summaryrefslogtreecommitdiff
diff options
context:
space:
mode:
authornfenwick <nfenwick@pglaf.org>2025-02-05 05:21:16 -0800
committernfenwick <nfenwick@pglaf.org>2025-02-05 05:21:16 -0800
commitc3d8a9d0e4e8d8409a5d9cfaacdd9eaf96310cf6 (patch)
tree48019440ca02040fc5e830d691e9966dcdab6e37
parentb916c45bbccc721e14ea7e8b841f3d1b7e6743d2 (diff)
NormalizeHEADmain
-rw-r--r--.gitattributes4
-rw-r--r--LICENSE.txt11
-rw-r--r--README.md2
-rw-r--r--old/50806-0.txt8357
-rw-r--r--old/50806-0.zipbin183232 -> 0 bytes
-rw-r--r--old/50806-h.zipbin252274 -> 0 bytes
-rw-r--r--old/50806-h/50806-h.htm12871
-rw-r--r--old/50806-h/images/cover.jpgbin60373 -> 0 bytes
8 files changed, 17 insertions, 21228 deletions
diff --git a/.gitattributes b/.gitattributes
new file mode 100644
index 0000000..d7b82bc
--- /dev/null
+++ b/.gitattributes
@@ -0,0 +1,4 @@
+*.txt text eol=lf
+*.htm text eol=lf
+*.html text eol=lf
+*.md text eol=lf
diff --git a/LICENSE.txt b/LICENSE.txt
new file mode 100644
index 0000000..6312041
--- /dev/null
+++ b/LICENSE.txt
@@ -0,0 +1,11 @@
+This eBook, including all associated images, markup, improvements,
+metadata, and any other content or labor, has been confirmed to be
+in the PUBLIC DOMAIN IN THE UNITED STATES.
+
+Procedures for determining public domain status are described in
+the "Copyright How-To" at https://www.gutenberg.org.
+
+No investigation has been made concerning possible copyrights in
+jurisdictions other than the United States. Anyone seeking to utilize
+this eBook outside of the United States should confirm copyright
+status under the laws that apply to them.
diff --git a/README.md b/README.md
new file mode 100644
index 0000000..fd0dc2c
--- /dev/null
+++ b/README.md
@@ -0,0 +1,2 @@
+Project Gutenberg (https://www.gutenberg.org) public repository for
+eBook #50806 (https://www.gutenberg.org/ebooks/50806)
diff --git a/old/50806-0.txt b/old/50806-0.txt
deleted file mode 100644
index 71ef75c..0000000
--- a/old/50806-0.txt
+++ /dev/null
@@ -1,8357 +0,0 @@
-The Project Gutenberg EBook of Pagine sparse, by Edmondo De Amicis
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most
-other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of
-the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you'll have
-to check the laws of the country where you are located before using this ebook.
-
-Title: Pagine sparse
-
-Author: Edmondo De Amicis
-
-Release Date: December 31, 2015 [EBook #50806]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE ***
-
-
-
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-
-
-
-
-
-PAGINE SPARSE
-
-
- La mia padrona di casa — Ritratto d'un'ordinanza — Un incontro
- — Un caro pedante = (ALCUNE OSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA
- LINGUA ITALIANA): La Lettura del Vocabolario — Appunti — Una
- parola nuova — Consigli — Il vivente linguaggio della Toscana
- — Quello che si può imparare a Firenze — Un bel parlatore =
- Dall'album d'un padre — L'amore dei libri — Manuel Menendez
- (racconto) — In Sogno — Scoraggiamenti — Battaglie di Tavolino
- — Una visita ad Alessandro Manzoni — Emilio Castelar — Giovanni
- Ruffini.
-
-
-
-
- EDMONDO DE AMICIS
-
-
- PAGINE SPARSE
-
-
- QUARTA EDIZIONE
-
-
-
- MILANO
- TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA
- 1877.
-
-
-
-
- Proprietà letteraria.
-
-
-
-
-.... Non riprendeva, anzi lodava ed amava che gli scrittori
-ragionassero molto di sè medesimi; perchè diceva che in questo sono
-quasi sempre e quasi tutti eloquenti, ed hanno per l'ordinario lo
-stile buono e convenevole, eziandio contro il consueto o del tempo,
-o della nazione, o proprio loro. E ciò non essere meraviglia; poichè
-quelli che scrivono delle cose proprie hanno l'animo fortemente preso
-e occupato della materia; non mancano mai nè di pensieri, nè di affetti
-nati da essa materia e nell'animo loro stesso, non trasportati d'altri
-luoghi, nè bevuti da altre fonti, nè comuni e triti, e con facilità si
-astengono dagli ornamenti frivoli in sè, o che non fanno a proposito,
-dalle grazie e dalle bellezze false, dall'affettazione e da tutto
-quello che è fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori
-ordinariamente si curino poco di quello che gli scrittori dicono di sè
-medesimi: prima, perchè tutto quello che veramente è pensato e sentito
-dallo scrittore stesso, e detto con modo naturale e acconcio, genera
-attenzione, e fa effetto; poi, perchè in nessun modo si rappresentano
-o discorrono con maggior verità ed efficacia le cose altrui, che
-favellando delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano
-tra loro, sì nelle qualità naturali, e sì negli accidenti, e in quel
-che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle in sè
-stesso, si veggono molto meglio e con maggior sentimento che negli
-altri.
-
- LEOPARDI — _Detti memorabili di Filippo Ottonieri._
-
-
-
-
-LA MIA PADRONA DI CASA
-
-
-Non posso pensare a Firenze, senza ricordarmi della mia buona padrona
-di casa di via dei ***, la quale m'insegnò in sei mesi più lingua
-italiana di quanta io n'abbia imparata in dieci anni da tutti i miei
-professori di letteratura, nati, come diceva l'Alfieri, _là dove Italia
-boreal diventa_.
-
-Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interprete d'albergo, buona
-come il pane, fiorentina fin nel bianco degli occhi, operosa, assestata
-e pulita come un'Olandese. Viveva d'una piccola rendita e di quel po'
-che guadagnava tenendo dozzina. Leggicchiava, giocava al lotto, faceva
-qualche visita, e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago,
-in un cantuccio della sua piccola camera ingombra di mobili vecchi,
-vicino a una finestra, dalla quale si vedeva, di là dai tetti di molte
-case, la cima del campanile di Giotto.
-
-Che cos'è questo benedetto parlare toscano! Era una povera donna,
-non aveva cultura, sapeva appena leggere e scrivere; ma parlava da
-far rimanere a bocca aperta. E non il fiorentino volgare, perchè non
-ho mai inteso dalla sua bocca una parola o una frase che una signora
-non potesse ripetere in conversazione. Il suo parlare era tutto frasi
-efficacissime, immagini, proverbi, diminutivi graziosi, vezzi e fiori
-di lingua, che venivan via facili e fitti ad ogni proposito, come nei
-novellieri trecentisti, senza che le sfuggisse mai neppure un lampo
-di quel sorriso leggerissimo che per il solito tradisce la compiacenza
-intima di chi sa di parlar bene.
-
-Ogni momento gliene sentivo dire una nuova.
-
-Stentavo un po' a infilare il soprabito: essa mi diceva: Ma perchè non
-se lo fa allargare chè le è stretto assaettato?
-
-Entravo nella sua camera: — Badi, — mi diceva, — di non inciampare,
-perchè è buio come in gola.
-
-Veniva un amico a chiedermi dei denari; essa capiva, e mi domandava: —
-Le è venuto a dare una frecciata, non è vero?
-
-Diceva che il suo predicatore aveva la _parola facile e ornata_; che il
-lattaio aveva la voce _come uno di questi cani incimurriti e fiochi_
-che non posson più abbaiare; che erano tre giorni che non vedeva più
-l'_effigie_ dello spazzaturaio che pure le aveva promesso di venire;
-che il bambino della vicina aveva rotto un vetro, e suo padre non se
-ne era anche accorto, ma il poverino stava già rannicchiato dietro
-l'_uscio ad aspettare il lampo e la saetta_; che il mio maestro di
-spagnuolo aveva _un vestito che gli piangeva addosso_; che con tutte
-queste guerre che si fanno dopo che Pio IX _ha date le su' riforme_
-bisogna sempre _stare palpitando per i nostri cari_; che un tale ch'era
-caduto dal secondo piano, e non era morto, aveva _il sopravvivolo come
-i gatti_; che un certo quadro pareva _fatto coll'alito_; che a una
-certa sua amica, in una certa congiuntura, _essa aveva parlato come
-al cospetto di Dio, da cuore a cuore_; e altre espressioni gentili ed
-argute, che a scriverle tutte, ci sarebbe da fare un vocabolario.
-
-Però, quando s'accorgeva ch'io mi divertivo a farla parlare, taceva
-tutt'a un tratto e mi guardava con aria di diffidenza. Temeva ch'io
-la volessi canzonare. Anzi, qualche volta, quando mi lasciavo sfuggire
-un'esclamazione di meraviglia, quasi s'indispettiva.
-
-— Oh insomma, — mi disse un giorno, — io parlo come so. Se dico degli
-spropositi, m'insegni lei a parlar meglio. Io non ho mai preteso di
-parlar bene.
-
-— Ma no, cara signora, — le risposi coll'accento della più profonda
-sincerità. — Le giuro che ammiro davvero la sua maniera di parlare, che
-vorrei parlare io come lei, che vorrei saper scrivere come lei parla.
-Che c'è da stupirsi? Non lo sa che i fiorentini parlano meglio degli
-italiani delle altre provincie? Non l'ha mai inteso dire? Mi piace
-sentir parlare l'italiano da lei come mi piacerebbe sentir parlare il
-francese da un parigino. Mi piace perchè lei parla con naturalezza,
-perchè pronunzia bene, perchè io imparo. Ne vuole una prova? Guardi
-questi fogli.
-
-E le misi sott'occhio alcuni fogli sui quali avevo notato una lunga
-filza dei suoi modi di dire.
-
-Guardò, sorrise, poi sospettò daccapo e mi disse che non sapeva capire
-che cosa io trovassi di _particolare_ in quelle parole. — Qualunque
-mercatino, — soggiunse, — è in caso di dirgliele tali e quali.
-
-Nondimeno, a poco a poco, finì per persuadersi che mi divertivo davvero
-a sentirla parlare perchè parlava bene.
-
-Ma trovavo sempre mille difficoltà a farmi capire quando volevo saper
-qualche cosa di preciso in fatto di lingua. — Come direbbe lei, — le
-domandavo, — per dire che piove forte? — Gua! — mi rispondeva, — direi
-che piove forte. — Io ripetevo la domanda in un'altra forma. — Ah! ho
-capito! — esclamava. — Chi si volesse spiegare in un'altra maniera
-potrebbe anco dire che piove a rovescio, a catinelle, a orciuoli, a
-ciel rotto; ognuno può dire come gli piace; _non c'è regola fissa_.
-
-Un giorno le diedi un mio libro. — L'ha scritto lei? — mi domandò. —
-Sì, — risposi. — Tutto di suo pugno? — Tutto di mio pugno. — Lo tenne
-due o tre giorni e vidi che lo leggeva. Quando me lo restituì, mi
-disse: — Bravo! mi son divertita; si vede che è un buon figliuolo. _E
-poi mi piacque anche lo stile._
-
-A poco a poco mi prese a voler bene, mi parlava lungamente della
-buon'anima di suo marito, delle sue amiche, del caro dei viveri, delle
-tasse, del lotto, dei suoi malanni, della religione, sempre colla
-stessa grazia e colla stessa dolcezza. Ma specialmente quando parlava
-della sua disgrazia d'esser rimasta sola al mondo e diceva che la
-notte, non potendo dormire, pensava, pensava, fin che si metteva a
-piangere, aveva parole così dolci, così schiette, così poetiche, che
-mi si stringeva il cuore, e nello stesso tempo provavo una specie di
-voluttà artistica a sentirla. Mentre essa parlava la sua bella lingua,
-io appoggiato alla finestra della sua cameretta, guardavo il campanile
-di Giotto dorato dalla luce del tramonto, e provavo uno struggimento
-d'amore per Firenze.
-
-Una s'era, ch'ero già a letto, s'affacciò alla porta e disse con voce
-commossa: — Ah! figliuol mio! bisogna proprio credere, sa, che c'è un
-Dio! Questa sera il predicatore ha detto che tutti i grandi uomini ci
-hanno creduto, — e Dante e Galileo e Colombo, — ne avrà citati più di
-cinquanta. E ha conciato per le feste quelli che dicono che il mondo
-l'ha fatto il caso! Il caso! E dire che sono gente che ha studiato! Io
-che sono una povera donna capisco che è una corbelleria. Se lo studio
-non dovesse portare altri frutti! Ma lei, benchè studii, non le pensa
-queste cose, non è vero, figliuolo? dica un po': ci crede lei al caso?
-
-— No, cara padrona, — le risposi; — io credo in Dio.
-
-— Oh lei non può immaginare la consolazione che mi dà con codeste
-parole, — rispose la buona donna.
-
-La notte, mentre lavoravo a tavolino, a una cert'ora sentivo picchiare
-nel muro e poi una voce insonnita che diceva:
-
-— Non lavori più, figliuolo; s'abbia riguardo agli occhi.
-
-Ed io: — Ancora una pagina.
-
-— Nemmeno una pagina. Si ricordi del proverbio: È meglio un....
-cavallino vivo che un dottore morto.
-
-Passava un altro quarto d'ora e lei daccapo:
-
-— A letto, a letto, figliuolo.
-
-— Padrona, domandavo io, — com'è quel proverbio di Berto, che mi disse
-stamani? Ne ho bisogno per scriverlo.
-
-— Berto, rispondeva, — che dava a mangiare le pesche per vendere i
-noccioli. Vada a letto.
-
-— Ancora una cosa. Come si chiama il bastone d'Arlecchino?
-
-— Non mi cava più una parola, nemmeno se mi fa regina di Spagna.
-
-E non diceva più una parola davvero e io andavo a dormire.
-
-La mattina per tempo, appena svegliato, risentivo la sua voce: — Su,
-su! È un sereno che smaglia. Vada a fare un giro alle Cascine!
-
-Una sera tornai a casa pieno di malinconia e mi buttai sul sofà senza
-dire una parola. Essa mi venne accanto. Duravo fatica a trattener le
-lagrime. Mi domandò che cos'avessi. Non volevo rispondere. Insistette,
-e allora le apersi il mio cuore come a un amico.
-
-— Ho avuto un dispiacere, — le dissi. — Ho saputo che l'altro giorno,
-in una casa, hanno detto che i miei scritti sono noiosi e che non
-farò mai nulla di buono. Io ne sono persuaso e non ho più voglia
-di studiare. Voglio buttar nel fuoco tutti i miei libri e tornare a
-fare il soldato. Sono triste, scoraggito e annoiato della vita. Non
-m'importerebbe nulla di morire.
-
-La buona donna si sforzò di ridere; ma era intenerita. Cercò di
-consolarmi e di rimettermi di buon umore; chiamò a raccolta tutti i
-suoi frizzi, le sue frasi e i suoi proverbi; mi assicurò che i miei
-libri erano pieni di _bei concetti_ e che _avrebbe voluto saperli
-scrivere lei_; mi promise che sarei riuscito un _bravissimo scienziato_
-a dispetto dei maligni; mi disse che avrebbe voluto trovarsi faccia a
-faccia con chi aveva sparlato di me, _per fargli una risciacquata che
-non trovasse più la via di tornarsene a casa_; mi fece bere un dito di
-vin Santo, mi diede del ragazzo, mi picchiò sotto il mento e gridò: —
-Su la testa! — Infine mi lasciò rasserenato, dicendo che se le facevo
-un'altra volta una di quelle scene, il pezzo più grosso che sarebbe
-rimasto di me, aveva da essere un orecchio, com'è vero che c'è tanto di
-Biancone in piazza della Signoria.
-
-Qualche volta però ci bisticciavamo, per cose da nulla, s'intende;
-per esempio perchè tornavo a casa tardi, e lei mi trovava a ridire,
-ed io le rispondevo di mala grazia. Allora stavamo una mezza giornata
-senza scambiare una parola. La sera poi, pensando ch'essa era là in un
-cantuccio della sua camera, sola, malinconica, al buio, mi pigliava il
-rimorso, correvo all'uscio e le domandavo per il buco della serratura:
-— Padrona, come è quel detto di Cimabue che mi disse ier l'altro?
-
-— Cimabue che conosceva l'ortica al tasto — rispondeva con una voce in
-cui si sentiva un'improvvisa contentezza.
-
-— Mi perdona? — le domandavo.
-
-— Oh buon figliuolo! — rispondeva; — perdoni lei a me, che sono una
-brontolona e una zotica. Ma veda: glielo dico per il su' bene che non
-venga a casa tardi perchè.... io non ho mica il diritto di impicciarmi
-nella sua condotta.... si capisce.... ma ho notato che tutte le
-sere che viene a casa tardi, e non studia più, la mattina dopo è di
-malumore.
-
-— Ha ragione, padrona, ha ragione! Apra la porta e facciamo la pace.
-
-Essa apriva la porta e non faceva mai in tempo a levarsi il fazzoletto
-dagli occhi.
-
-Così passarono sei mesi.
-
-Un giorno, dopo una settimana intera di preparativi e di esitazioni, mi
-feci forza e le dissi, guardandola fisso negli occhi:
-
-— Padrona, io debbo partire da Firenze.
-
-— Dove va?
-
-— A casa mia.
-
-— Va bene. Io terrò le sue camere libere per quando tornerà. Può
-lasciar qui libri, quadri, carte, come le lascerebbe alla sua famiglia.
-Prima che ritorni farò mettere la stufa, comprerò un altro seggiolone
-e se mi salta il ticchio farò cambiare la tappezzeria al salotto.
-E passeremo il nostro invernetto insieme d'amore e d'accordo, lei a
-studiare ed io a fare le mie faccenduole. Ah! vedo che almeno negli
-ultimi anni della mia vita avrò qualche consolazione. Quando tornerà?
-
-— Cara padrona.... non glielo posso dire.
-
-— Che forse non tornerebbe più? domandò col viso alterato.
-
-— Forse non tornerò più!
-
-Stette qualche momento senza parlare e poi esclamò con voce tremante:
-— Ma dunque io resterò sola!...
-
-E tacque di nuovo come per sentir l'eco di quella triste parola.
-
-Poi nascose il viso nel grembiale e diede in uno scoppio di pianto.
-
-M'aiutò a fare i miei bauli, volle riporre tutti i libri colle sue
-mani, non mi lasciò più un momento fino all'ora della partenza.
-L'ultima notte, verso le undici, mentre scrivevo, picchiò ancora una
-volta nella parete e mi pregò di avermi riguardo agli occhi. La mattina
-seguente, quando partii, mi accompagnò fin sul pianerottolo e mi disse
-colla solita dolcezza: — Lei se ne torna colla sua famiglia; io, povera
-vecchia, rimango sola. Si ricordi qualche volta di me che le volevo
-bene come a un figliuolo. Abbia giudizio; continui a studiare e sarà
-contento. Mentre viaggerà in Spagna e in Francia, io guarderò il suo
-ritratto, leggerò i suoi libri e pregherò il Signore per lei. Quando
-morirò, lei si ricorderà che le ho voluto bene e piangerà, non è vero?
-Ed ora vada, figliuolo, che è tardi; e Dio l'accompagni!
-
-Le diedi un bacio e discesi per le scale. La povera donna mi mandò
-ancora un addio rotto da un singhiozzo e poi rientrò nella sua casa
-vuota e triste.
-
-Oh buona e cara vecchia! se mi son ricordato di te! In viaggio, ogni
-volta che ho passata la notte a scrivere in una camera d'albergo, allo
-scoccare delle undici ho detto tra me, con tristezza: — Oh! se sentissi
-picchiare nel muro, quanto lavorerei più volentieri! — Ogni volta che
-scrivo, e rileggendo la mia prosa, la trovo scolorita e senza grazia,
-dico con rammarico: — Ah! quanto ci corre da quest'italiano a quello
-della mia padrona di casa! — La sera, quando la mia famiglia è raccolta
-intorno al fuoco, e tutti ridono e lavorano, io penso col cuore stretto
-che tu sei sola nella tua stanza, forse al freddo ed al buio, perchè
-la legna e l'olio sono rincarati. E non mi si presenta mai l'immagine
-della mia cara Firenze, senza ch'io goda in fondo all'anima pensando
-che un giorno forse vi tornerò, che andrò a cercarti, che ti troverò
-ancora, che mi rimetterò a imparare da te la lingua armoniosa e gentile
-con cui mi rallegravi e mi davi coraggio.
-
-
-
-
-SCORAGGIAMENTI
-
-
-Erano le nove della sera: Teresa ricamava accanto al fuoco, quando
-udì picchiare leggermente, corse all'uscio e più per abitudine che per
-diffidenza domandò chi fosse.
-
-— Io! — rispose una voce aspra. Teresa aperse, entrò un giovane
-ravvolto in un mantello, si baciarono, e la ragazza gli domandò subito:
-
-— Che hai, Mario?
-
-— Perchè questa domanda? domandò il giovane alla sua volta.
-
-— Perchè non hai detto _io_ come gli altri giorni.
-
-Mario la guardò un po' senza rispondere, poi buttò in un canto il
-mantello e il cappello, e s'avvicinò al caminetto. La ragazza tornò al
-suo posto, e tirò a sè un panchettino, sul quale sedette il giovane,
-appoggiando un gomito sul suo ginocchio e la testa sulla mano.
-
-Stettero così qualche momento senza parlare; poi Teresa domandò
-timidamente:
-
-— Hai scritto?
-
-— No — rispose il giovane con aria pensierosa.
-
-— Hai fatto male.
-
-— Avrei fatto peggio se avessi scritto: anche oggi son vuoto come una
-bolla di sapone.
-
-— È un mese che lo dici.
-
-— È assai più d'un mese che lo sento. Sento che sono una buccia di
-limone spremuto. Un critico disse una volta una verità semplicissima,
-ma profonda: — Per scrivere bisogna avere qualcosa da dire ai proprî
-concittadini. — Ebbene, io non ho nulla da dire e non scrivo. Scrivere
-solamente per far sapere al pubblico che si sa accozzare il verbo col
-sostantivo e far delle infilzate di epiteti, non mi par degno d'un
-uomo.
-
-— Mario, — rispose la ragazza mettendogli una mano sul capo e
-sorridendo: — dici questo sul serio o soltanto per farmi stizzire?
-
-— Per farti stizzire? Lo dico con tutta la serietà d'una certezza
-dolorosa. È più d'un mese che per me il tavolino è la ruota del
-tormento, e mi ci mordo le dita senza riuscir a scrivere un periodo.
-Ho un bell'eccitarmi prima, leggere versi ad alta voce come consiglia
-il Buffon, _pensarci su_ come dice il Manzoni, ed anche tenere i
-piedi nell'acqua fredda come faceva lo Schiller, frugar dentro di me,
-ravvivare tutti i sentimenti che m'inspiravano una volta; ogni cosa
-è inutile. Seduto che sono al tavolino, mi pare che il cuore e il
-cervello mi si raggrinzino come vesciche crepate, e non mi riesce più
-di afferrare un'idea che meriti l'omaggio d'una goccia d'inchiostro. Ti
-giuro che dico la verità.
-
-— Non giurare.... m'hai detto altre volte le stesse cose e dopo qualche
-giorno le hai disdette.
-
-— Cara mia, anche le malattie disperate hanno i loro alti e bassi, e
-non v'è moribondo al quale non brillino dei barlumi di speranza. Ho
-avuto anch'io i miei barlumi.
-
-— Ma che melanconie son queste, Mario?
-
-— Non sono melanconie, son disinganni. Vuoi che io ti dica una cosa
-che non ho mai detta a nessuno e che non ho quasi mai osato dire a
-me medesimo, ma che ormai credo fermissimamente vera, tanto che provo
-quasi un sentimento di sdegno contro tutti coloro che per lungo tempo
-cospirarono a farmi credere il contrario? Te la dico in tre parole: —
-Ho sbagliato strada.
-
-— Andiamo, — disse con vivacità la ragazza, — ora ti faccio ravveder
-io. Io conosco il segreto di tutte queste malinconie. Tu hai una ruga
-qui tra ciglio e ciglio che quasi non si vede quando sei sereno, e
-quando non lo sei, diventa profonda come una ferita. Ora è un mese
-che io ti vedo codesta ruga quasi tutti i giorni. Ecco perchè non puoi
-lavorare. Disinganni, vesciche, buccie di limone spremuto, son tutte
-fantasie: il male sta qui. Dunque non c'è da far altro che spianare la
-ruga; — e appuntandogli l'indice fra ciglio e ciglio soggiunse: — e io
-ci terrò il dito su fin che sparisca, e allora vedrai che ti tornerà
-l'inspirazione e la fiducia in te stesso.
-
-Mario le strinse il mento fra l'indice e il pollice, poi lasciando
-ricader la mano, rispose con un sospiro: — Ah buona Teresa, sulla ruga
-vera tu non puoi mettere il dito perchè è dentro al cervello.
-
-— Oh allora, — disse la ragazza con quel tuono di ironia benevola che
-s'usa coi bambini fingendo di dare importanza a una corbelleria, —
-allora non c'è rimedio. Capisco anch'io che hai sbagliato strada. Non
-parliamone più.
-
-— Eppure, — riprese il giovine senza badarle, — benchè questa certezza
-si sia impadronita di me a poco a poco, risparmiandomi così il dolore
-d'uno di quei disinganni improvvisi, che schiacciano prima che si sia
-potuto pensare a resistere, io credevo che l'avrei sopportata con cuore
-più fermo. E veramente quando s'è nutrito per molti anni la speranza
-di riuscire qualche cosa nel mondo, e s'è veduto godere di questa
-medesima speranza la famiglia e gli amici, e s'è avuto dalla gente
-mille dimostrazioni di simpatia e di rispetto, non tanto per quello che
-s'era quanto per ciò che si prometteva di divenire; dopo tutto questo,
-l'accorgersi che ci si è ingannati e che s'è ingannato gli altri;
-prevedere che un giorno la gente ci farà scontare col disprezzo le
-lodi che le abbiamo scroccate; sentirsi a poco a poco riattrarre e poi
-travolgere e annegare nella folla sulla quale si era riusciti ad alzare
-un momento la testa; persuadersi infine che s'è sciupato gioventù,
-ingegno, fatiche per prepararsi dei disinganni e delle vergogne, mentre
-percorrendo una strada più modesta si sarebbe ottenuto un nome onorato
-e una vita tranquilla; è un cangiamento questo, mia cara Teresa, che
-somiglia a quello di un uomo il quale di ricco e potente si trovi
-ridotto mendico.
-
-Teresa lo guardò attentamente, e poi, sospettando ancora ch'egli non
-parlasse sul serio, prese un libro, lo aperse, mise un dito sul nome
-dell'autore, e domandò con ingenuità fanciullesca, abbassando la voce:
-— È questo signore che parla?
-
-— È lui, lui, — rispose Mario respingendo il libro. — Ah! cara amica,
-quanto t'inganni se credi che la vista di tutta quella cartaccia
-stampata mi faccia provare il menomo sentimento di alterezza. Sì,
-certo, quando sono in mezzo alla gente, mostro di credermi qualche
-cosa; il mio amor proprio sta sulle difese. Il vedere la presunzione
-di tanti che valgono anche meno di me, e il timore di fornire agli
-altri, mostrando di stimarmi poco io stesso, il pretesto di stimarmi
-anche meno, mi tengono un po' su; e per questo, chi mi ferisce dal lato
-dell'amor proprio, sente la resistenza dell'orgoglio. Ma davanti a me
-stesso è altra cosa! Se ti dicessi che passan dei mesi ch'io non leggo
-una pagina di mio, nemmeno se mi cade sott'occhio, per timore della
-sgradevole impressione che ne riceverei? Se ti dicessi che, riandando
-le cose mie, anche le meno peggio, mi piglia il sospetto che un accordo
-d'amici, la benevolenza dei conoscenti e l'indulgenza sollecitata
-di molti altri sian stati la cagione di quel po' di fortuna che ho
-avuta? E se ti dicessi ancora che, quando correggo le prove di stampa,
-qualche volta mi sento tutt'a un tratto salire il sangue al viso, e
-penso alla maniera di sciogliermi dall'impegno contratto coll'editore,
-e comprendendo che non è più possibile, cerco almeno che ci sarebbe da
-fare per impedire la diffusione del libro, o se non altro, per evitare
-che lo legga il tale o il tal altro, di cui mi preme non perdere la
-stima?
-
-— Ma queste, scusa, sono esagerazioni! E poi, qualunque opinione tu
-abbia di te stesso, non potrai mettere in dubbio un fatto che dovrebbe
-bastare a darti coraggio: il favore pubblico.
-
-— Qui ti volevo. Il favore pubblico! Che cos'è questo favore pubblico?
-che cosa prova? Chi non ne ottiene un po' di questo favore, scrivendo,
-pur che abbia cuore e non offenda alcuna classe della società e segua
-l'andazzo del tempo e scriva cose che la maggior parte sentono o
-pensano, o non hanno interesse di negare? Entra in un caffè di una
-qualunque delle nostre grandi città, e sarà un miracolo se non ci
-troverai in un canto qualche pover'uomo a cui nessuno bada e di cui
-nessuno sa il nome, del quale venti o trent'anni prima qualcuno non
-abbia detto o stampato che era una speranza della letteratura italiana
-e che sarebbe diventato una gloria della patria. A vent'anni abbiamo
-tutti qualcosa di bello nel capo e di generoso nel cuore, e abbiamo
-tutti bisogno di farlo sapere. Ebbene, io l'ho fatto sapere, ho fatto
-il mio sfogo di giovanotto e sta bene. Ma ora basta, ora dovrei buttare
-la penna da parte e abbracciare una professione; perchè altro è esser
-nato per passare per lo stadio di scrittore, altro è esser nato per
-restarci; e una cosa è aver ingegno per scrivere, e un'altra cosa aver
-tanto ingegno da poter legittimamente non far altro che scrivere.
-
-— Io non so rispondere a tutte queste cose, — disse Teresa con
-voce commossa, — ma mi pare che non sia tutto vero. Che cosa vuoi
-concludere? Che non devi più scrivere? Vuoi farmi dire che non sai far
-nulla? Vuoi provarmi che sei uno scemo?
-
-— No, perchè non lo sono; se lo fossi, non mi sarei disingannato, non
-ti terrei questi discorsi; continuerei a credermi un animalaccio raro,
-come fan molti, a dispetto del mondo intero. Il mio disinganno prova
-che c'è qualche cosa in questo nocciolo di testa. Ma il gran punto
-è che questo _qualche cosa_ non basta. Vi sono ben dei momenti che
-abbraccio col pensiero un grande spazio intorno a me; ma son vedute
-istantanee, come quelle della notte al chiarore d'un lampo. Afferro
-colla mente un dei capi d'una catena d'idee; ma dò uno strappo, e
-non mi resta in mano che il primo anello. Ci corre, cara mia, da
-questi scatti d'ingegno alla forza dell'ingegno vero! a quell'ingegno
-confidente e imperioso, che si afferma qualche volta con parole
-superbe; quello che getta sprazzi di luce e pezzi di oro massiccio,
-che tira a sè e rende muti in sè stesso altri ingegni minori, che
-corre la sua strada destando e schiacciando ad un tempo ire ed invidie
-mortali, che s'innalza egli stesso degli ostacoli e li rovescia, che
-va a battere le ali dove gli altri arrivano appena collo sguardo, che
-trascina, innamora e spaventa! Questi sono uomini d'ingegno, spiragli
-aperti nella natura umana, per i quali la moltitudine vede confusamente
-qualche cosa del mondo di là, che le strappa un grido di meraviglia.
-Questi hanno diritto di consacrare tutta la loro vita all'arte; questi
-sono i grandi alberi della vegetazione umana; il resto è erbaccia
-parassita, ed io sono un filo di quest'erba.
-
-— Grandi alberi! — mormorò Teresa timidamente. — Fuor che quei quattro
-o cinque che tutti sanno, per ora, di grand'alberi che vengano su,
-io non ne vedo. E qui pronunziò in fretta una lunga serie di nomi, e
-domandò: Son questi forse gli spiragli aperti nella natura umana?
-
-— No, — rispose Mario; — ma benchè io sia da meno di questi, non mi
-debbo paragonar con essi, per aver una idea giusta di quello che sono.
-Debbo metter tutti costoro in un mazzo, me compreso, e paragonarli
-ai pochissimi che sono sulla sommità della scala. Bisogna uscir dal
-proprio paese, cara mia, per vedere che cosa paiono, viste da lontano,
-certe gloriole di casa! Quando si vede che i veri grandi nomi, anche
-nostri, ed anco di questi ultimi tempi, suonano sul Tamigi come suonano
-sul Tevere, sul Tago come sul Reno, sulla Senna come sull'Adige, che
-conto vuoi più che si faccia di quelli che cascano come palloncini
-sgonfiati sulle frontiere del proprio paese? Che cosa siamo al paragone
-di quell'aquile che fanno il giro del mondo, noi moscerini che viviamo
-in un soffio d'aria, e facciamo un ronzío che non si sente da una
-foglia all'altra d'un fiore? noi che mostriamo con pompa, come tutto
-il nostro avere, una qualità che in quelli altri non è che una delle
-mille faccette della perla del loro ingegno? Ah come si capisce tutto
-questo viaggiando! Quando uno straniero mi domandava: — Lei scrive? —
-io rispondevo in fretta arrossendo, come uno che respinga un sospetto
-ingiurioso: — No! no! non scrivo!
-
-Teresa scrollò la testa sorridendo, come per dire: — Sei sempre lo
-stesso!
-
-— E poi, — riprese Mario dopo una breve riflessione — vivere per
-scrivere! Bella presunzione è questa di aver nel capo tante cose degne
-d'esser dette al mondo, da dover impiegare tutta la vita a dirle!
-E con che diritto s'impiega la vita in questa maniera? Scrivere,
-in materia d'arte, non si dovrebbe che per soddisfare un bisogno
-dell'anima; e soddisfare un bisogno non può valer lo stesso che
-pagare un debito. Dunque chi non fa altro che scrivere, non paga il
-suo debito alla società; e se ad altri pare, a lui non deve parere.
-Rispondere: — Scrivo — a uno che mi domandi qual è la mia professione,
-mi pare lo stesso che a uno che mi domandasse: — Che cosa fai costì?
-— rispondergli: — Respiro. — E chi è questo poltrone che mentre tanta
-gente migliore di lui suda sangue per guadagnarsi la vita, passa la
-giornata sur una seggiola a predicar la virtù e ad eccitar gli altri
-a fare? Lavori il giorno anche lui, e scriva la sera a tempo avanzato.
-Cacciatelo in un'officina!
-
-— Oh questa poi! — esclamò Teresa tra indispettita e intenerita. —
-Tutti non possono lavorare colle braccia! —
-
-— Ma io posso! E che credi? Che non mi vergogni qualche volta d'esser
-robusto? Quando vedo ammontati sul mio tavolo quei cinque o sei
-libracci che ho scritti, dei quali fra qualche anno non si troverà
-più il titolo in nessun catalogo di libraio, e penso che ho speso
-a farli gli anni più vigorosi della gioventù, e che spenderò forse
-nello stessa modo, e non con miglior frutto, gli anni che mi restano;
-e poi guardandomi nello specchio, mi vedo un par di spalle da atleta,
-che so io? sento che c'è una sproporzione fra me e il mio lavoro,
-un disaccordo, un qualche cosa che non va; mi sento dentro una voce
-di rimprovero; mi pare come di aver sciupato una trave per fare un
-bastoncino; e provo non so che bisogno di curvar la schiena sotto dei
-pesi e d'incallirmi le mani sopra uno strumento.
-
-Teresa gli afferrò le mani.
-
-— Quanti uomini sciupati — continuò Mario — con questo maledetto
-scrivere! Uomini di un sentire nobilissimo, dotati d'una certa facoltà
-di trasfondere in altri l'anima propria, forniti d'un sentimento pel
-bello, parlatori facili, che avrebbero, in un altro campo, acquistato
-ed esercitato un potere benefico su molta gente.... sciupati! Io per
-esempio, ch'ero nato per fare il maestro di scuola, a segno che, quando
-vedo in una stanza quattro banchi e un tavolino, mi sento rimescolare!
-E non solo il maestro di scuola: sento che sarebbe stata la mia vita
-l'aver che fare con povera gente, con operai; sento che, se fossi
-pretore in un villaggio, mi farei fare una statua. E così quando leggo
-gli scritti di molti miei amici romanzieri, poeti, critici, vedo tra
-riga e riga le belle facoltà mal impiegate, e penso con rammarico
-che l'uno sarebbe riuscito un eccellente medico condotto, un altro un
-direttore di collegio inimitabile, un altro, un avvocato onestissimo
-e valentissimo. E dico a loro e a me: — Siamo fuori di strada! Tutti
-fuori di strada per aver preso per nostra dote principale una dote
-secondaria, che doveva soltanto servire d'aiuto, d'ornamento alle
-altre; per aver creduto che ciò che non ci dovrebbe occupare se
-non un'ora al giorno, bastasse a riempirci tutta la vita; per aver
-considerato come una vocazione quello che non era che una tendenza!
-
-— E quando vedi codesti amici — domandò Teresa sorridendo — lo dici
-_loro_ che avrebbero fatto meglio a fare i medici condotti?
-
-— Non mi seccare con quel _loro_, Teresa; di' _glielo_ dici; te
-n'ho già pregato altre volte.... E che cosa segue da ciò? Segue che,
-avendo l'ambizione, senza aver la potenza di destare l'ammirazione
-del paese, diventiamo come gli accattoni che si contentano di quello
-che gli si dà: ci contentiamo di ispirar la _simpatia_, la _stima_,
-la _considerazione_, di acquistare la _notorietà_, la _distinzione_;
-e leggerai infatti ogni momento il simpatico, il pregevole, lo
-stimato, il noto, il distinto scrittore, e altri insipidi e sguaiati
-appellativi, che pure nella nostra nullità ci fanno sorridere di
-compiacenza; ma che a spremerne il sugo voglion dire: mediocre,
-insignificante, impotente, nullo, perchè chi, avendo dedicato la vita
-all'arte, non riesce che a rendersi simpatico, stimato, pregevole,
-ha sciupato tempo e fatica. E in fondo all'anima, lo sentiamo anche
-noi. Per questo, invece di lavorare serenamente e nobilmente, ci
-affanniamo, facciamo ogni sorta di sforzi disperati per saltar fuori
-dalla pegola della mediocrità che ci affoga; e buttiamo fuori in
-furia un libro dopo l'altro, avidi, impazienti, sperando sempre che
-l'ultimo che stiamo facendo, sia quello che ci porrà sul piedestallo
-della gloria; supplicando la gente che passa di soffermarsi; gridando
-al paese: Vòltati, guardami, t'assicuro che ho del genio, dammi tempo
-a far qualche cos'altro, non profferire ancora l'ultimo giudizio,
-aspetta, vedrai. — E intanto il vento porta via libretti e libracci,
-e noi invecchiamo trascurati e dispettosi, finchè un bel giorno si
-tira il calzino, dieci giornali dicono che s'è lasciato _larga eredità
-d'affetti_, e il giorno dopo nessuno pronuncia più il nostro nome. Ecco
-la carriera degli scrittori simpatici, stimati, noti, distinti; la mia
-carriera e quella di cento altri campioni della _giovine letteratura_.
-
-— Ma tutti — disse Teresa, — anche i più grandi, hanno avuto di questi
-scoraggiamenti!
-
-— Erano altri scoraggiamenti, — rispose Mario; — stanne sicura. Si
-scoraggivano perchè sentivan la loro opera troppo inferiore al loro
-ingegno; ma non è che non sentissero l'ingegno. Essi hanno gettato
-sul mondo i riflessi della luce che brillava alla loro mente, e a
-noi questi riflessi paion già una gran luce; ma chi può immaginare lo
-splendore che vedevan loro cogli occhi del genio? Chi sa che portentoso
-_Cinque maggio_ balenò ad Alessandro Manzoni, prima che si mettesse
-a scrivere quello che noi conosciamo? Tutti i grandi caddero qualche
-volta; ma caddero a pochi passi dalla cima della montagna, ed erano già
-saliti ad un'altezza tremenda. Non cadevan per fiacchezza, cadevano
-per vertigine. Erano battaglie, nelle quali riuscivano ora vinti,
-ora vincitori. Ma in me, vedi, non c'è lotta; in me è calma morta. Ai
-grandi che picchiano alla porta del tempio dell'Arte, qualche volta
-una voce di dentro risponde: — Non ancora: — A me quella voce risponde:
-— Via! — Quelli sono pregati d'aspettare, e io sono scacciato come un
-cialtrone.
-
-Teresa aperse il libro che aveva preso poco prima e finse di mettersi
-a leggere senza badare alle parole di Mario.
-
-— Leggi, leggi, — continuò Mario sorridendo, — chi si contenta, gode.
-Intanto io farò un pochino di critica al tuo autore. I suoi personaggi
-son tutti fantocci che recitano la medesima parte, e non ne vien uno
-in iscena, che non lasci veder sotto la mano del burattinaio. Tre
-idee tinte di mille colori; ma non più che tre idee. Un manzonismo
-annacquato, senza coraggiose affermazioni; un ciondolío perpetuo fra il
-credo e il non credo; un voler far sentire la cosa senza compromettersi
-colla parola; una doppia paura di far sorridere i miscredenti e di
-scontentare le mamme pie; un tirar sempre al cuore, a tradimento,
-quando si dovrebbe tirare alla testa; e persino nella lingua, la
-persuasione profonda che si debba dare un calcio alle convenzioni, agli
-scrupoli grammaticali, alle parole illustri, a tutte le formole della
-lingua scipita, pedantesca, bastarda, che si parla fuor di Toscana;
-e la vigliaccheria di non farlo per paura di coloro che combattono la
-proposta del Manzoni, perchè non vogliono ricominciare a studiare.
-
-— Io non me ne intendo di lingua, — disse Teresa; — non ti so cosa
-rispondere. Ma per quel ch'è dei fantocci, purchè dicano delle cose
-buone, che importa se si vede la mano? — Così dicendo, rise e gli prese
-la mano.
-
-— Dir delle cose buone! esclamò Mario. — Vorrei che tu mi dicessi che
-diritto ho io di dire delle cose buone, io che non ne faccio, e di
-metterci sotto la mia firma, come se le facessi. Mi ricordo, pochi
-giorni fa, quando ti dissi che compivo ventisette anni, tu esclamasti:
-— Ventisette anni! Hai già fatto molto! — Fatto molto! non ho ancora
-salvato la vita a nessuno, — non ho mai passato trenta notti di seguito
-al letto d'un ammalato, — non mi sono mai messo a rischio di buscarmi
-una coltellata per levare una donna dalle mani d'un brutale che la
-schiaffeggia nel mezzo della strada, — non ho mai fatto dieci miglia
-a piedi per andar a portare una buona notizia a una famiglia povera,
-— non mi son mai privato un mese di seguito del sigaro, del teatro e
-della birra, per fare un regalo a un mio antico maestro elementare che
-si trova nella strettezza. Ebbene, conosco dei giovani che fecero e che
-fanno tutte queste cose, e che si vergognerebbero di scriverle, e che
-quando le leggono scritte da me, mi dicono: «bravo! Lei fa del bene!
-Beato lei!»
-
-— Vero, e con questo?
-
-— Con questo, quando mi dicono quelle parole, io arrossisco perchè
-dovrei dirle io a loro; e loro dovrebbero dire a me che sono un
-impostore.
-
-— E allora, — disse Teresa con un'ironia faceta, di cui Mario non
-s'accorse; — se scrivendo delle cose morali ti pare di far l'impostore,
-scrivine delle immorali e vivrai in pace colla tua coscienza.
-
-— No! — rispose Mario — mai. Se volessi anche, non potrei. Su questo
-punto tu non conosci ancora le mie idee, e te le dico. Da un uomo di
-genio, di quelli che ti ho definiti poco fa, accetto tutto; creda, non
-creda, sia ottimista o veda tutto nero, non mi riveli che il bello o
-non mi mostri che le brutture dei suoi simili e le sue, — dissento,
-deploro — ma accetto, — o almeno mi rendo ragione del come gli possa
-parer lecito di scrivere quello che pensa e quello che fa. È un uomo
-di genio; preferisco averlo com'è al non averlo; anche offendendomi
-e sconfortandomi, mi fa vedere molte cose sotto una faccia nova; mi
-costringe a pensare; mi fa, se non altro, ammirare in sè un nuovo
-stampo d'uomo, e una gradazione di più nell'infinita varietà della
-natura. Sta bene. Ma che un uomo d'ingegno della seconda sfera, uno di
-quelli dei quali è dubbio se abbiano fatto bene o no a scegliere la via
-delle lettere, e che dovrebbero, poichè il mondo può benissimo far di
-meno di loro, cercare tutti i modi di farsi perdonare l'ambizione che
-li rode; che uno di questi, dico, abbia la sfacciataggine di gridare
-al mondo: — Vòltati — per fargli sapere che non crede a nulla, che
-è divorato dalla bile, che disprezza i suoi simili, che vive fra le
-sgualdrine e s'ubbriaca; questo, per Dio, non solo non lo ammetto,
-ma non lo capisco; e non capisco come il pubblico non si stomachi di
-queste scimmie degli scapestrati di genio, e non se li levi di torno
-colla scopa.
-
-— Dunque scrivi morale! — disse Teresa — Io non so più che cosa dirti!
-Dici che sei un impostore! Basta essere onesto per poter scrivere delle
-sante cose senza fingere. Come potresti scrivere, se prima di metterti
-a tavolino, dovessi far dieci miglia a piedi per portare una buona
-notizia a una famiglia povera?
-
-Mario sorrise e scrollò una spalla; e dopo qualche minuto di silenzio,
-disse:
-
-— Un giorno, a Firenze, passeggiando fuor di Porta Romana,
-sull'imbrunire, vidi tutt'a un tratto una gran luce dietro un gruppo
-di case e gente che correva. Presi anch'io la corsa e arrivai dinanzi
-a una casa che bruciava, in mezzo a una folla che faceva un grande
-strepito. L'incendio era scoppiato da poco; ma uscivan già fiamme
-dal tetto e da parecchie finestre, e si sentiva dentro un fracasso
-spaventoso di travi che cadevano e si spezzavano, e in mezzo alla
-folla grida di donne e di bimbi, che facevan pietà. Arrivarono in quel
-momento le pompe e le guardie, e cominciò il solito lavoro di far
-dare addietro la gente, coll'urlío e il disordine solito. Tutt'a un
-tratto si sentì un grido straziante e si vide molta gente affollarsi
-da una parte. Era la solita disgrazia d'una donna che aveva chiuso
-il bambino in casa per uscire, e che tornava troppo tardi. La voce
-si sparse in un batter d'occhio. Per fortuna la finestra della camera
-dava sulla strada; fu portata una scala e appoggiata al davanzale, e
-una guardia salì. Ma sì! non era ancora arrivata in cima, che uscì un
-nuvolo di fumo nero e una lingua di fuoco dall'alto della finestra,
-e il pover uomo si sentì mancare il coraggio. La folla gridò: — Giù!
-Giù! — La guardia saltò giù; un'altra salì, e ricascò in terra come
-la prima; cinque o sei uomini si agitavano ai piedi della scala, e
-nessuno saliva. Intanto la povera donna gettava delle grida orribili,
-si buttava in ginocchio, si stracciava i capelli, faceva cose da
-lacerare il cuore. Allora non so che cosa seguì in me; mi si velò la
-vista, mi balenarono mille pensieri in un punto, quel bambino, mia
-madre, una gioia immensa; sentii come una voce sovrumana che mi gridò
-nell'orecchio: — Va! — e nello stesso momento un impulso irresistibile
-che mi sbalzò quasi ai piedi della scala. Ma là.... mi parve d'essere
-afferrato di dietro da un artiglio di ferro, e rimasi inchiodato,
-immobile, trasognato, come uno che si trovi tutt'a un tratto sull'orlo
-di un precipizio. Mentre guardo intorno e rinvengo in me, un uomo si
-spicca dalla folla come una saetta, butta in terra una guardia, sale
-in cima alla scala, dispare nella finestra che pareva la bocca d'una
-fornace, — si fa un profondo silenzio — l'uomo ricompare — la folla
-getta un grido — quegli sale sul davanzale, si gira, mette il piede
-sulla scala, discende e casca in terra spossato.... Aveva portato giù
-il bambino sano e salvo! Ebbene, è una cosa che seguì molte volte, tu
-mi dirai. Ah Teresa! ma quella volta ero là, ho visto tutto; — ho visto
-quella donna quando si slanciò al collo di quell'uomo, — l'ho guardata
-negli occhi, — ho contato i baci furiosi che gli ha stampati sulla
-fronte e sul petto, — ho sentito le sue grida — le sento ancora — non
-credevo che un viso umano si potesse trasfigurare in quel modo, e che
-delle voci e dei singhiozzi di gioia come quelli là potessero fuggire
-da questo petto di creta senza spezzarlo! Non credevo che si potesse
-esser belli, felici, gloriosi, com'era quell'uomo, quando si passò una
-mano nei capelli strinati — fiutò la mano — e si mise a ridere!
-
-Teresa era commossa.
-
-— Io tornai a casa — continuò Mario, — triste e pieno di disprezzo per
-me medesimo, come se avessi commesso un'azione vergognosa. Pensavo a
-quell'uomo, e mi pareva di essere meno che un verme della terra accanto
-a lui. Pensavo ai miei studî, e alle mie piccole soddisfazioni d'amor
-proprio, e ogni cosa mi pareva fredda e meschina, al paragone della
-gioia infinita che m'ero lasciata sfuggire. Rientrai in casa, accesi il
-lume e mi lasciai cadere sopra una poltrona, dicendo a me medesimo: —
-Bravo! Ecco il tuo piedestallo! — Sentivo delle voci nella strada, che
-mi parevano l'eco delle grida della madre e della folla, e da tutte le
-parti vedevo quella finestra infocata, la scala, l'uomo che saliva. A
-un tratto, mi cadon gli occhi sul tavolino, c'eran delle carte sparse,
-non mi ricordavo che fossero, guardai.... Erano pagine d'uno scritto,
-nel quale dicevo mille belle cose intorno all'amor materno, alla virtù
-del sacrifizio, alla generosità, al coraggio. Che vuoi che ti dica!
-Quelle parole, in quel momento, mi fecero l'effetto d'una ciurmeria
-ignobile, d'una ostentazione ipocrita e sfrontata; mi sentii salire
-il sangue al viso; buttai in terra, con una manata, quel mucchio di
-fogli....
-
-Teresa gli pose una mano sulla bocca.
-
-— E ci sputai sopra tre volte! — soggiunse Mario respingendo la mano.
-
-— No, Mario! — esclamò Teresa — non le dire queste cose!
-
-— Lasciamele dire — rispose Mario, con un sorriso mesto e amorevole: —
-è questo uno dei pochi bei tratti della mia vita. E ora sai perchè mi
-pare un'impostura lo scrivere quello che non faccio.
-
-— Eppure! — gli disse Teresa — guardandolo negli occhi, dopo alcuni
-momenti di silenzio. — Eppure domani tu scriverai.
-
-Mario si strinse nelle spalle.
-
-— Sì, scriverai, — riprese Teresa — perchè io son donnina da trovare
-nella mia piccola testa delle ragioni convincenti da opporre a tutte
-quelle che mi hai dette finora per provarmi che non devi più scrivere.
-
-— Sentiamole.
-
-— Ma non oso dirtele perchè.... non mi so esprimere; sono una
-scioccherella.... io non m'intendo di letteratura.
-
-— Credi agli angeli?
-
-— Io sì.
-
-— E credi che gli angeli s'intendano di letteratura?
-
-Teresa sorrise, e continuò: — Ebbene, ecco la mia idea. Dici che
-dovrebbero scrivere solamente i grandi e questo non mi par giusto.
-In questo mondo ci sono tante anime che si somigliano, che vivono
-nella stessa maniera, che vedon le cose dallo stesso lato, che hanno
-perfino le medesime debolezze. Ebbene, queste anime si cercano, e
-quando s'incontrano, sia anche in una pagina d'un libro, ne godono,
-e si attaccano a chi ha scritto quella pagina, come a un intimo
-amico. I grandi scrittori ne abbracciano un gran numero di queste
-anime, perchè abbracciano la natura sotto moltissimi aspetti. Gli
-scrittori che vengon dopo, ne abbracciano soltanto poche; ma bastano
-anche queste poche perchè essi abbiano ragione di essere. I grandi
-scrittori destano la maraviglia, l'entusiasmo: gli altri solamente
-l'affetto e la simpatia. Ebbene, anche far nascere una simpatia mi
-pare che sia un effetto che giustifichi un libro, perchè la simpatia
-è una disposizione benevola del cuore, e una disposizione benevola è
-la metà d'una buona azione. E poi, perchè il grande dovrebbe escludere
-il piccolo? e il bellissimo escludere il grazioso? Non ci dovrebbero
-essere delle margheritine e delle viole perchè ci sono dei girasoli
-e delle rose? Forse che il poema di Dante m'impedisce di piangere
-e di sentirmi riaver l'anima leggendo le novelle del Thouar? Quando
-uno è sicuro che cinquecento persone leggeranno quello che scrive,
-ogni volta che gli viene un buon sentimento, fosse anche a proposito
-di due lucciole che passano, lo deve scrivere; e se impiega tutta la
-sua vita a scrivere delle cose che trasfondono un buon sentimento
-in cinquecento persone, la sua vita mi par che sia bene impiegata.
-E quanto allo scrivere quello che non si fa, mi par che tu non abbia
-ragione neppure; le buone azioni non si fanno soltanto col coraggio e
-coi sacrifizî; destare degli affetti gentili, consolare, intenerire,
-rasserenare l'anima per un momento a qualcuno, sono buone azioni non
-meno meritorie che star un mese senza fumare per fare un regalo a un
-maestro. Che importa se un libro che ha prodotto questi effetti, dopo
-un certo tempo è dimenticato? Quante buone azioni non si dimenticano
-ogni giorno! Forse che non si dovrebbero fare buone azioni che pei
-posteri? Ma perchè mi perdo in ragionamenti? Chi più di te sentiva
-queste verità, quando scrivevi le tue prime cose, e ogni volta che ne
-finivi una, comparivi qui colle braccia aperte e il viso radiante e mi
-dicevi: — Teresa, quanto mi rincrescerebbe morire! — Teresa, non dirmi
-che sono superbo: t'assicuro che oggi dentro di me c'era un angelo; era
-lui che mi dettava; se non ho scritto meglio, è perchè ho inteso male
-quello che diceva, tanto mi parlava in furia! — E vedi che anche adesso
-ti splendono gli occhi a sentirti ricordare quei giorni. — Dammi la
-mano, Mario — riprendi coraggio e fiducia — cercala qui l'ispirazione —
-nel cuore — vedrai che ti risponderà — la tua forza è qui; — promettimi
-che scriverai ancora, — che tornerai di nuovo qui contento e glorioso
-a farti baciare sulla fronte, — dimmi che ti senti l'angelo, Mario!
-
-Mario, commosso, le chinò il capo sul seno, e rimase per lungo tempo
-immobile e pensieroso.
-
-Finalmente Teresa gli mormorò all'orecchio: — E l'angelo?
-
-— Oh! perdio sì! — gridò Mario balzando in piedi col viso radiante e
-battendosi una mano sul petto, — c'è ancora!
-
-
-
-
-RITRATTO D'UN'ORDINANZA
-
-
-Dei capi originali, sotto la vôlta del cielo, ce n'è e posso vantarmi
-d'averne conosciuto parecchi; ma uno che possa far la coppia con lui,
-credo che abbia ancora da nascere.
-
-Era sardo, contadino, ventenne, analfabeta e soldato di fanteria.
-
-La prima volta che mi comparve davanti a Firenze, nell'uffizio d'un
-giornale militare, m'ispirò simpatia. Il suo aspetto, però, e qualcuna
-delle sue risposte, mi fecero capir subito ch'era un originale curioso.
-Visto di fronte, era lui; visto di profilo, pareva un altro. Si
-sarebbe detto che nell'atto che si voltava, tutti i suoi lineamenti
-s'alteravano. Di fronte, non c'era nulla da dire: era un viso come
-tanti altri; di profilo, faceva ridere. La punta del mento e la punta
-del naso cercavano di toccarsi, e non ci riuscivano, impedite da due
-enormi labbra sempre aperte, che lasciavan vedere due file di denti
-scompigliati come un plotone di guardie nazionali. Gli occhi parevano
-due capocchie di spillo, tanto erano piccini, e sparivano quasi affatto
-tra le rughe, quando rideva. Le sopracciglia avevano la forma di due
-accenti circonflessi e la fronte era alta appena tanto da impedire ai
-capelli di confondersi colla barba. Un mio amico mi disse che pareva
-un uomo fatto per ischerzo. Aveva però una fisonomia che esprimeva
-intelligenza e bontà; ma un'intelligenza, se così può dirsi, parziale,
-e una bontà _sui generis_. Parlava con voce _aspra e chioccia_ un
-italiano del quale avrebbe potuto domandare con tutti i diritti il
-brevetto d'invenzione.
