!... -</p> - -<p> -E tacque di nuovo come per sentir l'eco di quella -triste parola. -</p> - -<p> -Poi nascose il viso nel grembiale e diede in uno -scoppio di pianto. -</p> - -<p> -M'aiutò a fare i miei bauli, volle riporre tutti i -libri colle sue mani, non mi lasciò più un momento -fino all'ora della partenza. L'ultima notte, verso le -undici, mentre scrivevo, picchiò ancora una volta -nella parete e mi pregò di avermi riguardo agli -occhi. La mattina seguente, quando partii, mi accompagnò -fin sul pianerottolo e mi disse colla solita -dolcezza: — Lei se ne torna colla sua famiglia; io, -povera vecchia, rimango sola. Si ricordi qualche -volta di me che le volevo bene come a un figliuolo. -Abbia giudizio; continui a studiare e sarà contento. -Mentre viaggerà in Spagna e in Francia, io guarderò -il suo ritratto, leggerò i suoi libri e pregherò -il Signore per lei. Quando morirò, lei si ricorderà -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -che le ho voluto bene e piangerà, non è vero? Ed -ora vada, figliuolo, che è tardi; e Dio l'accompagni! -</p> - -<p> -Le diedi un bacio e discesi per le scale. La povera -donna mi mandò ancora un addio rotto da un singhiozzo -e poi rientrò nella sua casa vuota e triste. -</p> - -<p> -Oh buona e cara vecchia! se mi son ricordato di -te! In viaggio, ogni volta che ho passata la notte a -scrivere in una camera d'albergo, allo scoccare delle -undici ho detto tra me, con tristezza: — Oh! se sentissi -picchiare nel muro, quanto lavorerei più volentieri! — Ogni -volta che scrivo, e rileggendo la -mia prosa, la trovo scolorita e senza grazia, dico -con rammarico: — Ah! quanto ci corre da quest'italiano -a quello della mia padrona di casa! — La sera, -quando la mia famiglia è raccolta intorno al fuoco, -e tutti ridono e lavorano, io penso col cuore stretto -che tu sei sola nella tua stanza, forse al freddo ed -al buio, perchè la legna e l'olio sono rincarati. E -non mi si presenta mai l'immagine della mia cara -Firenze, senza ch'io goda in fondo all'anima pensando -che un giorno forse vi tornerò, che andrò a -cercarti, che ti troverò ancora, che mi rimetterò a -imparare da te la lingua armoniosa e gentile con -cui mi rallegravi e mi davi coraggio. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -</p> - -<h2 id="scoraggiamenti">SCORAGGIAMENTI</h2> -</div> - -<p> -Erano le nove della sera: Teresa ricamava accanto -al fuoco, quando udì picchiare leggermente, -corse all'uscio e più per abitudine che per diffidenza -domandò chi fosse. -</p> - -<p> -— Io! — rispose una voce aspra. Teresa aperse, -entrò un giovane ravvolto in un mantello, si baciarono, -e la ragazza gli domandò subito: -</p> - -<p> -— Che hai, Mario? -</p> - -<p> -— Perchè questa domanda? domandò il giovane -alla sua volta. -</p> - -<p> -— Perchè non hai detto <i>io</i> come gli altri giorni. -</p> - -<p> -Mario la guardò un po' senza rispondere, poi buttò in -un canto il mantello e il cappello, e s'avvicinò al caminetto. -La ragazza tornò al suo posto, e tirò a sè un -panchettino, sul quale sedette il giovane, appoggiando -un gomito sul suo ginocchio e la testa sulla mano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -</p> - -<p> -Stettero così qualche momento senza parlare; poi -Teresa domandò timidamente: -</p> - -<p> -— Hai scritto? -</p> - -<p> -— No — rispose il giovane con aria pensierosa. -</p> - -<p> -— Hai fatto male. -</p> - -<p> -— Avrei fatto peggio se avessi scritto: anche -oggi son vuoto come una bolla di sapone. -</p> - -<p> -— È un mese che lo dici. -</p> - -<p> -— È assai più d'un mese che lo sento. Sento che -sono una buccia di limone spremuto. Un critico -disse una volta una verità semplicissima, ma profonda: — Per -scrivere bisogna avere qualcosa da -dire ai proprî concittadini. — Ebbene, io non ho -nulla da dire e non scrivo. Scrivere solamente per -far sapere al pubblico che si sa accozzare il verbo -col sostantivo e far delle infilzate di epiteti, non -mi par degno d'un uomo. -</p> - -<p> -— Mario, — rispose la ragazza mettendogli una -mano sul capo e sorridendo: — dici questo sul serio -o soltanto per farmi stizzire? -</p> - -<p> -— Per farti stizzire? Lo dico con tutta la serietà -d'una certezza dolorosa. È più d'un mese che per -me il tavolino è la ruota del tormento, e mi ci -mordo le dita senza riuscir a scrivere un periodo. -Ho un bell'eccitarmi prima, leggere versi ad alta -voce come consiglia il Buffon, <i>pensarci su</i> come dice -il Manzoni, ed anche tenere i piedi nell'acqua fredda -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -come faceva lo Schiller, frugar dentro di me, ravvivare -tutti i sentimenti che m'inspiravano una volta; -ogni cosa è inutile. Seduto che sono al tavolino, mi -pare che il cuore e il cervello mi si raggrinzino -come vesciche crepate, e non mi riesce più di afferrare -un'idea che meriti l'omaggio d'una goccia -d'inchiostro. Ti giuro che dico la verità. -</p> - -<p> -— Non giurare.... m'hai detto altre volte le stesse -cose e dopo qualche giorno le hai disdette. -</p> - -<p> -— Cara mia, anche le malattie disperate hanno i -loro alti e bassi, e non v'è moribondo al quale non -brillino dei barlumi di speranza. Ho avuto anch'io -i miei barlumi. -</p> - -<p> -— Ma che melanconie son queste, Mario? -</p> - -<p> -— Non sono melanconie, son disinganni. Vuoi che -io ti dica una cosa che non ho mai detta a nessuno -e che non ho quasi mai osato dire a me medesimo, -ma che ormai credo fermissimamente vera, tanto che -provo quasi un sentimento di sdegno contro tutti -coloro che per lungo tempo cospirarono a farmi -credere il contrario? Te la dico in tre parole: — Ho -sbagliato strada. -</p> - -<p> -— Andiamo, — disse con vivacità la ragazza, — ora -ti faccio ravveder io. Io conosco il segreto di tutte -queste malinconie. Tu hai una ruga qui tra ciglio -e ciglio che quasi non si vede quando sei sereno, e -quando non lo sei, diventa profonda come una ferita. -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -Ora è un mese che io ti vedo codesta ruga -quasi tutti i giorni. Ecco perchè non puoi lavorare. -Disinganni, vesciche, buccie di limone spremuto, son -tutte fantasie: il male sta qui. Dunque non c'è da -far altro che spianare la ruga; — e appuntandogli -l'indice fra ciglio e ciglio soggiunse: — e io ci terrò -il dito su fin che sparisca, e allora vedrai che ti -tornerà l'inspirazione e la fiducia in te stesso. -</p> - -<p> -Mario le strinse il mento fra l'indice e il pollice, -poi lasciando ricader la mano, rispose con un sospiro: — Ah -buona Teresa, sulla ruga vera tu non -puoi mettere il dito perchè è dentro al cervello. -</p> - -<p> -— Oh allora, — disse la ragazza con quel tuono -di ironia benevola che s'usa coi bambini fingendo di -dare importanza a una corbelleria, — allora non c'è -rimedio. Capisco anch'io che hai sbagliato strada. -Non parliamone più. -</p> - -<p> -— Eppure, — riprese il giovine senza badarle, — benchè -questa certezza si sia impadronita di me a -poco a poco, risparmiandomi così il dolore d'uno di -quei disinganni improvvisi, che schiacciano prima -che si sia potuto pensare a resistere, io credevo che -l'avrei sopportata con cuore più fermo. E veramente -quando s'è nutrito per molti anni la speranza di -riuscire qualche cosa nel mondo, e s'è veduto godere -di questa medesima speranza la famiglia e -gli amici, e s'è avuto dalla gente mille dimostrazioni -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -di simpatia e di rispetto, non tanto per -quello che s'era quanto per ciò che si prometteva -di divenire; dopo tutto questo, l'accorgersi che ci si -è ingannati e che s'è ingannato gli altri; prevedere -che un giorno la gente ci farà scontare col disprezzo -le lodi che le abbiamo scroccate; sentirsi a poco a -poco riattrarre e poi travolgere e annegare nella -folla sulla quale si era riusciti ad alzare un momento -la testa; persuadersi infine che s'è sciupato -gioventù, ingegno, fatiche per prepararsi dei disinganni -e delle vergogne, mentre percorrendo una -strada più modesta si sarebbe ottenuto un nome -onorato e una vita tranquilla; è un cangiamento -questo, mia cara Teresa, che somiglia a quello di -un uomo il quale di ricco e potente si trovi ridotto -mendico. -</p> - -<p> -Teresa lo guardò attentamente, e poi, sospettando -ancora ch'egli non parlasse sul serio, prese un libro, -lo aperse, mise un dito sul nome dell'autore, e domandò -con ingenuità fanciullesca, abbassando la -voce: — È questo signore che parla? -</p> - -<p> -— È lui, lui, — rispose Mario respingendo il libro. — Ah! -cara amica, quanto t'inganni se credi -che la vista di tutta quella cartaccia stampata mi -faccia provare il menomo sentimento di alterezza. -Sì, certo, quando sono in mezzo alla gente, mostro -di credermi qualche cosa; il mio amor proprio sta -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -sulle difese. Il vedere la presunzione di tanti che valgono -anche meno di me, e il timore di fornire agli -altri, mostrando di stimarmi poco io stesso, il pretesto -di stimarmi anche meno, mi tengono un po' su; e -per questo, chi mi ferisce dal lato dell'amor proprio, -sente la resistenza dell'orgoglio. Ma davanti a me -stesso è altra cosa! Se ti dicessi che passan dei -mesi ch'io non leggo una pagina di mio, nemmeno -se mi cade sott'occhio, per timore della sgradevole -impressione che ne riceverei? Se ti dicessi che, -riandando le cose mie, anche le meno peggio, mi -piglia il sospetto che un accordo d'amici, la benevolenza -dei conoscenti e l'indulgenza sollecitata di -molti altri sian stati la cagione di quel po' di fortuna -che ho avuta? E se ti dicessi ancora che, quando -correggo le prove di stampa, qualche volta mi sento -tutt'a un tratto salire il sangue al viso, e penso alla -maniera di sciogliermi dall'impegno contratto coll'editore, -e comprendendo che non è più possibile, -cerco almeno che ci sarebbe da fare per impedire -la diffusione del libro, o se non altro, per evitare -che lo legga il tale o il tal altro, di cui mi preme -non perdere la stima? -</p> - -<p> -— Ma queste, scusa, sono esagerazioni! E poi, -qualunque opinione tu abbia di te stesso, non potrai -mettere in dubbio un fatto che dovrebbe bastare a -darti coraggio: il favore pubblico. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -</p> - -<p> -— Qui ti volevo. Il favore pubblico! Che cos'è -questo favore pubblico? che cosa prova? Chi non -ne ottiene un po' di questo favore, scrivendo, pur -che abbia cuore e non offenda alcuna classe della -società e segua l'andazzo del tempo e scriva cose -che la maggior parte sentono o pensano, o non -hanno interesse di negare? Entra in un caffè di -una qualunque delle nostre grandi città, e sarà un -miracolo se non ci troverai in un canto qualche pover'uomo -a cui nessuno bada e di cui nessuno sa il -nome, del quale venti o trent'anni prima qualcuno -non abbia detto o stampato che era una speranza -della letteratura italiana e che sarebbe diventato -una gloria della patria. A vent'anni abbiamo tutti -qualcosa di bello nel capo e di generoso nel cuore, -e abbiamo tutti bisogno di farlo sapere. Ebbene, io -l'ho fatto sapere, ho fatto il mio sfogo di giovanotto -e sta bene. Ma ora basta, ora dovrei buttare la -penna da parte e abbracciare una professione; perchè -altro è esser nato per passare per lo stadio di -scrittore, altro è esser nato per restarci; e una cosa -è aver ingegno per scrivere, e un'altra cosa aver -tanto ingegno da poter legittimamente non far altro -che scrivere. -</p> - -<p> -— Io non so rispondere a tutte queste cose, — disse -Teresa con voce commossa, — ma mi pare che -non sia tutto vero. Che cosa vuoi concludere? Che -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -non devi più scrivere? Vuoi farmi dire che non sai -far nulla? Vuoi provarmi che sei uno scemo? -</p> - -<p> -— No, perchè non lo sono; se lo fossi, non mi -sarei disingannato, non ti terrei questi discorsi; -continuerei a credermi un animalaccio raro, come -fan molti, a dispetto del mondo intero. Il mio disinganno -prova che c'è qualche cosa in questo nocciolo -di testa. Ma il gran punto è che questo <i>qualche -cosa</i> non basta. Vi sono ben dei momenti che abbraccio -col pensiero un grande spazio intorno a me; -ma son vedute istantanee, come quelle della notte -al chiarore d'un lampo. Afferro colla mente un -dei capi d'una catena d'idee; ma dò uno strappo, e -non mi resta in mano che il primo anello. Ci corre, -cara mia, da questi scatti d'ingegno alla forza dell'ingegno -vero! a quell'ingegno confidente e imperioso, -che si afferma qualche volta con parole superbe; -quello che getta sprazzi di luce e pezzi di -oro massiccio, che tira a sè e rende muti in sè -stesso altri ingegni minori, che corre la sua strada -destando e schiacciando ad un tempo ire ed invidie -mortali, che s'innalza egli stesso degli ostacoli e li -rovescia, che va a battere le ali dove gli altri arrivano -appena collo sguardo, che trascina, innamora -e spaventa! Questi sono uomini d'ingegno, -spiragli aperti nella natura umana, per i quali la -moltitudine vede confusamente qualche cosa del -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -mondo di là, che le strappa un grido di meraviglia. -Questi hanno diritto di consacrare tutta la loro vita -all'arte; questi sono i grandi alberi della vegetazione -umana; il resto è erbaccia parassita, ed io sono un -filo di quest'erba. -</p> - -<p> -— Grandi alberi! — mormorò Teresa timidamente. — Fuor -che quei quattro o cinque che tutti -sanno, per ora, di grand'alberi che vengano su, io -non ne vedo. E qui pronunziò in fretta una lunga -serie di nomi, e domandò: Son questi forse gli spiragli -aperti nella natura umana? -</p> - -<p> -— No, — rispose Mario; — ma benchè io sia da -meno di questi, non mi debbo paragonar con essi, -per aver una idea giusta di quello che sono. Debbo -metter tutti costoro in un mazzo, me compreso, e -paragonarli ai pochissimi che sono sulla sommità -della scala. Bisogna uscir dal proprio paese, cara -mia, per vedere che cosa paiono, viste da lontano, -certe gloriole di casa! Quando si vede che i veri -grandi nomi, anche nostri, ed anco di questi ultimi -tempi, suonano sul Tamigi come suonano sul Tevere, -sul Tago come sul Reno, sulla Senna come sull'Adige, -che conto vuoi più che si faccia di quelli che cascano -come palloncini sgonfiati sulle frontiere del -proprio paese? Che cosa siamo al paragone di quell'aquile -che fanno il giro del mondo, noi moscerini -che viviamo in un soffio d'aria, e facciamo un ronzío -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -che non si sente da una foglia all'altra d'un -fiore? noi che mostriamo con pompa, come tutto il -nostro avere, una qualità che in quelli altri non è -che una delle mille faccette della perla del loro ingegno? -Ah come si capisce tutto questo viaggiando! -Quando uno straniero mi domandava: — Lei scrive? — io -rispondevo in fretta arrossendo, come uno che -respinga un sospetto ingiurioso: — No! no! non -scrivo! -</p> - -<p> -Teresa scrollò la testa sorridendo, come per dire: — Sei -sempre lo stesso! -</p> - -<p> -— E poi, — riprese Mario dopo una breve riflessione — vivere -per scrivere! Bella presunzione è -questa di aver nel capo tante cose degne d'esser -dette al mondo, da dover impiegare tutta la vita a -dirle! E con che diritto s'impiega la vita in questa -maniera? Scrivere, in materia d'arte, non si -dovrebbe che per soddisfare un bisogno dell'anima; -e soddisfare un bisogno non può valer lo stesso -che pagare un debito. Dunque chi non fa altro -che scrivere, non paga il suo debito alla società; -e se ad altri pare, a lui non deve parere. Rispondere: — Scrivo — a -uno che mi domandi qual è la -mia professione, mi pare lo stesso che a uno che -mi domandasse: — Che cosa fai costì? — rispondergli: — Respiro. — E -chi è questo poltrone che -mentre tanta gente migliore di lui suda sangue per -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -guadagnarsi la vita, passa la giornata sur una seggiola -a predicar la virtù e ad eccitar gli altri a -fare? Lavori il giorno anche lui, e scriva la sera a -tempo avanzato. Cacciatelo in un'officina! -</p> - -<p> -— Oh questa poi! — esclamò Teresa tra indispettita -e intenerita. — Tutti non possono lavorare colle -braccia! — -</p> - -<p> -— Ma io posso! E che credi? Che non mi vergogni -qualche volta d'esser robusto? Quando vedo ammontati -sul mio tavolo quei cinque o sei libracci -che ho scritti, dei quali fra qualche anno non si -troverà più il titolo in nessun catalogo di libraio, -e penso che ho speso a farli gli anni più vigorosi -della gioventù, e che spenderò forse nello stessa -modo, e non con miglior frutto, gli anni che mi restano; -e poi guardandomi nello specchio, mi vedo -un par di spalle da atleta, che so io? sento che -c'è una sproporzione fra me e il mio lavoro, un -disaccordo, un qualche cosa che non va; mi sento -dentro una voce di rimprovero; mi pare come di -aver sciupato una trave per fare un bastoncino; e -provo non so che bisogno di curvar la schiena -sotto dei pesi e d'incallirmi le mani sopra uno strumento. -</p> - -<p> -Teresa gli afferrò le mani. -</p> - -<p> -— Quanti uomini sciupati — continuò Mario — con -questo maledetto scrivere! Uomini di un sentire -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -nobilissimo, dotati d'una certa facoltà di trasfondere -in altri l'anima propria, forniti d'un sentimento -pel bello, parlatori facili, che avrebbero, -in un altro campo, acquistato ed esercitato un potere -benefico su molta gente.... sciupati! Io per -esempio, ch'ero nato per fare il maestro di scuola, -a segno che, quando vedo in una stanza quattro -banchi e un tavolino, mi sento rimescolare! E non -solo il maestro di scuola: sento che sarebbe stata -la mia vita l'aver che fare con povera gente, con -operai; sento che, se fossi pretore in un villaggio, -mi farei fare una statua. E così quando leggo gli -scritti di molti miei amici romanzieri, poeti, critici, -vedo tra riga e riga le belle facoltà mal impiegate, -e penso con rammarico che l'uno sarebbe riuscito -un eccellente medico condotto, un altro un -direttore di collegio inimitabile, un altro, un avvocato -onestissimo e valentissimo. E dico a loro e a -me: — Siamo fuori di strada! Tutti fuori di strada -per aver preso per nostra dote principale una dote -secondaria, che doveva soltanto servire d'aiuto, d'ornamento -alle altre; per aver creduto che ciò che non -ci dovrebbe occupare se non un'ora al giorno, bastasse -a riempirci tutta la vita; per aver considerato -come una vocazione quello che non era che una tendenza! -</p> - -<p> -— E quando vedi codesti amici — domandò Teresa -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -sorridendo — lo dici <i>loro</i> che avrebbero fatto -meglio a fare i medici condotti? -</p> - -<p> -— Non mi seccare con quel <i>loro</i>, Teresa; di' <i>glielo</i> -dici; te n'ho già pregato altre volte.... E che -cosa segue da ciò? Segue che, avendo l'ambizione, -senza aver la potenza di destare l'ammirazione del -paese, diventiamo come gli accattoni che si contentano -di quello che gli si dà: ci contentiamo di ispirar -la <i>simpatia</i>, la <i>stima</i>, la <i>considerazione</i>, di -acquistare la <i>notorietà</i>, la <i>distinzione</i>; e leggerai -infatti ogni momento il simpatico, il pregevole, lo -stimato, il noto, il distinto scrittore, e altri insipidi -e sguaiati appellativi, che pure nella nostra nullità -ci fanno sorridere di compiacenza; ma che a spremerne -il sugo voglion dire: mediocre, insignificante, -impotente, nullo, perchè chi, avendo dedicato la vita -all'arte, non riesce che a rendersi simpatico, stimato, -pregevole, ha sciupato tempo e fatica. E in -fondo all'anima, lo sentiamo anche noi. Per questo, -invece di lavorare serenamente e nobilmente, ci affanniamo, -facciamo ogni sorta di sforzi disperati per -saltar fuori dalla pegola della mediocrità che ci affoga; -e buttiamo fuori in furia un libro dopo l'altro, -avidi, impazienti, sperando sempre che l'ultimo che -stiamo facendo, sia quello che ci porrà sul piedestallo -della gloria; supplicando la gente che passa -di soffermarsi; gridando al paese: Vòltati, guardami, -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -t'assicuro che ho del genio, dammi tempo a far qualche -cos'altro, non profferire ancora l'ultimo giudizio, -aspetta, vedrai. — E intanto il vento porta via libretti -e libracci, e noi invecchiamo trascurati e -dispettosi, finchè un bel giorno si tira il calzino, -dieci giornali dicono che s'è lasciato <i>larga eredità -d'affetti</i>, e il giorno dopo nessuno pronuncia più il -nostro nome. Ecco la carriera degli scrittori simpatici, -stimati, noti, distinti; la mia carriera e quella -di cento altri campioni della <i>giovine letteratura</i>. -</p> - -<p> -— Ma tutti — disse Teresa, — anche i più grandi, -hanno avuto di questi scoraggiamenti! -</p> - -<p> -— Erano altri scoraggiamenti, — rispose Mario; — stanne -sicura. Si scoraggivano perchè sentivan -la loro opera troppo inferiore al loro ingegno; ma -non è che non sentissero l'ingegno. Essi hanno gettato -sul mondo i riflessi della luce che brillava alla -loro mente, e a noi questi riflessi paion già una gran -luce; ma chi può immaginare lo splendore che vedevan -loro cogli occhi del genio? Chi sa che portentoso -<i>Cinque maggio</i> balenò ad Alessandro Manzoni, -prima che si mettesse a scrivere quello che -noi conosciamo? Tutti i grandi caddero qualche -volta; ma caddero a pochi passi dalla cima della -montagna, ed erano già saliti ad un'altezza tremenda. -Non cadevan per fiacchezza, cadevano per vertigine. -Erano battaglie, nelle quali riuscivano ora vinti, ora -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -vincitori. Ma in me, vedi, non c'è lotta; in me è -calma morta. Ai grandi che picchiano alla porta -del tempio dell'Arte, qualche volta una voce di dentro -risponde: — Non ancora: — A me quella voce -risponde: — Via! — Quelli sono pregati d'aspettare, -e io sono scacciato come un cialtrone. -</p> - -<p> -Teresa aperse il libro che aveva preso poco prima -e finse di mettersi a leggere senza badare alle parole -di Mario. -</p> - -<p> -— Leggi, leggi, — continuò Mario sorridendo, — chi -si contenta, gode. Intanto io farò un pochino di -critica al tuo autore. I suoi personaggi son tutti -fantocci che recitano la medesima parte, e non ne -vien uno in iscena, che non lasci veder sotto la mano -del burattinaio. Tre idee tinte di mille colori; ma -non più che tre idee. Un manzonismo annacquato, -senza coraggiose affermazioni; un ciondolío perpetuo -fra il credo e il non credo; un voler far sentire la -cosa senza compromettersi colla parola; una doppia -paura di far sorridere i miscredenti e di scontentare le -mamme pie; un tirar sempre al cuore, a tradimento, -quando si dovrebbe tirare alla testa; e persino nella -lingua, la persuasione profonda che si debba dare -un calcio alle convenzioni, agli scrupoli grammaticali, -alle parole illustri, a tutte le formole della lingua -scipita, pedantesca, bastarda, che si parla fuor -di Toscana; e la vigliaccheria di non farlo per paura -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -di coloro che combattono la proposta del Manzoni, -perchè non vogliono ricominciare a studiare. -</p> - -<p> -— Io non me ne intendo di lingua, — disse Teresa; — non -ti so cosa rispondere. Ma per quel ch'è -dei fantocci, purchè dicano delle cose buone, che -importa se si vede la mano? — Così dicendo, rise -e gli prese la mano. -</p> - -<p> -— Dir delle cose buone! esclamò Mario. — Vorrei -che tu mi dicessi che diritto ho io di dire delle -cose buone, io che non ne faccio, e di metterci sotto -la mia firma, come se le facessi. Mi ricordo, pochi -giorni fa, quando ti dissi che compivo ventisette -anni, tu esclamasti: — Ventisette anni! Hai già fatto -molto! — Fatto molto! non ho ancora salvato la -vita a nessuno, — non ho mai passato trenta notti -di seguito al letto d'un ammalato, — non mi sono -mai messo a rischio di buscarmi una coltellata per -levare una donna dalle mani d'un brutale che la -schiaffeggia nel mezzo della strada, — non ho mai -fatto dieci miglia a piedi per andar a portare una -buona notizia a una famiglia povera, — non mi son -mai privato un mese di seguito del sigaro, del teatro -e della birra, per fare un regalo a un mio antico -maestro elementare che si trova nella strettezza. -Ebbene, conosco dei giovani che fecero e che fanno -tutte queste cose, e che si vergognerebbero di scriverle, -e che quando le leggono scritte da me, mi -dicono: «bravo! Lei fa del bene! Beato lei!» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -</p> - -<p> -— Vero, e con questo? -</p> - -<p> -— Con questo, quando mi dicono quelle parole, io -arrossisco perchè dovrei dirle io a loro; e loro dovrebbero -dire a me che sono un impostore. -</p> - -<p> -— E allora, — disse Teresa con un'ironia faceta, -di cui Mario non s'accorse; — se scrivendo delle -cose morali ti pare di far l'impostore, scrivine delle -immorali e vivrai in pace colla tua coscienza. -</p> - -<p> -— No! — rispose Mario — mai. Se volessi anche, -non potrei. Su questo punto tu non conosci ancora -le mie idee, e te le dico. Da un uomo di genio, di -quelli che ti ho definiti poco fa, accetto tutto; creda, -non creda, sia ottimista o veda tutto nero, non mi -riveli che il bello o non mi mostri che le brutture -dei suoi simili e le sue, — dissento, deploro — ma -accetto, — o almeno mi rendo ragione del come gli -possa parer lecito di scrivere quello che pensa e -quello che fa. È un uomo di genio; preferisco averlo -com'è al non averlo; anche offendendomi e sconfortandomi, -mi fa vedere molte cose sotto una faccia -nova; mi costringe a pensare; mi fa, se non altro, -ammirare in sè un nuovo stampo d'uomo, e una -gradazione di più nell'infinita varietà della natura. -Sta bene. Ma che un uomo d'ingegno della seconda -sfera, uno di quelli dei quali è dubbio se abbiano -fatto bene o no a scegliere la via delle lettere, e -che dovrebbero, poichè il mondo può benissimo far -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -di meno di loro, cercare tutti i modi di farsi perdonare -l'ambizione che li rode; che uno di questi, -dico, abbia la sfacciataggine di gridare al mondo: — Vòltati — per -fargli sapere che non crede a nulla, -che è divorato dalla bile, che disprezza i suoi simili, -che vive fra le sgualdrine e s'ubbriaca; questo, per -Dio, non solo non lo ammetto, ma non lo capisco; -e non capisco come il pubblico non si stomachi di -queste scimmie degli scapestrati di genio, e non se -li levi di torno colla scopa. -</p> - -<p> -— Dunque scrivi morale! — disse Teresa — Io -non so più che cosa dirti! Dici che sei un impostore! -Basta essere onesto per poter scrivere delle sante -cose senza fingere. Come potresti scrivere, se prima -di metterti a tavolino, dovessi far dieci miglia a piedi -per portare una buona notizia a una famiglia povera? -</p> - -<p> -Mario sorrise e scrollò una spalla; e dopo qualche -minuto di silenzio, disse: -</p> - -<p> -— Un giorno, a Firenze, passeggiando fuor di Porta -Romana, sull'imbrunire, vidi tutt'a un tratto una -gran luce dietro un gruppo di case e gente che correva. -Presi anch'io la corsa e arrivai dinanzi a una -casa che bruciava, in mezzo a una folla che faceva -un grande strepito. L'incendio era scoppiato da poco; -ma uscivan già fiamme dal tetto e da parecchie finestre, -e si sentiva dentro un fracasso spaventoso -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -di travi che cadevano e si spezzavano, e in mezzo -alla folla grida di donne e di bimbi, che facevan pietà. -Arrivarono in quel momento le pompe e le guardie, -e cominciò il solito lavoro di far dare addietro la -gente, coll'urlío e il disordine solito. Tutt'a un tratto -si sentì un grido straziante e si vide molta gente -affollarsi da una parte. Era la solita disgrazia d'una -donna che aveva chiuso il bambino in casa per uscire, -e che tornava troppo tardi. La voce si sparse in un -batter d'occhio. Per fortuna la finestra della camera -dava sulla strada; fu portata una scala e appoggiata -al davanzale, e una guardia salì. Ma sì! non era -ancora arrivata in cima, che uscì un nuvolo di fumo -nero e una lingua di fuoco dall'alto della finestra, -e il pover uomo si sentì mancare il coraggio. La -folla gridò: — Giù! Giù! — La guardia saltò giù; -un'altra salì, e ricascò in terra come la prima; cinque -o sei uomini si agitavano ai piedi della scala, e nessuno -saliva. Intanto la povera donna gettava delle -grida orribili, si buttava in ginocchio, si stracciava -i capelli, faceva cose da lacerare il cuore. Allora -non so che cosa seguì in me; mi si velò la vista, mi -balenarono mille pensieri in un punto, quel bambino, -mia madre, una gioia immensa; sentii come una -voce sovrumana che mi gridò nell'orecchio: — Va! — e -nello stesso momento un impulso irresistibile -che mi sbalzò quasi ai piedi della scala. Ma là.... mi -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -parve d'essere afferrato di dietro da un artiglio di -ferro, e rimasi inchiodato, immobile, trasognato, -come uno che si trovi tutt'a un tratto sull'orlo di -un precipizio. Mentre guardo intorno e rinvengo in -me, un uomo si spicca dalla folla come una saetta, -butta in terra una guardia, sale in cima alla scala, -dispare nella finestra che pareva la bocca d'una -fornace, — si fa un profondo silenzio — l'uomo ricompare — la -folla getta un grido — quegli sale -sul davanzale, si gira, mette il piede sulla scala, discende -e casca in terra spossato.... Aveva portato giù -il bambino sano e salvo! Ebbene, è una cosa che seguì -molte volte, tu mi dirai. Ah Teresa! ma quella volta -ero là, ho visto tutto; — ho visto quella donna quando -si slanciò al collo di quell'uomo, — l'ho guardata -negli occhi, — ho contato i baci furiosi che gli ha -stampati sulla fronte e sul petto, — ho sentito le -sue grida — le sento ancora — non credevo che -un viso umano si potesse trasfigurare in quel modo, -e che delle voci e dei singhiozzi di gioia come quelli -là potessero fuggire da questo petto di creta senza -spezzarlo! Non credevo che si potesse esser belli, -felici, gloriosi, com'era quell'uomo, quando si passò -una mano nei capelli strinati — fiutò la mano — e -si mise a ridere! -</p> - -<p> -Teresa era commossa. -</p> - -<p> -— Io tornai a casa — continuò Mario, — triste -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -e pieno di disprezzo per me medesimo, come se avessi -commesso un'azione vergognosa. Pensavo a quell'uomo, -e mi pareva di essere meno che un verme -della terra accanto a lui. Pensavo ai miei studî, e -alle mie piccole soddisfazioni d'amor proprio, e ogni -cosa mi pareva fredda e meschina, al paragone della -gioia infinita che m'ero lasciata sfuggire. Rientrai -in casa, accesi il lume e mi lasciai cadere sopra una -poltrona, dicendo a me medesimo: — Bravo! Ecco il -tuo piedestallo! — Sentivo delle voci nella strada, -che mi parevano l'eco delle grida della madre e della -folla, e da tutte le parti vedevo quella finestra infocata, -la scala, l'uomo che saliva. A un tratto, mi -cadon gli occhi sul tavolino, c'eran delle carte sparse, -non mi ricordavo che fossero, guardai.... Erano pagine -d'uno scritto, nel quale dicevo mille belle cose -intorno all'amor materno, alla virtù del sacrifizio, -alla generosità, al coraggio. Che vuoi che ti dica! -Quelle parole, in quel momento, mi fecero l'effetto -d'una ciurmeria ignobile, d'una ostentazione ipocrita -e sfrontata; mi sentii salire il sangue al viso; buttai -in terra, con una manata, quel mucchio di fogli.... -</p> - -<p> -Teresa gli pose una mano sulla bocca. -</p> - -<p> -— E ci sputai sopra tre volte! — soggiunse Mario -respingendo la mano. -</p> - -<p> -— No, Mario! — esclamò Teresa — non le dire -queste cose! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -</p> - -<p> -— Lasciamele dire — rispose Mario, con un sorriso -mesto e amorevole: — è questo uno dei pochi -bei tratti della mia vita. E ora sai perchè mi pare -un'impostura lo scrivere quello che non faccio. -</p> - -<p> -— Eppure! — gli disse Teresa — guardandolo -negli occhi, dopo alcuni momenti di silenzio. — Eppure -domani tu scriverai. -</p> - -<p> -Mario si strinse nelle spalle. -</p> - -<p> -— Sì, scriverai, — riprese Teresa — perchè io -son donnina da trovare nella mia piccola testa delle -ragioni convincenti da opporre a tutte quelle che -mi hai dette finora per provarmi che non devi più -scrivere. -</p> - -<p> -— Sentiamole. -</p> - -<p> -— Ma non oso dirtele perchè.... non mi so esprimere; -sono una scioccherella.... io non m'intendo di -letteratura. -</p> - -<p> -— Credi agli angeli? -</p> - -<p> -— Io sì. -</p> - -<p> -— E credi che gli angeli s'intendano di letteratura? -</p> - -<p> -Teresa sorrise, e continuò: — Ebbene, ecco la mia -idea. Dici che dovrebbero scrivere solamente i grandi -e questo non mi par giusto. In questo mondo ci -sono tante anime che si somigliano, che vivono nella -stessa maniera, che vedon le cose dallo stesso lato, -che hanno perfino le medesime debolezze. Ebbene, -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -queste anime si cercano, e quando s'incontrano, sia -anche in una pagina d'un libro, ne godono, e si attaccano -a chi ha scritto quella pagina, come a un -intimo amico. I grandi scrittori ne abbracciano un -gran numero di queste anime, perchè abbracciano -la natura sotto moltissimi aspetti. Gli scrittori che -vengon dopo, ne abbracciano soltanto poche; ma -bastano anche queste poche perchè essi abbiano ragione -di essere. I grandi scrittori destano la maraviglia, -l'entusiasmo: gli altri solamente l'affetto e -la simpatia. Ebbene, anche far nascere una simpatia -mi pare che sia un effetto che giustifichi un libro, -perchè la simpatia è una disposizione benevola del -cuore, e una disposizione benevola è la metà d'una -buona azione. E poi, perchè il grande dovrebbe escludere -il piccolo? e il bellissimo escludere il grazioso? -Non ci dovrebbero essere delle margheritine e delle -viole perchè ci sono dei girasoli e delle rose? Forse che -il poema di Dante m'impedisce di piangere e di sentirmi -riaver l'anima leggendo le novelle del Thouar? -Quando uno è sicuro che cinquecento persone leggeranno -quello che scrive, ogni volta che gli viene -un buon sentimento, fosse anche a proposito di due -lucciole che passano, lo deve scrivere; e se impiega -tutta la sua vita a scrivere delle cose che trasfondono -un buon sentimento in cinquecento persone, -la sua vita mi par che sia bene impiegata. E quanto -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -allo scrivere quello che non si fa, mi par che tu non -abbia ragione neppure; le buone azioni non si fanno -soltanto col coraggio e coi sacrifizî; destare degli -affetti gentili, consolare, intenerire, rasserenare l'anima -per un momento a qualcuno, sono buone azioni -non meno meritorie che star un mese senza fumare -per fare un regalo a un maestro. Che importa se -un libro che ha prodotto questi effetti, dopo un certo -tempo è dimenticato? Quante buone azioni non si -dimenticano ogni giorno! Forse che non si dovrebbero -fare buone azioni che pei posteri? Ma perchè -mi perdo in ragionamenti? Chi più di te sentiva -queste verità, quando scrivevi le tue prime cose, e -ogni volta che ne finivi una, comparivi qui colle -braccia aperte e il viso radiante e mi dicevi: — Teresa, -quanto mi rincrescerebbe morire! — Teresa, -non dirmi che sono superbo: t'assicuro che oggi -dentro di me c'era un angelo; era lui che mi dettava; -se non ho scritto meglio, è perchè ho inteso male -quello che diceva, tanto mi parlava in furia! — E -vedi che anche adesso ti splendono gli occhi a sentirti -ricordare quei giorni. — Dammi la mano, Mario — riprendi -coraggio e fiducia — cercala qui l'ispirazione — nel -cuore — vedrai che ti risponderà — la -tua forza è qui; — promettimi che scriverai ancora, — che -tornerai di nuovo qui contento e glorioso -a farti baciare sulla fronte, — dimmi che ti -senti l'angelo, Mario! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -</p> - -<p> -Mario, commosso, le chinò il capo sul seno, e rimase -per lungo tempo immobile e pensieroso. -</p> - -<p> -Finalmente Teresa gli mormorò all'orecchio: — E -l'angelo? -</p> - -<p> -— Oh! perdio sì! — gridò Mario balzando in piedi -col viso radiante e battendosi una mano sul petto, — c'è -ancora! -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -</p> - -<h2 id="ordinanza">RITRATTO D'UN'ORDINANZA</h2> -</div> - -<p> -Dei capi originali, sotto la vôlta del cielo, ce n'è -e posso vantarmi d'averne conosciuto parecchi; ma -uno che possa far la coppia con lui, credo che abbia -ancora da nascere. -</p> - -<p> -Era sardo, contadino, ventenne, analfabeta e soldato -di fanteria. -</p> - -<p> -La prima volta che mi comparve davanti a Firenze, -nell'uffizio d'un giornale militare, m'ispirò -simpatia. Il suo aspetto, però, e qualcuna delle sue -risposte, mi fecero capir subito ch'era un originale -curioso. Visto di fronte, era lui; visto di profilo, -pareva un altro. Si sarebbe detto che nell'atto che -si voltava, tutti i suoi lineamenti s'alteravano. Di -fronte, non c'era nulla da dire: era un viso come -tanti altri; di profilo, faceva ridere. La punta del -mento e la punta del naso cercavano di toccarsi, e -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -non ci riuscivano, impedite da due enormi labbra -sempre aperte, che lasciavan vedere due file di denti -scompigliati come un plotone di guardie nazionali. -Gli occhi parevano due capocchie di spillo, tanto -erano piccini, e sparivano quasi affatto tra le rughe, -quando rideva. Le sopracciglia avevano la forma di -due accenti circonflessi e la fronte era alta appena -tanto da impedire ai capelli di confondersi colla -barba. Un mio amico mi disse che pareva un uomo -fatto per ischerzo. Aveva però una fisonomia che -esprimeva intelligenza e bontà; ma un'intelligenza, -se così può dirsi, parziale, e una bontà <i>sui generis</i>. -Parlava con voce <i>aspra e chioccia</i> un italiano del -quale avrebbe potuto domandare con tutti i diritti -il brevetto d'invenzione. -</p> - -<p> -— Come ti piace Firenze? — gli domandai, poichè -era arrivato il giorno innanzi a Firenze. -</p> - -<p> -— Non c'è male, — mi rispose. -</p> - -<p> -Per uno che non aveva visto che Cagliari e qualche -piccola città dell'Italia settentrionale, la risposta -mi parve un po' severa. -</p> - -<p> -— Ti piace più Firenze o Bergamo? -</p> - -<p> -— Sono arrivato ieri; non potrei ancora giudicare. -</p> - -<p> -Quando se n'andò gli dissi: — addio, — ed egli -rispose: — addio. -</p> - -<p> -Il giorno dopo fece la sua entrata in casa. -</p> - -<p> -Nei primi giorni fui più volte sulle undici once -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -di perder la pazienza e di rimandarlo al suo reggimento. -Se si fosse contentato di non capire niente, -<i>transeat</i>: ma il malanno era che, un po' per la difficoltà -dell'intendere l'italiano, un po' per la novità -delle incombenze, capiva a mezzo e faceva tutto al -rovescio. Se dicessi che portò ad affilare i miei rasoi -dal Lemonnier e a stampare i miei manoscritti dall'arrotino; -che rimise un romanzo francese al calzolaio -e un paio di stivali alla porta di casa d'una -signora, nessuno lo crederebbe; poichè per crederlo -bisognerebbe aver visto fino a che segno, oltre al -capir male, egli era distratto, non bastando il capir -male a dar ragione di <i>qui pro quo</i> così madornali. -Ma non posso trattenermi dal citare alcune fra le -più meravigliose delle sue prodezze. -</p> - -<p> -Alle undici della mattina lo mandavo a comprare -del prosciutto per far colazione, ed era l'ora che -si gridava per le strade il <i>Corriere italiano</i>. Una -mattina, sapendo che il giornale conteneva una -notizia che mi premeva, gli dico: — Presto, prosciutto -e <i>Corriere italiano</i>. — Due idee alla volta -non le afferrava mai. Discese e ritornò dopo un -minuto col prosciutto involto nel <i>Corriere italiano</i>. -</p> - -<p> -Una mattina sfogliettavo sotto gli occhi d'un mio -amico, e in presenza sua, un bellissimo Atlante -militare che m'era stato imprestato dalla Biblioteca, -e gli dicevo: — Il male, vedi, è che io non posso -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -abbracciare tutte queste carte con uno sguardo solo -e mi tocca osservarle una per una. Per afferrar -bene il complesso della battaglia, vorrei vederle -tutte inchiodate nel muro, in fila, in modo che formassero -un solo quadro. — La sera, rientrando in -casa.... rabbrividisco ancora a pensarci.... tutte le -carte dell'Atlante erano inchiodate nel muro; e per -maggior supplizio, la mattina seguente, mi toccò -vederlo comparir lui col viso modesto e sorridente -d'un uomo che viene a cercare un complimento. -</p> - -<p> -Un'altra mattina lo mando a comprare due ova -da far cuocere collo spirito. Mentre è fuori, viene -un amico a parlarmi d'un affar di premura. Quel -disgraziato rientra; gli dico: — Aspetta; — egli si -mette a sedere in un canto, io continuo a parlare -coll'amico. Dopo un momento vedo il soldato che -si fa rosso, bianco, verde, che par seduto sulle spine, -che non sa dove nascondere il viso. Abbasso gli -occhi e vedo una gamba della sua seggiola leggiadramente -rigata d'una striscia color d'oro che non -avevo mai veduta. M'avvicino: è giallo d'ovo. L'infame -s'era messo le ova nelle tasche posteriori del -cappotto e, rientrando in casa, s'era seduto senza -ricordarsi che aveva la mia colazione di sotto. -</p> - -<p> -Ma queste son rose appetto a quello che mi -toccò di vedere prima d'averlo ridotto a mettere in -ordine la mia camera, non dico come volevo, ma -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -in una maniera che rivelasse, alla lontana, l'uomo -ragionevole. Per lui l'arte suprema del metter le -cose in ordine consisteva nel disporle l'una sull'altra -in forme architettoniche, e la sua grande ambizione -era di fabbricare degli edifizi alti. Nei primi -giorni i miei libri formavano tutti insieme un semicerchio -di torri tremolanti al menomo soffio; la -catinella rovesciata sorreggeva una piramide ardita -di piattini e di vasetti, in cima alla quale si rizzava -alteramente il pennello della barba; i cappelli cilindrici -nuovi e vecchi si elevavano in forma di colonna -trionfale ad un'altezza vertiginosa. Per il che -seguivano sovente, anche nel cuore della notte, -rovine fragorose e vasti sparpagliamenti, che, se -non fossero state le pareti della camera, nessuno sa -dove sarebbero andati a finire. Per fargli capire, -poi, che lo spazzolino da denti non apparteneva -alla famiglia delle spazzole da testa, che il vasetto -della pomata era tutt'altra cosa che il vasetto dell'estratto -di carne, e che il tavolino da notte non -è mobile da mettervi le camicie stirate, mi ci volle -l'eloquenza di Cicerone e la pazienza di Giobbe. -</p> - -<p> -Se della buona maniera con cui lo trattavo, mi -fosse grato, se sentisse affetto per me, non l'ho mai -potuto capire. Una sola volta mostrò una certa sollecitudine -per la mia persona, e la mostrò in un -modo stranissimo. Ero a letto, malato da una quindicina -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -di giorni, e nè peggioravo, nè accennavo a -guarire. Una sera egli fermò per le scale il mio -medico ch'era un uomo ombrosissimo, e gli domandò -bruscamente: — Ma, insomma, lo guarisce o non lo -guarisce? — Il medico montò in bestia e gli fece -una lavata di capo. — Gli è che l'è già un po' lunga! — brontolò -lui per tutta risposta. -</p> - -<p> -Altre volte aveva certi frulli, che, invece di rimproverarglieli, -come avrei dovuto, non potevo far -altro che riderne. Una mattina mi svegliò dicendomi -nell'orecchio con un certo suo accento strano: — Signor -tenente, chi dorme non piglia pesci. -</p> - -<p> -Un giorno entrò in casa mentre ne usciva un -personaggio illustre, e sentì dire da un mio amico, -rimasto con me, che quel tal personaggio era <i>una -personalità molto spiccata</i>. Quindici giorni dopo, -mentre stavo discorrendo con parecchi amici, egli -s'affacciò alla porta della mia camera e m'annunciò -una visita. — Chi è? — domandai. — È..., — rispose -(non si ricordava il nome).... — è <i>quella personalità -molto spiccata</i>. — Tutti diedero in uno -scoppio di risa, il personaggio sentì, io gli spiegai -la cosa, e ne rise anche lui dai precordi. -</p> - -<p> -È difficile dare un'idea della lingua che parlava -quel curioso soggetto: era un misto di sardo, di -lombardo e d'italiano, tutte frasi tronche, parole -mozze e contratte, verbi all'infinito buttati là a -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -caso e lasciati in aria, che facevano l'effetto del -discorso di un delirante. Un giorno mi venne a -cercare un amico all'ora del desinare, ed entrando -in casa, gli domandò: — A che punto è del desinare -il tuo padrone? — <i>Trema!</i> — gli rispose il -soldato. — L'amico rimase colla bocca aperta. Quel -<i>trema</i> voleva dire <i>termina</i>. -</p> - -<p> -In cinque o sei mesi, frequentando le scuole reggimentali, -aveva imparato a leggere e a scrivere -stentatamente. Fu la mia disgrazia. Mentre ero fuor -di casa, s'esercitava a scrivere sul mio tavolino, e -soleva scrivere cento, duecento volte la stessa parola, -una parola, per il solito, che il giorno prima -aveva sentito pronunciar da me leggendo, e che gli -aveva fatto impressione. Una mattina, per esempio, -lo colpiva il nome di Vercingetorige. La sera, rientrando -in casa, io trovavo Vercingetorige scritto -sui margini dei giornali, sul rovescio degli stamponi, -sulle fascie dei libri, sulle buste delle lettere, sulle -carte del cestino, da per tutto dove aveva trovato -tanto spazio da ficcarvi quelle quattordici lettere -predilette dal suo cuore. Un'altra volta gli toccava -il cuore la parola Ostrogoti e il giorno dopo la mia -casa era invasa dagli Ostrogoti. Un giorno lo seduceva -la parola rinoceronte e la mattina seguente -la mia casa era convertita in un serraglio di bestie -feroci. Ci guadagnai però da un altro lato, e fu di -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -poter abbandonare l'uso delle croci che facevo con -matite di vario colore sulle lettere che doveva portare -a mano a certe persone fisse, perchè non c'era -verso di fargli ritenere i nomi; per cui egli soleva -dire: questa lettera va alla signora celeste (ch'era -mondana), questa al giornalista nero (ch'era rosso), -questa all'impiegato giallo (ch'era al verde). -</p> - -<p> -Ma a proposito dello scrivere gliene scopersi una -assai più curiosa di quelle che ho citate finora. Si -era comprato un quadernino, sul quale copiava, da -tutti i libri che gli venivano alle mani, le dediche -degli autori ai parenti, badando sempre a sostituire -ai nomi di questi, il nome di suo padre, di sua madre -o de' suoi fratelli, ai quali s'immaginava di -dare in tal modo uno splendido attestato di affetto -e di gratitudine. Un giorno apersi il quaderno e -vi lessi, fra le altre, le dediche seguenti: — <i>Pietro -Tranci</i> (era suo padre, contadino), <i>Nato in povertà, -Seppe collo studio e colla perseveranza Acquistarsi -un posto segnalato fra i dotti, Soccorrere genitori -e fratelli, Degnamente educare i figli. Alla memoria -dell'ottimo padre Questo libro intitola L'autore -Antonio Tranci</i>, invece di Michele Lessona. -In un'altra pagina: — <i>A Pietro Tranci mio Padre -Che annunziando al Parlamento subalpino Il disastro -di Novara Cadeva svenuto al suolo, E tra -pochi giorni moriva Consacro questo Carme</i>, ecc. — Più -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -sotto: — <i>A Cagliari</i> (invece di Trento) <i>Non ancora -rappresentata nel Parlamento italiano</i>, ecc. -<i>Antonio Tranci</i>, invece di Giovanni Prati. -</p> - -<p> -Quello che mi meravigliava di più in lui, — che -non aveva mai visto nulla, — era una assoluta -mancanza del sentimento della meraviglia, qualunque -cosa, per quanto straordinaria, egli vedesse. Vide, -nel tempo che stette a Firenze, le feste per il matrimonio -del Principe Umberto; vide l'opera e il -ballo alla Pergola (non aveva mai visto un teatro); -vide le feste del carnevale e l'illuminazione fantastica -del viale dei Colli; vide cento altre cose nuove -affatto per lui, che avrebbero dovuto stupirlo, divertirlo, -farlo parlare. Nulla di tutto questo. La sua -ammirazione non andava mai più in là della solita -formola: — Non c'è male. — Santa Maria del Fiore.... -non c'è male; la Torre di Giotto.... non c'è male; il -palazzo Pitti.... non c'è male. Io credo che se Domeneddio -in persona gli avesse domandato che cosa -gli pareva della creazione, gli avrebbe risposto che -non c'era male. -</p> - -<p> -Dal primo all'ultimo giorno che stette con me, -fu sempre dello stesso umore, tra serio ed allegro; -sempre docile, sempre stordito, sempre puntuale a -capire le cose a rovescio, sempre immerso in una -beata apatia, sempre stravagante ad un modo. Il -giorno che ricevette il suo congedo, scribacchiò non -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -so quante ore nel suo quaderno colla stessa tranquillità -degli altri giorni. Prima di partire venne -ad accomiatarsi. La scena della separazione fu poco -tenera. Gli dimandai se gli rincresceva di lasciar -Firenze. Mi rispose: — Perchè no? — Gli dimandai -se tornava a casa volentieri. Mi rispose con una -smorfia che non capii. -</p> - -<p> -— Se avrà bisogno di qualche cosa, — disse all'ultimo -momento, — scriva pure che mi farà sempre -piacere. — Grazie tante! — gli risposi. E così -uscì di casa, dopo più di due anni che stava con -me, senza dar il menomo segno nè di rincrescimento, -nè di allegrezza. -</p> - -<p> -Io lo guardai mentre scendeva le scale. -</p> - -<p> -Tutt'a un tratto si voltò. -</p> - -<p> -— Stiamo a vedere, — pensai, — che il suo cuore -s'è svegliato e che ritorna a congedarsi in un altro -modo. -</p> - -<p> -— Signor tenente, — disse: — il pennello per -la barba l'ho messo nella cassetta del tavolino più -grande. -</p> - -<p> -E disparve. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -</p> - -<h2 id="battaglie">BATTAGLIE DI TAVOLINO</h2> -</div> - -<p> -Un giorno un mio amico mi disse: — Tu non studii -abbastanza; tu leggi; leggere non è studiare; leggere -è un piacere, e studiare è una fatica: infatti -tutti leggono e pochissimi studiano. Quali sono le -ore della giornata che tu dedichi a uno studio profondo? -a quel lavoro di figgersi nella mente le cose -lette, di pensarle, di rimestarle, di raffrontarle, di -spremerne il sugo? a quella fatica di raccogliere cognizioni -precise, di formarsi giudizî proprî, di combattere, -ragionando, i giudizî altrui, che dissentano -da' tuoi? Tu con la mente non lavori, ti balocchi. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -A vent'anni quante ragioni si trovano da opporre -a questi consigli! I libri, i libri! O che si vive pei -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -libri? Io ho del sangue nelle vene, io ho bisogno -d'aria e di luce, io voglio leggere il gran libro della -vita. Prima di studiare bisogna vivere. Perchè legarmi -a questo strumento di tortura ch'è il tavolino? -La vita è moto; chi si muove è sano, chi è -sano è allegro, chi è allegro è buono, e chi è buono -è più caro a Dio e più utile agli uomini che questi -eremiti della società che si sono logorati sui libri, -pieni di vanità, gonfi d'orgoglio e svogliati d'ogni -cosa. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Le prime lotte son dure. Voi avete preso la risoluzione -di studiare, date un addio agli amici, correte -a casa, aprite un libro. A un tratto sentite non -so che dentro di voi che dà indietro, che si raggomitola, -che si scontorce. Voi ravvicinate la seggiola, -e vi ripiegate sul libro, e vi sentite sbalzato indietro -daccapo. V'è qualcuno dentro di voi, un nemico -sordo, muto, cocciuto, che s'impenna, s'ostina, non -vuole intendere ragione; un poltrone che si dibatte -come se lo trascinassero al supplizio. E la lotta dura -molto tempo e diventa accanita fino a farvi morder -le dita e picchiare il pugno nel muro senza quasi -sentirne dolore, come se veramente quelle offese non -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -fossero fatte a voi, ma all'<i>altro</i>; e voi foste intimamente -persuaso che siete in <i>due</i>: un capitano -animoso e un soldato vigliacco. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Poi si provano le prime gioie della vittoria. Vien -sempre il momento in cui l'<i>io</i> che vuole, traendo -dall'ira la forza che non aveva potuto trarre dal -proposito, grida un <i>voglio</i> così imperioso, che l'<i>altro</i> -non osa più di ribellarsi, si acquatta, si annichilisce. -Allora vi sentite in cuore una soddisfazione piena di -alterezza e assaporate la voluttà del comando; provate -un sentimento quasi di rispetto per voi medesimo, -come se in voi ci fosse qualcuno più valoroso -e più forte di voi. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Dopo le prime lotte e le prime gioie, vengono i -primi sconforti. Come nella mente del dotto una nozione -chiama l'altra, e per poco che rimugini ne -mette sottosopra una folla, ch'egli si fa sfilare dinanzi -colla compiacenza d'un generale che passa -in rassegna un esercito, o d'un avaro che conta le -sue ricchezze; così nella mente di chi comincia a -studiare una lacuna mette in un'altra lacuna, e il -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -povero esaminatore di sè stesso, dopo aver molto -errato nel vuoto, prova un sentimento di solitudine, -che gli precide il coraggio e le forze. Da un dubbio -di lingua a un dubbio di storia, da un dubbio di -storia a uno di geografia, da uno di geografia a uno -di fisica, e son tutte cose elementari, essenziali, necessarie, -tali che, sebbene dalla maggior parte si -ignorino, pare nondimeno così vergognoso l'ignorarle -che s'è convenuto fra tutti di fingere reciprocamente -di saperle. E allora, in quell'affollamento di -stupori e di vergogne, lo assale una smania dolorosa -di colmare quei vuoti; e tira giù libri, e rovista dizionari, -e piega pagine, e appunta; e mentre una -nozione s'appiccica, l'altra si stacca, e mentre questa -riaderisce, quell'altre due si confondono, fin che -gli si fa buio fitto nella testa, le braccia gli cadono, -ed egli esclama sconfortato: È inutile, è tardi, torniamo -alla vita di prima. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il giorno dopo, a mente fresca, si ripiglia speranza -e vigore. Si studia fino a sera e la sera si coglie -il premio. In quel breve riposo che ci si concede -dopo un sobrio desinare, tutte le cose imparate, come -se si fossero data la posta, balzan tutte insieme dai -ripostigli della mente, vengono a galla, non cercate, -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -con una specie di gara a chi giunga la prima, e fanno -nella testa un tumulto che non si può esprimere. -Sentenze di filosofi e regole di grammatica, versi e -date, immagini e pensieri lucidissimi; e poi bagliori, -barlumi lontani d'altri pensieri e d'altre immagini -così fitti e rapidi che non lascian vedere le lacune -oscure che poc'anzi ci prostravano nello sgomento. -Quelli son momenti di gioia viva. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il sacrifizio più duro è quello della sera nella -bella stagione. L'aria è odorosa, la città è splendida, -udite giù per le scale il passo affrettato dei vicini, -e risa di ragazze e di fanciulli; poi il rumore nella -strada; poi la casa rimane silenziosa. Tutti sono -usciti, rimanete solo. Allora vi tocca combattere -contro le immagini seduttrici. Avete la fantasia eccitata -dalla lettura, siete giovane, la lotta è fiera. -È appena credibile quello che segue allo studioso in -quei momenti. A volte vi sentite veramente soffiare -nel viso un alito di donna che vi rimescola; vedete -passare a traverso il vostro libro una treccia di capelli; -udite dei passi leggeri, dei respiri, qualcosa -che s'agita nell'aria. Allora vi piglia quella maledetta -tentazione di dar una pedata al tavolino e di -buttar a terra ogni cosa, gridando con un accento -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -di trionfo e di disprezzo: — Alla cassetta della spazzatura, -cartaccie! Io voglio vivere! -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Sono belle e feconde queste battaglie combattute -nel silenzio d'una cameretta tra l'immensa avidità -del sapere e la foga prepotente della giovinezza; -questo divincolarsi sotto un giogo che ci siamo imposti -noi stessi. Il sudore che ci esce dalla fronte -in questa fatica è un sudore salutare, la stanchezza -che ne segue è madre di nuove forze. Allora si comprende -che son sapienti certi consigli che ci parevan -degni di riso. Allora si vede la necessità di combattere -acerbamente questo corpo ribelle che ci vuole -imporre una disciplina codarda; d'infliggergli dei -patimenti che lo prostrino, non tanto da renderlo -inetto a servire, ma abbastanza perchè non possa -più comandare. Allora si piglia l'abitudine della -colazione alla Franklin: pane, frutta, acqua, e di -rigore in rigore, si è condotti logicamente fino a -fare uno sforzo per non appoggiarsi alla spalliera -della seggiola; concessione pericolosa, che per una -serie d'altre concessioni conduce insensibilmente a -ricominciar la battaglia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -L'arte di comandare a sè stessi consiste in gran -parte nel trovar argomenti e parole efficaci per -movere in noi la vergogna. Ci vuol immaginazione -ed eloquenza. Una mattina ch'ero svogliato mi costrinsi -a studiare con questo discorso. Supponi che -le pareti, i solai, le scale della casa diventino ad -un tratto trasparenti. Guarda in alto, in basso, intorno. -Tu vedi da ogni parte menar scope, smover -sacconi, spolverar mobili; la casa è tutta in moto e -in faccende. Ebbene, giurami che se tutte quelle -donne colle maniche rimboccate e il viso luccicante -di sudore si voltassero tutt'insieme a guardar te -sdraiato sulla poltrona colle braccia in croce, giurami -che, in quel punto, non proveresti un senso di -vergogna, non ti verrebbe fatto di afferrar subito -un libro per fingere almeno che studiavi, non ti verrebbe -detto, come a un ragazzo côlto in fallo, con -accento di scusa: — Ma io lavoravo, sapete! -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -T'amo, o tavolino! Tu, fra tutti gli oggetti della -casa, sei il solo che rappresenti l'amicizia fedele. La -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -porta che, nei nostri begli anni, risuona qualche -volta al tocco d'un ditino, che ci fa balzare in piedi -col cuore in sussulto, finisce col non aprirsi più che -a qualche vecchio amico che ci viene a parlare di -malanni. Lo specchio, che ci dice tante care cose, -fin che abbiamo l'occhio scintillante e la guancia -rosea, finisce per diventarci odioso come un importuno -che ci rammenti sempre una sventura che -vorremmo dimenticare. Il letto sul quale ora dormiamo -i sonni pieni e quieti della giovinezza, finisce -per diventare un giaciglio di spine sul quale cerchiamo -inutilmente il riposo. Tu, tavolino, sei l'ultimo -ridotto nel quale, affranti dai disinganni, ripariamo. -Caro quando, accesi dall'ispirazione, ti percotiamo -col pugno vigoroso, presentendo la gioia dei -trionfi; ci sei caro ugualmente quando torniamo a -te col cuore contristato da una speranza miseramente -delusa. Giovani, t'amiamo per la gloria; vecchi, -per la pace; e riedifichiamo su te l'edifizio caduto -della giovinezza. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -V'hanno dei momenti nella giornata dello studioso, — anche -giovane, — nei quali la vita, — non so -per che improvviso rivolgimento d'idee — gli si -presenta al pensiero soltanto sotto i tristi aspetti; -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -i pericoli, le delusioni, le lotte inutili, la vanità di -ogni cosa; — e tutte queste immagini gli paion -come altrettante figure umane che, accennando lui, -dicano: — Ecco un fortunato! — In quei momenti -egli prova qualcosa di simile al sentimento di chi, -stando chiuso in una stanza calda, vede cader la -neve nella via. Egli si sente bene nel suo covo, è -contento della maniera di vita che ha scelta, prova -come un bisogno di rannicchiarsi, vorrebbe vivere -in un guscio anche più piccino, per tapparvisi meglio, -per essere più al sicuro. Gli par di essere nella sua -stanza piena di libri come in una fortezza inespugnabile, -fornita di provvigioni inesauribili, in mezzo -à una vasta pianura corsa da eserciti furiosi che -spargano sangue e paura. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -V'hanno altri momenti, per contro, nei quali par -che vi manchi tutt'a un tratto il calore intimo della -vita del pensiero. Allora ogni cosa si agghiaccia -intorno a voi; lo scopo delle vostre fatiche vi par -puerile; vi piglia un'uggia invincibile di tutto ciò -che avete dinanzi agli occhi e sotto le mani; i vostri -libri ve li sentite come ammontati tutti sul -petto; la finestra vi par diventata lo spiraglio di -un carcere; il soffitto vi par che s'abbassi sulla vostra -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -testa. Vi manca il respiro, v'alzate, vi guardate -allo specchio: avete i capelli aruffati, la barba lunga, -gli occhi rossi; vi sentite inselvatichito, avvilito; -vi pare d'esservi svegliato in una spelonca; provate -quasi orrore di esser così solo, intanato; pensate -agli amici, alla campagna, alla musica, alle signore -eleganti, e dite a voi medesimo che siete un insensato -e un infelice. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Certe figure d'amici vostri che sanno tanto più -di voi, dopo che vi siete dato a studiar di proposito, -ingigantiscono. Prima vi pareva che i lampi -che voi mandate valessero assai più dell'oro che -essi possedono, e vi meravigliavate che anch'essi non -fossero del vostro parere. Ma a poco a poco siete -arrivato a capire come un uomo che ha studiato -davvero, che ha fatto di quegli sforzi di volere che -costano lotte faticosissime, e riportate di quelle -vittorie intime che insuperbiscono al pari d'un trionfo -pubblico, debba naturalmente far poco conto dell'ingegno -che s'alza per la sola forza delle sue ali; -che molto ardisce perchè ignora molto; che non -sente la sua vacuità perchè non essendosi mai messo -alla grave impresa di riempirla, non l'ha mai misurata. -Capite ora come a quell'uomo l'opera d'un -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -tale ingegno debba parere un edifizio fragile. Anche -voi, a pari altezza, ammirate di più il vertice immobile -d'una piramide che l'ondeggiamento d'un -cervo volante. Chi studia, conquista; l'ingegno incolto, -al suo paragone, par che rubi. Molti che vi -parevano invidiosi perchè non vi battevano le mani, -capite ora che non avevano per voi altro sentimento -che quello d'una fredda disistima. Essi sono boccie -di cristallo, e voi siete bolle di sapone. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Studia; ma non ti rintanare, scriveva il Giusti a -suo fratello; e v'è un proverbio spagnuolo che tradotto -letteralmente, dice: «corsa che non dà il puledro -nel corpo gli rimane.» Guai al giovine che -per studiare si seppellisce! La durerà più o men -tempo, e poi gli piglieranno delle malinconie disperate. -Per non aver creduto a chi mi dava questo -consiglio, mi svegliai qualche volta con una così -profonda ripugnanza per lo studio e per la casa, -che scappai come un frenetico, corsi alla campagna, -camminai tutta la giornata, dormii in un villaggio, -e non tornai in città che il giorno dopo -come torna un forzato alla galera. E non bisogna -tuffarsi intero negli studî, anche per non perdere -ogni attitudine alla vita sociale. Chi sta troppo solo, -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -non più usato a tollerare i difetti dei suoi simili, -a far sacrifizî d'amor proprio, a soffrire degli attriti -spiacevoli, quando poi ritorna in mezzo alla gente -si sente urtato e punto in mille modi, da mille parti. -E va qualche volta tant'oltre questa sensitività -penosa, da renderci insopportabile la più leggiera -contraddizione. Nello studio solitario l'amor proprio -ingigantisce; l'<i>io</i> diventa formidabile. Le nostre -fatiche eccessive par che ci diano il diritto, — qualunque -sia il frutto che ne ricaviamo, — di tenerci -da più degli altri. Assuefatti nel nostro piccolo mondo -a regnar da principi assoluti, portiamo anche fuori -di esso le pretensioni e le arroganze principesche. -Bisogna andar sempre fra la gente per farsi rintuzzare -le corna dell'orgoglio. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Una volta stetti tre mesi di seguito chiuso in -casa a studiare, dalla mattina alla sera, non uscendo -che un po' dopo desinare per pigliare una boccata -d'aria. Facevo la colazione alla Franklin, bevevo -appena un bicchier di vino al giorno, non fumavo, -mi levavo la mattina all'alba. Volli esprimentare -fino a che punto di elasticità e di forza si potessero -condurre le facoltà mentali, e che miglioramento si -operasse nelle morali, rifiutando al corpo tutto quello -che infiacchisce le une e corrompe le altre. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -I frutti del primo mese e di mezzo il secondo furono -ammirabili. Sentivo la verità di quella sentenza -del Rousseau: — Un giovane che vivesse in questa -maniera fino a venticinque anni, schiaccerebbe poi -facilmente tutti gli altri. — La memoria mi s'era fatta -più facile e più tenace; capivo a volo cose che prima -mi davan da pensare un'ora; idee che pel passato -mi si svolgevano nella mente come un filo sgomitolato -a fatica, ora scoppiettavano tutte insieme, -al menomo tocco, come un nuvolo di scintille; ragionando, -sentivo che andavo più addentro; parlando, -dovevo fare uno sforzo per contenere la piena delle -parole che volevano prorompere. Poi, per quello che -riguarda il sentimento, valeva addirittura il doppio. -La commozione che mi dava la lettura delle cose -poetiche, era più pronta e più durevole. Leggendo -ad alta voce certi versi, mi sfuggivan persino delle -grida. Mi rendevo ragione di certi esaltamenti, che -m'erano parsi fino allora inesplicabili, di artisti, o -di uomini nati per essere artisti, che alla lettura -di certi libri erano stati presi dalla febbre, avevan -dato in voci e in gesti da spiritati. E di tutti gli -effetti di quella maniera di vita, quello che mi colpiva -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -di più era questo: che il mio pensiero tendeva -sempre a andare in su, a smarrirsi fuori del mondo. -Per ore e ore non facevo che fantasticare intorno -agli astri, all'immortalità dell'anima, all'infinito. -Mi ero chiuso la porta di casa, scappavo pel tetto. -Ma, in complesso, il miglioramento era grande. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il terzo mese fu un mese di lotta, e finì colla mia -sconfitta. Mi parve che la mia intelligenza diventasse -inerte e la mia memoria s'intorbidasse. Rimaneva -la commovibilità, ma era giunta al segno da potersi -chiamare piuttosto irritazione morbosa che vigore -sano di sentimento. Ero diventato stravagante. A -volte, smettevo di leggere, per far dei giuochi di -forza colle seggiole, fin che sgocciolavo di sudore. -Sovente mi mettevo davanti allo specchio e discorrevo -con me gesticolando e ridendo. Ebbi perfino -paura che mi desse un po' volta il cervello. La mia -padrona di casa mi diceva spesso: — Ma che vita -la fa, caro signore? — L'ultima settimana non studiai -quasi affatto. Eppure non volevo cangiar vita. -Era una picca d'amor proprio. Avevo detto agli -amici che non mi sarei più fatto vedere; non m'avean -creduto; volevo spuntarla. Finalmente, una sera, -irruppero in casa mia alcuni compagni del buon -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -tempo, mi chiusero i libri, mi misero il cappello, -mi cacciaron fuori a spintoni, e fu finita. Dopo d'all'ora -passai due mesi quasi nell'ozio: solita conseguenza -di queste pazzie di solitudine. Ma il primo -giorno la pagai cara. Svegliandomi non mi ricordai -subito della scappata della sera, e corsi col pensiero -alla vita di prima. Allora il ricordo saltò su, vidi i -miei bei propositi andati in fumo, la catena dei miei -sacrifizî spezzata, tutto l'edifizio innalzato nella -solitudine, in rovine; e mi sentii oppresso da una -grande tristezza, come una fanciulla alla quale fosse -stato tolto a tradimento il diritto di portare quel -nome. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il miglioramento che s'era operato in me in quel -primo mese di vita austera, mi fece persuaso di -questa verità, che bisognerebbe pestar bene nella -testa a tutti i giovani: che, cioè, noi non ci accorgiamo -del danno che fanno all'intelligenza e al cuore -i disordini giovanili, anche quelli che paiono, per -la loro natura e per la loro misura, più perdonabili; -ma che ne fanno, ne fanno, ne fanno. Un -giovane d'ingegno vivacissimo e di vita disordinata, -col quale un giorno mi trattenni su questo argomento, -diceva: — Sì, ammetto, si reggerà un po' -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -meno al lavoro, si scriverà cinque ore invece di -dieci; ma l'ingegno non ne può soffrire; un uomo -d'ingegno riman sempre un uomo d'ingegno; il -lavoro della creazione artistica non può essere turbato. — E -che ne sai? gli domandai. Puoi tu accorgerti -di tutte le piccolissime alterazioni che si producono -nella misteriosa macchina del pensiero? Puoi -dire, quando ti si desta nella mente quel tumulto -d'idee che precede l'ispirazione, puoi dire che non -se ne desterebbe nessuna di più, se il giorno prima -non avessi disordinato? Si citano i grandi scrittori -che han menato una vita disordinata. Ma chi può -dire che i cattivi versi e le pagine scipite che sono -uscite anche dalla loro penna, non corrispondano -appunto a quei giorni della loro vita in cui non -vissero come dovevano? Sappiamo noi se, vivendo -in un'altra maniera, non avrebbero fatto un'opera -completa di ciò che ci hanno lasciato in frammenti? -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Un giovane che stia solo, se studia, se riman molto -in casa, non solo finisce per amare la sua casa, ma -per rispettarla; e molte cose che prima non gli parevano, -gli paiono dopo una profanazione. Fra quelle -quattro pareti dove avete provato tante nobili emozioni, -leggendo, scrivendo, fantasticando creature -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -eccelse e grandi amori, vi ripugna, vi umilia lasciar -penetrare qualcuno per cui i vostri studî, il vostro -ingegno, la parte più eletta di voi, è un argomento -di riso o un mistero. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -La gioia che viene dalla fatica è grande, e grande -quella che viene dall'ingegno; ma più grande senza -paragone è quella che viene dalla fatica dell'ingegno. — Io -lavoravo da quasi un anno intorno a quel -soggetto; non avevo mai fatto, sopra un soggetto -unico, un così lungo lavoro; e perciò mi pareva -assai più lungo di quello che ora mi parrebbe. Quando -s'ha la penna facile, e molte cose belle da dire (o -se non belle, liete), pare che lo scrivere dovrebbe -essere un godimento, che la giornata dovrebbe riuscir -breve alla furia dell'opera, che l'ora del lavoro -dovrebbe essere aspettata con desiderio impaziente. -Eppure, erano appena due o tre giorni ogni quindici -quelli in cui mi mettevo a tavolino volentieri e -scrivevo di vena; tutti gli altri giorni pigliavo la -penna collo stesso animo col quale lo schiavo afferra -lo strumento del lavoro che lo rifinisce. Certi giorni -avrei preferito vangare, spaccar legna, e portar -sacchi come un facchino, piuttosto che scrivere. -Rimandavo d'ora in ora il momento di cominciare, -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -cercando mille pretesti, come per ingannare me medesimo; -e talvolta, per salvarmi dal rimorso di quell'ozio, -m'imponevo delle fatiche ch'erano in realtà -assai più gravi che quella dello scrivere; come fare -una carta geografica, studiare a memoria lunghi -squarci di prosa, imparare sterminate filze di vocaboli -d'una lingua straniera. Quando non avevo ancora -scritto che una cinquantina di pagine del mio -libro, mi pareva che, una volta arrivato a metà, -avrei tirato un gran respiro e sarei andato innanzi -sino alla fine, quasi senza sforzo; e pensavo sempre -a quella metà benedetta, come si pensa al termine -d'un viaggio pieno di traversie. Ma arrivato che -ci fui, non provai nulla di quanto avevo sperato; e -rimisi le mie speranze ai due terzi. Quante volte, -anche dopo fatto più di mezzo il lavoro, fui tentato -di rinunziare a finirlo! Quante volte mia madre, -vedendomi in un canto della stanza colle braccia -incrociate e gli occhi fissi, mi domandò: — Ebbene, -a che punto siamo? — e io le risposi: — Indietro, -cara, indietro, e ho paura che non andrò più innanzi! — Mi -ricordo che invidiavo mio fratello, -perchè impiegato che non aveva che da andare all'uffizio; -che invidiavo tanti miei amici i quali non -scrivevano che articoletti di giornale; che invidiavo -tutti coloro che non avevano sul collo quel giogo -di dover star tanti mesi lì a tavolino a stillarsi sulla -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -stessa cosa, quella prigionia dell'immaginazione, -quella schiavitù del pensiero, quel supplizio di tutti -i giorni e di tutti i momenti. Finalmente giunsi alle -ultime pagine. Ebbi un ultimo scoraggiamento, chi -lo crederebbe? quando non me ne rimanevan più -da scrivere che una quarantina; ma fu breve; dopo -di che mi prese un'attività impetuosa, gioiosa, febbrile, -che durò fino al momento che scrissi l'ultima -parola. Ricordo come se fosse ieri l'ora, il tempo, -la luce che inondava la mia stanzina, l'odore di -primavera che di tratto in tratto mi portava il -vento, e persino l'ordine in cui eran disposti i miei -fogli sul tavolino, quando scrissi con mano agitata -la parola: — Fine. — Dio buono, era un ben meschino -lavoro quello ch'io finivo, appetto alle fatiche -ventenni (rido del paragone) del Gibbon, del -quale avevo letto pochi giorni innanzi la bellissima -prefazione alla <i>Storia della decadenza dell'impero -romano</i>! Eppure, in quel momento, sentii anch'io, -come lui, l'immensa gioia della libertà riacquistata, -e mi parve di affacciarmi a una nuova vita. Mia -madre non sapeva nulla; il giorno prima le avevo -detto che mi rimaneva un'altra settimana di lavoro; -e la mattina medesima le avevo annunziato che appena -scritta l'ultima pagina avrei rimesso in ordine -i miei libri che da parecchi mesi erano tutti sossopra, -e fatto un <i>ripulisti</i> generale sul tavolino, che -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -era un monte di carte e di prove di stampa da non -potercisi raccapezzare. L'ordine nella mia stanza -sarebbe stato il segnale della fine del mio lavoro. -Mi misi dunque in fretta e in furia, ma senza fare -rumore, per non mettere sull'avviso mia madre, a -ordinare, a pulire, a sgombrare, col tremito in cuore -di esser sorpreso, trattenendo ogni momento il respiro -per sentire se nessuno s'avvicinava, ridendo -da me come un fanciullo e soffocando le risa, finchè -tutti i libri furono al posto, tutte le cartacce nella -cesta, e sul tavolino non rimase che il calamaio, la -penna e gli ultimi fogli del manoscritto. Allora sedetti -ed aspettai; il cuore mi batteva forte, mi sentivo -il volto acceso, sudavo. Passarono alcuni minuti, -nessuno veniva: cominciai a tossire; mi misi -a cantarellare. Allora udii nella stanza vicina il -passo di mia madre, mi alzai, le corsi incontro. Essa -mi guardò e mi domandò con aria di meraviglia: — Che -cos'hai? — Io le accennai il tavolino e -dissi: — Guarda! — Guardò, non capì subito, stette -un momento sopra pensiero, e poi gridò con uno -slancio di gioia: — Ma dunque hai finito! — Io le -gettai le braccia al collo, ed essa mormorò con voce -commossa: Povero figliuolo! -</p> - -<p> -Tutt'a un tratto mi sentii mutare quella gioia -vivissima in un sentimento quasi di mestizia. Mia -madre se ne accorse e mi domandò: — A che pensi? — O -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -madre mia, risposi, penso che per meritare -questa soddisfazione avrei dovuto fare ben altro lavoro! -Nondimeno son contento (e qui soggiunsi una -frase che soglio dirle quando son contento, e che -la fa sempre ridere) e ti ringrazio d'avermi messo -al mondo. -</p> - -<p> -Ciò detto, le porsi il braccio, uscimmo dal mio -gabinetto, e facemmo la nostra entrata trionfale -nella stanza da pranzo dov'era il resto della famiglia. -</p> - -<p> -Vorrei che la donna che mi ama m'avesse visto -in quel punto, perchè, lo dico francamente, ero bello. -</p> - -<p class="dots">················</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -</p> - -<h2 id="incontro">UN INCONTRO</h2> -</div> - -<p class="indl"> -Caro *** -</p> - -<p> -Ti spiego la cagione del <i>singolare aspetto</i> che -tu mi vedesti, giorni sono, quando c'incontrammo -di sfuggita nella stazione di A.ª Non t'ho da raccontare -un'avventura, od è un'avventura diversa -dalle solite, che consiste in un sentimento piuttosto -che in un fatto. Ti ricordi della <i>Soireé perdue</i> del -Musset, di quella figura gentile vista al teatro e -perduta d'occhio all'uscita? Io ti debbo raccontare -qualche cosa di simile. -</p> - -<p> -La mattina di quel giorno, partendo da T***, entrai, -per caso, in un vagone, dove non c'era che -una signora, seduta dalla parte opposta all'entrata, -col viso rivolto fuori. Sentendomi entrare, si voltò, -mi diede un'occhiata, e riprese l'atteggiamento di -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -prima. Era una signora sui quarant'anni, pallida, -sottile, un po' accasciata della persona, e vestita con -quella trascuratezza signorile, che rivela più l'abitudine -che lo studio dell'eleganza. Il treno partì -senza che entrasse nessun altro. -</p> - -<p> -Mentre io stava aspettando che si voltasse per -vederla meglio, essa fece un gesto colla mano per -aggiustarsi i capelli; un gesto che, sul primo momento, -mi colpì; e un momento dopo, pensandoci, -mi destò una lontana reminiscenza insieme a un -sentimento di grata meraviglia. Avevo una canna -fra le mani, la lasciai cadere; essa si voltò — la -vidi in viso — e il cuore mi diede un balzo. Non -m'ero ingannato, era lei. Essendosi accorta che avevo -mostrato di conoscerla, da quel momento in poi si -voltò di tratto in tratto a guardarmi, come se aspettasse -che io le dirigessi la parola; e così potei vederla -bene e finire di riconoscerla. -</p> - -<p> -Dio del cielo! Io non avrei mai creduto che un -viso umano potesse in così breve tempo cangiarsi -tanto. È vero che non l'avevo più vista da quattordici -anni; ma a quel tempo — me ne ricordo — essa -aveva vent'anni al più; era fresca, florida, -splendida; era una delle più belle signore della piccola -città di G. che io pure abitavo; ed ora, poco -più che trentenne, pareva invecchiata non di quattordici, -ma quasi di trent'anni. Appena si riconosceva, -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -piuttosto che ai lineamenti, a una certa -espressione del suo sguardo dolce insieme e triste, -che pareva il presentimento d'una vita sfortunata, -ed era la sua più cara attrattiva. S'era fatta smorta, -aveva qualche ruga sulla fronte, qualche capello -bianco sulle tempie, e le mani smunte e color di -cera. Che cosa era seguíto nella sua vita? Io non -ne sapevo, e non ne so ancora che assai poco e in -confuso. Prima dei diciott'anni era rimasta vedova, -e due anni dopo s'era rimaritata. E fu appunto in -quel tempo, quando colui che fu poi il suo secondo -marito, le faceva la corte, che io la conobbi — nient'altro -che di vista — e da lontano. Seppi poi -che il suo secondo marito era un uomo disordinato -e violento, e ch'essa menava una vita assai triste; -ma ero lontanissimo dal pensare che potesse aver -sofferto tanto da trasfigurarsi in quella maniera. -Ora su quel viso si leggeva una lunga storia di disinganni, -di sagrifizî, di torture. Pace, bellezza, gioventù, -tutto se n'era andato. Erano stati quattordici -anni di distruzione. Non le rimaneva più che quello -che non si può perdere: la grazia, e quella dignità -tranquilla e soave che viene dalla vita onesta, dalla -rassegnazione, e dall'abitudine dei sentimenti gentili. -</p> - -<p> -Passata la prima meraviglia e il primo senso di -tristezza, pare che tutto avrebbe dovuto finir lì. -Ma per me c'era una ragione che mi faceva sentire -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -con più amarezza il suo cambiamento, che mi destava -per lei un sentimento di viva pietà, una -sollecitudine gentile, qualche cosa a cui non so -trovare un nome, ma che mi metteva il desiderio -di coprir di baci quella povera mano consunta; il -desiderio, che so io? che un assassino ci assalisse, -e che difendendola, mi toccasse una pugnalata — non -dico nel petto — ma almeno in un braccio o -in una mano, tanto da poter dire d'aver versato -un po' di sangue per lei. Non potevo staccar gli occhi -dal suo viso. Quando incontravo il suo sguardo -mi veniva il suo nome sulle labbra. Stropicciavo le -mani, ero inquieto; avevo bisogno di parlarle, e non -osavo. Essa finì per accorgersi della mia inquietudine -e ne parve meravigliata e intimorita. Allora, -vedendo che non m'era più possibile tacere, perchè -dovevo, se non altro, giustificare il mio contegno, -mi feci coraggio e le domandai timidamente: -</p> - -<p> -— Perdoni.... Lei è la signora ***? e dissi il nome -del suo secondo marito. -</p> - -<p> -La mia timidità, e il fatto che io sapessi il suo -nome, la rassicurarono completamente. Mi rispose -di sì e stette a guardarmi con molta curiosità. -</p> - -<p> -— Glie l'ho domandato — soggiunsi — perchè -non ne ero ben certo.... Erano quattordici anni che -non avevo la fortuna di vederla. -</p> - -<p> -Arrossì, pensando certo al gran cambiamento che -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -dovevo aver notato in lei, e mi guardò attentamente -come per cercare di riconoscermi e dirmi nello -stesso tempo che non mi riconosceva. -</p> - -<p> -— Lei non può sapere chi sono nè ricordarsi -d'avermi veduto. Io non ho mai avuto l'onore di -parlarle. La conoscevo di vista, nella città di G., -nell'anno 1860. Io avevo quattordici anni, andavo -ancora a scuola. Lei era vedova. La sua casa aveva -il portone in via degli Olmi, ma lei entrava sempre -per la porticina della strada accanto. Lei andava -al teatro tutte le sere, nel palco numero nove, -prim'ordine, a destra. Portava sovente un vestito -di seta lilla. La sera del primo dell'anno le cadde -un braccialetto in platea. Aveva un ventaglio tutto -d'avorio e teneva per abitudine la mano destra fuori -del palchetto. -</p> - -<p> -La signora rimase meravigliata, stette un po' pensando, -e poi esclamò sorridendo: — È vero!... Ma -come mai si può ricordare di tutte queste cose? -</p> - -<p> -— Vuol che glielo dica francamente? — domandai. -</p> - -<p> -— Lo dica pure, — rispose, guardandomi con -grande curiosità. -</p> - -<p> -— E mi promette prima di credere che qualunque -cosa io dica, non dirò una sola parola che non si -accordi col profondo rispetto dovuto a una signora -come lei? -</p> - -<p> -Mi guardò un momento con stupore, e poi rispose -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -titubando: — .... Non ne potrei dubitare. Ma di -che si tratta dunque? -</p> - -<p> -— Animo.... Bisogna pur dirlo. Lei è stata la prima -donna che io ho amata in vita mia. — È detto. -</p> - -<p> -Arrossì, si mise a ridere, e dopo avermi guardato -attentamente, rispose: — Non è possibile. -</p> - -<p> -— Non è possibile? — io dissi. — È tanto possibile -che è vero come il sole, cara signora. Mi -faccia la grazia d'ascoltare. Mi ricordo ogni cosa -come se fosse ieri. L'avevo vista le prime volte al -teatro, e m'ero fatto abbonare da mio padre, unicamente -per vederla, e mi mettevo ogni sera nell'ultimo -banco della platea in faccia al suo palco. -Da principio non era che simpatia, che so io? ammirazione. -Poi, a poco a poco, mi si accese il cuore -e la testa.... Perdoni, signora, se m'esprimo in questi -termini; non saprei dir la cosa altrimenti.... Insomma, -finii per innamorarmi perdutamente di lei.... -Le giuro che le dico la verità.... E non può immaginare -fino a che segno arrivassi. Chi m'avesse costretto -a mancare una sera al teatro, m'avrebbe -messo alla disperazione. Io stavo delle mezz'ore intere -a guardarla, immobile, inchiodato, pietrificato, -che m'avrebbero potuto fotografare cento volte. Mi -par strano persino che non se ne sia mai avvista. -Se ne avvidero altri. Poveretto me, se sapesse quante -ne passavo! La farò ridere. Quando lei entrava nel -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -suo palchetto, mi pareva che il fruscío del suo vestito -fosse un gran rumore che facesse voltare tutto -il teatro a guardarmi, e mi sentivo morire dalla -vergogna. Non perdevo, non dico un movimento -della sua testa, ma nemmeno una contrazione del -suo viso, delle sue labbra, della mano che teneva -fuori del palco. Quando i suoi occhi cadevano, per -caso, sul mio banco, mi saliva un'ondata di sangue -alla testa. Cose da non credersi. Se sapesse quante -parole appassionate le dicevo dentro di me, guardandola, -quando sonava l'orchestra! Quante volte -ho desiderato che pigliasse fuoco al teatro, per -correre a salvarla! Mi rodevo di dispetto contro gli -ufficiali che passavano sotto il suo palco, e colla -punta del cheppi toccavano quasi il suo ventaglio. -Avrei schiaffeggiato gli uomini che andavano a farle -visita. Una sera fischiai un tenore che lei aveva -guardato col canocchiale. Le mie serate, insomma, -erano una successione di rossori, di batticuori, di -gelosie, alle quali, il giorno dopo, corrispondevano -altrettante sgrammaticature nella composizione latina. -Capisce, signora? E fra tanti ammiratori che -la circondavano, a lei non passava nemmeno per -la mente che il più ardente di tutti fosse un povero -scolaretto di ginnasio, il quale non doveva avere -che quattordici anni dopo la fortuna di rivolgerle la -parola. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -</p> - -<p> -La signora che durante la mia chiacchierata ora -aveva sorriso, ora arrossito, e ora corrugato le sopracciglia, -quand'ebbi terminato, rise più forte e si -coperse il viso col ventaglio. Poi mi domandò con -viva curiosità: — Ma dice tutto questo sul serio? -</p> - -<p> -— Sul serio? — io continuai. — Le dirò ben altro. -Me lo permette?... Che vuole?... Provo un gran -piacere a rammentare quel tempo che fu il più -tempestoso della mia adolescenza. La cosa era giunta -al punto, che quando, in casa mia, sentivo pronunziare -il suo nome, scappavo in un'altra stanza col -viso rosso come una melagrana. Studiavo in una -stanzina con mio fratello maggiore, il quale di tratto -in tratto mi diceva: — Ma la vuoi finire coi tuoi -sospiri, che mi sembri un innamorato del Metastasio? — Non -studiavo più, ero distratto. Una -notte sentii mio padre che parlando di me domandava -sottovoce a mia madre: — Hai notato nessun -cambiamento, da un tempo in qua, nelle sue maniere? -E un'altra più curiosa. Il professore d'italiano -ci diede da fare una composizione a tema libero; -io scelsi l'<i>Innamorato</i> e scrissi una tale scempiaggine -che fece ridere tutta la scuola e mi coprì di -vergogna. Si figuri che fra le altre frasi, c'era -questa: <i>La testa dell'innamorato è un'urna di -lagrime e di sospiri</i>.... A poco a poco, m'ero ridotto -al segno che arrossivo passando davanti alla -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -sua casa, incontrando le signore che vedevo al teatro -con lei, udendo pronunziare una parola che rammentasse -alla lontana il suo nome. Quando vedevo -comparir lei in fondo a una strada, mi pigliava un -tremito alle gambe, e scantonavo; se non ero più -in tempo a scantonare, mi cacciavo in una bottega; -se non potevo cacciarmi in una bottega, tornavo -indietro. Era un terrore. E ogni sera m'andavo a -rinfocolare al teatro e facevo peggio. Mi passò fin -per la mente di indirizzarle una lettera, di scrivere -qualche cosa col carbone sui muri delle sue scale, -di gettarle un mazzo di fiori da un tetto, di travestirmi -e andar a portar legna in casa sua. Infine, -vuol che le dica tutto, signora? Lei mi deve -essere molto riconoscente perchè parecchie sere, -tornando dal teatro tutto commosso, esaltato, mezzo -fuori di me, e non sapendo come sfogarmi altrimenti, -pregai per lei con un fervore che.... se ne -avessi messo la metà a prepararmi agli esami, non -m'avrebbero rimandato. -</p> - -<p> -La signora rise di nuovo coprendosi il viso col -ventaglio, e disse: — Ed io che non mi sono mai -avvista di nulla! È strano!... Ma è proprio tutto -vero?... — e sempre sorridendo, ma con una curiosità, -se posso dir così, più raccolta e più seria, -mi domandò: — E dopo? e si rimise in atto di -ascoltare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<p> -— Dopo, — io ricominciai — .... venne il peggio. -Verso la fine del carnevale cominciò a frequentare -il suo palco quello che fu poi suo marito. Lo vuol -credere, signora? Ancora adesso, dopo tanti anni, -provo un sentimento di compassione per me quando -penso a quello che ho sofferto in quei giorni. Le -prime volte che intesi dire intorno a me al teatro: — Eh! -pare che il nodo si stringa! — Pare che sia -un matrimonio bell'e fatto! ecc., — creda che, benchè -fossi un ragazzo, mi son sentito agghiacciare -il sangue. Ogni sorriso, ogni parola a bassa voce -che loro si scambiavano, mi era una stilettata al -cuore. Che so io? mi pareva d'esser tradito. A lei.... -perdonavo. Lui.... bisogna pure che io dica tutta la -verità.... l'odiavo con tutte le forze dell'anima. Lo -vedevo per tutto. Lo sognavo, era il mio incubo. -Volevo sfidarlo. Lo guardavo di sbieco. Un giorno, -per la strada, se n'accorse, senza capirne il perchè, -naturalmente; e si fermò a guardarmi; io abbassai -gli occhi e tirai dritto. Infine corse la voce del suo -prossimo matrimonio. Ne fui desolato. Non può farsi -un'idea di quello che mi passava per l'anima. Pensavo -di andare a qualche finestra, sulla strada dove -lui passava, e di lasciargli cader sulla testa una -grossa pietra. Mi proponevo di andarmi a gettare -a suoi piedi e supplicarla per amor di Dio di non -sposarlo se non voleva vedermi morto. Mi venne -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -in mente di farmi frate, di fuggire in Svizzera, di -diventare uno di quegli uomini terribili dei romanzi -che hanno un perpetuo sorriso mefistofelico sulla -faccia di marmo. Addio latino! Addio studî! Passavo -ore intere nel cortile di casa mia a martirizzare -le lucertole e i vermi; un giorno m'incisi una mano -colle forbici e per poco non svenni vedendo spicciare -il sangue; una sera rubai una bottiglia di -vino nella dispensa e m'ubbriacai come un facchino -in un ripostiglio di mobili vecchi, al buio.... Venne -finalmente quel giorno terribile.... La sera, la banda -della guardia nazionale suonò sotto le sue finestre. -Da casa mia si sentiva la musica. Ero avvilito, angosciato, -disperato. Mi venne l'idea d'uccidermi. -Scesi nel giardino con una corda e m'avvicinai a -un albero.... ma mi mancò il coraggio. Allora mi -misi a piangere, mi buttai in terra, e stetti tutta -la sera là, solo, al buio, accovacciato come un cane, -con la mia corda fra le mani, pensando a lei, e -chiamandola di tratto in tratto per nome, fin che -la banda cessò di suonare ed io corsi a casa a gettarmi -nelle braccia di mia madre, alla quale confidai -ogni cosa. Mia madre fece le grandi meraviglie, -rise, mi consolò, mi condusse a letto, mi diede -la buona notte ridendo, e per parecchi giorni, di -tratto in tratto, continuò a guardarmi fisso, poi a -baciarmi ed a ridere ancora. Il giorno dopo lei partì -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -con suo marito e non ho più avuto la fortuna di -vederla. Ecco la storia del mio amore, cara signora. -Ho aspettato quattordici anni a raccontargliela: -spero che non mi accuserà di precipitazione. Se poi -volesse sapere perchè glie l'ho raccontata, dico la -verità, sarei imbarazzato a risponderle. Il fatto è -che ho sempre desiderato d'incontrarla un giorno o -l'altro per farle questo racconto; e che soddisfacendo -il mio desiderio, ho trovato un'emozione -gentile, piena di rispetto e di gratitudine per lei. -</p> - -<p> -A questo punto la signora, che m'aveva ascoltato -con un'attenzione sempre crescente, si coperse il -viso, ma senza ridere; poi mormorò con voce un -po' commossa, sorridendo leggermente: — Certo che... -lei m'ha detto delle cose molto gentili.... e io debbo -ringraziarla.... — Qui rise di nuovo, ma quasi facendo -uno sforzo; tornò a coprirsi il viso e rimase -qualche momento in quell'atto. Che cosa abbia pensato -in quei momenti, non saprei. O che il mio racconto, -richiamandole vivamente alla memoria un -tempo in cui era felice, e sperava un avvenire migliore, -le abbia inacerbito il sentimento dei suoi -disinganni; o che ripensando il tempo in cui poteva -ispirare degli affetti così ardenti, abbia sentito con -più amarezza il rammarico della sua gioventù e -della sua bellezza perduta innanzi tempo; o che -l'immagine di quello schietto e profondo amore giovanile, -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -le abbia fatto parer più triste di non essere -stata amata da colui al quale aveva consacrata la -vita; il fatto è che quando abbassò il ventaglio — con -mia grande meraviglia — aveva il viso tutto -rigato di lagrime. -</p> - -<p> -— Signora! — le dissi vivamente, prendendole -una mano. — Che vedo mai?... Le ho ridestato -qualche ricordo doloroso? Mi perdoni.... sono stato -imprudente.... non me ne darò mai più pace.... Mi -perdoni, signora! -</p> - -<p> -Essa fece cenno di no, che non avevo nessuna -colpa; poi sorrise e si asciugò gli occhi con una -mano lasciando un momento l'altra mano nella mia. -</p> - -<p> -In quel punto il treno era arrivato alla stazione -dove io dovevo scendere. -</p> - -<p> -— Signora, — le dissi al momento di mettere il -piede sul montatoio — mi faccia una grazia.... mi -permetta di baciarle la mano che teneva fuori del -palchetto! -</p> - -<p> -Me la porse, glie la baciai tre volte, e rialzando -il viso, vidi nel suo atteggiamento e nei suoi occhi -una così cara espressione di bontà, di mestizia, di -rassegnazione; e nello stesso tempo tanta dolcezza -e tanta grazia, che rimasi un momento attonito a -guardarla ed esclamai ingenuamente e con tutto il -cuore: — Siete sempre bella! -</p> - -<p> -— Non è vero! — rispose mestamente, ma sorridendo, -e fece cenno di no col ventaglio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -</p> - -<p> -Io m'allontanai, mi voltai indietro e feci cenno -di sì col capo. -</p> - -<p> -— No, — ripetè essa col ventaglio — e si ritirò -dallo sportello. -</p> - -<p> -Il treno partì, e nello stesso momento uscì dallo -sportello la sua mano, che rimase così appoggiata, -col ventaglio in giù, nello stesso atteggiamento in -cui soleva tenerla fuori del suo palchetto al teatro. -</p> - -<p> -Il viso non ricomparve. -</p> - -<p> -Io accompagnai quella mano cogli occhi. -</p> - -<p> -Era un addio — era un'immagine della sua giovinezza -e della mia adolescenza — era un rimpianto -del passato — era un'espressione di gratitudine — era -qualche cosa d'infantile, di pietoso e di melanconico — era -come la mano d'una morta che si -fosse rifatta viva un momento per dare un ultimo -saluto alla vita. — Addio! Addio! — dissi nel mio -cuore quando mi sfuggì dalla vista — Addio, cara -larva! cara memoria mia! e rimasi.... rimasi come -tu mi trovasti quando c'incontrammo nel vestibolo -della stazione. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -</p> - -<h2 id="castelar">EMILIO CASTELAR</h2> -</div> - -<p class="indr"> -5 dicembre 1873. -</p> - -<p class="pad1 indl"> -<i>Caro</i> ***. -</p> - -<p> -È naturalissimo il tuo desiderio di sapere qualche -particolare intorno a Emilio Castelar, ed è giusto il -rimprovero che mi fai di non averne parlato che -vagamente nel mio libro. -</p> - -<p> -Io solevo accompagnarlo da casa sua alle Cortes -e lo conobbi in quelle brevi conversazioni assai meglio -che nei suoi libri. Non ti meravigli ch'egli -usasse così famigliarmente con me straniero e sconosciuto, -poichè, oltre ad essere molto alla mano -con tutti, è così matto dell'arte italiana, che coglie -con piacere ogni occasione di parlarne e d'udirne -parlare anche dagli ignoranti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -</p> - -<p> -Il Castelar ha questo di curioso, che a vederlo, -a stargli insieme, nessuno direbbe mai che sia un -grande oratore. All'aspetto non ha nulla di notevole. -È piccino, grassoccio, calvo, e ha due grand'occhi, -che spirano un'aria di cor contento. A udirlo poi, sembra -meno che mai quello stess'uomo che strappa gli -applausi alle Cortes. Parla a pause, stilla le parole -come per pigliar tempo di cercare la frase, non -casca mai nella declamazione, non si lascia mai -sfuggire un'espressione che non convenga al linguaggio -famigliare. Di più, mentre parlando alle -Cortes tratta ogni argomento con una specie di dignità -tragica, nella conversazione famigliare discorre -in tuono di scherzo anche delle cose più gravi. Se -qualche volta esce dallo scherzo, casca nell'indifferenza; -ma non dà mai nel serio. Non ho mai visto -sul suo viso, nè udito nella sua voce la più leggera -espressione di sdegno. E infatti a lui, come oratore, -manca assolutamente quell'<i>effet terrible</i> che descrive -Vittor Hugo parlando del Mirabeau, e quella, se si -può dire, forza della collera, per la quale grandeggia -qualche volta il Gambetta. Egli piace, seduce e spesso -commove; ma non fa mai paura. Non si può dire -che ha i <i>fulmini dell'eloquenza</i>; ma i lampi, i raggi, -che so io? l'iride; poichè i suoi discorsi brillano più -di colori gentili che di luce feconda. Un giorno che -era annunziato un discorso del Castelar, un ministro -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -disse giustamente ai suoi colleghi: — Oggi il -pavone Castelar fa la ruota. — Ma aveva ragione -anche un dotto Carlista, il quale, rimproverato da -un suo amico perchè gli piacevano quelle <i>bolle di -sapone</i> del Castelar, si scusò dicendogli ch'eran le -più belle che si facessero in Spagna. -</p> - -<p> -Il primo giudizio che portai del Castelar, fu che -non avesse punto fiele nell'anima. Guardandolo negli -occhi quando parlava senza ira di gente che lo -detesta e lo diffama, non gli vidi mai <i>quelle crespe -delle palpebre e quei guizzi e colori dell'orbe</i>, -come dice benissimo il reverendo padre Bresciani, -che rivelano i sentimenti nascosti dalle parole. Soltanto -mi parve che non fosse insensibile alle punture -della gelosia oratoria, perchè un giorno, alle -Cortes, nel momento che si alzava Cristino Martos, -oratore <i>de pelo en pecho</i> (col pelo sul petto), come -si dice in spagnuolo, per dire un uomo di polso; e -che da tutte le parti della sala si faceva improvvisamente -un profondo silenzio; vidi il Castelar rannuvolarsi -e tentar di far uno sbadiglio che non gli -riuscì di finire. -</p> - -<p> -Un sentimento che prova la sua gentilezza d'animo, -e che non credevo di trovare in lui, così genuinamente -spagnuolo, è una profonda avversione -per le corse dei tori. — Non me ne parli! — mi -disse un giorno facendo un atto di ribrezzo: — è -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -una stupida barbarie che vorrei veder bandita per -l'onore del mio paese. -</p> - -<p> -Da principio non riuscivo a raccapezzare come la -pensasse in fatto di religione. Spiritualista avevo -capito subito che lo era; ma non capivo se fosse -cristiano, ossia se credesse nella divinità di Gesù -Cristo. La sua opera <i>La civiltà nei primi cinque -secoli del cristianesimo</i> (quattro volumi che si potrebbero -ridurre in uno, se si bada alla sostanza, e -che si vorrebbe fossero cento, se si bada alla forma) -non mi lasciava dubbio che fosse ardentemente cattolico. -Per contro i suoi discorsi politici non mi lasciavan -dubbio che fosse libero pensatore. Un giorno -gli domandai <i>ex abrupto</i> una spiegazione, e mi parve -che la domanda non gli riuscisse gradita, come segue -di tutte le domande che ci obbligano ad affermare -qualcosa di cui non siamo sicuri. — Una volta, -mi rispose, ero cattolico; ora.... son razionalista. — E -cambiò discorso. È insomma anche lui di quei -moltissimi che si agitano <i>fra la fede e un dubbio -serio ed inquieto</i>, come scriveva il Manzoni al Giusti; -e se avesse da dire in termini recisi quello che -pensa e che crede, si troverebbe imbarazzato. Certo -è che la fede nell'esistenza di Dio e nell'immortalità -dell'anima, è il sentimento che gli ha inspirato le -più eloquenti parole dei suoi libri e dei suoi discorsi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -</p> - -<p> -Come tutti gli artisti, è un po' vano e ghiotto della -lode; ma la sua vanità è così ingenua, che non solo -non ristucca, ma piace. Qualunque lode gli si dia, -se la piglia, sta zitto e lascia che si tiri innanzi, -come se si parlasse di un altro. Qualche volta poi -dondola il capo come per dire: — dite bene, avete -ragione, io pure son di questo parere. — Un giorno -mi disse amichevolmente: Se lei vuol avere un'idea -del mio genere d'eloquenza, venga a sentire il discorso -che farò la settimana ventura contro la politica -estera del governo. Ma lei dalla tribuna dei -giornalisti non può vedermi in viso, e perde il mio -gesto.... Ebbene le farò dare un biglietto per una -delle tribune di rimpetto; così non perderà nulla. — Il -mio principale merito, — disse un'altra volta — è -quello d'aver saputo dire in lingua pura e in -stile elevato molte cose nuove che pare non si possano -dire che a scapito della dignità dello stile e -della correttezza della lingua. — In questo modo si -libera la gente dalla seccatura di dare il proprio -parere. Un giorno gli lessi un brano d'un suo discorso -che avevo tradotto in italiano, ed egli mi -disse candidamente: È bello anche in italiano. -</p> - -<p> -Come tutti gli uomini d'immaginazione viva e di -cuor caldo è facilissimo all'ammirazione, e non serba, -nell'esprimere questo sentimento, nessuna misura. -Quando loda qualcuno o qualcosa, i suoi amici non -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -gli credono più. Un giorno, alle Cortes, un deputato -domandò a un collega, il quale aveva conosciuto il -Gambetta a Parigi, se questo Gambetta gli fosse -parso veramente quel grande uomo che molti dicevano. — Domandalo -al Castelar, — gli rispose il collega; — egli -lo conosce meglio di me. — Che! — disse -l'altro; — in queste cose il Castelar è un bambino. — E -in fatti la biografia del Gambetta scritta dal -Castelar, piuttosto che il ritratto d'uno storico fedele -è il panegirico di un partigiano infatuato. -Un'altra volta un deputato, me presente, domandò -al Castelar che impressione gli avesse fatta Garibaldi -la prima volta che gli aveva parlato. Il Castelar -allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo, -esclamando con enfasi: — <i>Amigo! La de un hombre -extraordinario</i> (quella d'un uomo straordinario). — Me -lo immaginavo, — rispose l'amico; — ma già -su tutto quello che dici tu bisogna fare la tara. E -per dirne ancor una, ricordo che, mentre il Castelar -mi levava a cielo un tal Santa Maria di Siviglia -che canta con molta grazia le canzonette andaluse, -affermando che il Tamberlick, il Mario, lo Stagno, -appetto a lui non valevano un fico secco, parecchi -amici suoi diedero in uno scoppio di risa, e uno gli -domandò: — Ma quando la finirai con codeste esagerazioni, -don Emilio? -</p> - -<p> -Solevo interrogarlo intorno al lavorío col quale -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -prepara i suoi discorsi, intorno a quei segreti d'artista, -<i>a quei misteri</i>, per dirla con Giambattista -Giorgini, <i>che l'anima celebra con sè stessa</i>. Egli -mi spiegò in che maniera fosse riuscito a parlare e -a scrivere così facilmente e correttamente, e le sue -parole mi parvero la rivelazione d'una nuova teorica -dello scrivere, alla quale ho pensato continuamente -d'allora in poi. — Con chiunque parli, mi -disse, — e di qualunque cosa parli, non avessi che -da dare un ordine al mio servitore, non trascuro mai -l'espressione, cerco sempre di dir la cosa come la -direi se le mie parole dovessero venir scritte o -stampate in sull'atto. E ogni volta che mi balena -un pensiero, lo esprimo subito a me medesimo come -se dovessi esprimerlo a un altro; non mi lascio -nulla nel capo in istato di embrione; penso continuamente -parlando con me stesso a periodi finiti. — In -fatti corregge pochissimo le cose scritte. -Ma benchè prepari di lunga mano i suoi lavori per -scrivere bisogna che abbia fretta. Diceva che non -poteva far nulla, se non aveva lo stampatore alla -porta. -</p> - -<p> -Con lui parlavo spagnuolo, e ci voleva del coraggio; -ma spesso mi pregava di parlargli italiano. — Capisco -l'italiano, — diceva, — ma non lo parlo, perchè -non lo voglio profanare. In Italia badavo sempre -a pregar la gente che mi parlassero italiano -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -e non francese. Bella! mirabile lingua! Però, lasciatemelo -dire: se per la poesia è meglio la lingua -italiana, per l'oratoria preferisco la spagnuola. — Su -questo punto non voleva intendere ragioni. Qualche -volta anzi gli pigliavano dei dubbi anche sulla poesia, -e ripeteva quei versi famosi dell'Espronceda, coi -quali un cavaliere imita il suono della corsa sfrenata -del suo cavallo: -</p> - -<div class="poem"> -<p>Mis ojos fuego en su inquietud lanzando</p> -<p>Campo adelande devorando van.</p> -</div> - -<p> -E dicendoli con quella voce sonora e con quel gesto -vigoroso, li faceva parere anche più belli ed efficaci -di quello che sono; ma è superfluo il dire che non -mi lasciava persuaso. -</p> - -<p> -Tutti sanno quanto egli ama l'arte italiana, ma -soltanto quelli che lo conoscono possono sapere -quanto e come l'ha studiata. Non c'è quadro o -statua o basso rilievo di Firenze, di Roma o di Venezia -ch'egli non abbia stampato nella memoria e -non sia in grado di descrivere minutamente come -se l'avesse visto il giorno innanzi. Parla delle nostre -città, nominando strade, palazzi e porte, come parla -di Toledo e di Siviglia. Firenze, <i>la ciudad</i>, com'egli -la chiama, <i>de la inteligencia</i>, è la sua città prediletta. — <i>Allì</i>, -mi disse un giorno, <i>el último limpiabotas -tiene mas sello academico que nuestros individuo -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -de número</i>. — (Là l'ultimo lustrascarpe ha più carattere -accademico che i nostri accademici). Un -giorno, mentre alcuni amici suoi parlavano di politica, -egli interruppe bruscamente la conversazione, -a cui non badava, e fermandosi in mezzo alla strada -colle braccia incrociate sul petto, esclamò con un -accento di profondo stupore: — <i>Y decir que la -puertas de Ghiberti son del siglo quince!</i> — (E -dire che le porte del Ghiberti sono del secolo -quindicesimo!) Quando si parla d'arte italiana, va -in visibilio. L'ho visto cangiar di colore e tremare -discorrendo d'un quadro del Tintoretto — <i>Mas si -os digo</i>, — gridava battendosi la mano sulla fronte — <i>que -se siente crujir la seda!</i> — (Ma se vi dico -che si sente il fruscío della seta!) -</p> - -<p> -Avrei da scrivere molto se volessi riferire tutti i -detti arguti che intesi da lui, e gli aneddoti ameni -di cui è amantissimo. -</p> - -<p> -Diceva dello Zorilla: <b>È</b> un uomo che ha tutti i -difetti d'un temperamento artistico, senz'alcuna delle -buone qualità. -</p> - -<p> -A un amico materialista che gli aveva mandato -un libro, nel quale trattava dell'influsso del cibo sul -pensiero, diceva: — Sta bene, ma tu devi ancora -scrivere un libretto per dimostrare quali sono i -passi del <i>Don Chisciotte</i> che il Cervantes scrisse -nei tempi in cui mangiava pane di granturco. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -</p> - -<p> -Raccontava che un giorno, essendo a desinare in -una famiglia, la padrona di casa, in fin di tavola,, -gli aveva detto, arrossendo un pochino: — Signor -Castelar, lei ci dovrebbe fare l'immenso favore di -declamarci un bel discorso mentre prendiamo il caffè — Qui -il Castelar rimaneva muto rifacendo tale e -quale il viso che aveva fatto in quel momento, e ti -assicuro che c'era da scoppiare dalle risa. -</p> - -<p> -Un giorno passeggiando nel Prado, il Castelar, un -suo amico monarchico e un terzo importuno ch'ero -io, vedemmo venir verso di noi un uomo colla faccia -stravolta, che parlava e gesticolava da sè. Il Castelar -mi tocca col gomito e dice sottovoce: — Costui -è uno che aspirava alla corona di Spagna. Prima -che fosse eletto il duca d'Aosta andava egli stesso -distribuendo ai deputati le schede col suo nome per -il giorno della votazione. Non si faccia scorgere: è -matto. — Il matto intese quelle parole, e si fermò; -qualcuno che passava si fermò pure; si formò un -gruppo di gente. Quando fummo a due passi da lui, -prese un atteggiamento drammatico e voltandosi -verso il Castelar, gli disse ad alta voce: — Ebbene, -sì, io volevo esser re; ma non sono mai stato un impostore -come lei! — Detto questo si allontanò brontolando; -la gente rise; il Castelar fece uno sforzo -per ridere egli pure, ma era diventato rosso come -una fragola. — Bravo! — gli disse l'amico battendogli -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -la mano sulla spalla; — son contento di vedere -che non hai ancora perduto il pudore. — E -che! — rispose pronto il Castelar; — credevi che -io fossi diventato monarchico? -</p> - -<p> -La sua sala di studio, in casa, è l'immagine della -sua testa; o per meglio dire, era l'immagine, perchè -non so se il Presidente della repubblica viva ancora -come viveva il modesto deputato. Statuette, vasi di -fiori, gabbie d'uccelli, opere di filosofia, libri di versi, -medaglie antiche, cataloghi di musei, atti ufficiali, -lettere di elettori, stampe, ritratti, giornali, opuscoli; -si vedeva un po' d'ogni cosa sparpagliato sui -tavolini, sulle seggiole e pel pavimento, in un disordine -pittoresco, che faceva ridere e fantasticare. Là, in -mezzo ai suoi amici e ai suoi libri, il Castelar era più -bello a vedere che alle Cortes. Un giorno un amico suo -fece il giro della sala con una bacchetta in mano, e -toccando l'uno dopo l'altri tutti i cassetti dei tavolini, -disse col tuono d'un cicerone: — Signori! -Qui sono i manoscritti pei giornali del Perù. — Qui, -quelli pei giornali del Messico. — Qui, quelli pei -giornali di Cuba. — Qui, quelli pei giornali del Brasile. — Qui, -quelli pei giornali degli Stati Uniti. — E -qui, quelli pei giornali del vecchio continente. -Quando un editore si presenta, il Castelar apre un -cassetto, vi tuffa le mani a occhi chiusi, e butta -via quello che trova. — Il Castelar disse una volta -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -che le corrispondenze dei giornali d'America gli -rendono quindicimila scudi all'anno. E pensare che -pochi anni prima, per guadagnare qualche soldo, -scriveva prediche per preti di campagna! -</p> - -<p> -Mi raccontò egli stesso, un po' per volta, le prime -vicende della sua vita, dicendomi di tratto in tratto -che, se volevo, pigliassi pure degli appunti. È nato -a Cadice nel 1832. Suo padre, uomo studioso, benchè -agente di cambio, e possessore d'una ricca biblioteca, -morì in età ancor fresca, lasciando la moglie -e il piccolo Emilio, che non aveva ancora sette -anni, in grandi strettezze. Una sua sorella d'Alicante -li accolse in casa tutti e due, e la signora -Castelar si consacrò tutta all'educazione del figliolo, -facendo per lui, fra gli altri sacrifizi, quello di conservare -e di arricchire la biblioteca paterna, affinchè -egli prendesse per tempo amore ai libri. Il Castelar, -in fatti, ebbe fin da ragazzo, più che amore, -manía per la lettura, e l'ha ancora, poichè legge -continuamente, per le strade, nelle Cortes, a tavola, -a letto, nel bagno, da per tutto dove può tener sotto -gli occhi un libro o un giornale. Con questo gran -bisogno di leggere nacque in lui quasi ad un tempo -un gran bisogno di parlare, e ancora bambino, diede -prova di straordinaria facondia. — Facendo gli altarini — mi -disse, — io e i miei piccoli compagni, solevamo -pronunziare ciascuno un'orazione sacra dall'alto -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -d'una seggiola ravvolta in una coperta da letto. <i>Yo era -el espanto de todos.</i> (Io ero lo spavento di tutti). — A -dodici anni fu mandato a Elda, dove studiò la lingua -latina, e cominciò a scrivere con grande ardore -novelle, discorsi storici, dissertazioni religiose, poesie, -commedie, poemi, saggi d'audacia, com'egli disse, più -che d'ingegno; i quali finiron tutti nel fuoco. Le -prime vere prove d'ingegno e d'eloquenza le diede -in Alicante dove si trasferì nel 1845 per fare il -corso di <i>segunda enseñansa</i>. Qui si dedicò con entusiasmo -alla filosofia, alla storia e alla letteratura, -e in questi studi andò innanzi d'un gran tratto a -tutti i suoi colleghi, parecchi dei quali, che seggono -ora nelle Cortes e professano principi politici affatto -contrari ai suoi, come don Carlos Navarros, il Gallastra -ed altri, attestano che sin d'allora era opinione -di tutti, ch'egli sarebbe diventato un grande -oratore e un grande scrittore. Da Alicante andò nel -1848 a Madrid, dove vinse al concorso un posto gratuito -d'alunno nella <i>Escuela nacional de filosofia</i>, e -d'allora in poi, non solo provvide al suo mantenimento, -ma scrivendo nei ritagli di tempo che gli -lasciavano gli studi, guadagnò tanto da mantenere -sua madre. Pubblicò in quel tempo, tra le altre cose, -un giornaletto letterario, in cui i letterati ammirarono -per la prima volta il suo stile nitidissimo e -scintillante. Suo cugino don Antonio Aparisi, il rinomato -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -oratore cattolico, leggendo un giorno uno -di quegli articoli, disse alla signora Castelar: — Zia -mia, bisogna aver gran cura di questo ragazzo, -perchè se continua come ha cominciato, farà molto -rumore nel mondo. — Fin qui, però, le glorie del -Castelar non erano state che glorie scolastiche. Egli -si rivelò per la prima volta alla Spagna nel 1854, -all'età di ventidue anni. Un amico, incontrandolo un -giorno per strada, gli annunziò che c'era un'adunanza -popolare nel Teatro Reale, e gli domandò perchè -non ci andasse. Il Castelar non rispose altro che: — Vado — e -corse al Teatro. Quando arrivò, molti oratori -avevano già parlato, il pubblico era stanco, l'adunanza -stava per sciogliersi. Ciò non ostante il Castelar, -risoluto a parlare, salì sul palco scenico e -cominciò: — Signori! Io vengo qui a difendere le -idee democratiche.... — Un vivo bisbiglio di disapprovazione -lo interruppe. La sua persona esile, la -sua voce sottile, il suo atteggiamento fanciullesco, -non ispiravano alcuna fiducia; lo presero per uno -scolaretto; gli gridarono: — Basta! Basta! Un'altra -volta! Un'altra volta! — Il Castelar, piccato, s'incaponì -e tirò innanzi. A poco a poco si fece silenzio; -poi s'udi qualche voce d'approvazione; a un tratto, -scoppiò una tempesta d'applausi; infine ogni periodo -fu applaudito con furore, l'oratore venne condotto -fuori quasi in trionfo, il suo nome corse di bocca -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -in bocca, i giornali di Madrid lo levarono a cielo, -tutta la Spagna, in pochi giorni, lo ripetè: il Castelar -fu celebre da quella sera. La España, autorevole -giornale letterario, disse, pubblicando il suo -discorso: — <i>Està destinado a reemplazar à todos -nuestros grandes oradores y à reemplazarlos con -ventaja.