-
-— Come ti piace Firenze? — gli domandai, poichè era arrivato il giorno
-innanzi a Firenze.
-
-— Non c'è male, — mi rispose.
-
-Per uno che non aveva visto che Cagliari e qualche piccola città
-dell'Italia settentrionale, la risposta mi parve un po' severa.
-
-— Ti piace più Firenze o Bergamo?
-
-— Sono arrivato ieri; non potrei ancora giudicare.
-
-Quando se n'andò gli dissi: — addio, — ed egli rispose: — addio.
-
-Il giorno dopo fece la sua entrata in casa.
-
-Nei primi giorni fui più volte sulle undici once di perder la pazienza
-e di rimandarlo al suo reggimento. Se si fosse contentato di non capire
-niente, _transeat_: ma il malanno era che, un po' per la difficoltà
-dell'intendere l'italiano, un po' per la novità delle incombenze,
-capiva a mezzo e faceva tutto al rovescio. Se dicessi che portò ad
-affilare i miei rasoi dal Lemonnier e a stampare i miei manoscritti
-dall'arrotino; che rimise un romanzo francese al calzolaio e un paio di
-stivali alla porta di casa d'una signora, nessuno lo crederebbe; poichè
-per crederlo bisognerebbe aver visto fino a che segno, oltre al capir
-male, egli era distratto, non bastando il capir male a dar ragione
-di _qui pro quo_ così madornali. Ma non posso trattenermi dal citare
-alcune fra le più meravigliose delle sue prodezze.
-
-Alle undici della mattina lo mandavo a comprare del prosciutto per
-far colazione, ed era l'ora che si gridava per le strade il _Corriere
-italiano_. Una mattina, sapendo che il giornale conteneva una notizia
-che mi premeva, gli dico: — Presto, prosciutto e _Corriere italiano_.
-— Due idee alla volta non le afferrava mai. Discese e ritornò dopo un
-minuto col prosciutto involto nel _Corriere italiano_.
-
-Una mattina sfogliettavo sotto gli occhi d'un mio amico, e in
-presenza sua, un bellissimo Atlante militare che m'era stato
-imprestato dalla Biblioteca, e gli dicevo: — Il male, vedi, è che io
-non posso abbracciare tutte queste carte con uno sguardo solo e mi
-tocca osservarle una per una. Per afferrar bene il complesso della
-battaglia, vorrei vederle tutte inchiodate nel muro, in fila, in
-modo che formassero un solo quadro. — La sera, rientrando in casa....
-rabbrividisco ancora a pensarci.... tutte le carte dell'Atlante erano
-inchiodate nel muro; e per maggior supplizio, la mattina seguente, mi
-toccò vederlo comparir lui col viso modesto e sorridente d'un uomo che
-viene a cercare un complimento.
-
-Un'altra mattina lo mando a comprare due ova da far cuocere collo
-spirito. Mentre è fuori, viene un amico a parlarmi d'un affar di
-premura. Quel disgraziato rientra; gli dico: — Aspetta; — egli si mette
-a sedere in un canto, io continuo a parlare coll'amico. Dopo un momento
-vedo il soldato che si fa rosso, bianco, verde, che par seduto sulle
-spine, che non sa dove nascondere il viso. Abbasso gli occhi e vedo una
-gamba della sua seggiola leggiadramente rigata d'una striscia color
-d'oro che non avevo mai veduta. M'avvicino: è giallo d'ovo. L'infame
-s'era messo le ova nelle tasche posteriori del cappotto e, rientrando
-in casa, s'era seduto senza ricordarsi che aveva la mia colazione di
-sotto.
-
-Ma queste son rose appetto a quello che mi toccò di vedere prima
-d'averlo ridotto a mettere in ordine la mia camera, non dico come
-volevo, ma in una maniera che rivelasse, alla lontana, l'uomo
-ragionevole. Per lui l'arte suprema del metter le cose in ordine
-consisteva nel disporle l'una sull'altra in forme architettoniche,
-e la sua grande ambizione era di fabbricare degli edifizi alti. Nei
-primi giorni i miei libri formavano tutti insieme un semicerchio di
-torri tremolanti al menomo soffio; la catinella rovesciata sorreggeva
-una piramide ardita di piattini e di vasetti, in cima alla quale si
-rizzava alteramente il pennello della barba; i cappelli cilindrici
-nuovi e vecchi si elevavano in forma di colonna trionfale ad un'altezza
-vertiginosa. Per il che seguivano sovente, anche nel cuore della notte,
-rovine fragorose e vasti sparpagliamenti, che, se non fossero state
-le pareti della camera, nessuno sa dove sarebbero andati a finire.
-Per fargli capire, poi, che lo spazzolino da denti non apparteneva
-alla famiglia delle spazzole da testa, che il vasetto della pomata
-era tutt'altra cosa che il vasetto dell'estratto di carne, e che il
-tavolino da notte non è mobile da mettervi le camicie stirate, mi ci
-volle l'eloquenza di Cicerone e la pazienza di Giobbe.
-
-Se della buona maniera con cui lo trattavo, mi fosse grato, se sentisse
-affetto per me, non l'ho mai potuto capire. Una sola volta mostrò
-una certa sollecitudine per la mia persona, e la mostrò in un modo
-stranissimo. Ero a letto, malato da una quindicina di giorni, e nè
-peggioravo, nè accennavo a guarire. Una sera egli fermò per le scale
-il mio medico ch'era un uomo ombrosissimo, e gli domandò bruscamente: —
-Ma, insomma, lo guarisce o non lo guarisce? — Il medico montò in bestia
-e gli fece una lavata di capo. — Gli è che l'è già un po' lunga! —
-brontolò lui per tutta risposta.
-
-Altre volte aveva certi frulli, che, invece di rimproverarglieli, come
-avrei dovuto, non potevo far altro che riderne. Una mattina mi svegliò
-dicendomi nell'orecchio con un certo suo accento strano: — Signor
-tenente, chi dorme non piglia pesci.
-
-Un giorno entrò in casa mentre ne usciva un personaggio illustre, e
-sentì dire da un mio amico, rimasto con me, che quel tal personaggio
-era _una personalità molto spiccata_. Quindici giorni dopo, mentre
-stavo discorrendo con parecchi amici, egli s'affacciò alla porta della
-mia camera e m'annunciò una visita. — Chi è? — domandai. — È..., —
-rispose (non si ricordava il nome).... — è _quella personalità molto
-spiccata_. — Tutti diedero in uno scoppio di risa, il personaggio
-sentì, io gli spiegai la cosa, e ne rise anche lui dai precordi.
-
-È difficile dare un'idea della lingua che parlava quel curioso
-soggetto: era un misto di sardo, di lombardo e d'italiano, tutte frasi
-tronche, parole mozze e contratte, verbi all'infinito buttati là a
-caso e lasciati in aria, che facevano l'effetto del discorso di un
-delirante. Un giorno mi venne a cercare un amico all'ora del desinare,
-ed entrando in casa, gli domandò: — A che punto è del desinare il tuo
-padrone? — _Trema!_ — gli rispose il soldato. — L'amico rimase colla
-bocca aperta. Quel _trema_ voleva dire _termina_.
-
-In cinque o sei mesi, frequentando le scuole reggimentali, aveva
-imparato a leggere e a scrivere stentatamente. Fu la mia disgrazia.
-Mentre ero fuor di casa, s'esercitava a scrivere sul mio tavolino, e
-soleva scrivere cento, duecento volte la stessa parola, una parola, per
-il solito, che il giorno prima aveva sentito pronunciar da me leggendo,
-e che gli aveva fatto impressione. Una mattina, per esempio, lo colpiva
-il nome di Vercingetorige. La sera, rientrando in casa, io trovavo
-Vercingetorige scritto sui margini dei giornali, sul rovescio degli
-stamponi, sulle fascie dei libri, sulle buste delle lettere, sulle
-carte del cestino, da per tutto dove aveva trovato tanto spazio da
-ficcarvi quelle quattordici lettere predilette dal suo cuore. Un'altra
-volta gli toccava il cuore la parola Ostrogoti e il giorno dopo la
-mia casa era invasa dagli Ostrogoti. Un giorno lo seduceva la parola
-rinoceronte e la mattina seguente la mia casa era convertita in un
-serraglio di bestie feroci. Ci guadagnai però da un altro lato, e fu
-di poter abbandonare l'uso delle croci che facevo con matite di vario
-colore sulle lettere che doveva portare a mano a certe persone fisse,
-perchè non c'era verso di fargli ritenere i nomi; per cui egli soleva
-dire: questa lettera va alla signora celeste (ch'era mondana), questa
-al giornalista nero (ch'era rosso), questa all'impiegato giallo (ch'era
-al verde).
-
-Ma a proposito dello scrivere gliene scopersi una assai più curiosa di
-quelle che ho citate finora. Si era comprato un quadernino, sul quale
-copiava, da tutti i libri che gli venivano alle mani, le dediche degli
-autori ai parenti, badando sempre a sostituire ai nomi di questi,
-il nome di suo padre, di sua madre o de' suoi fratelli, ai quali
-s'immaginava di dare in tal modo uno splendido attestato di affetto e
-di gratitudine. Un giorno apersi il quaderno e vi lessi, fra le altre,
-le dediche seguenti: — _Pietro Tranci_ (era suo padre, contadino),
-_Nato in povertà, Seppe collo studio e colla perseveranza Acquistarsi
-un posto segnalato fra i dotti, Soccorrere genitori e fratelli,
-Degnamente educare i figli. Alla memoria dell'ottimo padre Questo
-libro intitola L'autore Antonio Tranci_, invece di Michele Lessona.
-In un'altra pagina: — _A Pietro Tranci mio Padre Che annunziando al
-Parlamento subalpino Il disastro di Novara Cadeva svenuto al suolo, E
-tra pochi giorni moriva Consacro questo Carme_, ecc. — Più sotto: — _A
-Cagliari_ (invece di Trento) _Non ancora rappresentata nel Parlamento
-italiano_, ecc. _Antonio Tranci_, invece di Giovanni Prati.
-
-Quello che mi meravigliava di più in lui, — che non aveva mai visto
-nulla, — era una assoluta mancanza del sentimento della meraviglia,
-qualunque cosa, per quanto straordinaria, egli vedesse. Vide, nel tempo
-che stette a Firenze, le feste per il matrimonio del Principe Umberto;
-vide l'opera e il ballo alla Pergola (non aveva mai visto un teatro);
-vide le feste del carnevale e l'illuminazione fantastica del viale
-dei Colli; vide cento altre cose nuove affatto per lui, che avrebbero
-dovuto stupirlo, divertirlo, farlo parlare. Nulla di tutto questo.
-La sua ammirazione non andava mai più in là della solita formola: —
-Non c'è male. — Santa Maria del Fiore.... non c'è male; la Torre di
-Giotto.... non c'è male; il palazzo Pitti.... non c'è male. Io credo
-che se Domeneddio in persona gli avesse domandato che cosa gli pareva
-della creazione, gli avrebbe risposto che non c'era male.
-
-Dal primo all'ultimo giorno che stette con me, fu sempre dello stesso
-umore, tra serio ed allegro; sempre docile, sempre stordito, sempre
-puntuale a capire le cose a rovescio, sempre immerso in una beata
-apatia, sempre stravagante ad un modo. Il giorno che ricevette il
-suo congedo, scribacchiò non so quante ore nel suo quaderno colla
-stessa tranquillità degli altri giorni. Prima di partire venne ad
-accomiatarsi. La scena della separazione fu poco tenera. Gli dimandai
-se gli rincresceva di lasciar Firenze. Mi rispose: — Perchè no? — Gli
-dimandai se tornava a casa volentieri. Mi rispose con una smorfia che
-non capii.
-
-— Se avrà bisogno di qualche cosa, — disse all'ultimo momento, — scriva
-pure che mi farà sempre piacere. — Grazie tante! — gli risposi. E
-così uscì di casa, dopo più di due anni che stava con me, senza dar il
-menomo segno nè di rincrescimento, nè di allegrezza.
-
-Io lo guardai mentre scendeva le scale.
-
-Tutt'a un tratto si voltò.
-
-— Stiamo a vedere, — pensai, — che il suo cuore s'è svegliato e che
-ritorna a congedarsi in un altro modo.
-
-— Signor tenente, — disse: — il pennello per la barba l'ho messo nella
-cassetta del tavolino più grande.
-
-E disparve.
-
-
-
-
-BATTAGLIE DI TAVOLINO
-
-
-Un giorno un mio amico mi disse: — Tu non studii abbastanza; tu
-leggi; leggere non è studiare; leggere è un piacere, e studiare è una
-fatica: infatti tutti leggono e pochissimi studiano. Quali sono le ore
-della giornata che tu dedichi a uno studio profondo? a quel lavoro di
-figgersi nella mente le cose lette, di pensarle, di rimestarle, di
-raffrontarle, di spremerne il sugo? a quella fatica di raccogliere
-cognizioni precise, di formarsi giudizî proprî, di combattere,
-ragionando, i giudizî altrui, che dissentano da' tuoi? Tu con la mente
-non lavori, ti balocchi.
-
- *
- * *
-
-A vent'anni quante ragioni si trovano da opporre a questi consigli!
-I libri, i libri! O che si vive pei libri? Io ho del sangue nelle
-vene, io ho bisogno d'aria e di luce, io voglio leggere il gran libro
-della vita. Prima di studiare bisogna vivere. Perchè legarmi a questo
-strumento di tortura ch'è il tavolino? La vita è moto; chi si muove è
-sano, chi è sano è allegro, chi è allegro è buono, e chi è buono è più
-caro a Dio e più utile agli uomini che questi eremiti della società
-che si sono logorati sui libri, pieni di vanità, gonfi d'orgoglio e
-svogliati d'ogni cosa.
-
- *
- * *
-
-Le prime lotte son dure. Voi avete preso la risoluzione di studiare,
-date un addio agli amici, correte a casa, aprite un libro. A un tratto
-sentite non so che dentro di voi che dà indietro, che si raggomitola,
-che si scontorce. Voi ravvicinate la seggiola, e vi ripiegate sul
-libro, e vi sentite sbalzato indietro daccapo. V'è qualcuno dentro
-di voi, un nemico sordo, muto, cocciuto, che s'impenna, s'ostina,
-non vuole intendere ragione; un poltrone che si dibatte come se lo
-trascinassero al supplizio. E la lotta dura molto tempo e diventa
-accanita fino a farvi morder le dita e picchiare il pugno nel muro
-senza quasi sentirne dolore, come se veramente quelle offese non
-fossero fatte a voi, ma all'_altro_; e voi foste intimamente persuaso
-che siete in _due_: un capitano animoso e un soldato vigliacco.
-
- *
- * *
-
-Poi si provano le prime gioie della vittoria. Vien sempre il momento in
-cui l'_io_ che vuole, traendo dall'ira la forza che non aveva potuto
-trarre dal proposito, grida un _voglio_ così imperioso, che l'_altro_
-non osa più di ribellarsi, si acquatta, si annichilisce. Allora vi
-sentite in cuore una soddisfazione piena di alterezza e assaporate la
-voluttà del comando; provate un sentimento quasi di rispetto per voi
-medesimo, come se in voi ci fosse qualcuno più valoroso e più forte di
-voi.
-
- *
- * *
-
-Dopo le prime lotte e le prime gioie, vengono i primi sconforti.
-Come nella mente del dotto una nozione chiama l'altra, e per poco che
-rimugini ne mette sottosopra una folla, ch'egli si fa sfilare dinanzi
-colla compiacenza d'un generale che passa in rassegna un esercito,
-o d'un avaro che conta le sue ricchezze; così nella mente di chi
-comincia a studiare una lacuna mette in un'altra lacuna, e il povero
-esaminatore di sè stesso, dopo aver molto errato nel vuoto, prova un
-sentimento di solitudine, che gli precide il coraggio e le forze. Da un
-dubbio di lingua a un dubbio di storia, da un dubbio di storia a uno
-di geografia, da uno di geografia a uno di fisica, e son tutte cose
-elementari, essenziali, necessarie, tali che, sebbene dalla maggior
-parte si ignorino, pare nondimeno così vergognoso l'ignorarle che s'è
-convenuto fra tutti di fingere reciprocamente di saperle. E allora,
-in quell'affollamento di stupori e di vergogne, lo assale una smania
-dolorosa di colmare quei vuoti; e tira giù libri, e rovista dizionari,
-e piega pagine, e appunta; e mentre una nozione s'appiccica, l'altra si
-stacca, e mentre questa riaderisce, quell'altre due si confondono, fin
-che gli si fa buio fitto nella testa, le braccia gli cadono, ed egli
-esclama sconfortato: È inutile, è tardi, torniamo alla vita di prima.
-
- *
- * *
-
-Il giorno dopo, a mente fresca, si ripiglia speranza e vigore. Si
-studia fino a sera e la sera si coglie il premio. In quel breve riposo
-che ci si concede dopo un sobrio desinare, tutte le cose imparate,
-come se si fossero data la posta, balzan tutte insieme dai ripostigli
-della mente, vengono a galla, non cercate, con una specie di gara a
-chi giunga la prima, e fanno nella testa un tumulto che non si può
-esprimere. Sentenze di filosofi e regole di grammatica, versi e date,
-immagini e pensieri lucidissimi; e poi bagliori, barlumi lontani
-d'altri pensieri e d'altre immagini così fitti e rapidi che non lascian
-vedere le lacune oscure che poc'anzi ci prostravano nello sgomento.
-Quelli son momenti di gioia viva.
-
- *
- * *
-
-Il sacrifizio più duro è quello della sera nella bella stagione.
-L'aria è odorosa, la città è splendida, udite giù per le scale il
-passo affrettato dei vicini, e risa di ragazze e di fanciulli; poi
-il rumore nella strada; poi la casa rimane silenziosa. Tutti sono
-usciti, rimanete solo. Allora vi tocca combattere contro le immagini
-seduttrici. Avete la fantasia eccitata dalla lettura, siete giovane,
-la lotta è fiera. È appena credibile quello che segue allo studioso in
-quei momenti. A volte vi sentite veramente soffiare nel viso un alito
-di donna che vi rimescola; vedete passare a traverso il vostro libro
-una treccia di capelli; udite dei passi leggeri, dei respiri, qualcosa
-che s'agita nell'aria. Allora vi piglia quella maledetta tentazione di
-dar una pedata al tavolino e di buttar a terra ogni cosa, gridando con
-un accento di trionfo e di disprezzo: — Alla cassetta della spazzatura,
-cartaccie! Io voglio vivere!
-
- *
- * *
-
-Sono belle e feconde queste battaglie combattute nel silenzio d'una
-cameretta tra l'immensa avidità del sapere e la foga prepotente della
-giovinezza; questo divincolarsi sotto un giogo che ci siamo imposti noi
-stessi. Il sudore che ci esce dalla fronte in questa fatica è un sudore
-salutare, la stanchezza che ne segue è madre di nuove forze. Allora si
-comprende che son sapienti certi consigli che ci parevan degni di riso.
-Allora si vede la necessità di combattere acerbamente questo corpo
-ribelle che ci vuole imporre una disciplina codarda; d'infliggergli dei
-patimenti che lo prostrino, non tanto da renderlo inetto a servire, ma
-abbastanza perchè non possa più comandare. Allora si piglia l'abitudine
-della colazione alla Franklin: pane, frutta, acqua, e di rigore in
-rigore, si è condotti logicamente fino a fare uno sforzo per non
-appoggiarsi alla spalliera della seggiola; concessione pericolosa, che
-per una serie d'altre concessioni conduce insensibilmente a ricominciar
-la battaglia.
-
- *
- * *
-
-L'arte di comandare a sè stessi consiste in gran parte nel trovar
-argomenti e parole efficaci per movere in noi la vergogna. Ci vuol
-immaginazione ed eloquenza. Una mattina ch'ero svogliato mi costrinsi
-a studiare con questo discorso. Supponi che le pareti, i solai, le
-scale della casa diventino ad un tratto trasparenti. Guarda in alto,
-in basso, intorno. Tu vedi da ogni parte menar scope, smover sacconi,
-spolverar mobili; la casa è tutta in moto e in faccende. Ebbene,
-giurami che se tutte quelle donne colle maniche rimboccate e il viso
-luccicante di sudore si voltassero tutt'insieme a guardar te sdraiato
-sulla poltrona colle braccia in croce, giurami che, in quel punto, non
-proveresti un senso di vergogna, non ti verrebbe fatto di afferrar
-subito un libro per fingere almeno che studiavi, non ti verrebbe
-detto, come a un ragazzo côlto in fallo, con accento di scusa: — Ma io
-lavoravo, sapete!
-
- *
- * *
-
-T'amo, o tavolino! Tu, fra tutti gli oggetti della casa, sei il solo
-che rappresenti l'amicizia fedele. La porta che, nei nostri begli
-anni, risuona qualche volta al tocco d'un ditino, che ci fa balzare
-in piedi col cuore in sussulto, finisce col non aprirsi più che a
-qualche vecchio amico che ci viene a parlare di malanni. Lo specchio,
-che ci dice tante care cose, fin che abbiamo l'occhio scintillante e
-la guancia rosea, finisce per diventarci odioso come un importuno che
-ci rammenti sempre una sventura che vorremmo dimenticare. Il letto sul
-quale ora dormiamo i sonni pieni e quieti della giovinezza, finisce
-per diventare un giaciglio di spine sul quale cerchiamo inutilmente
-il riposo. Tu, tavolino, sei l'ultimo ridotto nel quale, affranti
-dai disinganni, ripariamo. Caro quando, accesi dall'ispirazione, ti
-percotiamo col pugno vigoroso, presentendo la gioia dei trionfi; ci
-sei caro ugualmente quando torniamo a te col cuore contristato da una
-speranza miseramente delusa. Giovani, t'amiamo per la gloria; vecchi,
-per la pace; e riedifichiamo su te l'edifizio caduto della giovinezza.
-
- *
- * *
-
-V'hanno dei momenti nella giornata dello studioso, — anche giovane,
-— nei quali la vita, — non so per che improvviso rivolgimento d'idee
-— gli si presenta al pensiero soltanto sotto i tristi aspetti; i
-pericoli, le delusioni, le lotte inutili, la vanità di ogni cosa;
-— e tutte queste immagini gli paion come altrettante figure umane
-che, accennando lui, dicano: — Ecco un fortunato! — In quei momenti
-egli prova qualcosa di simile al sentimento di chi, stando chiuso in
-una stanza calda, vede cader la neve nella via. Egli si sente bene
-nel suo covo, è contento della maniera di vita che ha scelta, prova
-come un bisogno di rannicchiarsi, vorrebbe vivere in un guscio anche
-più piccino, per tapparvisi meglio, per essere più al sicuro. Gli
-par di essere nella sua stanza piena di libri come in una fortezza
-inespugnabile, fornita di provvigioni inesauribili, in mezzo à una
-vasta pianura corsa da eserciti furiosi che spargano sangue e paura.
-
- *
- * *
-
-V'hanno altri momenti, per contro, nei quali par che vi manchi tutt'a
-un tratto il calore intimo della vita del pensiero. Allora ogni
-cosa si agghiaccia intorno a voi; lo scopo delle vostre fatiche vi
-par puerile; vi piglia un'uggia invincibile di tutto ciò che avete
-dinanzi agli occhi e sotto le mani; i vostri libri ve li sentite come
-ammontati tutti sul petto; la finestra vi par diventata lo spiraglio
-di un carcere; il soffitto vi par che s'abbassi sulla vostra testa. Vi
-manca il respiro, v'alzate, vi guardate allo specchio: avete i capelli
-aruffati, la barba lunga, gli occhi rossi; vi sentite inselvatichito,
-avvilito; vi pare d'esservi svegliato in una spelonca; provate quasi
-orrore di esser così solo, intanato; pensate agli amici, alla campagna,
-alla musica, alle signore eleganti, e dite a voi medesimo che siete un
-insensato e un infelice.
-
- *
- * *
-
-Certe figure d'amici vostri che sanno tanto più di voi, dopo che vi
-siete dato a studiar di proposito, ingigantiscono. Prima vi pareva
-che i lampi che voi mandate valessero assai più dell'oro che essi
-possedono, e vi meravigliavate che anch'essi non fossero del vostro
-parere. Ma a poco a poco siete arrivato a capire come un uomo che
-ha studiato davvero, che ha fatto di quegli sforzi di volere che
-costano lotte faticosissime, e riportate di quelle vittorie intime che
-insuperbiscono al pari d'un trionfo pubblico, debba naturalmente far
-poco conto dell'ingegno che s'alza per la sola forza delle sue ali; che
-molto ardisce perchè ignora molto; che non sente la sua vacuità perchè
-non essendosi mai messo alla grave impresa di riempirla, non l'ha mai
-misurata. Capite ora come a quell'uomo l'opera d'un tale ingegno debba
-parere un edifizio fragile. Anche voi, a pari altezza, ammirate di
-più il vertice immobile d'una piramide che l'ondeggiamento d'un cervo
-volante. Chi studia, conquista; l'ingegno incolto, al suo paragone, par
-che rubi. Molti che vi parevano invidiosi perchè non vi battevano le
-mani, capite ora che non avevano per voi altro sentimento che quello
-d'una fredda disistima. Essi sono boccie di cristallo, e voi siete
-bolle di sapone.
-
- *
- * *
-
-Studia; ma non ti rintanare, scriveva il Giusti a suo fratello; e v'è
-un proverbio spagnuolo che tradotto letteralmente, dice: «corsa che non
-dà il puledro nel corpo gli rimane.» Guai al giovine che per studiare
-si seppellisce! La durerà più o men tempo, e poi gli piglieranno
-delle malinconie disperate. Per non aver creduto a chi mi dava questo
-consiglio, mi svegliai qualche volta con una così profonda ripugnanza
-per lo studio e per la casa, che scappai come un frenetico, corsi alla
-campagna, camminai tutta la giornata, dormii in un villaggio, e non
-tornai in città che il giorno dopo come torna un forzato alla galera.
-E non bisogna tuffarsi intero negli studî, anche per non perdere ogni
-attitudine alla vita sociale. Chi sta troppo solo, non più usato a
-tollerare i difetti dei suoi simili, a far sacrifizî d'amor proprio,
-a soffrire degli attriti spiacevoli, quando poi ritorna in mezzo
-alla gente si sente urtato e punto in mille modi, da mille parti. E
-va qualche volta tant'oltre questa sensitività penosa, da renderci
-insopportabile la più leggiera contraddizione. Nello studio solitario
-l'amor proprio ingigantisce; l'_io_ diventa formidabile. Le nostre
-fatiche eccessive par che ci diano il diritto, — qualunque sia il
-frutto che ne ricaviamo, — di tenerci da più degli altri. Assuefatti
-nel nostro piccolo mondo a regnar da principi assoluti, portiamo anche
-fuori di esso le pretensioni e le arroganze principesche. Bisogna andar
-sempre fra la gente per farsi rintuzzare le corna dell'orgoglio.
-
- *
- * *
-
-Una volta stetti tre mesi di seguito chiuso in casa a studiare, dalla
-mattina alla sera, non uscendo che un po' dopo desinare per pigliare
-una boccata d'aria. Facevo la colazione alla Franklin, bevevo appena un
-bicchier di vino al giorno, non fumavo, mi levavo la mattina all'alba.
-Volli esprimentare fino a che punto di elasticità e di forza si
-potessero condurre le facoltà mentali, e che miglioramento si operasse
-nelle morali, rifiutando al corpo tutto quello che infiacchisce le une
-e corrompe le altre.
-
- *
- * *
-
-I frutti del primo mese e di mezzo il secondo furono ammirabili.
-Sentivo la verità di quella sentenza del Rousseau: — Un giovane che
-vivesse in questa maniera fino a venticinque anni, schiaccerebbe poi
-facilmente tutti gli altri. — La memoria mi s'era fatta più facile e
-più tenace; capivo a volo cose che prima mi davan da pensare un'ora;
-idee che pel passato mi si svolgevano nella mente come un filo
-sgomitolato a fatica, ora scoppiettavano tutte insieme, al menomo
-tocco, come un nuvolo di scintille; ragionando, sentivo che andavo
-più addentro; parlando, dovevo fare uno sforzo per contenere la piena
-delle parole che volevano prorompere. Poi, per quello che riguarda
-il sentimento, valeva addirittura il doppio. La commozione che mi
-dava la lettura delle cose poetiche, era più pronta e più durevole.
-Leggendo ad alta voce certi versi, mi sfuggivan persino delle grida.
-Mi rendevo ragione di certi esaltamenti, che m'erano parsi fino allora
-inesplicabili, di artisti, o di uomini nati per essere artisti, che
-alla lettura di certi libri erano stati presi dalla febbre, avevan
-dato in voci e in gesti da spiritati. E di tutti gli effetti di
-quella maniera di vita, quello che mi colpiva di più era questo: che
-il mio pensiero tendeva sempre a andare in su, a smarrirsi fuori del
-mondo. Per ore e ore non facevo che fantasticare intorno agli astri,
-all'immortalità dell'anima, all'infinito. Mi ero chiuso la porta
-di casa, scappavo pel tetto. Ma, in complesso, il miglioramento era
-grande.
-
- *
- * *
-
-Il terzo mese fu un mese di lotta, e finì colla mia sconfitta. Mi
-parve che la mia intelligenza diventasse inerte e la mia memoria
-s'intorbidasse. Rimaneva la commovibilità, ma era giunta al segno
-da potersi chiamare piuttosto irritazione morbosa che vigore sano di
-sentimento. Ero diventato stravagante. A volte, smettevo di leggere,
-per far dei giuochi di forza colle seggiole, fin che sgocciolavo di
-sudore. Sovente mi mettevo davanti allo specchio e discorrevo con me
-gesticolando e ridendo. Ebbi perfino paura che mi desse un po' volta il
-cervello. La mia padrona di casa mi diceva spesso: — Ma che vita la fa,
-caro signore? — L'ultima settimana non studiai quasi affatto. Eppure
-non volevo cangiar vita. Era una picca d'amor proprio. Avevo detto
-agli amici che non mi sarei più fatto vedere; non m'avean creduto;
-volevo spuntarla. Finalmente, una sera, irruppero in casa mia alcuni
-compagni del buon tempo, mi chiusero i libri, mi misero il cappello, mi
-cacciaron fuori a spintoni, e fu finita. Dopo d'all'ora passai due mesi
-quasi nell'ozio: solita conseguenza di queste pazzie di solitudine.
-Ma il primo giorno la pagai cara. Svegliandomi non mi ricordai subito
-della scappata della sera, e corsi col pensiero alla vita di prima.
-Allora il ricordo saltò su, vidi i miei bei propositi andati in fumo,
-la catena dei miei sacrifizî spezzata, tutto l'edifizio innalzato nella
-solitudine, in rovine; e mi sentii oppresso da una grande tristezza,
-come una fanciulla alla quale fosse stato tolto a tradimento il diritto
-di portare quel nome.
-
- *
- * *
-
-Il miglioramento che s'era operato in me in quel primo mese di vita
-austera, mi fece persuaso di questa verità, che bisognerebbe pestar
-bene nella testa a tutti i giovani: che, cioè, noi non ci accorgiamo
-del danno che fanno all'intelligenza e al cuore i disordini giovanili,
-anche quelli che paiono, per la loro natura e per la loro misura, più
-perdonabili; ma che ne fanno, ne fanno, ne fanno. Un giovane d'ingegno
-vivacissimo e di vita disordinata, col quale un giorno mi trattenni
-su questo argomento, diceva: — Sì, ammetto, si reggerà un po' meno al
-lavoro, si scriverà cinque ore invece di dieci; ma l'ingegno non ne può
-soffrire; un uomo d'ingegno riman sempre un uomo d'ingegno; il lavoro
-della creazione artistica non può essere turbato. — E che ne sai? gli
-domandai. Puoi tu accorgerti di tutte le piccolissime alterazioni che
-si producono nella misteriosa macchina del pensiero? Puoi dire, quando
-ti si desta nella mente quel tumulto d'idee che precede l'ispirazione,
-puoi dire che non se ne desterebbe nessuna di più, se il giorno prima
-non avessi disordinato? Si citano i grandi scrittori che han menato
-una vita disordinata. Ma chi può dire che i cattivi versi e le pagine
-scipite che sono uscite anche dalla loro penna, non corrispondano
-appunto a quei giorni della loro vita in cui non vissero come dovevano?
-Sappiamo noi se, vivendo in un'altra maniera, non avrebbero fatto
-un'opera completa di ciò che ci hanno lasciato in frammenti?
-
- *
- * *
-
-Un giovane che stia solo, se studia, se riman molto in casa, non solo
-finisce per amare la sua casa, ma per rispettarla; e molte cose che
-prima non gli parevano, gli paiono dopo una profanazione. Fra quelle
-quattro pareti dove avete provato tante nobili emozioni, leggendo,
-scrivendo, fantasticando creature eccelse e grandi amori, vi ripugna,
-vi umilia lasciar penetrare qualcuno per cui i vostri studî, il vostro
-ingegno, la parte più eletta di voi, è un argomento di riso o un
-mistero.
-
- *
- * *
-
-La gioia che viene dalla fatica è grande, e grande quella che viene
-dall'ingegno; ma più grande senza paragone è quella che viene dalla
-fatica dell'ingegno. — Io lavoravo da quasi un anno intorno a quel
-soggetto; non avevo mai fatto, sopra un soggetto unico, un così
-lungo lavoro; e perciò mi pareva assai più lungo di quello che ora mi
-parrebbe. Quando s'ha la penna facile, e molte cose belle da dire (o se
-non belle, liete), pare che lo scrivere dovrebbe essere un godimento,
-che la giornata dovrebbe riuscir breve alla furia dell'opera, che l'ora
-del lavoro dovrebbe essere aspettata con desiderio impaziente. Eppure,
-erano appena due o tre giorni ogni quindici quelli in cui mi mettevo
-a tavolino volentieri e scrivevo di vena; tutti gli altri giorni
-pigliavo la penna collo stesso animo col quale lo schiavo afferra lo
-strumento del lavoro che lo rifinisce. Certi giorni avrei preferito
-vangare, spaccar legna, e portar sacchi come un facchino, piuttosto che
-scrivere. Rimandavo d'ora in ora il momento di cominciare, cercando
-mille pretesti, come per ingannare me medesimo; e talvolta, per
-salvarmi dal rimorso di quell'ozio, m'imponevo delle fatiche ch'erano
-in realtà assai più gravi che quella dello scrivere; come fare una
-carta geografica, studiare a memoria lunghi squarci di prosa, imparare
-sterminate filze di vocaboli d'una lingua straniera. Quando non avevo
-ancora scritto che una cinquantina di pagine del mio libro, mi pareva
-che, una volta arrivato a metà, avrei tirato un gran respiro e sarei
-andato innanzi sino alla fine, quasi senza sforzo; e pensavo sempre
-a quella metà benedetta, come si pensa al termine d'un viaggio pieno
-di traversie. Ma arrivato che ci fui, non provai nulla di quanto
-avevo sperato; e rimisi le mie speranze ai due terzi. Quante volte,
-anche dopo fatto più di mezzo il lavoro, fui tentato di rinunziare a
-finirlo! Quante volte mia madre, vedendomi in un canto della stanza
-colle braccia incrociate e gli occhi fissi, mi domandò: — Ebbene,
-a che punto siamo? — e io le risposi: — Indietro, cara, indietro, e
-ho paura che non andrò più innanzi! — Mi ricordo che invidiavo mio
-fratello, perchè impiegato che non aveva che da andare all'uffizio;
-che invidiavo tanti miei amici i quali non scrivevano che articoletti
-di giornale; che invidiavo tutti coloro che non avevano sul collo
-quel giogo di dover star tanti mesi lì a tavolino a stillarsi sulla
-stessa cosa, quella prigionia dell'immaginazione, quella schiavitù
-del pensiero, quel supplizio di tutti i giorni e di tutti i momenti.
-Finalmente giunsi alle ultime pagine. Ebbi un ultimo scoraggiamento,
-chi lo crederebbe? quando non me ne rimanevan più da scrivere che una
-quarantina; ma fu breve; dopo di che mi prese un'attività impetuosa,
-gioiosa, febbrile, che durò fino al momento che scrissi l'ultima
-parola. Ricordo come se fosse ieri l'ora, il tempo, la luce che
-inondava la mia stanzina, l'odore di primavera che di tratto in tratto
-mi portava il vento, e persino l'ordine in cui eran disposti i miei
-fogli sul tavolino, quando scrissi con mano agitata la parola: — Fine.
-— Dio buono, era un ben meschino lavoro quello ch'io finivo, appetto
-alle fatiche ventenni (rido del paragone) del Gibbon, del quale avevo
-letto pochi giorni innanzi la bellissima prefazione alla _Storia della
-decadenza dell'impero romano_! Eppure, in quel momento, sentii anch'io,
-come lui, l'immensa gioia della libertà riacquistata, e mi parve di
-affacciarmi a una nuova vita. Mia madre non sapeva nulla; il giorno
-prima le avevo detto che mi rimaneva un'altra settimana di lavoro; e
-la mattina medesima le avevo annunziato che appena scritta l'ultima
-pagina avrei rimesso in ordine i miei libri che da parecchi mesi erano
-tutti sossopra, e fatto un _ripulisti_ generale sul tavolino, che era
-un monte di carte e di prove di stampa da non potercisi raccapezzare.
-L'ordine nella mia stanza sarebbe stato il segnale della fine del mio
-lavoro. Mi misi dunque in fretta e in furia, ma senza fare rumore, per
-non mettere sull'avviso mia madre, a ordinare, a pulire, a sgombrare,
-col tremito in cuore di esser sorpreso, trattenendo ogni momento il
-respiro per sentire se nessuno s'avvicinava, ridendo da me come un
-fanciullo e soffocando le risa, finchè tutti i libri furono al posto,
-tutte le cartacce nella cesta, e sul tavolino non rimase che il
-calamaio, la penna e gli ultimi fogli del manoscritto. Allora sedetti
-ed aspettai; il cuore mi batteva forte, mi sentivo il volto acceso,
-sudavo. Passarono alcuni minuti, nessuno veniva: cominciai a tossire;
-mi misi a cantarellare. Allora udii nella stanza vicina il passo di
-mia madre, mi alzai, le corsi incontro. Essa mi guardò e mi domandò
-con aria di meraviglia: — Che cos'hai? — Io le accennai il tavolino
-e dissi: — Guarda! — Guardò, non capì subito, stette un momento sopra
-pensiero, e poi gridò con uno slancio di gioia: — Ma dunque hai finito!
-— Io le gettai le braccia al collo, ed essa mormorò con voce commossa:
-Povero figliuolo!
-
-Tutt'a un tratto mi sentii mutare quella gioia vivissima in un
-sentimento quasi di mestizia. Mia madre se ne accorse e mi domandò:
-— A che pensi? — O madre mia, risposi, penso che per meritare questa
-soddisfazione avrei dovuto fare ben altro lavoro! Nondimeno son
-contento (e qui soggiunsi una frase che soglio dirle quando son
-contento, e che la fa sempre ridere) e ti ringrazio d'avermi messo al
-mondo.
-
-Ciò detto, le porsi il braccio, uscimmo dal mio gabinetto, e facemmo la
-nostra entrata trionfale nella stanza da pranzo dov'era il resto della
-famiglia.
-
-Vorrei che la donna che mi ama m'avesse visto in quel punto, perchè, lo
-dico francamente, ero bello.
-
- . . . . . . .
-
-
-
-
-UN INCONTRO
-
-
- Caro ***
-
-Ti spiego la cagione del _singolare aspetto_ che tu mi vedesti, giorni
-sono, quando c'incontrammo di sfuggita nella stazione di A.ª Non t'ho
-da raccontare un'avventura, od è un'avventura diversa dalle solite, che
-consiste in un sentimento piuttosto che in un fatto. Ti ricordi della
-_Soireé perdue_ del Musset, di quella figura gentile vista al teatro
-e perduta d'occhio all'uscita? Io ti debbo raccontare qualche cosa di
-simile.
-
-La mattina di quel giorno, partendo da T***, entrai, per caso, in un
-vagone, dove non c'era che una signora, seduta dalla parte opposta
-all'entrata, col viso rivolto fuori. Sentendomi entrare, si voltò, mi
-diede un'occhiata, e riprese l'atteggiamento di prima. Era una signora
-sui quarant'anni, pallida, sottile, un po' accasciata della persona, e
-vestita con quella trascuratezza signorile, che rivela più l'abitudine
-che lo studio dell'eleganza. Il treno partì senza che entrasse nessun
-altro.
-
-Mentre io stava aspettando che si voltasse per vederla meglio, essa
-fece un gesto colla mano per aggiustarsi i capelli; un gesto che, sul
-primo momento, mi colpì; e un momento dopo, pensandoci, mi destò una
-lontana reminiscenza insieme a un sentimento di grata meraviglia. Avevo
-una canna fra le mani, la lasciai cadere; essa si voltò — la vidi in
-viso — e il cuore mi diede un balzo. Non m'ero ingannato, era lei.
-Essendosi accorta che avevo mostrato di conoscerla, da quel momento
-in poi si voltò di tratto in tratto a guardarmi, come se aspettasse
-che io le dirigessi la parola; e così potei vederla bene e finire di
-riconoscerla.
-
-Dio del cielo! Io non avrei mai creduto che un viso umano potesse in
-così breve tempo cangiarsi tanto. È vero che non l'avevo più vista
-da quattordici anni; ma a quel tempo — me ne ricordo — essa aveva
-vent'anni al più; era fresca, florida, splendida; era una delle più
-belle signore della piccola città di G. che io pure abitavo; ed ora,
-poco più che trentenne, pareva invecchiata non di quattordici, ma quasi
-di trent'anni. Appena si riconosceva, piuttosto che ai lineamenti,
-a una certa espressione del suo sguardo dolce insieme e triste, che
-pareva il presentimento d'una vita sfortunata, ed era la sua più
-cara attrattiva. S'era fatta smorta, aveva qualche ruga sulla fronte,
-qualche capello bianco sulle tempie, e le mani smunte e color di cera.
-Che cosa era seguíto nella sua vita? Io non ne sapevo, e non ne so
-ancora che assai poco e in confuso. Prima dei diciott'anni era rimasta
-vedova, e due anni dopo s'era rimaritata. E fu appunto in quel tempo,
-quando colui che fu poi il suo secondo marito, le faceva la corte,
-che io la conobbi — nient'altro che di vista — e da lontano. Seppi
-poi che il suo secondo marito era un uomo disordinato e violento, e
-ch'essa menava una vita assai triste; ma ero lontanissimo dal pensare
-che potesse aver sofferto tanto da trasfigurarsi in quella maniera. Ora
-su quel viso si leggeva una lunga storia di disinganni, di sagrifizî,
-di torture. Pace, bellezza, gioventù, tutto se n'era andato. Erano
-stati quattordici anni di distruzione. Non le rimaneva più che quello
-che non si può perdere: la grazia, e quella dignità tranquilla e soave
-che viene dalla vita onesta, dalla rassegnazione, e dall'abitudine dei
-sentimenti gentili.
-
-Passata la prima meraviglia e il primo senso di tristezza, pare che
-tutto avrebbe dovuto finir lì. Ma per me c'era una ragione che mi
-faceva sentire con più amarezza il suo cambiamento, che mi destava per
-lei un sentimento di viva pietà, una sollecitudine gentile, qualche
-cosa a cui non so trovare un nome, ma che mi metteva il desiderio di
-coprir di baci quella povera mano consunta; il desiderio, che so io?
-che un assassino ci assalisse, e che difendendola, mi toccasse una
-pugnalata — non dico nel petto — ma almeno in un braccio o in una
-mano, tanto da poter dire d'aver versato un po' di sangue per lei.
-Non potevo staccar gli occhi dal suo viso. Quando incontravo il suo
-sguardo mi veniva il suo nome sulle labbra. Stropicciavo le mani,
-ero inquieto; avevo bisogno di parlarle, e non osavo. Essa finì per
-accorgersi della mia inquietudine e ne parve meravigliata e intimorita.
-Allora, vedendo che non m'era più possibile tacere, perchè dovevo, se
-non altro, giustificare il mio contegno, mi feci coraggio e le domandai
-timidamente:
-
-— Perdoni.... Lei è la signora ***? e dissi il nome del suo secondo
-marito.
-
-La mia timidità, e il fatto che io sapessi il suo nome, la
-rassicurarono completamente. Mi rispose di sì e stette a guardarmi con
-molta curiosità.
-
-— Glie l'ho domandato — soggiunsi — perchè non ne ero ben certo....
-Erano quattordici anni che non avevo la fortuna di vederla.
-
-Arrossì, pensando certo al gran cambiamento che dovevo aver notato in
-lei, e mi guardò attentamente come per cercare di riconoscermi e dirmi
-nello stesso tempo che non mi riconosceva.
-
-— Lei non può sapere chi sono nè ricordarsi d'avermi veduto. Io non ho
-mai avuto l'onore di parlarle. La conoscevo di vista, nella città di
-G., nell'anno 1860. Io avevo quattordici anni, andavo ancora a scuola.
-Lei era vedova. La sua casa aveva il portone in via degli Olmi, ma lei
-entrava sempre per la porticina della strada accanto. Lei andava al
-teatro tutte le sere, nel palco numero nove, prim'ordine, a destra.
-Portava sovente un vestito di seta lilla. La sera del primo dell'anno
-le cadde un braccialetto in platea. Aveva un ventaglio tutto d'avorio
-e teneva per abitudine la mano destra fuori del palchetto.
-
-La signora rimase meravigliata, stette un po' pensando, e poi esclamò
-sorridendo: — È vero!... Ma come mai si può ricordare di tutte queste
-cose?
-
-— Vuol che glielo dica francamente? — domandai.
-
-— Lo dica pure, — rispose, guardandomi con grande curiosità.
-
-— E mi promette prima di credere che qualunque cosa io dica, non dirò
-una sola parola che non si accordi col profondo rispetto dovuto a una
-signora come lei?
-
-Mi guardò un momento con stupore, e poi rispose titubando: — .... Non
-ne potrei dubitare. Ma di che si tratta dunque?
-
-— Animo.... Bisogna pur dirlo. Lei è stata la prima donna che io ho
-amata in vita mia. — È detto.
-
-Arrossì, si mise a ridere, e dopo avermi guardato attentamente,
-rispose: — Non è possibile.
-
-— Non è possibile? — io dissi. — È tanto possibile che è vero come il
-sole, cara signora. Mi faccia la grazia d'ascoltare. Mi ricordo ogni
-cosa come se fosse ieri. L'avevo vista le prime volte al teatro, e
-m'ero fatto abbonare da mio padre, unicamente per vederla, e mi mettevo
-ogni sera nell'ultimo banco della platea in faccia al suo palco. Da
-principio non era che simpatia, che so io? ammirazione. Poi, a poco
-a poco, mi si accese il cuore e la testa.... Perdoni, signora, se
-m'esprimo in questi termini; non saprei dir la cosa altrimenti....
-Insomma, finii per innamorarmi perdutamente di lei.... Le giuro che le
-dico la verità.... E non può immaginare fino a che segno arrivassi. Chi
-m'avesse costretto a mancare una sera al teatro, m'avrebbe messo alla
-disperazione. Io stavo delle mezz'ore intere a guardarla, immobile,
-inchiodato, pietrificato, che m'avrebbero potuto fotografare cento
-volte. Mi par strano persino che non se ne sia mai avvista. Se ne
-avvidero altri. Poveretto me, se sapesse quante ne passavo! La farò
-ridere. Quando lei entrava nel suo palchetto, mi pareva che il fruscío
-del suo vestito fosse un gran rumore che facesse voltare tutto il
-teatro a guardarmi, e mi sentivo morire dalla vergogna. Non perdevo,
-non dico un movimento della sua testa, ma nemmeno una contrazione del
-suo viso, delle sue labbra, della mano che teneva fuori del palco.
-Quando i suoi occhi cadevano, per caso, sul mio banco, mi saliva
-un'ondata di sangue alla testa. Cose da non credersi. Se sapesse quante
-parole appassionate le dicevo dentro di me, guardandola, quando sonava
-l'orchestra! Quante volte ho desiderato che pigliasse fuoco al teatro,
-per correre a salvarla! Mi rodevo di dispetto contro gli ufficiali
-che passavano sotto il suo palco, e colla punta del cheppi toccavano
-quasi il suo ventaglio. Avrei schiaffeggiato gli uomini che andavano
-a farle visita. Una sera fischiai un tenore che lei aveva guardato col
-canocchiale. Le mie serate, insomma, erano una successione di rossori,
-di batticuori, di gelosie, alle quali, il giorno dopo, corrispondevano
-altrettante sgrammaticature nella composizione latina. Capisce,
-signora? E fra tanti ammiratori che la circondavano, a lei non passava
-nemmeno per la mente che il più ardente di tutti fosse un povero
-scolaretto di ginnasio, il quale non doveva avere che quattordici anni
-dopo la fortuna di rivolgerle la parola.
-
-La signora che durante la mia chiacchierata ora aveva sorriso, ora
-arrossito, e ora corrugato le sopracciglia, quand'ebbi terminato, rise
-più forte e si coperse il viso col ventaglio. Poi mi domandò con viva
-curiosità: — Ma dice tutto questo sul serio?
-
-— Sul serio? — io continuai. — Le dirò ben altro. Me lo permette?...
-Che vuole?... Provo un gran piacere a rammentare quel tempo che fu il
-più tempestoso della mia adolescenza. La cosa era giunta al punto,
-che quando, in casa mia, sentivo pronunziare il suo nome, scappavo
-in un'altra stanza col viso rosso come una melagrana. Studiavo in
-una stanzina con mio fratello maggiore, il quale di tratto in tratto
-mi diceva: — Ma la vuoi finire coi tuoi sospiri, che mi sembri un
-innamorato del Metastasio? — Non studiavo più, ero distratto. Una notte
-sentii mio padre che parlando di me domandava sottovoce a mia madre: —
-Hai notato nessun cambiamento, da un tempo in qua, nelle sue maniere?
-E un'altra più curiosa. Il professore d'italiano ci diede da fare una
-composizione a tema libero; io scelsi l'_Innamorato_ e scrissi una tale
-scempiaggine che fece ridere tutta la scuola e mi coprì di vergogna. Si
-figuri che fra le altre frasi, c'era questa: _La testa dell'innamorato
-è un'urna di lagrime e di sospiri_.... A poco a poco, m'ero ridotto
-al segno che arrossivo passando davanti alla sua casa, incontrando le
-signore che vedevo al teatro con lei, udendo pronunziare una parola che
-rammentasse alla lontana il suo nome. Quando vedevo comparir lei in
-fondo a una strada, mi pigliava un tremito alle gambe, e scantonavo;
-se non ero più in tempo a scantonare, mi cacciavo in una bottega; se
-non potevo cacciarmi in una bottega, tornavo indietro. Era un terrore.
-E ogni sera m'andavo a rinfocolare al teatro e facevo peggio. Mi passò
-fin per la mente di indirizzarle una lettera, di scrivere qualche cosa
-col carbone sui muri delle sue scale, di gettarle un mazzo di fiori da
-un tetto, di travestirmi e andar a portar legna in casa sua. Infine,
-vuol che le dica tutto, signora? Lei mi deve essere molto riconoscente
-perchè parecchie sere, tornando dal teatro tutto commosso, esaltato,
-mezzo fuori di me, e non sapendo come sfogarmi altrimenti, pregai per
-lei con un fervore che.... se ne avessi messo la metà a prepararmi agli
-esami, non m'avrebbero rimandato.
-
-La signora rise di nuovo coprendosi il viso col ventaglio, e disse: —
-Ed io che non mi sono mai avvista di nulla! È strano!... Ma è proprio
-tutto vero?... — e sempre sorridendo, ma con una curiosità, se posso
-dir così, più raccolta e più seria, mi domandò: — E dopo? e si rimise
-in atto di ascoltare.
-
-— Dopo, — io ricominciai — .... venne il peggio. Verso la fine del
-carnevale cominciò a frequentare il suo palco quello che fu poi suo
-marito. Lo vuol credere, signora? Ancora adesso, dopo tanti anni,
-provo un sentimento di compassione per me quando penso a quello che ho
-sofferto in quei giorni. Le prime volte che intesi dire intorno a me al
-teatro: — Eh! pare che il nodo si stringa! — Pare che sia un matrimonio
-bell'e fatto! ecc., — creda che, benchè fossi un ragazzo, mi son
-sentito agghiacciare il sangue. Ogni sorriso, ogni parola a bassa voce
-che loro si scambiavano, mi era una stilettata al cuore. Che so io? mi
-pareva d'esser tradito. A lei.... perdonavo. Lui.... bisogna pure che
-io dica tutta la verità.... l'odiavo con tutte le forze dell'anima.
-Lo vedevo per tutto. Lo sognavo, era il mio incubo. Volevo sfidarlo.
-Lo guardavo di sbieco. Un giorno, per la strada, se n'accorse, senza
-capirne il perchè, naturalmente; e si fermò a guardarmi; io abbassai
-gli occhi e tirai dritto. Infine corse la voce del suo prossimo
-matrimonio. Ne fui desolato. Non può farsi un'idea di quello che
-mi passava per l'anima. Pensavo di andare a qualche finestra, sulla
-strada dove lui passava, e di lasciargli cader sulla testa una grossa
-pietra. Mi proponevo di andarmi a gettare a suoi piedi e supplicarla
-per amor di Dio di non sposarlo se non voleva vedermi morto. Mi venne
-in mente di farmi frate, di fuggire in Svizzera, di diventare uno
-di quegli uomini terribili dei romanzi che hanno un perpetuo sorriso
-mefistofelico sulla faccia di marmo. Addio latino! Addio studî! Passavo
-ore intere nel cortile di casa mia a martirizzare le lucertole e i
-vermi; un giorno m'incisi una mano colle forbici e per poco non svenni
-vedendo spicciare il sangue; una sera rubai una bottiglia di vino nella
-dispensa e m'ubbriacai come un facchino in un ripostiglio di mobili
-vecchi, al buio.... Venne finalmente quel giorno terribile.... La sera,
-la banda della guardia nazionale suonò sotto le sue finestre. Da casa
-mia si sentiva la musica. Ero avvilito, angosciato, disperato. Mi venne
-l'idea d'uccidermi. Scesi nel giardino con una corda e m'avvicinai a
-un albero.... ma mi mancò il coraggio. Allora mi misi a piangere, mi
-buttai in terra, e stetti tutta la sera là, solo, al buio, accovacciato
-come un cane, con la mia corda fra le mani, pensando a lei, e
-chiamandola di tratto in tratto per nome, fin che la banda cessò di
-suonare ed io corsi a casa a gettarmi nelle braccia di mia madre, alla
-quale confidai ogni cosa. Mia madre fece le grandi meraviglie, rise,
-mi consolò, mi condusse a letto, mi diede la buona notte ridendo, e per
-parecchi giorni, di tratto in tratto, continuò a guardarmi fisso, poi a
-baciarmi ed a ridere ancora. Il giorno dopo lei partì con suo marito e
-non ho più avuto la fortuna di vederla. Ecco la storia del mio amore,
-cara signora. Ho aspettato quattordici anni a raccontargliela: spero
-che non mi accuserà di precipitazione. Se poi volesse sapere perchè
-glie l'ho raccontata, dico la verità, sarei imbarazzato a risponderle.
-Il fatto è che ho sempre desiderato d'incontrarla un giorno o l'altro
-per farle questo racconto; e che soddisfacendo il mio desiderio, ho
-trovato un'emozione gentile, piena di rispetto e di gratitudine per
-lei.
-
-A questo punto la signora, che m'aveva ascoltato con un'attenzione
-sempre crescente, si coperse il viso, ma senza ridere; poi mormorò con
-voce un po' commossa, sorridendo leggermente: — Certo che... lei m'ha
-detto delle cose molto gentili.... e io debbo ringraziarla.... — Qui
-rise di nuovo, ma quasi facendo uno sforzo; tornò a coprirsi il viso e
-rimase qualche momento in quell'atto. Che cosa abbia pensato in quei
-momenti, non saprei. O che il mio racconto, richiamandole vivamente
-alla memoria un tempo in cui era felice, e sperava un avvenire
-migliore, le abbia inacerbito il sentimento dei suoi disinganni; o che
-ripensando il tempo in cui poteva ispirare degli affetti così ardenti,
-abbia sentito con più amarezza il rammarico della sua gioventù e della
-sua bellezza perduta innanzi tempo; o che l'immagine di quello schietto
-e profondo amore giovanile, le abbia fatto parer più triste di non
-essere stata amata da colui al quale aveva consacrata la vita; il fatto
-è che quando abbassò il ventaglio — con mia grande meraviglia — aveva
-il viso tutto rigato di lagrime.
-
-— Signora! — le dissi vivamente, prendendole una mano. — Che vedo
-mai?... Le ho ridestato qualche ricordo doloroso? Mi perdoni....
-sono stato imprudente.... non me ne darò mai più pace.... Mi perdoni,
-signora!
-
-Essa fece cenno di no, che non avevo nessuna colpa; poi sorrise e si
-asciugò gli occhi con una mano lasciando un momento l'altra mano nella
-mia.
-
-In quel punto il treno era arrivato alla stazione dove io dovevo
-scendere.
-
-— Signora, — le dissi al momento di mettere il piede sul montatoio — mi
-faccia una grazia.... mi permetta di baciarle la mano che teneva fuori
-del palchetto!
-
-Me la porse, glie la baciai tre volte, e rialzando il viso, vidi nel
-suo atteggiamento e nei suoi occhi una così cara espressione di bontà,
-di mestizia, di rassegnazione; e nello stesso tempo tanta dolcezza e
-tanta grazia, che rimasi un momento attonito a guardarla ed esclamai
-ingenuamente e con tutto il cuore: — Siete sempre bella!
-
-— Non è vero! — rispose mestamente, ma sorridendo, e fece cenno di no
-col ventaglio.
-
-Io m'allontanai, mi voltai indietro e feci cenno di sì col capo.
-
-— No, — ripetè essa col ventaglio — e si ritirò dallo sportello.
-
-Il treno partì, e nello stesso momento uscì dallo sportello la sua
-mano, che rimase così appoggiata, col ventaglio in giù, nello stesso
-atteggiamento in cui soleva tenerla fuori del suo palchetto al teatro.
-
-Il viso non ricomparve.
-
-Io accompagnai quella mano cogli occhi.
-
-Era un addio — era un'immagine della sua giovinezza e della mia
-adolescenza — era un rimpianto del passato — era un'espressione di
-gratitudine — era qualche cosa d'infantile, di pietoso e di melanconico
-— era come la mano d'una morta che si fosse rifatta viva un momento
-per dare un ultimo saluto alla vita. — Addio! Addio! — dissi nel mio
-cuore quando mi sfuggì dalla vista — Addio, cara larva! cara memoria
-mia! e rimasi.... rimasi come tu mi trovasti quando c'incontrammo nel
-vestibolo della stazione.
-
-
-
-
-EMILIO CASTELAR
-
-
- 5 dicembre 1873.
-
- _Caro_ ***.
-
-È naturalissimo il tuo desiderio di sapere qualche particolare intorno
-a Emilio Castelar, ed è giusto il rimprovero che mi fai di non averne
-parlato che vagamente nel mio libro.
-
-Io solevo accompagnarlo da casa sua alle Cortes e lo conobbi in quelle
-brevi conversazioni assai meglio che nei suoi libri. Non ti meravigli
-ch'egli usasse così famigliarmente con me straniero e sconosciuto,
-poichè, oltre ad essere molto alla mano con tutti, è così matto
-dell'arte italiana, che coglie con piacere ogni occasione di parlarne
-e d'udirne parlare anche dagli ignoranti.
-
-Il Castelar ha questo di curioso, che a vederlo, a stargli insieme,
-nessuno direbbe mai che sia un grande oratore. All'aspetto non ha nulla
-di notevole. È piccino, grassoccio, calvo, e ha due grand'occhi, che
-spirano un'aria di cor contento. A udirlo poi, sembra meno che mai
-quello stess'uomo che strappa gli applausi alle Cortes. Parla a pause,
-stilla le parole come per pigliar tempo di cercare la frase, non casca
-mai nella declamazione, non si lascia mai sfuggire un'espressione
-che non convenga al linguaggio famigliare. Di più, mentre parlando
-alle Cortes tratta ogni argomento con una specie di dignità tragica,
-nella conversazione famigliare discorre in tuono di scherzo anche
-delle cose più gravi. Se qualche volta esce dallo scherzo, casca
-nell'indifferenza; ma non dà mai nel serio. Non ho mai visto sul suo
-viso, nè udito nella sua voce la più leggera espressione di sdegno. E
-infatti a lui, come oratore, manca assolutamente quell'_effet terrible_
-che descrive Vittor Hugo parlando del Mirabeau, e quella, se si può
-dire, forza della collera, per la quale grandeggia qualche volta il
-Gambetta. Egli piace, seduce e spesso commove; ma non fa mai paura. Non
-si può dire che ha i _fulmini dell'eloquenza_; ma i lampi, i raggi,
-che so io? l'iride; poichè i suoi discorsi brillano più di colori
-gentili che di luce feconda. Un giorno che era annunziato un discorso
-del Castelar, un ministro disse giustamente ai suoi colleghi: — Oggi
-il pavone Castelar fa la ruota. — Ma aveva ragione anche un dotto
-Carlista, il quale, rimproverato da un suo amico perchè gli piacevano
-quelle _bolle di sapone_ del Castelar, si scusò dicendogli ch'eran le
-più belle che si facessero in Spagna.
-
-Il primo giudizio che portai del Castelar, fu che non avesse punto
-fiele nell'anima. Guardandolo negli occhi quando parlava senza ira
-di gente che lo detesta e lo diffama, non gli vidi mai _quelle crespe
-delle palpebre e quei guizzi e colori dell'orbe_, come dice benissimo
-il reverendo padre Bresciani, che rivelano i sentimenti nascosti dalle
-parole. Soltanto mi parve che non fosse insensibile alle punture
-della gelosia oratoria, perchè un giorno, alle Cortes, nel momento
-che si alzava Cristino Martos, oratore _de pelo en pecho_ (col pelo
-sul petto), come si dice in spagnuolo, per dire un uomo di polso; e
-che da tutte le parti della sala si faceva improvvisamente un profondo
-silenzio; vidi il Castelar rannuvolarsi e tentar di far uno sbadiglio
-che non gli riuscì di finire.
-
-Un sentimento che prova la sua gentilezza d'animo, e che non credevo di
-trovare in lui, così genuinamente spagnuolo, è una profonda avversione
-per le corse dei tori. — Non me ne parli! — mi disse un giorno facendo
-un atto di ribrezzo: — è una stupida barbarie che vorrei veder bandita
-per l'onore del mio paese.
-
-Da principio non riuscivo a raccapezzare come la pensasse in fatto di
-religione. Spiritualista avevo capito subito che lo era; ma non capivo
-se fosse cristiano, ossia se credesse nella divinità di Gesù Cristo.
-La sua opera _La civiltà nei primi cinque secoli del cristianesimo_
-(quattro volumi che si potrebbero ridurre in uno, se si bada alla
-sostanza, e che si vorrebbe fossero cento, se si bada alla forma) non
-mi lasciava dubbio che fosse ardentemente cattolico. Per contro i suoi
-discorsi politici non mi lasciavan dubbio che fosse libero pensatore.
-Un giorno gli domandai _ex abrupto_ una spiegazione, e mi parve che
-la domanda non gli riuscisse gradita, come segue di tutte le domande
-che ci obbligano ad affermare qualcosa di cui non siamo sicuri. — Una
-volta, mi rispose, ero cattolico; ora.... son razionalista. — E cambiò
-discorso. È insomma anche lui di quei moltissimi che si agitano _fra
-la fede e un dubbio serio ed inquieto_, come scriveva il Manzoni al
-Giusti; e se avesse da dire in termini recisi quello che pensa e che
-crede, si troverebbe imbarazzato. Certo è che la fede nell'esistenza di
-Dio e nell'immortalità dell'anima, è il sentimento che gli ha inspirato
-le più eloquenti parole dei suoi libri e dei suoi discorsi.
-
-Come tutti gli artisti, è un po' vano e ghiotto della lode; ma la sua
-vanità è così ingenua, che non solo non ristucca, ma piace. Qualunque
-lode gli si dia, se la piglia, sta zitto e lascia che si tiri innanzi,
-come se si parlasse di un altro. Qualche volta poi dondola il capo come
-per dire: — dite bene, avete ragione, io pure son di questo parere. —
-Un giorno mi disse amichevolmente: Se lei vuol avere un'idea del mio
-genere d'eloquenza, venga a sentire il discorso che farò la settimana
-ventura contro la politica estera del governo. Ma lei dalla tribuna dei
-giornalisti non può vedermi in viso, e perde il mio gesto.... Ebbene
-le farò dare un biglietto per una delle tribune di rimpetto; così non
-perderà nulla. — Il mio principale merito, — disse un'altra volta — è
-quello d'aver saputo dire in lingua pura e in stile elevato molte cose
-nuove che pare non si possano dire che a scapito della dignità dello
-stile e della correttezza della lingua. — In questo modo si libera la
-gente dalla seccatura di dare il proprio parere. Un giorno gli lessi
-un brano d'un suo discorso che avevo tradotto in italiano, ed egli mi
-disse candidamente: È bello anche in italiano.
-
-Come tutti gli uomini d'immaginazione viva e di cuor caldo è
-facilissimo all'ammirazione, e non serba, nell'esprimere questo
-sentimento, nessuna misura. Quando loda qualcuno o qualcosa, i suoi
-amici non gli credono più. Un giorno, alle Cortes, un deputato domandò
-a un collega, il quale aveva conosciuto il Gambetta a Parigi, se questo
-Gambetta gli fosse parso veramente quel grande uomo che molti dicevano.
-— Domandalo al Castelar, — gli rispose il collega; — egli lo conosce
-meglio di me. — Che! — disse l'altro; — in queste cose il Castelar è un
-bambino. — E in fatti la biografia del Gambetta scritta dal Castelar,
-piuttosto che il ritratto d'uno storico fedele è il panegirico di
-un partigiano infatuato. Un'altra volta un deputato, me presente,
-domandò al Castelar che impressione gli avesse fatta Garibaldi la prima
-volta che gli aveva parlato. Il Castelar allargò le braccia e alzò
-gli occhi al cielo, esclamando con enfasi: — _Amigo! La de un hombre
-extraordinario_ (quella d'un uomo straordinario). — Me lo immaginavo,
-— rispose l'amico; — ma già su tutto quello che dici tu bisogna fare la
-tara. E per dirne ancor una, ricordo che, mentre il Castelar mi levava
-a cielo un tal Santa Maria di Siviglia che canta con molta grazia le
-canzonette andaluse, affermando che il Tamberlick, il Mario, lo Stagno,
-appetto a lui non valevano un fico secco, parecchi amici suoi diedero
-in uno scoppio di risa, e uno gli domandò: — Ma quando la finirai con
-codeste esagerazioni, don Emilio?
-
-Solevo interrogarlo intorno al lavorío col quale prepara i suoi
-discorsi, intorno a quei segreti d'artista, _a quei misteri_, per dirla
-con Giambattista Giorgini, _che l'anima celebra con sè stessa_. Egli
-mi spiegò in che maniera fosse riuscito a parlare e a scrivere così
-facilmente e correttamente, e le sue parole mi parvero la rivelazione
-d'una nuova teorica dello scrivere, alla quale ho pensato continuamente
-d'allora in poi. — Con chiunque parli, mi disse, — e di qualunque cosa
-parli, non avessi che da dare un ordine al mio servitore, non trascuro
-mai l'espressione, cerco sempre di dir la cosa come la direi se le mie
-parole dovessero venir scritte o stampate in sull'atto. E ogni volta
-che mi balena un pensiero, lo esprimo subito a me medesimo come se
-dovessi esprimerlo a un altro; non mi lascio nulla nel capo in istato
-di embrione; penso continuamente parlando con me stesso a periodi
-finiti. — In fatti corregge pochissimo le cose scritte. Ma benchè
-prepari di lunga mano i suoi lavori per scrivere bisogna che abbia
-fretta. Diceva che non poteva far nulla, se non aveva lo stampatore
-alla porta.
-
-Con lui parlavo spagnuolo, e ci voleva del coraggio; ma spesso mi
-pregava di parlargli italiano. — Capisco l'italiano, — diceva, —
-ma non lo parlo, perchè non lo voglio profanare. In Italia badavo
-sempre a pregar la gente che mi parlassero italiano e non francese.
-Bella! mirabile lingua! Però, lasciatemelo dire: se per la poesia è
-meglio la lingua italiana, per l'oratoria preferisco la spagnuola. —
-Su questo punto non voleva intendere ragioni. Qualche volta anzi gli
-pigliavano dei dubbi anche sulla poesia, e ripeteva quei versi famosi
-dell'Espronceda, coi quali un cavaliere imita il suono della corsa
-sfrenata del suo cavallo:
-
- Mis ojos fuego en su inquietud lanzando
- Campo adelande devorando van.
-
-E dicendoli con quella voce sonora e con quel gesto vigoroso, li faceva
-parere anche più belli ed efficaci di quello che sono; ma è superfluo
-il dire che non mi lasciava persuaso.
-
-Tutti sanno quanto egli ama l'arte italiana, ma soltanto quelli che lo
-conoscono possono sapere quanto e come l'ha studiata. Non c'è quadro
-o statua o basso rilievo di Firenze, di Roma o di Venezia ch'egli
-non abbia stampato nella memoria e non sia in grado di descrivere
-minutamente come se l'avesse visto il giorno innanzi. Parla delle
-nostre città, nominando strade, palazzi e porte, come parla di Toledo
-e di Siviglia. Firenze, _la ciudad_, com'egli la chiama, _de la
-inteligencia_, è la sua città prediletta. — _Allì_, mi disse un giorno,
-_el último limpiabotas tiene mas sello academico que nuestros individuo
-de número_. — (Là l'ultimo lustrascarpe ha più carattere accademico che
-i nostri accademici). Un giorno, mentre alcuni amici suoi parlavano
-di politica, egli interruppe bruscamente la conversazione, a cui non
-badava, e fermandosi in mezzo alla strada colle braccia incrociate
-sul petto, esclamò con un accento di profondo stupore: — _Y decir que
-la puertas de Ghiberti son del siglo quince!_ — (E dire che le porte
-del Ghiberti sono del secolo quindicesimo!) Quando si parla d'arte
-italiana, va in visibilio. L'ho visto cangiar di colore e tremare
-discorrendo d'un quadro del Tintoretto — _Mas si os digo_, — gridava
-battendosi la mano sulla fronte — _que se siente crujir la seda!_ — (Ma
-se vi dico che si sente il fruscío della seta!)
-
-Avrei da scrivere molto se volessi riferire tutti i detti arguti che
-intesi da lui, e gli aneddoti ameni di cui è amantissimo.
-
-Diceva dello Zorilla: È un uomo che ha tutti i difetti d'un
-temperamento artistico, senz'alcuna delle buone qualità.
-
-A un amico materialista che gli aveva mandato un libro, nel quale
-trattava dell'influsso del cibo sul pensiero, diceva: — Sta bene, ma
-tu devi ancora scrivere un libretto per dimostrare quali sono i passi
-del _Don Chisciotte_ che il Cervantes scrisse nei tempi in cui mangiava
-pane di granturco.
-
-Raccontava che un giorno, essendo a desinare in una famiglia, la
-padrona di casa, in fin di tavola,, gli aveva detto, arrossendo un
-pochino: — Signor Castelar, lei ci dovrebbe fare l'immenso favore di
-declamarci un bel discorso mentre prendiamo il caffè — Qui il Castelar
-rimaneva muto rifacendo tale e quale il viso che aveva fatto in quel
-momento, e ti assicuro che c'era da scoppiare dalle risa.
-
-Un giorno passeggiando nel Prado, il Castelar, un suo amico monarchico
-e un terzo importuno ch'ero io, vedemmo venir verso di noi un uomo
-colla faccia stravolta, che parlava e gesticolava da sè. Il Castelar
-mi tocca col gomito e dice sottovoce: — Costui è uno che aspirava
-alla corona di Spagna. Prima che fosse eletto il duca d'Aosta andava
-egli stesso distribuendo ai deputati le schede col suo nome per il
-giorno della votazione. Non si faccia scorgere: è matto. — Il matto
-intese quelle parole, e si fermò; qualcuno che passava si fermò pure;
-si formò un gruppo di gente. Quando fummo a due passi da lui, prese
-un atteggiamento drammatico e voltandosi verso il Castelar, gli disse
-ad alta voce: — Ebbene, sì, io volevo esser re; ma non sono mai stato
-un impostore come lei! — Detto questo si allontanò brontolando; la
-gente rise; il Castelar fece uno sforzo per ridere egli pure, ma
-era diventato rosso come una fragola. — Bravo! — gli disse l'amico
-battendogli la mano sulla spalla; — son contento di vedere che non
-hai ancora perduto il pudore. — E che! — rispose pronto il Castelar; —
-credevi che io fossi diventato monarchico?
-
-La sua sala di studio, in casa, è l'immagine della sua testa; o per
-meglio dire, era l'immagine, perchè non so se il Presidente della
-repubblica viva ancora come viveva il modesto deputato. Statuette,
-vasi di fiori, gabbie d'uccelli, opere di filosofia, libri di versi,
-medaglie antiche, cataloghi di musei, atti ufficiali, lettere di
-elettori, stampe, ritratti, giornali, opuscoli; si vedeva un po'
-d'ogni cosa sparpagliato sui tavolini, sulle seggiole e pel pavimento,
-in un disordine pittoresco, che faceva ridere e fantasticare. Là,
-in mezzo ai suoi amici e ai suoi libri, il Castelar era più bello
-a vedere che alle Cortes. Un giorno un amico suo fece il giro della
-sala con una bacchetta in mano, e toccando l'uno dopo l'altri tutti i
-cassetti dei tavolini, disse col tuono d'un cicerone: — Signori! Qui
-sono i manoscritti pei giornali del Perù. — Qui, quelli pei giornali
-del Messico. — Qui, quelli pei giornali di Cuba. — Qui, quelli pei
-giornali del Brasile. — Qui, quelli pei giornali degli Stati Uniti. —
-E qui, quelli pei giornali del vecchio continente. Quando un editore
-si presenta, il Castelar apre un cassetto, vi tuffa le mani a occhi
-chiusi, e butta via quello che trova. — Il Castelar disse una volta che
-le corrispondenze dei giornali d'America gli rendono quindicimila scudi
-all'anno. E pensare che pochi anni prima, per guadagnare qualche soldo,
-scriveva prediche per preti di campagna!
-
-Mi raccontò egli stesso, un po' per volta, le prime vicende della sua
-vita, dicendomi di tratto in tratto che, se volevo, pigliassi pure
-degli appunti. È nato a Cadice nel 1832. Suo padre, uomo studioso,
-benchè agente di cambio, e possessore d'una ricca biblioteca, morì
-in età ancor fresca, lasciando la moglie e il piccolo Emilio, che
-non aveva ancora sette anni, in grandi strettezze. Una sua sorella
-d'Alicante li accolse in casa tutti e due, e la signora Castelar si
-consacrò tutta all'educazione del figliolo, facendo per lui, fra gli
-altri sacrifizi, quello di conservare e di arricchire la biblioteca
-paterna, affinchè egli prendesse per tempo amore ai libri. Il Castelar,
-in fatti, ebbe fin da ragazzo, più che amore, manía per la lettura, e
-l'ha ancora, poichè legge continuamente, per le strade, nelle Cortes,
-a tavola, a letto, nel bagno, da per tutto dove può tener sotto gli
-occhi un libro o un giornale. Con questo gran bisogno di leggere nacque
-in lui quasi ad un tempo un gran bisogno di parlare, e ancora bambino,
-diede prova di straordinaria facondia. — Facendo gli altarini — mi
-disse, — io e i miei piccoli compagni, solevamo pronunziare ciascuno
-un'orazione sacra dall'alto d'una seggiola ravvolta in una coperta da
-letto. _Yo era el espanto de todos._ (Io ero lo spavento di tutti). — A
-dodici anni fu mandato a Elda, dove studiò la lingua latina, e cominciò
-a scrivere con grande ardore novelle, discorsi storici, dissertazioni
-religiose, poesie, commedie, poemi, saggi d'audacia, com'egli disse,
-più che d'ingegno; i quali finiron tutti nel fuoco. Le prime vere prove
-d'ingegno e d'eloquenza le diede in Alicante dove si trasferì nel 1845
-per fare il corso di _segunda enseñansa_. Qui si dedicò con entusiasmo
-alla filosofia, alla storia e alla letteratura, e in questi studi andò
-innanzi d'un gran tratto a tutti i suoi colleghi, parecchi dei quali,
-che seggono ora nelle Cortes e professano principi politici affatto
-contrari ai suoi, come don Carlos Navarros, il Gallastra ed altri,
-attestano che sin d'allora era opinione di tutti, ch'egli sarebbe
-diventato un grande oratore e un grande scrittore. Da Alicante andò
-nel 1848 a Madrid, dove vinse al concorso un posto gratuito d'alunno
-nella _Escuela nacional de filosofia_, e d'allora in poi, non solo
-provvide al suo mantenimento, ma scrivendo nei ritagli di tempo che gli
-lasciavano gli studi, guadagnò tanto da mantenere sua madre. Pubblicò
-in quel tempo, tra le altre cose, un giornaletto letterario, in cui
-i letterati ammirarono per la prima volta il suo stile nitidissimo
-e scintillante. Suo cugino don Antonio Aparisi, il rinomato oratore
-cattolico, leggendo un giorno uno di quegli articoli, disse alla
-signora Castelar: — Zia mia, bisogna aver gran cura di questo ragazzo,
-perchè se continua come ha cominciato, farà molto rumore nel mondo.
-— Fin qui, però, le glorie del Castelar non erano state che glorie
-scolastiche. Egli si rivelò per la prima volta alla Spagna nel 1854,
-all'età di ventidue anni. Un amico, incontrandolo un giorno per strada,
-gli annunziò che c'era un'adunanza popolare nel Teatro Reale, e gli
-domandò perchè non ci andasse. Il Castelar non rispose altro che: —
-Vado — e corse al Teatro. Quando arrivò, molti oratori avevano già
-parlato, il pubblico era stanco, l'adunanza stava per sciogliersi. Ciò
-non ostante il Castelar, risoluto a parlare, salì sul palco scenico e
-cominciò: — Signori! Io vengo qui a difendere le idee democratiche....
-— Un vivo bisbiglio di disapprovazione lo interruppe. La sua persona
-esile, la sua voce sottile, il suo atteggiamento fanciullesco,
-non ispiravano alcuna fiducia; lo presero per uno scolaretto; gli
-gridarono: — Basta! Basta! Un'altra volta! Un'altra volta! — Il
-Castelar, piccato, s'incaponì e tirò innanzi. A poco a poco si fece
-silenzio; poi s'udi qualche voce d'approvazione; a un tratto, scoppiò
-una tempesta d'applausi; infine ogni periodo fu applaudito con furore,
-l'oratore venne condotto fuori quasi in trionfo, il suo nome corse
-di bocca in bocca, i giornali di Madrid lo levarono a cielo, tutta la
-Spagna, in pochi giorni, lo ripetè: il Castelar fu celebre da quella
-sera. La España, autorevole giornale letterario, disse, pubblicando
-il suo discorso: — _Està destinado a reemplazar à todos nuestros
-grandes oradores y à reemplazarlos con ventaja._ — E il pronostico s'è
-avverato.
-
-Ora ha in mano le sorti della Spagna, se pure le sorti d'un paese così
-sfasciato possono mai ridursi nelle mani d'un uomo solo. Che cosa farà?
-È un riesci, come si dice in Toscana. Ma io questo ti posso dire,
-che quando lo vedevo, in mezzo ai suoi amici, prorompere in scoppi
-di risa da giovanetto di quindici anni; o volgere in mente qualche
-bel periodo poetico da incastonare in un discorso, mentre un collega
-badava a parlargli di leggi e di votazioni; o fare il viso del malumore
-perchè il giorno che doveva parlare non c'eran signore nelle tribune;
-e in tutte le conversazioni saltar sempre dalla politica all'arte,
-dal ragionamento al sentimento, dalla terra alle nuvole; se qualcuno
-m'avesse detto allora: — Costui fra un anno governerà la Spagna in
-queste e queste condizioni, — con tutta l'ammirazione che avevo per
-lui, avrei dato una scrollatina di capo, e detto tutt'al più: Chi sa!
-le vie della Provvidenza sono infinite....
-
-E poi leggi questo brano di discorso pronunziato da lui alle Cortes,
-due anni fa. — «Come? Non è individualista il ministro dell'interno?
-E se è tale, non comprende il gran poema della libertà di commercio?
-La terra ha attitudini diverse; i climi dánno diversi prodotti; ma
-grazie al grand'Ercole moderno, grazie al commercio, con codeste navi
-che ora paiono grandi uccelli marini, e ora lasciano la bianca traccia
-nell'acque e la densa nube di fumo nell'aria, si riuniscono tutti i
-prodotti; la pelle che il Russo strappa agli animali smarriti nei suoi
-deserti di gelo e la foglia del tabacco che cresce al sole ardente del
-tropico; il ferro scoperto in Siberia e la polvere d'oro che il negro
-d'Africa raccoglie nell'arena dei suoi fiumi; le stoffe tessute in
-Inghilterra e i prodotti tratti dal seno dell'India, e tinti dei colori
-dell'Iride da quelle società, primi testimoni della storia; il dattero
-di cui si alimentava il patriarca biblico sotto le palme dell'antica
-Asia, e le perle preziose che genera il vergine seno della giovine
-America; il grato succo delle viti che abbellano le rive del Reno e
-l'ardente vino di Xeres, che reca disciolto nei suoi atomi il raggio
-del sole di Andalusia per riscaldar le vene degli intirizziti figli del
-norte....»
-
-A me pare che questo periodo basti per giudicare il Castelar come uomo
-politico, come bastano certi sorrisi a rivelare tutta l'anima d'un
-uomo. Mi pare che un oratore il quale fa in un parlamento una tirata di
-quella natura non possa esser capace di portare a salvamento la baracca
-d'uno Stato.
-
-Ma quando quest'uomo stesso, slanciandosi audacemente, non per
-proposito rettorico ma per impulso irresistibile del cuore, fuor dei
-confini dell'eloquenza politica, esclama con una voce che viene dal
-più profondo dell'anima: — Amo questa terra bagnata dalle lacrime che
-ho fatto spargere a mia madre! —; quando, accennando ai suicidi degli
-schiavi di Cuba, pronuncia con un accento che ti rimescola il sangue
-queste semplici parole: Signori deputati, che orrore! — quando, nella
-furia d'un'ispirazione che soverchia quasi le sue forze, rovescia
-sul parlamento attonito quei suoi periodi colossali, pieni di grandi
-immagini e di grandi sentenze, che passano sonando e sfolgorando come
-una legione di cavalieri del medio evo; quando, parlando di religione,
-versa la piena dei suoi pensieri affettuosi e malinconici, con una
-voce dolce e tremante, e col linguaggio solenne d'un sacerdote; quando
-racconta un atto d'eroismo, quando ricorda una sventura, quando invoca
-una memoria cara, quando consiglia, quando compiange, quando prega;
-quando infine scorda il parlamento e sè stesso, com'egli dice, e non
-vede più che terre e popoli lontani, e tutta la sua anima è nel suo
-cuore, e tutto il suo cuore nella sua parola; oh allora, quanto egli è
-grande ed amabile! come gli si perdonano tutte le sue vanità e tutte le
-sue utopie! con che gioia gli si salterebbe al collo dicendogli: — Ah!
-don Emilio, se non ti fossi mai immischiato nella politica!
-
-Infine, io credo che la miglior definizione che si possa dare di lui,
-sia la seguente, la quale contiene in quel che dice la lode ch'egli
-merita e in quel che tace la censura che gli è dovuta:
-
-È un grande artista e un gran.... buon ragazzo.
-
-
-
-
-UN CARO PEDANTE
-
-
-I mezzi pedanti, quelli che pedanteggiano per ambizione di farsi
-temere, poichè non riescono a farsi ammirare; i pedanti maligni, che
-s'accaniscono contro la parola perchè detestano la persona; i pedanti
-freddi, che sorridono e disprezzano, sono gente volgare e noiosa. Ma
-quello nato coll'istinto della pedanteria, quello che non dorme per un
-francesismo, che si scorruccia con un amico perchè ha scritto _figlio_
-invece di figliuolo, che sente una compassione sincera per chi scrive
-_toeletta_ invece di teletta, che inveisce contro un monosillabo colla
-voce strozzata dall'ira; quello, infine, che si rode e si consuma,
-che non è aguzzino, ma vittima, e che fa il pedante collo zelo e col
-coraggio d'un missionario di Nostra Santa Lingua Immacolata, questa
-specie di pedante mi piace e m'ispira rispetto, e credo che sarebbe un
-peccato che se ne perdesse la semenza.
-
-Di tale specie era un pedante che conobbi a Firenze, del quale
-m'è rimasto un ricordo amenissimo unito a un sentimento di sincera
-ammirazione.
-
-La prima volta che lo vidi, giovanetto com'ero ed entrato allora,
-a scappellotto, nella repubblica letteraria, mi fece una viva
-impressione. Lo vidi una sera in fondo a una bottega di libraio, che
-leggeva. Le sue mani lunghe e scarne, appoggiate sul libro, parevano
-due enormi ragni che stessero in agguato per afferrare le mosche
-_francesismi_. Il suo naso adunco, che quasi toccava la pagina,
-arieggiava il becco d'un uccello che frugasse fra le parole per
-trovare i vermi _improprietà_. Tutta la sua persona alta e magra, e
-incurvata sul tavolino, mi dava l'immagine di non so che strumento di
-tortura messo là per dilaniare lo scrittore che leggeva. Parlando col
-libraio, ch'era piemontese, mi sfuggì qualche parola di vernacolo,
-e nello stesso momento vidi apparire e sparire sul suo viso, che mi
-si presentava di profilo, una gran macchia bianca.... il suo bianco
-dell'occhio. Di tanto in tanto si addentava il labbro di sotto o rideva
-con isforzo, facendo ballare le spalle. Tutt'a un tratto chiuse il
-libro con dispetto e s'alzò esclamando: — Oh che gente! Oh che galera!
-— Poi prese il cappello ed uscì. Tutti i presenti risero ed io pure.
-Spinto dalla curiosità, m'avvicinai al tavolino e diedi un'occhiata al
-libro.... Era mio!
-
-Qualche tempo dopo, domandai informazioni sul conto suo a un amico
-che lo conosceva intimamente. — È una perla d'uomo, — mi disse; — ma
-un po' stravagante. Figuratevi ch'egli vive due vite: la vita reale,
-quella che viviamo noi, in mezzo ai nostri simili; e un'altra vita,
-puramente immaginaria, in un piccolo mondo ch'egli s'è creato colla
-lingua. In questo piccolo mondo, nel quale gli uomini son parole e le
-frasi avvenimenti, egli vi mette, o per meglio dire vi prova tutte le
-passioni che prova nell'altro. Ci ha le parole che ama come figliuoli,
-le parole che odia, le parole che disprezza, le parole che perseguita,
-le parole che gli turbano i sonni e le digestioni, le parole che lo
-consolano e che l'aiutano a sopportare i malanni della vita. Vi sono le
-frasi di cui si risente come d'un'ingiuria, quelle che lo affliggono
-come una sventura domestica, quelle che gli mettono nell'anima dei
-dubbi amari e lo fanno vivere in una continua inquietudine. Che suo
-figlio diventi un cattivo soggetto e che la parola _cómpito_ cambi a
-poco a poco di significato, son due calamità presso a poco uguali per
-lui. Che l'Italia riesca a rassestare le sue finanze e che il verbo
-_utimare_ pervenga a pigliare il posto del verbo _exploiter_, sono
-due buone fortune che egli desidera col medesimo ardore. Egli ha una
-sola grande aspirazione: che nel suo paese si scriva bene; e un solo
-grande dolore: che non si sappia più scrivere. I suoi affetti, i suoi
-pensieri, tutta la sua vita gira su questo perno: la purità della
-lingua.
-
-Da altri seppi di lui altre cose, che mi parvero incredibili, benchè mi
-fossero assicurate con insistenza. Si diceva che un giorno aveva tenuto
-con un suo servitore il dialogo seguente:
-
-— Tonio, il caffè.
-
-— Ce lo porto.
-
-— Che hai detto?
-
-— Che ce lo porto.
-
-— Hai gli otto giorni per cercarti un altro padrone, manigoldo.
-
-Una volta, un suo conoscente, incontrandolo per via, gli disse: — Ho
-letto con molto _interesse_ il vostro articolo. — Non me ne importa un
-fico, — egli rispose, — e gli voltò le spalle.
-
-Si diceva che una sera, in una conversazione, aveva dimostrato con
-un lungo ragionamento e colla massima serietà che un uomo capace di
-scrivere, — _al di là dei monti_, — invece di — _di là dai monti_, —
-messo al punto, sarebbe stato capacissimo di ammazzare a sangue freddo
-suo padre.
-
-Fossero o non fossero vere queste cose, dopo averne sentite tante,
-mi venne il desiderio di conoscerlo. Prima, però, volli sapere
-precisamente che cosa pensasse dei fatti miei, benchè la scena accaduta
-dal libraio non mi lasciasse alcun dubbio consolante. Un amico comune
-lo interpellò e n'ebbe questa risposta: — Ditegli che per quel ch'è
-sentimento, non c'è male; ma che per quello che riguarda la lingua,
-scrive come un Seraceno.
-
-Meno male! — pensai. — Ora, almeno, so a che paese appartengo, e qual
-è la _nazionalità_ di cui mi debbo spogliare.
-
-Gli fui presentato; m'accolse cortesemente. Il discorso cadde subito
-sulla lingua. Gli domandai dei consigli. Sospirò, mi disse che i
-tempi eran tristi, che non v'era più amor di patria, che i bricconi
-avevan il mestolo in mano; le quali cose si riferivano unicamente
-alla lingua, e non alla politica, come potrebbe parere. Gli domandai
-quali degli scrittori del giorno, dei più illustri, s'intende, e
-toscani, avrei potuto seguire, in fatto di lingua, per non uscire
-dalla buona via; e glieli nominai uno dopo l'altro. — Il tale? — Per
-amor di Dio! — rispose; — che mi tocca di sentire! — Il tal altro? —
-Oh numi! Ci mancherebbe anche questa! — Tizio, dunque? — Oh povero
-figliuolo, che cosa le passa per il capo! — E qui prese a citarmi
-una lunga filza di francesismi, d'idiotismi, di neologismi, d'errori
-d'ogni natura, sfuggiti a quegli scrittori, usando con la maggior
-serietà tutte le espressioni che sogliono adoperarsi al proposito
-degli scapestrati e dei malfattori, come ad esempio: — Le pare che
-questo sia un procedere da galantuomo? — Non so il tale dei tali che
-fine farà. — Bisogna proprio aver perduto ogni pudore, ecc., — a tal
-segno che, sapendomi colpevole d'una gran parte degli errori di cui
-accusava quei valentuomini, ebbi un momento il timore che m'agguantasse
-per la cravatta e mi conducesse alla questura. — Ma chi dunque scrive
-italiano? — domandai. — Nessuno! gridò, alzando il bastone. — Vi
-sarà qualcuno che scrive con parole italiane, in lingua, frase per
-frase, italiana; ma il complesso dello scrivere, ma l'ordito, ma il
-processo del pensiero, per Dio, è francese! francese! francese! La
-pelle è nazionale, il sangue che circola sotto, è barbaro! Barbari
-tutti, italiani rinnegati, scrittori senza coscienza e senza cuore! Se
-ne persuada, giovinotto! E una verità vergognosa, ma è la verità, la
-verità, la verità! — In quel punto eravamo arrivati dinanzi alla porta
-di casa sua. —
-
-Ma, — dissi io timidamente: — Alessandro Manzoni.... — Santissima
-Vergine! — esclamò turandosi le orecchie colle mani, e infilò la porta
-correndo.
-
-Un giorno assistetti a un battibecco curioso tra lui e il più grosso
-dei _due fondatori della prosa borghese_, di cui parla il Carducci
-nella sua poesia l'_Italia in Campidoglio_. S'era negli uffizi di
-una Rivista mensile col Mamiani, il Berti ed altri barbari. Il nostro
-personaggio inveiva contro «lo scellerato vezzo» di usare i nomi propri
-senz'articolo. — Vi assicuro, — diceva, — che quando leggo _la casa di
-Manzoni_ o _la statua di Dupré_, non capisco.
-
-— Andiamo, via, — gli rispose il prosatore borghese; — codesta è una
-esagerazione.
-
-— Vi dico che non capisco!
-
-— Vi sostengo che capite benissimo.
-
-— Vi ripeto che non capisco! gridò il purista col viso acceso.
-
-— Giuratelo! — urlò il _borghese_.
-
-— Lo giuro, per Dio! — tuonò l'altro balzando in piedi, e picchiando un
-gran pugno sul tavolino.
-
-— Avete giurato il falso! — ribattè il primo colla sua voce stentorea,
-in mezzo alle risa e al vocío generale, — e se mi sfidate, v'ammazzo
-senza pietà, perchè son sicuro che andate all'inferno!
-
-Il povero purista ricadde spossato sulla seggiola, esclamando con voce
-fioca e gli occhi rivolti al cielo: — _La casa di Manzoni!_... Oh che
-gente! Oh che paese!
-
-Un'altra sera entrò gravemente nella sala e disse con un accento
-di tristezza e di pietà, rivolgendo la parola a tutti: Bisognerebbe
-avvertire il Bonghi.
-
-Tutti pensarono che fosse accaduta al Bonghi qualche disgrazia.
-
-— Bisognerebbe, — continuò colla stessa gravità. — che se ne
-incaricasse un suo amico intimo. È una cosa che ormai passa tutti i
-limiti. Quell'uomo perde la testa.
-
-— Ma che cos'è seguíto? domandarono tutti con ansietà.
-
-Era seguíto che il Bonghi, in una delle sue rassegne politiche,
-aveva scritto _le fila dell'opposizione_ invece di _le file_. Tutti
-respirarono.
-
-E di questi aneddoti ne potrei citare una cinquantina.
-
-Con me, benchè mi tenesse in conto d'un buon diavolaccio, non potè
-mai fare la pace. Riconosceva i miei sforzi ed anco qualche progresso
-che avevo fatto dall'Arabia verso l'Italia; ma in fondo, per lui,
-ero sempre un Seraceno, e lo diceva ai miei amici, onorandomi di un:
-— Peccato! — e di un: — Forse, col tempo!... — che mi dava un po' di
-consolazione. Qualche volta, poichè era pedante, ma uomo di cuore, mi
-guardava fisso con un'espressione di benevolenza pietosa; pensava,
-credo, con rammarico, che io così giovane, ero già così miseramente
-traviato; prevedeva i dolori che m'aspettavano; si domandava che vita
-avrei trascinata, che razza di educazione avrei data ai miei figliuoli,
-che fine miserabile avrei fatta. Ma bastava che io gli domandassi
-improvvisamente: — _Cosa_ pensa? — perchè vedesse ricomparire sulla
-mia fronte il marchio inviso di Maometto, e mi guardasse come un'anima
-perduta.
-
-Ora la semenza di questa specie di pedanti si va perdendo. In fatto di
-lingua, tutte le maniche s'allargano; i puristi più austeri transigono;
-gli stessi accademici della Crusca, e i migliori, si lasciano sfuggire
-parole e modi nuovi, e tengon dietro al movimento della lingua; i
-pedanti indietreggiano da ogni parte, incalzati dalla necessità e
-dalla critica; la legione s'è ridotta un drappello, la marea monta e
-li affoga. Eppure, sarebbe un peccato che rimanessero tutti affogati.
-Nella letteratura, la varietà è ricchezza. È bene che ci siano i
-demagoghi temerari e i reazionari arrabbiati. Questi Don Chisciotte
-del vocabolario che si slanciano a lancia in resta contro le parole,
-hanno il loro bello; questi carcerieri della lingua non sono inutili;
-la critica del microscopio può far del bene.
-
-Oh mio buon pedante! non ti sdegnare contro di me, se ti cadranno
-sotto gli occhi queste pagine: io ti giuro sul Corano che non ebbi
-intenzione di offenderti. Io ti temo, ma t'amo, perchè nel tuo mondo
-di parole tu sei un artista, e sei un artista perchè ami, soffri e
-combatti. E prego il cielo che ti lasci lungo tempo ancora in questa
-valle di lagrime e di francesismi. E t'auguro che il buon sacerdote che
-ti assisterà nei tuoi ultimi momenti, ti parli correttamente la parola
-di Dio. E desidero che quando tu non sia più, tutti rammentino il tuo
-nome con affetto, nessuno con _interesse_; e che l'amico che scriverà
-la tua necrologia, non turbi il riposo delle tue ossa, dicendo che tu,
-su questa terra, hai fatto degnamente il tuo _cómpito_; ma proclami
-altamente che hai esercitato con onore il tuo ufficio. E chieggo a
-Dio come una grazia che se l'anima del Petruccelli della Gattina è
-destinata a salvarsi, egli la ponga in un altro cerchio del paradiso,
-perchè la tua felicità non sia turbata dal ridestarsi delle ire e dei
-dolori terreni. E così sia.
-
-
-
-
-UNA VISITA AD ALESSANDRO MANZONI
-
-
-È male parlar di sè, e peggio scriverne; ma quando l'Io, invece
-d'essere lo scopo di quello che si dice, non è che un mezzo per dire
-più facilmente e con più garbo cose che riguardano altri e possono
-riuscire gradite a molti, mi pare che sia lecito di servirsene; e tanto
-più quando quest'_altri_ sia Alessandro Manzoni, e quell'_io_ tanto
-piccino da non poter neppure essere sospetto di vanità.
-
-Lasciatemi dunque cominciare dal piccino.
-
-Io ero in collegio, avevo sedici anni e scrivevo dei versi. Il mio
-professore di letteratura italiana, quando gli presentavo una poesia,
-mi permetteva di leggerla, se gli pareva che lo meritasse, in piena
-scuola; e i miei compagni solevano farla stampare a proprie spese, cosa
-di cui mi rimorde ancora la coscienza. Una delle prime poesie stampate
-fu un canto alla Polonia, ch'era in rivoluzione appunto in quell'anno;
-nel qual canto dicevo ira di Dio dello Czar e del Papa, e facevo una
-descrizione fantastica dell'isola di Caprera, assicurando che il sole
-vibrava su quell'isola i suoi più splendidi raggi e gli angeli la
-guardavano dall'alto con una viva simpatia.
-
-Questo canto, concepito un giorno che il direttore m'avea messo a pane
-ed acqua, e composto quasi per intero nelle tenebre del Dormitorio,
-mi pareva allora una gran cosa; tanto che a un mio vicino di banco, il
-quale, dopo lettolo, mi aveva detto gravemente: — Questo canto resterà,
-— io, stringendogli la mano, avevo risposto con non minore gravità:
-— Speriamo. — In fine m'ero tanto montata la testa, che un bel giorno
-misi una fascia all'opuscoletto, stesi una lettera di accompagnamento,
-scrissi sulla busta e sulla fascia: — Al signor Alessandro Manzoni —, e
-buttai lettera e opuscolo, dopo esser stato un po' colla mano per aria,
-nella buca della posta.
-
-Passa una settimana, passano quindici giorni, passa un mese; nessuna
-risposta. Non me ne meravigliai; sapevo che il Manzoni scriveva
-pochissimo; m'avevano detto che riceveva ogni giorno un monte di
-lettere e di libri; era naturalissimo che avesse buttato i miei
-versacci in un canto; non ci pensai più.
-
-Un giorno, nel tempo della ricreazione, mentre facevo la ginnastica
-sulle parallele, il direttore mi chiama, corro, mi dà una lettera. Il
-carattere dell'indirizzo mi era sconosciuto. Guardo il bollo: — Milano
-— Chi può essere? Apro, leggo in capo alla prima pagina _Gentilissimo
-giovanetto_; volto, tutto il foglio è scritto; volto ancora, e vedo in
-fondo alla quarta pagina _Alessandro Manzoni_.
-
-Come rimanessi non lo so dire. Sul primo momento mi s'imbarbugliò la
-vista e mi tremaron le ginocchia; poi rimasi qualche tempo immobile,
-guardando quella firma, che pareva s'ingrandisse e s'impicciolisse
-a vicenda, come per effetto d'una lente avvicinata e rimossa. Infine
-corsi in un angolo appartato del cortile e lessi.
-
-Ah, mio Dio! Io non posso ricordar quella lettera senza un sentimento
-di mestizia. Riguardo ai consigli ch'io avevo avuto l'audacia di
-chiedere, c'era detto: — _Anch'io, nella prima gioventù, m'ero formato
-di scritti altrui un concetto dal quale, col crescer degli anni, ho
-dovuto detrarre. E non di meno non ho poi provato rammarico d'un errore
-che m'era stato occasione di voler bene anche ad uomini con cui non
-avevo alcuna conoscenza. Così spero che avverrà anche a lei riguardo a
-me e alla mia memoria._
-
-Riguardo alla poesia. — _Se le dicessi che i versi mi paiono senza
-difetti, sarei un adulatore; ma parlerei ugualmente contro il mio
-intimo sentimento se dicessi che non mi par di vederci il presagio
-d'un vero poeta. In mezzo a di que' difetti che col tempo si perdono,
-ci sento (non dia a queste parole altro valore che quello della più
-schietta sincerità) quelle virtù che col tempo si perfezionano e che
-nessun tempo può far acquistare._
-
-Riguardo ai versi della poesia che accennavano al Papa: —
-...._Religione e patria sono due gran verità, anzi, in diverso grado,
-due verità sante; e ogni verità può spiegar tutte le sue forze e usar
-tutte le sue difese senza insultarne un'altra. È vero che le persone
-sono naturalmente distinte dalle istituzioni, ma ci sono degli ordini
-di cose in cui gli oltraggi (parlo di oltraggi, non di ragionamenti,
-che, del resto, non sono materia di poesia) in cui, dico, gli oltraggi
-alle persone non possono non alterare il rispetto e la dignità della
-istituzione medesima_, ecc.
-
-E infine v'era scritto: — «_Ho qui nel mio giardinetto un giovane
-melagrano che questa primavera ha portato molti fiori, i quali in parte
-sono caduti, in parte allegano: il rigoglio di tutti e il sano vigore
-di alcuni annunziano insieme che quest'alberetto è destinato a dar
-frutti copiosi e scelti._»
-
-La lettera, ora che scrivo, è in un quadretto, e colui che
-dovrebb'essere il melagrano carico di frutti, la guarda con un misto
-di tenerezza e di rammarico, pensando alle sue splendide speranze dei
-sedici anni come a un bel sogno di tempi lontani.
-
-La lettera fu per il collegio un grande avvenimento; il professore
-di letteratura la lesse nella scuola; fuori del collegio, gli amici
-volevano vederla; io non capivo più in me della contentezza; la
-rileggevo cento volte al giorno; me la dicevo a memoria; la notte
-sognavo che me l'avevan rubata; per istrada mi pareva che quei che mi
-passavano accanto si ammiccassero fra loro, come per dirsi: — Eccolo
-là; — a tavola facevo i bocconi piccini, in iscuola pigliavo degli
-atteggiamenti ispirati; in casa dei parenti sorridevo con una bonarietà
-affettata, per far vedere che, in fin dei conti, mi consideravo sempre
-come loro parente.
-
-Quando si dice, le previsioni! Da quell'anno in poi non ho più scritto
-un verso altro che per onomastici di famiglia; non ho più avuto nemmeno
-la tentazione di scriverne; e sono ora profondamente persuaso che non
-sono nato per far dei versi. Chi me l'avesse detto allora, quando un
-prosatore mi pareva appena un uomo, e dicevo, leggendo il romanzo _I
-promessi sposi_: — Peccato che non sia in ottave!
-
-Quattro anni dopo ero sottotenente di presidio a Pavia, con un
-battaglione del mio reggimento. Non avevo mai visto Milano. Una
-mattina, svegliandomi, mi viene il ticchio di farci una scappata. Ma,
-e il permesso? To', bella idea! Mi faccio mandar da casa la lettera
-del _melagrano_, la mostro al tenente-colonnello, e gli dico: — Vorrei
-andar a Milano a vedere il Manzoni. — Così feci; la lettera venne,
-la diedi al mio capitano e lo pregai di domandarmi il permesso. Il
-tenente-colonnello, quando intese, prima di vedere la lettera, lo scopo
-della mia gita, esclamò: — Oh! oh! nientemeno! — come per dire: — Ci
-vuol della faccia; — ma, visto ch'ebbe la lettera, accordò il permesso
-dicendo: — È un altro par di maniche; vada e ce ne porti notizie.
-
-Partii la mattina seguente, era domenica, faceva un bellissimo tempo.
-Arrivato a Milano e sbarcato in non so che albergo vicino al duomo,
-domandai a un piccolo cameriere dove stesse di casa il Manzoni. — _El
-negoziant de mobil?_ — mi domandò alla sua volta. Ma che _negoziant de
-mobil_, — risposi; — il conte senatore scrittore Alessandro Manzoni.
-— Oh mi scusi! — esclamò il ragazzo arrossendo: — io credevo....; il
-senatore Alessandro Manzoni sta in piazza Belgiojoso; — e mi descrisse
-la casa. Era di buon'ora, scappai a vedere il Duomo, poi difilato in
-piazza Belgiojoso. Come mi battè il cuore quando vidi quella casa!
-Con che venerazione mi levai il chepì entrando nella stanzina del
-portinaio! Ma ahimè! Alessandro Manzoni era a Brusuglio. Salii subito
-in una carrozza e mi feci condurre a Brusuglio. Strada facendo pensavo
-alle prime parole da dirgli; alla maniera di baciargli la mano prima
-che avesse tempo di ritirarla, come sapevo che faceva sempre; al modo
-di tener la sciabola in sua presenza. Star davanti al Manzoni, pensavo,
-colla sciabola! Mi pareva che non andasse; l'avrei lasciata volentieri
-nella carrozza. Per la strada passavan contadine e contadini; mi
-parevan tutti visi di sante persone; in ogni vecchietta vedevo Agnese,
-in ogni giovane Renzo, in ogni bimbo Menico. Guardavo con insolito
-piacere quel cielo di Lombardia _così bello quand'è bello_, e quella
-campagna verde e tranquilla; i miei sentimenti e i miei pensieri,
-via via che mi avvicinavo, s'innalzavano; provavo quello che si prova
-salendo su per una montagna; mi pareva di respirare un'aria sempre più
-pura, e la mia mente si staccava dalla terra.
-
-La carrozza si fermò dinanzi alla villa, scesi, entrai nel giardino, un
-servitore mi venne incontro a domandarmi chi cercavo. Glie lo dissi:
-mi guardò da capo a piedi, e mi rispose un _ma_, che voleva dire: —
-Non so se sarà ricevuto. — Allora gli mostrai la lettera, la prese e
-accennandomi che lo seguissi si diresse verso la porta d'una stanza
-a terreno, dove entrò, dopo avermi pregato d'aspettare un momento.
-M'appoggiai all'uscio e tesi l'orecchio. Dopo un momento sentii una
-voce tremola pronunziare lentamente queste parole: — _Gentilissimo
-giovanetto. Degl'incomodi abituali non m'hanno permesso di ringraziarla
-nel primo momento, come desideravo vivamente, dei versi ch'Ella m'ha
-fatto il favore d'inviarmi_.... — Qui la voce tacque, e subito dopo
-uscì il servitore, il quale mi fece riattraversare il giardino ed
-entrare in un salotto, dove mi lasciò solo dicendomi: — Ora viene.
-
-Io stetti qualche minuto guardando la porta cogli occhi fissi, con
-tutta la persona immobile, respirando appena, come se fossi stato
-davanti a una macchina fotografica.
-
-La porta s'aperse....
-
-O miei benevoli amici e non amici, che mi avete detto tante volte e
-con tanta ragione, che il mio cuore è una spugna, che i miei occhi
-son due fontanelle di lagrime, che i miei soldati sono donnette e che
-tutte le righe dalle mie pagine sono come tanti rigagnoli che corrono
-al gran mare del pianto in cui morirò un giorno annegato, siate giusti;
-riconoscete che almeno questa volta io avevo diritto d'intenerirmi;
-confessate che anche voi altri vi sareste sentiti un leggero moto di
-convulsione alla gola; e allora mi farò animo e vi dirò che io, lungo
-come un granatiere, io, colla mia sciabola d'ordinanza e colle mie
-pompose spalline, io, quando il Manzoni comparve, gli corsi incontro,
-gli afferrai la mano e diedi in uno scroscio di pianto così improvviso,
-così violento e così sonoro, che quello di uno qualunque dei miei
-soldati sarebbe parso, al confronto, un vagito di bambino.
-
-Il buon vecchio mise la sua mano sulla mia e mi disse con accento
-amorevole: — Vede.... cosa vuol dire avere un carattere così.... buono
-e.... ingenuo; si provano delle sensazioni.... violente; si rimetta,
-via.... si rimetta.
-
-Riferire per ordine la conversazione che seguì poi, se si può chiamar
-conversazione un dialogo nel quale uno dei due interlocutori dice
-appena quello che è indispensabile per dar appiglio all'altro di
-parlare, non saprei. Ricordo che mi domandò sorridendo: — E la poesia?
-— e che avendogli io risposto che l'avevo lasciata in disparte, mi
-disse: — Torneranno, torneranno i tempi per la poesia. — Ricordo che
-parlò della battaglia di Custoza e disse: — _Fracta virtus!_; che
-recitò due strofe di una canzonetta del Brofferio intitolata: _El
-baron d'Onea_, fermandosi al verso: _a sauta_, _a pista_, _a braia_,
-per non dire la parola licenziosa ch'è nel verso seguente; che parlò,
-richiesto ripetutamente, del _Cinque maggio_, dicendo che gli aveva
-suggerito di scrivere quell'ode sua madre, mentre egli, all'annunzio
-della morte di Napoleone, s'era messo a declamare dei versi del Monti;
-ode, soggiungeva, piena di latinismi e di francesismi, della quale era
-ben lontano, quando la scrisse, dal prevedere _quel po' di fortuna_ che
-aveva avuta in seguito; e m'indicò, se non sbaglio, il tavolino su cui
-l'aveva scritta. Su quel tavolino v'era il _Fior di memoria_ del Cantù,
-che gli diede occasione di parlare d'un suo nipotino, il quale comparve
-poco dopo. Dopo il nipotino comparve il suo figliuolo primogenito. —
-Vede, disse il Manzoni, che questo figliuolo è una terribile fede di
-battesimo e che non posso più fare il giovanotto. — A una cert'ora mi
-lasciò per andar a desinare, e io rimasi solo, e mi misi a studiare a
-memoria i quadri, i mobili, i libri; e mi stampai così bene ogni cosa
-nel capo, che ce l'ho ancora, e sarei in grado di fare un inventario
-appuntino di quel salotto, come ne ho poi fatto molte volte lo schizzo
-a penna nella stanza dell'uffiziale di picchetto e nel camerino del
-furiere. Quando tornò s'andò a fare un giro nel giardino. Ricordo
-ch'ero impacciato a camminare, che inciampavo nella sciabola, che
-parlavo senza garbo, che facevo delle domande scipite e che standogli
-così accanto quasi da toccarlo colle gomita, avevo non so che vergogna
-di esser più alto di lui di quasi tutta la testa, e cercavo di farmi
-piccino; e provavo poi un vivo dispetto vedendomi in quel modo tutto
-luccicante d'argento vicino a lui vestito modestissimamente, e mi
-rincresceva di non essermi infilato il cappotto; e guardandolo quando
-mi precedeva di alcuni passi che andava chino e lento sulle gambe mal
-ferme: — Ah caro vecchio, dicevo tra me, se potessi darti la mia salute
-e la mia forza, con che cuore te la darei, dovessi anche domandare
-l'_aspettativa per infermità non provenienti dal servizio_!
-
-Venne finalmente l'ora d'andarsene; accommiatandomi, volli baciargli
-la mano; egli mi porse il viso e sentì forse l'umidità delle mie
-guance. — _Giuan, el legnn!_ — disse al suo cocchiere mentre uscivo;
-lo ringraziai accennandogli la carrozza che mi aspettava. Vidi,
-uscendo, le sue due belle nipoti, che forse avevano udito lo scroscio;
-attraversai il giardino facendo un gran strepito con quella maledetta
-sciabola che mi picchiava sulle gambe; e al momento di risalire in
-carrozza, voltandomi, lo vidi ancora fermo sulla porta che salutava col
-fazzoletto.
-
-— Addio! — risposi in cuor mio, — addio, padre, maestro, amico; addio,
-santo consolatore; oh se fosse qui il mio reggimento e potessi farti
-presentare le armi!
-
-E lo salutai militarmente, con tutte le regole, come avrei salutato un
-generale.
-
-Arrivato a Milano, all'albergo, scrissi a casa una lettera di otto
-pagine nella quale dicevo che Milano m'era parsa la più bella città del
-mondo, che il Manzoni era un angelo e che io ero felice.
-
-La sera tardi arrivai a Pavia, e rientrando in casa trovai parecchi
-amici sulla porta che mi domandarono tutti insieme: — Ebbene, l'hai
-visto? gli hai parlato?
-
-— L'ho visto, gli ho parlato e l'ho anche baciato! risposi.
-
-— Sentiamo, — gridarono tutti in coro, — siedi e racconta.
-
-— Dirò tutto, — risposi; — ma lasciatemi fare un po' di prefazione. È
-male parlar di sè; ma quando l'Io, invece di esser lo scopo di quello
-che si dice, non è che un mezzo per dire più facilmente cose che
-riguardano altri e che possono riuscire gradite a molti....
-
-— Oh basta! — esclamarono gli amici — che seccatura! di' dunque, come
-ti sei fatto ricevere?
-
-— Ve lo dirò, — cominciai; — ma bisogna ritornare un po' addietro.
-Io era in Collegio, avevo sedici anni e scrivevo dei versi. Il mio
-professore di letteratura....
-
-Diavolo! senz'accorgermene ricominciavo a scriver l'articolo. Si vede
-che dopo otto anni da quella visita, a pensarci, mi si confonde ancora
-la testa.
-
-
-
-
-ALCUNE OSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA
-
-(per i ragazzi non toscani).