</i> — E il pronostico s'è avverato. -</p> - -<p> -Ora ha in mano le sorti della Spagna, se pure le -sorti d'un paese così sfasciato possono mai ridursi -nelle mani d'un uomo solo. Che cosa farà? È un -riesci, come si dice in Toscana. Ma io questo ti posso -dire, che quando lo vedevo, in mezzo ai suoi amici, -prorompere in scoppi di risa da giovanetto di quindici -anni; o volgere in mente qualche bel periodo -poetico da incastonare in un discorso, mentre un -collega badava a parlargli di leggi e di votazioni; -o fare il viso del malumore perchè il giorno che -doveva parlare non c'eran signore nelle tribune; -e in tutte le conversazioni saltar sempre dalla -politica all'arte, dal ragionamento al sentimento, -dalla terra alle nuvole; se qualcuno m'avesse detto -allora: — Costui fra un anno governerà la Spagna -in queste e queste condizioni, — con tutta l'ammirazione -che avevo per lui, avrei dato una scrollatina -di capo, e detto tutt'al più: Chi sa! le vie della -Provvidenza sono infinite.... -</p> - -<p> -E poi leggi questo brano di discorso pronunziato -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -da lui alle Cortes, due anni fa. — «Come? Non è -individualista il ministro dell'interno? E se è tale, -non comprende il gran poema della libertà di commercio? -La terra ha attitudini diverse; i climi dánno -diversi prodotti; ma grazie al grand'Ercole moderno, -grazie al commercio, con codeste navi che ora paiono -grandi uccelli marini, e ora lasciano la bianca traccia -nell'acque e la densa nube di fumo nell'aria, si -riuniscono tutti i prodotti; la pelle che il Russo -strappa agli animali smarriti nei suoi deserti di gelo -e la foglia del tabacco che cresce al sole ardente -del tropico; il ferro scoperto in Siberia e la polvere -d'oro che il negro d'Africa raccoglie nell'arena dei -suoi fiumi; le stoffe tessute in Inghilterra e i prodotti -tratti dal seno dell'India, e tinti dei colori -dell'Iride da quelle società, primi testimoni della -storia; il dattero di cui si alimentava il patriarca -biblico sotto le palme dell'antica Asia, e le perle -preziose che genera il vergine seno della giovine -America; il grato succo delle viti che abbellano le -rive del Reno e l'ardente vino di Xeres, che reca -disciolto nei suoi atomi il raggio del sole di Andalusia -per riscaldar le vene degli intirizziti figli -del norte....» -</p> - -<p> -A me pare che questo periodo basti per giudicare -il Castelar come uomo politico, come bastano certi -sorrisi a rivelare tutta l'anima d'un uomo. Mi pare -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -che un oratore il quale fa in un parlamento una -tirata di quella natura non possa esser capace di -portare a salvamento la baracca d'uno Stato. -</p> - -<p> -Ma quando quest'uomo stesso, slanciandosi audacemente, -non per proposito rettorico ma per impulso -irresistibile del cuore, fuor dei confini dell'eloquenza -politica, esclama con una voce che viene dal più -profondo dell'anima: — Amo questa terra bagnata -dalle lacrime che ho fatto spargere a mia madre! —; -quando, accennando ai suicidi degli schiavi di Cuba, -pronuncia con un accento che ti rimescola il sangue -queste semplici parole: Signori deputati, che orrore! — quando, -nella furia d'un'ispirazione che soverchia -quasi le sue forze, rovescia sul parlamento attonito -quei suoi periodi colossali, pieni di grandi -immagini e di grandi sentenze, che passano sonando -e sfolgorando come una legione di cavalieri del medio -evo; quando, parlando di religione, versa la -piena dei suoi pensieri affettuosi e malinconici, con -una voce dolce e tremante, e col linguaggio solenne -d'un sacerdote; quando racconta un atto d'eroismo, -quando ricorda una sventura, quando invoca una -memoria cara, quando consiglia, quando compiange, -quando prega; quando infine scorda il parlamento -e sè stesso, com'egli dice, e non vede più che terre -e popoli lontani, e tutta la sua anima è nel suo -cuore, e tutto il suo cuore nella sua parola; oh allora, -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -quanto egli è grande ed amabile! come gli si -perdonano tutte le sue vanità e tutte le sue utopie! -con che gioia gli si salterebbe al collo dicendogli: — Ah! -don Emilio, se non ti fossi mai immischiato -nella politica! -</p> - -<p> -Infine, io credo che la miglior definizione che si -possa dare di lui, sia la seguente, la quale contiene -in quel che dice la lode ch'egli merita e in quel -che tace la censura che gli è dovuta: -</p> - -<p> -È un grande artista e un gran.... buon ragazzo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -</p> - -<h2 id="pedante">UN CARO PEDANTE</h2> -</div> - -<p> -I mezzi pedanti, quelli che pedanteggiano per -ambizione di farsi temere, poichè non riescono a -farsi ammirare; i pedanti maligni, che s'accaniscono -contro la parola perchè detestano la persona; i -pedanti freddi, che sorridono e disprezzano, sono -gente volgare e noiosa. Ma quello nato coll'istinto -della pedanteria, quello che non dorme per un francesismo, -che si scorruccia con un amico perchè ha -scritto <i>figlio</i> invece di figliuolo, che sente una compassione -sincera per chi scrive <i>toeletta</i> invece di -teletta, che inveisce contro un monosillabo colla -voce strozzata dall'ira; quello, infine, che si rode e -si consuma, che non è aguzzino, ma vittima, e che -fa il pedante collo zelo e col coraggio d'un missionario -di Nostra Santa Lingua Immacolata, questa -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -specie di pedante mi piace e m'ispira rispetto, e -credo che sarebbe un peccato che se ne perdesse -la semenza. -</p> - -<p> -Di tale specie era un pedante che conobbi a Firenze, -del quale m'è rimasto un ricordo amenissimo -unito a un sentimento di sincera ammirazione. -</p> - -<p> -La prima volta che lo vidi, giovanetto com'ero -ed entrato allora, a scappellotto, nella repubblica -letteraria, mi fece una viva impressione. Lo vidi -una sera in fondo a una bottega di libraio, che -leggeva. Le sue mani lunghe e scarne, appoggiate -sul libro, parevano due enormi ragni che stessero -in agguato per afferrare le mosche <i>francesismi</i>. Il -suo naso adunco, che quasi toccava la pagina, arieggiava -il becco d'un uccello che frugasse fra le parole -per trovare i vermi <i>improprietà</i>. Tutta la sua -persona alta e magra, e incurvata sul tavolino, mi -dava l'immagine di non so che strumento di tortura -messo là per dilaniare lo scrittore che leggeva. Parlando -col libraio, ch'era piemontese, mi sfuggì -qualche parola di vernacolo, e nello stesso momento -vidi apparire e sparire sul suo viso, che mi si presentava -di profilo, una gran macchia bianca.... il -suo bianco dell'occhio. Di tanto in tanto si addentava -il labbro di sotto o rideva con isforzo, facendo -ballare le spalle. Tutt'a un tratto chiuse il libro -con dispetto e s'alzò esclamando: — Oh che gente! -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -Oh che galera! — Poi prese il cappello ed uscì. -Tutti i presenti risero ed io pure. Spinto dalla curiosità, -m'avvicinai al tavolino e diedi un'occhiata -al libro.... Era mio! -</p> - -<p> -Qualche tempo dopo, domandai informazioni sul -conto suo a un amico che lo conosceva intimamente. — È -una perla d'uomo, — mi disse; — ma un po' -stravagante. Figuratevi ch'egli vive due vite: la -vita reale, quella che viviamo noi, in mezzo ai nostri -simili; e un'altra vita, puramente immaginaria, -in un piccolo mondo ch'egli s'è creato colla lingua. -In questo piccolo mondo, nel quale gli uomini son -parole e le frasi avvenimenti, egli vi mette, o per -meglio dire vi prova tutte le passioni che prova -nell'altro. Ci ha le parole che ama come figliuoli, -le parole che odia, le parole che disprezza, le parole -che perseguita, le parole che gli turbano i sonni e -le digestioni, le parole che lo consolano e che l'aiutano -a sopportare i malanni della vita. Vi sono le -frasi di cui si risente come d'un'ingiuria, quelle che -lo affliggono come una sventura domestica, quelle -che gli mettono nell'anima dei dubbi amari e lo -fanno vivere in una continua inquietudine. Che suo -figlio diventi un cattivo soggetto e che la parola -<i>cómpito</i> cambi a poco a poco di significato, son due -calamità presso a poco uguali per lui. Che l'Italia -riesca a rassestare le sue finanze e che il verbo -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -<i>utimare</i> pervenga a pigliare il posto del verbo -<i>exploiter</i>, sono due buone fortune che egli desidera -col medesimo ardore. Egli ha una sola grande aspirazione: -che nel suo paese si scriva bene; e un solo -grande dolore: che non si sappia più scrivere. I -suoi affetti, i suoi pensieri, tutta la sua vita gira -su questo perno: la purità della lingua. -</p> - -<p> -Da altri seppi di lui altre cose, che mi parvero -incredibili, benchè mi fossero assicurate con insistenza. -Si diceva che un giorno aveva tenuto con -un suo servitore il dialogo seguente: -</p> - -<p> -— Tonio, il caffè. -</p> - -<p> -— Ce lo porto. -</p> - -<p> -— Che hai detto? -</p> - -<p> -— Che ce lo porto. -</p> - -<p> -— Hai gli otto giorni per cercarti un altro padrone, -manigoldo. -</p> - -<p> -Una volta, un suo conoscente, incontrandolo per -via, gli disse: — Ho letto con molto <i>interesse</i> il -vostro articolo. — Non me ne importa un fico, — egli -rispose, — e gli voltò le spalle. -</p> - -<p> -Si diceva che una sera, in una conversazione, -aveva dimostrato con un lungo ragionamento e -colla massima serietà che un uomo capace di scrivere, — <i>al -di là dei monti</i>, — invece di — <i>di là -dai monti</i>, — messo al punto, sarebbe stato capacissimo -di ammazzare a sangue freddo suo padre. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -</p> - -<p> -Fossero o non fossero vere queste cose, dopo -averne sentite tante, mi venne il desiderio di conoscerlo. -Prima, però, volli sapere precisamente che -cosa pensasse dei fatti miei, benchè la scena accaduta -dal libraio non mi lasciasse alcun dubbio consolante. -Un amico comune lo interpellò e n'ebbe -questa risposta: — Ditegli che per quel ch'è sentimento, -non c'è male; ma che per quello che riguarda -la lingua, scrive come un Seraceno. -</p> - -<p> -Meno male! — pensai. — Ora, almeno, so a che -paese appartengo, e qual è la <i>nazionalità</i> di cui -mi debbo spogliare. -</p> - -<p> -Gli fui presentato; m'accolse cortesemente. Il discorso -cadde subito sulla lingua. Gli domandai dei -consigli. Sospirò, mi disse che i tempi eran tristi, -che non v'era più amor di patria, che i bricconi -avevan il mestolo in mano; le quali cose si riferivano -unicamente alla lingua, e non alla politica, -come potrebbe parere. Gli domandai quali degli -scrittori del giorno, dei più illustri, s'intende, e -toscani, avrei potuto seguire, in fatto di lingua, per -non uscire dalla buona via; e glieli nominai uno -dopo l'altro. — Il tale? — Per amor di Dio! — rispose; — che -mi tocca di sentire! — Il tal altro? — Oh -numi! Ci mancherebbe anche questa! — Tizio, -dunque? — Oh povero figliuolo, che cosa le passa -per il capo! — E qui prese a citarmi una lunga -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -filza di francesismi, d'idiotismi, di neologismi, d'errori -d'ogni natura, sfuggiti a quegli scrittori, usando con -la maggior serietà tutte le espressioni che sogliono -adoperarsi al proposito degli scapestrati e dei malfattori, -come ad esempio: — Le pare che questo -sia un procedere da galantuomo? — Non so il tale -dei tali che fine farà. — Bisogna proprio aver perduto -ogni pudore, ecc., — a tal segno che, sapendomi -colpevole d'una gran parte degli errori di cui -accusava quei valentuomini, ebbi un momento il -timore che m'agguantasse per la cravatta e mi -conducesse alla questura. — Ma chi dunque scrive -italiano? — domandai. — Nessuno! gridò, alzando -il bastone. — Vi sarà qualcuno che scrive con parole -italiane, in lingua, frase per frase, italiana; ma -il complesso dello scrivere, ma l'ordito, ma il processo -del pensiero, per Dio, è francese! francese! -francese! La pelle è nazionale, il sangue che circola -sotto, è barbaro! Barbari tutti, italiani rinnegati, -scrittori senza coscienza e senza cuore! Se ne persuada, -giovinotto! E una verità vergognosa, ma è -la verità, la verità, la verità! — In quel punto -eravamo arrivati dinanzi alla porta di casa sua. — -</p> - -<p> -Ma, — dissi io timidamente: — Alessandro Manzoni.... — Santissima -Vergine! — esclamò turandosi -le orecchie colle mani, e infilò la porta correndo. -</p> - -<p> -Un giorno assistetti a un battibecco curioso tra -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -lui e il più grosso dei <i>due fondatori della prosa -borghese</i>, di cui parla il Carducci nella sua poesia -l'<i>Italia in Campidoglio</i>. S'era negli uffizi di una -Rivista mensile col Mamiani, il Berti ed altri barbari. -Il nostro personaggio inveiva contro «lo -scellerato vezzo» di usare i nomi propri senz'articolo. — Vi -assicuro, — diceva, — che quando leggo -<i>la casa di Manzoni</i> o <i>la statua di Dupré</i>, non -capisco. -</p> - -<p> -— Andiamo, via, — gli rispose il prosatore borghese; — codesta -è una esagerazione. -</p> - -<p> -— Vi dico che non capisco! -</p> - -<p> -— Vi sostengo che capite benissimo. -</p> - -<p> -— Vi ripeto che non capisco! gridò il purista -col viso acceso. -</p> - -<p> -— Giuratelo! — urlò il <i>borghese</i>. -</p> - -<p> -— Lo giuro, per Dio! — tuonò l'altro balzando -in piedi, e picchiando un gran pugno sul tavolino. -</p> - -<p> -— Avete giurato il falso! — ribattè il primo colla -sua voce stentorea, in mezzo alle risa e al vocío -generale, — e se mi sfidate, v'ammazzo senza pietà, -perchè son sicuro che andate all'inferno! -</p> - -<p> -Il povero purista ricadde spossato sulla seggiola, -esclamando con voce fioca e gli occhi rivolti al -cielo: — <i>La casa di Manzoni!</i>... Oh che gente! Oh -che paese! -</p> - -<p> -Un'altra sera entrò gravemente nella sala e disse -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -con un accento di tristezza e di pietà, rivolgendo -la parola a tutti: Bisognerebbe avvertire il Bonghi. -</p> - -<p> -Tutti pensarono che fosse accaduta al Bonghi -qualche disgrazia. -</p> - -<p> -— Bisognerebbe, — continuò colla stessa gravità. — che -se ne incaricasse un suo amico intimo. È -una cosa che ormai passa tutti i limiti. Quell'uomo -perde la testa. -</p> - -<p> -— Ma che cos'è seguíto? domandarono tutti con -ansietà. -</p> - -<p> -Era seguíto che il Bonghi, in una delle sue rassegne -politiche, aveva scritto <i>le fila dell'opposizione</i> -invece di <i>le file</i>. Tutti respirarono. -</p> - -<p> -E di questi aneddoti ne potrei citare una cinquantina. -</p> - -<p> -Con me, benchè mi tenesse in conto d'un buon -diavolaccio, non potè mai fare la pace. Riconosceva -i miei sforzi ed anco qualche progresso che avevo -fatto dall'Arabia verso l'Italia; ma in fondo, per -lui, ero sempre un Seraceno, e lo diceva ai miei -amici, onorandomi di un: — Peccato! — e di un: — Forse, -col tempo!... — che mi dava un po' di -consolazione. Qualche volta, poichè era pedante, ma -uomo di cuore, mi guardava fisso con un'espressione -di benevolenza pietosa; pensava, credo, con rammarico, -che io così giovane, ero già così miseramente -traviato; prevedeva i dolori che m'aspettavano; si -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -domandava che vita avrei trascinata, che razza di -educazione avrei data ai miei figliuoli, che fine miserabile -avrei fatta. Ma bastava che io gli domandassi -improvvisamente: — <i>Cosa</i> pensa? — perchè -vedesse ricomparire sulla mia fronte il marchio -inviso di Maometto, e mi guardasse come un'anima -perduta. -</p> - -<p> -Ora la semenza di questa specie di pedanti si va -perdendo. In fatto di lingua, tutte le maniche s'allargano; -i puristi più austeri transigono; gli stessi -accademici della Crusca, e i migliori, si lasciano -sfuggire parole e modi nuovi, e tengon dietro al -movimento della lingua; i pedanti indietreggiano -da ogni parte, incalzati dalla necessità e dalla critica; -la legione s'è ridotta un drappello, la marea -monta e li affoga. Eppure, sarebbe un peccato che -rimanessero tutti affogati. Nella letteratura, la varietà -è ricchezza. È bene che ci siano i demagoghi -temerari e i reazionari arrabbiati. Questi Don Chisciotte -del vocabolario che si slanciano a lancia in -resta contro le parole, hanno il loro bello; questi -carcerieri della lingua non sono inutili; la critica -del microscopio può far del bene. -</p> - -<p> -Oh mio buon pedante! non ti sdegnare contro di -me, se ti cadranno sotto gli occhi queste pagine: -io ti giuro sul Corano che non ebbi intenzione di -offenderti. Io ti temo, ma t'amo, perchè nel tuo -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -mondo di parole tu sei un artista, e sei un artista -perchè ami, soffri e combatti. E prego il cielo che -ti lasci lungo tempo ancora in questa valle di lagrime -e di francesismi. E t'auguro che il buon sacerdote -che ti assisterà nei tuoi ultimi momenti, ti -parli correttamente la parola di Dio. E desidero -che quando tu non sia più, tutti rammentino il tuo -nome con affetto, nessuno con <i>interesse</i>; e che -l'amico che scriverà la tua necrologia, non turbi -il riposo delle tue ossa, dicendo che tu, su questa -terra, hai fatto degnamente il tuo <i>cómpito</i>; ma -proclami altamente che hai esercitato con onore il -tuo ufficio. E chieggo a Dio come una grazia che se -l'anima del Petruccelli della Gattina è destinata a -salvarsi, egli la ponga in un altro cerchio del paradiso, -perchè la tua felicità non sia turbata dal ridestarsi -delle ire e dei dolori terreni. E così sia. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -</p> - -<h2 id="visita">UNA VISITA -AD -ALESSANDRO MANZONI</h2> -</div> - -<p> -È male parlar di sè, e peggio scriverne; ma quando -l'Io, invece d'essere lo scopo di quello che si dice, -non è che un mezzo per dire più facilmente e con -più garbo cose che riguardano altri e possono riuscire -gradite a molti, mi pare che sia lecito di servirsene; -e tanto più quando quest'<i>altri</i> sia Alessandro -Manzoni, e quell'<i>io</i> tanto piccino da non -poter neppure essere sospetto di vanità. -</p> - -<p> -Lasciatemi dunque cominciare dal piccino. -</p> - -<p> -Io ero in collegio, avevo sedici anni e scrivevo -dei versi. Il mio professore di letteratura italiana, -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -quando gli presentavo una poesia, mi permetteva -di leggerla, se gli pareva che lo meritasse, in piena -scuola; e i miei compagni solevano farla stampare -a proprie spese, cosa di cui mi rimorde ancora la -coscienza. Una delle prime poesie stampate fu un -canto alla Polonia, ch'era in rivoluzione appunto -in quell'anno; nel qual canto dicevo ira di Dio dello -Czar e del Papa, e facevo una descrizione fantastica -dell'isola di Caprera, assicurando che il sole vibrava -su quell'isola i suoi più splendidi raggi e gli angeli -la guardavano dall'alto con una viva simpatia. -</p> - -<p> -Questo canto, concepito un giorno che il direttore -m'avea messo a pane ed acqua, e composto quasi -per intero nelle tenebre del Dormitorio, mi pareva -allora una gran cosa; tanto che a un mio vicino di -banco, il quale, dopo lettolo, mi aveva detto gravemente: — Questo -canto resterà, — io, stringendogli -la mano, avevo risposto con non minore gravità: — Speriamo. — In -fine m'ero tanto montata -la testa, che un bel giorno misi una fascia all'opuscoletto, -stesi una lettera di accompagnamento, -scrissi sulla busta e sulla fascia: — Al signor Alessandro -Manzoni —, e buttai lettera e opuscolo, dopo -esser stato un po' colla mano per aria, nella buca -della posta. -</p> - -<p> -Passa una settimana, passano quindici giorni, -passa un mese; nessuna risposta. Non me ne meravigliai; -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -sapevo che il Manzoni scriveva pochissimo; -m'avevano detto che riceveva ogni giorno un monte -di lettere e di libri; era naturalissimo che avesse -buttato i miei versacci in un canto; non ci pensai -più. -</p> - -<p> -Un giorno, nel tempo della ricreazione, mentre -facevo la ginnastica sulle parallele, il direttore mi -chiama, corro, mi dà una lettera. Il carattere dell'indirizzo -mi era sconosciuto. Guardo il bollo: — Milano — Chi -può essere? Apro, leggo in capo alla -prima pagina <i>Gentilissimo giovanetto</i>; volto, tutto -il foglio è scritto; volto ancora, e vedo in fondo alla -quarta pagina <i>Alessandro Manzoni</i>. -</p> - -<p> -Come rimanessi non lo so dire. Sul primo momento -mi s'imbarbugliò la vista e mi tremaron le ginocchia; -poi rimasi qualche tempo immobile, guardando -quella firma, che pareva s'ingrandisse e s'impicciolisse -a vicenda, come per effetto d'una lente avvicinata -e rimossa. Infine corsi in un angolo appartato -del cortile e lessi. -</p> - -<p> -Ah, mio Dio! Io non posso ricordar quella lettera -senza un sentimento di mestizia. Riguardo ai consigli -ch'io avevo avuto l'audacia di chiedere, c'era -detto: — <i>Anch'io, nella prima gioventù, m'ero -formato di scritti altrui un concetto dal quale, col -crescer degli anni, ho dovuto detrarre. E non di -meno non ho poi provato rammarico d'un errore -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -che m'era stato occasione di voler bene anche ad -uomini con cui non avevo alcuna conoscenza. Così -spero che avverrà anche a lei riguardo a me e -alla mia memoria.</i> -</p> - -<p> -Riguardo alla poesia. — <i>Se le dicessi che i versi -mi paiono senza difetti, sarei un adulatore; ma -parlerei ugualmente contro il mio intimo sentimento -se dicessi che non mi par di vederci il -presagio d'un vero poeta. In mezzo a di que' difetti -che col tempo si perdono, ci sento (non dia -a queste parole altro valore che quello della più -schietta sincerità) quelle virtù che col tempo si -perfezionano e che nessun tempo può far acquistare.</i> -</p> - -<p> -Riguardo ai versi della poesia che accennavano -al Papa: — ....<i>Religione e patria sono due gran -verità, anzi, in diverso grado, due verità sante; -e ogni verità può spiegar tutte le sue forze e usar -tutte le sue difese senza insultarne un'altra. È -vero che le persone sono naturalmente distinte -dalle istituzioni, ma ci sono degli ordini di cose -in cui gli oltraggi (parlo di oltraggi, non di ragionamenti, -che, del resto, non sono materia di -poesia) in cui, dico, gli oltraggi alle persone non -possono non alterare il rispetto e la dignità della -istituzione medesima</i>, ecc. -</p> - -<p> -E infine v'era scritto: — «<i>Ho qui nel mio giardinetto -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -un giovane melagrano che questa primavera -ha portato molti fiori, i quali in parte sono -caduti, in parte allegano: il rigoglio di tutti e il -sano vigore di alcuni annunziano insieme che -quest'alberetto è destinato a dar frutti copiosi e -scelti.</i>» -</p> - -<p> -La lettera, ora che scrivo, è in un quadretto, e colui -che dovrebb'essere il melagrano carico di frutti, -la guarda con un misto di tenerezza e di rammarico, -pensando alle sue splendide speranze dei sedici -anni come a un bel sogno di tempi lontani. -</p> - -<p> -La lettera fu per il collegio un grande avvenimento; -il professore di letteratura la lesse nella -scuola; fuori del collegio, gli amici volevano vederla; -io non capivo più in me della contentezza; la rileggevo -cento volte al giorno; me la dicevo a memoria; -la notte sognavo che me l'avevan rubata; per -istrada mi pareva che quei che mi passavano accanto -si ammiccassero fra loro, come per dirsi: — Eccolo -là; — a tavola facevo i bocconi piccini, in -iscuola pigliavo degli atteggiamenti ispirati; in casa -dei parenti sorridevo con una bonarietà affettata, per -far vedere che, in fin dei conti, mi consideravo sempre -come loro parente. -</p> - -<p> -Quando si dice, le previsioni! Da quell'anno in -poi non ho più scritto un verso altro che per onomastici -di famiglia; non ho più avuto nemmeno la -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -tentazione di scriverne; e sono ora profondamente -persuaso che non sono nato per far dei versi. Chi -me l'avesse detto allora, quando un prosatore mi -pareva appena un uomo, e dicevo, leggendo il romanzo -<i>I promessi sposi</i>: — Peccato che non sia -in ottave! -</p> - -<p> -Quattro anni dopo ero sottotenente di presidio a -Pavia, con un battaglione del mio reggimento. Non -avevo mai visto Milano. Una mattina, svegliandomi, -mi viene il ticchio di farci una scappata. Ma, e il -permesso? To', bella idea! Mi faccio mandar da casa -la lettera del <i>melagrano</i>, la mostro al tenente-colonnello, -e gli dico: — Vorrei andar a Milano a -vedere il Manzoni. — Così feci; la lettera venne, -la diedi al mio capitano e lo pregai di domandarmi -il permesso. Il tenente-colonnello, quando intese, -prima di vedere la lettera, lo scopo della mia gita, -esclamò: — Oh! oh! nientemeno! — come per -dire: — Ci vuol della faccia; — ma, visto ch'ebbe -la lettera, accordò il permesso dicendo: — È un altro -par di maniche; vada e ce ne porti notizie. -</p> - -<p> -Partii la mattina seguente, era domenica, faceva -un bellissimo tempo. Arrivato a Milano e sbarcato -in non so che albergo vicino al duomo, domandai a -un piccolo cameriere dove stesse di casa il Manzoni. — <i>El -negoziant de mobil?</i> — mi domandò alla sua -volta. Ma che <i>negoziant de mobil</i>, — risposi; — il -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -conte senatore scrittore Alessandro Manzoni. — Oh mi -scusi! — esclamò il ragazzo arrossendo: — io credevo....; -il senatore Alessandro Manzoni sta in piazza -Belgiojoso; — e mi descrisse la casa. Era di buon'ora, -scappai a vedere il Duomo, poi difilato in piazza -Belgiojoso. Come mi battè il cuore quando vidi quella -casa! Con che venerazione mi levai il chepì entrando -nella stanzina del portinaio! Ma ahimè! Alessandro -Manzoni era a Brusuglio. Salii subito in una carrozza -e mi feci condurre a Brusuglio. Strada facendo -pensavo alle prime parole da dirgli; alla maniera di -baciargli la mano prima che avesse tempo di ritirarla, -come sapevo che faceva sempre; al modo di -tener la sciabola in sua presenza. Star davanti al -Manzoni, pensavo, colla sciabola! Mi pareva che non -andasse; l'avrei lasciata volentieri nella carrozza. -Per la strada passavan contadine e contadini; mi -parevan tutti visi di sante persone; in ogni vecchietta -vedevo Agnese, in ogni giovane Renzo, in -ogni bimbo Menico. Guardavo con insolito piacere -quel cielo di Lombardia <i>così bello quand'è bello</i>, -e quella campagna verde e tranquilla; i miei sentimenti -e i miei pensieri, via via che mi avvicinavo, -s'innalzavano; provavo quello che si prova salendo -su per una montagna; mi pareva di respirare un'aria -sempre più pura, e la mia mente si staccava dalla -terra. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -</p> - -<p> -La carrozza si fermò dinanzi alla villa, scesi, entrai -nel giardino, un servitore mi venne incontro -a domandarmi chi cercavo. Glie lo dissi: mi guardò -da capo a piedi, e mi rispose un <i>ma</i>, che voleva -dire: — Non so se sarà ricevuto. — Allora gli mostrai -la lettera, la prese e accennandomi che lo seguissi -si diresse verso la porta d'una stanza a terreno, -dove entrò, dopo avermi pregato d'aspettare -un momento. M'appoggiai all'uscio e tesi l'orecchio. -Dopo un momento sentii una voce tremola pronunziare -lentamente queste parole: — <i>Gentilissimo giovanetto. -Degl'incomodi abituali non m'hanno permesso di -ringraziarla nel primo momento, come desideravo -vivamente, dei versi ch'Ella m'ha fatto il favore -d'inviarmi</i>.... — Qui la voce tacque, e subito dopo -uscì il servitore, il quale mi fece riattraversare il -giardino ed entrare in un salotto, dove mi lasciò -solo dicendomi: — Ora viene. -</p> - -<p> -Io stetti qualche minuto guardando la porta cogli -occhi fissi, con tutta la persona immobile, respirando -appena, come se fossi stato davanti a una macchina -fotografica. -</p> - -<p> -La porta s'aperse.... -</p> - -<p> -O miei benevoli amici e non amici, che mi avete -detto tante volte e con tanta ragione, che il mio -cuore è una spugna, che i miei occhi son due fontanelle -di lagrime, che i miei soldati sono donnette -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -e che tutte le righe dalle mie pagine sono come -tanti rigagnoli che corrono al gran mare del pianto -in cui morirò un giorno annegato, siate giusti; -riconoscete che almeno questa volta io avevo diritto -d'intenerirmi; confessate che anche voi altri vi sareste -sentiti un leggero moto di convulsione alla -gola; e allora mi farò animo e vi dirò che io, lungo -come un granatiere, io, colla mia sciabola d'ordinanza -e colle mie pompose spalline, io, quando il -Manzoni comparve, gli corsi incontro, gli afferrai -la mano e diedi in uno scroscio di pianto così improvviso, -così violento e così sonoro, che quello di -uno qualunque dei miei soldati sarebbe parso, al -confronto, un vagito di bambino. -</p> - -<p> -Il buon vecchio mise la sua mano sulla mia e mi -disse con accento amorevole: — Vede.... cosa vuol -dire avere un carattere così.... buono e.... ingenuo; -si provano delle sensazioni.... violente; si rimetta, -via.... si rimetta. -</p> - -<p> -Riferire per ordine la conversazione che seguì -poi, se si può chiamar conversazione un dialogo nel -quale uno dei due interlocutori dice appena quello -che è indispensabile per dar appiglio all'altro di -parlare, non saprei. Ricordo che mi domandò sorridendo: — E -la poesia? — e che avendogli io risposto -che l'avevo lasciata in disparte, mi disse: — Torneranno, -torneranno i tempi per la poesia. — Ricordo -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -che parlò della battaglia di Custoza e -disse: — <i>Fracta virtus!</i>; che recitò due strofe di -una canzonetta del Brofferio intitolata: <i>El baron -d'Onea</i>, fermandosi al verso: <i>a sauta</i>, <i>a pista</i>, <i>a -braia</i>, per non dire la parola licenziosa ch'è nel -verso seguente; che parlò, richiesto ripetutamente, -del <i>Cinque maggio</i>, dicendo che gli aveva suggerito -di scrivere quell'ode sua madre, mentre egli, -all'annunzio della morte di Napoleone, s'era messo -a declamare dei versi del Monti; ode, soggiungeva, -piena di latinismi e di francesismi, della quale era -ben lontano, quando la scrisse, dal prevedere <i>quel -po' di fortuna</i> che aveva avuta in seguito; e m'indicò, -se non sbaglio, il tavolino su cui l'aveva scritta. -Su quel tavolino v'era il <i>Fior di memoria</i> del -Cantù, che gli diede occasione di parlare d'un suo -nipotino, il quale comparve poco dopo. Dopo il nipotino -comparve il suo figliuolo primogenito. — Vede, -disse il Manzoni, che questo figliuolo è una -terribile fede di battesimo e che non posso più fare -il giovanotto. — A una cert'ora mi lasciò per andar -a desinare, e io rimasi solo, e mi misi a studiare -a memoria i quadri, i mobili, i libri; e mi -stampai così bene ogni cosa nel capo, che ce l'ho -ancora, e sarei in grado di fare un inventario appuntino -di quel salotto, come ne ho poi fatto molte -volte lo schizzo a penna nella stanza dell'uffiziale -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -di picchetto e nel camerino del furiere. Quando -tornò s'andò a fare un giro nel giardino. Ricordo -ch'ero impacciato a camminare, che inciampavo -nella sciabola, che parlavo senza garbo, che facevo -delle domande scipite e che standogli così accanto -quasi da toccarlo colle gomita, avevo non so che -vergogna di esser più alto di lui di quasi tutta la -testa, e cercavo di farmi piccino; e provavo poi un -vivo dispetto vedendomi in quel modo tutto luccicante -d'argento vicino a lui vestito modestissimamente, -e mi rincresceva di non essermi infilato -il cappotto; e guardandolo quando mi precedeva di -alcuni passi che andava chino e lento sulle gambe -mal ferme: — Ah caro vecchio, dicevo tra me, se -potessi darti la mia salute e la mia forza, con che -cuore te la darei, dovessi anche domandare l'<i>aspettativa -per infermità non provenienti dal servizio</i>! -</p> - -<p> -Venne finalmente l'ora d'andarsene; accommiatandomi, -volli baciargli la mano; egli mi porse il viso -e sentì forse l'umidità delle mie guance. — <i>Giuan, -el legnn!</i> — disse al suo cocchiere mentre uscivo; -lo ringraziai accennandogli la carrozza che mi aspettava. -Vidi, uscendo, le sue due belle nipoti, che forse -avevano udito lo scroscio; attraversai il giardino -facendo un gran strepito con quella maledetta sciabola -che mi picchiava sulle gambe; e al momento -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -di risalire in carrozza, voltandomi, lo vidi ancora -fermo sulla porta che salutava col fazzoletto. -</p> - -<p> -— Addio! — risposi in cuor mio, — addio, padre, -maestro, amico; addio, santo consolatore; oh se -fosse qui il mio reggimento e potessi farti presentare -le armi! -</p> - -<p> -E lo salutai militarmente, con tutte le regole, -come avrei salutato un generale. -</p> - -<p> -Arrivato a Milano, all'albergo, scrissi a casa una -lettera di otto pagine nella quale dicevo che Milano -m'era parsa la più bella città del mondo, che il -Manzoni era un angelo e che io ero felice. -</p> - -<p> -La sera tardi arrivai a Pavia, e rientrando in -casa trovai parecchi amici sulla porta che mi domandarono -tutti insieme: — Ebbene, l'hai visto? -gli hai parlato? -</p> - -<p> -— L'ho visto, gli ho parlato e l'ho anche baciato! -risposi. -</p> - -<p> -— Sentiamo, — gridarono tutti in coro, — siedi -e racconta. -</p> - -<p> -— Dirò tutto, — risposi; — ma lasciatemi fare un -po' di prefazione. È male parlar di sè; ma quando l'Io, -invece di esser lo scopo di quello che si dice, non è -che un mezzo per dire più facilmente cose che riguardano -altri e che possono riuscire gradite a molti.... -</p> - -<p> -— Oh basta! — esclamarono gli amici — che -seccatura! di' dunque, come ti sei fatto ricevere? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -</p> - -<p> -— Ve lo dirò, — cominciai; — ma bisogna ritornare -un po' addietro. Io era in Collegio, avevo -sedici anni e scrivevo dei versi. Il mio professore -di letteratura.... -</p> - -<p> -Diavolo! senz'accorgermene ricominciavo a scriver -l'articolo. Si vede che dopo otto anni da quella -visita, a pensarci, mi si confonde ancora la testa. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -</p> - -<p class="center x-large"> -ALCUNE OSSERVAZIONI<br /> -SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA -</p> - -<p class="center large"> -(per i ragazzi non toscani). -</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -</p> - -<h2 id="vocabolario">LA LETTURA DEL VOCABOLARIO</h2> -</div> - -<p> -Lessi, non è molto, in uno scritto dedicato a Teofilo -Gautier, il seguente periodo: — «Un giorno il -Baudelaire gli domandò: — Come avete fatto per -imparare a scrivere in questo modo? — E il Gautier -rispose: — Ho studiato molto il vocabolario. — Si -dice infatti ch'egli soleva leggere il vocabolario -con molto diletto. — Legger queste parole, e -veder come cadere un velo dinanzi ai miei occhi, -e apparire un vocabolario, come il pugnale a Macbetto, -in aria, volto di costa verso la mia mano, -perchè l'afferrassi, fu un punto. Compresi, voglio -dire, tutto ad un tratto, e per la prima volta, che -leggere il <i>Vocabolario della lingua italiana</i>, leggerlo -da capo a fondo, e rileggerlo, e postillarlo, e -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -farne spogli, e continuare a leggerlo, per consuetudine, -un po' tutti i giorni, è più che un bisogno, -un dovere di coscienza, non solo per chi scrive, ma per -qualunque cittadino il quale desideri di morire senza -rimorsi. Mi rammento che al balenare di questa -verità, mi vergognai di non averla scoperta prima -(per conto mio, ben inteso, che del resto la scoperta -ha le barbe); e che appuntando il dito contro -il calamaio, come per incaricarlo di rappresentare -un momento la mia persona, gli gridai: — Arrossisci! — Poi -presi a snocciolargli le molte ragioni, -per le quali credevo che dovesse arrossire: — che -nessuno, cioè, può ragionevolmente credere d'avere -studiato la lingua, se non s'è servito del mezzo più -semplice, più spiccio e più sicuro di conoscerne, se -non tutti, quasi tutti gli elementi, e che questo -mezzo non è altro che il <i>Vocabolario</i>, il solo libro -nel quale della lingua si può vedere tutta la ricchezza, -e abbracciarne, per così dire, il complesso, -con una qualche sicurezza, nella quale l'intelletto -si riposi, e dalla quale proceda poi, con maggior ardimento, -a studiare nei libri. Che studiar la lingua -soltanto nei libri, ed anco solo nel popolo che la parla, -è uno studiarla a caso, poichè nei libri non ce n'è -che una parte, nè il popolo la parla tutta, tacendo -pure della impossibilità, quando tutta la parlasse, -di tutta raccoglierla; del che si ha una prova nel -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -fatto, che non v'è alcuno il quale scorrendo del -<i>Vocabolario</i> solo una minima parte, non trovi un -buon numero di vocaboli propri a significare oggetti -o fatti, ch'egli non soltanto non ricordava, -ma di cui non sopponeva nemmeno l'esistenza, e -a cui sostituiva definizioni, paragoni, giri di parole. -Che il fatto di non studiarsi tutto il <i>Vocabolario</i> -è cagione che un'infinità di cose non si dicano -mai, nè si scrivano da nessuno e in nessun -luogo, neppure in Toscana; non essendoci altra maniera, -fuor di questa, di sapere come si dicano, -quando occorre di dirle, se non facendo ricerche -spesso lunghissime, qualche volta vane, sempre seccanti: -onde si preferisce di lasciar correre. Che -nella lingua scritta, ed anco nella parlata dalla gente -colta, per ciò solo che non si studia il <i>Vocabolario</i>, -c'è molto meno varietà di quanta ce ne protrebb'essere, -essendosi ciascuno, a una certa età, formato -un corredo di parole e di modi, che gli bastano ad -esprimere quello che ordinariamente ha da dire, e -che però non s'accresce più, salvo che per straordinarî -bisogni; mentre colla lettura assidua del -<i>Vocabolario</i> faremmo ciascuno al nostro linguaggio -buttare ogni giorno delle messe nuove, e potremmo -dire ogni giorno qualcosa di più, e di questo lavoro -di tutti s'arricchirebbe la comune lingua parlata e -scritta. E altre molte ragioni trite e ritrite, ma -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -non mai ripetute abbastanza, la conclusione delle -quali fu che io m'ero ingannato fino allora nel considerare -il <i>Vocabolario</i> come un libro fatto soltanto -per rispondere quand'era interrogato; ch'esso era -invece un libro da leggersi per disteso, come una -storia, o un trattato, o un romanzo; e da tenersi -sul tavolino da notte; e da portarselo, a fascicoli, -nelle passeggiate in campagna. -</p> - -<p> -Mi misi a leggere, cominciando dall'A, con grande -ardore, e divorai in pochi giorni parecchie centinaia -di pagine, tempestando i margini di note in -modo da non lasciarli più vedere. Che volete? Il -diletto che ci provai fa tale e tanto, che non potei -resistere al desiderio di esprimerlo, e sospesa -la lettura, tirai giù le linee seguenti. -</p> - -<p> -Mi raffiguro una sala immensa, nella quale siano -stati raccolti e schierati confusamente gli oggetti -di cento Esposizioni universali. Attraversare di -corsa questa sala dev'essere un piacere della natura -di quello che si prova leggendo il <i>Vocabolario</i>. -Voi trascorrete dalla città alla campagna, dal mare -alla terra, dalla terra al cielo, dal cielo nelle viscere -della terra, colla rapidità con cui trascorrerebbe -la vostra immaginazione abbandonata ai suoi -grilli. Accanto a un mobile di casa, vedete un'arma -del medio evo, accanto all'arma un pesce raro, più -in là una pianta asiatica, poi un ingegno meccanico, -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -poi una pietra preziosa, poi un fiore, poi un -edifizio, poi un tessuto. Trovate strumenti di tutte -le arti, termini di tutte le scienze, vestimenti di -tutti i popoli, usi di tutti i tempi, immagini di tutte -le religioni. V'accompagna per la via un vocío continuo -intercalato di proverbi, di bisticci, di frizzi -plebei, di grida di meraviglia, d'insulti, di complimenti, -di beffe, di saluti. Incontrate una folla di -parole che vi paiono larve di persone; le dotte, -tronfie, professori cogli occhiali; le antiquate, archeologi -tabacconi, pieni d'acciacchi, che brontolano -contro la gente nuova; le nuove, fresche, -sfrontate, come giovanotti entrati or ora nel -mondo, con qualche lettera commendatizia di scrittore -autorevole; le comuni, uomini pubblici con un -lungo codazzo di clienti; le sinistre, soggetti da -questura; le altisonanti, spacconi da assemblee popolari; -le leziose, nobiluccie affettate; le sconcie, -donnaccie senza pudore, con un marchio di riprovazione -sulla fronte; le straniere, viaggiatori smarriti; -i diminutivi, frotte di bambini, in lunghe file, -colle mamme alla testa. E voi passate accanto -all'une, senza guardarle, come persone di casa; all'altre -fate un saluto in aria d'indifferenza; a queste -correte incontro come a gente dimenticata, che si -rifaccia viva; a quelle vi fermate innanzi un momento, -per fissarvene in mente l'aspetto; e quale -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -vi fa ravvedere d'un errore, quale vi dà un consiglio -amichevole, quale vi accenna un fatto storico, -quale vi espone una tradizione popolesca; e voi -pensate, ridete, fantasticate, e imparate lingua, -storia, morale, poesia, scienza, giuochi, mestieri -finchè chiudete il libro storditi, come all'escir da -una sala dove aveste veduto insieme un teatro, un -mercato e un'accademia. Che si può trovare di più -in un libro? Come si può negare che sia un libro -incantevole? E quando si potrà dire d'averlo letto -abbastanza? -</p> - -<p> -Il Mantegazza nella sua <i>Fisiologia del piacere</i> -ha dimenticato il <i>Vocabolario</i>, ed è una dimenticanza -che non gli si può perdonare. Mi ricordo d'un -professore di matematica, ardentissimo della sua -scienza, il quale, portate per la prima volta in -scuola le Tavole dei logaritmi, chinò il viso sul -libro fino a toccare il margine col mento, e agitando -in alto le braccia tese esclamò con un accento -d'inesprimibile soddisfazione: — Com'è dolce -nuotare in questo oceano! — E così è dolce nuotare -nel <i>Vocabolario</i>. Si va giù per le colonne -come per la corrente d'un fiume, e le parole sono -villette, piante e donnine schierate lungo la riva; -ci si lascia andare, e si scivola placidamente, pensando -a mille cose, come quando si scartabella un -albo di paesaggi, e si canta. Il <i>Vocabolario</i> è un -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -libro fantastico. Si dice che la lettura delle <i>Mille -e una notte</i> desta nella mente un turbinío di immagini -abbarbaglianti, che danno una specie di ebbrezza, -seguíta da sogni deliziosi. Cinquanta pagine -di <i>Vocabolario</i> suscitano nella testa una folla d'immagini -più fitta, più varia, più turbinosa, che quella -delle <i>Mille e una notte</i>. Chiuso il libro, chiudo gli -occhi, e vedo intorno a me una miriade di cose -disparatissime, che girano e s'inseguono, spariscono -e riappaiono, come un nuvolo di farfalle, produgendomi -nella mente un tumulto piacevole, che -mi dura anco nel sonno. Il <i>Vocabolario</i> eccita i -sensi. -</p> - -<p> -E lasciando da parte i piaceri, e per farla anche -un po' da pedante, quante cose insegna nel suo -casalingo linguaggio e colla sua paterna bonarietà, -quest'aureo libro! Col suo costante, semplice e severo -definire e specificare ogni cosa, dà contorno -e lume alle vostre idee; così che dopo la lettura -d'un'ora, se vi mettete a scrivere, non vi pare che -quello che pensate e il come lo esprimete siano mai -abbastanza chiari e determinati, e non vi contentate -più della prima forma, e finite poi col far meglio. -Col descrivere minutamente quegl'infiniti oggetti, -che noi sogliamo indicare aiutando la parola -col gesto, senza riuscir mai a porgerne l'immagine -a chi non li abbia veduti, ci esercita alla descrizione -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -minuta, all'uso delle parole proprie, a quel -lavoro di musaico della lingua, a quella lotta contro -le piccole difficoltà, che gli scrittori di libri -letterarî scansano quasi sempre fingendo di sdegnarla, -ma in realtà perchè la temono. Poi, la curiosità -è mezza scienza, e il <i>Vocabolario</i> ci mette -ad ogni passo una curiosità; leggendo sentite il -bisogno d'aver accanto ora un botanico, ora un -meccanico, ora un archeologo, ora uno storico, chè -l'affollereste di domande; non l'avete? la curiosità -resta, le domande si appuntano, alla prima occasione -si faranno. E poi, parola e pensiero son gemelli -della mente: quante faville vi accende nella -testa il <i>Vocabolario</i>! Il Gautier diceva che ci son -parole diamante, parole zaffiro, parole rubino, che -non domandano che d'essere incastonate; si può -dir di più; ci son parole che gettan l'idea d'un lavoro; -parole che dánno la sveglia a mille pensieri -che ci stavano come ravvolti e nascosti in un angolo -della testa; parole che ci ravvivano la memoria -di tutto un libro dimenticato. E infine la -lettura del <i>Vocabolario</i> fa l'effetto d'una lezione -di modestia, perchè si può ben esser dotti, ma in ogni -colonna si troverà sempre quella parola che ci fa -dire: — Non sapevo! — e ci rende accorti d'una -lacuna che avevamo nella mente. Molti lo dovrebbero -leggere non foss'altro che per esercitarsi a -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -tirare indietro, come la lumaca, le corna dell'orgoglio. -</p> - -<p> -Ma non solamente è un libro ameno, utile e morale; -il <i>Vocabolario</i> si fa anco amare perchè è il -libro più intimamente «nazionale» di tutta la letteratura; -ci han lavorato tutti i secoli, ci abbiamo -lavorato tutti; dotti, analfabeti, fanciulli; c'è un -verso d'ogni poeta e un periodo d'ogni prosatore; -ogni grande avvenimento ci ha lasciato un ricordo: -c'è la storia della nostra lingua; vi si trovano le -traccie della lotta secolare tra la lingua prima e -lo spirito trasformatore del popolo; vi son le parole -moribonde, le vittoriose, le storpiate, le trasfigurate, -le invulnerabili, le uccise, le sotterrate, -le fracide, le risorte; è un vero campo di battaglia -sul quale tutte le nostre provincie e tutte le nostre -città hanno mandato soldati; è un libro tutto patria; -il più nostro di tutti; si prova, a scorrerlo, -quel piacere della proprietà che il Mantegazza annovera -tra i più dolci; si gode a maneggiarlo come -a palpare un mazzo di chiavi di casa nostra; a uno -straniero che ci offendesse, daremmo sulla testa, in -nome d'Italia, a preferenza d'ogni altro libro, questo; -a volte ci si sente presi di vera tenerezza per lui; -io gli batto la mano su, e gli dico; — Maestro, -amico, consigliere, che sai tutto e rispondi a tutto -ed a tutti, fido compagno degli studiosi, pedantone -caro e glorioso, ti saluto! — -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -</p> - -<p> -Quante volte vi piglia la tentazione di consigliare -la lettura del <i>Vocabolario</i> come farebbe un medico -d'un medicinale! Quando voi, per esempio, che non -sapete parlare il dialetto, o che vi siete intestati -di non volerlo parlare, entrando in una casa di -buona gente, vedete ragazzi fuggire, signorine turbarsi, -e padre e madre, dopo aver tentato, a più -riprese, ma invano, di farvi cambiare linguaggio, -pigliar quasi il broncio, e lasciar languire la conversazione; -quanto volontieri, all'uscire, consegnereste -alla cameriera un biglietto di visita con su -scritto, a modo di ricetta: <i>Vocabolario!</i> E quando -vi si presenta un giovanetto, del quale si narran -meraviglie, laureato, autore di belle poesie, che cinguetta -il francese, l'inglese, il tedesco, e che poi, -messo al punto di dovervi raccontare in italiano, -alla lesta, non so qual caso seguíto a lui, s'impenna, -si ripiglia, non può dire quello che vuole, e butta -fuori strafalcioni da pigliar con le molle, con che -matto gusto, finito quello strazio, gli mormorereste -nell'orecchio, a modo di pietoso confessore: <i>Vocabolario!</i> — Finalmente -se si potesse fare quello che -un mio amico repubblicano desiderava; il quale, -per gettare lo spavento in cuore ai partigiani della -monarchia che gavazzano alle spese del povero popolo, -avrebbe voluto che non so quale smisurato -gigante immaginato da lui, lanciasse dall'Alpi a -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -Siracusa un tale grido di disperazione, da far traballare -le mura e andare in frantumi i vetri di -tutti i palazzi d'Italia; sarebbe a desiderarsi che -questo gigante, rizzatosi in mezzo a tante migliaia -d'Italiani che non vogliono parlar la lingua propria, -o la stroppiano, o l'appestano, o la castrano, o la -svergognano, gridasse con tutta la forza dei suoi -prodigiosi polmoni: — <i>Vocabolario</i>. -</p> - -<p> -E poichè in questi giorni, — come intesi dire a -un negoziante — tutto ciò che si scrive, anche in -materia di letteratura, deve avere la sua «conclusione -pratica» ne tirerò una anch'io da questo -scritterello. E dirò come dice chiunque, ormai, che -abbia tre lettere dell'alfabeto in testa, quando vuol -mettere innanzi una proposta; se fossi Ministro -della istruzione pubblica, dirò, metterei nel programma -d'insegnamento per le scuole del Regno, -colla più profonda convinzione di far cosa utile -all'Italia, la lettura obbligatoria di tutto il <i>Vocabolario</i> -della lingua, con spogli, commenti ed esame -alla fine d'ogni anno. «Come si dice in italiano -questo? e quello? e quest'altro?» domande ragionevolissime -da fare a uno studente che sappia tant'altre -cose. Dicono: — C'è dei <i>Prontuari</i>! — Lavoro -fatto, non ci credo; bisogna comprar la lingua col -nostro santo inchiostro e d'altra parte i <i>Prontuari</i> -non contengon che nomi. Non c'è tempo! Vediamo: -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -io ho il Fanfani in mano, ultima edizione, millesettecento -pagine, otto volumi di sesto ordinario, -di quattrocento pagine l'uno, dieci pagine al giorno: -</p> - -<p> -— Un anno. -</p> - -<p> -Io continuo, e voi, ragazzi, seguite il mio consiglio: -cominciate. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -</p> - -<h2 id="appunti">APPUNTI</h2> -</div> - -<p> -Qualunque italiano non toscano, e specialmente -un italiano delle provincie settentrionali, il quale -si metta a leggere il vocabolario, si persuade fin -dalle prime pagine di questa verità: che la lingua -italiana generalmente parlata e scritta nelle sue -provincie è tanto povera, — tanto scarsa, voglio -dire, di vocaboli e di modi, — da doversi chiamare -piuttosto una <i>mezza lingua</i>, che una lingua intera. -Leggendo il vocabolario, infatti, si trovano centinaia -e migliaia di vocaboli e di modi vivi, efficacissimi, -d'un significato che non sapremmo rendere -con altre parole; i quali nell'Italia settentrionale -non si dicono e non si scrivono mai, o rarissimamente, -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -come se fossero modi e vocaboli morti. È -superfluo il dir la ragione di questo fatto, il quale -è comune a tutte le lingue da per tutto dove si -parla un dialetto. Ma non è inutile l'accennarlo e -l'insistervi per dimostrare ai giovani dell'Italia settentrionale -i quali si dánno allo studio della lingua -italiana, come per prima cosa essi debbano cercare -d'appropriarsi di questa lingua quella grandissima -parte che loro manca, e della cui mancanza nulla -ci può avvertire così prontamente e così utilmente -come la lettura del vocabolario. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Si notino, per esempio, i seguenti vocaboli tolti -dal dizionario del <span class="smcap">Fanfani</span>. -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Appiccichino.</span> — Uomo che si appiccica ad altri -per molestare, o chiedendo o cianciando, o mostrando -famigliarità soverchia. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Attacchino.</span> — Più maligno, più pungente che <i>Attaccalite</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Attizzino.</span> — Chi attizza gli altri fra loro. Generalmente -si dice <i>mettimale</i> che non è la stessissima -cosa. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Cicalino.</span> — È superfluo notare la differenza che -corre fra questa parola e <i>cicalone</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Donnino.</span> <span class="smcap">Es.</span>: <i>Che camera assestata tiene questo -Pietro: è proprio un donnino</i> (Fanf.) -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Farfallino.</span> — Uomo volubile. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Ficchino.</span> — È quasi lo stesso che <i>Ficcanaso</i>; ma -dicesi più specialmente di chi, anche non invitato, -cerca di andare o a pranzi o a ritrovi, ecc.; -mentre <i>Ficcanaso</i> è chi si ficca per curiosità -più che per altro. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Frucchino</span> (da Frucchiare). — Chi mette le mani -per ismania di darsi faccenda in diverse cose, -e anche in una sola, ma con gran moto, senza -senno nè gravità, e senza che le cose nelle quali -mette le mani gli appartengano gran fatto. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Frugolino.</span> — (dimin. di frugolo). — Una donnina, -un bimbo, un ometto che non sta mai fermo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Galoppino.</span> — Uno che strappa da vivere facendo -mille mestieri. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Girandolino.</span> — Lo stesso che Farfallino. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Pertichino.</span> — Nel linguaggio teatrale si chiama -<i>pertichino</i> quel cantante che sta fisso in teatro, -a un tanto il mese, e che è adoperato a fare -le parti più umili, ordinate solo a tener bordone -e far apparir meglio le parti principali. Si applica -per analogia ad altre persone. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rabattino.</span> — Persona ingegnosissima che in mille -modi, ma sempre per vie oneste, cerca di guadagnare -e vantaggiare la propria masserizia. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Stillino.</span> — Lo stesso che <i>Rabattino</i>; ma dicesi -anche di chi aguzza l'ingegno per riuscire in -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -alcuna cosa; da <i>stillare</i>, trovare accortamente -il modo di far checchessia; <i>stillo</i>, modo, via, ecc. -<span class="smcap">Es.</span>: <i>Trova qualche stillo per divertire, o per -tenere a dada questa gente.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tritino.</span> — Dicesi di chi ha la manía di vestir bene, -ma non potendoci arrivar colla spesa, ha sempre -dei panni rifiniti, e di poco valore. -</p> -</div> - -<p> -Quante volte, parlando e scrivendo, noi italiani -del settentrione abbiamo bisogno di queste parole, -e non le sapendo, o non avendole, come suol dirsi, -alla mano, ne diciamo altre che non esprimono il -nostro pensiero! Invece di <i>stillino</i>, per esempio, -uomo ingegnoso; invece di <i>tritino</i>, vestito male; -invece di <i>frugolino</i>, vivace; invece di <i>rabattino</i>, -mestierante; invece di <i>appiccichino</i>, seccatore; parole -generiche, adoperabili in mille casi, dalle -quali il linguaggio non riceve nè colore nè garbo. -L'<i>astratto</i>, come diceva il Manzoni, invece del <i>per -l'appunto</i>. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Si notino quest'altre, tolte pure dal dizionario del -Fanfani. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -</p> - -<ul> -<li><span class="smcap">Affannone</span></li> -<li><span class="smcap">Almanaccone</span></li> -<li><span class="smcap">Arruffone</span></li> -<li><span class="smcap">Cabalone</span></li> -<li><span class="smcap">Ciabattone</span></li> -<li><span class="smcap">Faccendone</span></li> -<li><span class="smcap">Fiutone</span></li> -<li><span class="smcap">Fracassone</span></li> -<li><span class="smcap">Frugone</span></li> -<li><span class="smcap">Girandolone</span></li> -<li><span class="smcap">Litigone</span></li> -<li><span class="smcap">Lumacone</span></li> -<li><span class="smcap">Impiccione</span></li> -<li><span class="smcap">Machione</span></li> -<li><span class="smcap">Ninnolone</span></li> -<li><span class="smcap">Nottolone</span></li> -<li><span class="smcap">Piallone</span></li> -<li><span class="smcap">Sballone</span></li> -<li><span class="smcap">Scialone</span></li> -<li><span class="smcap">Scioperone</span></li> -<li><span class="smcap">Sgomentone</span></li> -<li><span class="smcap">Sincerone</span></li> -<li><span class="smcap">Soffione</span></li> -<li><span class="smcap">Stronfione</span></li> -<li><span class="smcap">Rigirone</span></li> -<li><span class="smcap">Tatticone</span></li> -<li><span class="smcap">Tentennone</span></li> -<li><span class="smcap">Trafficone</span></li> -<li><span class="smcap">Trappolone</span></li> -<li><span class="smcap">Viluppone</span></li> -</ul> - -<p> -Di queste trenta parole, ciascuna delle quali ha -un significato distinto, intelligibile da qualunque -italiano che le senta per la prima volta, quante -sono usate, così parlando che scrivendo, dagli italiani -settentrionali? Tutt'al più quattro o cinque. -E che parole s'usano invece? Ci rifletta un momento -un piemontese, un genovese o un lombardo, e riconoscerà -che usa quasi sempre una perifrasi, o esprime -la cosa con un gesto, o dice una parola la quale -non rende che presso a poco il suo pensiero. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Di questa povertà della lingua che si parla tra -noi, s'ha una prova ogni momento. Un giorno, per -esempio, ch'ero a desinare da una famiglia piemontese, -la padrona di casa mi disse: — Lei oggi -non ha appetito. — Non è che non abbia appetito, — risposi -celiando; — è che ho fatto uno <i>spuntino</i> -due ore fa. — Questa parola <i>spuntino</i> destò uno -stupore generale, e tutti mi guardarono come per -domandarmi che diavolo avessi voluto dire. Io continuai: — In -ogni modo bisogna che desini per non -essere poi obbligato a fare un <i>ritocchino</i> fra un -paio d'ore. — Nuova meraviglia per questo misterioso -<i>ritocchino</i>. — Del resto, soggiunsi, questo -piatto è così squisito che vorrei pigliare ancora il -<i>contentino</i>. — Terza meraviglia per il <i>contentino</i>. -</p> - -<p> -Infine mi domandarono che cosa significassero -quelle tre parole. -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Spuntino</span>, — è il piccolo mangiare che si fa fuori -dell'ordinario e tanto per sostenere lo stomaco -fino all'ora solita del cibo. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Ritocchino</span>, — è un piccolo pasto che si fa dopo -aver mangiato. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Contentino</span>, — è quel po' che si piglia ancora d'una -cosa che ci piaccia, dopo che se n'è già mangiata -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -la propria porzione. (Si dice pure per la -giunta che si dà dopo la derrata). (F.) -</p> -</div> - -<p> -Queste tre parole graziosissime, usate in tutta la -Toscana, entrarono da quel giorno nel vocabolario -faceto della famiglia, invece delle espressioni <i>mangiare -prima del desinare</i>, <i>mangiare dopo</i>, <i>prendere -ancora un boccone</i> che erano usate prima. -Ora ci sarà qualcuno il quale consideri quelle parole -come fiorentinismi, e le voglia bandite solo perchè -non sarebbero capite alla prima in tutta l'Italia? -Si approvi o no l'idea del Manzoni, non si -può rifiutare di prendere tra le espressioni e i vocaboli -toscani tutti quelli che servono a dir cose -che noi diciamo altrimenti con più parole e con -meno garbo. Ho veduto, per esempio, dei genovesi -e dei piemontesi sudar freddo per dire in italiano -quello che in francese si dice <i>foisonner</i>, in piemontese -<i>fe foson</i>, in genovese <i>faa reo</i>, ecc.; una -cosa che in famiglia occorre di dire spessissimo: di -alimenti, cioè, i quali per mangiare che se ne faccia, -pare che non consumino e sieno più abbondanti di -quello che sono veramente. Dicevano: <i>la tal cosa -pare più abbondante di quello che è</i>, <i>della tal cosa ce -n'è sempre più di quello che si crede</i>, ecc. Espressioni -vaghe, lunghe e inesatte. Ebbene, in Toscana -si dice <i>far comparita</i>. Chi vorrà continuare a filare -un lungo periodo per dir male una cosa semplicissima, -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -se può dirla con un <i>toscanismo</i> di due -parole? -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Una delle gran ragioni per le quali molti di noi non -capiamo la necessità di arricchire la propria lingua -è questa: che ignorando certi modi e certi vocaboli, -non ci accorgiamo punto, scrivendo o parlando, -delle perifrasi, dei giri di parole, delle contorsioni -di frase di cui ci serviamo per esprimer cose che -quei modi e vocaboli esprimono con poche sillabe. -Se io ignoro l'esistenza della parola <i>golino</i>, per -esempio, non capisco perchè un Toscano sbadigli -quando gli dico: — <i>il tale mi diede un colpo nella -gola col pollice e coll'indice aperti.</i> — Se non so -che ci sia la parola <i>ingozzatura</i>, non m'accorgo di -fare una lungaggine dicendo invece di: — Gli diedi -un'ingozzatura, — <i>Gli diedi un colpo colla mano -aperta sul capello in modo che glielo feci scendere -fin sulle spalle</i>, ecc. ecc. Ma mettiamoci un po' a -studiare la lingua, come diceva il Giusti, con tanto -d'occhi aperti; vedremo quante lacune ci son nel -nostro parlare e nel nostro scrivere, quante superfluità, -quante improprietà, quante pedanterie, -quanta miseria! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il miglior mezzo di studiare il vocabolario mi par -quello di cavarne un altro piccolo vocabolario per -nostro uso, raggruppando intorno a un certo numero -di soggetti generali tutte le parole e tutti i -modi che ci sembrano degni di nota. Una scorsa -data poi di tratto in tratto a queste note ravviva -maggior quantità di lingua nella memoria che non -la lettura di dieci libri. Estraggo, per esempio, dai -miei appunti sul vocabolario del Fanfani, una parte -di quello che riguarda il <i>mangiare</i> e il <i>bere</i>. -</p> - -<p class="center"> -<i>Sulla maniera di mangiare.</i> -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Mangiare a desco molle.</span> — Mangiare a tavola -sparecchiata. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Mangiare a battiscarpa.</span> — Senza apparecchiare, -in fretta e stando in piedi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Mangiare a scappa e fuggi.</span> — In fretta. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Macinare a mulino secco.</span> — Mangiare senza bere. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Mangiare coll'imbuto.</span> — Mangiare in fretta e senza -masticare. -</p> -</div> - -<p> -<i>Espressioni comiche per indicare il mangiar -molto o ingordamente.</i> -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<i>Diluviare</i> — <i>Scuffiare</i> — <i>Pacchiare</i> — <i>Taffiare</i> — <i>Sgranocchiare</i> — <i>Spolparsi</i>, -per es., <i>un -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -tacchino</i> — <i>Mangiare a scoppiacorpo</i> — <i>Dar -ripiego</i> (Es.: Egli è una gola che darebbe ripiego -a quanto v'ha in un refettorio di frati. F.) — <i>Ungere -il dente, sbattere il dente, far ballare -il dente, far ballare il mento</i> — <i>Gonfiar -l'otre — Levarsi le crespe di su la pancia</i> — <i>Fare -una mangiataccia</i> — <i>Fare una spanciata</i> — <i>Farsi -una buona satolla di qualche -cosa</i> — <i>Far dei bocconi che paiono giuramenti -falsi</i> — <i>Impippiarsi, ingubbiarsi d'una -cosa</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far rialto.</span> — Si dice in famiglia per far cena o -desinare meglio dell'usato (F.); a cui male si -sostituisce comunemente <i>far festa</i> od altro. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Bocconcino della creanza.</span> — Il <i>morceau honteur</i> -dei francesi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tornagusto.</span> — Cosa che fa tornare il gusto e la -voglia di mangiare, ecc. -</p> -</div> - -<p class="center"> -<i>Fame.</i> -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Uzzolo.</span> — appetito intenso. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Allampanare, allupare, arrabbiare dalla fame.</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far le fila sopra un piatto.</span> — Guardarlo con -avidità grande. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far le volte del leone.</span> — Aspettare passeggiando. -(F.) L'intesi dire efficacissimamente in -Toscana a proposito del passeggiare che si fa -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -in una stanza quando s'ha appetito e s'aspetta -che vengano a dire ch'è in tavola. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Pelatina.</span> — Malore che viene alle bestie, le quali -pelatesi, non mangiano; onde per ironía, quando -si vede uno che mangia molto, si dice che -<i>debbe aver la pelatina</i>. (F.) -</p> -</div> - -<p class="center"> -<i>Del bere.</i> -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Colmatura.</span> — La parte del liquido che riempie il -vaso, la quale rimane sopra l'orlo. (F.) Ho inteso -dire molte volte: <i>il di più o quello che -sporge!</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Culaccino.</span> — L'avanzo del vino che occupa il fondo -del bicchiere. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far spracche.</span> — Quel suono che si fa stringendo -e riaprendo la bocca con forza quando s'è bevuto -del vino generoso. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far la zuppa segreta</span> (graziosissimo). Bere colla -bocca piena. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Bere a sciacquabudella.</span> — Ber vino a digiuno. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Bere a garganella.</span> — Bere senza accostare il vaso -alle labbra. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Bere a gorgate.</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Sbicchierare.</span> — Vendere il vino a bicchieri. Es.: -<i>Barile con quella bottega s'è arricchito. Compra -tutto vino eccellente, e benchè lo paghi caro, -sbicchierando come fa, ci guadagna il doppio.</i> -(F.) -</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -</p> - -<p class="center"> -<i>Ubbriachezza.</i> -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<i>Prendere una sbornia</i> — <i>Prendere una bertuccia</i> — <i>Prendere -una colta</i> — <i>Prendere una briaca</i> — <i>Prender -l'orso</i> — <i>Perder l'alfabeto</i> — <i>Perder -l'erre</i> — <i>Essere in bernecche</i> — <i>Essere in cimberli</i> — <i>Fare -i gattini</i> (pure del dialetto piemontese), -<i>o fare la ricevuta</i>, per vomitare — <i>Alzare -la gloria</i>, bere soverchio — <i>Essere una -gola d'acquaio</i>, essere un beone — <i>Essere un -briachella</i>, aver l'abitudine d'ubbriacarsi leggermente. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Beveria.</span> — Il ber molto. Fare una beveria. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Combibbia.</span> — Bevuta fatta con altri nell'osteria. -</p> -</div> - -<p> -Certo che non tutti questi vocaboli e modi sono -dell'uso comune neppure in Toscana, nè tutti sono -da adoperarsi a occhi chiusi. Ma nel prendere appunti -sul vocabolario, è meglio largheggiare che essere -scarsi, poichè non v'è parola oziosa o poco -usata o antipatica, — poichè anche in fatto di lingua -ci sono le antipatie, — la quale adoperata in un -certo senso o in un certo punto, particolarmente -nel linguaggio faceto, non acquisti un'efficacia singolarissima, -purchè, come diceva il Giusti, si sappia -buttar là in modo da non far sospettare che si sia -cercata col lumicino. E proviene appunto da non -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -conoscere o dal non aver pronte sulle labbra che -uno scarsissimo numero di espressioni, la difficoltà -che incontrano i non toscani a celiare con grazia o -raccontare barzellette e far descrizioni burlesche in -modo da far ridere. Perchè se la cosa che hanno -da dire non è per sè stessa comicissima, poco possono -aggiungerle per mezzo della lingua. Vediamo -per l'opposto che quando raccontano nel loro dialetto -cose per sè stesse quasi punto ridicole, le fanno -riuscire tali, solo coll'adoperare certi vocaboli e -modi particolari che eccitano il riso. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Par strano, ma è vero: per i non toscani, massime -dell'Italia settentrionale, uno dei maggiori impedimenti -a scrivere e a parlar bene è la paura del -proprio dialetto. Per paura, infatti, di lasciarsi scappare -degli idiotismi, bandiscono scrupolosamente -dall'italiano tutte le espressioni del vernacolo, delle -quali molte, letteralmente tradotte, sarebbero italianissime; -e ciò facendo, durano una fatica doppia, -e parlano una lingua stentata, leccata e senza vita. -Per citare degli esempi, ho visto una volta un piemontese -arrossire di vergogna perchè credeva di -aver detto un grossolano piemontesismo coll'espressione: — Il -tal libro, di cui m'avevan detto tanto -male, lo lessi, e non <i>mi parre il diacolo</i>: — ossia -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -non mi parve tanto cattivo quanto si diceva; modo -usatissimo nel dialetto piemontese. — Bell'italiano — soggiunse -con ironia. — Perchè mai? — gli -osservai. — <i>non mi parve il diavolo</i>, <i>non è il -diavolo</i>, <i>non sarà poi il diavolo</i>, lo scrisse Giuseppe -Giusti. — Non lo volle credere e gli dovetti far vedere -il libro. Un'altra volta scandolezzai un genovese -dicendo in italiano: — <i>So assai se il tale dei -tali sia venuto</i> — Alto là! — mi gridò — la colgo -in flagrante genovesismo. Il suo <i>so assai</i> è il nostro -<i>so assae</i> pretto sputato. — Misi sotto gli occhi -anche a lui le prose del Giusti dove trovò due o -tre <i>so assai</i> che lo fecero rimanere a bocca aperta. -E potrei citare mille altre espressioni che fanno rizzare -i capelli a tutti coloro i quali a furia di scrupoli, -di paure, di pedanterie, si son fatti una lingua italiana -compassata, rigida, plumbea, che non è più una -lingua. In Toscana, per esempio, si domanda a un libraio: — Quanto -<i>fate</i> codesto libro? — Nove su dieci -italiani delle provincie settentrionali, dovendo fare -quella domanda, ficcano un prudente <i>pagare</i> in mezzo -alle parole <i>fate</i> e <i>codesto</i>, perchè per loro <i>fare un -libro</i>, in questo caso, è un'espressione assurda, e -l'altra, invece, è intera, esatta, a prova di martello. -Per la stessa ragione non dicono mai <i>nel momento -ch'egli usciva</i>, ma <i>nel momento nel quale o in cui</i>; -non <i>il luogo dove o per dove</i>, ma <i>il luogo nel quale -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -o per il quale</i>; non <i>guardai se passasse qualcuno</i>, -ma <i>guardai per vedere se passasse qualcuno</i>, ecc. -Ciò che il Giusti chiamava argutamente <i>parlare e -scrivere colle seste</i>. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Per spiegar meglio il modo che, secondo me, si -dovrebbe tenere nel prendere appunti sul vocabolario, -mi pare utile addurre ancora alcuni esempi. Leggendo -il vocabolario, credetti opportuno di notare tutti i -seguenti modi e vocaboli che si riferiscono a commercio, -affari, denaro, ecc., perchè m'accorsi, leggendoli, -che sebbene fossero necessarî per dire per -l'appunto quelle date cose, non li avevo mai adoperati -perchè in parte non li sapevo, e in parte non -m'erano abbastanza fitti nella mente da averli pronti -sulla bocca o sulla punta della penna parlando o -scrivendo. -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Metter su bottega.</span> — Rizzare una bottega, un -negozio. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Stiracchiare il prezzo.</span> (È chiaro). -</p> - -<p> -<span class="smcap">Salire.</span> — Per rincarare. Es.; <i>Quest'anno i tartufi -son saliti alle stelle</i>. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rincarare.</span> -</p> - -<ul> -<li>Il pane è rincarato.</li> -<li>Rincarare la pigione.</li> -<li>Il rincaro del cotone.</li> -</ul> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -</p> - -<p> -Nell'Italia settentrionale, massime parlando, -si dice generalmente colla solita lungaggine <i>il -pane è divenuto caro</i>, invece di <i>è rincarato</i>, -e <i>l'aumento di prezzo del cotone</i>, invece del -<i>rincaro del cotone</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rinvilio.</span> — Lo scemar di prezzo. Parola che il -Manzoni, correggendo i <i>Promessi Sposi</i>, sostituì -a <i>diminuzione di prezzo</i>, e che ora si comincia -a usare anche fuor di Toscana. Es.: -<i>C'è stato un gran rinvilio nell'olio.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Ribasso.</span> — Es.: <i>Il cotone</i> <span class="smcap lowercase">HA FATTO</span> <i>un ribasso</i>. Gli -scrupolosi direbbero: <i>C'è stato un ribasso nel -cotone.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Richiesta.</span> — Una tal mercanzia ha molta richiesta. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rientrare.</span> — Il popolo e i venditori, in Toscana, -dicono <i>rientrarci</i> per <i>ripigliare il costo</i> con -guadagno onesto vendendo una data mercanzia, -Es.: <i>A volere che ci rientri, quel drappo bisogna -che lo venda otto lire il braccio.</i> — <i>A tre lire -non posso darglielo: non ci rientro.</i> (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rientro.</span> — Entrata, <i>rinfranco</i> di denari o d'altro, -meglio che <i>risorsa</i>. Es.: <i>Giovanni non ha altro -rientro che lo stipendio di 100 lire al mese.</i> (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Vantaggiare alcuno.</span> — Risparmiargli nel comprare -e avanzargli nel vendere. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Stare a sportello.</span> — Dicono gli artefici quando -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -in alcuni giorni di mezze feste o simili, non -aprono interamente la bottega, ma tengono solamente -aperto lo sportello. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Spurghi.</span> — Le merci rimaste senza vendersi in -una bottega. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Riparare.</span> — Si dice <i>non ripara</i> di una persona -che non è sufficiente a secondare le richieste -infinite che le vengono fatte; di un mercante -che spaccia moltissimo di una tal mercanzia -ed ha sempre il banco assediato dai compratori. -Es.: <i>Mise su quella bottega di mercerie e si -arricchirà di certo perchè non ripara.</i> (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Comprare cogli occhiali di panno.</span> — Senza esaminare -quello che si compra. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Servirsi</span> <i>da</i> <span class="smcap lowercase">UN TAL NEGOZIANTE</span>. — Modo scansato da -moltissimi per timore che non sia di <i>buon italiano</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Stare su un quattrino, su una lira.</span> — Lo spiega -l'esempio: <i>Che credi ch'io stia sulle dieci lire? -To' piglia un napoleone e vattene.</i> (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Quel fondaco</span> <i>va</i> <span class="smcap lowercase">SOTTO IL NOME DEL TALE</span>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">In quella impresa gli ci</span> <i>andarono</i> <span class="smcap lowercase">DIECI MILA -LIRE</span>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rigirare i denari.</span> — Utilizzare onestamente <i>un -piccolo corpo di denari</i>. Es.: <i>Ho pochi quattrini; -ma mio fratello che ha pratica di negozi -me li rigira bene.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rigirarsela.</span> — <i>Non son ricco, ma me la son -sempre rigirata bene.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Il suo inchiostro corre per tutto.</span> — Dicesi d'un -negoziante la cui firma sia tenuta buona in -tutte le piazze. E a chi non abbia credito: <i>Il -tuo inchiostro non tinge o non corre.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Puzzare d'inchiostro.</span> — Si dice di un abito o di -altra cosa non ancora pagata nella bottega dove -si è presa, <i>e dove è già accesa la partita del -debito</i>. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Prendere una cosa a chiodo.</span> — Senza pagarla -subito. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Mangiarsi il guadagno in erba.</span> — Consumare ciò -che si guadagna prima di riscuoterlo. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Danari giustificati.</span> — Danari spesi in cosa che li -vale. (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Denari secchi.</span> — Danari morti. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tirare la paga.</span> — Per <i>riscuoterla</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Vivere sul lavoro.</span> (È chiaro). -</p> - -<p> -<span class="smcap">Lavorare o fare sopra di sè.</span> — Si dice degli artefici -che non stanno con altri, ma esercitano -la loro arte da per sè a loro pro e danno. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tirare un gran dado.</span> — Avere una gran sorte. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare un buon trucco.</span> — Aver buona fortuna in -una cosa. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Gli è venuta la guazza.</span> — Si dice di chi ha trovato -una buona fonte di guadagno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Gli è balzata la palla sul guanto.</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Trovare una bella vigna.</span> — Trovare facile e -pronto utile (o piacere) in alcuna cosa. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Succhiellare una bella carta.</span> — Essere in procinto -di avere una qualche buona ventura. -Ecc., ecc. -</p> -</div> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Per citare un altro esempio, c'è intorno al <i>parlare</i> -un gran numero di vocaboli e di modi efficacissimi, -per la più parte lepidi, e molti comuni ai -vari dialetti d'Italia, e per questa ragione, ossia -per paura, non usati da chi vuol parlare e scrivere -un italiano castissimo. -</p> - -<p> -Stiantar bombe (il <i>craquer</i> dei francesi). — Stiantar -bugie. — Stiantar spropositi. — Piantar carote. — Sballar -favole. — Sfrottolare. — Dire delle -sballonate. — Dire delle papere. — Dire dei farfalloni. — Fare -delle sparate. — Dirne di quelle che -non hanno nè babbo nè mamma (strafalcioni madornali); -ciò che scrisse il povero Guerrazzi, poco -prima di morire, parlando della sua ultima opera, -<i>Il secolo che muore</i>. -</p> - -<p> -Graziosissima l'espressione: — <i>Dare una calcatella</i>, -per rifiorire o esagerare una cosa detta da -altri. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Dire una cosa di ritorno, di ripicco, di rintoppo, -di rimbecco.</span> — Dire una cosa fuori dei -denti. — Dire a uno una fitta d'ingiurie, una -carta di villanie, una sfuriata d'impertinenze. — Fare -una parrucca a uno, fargli una lavata -di testa, un lavacapo, una risciacquata, una -ripassata, una sbarbazzata. — Cantargli il vespro, -cantargli la zolfa. — Trinciargli la giubba -addosso, tagliargli le calze, lavarsene la bocca -(per dirne male). — Dire, vomitare ira di Dio. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Ripapparsi uno</span> (per garrirlo acerbamente). Es.: -<i>Nebbia, in presenza della gente, tratta suo -marito coi guanti, ma in casa poi bisogna -vedere come se lo ripappa.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rimpolpettare.</span> — Lo spiega l'esempio: <i>Non è -padrona di aprir bocca quella povera donna -che bisogna vedere come la rimpolpettano.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rimbrontolare</span> (efficacissimo). — Rammentare spesso -ad altri un beneficio o un favore fattogli. Es.: -<i>Tizio mi regalò una volta cinquanta lire, è vero; -ma non passa giorno che non me le rimbrontoli.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rifischiare.</span> — <i>Si cacciò in quell'adunanza il P., -e poi andò a rifischiare ogni cosa al prefetto.</i> -Quanto più efficace che il solito <i>riferire</i> e <i>riportare</i> -che si può dire in cento sensi! -</p> - -<p> -<span class="smcap">Spettegolare.</span> — Chiaccherar molto e senza proposito. — Es.: -<i>Dopo essere stata là un'ora a -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -spettegolare se ne andò.</i> — <i>Già io ti dico tutto -in segreto, e poi tu vai a spettegolare ogni -cosa in casa delle vicine.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tirar sagrati, tirar moccoli, attaccar moccoli, -tirar giù tutti i Santi, attaccarla a Dio e -al Santi.</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Parlare colla bocca piccina</span> (graziosissimo). — Per -parlare timidamente. Es.: <i>Cogl'inferiori -fa il prepotente; ma coi superiori parla colla -bocca piccina.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Stillare, piombare le parole</span>, — per parlare lentamente, -a stento. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Spiccicare le parole.</span> — Spiccarle. Si dice: <i>Non -spiccica nulla, non spiccica parola</i>, di chi -volendo parlare, non gli vien fatto. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Discorrere fitto o fitto fitto.</span> — Presto e senza -interruzione. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Sfilar la corona.</span> — Dir tutto senza riguardo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Spippolare.</span> — <i>Spappolarla</i>, per es., <i>tale e quale</i>. — Chiaro. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Faticare</span>, per es., una filza di paternostri, ciò che -si esprime anche al verbo <i>Spaternostrare</i>, <i>Scoronciare</i>, -ecc. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Gonfiar gli orecchi a uno.</span> — Dirgli cose che non -gli piacciono. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Dare spago a uno.</span> — Fingere di secondarlo per -farlo parlare e svelare l'animo suo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Menare a spasso uno.</span> — Aggirarlo con parole. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Infilare gli aghi al buio.</span> — Parlare di ciò che -non si conosce. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Allungare la tela.</span> — Per allungare il discorso. -Es.: <i>Per cinque minuti lo stetti a sentire, ma -poi, vedendo che allungava la tela, gli voltai -le spalle.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Dare un tasto.</span> — Toccare un motto di qualche -cosa. Es.: <i>Se vedo il prefetto, così alla larga -gli voglio dare un tasto sulla faccenda degli -arresti di domenica.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Farsi da alto.</span> — Per cominciare a parlare d'una -cosa dal primissimo principio o alla lontana. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Farla cascar d'alto.</span> — Dare con parole a una -cosa un'importanza maggiore di quella che ha, -volerla far parere più bella, più difficile, ecc., -di quello che è. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Intonarla troppo alta.</span> — Si dice di chi comincia -a parlare con un tuono che non può e non deve -poi mantenere. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tirare a traverso.</span> — Si dice di chi, disputando -con noi, vuol torcere a cattivo senso le nostre -parole, o sposta astutamente la quistione dai -suoi veri termini. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Parlare per comprare.</span> — (Chiaro). -</p> - -<p> -<span class="smcap">Abbreviare il testo.</span> — Farla corta. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare un discorso corto.</span> — Modo usatissimo in -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -Toscana, quando nel contrattare una cosa si -vuol far subito la proposta ultima e difinitiva. -Es.: <i>S'ha a fare un discorso corto: la m'ha -a dar tanto</i>, ecc. Si usa anche per venire a -una risoluzione contro qualcuno: <i>Oh sai? s'ha -a fare un discorso corto: tu t'hai a levar di -qui.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Mozziamola!</span> — Lasciamola lì, tronchiamo questo -discorso. Gli Spagnuoli dicono graziosamente: — <i>Doblémos -la hoja</i> — pieghiamo la -pagina. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Levar le repliche.</span> — Lo spiega l'esempio: <i>Gli -fece una di quelle filippiche che levano le repliche.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rimanere in secco.</span> — Si dice di quando a un tratto, -a chi parla o scrive, mancano le parole o i -concetti. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Rimanere colla parola in aria.</span> — (È chiaro). In -senso affine intesi dire a un contadino toscano: -<i>Per quanto si sforzasse a parlare, le parole -gli rimanevano attaccate giù per la gola.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Aggiustare le parole in bocca a uno.</span> — Insegnargli -ciò che deve dire. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far peduccio a uno.</span> — Aiutarlo colle parole, dicendo -il medesimo che ha detto lui, facendo -buone e fortificando le sue ragioni. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Pissi pissi, pispilloria.</span> — Strepito di voci che -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -fanno molti uccelli, anche applicabile a voci -umane, specialmente per indicare chiacchericcio, -cicaleccio di donne. — Es.: <i>Ogni tanto la -Gigia lo piantava per andare a fare un pissi -pissi di mezz'ora colle sue amiche.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Pissipissare.</span> — Bisbigliare, far pissi pissi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Ribobolare.</span> — V. att. Ribobolare, per es., un bel -pensiero, ossia nasconderlo con riboboli. — <i>Il -P. è un buon prosatore; ma per quel maledetto -suo vezzo di far vedere che sa scrivere, -un bel pensiero te lo ribobola in modo che -non si capisce più.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Parlare colle seste.</span> — Con cautela. Parlare -colle seste in bocca, disse il Giusti, per parlare -con ripicchiata eleganza. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Tirar su le calze a uno.</span> — Cavargli di bocca, con -arte, un segreto, ecc., ecc. -</p> -</div> - -<p> -A proposito di questo e d'altri modi dello stesso -genere, occorre fare un'osservazione; ed è che son -modi vivi, efficaci, usatissimi e usabilissimi; ma che -sono volgari, e che perciò si debbono usare parcamente, -e solo quando il soggetto del discorso lo concede. -Molti non la intendono così. Per costoro tutto -quello che è toscano è dicibile e scrivibile a qualunque -proposito. Moltissimi anzi non fanno propriamente -consistere lo scriver toscano, secondo l'idea -del Manzoni, che in una certa sfacciataggine di lingua, -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -in un certo sprezzo del galateo filologico, nello -scrivere, insomma, una lettera a una signora tale -e quale come una lettera a un fattore; un discorso -accademico tale e quale come un aneddoto carnovalesco. -Sono costoro che, da qualche anno in qua, -empiono romanzi, novelle, articoli, ecc., di modi come -<i>cascar l'asino</i>, <i>levar le gambe</i>, <i>tirar su le -calze</i>, <i>tagliar le calze</i>, <i>essere agli sgoccioli</i>, <i>uscir -per il rotto della cuffia</i>, ecc., ecc., i quali modi se -danno efficacia e sapor comico al linguaggio quando -sono adoperati a tempo e luogo, gli tolgono, adoperati -a casaccio, ogni dignità, ogni gentilezza, ogni -grazia. Ed anche a rischio di farmi dare sulle dita -voglio dire che lo stesso Giuseppe Giusti ha qualche -volta peccato da questo lato. Poichè, per esempio, -quando scrivendo a una signora dice in un solo -periodo che «scegliere per un congresso una città -piccola come Lucca <i>è un voler metter l'asino a -cavallo</i>: ma che i Lucchesi ne leveranno le -gambe meglio che non si crede; che il duca se -l'è battuta perchè <i>gli bolle a mala pena la pentola -per sè e per i suoi</i>, ecc.,» io sento, non in -ciascuna di queste maniere di dire per sè medesima, -ma nella loro frequenza, nel tuono che danno -al discorso, qualche cosa che non mi piace. Il -Manzoni stesso, che in fatto di lingua è così delicatamente -guardingo, nell'usare frasi e vocaboli toscani -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -ha qualche volta mancato a questo riserbo, e -io credo che anche i suoi più ardenti ammiratori, -fra i quali mi vergognerei di non essere in prima -riga, cancellerebbero volentieri in qualche sua pagina -le parole <i>porcheria, me ne impipo</i>, ecc., scritte -da lui in omaggio all'uso toscano. Ora a me par -giusto che si segua il Manzoni nel preferire un -idiotismo a una pedanteria; ma mi par di vedere -che molti toscaneggianti dell'Italia settentrionale -vadano troppo in là. Ammetto, per esempio, che in -molti casi, e in specie nel dialogo, si possa o debba -dir <i>cosa</i> invece di <i>che cosa</i> o <i>che</i>; ma che un professore -di letteratura italiana, come fanno molti, -faccia perpetuamente scrivere dai suoi scolari <i>cosa</i> -in vece di <i>che</i> o <i>che cosa</i>, non mi va. Capisco che -piuttosto di scontorcere una frase e qualche volta -tutto un periodo, si scriva <i>gli</i> invece di <i>loro</i>; ma -non m'entra che, per seguire l'uso toscano, invece -di <i>vidi Maria e le dissi</i>, si debba scrivere <i>vidi Maria -e gli dissi</i>. Così pure il dire eternamente <i>lui</i> -per <i>egli</i>, <i>lei</i> per <i>essa</i>, <i>loro per essi</i>, anche quando -nè il suono nè la naturalezza lo richiedono, il che -è anche contrario all'uso della Toscana, dove <i>egli</i>, -<i>essa</i>, <i>essi</i> non sono punto parole scomparse dal vocabolario -parlato. Non bisogna, mi pare, cadere nell'eccesso -nè da una parte nè dall'altra. Che si metta -al bando la prosa aristocratica, la lingua ripicchiata, -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -l'affettazione, la pedanteria, sta bene. Ma che per -non scrivere come un accademico si parli come un -mercatino; che per non star soggetti alla tirannia -grammaticale del <i>che cosa</i> e dell'<i>egli</i>, si crei un'altra -tirannia del <i>lui</i> e del <i>cosa</i>, che, in una parola, dopo -aver smessa la parrucca, si voglia anche levarsi la -camicia, non mi pare nè bello, nè ragionevole. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Veda chi vuol spigolare nel vocabolario, seguendo -il modo che ho indicato, quante parole e modi e -paragoni e immagini si possono raccogliere intorno -al soggetto <i>Ritratti</i>, solo dal piccolo vocabolario -del Fanfani; e come lo studiare la lingua in questa -maniera, benchè paia seccante a primo aspetto, -possa riuscire dilettevole. -</p> - -<p> -<i>Un uomo magro assaettato — secco allampanato — secco -arrabbiato — secco arrovellato — secco -spento — secco come un uscio — secco come un -osso — trito in canna — ridotto sulle cigne — ridotto -in un gomitolo — ridotto un fuscello — ridotto -che pare un filo — che ha fatto un gran -calo — che par fatto di calza sfatta — che pare -la morte secca — che regge l'anima coi denti — che -si vede e non si vede — che si piglierebbe col -cucchiaio — verde come un ramarro — giallo -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -come un rigógolo — una mostra d'uomo — una -carcassa — un cerotto — un ragazzo stentino — una -cosa stentata — un coso stento stento — un -viso di dolor di corpo — uno sbiobbo — uno scricciolo — un -vecchio scaracchione, ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Un giovane di buon nerbo — un uomo di buon -osso — uno stiattone — un trippone — un gonfione — grasso -bracato — che non capisce nella -pelle — con una faccia di mascheron di fontana — con -un naso che gli rifiglia il vino bevuto — un -vecchio rimprosciuttito, che va via come un -frullino, che ha rimesso un tallo sul vecchio, ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Una zitella spersonita — ristecchita — vizza — passa -rinfichita — rinfichisecchita — con un viso rinfrignato — cogli -occhi cerpellini — con due gran calamai — con -certe piazzate in testa (radure di capelli) che si -può dir quasi pelata — una vecchia squarquoia — un -vero reciticcio — un vero crostino — e perchè -non ha dote, un crostino senza burro — una -ricetta da lussuria, come si dice di persona -che non solo non mette, ma scaccia le tentazioni. — ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Una ragazza tanto fatta — una bambolona — una -meggiona — una mastiona — un bel fusto, -un bel tocco, una bell'asta di donna — un bel -pezzo di marcantonia — un bel pezzo da ottanta — fatta -colle forme — pulita come un dado — sana -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -come una lasca — soda come una pina — una -donnina minutina — gentilina — una cosolina — un -pepino — una bazzina — un viso di -solletico — che ha un'ideina di buona — che ha -un'ideina che piace — che è l'idea della grazia — che -è una gentilezza — a cui ridon prima -gli occhi che la bocca, ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Un uomo a sghimbescio, a scatti, a folate, — un -uomo scontroso, muffoso — una testa secca — una -testa volante — un cervello svolazzatoio — un -vecchio cascatoio — un vecchio cucco, ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Un uomo grosso di pasta — tondo di pelo — che -ha un po' dello scemo — che ha l'ottavo dono -dello Spirito Santo — che non ha di quel che si -frigge — che serve di copertina a un altro — una -lanterna senza moccolo, ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Una lamaccia, un malanno — un uomo che -odora di birba — un'anima bigia — un uomo di -scarpe grosse e di cervello sottile — un uomo che -ha l'arco lungo — un uomo che ha l'osso del -poltrone, l'osso del vile, l'osso del furfante — che -ha il miele sulle labbra e il rasoio a cintola — un -uomo di bassa estrazione — un terremoto — bravo -come un lampo — bugiardo come un gallo — ecc.</i> -</p> - -<p> -<i>Un dabbenaccio — un galantominone — una -coppa d'oro — un uomo di stocco — un uomo a -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -tutta tempera — un uomo rotto al mondo — un -uomo tagliato al dosso di tutti — un uomo attaccaticcio — un -uomo di ricapito — uomo dei suoi -piaceri, dei suoi comodi — un uomo tutto Gesù e -Madonna — un mammamia — un santificetur — un -sacco di disdette, ecc.</i> -</p> - -<p> -Tutta questa è lingua viva e fresca, che quando -s'abbia in mente, vien opportunissima sulle labbra -e sulla punta della penna ad ogni momento; eppure -si può dire che per l'Italia settentrionale è quasi tutta -lettera morta; e nasce appunto dalla mancanza di -tutta questa lingua, il difetto di varietà e di lepore -che si lamenta nello scrivere, e principalmente nel -parlare italiano degli italiani settentrionali. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Da un tempo in qua, in molte famiglie dell'alta -Italia s'insegna a parlare italiano ai bambini. È -ottima cosa, se i parenti sono in grado d'insegnar -bene, o se badano almeno a correggere gli errori -di cui s'accorgono; ma è cosa pessima se non -sanno insegnare o non hanno voglia di correggere; -il qual caso è frequentissimo. Occorre infatti ogni -momento di sentir ragazzi di sette od otto anni, -ed anco di dieci o di dodici, parlare con una -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -meravigliosa disinvoltura un italiano scellerato al -segno da far desiderare che parlino invece il loro -dialetto. E non è da credere che a poco a poco si -correggano poi da sè stessi. Gli strafalcioni, le frasi -viziose, i modi barbari e un gran numero di piccole -improprietà di linguaggio che s'appiccicano -alla lingua in quella prima età, difficilmente si perdono -avanzando negli anni, fuorchè dai pochissimi -che si dedicano particolarmente alle lettere; perchè -coll'età cresce a mano a mano l'amor proprio, la -pretensione, il timore, in chi potrebbe correggere, -che la correzione venga presa in mala parte; e così -accade che i giovanetti di quindici o di sedici anni -parlano poco meno barbaramente di quelli di otto -o di dieci. -</p> - -<p> -Ecco, per esempio, un saggio dell'Italiano che si -parla generalmente nell'Italia settentrionale, non -solo dai bambini, ma anco dagli adulti: -</p> - -<p> -«Ho veduto Tizio, e <i>ci</i> dissi che <i>alla sera</i>, in -casa, noi giuochiamo, e che <i>saressimo</i> contenti -che non ci mancasse nè <i>egli</i>, nè suo fratello. <i>Ci</i> -dissi che i libri che m'aveva imprestati mi <i>hanno -piaciuto</i>, e gliene <i>chiamai</i> degli altri, particolarmente -quello dell'X, stampato <i>del</i> 1873, che è il -romanzo <i>il</i> più bello che si possa immaginare. Lo -ebbi, se non <i>mi sbaglio</i>, tre anni fa, lo lessi d'un -fiato, ed <i>ho ritornato</i> a leggerlo, ecc.» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -</p> - -<p> -E non c'è che dire, si sentono buttar giù questi -spropositi anche da persone coltissime, le quali arrossiscono -quando, per caso, si lasciano sfuggire errori -assai meno gravi nel parlare francese. -</p> - -<p> -Ma tornando ai bambini, ecco alcuni vocaboli e -modi, che si riferiscono a loro, e che sono una -prova di più del gran giovamento che si può ricavare -dallo spoglio del vocabolario; facendo il quale -si finisce col trovarsi fra le mani un altro vocabolario -bell'e fatto, che colma quasi tutte le lacune -della nostra mente. -</p> - -<div class="blk"> -<p> -<span class="smcap">Giocare a tamburello.</span> — Tamburello è quel piccolo -cerchio, nel quale è imbulettata una -pelle ben tirata, e che serve per giuocare alla -palla. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a rimpiattino, a rimpiattarelli.</span> — Gioco -nel quale uno si rimpiatta e gli altri debbon -trovarlo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a ripiglino.</span> — Gioco così detto dal ripigliar -col dorso della mano i noccioli o piccole -monete che si sono tirate all'aria. È pure un -altro gioco che si fa in due, avvolgendosi -nelle mani del filo, e ripigliandolo l'un dall'altro -in varie figure. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a guanciale d'oro.</span> — Gioco in cui uno -posa il capo in grembo all'altro che siede, e -questi gli chiude gli occhi in modo che non -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -possa vedere chi sia colui che lo percosse in -una mano ch'egli tiene dietro sopra le reni, -dovendolo egli indovinare. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a scaldamane.</span> — Gioco che si fa accordandosi -in più a porre le mani a vicenda l'una -sopra l'altra, posata la prima sopra un piano, -e traendo poi quella di sotto, ecc. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a toccapoma.</span> — Gioco in cui alcuni ragazzi -si pongono appoggiati o a cantonate o -ad alberi che siano attorno, e uno di essi resta -nel mezzo. Quegli che sono agli alberi o cantonate -cercano di mutar posto senza lasciarsi -pigliare da colui che è in mezzo a quest'effetto, -ecc. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a scaricabarili.</span> — Gioco che si fa da due -soli, i quali si volgono le spalle l'un l'altro, e -intricate scambievolmente le braccia, s'alzano -a vicenda. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocar di pedina.</span> — Premersi coi piedi sotto la -tavola. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Giocare a nocino.</span> — Gioco nel quale si fanno alcune -castelline di noci, quanti sono i giocatori, -e ciascuno tira verso quelle con una noce che -si chiama bocco. Quante castelline butta giù il -tiratore, tante ne vince. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare alle comaruccie.</span> — Gioco che si fa con un -fantoccio, fingendo che una delle bambine l'abbia -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -messo al mondo; la quale bambina riceve -le visite, e fa le altre cerimonie delle puerpere. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare a pappaceci.</span> — Gioco dei fanciulli quando tirano -fichi od altro all'aria e li ricevono colla -bocca. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare a ginocchino.</span> — Dicesi di due che essendo -accanto si urtano l'un l'altro col ginocchio. -Questo modo però, come l'altro <i>giocar di pedina</i>, -si usa di preferenza parlandosi d'un uomo -e d'una donna. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare le tenebre.</span> — Il battere che suol farsi con -mazze sulle panche delle chiese per gli uffici -della settimana santa. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare le bizze, fare le furie.</span> — Si dice dei ragazzi, -ed è chiaro. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Far greppo.</span> — Quel raggrinzare la bocca che fanno -i bambini quando vogliono cominciare a piangere. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Sbatacchiarsi.</span> — Si dice (oltre che per atti di dolore -disperato) dei bambini quando fanno le furie. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Smoccicare.</span> — Mandar fuora i mocci; il che fanno -spesso i bambini quando piangono. Al qual proposito -è da notarsi il modo: <i>Tirar su</i>, che dicesi -dell'aspirare fortemente col naso per impedire -che colino i mocci; onde il motto che -suol dirsi ai bambini quando lo fanno: <i>Tira su -e serba a Pasqua.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Aver la lucia.</span> — Lo dicono in Firenze ai bambini -quando la sera, dal sonno, non possono tenere -gli occhi aperti. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare i lucciconi.</span> — Si dicono lucciconi quelle grosse -lagrime che ci cadono dagli occhi per qualche -improvvisa cagione di dolore, e che quasi si -vorrebbero celare. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare le cocche.</span> — Battere una mano aperta sull'altra -serrata per segno di beffa. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare un manichetto.</span> — Si dice di mettere una -mano nella snodatura dell'altro braccio piegandolo -all'insù, che è atto di sdegno e d'ingiuria. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Dare il congone.</span> — Atto di scherno che si fa battendo -i pugni chiusi, o coi polpastrelli delle -dita raccolti insieme, le gote gonfiate a questo -fine. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Dare un lecchino.</span> — Lo dicono i ragazzi per quell'atto -di dispregio, che si fa mettendosi un dito -in bocca, e poi, così bagnato di saliva, battendolo -sul viso dell'altro. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare il linguino.</span> — Mostrare la punta della lingua -tenendola stretta fra le labbra; atto che -ha differenti significati secondo che è fatto da -bambini o da adulti. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Sonare la furfantina.</span> — La furfantina è un concerto -di fischi, urli e varii suoni fatti con la -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -bocca, che si fa dai ragazzi per ischerno d'alcuno. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare la sassaiuola.</span> — Sassaiuola, battaglia coi -sassi, e il trarre più persone dei sassi contro -alcuno. Es.: <i>Quei maledetti ragazzi, appena -lo videro, gli cominciarono a fare la sassaiuola.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Marinare la scuola.</span> — Non andarvi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Bucare la scuola.</span> — Sottrarsi con accortezza al -dovere d'andarvi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Battere le gazzette.</span> — Avere gran freddo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Portare a cavalluccio.</span> — Portare altrui sulle -spalle con una gamba di qua e una di là del -collo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Portare a predellino.</span> — Si dice quando due, intrecciate -fra loro le mani, portano un terzo -che ci si mette su a sedere. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Portare a barella.</span> — Dicono i fanciulli del prender -uno per le braccia e per le gambe e così -portarlo da luogo a luogo. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Scendere a scorticaculo.</span> — Scendere strascinandosi -sul deretano. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Alzare di soppeso un bambino.</span> — Alzarlo con la -sola forza delle braccia. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare gambetta.</span> — Attraversare un piede tra le -gambe d'un altro mentre cammina o s'agita, -per farlo cadere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Dormire a gomitello.</span> — Dormire stando a sedere -dinanzi a un tavolino col capo appoggiato sul -gomito. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare il pizzicorino.</span> — Fare il sollecito. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Prendere per il ganascino.</span> — Stringere la gota -tra l'indice e il medio piegato indietro. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Dare i monnini</span> (concettini). — Si dice di chi parlando -con alcuno lo mette al punto di dir parola -che rimi con un'altra da dover a quel tale -dispiacere: come chi disse a quel chierico: — <i>Non -fu mai gelatina senza</i>.... e qui si fermò; -e il chierico subito disse, per mostrar che sapeva -la sentenza: <i>senza alloro</i>: e l'altro ribattè: — <i>Voi -siete il maggior bue che vada -in coro.</i> -</p> - -<p> -<span class="smcap">Fare il groppo o mettere il tetto.</span> — Si dice di -un ragazzo che ha finito di crescere; del quale -suol dirsi pure con dispetto: <i>non cresce nè -crepa</i>. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Figliuol di grazia, figliuol di vezzi.</span> — Si dice il -bambino prediletto della famiglia. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Trottolino.</span> — Dicesi di bambino che va a piccoli -e presti passi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Gnaulino.</span> — Dicesi per scherzo d'un bambino piccolo. -Es.: <i>Ha un par di gnaulini che non le -danno un momento di bene.</i> Da <i>gnaulare</i> (miagolare), -che si dice pure del piangere dei bambini. -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -<i>Frignare</i> significa piangere interrottamente -sforzandosi di rattenersi. -</p> - -<p> -<span class="smcap">Un sacchettino di vizii.</span> — (Chiaro). -</p> - -<p> -<span class="smcap">Malestro.</span> — Parola di cui tutte le madri hanno -bisogno, alla quale sostituiscono malamente -<i>monelleria</i>, <i>scappatella</i>, ecc. <i>Malestro</i> si dice -qualunque danno facciano per casa i ragazzi, -come romper piatti, bicchieri e simili. Es.: <i>Ragazzi, -badate di non far malestri.</i> (F.) -</p> - -<p> -<span class="smcap">Ninnare.</span> — Canterellare per fare addormentare i -bambini cullandoli. Dice il Giusti: -</p> - -<div class="poem"> -<p>E lo accostava, al seno e lo ninnava</p> -<p>Con baci e baci come fosse suo.</p> -</div> - -<p> -<span class="smcap">Spoppare.</span> — Levar la poppa ai bambini, disusarli -dal latte; onde si dice <i>bambino spoppato</i>, <i>ecc.</i> -</p> -</div> - -<p> -A proposito del linguaggio dei bambini, occorre -un'osservazione sull'uso che si fa dei diminutivi in -Toscana. È opinione di molti che se ne faccia un -uso eccessivo, per il che suol dirsi che i Toscani -parlano un italiano fiacco e sdolcinato. Nulla di più -falso, a mio parere, perchè rarissimamente, in Toscana, -si sente usare un diminutivo che non sia giustificato -dalla modificazione ch'esso porta al senso -della cosa espressa. È superfluo notare la differenza -che corre tra <i>bellino</i> e <i>bello</i>, poichè tutti sanno che -<i>bello</i> corrisponde a <i>beau</i> e <i>bellino</i> a <i>joli</i>, e nessuno -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -ignora il differente significato di queste due parole. -Ma si osservino i seguenti esempi. In Toscana, si -dice che una donna ha <i>giudizio</i>, e che una bambina -ha un <i>giudizino</i> da far meravigliare. Si dice che una -donna, una bottegaia, per esempio, ha una <i>manierina</i> -che piace. Si dice che una bimba ha le sue <i>malizine</i>. -Si dice che la madre è tutta <i>pensieri</i> per la sua -figliuoletta, e che la figliuoletta è tutta <i>pensierini</i> -per sua madre. Si dice che una donna è sempre -<i>ravviata</i>, <i>ravversata</i> e che i suoi bimbi sono sempre -<i>ravviatini</i>, <i>ravversatini</i>. Una mamma dice al suo -bimbo il quale pretende ch'essa, gli porga qualche -cosa: — <i>Allunga il santo manino e pigliatela da -te</i>, ecc. Si vede da questi esempi che i diminutivi -non sono adoperati a casaccio. Lo stesso può dirsi -dei peggiorativi che non solo modificano il senso, -ma qualche volta lo cambiano affatto. <i>Quell'uomo</i>, -si dice, ha <i>delle idee</i>: <i>giovatevene</i>: <i>quell'altro ha -delle ideaccie</i>: <i>guardatevene</i>. Si dice <i>mettere uno -a un puntaccio</i>; e si sottintende: di fare uno sproposito; -<i>fare una partaccia a uno</i>, ossia caricarlo -di male parole; <i>fare un'azionaccia</i>, ossia una bricconata; -<i>avere delle praticaccie</i>, ossia di donne perdute, -che sono <i>robaccia</i>; <i>fare una levataccia</i>, ossia -levarsi per tempissimo, ecc. Bella novità! — mi -diranno molti italiani settentrionali che studiano la -lingua; — tutti questi vocaboli, tutti questi modi -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -di dire li sapevamo. — Tanto meglio; ma non li dite -mai, non li scrivete mai, non vi suonan mai nella -testa quando li potreste scrivere o dire; e in fatto -di lingua, tutto quello che non viene sulle labbra -o sulla penna, non si sa. Ma dunque, mi si domanderà, -come s'ha da fare per rendersi famigliari -tutti questi vocaboli e questi modi? Ci sono molti -mezzi. Si notano, si adoprano nelle lettere agli -amici, si usano esprimendo a noi stessi i nostri -pensieri, si fa il proponimento di usarli parlando -coll'uno o coll'altro di quelle determinate cose, si -masticano, si mandan giù, si rimestano, si fatica, -in una parola, per imparare l'italiano, almeno almeno -come si fatica per imparare il francese. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -E poichè ho accennato a una lingua straniera, -cade qui a proposito un'altra osservazione. Da qualche -anno in qua lo studio delle lingue straniere è diventato -comunissimo in Italia. Un gran numero di -giovani dei due sessi, e di tutte le classi sociali, -si sono dati, per <i>completare la loro istruzione</i>, -allo studio della lingua inglese e della lingua tedesca. -(Non parlo della francese perchè si può dir -quasi necessaria, come non parlo di coloro che studiano -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -quelle altre lingue per necessità). Or bene io -mi domando se questo studio dà, nella massima parte -dei casi, un frutto corrispondente alla fatica che -costa; un frutto cioè, che equivalga a quello che -si ricaverebbe da uno studio della lingua propria -fatto in egual tempo e colla medesima alacrità. -</p> - -<p> -Ne dubito. -</p> - -<p> -Prima di tutto, non potendo o non volendo la -maggior parte di coloro che studiano quelle lingue, -studiarle scientificamente, questo studio si riduce -per essi a una pura fatica della memoria, a un esercizio -di pazienza, a uno sgobbo scolaresco, che giova -pochissimo all'ingegno, per non dire che lo mortifica -e che lo rintuzza. Poi c'è un argomento di fatto -che vale più d'ogni altro contro questi studî; ed è -che di trenta persone che cominciano a studiare, -per esempio, il tedesco, quindici si scoraggiscono e -smettono in capo a un anno o a sei mesi; cinque -l'imparano, e lo dimenticano poi, in tutto o in parte, -perchè le vicende della loro vita li costringono a -trascurarlo; altri cinque non lo dimenticano, ma -non hanno occasione di servirsene utilmente, o perchè -non possono viaggiare, o perchè non hanno -tempo e attitudine a fare altri studî di cui la -lingua per sè stessa non è che la chiave; e degli -ultimi cinque infine, ce ne saranno tutt'al più tre -che giungono a possedere questa lingua in maniera -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -da poter gustare (gustare, intendiamoci, non capire -soltanto) i buoni autori tedeschi. Perchè io comprendo -come a un medico, a un fisico, a un ufficiale -(e sottintendo i dotti di professione), metta conto -di studiar tanto il tedesco da riuscire a comprendere -ciascuno i libri della sua scienza, perchè di -questa lingua a loro non occorre di conoscere che -una parte, ossia non più di quanto è necessario per -afferrare il senso dei loro libri speciali, e a ciò possono -pervenire in breve tempo. Ma è tutt'altra cosa -per un giovane che voglia imparare quella od altre -lingue, come suol dirsi, per ornamento, il che gl'impone -l'obbligo di farne uno studio vasto e profondo, -in modo da riuscire a godere tutte le bellezze riposte, -a sentire tutte le armonie, a toccare, per dir così, -tutte le fibre della poesia del Goethe, dell'Heine, -dello Shakspeare! E quanti sono quelli che dicono -di toccarle, e leggono poi di soppiatto le versioni del -Maffei e dello Zendrini, e non godono veramente -Shakspeare che nei versi del Carcano! -</p> - -<p> -Credo una gran verità che non si possa dire esservi -in un paese vera coltura se non ci fioriscono -gli studî filologici; ma ha da essere lo studio della -filologia, ossia la vera e buona scienza di pochi -od anche di molti; non una manía universale di -legger male e di balbettar peggio tre o quattro -lingue straniere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -</p> - -<p> -Invece di faticar tante ore a inchiodarsi nel cervello -migliaia di radicali e di frasi esotiche, imparate -le quali, il pensiero straniero si presenta pur -sempre velato alla loro intelligenza, quanto sarebbe -meglio che molti giovani si consacrassero allo studio -amoroso e costante della propria lingua! Può -essere una soddisfazione il saper sostenere, tiranneggiando -il proprio pensiero, una conversazione di -mezz'ora con una persona nata cinquecento miglia -lontano da noi; ma è certo una soddisfazione più -intima il saper trovare ogni momento, parlando la -lingua materna, una formola evidente e gentile in -cui il proprio pensiero s'adatti e risplenda come -una gemma nell'anello; il poter rendere e stampare -nell'anima altrui le più tenui sfumature dei nostri -sentimenti; vedere il volto d'una persona che s'ama -rispondere via via con una gradazione più viva di -roseo ad ogni nostra espressione che giunga più -dritta al cuore e lo rimescoli più addentro con una -punta più delicata; rivelare a persone sconosciute, -con poche parole fuggitive, il nostro grado di cultura; -colorire e illuminare tutte le nostre idee; e -infine essere italiani di lingua come s'è italiani di -cuore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Questi saggi d'appunti intorno al <i>mangiare</i>, al -<i>commercio</i>, al <i>parlare</i>, ai <i>ritratti</i>, ai <i>bambini</i>, -possono dare un'idea di quanto si sarà acquistato -nello studio della lingua quando si sia fatto altrettanto -riguardo a una trentina d'altri soggetti, intorno -ai quali si può raggruppare, man mano che -si procede nella lettura del vocabolario, la maggior -parte di quello che si nota. Per conto mio non conosco -mezzo più spiccio, nè più facile, nè più profittevole. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -</p> - -<h2 id="parola">UNA PAROLA NUOVA</h2> -</div> - -<p> -Tocchiamo di volo, con un esempio, la molto agitata -questione delle parole nuove. -</p> - -<p> -Scrivendo intorno a un paese dell'Europa settentrionale, -dove l'arte dello scivolare sul ghiaccio è -in grandissima voga, dovevo parlare molto minutamente -di quest'arte, e non vedevo modo di parlarne -senz'adoperare la parola <i>patinare</i> e le sue derivate, -che non si trovavano allora in alcun vocabolario -italiano<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>; e mi peritavo ad adoperarle, prevedendo -che i puristi, ed anco i non puristi, i quali -qualche volta sono assai più pedanti, m'avrebbero -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -dato sulle dita. Prima di mettere sulla carta quelle -terribili parole, mi rivolsi a un linguista rigorosissimo, -di quelli a cui un <i>lui</i> messo invece d'un <i>egli</i> -manda a male il desinare, e gli domandai con umili -parole il suo parere. -</p> - -<p> -— Non ci può esser dubbio, — mi rispose, — <i>patinare</i> -è una parola barbara; bisogna scrivere -<i>sdrucciolare</i>. -</p> - -<p> -— In teoria — dissi, — consento; ma nel caso -pratico.... Per esempio, scriverebbe ella che un contadino -olandese <i>sdrucciolò dall'Aja ad Amsterdam</i> -e che uno studente di Leida <i>sdrucciolò per tre ore -di seguito</i>? -</p> - -<p> -— E perchè no? mi domandò il linguista con accento -severo. -</p> - -<p> -— Le citerò degli altri esempî, — continuai; — direbbe -ella in una conversazione che una certa signora -<i>sdrucciola</i>, che ha l'<i>abitudine di sdrucciolare</i>, -che <i>sdrucciolò molte volte nello scorso carnevale</i>? -</p> - -<p> -Il linguista strinse le labbra e rimase sopra pensiero. -</p> - -<p> -— Vede, — io ripresi, — che ne potrebbero nascere -delle conseguenze spiacevoli. Ma lasciamo pur -da parte questi esempi a doppia faccia. Io le voglio -fare un breve ragionamento. A Torino e a Milano -moltissime signore <i>patinano</i>, e la maggior parte di -esse tengono conversazione; e nelle loro conversazioni -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -si parla di <i>patinamento</i>, usando le parole <i>patino</i>, -<i>patinatrice</i>, <i>patinatore</i>. Orbene, risponda alla -mia domanda, e sia franco. Dovendo fare in una di -queste conversazioni un complimento alla padrona -di casa ch'ella avesse visita <i>patinare</i> il giorno prima, -di quale parola si servirebbe? Intendo un complimento -a voce, in presenza di molta gente, badi bene. -</p> - -<p> -Il linguista esitò un momento e poi disse: -</p> - -<p> -— Certo che.... se io dicessi <i>brava sdrucciolatrice</i>.... -anche rimossa ogni idea d'equivoco.... quei -signori.... e forse anche la signora.... si metterebbero -a ridere; ma, caro signor mio, qui si tratta di scrivere -e non di parlare! -</p> - -<p> -— Ma che Dio la benedica, caro signor linguista, — io -esclamai; — ma per chi si scrive, dunque? -e che altro è lo scrivere che un parlare colla penna? -e perchè una parola non deve essere più quella -quando è messa sulla carta? Veda, nessuno mi leva -dalla testa che sia appunto questo falso concetto -delle due lingue, la parlata e la scritta, la cagione -principalissima della <i>poca leggibilità</i> dei libri italiani. -Faccia la prova lei che parla perfettamente -la così detta <i>lingua povera</i>. Apra un qualunque -buon libro francese, legga supponendo di parlare in -una conversazione di gente colta e senza pedanteria, -e vedrà che rarissimamente le occorrerà una parola -o un'espressione che strida colla naturale e logica -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -semplicità del linguaggio parlato. Pigli un libro -italiano anche dei meglio scritti, e se supporrà di -dire ella stessa quello che legge, dovrà arrossire -ogni momento. Guardi, apro a caso il primo libro -che mi vien sotto le mani, è un romanzo: — <i>Quando -primamente si guardò nello specchio....