-
-
-
-
-LA LETTURA DEL VOCABOLARIO
-
-
-Lessi, non è molto, in uno scritto dedicato a Teofilo Gautier, il
-seguente periodo: — «Un giorno il Baudelaire gli domandò: — Come avete
-fatto per imparare a scrivere in questo modo? — E il Gautier rispose:
-— Ho studiato molto il vocabolario. — Si dice infatti ch'egli soleva
-leggere il vocabolario con molto diletto. — Legger queste parole,
-e veder come cadere un velo dinanzi ai miei occhi, e apparire un
-vocabolario, come il pugnale a Macbetto, in aria, volto di costa verso
-la mia mano, perchè l'afferrassi, fu un punto. Compresi, voglio dire,
-tutto ad un tratto, e per la prima volta, che leggere il _Vocabolario
-della lingua italiana_, leggerlo da capo a fondo, e rileggerlo, e
-postillarlo, e farne spogli, e continuare a leggerlo, per consuetudine,
-un po' tutti i giorni, è più che un bisogno, un dovere di coscienza,
-non solo per chi scrive, ma per qualunque cittadino il quale desideri
-di morire senza rimorsi. Mi rammento che al balenare di questa verità,
-mi vergognai di non averla scoperta prima (per conto mio, ben inteso,
-che del resto la scoperta ha le barbe); e che appuntando il dito
-contro il calamaio, come per incaricarlo di rappresentare un momento
-la mia persona, gli gridai: — Arrossisci! — Poi presi a snocciolargli
-le molte ragioni, per le quali credevo che dovesse arrossire: — che
-nessuno, cioè, può ragionevolmente credere d'avere studiato la lingua,
-se non s'è servito del mezzo più semplice, più spiccio e più sicuro
-di conoscerne, se non tutti, quasi tutti gli elementi, e che questo
-mezzo non è altro che il _Vocabolario_, il solo libro nel quale della
-lingua si può vedere tutta la ricchezza, e abbracciarne, per così dire,
-il complesso, con una qualche sicurezza, nella quale l'intelletto si
-riposi, e dalla quale proceda poi, con maggior ardimento, a studiare
-nei libri. Che studiar la lingua soltanto nei libri, ed anco solo nel
-popolo che la parla, è uno studiarla a caso, poichè nei libri non ce
-n'è che una parte, nè il popolo la parla tutta, tacendo pure della
-impossibilità, quando tutta la parlasse, di tutta raccoglierla; del
-che si ha una prova nel fatto, che non v'è alcuno il quale scorrendo
-del _Vocabolario_ solo una minima parte, non trovi un buon numero di
-vocaboli propri a significare oggetti o fatti, ch'egli non soltanto
-non ricordava, ma di cui non sopponeva nemmeno l'esistenza, e a cui
-sostituiva definizioni, paragoni, giri di parole. Che il fatto di non
-studiarsi tutto il _Vocabolario_ è cagione che un'infinità di cose non
-si dicano mai, nè si scrivano da nessuno e in nessun luogo, neppure in
-Toscana; non essendoci altra maniera, fuor di questa, di sapere come
-si dicano, quando occorre di dirle, se non facendo ricerche spesso
-lunghissime, qualche volta vane, sempre seccanti: onde si preferisce
-di lasciar correre. Che nella lingua scritta, ed anco nella parlata
-dalla gente colta, per ciò solo che non si studia il _Vocabolario_, c'è
-molto meno varietà di quanta ce ne protrebb'essere, essendosi ciascuno,
-a una certa età, formato un corredo di parole e di modi, che gli
-bastano ad esprimere quello che ordinariamente ha da dire, e che però
-non s'accresce più, salvo che per straordinarî bisogni; mentre colla
-lettura assidua del _Vocabolario_ faremmo ciascuno al nostro linguaggio
-buttare ogni giorno delle messe nuove, e potremmo dire ogni giorno
-qualcosa di più, e di questo lavoro di tutti s'arricchirebbe la comune
-lingua parlata e scritta. E altre molte ragioni trite e ritrite, ma non
-mai ripetute abbastanza, la conclusione delle quali fu che io m'ero
-ingannato fino allora nel considerare il _Vocabolario_ come un libro
-fatto soltanto per rispondere quand'era interrogato; ch'esso era invece
-un libro da leggersi per disteso, come una storia, o un trattato, o
-un romanzo; e da tenersi sul tavolino da notte; e da portarselo, a
-fascicoli, nelle passeggiate in campagna.
-
-Mi misi a leggere, cominciando dall'A, con grande ardore, e divorai
-in pochi giorni parecchie centinaia di pagine, tempestando i margini
-di note in modo da non lasciarli più vedere. Che volete? Il diletto
-che ci provai fa tale e tanto, che non potei resistere al desiderio di
-esprimerlo, e sospesa la lettura, tirai giù le linee seguenti.
-
-Mi raffiguro una sala immensa, nella quale siano stati raccolti e
-schierati confusamente gli oggetti di cento Esposizioni universali.
-Attraversare di corsa questa sala dev'essere un piacere della natura di
-quello che si prova leggendo il _Vocabolario_. Voi trascorrete dalla
-città alla campagna, dal mare alla terra, dalla terra al cielo, dal
-cielo nelle viscere della terra, colla rapidità con cui trascorrerebbe
-la vostra immaginazione abbandonata ai suoi grilli. Accanto a un
-mobile di casa, vedete un'arma del medio evo, accanto all'arma un pesce
-raro, più in là una pianta asiatica, poi un ingegno meccanico, poi una
-pietra preziosa, poi un fiore, poi un edifizio, poi un tessuto. Trovate
-strumenti di tutte le arti, termini di tutte le scienze, vestimenti di
-tutti i popoli, usi di tutti i tempi, immagini di tutte le religioni.
-V'accompagna per la via un vocío continuo intercalato di proverbi,
-di bisticci, di frizzi plebei, di grida di meraviglia, d'insulti,
-di complimenti, di beffe, di saluti. Incontrate una folla di parole
-che vi paiono larve di persone; le dotte, tronfie, professori cogli
-occhiali; le antiquate, archeologi tabacconi, pieni d'acciacchi, che
-brontolano contro la gente nuova; le nuove, fresche, sfrontate, come
-giovanotti entrati or ora nel mondo, con qualche lettera commendatizia
-di scrittore autorevole; le comuni, uomini pubblici con un lungo
-codazzo di clienti; le sinistre, soggetti da questura; le altisonanti,
-spacconi da assemblee popolari; le leziose, nobiluccie affettate; le
-sconcie, donnaccie senza pudore, con un marchio di riprovazione sulla
-fronte; le straniere, viaggiatori smarriti; i diminutivi, frotte di
-bambini, in lunghe file, colle mamme alla testa. E voi passate accanto
-all'une, senza guardarle, come persone di casa; all'altre fate un
-saluto in aria d'indifferenza; a queste correte incontro come a gente
-dimenticata, che si rifaccia viva; a quelle vi fermate innanzi un
-momento, per fissarvene in mente l'aspetto; e quale vi fa ravvedere
-d'un errore, quale vi dà un consiglio amichevole, quale vi accenna un
-fatto storico, quale vi espone una tradizione popolesca; e voi pensate,
-ridete, fantasticate, e imparate lingua, storia, morale, poesia,
-scienza, giuochi, mestieri finchè chiudete il libro storditi, come
-all'escir da una sala dove aveste veduto insieme un teatro, un mercato
-e un'accademia. Che si può trovare di più in un libro? Come si può
-negare che sia un libro incantevole? E quando si potrà dire d'averlo
-letto abbastanza?
-
-Il Mantegazza nella sua _Fisiologia del piacere_ ha dimenticato il
-_Vocabolario_, ed è una dimenticanza che non gli si può perdonare.
-Mi ricordo d'un professore di matematica, ardentissimo della sua
-scienza, il quale, portate per la prima volta in scuola le Tavole
-dei logaritmi, chinò il viso sul libro fino a toccare il margine
-col mento, e agitando in alto le braccia tese esclamò con un accento
-d'inesprimibile soddisfazione: — Com'è dolce nuotare in questo oceano!
-— E così è dolce nuotare nel _Vocabolario_. Si va giù per le colonne
-come per la corrente d'un fiume, e le parole sono villette, piante e
-donnine schierate lungo la riva; ci si lascia andare, e si scivola
-placidamente, pensando a mille cose, come quando si scartabella un
-albo di paesaggi, e si canta. Il _Vocabolario_ è un libro fantastico.
-Si dice che la lettura delle _Mille e una notte_ desta nella mente un
-turbinío di immagini abbarbaglianti, che danno una specie di ebbrezza,
-seguíta da sogni deliziosi. Cinquanta pagine di _Vocabolario_ suscitano
-nella testa una folla d'immagini più fitta, più varia, più turbinosa,
-che quella delle _Mille e una notte_. Chiuso il libro, chiudo gli
-occhi, e vedo intorno a me una miriade di cose disparatissime, che
-girano e s'inseguono, spariscono e riappaiono, come un nuvolo di
-farfalle, produgendomi nella mente un tumulto piacevole, che mi dura
-anco nel sonno. Il _Vocabolario_ eccita i sensi.
-
-E lasciando da parte i piaceri, e per farla anche un po' da pedante,
-quante cose insegna nel suo casalingo linguaggio e colla sua paterna
-bonarietà, quest'aureo libro! Col suo costante, semplice e severo
-definire e specificare ogni cosa, dà contorno e lume alle vostre
-idee; così che dopo la lettura d'un'ora, se vi mettete a scrivere,
-non vi pare che quello che pensate e il come lo esprimete siano
-mai abbastanza chiari e determinati, e non vi contentate più della
-prima forma, e finite poi col far meglio. Col descrivere minutamente
-quegl'infiniti oggetti, che noi sogliamo indicare aiutando la parola
-col gesto, senza riuscir mai a porgerne l'immagine a chi non li abbia
-veduti, ci esercita alla descrizione minuta, all'uso delle parole
-proprie, a quel lavoro di musaico della lingua, a quella lotta contro
-le piccole difficoltà, che gli scrittori di libri letterarî scansano
-quasi sempre fingendo di sdegnarla, ma in realtà perchè la temono.
-Poi, la curiosità è mezza scienza, e il _Vocabolario_ ci mette ad ogni
-passo una curiosità; leggendo sentite il bisogno d'aver accanto ora
-un botanico, ora un meccanico, ora un archeologo, ora uno storico,
-chè l'affollereste di domande; non l'avete? la curiosità resta, le
-domande si appuntano, alla prima occasione si faranno. E poi, parola e
-pensiero son gemelli della mente: quante faville vi accende nella testa
-il _Vocabolario_! Il Gautier diceva che ci son parole diamante, parole
-zaffiro, parole rubino, che non domandano che d'essere incastonate; si
-può dir di più; ci son parole che gettan l'idea d'un lavoro; parole
-che dánno la sveglia a mille pensieri che ci stavano come ravvolti e
-nascosti in un angolo della testa; parole che ci ravvivano la memoria
-di tutto un libro dimenticato. E infine la lettura del _Vocabolario_
-fa l'effetto d'una lezione di modestia, perchè si può ben esser dotti,
-ma in ogni colonna si troverà sempre quella parola che ci fa dire: —
-Non sapevo! — e ci rende accorti d'una lacuna che avevamo nella mente.
-Molti lo dovrebbero leggere non foss'altro che per esercitarsi a tirare
-indietro, come la lumaca, le corna dell'orgoglio.
-
-Ma non solamente è un libro ameno, utile e morale; il _Vocabolario_ si
-fa anco amare perchè è il libro più intimamente «nazionale» di tutta
-la letteratura; ci han lavorato tutti i secoli, ci abbiamo lavorato
-tutti; dotti, analfabeti, fanciulli; c'è un verso d'ogni poeta e un
-periodo d'ogni prosatore; ogni grande avvenimento ci ha lasciato un
-ricordo: c'è la storia della nostra lingua; vi si trovano le traccie
-della lotta secolare tra la lingua prima e lo spirito trasformatore
-del popolo; vi son le parole moribonde, le vittoriose, le storpiate, le
-trasfigurate, le invulnerabili, le uccise, le sotterrate, le fracide,
-le risorte; è un vero campo di battaglia sul quale tutte le nostre
-provincie e tutte le nostre città hanno mandato soldati; è un libro
-tutto patria; il più nostro di tutti; si prova, a scorrerlo, quel
-piacere della proprietà che il Mantegazza annovera tra i più dolci; si
-gode a maneggiarlo come a palpare un mazzo di chiavi di casa nostra; a
-uno straniero che ci offendesse, daremmo sulla testa, in nome d'Italia,
-a preferenza d'ogni altro libro, questo; a volte ci si sente presi di
-vera tenerezza per lui; io gli batto la mano su, e gli dico; — Maestro,
-amico, consigliere, che sai tutto e rispondi a tutto ed a tutti, fido
-compagno degli studiosi, pedantone caro e glorioso, ti saluto! —
-
-Quante volte vi piglia la tentazione di consigliare la lettura del
-_Vocabolario_ come farebbe un medico d'un medicinale! Quando voi, per
-esempio, che non sapete parlare il dialetto, o che vi siete intestati
-di non volerlo parlare, entrando in una casa di buona gente, vedete
-ragazzi fuggire, signorine turbarsi, e padre e madre, dopo aver
-tentato, a più riprese, ma invano, di farvi cambiare linguaggio,
-pigliar quasi il broncio, e lasciar languire la conversazione; quanto
-volontieri, all'uscire, consegnereste alla cameriera un biglietto di
-visita con su scritto, a modo di ricetta: _Vocabolario!_ E quando vi
-si presenta un giovanetto, del quale si narran meraviglie, laureato,
-autore di belle poesie, che cinguetta il francese, l'inglese, il
-tedesco, e che poi, messo al punto di dovervi raccontare in italiano,
-alla lesta, non so qual caso seguíto a lui, s'impenna, si ripiglia, non
-può dire quello che vuole, e butta fuori strafalcioni da pigliar con
-le molle, con che matto gusto, finito quello strazio, gli mormorereste
-nell'orecchio, a modo di pietoso confessore: _Vocabolario!_ —
-Finalmente se si potesse fare quello che un mio amico repubblicano
-desiderava; il quale, per gettare lo spavento in cuore ai partigiani
-della monarchia che gavazzano alle spese del povero popolo, avrebbe
-voluto che non so quale smisurato gigante immaginato da lui, lanciasse
-dall'Alpi a Siracusa un tale grido di disperazione, da far traballare
-le mura e andare in frantumi i vetri di tutti i palazzi d'Italia;
-sarebbe a desiderarsi che questo gigante, rizzatosi in mezzo a tante
-migliaia d'Italiani che non vogliono parlar la lingua propria, o la
-stroppiano, o l'appestano, o la castrano, o la svergognano, gridasse
-con tutta la forza dei suoi prodigiosi polmoni: — _Vocabolario_.
-
-E poichè in questi giorni, — come intesi dire a un negoziante — tutto
-ciò che si scrive, anche in materia di letteratura, deve avere la sua
-«conclusione pratica» ne tirerò una anch'io da questo scritterello.
-E dirò come dice chiunque, ormai, che abbia tre lettere dell'alfabeto
-in testa, quando vuol mettere innanzi una proposta; se fossi Ministro
-della istruzione pubblica, dirò, metterei nel programma d'insegnamento
-per le scuole del Regno, colla più profonda convinzione di far cosa
-utile all'Italia, la lettura obbligatoria di tutto il _Vocabolario_
-della lingua, con spogli, commenti ed esame alla fine d'ogni anno.
-«Come si dice in italiano questo? e quello? e quest'altro?» domande
-ragionevolissime da fare a uno studente che sappia tant'altre cose.
-Dicono: — C'è dei _Prontuari_! — Lavoro fatto, non ci credo; bisogna
-comprar la lingua col nostro santo inchiostro e d'altra parte i
-_Prontuari_ non contengon che nomi. Non c'è tempo! Vediamo: io ho il
-Fanfani in mano, ultima edizione, millesettecento pagine, otto volumi
-di sesto ordinario, di quattrocento pagine l'uno, dieci pagine al
-giorno:
-
-— Un anno.
-
-Io continuo, e voi, ragazzi, seguite il mio consiglio: cominciate.
-
-
-
-
-APPUNTI
-
-
-Qualunque italiano non toscano, e specialmente un italiano delle
-provincie settentrionali, il quale si metta a leggere il vocabolario,
-si persuade fin dalle prime pagine di questa verità: che la lingua
-italiana generalmente parlata e scritta nelle sue provincie è tanto
-povera, — tanto scarsa, voglio dire, di vocaboli e di modi, — da
-doversi chiamare piuttosto una _mezza lingua_, che una lingua intera.
-Leggendo il vocabolario, infatti, si trovano centinaia e migliaia
-di vocaboli e di modi vivi, efficacissimi, d'un significato che non
-sapremmo rendere con altre parole; i quali nell'Italia settentrionale
-non si dicono e non si scrivono mai, o rarissimamente, come se fossero
-modi e vocaboli morti. È superfluo il dir la ragione di questo fatto,
-il quale è comune a tutte le lingue da per tutto dove si parla un
-dialetto. Ma non è inutile l'accennarlo e l'insistervi per dimostrare
-ai giovani dell'Italia settentrionale i quali si dánno allo studio
-della lingua italiana, come per prima cosa essi debbano cercare
-d'appropriarsi di questa lingua quella grandissima parte che loro
-manca, e della cui mancanza nulla ci può avvertire così prontamente e
-così utilmente come la lettura del vocabolario.
-
- *
- * *
-
-Si notino, per esempio, i seguenti vocaboli tolti dal dizionario del
-FANFANI.
-
- APPICCICHINO. — Uomo che si appiccica ad altri per molestare, o
- chiedendo o cianciando, o mostrando famigliarità soverchia.
-
- ATTACCHINO. — Più maligno, più pungente che _Attaccalite_.
-
- ATTIZZINO. — Chi attizza gli altri fra loro. Generalmente si dice
- _mettimale_ che non è la stessissima cosa.
-
- CICALINO. — È superfluo notare la differenza che corre fra questa
- parola e _cicalone_.
-
- DONNINO. ES.: _Che camera assestata tiene questo Pietro: è proprio
- un donnino_ (Fanf.)
-
- FARFALLINO. — Uomo volubile.
-
- FICCHINO. — È quasi lo stesso che _Ficcanaso_; ma dicesi più
- specialmente di chi, anche non invitato, cerca di andare o a
- pranzi o a ritrovi, ecc.; mentre _Ficcanaso_ è chi si ficca per
- curiosità più che per altro.
-
- FRUCCHINO (da Frucchiare). — Chi mette le mani per ismania di darsi
- faccenda in diverse cose, e anche in una sola, ma con gran moto,
- senza senno nè gravità, e senza che le cose nelle quali mette le
- mani gli appartengano gran fatto.
-
- FRUGOLINO. — (dimin. di frugolo). — Una donnina, un bimbo, un ometto
- che non sta mai fermo.
-
- GALOPPINO. — Uno che strappa da vivere facendo mille mestieri.
-
- GIRANDOLINO. — Lo stesso che Farfallino.
-
- PERTICHINO. — Nel linguaggio teatrale si chiama _pertichino_ quel
- cantante che sta fisso in teatro, a un tanto il mese, e che
- è adoperato a fare le parti più umili, ordinate solo a tener
- bordone e far apparir meglio le parti principali. Si applica per
- analogia ad altre persone.
-
- RABATTINO. — Persona ingegnosissima che in mille modi, ma sempre
- per vie oneste, cerca di guadagnare e vantaggiare la propria
- masserizia.
-
- STILLINO. — Lo stesso che _Rabattino_; ma dicesi anche di chi aguzza
- l'ingegno per riuscire in alcuna cosa; da _stillare_, trovare
- accortamente il modo di far checchessia; _stillo_, modo, via,
- ecc. ES.: _Trova qualche stillo per divertire, o per tenere a
- dada questa gente._
-
- TRITINO. — Dicesi di chi ha la manía di vestir bene, ma non
- potendoci arrivar colla spesa, ha sempre dei panni rifiniti, e di
- poco valore.
-
-Quante volte, parlando e scrivendo, noi italiani del settentrione
-abbiamo bisogno di queste parole, e non le sapendo, o non avendole,
-come suol dirsi, alla mano, ne diciamo altre che non esprimono il
-nostro pensiero! Invece di _stillino_, per esempio, uomo ingegnoso;
-invece di _tritino_, vestito male; invece di _frugolino_, vivace;
-invece di _rabattino_, mestierante; invece di _appiccichino_,
-seccatore; parole generiche, adoperabili in mille casi, dalle quali il
-linguaggio non riceve nè colore nè garbo. L'_astratto_, come diceva il
-Manzoni, invece del _per l'appunto_.
-
- *
- * *
-
-Si notino quest'altre, tolte pure dal dizionario del Fanfani.
-
- AFFANNONE
- ALMANACCONE
- ARRUFFONE
- CABALONE
- CIABATTONE
- FACCENDONE
- FIUTONE
- FRACASSONE
- FRUGONE
- GIRANDOLONE
- LITIGONE
- LUMACONE
- IMPICCIONE
- MACHIONE
- NINNOLONE
- NOTTOLONE
- PIALLONE
- SBALLONE
- SCIALONE
- SCIOPERONE
- SGOMENTONE
- SINCERONE
- SOFFIONE
- STRONFIONE
- RIGIRONE
- TATTICONE
- TENTENNONE
- TRAFFICONE
- TRAPPOLONE
- VILUPPONE
-
-Di queste trenta parole, ciascuna delle quali ha un significato
-distinto, intelligibile da qualunque italiano che le senta per la
-prima volta, quante sono usate, così parlando che scrivendo, dagli
-italiani settentrionali? Tutt'al più quattro o cinque. E che parole
-s'usano invece? Ci rifletta un momento un piemontese, un genovese o un
-lombardo, e riconoscerà che usa quasi sempre una perifrasi, o esprime
-la cosa con un gesto, o dice una parola la quale non rende che presso
-a poco il suo pensiero.
-
- *
- * *
-
-Di questa povertà della lingua che si parla tra noi, s'ha una prova
-ogni momento. Un giorno, per esempio, ch'ero a desinare da una famiglia
-piemontese, la padrona di casa mi disse: — Lei oggi non ha appetito.
-— Non è che non abbia appetito, — risposi celiando; — è che ho fatto
-uno _spuntino_ due ore fa. — Questa parola _spuntino_ destò uno stupore
-generale, e tutti mi guardarono come per domandarmi che diavolo avessi
-voluto dire. Io continuai: — In ogni modo bisogna che desini per
-non essere poi obbligato a fare un _ritocchino_ fra un paio d'ore.
-— Nuova meraviglia per questo misterioso _ritocchino_. — Del resto,
-soggiunsi, questo piatto è così squisito che vorrei pigliare ancora il
-_contentino_. — Terza meraviglia per il _contentino_.
-
-Infine mi domandarono che cosa significassero quelle tre parole.
-
- SPUNTINO, — è il piccolo mangiare che si fa fuori dell'ordinario e
- tanto per sostenere lo stomaco fino all'ora solita del cibo. (F.)
-
- RITOCCHINO, — è un piccolo pasto che si fa dopo aver mangiato. (F.)
-
- CONTENTINO, — è quel po' che si piglia ancora d'una cosa che ci
- piaccia, dopo che se n'è già mangiata la propria porzione. (Si
- dice pure per la giunta che si dà dopo la derrata). (F.)
-
-Queste tre parole graziosissime, usate in tutta la Toscana, entrarono
-da quel giorno nel vocabolario faceto della famiglia, invece delle
-espressioni _mangiare prima del desinare_, _mangiare dopo_, _prendere
-ancora un boccone_ che erano usate prima. Ora ci sarà qualcuno il quale
-consideri quelle parole come fiorentinismi, e le voglia bandite solo
-perchè non sarebbero capite alla prima in tutta l'Italia? Si approvi
-o no l'idea del Manzoni, non si può rifiutare di prendere tra le
-espressioni e i vocaboli toscani tutti quelli che servono a dir cose
-che noi diciamo altrimenti con più parole e con meno garbo. Ho veduto,
-per esempio, dei genovesi e dei piemontesi sudar freddo per dire in
-italiano quello che in francese si dice _foisonner_, in piemontese _fe
-foson_, in genovese _faa reo_, ecc.; una cosa che in famiglia occorre
-di dire spessissimo: di alimenti, cioè, i quali per mangiare che se ne
-faccia, pare che non consumino e sieno più abbondanti di quello che
-sono veramente. Dicevano: _la tal cosa pare più abbondante di quello
-che è_, _della tal cosa ce n'è sempre più di quello che si crede_, ecc.
-Espressioni vaghe, lunghe e inesatte. Ebbene, in Toscana si dice _far
-comparita_. Chi vorrà continuare a filare un lungo periodo per dir male
-una cosa semplicissima, se può dirla con un _toscanismo_ di due parole?
-
- *
- * *
-
-Una delle gran ragioni per le quali molti di noi non capiamo la
-necessità di arricchire la propria lingua è questa: che ignorando certi
-modi e certi vocaboli, non ci accorgiamo punto, scrivendo o parlando,
-delle perifrasi, dei giri di parole, delle contorsioni di frase di
-cui ci serviamo per esprimer cose che quei modi e vocaboli esprimono
-con poche sillabe. Se io ignoro l'esistenza della parola _golino_, per
-esempio, non capisco perchè un Toscano sbadigli quando gli dico: — _il
-tale mi diede un colpo nella gola col pollice e coll'indice aperti._ —
-Se non so che ci sia la parola _ingozzatura_, non m'accorgo di fare una
-lungaggine dicendo invece di: — Gli diedi un'ingozzatura, — _Gli diedi
-un colpo colla mano aperta sul capello in modo che glielo feci scendere
-fin sulle spalle_, ecc. ecc. Ma mettiamoci un po' a studiare la lingua,
-come diceva il Giusti, con tanto d'occhi aperti; vedremo quante lacune
-ci son nel nostro parlare e nel nostro scrivere, quante superfluità,
-quante improprietà, quante pedanterie, quanta miseria!
-
- *
- * *
-
-Il miglior mezzo di studiare il vocabolario mi par quello di cavarne
-un altro piccolo vocabolario per nostro uso, raggruppando intorno a un
-certo numero di soggetti generali tutte le parole e tutti i modi che
-ci sembrano degni di nota. Una scorsa data poi di tratto in tratto a
-queste note ravviva maggior quantità di lingua nella memoria che non
-la lettura di dieci libri. Estraggo, per esempio, dai miei appunti sul
-vocabolario del Fanfani, una parte di quello che riguarda il _mangiare_
-e il _bere_.
-
- _Sulla maniera di mangiare._
-
- MANGIARE A DESCO MOLLE. — Mangiare a tavola sparecchiata.
-
- MANGIARE A BATTISCARPA. — Senza apparecchiare, in fretta e stando in
- piedi.
-
- MANGIARE A SCAPPA E FUGGI. — In fretta.
-
- MACINARE A MULINO SECCO. — Mangiare senza bere.
-
- MANGIARE COLL'IMBUTO. — Mangiare in fretta e senza masticare.
-
-_Espressioni comiche per indicare il mangiar molto o ingordamente._
-
- _Diluviare_ — _Scuffiare_ — _Pacchiare_ — _Taffiare_ —
- _Sgranocchiare_ — _Spolparsi_, per es., _un tacchino_ — _Mangiare
- a scoppiacorpo_ — _Dar ripiego_ (Es.: Egli è una gola che darebbe
- ripiego a quanto v'ha in un refettorio di frati. F.) — _Ungere il
- dente, sbattere il dente, far ballare il dente, far ballare il
- mento_ — _Gonfiar l'otre — Levarsi le crespe di su la pancia_ —
- _Fare una mangiataccia_ — _Fare una spanciata_ — _Farsi una buona
- satolla di qualche cosa_ — _Far dei bocconi che paiono giuramenti
- falsi_ — _Impippiarsi, ingubbiarsi d'una cosa_.
-
- FAR RIALTO. — Si dice in famiglia per far cena o desinare meglio
- dell'usato (F.); a cui male si sostituisce comunemente _far
- festa_ od altro.
-
- BOCCONCINO DELLA CREANZA. — Il _morceau honteur_ dei francesi.
-
- TORNAGUSTO. — Cosa che fa tornare il gusto e la voglia di mangiare,
- ecc.
-
- _Fame._
-
- UZZOLO. — appetito intenso.
-
- ALLAMPANARE, ALLUPARE, ARRABBIARE DALLA FAME.
-
- FAR LE FILA SOPRA UN PIATTO. — Guardarlo con avidità grande.
-
- FAR LE VOLTE DEL LEONE. — Aspettare passeggiando. (F.) L'intesi dire
- efficacissimamente in Toscana a proposito del passeggiare che si
- fa in una stanza quando s'ha appetito e s'aspetta che vengano a
- dire ch'è in tavola.
-
- PELATINA. — Malore che viene alle bestie, le quali pelatesi, non
- mangiano; onde per ironía, quando si vede uno che mangia molto,
- si dice che _debbe aver la pelatina_. (F.)
-
- _Del bere._
-
- COLMATURA. — La parte del liquido che riempie il vaso, la quale
- rimane sopra l'orlo. (F.) Ho inteso dire molte volte: _il di più
- o quello che sporge!_
-
- CULACCINO. — L'avanzo del vino che occupa il fondo del bicchiere.
-
- FAR SPRACCHE. — Quel suono che si fa stringendo e riaprendo la bocca
- con forza quando s'è bevuto del vino generoso. (F.)
-
- FAR LA ZUPPA SEGRETA (graziosissimo). Bere colla bocca piena.
-
- BERE A SCIACQUABUDELLA. — Ber vino a digiuno.
-
- BERE A GARGANELLA. — Bere senza accostare il vaso alle labbra.
-
- BERE A GORGATE.
-
- SBICCHIERARE. — Vendere il vino a bicchieri. Es.: _Barile con quella
- bottega s'è arricchito. Compra tutto vino eccellente, e benchè lo
- paghi caro, sbicchierando come fa, ci guadagna il doppio._ (F.)
-
- _Ubbriachezza._
-
- _Prendere una sbornia_ — _Prendere una bertuccia_ — _Prendere
- una colta_ — _Prendere una briaca_ — _Prender l'orso_ —
- _Perder l'alfabeto_ — _Perder l'erre_ — _Essere in bernecche_
- — _Essere in cimberli_ — _Fare i gattini_ (pure del dialetto
- piemontese), _o fare la ricevuta_, per vomitare — _Alzare la
- gloria_, bere soverchio — _Essere una gola d'acquaio_, essere un
- beone — _Essere un briachella_, aver l'abitudine d'ubbriacarsi
- leggermente.
-
- BEVERIA. — Il ber molto. Fare una beveria.
-
- COMBIBBIA. — Bevuta fatta con altri nell'osteria.
-
-Certo che non tutti questi vocaboli e modi sono dell'uso comune
-neppure in Toscana, nè tutti sono da adoperarsi a occhi chiusi. Ma nel
-prendere appunti sul vocabolario, è meglio largheggiare che essere
-scarsi, poichè non v'è parola oziosa o poco usata o antipatica, —
-poichè anche in fatto di lingua ci sono le antipatie, — la quale
-adoperata in un certo senso o in un certo punto, particolarmente
-nel linguaggio faceto, non acquisti un'efficacia singolarissima,
-purchè, come diceva il Giusti, si sappia buttar là in modo da non far
-sospettare che si sia cercata col lumicino. E proviene appunto da non
-conoscere o dal non aver pronte sulle labbra che uno scarsissimo numero
-di espressioni, la difficoltà che incontrano i non toscani a celiare
-con grazia o raccontare barzellette e far descrizioni burlesche in
-modo da far ridere. Perchè se la cosa che hanno da dire non è per sè
-stessa comicissima, poco possono aggiungerle per mezzo della lingua.
-Vediamo per l'opposto che quando raccontano nel loro dialetto cose
-per sè stesse quasi punto ridicole, le fanno riuscire tali, solo
-coll'adoperare certi vocaboli e modi particolari che eccitano il riso.
-
- *
- * *
-
-Par strano, ma è vero: per i non toscani, massime dell'Italia
-settentrionale, uno dei maggiori impedimenti a scrivere e a parlar
-bene è la paura del proprio dialetto. Per paura, infatti, di lasciarsi
-scappare degli idiotismi, bandiscono scrupolosamente dall'italiano
-tutte le espressioni del vernacolo, delle quali molte, letteralmente
-tradotte, sarebbero italianissime; e ciò facendo, durano una fatica
-doppia, e parlano una lingua stentata, leccata e senza vita. Per
-citare degli esempi, ho visto una volta un piemontese arrossire di
-vergogna perchè credeva di aver detto un grossolano piemontesismo
-coll'espressione: — Il tal libro, di cui m'avevan detto tanto male,
-lo lessi, e non _mi parre il diacolo_: — ossia non mi parve tanto
-cattivo quanto si diceva; modo usatissimo nel dialetto piemontese. —
-Bell'italiano — soggiunse con ironia. — Perchè mai? — gli osservai.
-— _non mi parve il diavolo_, _non è il diavolo_, _non sarà poi il
-diavolo_, lo scrisse Giuseppe Giusti. — Non lo volle credere e gli
-dovetti far vedere il libro. Un'altra volta scandolezzai un genovese
-dicendo in italiano: — _So assai se il tale dei tali sia venuto_ — Alto
-là! — mi gridò — la colgo in flagrante genovesismo. Il suo _so assai_
-è il nostro _so assae_ pretto sputato. — Misi sotto gli occhi anche a
-lui le prose del Giusti dove trovò due o tre _so assai_ che lo fecero
-rimanere a bocca aperta. E potrei citare mille altre espressioni che
-fanno rizzare i capelli a tutti coloro i quali a furia di scrupoli,
-di paure, di pedanterie, si son fatti una lingua italiana compassata,
-rigida, plumbea, che non è più una lingua. In Toscana, per esempio, si
-domanda a un libraio: — Quanto _fate_ codesto libro? — Nove su dieci
-italiani delle provincie settentrionali, dovendo fare quella domanda,
-ficcano un prudente _pagare_ in mezzo alle parole _fate_ e _codesto_,
-perchè per loro _fare un libro_, in questo caso, è un'espressione
-assurda, e l'altra, invece, è intera, esatta, a prova di martello. Per
-la stessa ragione non dicono mai _nel momento ch'egli usciva_, ma _nel
-momento nel quale o in cui_; non _il luogo dove o per dove_, ma _il
-luogo nel quale o per il quale_; non _guardai se passasse qualcuno_,
-ma _guardai per vedere se passasse qualcuno_, ecc. Ciò che il Giusti
-chiamava argutamente _parlare e scrivere colle seste_.
-
- *
- * *
-
-Per spiegar meglio il modo che, secondo me, si dovrebbe tenere nel
-prendere appunti sul vocabolario, mi pare utile addurre ancora alcuni
-esempi. Leggendo il vocabolario, credetti opportuno di notare tutti
-i seguenti modi e vocaboli che si riferiscono a commercio, affari,
-denaro, ecc., perchè m'accorsi, leggendoli, che sebbene fossero
-necessarî per dire per l'appunto quelle date cose, non li avevo
-mai adoperati perchè in parte non li sapevo, e in parte non m'erano
-abbastanza fitti nella mente da averli pronti sulla bocca o sulla punta
-della penna parlando o scrivendo.
-
- METTER SU BOTTEGA. — Rizzare una bottega, un negozio.
-
- STIRACCHIARE IL PREZZO. (È chiaro).
-
- SALIRE. — Per rincarare. Es.; _Quest'anno i tartufi son saliti alle
- stelle_. (F.)
-
- RINCARARE.
-
- Il pane è rincarato.
- Rincarare la pigione.
- Il rincaro del cotone.
-
- Nell'Italia settentrionale, massime parlando, si dice generalmente
- colla solita lungaggine _il pane è divenuto caro_, invece di
- _è rincarato_, e _l'aumento di prezzo del cotone_, invece del
- _rincaro del cotone_.
-
- RINVILIO. — Lo scemar di prezzo. Parola che il Manzoni, correggendo
- i _Promessi Sposi_, sostituì a _diminuzione di prezzo_, e che
- ora si comincia a usare anche fuor di Toscana. Es.: _C'è stato un
- gran rinvilio nell'olio._
-
- RIBASSO. — Es.: _Il cotone_ HA FATTO _un ribasso_. Gli scrupolosi
- direbbero: _C'è stato un ribasso nel cotone._
-
- RICHIESTA. — Una tal mercanzia ha molta richiesta.
-
- RIENTRARE. — Il popolo e i venditori, in Toscana, dicono
- _rientrarci_ per _ripigliare il costo_ con guadagno onesto
- vendendo una data mercanzia, Es.: _A volere che ci rientri, quel
- drappo bisogna che lo venda otto lire il braccio._ — _A tre lire
- non posso darglielo: non ci rientro._ (F.)
-
- RIENTRO. — Entrata, _rinfranco_ di denari o d'altro, meglio che
- _risorsa_. Es.: _Giovanni non ha altro rientro che lo stipendio
- di 100 lire al mese._ (F.)
-
- VANTAGGIARE ALCUNO. — Risparmiargli nel comprare e avanzargli nel
- vendere. (F.)
-
- STARE A SPORTELLO. — Dicono gli artefici quando in alcuni giorni
- di mezze feste o simili, non aprono interamente la bottega, ma
- tengono solamente aperto lo sportello. (F.)
-
- SPURGHI. — Le merci rimaste senza vendersi in una bottega. (F.)
-
- RIPARARE. — Si dice _non ripara_ di una persona che non è
- sufficiente a secondare le richieste infinite che le vengono
- fatte; di un mercante che spaccia moltissimo di una tal mercanzia
- ed ha sempre il banco assediato dai compratori. Es.: _Mise su
- quella bottega di mercerie e si arricchirà di certo perchè non
- ripara._ (F.)
-
- COMPRARE COGLI OCCHIALI DI PANNO. — Senza esaminare quello che si
- compra.
-
- SERVIRSI _da_ UN TAL NEGOZIANTE. — Modo scansato da moltissimi per
- timore che non sia di _buon italiano_.
-
- STARE SU UN QUATTRINO, SU UNA LIRA. — Lo spiega l'esempio: _Che
- credi ch'io stia sulle dieci lire? To' piglia un napoleone e
- vattene._ (F.)
-
- QUEL FONDACO _va_ SOTTO IL NOME DEL TALE.
-
- IN QUELLA IMPRESA GLI CI _andarono_ DIECI MILA LIRE.
-
- RIGIRARE I DENARI. — Utilizzare onestamente _un piccolo corpo di
- denari_. Es.: _Ho pochi quattrini; ma mio fratello che ha pratica
- di negozi me li rigira bene._
-
- RIGIRARSELA. — _Non son ricco, ma me la son sempre rigirata bene._
-
- IL SUO INCHIOSTRO CORRE PER TUTTO. — Dicesi d'un negoziante la cui
- firma sia tenuta buona in tutte le piazze. E a chi non abbia
- credito: _Il tuo inchiostro non tinge o non corre._
-
- PUZZARE D'INCHIOSTRO. — Si dice di un abito o di altra cosa non
- ancora pagata nella bottega dove si è presa, _e dove è già accesa
- la partita del debito_. (F.)
-
- PRENDERE UNA COSA A CHIODO. — Senza pagarla subito.
-
- MANGIARSI IL GUADAGNO IN ERBA. — Consumare ciò che si guadagna prima
- di riscuoterlo. (F.)
-
- DANARI GIUSTIFICATI. — Danari spesi in cosa che li vale. (F.)
-
- DENARI SECCHI. — Danari morti.
-
- TIRARE LA PAGA. — Per _riscuoterla_.
-
- VIVERE SUL LAVORO. (È chiaro).
-
- LAVORARE O FARE SOPRA DI SÈ. — Si dice degli artefici che non stanno
- con altri, ma esercitano la loro arte da per sè a loro pro e
- danno.
-
- TIRARE UN GRAN DADO. — Avere una gran sorte.
-
- FARE UN BUON TRUCCO. — Aver buona fortuna in una cosa.
-
- GLI È VENUTA LA GUAZZA. — Si dice di chi ha trovato una buona fonte
- di guadagno.
-
- GLI È BALZATA LA PALLA SUL GUANTO.
-
- TROVARE UNA BELLA VIGNA. — Trovare facile e pronto utile (o piacere)
- in alcuna cosa.
-
- SUCCHIELLARE UNA BELLA CARTA. — Essere in procinto di avere una
- qualche buona ventura. Ecc., ecc.
-
- *
- * *
-
-Per citare un altro esempio, c'è intorno al _parlare_ un gran numero
-di vocaboli e di modi efficacissimi, per la più parte lepidi, e molti
-comuni ai vari dialetti d'Italia, e per questa ragione, ossia per
-paura, non usati da chi vuol parlare e scrivere un italiano castissimo.
-
-Stiantar bombe (il _craquer_ dei francesi). — Stiantar bugie. —
-Stiantar spropositi. — Piantar carote. — Sballar favole. — Sfrottolare.
-— Dire delle sballonate. — Dire delle papere. — Dire dei farfalloni.
-— Fare delle sparate. — Dirne di quelle che non hanno nè babbo nè
-mamma (strafalcioni madornali); ciò che scrisse il povero Guerrazzi,
-poco prima di morire, parlando della sua ultima opera, _Il secolo che
-muore_.
-
-Graziosissima l'espressione: — _Dare una calcatella_, per rifiorire o
-esagerare una cosa detta da altri.
-
- DIRE UNA COSA DI RITORNO, DI RIPICCO, DI RINTOPPO, DI RIMBECCO. —
- Dire una cosa fuori dei denti. — Dire a uno una fitta d'ingiurie,
- una carta di villanie, una sfuriata d'impertinenze. — Fare una
- parrucca a uno, fargli una lavata di testa, un lavacapo, una
- risciacquata, una ripassata, una sbarbazzata. — Cantargli il
- vespro, cantargli la zolfa. — Trinciargli la giubba addosso,
- tagliargli le calze, lavarsene la bocca (per dirne male). — Dire,
- vomitare ira di Dio.
-
- RIPAPPARSI UNO (per garrirlo acerbamente). Es.: _Nebbia, in presenza
- della gente, tratta suo marito coi guanti, ma in casa poi bisogna
- vedere come se lo ripappa._
-
- RIMPOLPETTARE. — Lo spiega l'esempio: _Non è padrona di aprir bocca
- quella povera donna che bisogna vedere come la rimpolpettano._
-
- RIMBRONTOLARE (efficacissimo). — Rammentare spesso ad altri un
- beneficio o un favore fattogli. Es.: _Tizio mi regalò una
- volta cinquanta lire, è vero; ma non passa giorno che non me le
- rimbrontoli._
-
- RIFISCHIARE. — _Si cacciò in quell'adunanza il P., e poi andò a
- rifischiare ogni cosa al prefetto._ Quanto più efficace che il
- solito _riferire_ e _riportare_ che si può dire in cento sensi!
-
- SPETTEGOLARE. — Chiaccherar molto e senza proposito. — Es.: _Dopo
- essere stata là un'ora a spettegolare se ne andò._ — _Già io ti
- dico tutto in segreto, e poi tu vai a spettegolare ogni cosa in
- casa delle vicine._
-
- TIRAR SAGRATI, TIRAR MOCCOLI, ATTACCAR MOCCOLI, TIRAR GIÙ TUTTI I
- SANTI, ATTACCARLA A DIO E AL SANTI.
-
- PARLARE COLLA BOCCA PICCINA (graziosissimo). — Per parlare
- timidamente. Es.: _Cogl'inferiori fa il prepotente; ma coi
- superiori parla colla bocca piccina._
-
- STILLARE, PIOMBARE LE PAROLE, — per parlare lentamente, a stento.
-
- SPICCICARE LE PAROLE. — Spiccarle. Si dice: _Non spiccica nulla, non
- spiccica parola_, di chi volendo parlare, non gli vien fatto.
-
- DISCORRERE FITTO O FITTO FITTO. — Presto e senza interruzione.
-
- SFILAR LA CORONA. — Dir tutto senza riguardo.
-
- SPIPPOLARE. — _Spappolarla_, per es., _tale e quale_. — Chiaro.
-
- FATICARE, per es., una filza di paternostri, ciò che si esprime
- anche al verbo _Spaternostrare_, _Scoronciare_, ecc.
-
- GONFIAR GLI ORECCHI A UNO. — Dirgli cose che non gli piacciono.
-
- DARE SPAGO A UNO. — Fingere di secondarlo per farlo parlare e
- svelare l'animo suo.
-
- MENARE A SPASSO UNO. — Aggirarlo con parole.
-
- INFILARE GLI AGHI AL BUIO. — Parlare di ciò che non si conosce.
-
- ALLUNGARE LA TELA. — Per allungare il discorso. Es.: _Per cinque
- minuti lo stetti a sentire, ma poi, vedendo che allungava la
- tela, gli voltai le spalle._
-
- DARE UN TASTO. — Toccare un motto di qualche cosa. Es.: _Se vedo il
- prefetto, così alla larga gli voglio dare un tasto sulla faccenda
- degli arresti di domenica._
-
- FARSI DA ALTO. — Per cominciare a parlare d'una cosa dal primissimo
- principio o alla lontana.
-
- FARLA CASCAR D'ALTO. — Dare con parole a una cosa un'importanza
- maggiore di quella che ha, volerla far parere più bella, più
- difficile, ecc., di quello che è.
-
- INTONARLA TROPPO ALTA. — Si dice di chi comincia a parlare con un
- tuono che non può e non deve poi mantenere.
-
- TIRARE A TRAVERSO. — Si dice di chi, disputando con noi, vuol
- torcere a cattivo senso le nostre parole, o sposta astutamente la
- quistione dai suoi veri termini.
-
- PARLARE PER COMPRARE. — (Chiaro).
-
- ABBREVIARE IL TESTO. — Farla corta.
-
- FARE UN DISCORSO CORTO. — Modo usatissimo in Toscana, quando nel
- contrattare una cosa si vuol far subito la proposta ultima e
- difinitiva. Es.: _S'ha a fare un discorso corto: la m'ha a dar
- tanto_, ecc. Si usa anche per venire a una risoluzione contro
- qualcuno: _Oh sai? s'ha a fare un discorso corto: tu t'hai a
- levar di qui._
-
- MOZZIAMOLA! — Lasciamola lì, tronchiamo questo discorso. Gli
- Spagnuoli dicono graziosamente: — _Doblémos la hoja_ — pieghiamo
- la pagina.
-
- LEVAR LE REPLICHE. — Lo spiega l'esempio: _Gli fece una di quelle
- filippiche che levano le repliche._
-
- RIMANERE IN SECCO. — Si dice di quando a un tratto, a chi parla o
- scrive, mancano le parole o i concetti.
-
- RIMANERE COLLA PAROLA IN ARIA. — (È chiaro). In senso affine intesi
- dire a un contadino toscano: _Per quanto si sforzasse a parlare,
- le parole gli rimanevano attaccate giù per la gola._
-
- AGGIUSTARE LE PAROLE IN BOCCA A UNO. — Insegnargli ciò che deve
- dire.
-
- FAR PEDUCCIO A UNO. — Aiutarlo colle parole, dicendo il medesimo che
- ha detto lui, facendo buone e fortificando le sue ragioni.
-
- PISSI PISSI, PISPILLORIA. — Strepito di voci che fanno molti
- uccelli, anche applicabile a voci umane, specialmente per
- indicare chiacchericcio, cicaleccio di donne. — Es.: _Ogni tanto
- la Gigia lo piantava per andare a fare un pissi pissi di mezz'ora
- colle sue amiche._
-
- PISSIPISSARE. — Bisbigliare, far pissi pissi.
-
- RIBOBOLARE. — V. att. Ribobolare, per es., un bel pensiero, ossia
- nasconderlo con riboboli. — _Il P. è un buon prosatore; ma per
- quel maledetto suo vezzo di far vedere che sa scrivere, un bel
- pensiero te lo ribobola in modo che non si capisce più._
-
- PARLARE COLLE SESTE. — Con cautela. Parlare colle seste in bocca,
- disse il Giusti, per parlare con ripicchiata eleganza.
-
- TIRAR SU LE CALZE A UNO. — Cavargli di bocca, con arte, un segreto,
- ecc., ecc.
-
-A proposito di questo e d'altri modi dello stesso genere, occorre
-fare un'osservazione; ed è che son modi vivi, efficaci, usatissimi
-e usabilissimi; ma che sono volgari, e che perciò si debbono usare
-parcamente, e solo quando il soggetto del discorso lo concede. Molti
-non la intendono così. Per costoro tutto quello che è toscano è
-dicibile e scrivibile a qualunque proposito. Moltissimi anzi non
-fanno propriamente consistere lo scriver toscano, secondo l'idea
-del Manzoni, che in una certa sfacciataggine di lingua, in un certo
-sprezzo del galateo filologico, nello scrivere, insomma, una lettera
-a una signora tale e quale come una lettera a un fattore; un discorso
-accademico tale e quale come un aneddoto carnovalesco. Sono costoro
-che, da qualche anno in qua, empiono romanzi, novelle, articoli, ecc.,
-di modi come _cascar l'asino_, _levar le gambe_, _tirar su le calze_,
-_tagliar le calze_, _essere agli sgoccioli_, _uscir per il rotto della
-cuffia_, ecc., ecc., i quali modi se danno efficacia e sapor comico
-al linguaggio quando sono adoperati a tempo e luogo, gli tolgono,
-adoperati a casaccio, ogni dignità, ogni gentilezza, ogni grazia. Ed
-anche a rischio di farmi dare sulle dita voglio dire che lo stesso
-Giuseppe Giusti ha qualche volta peccato da questo lato. Poichè, per
-esempio, quando scrivendo a una signora dice in un solo periodo che
-«scegliere per un congresso una città piccola come Lucca _è un voler
-metter l'asino a cavallo_: ma che i Lucchesi ne leveranno le gambe
-meglio che non si crede; che il duca se l'è battuta perchè _gli bolle
-a mala pena la pentola per sè e per i suoi_, ecc.,» io sento, non
-in ciascuna di queste maniere di dire per sè medesima, ma nella loro
-frequenza, nel tuono che danno al discorso, qualche cosa che non mi
-piace. Il Manzoni stesso, che in fatto di lingua è così delicatamente
-guardingo, nell'usare frasi e vocaboli toscani ha qualche volta mancato
-a questo riserbo, e io credo che anche i suoi più ardenti ammiratori,
-fra i quali mi vergognerei di non essere in prima riga, cancellerebbero
-volentieri in qualche sua pagina le parole _porcheria, me ne impipo_,
-ecc., scritte da lui in omaggio all'uso toscano. Ora a me par giusto
-che si segua il Manzoni nel preferire un idiotismo a una pedanteria; ma
-mi par di vedere che molti toscaneggianti dell'Italia settentrionale
-vadano troppo in là. Ammetto, per esempio, che in molti casi, e in
-specie nel dialogo, si possa o debba dir _cosa_ invece di _che cosa_ o
-_che_; ma che un professore di letteratura italiana, come fanno molti,
-faccia perpetuamente scrivere dai suoi scolari _cosa_ in vece di _che_
-o _che cosa_, non mi va. Capisco che piuttosto di scontorcere una frase
-e qualche volta tutto un periodo, si scriva _gli_ invece di _loro_;
-ma non m'entra che, per seguire l'uso toscano, invece di _vidi Maria
-e le dissi_, si debba scrivere _vidi Maria e gli dissi_. Così pure il
-dire eternamente _lui_ per _egli_, _lei_ per _essa_, _loro per essi_,
-anche quando nè il suono nè la naturalezza lo richiedono, il che è
-anche contrario all'uso della Toscana, dove _egli_, _essa_, _essi_ non
-sono punto parole scomparse dal vocabolario parlato. Non bisogna, mi
-pare, cadere nell'eccesso nè da una parte nè dall'altra. Che si metta
-al bando la prosa aristocratica, la lingua ripicchiata, l'affettazione,
-la pedanteria, sta bene. Ma che per non scrivere come un accademico
-si parli come un mercatino; che per non star soggetti alla tirannia
-grammaticale del _che cosa_ e dell'_egli_, si crei un'altra tirannia
-del _lui_ e del _cosa_, che, in una parola, dopo aver smessa la
-parrucca, si voglia anche levarsi la camicia, non mi pare nè bello, nè
-ragionevole.
-
- *
- * *
-
-Veda chi vuol spigolare nel vocabolario, seguendo il modo che ho
-indicato, quante parole e modi e paragoni e immagini si possono
-raccogliere intorno al soggetto _Ritratti_, solo dal piccolo
-vocabolario del Fanfani; e come lo studiare la lingua in questa
-maniera, benchè paia seccante a primo aspetto, possa riuscire
-dilettevole.
-
-_Un uomo magro assaettato — secco allampanato — secco arrabbiato —
-secco arrovellato — secco spento — secco come un uscio — secco come un
-osso — trito in canna — ridotto sulle cigne — ridotto in un gomitolo
-— ridotto un fuscello — ridotto che pare un filo — che ha fatto un
-gran calo — che par fatto di calza sfatta — che pare la morte secca
-— che regge l'anima coi denti — che si vede e non si vede — che si
-piglierebbe col cucchiaio — verde come un ramarro — giallo come un
-rigógolo — una mostra d'uomo — una carcassa — un cerotto — un ragazzo
-stentino — una cosa stentata — un coso stento stento — un viso di dolor
-di corpo — uno sbiobbo — uno scricciolo — un vecchio scaracchione,
-ecc._
-
-_Un giovane di buon nerbo — un uomo di buon osso — uno stiattone —
-un trippone — un gonfione — grasso bracato — che non capisce nella
-pelle — con una faccia di mascheron di fontana — con un naso che gli
-rifiglia il vino bevuto — un vecchio rimprosciuttito, che va via come
-un frullino, che ha rimesso un tallo sul vecchio, ecc._
-
-_Una zitella spersonita — ristecchita — vizza — passa rinfichita —
-rinfichisecchita — con un viso rinfrignato — cogli occhi cerpellini
-— con due gran calamai — con certe piazzate in testa (radure di
-capelli) che si può dir quasi pelata — una vecchia squarquoia — un vero
-reciticcio — un vero crostino — e perchè non ha dote, un crostino senza
-burro — una ricetta da lussuria, come si dice di persona che non solo
-non mette, ma scaccia le tentazioni. — ecc._
-
-_Una ragazza tanto fatta — una bambolona — una meggiona — una mastiona
-— un bel fusto, un bel tocco, una bell'asta di donna — un bel pezzo
-di marcantonia — un bel pezzo da ottanta — fatta colle forme — pulita
-come un dado — sana come una lasca — soda come una pina — una donnina
-minutina — gentilina — una cosolina — un pepino — una bazzina — un viso
-di solletico — che ha un'ideina di buona — che ha un'ideina che piace
-— che è l'idea della grazia — che è una gentilezza — a cui ridon prima
-gli occhi che la bocca, ecc._
-
-_Un uomo a sghimbescio, a scatti, a folate, — un uomo scontroso,
-muffoso — una testa secca — una testa volante — un cervello
-svolazzatoio — un vecchio cascatoio — un vecchio cucco, ecc._
-
-_Un uomo grosso di pasta — tondo di pelo — che ha un po' dello scemo
-— che ha l'ottavo dono dello Spirito Santo — che non ha di quel che
-si frigge — che serve di copertina a un altro — una lanterna senza
-moccolo, ecc._
-
-_Una lamaccia, un malanno — un uomo che odora di birba — un'anima
-bigia — un uomo di scarpe grosse e di cervello sottile — un uomo
-che ha l'arco lungo — un uomo che ha l'osso del poltrone, l'osso del
-vile, l'osso del furfante — che ha il miele sulle labbra e il rasoio
-a cintola — un uomo di bassa estrazione — un terremoto — bravo come un
-lampo — bugiardo come un gallo — ecc._
-
-_Un dabbenaccio — un galantominone — una coppa d'oro — un uomo di
-stocco — un uomo a tutta tempera — un uomo rotto al mondo — un uomo
-tagliato al dosso di tutti — un uomo attaccaticcio — un uomo di
-ricapito — uomo dei suoi piaceri, dei suoi comodi — un uomo tutto Gesù
-e Madonna — un mammamia — un santificetur — un sacco di disdette, ecc._
-
-Tutta questa è lingua viva e fresca, che quando s'abbia in mente, vien
-opportunissima sulle labbra e sulla punta della penna ad ogni momento;
-eppure si può dire che per l'Italia settentrionale è quasi tutta
-lettera morta; e nasce appunto dalla mancanza di tutta questa lingua,
-il difetto di varietà e di lepore che si lamenta nello scrivere, e
-principalmente nel parlare italiano degli italiani settentrionali.