</i> -Oserebbe ella dire in una conversazione: <i>quando primamente -mi guardai nello specchio</i>, invece di dire -la <i>prima volta</i>? Apro un altro libro, una novella: — <i>Deposi -sulla tomba dei miei genitori una semplicetta -corona di fiori.</i> Crede ella che ci sia mai stato -un orfano in Italia che abbia espresso quel pensiero -servendosi della parola <i>semplicetta</i> in quella maniera? -Un altro libro, un racconto: — <i>La leggiadra -e innamorata fanciulla....</i> Crede ella che ci sia mai -stato un italiano ragionevole il quale abbia una -volta sola in vita sua, altro che per ischerzo, dette -quelle tre parole in quell'ordine? -</p> - -<p> -— No, — rispose il linguista; — ma.... -</p> - -<p> -— Ma, — ripresi io, — che cos'è dunque questo -arsenale di frasi e di parole che non si possono dire -senza far ridere e che si scrivono nelle scritture più -famigliari, come se passando dalle labbra sotto la -penna, cambiassero senso, suono, natura? E viceversa -che cosa sono tutte queste parole che tutti dicono, che -tutti capiscono, che tutti sono costretti a usare, e -a cui nessuno può sostituirne dell'altre senza farsi -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -canzonare, e che malgrado ciò, secondo lei, secondo -mille altri, non si debbono scrivere? Ella mi potrà -dire, a proposito del <i>patinare</i>, che questa parola si -dice nell'Italia settentrionale ma non in Toscana; -e io le rispondo che non è colpa dell'Italia settentrionale -se nella Toscana non si <i>patina</i>, primo; e -secondo, che sono disposto a scommettere cento -contr'uno che in nessuna città di Toscana, in nessuna -conversazione, nessunissima persona domanderebbe -mai a un Torinese o a un Milanese se quest'anno, -per esempio, si è <i>sdrucciolato</i> o <i>scivolato</i> -al Valentino o nell'Arena, ma domanderebbero tutti -se si è <i>patinato</i>; e quelli che ignorano questa parola, -dopo averla intesa per la prima volta, l'adopererebbero -costantemente per la semplice e indiscutibile -ragione che è necessaria. -</p> - -<p> -Il linguista stette un po' pensando e poi disse: -</p> - -<p> -— Eppure.... un'altra parola ci deve essere. Il -Bentivoglio, nella sua <i>Storia della guerra di Fiandra</i>, -parla di quest'arte di sdrucciolare sul ghiaccio. -Si ricorda ella della parola che usa? -</p> - -<p> -— Me ne ricordo, caro signor mio. Non adopera -veramente nessun verbo che si possa sostituire al -<i>patinare</i>, perchè tocca la cosa di volo, e toccando -una cosa di volo si può sempre esprimersi con una -perifrasi. Ma sa ella come se la cava l'eminentissimo -cardinale per indicare i <i>patini</i>? Gli Olandesi, scrive, -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -si mettono ai piedi <i>certe, dirò così, ali</i>! Pare a lei -un'azione da galantuomo il chiamare <i>ali</i> degli zoccoli? -</p> - -<p> -— Ebbene... adoperi la parola <i>patinare</i> in carattere -corsivo. -</p> - -<p> -— Così fece il Giusti, risposi. Ma quest'uso di -scrivere le parole in corsivo non mi va; mi pare -una transazione puerile; eccetto che la parola così -scritta non debba essere adoperata che una volta -sola. Seguendo quest'uso si verrebbe a poco a poco -a veder dei libri stampati metà in corsivo e metà -no, e ad avere una lingua doppia, bastarda, ridicola. -Che significa il corsivo? Che riprovate la parola. Se -la riprovate perchè l'usate? Perchè non ce n'è altra. -E se non ce n'è altra, perchè riprovate quella? -</p> - -<p> -La conversazione non terminò qui; ma non approdò -a nulla perchè il linguista non ebbe il coraggio -di dare il suo consenso assoluto alla parola <i>patinare</i>. -Allora mi rivolsi a uno scrittore e parlatore -elegantissimo, — un uomo che il Giusti diceva <i>pieno -zeppo d'ingegno</i> e del quale il Manzoni faceva grandissimo -conto in materia di lingua, — e questo signore -ebbe la bontà di scrivermi la lettera che -segue: -</p> - -<p> -«E il suo <i>patiner</i>? Ella ha senza dubbio preso -a quest'ora il suo partito, e io mi sarei trovato -molto impicciato a suggerirgliene uno. Che vuole! -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -Il bimbo si battezza dove nasce, e poi gira il -mondo portando attorno per tutto il suo nome. -Così le cose che a noi vengon di fuori ci vengono -col nome che hanno, e la parola che è stata per -noi il mezzo di cognizione, il più delle volte rimane. -Per questo non c'è la minima difficoltà in nessuna -parte del mondo, e <i>consommé</i>, per dirne -una, è parola di tutte le lingue, che si dice a -Londra e a Pietroburgo come a Parigi. Noi italiani -facciamo prima le boccacce e ci proviamo -chi in un modo e chi nell'altro a tenere indietro -queste parole forestiere, e a peggio andare, per -non usare la parola scansiamo di nominare la cosa. -Ma le sono ubbie queste, e i fatti son fatti, e -sono all'ultimo i padroni del mondo. La conclusione -è che noi abbiamo dato agli altri le parole -finchè abbiamo dato le cose. Ma ora che di maestri -siamo diventati discepoli, invece di dare prendiamo, -e questo è sempre meglio che nulla. Io -direi dunque <i>patinare</i> essendo questo il solo modo -di dire la cosa. Non volendo passare sotto queste -forche, uno scrittore ha sempre modo di uscirne. -Si descrive, si definisce invece di nominare. Si -pigliano vocaboli che hanno un senso affine, e -con qualche aggiunto, o colla loro collocazione, -si fa tanto che il lettore capisce quello che s'è -voluto dire; ma capisce insieme che la parola -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -venuta alla bocca non era quella, e che l'autore -ha dovuto stillarsi il cervello per trovarne un'altra, -la quale sarà in ogni caso una traduzione -più o meno felice della prima, che un altro rifarà -poi a suo modo, più o meno felicemente; cosicchè -invece d'aver un modo spiccio, sicuro, comune, se -n'avrà molti, anzi nessuno, perchè i molti e il nessuno -son pure sinonimi quando si parla di lingua.» -</p> - -<p> -Dunque? Dunque io direi d'aver sempre presenti, -in fatto di lingua, questi due detti: uno del Leopardi, -l'altro del Giusti. -</p> - -<p> -Il Leopardi, domandato da suo fratello Carlo se -una certa parola, che non si trovava nei buoni autori, -si potesse usare: — <i>È vero</i>, — rispose, — <i>che -i buoni scrittori non l'hanno usata; ma non hanno -nemmeno lasciato per testamento che non si potesse -usare</i>. -</p> - -<p> -E il Giusti, a proposito di <i>diligenza</i>, parola francese, -che, a suo avviso, aspettava cittadinanza dalla -Crusca e la doveva ottenere perchè il -</p> - -<div class="poem"> -<p class="i6">cambio delle voci</p> -<p>Fra gente e gente, come l'ombra al corpo,</p> -<p>Tien dietro al cambio delle cose umane</p> -</div> - -<p> -disse: -</p> - -<div class="poem"> -<p>Nè straniero vocabolo corrompe</p> -<p>L'intrinseca virtù d'una favella</p> -<p>Quando lo stile riman paesano.</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -</p> - -<p> -Ammessa questa massima, ci sarebbe da divertirsi -a raccogliere tutte le espressioni e i vocaboli ricercati -e ridicoli che usarono gli scrittori troppo teneri -della purità per scansare le frasi e le parole -nuove. Per esempio il Tommaseo esprime l'idea della -giustezza, o come si dice militarmente, della precisione -del tiro delle artiglierie, dicendo che <i>i cannoni -con dottamente computato émpito mandano la strage -nelle mura merlate</i>. L'Ugolini suggerisce di dire -<i>viene da ornarsi</i>, <i>sta ad ornarsi</i>, <i>vado ad ornarmi</i>, -invece di viene dalla toeletta, sta alla toeletta, va -a far toeletta. Ma, signor Ugolini, io gli vorrei dire -se avessi l'onore di conoscerlo, mi può ella giurare -che se una signora di sua conoscenza dicesse a -lei: — m'aspetti un momento, <i>vado ad ornarmi</i>, — ella -non dovrebbe fare un leggiero sforzo per -trattenersi dal ridere? — Così un dotto, ma troppo -tenace purista, voleva che in scritti destinati principalmente -ai soldati, io scrivessi <i>drappello</i> invece -di <i>plotone</i>, <i>berretto</i> invece di <i>cheppì</i>, <i>fiaschetta</i> invece -di <i>borraccia</i>. Ma se non posso — io badavo a -rispondergli; — perchè il plotone non è un drappello, -il berretto non è un cheppì, la borraccia non -è una fiaschetta; — e se adopero una parola per -l'altra, non mi capiscono più. — Non importa, — avrebbe -voluto rispondermi; ma non osava, e non -volendo d'altra parte rendersi complice dei miei -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -barbarismi, si stringeva nelle spalle e mi lasciava -nelle peste. -</p> - -<p> -O Dio buono! Altro è dire in un vocabolario, -in un trattato, in un elenco di modi errati, questa -parola non va e questa frase è barbara; altro -è dover esprimere quella tal cosa in una commedia, -in una novella, in un qualunque scritto destinato -al pubblico, dove una perifrasi sciupa una bella -idea, un'espressione non immediatamente compresa -manda a male un dialogo, una parola affettata o -vaga o equivoca guasta tutta una descrizione. Per -dare degli esempi di difficoltà superate, si citano le -prose di questo o di quello, che trattano di storia, -di letteratura, di morale, e si dice: — Trovateci -una parola o un modo impuro, se potete. — Non -ci si trova, lo so benissimo. Ma vorrei che questo -e quello scrittore avessero raccontato un viaggio in -strada ferrata, descritto un salotto alla moda, riferita -una conversazione di signore, rappresentato un -accampamento di soldati, e scritto tutto questo con -spontaneità, grazia ed efficacia, senza farsi cogliere -in fallo dai puristi: allora sì che mi rimetterei -e mi darei del bue. Ma dove sono i modelli di questo -genere di scritti? Andiamo, via; allarghiamo -un po' la manica e facciamo a compatirci. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -</p> - -<h2 id="consigli">CONSIGLI</h2> -</div> - -<p class="indl"> -(<i>Risposta a un giovanetto</i>). -</p> - -<p> -.... Vi dirò quello che per mia esperienza ritengo -utile; ma vi prego di credere che non ho nessunissima -pretensione d'insegnare. Voi, probabilmente, -vi sarete già formato un parere; io v'espongo il -mio. Se saremo d'accordo, tanto meglio; se vi parrà -che io sbagli, darete una scrollatina di spalle, e non -ci terremo il broncio per questo. -</p> - -<p> -Il primo consiglio che vi darei sarebbe di far i -bauli e di prendere il treno di Firenze. Se potete -far questo, non m'occorre di dirvi altro per ora: -vi riscriverò a Firenze. Ma se, com'è più probabile, -non potete, ecco ciò che io farei se fossi in voi. -Prima di tutto mi stamperei bene nella testa che -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -lo studio della lingua è uno studio che richiede -molto tempo, molta pazienza e molta regolarità: -mezz'ora tutti i giorni giova più che due giorni interi -ogni due settimane. E farei e cercherei di mantenere -i seguenti propositi: — Parlare il meno possibile -il mio dialetto. — Parlando italiano, parlar -sempre con cura, sorvegliare sempre me stesso, e -purgare il mio linguaggio di tutti i <i>grossi errori -di grammatica e di proprietà</i>, non <i>avvertiti</i>, che -sfuggono nella maggior parte d'Italia a <i>quasi tutte -le persone colte</i>. — Terzo, correggere e perfezionare -la mia pronunzia: il che può far benissimo un -italiano di qualunque provincia, senza cadere nell'affettazione -e senza riuscir ridicolo, purchè lo -faccia a poco a poco e non lasciando apparire lo -sforzo. — Per riuscire a <i>scriver bene</i> non mi pare -che ci sia mezzo migliore che quello di cominciare -a <i>parlar bene</i>, poichè se è vero che lo <i>scrivere</i> è -un <i>parlare pensato</i>, chi parla bene non avrà più, -pensando per scrivere, che da perfezionare, mentre -chi parla male, dovrà far doppio lavoro: ossia evitar -di scrivere gli spropositi che gli escono abitualmente -dalla bocca, e poi con un secondo sforzo della -mente, fare quello che l'altro fa alla prima. Ora, -non capisco come si possa riuscire a parlar bene -senza pronunziar bene, poichè mi pare che qualunque -più bella espressione italiana perda della sua -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -efficacia se è pronunziata coll'accento e i suoni del -dialetto; e la perde non solo per chi ascolta, ma -anche per chi parla. -</p> - -<p> -Dopo questo farei una volta per sempre la fatica -di leggere e di annotare tutto il <i>vocabolario</i>, e lascerei -che i grulli ridessero di questa <i>pedanteria</i>. -L'ha fatta il Manzoni, l'ha fatta il Grossi, l'ha fatta -Teofilo Gautier, il più colorito e più ricco scrittore -della Francia; e non erano pedanti. Farei così: -raggrupperei tutti i vocaboli e modi notati nel vocabolario -intorno a un certo numero di argomenti: -per esempio, campagna, arte, industria, morale, architettura, -vestiario, movimento, affari, affetti, ecc.; -e intorno a ognuno di questi argomenti raccoglierei -poi a mano a mano tutto quello che mi verrebbe -fatto di notare nei libri. Un quaderno dunque! -Uno sgobbo da scolaretto! E sia pure. Capisco -che molti ridono di queste cose, e dicono che bisogna -studiare in una maniera più <i>larga</i>. Ma mi consolerei -pensando che in questa maniera <i>stretta</i> studiarono -la lingua il Monti, il Foscolo, il Leopardi, il -Giusti, il Guerrazzi; che, poveretti, credevano ancora -ai <i>quaderni</i>. Ma che norma seguire nell'annotare -e nello scegliere? Non lo so dire. In certe cose -non si possono dar consigli. Io sceglierei ciò che -mi bisogna e ciò che mi piace. Vi son parole e modi -<i>antipatici</i> a uno, <i>simpatici</i> a un altro. Chi li trova -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -antipatici non li adopera mai quand'anche li veda -adoperati da tutti. È dunque inutile che li noti e li -ritenga a mente. Per esempio, vi sono degli scrittori -che per cento lire non scriverebbero <i>ad ogni -piè sospinto</i>. Ma è italiano! direte. Lo so, — vi rispondono; — ma -lo detesto. — Il gusto deve andare -innanzi a tutto. Quindi in questo lavoro di scegliere -vocaboli e modi, ciascuno deve fare quello che gli -pare. Se fa male, ossia contro il gusto dei più, peggio -per lui; non c'è altro da dire. -</p> - -<p> -Dopo il vocabolario, i libri. Io leggerei quasi -esclusivamente libri toscani, anche quei di poco o -nessun valore per la sostanza, perchè in un libro -scritto da un toscano c'è sempre, in fatto di lingua, -qualche cosa da imparare; intendo di dire qualcosa -di <i>speciale</i>, come diceva il Grossi, di <i>vivo</i>, che non -si trova negli scritti più forbiti degli altri italiani. -Tra questi libri toscani, ne sceglierei alcuni, od anche -uno solo, da leggere ad alta voce o da farmi -leggere mezz'ora tutti i giorni. Conosco un tale che -scelse l'epistolario del Giusti. Ci sono molte affettazioni, -molte <i>smorfie</i>; v'è in qualche punto la caricatura -della naturalezza; v'è spinto sovente fino -all'eccesso quello ch'egli chiamava il <i>parlare da -serve</i> o parlare alla <i>casalinga</i>, il contrario di quello -definito da lui: — parlare tirato <i>a chiaro d'ovo di -grammatica e di vocabolario</i>. — Ma è tanto ricco, -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -tanto sciolto! v'è un fare così da padrone che, a -studiarlo con discernimento, ci si può imparare più -che in cento altri libri inappuntabili. Ma bisogna -tempestarci su molto tempo, — anni ed anni, — ogni -giorno un po'; — bisogna digerirlo e -ridigerirlo; — empirsene la testa e gli orecchi -in modo che tutti i momenti, a tutti i propositi, -ci vengano alla memoria e sulle labbra quei modi, -quei suoni, quei periodi. E questo si può dire di tutti -gli altri libri. Leggerne pochi, ma con infaticabile -perseveranza, fin che vengano a noia; fin che, lasciando -cader gli occhi sopra una pagina qualunque -la memoria precorra lo sguardo, e torni quasi inutile -proseguire la lettura. E studiare a memoria -molto e ridire ad alta voce le cose studiate, <i>fin -che s'è molto giovani</i>, come scrisse Giacomo Zanella; -perchè a una certa età questa fatica si può continuare -a farla se si è sempre fatta; ma non si comincia -a fare <i>a caso vergine</i>; e chi non possiede -una buona quantità di lingua prima dei venticinque -anni, è raro che l'acquisti dopo. -</p> - -<p> -Il difficile è il ritenere, l'appropriarsi così intimamente -i vocaboli e i modi che si vanno via via -notando, da averli poi pronti, spontanei quando si -parla o si scrive. Per ottenere questo ci vuole una -certa industria. Conosco uno che oltre al notare -parole e modi nel suo gran quaderno a colonne, li -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -scriveva, via via che gli occorrevano, sul margine -dei libri, sulle buste delle lettere, sulle assicelle degli -scaffali, sulle porte, sui muri, sui giornali; tanto -che nella stanza dove studiava, in qualunque punto -fissasse gli occhi, vedeva una nota e se la rinfrescava -così nella memoria. E qualunque parola o -modo notasse, lo riferiva immediatamente, nel suo -pensiero, a qualche persona o cosa che gli occorresse -di vedere o di fare abitualmente nella giornata. -Legava ogni parola a un'immagine, ogni -frase ad un fatto, e se ne serviva il più presto possibile -in una lettera o in una conversazione per -istamparsela in mente, per mettervi, in certo modo, -il suo suggello, per impiegarla subito nella sua casa. -E dedicava ogni giorno una mezz'ora a rimestare, -a combinare, a logorare, sto per dire, le sue note. -Si formava coll'immaginazione un personaggio qualunque -e scriveva di lui, per esempio, una tiritera -come questa: — mi pareva un galantuomo; feci <i>fondamento -sopra di lui</i>, e non credevo di <i>fidarmi sul -vento</i>; oltrechè mi parve che fosse un uomo <i>di ricapito</i>, -benchè sapessi che era anche <i>un uomo dei -suoi comodi</i> o <i>dei suoi piaceri</i>. Ma m'ingannai e alla -prima occasione <i>mi girò sotto</i>. Gli scopersi mille difetti. -Prima di tutto è avaro; <i>ha il granchio alla -borsa, ha la gotta alle mani, paga colle gomita, -sta sul tirato, vive a stecchetto</i>; ma è pure ambizioso, -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -e <i>camperebbe con uno stecco unto</i> per <i>scialare -fuori di casa</i>, ecc. Accortosi che l'avevo <i>preso -in tasca, si ruppe con me</i>, me <i>l'ha giurata addosso, -è nero con me, ha il sangue guasto con me, -s'è guastato con me</i>, si <i>lava la bocca</i> di me, <i>gira -largo</i> quando mi vede, ecc., ecc. — Tutti questi -modi, estratti dalle sue note, combinava poi un altro -giorno in un altro modo intorno a un altro -soggetto, e studiava a mente quello che aveva scritto. -Lo capisco; è una fatica uggiosa, non se ne tocca -con mano il frutto che dopo molto tempo, alle -volte se ne riman quasi umiliati, sovente si perde -il coraggio. Ma bisogna perseverare, esser cocciuti, -volere <i>fermamente</i> e a <i>qualunque costo</i>, e vien poi -il giorno in cui s'è contenti di non aver ceduto. Se -non costasse lunghe e penose fatiche l'imparare a -scriver bene, i libri leggibili sarebbero più numerosi -di quello che sono. -</p> - -<p> -Scrivendo, però, io mi sforzerei di dimenticare -tutte le mie note e tutti i miei esercizi. Presa la -penna in mano, non frugherei più nella mia memoria. -Quello che deve cader sulla carta, deve cader -da sè. Tutto ciò che è <i>cercato</i> è quasi sempre -<i>ricercato</i>. È inutile tentar d'ingannare il lettore. -Anche il lettore meno perspicace ha un senso finissimo -che lo avverte d'ogni menoma affettazione, e -gli fa discernere nettamente la parola e il modo -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -scritto spontaneamente da quello tirato fuori cogli -uncini dai magazzini della memoria. Tutto ciò che -non vien sulle labbra parlando è difficile che venga -a proposito sulla punta della penna. Per questo ripeto -che il migliore esercizio da farsi per imparare -ad <i>usar</i> la lingua è quello di <i>parlare</i>. Parlando s'ha -sempre un giudice la cui fisonomia accusa involontariamente -con moti appena percettibili, ma di significazione -non dubbia, tutte le affettazioni, tutte -le lungaggini, tutte le oscurità del vostro linguaggio. -Un <i>ascoltatore</i> è il miglior maestro di semplicità, -di rapidità e d'efficacia. -</p> - -<p> -Resta la quistione delle parole nuove. Io direi che -non mette conto di parlarne. Fa bene a occuparsene, -piuttosto di non far nulla, chi non ha altro da fare. -Quello che importa è che la frase, l'andamento, il -giro del periodo, <i>l'impasto</i> della lingua sia italiano. -La quistione delle parole dubbie, ammesse da Caio, -respinte da Tizio, è un puro perditempo. Anzi, in -queste cose, vi consiglierei di evitare le discussioni. -In fatto di lingua le discussioni non approdano -per lo più a nulla e non fanno che guastare il sangue, -perchè in questa materia (strano a dirsi) la -gente più modesta ha un amor proprio ombroso, -ostinato, intrattabile. È impossibile, credo, trovare -un italiano, anche digiuno d'ogni studio di lingua, -il quale in una questione di parole si lasci persuadere -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -da chi ne sa più di lui. Non c'è usciere piemontese -che non si creda in grado d'insegnare un -po' di <i>vero</i> italiano a un accademico della Crusca, e -voi non potete immaginare quanti maestrucoli di -villaggio danno di ciuco al Manzoni. A che giovò -per esempio, la discussione promossa dal <i>povero -vecchio</i>, come dicevano i suoi avversarî, sull'unificazione -della lingua? Abbiamo visto saltar su da -tutte le parti dei linguaiuoli furiosi che ripeterono -per la centesima volta le loro vecchie ragioni, abbiamo -sentito dire molte impertinenze, siamo ricaduti -fino agli occhi nei vergognosissimi pettegolezzi -comareschi dei tempi andati; e ognuno è rimasto -del proprio parere. La questione della lingua -bisogna risolverla colla <i>pratica</i>. Un buono e bel libro -scritto secondo le teorie del Manzoni, val più -di cento discussioni. Ciascuno scriva come crede che -si debba scrivere, senza pretendere di dettar la legge -agli altri; il pubblico vedrà da sè dov'è la maggior -evidenza, la maggior grazia, la maggior ricchezza; -e la miglior <i>teoria</i> trionferà a poco a -poco, tacitamente, senza bisogno che ci pigliamo -pei capelli. Quello che importa sopra ogni cosa è di -studiare tenendo sempre ferma questa sacrosanta -verità nella testa: — che senza molta fatica e -molta pazienza non si riesce a nulla in nessuna -cosa; e che anche studiando molto, lo studio della -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -lingua è uno studio di tutta la vita, come tutti gli -altri studi; e che chi lo sberta come una <i>pedanteria</i> -che ammazza l'ingegno, è un fiaccone che non -ci s'è mai messo, o un corbello che non l'ha mai -capito. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -</p> - -<h2 id="vivente">IL VIVENTE LINGUAGGIO DELLA TOSCANA</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Ho riletto in questi giorni il libro di Giambattista -Giuliani intitolato <i>Moralità e poesia del vivente -linguaggio della Toscana</i> (Successori Lemonier, -terza edizione); e ho riprovato la doppia soddisfazione -che dà ogni libro veramente bello e -veramente utile. Son certo che molti dei miei giovani -lettori lo conoscono; ma dubito che molti abbiano -avuto la pazienza di postillarlo, di trascriverne i -tratti più notevoli, di ordinare le note, di spremerne -il sugo in modo da poter mettere il libro da parte -colla sicurezza d'averne ricavato il maggior vantaggio -possibile. Per questo, credo che non riusciranno -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -inutili le pagine seguenti. Propongo, in somma, -a quelli fra i lettori che studiano con amore la -lingua, di leggere, o rileggere, il libro del Giuliani -in compagnia d'uno che può risparmiar loro una -parte della fatica che avrebbero a durare per far -quella lettura da soli e con profitto. -</p> - -<p> -Questo libro è quasi tutto composto di discorsi, -di frasi, di parole raccolte dalla bocca di contadini -e contadine delle varie provincie toscane. Il Giuliani -ci ha lavorato molti anni. Girò tutta la Toscana, -soggiornò nei villaggi e nelle borgate, s'affratellò -coi campagnuoli, ne studiò i lavori e i -costumi, e a furia d'interrogare e di notare, mise -insieme il suo libro, che è una miniera di purissima -lingua. E non di lingua soltanto, perchè son contadini -e contadine che parlano d'agricoltura, delle loro -famiglie, dei loro amori, delle loro disgrazie; quindi -c'è racconto, descrizione, affetto. Letto questo libro, -par di essere vissuti un anno in quelle beate valli -<i>popolate di case e d'oliveti</i>, e d'aver conosciuto -quel buon popolo schietto e cortese; e per molto -tempo rimangono nella mente quei vignaiuoli, quegli -opranti, quei carrettieri, quei cacciatori, quelle -fattoresse, quei garzoni, quelle nonne, quelle spose, -quelle ragazze, colle quali s'è discorso alla sfuggita, -come tanti personaggi di un romanzo. -</p> - -<p> -Io non credo che ci sia al mondo altro popolo -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -contadinesco, — per servirmi delle parole del Giuliani, — il -quale parli una lingua così gentile, così -potente, così splendidamente poetica come quella -parlata dal popolo della campagna toscana. Certuni -(non toscani, s'intende), leggendo questo libro sono -stati presi qua e là dal dubbio <i>che non fosse tutta -farina dei contadini</i>. — Certe idee, — dissero, — certe -frasi son troppo belle, troppo poetiche per dei -contadini. — Io penso invece che sono tanto poetiche -e tanto belle da non poter sospettare che siano -di Giovanbattista Giuliani, per quanto egli abbia ingegno -e buon gusto. E dico il vero: se fossi sicuro -che il racconto intitolato <i>Tre vittime del lavoro</i>, -compreso nel libro di cui parliamo, non è stato -scritto, quasi sotto dettatura della contadina <i>Teresa</i> -e del pastore <i>Domenico Nesti</i>, ma steso per -intero, e per sola forza d'immaginazione, dal signor -Giuliani, piglierei questa sera il treno diretto di Firenze -per andare ad abbracciare il degno abate e -gridargli ch'è il primo scrittore d'Italia; tanto io -credo che quel meraviglioso racconto sia al di sopra -delle forze di qualunque ingegno, anche toscano, -e che la natura sola l'abbia potuto dettare. -</p> - -<p> -E poi giudicheranno i lettori, non di quel racconto, -ma dell'altre cose. Spigoleremo nel volume del -signor Giuliani. Gran lavoro davvero da riempirne -le pagine d'un libro! Ma qui si tratta di spigolare -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -riordinando. Il ritenere le cose di lingua dipende in -gran parte dall'ordine col quale ci si presentano. Nel -libro del Giuliani, composto in gran parte in forma -di vocabolario, si trovano discorsi, frasi, immagini -di natura svariatissima, l'una sull'altra, alla rinfusa. -Nella stessa pagina, tre persone diverse parlano d'agricoltura, -d'amore e di morte. Noi procederemo in -un'altra maniera. Di più, non cogliendo altro che -il fiore delle tante bellezze sparse in quel libro, lasceremo -da banda quella parte di lingua, ed è moltissima, -che riguarda esclusivamente l'agricoltura -dal lato tecnico, e che perciò riuscirebbe inutile al -maggior numero dei lettori. -</p> - -<p> -Cominciamo dalle espressioni poetiche del linguaggio -del dolore, dell'amore e d'altri sentimenti. -Molte volte rimarremo meravigliati del pensiero, -non meno che della forma. Una contadina della -montagna pistoiese, per esempio, parlando degli ultimi -giorni d'una sua conoscente, morta poi di -malattia, dice che <i>aveva la carne già morta e lo -spirito sempre vivo</i>...; che <i>le morì la carne addosso -prima ancora che se ne fosse ita con Dio</i>. -Un'altra contadina della stessa montagna dice che -<i>quando il dolore è di quello cocente, la parola -resta dentro</i>: espressione di cui si ammirerebbe la -potenza se si trovasse in un verso di Dante. — Una -contadina senese dice le seguenti parole che a me -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -paiono sublimi: <i>La mamma io la perdetti ch'ero -piccolina; a ogni modo mi par di mentovare un -gran nome!</i> — <i>A casa</i>, — dice un'altra pistoiese, — ci -sta il nonno, che gli voglio un bene all'anima. -<i>Sempre sotto la sua ombra mi son riparata.</i> — Un'altra, -parlando d'un figliuolo morto: — <i>La morte, -come fa presto! Non si sa la mattina quando ci si -leva, se si finisce il giorno.... Ma Dio ce li dà in pegno -i figliuoli; a tutte l'ore li puole ripigliare, e -bisogna renderli.</i> — Una donna del Casentino, raccontando -un suo sogno d'una passeggiata fatta colla -bambina che poi le è morta: — <i>Per la strada -non si faceva altro che coglier fiori e fiori, parea -fosser nati a bella posta per noi: era un non so -che d'allegria per tutto.</i> — <i>A volte</i>, — dice un'altra -di Valdensa, — <i>m'arrabbierei dalla disperazione; -ma Dio è misericordioso, e ci svia la mente da queste -tristizie.</i> — Un'altra madre: — <i>A noi mamme ci -costano sangue tutti a un modo i figliuoli. C'è n'è -tante che non se ne rifanno a mancargli un figliuolo. -Tutti non si nasce d'una stampa; le dita delle mani -non son mica tutte compagne.</i> — <i>A rifletterci bene</i>, -dice una contadina di Montamiata, — <i>è proprio -vero, il mondo è una catena continua d'amore: -s'esce d'un amore e s'entra in uno più grande a -pigliar marito</i>. — Un cieco delle montagne di Siena -dice: — <i>perso gli occhi, perso il mondo; la luce -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -è la bellezza della vita</i>. — Un'altra madre del Casentino -dice dei suoi figliuoli morti: — Mi ricordo -di quando li avevo tutti e due; <i>come brillavano! -allora sì che quella era vita!... Senza la vista degli -occhi</i> (era diventata cieca) <i>si è più di là che -ili qua, sparisce il meglio della vita.</i> — Un'altra -madre: — Quando cominciano a chiamare <i>babbo, -mamma, anco che non lo scolpiscano bene bene, è -una tenerezza che ci cascano i lucciconi</i> (lagrimoni) -<i>ridendo</i>.... — <i>Quando c'è l'amore</i>, — dice un'altra, — <i>tutto -passa! Quello sì che è proprio un accorda -cristiani!</i> — Ed altre, parlando sempre dei figliuoli: — <i>Le -darei il fiato per tenerla viva</i> — Che almeno -la rivegga in paradiso! <i>Mi reggo viva in questa speranza.</i> — Sebbene -fossi più di là che di qua, l'avere -il mi' figliuolo daccanto nel letto, <i>mi pareva di essere -più degna di stare nel mondo</i>, ecc. -</p> - -<p> -Ecco ora un saggio d'altre espressioni più brevi -di dolore e di affetto tolte qua e là dal libro e riferite -tali e quali. Non dimentichiamo mai che son -contadini e contadine che parlano. — Era una vista -che levava il pianto dal cuore. — Sono dolori -che ne va la vita. — Quando viene un rimescolo di -sangue l'uomo non scerne più il bianco dal nero. — Sono -pene di morte che fanno andare il cervello -in aria. — Mi consumavo dentro. — Mi sento schiantar -dentro dalla passione. — È un pensiero che mi -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -pesa sull'anima. — È un coltello che m'ha passata -l'anima. — È una disgrazia che m'ha ferita a -morte. — Se non fossi in mano di Dio, sarei già -morta sfatta dal dolore. — Una puntura, per forte -che sia, finisce presto, basta che non arrivi al cuore; -ma feriti al cuore, addio: è una morte da vivo; non -si guarisce più. — Li ricordo quei giorni! Li ho -contati a goccie di sangue, li ho contati. — Parea -distrutta dalla gran passione. Vede quel sasso? -Tant'era lei. — E Teresa? Oh quella sì che il dolore -le s'è fitto nell'ossa! — Vedevo lui (<i>il marito morto</i>,) -e mi pareva volesse dir tante cose, e non poteva; -che strazio è stato il mio! — Spasimava tra la -vita e la morte. — Mi si travolse il cervello. — Mi -pareva di non aver più senso di nulla. — Ero un -turbine di dolore, ecc. -</p> - -<p> -Ma nulla di più gentile e di più caro che il linguaggio -d'amore. — «M'ero messa a certi arrischi -per vederlo (dice una contadina della montagna -pistoiese parlando del suo damo, che fu poi suo marito) -che a ripensarci mi s'accapona la pelle. Bastava -mentovarmi il mio damo, io ero gelosa di -tutte e di tutto. <i>Mi pativa il cuore, che l'aria -me lo guardasse.</i> La prima volta che lo vidi, mi -principiò subito a garbare.» — Un giovane contadino -di Val di Greve dice: — «Io per me tra 'l -lavoro penso alla mia dama, non sento manco la -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -fatica, tutto mi piace; <i>è un gran gusto quando -c'è l'amore che rischiara la giornata</i>.» Una -contadinella, parlando del suo innamorato: — «Quando -si va in chiesa, quanti ne passa e quanti ci -entrano, il più bello di tutti è lui: <i>pare un fiore, -che lo distinguo tra mille</i>. Anche se mi ritrovo -alle feste e che ci sia lui, <i>lo vedo sopra tutti</i>; -gli voglio bene; il cuore non mentisce.» — S'ha -un bel dire, ma non c'è barba di scrittore che -valga a mettere insieme di queste parole. Un'altra, -una contadina di Crespole, racconta così l'<i>andamento</i> -del suo amore: — «La prima volta che vidi il mi' -omo, era la festa della Madonna delle Grazie. Un -giorno fra gli altri venne da me una mi' zia e mi -chiama: Vien qua, Betta, senti, t'ho da dire una -cosa: c'è quel giovinotto di Vellano, che t'ha visto -in chiesa, ti ricordi? <i>Ti conobbe tanto allegra -e con quel sorriso</i> (bellissimo!) che t'ha messo -gli occhi addosso; e finchè t'ha potuto vedere, -t'ha guardato e ha detto: Quella è la ragazza -che fa per me; la voglio pigliar per moglie, <i>mi -garba troppo</i>.» — Una ragazza di Cutigliano -scrive al suo amante: — <i>Anche solo a poter prendere -qualche boccata d'aria dove tu respiri, sarei -contenta.</i> — La stessa, in un'altra lettera, temendo -d'essere abbandonata: — «Rammentati bene che -v'è un Dio sopra di noi, che se tu <i>avessi il cuore -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -voltato a tradirmi</i>, non te ne darebbe il tempo.» — In -uno stornello c'è la parola <i>strazia fanciulle</i>, -per amante volubile; e una povera ragazza abbandonata -dice ingenuamente al suo damo: — <i>Come -volete ch'io faccia a campare?</i> Undici sillabe in -cui c'è più amore che in tutto il canzoniere d'un -petrarchista. -</p> - -<p> -Tralascio di riferire un gran numero di parole e -d'espressioni del linguaggio contadinesco, che non -potremmo usare. Ma ve n'è molte, fra queste, che -dánno tanta grazia e tanta originalità al discorso, -che sarebbe un peccato lasciarle da parte. Voglio -dire di quei vocaboli e modi che si soglion chiamare -<i>illustri</i>, e che non convengono al linguaggio famigliare. -Per esempio, si trattenga dal sorridere, chi -può, raffigurandosi un contadino il quale dica le -proposizioni seguenti: — Aveva una <i>dottoranza</i> nel -su' dire, che ci si stava a bocca aperta a sentirlo. — Quando -si torna di maremma, guai a non aversi -un po' di <i>riguardanza</i>. — Per esser povera gente, -l'hanno portato al cimitero con <i>onoranza</i>. — Si -vede che il vino nelle botti non ha preso <i>possanza</i>. — Bisogna -aspettare che il sole acquisti <i>possanza</i> -di scioglier la neve. — Ho continua <i>temenza</i> che -si faccia del male. — Vecchio, aveva nel cuore <i>l'ardenza</i> -della gioventù. — Ero sfinita, e tutti mi guardavano -come <i>una meraviglia di doglianza</i>. — Lavorava -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -per acquistarsi <i>nominanza</i>. — Uno dei -bimbi le morì perchè non ebbe <i>custodimento</i>. — Ora -le racconterò l'<i>andamento</i> della mia gamba -(s'intende del suo male). — Mi sarei mangiate le -mani, dal <i>rosicamento</i> che mi sentivo dentro. — Non -mi <i>nutricavo</i> che di pianti e di sospiri. — Mi fu -posto dinanzi un fiasco e potei bere a tutto tonfo, -si figuri! A quella <i>confortazione</i> subito riebbi la -vista. — Quest'aria è una <i>spirazione</i> di salute, ecc. — Noto -di volo il curioso paragone <i>piangere come -una vite tagliata</i> e la graziosissima espressione <i>donna -usciaiola</i> per donna che sta sempre sull'uscio a -<i>spettegolare, a tirarla giù all'uno e all'altro</i>; tanto -differente da quelle buone donne che <i>lavorano di -genio</i>, che <i>si tirano il bene da tutti</i>, che non <i>si -guastano con nessuno</i> e che non si dan pensiero -delle maldicenze, tenendo per massima che <i>un paio -d'orecchie sorde chetano cento lingue</i>. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Si veda se c'è nulla di più grazioso e di più efficace -delle espressioni seguenti, tutte raccolte dalla -bocca di contadini, e sparse per il libro del Giuliani. — L'orologio -cammina cammina senza ritegno, -<i>e non dice più vero</i>. — Il <i>verno è nato</i>, la -stagione declina. — Bella serata ch'è questa! È -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -<i>uno stellato fitto</i>, una chiarità che rallegra, starei -qui tutta la notte <i>a godere le stelle</i>. — Carlo voleva -partire; sua moglie non fece altro che <i>contraddirgli -l'andata</i>. — I ricchi delle volte stanno -peggio di noi perchè <i>hanno il baco che li rosica</i> -giorno e notte. — Io non dissi parola; ma <i>piangevo -nel mio dentro</i>. — A contare tutto quello che ho -passato nel mondo, sarebbe <i>una leggenda da far rabbrividire</i>. — Voleva -intendere, voleva sapere (parla -d'uno che sotto colore di chiedere <i>albergo</i>, s'era -ficcato in casa per rubare); non <i>aveva terren sotto -i piedi</i>. — Non <i>toccava</i> nemmeno <i>terra dall'allegria</i>. — <i>Non -batte</i> gli occhi <i>da tanto che sta lì -a guardarla</i>. — Creda che quando si vuol bene -davvero, le <i>parole muoiono in bocca</i>. — Che acqua! -<i>è una freschezza che rompe il bicchiere.</i> — Voglio -tornar a casa perchè altrimenti c'è quel benedetto -vecchio che m'<i>ingolla viva</i>. — <i>Un dì per me dice -tre</i> (parla un vecchio), <i>calo fuor di maniera.</i> — La -carità, se la facciamo bene, <i>Dio la scrive in cielo</i>. — Che -serve disperarsi?<i> Tanto questo mondo è una -fiatata.</i> — Conoscete il mi' figliuolo? Il vostro bimbo -<i>inchina tutto a quell'idea</i> (gli somiglia). <i>Lo rammenta -fin nei capelli.</i> — Guadagnarsi il pane a <i>stille -di sudore</i>, <i>assaettarsi</i> al lavoro, condurre una vita -<i>arrovellata</i>. — Mio marito lavora tanto che quando -torna a casa si mette subito a letto <i>e si sveglia dalla -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -parte che s'è abbandonato</i>. — Come diremmo questo, -otto su dieci di noi settentrionali, quando non -avessimo tempo a pensarci? <i>Si sveglia nella stessa -posizione.... nello stesso atteggiamento.... nel quale....</i> -</p> - -<p> -Un bello studio ci sarebbe da fare, con questo libro -alla mano, su quei modi e costrutti che i fautori -della prosa compassata rigettano con orrore, e -i novatori, invece, che badano all'efficacia più che -alla regolarità dello stile, cercano e adoperano, non -solo senza scrupolo, ma con predilezione. Lasciamo -stare le espressioni come le seguenti: — Di quei figliuoli -non ne <i>rinasce</i> (invece di <i>rinascono</i>). — C'<i>è -morto</i> pezzi di giovinotti (invece di <i>ci son morti</i>), -ecc., che non han bisogno di essere giustificate. Notiamo -invece: — <i>Il mio omo è da tre settimane -che si sente male.</i> — A casa ci sta il mio nonno <i>che -gli voglio</i> un bene dell'anima. — Per noi queste libecciate -è una disgrazia grande. — <i>L'uva ce n'è -di tante</i> specie. — La maremma <i>son</i> tutti luoghi -ammacchiati. — C'era due che contrattavano della -seggina. <i>Quello che comprava gli è parso che il -venditore l'avesse alterata di prezzo</i>, ecc. Che cosa -si deve dire di queste licenze? che si possono pigliare? -Il Manzoni non esiterebbe a rispondere di -sì poichè egli stesso ha scritto nei suoi <i>Promessi -Sposi</i> (edizione corretta), oltre a moltissime proposizioni -consimili, le seguenti: — <i>Tutti coloro che -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -gli pizzicavan le mani....</i> — <i>Queste sono sottigliezze -metafisiche che una moltitudine non ci arriva....</i>, -ecc. Ma nonostante l'illustre esempio, io starei umilmente -con coloro che credono di non doverlo seguire. -Che si debba preferire un idiotismo efficace a -una pedanteria d'effetto contrario, siamo d'accordo; -ma a patto che quell'idiotismo sia indispensabile ad -esprimere quella data cosa; a patto che quando ci sono -due espressioni di uguale efficacia da scegliere, una -sgrammaticata e una no, si scelga quest'ultima; a patto, -infine, che non si consideri ogni idiotismo come -una gemma per la sola ed unica ragione che è un -idiotismo. In quelle due proposizioni del Manzoni, per -esempio, non mi pare affatto giustificata la violazione -della sintassi regolare. Non trovo che il dire <i>tutti coloro -a cui pizzicavan le mani o che si sentivano -pizzicare le mani</i>, ecc., sia tanto pedantesco, tanto -forzato, da dover preferire l'altra maniera. Mi pare -anzi che sia appunto questa maniera, preferita come -più naturale, quella che, in simil caso, riesce più forzata. -Ma, si dirà, è una forma del linguaggio parlato, -e voi stesso dite che bisogna scrivere come si parla. -Certo; ma <i>come si parla</i> da chi parla bene, correttamente -ed elegantemente. Ora io scommetto che -nessun toscano colto dice <i>coloro che gli pizzican -le mani</i> altro che qualche volta e senz'avvedersene. -Abitualmente dirà, per esempio, <i>coloro che si sentono -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -pizzicar le mani</i>. È grammaticale e non è certo meno -semplice e meno spontaneo. Capisco che si scriva in -quel modo quando si fanno parlare dei ragazzi, degli -operai, dei contadini: si vuole, si deve imitare il loro -linguaggio; lo si imiti, lo si riferisca anzi tal quale; -sta benissimo. Ma non capisco perchè abbia da parlare -lo stesso linguaggio lo scrittore, anche quando parla -per conto proprio e di materie che non richiedono -assolutamente l'estrema semplicità del dire. Non mi -va, per esempio, che Emilio Broglio scriva nella -sua <i>Vita di Federico II</i>: — <i>I compagni gli riuscì -di fuggire.</i> La gran pedanteria che sarebbe stata di -scrivere invece: — <i>Ai compagni riuscì di fuggire!</i> — Dove -andremo a riuscire se ci mettiamo su -questa via? Transigere colle sgrammaticature, è un -conto; adorarle, è un altro. Si finirà per considerare -come la migliore prosa quella che sarà più spropositata -e più triviale. Vi sono, è vero, molti modi -e costrutti popolari graziosissimi che non stridono -nel linguaggio corretto; questi, per esempio, che si -trovano nel libro del Giuliani: — Si sente già cantare -i cicalini; <i>i cicalini, il caldo li sollecita</i>. — <i>Aver -sempre queste pene al cuore, non ci si regge.</i> — <i>Questo -stromento</i>, vedete, <i>è la prima volta che -me ne servo</i>. — Si sentiva un gran fracassío di -voci; <i>ma vedere, non si vedeva niente</i>, ecc. Altri -la penserà diversamente e metterà al bando anche -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -questi modi; è affar di gusto, e sui gusti, come dice -il volgo, non ci si sputa. -</p> - -<p> -Questo bel parlare dei contadini toscani, che ha -conservato tutta l'antica purezza, può anche servire -a levar molti scrupoli a coloro che scrivendo -italiano si guardano con orrore da tutti i modi del -loro dialetto, come se fossero tutti e necessariamente -<i>non italiani</i> per la sola ragione che appartengono -al dialetto. Quanti sono, per esempio, gli -italiani delle provincie settentrionali che sarebbero -presi da mille dubbi sul punto di scrivere le frasi -seguenti! — Che? le sai le divozioni? domanda una -contadina a una bimba. E la madre risponde: — <i>Altro, -se le sa!</i> — <i>Addio, e questa volta non star più -tanto</i> a scrivermi (non farmi più aspettar tanto le -lettere). — Lui non pensa che a me; <i>per essere</i>, -(è una contadina che parla del marito) ho inciampato -bene assai, ecc. — Così c'è da imparare tutte -quelle maniere di chiudere il periodo che usiamo -anche parlando, senz'accorgercene, perchè lo vuole -l'orecchio; ed anco quelle parole accoppiate che -pure si dicono, non perchè lo richieda il senso, ma -perchè il suono le chiama. Per esempio: — Troverò -io <i>il verso e la maniera</i>. — <i>Senza dire nè chè -nè come.</i> — E uscendo dal libro del Giuliani, quest'altre: — <i>Senza -sapere nè perchè nè per come</i> — <i>Senza -dire nè asino nè bestia</i>, — non ne seppe -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -<i>nè grado nè grazia</i>, — <i>non fa nè ficca</i>, — <i>non -cresce nè crepa</i>, — una lingua che <i>taglia e fora</i>, -che <i>taglia e fende</i>, che <i>taglia e cuce</i>, — <i>dàgli, -picchia e mena, dàgli, picchia e martella</i> — sono -d'accordo <i>bene</i> e <i>meglio</i> — <i>sono un paio e una -coppia</i> — è lei in <i>petto</i> e <i>persona</i> — viene in casa -<i>spesso e volontieri</i>, ecc., ecc. -</p> - -<p> -Ed ora torniamo alle bellezze della lingua contadinesca, -che il Giuliani raccolse con tanto amore. -Davvero, quando penso alla fatica che gli dev'esser -costata questo lavoro, lo ammiro, perchè conosco -un po' anch'io i contadini toscani, e so per -prova quanto è difficile il farli parlare come occorre -che parlino perchè un raccoglitore di lingua se ne -possa valere. Non è che non attacchino discorso -volentieri; chè anzi sono cortesissimi, e una volta -che han preso a discorrere, terrebbero a bada un'accademia. -Il male è che quando s'accorgono che li -fate parlare per sentirli, o temono che li vogliate -canzonare, e vi sguisciano di mano; o compiacendosi -della vostra ammirazione, e volendo meritarla -meglio con un parlare più scelto, vi cominciano a -tenere dei discorsi così arruffati, così lontani dalla -loro grazia e chiarezza abituale, che vi fanno cascare, -come suol dirsi, il pan di mano. Mi ricordo -d'un contadino che invece di dire: <i>son sceso perchè -avevo da dire una parola al tale</i>, volendo parlare -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -in punta di forchetta, mi disse: — <i>son sceso per -via d'una parola che avrei avuto l'idea</i>, ecc., e -non ricordo come sia andato a finire. Non basta -dunque girare per la campagna e interrogare i contadini; -bisogna guadagnarsene la confidenza, pigliare -dimestichezza con loro, imparare a farli discorrere -senza che se n'accorgano, trovare il verso di farsi -ripetere dieci volte lo stesso discorso, ed altre arti -in cui non tutti riescono, e il Giuliani riuscì mirabilmente. -Il curioso è che i più di quei buoni contadini -credono di parlar male. Un oprante senese, per esempio, -disse al Giuliani queste parole ingenue e graziosissime: — Mi -pare forestiere lei <i>perchè la sua -parlata non combina colla nostra</i>. Si sa anco noi -che il peggio parlare è il nostro; bisogna compatirci; -siamo poveri contadini, che non si conosce -la lettura. — Così mi ricordo d'una ragazzina fiorentina, -figliuola d'un barbiere, che disse ingenuamente: — <i>Mi -piace tanto come parlate voi altri -piemontesi l'italiano!</i> — -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -I contadini parlano spesso e volentieri della loro -salute e dei loro malanni, e per questo v'è nel libro -del Giuliani un gran numero di espressioni efficacissime -relative a quell'argomento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -</p> - -<p> -<i>Una volta gagliardo era che sfidava il vento</i>, -dice un contadino. — <i>Fora l'aria come una saetta.</i> — <i>Va -che manco una saetta l'arriva.</i> — <i>Corre che -vola.</i> — <i>Ha un braccio che non c'è il compagno.</i> — <i>Sta -bene in gamba.</i> — <i>Mangia di voglia.</i> — <i>È -pochino</i> (piccoletto della persona) <i>ma saldo più -dell'acciaio</i>. -</p> - -<p> -Ma pur troppo occorre più spesso di parlar di -malanni che di salute, e quindi v'è più messe di -lingua da mietere in quel campo che in questo. -</p> - -<p> -— Poveretto, a vederlo, <i>casca da tutte le parti</i>, — <i>rifiata -a stento</i>, — è bianco morto, <i>senza nemmen -la forza di rifiatare</i>. — È <i>all'ultime fiatate</i>. — <i>Ha -un viso da campar più poco.</i> — <i>In otto -giorni che ha le febbri</i> non si conosce più. — Poverino, -a che s'è condotto! Che voglia durarla a -lungo, non credo: <i>le pere mezze</i> (quasi sfatte) <i>a una -ventata sono in terra</i>. — Quando viene il colpo -mortale, <i>si casca giù come pere mezze, e dove uno -batte ci resta</i>. — <i>Si strugge a oncia a oncia</i> e -tanto ha sempre quel suo sorriso sulle labbra. — Non -si lagnava neanco <i>quando il male lo cuoceva -dentro</i>. — Le morì il babbo; <i>dalla gran passione -si lasciò andare giù giù, strutta come una candela</i>. — È -<i>schietta dentro</i> (sana di viscere); ma non ha -più la faccia <i>rosata</i> come prima. — Ebbe un <i>grosso -male, un male di pericolo</i>. — Ha una <i>freddagione</i> -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -che gli <i>mozza la vita</i>. — Ci ha un dente che quando -<i>c'entra lo spasimo</i> non <i>gli dà requie</i>. — A volte -l'enfiagione è cosa di poco, <i>sfuma</i> presto; ma se il -male infuria, se ne va la testa all'aria. — Oggi -<i>m'ha preso una pena tanto mai grossa</i> allo stomaco. — Ho -dovuto <i>tenere il letto</i> per un mese, e -non ho avuto nessuno che mi <i>guardasse</i>. — Avevo -un erpete infistolito; dal gran <i>tribolamento</i> mi sentivo -mancare la vita; ma <i>tanto mi son ripigliata</i>, -mi riebbi adagio adagio, e questa <i>la riconto</i>. — A -un tratto cascò morta <i>e non c'è stato più verso a -farla risentire</i>. — La peggior vita è non essere nè -sano nè malato, nè dentro nè fuori, nè di qua nè -di là; essere tra la vita e la morte; onde si dice -di uno <i>che non muore</i> e <i>non campa</i>. — Dopo -quella caduta, questa gamba non mi <i>dice</i> più come -prima. -</p> - -<p> -E si veda se è possibile dipingere più mirabilmente -una figura umana di quello che fa una povera -contadina colle parole seguenti: — .... <i>Ma gli ha i -segni della morte in faccia; non vede più lume, -sdentato, il capo senza un pelo, e con quella faccia -grinzosa, che la morte non si può figurare più -al naturale.</i> — Qui vocaboli, elissi, cadenza, sintassi, -tutto giova all'evidenza della descrizione. Son tante -pennellate e non ce n'è una superflua nè una che -manchi. Qualcuno, son certo, leggendo le parole e -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -frasi sopra citate, dirà che le <i>conosceva</i>. Ne son -persuaso. Ma convien ripetere la solita osservazione. -In materia di lingua <i>conoscere</i> non significa <i>sapere</i>, -perchè <i>sapere</i> vuol dire avere alla mano, sulle labbra, -pronto al bisogno: vuol dire <i>servirsi</i> della lingua. Che -importa sapere che esiste l'espressione <i>cosa di poco</i>, -per esempio, se ogni volta che occorre di esprimere -quell'idea, si dice, ci scappa detto o ci vien scritto -invece: <i>cosa di poca importanza</i>? Ognuno di noi, -italiani delle provincie settentrionali, possiede nei -ripostigli della mente una parte di lingua viva, efficace, -bella, — una parte della lingua raccolta nel -libro del Giuliani; — ma che non adopera perchè -non è ancora abbastanza <i>sua</i>, perchè appunto l'ha -nei rispostigli della mente e non sulla punta della -lingua e della penna, come i Toscani ce l'hanno. -Per questo lo studiar la lingua, per una persona -colta delle nostre provincie, non è tanto un imparare -parole e modi nuovi, quanto un ravvivare nella -memoria, un rimestare, un impadronirsi meglio di -quello che già si è acquistato; imparare a spendere -il tesoro nascosto; addestrarsi a maneggiare per -tutti i versi lo strumento che si sa maneggiare per -un verso solo. -</p> - -<p> -Il <i>tempo</i> è un altro grande argomento di discorso -per i contadini; onde il libro del Giuliani è ricchissimo -di espressioni e d'immagini che vi si riferiscono. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -</p> - -<p> -<i>Il sole cuoceva la carne sull'ossa</i>, dicono. — <i>Per -la via s'avvampava.</i> — Con questo caldo <i>s'avvampa -vivi</i>. — Il sudore <i>ci casca in terra a goccioloni</i>. — Badi: -<i>sul buon del giorno</i> si vive bene quassù; il -<i>crudo</i> è la mattina e la sera. — Oggi ve la siete -scaldata a codesto sole la groppina? — A queste -<i>solate</i>. — A queste <i>nebbiate</i>, — Signore! par d'esser -rinati nel riveder la faccia del sole! — <i>È un'aria -che fa riavere!</i> — Quelle chiare giornate che -si campa tanto volentieri, passano come un lampo! -<i>E ci rientra</i> tante faccende allora! <i>Le giornate -d'ora</i> (inverno) <i>rilucono appena</i>. — Oggi tirava -un vento che pareva di <i>fitto inverno</i>. — <i>Tirava un -vento diacciato che arrivava alla midolla.</i> — <i>Che -vita tribolata si conduce noi poveri, il verno per -un verso, l'estate per un altro!</i> — Nel verno <i>si -tribola per un conto</i> e d'estate <i>per un altro</i>. — A -volte <i>il vento mena gran rovina</i>. — <i>Attaccò per -bene a piovere</i> sulla mezzanotte. — <i>Giù acqua e -baleni</i>, pareva il finimondo. — Per ora non c'è <i>disegno</i> -di piovere. — È un tempo <i>perverso, infierito</i>. — E -questa ammirabile descrizione che fa una povera -contadina della montagna pistoiese, presso Castiglione: — Il -<i>vento percoteva forte, i castagni -svettavano</i> (agitavano le vette, le cime), <i>l'aria rintronava, -un mugolío si sentiva che mi parevano -urli di morte</i>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -</p> - -<p> -Ciò non ostante, mi pare che il linguaggio più immaginoso -e più poetico sia quello che si riferisce -all'agricoltura; e per questo l'ho serbato in fondo. -</p> - -<p> -Ecco, per esempio, un breve discorso d'un contadino -della Valdinievole, che è una vera meraviglia -d'immagini, d'armonia, di gentilezza. Il Giuliani -gli domanda una spiegazione del proverbio: <i>Sotto -la neve pane e sotto l'acqua fame.</i> — Perchè, egli -risponde, sotto la neve il grano <i>accestisce meglio</i> -(<i>accestire</i> significa venir su con parecchi fili da un -sol ceppo), <i>compone vita</i> adagino adagino, piglia -più campo. Si sa: dalle barbe <i>riscoppiano più fili -e la figliolanza</i> si fa maggiore. E poi, non si dubiti, -che se il caldo viene a suo tempo, <i>la maturazione -s'affretta a buon modo</i>: lo <i>spigame</i> abbonda. -Una moltitudine di spighe porta, che è una -dovizia. Ma unguanno è venuta tant'acqua, che il -grano <i>ammutolisce</i>: perchè, m'intende? l'acqua -ripiove giù giù dalle barbe del grano e lo strugge. — Si -metta questo discorso in versi ed è poesia -della meglio. -</p> - -<p> -«Nel corpo (ossia nella parte interna del castagneto), — dice -un contadino di Montamiata, — <i>i -castagni pigliano alterezza</i>» per dire che crescon -meglio. -</p> - -<p> -«Belli quassù i grani! — dice un contadino di -Valdinievole, — <i>s'ergono su su col collo pieno; -a vederli è una dignità</i>.» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -</p> - -<p> -Un contadino di Versilia dice al compagno: — Non -lo gittare questo seme, credi a me, non è terra -<i>degna</i>, non lo merita. -</p> - -<p> -Un contadino pistoiese dice che basta una solata -a far levare il capo all'erba, e che si rià a un -tratto perchè il <i>sole è vita alle piante</i>. -</p> - -<p> -Un diluvio d'acqua, — dice un senese, — è più -una rovina che altro, ma se vien regolata, che la -possa ricevere, <i>il campo gode e lavora</i>. -</p> - -<p> -Le patate a questa <i>rinfrescata</i> si <i>son risentite</i>, — dice -un di Versilia, — e <i>godono</i> che è un piacere -a vederle. -</p> - -<p> -Il grano, — dice un pistoiese, — è venuto adagino, -pigliò vigore, e vede come <i>rizza il capo rigoglioso</i>! — <i>È -pieno, tien corpo, è bene spigato.</i> — <i>Il -sole quassù ha molta possanza</i>, ecc. -</p> - -<p> -Vuol essere custodimento, — dice un pisano, — se -si vuole che la pianta <i>venga in orgoglio</i>. -</p> - -<p> -Il buon sugo (pure un pisano) rinvigorisce le -piante, le mantien fresche e le fa <i>venire in essere</i> -a tutto punto.... Si cuoce a fiamma la legna che -<i>prende essere</i> di carbone. -</p> - -<p> -Giù nelle fondate (un altro pisano) le viti non -ci approdano: <i>è il trionfo dei grani</i>. — Miri che -<i>trionfo</i> di verde! — A volere che la campagna -<i>trionfi</i> ci vorrebbe un pochino d'acqua. -</p> - -<p> -Son terre magre e sassose (un senese); <i>è uno -sgomento a domarle</i>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -</p> - -<p> -Il grano cresce rigoglioso ch'è una bellezza, proprio -<i>una meraviglia di speranza</i>. -</p> - -<p> -Pel freddo il faggio s'abbandona e resta <i>mortificato</i>; -par che <i>il freddo gli rompa l'anima</i>. -</p> - -<p> -È una pianta che vuol di molto custodimento, -guai abbandonarla! <i>resta senza fiato</i>. -</p> - -<p> -La terra dà quanto riceve; nutrita poco, dimagra -come i cristiani, <i>e non ha più nerbo a reggere le -piante; la terra rende frutto secondo che si nutrica, -ecc., ecc.</i> -</p> - -<p> -E questo è quel «dialetto come tutti gli altri» -o «il dialetto che più s'avvicina alla lingua» e -che avrebbe «la pretesa di farsi considerar come -lingua,» quel gergo toscano, infine, che l'ignoranza -presuntuosa e cocciuta di molti non vuole nè ammirare, -nè studiare, nè sentire. — Pare impossibile! — diceva -il Manzoni, scrollando il capo, con un -sorriso tra mesto e stizzoso. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -</p> - -<h2 id="imparare">QUELLO CHE SI PUÒ IMPARARE A FIRENZE</h2> -</div> - -<p> -Che cosa può far dire il dispetto! Qualche tempo -fa, essendo corsa la voce che il ministro della guerra -voleva trasferire la Scuola militare da Modena a -Firenze, perchè gli allievi avessero miglior modo -d'imparare l'Italiano, un giornale dell'Alta Italia -disse le seguenti parole tali e quali: — Che cosa -potranno mai imparare (gli allievi) a Firenze? -Qualche idiotismo, e nulla più. — È grossa, anzi -crassa, o per dir meglio, briccona. Eppure, se vogliamo -esser giusti, non c'è da meravigliarsene più -che tanto, perchè l'opinione di chi scrisse quelle -parole è l'opinione di molti e in Piemonte e in altre -provincie d'Italia. Fino all'età di diciassette anni, -mi ricordo d'aver sempre inteso dire nelle scuole, -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -dai miei professori di letteratura italiana, che i -toscani <i>parlano con affettazione</i>, che dicono <i>molti -spropositi di grammatica</i>, che <i>scrivono male</i>, ecc., -e mi ricordo pure che noi scolari piemontesi credevamo -fermamente di conoscer la lingua meglio -dei toscani. — I toscani, — dicevamo, — sapranno -un maggior numero di vocaboli e parleranno con -maggiore facilità; ma noi che studiamo seriamente -la lingua, noi ne abbiamo senza dubbio una conoscenza -più esatta, la scriviamo con più correttezza -e la parliamo in modo più scelto. — Perchè il gran -che, a quei tempi e in quelle scuole, era di scrivere -scelto. -</p> - -<p> -E infatti, quando andai per la prima volta a Firenze, -per starvi lungo tempo, v'andai volentierissimo, -ma coll'idea d'impararvi la pronunzia, non -la lingua. Avevo la testa tutta imbottita di parole -illustri, sapevo a memoria delle filze sterminate di -periodi d'A<i>ntologia</i>, avevo con me una mezza dozzina -di quaderni pieni di frasi di «buona lega,» di -«italiane eleganze,» di «modi eletti;» e non mi -passava nemmeno per il capo che il primo venuto -dei fiorentini si potesse impancare a insegnarmi la -lingua italiana; — i-ta-li-a-na, — ripetevo tra me — non -toscana, buffoni. -</p> - -<p> -Però, il giorno medesimo che arrivai a Firenze, -appena uscito dall'albergo, ebbi una piccola mortificazione -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -d'amor proprio. Due monelli di sette o ott'anni -giocavano nella strada. Uno di essi teneva -un coltellino aperto sulla palma della mano e nell'atto -di pigliar la mira per gettarlo contro un -uscio, diceva all'altro: — Sta attento: io lo tiro, -vi si configge, oscilla e po' si queta. — La grazia, la -proprietà, l'efficacia di quelle parole, mi colpì. Osservai -che non v'erano nè idiotismi nè sgrammaticature. -Interrogai la mia coscienza, e la coscienza -mi rispose che, per dire quella stessa cosa, io mi -sarei espresso altrimenti e men bene. Sentii un -po' di dispetto e un pochino di vergogna. Ma fu -un lampo. Ripensai ai miei quaderni e a certi: — bravo! — dei -miei professori, e il mio orgoglio -scolaresco rivenne a galla. -</p> - -<p> -Conobbi dei fiorentini, frequentai qualche famiglia, -passarono alcuni mesi. -</p> - -<p> -Ahimè! Allora cominciarono le <i>dolenti note</i>. -</p> - -<p> -Fin che, in una conversazione di molta gente, si -trattava di parlare, colle solite frasi coniate, di politica, -di letteratura, di teatri, il mio italiano correva -a meraviglia. Ma quando ero faccia a faccia -con una signora, e dovevo parlare delle mie faccenduole, -esprimere sentimenti intimi, rispondere -collo scherzo allo scherzo, raccontare, descrivere, -discutere intorno ad argomenti delicatissimi, dire, -in una parola, quei mille nienti di cui s'alimenta la -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -conversazione famigliare libera e vagabonda, a tavola -e accanto al fuoco; allora la mia lingua era restía, -i miei frasoni scappavano come uccellacci selvatici, -volevo dire una cosa e ne dicevo un'altra, m'impigliavo -nei miei periodi come dentro una rete, stentavo, -m'indispettivo, e qualche volta rinunziavo a -esternare un mio pensiero per paura di non riuscirci. -Quanti sorrisi leggerissimi ho visti guizzare -sulle labbra dei miei ascoltatori, mentre parlavo; -sorrisi che allora mi facevano fremere, e che ora -benedico, perchè m'accorgo che furono i più utili -insegnamenti che io m'abbia avuti in materia di -lingua! Qualche volta una signora cortese mi dava -amabilmente la baia, e anche questa era una eccellente -correzione. — <i>Il tale</i>, — io dicevo, — <i>s'appressò -a me</i>. — <i>T'appressa, Oreste!</i> — essa esclamava -con accento tragico. — Io esprimevo l'idea -più semplice, poniamo il caso, con una frase ricercata -ed altisonante, ed essa esclamava: — Oh come -parla bene! — Ogni giorno cadeva dal mio vocabolario, -ferito a morte da uno scherzo affilato, un -piemontesismo, un francesismo, una pedanteria, una -frase poetica. Ogni giorno mi confermavo meglio -nella dolorosa persuasione che invece di <i>parlare</i> -italiano, <i>componevo</i>; che il mio tesoro linguistico -era uno scrigno di diamanti falsi, e che se volevo -riuscire a parlare e a scrivere a dovere, dovevo rimettermi -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -a studiar daccapo. Son pur bestia! dicevo -come Vittorio Alfieri nel suo sonetto a monna Vocaboliera. -</p> - -<p> -Ma il cimento più duro per il mio amor proprio -fu quando misi per la prima volta in mani fiorentine -gli stamponi dei miei poveri scritti. Una signora -mi presentò un giorno una quarantina di -pagine tutte tempestate di punti neri. Mi morsi -le labbra dal dispetto. — Vediamo, — dissi con la -più profonda sicurezza di riuscir vittorioso alla -prova, — vediamo e discutiamo. — Cospetto! — pensavo: — scrivere -è tutt'altra cosa che parlare. Mi -può essere sfuggito qualche sproposito; ma cento, -non credo. Son fresco di studi, so dove ho pescato -la mia lingua, citerò i passi degli scrittori. La vedremo. -</p> - -<p> -Si cominciò. -</p> - -<p> -— Questa frase non va, — mi diceva. -</p> - -<p> -— Perchè non va? -</p> - -<p> -— Perchè non ha garbo, perchè non viene spontanea -a chi vuol dire quello che lei ha voluto dire. -</p> - -<p> -— Ma l'ha adoperata il tale dei tali, e dicevo -il nome d'uno scrittore consacrato. -</p> - -<p> -— Me ne dispiace per lui; ha fatto male ad adoperarla; -io non l'adoprerei davvero. -</p> - -<p> -— Ma è o non è italiana? -</p> - -<p> -— Ma anche conciofossecosacchè è italiano. Lei -l'userebbe per questo? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -</p> - -<p> -— Ma come direbbe lei invece? -</p> - -<p> -La cortese correttrice mi suggeriva la correzione. -Era nove volte su dieci la semplicità sostituita all'affettazione, -l'evidenza all'equivoco, la grazia alla -pedanteria. Ma quella correzione era come un colpo -di catapulta che faceva traballare tutto l'edifizio -della mia educazione letteraria; e perciò io resistevo, -mi dibattevo, citavo, cavillavo, qualche volta -credendo davvero di aver ragione, e non di rado -facendo dentro di me il proposito di non sottomettermi -mai più a quella tortura. Ma il giorno dopo -ci ripensavo, davo a me stesso di corbello e di -cocciuto e facevo la correzione. E mi ricordo che -mi meravigliavo di vedere, durante le discussioni -vivissime, e qualche volta anche acerbe, che il mio -testardo amor proprio sollevava, di vedere, dico, il -viso della mia correttrice sempre pacato e sorridente. -Non capivo ch'essa non s'impazientiva perchè -era profondamente sicura d'aver ragione, e che io -avrei finito per riconoscerlo. — Oh questa poi! — esclamavo -qualche volta; — questa assolutamente -non la passo! — Ebbene, ne riparleremo domani, — essa -rispondeva. E il giorno dopo non c'era neppur -più bisogno di parlarne. -</p> - -<p> -Molte volte bastava una semplice osservazione per -farmi ravvedere; ed era quando si trattava di tutte -quelle piccole affettazioni, che sono nella lingua -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -ciò che sul viso umano sono le smorfie, le rughe, -i vezzi ridicoli, i mille segni e atteggiamenti sfuggevoli -e inesprimibili, che rendono una persona -antipatica; affettazioni delle quali molti scrittori -italiani, anche valentissimi, non si sono ancora -spogliati, e che sebbene paiano difetti di poco o -punto rilievo, deturpano lo stile e rendono i libri -noiosi. -</p> - -<p> -Leggevo, per esempio, nei miei scartafacci: — «Cadde -sul <i>destro</i> piede.» -</p> - -<p> -— Perchè non sul piede destro? — mi domandava. -</p> - -<p> -— Perchè è meno elegante, — rispondevo. Si -metteva a ridere così di cuore che io tiravo un -frego sull'eleganza. -</p> - -<p> -Leggevo: — Partissi da casa.... -</p> - -<p> -— Ma perchè non <i>partì</i> da casa? Che direbbe di -me se le dicessi che questa mattina <i>partiimi</i> da -casa d'una mia amica e <i>andaimi</i> a casa d'una parente? -</p> - -<p> -Leggevo: — Prese quel partito, <i>però che fosse</i> -l'unico ragionevole che.... -</p> - -<p> -— Oh terrore! — esclamava accompagnando la -parola con un gesto drammatico. -</p> - -<p> -— Ma è italiano! — io dicevo. -</p> - -<p> -— Ma e batti con questo italiano! Vuole scommettere -che senza dire mai nè una parola nè una -frase che non sia italiana, io, questa sera, nel mio -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -salotto, parlo in maniera da far scappare tutti i -miei amici? -</p> - -<p> -Non erano mica, come si vede, correzioni di errori -di grammatica o d'altri strafalcioni gravi. Erano -quasi sempre cambiamenti di una parola in un'altra -di senso affine, trasposizioni, raddrizzamenti di -frasi torte, tocchi e ritocchi da nulla; ma che facevan -mutar faccia a un periodo e colore a un -pensiero, e dove il lettore avrebbe inarcato le ciglia -o non badato, facevano sì che o non badasse o -sorridesse di compiacenza. Era soprattutto un insegnamento -continuo intorno al modo di distribuire -e di combinare tutta quella parte minuta della lingua, -tutto quel tritume di monosillabi, che è la -maggior difficoltà delle lingue moderne; di distribuirlo -e di combinarlo in maniera, che il linguaggio -non ne rimanesse irto e rotto, le giunture dei periodi -rigide, i passaggi stentati, il suono sgradevole, -come vediamo accadere al più degli scrittori non -toscani. Erano delicatezze di lingua alle quali non -avevo mai pensato, che anzi non avevo mai neppur -sentite nei buoni scrittori, o le avevo sentite nell'effetto -complessivo del loro modo di scrivere; ma -senza rendermi ragione del come e del perchè. — Paiono -inezie, — mi diceva quella colta signora; — e -molti ne ridono; ma a pensarci bene, sono cose -essenziali per chi voglia scriver bene. Perchè in che -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -altro si distingue uno scrittore elegante ed efficace -da uno scrittore rozzo e sgradevole? Scriverebbero -tutti bene ad un modo, se lo scriver bene consistesse -nel non violar la grammatica, nel non adoperare -nessuna parola e nessuna frase della quale non vi -sia esempio negli scrittori, nel far capire, presso a -poco, quello che si pensa. L'eleganza, la grazia, -l'arte vera del parlare e dello scrivere, sta tutta -nelle <i>segrete cose</i>, nei nonnulla che sfuggono all'attenzione -dei più, in un'armonia che gli orecchi non -educati non sentono. E in questo, se ne persuada -pure, signor mio, e <i>lasci dir la gente</i>: i toscani -possono insegnare qualche cosa ai loro fratelli -d'Italia. -</p> - -<p> -Di questa verità non erano persuasi, neppure dopo -due o tre anni di soggiorno a Firenze, molti Italiani -delle Provincie settentrionali, per i quali l'aspirazione -toscana, il <i>te</i> per il <i>tu</i>, il <i>dai retta</i> per il -dà retta, l'<i>un</i> per il <i>non</i>, e qualche altro idiotismo -eran cose che, messe nella bilancia, facevano saltare -in aria tutte le grazie, tutte le ricchezze, tutte -le meraviglie del linguaggio toscano. Ma nel fatto -era come se ne fossero persuasissimi; perchè senza -volerlo, imparavano a parlare ed a scrivere; la loro -lingua si snodava; adoperavano, senza accorgersene, -modi vivacissimi e frasi semplici e piene di garbo, -per dir cose che esprimevano prima con perifrasi e -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -giri di parole ridicoli; si abituavano a raccontare -e a scherzare senza compasso e senza fatica; e in -fine canzonavano l'italiano stentato e mal connesso -dei nuovi arrivati a Firenze, e trovavano insopportabili -certe maniere di scrivere che avevano ammirate -fino allora con pecoraggine scolaresca. -</p> - -<p> -Vi sono però molti, i quali andarono per qualche -loro faccenda a Firenze, stettero una settimana all'albergo, -sentirono bestemmiare i fiacchierai in -piazza della Signoria, colsero a volo qualche frammento -di conversazione in mezzo alle erbivendole di -Mercato Vecchio, passarono tutt'al più una serata -in una famiglia fiorentina, e poi tornati a casa, -dissero che a Firenze non c'è da imparare che qualche -idiotismo, che la lingua italiana non è là, che -un qualunque italiano colto può parlar meglio d'un -toscano, che l'idea del Manzoni è una stramberia. -</p> - -<p> -Dio vi perdoni e vi converta, signori. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -</p> - -<h2 id="parlatore">UN BEL PARLATORE</h2> -</div> - -<p> -Ogni volta che l'ho sentito parlare, mi sono persuaso -che sono un barbaro e son tornato a casa -umiliato. -</p> - -<p> -Non so come parli alla Camera e sulla cattedra; -suppongo che parli bene; ma non credo che l'eloquenza -politica e la scolastica siano la sua vera -eloquenza. Bisogna sentirlo in conversazione. -</p> - -<p> -Qui è veramente ammirabile. -</p> - -<p> -Prima di tutto, bisogna dire, per chi non l'ha -mai visto, che la sua persona non toglie nulla, ma -neppure giova gran fatto all'efficacia del suo parlare. -Se ne può fare il ritratto in due tocchi: una gran -zazzera sopra un viso magro ed irregolare nel quale -brillano due piccoli occhi pieni d'ingegno. Ha un -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -sorriso un po' canzonatorio, un gesto un po' curialesco, -una voce dolce e pieghevole. È superfluo il -dire che è nato in Toscana; ma necessario soggiungere -che è senatore, e che ha passato di qualche -anno la cinquantina. -</p> - -<p> -Bisogna, dunque, sentirlo in conversazione. -</p> - -<p> -È un po' pigro, anche a parlare; e perciò non è -molto facile fargli scioglier la lingua. Se non è in -vena, e se il soggetto della conversazione non lo -tira, è capace di non aprir bocca in tutta la serata. -Peggio, poi, quando s'accorge che lo si vuol far -parlare per starlo a sentire. In questo caso è timido -e cocciuto come un bambino. Un giorno una signora, -sollecitata da un amico curioso, gli mise dinanzi un -libro di poesie (poichè legge mirabilmente i versi) -e lo pregò ripetutamente di leggere. — Ma come -vuole che io legga, — egli rispose quasi indispettito, — con -tutto questo apparato? Diventerei rosso -fino alla radice dei capelli! — E non ci fu verso di -fargli leggere un rigo. -</p> - -<p> -Bisogna ch'egli s'impegni in una conversazione -quasi senz'accorgersene, che vi scivoli, che vi si -trovi legato senz'averlo voluto. Una volta che ha -preso la parola, gl'interlocutori a poco a poco tacciono -e diventano ascoltatori. Allora egli non si avvede -d'essere sul palco scenico e la platea può esser -sicura d'avere il fatto suo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<p> -Seduto in un angolo del salotto, cogli occhi socchiusi -e il sorriso sulle labbra, passandosi di tratto -in tratto una mano sul ciuffo, poi sulla fronte, e -poi sul mento, egli dice mille cose argute e gentili -con una grazia e una nobiltà di forma e d'accento -che è impossibile a esprimersi. Parla lentamente e -pesa le parole, ma senza sforzo; si direbbe che le -scocca, che le fa scattare l'una dall'altra, che sente -e che fa sentire in ognuna di esse un valor nuovo, -scoperto o piuttosto dato da lui, come un'effigie a -una moneta. Qualche volta fa aspettare una parola, -si capisce che la cerca, e che gli sfugge; ma la -coglie sempre, ed è sempre la propria, la necessaria, -quella che s'aspettava. Talora si direbbe che ha -compiuto l'espressione del suo pensiero, e non è; -aggiunge ancora un aggettivo, un avverbio, un monosillabo, -che fa sempre l'effetto dell'ultimo tocco -d'un pittore sicuro. Si direbbe che cerca le difficoltà -per pigliarsi il piacere di vincerle. Non gira -mai intorno al proprio pensiero. Scava dentro di -sè, mette fuori tutto, fa comprender tutto; colorisce, -brunisce, orla, frangia, si trastulla in mille -modi colla sua lingua; tocca con una destrezza meravigliosa -soggetti disparatissimi, si diverte a sguisciar -di mano, fa mille sorprese colla frase e coll'inflessione -della voce; e di qualunque cosa parli, sia -di filosofia, sia di finanze, sia di letteratura, sia di -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -corbellerie, ha sempre la stessa evidenza e lo stesso -colorito caldo e brillante di linguaggio, che seduce -egualmente uomini, signore e bambini. -</p> - -<p> -Qui dovrebbero essere, — pensavo io quando l'udivo -parlare, — coloro che dicono che <i>scrivere come -si parla è la sapienza degli ignoranti</i>. Essi mi direbbero -forse che questo signore, per quanto parli -bene, scrive certamente meglio. Meglio, sì, ossia, -con più ordine, con più sobrietà, con un nesso più -stretto fra pensiero e pensiero, fra periodo e periodo; -meglio, in una parola, <i>ma non in una -maniera diversa</i>. Ossia non adopera, scrivendo, -nè una frase nè una parola che non adopererebbe -parlando, e scrive nondimeno con una eleganza -e una nobiltà di stile e di lingua ammirabile. -Egli può studiare a memoria quello che scrive e -ripeterlo in conversazione, senza che nessuno s'accorga -che sia stato scritto. Leggendo la sua prosa, -par di sentir parlar lui; lui, — notiamo bene, — lui -nascosto dietro una cortina o coll'anello di Gige -nel dito; e non un altro personaggio che non si sa -chi sia, un personaggio non vero, un terzo fittizio -che si caccia fra l'autore e il lettore, un burlone -che si vergognerebbe di parlare come scrive e si -vergogna di scrivere come parla, un vanitoso imbellettato, -un ipocrita letterario, un ciurmadore -di parole. Scrivere come si parla vuol dire scrivere -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -come vorremmo saper parlare; osservare, scrivendo, le -stesse leggi che ci sforziamo (e non ci riesce sempre, -perchè ci manca il tempo per riflettere), di osservare -parlando; non mettere sulla carta nessuna frase, nessuna -parola, nessuna trasposizione di parole, che -usata parlando, in un crocchio di persone educate, -colte e nemiche d'ogni affettazione e d'ogni caricatura, -farebbe inarcar le ciglia o dare in uno scroscio -di risa o dire che siamo pedanti o pretenziosi -o sciocchi. Col quale principio, ch'era quello del -Manzoni, se si esaminano nove su dieci dei libri -italiani, e quelli per i primi di cui son colpevole io, -mi duole il doverlo dire, si trova ogni momento una -frase, una parola, un'attaccatura, un'inflessione di -periodo, un qualche cosa, insomma, che non va, che -non ha una ragione d'essere, che non dev'essere -<i>scritto</i> perchè non può essere <i>detto</i>, che ci farebbe -arrossire se ci sfuggisse discorrendo con una signora, -che è un'eleganza, come diceva il Manzoni, del -cassone, una ruga dello stile, una smorfia della -lingua. E con questo si spiega come al Manzoni non -finisse di piacere nessun prosatore italiano. Cercava -il suo ideale e non lo trovava. Leggeva tendendo -l'orecchio e non sentiva parlare, o <i>sentiva leggere -una cosa scritta</i>. Diceva del Nicolini medesimo che -<i>parlava meglio di quello che scriveva</i>. Nelle sue -meditazioni tranquille e profonde sull'arte dello scrivere, -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -non aveva trovato nessuna buona ragione colla -quale si potesse giustificare una differenza qualunque -tra il linguaggio parlato e lo scritto, su <i>qualunque -materia</i> si scriva, poichè nel dialogo sulla -<i>Finzione</i> egli scrisse cose altissime e stupende di -filosofia e di morale senza scostarsi dalla lingua, -dalla forma, dal tono d'una conversazione famigliare. -E se qualche volta, in quello e in altri scritti, se n'è -scostato, se n'è accorto poi e ha mutato, e se non -ha mutato, sentiva che avrebbe dovuto mutare, e -non c'è bisogno d'averlo conosciuto intimamente, -per poter dire che sapeva di non essere riuscito a -scrivere in tutto e per tutto come voleva, a incarnar -meglio il suo principio, a dare l'esempio più strettamente -conforme alla teoria. -</p> - -<p> -Così la pensa il <i>bel parlatore</i> di cui ho parlato, -il quale, se scrivesse dei libri, sarebbe col fatto il -più potente propugnatore della teoria manzoniana, -com'è, parlando, il più ammirabile maestro di conversazione -ch'io abbia conosciuto. E l'ho in fatti -per un tale maestro che quando mi viene sulla punta -della penna un'espressione o una parola o un giro -di periodo sospetto, chiudo gli occhi, mi raffiguro -lui che parla, intrometto furtivamente nel suo discorso -quella parola o quell'espressione, e se non -la sento stridere, la scrivo; se stride, la caccio in -bando del mio regno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -</p> - -<p> -Forse, s'egli leggesse queste pagine, direbbe che -il mio regno è popolato di bricconi e mi consiglierebbe -di bandire ancora. Abbia pazienza, caro maestro; -mi lasci un altro po' di tempo e le assicuro -che «sarà fatta giustizia» e «forza rimarrà alla -legge.» -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -</p> - -<h2 id="album">DALL'ALBUM D'UN PADRE -<span class="smaller">(A VITTORIO BERSEZIO.)</span></h2> -</div> - -<p> -Questa creatura che occupa tanta parte della mia -vita, e senza la quale mi sembra che non potrei -più vivere, come se fosse legata a me da un'arteria -invisibile, tre anni sono non esisteva nemmeno nella -mia mente! È strano. Mi pare che ripensando profondamente -al mio passato, dovrei trovarne qualche -traccia, qualche preannunzio. Cos'è quest'apparizione? -Di dove vieni? Chi sei? Che sei venuto -a dire nel mondo? Qual è il tuo perchè, straniero? -Che cosa cerchi, sconosciuto? Perchè al mio appello -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -hai risposto tu, cogli occhi celesti, e non un -altro cogli occhi neri? Rispondi, personaggio misterioso. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -L'età più bella dei bimbi, per chi ha occhio d'artista -oltre che cuore di padre, è quando passano -ancora ritti sotto la tavola e si può reggerli con -una mano sola, portarli a cavalluccio sul collo, nasconderli -sotto un giornale, metterli in prigione in -mezzo a due vocabolari; e tutto il loro vestiario, -dalla scuffietta alle scarpe, sta comodamente dentro -un vecchio cappello del babbo. A quell'età la madre -impazzisce per infilare una calza al suo bimbo; ma -quando una volta su dieci egli vi spinge il piedino -dentro da sè, essa lo abbraccia con impeto ed -esclama alteramente: — Sei un uomo! -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Hanno un visetto che pare una mela cogli occhi, -un collo esile che si cinge quasi col pollice e l'indice, -due manine che c'è bisogno di guardarle per -persuadersi che hanno già tutt'e cinque le dita e -un piedino che proprio non si può pigliare sul serio. -La loro testina, secondo il momento che gliela -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -fiutate, ha odore di passero, di micio, di coniglio, -di nido di rondini, di mattoni, di legno, di vernice, -d'olio di lume, di tutto quello che c'è in casa, che -essi possan toccare; e il fiato un leggiero odore -latteo misto colla fragranza di non so che fiori; -un fiato che, ad aspirarlo, par che debba far bene -al sangue, come l'aria della campagna. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Eppure v'è chi non ama queste creature! Io vedo -col pensiero un bambino roseo e ridente che dalle -braccia di sua madre tende tutt'e due le mani in -atto amoroso verso un signore lungo, stecchito e -severo, il quale dà indietro con un movimento quasi -di ripugnanza, e facendo un sorriso forzato, gli agita -dinanzi agli occhi un dito nodoso che non vuol essere -toccato. Oh uomo lungo, stecchito e severo, sii -pure un grande ministro o un letterato famoso o -un fondatore di opere pie: io ti detesto. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Bisogna vedere come sono atteggiati nella culla, -la mattina, prima che si sveglino. Chi può trattenere -i baci e le risa? Sono atteggiamenti di soldati -morti sul campo di battaglia, atti di dolore disperato, -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -contorsioni d'acrobatici, abbandoni svenevoli -d'innamorati languenti. Ora son tutti in un gomitolo -sul cuscino, ora rintanati sotto, ora capovolti, -in modo che cercando il visetto trovate la punta -dei piedi, e volendo afferrare un piede ficcate il dito -nella bocca. E allora è bello pigliar tutto in un fascio -bimbo, lenzuola, coperta e coltrone, e fuggir -per la casa, colla preda calda fra le braccia. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Chi vede senza ridere un bambino di tre anni, -quando appena svegliato, vestito e messo in terra, -rimane un momento immobile, soffregandosi gli occhi, -e poi va innanzi a passo lento, tutto d'un pezzo -insonnito, scarmigliato, di malumore, piagnucolando -e guardando la gente di traverso; — o quando è -preso dal freddo, che ha il nasino livido, e cammina -a passetti di marionetta, facendo la gobbina, e mille -vezzi e graziette minuscole, come per dire: — Son -piccino, sono una cosa da nulla, scaldatemi o sparisco; — o -quando tuffa mezzo il capo in un tazzone -di caffè e latte tenuto a due mani, e tracannando -avidamente, fa la guardia colla coda dell'occhio a -un pezzo di biscotto sul quale sospetta che voi abbiate -qualche intenzione ostile; — chi vede queste -cose senza ridere, non ha un senso comico delicato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -A quell'età nulla di più bello che il vederli correre. -La loro corsa ha qualche cosa del saltellare -d'una palla elastica, del barcollamento d'un ubbriaco -e dei movimenti d'una foglia portata dal -vento. La piccola creatura si spicca dallo sgabello, -si slancia fuori della stanza, inciampa nel gatto, -rovescia una seggiola, infila un corridoio, e via sgambettando -e annaspando colle mani, di stanza in -stanza, inseguito dalla madre, fino all'angolo più -lontano della casa, dove si rifugia dietro un sacco -da viaggio, e di là tenta un'ultima resistenza per -strappare una concessione al nemico. Ah! invano! -Bisogna lasciarsi lavare la faccia. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Chi può dire che cos'è la voce dei bambini? C'è -il gorgheggio dell'usignuolo, il pissi pissi della rondine, -il pigolío dei pulcini, il gnaulío del gatto. Son -note di flauto, mormorii e bisbigli infinitamente soavi, -strida e garriti che lacerano le orecchie, trilli di -soprano, scoppi di voce virile, stonature di tenore -sgolato, falsetti di maschere, fioriture e passaggi -strani; tutti i suoni che escono da una gabbia di -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -cento uccelli e da un'orchestra di cento strumenti. -Accostate il viso alla loro bocca e fatevi mormorare -qualche parola nell'orecchio: alle volte n'esce -un suono che vi rimescola; vi pare d'aver posto -l'orecchio allo spiraglio d'una porta misteriosa e -sentito una voce sovrumana. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Egli ride. Non l'ho mai visto ridere così di cuore. -È un riso smodato, squarciato, sgangherato. Ho -perfin paura che gli manchi il respiro. Si butta a -destra e a sinistra, rovescia la testa indietro, gli si -empion gli occhi di lagrime, gli si fa il viso pavonazzo. -Ora basta, via, ti puoi far male, smetti di -ridere. È un riso inestinguibile, una convulsione, -un riso da schiantare le viscere. Ma finiscila una -volta! Ma perchè ridi? Che cos'è stato?... Ah! non -m'ero accorto che m'ha messo un cappelletto di -carta sulla testa. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Vestiti paiono qualche cosa: spogliati, non son -più nulla. Si palpa quel corpicino, si sente quell'ossatura -sottile, che par che si debba spezzare a premervi -sopra la mano, e si trema pensando a che -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -tenue filo è legata quella cara vita. Quanto tempo -e quanti dolori, per lui e per chi l'ama, prima che -questo piccolo braccio possa respingere l'offesa di -un uomo! Guardatelo lì ignudo nato quest'ometto -spoppato ieri! Come! Ha da venire un giorno in cui -tu avrai la barba e il cappello cilindrico? e capirai -Tito Livio? e saprai risolvere un'equazione di secondo -grado a tre incognite? Eh via! spaccone, -questo non può essere. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Dovrei proprio guarirmi da questa debolezza. Sono -seduto a tavolino, scrivo, ho la testa piena di pensieri -gravi, la menoma distrazione m'inquieta, mi -preme di finire; e con tutto ciò, bisogna che lasci -la penna, che m'alzi, che attraversi la stanza rimovendo -le seggiole, inciampando nei giocattoli e -scomodando quattro o cinque persone, per andare -a stringere fra l'indice ed il pollice, per un momento -solo, la polpina di quella gambetta che dal mio posto -vedevo biancheggiare in un angolo oscuro dietro -la spalliera della poltrona. Appagato questo capriccio -ritorno al tavolino col cuore in pace e colla -mente disposta. Altrimenti, non mi riusciva di finire -la pagina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Gran voluttà quella di malmenare un bambino e -di coprirlo di vituperi! Sei un fantaccione, sei pesante, -sei rotondo, sei duro, sei brutto; mangi come -un bue e dormi come una talpa; sei un ignorantone -e un fannullone che mi rovini e mi fai dannar l'anima; -un giorno o l'altro ti do un carico di legnate, -non ti voglio più, ti butto fuori di casa, farai una -cattiva fine, sei un soggetto d'ergastolo, sei la mia -vita, t'adoro! -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Anche l'amore dei bambini ha le sue furie. Un -vero padre si sente qualche volta un po' antropofago -e vorrebbe stare in una casa isolata per poter saziare -la sua fame senza che accorrano i vicini alle -grida della vittima. Non strillare, hai inteso? Il -mio dovere è di mantenerti, il tuo è di lasciarti -baciare, sulla testa, — negli occhi, — nella bocca, — sul -petto, — nel collo, — fin che mi resta fiato. -Strilla! Strilla! Che m'importa? Pur che io mi sazi. -Ah! se non avessi paura di soffocarti! Già, è scritto: -un giorno o l'altro ti finisco. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Questa mattina passeggiavo per la stanza con lui -disteso sulle braccia, come in una culla. Egli teneva -gli occhi chiusi e lasciava spenzolare la testa -e le gambe. La fantesca disse: — Par morto. — Questa -parola mi agghiacciò il sangue. Mi misi a -pensare che cosa seguirebbe di me se egli morisse. -Mi parve che sarei impazzito. M'internai in quell'immaginazione. -Prenderei sulle braccia il bambino -morto, — pensai, — uscirei di casa, attraverserei -la città, piglierei la campagna, e via, di sentiero in -sentiero, di villaggio in villaggio, di giorno, di notte, -al vento, alla pioggia, muto, infaticabile, stringendo -colle mani irrigidite quel corpicino freddo, fin che -arriverei in mezzo a una pianura immensa e sinistra, -dove darei tutt'a un tratto in un tale scoppio -di pianto che mi si romperebbe una vena nel petto -e cadrei senza vita. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Ha rotto un bicchiere, ha rovesciato un lume, -straccia la tappezzeria, sbatacchia gli usci, fa tintinnare -i vetri,... getta in aria i fantocci,... copre -la voce di tutti.... Che inferno in questa casa! che -pace nel mio cuore! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Quando son triste, vedo in ogni suo trastullo l'immagine -di una disgrazia che gli potrà accadere, e -mi perdo in mille presentimenti dolorosi. Rompe -una gamba a un fantoccio: io penso: si romperà -una gamba in una caduta? Gioca colle pallottole: -io mi domando: — Diventerà un giocatore? Quando -suona il tamburo, m'immagino che possa morire in -guerra; quando rovescia un altarino, temo che diventi -uno scettico; quando lo vedo rannicchiato in -un cantuccio in mezzo a due seggiole, mi pare che -un giorno abbia da essere gittato in una prigione. -Lui! Son sogni. Fin che io vivo non gli seguiranno -disgrazie. Lo seguirò come l'ombra il corpo. Sarò -il suo amico, il suo confessore, la sua sentinella. Ma -poi? Ah! Il pensiero di lasciarlo solo nel mondo mi -spaventa, ho paura della morte, son diventato pusillanime. -Vorrei vivere un secolo, ridurmi decrepito, -cieco, paralitico, inchiodato perpetuamente sopra -una seggiola; purchè nei giorni di dubbio o di pericolo, -potessi afferrarlo per la mano, toccargli il -capo, supplicarlo, se non potessi più colla voce, almeno -coi gesti e colle lagrime, di non uscire dalla -via dell'onore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -È una cosa che fa fremere. Qualche volta, guardandolo, -io mi raffiguro le molte migliaia di bambini -dell'età sua, nati nello stesso paese, e che in -questo mentre sono come lui innocenti, amorosi, -carezzevoli; me li raffiguro nelle loro culle, fra le -braccia delle loro madri, coperti di baci e chiamati -coi più dolci nomi della lingua umana; vedo nel -cuore dei loro genitori le medesime speranze, lo -stesso presentimento ch'essi saranno onesti e contenti, -anzi la medesima profonda certezza, e non -altrimenti fondata, che io nutro riguardo al mio: e -penso che non di meno da tutta questa legione di -angioletti usciranno dei ladri, dei falsari, degli assassini, -dei parricidi, che getteranno la disperazione -e il disonore nelle loro famiglie. Quando questo -pensiero mi s'inchioda nel capo, mi tocca fare un -grande sforzo per liberarmene. Questa mattina presi -il mio bimbo sulle ginocchia e gli domandai: — Bimbo, -sarai un'assassino tu? — Egli non capisce -ancora il significato di questa parola. — Si, — rispose — ma -voglio dei dolci. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Se potessi indovinare il suo avvenire, come fanno -le zingare, dalla palma della mano! Che cosa tratterà -questa manina? La spada? Il pennello? La -penna? L'archetto del violino? Il coltello anatomico? -Povera manina, quante volte sorreggerà la testa -stanca d'un lavoro ingrato o d'un pensiero doloroso! -Di quante lettere listate di nero romperà -il suggello! Quante destre di falsi amici e di donne -indegne gli occorrerà di stringere! Ma tu la conserverai -pura d'ogni macchia, figliuol mio, e se -quando ti colpirà un grande dolore immeritato, ti -verrà fatto di levarla in alto, non la leverai per -maledire, ma per giungerla coll'altra, come ogni -sera e ogni mattina t'insegna a fare tua madre. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Guardo la sua manina, la stringo, la nascondo -tutta nel mio pugno, e sorrido pensando che passarono -per questa forma anche le mani dei guerrieri -più formidabili e degli artefici più potenti del -mondo. E da questo pensiero son condotto alla mia -immaginazione prediletta dell'infanzia degli uomini -<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span> -grandi. Mi raffiguro Omero che si dispera perchè -gli hanno rubato una pesca; Cesare che trema dinanzi -a un topo; Dante che salta in sella a un cavallino -di legno; Michelangiolo, che mentre suo -padre gli mostra una statua, è tutto intento a schiacciare -un nocciolo coi piedi; e la signora Buonaparte -che dice al futuro vincitore d'Europa: — Vergogna! -Alla tua età, quando se n'ha bisogno, si dice, -e non s'imbratta in codesto modo la casa. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Se diventasse un grand'uomo! È un sogno di -tutti i padri; ma non è impossibile. Egli è un enimma -infine; un geroglifico il cui significato è ancora -ignoto; una parola della quale non è scritta che -la prima lettera; un numero dell'immenso lotto -umano. Questo dubbio è il più dolce alimento della -mia vita. Mi pare di possedere uno scrigno misterioso, -nel quale è possibile che ci sia un pugno di -sabbia o un mucchio di perle. Son vicino a trent'anni, -e il mio avvenire che cominciava a restringersi, -s'è improvvisamente allargato; ho perduto -le ultime illusioni della gioventù, ho ritrovate le -speranze infinite dell'infanzia. Che importa che i -miei capelli cadano? I suoi diventan folti. Che importa -che io discenda? Egli sale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -E se riuscisse invece d'intelligenza scarsa e di -fibra debole, non solo da non uscire dall'oscurità, -ma da rimanere degli ultimi in mezzo agli oscuri? -Quando mi coglie questo pensiero, sento un irresistibile -bisogno di stringermelo al petto e di coprirlo -di carezze, come per domandargli perdono della -vana ambizione che me lo fa sognare diverso da -quello che forse egli è destinato ad essere. Sento il -bisogno d'assicurarlo fin d'ora che quanto sarà più -angusto il posto che gli è riservato nel mondo, tanto -sarà più grande quello ch'egli avrà nel mio cuore. -Pensando che un giorno, forse, tornando dalla scuola -egli mi dirà piangendo: — Son l'ultimo; — io mi -sento uno struggimento d'amore per lui. Ma questo -non sarà, perchè io l'aiuterò nei suoi studî, mi rimetterò -al greco e alle matematiche, veglierò con -lui, e gli verserò tanto affetto nel cuore, che il -cuore illuminerà la mente. Quando qui sotto v'è un -tesoro, anche qua sopra v'è qualcosa. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -I bambini sono grandi consolatori. Chi lo sa più -di te, povera vecchia fantesca? In casa tu sei amata; -ma la tua testa calva, il tuo viso rugoso, tutta la -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -tua persona deformata dagli anni, ti rendono incresciosa -alle persone che ti sono più care e sono -cagione ch'esse non ti rendano, ora che ne avresti -tanto bisogno, le carezze che tu prodigasti loro -quand'erano bambini. Alberto, giovinetto, si ritira -bruscamente indietro quando tu accosti il tuo volto -al suo per guardare le vignette del libro ch'egli -sfoglia; Enrico da molto tempo non vuol più che -tu gli faccia il nodo della cravatta per non sentire -il tuo alito e il contatto delle tue mani; e quando -vuoi baciare Adelaide, la ragazzina che hai portata -in braccio per tanti anni e divertita con tante -istorie nelle lunghe sere d'inverno, sei costretta, -perchè non ti respinga, a baciarla furtivamente -quando dorme. V'è una sola creatura al mondo che -non respinge le tue carezze, che ama la tua testa -calva e il tuo viso rugoso, che ti compensa di ogni -ingratitudine e d'ogni amarezza, ed è questo bambino -di tre anni — Ernesta, — egli ti dice baciandoti -sulla bocca, — tu sei bella. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -E sempre ricasco nel pensiero della bellezza. Non -credevo che un padre, oltre l'affetto che tutti comprendono, -dovesse nutrire pel suo figliuolo un sentimento -così affine a quello di uno scultore per la -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -sua statua. Io pure spio con trepidazione il viso di -chi lo guarda, interpreto i sorrisi e commento i -complimenti come un artista incerto dell'opera sua. -Ogni sua bellezza mi pare un merito delle mie mani, -ogni sua imperfezione l'effetto d'una mia svista. -Ogni giorno mi si presenta in un aspetto diverso. -Lo guardo e lo riguardo, di faccia, di profilo, davanti, -di dietro, di sopra, di sotto; correggo cogli -occhi certi suoi tratti; rimango perplesso; ci ripenso; -ma finisco sempre col darmi una fregatina -alle mani e dire che è un bel lavoretto. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Gran livellatori del cuore umano i bambini! V'è -una povera donna con un bimbo in braccio seduta -sullo scalino della porta, che vede passare una signora -in carrozza con un bimbo sulle ginocchia. Il -bimbo della signora è vestito di velluto, il suo è -vestito di cenci; quello ha un fascio di giocattoli, -il suo non ha mai avuto giocattoli; quello mangia -dei confetti, il suo rosicchia un pezzo di pan nero. -Eppure degli sguardi che le due donne si scambiarono -sui propri figliuoli, quello che espresse un -sentimento d'invidia è quel della signora! La povera -donna se n'accorse ed esclamò con un fremito -di orgoglio: — Il mio è più bello! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Io non so se tutti i padri vedano nei loro bambini -quello ch'io vedo nel mio; so che più lo guardo -e più ammiro l'infinita amabilità dell'infanzia, che -mi pare un compenso dato da Dio alle ansietà e -alle cure ch'essa ci costa. Ha dei movimenti di -capo, delle espressioni di stupore, dei lampi di sorriso, -dei gesti sfuggevoli, dei vezzini, delle civetterie, -dei nonnulla inesprimibili che mi strappano un -grido d'amore. — Non provocarmi! — gli dico qualche -volta. E in questa grazia incantevole di gesti -e di atteggiamenti, una varietà immensa, una trasfigurazione -continua, una sorpresa ogni momento. -Mi pare che chiuso con lui in un castello solitario, -senza libri, senza lavoro, senz'altra cura che di custodirlo, -non avrei un'ora di noia. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Comincia, parlando, a legare insieme due proposizioni. -È un gran piacere per me il seguire attentamente -l'estrinsecazione laboriosa del suo pensiero, -vedere con che bizzarri artifizî esprime l'idea più -semplice, con che buffe contrazioni del viso pronunzia -ogni parola nuova, come tira e scontorce e -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -spreme il suo piccolo capitale di venticinque parole; -che stroppiature mostruose, che sgrammaticature -colossali, che spropositi enormi e incredibili, mette -fuori colla più ingenua sicurezza, e qualche volta -guai a chi gli ride in faccia! E notare come in -questo suo linguaggio stravolto e spropositato, un -giorno si raddrizza una parola, un altro giorno si -combina una concordanza, e a poco a poco i vocaboli -si dispongono in ordine, e le consonanti difficili -escono spiccate e sonore, fin che lo strumento -completato e accordato, potrà prendere parte al concerto -della conversazione domestica, non facendo più -che qualche stonatura per caso. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -È strano ch'io ci pensi oggi per la prima volta: -questo visetto, questa vocina, questa grazia angelica, -che ora rallegra la mia vita, fra qualche anno -non saranno più. Ogni giorno che passa mi ruba -qualche cosa di questo bambino roseo. Fra qualche -anno egli avrà un altro viso, parlerà con un'altra -voce, gestirà in un'altra maniera, e della creatura -d'oggi non mi rimarrà che qualche ritratto -e qualche reminiscenza. Questo corpicino non è -che una forma che mi passa dinanzi e che deve -svanire. Sono irragionevole; ma è un pensiero che -mi rattrista. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Non capisco più, ora, come io abbia potuto vivere -tanto tempo, ed essere quasi felice, in una casa -sempre tranquilla —, dove non c'era mai una seggiola -fuori di posto —, dove non si rompeva mai -una bottiglia — dove non s'inciampava mai in una -marionetta —, dove non si facevano mai delle oche -di carta —, dove non si vedeva mai nessuno sotto -una tavola —, dove non c'erano che dei letti -enormi —, dove non si sentivano mai che dei -passi lenti e gravi —, dove non s'udivano che voci -pacate che dicevano senza errori di grammatica -delle cose sempre ragionevoli. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Sovente, vedendolo così ben vestito e ben pasciuto, -con un monte di ninnoli davanti, io dico tra -me: — E se un rovescio improvviso di fortuna mi -costringesse a non trattarlo più in questa maniera? -Tutto il mio sangue si rimescola violentemente a -questo pensiero, e nello stesso tempo la mia fronte -si solleva e la mia anima ingigantisce. Ah! non sarà -mai, bambino mio! dovessi comprare ogni tuo giocattolo -con una notte di lavoro, scontare ogni tuo -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -vestitino nuovo con una ruga della fronte, pagare -ogni tuo giorno di contentezza con una ciocca di -capelli bianchi, conservare il color di rosa del tuo -volto colla tortura del mio cervello e delle mie ossa! -Che m'importerebbe che la gente ridesse della mia -faccia scarna e del mio vestito logoro? Io ti condurrei -a passeggiare con me in qualche parte solitaria -della campagna, e starei a veder tramontare -il sole premendomi la tua testa sul cuore. Ah, non -temere! Fra te e la povertà, ci sono i miei trent'anni, -la mia volontà indomabile e le forze smisurate -dell'amore che mi divora. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Oggi gli ho fatto fare un bagno in una zuppiera -rotta, e vedendolo così tutto nudo e bello che grondava -acqua e rideva, pensavo: — Eppure queste -povere creaturine, la febbre le consuma, il vaiuolo -le accieca, la tosse convulsiva le soffoca, il crup le -strozza, e bisogna vederli diventar neri, dibattersi, -stralunar gli occhi pieni di lagrime, chieder soccorso -agitando le manine, e rimanere irrigiditi; bisogna -vederli chiudere in una cassetta, vederli portar -via ravvolti in un panno nero, vederli calare in un -fosso e coprir di terra e di sassi; e poi tornare a casa -<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span> -pensando ch'essi sono là soli sotto la neve, in mezzo -a un campo pieni di scheletri; e rientrando in casa, -rivedere i loro giocattoli e i loro vestiti, la culla -vuota, la seggiolina vuota, la stanza vuota, tutto -l'universo vuoto, e sentir risuonare in quell'orrendo -silenzio le risa dei bimbi dei vicini! Ah! quando -questo accade, mi par che non si possan far che -due cose: o spezzarsi il cranio contro una parete -o cadere in ginocchio e rimanere perpetuamente -colla fronte inchiodata sulla culla. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Dopo che la mia vita è legata a questa creatura, -il pensiero della morte non mi atterrisce o non mi -rattrista più se non in quanto si lega a quello del -suo avvenire. Ma se per la sua vita dovessi sacrificare -la mia; se dovessi, colla sicurezza di salvarlo, -fargli scudo del mio corpo, e difenderlo senza difendermi, -immobile con lui nelle braccia, e dieci assassini -alle spalle; oh! io fremo di non so che voluttà -feroce e superba a questo pensiero: io credo, sento, -giuro che mi lascerei crivellare di pugnalate, coprendogli -la testa di baci, senza aprir la bocca per -gridare: — Pietà! — e senza versare una lagrima -sul mio destino. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Questa mattina, fra le altre sue stranezze, ho -scoperto ch'egli crede che gli uomini siano fatti -di legno, e per quanto gli abbia detto.... — Interrotto -dalla caduta d'una palla di gomma elastica -che rovesciò il calamaio. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -</p> - -<h2 id="culla">SOPRA UNA CULLA</h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Sono tre giorni che ha 'l visetto bianco</p> -<p>E gira l'occhio illanguidito e lento,</p> -<p>E non cerca la madre, e leva a stento</p> -<p>Le braccia dimagrate e il capo stanco.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Parla, dottore — dirami aperto e franco</p> -<p>La triste verità ch'io già presento;</p> -<p>E tu fa core, amica; — ecco il momento;</p> -<p>Dammi la mano — e sta stretta al mio fianco.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">E grave? — .... Assai? — .... C'è da temer la morte?</p> -<p>Ebbene, amica — qui — qui sul cor mio,</p> -<p>E opponiamo al dolor l'anima forte.</p> -<div class="stanza"></div> -<p><span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span></p> -<p class="i2">Ma no! non posso! mi si spezza il core!</p> -<p>Ho bisogno di piangere! Mio Dio,</p> -<p>Pietà! M'uccido se il mio bimbo muore!</p> -</div> - -<h3>II.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Bambino mio, cos'hai? cosa ti senti?</p> -<p>Sorridi — guarda — moviti — respira;</p> -<p>Non vedi il padre tuo, qui, che delira?</p> -<p>Non le senti le sue lacrime ardenti?</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Non lacerarmi il cor co' tuoi lamenti!</p> -<p>Oh dottore — soccorrilo — egli spira;</p> -<p>Vedi come già trema, e come gira</p> -<p>Gli sguardi tralunati e semispenti.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Che aspetti dunque? Di parole vane</p> -<p>Non è più tempo! Salvalo, per Dio!</p> -<p>Prova! Tenta! non hai viscere umane?</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">No, no, perdona! io son pazzo, lo vedi;</p> -<p>Ma salva dalla morte il bimbo mio,</p> -<p>E bacierò l'impronta de' tuoi piedi!</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span> -</p> - -<h3>III.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Come ha già il volto smorto ed affilato,</p> -<p>Povero bimbo, povero angioletto!</p> -<p>Ah per pietà, coprite quel visetto;</p> -<p>Non lo posso veder così mutato.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Appena appena gli si sente il fiato</p> -<p>Ed un leggiero tremito nel petto;</p> -<p>Sembra già morto — ha già mutato aspetto;</p> -<p>Ha chiuso gli occhi — è immobile — è diacciato!</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Dottore! Amica mia! Ma dunque è vero!</p> -<p>Egli morrà! Lo porteranno via!</p> -<p>Porteranno il mio bimbo al cimitero!</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Il mio bimbo! il mio cor! Ma rispondete!</p> -<p>Dite che è un sogno della mente mia,</p> -<p>O mi spezzo la fronte alla parete!</p> -</div> - -<h3>IV.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Che? — C'è speranza ancor ch'egli non mora?</p> -<p>Non è la tua pietà — dottor — che mente?</p> -<p>È salvo se fra un'ora si risente?</p> -<p>Se fra un'ora il suo volto si colora?</p> -<p><span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span></p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Un'ora! Un'ora eterna! Un'ora ancora</p> -<p>Per vederlo morir più lentamente!</p> -<p>Ma prima sarò anch'io morto — o demente,</p> -<p>O invecchierò di trenta anni in quest'ora.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Ebben — coraggio — starò qui prostrato,</p> -<p>Muto — aspettando colle braccia in croce</p> -<p>Che il mio povero bimbo sia spirato.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Ed aspetta anche tu — cara — pregando;</p> -<p>Non alzar contro Dio l'incauta voce....</p> -<p>Inginocchiati qui.... te lo comando!</p> -</div> - -<h3>V.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Pietà, tremendo Iddio! Pietà, Signore!</p> -<p>Nel santo nome della madre mia.</p> -<p>Pietà del mio bambino in agonia,</p> -<p>Non rapite quest'angelo al mio core.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Io redento dal pianto e dal dolore</p> -<p>Vivrò una vita santa, umile e pia,</p> -<p>E non avrò più senso che non sia</p> -<p>Bontà, dolcezza, pentimento, amore.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">E se è fermo nel Vostro alto consiglio</p> -<p>Ch'egli debba morir — ch'io non intenda</p> -<p>La voce che dirà: — non hai più figlio!</p> -<p><span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span></p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Datemi, eterno Iddio, questo conforto;</p> -<p>Ch'io non la senta la parola orrenda;</p> -<p>Ch'io resti prima o forsennato o morto.</p> -</div> - -<h3>VI.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Povero core! Povero bambino!</p> -<p>Era un angiolo d'anima e d'aspetto;</p> -<p>Pareva un fiore — e qualche riccioletto</p> -<p>Gli usciva già di sotto al cuffiettino.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">La notte, lo cullavo — e sul mattino</p> -<p>Venia — nudo e ridente — nel mio letto,</p> -<p>E sgambettando mi puntava al petto</p> -<p>E contro il volto il suo rosso piedino.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Ed ogni sera — in lui rapito — chino</p> -<p>Teneramente sul suo bianco nido</p> -<p>Gli coprivo di baci il corpicino;</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">E in mezzo ai baci mi fuggía dal core</p> -<p>Un gemito, un singhiozzo, un riso, un grido,</p> -<p>E cadevo in ginocchio ebbro d'amore.</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">Addio, mia bella visïon fuggita,</p> -<p>Bel sogno mio svanito sull'aurora,</p> -<p>Larva adorata che brillasti un'ora</p> -<p>Sul deserto cammin della mia vita!</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Non tutta ancor l'anima mia smarrita</p> -<p>Può intendere il dolor che la divora;</p> -<p>Ancor vaneggio; — non lo sento ancora</p> -<p>Tutto lo strazio della mia ferita.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Avrò per sempre il mio bimbo morente</p> -<p>Dinanzi agli occhi — ed il mio labbro muto</p> -<p>Cercherà la sua fronte eternamente.</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Arte, fede, avvenir, gloria, fortuna,</p> -<p>Speranze, gioventù — tutto è perduto;</p> -<p>Tutto è morto e sepolto in questa cuna.</p> -</div> - -<h3>VIII.</h3> - -<div class="poem"> -<p class="i2">No! non lo credo! Tu m'inganni! Giura</p> -<p>Che dici il vero! Per pietà, dottore,</p> -<p>Non lacerarmi un'altra volta il core,</p> -<p>Non ti far gioco della mia sventura!</p> -<p><span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span></p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">È uno scherno crudel della natura!</p> -<p>È un vano inganno! È un sogno mentitore!</p> -<p>È salvo? Vive? Vive ancor? Non muore?</p> -<p>Ah! la povera mia mente s'oscura!</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Indietro tutti — via da me — lasciate</p> -<p>Ch'io profonda sul mio santo angioletto</p> -<p>Questa piena di lacrime infocate!</p> -<div class="stanza"></div> -<p class="i2">Ride! Parla! Mi guarda! Eterno Iddio,</p> -<p>Che il grande nome tuo sia benedetto!</p> -<p>Mio figlio è salvo — l'universo è mio!