-
- *
- * *
-
-Da un tempo in qua, in molte famiglie dell'alta Italia s'insegna
-a parlare italiano ai bambini. È ottima cosa, se i parenti sono in
-grado d'insegnar bene, o se badano almeno a correggere gli errori
-di cui s'accorgono; ma è cosa pessima se non sanno insegnare o non
-hanno voglia di correggere; il qual caso è frequentissimo. Occorre
-infatti ogni momento di sentir ragazzi di sette od otto anni, ed anco
-di dieci o di dodici, parlare con una meravigliosa disinvoltura un
-italiano scellerato al segno da far desiderare che parlino invece il
-loro dialetto. E non è da credere che a poco a poco si correggano poi
-da sè stessi. Gli strafalcioni, le frasi viziose, i modi barbari e un
-gran numero di piccole improprietà di linguaggio che s'appiccicano
-alla lingua in quella prima età, difficilmente si perdono avanzando
-negli anni, fuorchè dai pochissimi che si dedicano particolarmente
-alle lettere; perchè coll'età cresce a mano a mano l'amor proprio, la
-pretensione, il timore, in chi potrebbe correggere, che la correzione
-venga presa in mala parte; e così accade che i giovanetti di quindici
-o di sedici anni parlano poco meno barbaramente di quelli di otto o di
-dieci.
-
-Ecco, per esempio, un saggio dell'Italiano che si parla generalmente
-nell'Italia settentrionale, non solo dai bambini, ma anco dagli adulti:
-
-«Ho veduto Tizio, e _ci_ dissi che _alla sera_, in casa, noi
-giuochiamo, e che _saressimo_ contenti che non ci mancasse nè _egli_,
-nè suo fratello. _Ci_ dissi che i libri che m'aveva imprestati mi
-_hanno piaciuto_, e gliene _chiamai_ degli altri, particolarmente
-quello dell'X, stampato _del_ 1873, che è il romanzo _il_ più bello
-che si possa immaginare. Lo ebbi, se non _mi sbaglio_, tre anni fa, lo
-lessi d'un fiato, ed _ho ritornato_ a leggerlo, ecc.»
-
-E non c'è che dire, si sentono buttar giù questi spropositi anche da
-persone coltissime, le quali arrossiscono quando, per caso, si lasciano
-sfuggire errori assai meno gravi nel parlare francese.
-
-Ma tornando ai bambini, ecco alcuni vocaboli e modi, che si riferiscono
-a loro, e che sono una prova di più del gran giovamento che si può
-ricavare dallo spoglio del vocabolario; facendo il quale si finisce col
-trovarsi fra le mani un altro vocabolario bell'e fatto, che colma quasi
-tutte le lacune della nostra mente.
-
- GIOCARE A TAMBURELLO. — Tamburello è quel piccolo cerchio, nel quale
- è imbulettata una pelle ben tirata, e che serve per giuocare alla
- palla.
-
- GIOCARE A RIMPIATTINO, A RIMPIATTARELLI. — Gioco nel quale uno si
- rimpiatta e gli altri debbon trovarlo.
-
- GIOCARE A RIPIGLINO. — Gioco così detto dal ripigliar col dorso
- della mano i noccioli o piccole monete che si sono tirate
- all'aria. È pure un altro gioco che si fa in due, avvolgendosi
- nelle mani del filo, e ripigliandolo l'un dall'altro in varie
- figure.
-
- GIOCARE A GUANCIALE D'ORO. — Gioco in cui uno posa il capo in
- grembo all'altro che siede, e questi gli chiude gli occhi in modo
- che non possa vedere chi sia colui che lo percosse in una mano
- ch'egli tiene dietro sopra le reni, dovendolo egli indovinare.
-
- GIOCARE A SCALDAMANE. — Gioco che si fa accordandosi in più a porre
- le mani a vicenda l'una sopra l'altra, posata la prima sopra un
- piano, e traendo poi quella di sotto, ecc.
-
- GIOCARE A TOCCAPOMA. — Gioco in cui alcuni ragazzi si pongono
- appoggiati o a cantonate o ad alberi che siano attorno, e uno
- di essi resta nel mezzo. Quegli che sono agli alberi o cantonate
- cercano di mutar posto senza lasciarsi pigliare da colui che è in
- mezzo a quest'effetto, ecc.
-
- GIOCARE A SCARICABARILI. — Gioco che si fa da due soli, i quali si
- volgono le spalle l'un l'altro, e intricate scambievolmente le
- braccia, s'alzano a vicenda.
-
- GIOCAR DI PEDINA. — Premersi coi piedi sotto la tavola.
-
- GIOCARE A NOCINO. — Gioco nel quale si fanno alcune castelline di
- noci, quanti sono i giocatori, e ciascuno tira verso quelle con
- una noce che si chiama bocco. Quante castelline butta giù il
- tiratore, tante ne vince.
-
- FARE ALLE COMARUCCIE. — Gioco che si fa con un fantoccio, fingendo
- che una delle bambine l'abbia messo al mondo; la quale bambina
- riceve le visite, e fa le altre cerimonie delle puerpere.
-
- FARE A PAPPACECI. — Gioco dei fanciulli quando tirano fichi od altro
- all'aria e li ricevono colla bocca.
-
- FARE A GINOCCHINO. — Dicesi di due che essendo accanto si urtano
- l'un l'altro col ginocchio. Questo modo però, come l'altro
- _giocar di pedina_, si usa di preferenza parlandosi d'un uomo e
- d'una donna.
-
- FARE LE TENEBRE. — Il battere che suol farsi con mazze sulle panche
- delle chiese per gli uffici della settimana santa.
-
- FARE LE BIZZE, FARE LE FURIE. — Si dice dei ragazzi, ed è chiaro.
-
- FAR GREPPO. — Quel raggrinzare la bocca che fanno i bambini quando
- vogliono cominciare a piangere.
-
- SBATACCHIARSI. — Si dice (oltre che per atti di dolore disperato)
- dei bambini quando fanno le furie.
-
- SMOCCICARE. — Mandar fuora i mocci; il che fanno spesso i bambini
- quando piangono. Al qual proposito è da notarsi il modo: _Tirar
- su_, che dicesi dell'aspirare fortemente col naso per impedire
- che colino i mocci; onde il motto che suol dirsi ai bambini
- quando lo fanno: _Tira su e serba a Pasqua._
-
- AVER LA LUCIA. — Lo dicono in Firenze ai bambini quando la sera, dal
- sonno, non possono tenere gli occhi aperti.
-
- FARE I LUCCICONI. — Si dicono lucciconi quelle grosse lagrime che
- ci cadono dagli occhi per qualche improvvisa cagione di dolore,
- e che quasi si vorrebbero celare.
-
- FARE LE COCCHE. — Battere una mano aperta sull'altra serrata per
- segno di beffa.
-
- FARE UN MANICHETTO. — Si dice di mettere una mano nella snodatura
- dell'altro braccio piegandolo all'insù, che è atto di sdegno e
- d'ingiuria.
-
- DARE IL CONGONE. — Atto di scherno che si fa battendo i pugni
- chiusi, o coi polpastrelli delle dita raccolti insieme, le gote
- gonfiate a questo fine.
-
- DARE UN LECCHINO. — Lo dicono i ragazzi per quell'atto di dispregio,
- che si fa mettendosi un dito in bocca, e poi, così bagnato di
- saliva, battendolo sul viso dell'altro.
-
- FARE IL LINGUINO. — Mostrare la punta della lingua tenendola stretta
- fra le labbra; atto che ha differenti significati secondo che è
- fatto da bambini o da adulti.
-
- SONARE LA FURFANTINA. — La furfantina è un concerto di fischi,
- urli e varii suoni fatti con la bocca, che si fa dai ragazzi per
- ischerno d'alcuno.
-
- FARE LA SASSAIUOLA. — Sassaiuola, battaglia coi sassi, e il
- trarre più persone dei sassi contro alcuno. Es.: _Quei
- maledetti ragazzi, appena lo videro, gli cominciarono a fare la
- sassaiuola._
-
- MARINARE LA SCUOLA. — Non andarvi.
-
- BUCARE LA SCUOLA. — Sottrarsi con accortezza al dovere d'andarvi.
-
- BATTERE LE GAZZETTE. — Avere gran freddo.
-
- PORTARE A CAVALLUCCIO. — Portare altrui sulle spalle con una gamba
- di qua e una di là del collo.
-
- PORTARE A PREDELLINO. — Si dice quando due, intrecciate fra loro le
- mani, portano un terzo che ci si mette su a sedere.
-
- PORTARE A BARELLA. — Dicono i fanciulli del prender uno per le
- braccia e per le gambe e così portarlo da luogo a luogo.
-
- SCENDERE A SCORTICACULO. — Scendere strascinandosi sul deretano.
-
- ALZARE DI SOPPESO UN BAMBINO. — Alzarlo con la sola forza delle
- braccia.
-
- FARE GAMBETTA. — Attraversare un piede tra le gambe d'un altro
- mentre cammina o s'agita, per farlo cadere.
-
- DORMIRE A GOMITELLO. — Dormire stando a sedere dinanzi a un tavolino
- col capo appoggiato sul gomito.
-
- FARE IL PIZZICORINO. — Fare il sollecito.
-
- PRENDERE PER IL GANASCINO. — Stringere la gota tra l'indice e il
- medio piegato indietro.
-
- DARE I MONNINI (concettini). — Si dice di chi parlando con alcuno
- lo mette al punto di dir parola che rimi con un'altra da dover
- a quel tale dispiacere: come chi disse a quel chierico: — _Non
- fu mai gelatina senza_.... e qui si fermò; e il chierico subito
- disse, per mostrar che sapeva la sentenza: _senza alloro_: e
- l'altro ribattè: — _Voi siete il maggior bue che vada in coro._
-
- FARE IL GROPPO O METTERE IL TETTO. — Si dice di un ragazzo che ha
- finito di crescere; del quale suol dirsi pure con dispetto: _non
- cresce nè crepa_.
-
- FIGLIUOL DI GRAZIA, FIGLIUOL DI VEZZI. — Si dice il bambino
- prediletto della famiglia.
-
- TROTTOLINO. — Dicesi di bambino che va a piccoli e presti passi.
-
- GNAULINO. — Dicesi per scherzo d'un bambino piccolo. Es.: _Ha un par
- di gnaulini che non le danno un momento di bene._ Da _gnaulare_
- (miagolare), che si dice pure del piangere dei bambini.
- _Frignare_ significa piangere interrottamente sforzandosi di
- rattenersi.
-
- UN SACCHETTINO DI VIZII. — (Chiaro).
-
- MALESTRO. — Parola di cui tutte le madri hanno bisogno, alla
- quale sostituiscono malamente _monelleria_, _scappatella_, ecc.
- _Malestro_ si dice qualunque danno facciano per casa i ragazzi,
- come romper piatti, bicchieri e simili. Es.: _Ragazzi, badate di
- non far malestri._ (F.)
-
- NINNARE. — Canterellare per fare addormentare i bambini cullandoli.
- Dice il Giusti:
-
- E lo accostava, al seno e lo ninnava
- Con baci e baci come fosse suo.
-
- SPOPPARE. — Levar la poppa ai bambini, disusarli dal latte; onde si
- dice _bambino spoppato_, _ecc._
-
-A proposito del linguaggio dei bambini, occorre un'osservazione
-sull'uso che si fa dei diminutivi in Toscana. È opinione di molti che
-se ne faccia un uso eccessivo, per il che suol dirsi che i Toscani
-parlano un italiano fiacco e sdolcinato. Nulla di più falso, a mio
-parere, perchè rarissimamente, in Toscana, si sente usare un diminutivo
-che non sia giustificato dalla modificazione ch'esso porta al senso
-della cosa espressa. È superfluo notare la differenza che corre tra
-_bellino_ e _bello_, poichè tutti sanno che _bello_ corrisponde a
-_beau_ e _bellino_ a _joli_, e nessuno ignora il differente significato
-di queste due parole. Ma si osservino i seguenti esempi. In Toscana, si
-dice che una donna ha _giudizio_, e che una bambina ha un _giudizino_
-da far meravigliare. Si dice che una donna, una bottegaia, per
-esempio, ha una _manierina_ che piace. Si dice che una bimba ha le
-sue _malizine_. Si dice che la madre è tutta _pensieri_ per la sua
-figliuoletta, e che la figliuoletta è tutta _pensierini_ per sua
-madre. Si dice che una donna è sempre _ravviata_, _ravversata_ e che
-i suoi bimbi sono sempre _ravviatini_, _ravversatini_. Una mamma dice
-al suo bimbo il quale pretende ch'essa, gli porga qualche cosa: —
-_Allunga il santo manino e pigliatela da te_, ecc. Si vede da questi
-esempi che i diminutivi non sono adoperati a casaccio. Lo stesso può
-dirsi dei peggiorativi che non solo modificano il senso, ma qualche
-volta lo cambiano affatto. _Quell'uomo_, si dice, ha _delle idee_:
-_giovatevene_: _quell'altro ha delle ideaccie_: _guardatevene_. Si dice
-_mettere uno a un puntaccio_; e si sottintende: di fare uno sproposito;
-_fare una partaccia a uno_, ossia caricarlo di male parole; _fare
-un'azionaccia_, ossia una bricconata; _avere delle praticaccie_, ossia
-di donne perdute, che sono _robaccia_; _fare una levataccia_, ossia
-levarsi per tempissimo, ecc. Bella novità! — mi diranno molti italiani
-settentrionali che studiano la lingua; — tutti questi vocaboli, tutti
-questi modi di dire li sapevamo. — Tanto meglio; ma non li dite mai,
-non li scrivete mai, non vi suonan mai nella testa quando li potreste
-scrivere o dire; e in fatto di lingua, tutto quello che non viene sulle
-labbra o sulla penna, non si sa. Ma dunque, mi si domanderà, come s'ha
-da fare per rendersi famigliari tutti questi vocaboli e questi modi? Ci
-sono molti mezzi. Si notano, si adoprano nelle lettere agli amici, si
-usano esprimendo a noi stessi i nostri pensieri, si fa il proponimento
-di usarli parlando coll'uno o coll'altro di quelle determinate cose,
-si masticano, si mandan giù, si rimestano, si fatica, in una parola,
-per imparare l'italiano, almeno almeno come si fatica per imparare il
-francese.
-
- *
- * *
-
-E poichè ho accennato a una lingua straniera, cade qui a proposito
-un'altra osservazione. Da qualche anno in qua lo studio delle lingue
-straniere è diventato comunissimo in Italia. Un gran numero di
-giovani dei due sessi, e di tutte le classi sociali, si sono dati,
-per _completare la loro istruzione_, allo studio della lingua inglese
-e della lingua tedesca. (Non parlo della francese perchè si può dir
-quasi necessaria, come non parlo di coloro che studiano quelle altre
-lingue per necessità). Or bene io mi domando se questo studio dà, nella
-massima parte dei casi, un frutto corrispondente alla fatica che costa;
-un frutto cioè, che equivalga a quello che si ricaverebbe da uno studio
-della lingua propria fatto in egual tempo e colla medesima alacrità.
-
-Ne dubito.
-
-Prima di tutto, non potendo o non volendo la maggior parte di coloro
-che studiano quelle lingue, studiarle scientificamente, questo studio
-si riduce per essi a una pura fatica della memoria, a un esercizio di
-pazienza, a uno sgobbo scolaresco, che giova pochissimo all'ingegno,
-per non dire che lo mortifica e che lo rintuzza. Poi c'è un argomento
-di fatto che vale più d'ogni altro contro questi studî; ed è che di
-trenta persone che cominciano a studiare, per esempio, il tedesco,
-quindici si scoraggiscono e smettono in capo a un anno o a sei mesi;
-cinque l'imparano, e lo dimenticano poi, in tutto o in parte, perchè
-le vicende della loro vita li costringono a trascurarlo; altri cinque
-non lo dimenticano, ma non hanno occasione di servirsene utilmente, o
-perchè non possono viaggiare, o perchè non hanno tempo e attitudine a
-fare altri studî di cui la lingua per sè stessa non è che la chiave; e
-degli ultimi cinque infine, ce ne saranno tutt'al più tre che giungono
-a possedere questa lingua in maniera da poter gustare (gustare,
-intendiamoci, non capire soltanto) i buoni autori tedeschi. Perchè io
-comprendo come a un medico, a un fisico, a un ufficiale (e sottintendo
-i dotti di professione), metta conto di studiar tanto il tedesco da
-riuscire a comprendere ciascuno i libri della sua scienza, perchè di
-questa lingua a loro non occorre di conoscere che una parte, ossia
-non più di quanto è necessario per afferrare il senso dei loro libri
-speciali, e a ciò possono pervenire in breve tempo. Ma è tutt'altra
-cosa per un giovane che voglia imparare quella od altre lingue, come
-suol dirsi, per ornamento, il che gl'impone l'obbligo di farne uno
-studio vasto e profondo, in modo da riuscire a godere tutte le bellezze
-riposte, a sentire tutte le armonie, a toccare, per dir così, tutte le
-fibre della poesia del Goethe, dell'Heine, dello Shakspeare! E quanti
-sono quelli che dicono di toccarle, e leggono poi di soppiatto le
-versioni del Maffei e dello Zendrini, e non godono veramente Shakspeare
-che nei versi del Carcano!
-
-Credo una gran verità che non si possa dire esservi in un paese vera
-coltura se non ci fioriscono gli studî filologici; ma ha da essere lo
-studio della filologia, ossia la vera e buona scienza di pochi od anche
-di molti; non una manía universale di legger male e di balbettar peggio
-tre o quattro lingue straniere.
-
-Invece di faticar tante ore a inchiodarsi nel cervello migliaia di
-radicali e di frasi esotiche, imparate le quali, il pensiero straniero
-si presenta pur sempre velato alla loro intelligenza, quanto sarebbe
-meglio che molti giovani si consacrassero allo studio amoroso e
-costante della propria lingua! Può essere una soddisfazione il saper
-sostenere, tiranneggiando il proprio pensiero, una conversazione di
-mezz'ora con una persona nata cinquecento miglia lontano da noi; ma
-è certo una soddisfazione più intima il saper trovare ogni momento,
-parlando la lingua materna, una formola evidente e gentile in cui il
-proprio pensiero s'adatti e risplenda come una gemma nell'anello; il
-poter rendere e stampare nell'anima altrui le più tenui sfumature dei
-nostri sentimenti; vedere il volto d'una persona che s'ama rispondere
-via via con una gradazione più viva di roseo ad ogni nostra espressione
-che giunga più dritta al cuore e lo rimescoli più addentro con una
-punta più delicata; rivelare a persone sconosciute, con poche parole
-fuggitive, il nostro grado di cultura; colorire e illuminare tutte le
-nostre idee; e infine essere italiani di lingua come s'è italiani di
-cuore.
-
- *
- * *
-
-Questi saggi d'appunti intorno al _mangiare_, al _commercio_, al
-_parlare_, ai _ritratti_, ai _bambini_, possono dare un'idea di quanto
-si sarà acquistato nello studio della lingua quando si sia fatto
-altrettanto riguardo a una trentina d'altri soggetti, intorno ai
-quali si può raggruppare, man mano che si procede nella lettura del
-vocabolario, la maggior parte di quello che si nota. Per conto mio non
-conosco mezzo più spiccio, nè più facile, nè più profittevole.
-
-
-
-
-UNA PAROLA NUOVA
-
-
-Tocchiamo di volo, con un esempio, la molto agitata questione delle
-parole nuove.
-
-Scrivendo intorno a un paese dell'Europa settentrionale, dove l'arte
-dello scivolare sul ghiaccio è in grandissima voga, dovevo parlare
-molto minutamente di quest'arte, e non vedevo modo di parlarne
-senz'adoperare la parola _patinare_ e le sue derivate, che non si
-trovavano allora in alcun vocabolario italiano[1]; e mi peritavo ad
-adoperarle, prevedendo che i puristi, ed anco i non puristi, i quali
-qualche volta sono assai più pedanti, m'avrebbero dato sulle dita.
-Prima di mettere sulla carta quelle terribili parole, mi rivolsi a un
-linguista rigorosissimo, di quelli a cui un _lui_ messo invece d'un
-_egli_ manda a male il desinare, e gli domandai con umili parole il suo
-parere.
-
- [1] Il nuovo vocabolario dell'uso del Fanfani e del Rigattini ha la
- parola _patinare_.
-
-— Non ci può esser dubbio, — mi rispose, — _patinare_ è una parola
-barbara; bisogna scrivere _sdrucciolare_.
-
-— In teoria — dissi, — consento; ma nel caso pratico.... Per esempio,
-scriverebbe ella che un contadino olandese _sdrucciolò dall'Aja ad
-Amsterdam_ e che uno studente di Leida _sdrucciolò per tre ore di
-seguito_?
-
-— E perchè no? mi domandò il linguista con accento severo.
-
-— Le citerò degli altri esempî, — continuai; — direbbe ella in una
-conversazione che una certa signora _sdrucciola_, che ha l'_abitudine
-di sdrucciolare_, che _sdrucciolò molte volte nello scorso carnevale_?
-
-Il linguista strinse le labbra e rimase sopra pensiero.
-
-— Vede, — io ripresi, — che ne potrebbero nascere delle conseguenze
-spiacevoli. Ma lasciamo pur da parte questi esempi a doppia faccia. Io
-le voglio fare un breve ragionamento. A Torino e a Milano moltissime
-signore _patinano_, e la maggior parte di esse tengono conversazione;
-e nelle loro conversazioni si parla di _patinamento_, usando le parole
-_patino_, _patinatrice_, _patinatore_. Orbene, risponda alla mia
-domanda, e sia franco. Dovendo fare in una di queste conversazioni un
-complimento alla padrona di casa ch'ella avesse visita _patinare_ il
-giorno prima, di quale parola si servirebbe? Intendo un complimento a
-voce, in presenza di molta gente, badi bene.
-
-Il linguista esitò un momento e poi disse:
-
-— Certo che.... se io dicessi _brava sdrucciolatrice_.... anche rimossa
-ogni idea d'equivoco.... quei signori.... e forse anche la signora....
-si metterebbero a ridere; ma, caro signor mio, qui si tratta di
-scrivere e non di parlare!
-
-— Ma che Dio la benedica, caro signor linguista, — io esclamai; — ma
-per chi si scrive, dunque? e che altro è lo scrivere che un parlare
-colla penna? e perchè una parola non deve essere più quella quando è
-messa sulla carta? Veda, nessuno mi leva dalla testa che sia appunto
-questo falso concetto delle due lingue, la parlata e la scritta, la
-cagione principalissima della _poca leggibilità_ dei libri italiani.
-Faccia la prova lei che parla perfettamente la così detta _lingua
-povera_. Apra un qualunque buon libro francese, legga supponendo di
-parlare in una conversazione di gente colta e senza pedanteria, e vedrà
-che rarissimamente le occorrerà una parola o un'espressione che strida
-colla naturale e logica semplicità del linguaggio parlato. Pigli un
-libro italiano anche dei meglio scritti, e se supporrà di dire ella
-stessa quello che legge, dovrà arrossire ogni momento. Guardi, apro a
-caso il primo libro che mi vien sotto le mani, è un romanzo: — _Quando
-primamente si guardò nello specchio...._ Oserebbe ella dire in una
-conversazione: _quando primamente mi guardai nello specchio_, invece
-di dire la _prima volta_? Apro un altro libro, una novella: — _Deposi
-sulla tomba dei miei genitori una semplicetta corona di fiori._ Crede
-ella che ci sia mai stato un orfano in Italia che abbia espresso quel
-pensiero servendosi della parola _semplicetta_ in quella maniera? Un
-altro libro, un racconto: — _La leggiadra e innamorata fanciulla...._
-Crede ella che ci sia mai stato un italiano ragionevole il quale abbia
-una volta sola in vita sua, altro che per ischerzo, dette quelle tre
-parole in quell'ordine?
-
-— No, — rispose il linguista; — ma....
-
-— Ma, — ripresi io, — che cos'è dunque questo arsenale di frasi e
-di parole che non si possono dire senza far ridere e che si scrivono
-nelle scritture più famigliari, come se passando dalle labbra sotto
-la penna, cambiassero senso, suono, natura? E viceversa che cosa sono
-tutte queste parole che tutti dicono, che tutti capiscono, che tutti
-sono costretti a usare, e a cui nessuno può sostituirne dell'altre
-senza farsi canzonare, e che malgrado ciò, secondo lei, secondo mille
-altri, non si debbono scrivere? Ella mi potrà dire, a proposito del
-_patinare_, che questa parola si dice nell'Italia settentrionale ma non
-in Toscana; e io le rispondo che non è colpa dell'Italia settentrionale
-se nella Toscana non si _patina_, primo; e secondo, che sono disposto a
-scommettere cento contr'uno che in nessuna città di Toscana, in nessuna
-conversazione, nessunissima persona domanderebbe mai a un Torinese
-o a un Milanese se quest'anno, per esempio, si è _sdrucciolato_ o
-_scivolato_ al Valentino o nell'Arena, ma domanderebbero tutti se si
-è _patinato_; e quelli che ignorano questa parola, dopo averla intesa
-per la prima volta, l'adopererebbero costantemente per la semplice e
-indiscutibile ragione che è necessaria.
-
-Il linguista stette un po' pensando e poi disse:
-
-— Eppure.... un'altra parola ci deve essere. Il Bentivoglio, nella sua
-_Storia della guerra di Fiandra_, parla di quest'arte di sdrucciolare
-sul ghiaccio. Si ricorda ella della parola che usa?
-
-— Me ne ricordo, caro signor mio. Non adopera veramente nessun verbo
-che si possa sostituire al _patinare_, perchè tocca la cosa di volo, e
-toccando una cosa di volo si può sempre esprimersi con una perifrasi.
-Ma sa ella come se la cava l'eminentissimo cardinale per indicare
-i _patini_? Gli Olandesi, scrive, si mettono ai piedi _certe, dirò
-così, ali_! Pare a lei un'azione da galantuomo il chiamare _ali_ degli
-zoccoli?
-
-— Ebbene... adoperi la parola _patinare_ in carattere corsivo.
-
-— Così fece il Giusti, risposi. Ma quest'uso di scrivere le parole
-in corsivo non mi va; mi pare una transazione puerile; eccetto che
-la parola così scritta non debba essere adoperata che una volta sola.
-Seguendo quest'uso si verrebbe a poco a poco a veder dei libri stampati
-metà in corsivo e metà no, e ad avere una lingua doppia, bastarda,
-ridicola. Che significa il corsivo? Che riprovate la parola. Se la
-riprovate perchè l'usate? Perchè non ce n'è altra. E se non ce n'è
-altra, perchè riprovate quella?
-
-La conversazione non terminò qui; ma non approdò a nulla perchè il
-linguista non ebbe il coraggio di dare il suo consenso assoluto alla
-parola _patinare_. Allora mi rivolsi a uno scrittore e parlatore
-elegantissimo, — un uomo che il Giusti diceva _pieno zeppo d'ingegno_
-e del quale il Manzoni faceva grandissimo conto in materia di lingua,
-— e questo signore ebbe la bontà di scrivermi la lettera che segue:
-
-«E il suo _patiner_? Ella ha senza dubbio preso a quest'ora il suo
-partito, e io mi sarei trovato molto impicciato a suggerirgliene
-uno. Che vuole! Il bimbo si battezza dove nasce, e poi gira il mondo
-portando attorno per tutto il suo nome. Così le cose che a noi vengon
-di fuori ci vengono col nome che hanno, e la parola che è stata per
-noi il mezzo di cognizione, il più delle volte rimane. Per questo non
-c'è la minima difficoltà in nessuna parte del mondo, e _consommé_,
-per dirne una, è parola di tutte le lingue, che si dice a Londra e a
-Pietroburgo come a Parigi. Noi italiani facciamo prima le boccacce e
-ci proviamo chi in un modo e chi nell'altro a tenere indietro queste
-parole forestiere, e a peggio andare, per non usare la parola scansiamo
-di nominare la cosa. Ma le sono ubbie queste, e i fatti son fatti, e
-sono all'ultimo i padroni del mondo. La conclusione è che noi abbiamo
-dato agli altri le parole finchè abbiamo dato le cose. Ma ora che di
-maestri siamo diventati discepoli, invece di dare prendiamo, e questo
-è sempre meglio che nulla. Io direi dunque _patinare_ essendo questo
-il solo modo di dire la cosa. Non volendo passare sotto queste forche,
-uno scrittore ha sempre modo di uscirne. Si descrive, si definisce
-invece di nominare. Si pigliano vocaboli che hanno un senso affine,
-e con qualche aggiunto, o colla loro collocazione, si fa tanto che
-il lettore capisce quello che s'è voluto dire; ma capisce insieme che
-la parola venuta alla bocca non era quella, e che l'autore ha dovuto
-stillarsi il cervello per trovarne un'altra, la quale sarà in ogni
-caso una traduzione più o meno felice della prima, che un altro rifarà
-poi a suo modo, più o meno felicemente; cosicchè invece d'aver un modo
-spiccio, sicuro, comune, se n'avrà molti, anzi nessuno, perchè i molti
-e il nessuno son pure sinonimi quando si parla di lingua.»
-
-Dunque? Dunque io direi d'aver sempre presenti, in fatto di lingua,
-questi due detti: uno del Leopardi, l'altro del Giusti.
-
-Il Leopardi, domandato da suo fratello Carlo se una certa parola,
-che non si trovava nei buoni autori, si potesse usare: — _È vero_,
-— rispose, — _che i buoni scrittori non l'hanno usata; ma non hanno
-nemmeno lasciato per testamento che non si potesse usare_.
-
-E il Giusti, a proposito di _diligenza_, parola francese, che, a suo
-avviso, aspettava cittadinanza dalla Crusca e la doveva ottenere perchè
-il
-
- cambio delle voci
- Fra gente e gente, come l'ombra al corpo,
- Tien dietro al cambio delle cose umane
-
-disse:
-
- Nè straniero vocabolo corrompe
- L'intrinseca virtù d'una favella
- Quando lo stile riman paesano.
-
-Ammessa questa massima, ci sarebbe da divertirsi a raccogliere tutte le
-espressioni e i vocaboli ricercati e ridicoli che usarono gli scrittori
-troppo teneri della purità per scansare le frasi e le parole nuove.
-Per esempio il Tommaseo esprime l'idea della giustezza, o come si dice
-militarmente, della precisione del tiro delle artiglierie, dicendo
-che _i cannoni con dottamente computato émpito mandano la strage nelle
-mura merlate_. L'Ugolini suggerisce di dire _viene da ornarsi_, _sta ad
-ornarsi_, _vado ad ornarmi_, invece di viene dalla toeletta, sta alla
-toeletta, va a far toeletta. Ma, signor Ugolini, io gli vorrei dire se
-avessi l'onore di conoscerlo, mi può ella giurare che se una signora
-di sua conoscenza dicesse a lei: — m'aspetti un momento, _vado ad
-ornarmi_, — ella non dovrebbe fare un leggiero sforzo per trattenersi
-dal ridere? — Così un dotto, ma troppo tenace purista, voleva che in
-scritti destinati principalmente ai soldati, io scrivessi _drappello_
-invece di _plotone_, _berretto_ invece di _cheppì_, _fiaschetta_
-invece di _borraccia_. Ma se non posso — io badavo a rispondergli; —
-perchè il plotone non è un drappello, il berretto non è un cheppì, la
-borraccia non è una fiaschetta; — e se adopero una parola per l'altra,
-non mi capiscono più. — Non importa, — avrebbe voluto rispondermi;
-ma non osava, e non volendo d'altra parte rendersi complice dei miei
-barbarismi, si stringeva nelle spalle e mi lasciava nelle peste.
-
-O Dio buono! Altro è dire in un vocabolario, in un trattato, in un
-elenco di modi errati, questa parola non va e questa frase è barbara;
-altro è dover esprimere quella tal cosa in una commedia, in una
-novella, in un qualunque scritto destinato al pubblico, dove una
-perifrasi sciupa una bella idea, un'espressione non immediatamente
-compresa manda a male un dialogo, una parola affettata o vaga o
-equivoca guasta tutta una descrizione. Per dare degli esempi di
-difficoltà superate, si citano le prose di questo o di quello, che
-trattano di storia, di letteratura, di morale, e si dice: — Trovateci
-una parola o un modo impuro, se potete. — Non ci si trova, lo so
-benissimo. Ma vorrei che questo e quello scrittore avessero raccontato
-un viaggio in strada ferrata, descritto un salotto alla moda, riferita
-una conversazione di signore, rappresentato un accampamento di soldati,
-e scritto tutto questo con spontaneità, grazia ed efficacia, senza
-farsi cogliere in fallo dai puristi: allora sì che mi rimetterei e
-mi darei del bue. Ma dove sono i modelli di questo genere di scritti?
-Andiamo, via; allarghiamo un po' la manica e facciamo a compatirci.
-
-
-
-
-CONSIGLI
-
-
- (_Risposta a un giovanetto_).
-
-.... Vi dirò quello che per mia esperienza ritengo utile; ma vi prego
-di credere che non ho nessunissima pretensione d'insegnare. Voi,
-probabilmente, vi sarete già formato un parere; io v'espongo il mio. Se
-saremo d'accordo, tanto meglio; se vi parrà che io sbagli, darete una
-scrollatina di spalle, e non ci terremo il broncio per questo.
-
-Il primo consiglio che vi darei sarebbe di far i bauli e di prendere
-il treno di Firenze. Se potete far questo, non m'occorre di dirvi
-altro per ora: vi riscriverò a Firenze. Ma se, com'è più probabile,
-non potete, ecco ciò che io farei se fossi in voi. Prima di tutto mi
-stamperei bene nella testa che lo studio della lingua è uno studio
-che richiede molto tempo, molta pazienza e molta regolarità: mezz'ora
-tutti i giorni giova più che due giorni interi ogni due settimane.
-E farei e cercherei di mantenere i seguenti propositi: — Parlare il
-meno possibile il mio dialetto. — Parlando italiano, parlar sempre
-con cura, sorvegliare sempre me stesso, e purgare il mio linguaggio di
-tutti i _grossi errori di grammatica e di proprietà_, non _avvertiti_,
-che sfuggono nella maggior parte d'Italia a _quasi tutte le persone
-colte_. — Terzo, correggere e perfezionare la mia pronunzia: il che
-può far benissimo un italiano di qualunque provincia, senza cadere
-nell'affettazione e senza riuscir ridicolo, purchè lo faccia a poco
-a poco e non lasciando apparire lo sforzo. — Per riuscire a _scriver
-bene_ non mi pare che ci sia mezzo migliore che quello di cominciare
-a _parlar bene_, poichè se è vero che lo _scrivere_ è un _parlare
-pensato_, chi parla bene non avrà più, pensando per scrivere, che
-da perfezionare, mentre chi parla male, dovrà far doppio lavoro:
-ossia evitar di scrivere gli spropositi che gli escono abitualmente
-dalla bocca, e poi con un secondo sforzo della mente, fare quello
-che l'altro fa alla prima. Ora, non capisco come si possa riuscire a
-parlar bene senza pronunziar bene, poichè mi pare che qualunque più
-bella espressione italiana perda della sua efficacia se è pronunziata
-coll'accento e i suoni del dialetto; e la perde non solo per chi
-ascolta, ma anche per chi parla.
-
-Dopo questo farei una volta per sempre la fatica di leggere e di
-annotare tutto il _vocabolario_, e lascerei che i grulli ridessero
-di questa _pedanteria_. L'ha fatta il Manzoni, l'ha fatta il Grossi,
-l'ha fatta Teofilo Gautier, il più colorito e più ricco scrittore
-della Francia; e non erano pedanti. Farei così: raggrupperei tutti
-i vocaboli e modi notati nel vocabolario intorno a un certo numero
-di argomenti: per esempio, campagna, arte, industria, morale,
-architettura, vestiario, movimento, affari, affetti, ecc.; e intorno a
-ognuno di questi argomenti raccoglierei poi a mano a mano tutto quello
-che mi verrebbe fatto di notare nei libri. Un quaderno dunque! Uno
-sgobbo da scolaretto! E sia pure. Capisco che molti ridono di queste
-cose, e dicono che bisogna studiare in una maniera più _larga_. Ma
-mi consolerei pensando che in questa maniera _stretta_ studiarono la
-lingua il Monti, il Foscolo, il Leopardi, il Giusti, il Guerrazzi;
-che, poveretti, credevano ancora ai _quaderni_. Ma che norma seguire
-nell'annotare e nello scegliere? Non lo so dire. In certe cose non
-si possono dar consigli. Io sceglierei ciò che mi bisogna e ciò che
-mi piace. Vi son parole e modi _antipatici_ a uno, _simpatici_ a
-un altro. Chi li trova antipatici non li adopera mai quand'anche li
-veda adoperati da tutti. È dunque inutile che li noti e li ritenga
-a mente. Per esempio, vi sono degli scrittori che per cento lire non
-scriverebbero _ad ogni piè sospinto_. Ma è italiano! direte. Lo so, —
-vi rispondono; — ma lo detesto. — Il gusto deve andare innanzi a tutto.
-Quindi in questo lavoro di scegliere vocaboli e modi, ciascuno deve
-fare quello che gli pare. Se fa male, ossia contro il gusto dei più,
-peggio per lui; non c'è altro da dire.
-
-Dopo il vocabolario, i libri. Io leggerei quasi esclusivamente libri
-toscani, anche quei di poco o nessun valore per la sostanza, perchè
-in un libro scritto da un toscano c'è sempre, in fatto di lingua,
-qualche cosa da imparare; intendo di dire qualcosa di _speciale_,
-come diceva il Grossi, di _vivo_, che non si trova negli scritti più
-forbiti degli altri italiani. Tra questi libri toscani, ne sceglierei
-alcuni, od anche uno solo, da leggere ad alta voce o da farmi leggere
-mezz'ora tutti i giorni. Conosco un tale che scelse l'epistolario del
-Giusti. Ci sono molte affettazioni, molte _smorfie_; v'è in qualche
-punto la caricatura della naturalezza; v'è spinto sovente fino
-all'eccesso quello ch'egli chiamava il _parlare da serve_ o parlare
-alla _casalinga_, il contrario di quello definito da lui: — parlare
-tirato _a chiaro d'ovo di grammatica e di vocabolario_. — Ma è tanto
-ricco, tanto sciolto! v'è un fare così da padrone che, a studiarlo
-con discernimento, ci si può imparare più che in cento altri libri
-inappuntabili. Ma bisogna tempestarci su molto tempo, — anni ed anni, —
-ogni giorno un po'; — bisogna digerirlo e ridigerirlo; — empirsene la
-testa e gli orecchi in modo che tutti i momenti, a tutti i propositi,
-ci vengano alla memoria e sulle labbra quei modi, quei suoni, quei
-periodi. E questo si può dire di tutti gli altri libri. Leggerne
-pochi, ma con infaticabile perseveranza, fin che vengano a noia; fin
-che, lasciando cader gli occhi sopra una pagina qualunque la memoria
-precorra lo sguardo, e torni quasi inutile proseguire la lettura.
-E studiare a memoria molto e ridire ad alta voce le cose studiate,
-_fin che s'è molto giovani_, come scrisse Giacomo Zanella; perchè a
-una certa età questa fatica si può continuare a farla se si è sempre
-fatta; ma non si comincia a fare _a caso vergine_; e chi non possiede
-una buona quantità di lingua prima dei venticinque anni, è raro che
-l'acquisti dopo.
-
-Il difficile è il ritenere, l'appropriarsi così intimamente i vocaboli
-e i modi che si vanno via via notando, da averli poi pronti, spontanei
-quando si parla o si scrive. Per ottenere questo ci vuole una certa
-industria. Conosco uno che oltre al notare parole e modi nel suo
-gran quaderno a colonne, li scriveva, via via che gli occorrevano,
-sul margine dei libri, sulle buste delle lettere, sulle assicelle
-degli scaffali, sulle porte, sui muri, sui giornali; tanto che nella
-stanza dove studiava, in qualunque punto fissasse gli occhi, vedeva
-una nota e se la rinfrescava così nella memoria. E qualunque parola o
-modo notasse, lo riferiva immediatamente, nel suo pensiero, a qualche
-persona o cosa che gli occorresse di vedere o di fare abitualmente
-nella giornata. Legava ogni parola a un'immagine, ogni frase ad un
-fatto, e se ne serviva il più presto possibile in una lettera o in una
-conversazione per istamparsela in mente, per mettervi, in certo modo,
-il suo suggello, per impiegarla subito nella sua casa. E dedicava ogni
-giorno una mezz'ora a rimestare, a combinare, a logorare, sto per dire,
-le sue note. Si formava coll'immaginazione un personaggio qualunque e
-scriveva di lui, per esempio, una tiritera come questa: — mi pareva un
-galantuomo; feci _fondamento sopra di lui_, e non credevo di _fidarmi
-sul vento_; oltrechè mi parve che fosse un uomo _di ricapito_, benchè
-sapessi che era anche _un uomo dei suoi comodi_ o _dei suoi piaceri_.
-Ma m'ingannai e alla prima occasione _mi girò sotto_. Gli scopersi
-mille difetti. Prima di tutto è avaro; _ha il granchio alla borsa,
-ha la gotta alle mani, paga colle gomita, sta sul tirato, vive a
-stecchetto_; ma è pure ambizioso, e _camperebbe con uno stecco unto_
-per _scialare fuori di casa_, ecc. Accortosi che l'avevo _preso in
-tasca, si ruppe con me_, me _l'ha giurata addosso, è nero con me, ha il
-sangue guasto con me, s'è guastato con me_, si _lava la bocca_ di me,
-_gira largo_ quando mi vede, ecc., ecc. — Tutti questi modi, estratti
-dalle sue note, combinava poi un altro giorno in un altro modo intorno
-a un altro soggetto, e studiava a mente quello che aveva scritto.
-Lo capisco; è una fatica uggiosa, non se ne tocca con mano il frutto
-che dopo molto tempo, alle volte se ne riman quasi umiliati, sovente
-si perde il coraggio. Ma bisogna perseverare, esser cocciuti, volere
-_fermamente_ e a _qualunque costo_, e vien poi il giorno in cui s'è
-contenti di non aver ceduto. Se non costasse lunghe e penose fatiche
-l'imparare a scriver bene, i libri leggibili sarebbero più numerosi di
-quello che sono.
-
-Scrivendo, però, io mi sforzerei di dimenticare tutte le mie note
-e tutti i miei esercizi. Presa la penna in mano, non frugherei più
-nella mia memoria. Quello che deve cader sulla carta, deve cader da
-sè. Tutto ciò che è _cercato_ è quasi sempre _ricercato_. È inutile
-tentar d'ingannare il lettore. Anche il lettore meno perspicace ha un
-senso finissimo che lo avverte d'ogni menoma affettazione, e gli fa
-discernere nettamente la parola e il modo scritto spontaneamente da
-quello tirato fuori cogli uncini dai magazzini della memoria. Tutto ciò
-che non vien sulle labbra parlando è difficile che venga a proposito
-sulla punta della penna. Per questo ripeto che il migliore esercizio da
-farsi per imparare ad _usar_ la lingua è quello di _parlare_. Parlando
-s'ha sempre un giudice la cui fisonomia accusa involontariamente
-con moti appena percettibili, ma di significazione non dubbia, tutte
-le affettazioni, tutte le lungaggini, tutte le oscurità del vostro
-linguaggio. Un _ascoltatore_ è il miglior maestro di semplicità, di
-rapidità e d'efficacia.
-
-Resta la quistione delle parole nuove. Io direi che non mette conto
-di parlarne. Fa bene a occuparsene, piuttosto di non far nulla, chi
-non ha altro da fare. Quello che importa è che la frase, l'andamento,
-il giro del periodo, _l'impasto_ della lingua sia italiano. La
-quistione delle parole dubbie, ammesse da Caio, respinte da Tizio, è
-un puro perditempo. Anzi, in queste cose, vi consiglierei di evitare
-le discussioni. In fatto di lingua le discussioni non approdano per
-lo più a nulla e non fanno che guastare il sangue, perchè in questa
-materia (strano a dirsi) la gente più modesta ha un amor proprio
-ombroso, ostinato, intrattabile. È impossibile, credo, trovare un
-italiano, anche digiuno d'ogni studio di lingua, il quale in una
-questione di parole si lasci persuadere da chi ne sa più di lui. Non
-c'è usciere piemontese che non si creda in grado d'insegnare un po'
-di _vero_ italiano a un accademico della Crusca, e voi non potete
-immaginare quanti maestrucoli di villaggio danno di ciuco al Manzoni.
-A che giovò per esempio, la discussione promossa dal _povero vecchio_,
-come dicevano i suoi avversarî, sull'unificazione della lingua?
-Abbiamo visto saltar su da tutte le parti dei linguaiuoli furiosi che
-ripeterono per la centesima volta le loro vecchie ragioni, abbiamo
-sentito dire molte impertinenze, siamo ricaduti fino agli occhi nei
-vergognosissimi pettegolezzi comareschi dei tempi andati; e ognuno
-è rimasto del proprio parere. La questione della lingua bisogna
-risolverla colla _pratica_. Un buono e bel libro scritto secondo le
-teorie del Manzoni, val più di cento discussioni. Ciascuno scriva
-come crede che si debba scrivere, senza pretendere di dettar la legge
-agli altri; il pubblico vedrà da sè dov'è la maggior evidenza, la
-maggior grazia, la maggior ricchezza; e la miglior _teoria_ trionferà
-a poco a poco, tacitamente, senza bisogno che ci pigliamo pei capelli.
-Quello che importa sopra ogni cosa è di studiare tenendo sempre ferma
-questa sacrosanta verità nella testa: — che senza molta fatica e molta
-pazienza non si riesce a nulla in nessuna cosa; e che anche studiando
-molto, lo studio della lingua è uno studio di tutta la vita, come tutti
-gli altri studi; e che chi lo sberta come una _pedanteria_ che ammazza
-l'ingegno, è un fiaccone che non ci s'è mai messo, o un corbello che
-non l'ha mai capito.
-
-
-
-
-IL VIVENTE LINGUAGGIO DELLA TOSCANA
-
-
-I.
-
-Ho riletto in questi giorni il libro di Giambattista Giuliani
-intitolato _Moralità e poesia del vivente linguaggio della Toscana_
-(Successori Lemonier, terza edizione); e ho riprovato la doppia
-soddisfazione che dà ogni libro veramente bello e veramente utile.
-Son certo che molti dei miei giovani lettori lo conoscono; ma dubito
-che molti abbiano avuto la pazienza di postillarlo, di trascriverne i
-tratti più notevoli, di ordinare le note, di spremerne il sugo in modo
-da poter mettere il libro da parte colla sicurezza d'averne ricavato
-il maggior vantaggio possibile. Per questo, credo che non riusciranno
-inutili le pagine seguenti. Propongo, in somma, a quelli fra i lettori
-che studiano con amore la lingua, di leggere, o rileggere, il libro del
-Giuliani in compagnia d'uno che può risparmiar loro una parte della
-fatica che avrebbero a durare per far quella lettura da soli e con
-profitto.
-
-Questo libro è quasi tutto composto di discorsi, di frasi, di parole
-raccolte dalla bocca di contadini e contadine delle varie provincie
-toscane. Il Giuliani ci ha lavorato molti anni. Girò tutta la Toscana,
-soggiornò nei villaggi e nelle borgate, s'affratellò coi campagnuoli,
-ne studiò i lavori e i costumi, e a furia d'interrogare e di notare,
-mise insieme il suo libro, che è una miniera di purissima lingua. E
-non di lingua soltanto, perchè son contadini e contadine che parlano
-d'agricoltura, delle loro famiglie, dei loro amori, delle loro
-disgrazie; quindi c'è racconto, descrizione, affetto. Letto questo
-libro, par di essere vissuti un anno in quelle beate valli _popolate
-di case e d'oliveti_, e d'aver conosciuto quel buon popolo schietto
-e cortese; e per molto tempo rimangono nella mente quei vignaiuoli,
-quegli opranti, quei carrettieri, quei cacciatori, quelle fattoresse,
-quei garzoni, quelle nonne, quelle spose, quelle ragazze, colle quali
-s'è discorso alla sfuggita, come tanti personaggi di un romanzo.
-
-Io non credo che ci sia al mondo altro popolo contadinesco, — per
-servirmi delle parole del Giuliani, — il quale parli una lingua così
-gentile, così potente, così splendidamente poetica come quella parlata
-dal popolo della campagna toscana. Certuni (non toscani, s'intende),
-leggendo questo libro sono stati presi qua e là dal dubbio _che non
-fosse tutta farina dei contadini_. — Certe idee, — dissero, — certe
-frasi son troppo belle, troppo poetiche per dei contadini. — Io penso
-invece che sono tanto poetiche e tanto belle da non poter sospettare
-che siano di Giovanbattista Giuliani, per quanto egli abbia ingegno e
-buon gusto. E dico il vero: se fossi sicuro che il racconto intitolato
-_Tre vittime del lavoro_, compreso nel libro di cui parliamo, non
-è stato scritto, quasi sotto dettatura della contadina _Teresa_ e
-del pastore _Domenico Nesti_, ma steso per intero, e per sola forza
-d'immaginazione, dal signor Giuliani, piglierei questa sera il treno
-diretto di Firenze per andare ad abbracciare il degno abate e gridargli
-ch'è il primo scrittore d'Italia; tanto io credo che quel meraviglioso
-racconto sia al di sopra delle forze di qualunque ingegno, anche
-toscano, e che la natura sola l'abbia potuto dettare.
-
-E poi giudicheranno i lettori, non di quel racconto, ma dell'altre
-cose. Spigoleremo nel volume del signor Giuliani. Gran lavoro
-davvero da riempirne le pagine d'un libro! Ma qui si tratta di
-spigolare riordinando. Il ritenere le cose di lingua dipende in
-gran parte dall'ordine col quale ci si presentano. Nel libro del
-Giuliani, composto in gran parte in forma di vocabolario, si trovano
-discorsi, frasi, immagini di natura svariatissima, l'una sull'altra,
-alla rinfusa. Nella stessa pagina, tre persone diverse parlano
-d'agricoltura, d'amore e di morte. Noi procederemo in un'altra maniera.
-Di più, non cogliendo altro che il fiore delle tante bellezze sparse in
-quel libro, lasceremo da banda quella parte di lingua, ed è moltissima,
-che riguarda esclusivamente l'agricoltura dal lato tecnico, e che
-perciò riuscirebbe inutile al maggior numero dei lettori.
-
-Cominciamo dalle espressioni poetiche del linguaggio del dolore,
-dell'amore e d'altri sentimenti. Molte volte rimarremo meravigliati
-del pensiero, non meno che della forma. Una contadina della montagna
-pistoiese, per esempio, parlando degli ultimi giorni d'una sua
-conoscente, morta poi di malattia, dice che _aveva la carne già morta e
-lo spirito sempre vivo_...; che _le morì la carne addosso prima ancora
-che se ne fosse ita con Dio_. Un'altra contadina della stessa montagna
-dice che _quando il dolore è di quello cocente, la parola resta
-dentro_: espressione di cui si ammirerebbe la potenza se si trovasse in
-un verso di Dante. — Una contadina senese dice le seguenti parole che
-a me paiono sublimi: _La mamma io la perdetti ch'ero piccolina; a ogni
-modo mi par di mentovare un gran nome!_ — _A casa_, — dice un'altra
-pistoiese, — ci sta il nonno, che gli voglio un bene all'anima.
-_Sempre sotto la sua ombra mi son riparata._ — Un'altra, parlando d'un
-figliuolo morto: — _La morte, come fa presto! Non si sa la mattina
-quando ci si leva, se si finisce il giorno.... Ma Dio ce li dà in pegno
-i figliuoli; a tutte l'ore li puole ripigliare, e bisogna renderli._
-— Una donna del Casentino, raccontando un suo sogno d'una passeggiata
-fatta colla bambina che poi le è morta: — _Per la strada non si faceva
-altro che coglier fiori e fiori, parea fosser nati a bella posta per
-noi: era un non so che d'allegria per tutto._ — _A volte_, — dice
-un'altra di Valdensa, — _m'arrabbierei dalla disperazione; ma Dio è
-misericordioso, e ci svia la mente da queste tristizie._ — Un'altra
-madre: — _A noi mamme ci costano sangue tutti a un modo i figliuoli.
-C'è n'è tante che non se ne rifanno a mancargli un figliuolo. Tutti
-non si nasce d'una stampa; le dita delle mani non son mica tutte
-compagne._ — _A rifletterci bene_, dice una contadina di Montamiata,
-— _è proprio vero, il mondo è una catena continua d'amore: s'esce d'un
-amore e s'entra in uno più grande a pigliar marito_. — Un cieco delle
-montagne di Siena dice: — _perso gli occhi, perso il mondo; la luce è
-la bellezza della vita_. — Un'altra madre del Casentino dice dei suoi
-figliuoli morti: — Mi ricordo di quando li avevo tutti e due; _come
-brillavano! allora sì che quella era vita!... Senza la vista degli
-occhi_ (era diventata cieca) _si è più di là che ili qua, sparisce il
-meglio della vita._ — Un'altra madre: — Quando cominciano a chiamare
-_babbo, mamma, anco che non lo scolpiscano bene bene, è una tenerezza
-che ci cascano i lucciconi_ (lagrimoni) _ridendo_.... — _Quando c'è
-l'amore_, — dice un'altra, — _tutto passa! Quello sì che è proprio un
-accorda cristiani!_ — Ed altre, parlando sempre dei figliuoli: — _Le
-darei il fiato per tenerla viva_ — Che almeno la rivegga in paradiso!
-_Mi reggo viva in questa speranza._ — Sebbene fossi più di là che di
-qua, l'avere il mi' figliuolo daccanto nel letto, _mi pareva di essere
-più degna di stare nel mondo_, ecc.
-
-Ecco ora un saggio d'altre espressioni più brevi di dolore e di affetto
-tolte qua e là dal libro e riferite tali e quali. Non dimentichiamo mai
-che son contadini e contadine che parlano. — Era una vista che levava
-il pianto dal cuore. — Sono dolori che ne va la vita. — Quando viene
-un rimescolo di sangue l'uomo non scerne più il bianco dal nero. —
-Sono pene di morte che fanno andare il cervello in aria. — Mi consumavo
-dentro. — Mi sento schiantar dentro dalla passione. — È un pensiero che
-mi pesa sull'anima. — È un coltello che m'ha passata l'anima. — È una
-disgrazia che m'ha ferita a morte. — Se non fossi in mano di Dio, sarei
-già morta sfatta dal dolore. — Una puntura, per forte che sia, finisce
-presto, basta che non arrivi al cuore; ma feriti al cuore, addio: è
-una morte da vivo; non si guarisce più. — Li ricordo quei giorni! Li ho
-contati a goccie di sangue, li ho contati. — Parea distrutta dalla gran
-passione. Vede quel sasso? Tant'era lei. — E Teresa? Oh quella sì che
-il dolore le s'è fitto nell'ossa! — Vedevo lui (_il marito morto_,) e
-mi pareva volesse dir tante cose, e non poteva; che strazio è stato il
-mio! — Spasimava tra la vita e la morte. — Mi si travolse il cervello.
-— Mi pareva di non aver più senso di nulla. — Ero un turbine di dolore,
-ecc.
-
-Ma nulla di più gentile e di più caro che il linguaggio d'amore. —
-«M'ero messa a certi arrischi per vederlo (dice una contadina della
-montagna pistoiese parlando del suo damo, che fu poi suo marito) che a
-ripensarci mi s'accapona la pelle. Bastava mentovarmi il mio damo, io
-ero gelosa di tutte e di tutto. _Mi pativa il cuore, che l'aria me lo
-guardasse._ La prima volta che lo vidi, mi principiò subito a garbare.»
-— Un giovane contadino di Val di Greve dice: — «Io per me tra 'l
-lavoro penso alla mia dama, non sento manco la fatica, tutto mi piace;
-_è un gran gusto quando c'è l'amore che rischiara la giornata_.» Una
-contadinella, parlando del suo innamorato: — «Quando si va in chiesa,
-quanti ne passa e quanti ci entrano, il più bello di tutti è lui: _pare
-un fiore, che lo distinguo tra mille_. Anche se mi ritrovo alle feste
-e che ci sia lui, _lo vedo sopra tutti_; gli voglio bene; il cuore
-non mentisce.» — S'ha un bel dire, ma non c'è barba di scrittore che
-valga a mettere insieme di queste parole. Un'altra, una contadina di
-Crespole, racconta così l'_andamento_ del suo amore: — «La prima volta
-che vidi il mi' omo, era la festa della Madonna delle Grazie. Un giorno
-fra gli altri venne da me una mi' zia e mi chiama: Vien qua, Betta,
-senti, t'ho da dire una cosa: c'è quel giovinotto di Vellano, che
-t'ha visto in chiesa, ti ricordi? _Ti conobbe tanto allegra e con quel
-sorriso_ (bellissimo!) che t'ha messo gli occhi addosso; e finchè t'ha
-potuto vedere, t'ha guardato e ha detto: Quella è la ragazza che fa per
-me; la voglio pigliar per moglie, _mi garba troppo_.» — Una ragazza
-di Cutigliano scrive al suo amante: — _Anche solo a poter prendere
-qualche boccata d'aria dove tu respiri, sarei contenta._ — La stessa,
-in un'altra lettera, temendo d'essere abbandonata: — «Rammentati
-bene che v'è un Dio sopra di noi, che se tu _avessi il cuore voltato
-a tradirmi_, non te ne darebbe il tempo.» — In uno stornello c'è la
-parola _strazia fanciulle_, per amante volubile; e una povera ragazza
-abbandonata dice ingenuamente al suo damo: — _Come volete ch'io
-faccia a campare?_ Undici sillabe in cui c'è più amore che in tutto il
-canzoniere d'un petrarchista.
-
-Tralascio di riferire un gran numero di parole e d'espressioni del
-linguaggio contadinesco, che non potremmo usare. Ma ve n'è molte, fra
-queste, che dánno tanta grazia e tanta originalità al discorso, che
-sarebbe un peccato lasciarle da parte. Voglio dire di quei vocaboli
-e modi che si soglion chiamare _illustri_, e che non convengono
-al linguaggio famigliare. Per esempio, si trattenga dal sorridere,
-chi può, raffigurandosi un contadino il quale dica le proposizioni
-seguenti: — Aveva una _dottoranza_ nel su' dire, che ci si stava a
-bocca aperta a sentirlo. — Quando si torna di maremma, guai a non
-aversi un po' di _riguardanza_. — Per esser povera gente, l'hanno
-portato al cimitero con _onoranza_. — Si vede che il vino nelle botti
-non ha preso _possanza_. — Bisogna aspettare che il sole acquisti
-_possanza_ di scioglier la neve. — Ho continua _temenza_ che si faccia
-del male. — Vecchio, aveva nel cuore _l'ardenza_ della gioventù. — Ero
-sfinita, e tutti mi guardavano come _una meraviglia di doglianza_. —
-Lavorava per acquistarsi _nominanza_. — Uno dei bimbi le morì perchè
-non ebbe _custodimento_. — Ora le racconterò l'_andamento_ della
-mia gamba (s'intende del suo male). — Mi sarei mangiate le mani, dal
-_rosicamento_ che mi sentivo dentro. — Non mi _nutricavo_ che di pianti
-e di sospiri. — Mi fu posto dinanzi un fiasco e potei bere a tutto
-tonfo, si figuri! A quella _confortazione_ subito riebbi la vista.
-— Quest'aria è una _spirazione_ di salute, ecc. — Noto di volo il
-curioso paragone _piangere come una vite tagliata_ e la graziosissima
-espressione _donna usciaiola_ per donna che sta sempre sull'uscio a
-_spettegolare, a tirarla giù all'uno e all'altro_; tanto differente da
-quelle buone donne che _lavorano di genio_, che _si tirano il bene da
-tutti_, che non _si guastano con nessuno_ e che non si dan pensiero
-delle maldicenze, tenendo per massima che _un paio d'orecchie sorde
-chetano cento lingue_.
-
-
-II.
-
-Si veda se c'è nulla di più grazioso e di più efficace delle
-espressioni seguenti, tutte raccolte dalla bocca di contadini, e sparse
-per il libro del Giuliani. — L'orologio cammina cammina senza ritegno,
-_e non dice più vero_. — Il _verno è nato_, la stagione declina. —
-Bella serata ch'è questa! È _uno stellato fitto_, una chiarità che
-rallegra, starei qui tutta la notte _a godere le stelle_. — Carlo
-voleva partire; sua moglie non fece altro che _contraddirgli l'andata_.
-— I ricchi delle volte stanno peggio di noi perchè _hanno il baco che
-li rosica_ giorno e notte. — Io non dissi parola; ma _piangevo nel mio
-dentro_. — A contare tutto quello che ho passato nel mondo, sarebbe
-_una leggenda da far rabbrividire_. — Voleva intendere, voleva sapere
-(parla d'uno che sotto colore di chiedere _albergo_, s'era ficcato in
-casa per rubare); non _aveva terren sotto i piedi_. — Non _toccava_
-nemmeno _terra dall'allegria_. — _Non batte_ gli occhi _da tanto
-che sta lì a guardarla_. — Creda che quando si vuol bene davvero, le
-_parole muoiono in bocca_. — Che acqua! _è una freschezza che rompe
-il bicchiere._ — Voglio tornar a casa perchè altrimenti c'è quel
-benedetto vecchio che m'_ingolla viva_. — _Un dì per me dice tre_
-(parla un vecchio), _calo fuor di maniera._ — La carità, se la facciamo
-bene, _Dio la scrive in cielo_. — Che serve disperarsi?_ Tanto questo
-mondo è una fiatata._ — Conoscete il mi' figliuolo? Il vostro bimbo
-_inchina tutto a quell'idea_ (gli somiglia). _Lo rammenta fin nei
-capelli._ — Guadagnarsi il pane a _stille di sudore_, _assaettarsi_
-al lavoro, condurre una vita _arrovellata_. — Mio marito lavora tanto
-che quando torna a casa si mette subito a letto _e si sveglia dalla
-parte che s'è abbandonato_. — Come diremmo questo, otto su dieci di noi
-settentrionali, quando non avessimo tempo a pensarci? _Si sveglia nella
-stessa posizione.... nello stesso atteggiamento.... nel quale...._
-
-Un bello studio ci sarebbe da fare, con questo libro alla mano, su quei
-modi e costrutti che i fautori della prosa compassata rigettano con
-orrore, e i novatori, invece, che badano all'efficacia più che alla
-regolarità dello stile, cercano e adoperano, non solo senza scrupolo,
-ma con predilezione. Lasciamo stare le espressioni come le seguenti:
-— Di quei figliuoli non ne _rinasce_ (invece di _rinascono_). — C'_è
-morto_ pezzi di giovinotti (invece di _ci son morti_), ecc., che non
-han bisogno di essere giustificate. Notiamo invece: — _Il mio omo
-è da tre settimane che si sente male._ — A casa ci sta il mio nonno
-_che gli voglio_ un bene dell'anima. — Per noi queste libecciate è una
-disgrazia grande. — _L'uva ce n'è di tante_ specie. — La maremma _son_
-tutti luoghi ammacchiati. — C'era due che contrattavano della seggina.
-_Quello che comprava gli è parso che il venditore l'avesse alterata di
-prezzo_, ecc. Che cosa si deve dire di queste licenze? che si possono
-pigliare? Il Manzoni non esiterebbe a rispondere di sì poichè egli
-stesso ha scritto nei suoi _Promessi Sposi_ (edizione corretta), oltre
-a moltissime proposizioni consimili, le seguenti: — _Tutti coloro che
-gli pizzicavan le mani...._ — _Queste sono sottigliezze metafisiche
-che una moltitudine non ci arriva...._, ecc. Ma nonostante l'illustre
-esempio, io starei umilmente con coloro che credono di non doverlo
-seguire. Che si debba preferire un idiotismo efficace a una pedanteria
-d'effetto contrario, siamo d'accordo; ma a patto che quell'idiotismo
-sia indispensabile ad esprimere quella data cosa; a patto che
-quando ci sono due espressioni di uguale efficacia da scegliere, una
-sgrammaticata e una no, si scelga quest'ultima; a patto, infine, che
-non si consideri ogni idiotismo come una gemma per la sola ed unica
-ragione che è un idiotismo. In quelle due proposizioni del Manzoni, per
-esempio, non mi pare affatto giustificata la violazione della sintassi
-regolare. Non trovo che il dire _tutti coloro a cui pizzicavan le mani
-o che si sentivano pizzicare le mani_, ecc., sia tanto pedantesco,
-tanto forzato, da dover preferire l'altra maniera. Mi pare anzi che
-sia appunto questa maniera, preferita come più naturale, quella che, in
-simil caso, riesce più forzata. Ma, si dirà, è una forma del linguaggio
-parlato, e voi stesso dite che bisogna scrivere come si parla. Certo;
-ma _come si parla_ da chi parla bene, correttamente ed elegantemente.
-Ora io scommetto che nessun toscano colto dice _coloro che gli pizzican
-le mani_ altro che qualche volta e senz'avvedersene. Abitualmente dirà,
-per esempio, _coloro che si sentono pizzicar le mani_. È grammaticale
-e non è certo meno semplice e meno spontaneo. Capisco che si scriva
-in quel modo quando si fanno parlare dei ragazzi, degli operai, dei
-contadini: si vuole, si deve imitare il loro linguaggio; lo si imiti,
-lo si riferisca anzi tal quale; sta benissimo. Ma non capisco perchè
-abbia da parlare lo stesso linguaggio lo scrittore, anche quando
-parla per conto proprio e di materie che non richiedono assolutamente
-l'estrema semplicità del dire. Non mi va, per esempio, che Emilio
-Broglio scriva nella sua _Vita di Federico II_: — _I compagni gli
-riuscì di fuggire._ La gran pedanteria che sarebbe stata di scrivere
-invece: — _Ai compagni riuscì di fuggire!_ — Dove andremo a riuscire
-se ci mettiamo su questa via? Transigere colle sgrammaticature, è un
-conto; adorarle, è un altro. Si finirà per considerare come la migliore
-prosa quella che sarà più spropositata e più triviale. Vi sono, è vero,
-molti modi e costrutti popolari graziosissimi che non stridono nel
-linguaggio corretto; questi, per esempio, che si trovano nel libro del
-Giuliani: — Si sente già cantare i cicalini; _i cicalini, il caldo li
-sollecita_. — _Aver sempre queste pene al cuore, non ci si regge._ —
-_Questo stromento_, vedete, _è la prima volta che me ne servo_. — Si
-sentiva un gran fracassío di voci; _ma vedere, non si vedeva niente_,
-ecc. Altri la penserà diversamente e metterà al bando anche questi
-modi; è affar di gusto, e sui gusti, come dice il volgo, non ci si
-sputa.
-
-Questo bel parlare dei contadini toscani, che ha conservato tutta
-l'antica purezza, può anche servire a levar molti scrupoli a coloro
-che scrivendo italiano si guardano con orrore da tutti i modi del loro
-dialetto, come se fossero tutti e necessariamente _non italiani_ per la
-sola ragione che appartengono al dialetto. Quanti sono, per esempio,
-gli italiani delle provincie settentrionali che sarebbero presi da
-mille dubbi sul punto di scrivere le frasi seguenti! — Che? le sai le
-divozioni? domanda una contadina a una bimba. E la madre risponde:
-— _Altro, se le sa!_ — _Addio, e questa volta non star più tanto_ a
-scrivermi (non farmi più aspettar tanto le lettere). — Lui non pensa
-che a me; _per essere_, (è una contadina che parla del marito) ho
-inciampato bene assai, ecc. — Così c'è da imparare tutte quelle maniere
-di chiudere il periodo che usiamo anche parlando, senz'accorgercene,
-perchè lo vuole l'orecchio; ed anco quelle parole accoppiate che pure
-si dicono, non perchè lo richieda il senso, ma perchè il suono le
-chiama. Per esempio: — Troverò io _il verso e la maniera_. — _Senza
-dire nè chè nè come._ — E uscendo dal libro del Giuliani, quest'altre:
-— _Senza sapere nè perchè nè per come_ — _Senza dire nè asino nè
-bestia_, — non ne seppe _nè grado nè grazia_, — _non fa nè ficca_, —
-_non cresce nè crepa_, — una lingua che _taglia e fora_, che _taglia e
-fende_, che _taglia e cuce_, — _dàgli, picchia e mena, dàgli, picchia
-e martella_ — sono d'accordo _bene_ e _meglio_ — _sono un paio e
-una coppia_ — è lei in _petto_ e _persona_ — viene in casa _spesso e
-volontieri_, ecc., ecc.
-
-Ed ora torniamo alle bellezze della lingua contadinesca, che il
-Giuliani raccolse con tanto amore. Davvero, quando penso alla fatica
-che gli dev'esser costata questo lavoro, lo ammiro, perchè conosco un
-po' anch'io i contadini toscani, e so per prova quanto è difficile il
-farli parlare come occorre che parlino perchè un raccoglitore di lingua
-se ne possa valere. Non è che non attacchino discorso volentieri;
-chè anzi sono cortesissimi, e una volta che han preso a discorrere,
-terrebbero a bada un'accademia. Il male è che quando s'accorgono che
-li fate parlare per sentirli, o temono che li vogliate canzonare, e
-vi sguisciano di mano; o compiacendosi della vostra ammirazione, e
-volendo meritarla meglio con un parlare più scelto, vi cominciano a
-tenere dei discorsi così arruffati, così lontani dalla loro grazia
-e chiarezza abituale, che vi fanno cascare, come suol dirsi, il pan
-di mano. Mi ricordo d'un contadino che invece di dire: _son sceso
-perchè avevo da dire una parola al tale_, volendo parlare in punta
-di forchetta, mi disse: — _son sceso per via d'una parola che avrei
-avuto l'idea_, ecc., e non ricordo come sia andato a finire. Non
-basta dunque girare per la campagna e interrogare i contadini; bisogna
-guadagnarsene la confidenza, pigliare dimestichezza con loro, imparare
-a farli discorrere senza che se n'accorgano, trovare il verso di farsi
-ripetere dieci volte lo stesso discorso, ed altre arti in cui non tutti
-riescono, e il Giuliani riuscì mirabilmente. Il curioso è che i più
-di quei buoni contadini credono di parlar male. Un oprante senese, per
-esempio, disse al Giuliani queste parole ingenue e graziosissime: — Mi
-pare forestiere lei _perchè la sua parlata non combina colla nostra_.
-Si sa anco noi che il peggio parlare è il nostro; bisogna compatirci;
-siamo poveri contadini, che non si conosce la lettura. — Così mi
-ricordo d'una ragazzina fiorentina, figliuola d'un barbiere, che disse
-ingenuamente: — _Mi piace tanto come parlate voi altri piemontesi
-l'italiano!_ —
-
-
-III.
-
-I contadini parlano spesso e volentieri della loro salute e dei loro
-malanni, e per questo v'è nel libro del Giuliani un gran numero di
-espressioni efficacissime relative a quell'argomento.
-
-_Una volta gagliardo era che sfidava il vento_, dice un contadino. —
-_Fora l'aria come una saetta._ — _Va che manco una saetta l'arriva._
-— _Corre che vola._ — _Ha un braccio che non c'è il compagno._ — _Sta
-bene in gamba._ — _Mangia di voglia._ — _È pochino_ (piccoletto della
-persona) _ma saldo più dell'acciaio_.
-
-Ma pur troppo occorre più spesso di parlar di malanni che di salute, e
-quindi v'è più messe di lingua da mietere in quel campo che in questo.
-
-— Poveretto, a vederlo, _casca da tutte le parti_, — _rifiata a
-stento_, — è bianco morto, _senza nemmen la forza di rifiatare_.
-— È _all'ultime fiatate_. — _Ha un viso da campar più poco._ — _In
-otto giorni che ha le febbri_ non si conosce più. — Poverino, a che
-s'è condotto! Che voglia durarla a lungo, non credo: _le pere mezze_
-(quasi sfatte) _a una ventata sono in terra_. — Quando viene il colpo
-mortale, _si casca giù come pere mezze, e dove uno batte ci resta_. —
-_Si strugge a oncia a oncia_ e tanto ha sempre quel suo sorriso sulle
-labbra. — Non si lagnava neanco _quando il male lo cuoceva dentro_.
-— Le morì il babbo; _dalla gran passione si lasciò andare giù giù,
-strutta come una candela_. — È _schietta dentro_ (sana di viscere);
-ma non ha più la faccia _rosata_ come prima. — Ebbe un _grosso male,
-un male di pericolo_. — Ha una _freddagione_ che gli _mozza la vita_.
-— Ci ha un dente che quando _c'entra lo spasimo_ non _gli dà requie_.
-— A volte l'enfiagione è cosa di poco, _sfuma_ presto; ma se il male
-infuria, se ne va la testa all'aria. — Oggi _m'ha preso una pena tanto
-mai grossa_ allo stomaco. — Ho dovuto _tenere il letto_ per un mese, e
-non ho avuto nessuno che mi _guardasse_. — Avevo un erpete infistolito;
-dal gran _tribolamento_ mi sentivo mancare la vita; ma _tanto mi son
-ripigliata_, mi riebbi adagio adagio, e questa _la riconto_. — A un
-tratto cascò morta _e non c'è stato più verso a farla risentire_. — La
-peggior vita è non essere nè sano nè malato, nè dentro nè fuori, nè di
-qua nè di là; essere tra la vita e la morte; onde si dice di uno _che
-non muore_ e _non campa_. — Dopo quella caduta, questa gamba non mi
-_dice_ più come prima.
-
-E si veda se è possibile dipingere più mirabilmente una figura
-umana di quello che fa una povera contadina colle parole seguenti:
-— .... _Ma gli ha i segni della morte in faccia; non vede più lume,
-sdentato, il capo senza un pelo, e con quella faccia grinzosa, che la
-morte non si può figurare più al naturale._ — Qui vocaboli, elissi,
-cadenza, sintassi, tutto giova all'evidenza della descrizione.
-Son tante pennellate e non ce n'è una superflua nè una che manchi.
-Qualcuno, son certo, leggendo le parole e frasi sopra citate, dirà
-che le _conosceva_. Ne son persuaso. Ma convien ripetere la solita
-osservazione. In materia di lingua _conoscere_ non significa _sapere_,
-perchè _sapere_ vuol dire avere alla mano, sulle labbra, pronto al
-bisogno: vuol dire _servirsi_ della lingua. Che importa sapere che
-esiste l'espressione _cosa di poco_, per esempio, se ogni volta che
-occorre di esprimere quell'idea, si dice, ci scappa detto o ci vien
-scritto invece: _cosa di poca importanza_? Ognuno di noi, italiani
-delle provincie settentrionali, possiede nei ripostigli della mente
-una parte di lingua viva, efficace, bella, — una parte della lingua
-raccolta nel libro del Giuliani; — ma che non adopera perchè non è
-ancora abbastanza _sua_, perchè appunto l'ha nei rispostigli della
-mente e non sulla punta della lingua e della penna, come i Toscani ce
-l'hanno. Per questo lo studiar la lingua, per una persona colta delle
-nostre provincie, non è tanto un imparare parole e modi nuovi, quanto
-un ravvivare nella memoria, un rimestare, un impadronirsi meglio di
-quello che già si è acquistato; imparare a spendere il tesoro nascosto;
-addestrarsi a maneggiare per tutti i versi lo strumento che si sa
-maneggiare per un verso solo.
-
-Il _tempo_ è un altro grande argomento di discorso per i contadini;
-onde il libro del Giuliani è ricchissimo di espressioni e d'immagini
-che vi si riferiscono.
-
-_Il sole cuoceva la carne sull'ossa_, dicono. — _Per la via
-s'avvampava._ — Con questo caldo _s'avvampa vivi_. — Il sudore _ci
-casca in terra a goccioloni_. — Badi: _sul buon del giorno_ si vive
-bene quassù; il _crudo_ è la mattina e la sera. — Oggi ve la siete
-scaldata a codesto sole la groppina? — A queste _solate_. — A queste
-_nebbiate_, — Signore! par d'esser rinati nel riveder la faccia del
-sole! — _È un'aria che fa riavere!_ — Quelle chiare giornate che si
-campa tanto volentieri, passano come un lampo! _E ci rientra_ tante
-faccende allora! _Le giornate d'ora_ (inverno) _rilucono appena_.
-— Oggi tirava un vento che pareva di _fitto inverno_. — _Tirava un
-vento diacciato che arrivava alla midolla._ — _Che vita tribolata si
-conduce noi poveri, il verno per un verso, l'estate per un altro!_
-— Nel verno _si tribola per un conto_ e d'estate _per un altro_. —
-A volte _il vento mena gran rovina_. — _Attaccò per bene a piovere_
-sulla mezzanotte. — _Giù acqua e baleni_, pareva il finimondo. — Per
-ora non c'è _disegno_ di piovere. — È un tempo _perverso, infierito_.
-— E questa ammirabile descrizione che fa una povera contadina della
-montagna pistoiese, presso Castiglione: — Il _vento percoteva forte, i
-castagni svettavano_ (agitavano le vette, le cime), _l'aria rintronava,
-un mugolío si sentiva che mi parevano urli di morte_.
-
-Ciò non ostante, mi pare che il linguaggio più immaginoso e più poetico
-sia quello che si riferisce all'agricoltura; e per questo l'ho serbato
-in fondo.
-
-Ecco, per esempio, un breve discorso d'un contadino della Valdinievole,
-che è una vera meraviglia d'immagini, d'armonia, di gentilezza. Il
-Giuliani gli domanda una spiegazione del proverbio: _Sotto la neve
-pane e sotto l'acqua fame._ — Perchè, egli risponde, sotto la neve il
-grano _accestisce meglio_ (_accestire_ significa venir su con parecchi
-fili da un sol ceppo), _compone vita_ adagino adagino, piglia più
-campo. Si sa: dalle barbe _riscoppiano più fili e la figliolanza_ si
-fa maggiore. E poi, non si dubiti, che se il caldo viene a suo tempo,
-_la maturazione s'affretta a buon modo_: lo _spigame_ abbonda. Una
-moltitudine di spighe porta, che è una dovizia. Ma unguanno è venuta
-tant'acqua, che il grano _ammutolisce_: perchè, m'intende? l'acqua
-ripiove giù giù dalle barbe del grano e lo strugge. — Si metta questo
-discorso in versi ed è poesia della meglio.
-
-«Nel corpo (ossia nella parte interna del castagneto), — dice un
-contadino di Montamiata, — _i castagni pigliano alterezza_» per dire
-che crescon meglio.
-
-«Belli quassù i grani! — dice un contadino di Valdinievole, — _s'ergono
-su su col collo pieno; a vederli è una dignità_.»
-
-Un contadino di Versilia dice al compagno: — Non lo gittare questo
-seme, credi a me, non è terra _degna_, non lo merita.
-
-Un contadino pistoiese dice che basta una solata a far levare il capo
-all'erba, e che si rià a un tratto perchè il _sole è vita alle piante_.
-
-Un diluvio d'acqua, — dice un senese, — è più una rovina che altro, ma
-se vien regolata, che la possa ricevere, _il campo gode e lavora_.
-
-Le patate a questa _rinfrescata_ si _son risentite_, — dice un di
-Versilia, — e _godono_ che è un piacere a vederle.
-
-Il grano, — dice un pistoiese, — è venuto adagino, pigliò vigore, e
-vede come _rizza il capo rigoglioso_! — _È pieno, tien corpo, è bene
-spigato._ — _Il sole quassù ha molta possanza_, ecc.
-
-Vuol essere custodimento, — dice un pisano, — se si vuole che la pianta
-_venga in orgoglio_.
-
-Il buon sugo (pure un pisano) rinvigorisce le piante, le mantien
-fresche e le fa _venire in essere_ a tutto punto.... Si cuoce a fiamma
-la legna che _prende essere_ di carbone.
-
-Giù nelle fondate (un altro pisano) le viti non ci approdano: _è il
-trionfo dei grani_. — Miri che _trionfo_ di verde! — A volere che la
-campagna _trionfi_ ci vorrebbe un pochino d'acqua.
-
-Son terre magre e sassose (un senese); _è uno sgomento a domarle_.
-
-Il grano cresce rigoglioso ch'è una bellezza, proprio _una meraviglia
-di speranza_.
-
-Pel freddo il faggio s'abbandona e resta _mortificato_; par che _il
-freddo gli rompa l'anima_.
-
-È una pianta che vuol di molto custodimento, guai abbandonarla! _resta
-senza fiato_.
-
-La terra dà quanto riceve; nutrita poco, dimagra come i cristiani, _e
-non ha più nerbo a reggere le piante; la terra rende frutto secondo che
-si nutrica, ecc., ecc._
-
-E questo è quel «dialetto come tutti gli altri» o «il dialetto che più
-s'avvicina alla lingua» e che avrebbe «la pretesa di farsi considerar
-come lingua,» quel gergo toscano, infine, che l'ignoranza presuntuosa
-e cocciuta di molti non vuole nè ammirare, nè studiare, nè sentire.
-— Pare impossibile! — diceva il Manzoni, scrollando il capo, con un
-sorriso tra mesto e stizzoso.
-
-
-
-
-QUELLO CHE SI PUÒ IMPARARE A FIRENZE
-
-
-Che cosa può far dire il dispetto! Qualche tempo fa, essendo corsa
-la voce che il ministro della guerra voleva trasferire la Scuola
-militare da Modena a Firenze, perchè gli allievi avessero miglior modo
-d'imparare l'Italiano, un giornale dell'Alta Italia disse le seguenti
-parole tali e quali: — Che cosa potranno mai imparare (gli allievi) a
-Firenze? Qualche idiotismo, e nulla più. — È grossa, anzi crassa, o
-per dir meglio, briccona. Eppure, se vogliamo esser giusti, non c'è
-da meravigliarsene più che tanto, perchè l'opinione di chi scrisse
-quelle parole è l'opinione di molti e in Piemonte e in altre provincie
-d'Italia. Fino all'età di diciassette anni, mi ricordo d'aver sempre
-inteso dire nelle scuole, dai miei professori di letteratura italiana,
-che i toscani _parlano con affettazione_, che dicono _molti spropositi
-di grammatica_, che _scrivono male_, ecc., e mi ricordo pure che noi
-scolari piemontesi credevamo fermamente di conoscer la lingua meglio
-dei toscani. — I toscani, — dicevamo, — sapranno un maggior numero
-di vocaboli e parleranno con maggiore facilità; ma noi che studiamo
-seriamente la lingua, noi ne abbiamo senza dubbio una conoscenza più
-esatta, la scriviamo con più correttezza e la parliamo in modo più
-scelto. — Perchè il gran che, a quei tempi e in quelle scuole, era di
-scrivere scelto.
-
-E infatti, quando andai per la prima volta a Firenze, per starvi lungo
-tempo, v'andai volentierissimo, ma coll'idea d'impararvi la pronunzia,
-non la lingua. Avevo la testa tutta imbottita di parole illustri,
-sapevo a memoria delle filze sterminate di periodi d'A_ntologia_, avevo
-con me una mezza dozzina di quaderni pieni di frasi di «buona lega,»
-di «italiane eleganze,» di «modi eletti;» e non mi passava nemmeno
-per il capo che il primo venuto dei fiorentini si potesse impancare a
-insegnarmi la lingua italiana; — i-ta-li-a-na, — ripetevo tra me — non
-toscana, buffoni.
-
-Però, il giorno medesimo che arrivai a Firenze, appena uscito
-dall'albergo, ebbi una piccola mortificazione d'amor proprio. Due
-monelli di sette o ott'anni giocavano nella strada. Uno di essi teneva
-un coltellino aperto sulla palma della mano e nell'atto di pigliar la
-mira per gettarlo contro un uscio, diceva all'altro: — Sta attento:
-io lo tiro, vi si configge, oscilla e po' si queta. — La grazia, la
-proprietà, l'efficacia di quelle parole, mi colpì. Osservai che non
-v'erano nè idiotismi nè sgrammaticature. Interrogai la mia coscienza,
-e la coscienza mi rispose che, per dire quella stessa cosa, io mi sarei
-espresso altrimenti e men bene. Sentii un po' di dispetto e un pochino
-di vergogna. Ma fu un lampo. Ripensai ai miei quaderni e a certi: —
-bravo! — dei miei professori, e il mio orgoglio scolaresco rivenne a
-galla.
-
-Conobbi dei fiorentini, frequentai qualche famiglia, passarono alcuni
-mesi.
-
-Ahimè! Allora cominciarono le _dolenti note_.
-
-Fin che, in una conversazione di molta gente, si trattava di parlare,
-colle solite frasi coniate, di politica, di letteratura, di teatri,
-il mio italiano correva a meraviglia. Ma quando ero faccia a faccia
-con una signora, e dovevo parlare delle mie faccenduole, esprimere
-sentimenti intimi, rispondere collo scherzo allo scherzo, raccontare,
-descrivere, discutere intorno ad argomenti delicatissimi, dire, in
-una parola, quei mille nienti di cui s'alimenta la conversazione
-famigliare libera e vagabonda, a tavola e accanto al fuoco; allora
-la mia lingua era restía, i miei frasoni scappavano come uccellacci
-selvatici, volevo dire una cosa e ne dicevo un'altra, m'impigliavo
-nei miei periodi come dentro una rete, stentavo, m'indispettivo, e
-qualche volta rinunziavo a esternare un mio pensiero per paura di non
-riuscirci. Quanti sorrisi leggerissimi ho visti guizzare sulle labbra
-dei miei ascoltatori, mentre parlavo; sorrisi che allora mi facevano
-fremere, e che ora benedico, perchè m'accorgo che furono i più utili
-insegnamenti che io m'abbia avuti in materia di lingua! Qualche volta
-una signora cortese mi dava amabilmente la baia, e anche questa era
-una eccellente correzione. — _Il tale_, — io dicevo, — _s'appressò a
-me_. — _T'appressa, Oreste!_ — essa esclamava con accento tragico. — Io
-esprimevo l'idea più semplice, poniamo il caso, con una frase ricercata
-ed altisonante, ed essa esclamava: — Oh come parla bene! — Ogni giorno
-cadeva dal mio vocabolario, ferito a morte da uno scherzo affilato,
-un piemontesismo, un francesismo, una pedanteria, una frase poetica.
-Ogni giorno mi confermavo meglio nella dolorosa persuasione che invece
-di _parlare_ italiano, _componevo_; che il mio tesoro linguistico era
-uno scrigno di diamanti falsi, e che se volevo riuscire a parlare e a
-scrivere a dovere, dovevo rimettermi a studiar daccapo. Son pur bestia!
-dicevo come Vittorio Alfieri nel suo sonetto a monna Vocaboliera.
-
-Ma il cimento più duro per il mio amor proprio fu quando misi per la
-prima volta in mani fiorentine gli stamponi dei miei poveri scritti.
-Una signora mi presentò un giorno una quarantina di pagine tutte
-tempestate di punti neri. Mi morsi le labbra dal dispetto. — Vediamo,
-— dissi con la più profonda sicurezza di riuscir vittorioso alla prova,
-— vediamo e discutiamo. — Cospetto! — pensavo: — scrivere è tutt'altra
-cosa che parlare. Mi può essere sfuggito qualche sproposito; ma cento,
-non credo. Son fresco di studi, so dove ho pescato la mia lingua,
-citerò i passi degli scrittori. La vedremo.
-
-Si cominciò.
-
-— Questa frase non va, — mi diceva.
-
-— Perchè non va?
-
-— Perchè non ha garbo, perchè non viene spontanea a chi vuol dire
-quello che lei ha voluto dire.
-
-— Ma l'ha adoperata il tale dei tali, e dicevo il nome d'uno scrittore
-consacrato.
-
-— Me ne dispiace per lui; ha fatto male ad adoperarla; io non
-l'adoprerei davvero.
-
-— Ma è o non è italiana?
-
-— Ma anche conciofossecosacchè è italiano. Lei l'userebbe per questo?
-
-— Ma come direbbe lei invece?
-
-La cortese correttrice mi suggeriva la correzione. Era nove volte
-su dieci la semplicità sostituita all'affettazione, l'evidenza
-all'equivoco, la grazia alla pedanteria. Ma quella correzione era come
-un colpo di catapulta che faceva traballare tutto l'edifizio della mia
-educazione letteraria; e perciò io resistevo, mi dibattevo, citavo,
-cavillavo, qualche volta credendo davvero di aver ragione, e non di
-rado facendo dentro di me il proposito di non sottomettermi mai più a
-quella tortura. Ma il giorno dopo ci ripensavo, davo a me stesso di
-corbello e di cocciuto e facevo la correzione. E mi ricordo che mi
-meravigliavo di vedere, durante le discussioni vivissime, e qualche
-volta anche acerbe, che il mio testardo amor proprio sollevava, di
-vedere, dico, il viso della mia correttrice sempre pacato e sorridente.
-Non capivo ch'essa non s'impazientiva perchè era profondamente sicura
-d'aver ragione, e che io avrei finito per riconoscerlo. — Oh questa
-poi! — esclamavo qualche volta; — questa assolutamente non la passo! —
-Ebbene, ne riparleremo domani, — essa rispondeva. E il giorno dopo non
-c'era neppur più bisogno di parlarne.
-
-Molte volte bastava una semplice osservazione per farmi ravvedere; ed
-era quando si trattava di tutte quelle piccole affettazioni, che sono
-nella lingua ciò che sul viso umano sono le smorfie, le rughe, i vezzi
-ridicoli, i mille segni e atteggiamenti sfuggevoli e inesprimibili,
-che rendono una persona antipatica; affettazioni delle quali molti
-scrittori italiani, anche valentissimi, non si sono ancora spogliati, e
-che sebbene paiano difetti di poco o punto rilievo, deturpano lo stile
-e rendono i libri noiosi.
-
-Leggevo, per esempio, nei miei scartafacci: — «Cadde sul _destro_
-piede.»
-
-— Perchè non sul piede destro? — mi domandava.
-
-— Perchè è meno elegante, — rispondevo. Si metteva a ridere così di
-cuore che io tiravo un frego sull'eleganza.
-
-Leggevo: — Partissi da casa....
-
-— Ma perchè non _partì_ da casa? Che direbbe di me se le dicessi che
-questa mattina _partiimi_ da casa d'una mia amica e _andaimi_ a casa
-d'una parente?
-
-Leggevo: — Prese quel partito, _però che fosse_ l'unico ragionevole
-che....
-
-— Oh terrore! — esclamava accompagnando la parola con un gesto
-drammatico.
-
-— Ma è italiano! — io dicevo.
-
-— Ma e batti con questo italiano! Vuole scommettere che senza dire mai
-nè una parola nè una frase che non sia italiana, io, questa sera, nel
-mio salotto, parlo in maniera da far scappare tutti i miei amici?
-
-Non erano mica, come si vede, correzioni di errori di grammatica o
-d'altri strafalcioni gravi. Erano quasi sempre cambiamenti di una
-parola in un'altra di senso affine, trasposizioni, raddrizzamenti di
-frasi torte, tocchi e ritocchi da nulla; ma che facevan mutar faccia a
-un periodo e colore a un pensiero, e dove il lettore avrebbe inarcato
-le ciglia o non badato, facevano sì che o non badasse o sorridesse
-di compiacenza. Era soprattutto un insegnamento continuo intorno al
-modo di distribuire e di combinare tutta quella parte minuta della
-lingua, tutto quel tritume di monosillabi, che è la maggior difficoltà
-delle lingue moderne; di distribuirlo e di combinarlo in maniera, che
-il linguaggio non ne rimanesse irto e rotto, le giunture dei periodi
-rigide, i passaggi stentati, il suono sgradevole, come vediamo accadere
-al più degli scrittori non toscani. Erano delicatezze di lingua alle
-quali non avevo mai pensato, che anzi non avevo mai neppur sentite nei
-buoni scrittori, o le avevo sentite nell'effetto complessivo del loro
-modo di scrivere; ma senza rendermi ragione del come e del perchè. —
-Paiono inezie, — mi diceva quella colta signora; — e molti ne ridono;
-ma a pensarci bene, sono cose essenziali per chi voglia scriver bene.
-Perchè in che altro si distingue uno scrittore elegante ed efficace da
-uno scrittore rozzo e sgradevole? Scriverebbero tutti bene ad un modo,
-se lo scriver bene consistesse nel non violar la grammatica, nel non
-adoperare nessuna parola e nessuna frase della quale non vi sia esempio
-negli scrittori, nel far capire, presso a poco, quello che si pensa.
-L'eleganza, la grazia, l'arte vera del parlare e dello scrivere, sta
-tutta nelle _segrete cose_, nei nonnulla che sfuggono all'attenzione
-dei più, in un'armonia che gli orecchi non educati non sentono. E in
-questo, se ne persuada pure, signor mio, e _lasci dir la gente_: i
-toscani possono insegnare qualche cosa ai loro fratelli d'Italia.
-
-Di questa verità non erano persuasi, neppure dopo due o tre anni di
-soggiorno a Firenze, molti Italiani delle Provincie settentrionali, per
-i quali l'aspirazione toscana, il _te_ per il _tu_, il _dai retta_ per
-il dà retta, l'_un_ per il _non_, e qualche altro idiotismo eran cose
-che, messe nella bilancia, facevano saltare in aria tutte le grazie,
-tutte le ricchezze, tutte le meraviglie del linguaggio toscano. Ma
-nel fatto era come se ne fossero persuasissimi; perchè senza volerlo,
-imparavano a parlare ed a scrivere; la loro lingua si snodava;
-adoperavano, senza accorgersene, modi vivacissimi e frasi semplici
-e piene di garbo, per dir cose che esprimevano prima con perifrasi e
-giri di parole ridicoli; si abituavano a raccontare e a scherzare senza
-compasso e senza fatica; e in fine canzonavano l'italiano stentato e
-mal connesso dei nuovi arrivati a Firenze, e trovavano insopportabili
-certe maniere di scrivere che avevano ammirate fino allora con
-pecoraggine scolaresca.
-
-Vi sono però molti, i quali andarono per qualche loro faccenda a
-Firenze, stettero una settimana all'albergo, sentirono bestemmiare i
-fiacchierai in piazza della Signoria, colsero a volo qualche frammento
-di conversazione in mezzo alle erbivendole di Mercato Vecchio,
-passarono tutt'al più una serata in una famiglia fiorentina, e poi
-tornati a casa, dissero che a Firenze non c'è da imparare che qualche
-idiotismo, che la lingua italiana non è là, che un qualunque italiano
-colto può parlar meglio d'un toscano, che l'idea del Manzoni è una
-stramberia.
-
-Dio vi perdoni e vi converta, signori.
-
-
-
-
-UN BEL PARLATORE
-
-
-Ogni volta che l'ho sentito parlare, mi sono persuaso che sono un
-barbaro e son tornato a casa umiliato.
-
-Non so come parli alla Camera e sulla cattedra; suppongo che parli
-bene; ma non credo che l'eloquenza politica e la scolastica siano la
-sua vera eloquenza. Bisogna sentirlo in conversazione.
-
-Qui è veramente ammirabile.
-
-Prima di tutto, bisogna dire, per chi non l'ha mai visto, che la sua
-persona non toglie nulla, ma neppure giova gran fatto all'efficacia del
-suo parlare. Se ne può fare il ritratto in due tocchi: una gran zazzera
-sopra un viso magro ed irregolare nel quale brillano due piccoli occhi
-pieni d'ingegno. Ha un sorriso un po' canzonatorio, un gesto un po'
-curialesco, una voce dolce e pieghevole. È superfluo il dire che è nato
-in Toscana; ma necessario soggiungere che è senatore, e che ha passato
-di qualche anno la cinquantina.
-
-Bisogna, dunque, sentirlo in conversazione.
-
-È un po' pigro, anche a parlare; e perciò non è molto facile fargli
-scioglier la lingua. Se non è in vena, e se il soggetto della
-conversazione non lo tira, è capace di non aprir bocca in tutta la
-serata. Peggio, poi, quando s'accorge che lo si vuol far parlare per
-starlo a sentire. In questo caso è timido e cocciuto come un bambino.
-Un giorno una signora, sollecitata da un amico curioso, gli mise
-dinanzi un libro di poesie (poichè legge mirabilmente i versi) e lo
-pregò ripetutamente di leggere. — Ma come vuole che io legga, — egli
-rispose quasi indispettito, — con tutto questo apparato? Diventerei
-rosso fino alla radice dei capelli! — E non ci fu verso di fargli
-leggere un rigo.
-
-Bisogna ch'egli s'impegni in una conversazione quasi senz'accorgersene,
-che vi scivoli, che vi si trovi legato senz'averlo voluto. Una volta
-che ha preso la parola, gl'interlocutori a poco a poco tacciono e
-diventano ascoltatori. Allora egli non si avvede d'essere sul palco
-scenico e la platea può esser sicura d'avere il fatto suo.
-
-Seduto in un angolo del salotto, cogli occhi socchiusi e il sorriso
-sulle labbra, passandosi di tratto in tratto una mano sul ciuffo, poi
-sulla fronte, e poi sul mento, egli dice mille cose argute e gentili
-con una grazia e una nobiltà di forma e d'accento che è impossibile
-a esprimersi. Parla lentamente e pesa le parole, ma senza sforzo; si
-direbbe che le scocca, che le fa scattare l'una dall'altra, che sente e
-che fa sentire in ognuna di esse un valor nuovo, scoperto o piuttosto
-dato da lui, come un'effigie a una moneta. Qualche volta fa aspettare
-una parola, si capisce che la cerca, e che gli sfugge; ma la coglie
-sempre, ed è sempre la propria, la necessaria, quella che s'aspettava.
-Talora si direbbe che ha compiuto l'espressione del suo pensiero, e
-non è; aggiunge ancora un aggettivo, un avverbio, un monosillabo, che
-fa sempre l'effetto dell'ultimo tocco d'un pittore sicuro. Si direbbe
-che cerca le difficoltà per pigliarsi il piacere di vincerle. Non gira
-mai intorno al proprio pensiero. Scava dentro di sè, mette fuori tutto,
-fa comprender tutto; colorisce, brunisce, orla, frangia, si trastulla
-in mille modi colla sua lingua; tocca con una destrezza meravigliosa
-soggetti disparatissimi, si diverte a sguisciar di mano, fa mille
-sorprese colla frase e coll'inflessione della voce; e di qualunque cosa
-parli, sia di filosofia, sia di finanze, sia di letteratura, sia di
-corbellerie, ha sempre la stessa evidenza e lo stesso colorito caldo
-e brillante di linguaggio, che seduce egualmente uomini, signore e
-bambini.
-
-Qui dovrebbero essere, — pensavo io quando l'udivo parlare, — coloro
-che dicono che _scrivere come si parla è la sapienza degli ignoranti_.
-Essi mi direbbero forse che questo signore, per quanto parli bene,
-scrive certamente meglio. Meglio, sì, ossia, con più ordine, con
-più sobrietà, con un nesso più stretto fra pensiero e pensiero, fra
-periodo e periodo; meglio, in una parola, _ma non in una maniera
-diversa_. Ossia non adopera, scrivendo, nè una frase nè una parola che
-non adopererebbe parlando, e scrive nondimeno con una eleganza e una
-nobiltà di stile e di lingua ammirabile. Egli può studiare a memoria
-quello che scrive e ripeterlo in conversazione, senza che nessuno
-s'accorga che sia stato scritto. Leggendo la sua prosa, par di sentir
-parlar lui; lui, — notiamo bene, — lui nascosto dietro una cortina o
-coll'anello di Gige nel dito; e non un altro personaggio che non si sa
-chi sia, un personaggio non vero, un terzo fittizio che si caccia fra
-l'autore e il lettore, un burlone che si vergognerebbe di parlare come
-scrive e si vergogna di scrivere come parla, un vanitoso imbellettato,
-un ipocrita letterario, un ciurmadore di parole. Scrivere come si parla
-vuol dire scrivere come vorremmo saper parlare; osservare, scrivendo,
-le stesse leggi che ci sforziamo (e non ci riesce sempre, perchè ci
-manca il tempo per riflettere), di osservare parlando; non mettere
-sulla carta nessuna frase, nessuna parola, nessuna trasposizione di
-parole, che usata parlando, in un crocchio di persone educate, colte
-e nemiche d'ogni affettazione e d'ogni caricatura, farebbe inarcar
-le ciglia o dare in uno scroscio di risa o dire che siamo pedanti
-o pretenziosi o sciocchi. Col quale principio, ch'era quello del
-Manzoni, se si esaminano nove su dieci dei libri italiani, e quelli per
-i primi di cui son colpevole io, mi duole il doverlo dire, si trova
-ogni momento una frase, una parola, un'attaccatura, un'inflessione
-di periodo, un qualche cosa, insomma, che non va, che non ha una
-ragione d'essere, che non dev'essere _scritto_ perchè non può essere
-_detto_, che ci farebbe arrossire se ci sfuggisse discorrendo con una
-signora, che è un'eleganza, come diceva il Manzoni, del cassone, una
-ruga dello stile, una smorfia della lingua. E con questo si spiega
-come al Manzoni non finisse di piacere nessun prosatore italiano.
-Cercava il suo ideale e non lo trovava. Leggeva tendendo l'orecchio e
-non sentiva parlare, o _sentiva leggere una cosa scritta_. Diceva del
-Nicolini medesimo che _parlava meglio di quello che scriveva_. Nelle
-sue meditazioni tranquille e profonde sull'arte dello scrivere, non
-aveva trovato nessuna buona ragione colla quale si potesse giustificare
-una differenza qualunque tra il linguaggio parlato e lo scritto, su
-_qualunque materia_ si scriva, poichè nel dialogo sulla _Finzione_
-egli scrisse cose altissime e stupende di filosofia e di morale senza
-scostarsi dalla lingua, dalla forma, dal tono d'una conversazione
-famigliare. E se qualche volta, in quello e in altri scritti, se n'è
-scostato, se n'è accorto poi e ha mutato, e se non ha mutato, sentiva
-che avrebbe dovuto mutare, e non c'è bisogno d'averlo conosciuto
-intimamente, per poter dire che sapeva di non essere riuscito a
-scrivere in tutto e per tutto come voleva, a incarnar meglio il suo
-principio, a dare l'esempio più strettamente conforme alla teoria.
-
-Così la pensa il _bel parlatore_ di cui ho parlato, il quale, se
-scrivesse dei libri, sarebbe col fatto il più potente propugnatore
-della teoria manzoniana, com'è, parlando, il più ammirabile maestro
-di conversazione ch'io abbia conosciuto. E l'ho in fatti per un tale
-maestro che quando mi viene sulla punta della penna un'espressione
-o una parola o un giro di periodo sospetto, chiudo gli occhi, mi
-raffiguro lui che parla, intrometto furtivamente nel suo discorso
-quella parola o quell'espressione, e se non la sento stridere, la
-scrivo; se stride, la caccio in bando del mio regno.
-
-Forse, s'egli leggesse queste pagine, direbbe che il mio regno è
-popolato di bricconi e mi consiglierebbe di bandire ancora. Abbia
-pazienza, caro maestro; mi lasci un altro po' di tempo e le assicuro
-che «sarà fatta giustizia» e «forza rimarrà alla legge.»
-
-
-
-
-DALL'ALBUM D'UN PADRE
-
-(A VITTORIO BERSEZIO.)
-
-
-Questa creatura che occupa tanta parte della mia vita, e senza la
-quale mi sembra che non potrei più vivere, come se fosse legata a me
-da un'arteria invisibile, tre anni sono non esisteva nemmeno nella
-mia mente! È strano. Mi pare che ripensando profondamente al mio
-passato, dovrei trovarne qualche traccia, qualche preannunzio. Cos'è
-quest'apparizione? Di dove vieni? Chi sei? Che sei venuto a dire nel
-mondo? Qual è il tuo perchè, straniero? Che cosa cerchi, sconosciuto?
-Perchè al mio appello hai risposto tu, cogli occhi celesti, e non un
-altro cogli occhi neri? Rispondi, personaggio misterioso.
-
- *
- * *
-
-L'età più bella dei bimbi, per chi ha occhio d'artista oltre che
-cuore di padre, è quando passano ancora ritti sotto la tavola e si
-può reggerli con una mano sola, portarli a cavalluccio sul collo,
-nasconderli sotto un giornale, metterli in prigione in mezzo a due
-vocabolari; e tutto il loro vestiario, dalla scuffietta alle scarpe,
-sta comodamente dentro un vecchio cappello del babbo. A quell'età
-la madre impazzisce per infilare una calza al suo bimbo; ma quando
-una volta su dieci egli vi spinge il piedino dentro da sè, essa lo
-abbraccia con impeto ed esclama alteramente: — Sei un uomo!
-
- *
- * *
-
-Hanno un visetto che pare una mela cogli occhi, un collo esile che
-si cinge quasi col pollice e l'indice, due manine che c'è bisogno di
-guardarle per persuadersi che hanno già tutt'e cinque le dita e un
-piedino che proprio non si può pigliare sul serio. La loro testina,
-secondo il momento che gliela fiutate, ha odore di passero, di micio,
-di coniglio, di nido di rondini, di mattoni, di legno, di vernice,
-d'olio di lume, di tutto quello che c'è in casa, che essi possan
-toccare; e il fiato un leggiero odore latteo misto colla fragranza di
-non so che fiori; un fiato che, ad aspirarlo, par che debba far bene al
-sangue, come l'aria della campagna.
-
- *
- * *
-
-Eppure v'è chi non ama queste creature! Io vedo col pensiero un bambino
-roseo e ridente che dalle braccia di sua madre tende tutt'e due le
-mani in atto amoroso verso un signore lungo, stecchito e severo, il
-quale dà indietro con un movimento quasi di ripugnanza, e facendo un
-sorriso forzato, gli agita dinanzi agli occhi un dito nodoso che non
-vuol essere toccato. Oh uomo lungo, stecchito e severo, sii pure un
-grande ministro o un letterato famoso o un fondatore di opere pie: io
-ti detesto.
-
- *
- * *
-
-Bisogna vedere come sono atteggiati nella culla, la mattina, prima che
-si sveglino. Chi può trattenere i baci e le risa? Sono atteggiamenti
-di soldati morti sul campo di battaglia, atti di dolore disperato,
-contorsioni d'acrobatici, abbandoni svenevoli d'innamorati languenti.
-Ora son tutti in un gomitolo sul cuscino, ora rintanati sotto, ora
-capovolti, in modo che cercando il visetto trovate la punta dei piedi,
-e volendo afferrare un piede ficcate il dito nella bocca. E allora è
-bello pigliar tutto in un fascio bimbo, lenzuola, coperta e coltrone,
-e fuggir per la casa, colla preda calda fra le braccia.
-
- *
- * *
-
-Chi vede senza ridere un bambino di tre anni, quando appena svegliato,
-vestito e messo in terra, rimane un momento immobile, soffregandosi
-gli occhi, e poi va innanzi a passo lento, tutto d'un pezzo insonnito,
-scarmigliato, di malumore, piagnucolando e guardando la gente di
-traverso; — o quando è preso dal freddo, che ha il nasino livido, e
-cammina a passetti di marionetta, facendo la gobbina, e mille vezzi
-e graziette minuscole, come per dire: — Son piccino, sono una cosa
-da nulla, scaldatemi o sparisco; — o quando tuffa mezzo il capo in un
-tazzone di caffè e latte tenuto a due mani, e tracannando avidamente,
-fa la guardia colla coda dell'occhio a un pezzo di biscotto sul quale
-sospetta che voi abbiate qualche intenzione ostile; — chi vede queste
-cose senza ridere, non ha un senso comico delicato.
-
- *
- * *
-
-A quell'età nulla di più bello che il vederli correre. La loro corsa
-ha qualche cosa del saltellare d'una palla elastica, del barcollamento
-d'un ubbriaco e dei movimenti d'una foglia portata dal vento. La
-piccola creatura si spicca dallo sgabello, si slancia fuori della
-stanza, inciampa nel gatto, rovescia una seggiola, infila un corridoio,
-e via sgambettando e annaspando colle mani, di stanza in stanza,
-inseguito dalla madre, fino all'angolo più lontano della casa, dove si
-rifugia dietro un sacco da viaggio, e di là tenta un'ultima resistenza
-per strappare una concessione al nemico. Ah! invano! Bisogna lasciarsi
-lavare la faccia.
-
- *
- * *
-
-Chi può dire che cos'è la voce dei bambini? C'è il gorgheggio
-dell'usignuolo, il pissi pissi della rondine, il pigolío dei pulcini,
-il gnaulío del gatto. Son note di flauto, mormorii e bisbigli
-infinitamente soavi, strida e garriti che lacerano le orecchie, trilli
-di soprano, scoppi di voce virile, stonature di tenore sgolato,
-falsetti di maschere, fioriture e passaggi strani; tutti i suoni
-che escono da una gabbia di cento uccelli e da un'orchestra di cento
-strumenti. Accostate il viso alla loro bocca e fatevi mormorare qualche
-parola nell'orecchio: alle volte n'esce un suono che vi rimescola; vi
-pare d'aver posto l'orecchio allo spiraglio d'una porta misteriosa e
-sentito una voce sovrumana.
-
- *
- * *
-
-Egli ride. Non l'ho mai visto ridere così di cuore. È un riso smodato,
-squarciato, sgangherato. Ho perfin paura che gli manchi il respiro.
-Si butta a destra e a sinistra, rovescia la testa indietro, gli si
-empion gli occhi di lagrime, gli si fa il viso pavonazzo. Ora basta,
-via, ti puoi far male, smetti di ridere. È un riso inestinguibile, una
-convulsione, un riso da schiantare le viscere. Ma finiscila una volta!
-Ma perchè ridi? Che cos'è stato?... Ah! non m'ero accorto che m'ha
-messo un cappelletto di carta sulla testa.
-
- *
- * *
-
-Vestiti paiono qualche cosa: spogliati, non son più nulla. Si palpa
-quel corpicino, si sente quell'ossatura sottile, che par che si debba
-spezzare a premervi sopra la mano, e si trema pensando a che tenue filo
-è legata quella cara vita. Quanto tempo e quanti dolori, per lui e per
-chi l'ama, prima che questo piccolo braccio possa respingere l'offesa
-di un uomo! Guardatelo lì ignudo nato quest'ometto spoppato ieri!
-Come! Ha da venire un giorno in cui tu avrai la barba e il cappello
-cilindrico? e capirai Tito Livio? e saprai risolvere un'equazione di
-secondo grado a tre incognite? Eh via! spaccone, questo non può essere.
-
- *
- * *
-
-Dovrei proprio guarirmi da questa debolezza. Sono seduto a tavolino,
-scrivo, ho la testa piena di pensieri gravi, la menoma distrazione
-m'inquieta, mi preme di finire; e con tutto ciò, bisogna che lasci
-la penna, che m'alzi, che attraversi la stanza rimovendo le seggiole,
-inciampando nei giocattoli e scomodando quattro o cinque persone, per
-andare a stringere fra l'indice ed il pollice, per un momento solo, la
-polpina di quella gambetta che dal mio posto vedevo biancheggiare in
-un angolo oscuro dietro la spalliera della poltrona. Appagato questo
-capriccio ritorno al tavolino col cuore in pace e colla mente disposta.
-Altrimenti, non mi riusciva di finire la pagina.
-
- *
- * *
-
-Gran voluttà quella di malmenare un bambino e di coprirlo di vituperi!
-Sei un fantaccione, sei pesante, sei rotondo, sei duro, sei brutto;
-mangi come un bue e dormi come una talpa; sei un ignorantone e un
-fannullone che mi rovini e mi fai dannar l'anima; un giorno o l'altro
-ti do un carico di legnate, non ti voglio più, ti butto fuori di casa,
-farai una cattiva fine, sei un soggetto d'ergastolo, sei la mia vita,
-t'adoro!
-
- *
- * *
-
-Anche l'amore dei bambini ha le sue furie. Un vero padre si sente
-qualche volta un po' antropofago e vorrebbe stare in una casa isolata
-per poter saziare la sua fame senza che accorrano i vicini alle
-grida della vittima. Non strillare, hai inteso? Il mio dovere è di
-mantenerti, il tuo è di lasciarti baciare, sulla testa, — negli occhi,
-— nella bocca, — sul petto, — nel collo, — fin che mi resta fiato.
-Strilla! Strilla! Che m'importa? Pur che io mi sazi. Ah! se non avessi
-paura di soffocarti! Già, è scritto: un giorno o l'altro ti finisco.
-
- *
- * *
-
-Questa mattina passeggiavo per la stanza con lui disteso sulle braccia,
-come in una culla. Egli teneva gli occhi chiusi e lasciava spenzolare
-la testa e le gambe. La fantesca disse: — Par morto. — Questa parola
-mi agghiacciò il sangue. Mi misi a pensare che cosa seguirebbe di
-me se egli morisse. Mi parve che sarei impazzito. M'internai in
-quell'immaginazione. Prenderei sulle braccia il bambino morto, —
-pensai, — uscirei di casa, attraverserei la città, piglierei la
-campagna, e via, di sentiero in sentiero, di villaggio in villaggio,
-di giorno, di notte, al vento, alla pioggia, muto, infaticabile,
-stringendo colle mani irrigidite quel corpicino freddo, fin che
-arriverei in mezzo a una pianura immensa e sinistra, dove darei tutt'a
-un tratto in un tale scoppio di pianto che mi si romperebbe una vena
-nel petto e cadrei senza vita.
-
- *
- * *
-
-Ha rotto un bicchiere, ha rovesciato un lume, straccia la tappezzeria,
-sbatacchia gli usci, fa tintinnare i vetri,... getta in aria i
-fantocci,... copre la voce di tutti.... Che inferno in questa casa! che
-pace nel mio cuore!
-
- *
- * *
-
-Quando son triste, vedo in ogni suo trastullo l'immagine di una
-disgrazia che gli potrà accadere, e mi perdo in mille presentimenti
-dolorosi. Rompe una gamba a un fantoccio: io penso: si romperà una
-gamba in una caduta? Gioca colle pallottole: io mi domando: — Diventerà
-un giocatore? Quando suona il tamburo, m'immagino che possa morire in
-guerra; quando rovescia un altarino, temo che diventi uno scettico;
-quando lo vedo rannicchiato in un cantuccio in mezzo a due seggiole,
-mi pare che un giorno abbia da essere gittato in una prigione. Lui!
-Son sogni. Fin che io vivo non gli seguiranno disgrazie. Lo seguirò
-come l'ombra il corpo. Sarò il suo amico, il suo confessore, la sua
-sentinella. Ma poi? Ah! Il pensiero di lasciarlo solo nel mondo mi
-spaventa, ho paura della morte, son diventato pusillanime. Vorrei
-vivere un secolo, ridurmi decrepito, cieco, paralitico, inchiodato
-perpetuamente sopra una seggiola; purchè nei giorni di dubbio o
-di pericolo, potessi afferrarlo per la mano, toccargli il capo,
-supplicarlo, se non potessi più colla voce, almeno coi gesti e colle
-lagrime, di non uscire dalla via dell'onore.