</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -</p> - -<h2 id="ruffini">GIOVANNI RUFFINI</h2> -</div> - -<p> -Un giorno, a Parigi, ricevetti una lettera con questo -poscritto: — «Se non lo sa, le annunzio che il -Ruffini, l'autore del <i>Dottore Antonio</i> e del <i>Lorenzo -Benoni</i>, sta in via Boulogne, numero trentasei.» -</p> - -<p> -Vi sono molti che pure desiderando vivamente di -conoscer di persona un uomo illustre che amano ed -ammirano, per nulla al mondo andrebbero a bussare -alla sua porta senz'essere accompagnati da un conoscente -comune, o avere in tasca una lettera di -raccomandazione, o essere stati assicurati in mille -modi che possono presentarsi senza timore di parere -impertinenti. Per me, quando ho un desiderio -di questa natura, trovo che la maniera più naturale -e più dignitosa di soddisfarlo, è quella di andar per -la via più corta a casa del personaggio, e dire alla -cameriera che viene ad aprire: — Abbia la bontà -di annunziare al padrone che il tale dei tali ha un -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -vivissimo desiderio di vederlo. — Non mi conosce? -che importa? O che vado là per far ammirar me, e -non per ammirar lui? Ma potrebbe supporre che vi -abbia condotto a casa sua una curiosità volgare, o -l'ambizioncina di dire poi che l'avete conosciuto. -Ma che! Se è un uomo d'ingegno deve aver l'occhio -fino e conoscere gli uomini: gli basterà guardarmi -in viso e sentire il suono d'una mia parola, per -capire che il cuore che mi batte, ch'egli mi fece del -bene, che ho della gratitudine per lui, e che v'è più -rispetto e più amore in quella mia risoluzione di farmi -innanzi così alla bella libera, che in tutte le esitazioni -e in tutti gli scrupoli degli ammiratori timidissimi. -</p> - -<p> -Andando per via Clichy verso via Boulogne, -pensavo al <i>Dottore Antonio</i>, che avevo letto cinque -anni innanzi, di primavera, all'uscire di una grave -malattia. Pei libri che si lessero la prima volta in -tempo di convalescenza, quando pare di esser rinati -a un'altra vita, e stando ancora in letto più per -prudenza che per bisogno, si guarda colla curiosità -d'un prigoniero quel po' di cielo azzurro che appare -dalla finestra, e quella ciocca di verde che spunta -sul terrazzino della casa dirimpetto; pei libri che si -lessero in quei giorni, qualunque essi sieno, si nutre -un sentimento particolare di gratitudine. Se poi -son libri che facciano amare soavemente quella vita -<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span> -che si è temuto di perdere, e desiderare con ardore -quel lavoro che ci fu tanto doloroso di smettere, e -ammirare con entusiasmo quella natura varia e bellissima -che le quattro pareti della nostra stanza ci -hanno nascosta per tanto tempo; se son libri, in -una parola, che aggiungano una nota dolcissima -all'inno di gratitudine che si alza dal nostro cuore -verso tutto quello che è intorno noi e sopra di noi, -come se ogni cosa si rallegrasse della nostra salvezza, -e ci animasse a rimetterci in cammino con -coraggio; allora quei libri diventano amici di tutta -la vita, e il nome di chi li scrisse ci resta nell'anima -come il nome di un benefattore. -</p> - -<p> -Entrando in via di Boulogne mi ricordai delle affettuose -parole colle quali un amico mio mi espresse -un giorno l'impressione che aveva ricevuta dai romanzi -del Ruffini. — È uno di quelli scrittori, ai -quali, dopo letto l'ultima pagina d'un loro libro, domandereste -un consiglio per pigliar moglie, confidereste -una vostra sorella per un viaggio, rimettereste -nelle mani denari, memorie secrete, lettere -intime, ogni cosa. -</p> - -<p> -Tirai il campanello, mi aperse una vecchia cameriera. — C'è? — C'è. — Abbia -la bontà di dirgli -che il tale dei tali ha un vivissimo desiderio di vederlo. — Scomparve, -e tornò di lì a un minuto a -dirmi ch'entrassi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -</p> - -<p> -Entrai in una cameretta modesta — lo vidi — aveva -capito — mi venne incontro sorridendo — balbettai -qualche parola — sedemmo. -</p> - -<p> -I primi momenti in cui si trovano l'uno di fronte -all'altro un uomo illustre e uno sconosciuto che è -stato spinto verso di lui da un sentimento di ammirazione -e di affetto, passano quasi sempre in silenzio, -poichè il visitatore, lì per lì, è occupato suo -malgrado a fare un raffronto tra la persona che ha -dinanzi e quella che si raffigurava; e l'uomo illustre, -dal canto suo, indovinando quel raffronto, per -quanto sia superiore ad ogni sentimento di vanità, -rimane sospeso nell'atto di cercar negli occhi dell'ammiratore -l'impressione che la sua persona gli -produce. Fuor che nei momenti dell'inspirazione, il -viso di uno scrittore o d'un artista non riflette mai -così limpidamente la bellezza dell'ingegno e del cuore. -Vi si vede una soddisfazione serena, mista a un non -so qual leggiero turbamento di pudore virile, che -farebbe parer bello anche un viso non bello, e desterebbe -un moto di simpatia anche in un'anima -dalla quale fosse svaporata ogni freschezza di sentimenti -gentili. -</p> - -<p> -Il Ruffini ha l'aspetto d'un buon padre di famiglia; -uno di quei bei volti aperti e soavi, che in -questi tempi, come dicono coloro che hanno per intercalare -<i>il mondo peggiora</i>, non si vedono più; -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -una di quelle fisonomie che ricordano certi grandi -ritratti che ornan le sale delle case patrizie. Così a -occhio si direbbe che ha una sessantina d'anni; e -godo di poter aggiungere che ha l'apparenza d'un -uomo destinato a sbarcarne altri sessanta. Però malgrado -il suo aspetto pacato, s'indovina da certi moti -risentiti delle labbra e da certi suoni profondi della -voce, che la sua vita deve essere stata agitata da -passioni vigorose e afflitta da qualche grande dolore. -Come nelle pagine del <i>Dottor Antonio</i>, così -sul suo viso, nel suo accento, nei suoi discorsi vi è -qualche cosa di melanconico. Ma è una melanconia -temperata di tanta benignità e di tanta dolcezza, -che non se ne sente punto l'amaro. Ha poi una semplicità -infantile di modi e di linguaggio, che vi fa -parere d'essergli sempre vissuti insieme, e una maniera -di guardarvi e d'interrogarvi come se foste -voi in casa vostra, ed egli ci fosse venuto, mosso -dallo stesso sentimento che condusse voi a casa sua. -</p> - -<p> -Alle prime parole che gl'intesi dire fui meravigliato -che non avesse perduto l'accento genovese -dopo tanti anni che vive lontano dal suo paese. È -nato a Taggia, vicino a San Remo, su quella beata -riviera ligure che egli dipinse con una meravigliosa -freschezza di colori nel suo secondo romanzo. Si sa -che nel 1848 i suoi concittadini lo mandarono al -Parlamento piemontese, e che lo rielessero non è -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -molto, benchè egli dichiarasse che non avrebbe accettato -il mandato, come in fatti non l'accettò, <i>per -non spellar la mano nei ferri dell'altrui bottega</i>. -Ora vive un po' a Londra, un po' in Isvizzera e un -po' a Parigi; ma più lungamente a Parigi, dove ha -molti amici e molti ricordi. È stato gravemente -malato or fa un anno, credo appunto in Parigi, e -non s'è ancora rimesso affatto dalla malattia; ma -la sua è una convalescenza colla quale molti uomini di -pari età vorrebbero poter cangiare la propria salute. -</p> - -<p> -Gli feci quella solita dimanda, che per gli uomini -come lui dev'essere importuna come una mosca, -tanto spesso e da tanti se la senton fare! ma che -pure è naturalissima, e scappa dalla bocca prima -che si sia pensato a mandarla fuori: — E ora che -sta facendo? -</p> - -<p> -— Non faccio nulla — rispose — perchè non ho -niente da dire. — -</p> - -<p> -Risposta semplicissima che chiude una profonda -sentenza: — Scrivere quando si ha bisogno di scrivere, — o -come diceva il Manzoni — aspettare che -la musa ci venga a cercare, e non iscalmanarsi a -correr dietro alla musa. — E poi soggiunse per -chiarir meglio il suo pensiero: -</p> - -<p> -— Ognuno non ha che una certa quantità di roba -nel sacco, e quando il sacco s'è vuotato, se si vuol -continuare a dare, non si dan più che parole — -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span> -</p> - -<p> -Gli domandai se nei soggetti de' suoi romanzi ci -fosse il fondamento d'un qualche fatto vero e n'ebbi -la risposta che m'aspettavo. Egli ha conosciuto quasi -tutti i suoi personaggi, ha raccontato i loro casi, s'è -servito delle loro parole. Di qui l'efficacissimo colore -di verità che brilla nei suoi racconti, i dialoghi -che par di sentire piuttosto che di leggere, e i personaggi -che, a libro chiuso, si confondono nella memoria -del lettore con gente vera ch'egli conobbe in -altri tempi, così che alle volte gli bisogna quasi -fare un atto di riflessione per separare le persone -dalle larve. Dio sa quante cose gli avrei domandato -intorno ai suoi libri, ai suoi studî e alla sua vita -se non me ne avesse trattenuto il timore che egli, -osservatore sottile, mi leggesse negli occhi il proposito -segreto di spiattellare in una gazzetta tutto -quello che gli usciva dalla bocca. E perciò fui costretto -a lasciar cascare la conversazione sull'interpellanza -contro il decreto del prefetto di Lione e -sulla discussione intorno all'ordine della Legion di -Onore. Il Ruffini conosce la Francia <i>intus et in cute</i>, -e spiega, parlando di politica, quell'accorgimento -fino e quel buon senso rettissimo, col quale suol -giudicare gli uomini e le cose nei suoi romanzi; -ma pure non mi potei trattenere dall'interrompere -quei suoi discorsi per ricondurlo a parlare di sè, e -cogliendo a volo tutti gli appicchi ch'egli diede involontariamente -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -alle mie interrogazioni indiscrete, -riuscii a raccapezzare qualcosa. -</p> - -<p> -Come abbia cominciato la sua vita letteraria, i -più, credo, lo sanno. Emigrò giovanissimo, andò a -Londra, e trovandosi corto a denari, dovette pensare -a guadagnarsi la vita col lavoro. Prima d'allora non -avea scritto altro che articoli per gazzette, e benchè -si sentisse dentro quella <i>certa smania inesplicabile</i> -che agitava l'anima del Giusti prima che si -fosse rivelato a sè stesso, non aveva mai sognato -di salire un giorno su per la sterminata scala dell'arte -fino all'altezza a cui è salito. Gli venne in -mente di scrivere un libro — che fu poi il <i>Lorenzo -Benoni</i> — per far conoscere in Inghilterra quel periodo -importantissimo della vita italiana, e destar -così un sentimento di simpatia per il suo paese -«che allora aveva bisogno di tutti.» Manifestò il -suo disegno ad alcuni amici che lo approvarono, e -trattò della pubblicazione coll'editore d'un giornale, -che lo esortò a scrivere i primi capitoli, i quali sarebbero -stati stampati subito per tastare l'opinione -pubblica, e o smettere a tempo o tirare innanzi di -buono. Il Ruffini scrisse le prime cento pagine e gliele -portò; ma l'editore non fu soddisfatto, e cangiato avviso, -volle vedere il lavoro finito prima di cominciarne -la stampa. Allora il Ruffini si perdette d'animo, -buttò in un canto il suo manoscritto e si dedicò ad -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -altre cose. Qualche tempo dopo, essendo andato a -Parigi e avendo dato a leggere quel poco che aveva -fatto ad una colta ed arguta signora, che gliene fece -caldissime lodi, e lo spronò vigorosamente a scrivere, -riprese animo, si rimise al lavoro, lo condusse a fine, -e mandò il romanzo con una lettera di raccomandazione -di suo fratello, a un editore di Edimburgo, il -quale approvò, stampò e ricompensò l'autore con -cento lire sterline: non sperata fortuna! che fu, come -tutti sanno, il primo anello d'una catena d'oro. Il <i>Lorenzo</i> -ebbe un successo splendido; la stampa inglese -incoraggiò l'autore con larghissime lodi; lo stesso -Mazzini, benchè in quel libro ci fosse qualche nota -stridente per un orecchio repubblicano, gli espresse -per lettera la sua ammirazione; la fama del Ruffini -fu assicurata. Poi venne il <i>Dottor Antonio</i>, e dopo -il <i>Dottor Antonio</i>, tutti gli altri gioielli smaglianti -di limpidissima luce. -</p> - -<p> -Come ha potuto il Ruffini ridursi in grado di scrivere -in inglese, per quanto si assicura, puro, facile -ed elegante, in così breve tempo, poichè egli medesimo -dice che quando andò in Inghilterra non conosceva -che pochissimo la lingua? Voglio che un -ingegno potente divini, in gran parte, il linguaggio -del quale ha bisogno per rivelarsi ed espandersi; ma -quanto deve aver faticato in quelle prime lotte del -pensiero colla parola, così lunghe e difficili anche per -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -chi scrive nella lingua che gli è famigliare dall'infanzia, -egli che doveva scrivere in una lingua -straniera, e tanto diversa dalla sua! Io credo che -quando va a Londra, non dimentichi mai di visitare -quella stanzina al quarto piano, nella quale vegliò -le prime notti, colla mente affollata di pensieri e -d'immagini che non trovavan l'uscita, e il cuore -gonfio d'affetti che prorompevano in lagrime prima -che in parole! Chi avesse potuto in quei momenti -susurrargli nell'orecchio con uno di quegli accenti -di voce sovrumana che annunziano il futuro agli -eroi delle leggende: — Tu sarai ricco, celebre ed -amato in questo paese, nel tuo, in molti altri, per -una lunga vita e dopo la vita! -</p> - -<p> -È facile avvedersi da qualche parola buttata qua -e là che il Ruffini si dà pensiero del rimprovero -che molti gli potrebbero fare, che qualcuno gli fece, -d'aver scritto in inglese invece che in italiano. Per -me credo che non occorra nemmeno discolparlo. Per -potergli fare un carico d'aver scritto in inglese, -bisognerebbe potergli anche scrivere a colpa di aver -emigrato, d'esser andato a Londra, di essersi trovato -nella strettezza, di aver avuto bisogno di farsi -capire dalla gente da cui voleva farsi leggere. D'altra -parte i suoi libri, benchè scritti in inglese, sono -tanto italiani e per soggetto e per sentimento e per -scopo, che si può quasi affermare che appartengono -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -alla letteratura italiana più che alla letteratura inglese. -Scritti in italiano, non si sarebbero certamente -diffusi quanto si diffusero, e non avrebbero -ottenuto in egual misura lo scopo che l'autore si -propose: — di far conoscere ed amare l'Italia fuori -d'Italia. — Il Ruffini ha fatto una buona azione in -inglese; e una buona azione è sempre una buona azione -in qualunque forma la si faccia; e il nostro amor -proprio nazionale non è punto meno solleticato da che -gl'Inglesi ci dicano: — Alcuni dei nostri più cari romanzi -sono d'un Italiano; — che dal poter dir noi: — abbiamo -un Italiano che scrisse alcuni romanzi -degni di stare accanto ai più cari romanzi inglesi. — -</p> - -<p> -I romanzi del Ruffini furono tradotti in molte lingue. -Mi parlò egli stesso di una traduzione tedesca -che si fece mesi sono, e da quanto mi parve di -capire, tutte queste traduzioni gli fruttarono qualche -cosa, — eccettuate le traduzioni italiane — dalle -quali non gli venne il bellissimo nulla. Non lo disse, -ma credo di poterlo affermare; e mi spiace di poterlo -affermare. Eppure i libri del Ruffini furono e -sono tuttora molto letti in Italia. Dal che si può -tirare una conseguenza che non è onorevole per il -commercio letterario italiano. -</p> - -<p> -S'informò delle condizioni della nostra stampa -letteraria e mi domandò che vita possa menare fra -noi uno scrittore al quale non manchi il favore -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -pubblico. Gli risposi che in Italia, uno scrittore al -quale il pubblico sia favorevolissimo, può oramai -considerarsi quasi sicuro di non morir di fame, -purchè lavori il doppio di quello che dovrebbe per -rispetto all'arte sua e per riguardo alla propria salute, -e purchè i suoi libri abbiano una straordinaria -diffusione. E siccome mi nominò uno scrittore giovane, -autore di alcuni romanzi dei quali si fecero -parecchie edizioni, gli avrei voluto far sapere che -appunto quello scrittore, che pure si può annoverare -tra i più fortunati del giorno, può scrivere ogni sera -qualche pagina di romanzo, perchè lungo il giorno ne -scrive molte, e Dio sa che camiciate gli costano, sul -corso forzoso, sulle imposte comunali e sui progetti -di strade ferrate. E gliene avrei potuto nominare un -altro, morto giovane, ch'era pieno d'ingegno e d'affetto, -e operosissimo, e i cui libri si leggevano avidamente, -e che pure, non molto tempo prima di morire, -si trovava ridotto a desinare di castagne secche. -E gli avrei potuto anche dire d'un uomo illustre, -vivente, autore di alcune opere note anche fuori -d'Italia, che per reggersi ritto, scrive ogni giorno -una lettera politica a un giornale di provincia, che -manda cento lire al mese a un amico suo, il quale -si fa passare per corrispondente, e rimette i denari -a lui, che salva così il pudore della povertà. Il Ruffini -che s'è fatto una piccola fortuna con quattro -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -novelle, avrebbe sorriso se gli avessi detto queste -cose. Certo che si può obbiettare: — Scrivete delle -novelle come le sue. — Ma tra farsi una fortuna e -campare, ci corre più che tra le novelle del Ruffini -e gli scritti di coloro che ho accennati, benchè ci corra -moltissimo. E non dico questo per cavarne un'accusa -contro l'Italia; ma per dire le cose come sono. -</p> - -<p> -Non so quanto tempo io sia rimasto con quel caro -uomo, — medico di anime e fattore di galantuomini, — cogli -occhi fissi nei suoi e colla mente tesa -per cogliere ogni suo pensiero e impadronirmi di -ogni sua parola. E mi pareva di vedere intorno a -lui, come un corteo, tutti i gentili fantasmi che ci -fece amare nei suoi libri, e lontano, in fondo al -quadro che mi rappresentavo colla fantasia, quella -bella marina ligure, quel bel cielo, quel lido verde -e queto, ch'egli ci fece parere più bello e ci rese -più caro. E udendolo parlare italiano così un po' -lentamente e con qualche giro di frase straniera, e -pensando ai lunghi anni ch'egli visse fuori della sua -patria, e al suo soggiorno in Francia, e ai suoi viaggi -in Isvizzera e in Inghilterra, che lo allontanano da -noi, provavo come un senso di mestizia, e gli avrei -voluto dire quello che ora scrivo, non per chi leggerà, -ma proprio per lui: — Tornate fra noi, caro -amico, che se non abbiamo potuto agevolare i primi -passi che faceste sulla nobile via delle lettere, nè -<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span> -raccoglier di prima mano i fiori di cui l'avete cosparsa, -v'abbiamo però accompagnato da lontano -con un sentimento d'orgoglio, misto di rammarico -e di desiderio. Tornate fra noi perchè abbiamo bisogno -d'una persona cara e venerabile, sulla quale -versare una parte dell'affetto che avevamo accumulato -sul capo di quel vecchio illustre, del quale voi -avete la bell'anima, e se non pari gloria, la stessa -gloria: quella di aver fatto del bene. — -</p> - -<p> -Uscendo di casa sua, mi accorsi che per la prima -volta, dopo due mesi che stavo a Parigi, mi sentivo -libero da un certo stordimento, da un turbinio di -desiderî, da non so che tumulto del cuore e della -testa, che non mi lasciava ben avere, nè lavorare, -nè pensare, come se ogni giorno fosse il giorno dell'arrivo, -e che a volte mi prostrava in uno sgomento -da non potersi esprimere, come di chi credesse -d'esser diventato tutt'ad un tratto povero, -stupido, nullo, e che tutti, incontrandolo, dovessero -sentir compassione di lui. Il Ruffini mi guarì da -questa malattia. Dopo di allora non l'ho più visto. -Se gli cadranno sott'occhio queste pagine, pensi che -i medici debbono tollerare le piccole indiscretezze dei -malati — accetti la, mia pubblica professione di gratitudine, — sorrida, — e -mi perdoni. -</p> - -<p class="indl"> -1873. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span> -</p> - -<h2 id="amore">L'AMORE DEI LIBRI</h2> -</div> - -<p> -Un tale, tempo fa, scrisse contro la pessima abitudine -di moltissimi italiani, i quali benchè siano -dediti alla lettura e possano spendere, non comprano -mai un libro. -</p> - -<p> -Le cagioni di quest'abitudine di non comprare, o -meglio, di questa mancanza dell'abitudine di comprare, -son molte; ma le principali mi paion queste: -che <i>la libreria</i> non è ancora considerata come -un <i>mobile</i> necessario al decoro della casa, che il -libro non è ancora capito come oggetto d'ornamento, -che si ama la lettura, infine, ma che non si ama -ancora il libro. -</p> - -<p> -Io credo infatti che di tutti i mobili quello che -si vende meno in Italia sia lo scaffale. -</p> - -<p> -Moltissimi non capiscono in nessuna maniera come -<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span> -e perchè si abbia da conservare un libro dopo che -si è letto. -</p> - -<p> -Ogni momento, dai librai, occorre di sentir dire -a qualcuno: — leggerei volontieri questo libro. — Gli -domandano perchè non lo compra. — Perchè -non lo compro? — risponde l'interrogato. — E che -vuol che ne faccia quando l'abbia letto? — Per costoro -un libro letto non essendo più che un ingombro, -hanno ragione di non voler spender denari per empirsi -la casa di carta sudicia. Entrate nelle case. Nella -maggior parte vedete delle raccolte di conchiglie, -d'uova, di pietruzze, di francobolli esteri, persino di -scatoline di fiammiferi; ma non ci vedete una raccolta -di libri. In ogni parte c'è qualche cosa che vi -rammenta che la famiglia mangia, gioca, dorme, suona; -nulla che vi rammenti che legge. È gala se vedete -sparsi qua e là pei tavolini e pei cassetti una -ventina di volumi, un terzo dei quali appartengono -al ragazzo che va a scuola e quattro o cinque a un -gabinetto di lettura. I pochi che rimangono, — la -sola proprietà libraria della casa, — son laceri e -scuciti e hanno i primi fogli coperti di cifre e di -fantocci. Se ne servono per smorzare la candela, -per accendere il fuoco, per fornire di carta le parti -della casa dove è bene che ci sia sempre carta. — Perchè -stracciate questo libro? domandate. — Oh -bella! — rispondono — se l'abbiamo già letto e riletto -tatti! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span> -</p> - -<p> -Una casa senza libreria è una casa senza dignità, — ha -qualcosa della locanda, — è come una città -senza librai, — un villaggio senza scuole, — una -lettera senza ortografia. -</p> - -<p> -Quanto è bella una biblioteca! Quante cose ci -vede e quanto piacere ne può ricavare anche chi -legge per puro spasso, se appena ha un po' di sentimento -e d'immaginazione! -</p> - -<p> -I più mirabili frutti dell'ingegno umano son qui, -raccolti in un piccolo spazio, sotto la mia mano. -Frutti d'ispirazioni divine, frutti di meditazioni e -di studi che segnarono di rughe precoci le più nobili -fronti umane, frutti delle più splendide fantasie -dell'universo, son qui ridotti nella forma di piccoli -parallelepipedi, imprigionati fra quattro assicelle, -divisi per tempi, per paese, per lingua, per materia, -per dignità, numerati e schierati come un esercito. -Uno scompartimento mi apre i secoli passati, un -altro mi trasporta nei paesi lontani, questo mi tocca -il cuore, quello mi stimola la vena del riso, un terzo -mi fa sognare, un quarto mi fa pensare e un quinto -mi fa piangere. Io posso scegliere secondo il mio -umore; è una farmacia morale; vi sono gli scompartimenti -per i giorni foschi, quelli per i giorni -sereni, quelli per i giorni di fiaccona, quelli per i -giorni in cui mi piglia la furia del lavoro. E alla -varietà delle materie corrisponde la varietà degli -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -aspetti. Vi sono i colossi, — vocabolari e grandi -opere illustrate, — che formano quasi l'ossatura di -questo piccolo mondo. Vi sono file compatte di volumi -tarchiati, di color oscuro, — vecchie edizioni -economiche di opere classiche, — modeste all'aspetto, -ma piene di <i>vital nutrimento</i>, come nel mondo reale -gli uomini di vero merito. Sotto questi, l'aristocrazia -delle legature, la classe privilegiata della biblioteca, -rivestita di pelli luccicanti e rabescata di -fregi d'oro. Poi la gioventù elegante e gaia: il roseo -del Lemonnier, il turchinetto del Barbera, il rosso -aranciato dell'Hachette, il giallo chiaro del Levy, -cento colori di cento edizioni civettuole, che fanno -a chi più tira gli sguardi. Poi daccapo lunghe file -di volumetti uniformi e poveri, che sono come il -popolo minuto della biblioteca, guardato con indifferenza -e trattato con pochi riguardi. Più sotto le -edizioncine diamante, genterella irrequieta, che va -e viene dalla città alla campagna, per strada ferrata -e in carrozza, dalla tasca alla valigia, dalla valigia -al tavolino da notte, e si contenta dei ritagli della -nostra giornata. In questa folla abbiamo le nostre -simpatie, i vecchi amici, gli amici di ieri, i maestri, -i benefattori, i cattivi consiglieri, i capi scarichi, -le anime perdute, i rigoristi, i seccanti, i buffoni, i -parassiti, i predicatori, i mettimale, i consolatori. E -in fondo finalmente, al pian terreno, quattro dita -<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span> -sopra il pavimento, il cimitero, dove sono ammontati -alla rinfusa, sbrandellati e coperti di polvere, -libretti ed opuscoletti d'ogni forma e d'ogni colore, -che vissero un giorno od un'ora nella nostra mente: -stravizi dello spirito, come dice il Guerrazzi; segatura -dell'ingegno umano: poesie di nozze, primi -saggi di poeti falliti, romanzi rachitici, almanacchi, -libelli, imitazioni, plagi, capricci, corbellerie, cenci -e cocci della letteratura, destinati al banco del tabaccaio -alla cesta dello spazzino. -</p> - -<p> -L'amore dei libri, crescendo a poco a poco, finisce -poi col diventare un sentimento affatto distinto -dall'amore della lettura, e fonte, per sè solo, di -mille piaceri vivissimi, piaceri della vista, del tatto, -dell'odorato. Certi libri, si gode a palparli, a lisciarli, -a sfogliarli, a fiutarli. L'odore della stampa -fresca dà dei fremiti di voluttà. A occhi chiusi, fiutando, -si riconosce se un libro è antico, o soltanto -vecchio, o recente, o recentissimo. Certi colorini di -certe edizioni innamorano, e s'incapriccisce per -certi sesti e certi frontispizî, come per certi corpicini -e certi visetti. Si prova veramente per i libri -piccoli e graziosi un sentimento di sollecitudine -più gentile, che pei libri grossi, e a sollevare con -uno sforzo certi libroni si ride d'una compiacenza -che non saprei definire; ma che è tutt'altra da quella -che si sente sollevando qualunque altro peso. Si gode -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -disponendo i proprî libri in un nuovo ordine, che -formi una nuova combinazione di colori; si lavora -di mosaico; si fa ogni giorno un cambiamento; una -biblioteca anche piccola da lavorare; c'è da colmare -le lacune, da barattare le edizioni, da ricevere -i nuovi venuti, da congedare quei che partono, -da curare quei che soffrono, da ristorare quei che -invecchiano, da far la corte a quei che splendono; -è insomma un piccolo Stato da governare, nel quale -si provano tutti i piaceri, tutti gli sconforti, tutte -le invidie ed anche tutte le gloriole d'un piccolo -re, che non potendo allargare i suoi confini quanto -vorrebbe, si diverte e si consola rimestando continuamente -quel po' che possiede. -</p> - -<p> -È un grande errore quello di credere che s'impari -ugualmente dai libri che si possedono e da -quelli che si pigliano a prestito. Un libro non fa -tutto il pro che può fare se non è cosa nostra. Bisogna -poter logorarselo, sottolinearselo, farvi dei -punti d'esclamazione, piegare le pagine, segnarne -i margini colle nostre unghie. Un libro che non fa -che passarci per casa, non lascia traccia profonda. -E poi, che differenza! Se lo avete in casa, lo leggete -e lo rileggete appunto nei casi in cui siete -meglio disposti a riceverne un'impressione viva ed -utile, perchè ciò che vi fa cercar quella lettura -piuttosto che un'altra, è una disposizione particolare -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -dell'animo, la quale se doveste cercare il libro -altrove, sarebbe forse già mutata prima che il libro -fosse nelle vostre mani. -</p> - -<p> -Quanto è grande l'efficacia d'una biblioteca sull'educazione -dei ragazzi! Il destino di molti uomini -dipese dall'esserci o non esserci stata una biblioteca -nella loro casa paterna. L'aver avuto sotto -mano, a tutte le ore del giorno, il modo di soddisfare -le prime curiosità infantili, d'ingannare sfogliando -libri la noia delle giornate piovose, gettò -in molti cervelli i primi germi d'un amore allo -studio che divenne col tempo passione ardente per -la scienza e fecondò precocemente certe facoltà dell'ingegno -che lo studio obbligato e circoscritto della -scuola avrebbe lasciate inerti. E lasciando pure da -parte i grandi effetti, è bene ispirare all'infanzia il -culto dei libri, anche prima dell'amore della lettura. -È ben per il bambino che ci sia un angolo -della casa, dove è eretto quasi un altare allo studio -e al sapere, al quale, senza comprenderne ancora -la ragione, egli vede dai suoi parenti usar -certe cure e testimoniare un certo rispetto; una -stanza silenziosa, dove di tratto in tratto egli vede -qualcuno immobile e serio; un luogo consacrato al -pensiero come ce n'è uno consacrato alla mensa, -uno al lavoro, uno al riposo. E da giovinetto, leggerà -con un piacere particolare quei libri che gli -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -son famigliari all'occhio fin dell'infanzia, che ha -veduto mille volte ordinare, pulire, accarezzare dai -suoi genitori; che avevano già per lui, ciascuno -secondo la sua forma e il suo colore, un significato -fantastico, prima che conoscesse l'alfabeto. Certo ci -dev'essere una differenza tra il giovinetto che fin -dai suoi primi anni ha veduto la sua famiglia conservare -e rispettare religiosamente i libri, e quello -che l'ha veduta vivere di brigantaggio librario e -fare dei libri letti quello che si fa delle scarpe vecchie -e degli abiti smessi. -</p> - -<p> -E poi! che c'è che ravvivi più intimamente e -più dolcemente nel cuore del figliuolo la famiglia o -lontana o dispersa, i genitori morti, l'infanzia, l'affetto -e le cure di cui fu circondato? I libri che portano -il nome del padre, ch'egli stesso mise nelle -sue mani, di cui parlò con lui, gli ricordano le sue -letture predilette, i suoi giudizî, le sue opinioni, -mille sfumature della sua indole. Su certi libri gli -par di vedere, al lume della candela, chinarsi quegli -occhiali luccicanti e quella barba bianca. Altri gli -rammentano la famiglia seduta in cerchio, intenta -alla lettura d'un solo; atteggiamenti di persone -care, esclamazioni e risa allegre o singhiozzi mal -soffocati delle sorelle piccine, che pure gli sarebbero -già fuggiti dalla memoria da lungo tempo. Il -figliuolo di chi amò i libri, amerà i libri, e non -<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span> -sarà mai un'anima affatto volgare quella in cui rimarrà -questo culto. -</p> - -<p> -Ah! vediamo di formarci intorno per tempo questa -corona d'amici muti e fedeli; fabbrichiamoci -questa pacifica fortezza per ripararvici dentro nei -giorni in cui saremo assaliti dai dolori della vita. -Questi giorni vengono, e con essi il bisogno della -solitudine e del silenzio. Sarà triste allora il non -aver un angolo della casa dove poter rifugiarsi per -tentar di dimenticare i vivi confortandosi coi morti! -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -</p> - -<h2 id="menendez">MANUEL MENENDEZ -<span class="smaller">(RACCONTO)</span></h2> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -La canzonetta andalusa intitolata <i>Don Manuel -Menendez</i> è una favola che non ha quasi punto -che fare col fatto vero, il quale si può sapere soltanto -dai Sivigliani che conobbero intimamente il personaggio, -e che son rari, perchè egli partì da Siviglia -di quattordici anni, quando perdette il padre e la -madre; non vi tornò che dieci anni dopo, e ne ripartì -per sempre in capo a pochi mesi. In questo -breve tempo riempi la città del suo nome. Non -stava però sempre in città: partiva, tornava, spariva, -senza che nessuno sapesse nè perchè, nè dove; -e qualche volta la notizia del suo ritorno giungeva -<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span> -inaspettata ai suoi amici insieme con quella -d'un colpo di spada ch'egli aveva dato o toccato -fuori della Porta di Cordova per una quistione di -donne o di politica. Molti dicevano che aveva un -ramo di pazzia, e la credevano conseguenza d'una -cornata nel capo che aveva ricevuto, a tredici anni, -da un toro <i>novillo</i>, nei giochi domenicali del circo. -L'aveva ricevuta infatti, e ne portava ancora la -traccia; ma il suo cervello n'era rimasto illeso. -Aveva una meravigliosa esuberanza di vita che -espandeva in amore, in moto, in versi, in lacrime, -in sangue, senza riuscire a trovar pace; un cuor -grande, un orgoglio satanico, degl'impeti di rabbia -in cui si sfracellava una mano contro il muro, una -forza d'animo da far fremere e il coraggio d'un -forsennato. Una signora aveva detto di lui uno -scherzo che gli si attagliava a meraviglia: — Io -mi son fitta in testa che se nelle comete ci sono -degli uomini, debbono essere tutti come Manuel -Menendez. — La sua parola non usciva, esplodeva, -e pareva sempre che una parte della sua vita fuggisse -nel suono della sua voce. Quando un <i>torero</i>, -impaurito, vibrava un colpo da traditore o straziava -l'animale senza ucciderlo, il più formidabile: — Codardo! — che -risonasse nel circo di Siviglia, -era il suo; nel teatro di San Fernando, quando si -sentiva improvvisamente nel silenzio d'una scena -<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span> -sublime, uno di quei <i>bravo</i> fuggiti dalle viscere, che -fanno correre un brivido per la platea, nessuno domandava -di chi fosse: tutti sapevano che era di -Manuel Menendez. Qualche suo amico diceva ch'egli -aveva un <i>talento colosal</i>; ma era una pura sballonata -andalusa. Le sue liriche non erano che un solo -lungo periodo, un'ondata di parole sonore e d'immagini -luccicanti, che finiva in un verso inaspettato, -il quale doveva fare un gran colpo; e tutta la poesia -era architettata su questo verso, che il più delle -volte non si capiva. Non si capiva la sua poesia -come non si capiva la sua vita. Chi lo vedeva a -mezzanotte attraversare la <i>Halameda de Hercules</i> -senza cappello; chi lo vedeva uscire all'alba -da una piccola porta della Cattedrale; chi lo vedeva -andare e venire tutta una mattinata per la -famosa strada delle cento svoltate, colla testa bassa, -come se cercasse uno spillo; nella sua casa, dalla -strada, di notte, ora si sentiva leggere, ora ridere -sgangheratamente, una volta spezzare i vetri delle -finestre, un'altra volta singhiozzare una donna; -qualunque cosa si raccontasse di lui, fuorchè una -vigliaccheria, era creduta. Tutta Siviglia lo conosceva. -La società alta, che bazzicava poco, lo guardava -di mal occhio un po' per diffidenza e un -po' per paura; il basso popolo lo rispettava perchè -aveva salvato un vecchio facchino dalle acque -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -del Guadalquivir; e non v'era forse un ventaglio -in tutta la città, da quello della Governatrice -a quello dell'ultima operaia della fabbrica -di tabacchi, il quale, almeno una volta, fingendo -di riparar dal sole il viso della sua padrona, non -avesse lasciato passare tra le sue stecche uno -sguardo o curioso o provocatore, diretto a quell'indomabile -scapato; poichè Menendez aveva un bel -viso d'arabo, contornato da una selva di capelli -neri, e il suo vestire strano, ma elegante, segnava -come una maglia le forme vigorose e signorili del -suo bel corpo di ventiquattr'anni. Così era Menendez, -e non una specie d'animale selvaggio come lo -dipinge la canzone popolare, non certo stata fatta -dal popolo; o così fu almeno fino all'ultimo dì del -settimo mese del suo soggiorno in Siviglia, che è -la data del suo gran cangiamento. Il suo amico don -Hermógenes, che vive ancora, si ricorda di quel -giorno come di ieri, e assicura che egli presentì -quel cangiamento fin da quel giorno. — Manuel — gli -disse — tu sei un uomo sfrenato; codesto non -è il modo di vivere; tu ti uccidi; tu hai bisogno d'un -amore potente che ti soggioghi; finora hai sempre -comandato, ora bisogna che tu obbedisca; bisogna -che tu trovi un'anima più forte della tua; bisogna -che tu trovi una dominatrice. — L'ho trovata — rispose -sorridendo Manuel. — Chi è? — domandò -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -con aria incredula don Hermógenes — Fermina! -disse Menendez, — Fermina? gridò l'amico; Fermina -del sobborgo di Triana? Fermina di Granata? Fermina -la <i>princesa</i>? — Menendez accennò di sì. — Don -Hermógenes balzò d'un salto alla finestra e -gridò con voce solenne: — Sivigliani don Manuel -Menendez è morto! -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Un mese dopo, Manuel Menendez era un altro. -Tutti i Sivigliani che avevano una testina capricciosa -da governare, respiravano. Egli non si vedeva -più nè alla Villa Cristina, nè al Circo, nè al San -Fernando. Chi l'avesse voluto trovare, avrebbe dovuto -passare il ponte di ferro, voltare a sinistra, -andare innanzi lungo il fiume fin quasi all'estremità -del borgo di Triana, salire al secondo piano -d'una casa bianca posta in faccia alla Torre d'oro, -e guardare per il buco della serratura in una cameretta -modesta, ombreggiata dagli alberi della riva -destra del Guadalquivir. Egli era là, seduto ai piedi -della più bella e più strana creatura dinanzi a cui -si fosse mai curvata la sua fronte di saraceno, e versava -l'anima in un torrente di parole amorose e -insensate, ch'essa ascoltava in silenzio, lavorando -a una corona di fiori — Fermina, — le diceva -<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span> -a bassa voce; — tu sei un mistero. Tu sei una -creatura d'un altro pianeta. Da che mondo sei venuta? -Come hai fatto a innamorarti d'un uomo? Io -giurerei che ci fu un tempo che tu avevi i capelli -azzurri e le pupille rosse. Perchè non ridi mai? Tu -mi fai paura. Non sto volentieri solo con te. Tu, -con quegli occhi, devi veder qualche cosa o qualcheduno -che io non vedo, e che forse è qui, dietro di -me, che ti guarda. La tua anima dev'essere un'anima -trasmigrata, la tua voce dev'essere contraffatta, e -la tua lingua non è certamente lo spagnuolo. Forse -se mi parlassi tutt'a un tratto colla tua voce vera -e colla tua lingua nativa, io rimarrei pietrificato. -Però son contento d'essere amato da te; il tuo -amore è un anello che mi congiunge col soprannaturale. -Dimmi la verità: chi hai amato nell'altra -vita? Io son geloso d'un abitante di Sirio. — A queste -parole Fermina con un movimento rapido e vigoroso -della mano gli sconvolgeva tutti i capelli e -Menendez metteva un grido d'amore. Poi, a un -tratto, essa aggrottava le sopracciglia e fissava uno -sguardo sospettoso sopra un leggiero segno rosso -del collo di lui. — Che cosa guardi? — domandava il -giovane meravigliandosi. — Nulla, — rispondeva lei -rassicurata; — ma.... guardati, Manuel! — E dopo -qualche momento soggiungeva freddamente: — Io -andrei a pugnalare una regina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span> -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Fermina era tale veramente da ispirare a chiunque -la vedesse le bizzarre fantasie che passavano -pel capo a Menendez; la sua indole, la sua bellezza -e la sua vita erano ugualmente singolari. Nel sobborgo -di Triana la chiamavano <i>la princesa</i>; i giovani -sul serio, le ragazze con ironia; ma queste più -d'ogni altri sentivano ch'essa meritava veramente -l'onore di quel soprannome. Era forse la più alta -ragazza del sobborgo: Menendez, che sarebbe stato -un bel corazziere della guardia reale, non la passava -che di mezza la fronte. Il suo occhio nero e -triste e le larghissime soppracciglia che si toccavano, -davano al suo viso bruno, d'una struttura -un po' africana, un'espressione quasi di minaccia; -la quale si cangiava a un tratto in una ilarità -dolcissima, appena schiudeva le sue labbra tumide -e irrequiete. Ma come le diceva Menendez, -essa non sorrideva che una volta al giorno; e per -solito teneva gli occhi socchiusi quasi in atto di disprezzo. -Portava una rosa nei capelli, una mantiglia -di trina bianca, un busto nero, una veste rosea, e -due stivaletti di stoffa chiara che stringevano vigorosamente -il suo piede di bimba e la sua gamba fina -e nervosa. Era questo il costume invariabile in cui -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -Fermina si mostrava, una volta la settimana, ai -mille sguardi curiosi, amorosi, rabbiosi, impertinenti, -procaci, che la saettavano da tutte le parti. Nessuno -però osava d'accostarsele, nemmeno quando -era sola, poichè si sapeva che le tre o quattro mani -audaci che s'erano stese sopra di lei, nella prima -settimana del suo soggiorno in Siviglia, s'erano tirate -indietro insanguinate. — O è un angelo — si -diceva, — o è un mostro; — ma nessuno sapeva -sicuramente quello che fosse. Si diceva che fosse -venuta da Granata, si sapeva che stava sola, si -credeva che vivesse del suo lavoro; e sul resto non -si facevano che congetture; nè i suoi vicini di casa, -nè le poche ragazze con cui scambiava un saluto, -conoscevano i fatti suoi meglio di chi la vedeva -passare per strada. Essa s'era invaghita di Menendez, -e Menendez era pazzo d'amore per lei; s'adoravano; -erano alteri l'un dell'altro; si guardavano -lungamente, con una attenzione profonda, senza -sorridere; si temevano; si trattavano qualche volta, -per eccesso d'amore, con modi violenti e brutali, -che provocavano lacrime di rabbia dalle due parti, -e finivano in pioggie di baci ch'eran tocchi di ferro -rovente e in espansioni di tenerezza da cui rimanevano -prostrati. Una sola cosa turbava la felicità di -Menendez: un sentimento vago e intermittente di -gelosia, ch'essa, senza volerlo, alimentava, respingendolo -<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span> -con una fierezza, la quale pareva a Menendez -troppo sdegnosa, e quindi non sincera. Ma s'ingannava, -perchè Fermina sentiva veramente più -che disprezzo, orrore per tutti quei piccoli e bassi -sentimenti che pullulano dall'amore anche più -schietto nelle anime volgari. — Manuel, — gli -aveva detto una volta — il giorno in cui tu mi -crederai capace d'averti tradito, ossia d'essere una -creatura spregevole, il mio amore sarà morto. Pensaci -bene. Io non sono una donna come le altre -donne; tu non devi essere un uomo come gli altri -uomini. Voi altri siete quasi tutti vigliacchi. Io ho -posto amore a te perchè non me lo sei parso. Non -lo diventare. Io sono superba. T'ho dato il mio -onore: rispettalo. Non giocare col mio amore. Io -non son di quelle che perdonano. Se si cade una -volta dal mio cuore, non vi si rientra più. Fermina -t'ha detto una volta che t'ama: ti basti per tutta -la vita. Stampati bene queste parole in fondo all'anima, -Menendez. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -S'amavano, e tutta Siviglia lo sapeva, o piuttosto -lo vedeva. Andavano a passeggiare di notte in -mezzo ai platani d'Oriente <i>de las delicias de Cristina</i>; -andavano in barca, sul Guadalquivir, sino a -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -San Juan d'Aznalfarache, a passar le ore calde -all'ombra degli aranci; ed era ben raro che qualcuno -vedesse Fermina inginocchiata dinanzi all'enorme -altar maggiore della Cattedrale, senza -riconoscere un momento dopo nell'ombra di qualche -cappella vicina, la figura elegante ed immobile -di Menendez. Per strada erano guardati da tutti -con quel sentimento amaro insieme e voluttuoso di -invidia, che ispira anche ai giovani la vista di -due amanti felici, poderosi e superbi. Essi passavano -come due principi in mezzo al mormorío della folla, -Fermina, guardando al di sopra delle teste, Menendez, -cercando inutilmente uno sguardo che si fissasse -nel suo; gettavano il loro amore in faccia a -Siviglia; portavano la loro felicità in trionfo; e per -tutto dove passavano, lasciavano una larga traccia -d'orgogli feriti e di amoruccoli schiacciati. A grado -a grado, però, Fermina s'era acquistata la simpatia -di molta parte del sesso femminino del suo ceto; -molte avevano piegata la testa dinanzi alla sua invincibile -alterezza; era considerata quasi come un -ornamento del sobborgo; era presa a modello; aveva -suscitato delle imitatrici; c'eran molte rozze e facili -Gitane, che s'erano messe a camminare col capo -rovesciato indietro e gli occhi socchiusi, lasciando -sporgere fuor del busto il manico d'un pugnale, che -non avrebbero mai adoperato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -In questo stato di cose, un improvviso rivolgimento -seguì nell'animo del Menendez. Nessuno, a -Siviglia, ne seppe la cagione, fuorchè colui o coloro -che ne furono colpevoli; ma tutti quelli che -conoscevano il carattere di lui, non se ne meravigliarono -punto. In certe nature esiste sempre -intera e pronta la formidabile macchina del -sospetto, alla quale basta buttare un nome e dare -una scossa, perchè il più forte affetto vi rimanga -stritolato. Chi, in vita sua, non è stato almeno una -volta o vittima o colpevole d'una di queste precipitose -distruzioni? Un dubbio leggerissimo, che -c'era passato un giorno per la mente, e di cui -avevamo sorriso, trova nella riga d'una lettera, -nella parola d'un amico, in un avvenimento fortuito -e insignificante, una presa fatale che lo rialza -lentamente, come una lenza, dalla più oscura profondità -dell'anima dove stava sepolto, e ce lo rimette -sotto gli occhi come un insetto schifoso -che agita con furia orribile le sue cento braccia -smaniose di preda. Atterriti per un momento, ripigliamo -coraggio e fede, e schiacciamo il piccolo -mostro. Ma è inutile. Già da tutti i ripostigli della -memoria, sono usciti, come una folla di piccoli cattivi -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -genii, mille ricordi, fino allora sopiti, di sorrisi -sfuggevoli, di mezze parole, di movimenti appena -percettibili delle sopracciglia e delle labbra, d'una -porta socchiusa, d'un rumor di passi, d'un fruscío, -d'un bisbiglio, d'un'ombra, che prima ribollono -confusamente nel capo, e poi si congiungono e si -combinano, pigliano forza, fuoco e parola, denunziano, -affermano, provano, stravolgono il cuore e la -ragione, mettono in mano il pugnale o la penna, e -spingono al delitto o alle offese che non si perdonano, -in minor tempo che non ci saremmo spinti -dalla evidenza immediata della realtà. Quando questo -accadde a Menendez, erano le undici di sera; -egli si trovava in casa, ritto dinanzi a un tavolino, -con una lettera fra le mani. Sul primo momento, -temette d'essere impazzito; balzò in piedi, si slanciò -alla finestra, e rimase qualche tempo immobile -come una statua, con una mano sulla fronte e l'altra -sul cuore, guardando fissamente in mezzo alla piazza. -Poi mise un grido soffocato d'angoscia e di rabbia, -e si precipitò fuor di casa. Attraversò come una -freccia la piazza del Trionfo, girò intorno alla <i>Caridad</i>, -oltrepassò quasi correndo la Torre D'Oro, -saltò in una barca, raggiunse la riva destra del -fiume, si slanciò nella casa di Fermina e percosse -la porta.... Fermina non c'era! Per un caso straordinario -non aveva ancora potuto tornare a casa, -<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> -e per la sciagura di tutti e due quell'assenza, in -quell'ora, corrispondeva fortuitamente a un'indicazione -della calunnia, era un'accusa, una prova, una -maledizione. Menendez rimase come pietrificato davanti -alla porta. Il dolore dell'amante era già -morto dentro al suo cuore, e non vi fremeva -più che l'ira feroce del suo enorme orgoglio ferito. -Un pensiero satanico gli balenò alla mente, -scese di volo le scale e si diresse di corsa verso -casa. Arrivato al ponte, si fermò. Un altro pensiero -gli aveva quasi percosso e schiacciato il -primo. — E se non è vero? — si domandò, e per -un momento gli brillò l'anima. Ma la fatalità lo -perseguitava. In quel punto gli passò accanto una -donna, lo guardò in viso e gli disse fuggendo: — Fermina -ti tradisce! — A quelle parole il furore, -risollevandosi impetuosamente, gli velò l'intelletto, -e lo ricacciò innanzi come un dannato. Per colmo -di sventura, rientrando nella sua stanza trovò una -lettera di Fermina che diceva: — domattina non -sarò in casa; — e anche quest'annunzio avverava -sciaguratamente una previsione. Allora Menendez -perdette affatto il lume della ragione, -ruggì, rise, maledì, afferrò la penna, scrisse a -grandi caratteri sopra un foglio di carta il nome -di Fermina, un epiteto, l'indicazione d'un'ora e -d'un prezzo, un insulto orrendo; poi volò fuor di -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -casa con quel foglio, rifece la via di prima, arrivò -alla casa dì Fermina, attaccò alla porta con le mani -convulse il cartello infame, e si cacciò digrignando -i denti giù per le scale. Arrivato in fondo, si fermò: -sentì aprirsi quella porta, vide illuminarsi la scala, -e udì quasi nello stesso punto un grido disperato e -il rumore della caduta d'un corpo. Dopo pochi momenti -sentì aprire altre porte, — scender gente, — una -donna leggere il biglietto — e molte voci prorompere -in un grido d'indignazione: — <i>Mentira!</i> -(Menzogna!)... -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Un'ora dopo egli si trovava nello stato d'uno -che si svegli da un sogno spaventoso. Quel grido -l'aveva svegliato. Inutilmente aveva subito tentato -di riadunare e di ricomporre insieme prove, -indizî, argomenti, ricordi, ombre; tutto era fuggito -e svanito colla stessa rapidità fulminea con -cui s'era raccolto, e aveva preso forma e saldezza. -Come poca cosa era bastata a farlo credere, così -un grido era bastato a disingannarlo. Egli era rimbalzato -da una certezza a un'altra certezza; non -aveva più bisogno di prove; s'era spiegato tutto; -aveva capito tutto; sentiva dentro ed intorno a sè -<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span> -un silenzio solenne, e non vedeva più che la figura -immobile, bianca e sinistra di Fermina, e fra -loro un abisso. Egli la conosceva, capiva che -non avrebbe più perdonato, sentiva che l'aveva -uccisa. Un avvilimento profondo, uno sgomento -mortale, un amor nuovo rinvigorito dal rimorso e -dalla disperazione, un desiderio immenso di morire, -e insieme una prostrazione di forze che gl'impediva -un qualunque atto risoluto, s'erano impadroniti di -lui. Passò la notte disteso in terra, vicino alla -finestra, e la mattina all'alba, si trovò, senz'accorgersene, -sul ponte di ferro, dove rimase improvvisamente -inchiodato. Fermina veniva verso -di lui. Appena la vide, capì ch'essa lo aveva visto, -e lesse nel suo volto e nel suo atteggiamento una -risoluzione che gli troncò l'ultimo filo di speranza. -Era vestita come nei giorni festivi; veniva innanzi a -passo franco, quasi impetuoso, colla testa alta, coll'occhio -socchiuso e fisso dinanzi a sè, col viso pallido -ed immobile come una maschera di marmo. Quando -gli fu vicina, egli aprì la bocca per parlare, ma la -parola gli restò dentro. Essa passò senza guardarlo, -dritta e maestosa, colla morte nel cuore e col disprezzo -sul volto, mandandogli in viso un'ondata -d'odor di rosa, e s'allontanò senza voltarsi. Menendez -vide come un velo nero stendersi fra lei e -i suoi occhi e sentì che tutto era finito. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -Tutto quello ch'egli fece quel giorno e il giorno -dopo, lo fece quasi macchinalmente, e senza energia, -perchè era senza speranza. Era il primo solenne -castigo che riceveva il suo carattere orgoglioso -e violento, e n'era come istupidito. Scrisse -a Fermina una lunga lettera; non ebbe risposta; -non se ne stupì, e quasi nemmeno se n'accorò, -tanto era sicuro che questo doveva accadere. Le -riscrisse; la lettera questa volta gli ritornò intatta; -la riprese e la buttò in un canto senza -badarci. Andò, a sera inoltrata, col cuore tremante, -a picchiare alla sua porta; c'era il lume alla -finestra; lei era in casa; ma la porta non s'aperse. -Tornò dopo un'ora; il lume c'era ancora; la porta -rimase chiusa. Se n'andò a casa, e passò mezza la -notte seduto alla finestra, col capo appoggiato sopra -una mano. Il giorno dopo non iscrisse più, nè andò -più a cercar Fermina, e forse, se non fosse uscito, -non avrebbe mai più osato cercarla. Ma uscì, e gli -seguì un caso che decise della sorte di tutta la -sua vita. Era giorno di festa: girando a caso, di -strada in strada, quasi senza coscienza di sè, si -trovò nei viali della Cristina. Era l'ora della passeggiata; -dalla Torre d'oro al palazzo di san Telmo -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -formicolava una folla brillante e gaia; una musica -festosa riempiva l'aria; il sole dorava le acque del -Guadalquivir; Menendez si sentì per un momento -alleggerito del peso mortale della sua tristezza, e si -lasciò trascinare dalla corrente. All'improvviso una -ragazza del popolo, passandogli accanto, gli gridò -all'orecchio: — <i>Es mentira, Menendez!</i> — e disparve. -Menendez impallidì e cercò di sottrarsi agli -sguardi curiosi dei vicini che avevan sentito; ma -quasi subito un'altra ragazza, distante da lui una -decina di passi, gridò più forte: — <i>Mentira!</i> — Menendez -si voltò dalla parte opposta, confuso e -sgomento, e cercò di fendere la folla, per uscire dal -passeggio. Ma una terza, una quarta, e poi un gruppo -di ragazze del sobborgo di Triana, che l'avevano -riconosciuto, gli gridarono alle spalle: — <i>Mentira, -Menendez, mentira!</i> — Molta gente si fermò; altre -ragazze, avvicinandosi, ripeterono quel grido; il -suo nome corse di bocca in bocca; la folla s'aperse -per fargli circolo intorno; e questo fu il suo salvamento. -Approfittando di questo vuoto, si slanciò, -stravolto e bianco come un cadavere, fuori del viale, -raggiunse una carrozza, vi saltò dentro, e s'allontanò -rapidamente udendo ancora per un buon tratto -le grida lontane delle sue persecutrici. Appena entrato -in casa si coperse il volto colle mani e diede in uno -scoppio di pianto desolato e rabbioso. — Dunque la -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -voce s'è sparsa! — gridò — Io sono il ludibrio di -Siviglia! Io non potrò più mostrare il viso in mezzo -alla gente! Io son disprezzato, insultato, disonorato! — A -questo punto un'idea grande e nuova -gli balenò alla mente, la sua anima generosa vi -rispose con un rimescolamento profondo, il suo -volto s'illuminò, tutte le sue fibre si rinvigorino, -tutto il suo sangue s'accese. Poi, come se la voce -d'un amico invisibile gli avesse susurrato una preghiera -nell'orecchio: — Sì, — rispose con un accento -di condiscendenza: — ancora una prova. — E -si slanciò fuor di casa. -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -Fermina lavorava, col lume, in un angolo della -stanza, quando sentì un passo rapido e leggiero -su per la scala, e s'accorse, troppo tardi, che -aveva lasciata la porta socchiusa. Ebbe appena -il tempo di alzarsi e di ricadere sulla seggiola: Menendez -si precipitò ai suoi piedi, curvò la fronte -sul pavimento, e gridò singhiozzando: — Perdono, -Fermina! -</p> - -<p> -Essa non rispose. -</p> - -<p> -Aveva il viso pallidissimo, e stava rivolta verso la -finestra, cogli occhi dilatati e colle labbra tremanti. -</p> - -<p> -— Fermina! — continuò Menendez con una voce -<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span> -che pareva gli dovesse spezzare il petto — perdonami! -Sono stato un vile e un pazzo! Tu sei un -angelo! Io sono un disgraziato! Mi sono lacerato -il cuore colle mie mani, ho pianto lacrime di sangue, -m'hanno insultato per le strade, credevo d'impazzire, -non posso più vivere così, perdonami, rendimi -il tuo amore, non mi condannare a uno strazio -eterno, dimentica, amami! Vedi, io mi striscio ai -tuoi piedi, batto la fronte per terra, non ho più -voce, non ho più lacrime, non ho più stima di me, -non ho più onore nel mondo, non ho più che l'amore -che mi strazia e la disperazione che mi uccide! -Fermina, abbi compassione di Menendez! -</p> - -<p> -Fermina continuava a guardar la finestra; aveva -il viso stravolto e convulso, il seno ansante, tutta -la persona agitata da un tremito febbrile; pareva -che facesse uno sforzo per ottenere prima da sè -stessa quello che Menendez voleva da lei; che aspettasse -essa pure un improvviso cangiamento del proprio -cuore; e Menendez osservava con profonda -ansietà tutti i movimenti del suo viso. Finalmente -proruppe con accento disperato: -</p> - -<p> -— È inutile, Menendez! Non posso! non sento -più niente! son vuota! son morta! Potresti supplicarmi -per tutta la vita, ucciderti sotto i miei -occhi, diventare un re, un santo, un Dio.... è inutile! -Non credo più! Non amo più! M'hai uccisa! -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -Hai capito, Menendez? Hai forse dimenticato che -cos'hai fatto? Fermina t'aveva dato il suo onore e -tu v'hai sputato sopra in faccia a tutta Siviglia! -Dio! Dio! Dio! E questo è stato possibile! e tu vuoi -che io ti perdoni! — Poi, facendo un violento sforzo, -si ricompose, e soggiunse freddamente: — Va, Menendez, -lasciami sola, lasciami nella mia tomba, tutto -è finito, addio. -</p> - -<p> -— Pensaci ancora, — disse Menendez con voce -supplichevole. -</p> - -<p> -Fermina si svincolò da lui e gli accennò la porta -senza guardarlo in viso. -</p> - -<p> -— Ma sei dunque senza cuore! — gridò il giovane -balzando in piedi colla rabbia nel sangue e -la minaccia sul volto. -</p> - -<p> -Fermina lo guardò. -</p> - -<p> -Menendez diede indietro e si gettò fuor della -porta. -</p> - -<h3>IX.</h3> - -<p> -Appena tornato a casa, si mise a preparar le -sue robe per partire la mattina dopo. Egli aveva -deciso d'andare a passar un mese a La Rinconada, -piccolo villaggio circondato d'oliveti, poco lontano -dalla città, dove stava don Luis de Guevara, suo -amico d'infanzia, <i>facultativo</i>, ossia medico condotto, -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -che gli aveva più volte offerto la sua casa per quando -volesse fuggire i grandi calori di Siviglia. Terminato -ogni cosa, si buttò sul letto, e per la prima volta -dopo la sera fatale del suo delirio, dormì. All'alba -si svegliò più tranquillo, corse alla finestra, fermò -la prima carrozza che vide passar sulla piazza, -si vestì, fece portar giù le sue valigie, si mise a -tracolla il suo fucile da caccia, discese rapidamente, -e montando sul legno, ordinò al cocchiere di condurlo -sulla riva destra del fiume, in faccia alla -Torre d'oro. Un gran cangiamento era seguíto in -lui; non pareva più l'uomo del giorno innanzi; il -suo volto non esprimeva più nè ansietà nè dolore; -era pallido e portava le traccie della tempesta dei -giorni scorsi; ma risoluto e quasi altiero. Scese dinanzi -alla casa di Fermina, salì le scale con passo -deciso, sospinse l'uscio e si piantò ritto immobile -sulla soglia. -</p> - -<p> -Fermina fece un atto di sorpresa sgradevole, e -si voltò verso la finestra. -</p> - -<p> -— Una sola parola, Fermina, — disse con accento -pacato Menendez. -</p> - -<p> -Fermina voltò la testa verso di lui, tenendo gli -occhi socchiusi. -</p> - -<p> -— Sei profondamente sicura — disse Menendez, — puoi -giurarmi sul tuo onore, per la memoria di -tua madre, per la salvezza dell'anima tua, che lo -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -stato presente del tuo cuore non è l'effetto d'uno -sforzo che fai sopra te stessa? che senti veramente -e immutabilmente di non amarmi più? -</p> - -<p> -— Sì — rispose con accento risoluto Fermina. -</p> - -<p> -— Addio — disse Menendez, e disparve. -</p> - -<h3>X.</h3> - -<p> -Fermina mise un sospiro, lasciò cadere il suo lavoro -e chinò la testa sopra una mano. Essa vedeva -partire Menendez senza dolore, ma non senza tristezza. -Non era più il suo amante che perdeva, è -vero; ma era pure un'immagine cara, la forma umana -in cui le si era presentata per la prima volta la felicità; -l'aspetto dal quale non avrebbe mai più potuto -scindere il ricordo dei più bei giorni della sua giovinezza. -Sul primo momento, anzi, mentre sentiva -ancora il rumore lontano della carrozza, che credeva -lo conducesse via da Siviglia per sempre, fu -colta da un dubbio improvviso, che la fece tremare, -e sentì il bisogno d'interrogare ancora una volta -sè stessa, di frugare ancora una volta nel più profondo -dell'anima se mai vi fosse rimasta una scintilla, -una speranza, una promessa. Ma interrogò, -frugò, e non vi trovò nulla, e ne sentì quasi un -sollievo. Ripetè anzi a sè medesima, e con maggior -sicurezza che per l'addietro, che in quell'anima -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -non c'era mai stato e non ci poteva essere il -grande, cieco e tremendo amore ch'essa aveva sognato; -l'unico amore che la sua natura virile e superba -potesse accettare e rendere; l'amore di Menendez -era un delirio passeggiero della mente, non -una febbre profonda e perpetua del cuore; Menendez -non l'aveva capita perchè non l'aveva stimata; -se si fossero riconciliati, si sarebbero rotti un'altra -volta; essa non avrebbe più potuto amarlo che per -pietà, ed egli avrebbe diffidato daccapo, alla prima -occasione, e con fondamento; forse anche in lui era -morto l'amore, e non era più che l'orgoglio umiliato -e il rimorso che l'aveva spinto a chieder compassione -e perdono; e d'altra parte s'era accomiatato -coll'animo più tranquillo, cominciava forse -a rassegnarsi, a dimenticare; col tempo avrebbe -dimenticato; era meglio per tutt'e due che tutto -fosse finito in quella maniera. — Sia così, — disse -sospirando Fermina: — è un sogno svanito, io gli -perdono, e Dio l'accompagni. — E riabbassò sopra -il lavoro la sua bella fronte pensierosa. -</p> - -<h3>XI.</h3> - -<p> -I giorni passarono; nessuno a Siviglia vide più Menendez; -qualcuno disse ch'era partito per Cuba; tutti -lo credettero, e qualche raro amico lo rimpianse; ma -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -la maggior parte non lo rammentarono più che per -vituperare il suo nome. Fermina, invece, dopo che -s'era sparsa la notizia dell'avventura, aveva acquistato, -anche sull'altra riva del Guadalquivir, una -piccola celebrità romanzesca, d'una parte della quale -si sentivano un po' altere tutte le ragazze di Triana, -come se il raro esempio di sdegnosa fermezza dato -da lei, avesse rialzato in faccia a Siviglia la dignità -di tutto il sesso femminino del sobborgo, non generalmente -presa sul serio prima d'allora. Un poeta -sconosciuto aveva scritto dei versi sul muro della -sua casa; la moglie del Capitano generale d'Andalusia -le aveva data un'ordinazione di fiori per aver -modo di parlarle; le ragazze, incontrandola per strada, -le dicevano: — <i>Muy bien, Fermina!</i> —; tutti la -guardavano con una certa curiosità rispettosa, -e ci fu tra gli altri un panciuto negoziante di telerie, -marito d'una indiavolata brunetta di Badajoz, -che incontrandola due giorni dopo la partenza di -Menendez, esclamò con uno slancio di gratitudine: — Benedetta -lei, <i>senorita</i>, che ce ne ha -liberati! — Ma Fermina viveva più che mai raccolta -e sola, e tutta occupata del suo lavoro, non -lasciandosi vedere che raramente dalle vicine di -casa. Non era contenta, ma tranquilla, e non pensava -più a Menendez che con un sentimento di -vaga mestizia, come avrebbe pensato ad un morto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span> -</p> - -<h3>XII.