-
- *
- * *
-
-È una cosa che fa fremere. Qualche volta, guardandolo, io mi raffiguro
-le molte migliaia di bambini dell'età sua, nati nello stesso paese, e
-che in questo mentre sono come lui innocenti, amorosi, carezzevoli; me
-li raffiguro nelle loro culle, fra le braccia delle loro madri, coperti
-di baci e chiamati coi più dolci nomi della lingua umana; vedo nel
-cuore dei loro genitori le medesime speranze, lo stesso presentimento
-ch'essi saranno onesti e contenti, anzi la medesima profonda certezza,
-e non altrimenti fondata, che io nutro riguardo al mio: e penso che non
-di meno da tutta questa legione di angioletti usciranno dei ladri, dei
-falsari, degli assassini, dei parricidi, che getteranno la disperazione
-e il disonore nelle loro famiglie. Quando questo pensiero mi s'inchioda
-nel capo, mi tocca fare un grande sforzo per liberarmene. Questa
-mattina presi il mio bimbo sulle ginocchia e gli domandai: — Bimbo,
-sarai un'assassino tu? — Egli non capisce ancora il significato di
-questa parola. — Si, — rispose — ma voglio dei dolci.
-
- *
- * *
-
-Se potessi indovinare il suo avvenire, come fanno le zingare, dalla
-palma della mano! Che cosa tratterà questa manina? La spada? Il
-pennello? La penna? L'archetto del violino? Il coltello anatomico?
-Povera manina, quante volte sorreggerà la testa stanca d'un lavoro
-ingrato o d'un pensiero doloroso! Di quante lettere listate di nero
-romperà il suggello! Quante destre di falsi amici e di donne indegne
-gli occorrerà di stringere! Ma tu la conserverai pura d'ogni macchia,
-figliuol mio, e se quando ti colpirà un grande dolore immeritato, ti
-verrà fatto di levarla in alto, non la leverai per maledire, ma per
-giungerla coll'altra, come ogni sera e ogni mattina t'insegna a fare
-tua madre.
-
- *
- * *
-
-Guardo la sua manina, la stringo, la nascondo tutta nel mio pugno,
-e sorrido pensando che passarono per questa forma anche le mani dei
-guerrieri più formidabili e degli artefici più potenti del mondo.
-E da questo pensiero son condotto alla mia immaginazione prediletta
-dell'infanzia degli uomini grandi. Mi raffiguro Omero che si dispera
-perchè gli hanno rubato una pesca; Cesare che trema dinanzi a un topo;
-Dante che salta in sella a un cavallino di legno; Michelangiolo, che
-mentre suo padre gli mostra una statua, è tutto intento a schiacciare
-un nocciolo coi piedi; e la signora Buonaparte che dice al futuro
-vincitore d'Europa: — Vergogna! Alla tua età, quando se n'ha bisogno,
-si dice, e non s'imbratta in codesto modo la casa.
-
- *
- * *
-
-Se diventasse un grand'uomo! È un sogno di tutti i padri; ma non è
-impossibile. Egli è un enimma infine; un geroglifico il cui significato
-è ancora ignoto; una parola della quale non è scritta che la prima
-lettera; un numero dell'immenso lotto umano. Questo dubbio è il
-più dolce alimento della mia vita. Mi pare di possedere uno scrigno
-misterioso, nel quale è possibile che ci sia un pugno di sabbia o
-un mucchio di perle. Son vicino a trent'anni, e il mio avvenire che
-cominciava a restringersi, s'è improvvisamente allargato; ho perduto
-le ultime illusioni della gioventù, ho ritrovate le speranze infinite
-dell'infanzia. Che importa che i miei capelli cadano? I suoi diventan
-folti. Che importa che io discenda? Egli sale.
-
- *
- * *
-
-E se riuscisse invece d'intelligenza scarsa e di fibra debole, non
-solo da non uscire dall'oscurità, ma da rimanere degli ultimi in mezzo
-agli oscuri? Quando mi coglie questo pensiero, sento un irresistibile
-bisogno di stringermelo al petto e di coprirlo di carezze, come per
-domandargli perdono della vana ambizione che me lo fa sognare diverso
-da quello che forse egli è destinato ad essere. Sento il bisogno
-d'assicurarlo fin d'ora che quanto sarà più angusto il posto che gli
-è riservato nel mondo, tanto sarà più grande quello ch'egli avrà nel
-mio cuore. Pensando che un giorno, forse, tornando dalla scuola egli mi
-dirà piangendo: — Son l'ultimo; — io mi sento uno struggimento d'amore
-per lui. Ma questo non sarà, perchè io l'aiuterò nei suoi studî, mi
-rimetterò al greco e alle matematiche, veglierò con lui, e gli verserò
-tanto affetto nel cuore, che il cuore illuminerà la mente. Quando qui
-sotto v'è un tesoro, anche qua sopra v'è qualcosa.
-
- *
- * *
-
-I bambini sono grandi consolatori. Chi lo sa più di te, povera
-vecchia fantesca? In casa tu sei amata; ma la tua testa calva, il tuo
-viso rugoso, tutta la tua persona deformata dagli anni, ti rendono
-incresciosa alle persone che ti sono più care e sono cagione ch'esse
-non ti rendano, ora che ne avresti tanto bisogno, le carezze che tu
-prodigasti loro quand'erano bambini. Alberto, giovinetto, si ritira
-bruscamente indietro quando tu accosti il tuo volto al suo per guardare
-le vignette del libro ch'egli sfoglia; Enrico da molto tempo non vuol
-più che tu gli faccia il nodo della cravatta per non sentire il tuo
-alito e il contatto delle tue mani; e quando vuoi baciare Adelaide,
-la ragazzina che hai portata in braccio per tanti anni e divertita con
-tante istorie nelle lunghe sere d'inverno, sei costretta, perchè non ti
-respinga, a baciarla furtivamente quando dorme. V'è una sola creatura
-al mondo che non respinge le tue carezze, che ama la tua testa calva
-e il tuo viso rugoso, che ti compensa di ogni ingratitudine e d'ogni
-amarezza, ed è questo bambino di tre anni — Ernesta, — egli ti dice
-baciandoti sulla bocca, — tu sei bella.
-
- *
- * *
-
-E sempre ricasco nel pensiero della bellezza. Non credevo che un
-padre, oltre l'affetto che tutti comprendono, dovesse nutrire pel suo
-figliuolo un sentimento così affine a quello di uno scultore per la
-sua statua. Io pure spio con trepidazione il viso di chi lo guarda,
-interpreto i sorrisi e commento i complimenti come un artista incerto
-dell'opera sua. Ogni sua bellezza mi pare un merito delle mie mani,
-ogni sua imperfezione l'effetto d'una mia svista. Ogni giorno mi si
-presenta in un aspetto diverso. Lo guardo e lo riguardo, di faccia, di
-profilo, davanti, di dietro, di sopra, di sotto; correggo cogli occhi
-certi suoi tratti; rimango perplesso; ci ripenso; ma finisco sempre col
-darmi una fregatina alle mani e dire che è un bel lavoretto.
-
- *
- * *
-
-Gran livellatori del cuore umano i bambini! V'è una povera donna con
-un bimbo in braccio seduta sullo scalino della porta, che vede passare
-una signora in carrozza con un bimbo sulle ginocchia. Il bimbo della
-signora è vestito di velluto, il suo è vestito di cenci; quello ha un
-fascio di giocattoli, il suo non ha mai avuto giocattoli; quello mangia
-dei confetti, il suo rosicchia un pezzo di pan nero. Eppure degli
-sguardi che le due donne si scambiarono sui propri figliuoli, quello
-che espresse un sentimento d'invidia è quel della signora! La povera
-donna se n'accorse ed esclamò con un fremito di orgoglio: — Il mio è
-più bello!
-
- *
- * *
-
-Io non so se tutti i padri vedano nei loro bambini quello ch'io
-vedo nel mio; so che più lo guardo e più ammiro l'infinita amabilità
-dell'infanzia, che mi pare un compenso dato da Dio alle ansietà e alle
-cure ch'essa ci costa. Ha dei movimenti di capo, delle espressioni
-di stupore, dei lampi di sorriso, dei gesti sfuggevoli, dei vezzini,
-delle civetterie, dei nonnulla inesprimibili che mi strappano un grido
-d'amore. — Non provocarmi! — gli dico qualche volta. E in questa grazia
-incantevole di gesti e di atteggiamenti, una varietà immensa, una
-trasfigurazione continua, una sorpresa ogni momento. Mi pare che chiuso
-con lui in un castello solitario, senza libri, senza lavoro, senz'altra
-cura che di custodirlo, non avrei un'ora di noia.
-
- *
- * *
-
-Comincia, parlando, a legare insieme due proposizioni. È un gran
-piacere per me il seguire attentamente l'estrinsecazione laboriosa
-del suo pensiero, vedere con che bizzarri artifizî esprime l'idea più
-semplice, con che buffe contrazioni del viso pronunzia ogni parola
-nuova, come tira e scontorce e spreme il suo piccolo capitale di
-venticinque parole; che stroppiature mostruose, che sgrammaticature
-colossali, che spropositi enormi e incredibili, mette fuori colla più
-ingenua sicurezza, e qualche volta guai a chi gli ride in faccia!
-E notare come in questo suo linguaggio stravolto e spropositato,
-un giorno si raddrizza una parola, un altro giorno si combina una
-concordanza, e a poco a poco i vocaboli si dispongono in ordine, e le
-consonanti difficili escono spiccate e sonore, fin che lo strumento
-completato e accordato, potrà prendere parte al concerto della
-conversazione domestica, non facendo più che qualche stonatura per
-caso.
-
- *
- * *
-
-È strano ch'io ci pensi oggi per la prima volta: questo visetto,
-questa vocina, questa grazia angelica, che ora rallegra la mia vita,
-fra qualche anno non saranno più. Ogni giorno che passa mi ruba
-qualche cosa di questo bambino roseo. Fra qualche anno egli avrà un
-altro viso, parlerà con un'altra voce, gestirà in un'altra maniera, e
-della creatura d'oggi non mi rimarrà che qualche ritratto e qualche
-reminiscenza. Questo corpicino non è che una forma che mi passa
-dinanzi e che deve svanire. Sono irragionevole; ma è un pensiero che mi
-rattrista.
-
- *
- * *
-
-Non capisco più, ora, come io abbia potuto vivere tanto tempo,
-ed essere quasi felice, in una casa sempre tranquilla —, dove non
-c'era mai una seggiola fuori di posto —, dove non si rompeva mai una
-bottiglia — dove non s'inciampava mai in una marionetta —, dove non
-si facevano mai delle oche di carta —, dove non si vedeva mai nessuno
-sotto una tavola —, dove non c'erano che dei letti enormi —, dove non
-si sentivano mai che dei passi lenti e gravi —, dove non s'udivano che
-voci pacate che dicevano senza errori di grammatica delle cose sempre
-ragionevoli.
-
- *
- * *
-
-Sovente, vedendolo così ben vestito e ben pasciuto, con un monte di
-ninnoli davanti, io dico tra me: — E se un rovescio improvviso di
-fortuna mi costringesse a non trattarlo più in questa maniera? Tutto
-il mio sangue si rimescola violentemente a questo pensiero, e nello
-stesso tempo la mia fronte si solleva e la mia anima ingigantisce. Ah!
-non sarà mai, bambino mio! dovessi comprare ogni tuo giocattolo con una
-notte di lavoro, scontare ogni tuo vestitino nuovo con una ruga della
-fronte, pagare ogni tuo giorno di contentezza con una ciocca di capelli
-bianchi, conservare il color di rosa del tuo volto colla tortura del
-mio cervello e delle mie ossa! Che m'importerebbe che la gente ridesse
-della mia faccia scarna e del mio vestito logoro? Io ti condurrei a
-passeggiare con me in qualche parte solitaria della campagna, e starei
-a veder tramontare il sole premendomi la tua testa sul cuore. Ah, non
-temere! Fra te e la povertà, ci sono i miei trent'anni, la mia volontà
-indomabile e le forze smisurate dell'amore che mi divora.
-
- *
- * *
-
-Oggi gli ho fatto fare un bagno in una zuppiera rotta, e vedendolo
-così tutto nudo e bello che grondava acqua e rideva, pensavo: — Eppure
-queste povere creaturine, la febbre le consuma, il vaiuolo le accieca,
-la tosse convulsiva le soffoca, il crup le strozza, e bisogna vederli
-diventar neri, dibattersi, stralunar gli occhi pieni di lagrime,
-chieder soccorso agitando le manine, e rimanere irrigiditi; bisogna
-vederli chiudere in una cassetta, vederli portar via ravvolti in un
-panno nero, vederli calare in un fosso e coprir di terra e di sassi;
-e poi tornare a casa pensando ch'essi sono là soli sotto la neve, in
-mezzo a un campo pieni di scheletri; e rientrando in casa, rivedere
-i loro giocattoli e i loro vestiti, la culla vuota, la seggiolina
-vuota, la stanza vuota, tutto l'universo vuoto, e sentir risuonare in
-quell'orrendo silenzio le risa dei bimbi dei vicini! Ah! quando questo
-accade, mi par che non si possan far che due cose: o spezzarsi il
-cranio contro una parete o cadere in ginocchio e rimanere perpetuamente
-colla fronte inchiodata sulla culla.
-
- *
- * *
-
-Dopo che la mia vita è legata a questa creatura, il pensiero della
-morte non mi atterrisce o non mi rattrista più se non in quanto si lega
-a quello del suo avvenire. Ma se per la sua vita dovessi sacrificare
-la mia; se dovessi, colla sicurezza di salvarlo, fargli scudo del mio
-corpo, e difenderlo senza difendermi, immobile con lui nelle braccia, e
-dieci assassini alle spalle; oh! io fremo di non so che voluttà feroce
-e superba a questo pensiero: io credo, sento, giuro che mi lascerei
-crivellare di pugnalate, coprendogli la testa di baci, senza aprir
-la bocca per gridare: — Pietà! — e senza versare una lagrima sul mio
-destino.
-
- *
- * *
-
-Questa mattina, fra le altre sue stranezze, ho scoperto ch'egli crede
-che gli uomini siano fatti di legno, e per quanto gli abbia detto....
-— Interrotto dalla caduta d'una palla di gomma elastica che rovesciò il
-calamaio.
-
-
-
-
-SOPRA UNA CULLA
-
-
-I.
-
- Sono tre giorni che ha 'l visetto bianco
- E gira l'occhio illanguidito e lento,
- E non cerca la madre, e leva a stento
- Le braccia dimagrate e il capo stanco.
-
- Parla, dottore — dirami aperto e franco
- La triste verità ch'io già presento;
- E tu fa core, amica; — ecco il momento;
- Dammi la mano — e sta stretta al mio fianco.
-
- E grave? — .... Assai? — .... C'è da temer la morte?
- Ebbene, amica — qui — qui sul cor mio,
- E opponiamo al dolor l'anima forte.
-
- Ma no! non posso! mi si spezza il core!
- Ho bisogno di piangere! Mio Dio,
- Pietà! M'uccido se il mio bimbo muore!
-
-
-II.
-
- Bambino mio, cos'hai? cosa ti senti?
- Sorridi — guarda — moviti — respira;
- Non vedi il padre tuo, qui, che delira?
- Non le senti le sue lacrime ardenti?
-
- Non lacerarmi il cor co' tuoi lamenti!
- Oh dottore — soccorrilo — egli spira;
- Vedi come già trema, e come gira
- Gli sguardi tralunati e semispenti.
-
- Che aspetti dunque? Di parole vane
- Non è più tempo! Salvalo, per Dio!
- Prova! Tenta! non hai viscere umane?
-
- No, no, perdona! io son pazzo, lo vedi;
- Ma salva dalla morte il bimbo mio,
- E bacierò l'impronta de' tuoi piedi!
-
-
-III.
-
- Come ha già il volto smorto ed affilato,
- Povero bimbo, povero angioletto!
- Ah per pietà, coprite quel visetto;
- Non lo posso veder così mutato.
-
- Appena appena gli si sente il fiato
- Ed un leggiero tremito nel petto;
- Sembra già morto — ha già mutato aspetto;
- Ha chiuso gli occhi — è immobile — è diacciato!
-
- Dottore! Amica mia! Ma dunque è vero!
- Egli morrà! Lo porteranno via!
- Porteranno il mio bimbo al cimitero!
-
- Il mio bimbo! il mio cor! Ma rispondete!
- Dite che è un sogno della mente mia,
- O mi spezzo la fronte alla parete!
-
-
-IV.
-
- Che? — C'è speranza ancor ch'egli non mora?
- Non è la tua pietà — dottor — che mente?
- È salvo se fra un'ora si risente?
- Se fra un'ora il suo volto si colora?
-
- Un'ora! Un'ora eterna! Un'ora ancora
- Per vederlo morir più lentamente!
- Ma prima sarò anch'io morto — o demente,
- O invecchierò di trenta anni in quest'ora.
-
- Ebben — coraggio — starò qui prostrato,
- Muto — aspettando colle braccia in croce
- Che il mio povero bimbo sia spirato.
-
- Ed aspetta anche tu — cara — pregando;
- Non alzar contro Dio l'incauta voce....
- Inginocchiati qui.... te lo comando!
-
-
-V.
-
- Pietà, tremendo Iddio! Pietà, Signore!
- Nel santo nome della madre mia.
- Pietà del mio bambino in agonia,
- Non rapite quest'angelo al mio core.
-
- Io redento dal pianto e dal dolore
- Vivrò una vita santa, umile e pia,
- E non avrò più senso che non sia
- Bontà, dolcezza, pentimento, amore.
-
- E se è fermo nel Vostro alto consiglio
- Ch'egli debba morir — ch'io non intenda
- La voce che dirà: — non hai più figlio!
-
- Datemi, eterno Iddio, questo conforto;
- Ch'io non la senta la parola orrenda;
- Ch'io resti prima o forsennato o morto.
-
-
-VI.
-
- Povero core! Povero bambino!
- Era un angiolo d'anima e d'aspetto;
- Pareva un fiore — e qualche riccioletto
- Gli usciva già di sotto al cuffiettino.
-
- La notte, lo cullavo — e sul mattino
- Venia — nudo e ridente — nel mio letto,
- E sgambettando mi puntava al petto
- E contro il volto il suo rosso piedino.
-
- Ed ogni sera — in lui rapito — chino
- Teneramente sul suo bianco nido
- Gli coprivo di baci il corpicino;
-
- E in mezzo ai baci mi fuggía dal core
- Un gemito, un singhiozzo, un riso, un grido,
- E cadevo in ginocchio ebbro d'amore.
-
-
-VII.
-
- Addio, mia bella visïon fuggita,
- Bel sogno mio svanito sull'aurora,
- Larva adorata che brillasti un'ora
- Sul deserto cammin della mia vita!
-
- Non tutta ancor l'anima mia smarrita
- Può intendere il dolor che la divora;
- Ancor vaneggio; — non lo sento ancora
- Tutto lo strazio della mia ferita.
-
- Avrò per sempre il mio bimbo morente
- Dinanzi agli occhi — ed il mio labbro muto
- Cercherà la sua fronte eternamente.
-
- Arte, fede, avvenir, gloria, fortuna,
- Speranze, gioventù — tutto è perduto;
- Tutto è morto e sepolto in questa cuna.
-
-
-VIII.
-
- No! non lo credo! Tu m'inganni! Giura
- Che dici il vero! Per pietà, dottore,
- Non lacerarmi un'altra volta il core,
- Non ti far gioco della mia sventura!
-
- È uno scherno crudel della natura!
- È un vano inganno! È un sogno mentitore!
- È salvo? Vive? Vive ancor? Non muore?
- Ah! la povera mia mente s'oscura!
-
- Indietro tutti — via da me — lasciate
- Ch'io profonda sul mio santo angioletto
- Questa piena di lacrime infocate!
-
- Ride! Parla! Mi guarda! Eterno Iddio,
- Che il grande nome tuo sia benedetto!
- Mio figlio è salvo — l'universo è mio!
-
-
-
-
-GIOVANNI RUFFINI
-
-
-Un giorno, a Parigi, ricevetti una lettera con questo poscritto: — «Se
-non lo sa, le annunzio che il Ruffini, l'autore del _Dottore Antonio_
-e del _Lorenzo Benoni_, sta in via Boulogne, numero trentasei.»
-
-Vi sono molti che pure desiderando vivamente di conoscer di persona
-un uomo illustre che amano ed ammirano, per nulla al mondo andrebbero
-a bussare alla sua porta senz'essere accompagnati da un conoscente
-comune, o avere in tasca una lettera di raccomandazione, o essere
-stati assicurati in mille modi che possono presentarsi senza timore di
-parere impertinenti. Per me, quando ho un desiderio di questa natura,
-trovo che la maniera più naturale e più dignitosa di soddisfarlo, è
-quella di andar per la via più corta a casa del personaggio, e dire
-alla cameriera che viene ad aprire: — Abbia la bontà di annunziare al
-padrone che il tale dei tali ha un vivissimo desiderio di vederlo. —
-Non mi conosce? che importa? O che vado là per far ammirar me, e non
-per ammirar lui? Ma potrebbe supporre che vi abbia condotto a casa
-sua una curiosità volgare, o l'ambizioncina di dire poi che l'avete
-conosciuto. Ma che! Se è un uomo d'ingegno deve aver l'occhio fino e
-conoscere gli uomini: gli basterà guardarmi in viso e sentire il suono
-d'una mia parola, per capire che il cuore che mi batte, ch'egli mi fece
-del bene, che ho della gratitudine per lui, e che v'è più rispetto e
-più amore in quella mia risoluzione di farmi innanzi così alla bella
-libera, che in tutte le esitazioni e in tutti gli scrupoli degli
-ammiratori timidissimi.
-
-Andando per via Clichy verso via Boulogne, pensavo al _Dottore
-Antonio_, che avevo letto cinque anni innanzi, di primavera, all'uscire
-di una grave malattia. Pei libri che si lessero la prima volta in tempo
-di convalescenza, quando pare di esser rinati a un'altra vita, e stando
-ancora in letto più per prudenza che per bisogno, si guarda colla
-curiosità d'un prigoniero quel po' di cielo azzurro che appare dalla
-finestra, e quella ciocca di verde che spunta sul terrazzino della
-casa dirimpetto; pei libri che si lessero in quei giorni, qualunque
-essi sieno, si nutre un sentimento particolare di gratitudine. Se poi
-son libri che facciano amare soavemente quella vita che si è temuto di
-perdere, e desiderare con ardore quel lavoro che ci fu tanto doloroso
-di smettere, e ammirare con entusiasmo quella natura varia e bellissima
-che le quattro pareti della nostra stanza ci hanno nascosta per tanto
-tempo; se son libri, in una parola, che aggiungano una nota dolcissima
-all'inno di gratitudine che si alza dal nostro cuore verso tutto quello
-che è intorno noi e sopra di noi, come se ogni cosa si rallegrasse
-della nostra salvezza, e ci animasse a rimetterci in cammino con
-coraggio; allora quei libri diventano amici di tutta la vita, e il nome
-di chi li scrisse ci resta nell'anima come il nome di un benefattore.
-
-Entrando in via di Boulogne mi ricordai delle affettuose parole colle
-quali un amico mio mi espresse un giorno l'impressione che aveva
-ricevuta dai romanzi del Ruffini. — È uno di quelli scrittori, ai
-quali, dopo letto l'ultima pagina d'un loro libro, domandereste un
-consiglio per pigliar moglie, confidereste una vostra sorella per
-un viaggio, rimettereste nelle mani denari, memorie secrete, lettere
-intime, ogni cosa.
-
-Tirai il campanello, mi aperse una vecchia cameriera. — C'è? — C'è. —
-Abbia la bontà di dirgli che il tale dei tali ha un vivissimo desiderio
-di vederlo. — Scomparve, e tornò di lì a un minuto a dirmi ch'entrassi.
-
-Entrai in una cameretta modesta — lo vidi — aveva capito — mi venne
-incontro sorridendo — balbettai qualche parola — sedemmo.
-
-I primi momenti in cui si trovano l'uno di fronte all'altro un uomo
-illustre e uno sconosciuto che è stato spinto verso di lui da un
-sentimento di ammirazione e di affetto, passano quasi sempre in
-silenzio, poichè il visitatore, lì per lì, è occupato suo malgrado
-a fare un raffronto tra la persona che ha dinanzi e quella che si
-raffigurava; e l'uomo illustre, dal canto suo, indovinando quel
-raffronto, per quanto sia superiore ad ogni sentimento di vanità,
-rimane sospeso nell'atto di cercar negli occhi dell'ammiratore
-l'impressione che la sua persona gli produce. Fuor che nei momenti
-dell'inspirazione, il viso di uno scrittore o d'un artista non riflette
-mai così limpidamente la bellezza dell'ingegno e del cuore. Vi si vede
-una soddisfazione serena, mista a un non so qual leggiero turbamento
-di pudore virile, che farebbe parer bello anche un viso non bello,
-e desterebbe un moto di simpatia anche in un'anima dalla quale fosse
-svaporata ogni freschezza di sentimenti gentili.
-
-Il Ruffini ha l'aspetto d'un buon padre di famiglia; uno di quei bei
-volti aperti e soavi, che in questi tempi, come dicono coloro che
-hanno per intercalare _il mondo peggiora_, non si vedono più; una di
-quelle fisonomie che ricordano certi grandi ritratti che ornan le sale
-delle case patrizie. Così a occhio si direbbe che ha una sessantina
-d'anni; e godo di poter aggiungere che ha l'apparenza d'un uomo
-destinato a sbarcarne altri sessanta. Però malgrado il suo aspetto
-pacato, s'indovina da certi moti risentiti delle labbra e da certi
-suoni profondi della voce, che la sua vita deve essere stata agitata
-da passioni vigorose e afflitta da qualche grande dolore. Come nelle
-pagine del _Dottor Antonio_, così sul suo viso, nel suo accento, nei
-suoi discorsi vi è qualche cosa di melanconico. Ma è una melanconia
-temperata di tanta benignità e di tanta dolcezza, che non se ne sente
-punto l'amaro. Ha poi una semplicità infantile di modi e di linguaggio,
-che vi fa parere d'essergli sempre vissuti insieme, e una maniera di
-guardarvi e d'interrogarvi come se foste voi in casa vostra, ed egli
-ci fosse venuto, mosso dallo stesso sentimento che condusse voi a casa
-sua.
-
-Alle prime parole che gl'intesi dire fui meravigliato che non avesse
-perduto l'accento genovese dopo tanti anni che vive lontano dal suo
-paese. È nato a Taggia, vicino a San Remo, su quella beata riviera
-ligure che egli dipinse con una meravigliosa freschezza di colori
-nel suo secondo romanzo. Si sa che nel 1848 i suoi concittadini lo
-mandarono al Parlamento piemontese, e che lo rielessero non è molto,
-benchè egli dichiarasse che non avrebbe accettato il mandato, come in
-fatti non l'accettò, _per non spellar la mano nei ferri dell'altrui
-bottega_. Ora vive un po' a Londra, un po' in Isvizzera e un po'
-a Parigi; ma più lungamente a Parigi, dove ha molti amici e molti
-ricordi. È stato gravemente malato or fa un anno, credo appunto in
-Parigi, e non s'è ancora rimesso affatto dalla malattia; ma la sua è
-una convalescenza colla quale molti uomini di pari età vorrebbero poter
-cangiare la propria salute.
-
-Gli feci quella solita dimanda, che per gli uomini come lui dev'essere
-importuna come una mosca, tanto spesso e da tanti se la senton fare! ma
-che pure è naturalissima, e scappa dalla bocca prima che si sia pensato
-a mandarla fuori: — E ora che sta facendo?
-
-— Non faccio nulla — rispose — perchè non ho niente da dire. —
-
-Risposta semplicissima che chiude una profonda sentenza: — Scrivere
-quando si ha bisogno di scrivere, — o come diceva il Manzoni —
-aspettare che la musa ci venga a cercare, e non iscalmanarsi a correr
-dietro alla musa. — E poi soggiunse per chiarir meglio il suo pensiero:
-
-— Ognuno non ha che una certa quantità di roba nel sacco, e quando il
-sacco s'è vuotato, se si vuol continuare a dare, non si dan più che
-parole —
-
-Gli domandai se nei soggetti de' suoi romanzi ci fosse il fondamento
-d'un qualche fatto vero e n'ebbi la risposta che m'aspettavo. Egli ha
-conosciuto quasi tutti i suoi personaggi, ha raccontato i loro casi,
-s'è servito delle loro parole. Di qui l'efficacissimo colore di verità
-che brilla nei suoi racconti, i dialoghi che par di sentire piuttosto
-che di leggere, e i personaggi che, a libro chiuso, si confondono nella
-memoria del lettore con gente vera ch'egli conobbe in altri tempi,
-così che alle volte gli bisogna quasi fare un atto di riflessione per
-separare le persone dalle larve. Dio sa quante cose gli avrei domandato
-intorno ai suoi libri, ai suoi studî e alla sua vita se non me ne
-avesse trattenuto il timore che egli, osservatore sottile, mi leggesse
-negli occhi il proposito segreto di spiattellare in una gazzetta
-tutto quello che gli usciva dalla bocca. E perciò fui costretto a
-lasciar cascare la conversazione sull'interpellanza contro il decreto
-del prefetto di Lione e sulla discussione intorno all'ordine della
-Legion di Onore. Il Ruffini conosce la Francia _intus et in cute_,
-e spiega, parlando di politica, quell'accorgimento fino e quel buon
-senso rettissimo, col quale suol giudicare gli uomini e le cose nei
-suoi romanzi; ma pure non mi potei trattenere dall'interrompere quei
-suoi discorsi per ricondurlo a parlare di sè, e cogliendo a volo tutti
-gli appicchi ch'egli diede involontariamente alle mie interrogazioni
-indiscrete, riuscii a raccapezzare qualcosa.
-
-Come abbia cominciato la sua vita letteraria, i più, credo, lo sanno.
-Emigrò giovanissimo, andò a Londra, e trovandosi corto a denari,
-dovette pensare a guadagnarsi la vita col lavoro. Prima d'allora non
-avea scritto altro che articoli per gazzette, e benchè si sentisse
-dentro quella _certa smania inesplicabile_ che agitava l'anima
-del Giusti prima che si fosse rivelato a sè stesso, non aveva mai
-sognato di salire un giorno su per la sterminata scala dell'arte fino
-all'altezza a cui è salito. Gli venne in mente di scrivere un libro
-— che fu poi il _Lorenzo Benoni_ — per far conoscere in Inghilterra
-quel periodo importantissimo della vita italiana, e destar così un
-sentimento di simpatia per il suo paese «che allora aveva bisogno di
-tutti.» Manifestò il suo disegno ad alcuni amici che lo approvarono, e
-trattò della pubblicazione coll'editore d'un giornale, che lo esortò
-a scrivere i primi capitoli, i quali sarebbero stati stampati subito
-per tastare l'opinione pubblica, e o smettere a tempo o tirare innanzi
-di buono. Il Ruffini scrisse le prime cento pagine e gliele portò;
-ma l'editore non fu soddisfatto, e cangiato avviso, volle vedere il
-lavoro finito prima di cominciarne la stampa. Allora il Ruffini si
-perdette d'animo, buttò in un canto il suo manoscritto e si dedicò ad
-altre cose. Qualche tempo dopo, essendo andato a Parigi e avendo dato
-a leggere quel poco che aveva fatto ad una colta ed arguta signora,
-che gliene fece caldissime lodi, e lo spronò vigorosamente a scrivere,
-riprese animo, si rimise al lavoro, lo condusse a fine, e mandò il
-romanzo con una lettera di raccomandazione di suo fratello, a un
-editore di Edimburgo, il quale approvò, stampò e ricompensò l'autore
-con cento lire sterline: non sperata fortuna! che fu, come tutti sanno,
-il primo anello d'una catena d'oro. Il _Lorenzo_ ebbe un successo
-splendido; la stampa inglese incoraggiò l'autore con larghissime
-lodi; lo stesso Mazzini, benchè in quel libro ci fosse qualche nota
-stridente per un orecchio repubblicano, gli espresse per lettera
-la sua ammirazione; la fama del Ruffini fu assicurata. Poi venne il
-_Dottor Antonio_, e dopo il _Dottor Antonio_, tutti gli altri gioielli
-smaglianti di limpidissima luce.
-
-Come ha potuto il Ruffini ridursi in grado di scrivere in inglese,
-per quanto si assicura, puro, facile ed elegante, in così breve tempo,
-poichè egli medesimo dice che quando andò in Inghilterra non conosceva
-che pochissimo la lingua? Voglio che un ingegno potente divini, in gran
-parte, il linguaggio del quale ha bisogno per rivelarsi ed espandersi;
-ma quanto deve aver faticato in quelle prime lotte del pensiero colla
-parola, così lunghe e difficili anche per chi scrive nella lingua
-che gli è famigliare dall'infanzia, egli che doveva scrivere in una
-lingua straniera, e tanto diversa dalla sua! Io credo che quando va a
-Londra, non dimentichi mai di visitare quella stanzina al quarto piano,
-nella quale vegliò le prime notti, colla mente affollata di pensieri e
-d'immagini che non trovavan l'uscita, e il cuore gonfio d'affetti che
-prorompevano in lagrime prima che in parole! Chi avesse potuto in quei
-momenti susurrargli nell'orecchio con uno di quegli accenti di voce
-sovrumana che annunziano il futuro agli eroi delle leggende: — Tu sarai
-ricco, celebre ed amato in questo paese, nel tuo, in molti altri, per
-una lunga vita e dopo la vita!
-
-È facile avvedersi da qualche parola buttata qua e là che il Ruffini
-si dà pensiero del rimprovero che molti gli potrebbero fare, che
-qualcuno gli fece, d'aver scritto in inglese invece che in italiano.
-Per me credo che non occorra nemmeno discolparlo. Per potergli fare un
-carico d'aver scritto in inglese, bisognerebbe potergli anche scrivere
-a colpa di aver emigrato, d'esser andato a Londra, di essersi trovato
-nella strettezza, di aver avuto bisogno di farsi capire dalla gente da
-cui voleva farsi leggere. D'altra parte i suoi libri, benchè scritti
-in inglese, sono tanto italiani e per soggetto e per sentimento e per
-scopo, che si può quasi affermare che appartengono alla letteratura
-italiana più che alla letteratura inglese. Scritti in italiano, non
-si sarebbero certamente diffusi quanto si diffusero, e non avrebbero
-ottenuto in egual misura lo scopo che l'autore si propose: — di far
-conoscere ed amare l'Italia fuori d'Italia. — Il Ruffini ha fatto una
-buona azione in inglese; e una buona azione è sempre una buona azione
-in qualunque forma la si faccia; e il nostro amor proprio nazionale
-non è punto meno solleticato da che gl'Inglesi ci dicano: — Alcuni dei
-nostri più cari romanzi sono d'un Italiano; — che dal poter dir noi: —
-abbiamo un Italiano che scrisse alcuni romanzi degni di stare accanto
-ai più cari romanzi inglesi. —
-
-I romanzi del Ruffini furono tradotti in molte lingue. Mi parlò egli
-stesso di una traduzione tedesca che si fece mesi sono, e da quanto
-mi parve di capire, tutte queste traduzioni gli fruttarono qualche
-cosa, — eccettuate le traduzioni italiane — dalle quali non gli venne
-il bellissimo nulla. Non lo disse, ma credo di poterlo affermare; e mi
-spiace di poterlo affermare. Eppure i libri del Ruffini furono e sono
-tuttora molto letti in Italia. Dal che si può tirare una conseguenza
-che non è onorevole per il commercio letterario italiano.
-
-S'informò delle condizioni della nostra stampa letteraria e mi domandò
-che vita possa menare fra noi uno scrittore al quale non manchi il
-favore pubblico. Gli risposi che in Italia, uno scrittore al quale il
-pubblico sia favorevolissimo, può oramai considerarsi quasi sicuro di
-non morir di fame, purchè lavori il doppio di quello che dovrebbe per
-rispetto all'arte sua e per riguardo alla propria salute, e purchè i
-suoi libri abbiano una straordinaria diffusione. E siccome mi nominò
-uno scrittore giovane, autore di alcuni romanzi dei quali si fecero
-parecchie edizioni, gli avrei voluto far sapere che appunto quello
-scrittore, che pure si può annoverare tra i più fortunati del giorno,
-può scrivere ogni sera qualche pagina di romanzo, perchè lungo il
-giorno ne scrive molte, e Dio sa che camiciate gli costano, sul corso
-forzoso, sulle imposte comunali e sui progetti di strade ferrate. E
-gliene avrei potuto nominare un altro, morto giovane, ch'era pieno
-d'ingegno e d'affetto, e operosissimo, e i cui libri si leggevano
-avidamente, e che pure, non molto tempo prima di morire, si trovava
-ridotto a desinare di castagne secche. E gli avrei potuto anche dire
-d'un uomo illustre, vivente, autore di alcune opere note anche fuori
-d'Italia, che per reggersi ritto, scrive ogni giorno una lettera
-politica a un giornale di provincia, che manda cento lire al mese a
-un amico suo, il quale si fa passare per corrispondente, e rimette i
-denari a lui, che salva così il pudore della povertà. Il Ruffini che
-s'è fatto una piccola fortuna con quattro novelle, avrebbe sorriso se
-gli avessi detto queste cose. Certo che si può obbiettare: — Scrivete
-delle novelle come le sue. — Ma tra farsi una fortuna e campare, ci
-corre più che tra le novelle del Ruffini e gli scritti di coloro che
-ho accennati, benchè ci corra moltissimo. E non dico questo per cavarne
-un'accusa contro l'Italia; ma per dire le cose come sono.
-
-Non so quanto tempo io sia rimasto con quel caro uomo, — medico di
-anime e fattore di galantuomini, — cogli occhi fissi nei suoi e colla
-mente tesa per cogliere ogni suo pensiero e impadronirmi di ogni sua
-parola. E mi pareva di vedere intorno a lui, come un corteo, tutti i
-gentili fantasmi che ci fece amare nei suoi libri, e lontano, in fondo
-al quadro che mi rappresentavo colla fantasia, quella bella marina
-ligure, quel bel cielo, quel lido verde e queto, ch'egli ci fece parere
-più bello e ci rese più caro. E udendolo parlare italiano così un
-po' lentamente e con qualche giro di frase straniera, e pensando ai
-lunghi anni ch'egli visse fuori della sua patria, e al suo soggiorno
-in Francia, e ai suoi viaggi in Isvizzera e in Inghilterra, che lo
-allontanano da noi, provavo come un senso di mestizia, e gli avrei
-voluto dire quello che ora scrivo, non per chi leggerà, ma proprio
-per lui: — Tornate fra noi, caro amico, che se non abbiamo potuto
-agevolare i primi passi che faceste sulla nobile via delle lettere, nè
-raccoglier di prima mano i fiori di cui l'avete cosparsa, v'abbiamo
-però accompagnato da lontano con un sentimento d'orgoglio, misto di
-rammarico e di desiderio. Tornate fra noi perchè abbiamo bisogno d'una
-persona cara e venerabile, sulla quale versare una parte dell'affetto
-che avevamo accumulato sul capo di quel vecchio illustre, del quale voi
-avete la bell'anima, e se non pari gloria, la stessa gloria: quella di
-aver fatto del bene. —
-
-Uscendo di casa sua, mi accorsi che per la prima volta, dopo due mesi
-che stavo a Parigi, mi sentivo libero da un certo stordimento, da un
-turbinio di desiderî, da non so che tumulto del cuore e della testa,
-che non mi lasciava ben avere, nè lavorare, nè pensare, come se ogni
-giorno fosse il giorno dell'arrivo, e che a volte mi prostrava in
-uno sgomento da non potersi esprimere, come di chi credesse d'esser
-diventato tutt'ad un tratto povero, stupido, nullo, e che tutti,
-incontrandolo, dovessero sentir compassione di lui. Il Ruffini mi guarì
-da questa malattia. Dopo di allora non l'ho più visto. Se gli cadranno
-sott'occhio queste pagine, pensi che i medici debbono tollerare le
-piccole indiscretezze dei malati — accetti la, mia pubblica professione
-di gratitudine, — sorrida, — e mi perdoni.
-
-1873.
-
-
-
-
-L'AMORE DEI LIBRI
-
-
-Un tale, tempo fa, scrisse contro la pessima abitudine di moltissimi
-italiani, i quali benchè siano dediti alla lettura e possano spendere,
-non comprano mai un libro.
-
-Le cagioni di quest'abitudine di non comprare, o meglio, di questa
-mancanza dell'abitudine di comprare, son molte; ma le principali
-mi paion queste: che _la libreria_ non è ancora considerata come un
-_mobile_ necessario al decoro della casa, che il libro non è ancora
-capito come oggetto d'ornamento, che si ama la lettura, infine, ma che
-non si ama ancora il libro.
-
-Io credo infatti che di tutti i mobili quello che si vende meno in
-Italia sia lo scaffale.
-
-Moltissimi non capiscono in nessuna maniera come e perchè si abbia da
-conservare un libro dopo che si è letto.
-
-Ogni momento, dai librai, occorre di sentir dire a qualcuno: — leggerei
-volontieri questo libro. — Gli domandano perchè non lo compra. — Perchè
-non lo compro? — risponde l'interrogato. — E che vuol che ne faccia
-quando l'abbia letto? — Per costoro un libro letto non essendo più che
-un ingombro, hanno ragione di non voler spender denari per empirsi la
-casa di carta sudicia. Entrate nelle case. Nella maggior parte vedete
-delle raccolte di conchiglie, d'uova, di pietruzze, di francobolli
-esteri, persino di scatoline di fiammiferi; ma non ci vedete una
-raccolta di libri. In ogni parte c'è qualche cosa che vi rammenta che
-la famiglia mangia, gioca, dorme, suona; nulla che vi rammenti che
-legge. È gala se vedete sparsi qua e là pei tavolini e pei cassetti
-una ventina di volumi, un terzo dei quali appartengono al ragazzo che
-va a scuola e quattro o cinque a un gabinetto di lettura. I pochi che
-rimangono, — la sola proprietà libraria della casa, — son laceri e
-scuciti e hanno i primi fogli coperti di cifre e di fantocci. Se ne
-servono per smorzare la candela, per accendere il fuoco, per fornire
-di carta le parti della casa dove è bene che ci sia sempre carta. —
-Perchè stracciate questo libro? domandate. — Oh bella! — rispondono —
-se l'abbiamo già letto e riletto tatti!
-
-Una casa senza libreria è una casa senza dignità, — ha qualcosa della
-locanda, — è come una città senza librai, — un villaggio senza scuole,
-— una lettera senza ortografia.
-
-Quanto è bella una biblioteca! Quante cose ci vede e quanto piacere ne
-può ricavare anche chi legge per puro spasso, se appena ha un po' di
-sentimento e d'immaginazione!
-
-I più mirabili frutti dell'ingegno umano son qui, raccolti in un
-piccolo spazio, sotto la mia mano. Frutti d'ispirazioni divine, frutti
-di meditazioni e di studi che segnarono di rughe precoci le più nobili
-fronti umane, frutti delle più splendide fantasie dell'universo,
-son qui ridotti nella forma di piccoli parallelepipedi, imprigionati
-fra quattro assicelle, divisi per tempi, per paese, per lingua, per
-materia, per dignità, numerati e schierati come un esercito. Uno
-scompartimento mi apre i secoli passati, un altro mi trasporta nei
-paesi lontani, questo mi tocca il cuore, quello mi stimola la vena del
-riso, un terzo mi fa sognare, un quarto mi fa pensare e un quinto mi
-fa piangere. Io posso scegliere secondo il mio umore; è una farmacia
-morale; vi sono gli scompartimenti per i giorni foschi, quelli per i
-giorni sereni, quelli per i giorni di fiaccona, quelli per i giorni
-in cui mi piglia la furia del lavoro. E alla varietà delle materie
-corrisponde la varietà degli aspetti. Vi sono i colossi, — vocabolari
-e grandi opere illustrate, — che formano quasi l'ossatura di questo
-piccolo mondo. Vi sono file compatte di volumi tarchiati, di color
-oscuro, — vecchie edizioni economiche di opere classiche, — modeste
-all'aspetto, ma piene di _vital nutrimento_, come nel mondo reale gli
-uomini di vero merito. Sotto questi, l'aristocrazia delle legature, la
-classe privilegiata della biblioteca, rivestita di pelli luccicanti
-e rabescata di fregi d'oro. Poi la gioventù elegante e gaia: il
-roseo del Lemonnier, il turchinetto del Barbera, il rosso aranciato
-dell'Hachette, il giallo chiaro del Levy, cento colori di cento
-edizioni civettuole, che fanno a chi più tira gli sguardi. Poi daccapo
-lunghe file di volumetti uniformi e poveri, che sono come il popolo
-minuto della biblioteca, guardato con indifferenza e trattato con pochi
-riguardi. Più sotto le edizioncine diamante, genterella irrequieta, che
-va e viene dalla città alla campagna, per strada ferrata e in carrozza,
-dalla tasca alla valigia, dalla valigia al tavolino da notte, e si
-contenta dei ritagli della nostra giornata. In questa folla abbiamo
-le nostre simpatie, i vecchi amici, gli amici di ieri, i maestri, i
-benefattori, i cattivi consiglieri, i capi scarichi, le anime perdute,
-i rigoristi, i seccanti, i buffoni, i parassiti, i predicatori, i
-mettimale, i consolatori. E in fondo finalmente, al pian terreno,
-quattro dita sopra il pavimento, il cimitero, dove sono ammontati alla
-rinfusa, sbrandellati e coperti di polvere, libretti ed opuscoletti
-d'ogni forma e d'ogni colore, che vissero un giorno od un'ora nella
-nostra mente: stravizi dello spirito, come dice il Guerrazzi; segatura
-dell'ingegno umano: poesie di nozze, primi saggi di poeti falliti,
-romanzi rachitici, almanacchi, libelli, imitazioni, plagi, capricci,
-corbellerie, cenci e cocci della letteratura, destinati al banco del
-tabaccaio alla cesta dello spazzino.
-
-L'amore dei libri, crescendo a poco a poco, finisce poi col diventare
-un sentimento affatto distinto dall'amore della lettura, e fonte,
-per sè solo, di mille piaceri vivissimi, piaceri della vista, del
-tatto, dell'odorato. Certi libri, si gode a palparli, a lisciarli, a
-sfogliarli, a fiutarli. L'odore della stampa fresca dà dei fremiti
-di voluttà. A occhi chiusi, fiutando, si riconosce se un libro è
-antico, o soltanto vecchio, o recente, o recentissimo. Certi colorini
-di certe edizioni innamorano, e s'incapriccisce per certi sesti e
-certi frontispizî, come per certi corpicini e certi visetti. Si prova
-veramente per i libri piccoli e graziosi un sentimento di sollecitudine
-più gentile, che pei libri grossi, e a sollevare con uno sforzo certi
-libroni si ride d'una compiacenza che non saprei definire; ma che è
-tutt'altra da quella che si sente sollevando qualunque altro peso. Si
-gode disponendo i proprî libri in un nuovo ordine, che formi una nuova
-combinazione di colori; si lavora di mosaico; si fa ogni giorno un
-cambiamento; una biblioteca anche piccola da lavorare; c'è da colmare
-le lacune, da barattare le edizioni, da ricevere i nuovi venuti, da
-congedare quei che partono, da curare quei che soffrono, da ristorare
-quei che invecchiano, da far la corte a quei che splendono; è insomma
-un piccolo Stato da governare, nel quale si provano tutti i piaceri,
-tutti gli sconforti, tutte le invidie ed anche tutte le gloriole d'un
-piccolo re, che non potendo allargare i suoi confini quanto vorrebbe,
-si diverte e si consola rimestando continuamente quel po' che possiede.
-
-È un grande errore quello di credere che s'impari ugualmente dai libri
-che si possedono e da quelli che si pigliano a prestito. Un libro
-non fa tutto il pro che può fare se non è cosa nostra. Bisogna poter
-logorarselo, sottolinearselo, farvi dei punti d'esclamazione, piegare
-le pagine, segnarne i margini colle nostre unghie. Un libro che non
-fa che passarci per casa, non lascia traccia profonda. E poi, che
-differenza! Se lo avete in casa, lo leggete e lo rileggete appunto
-nei casi in cui siete meglio disposti a riceverne un'impressione
-viva ed utile, perchè ciò che vi fa cercar quella lettura piuttosto
-che un'altra, è una disposizione particolare dell'animo, la quale se
-doveste cercare il libro altrove, sarebbe forse già mutata prima che il
-libro fosse nelle vostre mani.
-
-Quanto è grande l'efficacia d'una biblioteca sull'educazione dei
-ragazzi! Il destino di molti uomini dipese dall'esserci o non esserci
-stata una biblioteca nella loro casa paterna. L'aver avuto sotto mano,
-a tutte le ore del giorno, il modo di soddisfare le prime curiosità
-infantili, d'ingannare sfogliando libri la noia delle giornate
-piovose, gettò in molti cervelli i primi germi d'un amore allo studio
-che divenne col tempo passione ardente per la scienza e fecondò
-precocemente certe facoltà dell'ingegno che lo studio obbligato e
-circoscritto della scuola avrebbe lasciate inerti. E lasciando pure
-da parte i grandi effetti, è bene ispirare all'infanzia il culto dei
-libri, anche prima dell'amore della lettura. È ben per il bambino che
-ci sia un angolo della casa, dove è eretto quasi un altare allo studio
-e al sapere, al quale, senza comprenderne ancora la ragione, egli vede
-dai suoi parenti usar certe cure e testimoniare un certo rispetto; una
-stanza silenziosa, dove di tratto in tratto egli vede qualcuno immobile
-e serio; un luogo consacrato al pensiero come ce n'è uno consacrato
-alla mensa, uno al lavoro, uno al riposo. E da giovinetto, leggerà con
-un piacere particolare quei libri che gli son famigliari all'occhio fin
-dell'infanzia, che ha veduto mille volte ordinare, pulire, accarezzare
-dai suoi genitori; che avevano già per lui, ciascuno secondo la sua
-forma e il suo colore, un significato fantastico, prima che conoscesse
-l'alfabeto. Certo ci dev'essere una differenza tra il giovinetto
-che fin dai suoi primi anni ha veduto la sua famiglia conservare e
-rispettare religiosamente i libri, e quello che l'ha veduta vivere di
-brigantaggio librario e fare dei libri letti quello che si fa delle
-scarpe vecchie e degli abiti smessi.
-
-E poi! che c'è che ravvivi più intimamente e più dolcemente nel cuore
-del figliuolo la famiglia o lontana o dispersa, i genitori morti,
-l'infanzia, l'affetto e le cure di cui fu circondato? I libri che
-portano il nome del padre, ch'egli stesso mise nelle sue mani, di cui
-parlò con lui, gli ricordano le sue letture predilette, i suoi giudizî,
-le sue opinioni, mille sfumature della sua indole. Su certi libri
-gli par di vedere, al lume della candela, chinarsi quegli occhiali
-luccicanti e quella barba bianca. Altri gli rammentano la famiglia
-seduta in cerchio, intenta alla lettura d'un solo; atteggiamenti di
-persone care, esclamazioni e risa allegre o singhiozzi mal soffocati
-delle sorelle piccine, che pure gli sarebbero già fuggiti dalla memoria
-da lungo tempo. Il figliuolo di chi amò i libri, amerà i libri, e non
-sarà mai un'anima affatto volgare quella in cui rimarrà questo culto.
-
-Ah! vediamo di formarci intorno per tempo questa corona d'amici muti e
-fedeli; fabbrichiamoci questa pacifica fortezza per ripararvici dentro
-nei giorni in cui saremo assaliti dai dolori della vita. Questi giorni
-vengono, e con essi il bisogno della solitudine e del silenzio. Sarà
-triste allora il non aver un angolo della casa dove poter rifugiarsi
-per tentar di dimenticare i vivi confortandosi coi morti!
-
-
-
-
-MANUEL MENENDEZ
-
-(RACCONTO)
-
-
-I.
-
-La canzonetta andalusa intitolata _Don Manuel Menendez_ è una favola
-che non ha quasi punto che fare col fatto vero, il quale si può sapere
-soltanto dai Sivigliani che conobbero intimamente il personaggio,
-e che son rari, perchè egli partì da Siviglia di quattordici anni,
-quando perdette il padre e la madre; non vi tornò che dieci anni dopo,
-e ne ripartì per sempre in capo a pochi mesi. In questo breve tempo
-riempi la città del suo nome. Non stava però sempre in città: partiva,
-tornava, spariva, senza che nessuno sapesse nè perchè, nè dove; e
-qualche volta la notizia del suo ritorno giungeva inaspettata ai suoi
-amici insieme con quella d'un colpo di spada ch'egli aveva dato o
-toccato fuori della Porta di Cordova per una quistione di donne o di
-politica. Molti dicevano che aveva un ramo di pazzia, e la credevano
-conseguenza d'una cornata nel capo che aveva ricevuto, a tredici anni,
-da un toro _novillo_, nei giochi domenicali del circo. L'aveva ricevuta
-infatti, e ne portava ancora la traccia; ma il suo cervello n'era
-rimasto illeso. Aveva una meravigliosa esuberanza di vita che espandeva
-in amore, in moto, in versi, in lacrime, in sangue, senza riuscire
-a trovar pace; un cuor grande, un orgoglio satanico, degl'impeti di
-rabbia in cui si sfracellava una mano contro il muro, una forza d'animo
-da far fremere e il coraggio d'un forsennato. Una signora aveva detto
-di lui uno scherzo che gli si attagliava a meraviglia: — Io mi son
-fitta in testa che se nelle comete ci sono degli uomini, debbono essere
-tutti come Manuel Menendez. — La sua parola non usciva, esplodeva, e
-pareva sempre che una parte della sua vita fuggisse nel suono della
-sua voce. Quando un _torero_, impaurito, vibrava un colpo da traditore
-o straziava l'animale senza ucciderlo, il più formidabile: — Codardo!
-— che risonasse nel circo di Siviglia, era il suo; nel teatro di San
-Fernando, quando si sentiva improvvisamente nel silenzio d'una scena
-sublime, uno di quei _bravo_ fuggiti dalle viscere, che fanno correre
-un brivido per la platea, nessuno domandava di chi fosse: tutti
-sapevano che era di Manuel Menendez. Qualche suo amico diceva ch'egli
-aveva un _talento colosal_; ma era una pura sballonata andalusa. Le
-sue liriche non erano che un solo lungo periodo, un'ondata di parole
-sonore e d'immagini luccicanti, che finiva in un verso inaspettato, il
-quale doveva fare un gran colpo; e tutta la poesia era architettata su
-questo verso, che il più delle volte non si capiva. Non si capiva la
-sua poesia come non si capiva la sua vita. Chi lo vedeva a mezzanotte
-attraversare la _Halameda de Hercules_ senza cappello; chi lo vedeva
-uscire all'alba da una piccola porta della Cattedrale; chi lo vedeva
-andare e venire tutta una mattinata per la famosa strada delle cento
-svoltate, colla testa bassa, come se cercasse uno spillo; nella sua
-casa, dalla strada, di notte, ora si sentiva leggere, ora ridere
-sgangheratamente, una volta spezzare i vetri delle finestre, un'altra
-volta singhiozzare una donna; qualunque cosa si raccontasse di lui,
-fuorchè una vigliaccheria, era creduta. Tutta Siviglia lo conosceva.
-La società alta, che bazzicava poco, lo guardava di mal occhio un
-po' per diffidenza e un po' per paura; il basso popolo lo rispettava
-perchè aveva salvato un vecchio facchino dalle acque del Guadalquivir;
-e non v'era forse un ventaglio in tutta la città, da quello della
-Governatrice a quello dell'ultima operaia della fabbrica di tabacchi,
-il quale, almeno una volta, fingendo di riparar dal sole il viso della
-sua padrona, non avesse lasciato passare tra le sue stecche uno sguardo
-o curioso o provocatore, diretto a quell'indomabile scapato; poichè
-Menendez aveva un bel viso d'arabo, contornato da una selva di capelli
-neri, e il suo vestire strano, ma elegante, segnava come una maglia le
-forme vigorose e signorili del suo bel corpo di ventiquattr'anni. Così
-era Menendez, e non una specie d'animale selvaggio come lo dipinge la
-canzone popolare, non certo stata fatta dal popolo; o così fu almeno
-fino all'ultimo dì del settimo mese del suo soggiorno in Siviglia,
-che è la data del suo gran cangiamento. Il suo amico don Hermógenes,
-che vive ancora, si ricorda di quel giorno come di ieri, e assicura
-che egli presentì quel cangiamento fin da quel giorno. — Manuel — gli
-disse — tu sei un uomo sfrenato; codesto non è il modo di vivere; tu ti
-uccidi; tu hai bisogno d'un amore potente che ti soggioghi; finora hai
-sempre comandato, ora bisogna che tu obbedisca; bisogna che tu trovi
-un'anima più forte della tua; bisogna che tu trovi una dominatrice. —
-L'ho trovata — rispose sorridendo Manuel. — Chi è? — domandò con aria
-incredula don Hermógenes — Fermina! disse Menendez, — Fermina? gridò
-l'amico; Fermina del sobborgo di Triana? Fermina di Granata? Fermina
-la _princesa_? — Menendez accennò di sì. — Don Hermógenes balzò d'un
-salto alla finestra e gridò con voce solenne: — Sivigliani don Manuel
-Menendez è morto!
-
-
-II.