</h3> - -<p> -Erano passati quindici giorni dalla partenza di Manuel -Menendez. Una mattina, poco dopo il levar del -sole, Fermina stava lavorando nella sua stanza, seduta -accanto alla finestra, e alzava di tratto in tratto la -testa, per rivolgere uno sguardo malanconico al fiume, -alla Torre d'oro, alla Cristina, alle guglie lontane -della cattedrale, a cento luoghi e a cento cose che -le rammentavano il suo immenso amore svanito, e -sospirava. In quei momenti, avrebbe voluto poter -riamare Menendez, anche sapendo di non doverlo -mai più rivedere, non foss'altro che per dare un -alimento alla sua anima vuota; e andava frugando, -infatti, dentro all'anima, non più col timore, come -aveva fatto altre volte, ma colla speranza di ritrovarvi -ancora qualche cosa. Ma anche in quei momenti -o non vi trovava nulla, o vi trovava soltanto -un resto di sdegno pronto a riaccendersi, e s'affrettava -a spegnerlo cacciandovi sopra un altro pensiero. — Morto, -morto —, diceva tra sè, scrollando -la testa con tristezza, e sentiva profondamente che -se anche Menendez le fosse ricomparso davanti, essa -l'avrebbe ricevuto come le altre volte, senza risentirne -la più leggiera scossa, senza dubitare un momento -dell'immutabilità del suo cuore, senza dover -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -fare il menomo sforzo per ripetergli: — Va, lasciami -sola nella mia tomba, tutto è finito. -</p> - -<p> -Il corso dei suoi pensieri fu improvvisamente interrotto -da un leggiero fruscío; si voltò, mise un -grido e balzò in piedi. -</p> - -<p> -Menendez era dinanzi a lei. -</p> - -<p> -Fermina si ricompose subito; ma non potè far a -meno di fissare per qualche momento uno sguardo -inquieto sopra di lui. -</p> - -<p> -Il suo viso era pallido e dimagrato; il suo occhio, -smorto; le sue labbra, livide. Aveva la cappa -sulle spalle e una borsa da viaggio a tracolla. Stava -ritto sulla soglia della porta, un po' curvo e colle -gambe un po' piegate; e fissava Fermina con uno -sguardo profondo, pieno d'amore e di mestizia. -</p> - -<p> -— Siete stato malato! — gli disse lei con un -leggiero accento di pietà. -</p> - -<p> -Menendez esitò un momento e poi rispose con -voce debole: -</p> - -<p> -— Sì.... un poco. -</p> - -<p> -Fermina abbassò la testa. -</p> - -<p> -— Ed ora parto —, soggiunse il giovane. -</p> - -<p> -— Per dove? — domandò Fermina senza alzare -la testa. -</p> - -<p> -— Per Cuba. -</p> - -<p> -— Oggi? -</p> - -<p> -— Adesso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -</p> - -<p> -— Per sempre? -</p> - -<p> -— ..... Per sempre. -</p> - -<p> -Fermina mise un sospiro, si passò una mano sulla -fronte, e poi disse con un accento pietoso: — Ebbene.... -addio, Menendez; il Signore t'accompagni.... -e.... addio! -</p> - -<p> -— Non hai altro da dirmi? — domandò Menendez -colla voce tremante — sei sempre la stessa? -</p> - -<p> -Fermina gli rivolse uno sguardo che rivelava il -suo cuore desolato di non potergli dare che una -triste risposta. -</p> - -<p> -— Ebbene, — disse allora Menendez avvicinandosi -al suo tavolino;.... — poichè non ci vedremo più, -fammi una grazia, Fermina. Accetta questo ricordo. — E -dicendo così, mise sul tavolino una piccola -cassetta di mogano, colla chiavina nella serratura. — Non -respingerlo, Fermina! te ne prego! Non è -un dono. Non contiene che un foglio di carta in -cui è rivelato un segreto che tu devi conoscere; -un segreto di famiglia, che non ho rivelato ad altri -che a te; una cosa sacra. Accettalo, Fermina; ti -giuro sul mio onore che è necessario che tu lo accetti; -riconoscerai tu pure questa necessità quando -avrai visto di che si tratta, e dirai che avevo ragione -e che ho fatto il mio dovere..... Ed ora non -ho più altro da dirti. Addio, Fermina!.... dimenticami -e sii felice! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -</p> - -<p> -Fermina si asciugò una lagrima e gli porse una -mano, voltando il viso dall'altra parte. -</p> - -<p> -Menendez le coprì la mano di baci e si diresse -verso la porta. -</p> - -<p> -— Menendez! — disse vivamente Fermina. -</p> - -<p> -Menendez si voltò. -</p> - -<p> -— Addio! — ripetè la ragazza con voce alterata, -ma ferma; — sono più sventurata di te, perchè non -ho più nulla nel cuore! Va, Menendez! Va, e il Signore -sia sulla tua strada! -</p> - -<p> -Menendez uscì, socchiuse la porta e cominciò a -scender lentamente la scala, coll'orecchio intento, -col respiro sospeso, col cuore che gli batteva come -se volesse rompergli il petto. -</p> - -<p> -A un tratto sentì il rumore della chiavina della -cassetta che girava nella serratura. -</p> - -<p> -Le gambe gli piegarono sotto e un velo nero gli -si stese sugli occhi. -</p> - -<p> -Si appoggiò al muro del pianerottolo. -</p> - -<p> -Passarono alcuni secondi. -</p> - -<p> -All'improvviso, un grido sovrumano di dolore, di -terrore e d'amore, risonò di cima in fondo alla casa, -come un colpo di fulmine; la porta si spalancò, Fermina -balzò d'un salto in fondo alla scala, si precipitò -dinanzi a Menendez, e prese a baciargli con una -furia disperata i piedi, le ginocchia, i panni, singhiozzando, -gridando, chiedendo perdono, invocando -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -Iddio, fin che la voce le mancò, gli occhi le -si chiusero e cadde svenuta. -</p> - -<p> -I vicini erano già accorsi, e fra essi il signor Luis -de Guevara, che aveva accompagnato Menendez -dalla Rinconada a Siviglia, e lo stava aspettando -nella strada. -</p> - -<p> -— Don Luis, — gli disse Menendez appena lo vide, -sollevando Fermina svenuta, e voltandola in modo -ch'egli la potesse vedere nel viso: — ti presento -mia moglie. -</p> - -<h3>XIII.</h3> - -<p> -Quindici giorni dopo, infatti, il segretario dell'amministrazione -del Circo dei tori di Siviglia, dovendo -mandare a Fermina la chiave del trentesimo -palco <i>del lado de la sombra</i> (della parte dell'ombra), -indirizzava la lettera: — <i>A doña Fermina -Menendez</i>; — ed essendo quella la prima -lettera ch'essa riceveva col titolo di <i>doña</i> e col -proprio nome legato a quello del suo amante, baciò -tre volte la busta e la mise in serbo come una -cosa preziosa. Qualunque altra Sivigliana, però, -avrebbe in quel giorno baciato invece della busta -la chiave, poichè per il felicissimo arrivo di Sua -Maestà la Regina Isabella, la quale per la prima -volta si faceva vedere a Siviglia colla corona, -<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> -l'Impresario del Circo aveva preparato uno spettacolo -unico nei fasti del <i>toreo</i> andaluso; e basti -il dire che la prima spada si chiamava il <i>Tato</i>, e -che si sarebbero slanciati nell'arena otto tori, comprati -a peso di dobloni novi, <i>doblones de Isabel</i>, -nei pascoli dell'eccellentissimo marchese di Veragua, -primo allevatore della Spagna. Per questo, sebbene lo -spettacolo cominciasse alle due pomeridiane, la <i>plaza</i> -era già quasi piena a mezzogiorno, e al tocco non ci si -poteva più entrare. Era una delle più belle giornate -che si possan vedere a Siviglia nel mese di settembre. -Il vasto Circo poligonale presentava sulle sue trenta -gradinate una meravigliosa confusione di visi bruni, -di treccie nere, di ventagli agitati e di mani per aria; -vi brillava il fiore della bellezza del sobborgo di -Triana, v'erano le più famose danzatrici delle <i>escuelas -de baile</i>, centinaia d'operaie della fabbrica dei tabacchi -colle sottane bianche o rosee, gruppi di gitane con -mazzetti nei capelli e sul seno, i più belli e più -terribili schermitori di coltello della provincia, coi -loro cappellotti di velluto nero e loro cinture rosse -ed azzurre; tutto il più ardente sangue andaluso -che circolava in quel tempo dal Campo della fiera -alla porta di San Juan e dalla Cartuja alla Trinidad; -un'immensa raccolta d'amori, di gelosie, di capricci, -di gioie, di miserie, un incrociarsi rapidissimo e -continuo d'apostrofi clamorose e di occhiate furtive, -<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span> -di fiori e di risa, di parole galanti e d'aranci: -tutto ciò rallegrato da una musica strepitosa e -saettato da un sole ardente. Alle due precise, gli -<i>alguaciles</i> entrarono nell'arena per far sgombrare la -folla, e nello stesso momento, da due lati contigui -del Circo, cento visi si voltarono quasi tutti insieme -verso un punto solo e al gridío generale seguì improvvisamente -un profondo silenzio. Fermina, vestita di -bianco, con un gran mazzo di fiori fra le mani, col -viso splendido d'una letizia dignitosa e severa come -la sua bellezza, era comparsa nel suo palco, insieme -con Menendez, pallido e sorridente, in mezzo a una -corona d'amici. Al primo silenzio, seguì dopo pochi -momenti un lungo mormorío favorevole, quasi amoroso -e altri mille sguardi si fissarono sui due sposi. -Tutta Siviglia sapeva quello ch'era accaduto. A un -tratto, una gitana seduta sul primo gradino sotto -il palco, balzò in piedi, si levò una rosa dai capelli -e buttandola a Fermina, gridò: — <i>A ti, doña Fermina -Menendez, y Dios te dé la buena suerte!</i> — Subito -dopo un'altra ragazza buttò un mazzetto -a Menendez e gridò: — <i>A ti, don Luis Menendez</i>, -cuor valoroso! — L'esempio fu rapidamente imitato: -da tutti i gradini vicini al palco cominciarono a -piovere fiori sugli sposi, accompagnati da un gridío -appassionato e festoso: — A te, bella creatura! — A -te, sangue di prode! — A voi, la più bella coppia -<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> -di Siviglia! — Amatevi! — Buona fortuna! — Molti -giorni come questi! — Dio vi protegga! — In pochi -minuti la notizia e l'entusiasmo si propagarono per -quasi tutto il Circo, e da ogni parte si buttarono -fiori, si agitarono fazzoletti e mantiglie, si mandarono -evviva e saluti; tanto che Fermina, sopraffatta -dalla commozione, lasciò cader la testa sulla spalla -di Menendez, e la Regina Isabella, che aveva già -preso posto nel palco reale con tutto il suo corteggio, -si voltò a domandare al giovane generale Serrano -chi fossero i due personaggi che mettevano sottosopra -i suoi sudditi. Il <i>general bonito</i>, il bel generale, -come si chiamava allora il futuro vincitore -d'Alcolea, si fece innanzi rispettosamente, e disse -col tuono più dolce della sua voce: — Sono due -sposi, Maestà. La sposa è la più bella giovane di -Siviglia, e lo sposo è un giovane che ha fatto onore -al sangue andaluso. In un accesso di gelosia, avendo -offeso mortalmente la sua fidanzata con un cartello -infamante, e non essendo riuscito in altro modo a -farsi perdonare e riamare, ottenne l'una e l'altra -cosa presentandole una cassettina nella quale c'era -la penna fatta in due pezzi, che aveva scritto il -cartello; sotto la penna, un foglio di carta con su -scritto col sangue: — <i>Espiazione</i>, e sotto il foglio -di carta la sua mano destra.... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> -</p> - -<p> -Mentre la Regina appuntava il cannocchiale verso -gli sposi, le trombe squillarono, la folla gettò un -altissimo grido, e il primo toro dell'eccellentissimo -signor marchese di Veragua si slanciò muggendo -in mezzo all'arena. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> -</p> - -<h2 id="sogno">IN SOGNO</h2> -</div> - -<p> -Non so se molti altri abbiano un ordine speciale -di sogni che si possano procurare a loro piacere: -io ho quello dei viaggi, e mi basta, per viaggiare -in sogno anche tutta una notte, fissarmi col pensiero, -quando sto per addormentarmi, in qualche -luogo lontano del quale mi sia rimasto un ricordo -molto vivo; dopo di che, mi passano dinanzi cento -altri luoghi, città, campagne e genti, trasformandosi -rapidamente, senza che nel sogno s'intrometta mai -una visione di altra natura. E questo è strano: che -gli avvenimenti, no; ma i luoghi e i personaggi che -sogno, son sempre luoghi e personaggi che ho visti; -il che non m'accade quando, addormentandomi, non -metto l'immaginazione sulla via delle reminiscenze; -poichè se chiudo gli occhi pensando a Sydney o a -Batavia, vago poi, sognando, per tutta la terra, ed è -<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> -facile che mi trovi a discorrere di politica, a un'ora -dopo mezzanotte, con qualche defunto imperatore -chinese. Quale è la ragione di questo? In che maniera -la mente, errando fra le più bizzarre fantasie -nel campo degli avvenimenti, rimane nello stesso -tempo legata alla realtà geografica dei miei viaggi? -Come mai in fatti di luoghi e di persone, non fo', sognando, -che ricordarmi, e non vaneggio che in fatto -di casi e di discorsi? Perchè questa costante distinzione? -Sarà forse la centesima volta che mi rivolgo -la stessa domanda, e per la centesima volta -non ci so trovare altra risposta che voltar la testa -sul cuscino da destra a sinistra, raccogliendo tutti -i miei pensieri nel giardino del duca di Montpensier, -il quale, da quanto sembra, dev'essere questa notte -il punto di partenza d'un lungo pellegrinaggio, poichè -mi torna e mi ritorna in mente con una ostinazione -invincibile, e ormai vedo che m'addormenterò -all'ombra degli aranci ducali. Sia almeno un -viaggio allegro e tranquillo, che non m'accada, come -altre volte, di svegliar mia madre con grida di spavento -o sospiri di dolore. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Com'ero entrato nel giardino del duca di Montpensier, -del <i>Rey naranjero</i>, come lo chiamano in -Spagna? Era probabilmente il mio borbonico amico -Segovia che m'aveva fatto avere il permesso. Non -<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span> -me ne ricordo bene. Non ricordo nemmeno gran -cosa del giardino. La più viva, anzi la sola rimembranza -viva di quel luogo è la fontana a cui diedi -il nome dei <i>cinque sensi</i>. Ah! veramente io posso -dire d'aver passato là l'ora più deliziosamente sensuale -del mio soggiorno a Siviglia. Era tra mezzogiorno -e il tocco, splendeva un sole abbarbagliante -e tirava un'arietta leggerissima. Io stavo seduto -sull'erba all'ombra d'un gruppo d'allori accanto -alla vasca d'una fontana, sotto i rami curvi d'un -roseto; con una mano mi mettevo in bocca gli -spicchi d'un arancio che stillava sugo a grandi -goccie; coll'altra accarezzavo la gamba d'un putto -di marmo finissimo che dalla bocca mi schizzava -acqua diaccia rasente i capelli; le foglie delle rose, -scosse dall'aria, mi cadevano sul petto; l'acqua limpida -della vasca rifletteva come uno specchio il mio -viso non turbato dall'ombra d'un pensiero; al disopra -del verde cupo degli alberi, vedevo la terrazza -bianca e arabescata d'una casetta di stile moresco; -e più lontano l'enorme statua dorata della fede che -girava fiammeggiando sulla sommità della Giralda -nell'azzurro purissimo del cielo andaluso. — Ancora -qualcosa per l'orecchio! — esclamai con un fremito -di piacere. E un momento dopo sentii dietro gli allori, -prima il rumore leggiero d'un rastrello, poi -la voce fresca e sonora d'una ragazza, che cantava -<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> -con un accento sivigliano pieno di dolcezza: — Io -sono bella e tu hai vent'anni! — Allora ebbi un -momento d'ebbrezza; aspirai una gran boccata d'aria, -tuffai il viso nell'acqua, morsi insieme l'arancio e -le rose, risi e mi ravvoltolai nell'erba come un bambino. -Poi, a poco a poco, preso da un languore dolcissimo.... -chiusi gli occhi.... e rimasi assopito.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -E tu mi hai svegliato, caro e crudele Parodi! E -perchè? Le meraviglie del <i>Restaurant Blond</i> valgono -forse le delizie del giardino dei Montpensier? Ma -bisogna esser giusti, e riconoscere che il signor Blond -ci dà il più succoso brodo e il più saporito manzo -di Parigi, e che è grazia di Dio l'aver per due lire -questo pranzetto e questo spettacolo. Quale spettacolo! -Venti tavolate d'affamati; una folla in movimento -perpetuo, che parla in venti lingue diverse -di mille cose assurde o sublimi; cercatori di fortuna -d'ogni parte del mondo; giovanetti colle prime speranze, -vecchi colle ultime; inventori di <i>sistemi</i> e -di <i>riforme universali</i>, pieni d'utopie e di debiti; -grandi uomini senza senso comune; forse qualche -grand'uomo davvero; qualche rompicollo oscuro, del -quale fra tre mesi sarà recitata dieci volte la prima -commedia al <i>Téàtre français</i>, e il suo nome correrà -l'Europa; mezzani che ballano a un tanto per sera -al Mabille o al Valentino: giocolieri di teatro che -<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> -si mettono una spada nella gola fino all'elsa; giornalisti -della macchia che ti piantano il pugnale nelle -erni fino al manico; un bavarese che almanacca da -dieci anni un favoloso progetto di rinnovamento -sociale fondato sull'alleanza del Papa colla democrazia; -un brasiliano che ha inventato dei romanzi -armonici e odorosi, dalla copertina dei quali il lettore, -giunto a certe pagine, fa uscire con una leggiera -pressione del dito, un profumo e un'arietta -d'occasione; un polacco che ha creato un genere di -commedia da rappresentarsi, non sul palco scenico -ma nella vita reale, o piuttosto un genere novo -di vita da viversi in forma di commedia; un inglese -che vuol ottenere dal Governo l'istituzione -nelle Università della Francia d'un corso permanente -di lezioni sull'<i>Arte di governare le donne</i>; l'inevitabile -inventore della lingua universale; l'indispensabile -regolatore della locomozione aerea; avanguardie -mattamente audaci di tutte le scienze e di tutte le -arti; tutte le deformità intellettuali che corrispondono -alle deformità fisiche: menti sbilenche, ingegni -gobbi e guerci, genî idropici, fantasie affette d'elefantiasi; -giocatori, innamorati, bevitori d'assenzio, -atei, fanatici, cinici; gente che s'ammazza a studiare -e gente che si finisce nei bagordi; uomini che -dormono sui tetti e giovani che dormono sotto gli -alberi dei Campi Elisi; qualcuno matto d'allegrezza, -<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span> -qualche altro che si brucierà le cervella la settimana -ventura; tutti in cerca di qualcuno: chi dell'editore, -chi del mecenate, chi dell'impresario, chi -di scolari, chi d'affigliati, chi di vittime, chi di -complici; un'accozzaglia cosmopolitica che lavora, -digiuna, farnetica, si dibatte sull'immenso lastrico -di Parigi, per lasciar il nome alla posterità, o l'ambizione -in carcere, o l'ingegno al manicomio, o il -cadavere all'ospedale. Sì, caro Parodi, questo spettacolo -è bizzarro, ma quest'aria mi soffoca; domani -pranzeremo al <i>Passage des Princes</i>; ho anch'io i miei -capricci di povero diavolo; ho bisogno ogni tanto -di sdraiare la mia vanità in una sala dorata e di -tuffare la mia miseria in un bicchiere di Champagne.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -..... Champagne? <i>Kellner</i>, Champagne al signore. — <i>Sie -beschämen mich mit Ihren Höflichkeiten</i>, -biondo capitano Schopper. Il vostro bastimento -è un palazzo splendido e voi siete il re del -Danubio. Oh la bellissima sera! Per le finestre aperte, -di là dalle acque rosate del fiume, vedo fuggire la riva -boscosa del Banato di Temesvar, e tra finestra e finestra, -i grandi specchi incorniciati d'oro mi riflettono -la campagna malinconica della Slavonia rischiarata -dal tramonto del sole. E la fortuna m'ha messo dinanzi -il più bel visetto e il più svelto corpicino -ungherese che sia mai passato sul nuovo ponte di -<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span> -Pest. Signor Castelulù, recitatemi i versi sulla statua -di Michaiù Vitézlù, io adoro la lingua rumena; e -voi, capitano Schopper, soffiatemi nel viso un nuvoletto -di fumo del vostro sigaro d'Avana. Alla tua -salute, mio buon Mahmud Dejézaerli, gloria predestinata -della pittura musulmana; buoni studi a -Vienna, e che io ti rivegga fra dieci anni installato -in una bella villetta sulla riva del Bosforo, accanto -alla più bianca moschea di Bujukderé! Mi pare che -qualcuno laggiù canti le lodi del Reno. Capitano -Schopper, mandate quell'insolente a baloccarsi sul -suo rigagnolo con una barchetta di carta, e insegnategli -a rispettare il nostro immenso Danubio. -Ah! voi ridete, capitano Schopper! ridete dell'effetto -che mi fa il vostro Champagne, è vero? Ebbene.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Ebbene, che è questo? Cosa accade qui? La -riva della Slavonia è sparita, il cielo s'oscura, le acque -s'agitano, il vento mugge, la sala splendida s'è cangiata -in uno stambugio rischiarato da un lanternino, -l'elegante capitano Schopper in un vecchio cencioso, -la bella signorina ungherese in una povera contadina -con due bimbi in braccio; e il bastimento rulla, -beccheggia e scroscia spaventosamente mandando -ogni cosa sossopra. — <i>No, no, señor Capitan</i>, per -amor di Dio, per pietà delle mie due creaturine, non -ci moviamo di qua, il mare è cattivo, può seguire -<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span> -una disgrazia, aspettiamo che faccia giorno, non -passiamo il capo Trafalgar, ve ne scongiuro, non -per me, per le mie povere creaturine! — Non posso, -buona donna; <i>el capitan tiene sus obligaciones</i>: ci -son cinque passeggieri che vanno in Africa; io debbo -sbarcarli domattina all'alba a Algesira; non posso -passar la notte a Trafalgar; bisogna tentar d'andare -innanzi; seguirà quello che Dio vuole! — No! no! -<i>señor Capitan!</i> noi naufraghiamo! noi moriamo! i -miei bambini! <i>Ave Maria purissima</i>, se n'è andato! -Lei, signor italiano, per carità, vada lei, vada a supplicare -il capitano che non si mova di qui, che non -ci faccia morire! Dio mio! Dio mio! — Chetatevi, -buona donna, vado io. Capitano! Dov'è il capitano? -Non c'è modo di trovare questo capitano? È a -prua! — È a poppa! — Passi di qui! — Scenda -di là!... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Di qua, di là! Che il malanno vi colga! Son -tre ore che cammino e non mi sono ancora raccapezzato. -Sarà ben sonata la mezzanotte. Ah! se -me ne fossi rimasto nel mio piccolo albergo di Leicester-square, -invece di venirmi a cacciare in questo -labirinto fetido e oscuro! Dopo una strada un'altra -strada, dopo una svolta un'altra svolta, e crocicchi -dietro crocicchi, e case accanto a case, e non una -porta aperta, non un lume a una finestra, non un -<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span> -<i>policeman</i>, non una voce umana, non il suono d'un -passo, non un indizio di vita; null'altro che interminabili -muraglie nere che si perdono nella nebbia, e -un silenzio di città disabitata. Cammino, corro, divoro -la via, e mi par sempre d'essere nello stesso luogo. -Forse non faccio che girare e rigirare nelle medesime -strade. Questo sospetto mi sgomenta e le forze -cominciano a mancarmi. E poi.... che serve ch'io lo -nasconda a me stesso? Ho paura! paura d'essere -assassinato, di cadere in una fogna, d'inciampare in -un cadavere, di mettere i piedi in una pozza di -sangue. Come son venuto qui? Dove sono? Sapessi -almeno dove sono! Sono in White Chapel? a San -Gilles? in Waping? Se fossi sicuro d'essere a Bethnal -Green, per esempio, cercherei di trovare Mile end -Road, e di là saprei andare alla torre di Londra; o -se fossi in Seven Dials, potrei sperare di riuscire -in Regen Street o d'infilare Piccadilly. Ma qui non -so da che parte voltarmi, cammino a caso, come -un pazzo. M'imbattessi anche in un branco di ladri, -purchè incontrassi qualcuno! Questo silenzio sepolcrale -mi gela il sangue. Dio mio! non domando che -il rumore d'un passo o il latrato d'un cane! E un'altra -strada, un'altra di queste interminabili e lugubri -strade! Ah, io non vado più innanzi; in questa strada -c'è qualcosa d'orrendo, ci son dei morti, le mie -gambe tremano, il mio cuore si agghiaccia, la mia -<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span> -ragione si perde, io mi metto a gridare, io.... Che! -Sei tu! Tu, mia amica! Tu, amor mio! Tu qui, a -Londra! con me! Ma è un sogno! Ma parla! No! -fuggimmo prima, qua la mano, coraggio, seguimi, -vola.... Oh l'inesprimibile piacere! il vento ci porta, -il cielo si rischiara, il sole ci batte in fronte, Londra -è sparita, siamo sul mare, siam salvi! -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Dove siamo? Ah! tu mi domandi dove siamo, -classichetta che tu sei, piena di greci e di romani, -tu che diventi rossa a nominarti Pindaro, -che piangi quando ti dico che un giorno faremo un -viaggio nella Troade, tu che mi hai fatto diventar -geloso di Annibale e prendere in tasca Catone, testolina -imbottita di grandi nomi e di grandi versi! -Ebbene. Questa volta sarai felice; ma devi indovinar -tu dove siamo. Guarda questo cielo splendido, questo -mare azzurro, questi colli cinerini, queste roccie -nude, queste pietre sparse, e indovina. Ah, tu impallidisci! — Ebbene, -non è la Troade. — No, non -sono le rovine di Cartagine. — Nicea? Meno che -mai, signorina. Cerchi, cerchi ancora, frughi nelle -sue reminiscenze storiche, interroghi tutti i suoi -desiderî classici. Ma sì, amica mia, sì! Atene! Atene! -Atene! Siamo sull'Acropoli! Ah io sono pazzo della -tua gioia! Qua, nelle mia braccia, ed ammira: quella -è la costa orientale del Peloponneso, — più in qua -<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span> -l'isola di Salamina; — lì il Pireo, — là il Falereo, — a -destra, su quel colle nudo, il tempio di -Teseo, — su questa roccia, in direzione della mia -mano, le rovine dell'Areopago; — qui sotto il teatro -di Bacco, dove il tuo Eschilo e il tuo Sofocle facevano -rappresentare le loro tragedie; — in fondo -a quella gola, il tempio delle Eumenidi; — tu tremi, -poverina, a sentir questi nomi; — ed ora, voltati: -ecco le quarantasei colonne del Partenone, — e -adesso alzati e fa pure qualche pazzia perchè le -pietre su cui sei stata seduta finora sostenevano -l'enorme Minerva Promacos di Fidia, la quale mostrava -al cielo la punta della sua lancia dorata, la -prima immagine della patria che rivedeva il navigatore -ateniese, venendo dal capo Sunium. Ah! la -mia cara classichina che piange!... Dov'è il nostro -bambino? Era qui un momento fa. Zitta! Non t'inquietare; -non può esser lontano; tu cercalo di qua, -io lo cerco di là; si sarà nascosto nell'Erecteo; -Checchino, dove sei? Checchino! Checchino!... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Sentite, galantuomo: ho girato il mondo, e ho -conosciuti molti buffoni; ma vi dico schiettamente che -uno del vostro stampo l'avevo ancora da inciampare. -Animo, via; il proverbio insegna che ogni bel -gioco dura poco, il che vuol dire che un gioco stupido -deve finire appena incominciato. Mettete giù -<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span> -il bambino che avete nella mano destra, che è mio, -e quello che avete sulle spalle, e quello che avete -sotto il braccio, e i tre che tenete nella cesta. Eh, -dico, metteteli giù, o m'arrampico su per la vostra -colonna, e vi scaravento in terra come un sacco di -cenci. Vi paiono scherzi da fare codesti? O di dove -siete sbucato, faccia patibolare? Chi siete? Come? -Osereste? Ah! l'orribile mostro, che si mette in -bocca la testa del mio bambino! Aiuto! A me, a me, -Ateniesi! Sia lodato il Cielo, vien gente. O perchè -tutti ridono? Che c'è da ridere, Ateniesi? È una -vergogna che in una città colta e gentile come la -vostra, si permetta a un mascalzone come costui -di torturare i bambini in mezzo a una piazza pubblica. -Rispondete dunque. A voi, cittadino, rendetemi -conto voi di quest'infamie. Sentiamo! — <i>Eh, -monsieur, vous êtes fou; vous n'êtes pas à Athènes, -vous êtes dans la ville de Berne, devant la -statue du mangeur d'enfants, devant la Kindlifresser-Brunnen, -que tout le monde connait; regardez -donc dans votre guide Bedeker, farçeur....</i> -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Statue! Berna! Son baie. A Berna non c'è -questa campagna solitaria, nè questo cielo di zaffiro, -nè questa immensa pace che mi penetra fino -al più profondo dell'anima. Oh la mia bella Bulgaria! -Belle roccie coniche, coronate di castelli muscosi, -<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span> -e tinte di rosa e di viola dai primi raggi del -sole; belle colline vestite di macchie inestricabili -che l'autunno ha screziate dei suoi mille colori -pomposi e tristi; bruni villaggi mezzo sepolti nella -terra, come per sottrarvi alla vista del minareto -odioso che vi torreggia sul capo; vasti pascoli ondulati, -immensi armenti, alti pastori dal grande -saio e dal berretto velloso, curvi sopra le traccie -dei cavalli dei lilas, che passarono or ora trascinando -alle fortezze del Danubio i vostri fratelli incatenati; -bel paese selvaggio e melanconico, bel popolo -austero, silenzioso e dolce, io ti rispetto e ti -amo! Sia maledetta la strada ferrata che m'ha -rotto il filo delle fantasie. Ora convien scendere e -asciugarsi a piedi una galleria d'un miglio e mezzo: -cose che non seguono che in Turchia. Entriamo -dunque nella tana. Ma stiamo stretti, signori, e badiamo -di non perderci, perchè è buio fitto. Vorrei però -sapere come fa a passare il treno per questo cunicolo -largo due braccia. Mi spieghino loro questo -miracolo, signo.... Non c'è più nessuno! Poh, peggio -per loro. Io accendo il mio cerino e tiro innanzi -tranquillamente.... Oh! che vuol dir questo? Qui -non ci sono rotaie! Questa non è una galleria di -strada ferrata! Questo è un corridoio! I muri son -segnati di croci e d'iscrizioni.... spagnuole! Oh l'orribile -cosa! I sotterranei dell'Escuriale!... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span> -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... È stato un momento di debolezza; la preghiera -m'ha ridato coraggio; andiamo innanzi; troverò -un'uscita; Dio m'assisterà; il tutto è di riuscire -a un cortile. Mi trema il cuore però. Mi spaventa -questo corridoio sterminato. Questo corridoio -non c'era la prima volta che venni al convento. E -questo rumore.... che non è quel del mio passo! Ah! -mi si rizzano i capelli! No, un momento, un po' di -riflessione: questo è il suono del mio passo; infatti -se io mi fermo.... Gran Dio! suona ancora! Io divento -pazzo! Ma dove suona dunque? Non certo davanti -a me, perchè mi metto a correre e lo sento -sempre alla stessa distanza; nemmeno di dietro, perchè -se mi fermo, non mi raggiunge; e sopra la -vôlta non può essere, perchè non lo sentirei così -distinto; sotto, è impossibile. Dov'è dunque? Ho sognato? -Eppure no, lo sento, lo sento vicino a me, -monotono, ostinato, sinistro. Questo non è uno spettro, -questo è un frate, un prete, un custode che -vuol farmi incanutire dal terrore. Oh! ma la rabbia -che mi divora è anche più forte del terrore. Questo -sconosciuto aguzzino mi è anche più odioso che terribile. -O tu che mi cammini davanti, o dietro, o accanto, -o sopra, o sotto, chiunque tu sia, sei un miserabile -che disprezzo e sbeffeggio; e ti sfido a -comparirmi davanti! E se non compari, ti dico che -<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span> -sei un vigliacco e ti sputo nel viso; e se fosti anche -Filippo II, in carne ed ossa, colla corona e colla -spada, io ti giuro che non ho paura di te, e ti comando -di farmiti dinanzi, perchè possa piantarti -nel cuore un palmo del mio pugnale marocchino, e -rimandarti a marcire colla tua stupida prosapia -sotto l'altar maggiore di San Lorenzo! — Nessuna -risposta, e il passo continua a risuonare vicino a -me, lento, cadenzato, implacabile! Io divento furioso! -Avanti, avvicinati, dimmi da che parte sei, -vieni a portata della mia mano, chè io mi possa liberare -da questa tortura! Sei dentro al muro? Ebbene, -guarda, io lo percoto coi pugni e coi calci, -io lo raschio col pugnale, lo sgretolo colle unghie, -lo rigo col mio sangue. Fuori! fuori! fuori! — E -nessuno risponde, e sempre alla medesima distanza, -quel passo misurato, sonoro, lugubre come -il picchio d'un martello sopra una bara! Ah questo -è troppo, non posso più, ho paura, è un sogno che -m'uccide, svegliatemi, svegliatemi!.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -..... Dev'essere il barcarolo che m'ha svegliato -con una pedata in un fianco. Dove andiamo? La -campagna è tutta piana e velata dalla pioggia come -da una nebbia; si vede confusamente qualche mulino -a vento e qualche campanile; il canale è largo e -colmo; mi pare che si debba essere tra Leuwarden -<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span> -e Dokkum. Non si starebbe mica male tappati in -questo <i>trekschuit</i> piccino e tepido, con un libro in -mano e colla pipa in bocca; ma bisognerebbe buttar -fuori questi diciassette bimbi paffuti, che mi premono -da tutte le parti, e questo donnone, questo -faccione di luna in quintadecima, questa sorella -carnale della <i>Veneranda</i>, che mi fa gli occhi soavi -parlando a fior di labbra. E bisogna dire che di -questi diciassette marmocchi, le sia molto piaciuto il -primo, poichè l'ha ristampato sedici volte senza -correzioni, e tutti portano l'impronta netta della -beata melensaggine della mamma. Oh questa è Olanda -davvero! E chi sarà quel capo matto che ha rovesciato -sui Paesi Bassi questa valanga di putti? e -com'è possibile che questa madre d'un popolo, abbia -ancora dei grilli per la testa? E mi tocca i piedi! -Tocca? Pesta, per Giove! Avete una maniera un -po' troppo vigorosa di manifestare le vostre simpatie, -signora mia.... vorrei dirle. Che cosa dite? Eh? Io? -Ma voi siete pazza. Io vostro marito? Io v'ho sposata -davanti al borgomastro di Dokkum? Questi -diciassette bimbi son.... nostri? Voi avete il contratto -matrimoniale? Ah! la mia memoria si rischiara.... -Ma dunque è vero! Dunque finora io ho sognato! -Non v'inquietate, moglie mia: apro la finestra e -metto la testa fuori per pigliare una boccata d'aria; — vi -amo più della vita; — metto fuori anche il -<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span> -busto; — v'adoro; — mi sporgo ancora un po' innanzi; — lasciatemi -appoggiare il piede sulla seggiola; — così, -amor mio; — ed ora tu, Dio pietoso, accogli -il mio spirito, e voi, acque dell'Olanda, il mio -corpo!... Dannazione eterna! Chi mi trattiene? -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... <i>Caballero</i>, ci perdoni se l'abbiamo tirato -indietro così bruscamente; siamo guardie civili, -dobbiamo obbedire agli ordini; è proibito ai viaggiatori -di metter la testa fuori del finestrino dei -vagoni; potrebbe seguire una disgrazia; ci son Carlisti -da ogni parte; ieri erano a Calatayud; avanti -ieri scorrazzavano intorno a Siguenza; non per -nulla ci hanno messi cinque per vagone, armati fino -ai denti; non s'appoggi sui fucili: son carichi. — E -sta bene! E anche questo è un bel modo di viaggiare! -Due facili carichi dinanzi, due fucili carichi -di dietro, un pistolone rasente il ginocchio, il manico -d'una daga contro il fianco, e sei cinghie di -zaino che mi spenzolano sulle spalle; e se m'affaccio -al finestrino, una palla cilindro-conica nel cranio; e -tutte queste dolcezze, per andare al Marocco. Povera -Spagna! Quanto la ritrovo mutata! La campagna, -deserta, i villaggi barricati, le stazioni della -strada ferrata arse, diroccate, circondate di parapetti -e di fossi; per tutto gruppi di contadini -oziosi e di soldati stanchi; tende, sentinelle, -<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span> -cavalli rifiniti, traccie d'accampamenti, case -affumicate, miseria. Non sembra però che i miei -compagni di viaggio si diano gran pensiero di questo -sottosopra. Vedo là due sposi che colombeggiano; -qui un operaio brillo che fa delle proposte di -matrimonio a una vecchia contadina aragonese; più -in là cinque scamiciati che giocano alle carte; un -ufficiale dei cacciatori che canta, un postiglione -castigliano che trinca, e un vecchio parroco di -campagna che stabacca voluttuosamente fra un periodo -e l'altro dell'<i>España católica</i>. Allegri, figliuoli, -e che Dio vi conservi. Ora canta anche il postiglione, -l'operaio gli fa eco, i cinque scamiciati entrano -nel coro; come, come, anche loro, le signore -guardie? Ma, e la <i>consegna</i>? E la disciplina? E i -Carlisti? Oh che bel paese di matti! Il carnovale -in mezzo alla guerra civile. Ma bene! Viva la.... darei -un buffetto sul naso a quei due sposi, che si guardano -nel bianco degli occhi. Corpo di Carlo V! Non -c'è peggior supplizio per un povero viaggiatore, che -di dover assistere a queste fanciullaggini! Smettiamo -dunque; il vagone non è un'alcova, che diavolo! -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... E un'altra coppia, — e un'altra, — e un'altra. -Eccomi qui in piena Arcadia. Ora mi dovrò -asciugare quest'uggioso spettacolo fino a Colonia. -Già non ci dovevo venire. Me l'avevano detto che -<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span> -questi scellerati piroscafi del Reno, in autunno, sono -il nido galleggiante di tutti gli amori nuziali del -Belgio, dell'Olanda, della Svizzera tedesca e dei -paesi delle due rive. Eccole qui, tutte queste bionde -sdolcinate e scarmigliate, che alzano gli occhi al -cielo e lasciano ricadere la testa. Ecco gli sguardi -velati, le strette di mano furtive, i baci mandati -col ventaglio, le toccatine di piede, i bisbigli, i languori, -le sciocchezze infinite che cinquanta maledetti -notari tabaccosi hanno legittimate pel mio -malanno. Quella belga fraschetta! Quella magontina -petulante! Questa lussemburghese ipocrita che nasconde -coll'<i>Allgemeine Zeitung</i> il braccio di suo -marito! Le sfrontate! Gli ufficiali tedeschi salutano -il piroscafo dalle terrazze delle ville, le chiese gotiche -specchiano le loro guglie cesellate nelle acque, -i vecchi castelli disegnano le loro gigantesche -forme nere sul cielo, passa la roccia di Coblenza, -sparisce la rovina di Hammerstein, si nasconde dietro -ai monti lo splendido castello di Rheineck, si -dileguano come sette nuvole enormi le Sette Montagne; -e loro non vedono nulla! e continuano a -bamboleggiare colla punta delle dita e colla punta -dei piedi, stupidamente sicuri di non esser visti, come -se fossimo tutti addormentati, orbi, o cretini.... Eppure -se tutte queste sciocchezze non si facessero, -non avrei trovato, le sere dei giorni di festa, nei -<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span> -giardini d'Anversa e nei viali di Basilea, una folla -d'angioletti coi capelli d'oro, che mi scacciarono -dal capo le idee nere, e mi riempirono il cuore di -dolcezza! Ah! io sono un ingrato! Ebbene, sì, sorridete, -guardatevi, amatevi, parlatevi nell'orecchio, -giocate colle punte dei piedi, godete, inebbriatevi, -scordatevi di noi e del Reno e dell'universo! purchè -vengano gli angioletti coi capelli d'oro.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Eccoli qui! Una folla di bimbi e di bambine -che invadono il <i>Prater</i> di Vienna, sparpagliandosi in -mezzo agli alberi sfrondati, per i viali coperti di -foglie gialle. L'autunno s'è cangiato a un tratto in -primavera; l'aria grigia s'è riempita di fragranze e risuona -di voci armoniose, e tutto spira freschezza e -allegria. A gruppi, a schiere, a circoli, a stormi, -vanno e vengono, come un nuvolo d'uccelletti e di -farfalle; e rendono l'immagine d'un grande giardino -di rose e di gigli vivi, che da sè stessi intreccino -e disfacciano rapidamente mazzi, corone e ghirlande -palpitanti e sonore. Ciarpe scozzesi e pelliccie -russe, giubbette ungheresi e berrette polacche, penne -purpuree, riccioli biondi e nastri azzurri, ondeggiano -e si confondono in mezzo ai cerchi, alle carrozzine, -alle racchette, ai cervi volanti, ai palloncini color -di rosa. Tutto ride, tutto brilla, tutto splende, -tutto tripudia, e un senso divino di giovinezza -<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span> -e di speranza invade l'anima mia. Siate benedetti, -o bei fiori appena sbocciati della razza -umana! Benedetti i vostri visi rosei, benedetti i -vostri capelli di seta, benedette le vostre gambettine -nude, benedetti i vostri giochi, la vostra gioia, -la vostra innocenza, le vostre famiglie, la vostra -vita! Io v'adoro, creaturine! Venite, accorrete intorno -a me, fatemi fare qualche cosa, fatevi servire, -imponetemi i vostri capricci, divertitevi di -me! Volete picchiarmi? Volete farmi l'urlata? Volete -saltarmi a piedi giunti? Volete ch'io vi porti -sulle spalle? Volete che m'arrampichi sopra un -albero, per farvi ridere? Se mi rompessi la testa, -voi dite. E che m'importa di rompermi la testa per -voi! Animo, sull'albero. Sono già molto alto, non è -vero? Ma salirò ancora. Così? — Noch! — Così? — <i>Immer -noch!</i> — Ma volete dunque ch'io salga -fino.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Oh l'incantevole panorama! Un golfo coperto -di navi, due mari che si congiungono, tre città che -s'abbracciano, l'Europa e l'Asia che si guardano, -mille minareti e mille cupole, in mezzo a migliaia di -chioschi, di bazar, di bagni, di terrazze, d'acquedotti, -dentro a una corona immensa di giardini e di boschi; -e in ogni parte una folla variopinta e innumerevole -che sale e scende per venti colline e venti porti, -<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span> -in mezzo ai cipressi, alle fontane e alle tombe; e su -tutto questo il cielo d'Oriente! Oh com'è bello, splendido -e grande! Io non credevo che una così meravigliosa -bellezza si potesse vedere sulla terra altro che in -sogno. Ora comprendo il musulmano moribondo che -dice: — portatemi alla finestra. — Vi comprendo, -poeti che avete spezzata la penna, pittori che avete -lacerato la tela, scienziati che avete perduta la flemma, -mercanti che avete balbettato dei versi, fanciulle -che avete gettato un grido e abbracciato vostra -madre, gente d'ogni paese e d'ogni tempra, -che vi siete sentiti rimescolare il sangue e inumidire -gli occhi davanti a questa visione di paradiso! -Oh se potessi portar qui tutto quello che amo, e -viver qui, a questa sublime altezza, su questa terrazza -aerea salutata dal primo e dall'ultimo raggio -del sole! Custode, non mi seccate. — Faccio il mio -dovere, <i>captàn</i>. Tutta Costantinopoli sa che il nostro -signore e padrone Abdul Aziz, che Allà protegga -e conservi, non vuole che nessuna fronte -umana si alzi sopra l'ultimo parapetto della torre -del Seraskir. Fammi dunque il favore di abbassare -la testa. — Lasciami in pace, ti do cinque lire franche. — Abbassa -la testa, <i>captàn</i>. — Ti do due -scudi franchi. — Abbassa la testa, <i>captàn</i>! — Ti -do un napoleone d'oro, che tua moglie diventi sterile -e gli uccelli del cielo insudicino la tua barba! -<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span> -S'è mai visto un mulo di turco più mulo di costui? -Siamo d'accordo? -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... <i>D'accord, monsieur, d'accord. Donnez moi -le napoleon et voici la chaise.</i> — Sta bene; ma -aiutatemi a salire, perchè è buio fitto, e sostenetemi -di dietro perchè la folla ondeggia. Ed ora dove -devo guardare? — Al di là della Senna, signore. — Ah! -un fascio di raggi bianchi ha illuminato per -un momento un mare di teste nel Campo di Marte. -Ora dalla riva in faccia s'alza e s'allarga un nembo di -foco che vien giù a schizzi, a sprazzi, a pioggioline, a -cascatelle splendide in forma di fiori, di pagliole, di -stelle, di fiocchi, d'anelli, e produce nelle acque un -tremolío di riflessi, un turbinío di scintille, un lampeggiamento -di colori, che par che la Senna travolga -perle, cristalli e vezzi d'oro. Intanto dal ponte, -dalle case, dalla riva destra si spandono torrenti di -luce che colorano via via di verde smeraldo, di giallo -sulfureo e di rosso sanguigno le sponde, la folla, -l'altura del Trocadero, il padiglione dello Scià; cento -cannoni tonano, cento musiche echeggiano, e l'immensa -voce della moltitudine empie il cielo come -il muggito d'un oceano. A un tratto, tutto si spegne, -tutto tace, e la folla, immersa daccapo nelle -tenebre, volta le sue trecentomila teste a monte -della Senna. L'incendio di Parigi comincia. Vampe -<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span> -di luce indiana e fasci di luce elettrica vibrati tutt'insieme -da mille punti, illuminano tutte le sommità -dei più alti edifizî. I tetti delle Tuilleries sfolgorano -come piramidi di carbonchio, la cupola del -Panteon è di bragia, il palazzo dell'Industria è d'argento -percosso dal sole, il palazzo degli Invalidi è -verde acceso, la torre di San Giacomo, la colonna -di Grenelle, la scuola militare, San Sulpizio, Nostra -Signora di Parigi mostrano i loro grandiosi contorni -segnati di foco, le loro cime coronate d'aureole e -velate di fumo luminoso, e il cielo appare colorato -qua e là d'aurore e di tramonti di soli ignoti; e -infine una miriade di razzi scoppia da un capo all'altro -di Parigi con un fragore formidabile, e si -risolve in una immensa pioggia silenziosa di fiori -ardenti, accompagnata da un grido universale d'allegrezza -infantile.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Vera allegrezza infantile! Lasciate stare codeste -fanciullaggini, e pensate alla morte! — Ah! -siete voi, signor Danmann? — Son io, il vecchio e -uggioso filosofo danese, che vi sermoneggia in fondo -a una carrozza, tra Turnu-Severin e Palanka, un'ora -prima del levar del sole; distogliendo voi, stizzito, -(perchè vedo che vi stizzite) dal cercare cogli occhi -fra le capanne e le siepi, a traverso la nebbia, -le incerte forme bianche delle contadine valacche. Lasciatemi -<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span> -dunque finire il discorso. Vi voglio ripetere -il mio consiglio, un buon consiglio per la pace -della vostra vita. Pensate tutti i giorni, e lungo -tempo alla morte; ma sprofondatevi in questo pensiero -e chiudetevi in esso come in una tomba, giovandovi -di tutta la forza della vostra immaginazione. -Raffigurate voi a voi stesso, colto da una -malattia mortale —, moribondo —, morto; stampatevi -bene in mente l'aspetto del vostro cadavere; -osservate ogni movimento degli uomini che vi stendono -nella cassa, che inchiodano il coperchio, che -vi portan via; — guardate a traverso le assicelle -la città affaccendata ed allegra; — sentite il freddo -della fossa in cui vi calano —; udite il rumore della -terra che vi gettano sul capo; immaginatevi là solo, -immobile, scheletrito, orrendo, e meditate senza -staccar gli occhi da quell'orrore. Ebbene, credete -a me: chi non ne ha fatto esperimento, non può concepire -il grande e salutare cangiamento che produce -questa meditazione funebre di tutti i giorni -nella nostra maniera di vedere e di sentire il mondo -e la vita. La nostra sventura è quel sentimento vago -d'immortalità terrena, il quale ci fa vedere tutte -le cose che ne circondano, più grandi e più importanti -di quello che sono; onde più grandi i dolori, -e anche le gioie, perchè sproporzionatamente maggiori -delle cause, sorgenti di tristezza. Ma l'abitudine -<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span> -del pensiero della morte, ravvivando continuamente -il sentimento della precarietà d'ogni cosa, -ci presenta tutto ridotto alle sue proporzioni reali, -e restituisce così l'equilibrio tra noi ed il vero, e -coll'equilibrio la pace, e colla pace un misurato e -più sicuro godimento della vita. Provate e rimarrete -meravigliato, amico mio, vedendo come fuggiranno -da voi tutti i piccoli sentimenti ignobili, -tutti quei piccoli dolori senza cagione, quella turba -miserabile d'irucole, d'invidiole, d'ambizioncelle, -di dispetti, di crucci, che rode sordamente l'anima -umana, e la rende più infelice che non le grandi -sventure. Provate: in ogni vostra piaga morale -versate prontamente questo pensiero, come versereste -un balsamo in una piaga del corpo. Ogni volta -che v'assale l'orgoglio, osservate le vene della vostra -mano, tastate le vostre costole, trattenete per -qualche momento il respiro, e sentendo così improvvisamente -la debolezza della vostra vita, tornerete -umile. Quando qualcuno v'offende, rappresentatevi -alla mente il suo scheletro, tutte le più minute parti -del suo fragile organismo, un vaso sanguigno del -suo capo che, rompendosi, lo può rendere da un -momento all'altro forsennato o cadavere; e perdonerete. -Abituatevi a vedere in ogni uomo un moribondo; -nello spettacolo della natura un quadro fantasmagorico -che brilla e svanisce; in tutti i beni -<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span> -della terra, il bene d'un momento, che un raffreddore -vi può togliere; abituatevi a sentirvi morire, -fatevi del pensiero della morte un sostegno, un rifugio; -e non temete ch'esso vi stanchi della vita, -e vi renda freddo agli affetti e al lavoro, chè anzi -ogni vostro affetto si colorerà d'una mestizia divina, -e si farà più profondo. Ah! con che delirio -d'amore bacerete la vostra amante, pensando che -con una stretta delle braccia potreste slanciare la -sua anima nell'eternità e il suo corpo nella tomba! -E il vostro lavoro sarà più fecondo, perchè stando -quasi colla vostra mente fuori della vita, contemplerete -gli uomini e le cose dall'alto, coll'anima più quieta -e coll'occhio più sereno. Eccoci a Palanca; qui dobbiamo -separarci; ricordatevi i consigli del vecchio -Danmann, e addio. — Permettetemi d'abbracciarvi, -signore. — A me figliuolo. — .... Gran Dio! Voi non -siete Danmann, voi non siete vivo! Voi siete di -bronzo!... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Una statua. Ah, riconosco le tue sembianze, -o potente e caro agitatore della mia giovinezza. In -quest'aspetto io ti vedevo apparire come un fantasma -luminoso, sulla soglia della mia stanza, quando -a tarda notte alzavo dai tuoi libri il volto trasfigurato. -Così vedevo codesta fronte, che porta la -traccia delle battaglie ardenti e perpetue della tua -<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span> -mente; così tutta la tua nobile figura, che pareva -sempre naturalmente atteggiata sul piedestallo che -ora ti sorregge, «<i>tutto altero e grandioso, fuor che -gli occhi, che son dolci</i>.» Ti riconosco; sei tu «che -t'avanzavi come un conquistatore nell'eterno dominio -del vero, del bene, del bello, lasciando dietro -di te, vaga apparenza, la volgarità che tutti c'incatena;» -tu il profondo e sottile investigatore del -cuore umano, l'instancabile rimestatore di problemi, -poeta della libertà e dell'amore, scultore di tiranni -e d'eroi, pittore di vergini e di banditi, glorificatore -di schiavi e di martiri; tu «il <i>vero uomo</i>» -tu «il giovane eterno» tu che eri ad ogni otto -giorni «un essere novo e più vicino alla perfezione;» -ingegno tremendo e gentile, anima eccelsa e -semplice, uomo grande dinanzi alla patria, grande in -seno alla famiglia, grande nella lotta contro te stesso -e contro la morte! Sei tu, dunque? Oh! permetti -all'ultimo dei tuoi devoti, a uno che, te vivo, avrebbe -attraversato l'Europa per andar a gridare sotto le -finestre della tua casa che tu sei grande e che ti -ama, permettigli di mettere per un istante sotto la -tua mano di bronzo la sua fronte infocata, come -farebbe per chiedere la benedizione d'un Dio. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Chi profana il nome di Dio? Non c'è altro -Dio che Allà e Maometto è il suo profeta. Ascari, -<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span> -caricate di catene questo miserabile che si prostra -ai piedi d'un idolo di bronzo. — Tu vaneggi, Kaid! -Questa è la statua di Federico Schiller e io sono -nella città di Magonza. — Tu menti, Nazareno! -Questo è il simulacro d'un Dio bugiardo e tu sei -nel palazzo imperiale di Fez. — Un momento, in -nome di Dio! Abbassate le spade: io domando di -parlare al Sultano! — Voltati indietro e atterra -la fronte: egli s'avanza.... — Ah! Mulei-el-Hassen, -i ministri, la corte! Sia ringraziato il Cielo, son -salvo! Mulei! Maestà! Sono accusato d'idolatria, sono -innocente, io non riconosco e non adoro che il vero -Iddio, Signore dei mondi, immensamente misericordioso. -Voi non mi farete morire. Mi dovete riconoscere. -Venni qui con un'ambasciata. Voi montavate -un cavallo bardato di verde, e avevate la cappa -bianca e il cappuccio sul turbante; eravate bello e -gentile, Mulei, e i vostri occhi eran pieni di dolcezza. -Indietro dunque colle vostre spade, soldati! la mia -vita è nelle mani del vostro Signore. Mulei, voi -siete giusto e buono; io son lontano dalla mia patria, -solo, senza difesa; son giovane, sono amato, ho -bisogno di vivere, pronunziate una parola, fate un -cenno, sorridete, guardatemi! Oh, voi vi movete a -pietà, Mulei; la vostra fronte si rasserena, le vostre -labbra si schiudono; una parola, dunque, una sola -parola! Fate almeno allontanar queste spade che mi -<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span> -balenano sugli occhi. Ma scotetevi una volta, principe -senza cuore! Non vedete, per Dio! che son già -tutto intriso di sangue....? -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... È mio sangue, signor tenente; son io che l'ho -macchiato; lei non è ferito; la palla è toccata a me.... -in un fianco; non vada via, signor tenente; stia -qui accanto a me; io sento che la vita m'abbandona; -m'aiuti o morire. — Ma che morire, figliuol -mio! Perchè parli di morire? La tua ferita non è -grave; fatti coraggio; appoggiati qui alla sponda -del fosso; mettimi la testa sul braccio; così; ora ti -sbottono il cappotto; a momenti capiterà qui il medico; -non ti perder d'animo, via; vedrai che per -questa volta ci si mette ancora una toppa. — Ah, -no, signor tenente! Questa volta è finita.... Sento -che è finita.... Mi si velano gli occhi.... Addio! addio, -mio buon uffiziale! addio, mia buona madre! -addio a tutti! — Morto!... Forse il suo cuore batte -ancora. Ah! non batte più. Povero ragazzo! Egli -non poteva avere più di ventidue anni. Ecco un taccuino, -una lettera diretta a suo padre; <i>al signor -Pietro Caretti, contadino</i>. Contadino! <i>Fiesole, presso -Firenze.</i> Un biglietto da due lire: la sua paga degli -ultimi cinque giorni. Il ritratto d'una vecchia: sua -madre. Un anellino di capelli neri: la sua amante. -Ecco tutto il suo passato e tutto il suo avvenire, -<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span> -sommersi in una pozza di sangue; tutto il suo piccolo -mondo, frantumato da un pezzetto di piombo; -affetti, promesse, disegni, speranze, tutto finito! E -da chi? Da qualche altro ragazzo che è laggiù in -quei campi, dietro quei nuvoli di fumo, e che forse -ha anch'egli sul cuore un ritratto e una lettera.... -ma quella lettera è scritta in tedesco! Ecco perchè -un dei due si è pigliato una palla nel fianco.... — Avanti! -avanti! — Ma come, dove avanti, signor -maggiore? Dobbiamo arrampicarci su per -questo muro? È impossibile! — Avanti a ogni -modo! Aggrappatevi all'erba e all'edera, laceratevi -il viso e le mani; ma salite! — Saliamo dunque.... -Me se non si può! l'edera cede e si rompe! — Ma -come si rompe! Se è marmo! -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -.... Marmo? E infatti le mie mani stringono due -colonnette; il mio piede destro posa sulla testa d'un -santo; il mio piede sinistro, sulla groppa d'un leoncino, -e sulla mia testa, s'alza una finestrina a sesto -acuto; io m'arrampico su per un delicatissimo monumento -d'architettura gotica, tutto rilievi e trafori, -e pieno d'aria e di luce; e giù sotto di me, vi -sono altre colonnette, altri santi, altri ricami di -marmo; e ancora più sotto.... Dio eterno! Io sono -a un'altezza prodigiosa, sulla guglia estrema del -campanile della cattedrale di Strasburgo! Vedo -<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span> -Wissemburg, la montagna del Geisberg, il Reno, la -foresta nera, l'Eichelberg, la valle della Murg! Sono -sospeso tra il cielo e la terra! Ah! purchè riesca a -cacciare la testa nel finestrino! Coraggio. — Su — adagio -adagio — di statuetta in statuetta — di -rilievo in rilievo.... Ma questo vento che mi caccia -i capelli negli occhi! Questo immenso vuoto che mi -circonda! Queste colonnette sottili come verghe di -salice! Queste teste di santo grosse come una noce! -Ah, il coraggio m'abbandona! Le mie mani tremano, -i miei piedi scivolano, le colonne si muovono, i -santi vacillano, i rilievi si staccano, il terrore m'invade, -l'abisso mi attira, la vertigine m'accieca! -Ah l'orrenda morte! Oh madre mia! Aiuto! Io precipito.... -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Cos'è stato? Mi son svegliato con un grido? Chi -mi chiama? Ah, la voce di mia madre nell'altra -stanza. Che dici? -</p> - -<p> -— Ti dico quello che t'ho già detto tante volte, -figlio mio: di non dormire mai sul fianco sinistro. -</p> - -<p class="pad2 center large"> -FINE. -</p> -<hr class="silver" /> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>. </span>Il nuovo vocabolario dell'uso del Fanfani e del Rigattini -ha la parola <i>patinare</i>.</p> -</div> -</div> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td> </td> <td class="pag"><span class="smcap">Pag.</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#padrona">La mia padrona di casa</a></td> <td class="pag">7</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#scoraggiamenti">Scoraggiamenti</a></td> <td class="pag">19</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#ordinanza">Ritratto d'un'ordinanza</a></td> <td class="pag">45</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#battaglie">Battaglie di tavolino</a></td> <td class="pag">55</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#incontro">Un incontro</a></td> <td class="pag">77</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#castelar">Emilio Castelar</a></td> <td class="pag">91</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#pedante">Un caro Pedante</a></td> <td class="pag">109</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#visita">Una visita ad Alessandro Manzoni</a></td> <td class="pag">119</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#vocabolario">La lettura del Vocabolario</a></td> <td class="pag">135</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#appunti">Appunti</a></td> <td class="pag">147</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#parola">Una parola nuova</a></td> <td class="pag">191</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#consigli">Consigli</a></td> <td class="pag">201</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#vivente">Il vivente linguaggio della Toscana</a></td> <td class="pag">211</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#imparare">Quello che si può imparare a Firenze</a></td> <td class="pag">235</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#parlatore">Un bel parlatore</a></td> <td class="pag">245</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span></td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#album">Dall'album d'un Padre</a></td> <td class="pag">253</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#culla">Sopra una culla</a></td> <td class="pag">275</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#ruffini">Giovanni Ruffini</a></td> <td class="pag">283</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#amore">L'amore dei libri</a></td> <td class="pag">297</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#menendez">Manuel Menendez</a> (racconto)</td> <td class="pag">307</td> - </tr> - <tr> - <td><a href="#sogno">In sogno</a></td> <td class="pag">341</td> - </tr> -</table> -<hr /> - -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - - - - - - - - -<pre> - - - - - -End of the Project Gutenberg EBook of Pagine sparse, by Edmondo De Amicis - -*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE *** - -***** This file should be named 50806-h.htm or 50806-h.zip ***** -This and all associated files of various formats will be found in: - http://www.gutenberg.org/5/0/8/0/50806/ - -Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online -Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This -file was produced from images generously made available -by The Internet Archive) - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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