-
-Un mese dopo, Manuel Menendez era un altro. Tutti i Sivigliani che
-avevano una testina capricciosa da governare, respiravano. Egli non si
-vedeva più nè alla Villa Cristina, nè al Circo, nè al San Fernando.
-Chi l'avesse voluto trovare, avrebbe dovuto passare il ponte di
-ferro, voltare a sinistra, andare innanzi lungo il fiume fin quasi
-all'estremità del borgo di Triana, salire al secondo piano d'una casa
-bianca posta in faccia alla Torre d'oro, e guardare per il buco della
-serratura in una cameretta modesta, ombreggiata dagli alberi della
-riva destra del Guadalquivir. Egli era là, seduto ai piedi della più
-bella e più strana creatura dinanzi a cui si fosse mai curvata la sua
-fronte di saraceno, e versava l'anima in un torrente di parole amorose
-e insensate, ch'essa ascoltava in silenzio, lavorando a una corona
-di fiori — Fermina, — le diceva a bassa voce; — tu sei un mistero. Tu
-sei una creatura d'un altro pianeta. Da che mondo sei venuta? Come hai
-fatto a innamorarti d'un uomo? Io giurerei che ci fu un tempo che tu
-avevi i capelli azzurri e le pupille rosse. Perchè non ridi mai? Tu
-mi fai paura. Non sto volentieri solo con te. Tu, con quegli occhi,
-devi veder qualche cosa o qualcheduno che io non vedo, e che forse
-è qui, dietro di me, che ti guarda. La tua anima dev'essere un'anima
-trasmigrata, la tua voce dev'essere contraffatta, e la tua lingua non
-è certamente lo spagnuolo. Forse se mi parlassi tutt'a un tratto colla
-tua voce vera e colla tua lingua nativa, io rimarrei pietrificato.
-Però son contento d'essere amato da te; il tuo amore è un anello che mi
-congiunge col soprannaturale. Dimmi la verità: chi hai amato nell'altra
-vita? Io son geloso d'un abitante di Sirio. — A queste parole Fermina
-con un movimento rapido e vigoroso della mano gli sconvolgeva tutti
-i capelli e Menendez metteva un grido d'amore. Poi, a un tratto, essa
-aggrottava le sopracciglia e fissava uno sguardo sospettoso sopra un
-leggiero segno rosso del collo di lui. — Che cosa guardi? — domandava
-il giovane meravigliandosi. — Nulla, — rispondeva lei rassicurata;
-— ma.... guardati, Manuel! — E dopo qualche momento soggiungeva
-freddamente: — Io andrei a pugnalare una regina.
-
-
-III.
-
-Fermina era tale veramente da ispirare a chiunque la vedesse le
-bizzarre fantasie che passavano pel capo a Menendez; la sua indole, la
-sua bellezza e la sua vita erano ugualmente singolari. Nel sobborgo di
-Triana la chiamavano _la princesa_; i giovani sul serio, le ragazze
-con ironia; ma queste più d'ogni altri sentivano ch'essa meritava
-veramente l'onore di quel soprannome. Era forse la più alta ragazza del
-sobborgo: Menendez, che sarebbe stato un bel corazziere della guardia
-reale, non la passava che di mezza la fronte. Il suo occhio nero e
-triste e le larghissime soppracciglia che si toccavano, davano al suo
-viso bruno, d'una struttura un po' africana, un'espressione quasi di
-minaccia; la quale si cangiava a un tratto in una ilarità dolcissima,
-appena schiudeva le sue labbra tumide e irrequiete. Ma come le diceva
-Menendez, essa non sorrideva che una volta al giorno; e per solito
-teneva gli occhi socchiusi quasi in atto di disprezzo. Portava una rosa
-nei capelli, una mantiglia di trina bianca, un busto nero, una veste
-rosea, e due stivaletti di stoffa chiara che stringevano vigorosamente
-il suo piede di bimba e la sua gamba fina e nervosa. Era questo il
-costume invariabile in cui Fermina si mostrava, una volta la settimana,
-ai mille sguardi curiosi, amorosi, rabbiosi, impertinenti, procaci, che
-la saettavano da tutte le parti. Nessuno però osava d'accostarsele,
-nemmeno quando era sola, poichè si sapeva che le tre o quattro mani
-audaci che s'erano stese sopra di lei, nella prima settimana del suo
-soggiorno in Siviglia, s'erano tirate indietro insanguinate. — O è un
-angelo — si diceva, — o è un mostro; — ma nessuno sapeva sicuramente
-quello che fosse. Si diceva che fosse venuta da Granata, si sapeva che
-stava sola, si credeva che vivesse del suo lavoro; e sul resto non si
-facevano che congetture; nè i suoi vicini di casa, nè le poche ragazze
-con cui scambiava un saluto, conoscevano i fatti suoi meglio di chi la
-vedeva passare per strada. Essa s'era invaghita di Menendez, e Menendez
-era pazzo d'amore per lei; s'adoravano; erano alteri l'un dell'altro;
-si guardavano lungamente, con una attenzione profonda, senza sorridere;
-si temevano; si trattavano qualche volta, per eccesso d'amore, con
-modi violenti e brutali, che provocavano lacrime di rabbia dalle due
-parti, e finivano in pioggie di baci ch'eran tocchi di ferro rovente e
-in espansioni di tenerezza da cui rimanevano prostrati. Una sola cosa
-turbava la felicità di Menendez: un sentimento vago e intermittente
-di gelosia, ch'essa, senza volerlo, alimentava, respingendolo con
-una fierezza, la quale pareva a Menendez troppo sdegnosa, e quindi
-non sincera. Ma s'ingannava, perchè Fermina sentiva veramente più
-che disprezzo, orrore per tutti quei piccoli e bassi sentimenti che
-pullulano dall'amore anche più schietto nelle anime volgari. — Manuel,
-— gli aveva detto una volta — il giorno in cui tu mi crederai capace
-d'averti tradito, ossia d'essere una creatura spregevole, il mio amore
-sarà morto. Pensaci bene. Io non sono una donna come le altre donne; tu
-non devi essere un uomo come gli altri uomini. Voi altri siete quasi
-tutti vigliacchi. Io ho posto amore a te perchè non me lo sei parso.
-Non lo diventare. Io sono superba. T'ho dato il mio onore: rispettalo.
-Non giocare col mio amore. Io non son di quelle che perdonano. Se si
-cade una volta dal mio cuore, non vi si rientra più. Fermina t'ha detto
-una volta che t'ama: ti basti per tutta la vita. Stampati bene queste
-parole in fondo all'anima, Menendez.
-
-
-IV.
-
-S'amavano, e tutta Siviglia lo sapeva, o piuttosto lo vedeva. Andavano
-a passeggiare di notte in mezzo ai platani d'Oriente _de las delicias
-de Cristina_; andavano in barca, sul Guadalquivir, sino a San Juan
-d'Aznalfarache, a passar le ore calde all'ombra degli aranci; ed era
-ben raro che qualcuno vedesse Fermina inginocchiata dinanzi all'enorme
-altar maggiore della Cattedrale, senza riconoscere un momento dopo
-nell'ombra di qualche cappella vicina, la figura elegante ed immobile
-di Menendez. Per strada erano guardati da tutti con quel sentimento
-amaro insieme e voluttuoso di invidia, che ispira anche ai giovani la
-vista di due amanti felici, poderosi e superbi. Essi passavano come
-due principi in mezzo al mormorío della folla, Fermina, guardando al
-di sopra delle teste, Menendez, cercando inutilmente uno sguardo che
-si fissasse nel suo; gettavano il loro amore in faccia a Siviglia;
-portavano la loro felicità in trionfo; e per tutto dove passavano,
-lasciavano una larga traccia d'orgogli feriti e di amoruccoli
-schiacciati. A grado a grado, però, Fermina s'era acquistata la
-simpatia di molta parte del sesso femminino del suo ceto; molte
-avevano piegata la testa dinanzi alla sua invincibile alterezza; era
-considerata quasi come un ornamento del sobborgo; era presa a modello;
-aveva suscitato delle imitatrici; c'eran molte rozze e facili Gitane,
-che s'erano messe a camminare col capo rovesciato indietro e gli occhi
-socchiusi, lasciando sporgere fuor del busto il manico d'un pugnale,
-che non avrebbero mai adoperato.
-
-
-V.
-
-In questo stato di cose, un improvviso rivolgimento seguì nell'animo
-del Menendez. Nessuno, a Siviglia, ne seppe la cagione, fuorchè colui
-o coloro che ne furono colpevoli; ma tutti quelli che conoscevano
-il carattere di lui, non se ne meravigliarono punto. In certe nature
-esiste sempre intera e pronta la formidabile macchina del sospetto,
-alla quale basta buttare un nome e dare una scossa, perchè il più
-forte affetto vi rimanga stritolato. Chi, in vita sua, non è stato
-almeno una volta o vittima o colpevole d'una di queste precipitose
-distruzioni? Un dubbio leggerissimo, che c'era passato un giorno per
-la mente, e di cui avevamo sorriso, trova nella riga d'una lettera,
-nella parola d'un amico, in un avvenimento fortuito e insignificante,
-una presa fatale che lo rialza lentamente, come una lenza, dalla più
-oscura profondità dell'anima dove stava sepolto, e ce lo rimette sotto
-gli occhi come un insetto schifoso che agita con furia orribile le sue
-cento braccia smaniose di preda. Atterriti per un momento, ripigliamo
-coraggio e fede, e schiacciamo il piccolo mostro. Ma è inutile. Già
-da tutti i ripostigli della memoria, sono usciti, come una folla di
-piccoli cattivi genii, mille ricordi, fino allora sopiti, di sorrisi
-sfuggevoli, di mezze parole, di movimenti appena percettibili delle
-sopracciglia e delle labbra, d'una porta socchiusa, d'un rumor di
-passi, d'un fruscío, d'un bisbiglio, d'un'ombra, che prima ribollono
-confusamente nel capo, e poi si congiungono e si combinano, pigliano
-forza, fuoco e parola, denunziano, affermano, provano, stravolgono il
-cuore e la ragione, mettono in mano il pugnale o la penna, e spingono
-al delitto o alle offese che non si perdonano, in minor tempo che
-non ci saremmo spinti dalla evidenza immediata della realtà. Quando
-questo accadde a Menendez, erano le undici di sera; egli si trovava
-in casa, ritto dinanzi a un tavolino, con una lettera fra le mani.
-Sul primo momento, temette d'essere impazzito; balzò in piedi, si
-slanciò alla finestra, e rimase qualche tempo immobile come una statua,
-con una mano sulla fronte e l'altra sul cuore, guardando fissamente
-in mezzo alla piazza. Poi mise un grido soffocato d'angoscia e di
-rabbia, e si precipitò fuor di casa. Attraversò come una freccia la
-piazza del Trionfo, girò intorno alla _Caridad_, oltrepassò quasi
-correndo la Torre D'Oro, saltò in una barca, raggiunse la riva destra
-del fiume, si slanciò nella casa di Fermina e percosse la porta....
-Fermina non c'era! Per un caso straordinario non aveva ancora potuto
-tornare a casa, e per la sciagura di tutti e due quell'assenza, in
-quell'ora, corrispondeva fortuitamente a un'indicazione della calunnia,
-era un'accusa, una prova, una maledizione. Menendez rimase come
-pietrificato davanti alla porta. Il dolore dell'amante era già morto
-dentro al suo cuore, e non vi fremeva più che l'ira feroce del suo
-enorme orgoglio ferito. Un pensiero satanico gli balenò alla mente,
-scese di volo le scale e si diresse di corsa verso casa. Arrivato
-al ponte, si fermò. Un altro pensiero gli aveva quasi percosso e
-schiacciato il primo. — E se non è vero? — si domandò, e per un momento
-gli brillò l'anima. Ma la fatalità lo perseguitava. In quel punto
-gli passò accanto una donna, lo guardò in viso e gli disse fuggendo:
-— Fermina ti tradisce! — A quelle parole il furore, risollevandosi
-impetuosamente, gli velò l'intelletto, e lo ricacciò innanzi come
-un dannato. Per colmo di sventura, rientrando nella sua stanza trovò
-una lettera di Fermina che diceva: — domattina non sarò in casa; — e
-anche quest'annunzio avverava sciaguratamente una previsione. Allora
-Menendez perdette affatto il lume della ragione, ruggì, rise, maledì,
-afferrò la penna, scrisse a grandi caratteri sopra un foglio di carta
-il nome di Fermina, un epiteto, l'indicazione d'un'ora e d'un prezzo,
-un insulto orrendo; poi volò fuor di casa con quel foglio, rifece la
-via di prima, arrivò alla casa dì Fermina, attaccò alla porta con le
-mani convulse il cartello infame, e si cacciò digrignando i denti giù
-per le scale. Arrivato in fondo, si fermò: sentì aprirsi quella porta,
-vide illuminarsi la scala, e udì quasi nello stesso punto un grido
-disperato e il rumore della caduta d'un corpo. Dopo pochi momenti sentì
-aprire altre porte, — scender gente, — una donna leggere il biglietto
-— e molte voci prorompere in un grido d'indignazione: — _Mentira!_
-(Menzogna!)...
-
-
-VI.
-
-Un'ora dopo egli si trovava nello stato d'uno che si svegli da un sogno
-spaventoso. Quel grido l'aveva svegliato. Inutilmente aveva subito
-tentato di riadunare e di ricomporre insieme prove, indizî, argomenti,
-ricordi, ombre; tutto era fuggito e svanito colla stessa rapidità
-fulminea con cui s'era raccolto, e aveva preso forma e saldezza. Come
-poca cosa era bastata a farlo credere, così un grido era bastato a
-disingannarlo. Egli era rimbalzato da una certezza a un'altra certezza;
-non aveva più bisogno di prove; s'era spiegato tutto; aveva capito
-tutto; sentiva dentro ed intorno a sè un silenzio solenne, e non vedeva
-più che la figura immobile, bianca e sinistra di Fermina, e fra loro
-un abisso. Egli la conosceva, capiva che non avrebbe più perdonato,
-sentiva che l'aveva uccisa. Un avvilimento profondo, uno sgomento
-mortale, un amor nuovo rinvigorito dal rimorso e dalla disperazione,
-un desiderio immenso di morire, e insieme una prostrazione di forze
-che gl'impediva un qualunque atto risoluto, s'erano impadroniti di
-lui. Passò la notte disteso in terra, vicino alla finestra, e la
-mattina all'alba, si trovò, senz'accorgersene, sul ponte di ferro,
-dove rimase improvvisamente inchiodato. Fermina veniva verso di lui.
-Appena la vide, capì ch'essa lo aveva visto, e lesse nel suo volto e
-nel suo atteggiamento una risoluzione che gli troncò l'ultimo filo di
-speranza. Era vestita come nei giorni festivi; veniva innanzi a passo
-franco, quasi impetuoso, colla testa alta, coll'occhio socchiuso e
-fisso dinanzi a sè, col viso pallido ed immobile come una maschera
-di marmo. Quando gli fu vicina, egli aprì la bocca per parlare, ma la
-parola gli restò dentro. Essa passò senza guardarlo, dritta e maestosa,
-colla morte nel cuore e col disprezzo sul volto, mandandogli in viso
-un'ondata d'odor di rosa, e s'allontanò senza voltarsi. Menendez vide
-come un velo nero stendersi fra lei e i suoi occhi e sentì che tutto
-era finito.
-
-
-VII.
-
-Tutto quello ch'egli fece quel giorno e il giorno dopo, lo fece quasi
-macchinalmente, e senza energia, perchè era senza speranza. Era il
-primo solenne castigo che riceveva il suo carattere orgoglioso e
-violento, e n'era come istupidito. Scrisse a Fermina una lunga lettera;
-non ebbe risposta; non se ne stupì, e quasi nemmeno se n'accorò, tanto
-era sicuro che questo doveva accadere. Le riscrisse; la lettera questa
-volta gli ritornò intatta; la riprese e la buttò in un canto senza
-badarci. Andò, a sera inoltrata, col cuore tremante, a picchiare alla
-sua porta; c'era il lume alla finestra; lei era in casa; ma la porta
-non s'aperse. Tornò dopo un'ora; il lume c'era ancora; la porta rimase
-chiusa. Se n'andò a casa, e passò mezza la notte seduto alla finestra,
-col capo appoggiato sopra una mano. Il giorno dopo non iscrisse più, nè
-andò più a cercar Fermina, e forse, se non fosse uscito, non avrebbe
-mai più osato cercarla. Ma uscì, e gli seguì un caso che decise della
-sorte di tutta la sua vita. Era giorno di festa: girando a caso, di
-strada in strada, quasi senza coscienza di sè, si trovò nei viali
-della Cristina. Era l'ora della passeggiata; dalla Torre d'oro al
-palazzo di san Telmo formicolava una folla brillante e gaia; una musica
-festosa riempiva l'aria; il sole dorava le acque del Guadalquivir;
-Menendez si sentì per un momento alleggerito del peso mortale della
-sua tristezza, e si lasciò trascinare dalla corrente. All'improvviso
-una ragazza del popolo, passandogli accanto, gli gridò all'orecchio:
-— _Es mentira, Menendez!_ — e disparve. Menendez impallidì e cercò di
-sottrarsi agli sguardi curiosi dei vicini che avevan sentito; ma quasi
-subito un'altra ragazza, distante da lui una decina di passi, gridò più
-forte: — _Mentira!_ — Menendez si voltò dalla parte opposta, confuso
-e sgomento, e cercò di fendere la folla, per uscire dal passeggio.
-Ma una terza, una quarta, e poi un gruppo di ragazze del sobborgo
-di Triana, che l'avevano riconosciuto, gli gridarono alle spalle: —
-_Mentira, Menendez, mentira!_ — Molta gente si fermò; altre ragazze,
-avvicinandosi, ripeterono quel grido; il suo nome corse di bocca in
-bocca; la folla s'aperse per fargli circolo intorno; e questo fu il
-suo salvamento. Approfittando di questo vuoto, si slanciò, stravolto
-e bianco come un cadavere, fuori del viale, raggiunse una carrozza,
-vi saltò dentro, e s'allontanò rapidamente udendo ancora per un buon
-tratto le grida lontane delle sue persecutrici. Appena entrato in
-casa si coperse il volto colle mani e diede in uno scoppio di pianto
-desolato e rabbioso. — Dunque la voce s'è sparsa! — gridò — Io sono il
-ludibrio di Siviglia! Io non potrò più mostrare il viso in mezzo alla
-gente! Io son disprezzato, insultato, disonorato! — A questo punto
-un'idea grande e nuova gli balenò alla mente, la sua anima generosa vi
-rispose con un rimescolamento profondo, il suo volto s'illuminò, tutte
-le sue fibre si rinvigorino, tutto il suo sangue s'accese. Poi, come
-se la voce d'un amico invisibile gli avesse susurrato una preghiera
-nell'orecchio: — Sì, — rispose con un accento di condiscendenza: —
-ancora una prova. — E si slanciò fuor di casa.
-
-
-VIII.
-
-Fermina lavorava, col lume, in un angolo della stanza, quando sentì un
-passo rapido e leggiero su per la scala, e s'accorse, troppo tardi, che
-aveva lasciata la porta socchiusa. Ebbe appena il tempo di alzarsi e di
-ricadere sulla seggiola: Menendez si precipitò ai suoi piedi, curvò la
-fronte sul pavimento, e gridò singhiozzando: — Perdono, Fermina!
-
-Essa non rispose.
-
-Aveva il viso pallidissimo, e stava rivolta verso la finestra, cogli
-occhi dilatati e colle labbra tremanti.
-
-— Fermina! — continuò Menendez con una voce che pareva gli dovesse
-spezzare il petto — perdonami! Sono stato un vile e un pazzo! Tu sei
-un angelo! Io sono un disgraziato! Mi sono lacerato il cuore colle mie
-mani, ho pianto lacrime di sangue, m'hanno insultato per le strade,
-credevo d'impazzire, non posso più vivere così, perdonami, rendimi il
-tuo amore, non mi condannare a uno strazio eterno, dimentica, amami!
-Vedi, io mi striscio ai tuoi piedi, batto la fronte per terra, non ho
-più voce, non ho più lacrime, non ho più stima di me, non ho più onore
-nel mondo, non ho più che l'amore che mi strazia e la disperazione che
-mi uccide! Fermina, abbi compassione di Menendez!
-
-Fermina continuava a guardar la finestra; aveva il viso stravolto e
-convulso, il seno ansante, tutta la persona agitata da un tremito
-febbrile; pareva che facesse uno sforzo per ottenere prima da sè
-stessa quello che Menendez voleva da lei; che aspettasse essa pure
-un improvviso cangiamento del proprio cuore; e Menendez osservava con
-profonda ansietà tutti i movimenti del suo viso. Finalmente proruppe
-con accento disperato:
-
-— È inutile, Menendez! Non posso! non sento più niente! son vuota! son
-morta! Potresti supplicarmi per tutta la vita, ucciderti sotto i miei
-occhi, diventare un re, un santo, un Dio.... è inutile! Non credo più!
-Non amo più! M'hai uccisa! Hai capito, Menendez? Hai forse dimenticato
-che cos'hai fatto? Fermina t'aveva dato il suo onore e tu v'hai sputato
-sopra in faccia a tutta Siviglia! Dio! Dio! Dio! E questo è stato
-possibile! e tu vuoi che io ti perdoni! — Poi, facendo un violento
-sforzo, si ricompose, e soggiunse freddamente: — Va, Menendez, lasciami
-sola, lasciami nella mia tomba, tutto è finito, addio.
-
-— Pensaci ancora, — disse Menendez con voce supplichevole.
-
-Fermina si svincolò da lui e gli accennò la porta senza guardarlo in
-viso.
-
-— Ma sei dunque senza cuore! — gridò il giovane balzando in piedi colla
-rabbia nel sangue e la minaccia sul volto.
-
-Fermina lo guardò.
-
-Menendez diede indietro e si gettò fuor della porta.
-
-
-IX.
-
-Appena tornato a casa, si mise a preparar le sue robe per partire
-la mattina dopo. Egli aveva deciso d'andare a passar un mese a La
-Rinconada, piccolo villaggio circondato d'oliveti, poco lontano
-dalla città, dove stava don Luis de Guevara, suo amico d'infanzia,
-_facultativo_, ossia medico condotto, che gli aveva più volte offerto
-la sua casa per quando volesse fuggire i grandi calori di Siviglia.
-Terminato ogni cosa, si buttò sul letto, e per la prima volta dopo la
-sera fatale del suo delirio, dormì. All'alba si svegliò più tranquillo,
-corse alla finestra, fermò la prima carrozza che vide passar sulla
-piazza, si vestì, fece portar giù le sue valigie, si mise a tracolla
-il suo fucile da caccia, discese rapidamente, e montando sul legno,
-ordinò al cocchiere di condurlo sulla riva destra del fiume, in faccia
-alla Torre d'oro. Un gran cangiamento era seguíto in lui; non pareva
-più l'uomo del giorno innanzi; il suo volto non esprimeva più nè
-ansietà nè dolore; era pallido e portava le traccie della tempesta dei
-giorni scorsi; ma risoluto e quasi altiero. Scese dinanzi alla casa di
-Fermina, salì le scale con passo deciso, sospinse l'uscio e si piantò
-ritto immobile sulla soglia.
-
-Fermina fece un atto di sorpresa sgradevole, e si voltò verso la
-finestra.
-
-— Una sola parola, Fermina, — disse con accento pacato Menendez.
-
-Fermina voltò la testa verso di lui, tenendo gli occhi socchiusi.
-
-— Sei profondamente sicura — disse Menendez, — puoi giurarmi sul tuo
-onore, per la memoria di tua madre, per la salvezza dell'anima tua,
-che lo stato presente del tuo cuore non è l'effetto d'uno sforzo che
-fai sopra te stessa? che senti veramente e immutabilmente di non amarmi
-più?
-
-— Sì — rispose con accento risoluto Fermina.
-
-— Addio — disse Menendez, e disparve.
-
-
-X.
-
-Fermina mise un sospiro, lasciò cadere il suo lavoro e chinò la testa
-sopra una mano. Essa vedeva partire Menendez senza dolore, ma non
-senza tristezza. Non era più il suo amante che perdeva, è vero; ma era
-pure un'immagine cara, la forma umana in cui le si era presentata per
-la prima volta la felicità; l'aspetto dal quale non avrebbe mai più
-potuto scindere il ricordo dei più bei giorni della sua giovinezza.
-Sul primo momento, anzi, mentre sentiva ancora il rumore lontano della
-carrozza, che credeva lo conducesse via da Siviglia per sempre, fu
-colta da un dubbio improvviso, che la fece tremare, e sentì il bisogno
-d'interrogare ancora una volta sè stessa, di frugare ancora una volta
-nel più profondo dell'anima se mai vi fosse rimasta una scintilla, una
-speranza, una promessa. Ma interrogò, frugò, e non vi trovò nulla, e
-ne sentì quasi un sollievo. Ripetè anzi a sè medesima, e con maggior
-sicurezza che per l'addietro, che in quell'anima non c'era mai stato e
-non ci poteva essere il grande, cieco e tremendo amore ch'essa aveva
-sognato; l'unico amore che la sua natura virile e superba potesse
-accettare e rendere; l'amore di Menendez era un delirio passeggiero
-della mente, non una febbre profonda e perpetua del cuore; Menendez non
-l'aveva capita perchè non l'aveva stimata; se si fossero riconciliati,
-si sarebbero rotti un'altra volta; essa non avrebbe più potuto amarlo
-che per pietà, ed egli avrebbe diffidato daccapo, alla prima occasione,
-e con fondamento; forse anche in lui era morto l'amore, e non era
-più che l'orgoglio umiliato e il rimorso che l'aveva spinto a chieder
-compassione e perdono; e d'altra parte s'era accomiatato coll'animo più
-tranquillo, cominciava forse a rassegnarsi, a dimenticare; col tempo
-avrebbe dimenticato; era meglio per tutt'e due che tutto fosse finito
-in quella maniera. — Sia così, — disse sospirando Fermina: — è un sogno
-svanito, io gli perdono, e Dio l'accompagni. — E riabbassò sopra il
-lavoro la sua bella fronte pensierosa.
-
-
-XI.
-
-I giorni passarono; nessuno a Siviglia vide più Menendez; qualcuno
-disse ch'era partito per Cuba; tutti lo credettero, e qualche raro
-amico lo rimpianse; ma la maggior parte non lo rammentarono più che
-per vituperare il suo nome. Fermina, invece, dopo che s'era sparsa
-la notizia dell'avventura, aveva acquistato, anche sull'altra riva
-del Guadalquivir, una piccola celebrità romanzesca, d'una parte della
-quale si sentivano un po' altere tutte le ragazze di Triana, come se
-il raro esempio di sdegnosa fermezza dato da lei, avesse rialzato in
-faccia a Siviglia la dignità di tutto il sesso femminino del sobborgo,
-non generalmente presa sul serio prima d'allora. Un poeta sconosciuto
-aveva scritto dei versi sul muro della sua casa; la moglie del Capitano
-generale d'Andalusia le aveva data un'ordinazione di fiori per aver
-modo di parlarle; le ragazze, incontrandola per strada, le dicevano:
-— _Muy bien, Fermina!_ —; tutti la guardavano con una certa curiosità
-rispettosa, e ci fu tra gli altri un panciuto negoziante di telerie,
-marito d'una indiavolata brunetta di Badajoz, che incontrandola
-due giorni dopo la partenza di Menendez, esclamò con uno slancio di
-gratitudine: — Benedetta lei, _senorita_, che ce ne ha liberati! — Ma
-Fermina viveva più che mai raccolta e sola, e tutta occupata del suo
-lavoro, non lasciandosi vedere che raramente dalle vicine di casa. Non
-era contenta, ma tranquilla, e non pensava più a Menendez che con un
-sentimento di vaga mestizia, come avrebbe pensato ad un morto.
-
-
-XII.
-
-Erano passati quindici giorni dalla partenza di Manuel Menendez. Una
-mattina, poco dopo il levar del sole, Fermina stava lavorando nella
-sua stanza, seduta accanto alla finestra, e alzava di tratto in tratto
-la testa, per rivolgere uno sguardo malanconico al fiume, alla Torre
-d'oro, alla Cristina, alle guglie lontane della cattedrale, a cento
-luoghi e a cento cose che le rammentavano il suo immenso amore svanito,
-e sospirava. In quei momenti, avrebbe voluto poter riamare Menendez,
-anche sapendo di non doverlo mai più rivedere, non foss'altro che per
-dare un alimento alla sua anima vuota; e andava frugando, infatti,
-dentro all'anima, non più col timore, come aveva fatto altre volte,
-ma colla speranza di ritrovarvi ancora qualche cosa. Ma anche in quei
-momenti o non vi trovava nulla, o vi trovava soltanto un resto di
-sdegno pronto a riaccendersi, e s'affrettava a spegnerlo cacciandovi
-sopra un altro pensiero. — Morto, morto —, diceva tra sè, scrollando la
-testa con tristezza, e sentiva profondamente che se anche Menendez le
-fosse ricomparso davanti, essa l'avrebbe ricevuto come le altre volte,
-senza risentirne la più leggiera scossa, senza dubitare un momento
-dell'immutabilità del suo cuore, senza dover fare il menomo sforzo per
-ripetergli: — Va, lasciami sola nella mia tomba, tutto è finito.
-
-Il corso dei suoi pensieri fu improvvisamente interrotto da un leggiero
-fruscío; si voltò, mise un grido e balzò in piedi.
-
-Menendez era dinanzi a lei.
-
-Fermina si ricompose subito; ma non potè far a meno di fissare per
-qualche momento uno sguardo inquieto sopra di lui.
-
-Il suo viso era pallido e dimagrato; il suo occhio, smorto; le sue
-labbra, livide. Aveva la cappa sulle spalle e una borsa da viaggio a
-tracolla. Stava ritto sulla soglia della porta, un po' curvo e colle
-gambe un po' piegate; e fissava Fermina con uno sguardo profondo, pieno
-d'amore e di mestizia.
-
-— Siete stato malato! — gli disse lei con un leggiero accento di pietà.
-
-Menendez esitò un momento e poi rispose con voce debole:
-
-— Sì.... un poco.
-
-Fermina abbassò la testa.
-
-— Ed ora parto —, soggiunse il giovane.
-
-— Per dove? — domandò Fermina senza alzare la testa.
-
-— Per Cuba.
-
-— Oggi?
-
-— Adesso.
-
-— Per sempre?
-
-— ..... Per sempre.
-
-Fermina mise un sospiro, si passò una mano sulla fronte, e poi disse
-con un accento pietoso: — Ebbene.... addio, Menendez; il Signore
-t'accompagni.... e.... addio!
-
-— Non hai altro da dirmi? — domandò Menendez colla voce tremante — sei
-sempre la stessa?
-
-Fermina gli rivolse uno sguardo che rivelava il suo cuore desolato di
-non potergli dare che una triste risposta.
-
-— Ebbene, — disse allora Menendez avvicinandosi al suo tavolino;.... —
-poichè non ci vedremo più, fammi una grazia, Fermina. Accetta questo
-ricordo. — E dicendo così, mise sul tavolino una piccola cassetta di
-mogano, colla chiavina nella serratura. — Non respingerlo, Fermina! te
-ne prego! Non è un dono. Non contiene che un foglio di carta in cui è
-rivelato un segreto che tu devi conoscere; un segreto di famiglia, che
-non ho rivelato ad altri che a te; una cosa sacra. Accettalo, Fermina;
-ti giuro sul mio onore che è necessario che tu lo accetti; riconoscerai
-tu pure questa necessità quando avrai visto di che si tratta, e dirai
-che avevo ragione e che ho fatto il mio dovere..... Ed ora non ho più
-altro da dirti. Addio, Fermina!.... dimenticami e sii felice!
-
-Fermina si asciugò una lagrima e gli porse una mano, voltando il viso
-dall'altra parte.
-
-Menendez le coprì la mano di baci e si diresse verso la porta.
-
-— Menendez! — disse vivamente Fermina.
-
-Menendez si voltò.
-
-— Addio! — ripetè la ragazza con voce alterata, ma ferma; — sono più
-sventurata di te, perchè non ho più nulla nel cuore! Va, Menendez! Va,
-e il Signore sia sulla tua strada!
-
-Menendez uscì, socchiuse la porta e cominciò a scender lentamente la
-scala, coll'orecchio intento, col respiro sospeso, col cuore che gli
-batteva come se volesse rompergli il petto.
-
-A un tratto sentì il rumore della chiavina della cassetta che girava
-nella serratura.
-
-Le gambe gli piegarono sotto e un velo nero gli si stese sugli occhi.
-
-Si appoggiò al muro del pianerottolo.
-
-Passarono alcuni secondi.
-
-All'improvviso, un grido sovrumano di dolore, di terrore e d'amore,
-risonò di cima in fondo alla casa, come un colpo di fulmine; la porta
-si spalancò, Fermina balzò d'un salto in fondo alla scala, si precipitò
-dinanzi a Menendez, e prese a baciargli con una furia disperata i
-piedi, le ginocchia, i panni, singhiozzando, gridando, chiedendo
-perdono, invocando Iddio, fin che la voce le mancò, gli occhi le si
-chiusero e cadde svenuta.
-
-I vicini erano già accorsi, e fra essi il signor Luis de Guevara, che
-aveva accompagnato Menendez dalla Rinconada a Siviglia, e lo stava
-aspettando nella strada.
-
-— Don Luis, — gli disse Menendez appena lo vide, sollevando Fermina
-svenuta, e voltandola in modo ch'egli la potesse vedere nel viso: — ti
-presento mia moglie.
-
-
-XIII.
-
-Quindici giorni dopo, infatti, il segretario dell'amministrazione del
-Circo dei tori di Siviglia, dovendo mandare a Fermina la chiave del
-trentesimo palco _del lado de la sombra_ (della parte dell'ombra),
-indirizzava la lettera: — _A doña Fermina Menendez_; — ed essendo
-quella la prima lettera ch'essa riceveva col titolo di _doña_ e
-col proprio nome legato a quello del suo amante, baciò tre volte
-la busta e la mise in serbo come una cosa preziosa. Qualunque altra
-Sivigliana, però, avrebbe in quel giorno baciato invece della busta
-la chiave, poichè per il felicissimo arrivo di Sua Maestà la Regina
-Isabella, la quale per la prima volta si faceva vedere a Siviglia
-colla corona, l'Impresario del Circo aveva preparato uno spettacolo
-unico nei fasti del _toreo_ andaluso; e basti il dire che la prima
-spada si chiamava il _Tato_, e che si sarebbero slanciati nell'arena
-otto tori, comprati a peso di dobloni novi, _doblones de Isabel_, nei
-pascoli dell'eccellentissimo marchese di Veragua, primo allevatore
-della Spagna. Per questo, sebbene lo spettacolo cominciasse alle due
-pomeridiane, la _plaza_ era già quasi piena a mezzogiorno, e al tocco
-non ci si poteva più entrare. Era una delle più belle giornate che
-si possan vedere a Siviglia nel mese di settembre. Il vasto Circo
-poligonale presentava sulle sue trenta gradinate una meravigliosa
-confusione di visi bruni, di treccie nere, di ventagli agitati e di
-mani per aria; vi brillava il fiore della bellezza del sobborgo di
-Triana, v'erano le più famose danzatrici delle _escuelas de baile_,
-centinaia d'operaie della fabbrica dei tabacchi colle sottane bianche
-o rosee, gruppi di gitane con mazzetti nei capelli e sul seno, i più
-belli e più terribili schermitori di coltello della provincia, coi loro
-cappellotti di velluto nero e loro cinture rosse ed azzurre; tutto il
-più ardente sangue andaluso che circolava in quel tempo dal Campo della
-fiera alla porta di San Juan e dalla Cartuja alla Trinidad; un'immensa
-raccolta d'amori, di gelosie, di capricci, di gioie, di miserie, un
-incrociarsi rapidissimo e continuo d'apostrofi clamorose e di occhiate
-furtive, di fiori e di risa, di parole galanti e d'aranci: tutto ciò
-rallegrato da una musica strepitosa e saettato da un sole ardente. Alle
-due precise, gli _alguaciles_ entrarono nell'arena per far sgombrare la
-folla, e nello stesso momento, da due lati contigui del Circo, cento
-visi si voltarono quasi tutti insieme verso un punto solo e al gridío
-generale seguì improvvisamente un profondo silenzio. Fermina, vestita
-di bianco, con un gran mazzo di fiori fra le mani, col viso splendido
-d'una letizia dignitosa e severa come la sua bellezza, era comparsa nel
-suo palco, insieme con Menendez, pallido e sorridente, in mezzo a una
-corona d'amici. Al primo silenzio, seguì dopo pochi momenti un lungo
-mormorío favorevole, quasi amoroso e altri mille sguardi si fissarono
-sui due sposi. Tutta Siviglia sapeva quello ch'era accaduto. A un
-tratto, una gitana seduta sul primo gradino sotto il palco, balzò in
-piedi, si levò una rosa dai capelli e buttandola a Fermina, gridò: —
-_A ti, doña Fermina Menendez, y Dios te dé la buena suerte!_ — Subito
-dopo un'altra ragazza buttò un mazzetto a Menendez e gridò: — _A ti,
-don Luis Menendez_, cuor valoroso! — L'esempio fu rapidamente imitato:
-da tutti i gradini vicini al palco cominciarono a piovere fiori sugli
-sposi, accompagnati da un gridío appassionato e festoso: — A te, bella
-creatura! — A te, sangue di prode! — A voi, la più bella coppia di
-Siviglia! — Amatevi! — Buona fortuna! — Molti giorni come questi! — Dio
-vi protegga! — In pochi minuti la notizia e l'entusiasmo si propagarono
-per quasi tutto il Circo, e da ogni parte si buttarono fiori, si
-agitarono fazzoletti e mantiglie, si mandarono evviva e saluti; tanto
-che Fermina, sopraffatta dalla commozione, lasciò cader la testa sulla
-spalla di Menendez, e la Regina Isabella, che aveva già preso posto nel
-palco reale con tutto il suo corteggio, si voltò a domandare al giovane
-generale Serrano chi fossero i due personaggi che mettevano sottosopra
-i suoi sudditi. Il _general bonito_, il bel generale, come si chiamava
-allora il futuro vincitore d'Alcolea, si fece innanzi rispettosamente,
-e disse col tuono più dolce della sua voce: — Sono due sposi, Maestà.
-La sposa è la più bella giovane di Siviglia, e lo sposo è un giovane
-che ha fatto onore al sangue andaluso. In un accesso di gelosia, avendo
-offeso mortalmente la sua fidanzata con un cartello infamante, e non
-essendo riuscito in altro modo a farsi perdonare e riamare, ottenne
-l'una e l'altra cosa presentandole una cassettina nella quale c'era
-la penna fatta in due pezzi, che aveva scritto il cartello; sotto la
-penna, un foglio di carta con su scritto col sangue: — _Espiazione_, e
-sotto il foglio di carta la sua mano destra....
-
-Mentre la Regina appuntava il cannocchiale verso gli sposi, le trombe
-squillarono, la folla gettò un altissimo grido, e il primo toro
-dell'eccellentissimo signor marchese di Veragua si slanciò muggendo in
-mezzo all'arena.
-
-
-
-
-IN SOGNO
-
-
-Non so se molti altri abbiano un ordine speciale di sogni che si
-possano procurare a loro piacere: io ho quello dei viaggi, e mi basta,
-per viaggiare in sogno anche tutta una notte, fissarmi col pensiero,
-quando sto per addormentarmi, in qualche luogo lontano del quale mi sia
-rimasto un ricordo molto vivo; dopo di che, mi passano dinanzi cento
-altri luoghi, città, campagne e genti, trasformandosi rapidamente,
-senza che nel sogno s'intrometta mai una visione di altra natura. E
-questo è strano: che gli avvenimenti, no; ma i luoghi e i personaggi
-che sogno, son sempre luoghi e personaggi che ho visti; il che non
-m'accade quando, addormentandomi, non metto l'immaginazione sulla via
-delle reminiscenze; poichè se chiudo gli occhi pensando a Sydney o a
-Batavia, vago poi, sognando, per tutta la terra, ed è facile che mi
-trovi a discorrere di politica, a un'ora dopo mezzanotte, con qualche
-defunto imperatore chinese. Quale è la ragione di questo? In che
-maniera la mente, errando fra le più bizzarre fantasie nel campo degli
-avvenimenti, rimane nello stesso tempo legata alla realtà geografica
-dei miei viaggi? Come mai in fatti di luoghi e di persone, non fo',
-sognando, che ricordarmi, e non vaneggio che in fatto di casi e di
-discorsi? Perchè questa costante distinzione? Sarà forse la centesima
-volta che mi rivolgo la stessa domanda, e per la centesima volta non
-ci so trovare altra risposta che voltar la testa sul cuscino da destra
-a sinistra, raccogliendo tutti i miei pensieri nel giardino del duca
-di Montpensier, il quale, da quanto sembra, dev'essere questa notte
-il punto di partenza d'un lungo pellegrinaggio, poichè mi torna e mi
-ritorna in mente con una ostinazione invincibile, e ormai vedo che
-m'addormenterò all'ombra degli aranci ducali. Sia almeno un viaggio
-allegro e tranquillo, che non m'accada, come altre volte, di svegliar
-mia madre con grida di spavento o sospiri di dolore.
-
-
-Com'ero entrato nel giardino del duca di Montpensier, del _Rey
-naranjero_, come lo chiamano in Spagna? Era probabilmente il mio
-borbonico amico Segovia che m'aveva fatto avere il permesso. Non me ne
-ricordo bene. Non ricordo nemmeno gran cosa del giardino. La più viva,
-anzi la sola rimembranza viva di quel luogo è la fontana a cui diedi
-il nome dei _cinque sensi_. Ah! veramente io posso dire d'aver passato
-là l'ora più deliziosamente sensuale del mio soggiorno a Siviglia. Era
-tra mezzogiorno e il tocco, splendeva un sole abbarbagliante e tirava
-un'arietta leggerissima. Io stavo seduto sull'erba all'ombra d'un
-gruppo d'allori accanto alla vasca d'una fontana, sotto i rami curvi
-d'un roseto; con una mano mi mettevo in bocca gli spicchi d'un arancio
-che stillava sugo a grandi goccie; coll'altra accarezzavo la gamba d'un
-putto di marmo finissimo che dalla bocca mi schizzava acqua diaccia
-rasente i capelli; le foglie delle rose, scosse dall'aria, mi cadevano
-sul petto; l'acqua limpida della vasca rifletteva come uno specchio
-il mio viso non turbato dall'ombra d'un pensiero; al disopra del verde
-cupo degli alberi, vedevo la terrazza bianca e arabescata d'una casetta
-di stile moresco; e più lontano l'enorme statua dorata della fede che
-girava fiammeggiando sulla sommità della Giralda nell'azzurro purissimo
-del cielo andaluso. — Ancora qualcosa per l'orecchio! — esclamai con un
-fremito di piacere. E un momento dopo sentii dietro gli allori, prima
-il rumore leggiero d'un rastrello, poi la voce fresca e sonora d'una
-ragazza, che cantava con un accento sivigliano pieno di dolcezza: — Io
-sono bella e tu hai vent'anni! — Allora ebbi un momento d'ebbrezza;
-aspirai una gran boccata d'aria, tuffai il viso nell'acqua, morsi
-insieme l'arancio e le rose, risi e mi ravvoltolai nell'erba come un
-bambino. Poi, a poco a poco, preso da un languore dolcissimo.... chiusi
-gli occhi.... e rimasi assopito....
-
-
-E tu mi hai svegliato, caro e crudele Parodi! E perchè? Le meraviglie
-del _Restaurant Blond_ valgono forse le delizie del giardino dei
-Montpensier? Ma bisogna esser giusti, e riconoscere che il signor
-Blond ci dà il più succoso brodo e il più saporito manzo di Parigi,
-e che è grazia di Dio l'aver per due lire questo pranzetto e questo
-spettacolo. Quale spettacolo! Venti tavolate d'affamati; una folla
-in movimento perpetuo, che parla in venti lingue diverse di mille
-cose assurde o sublimi; cercatori di fortuna d'ogni parte del mondo;
-giovanetti colle prime speranze, vecchi colle ultime; inventori di
-_sistemi_ e di _riforme universali_, pieni d'utopie e di debiti; grandi
-uomini senza senso comune; forse qualche grand'uomo davvero; qualche
-rompicollo oscuro, del quale fra tre mesi sarà recitata dieci volte la
-prima commedia al _Téàtre français_, e il suo nome correrà l'Europa;
-mezzani che ballano a un tanto per sera al Mabille o al Valentino:
-giocolieri di teatro che si mettono una spada nella gola fino all'elsa;
-giornalisti della macchia che ti piantano il pugnale nelle erni fino al
-manico; un bavarese che almanacca da dieci anni un favoloso progetto di
-rinnovamento sociale fondato sull'alleanza del Papa colla democrazia;
-un brasiliano che ha inventato dei romanzi armonici e odorosi, dalla
-copertina dei quali il lettore, giunto a certe pagine, fa uscire con
-una leggiera pressione del dito, un profumo e un'arietta d'occasione;
-un polacco che ha creato un genere di commedia da rappresentarsi, non
-sul palco scenico ma nella vita reale, o piuttosto un genere novo di
-vita da viversi in forma di commedia; un inglese che vuol ottenere
-dal Governo l'istituzione nelle Università della Francia d'un corso
-permanente di lezioni sull'_Arte di governare le donne_; l'inevitabile
-inventore della lingua universale; l'indispensabile regolatore
-della locomozione aerea; avanguardie mattamente audaci di tutte le
-scienze e di tutte le arti; tutte le deformità intellettuali che
-corrispondono alle deformità fisiche: menti sbilenche, ingegni gobbi
-e guerci, genî idropici, fantasie affette d'elefantiasi; giocatori,
-innamorati, bevitori d'assenzio, atei, fanatici, cinici; gente che
-s'ammazza a studiare e gente che si finisce nei bagordi; uomini che
-dormono sui tetti e giovani che dormono sotto gli alberi dei Campi
-Elisi; qualcuno matto d'allegrezza, qualche altro che si brucierà
-le cervella la settimana ventura; tutti in cerca di qualcuno: chi
-dell'editore, chi del mecenate, chi dell'impresario, chi di scolari,
-chi d'affigliati, chi di vittime, chi di complici; un'accozzaglia
-cosmopolitica che lavora, digiuna, farnetica, si dibatte sull'immenso
-lastrico di Parigi, per lasciar il nome alla posterità, o l'ambizione
-in carcere, o l'ingegno al manicomio, o il cadavere all'ospedale. Sì,
-caro Parodi, questo spettacolo è bizzarro, ma quest'aria mi soffoca;
-domani pranzeremo al _Passage des Princes_; ho anch'io i miei capricci
-di povero diavolo; ho bisogno ogni tanto di sdraiare la mia vanità
-in una sala dorata e di tuffare la mia miseria in un bicchiere di
-Champagne....
-
-
-..... Champagne? _Kellner_, Champagne al signore. — _Sie beschämen
-mich mit Ihren Höflichkeiten_, biondo capitano Schopper. Il vostro
-bastimento è un palazzo splendido e voi siete il re del Danubio. Oh
-la bellissima sera! Per le finestre aperte, di là dalle acque rosate
-del fiume, vedo fuggire la riva boscosa del Banato di Temesvar,
-e tra finestra e finestra, i grandi specchi incorniciati d'oro mi
-riflettono la campagna malinconica della Slavonia rischiarata dal
-tramonto del sole. E la fortuna m'ha messo dinanzi il più bel visetto
-e il più svelto corpicino ungherese che sia mai passato sul nuovo
-ponte di Pest. Signor Castelulù, recitatemi i versi sulla statua di
-Michaiù Vitézlù, io adoro la lingua rumena; e voi, capitano Schopper,
-soffiatemi nel viso un nuvoletto di fumo del vostro sigaro d'Avana.
-Alla tua salute, mio buon Mahmud Dejézaerli, gloria predestinata della
-pittura musulmana; buoni studi a Vienna, e che io ti rivegga fra dieci
-anni installato in una bella villetta sulla riva del Bosforo, accanto
-alla più bianca moschea di Bujukderé! Mi pare che qualcuno laggiù
-canti le lodi del Reno. Capitano Schopper, mandate quell'insolente a
-baloccarsi sul suo rigagnolo con una barchetta di carta, e insegnategli
-a rispettare il nostro immenso Danubio. Ah! voi ridete, capitano
-Schopper! ridete dell'effetto che mi fa il vostro Champagne, è vero?
-Ebbene....
-
-
-.... Ebbene, che è questo? Cosa accade qui? La riva della Slavonia
-è sparita, il cielo s'oscura, le acque s'agitano, il vento mugge,
-la sala splendida s'è cangiata in uno stambugio rischiarato da un
-lanternino, l'elegante capitano Schopper in un vecchio cencioso, la
-bella signorina ungherese in una povera contadina con due bimbi in
-braccio; e il bastimento rulla, beccheggia e scroscia spaventosamente
-mandando ogni cosa sossopra. — _No, no, señor Capitan_, per amor di
-Dio, per pietà delle mie due creaturine, non ci moviamo di qua, il mare
-è cattivo, può seguire una disgrazia, aspettiamo che faccia giorno,
-non passiamo il capo Trafalgar, ve ne scongiuro, non per me, per le
-mie povere creaturine! — Non posso, buona donna; _el capitan tiene sus
-obligaciones_: ci son cinque passeggieri che vanno in Africa; io debbo
-sbarcarli domattina all'alba a Algesira; non posso passar la notte
-a Trafalgar; bisogna tentar d'andare innanzi; seguirà quello che Dio
-vuole! — No! no! _señor Capitan!_ noi naufraghiamo! noi moriamo! i miei
-bambini! _Ave Maria purissima_, se n'è andato! Lei, signor italiano,
-per carità, vada lei, vada a supplicare il capitano che non si mova di
-qui, che non ci faccia morire! Dio mio! Dio mio! — Chetatevi, buona
-donna, vado io. Capitano! Dov'è il capitano? Non c'è modo di trovare
-questo capitano? È a prua! — È a poppa! — Passi di qui! — Scenda di
-là!...
-
-
-Di qua, di là! Che il malanno vi colga! Son tre ore che cammino e non
-mi sono ancora raccapezzato. Sarà ben sonata la mezzanotte. Ah! se me
-ne fossi rimasto nel mio piccolo albergo di Leicester-square, invece di
-venirmi a cacciare in questo labirinto fetido e oscuro! Dopo una strada
-un'altra strada, dopo una svolta un'altra svolta, e crocicchi dietro
-crocicchi, e case accanto a case, e non una porta aperta, non un lume a
-una finestra, non un _policeman_, non una voce umana, non il suono d'un
-passo, non un indizio di vita; null'altro che interminabili muraglie
-nere che si perdono nella nebbia, e un silenzio di città disabitata.
-Cammino, corro, divoro la via, e mi par sempre d'essere nello stesso
-luogo. Forse non faccio che girare e rigirare nelle medesime strade.
-Questo sospetto mi sgomenta e le forze cominciano a mancarmi. E poi....
-che serve ch'io lo nasconda a me stesso? Ho paura! paura d'essere
-assassinato, di cadere in una fogna, d'inciampare in un cadavere,
-di mettere i piedi in una pozza di sangue. Come son venuto qui? Dove
-sono? Sapessi almeno dove sono! Sono in White Chapel? a San Gilles?
-in Waping? Se fossi sicuro d'essere a Bethnal Green, per esempio,
-cercherei di trovare Mile end Road, e di là saprei andare alla torre di
-Londra; o se fossi in Seven Dials, potrei sperare di riuscire in Regen
-Street o d'infilare Piccadilly. Ma qui non so da che parte voltarmi,
-cammino a caso, come un pazzo. M'imbattessi anche in un branco di
-ladri, purchè incontrassi qualcuno! Questo silenzio sepolcrale mi
-gela il sangue. Dio mio! non domando che il rumore d'un passo o il
-latrato d'un cane! E un'altra strada, un'altra di queste interminabili
-e lugubri strade! Ah, io non vado più innanzi; in questa strada c'è
-qualcosa d'orrendo, ci son dei morti, le mie gambe tremano, il mio
-cuore si agghiaccia, la mia ragione si perde, io mi metto a gridare,
-io.... Che! Sei tu! Tu, mia amica! Tu, amor mio! Tu qui, a Londra! con
-me! Ma è un sogno! Ma parla! No! fuggimmo prima, qua la mano, coraggio,
-seguimi, vola.... Oh l'inesprimibile piacere! il vento ci porta, il
-cielo si rischiara, il sole ci batte in fronte, Londra è sparita, siamo
-sul mare, siam salvi!
-
-
-.... Dove siamo? Ah! tu mi domandi dove siamo, classichetta che tu
-sei, piena di greci e di romani, tu che diventi rossa a nominarti
-Pindaro, che piangi quando ti dico che un giorno faremo un viaggio
-nella Troade, tu che mi hai fatto diventar geloso di Annibale e
-prendere in tasca Catone, testolina imbottita di grandi nomi e di
-grandi versi! Ebbene. Questa volta sarai felice; ma devi indovinar tu
-dove siamo. Guarda questo cielo splendido, questo mare azzurro, questi
-colli cinerini, queste roccie nude, queste pietre sparse, e indovina.
-Ah, tu impallidisci! — Ebbene, non è la Troade. — No, non sono le
-rovine di Cartagine. — Nicea? Meno che mai, signorina. Cerchi, cerchi
-ancora, frughi nelle sue reminiscenze storiche, interroghi tutti i
-suoi desiderî classici. Ma sì, amica mia, sì! Atene! Atene! Atene!
-Siamo sull'Acropoli! Ah io sono pazzo della tua gioia! Qua, nelle mia
-braccia, ed ammira: quella è la costa orientale del Peloponneso, —
-più in qua l'isola di Salamina; — lì il Pireo, — là il Falereo, — a
-destra, su quel colle nudo, il tempio di Teseo, — su questa roccia,
-in direzione della mia mano, le rovine dell'Areopago; — qui sotto
-il teatro di Bacco, dove il tuo Eschilo e il tuo Sofocle facevano
-rappresentare le loro tragedie; — in fondo a quella gola, il tempio
-delle Eumenidi; — tu tremi, poverina, a sentir questi nomi; — ed ora,
-voltati: ecco le quarantasei colonne del Partenone, — e adesso alzati e
-fa pure qualche pazzia perchè le pietre su cui sei stata seduta finora
-sostenevano l'enorme Minerva Promacos di Fidia, la quale mostrava al
-cielo la punta della sua lancia dorata, la prima immagine della patria
-che rivedeva il navigatore ateniese, venendo dal capo Sunium. Ah! la
-mia cara classichina che piange!... Dov'è il nostro bambino? Era qui un
-momento fa. Zitta! Non t'inquietare; non può esser lontano; tu cercalo
-di qua, io lo cerco di là; si sarà nascosto nell'Erecteo; Checchino,
-dove sei? Checchino! Checchino!...
-
-
-.... Sentite, galantuomo: ho girato il mondo, e ho conosciuti molti
-buffoni; ma vi dico schiettamente che uno del vostro stampo l'avevo
-ancora da inciampare. Animo, via; il proverbio insegna che ogni bel
-gioco dura poco, il che vuol dire che un gioco stupido deve finire
-appena incominciato. Mettete giù il bambino che avete nella mano
-destra, che è mio, e quello che avete sulle spalle, e quello che avete
-sotto il braccio, e i tre che tenete nella cesta. Eh, dico, metteteli
-giù, o m'arrampico su per la vostra colonna, e vi scaravento in terra
-come un sacco di cenci. Vi paiono scherzi da fare codesti? O di dove
-siete sbucato, faccia patibolare? Chi siete? Come? Osereste? Ah!
-l'orribile mostro, che si mette in bocca la testa del mio bambino!
-Aiuto! A me, a me, Ateniesi! Sia lodato il Cielo, vien gente. O
-perchè tutti ridono? Che c'è da ridere, Ateniesi? È una vergogna
-che in una città colta e gentile come la vostra, si permetta a un
-mascalzone come costui di torturare i bambini in mezzo a una piazza
-pubblica. Rispondete dunque. A voi, cittadino, rendetemi conto voi di
-quest'infamie. Sentiamo! — _Eh, monsieur, vous êtes fou; vous n'êtes
-pas à Athènes, vous êtes dans la ville de Berne, devant la statue du
-mangeur d'enfants, devant la Kindlifresser-Brunnen, que tout le monde
-connait; regardez donc dans votre guide Bedeker, farçeur...._
-
-
-.... Statue! Berna! Son baie. A Berna non c'è questa campagna
-solitaria, nè questo cielo di zaffiro, nè questa immensa pace che mi
-penetra fino al più profondo dell'anima. Oh la mia bella Bulgaria!
-Belle roccie coniche, coronate di castelli muscosi, e tinte di rosa e
-di viola dai primi raggi del sole; belle colline vestite di macchie
-inestricabili che l'autunno ha screziate dei suoi mille colori
-pomposi e tristi; bruni villaggi mezzo sepolti nella terra, come per
-sottrarvi alla vista del minareto odioso che vi torreggia sul capo;
-vasti pascoli ondulati, immensi armenti, alti pastori dal grande saio
-e dal berretto velloso, curvi sopra le traccie dei cavalli dei lilas,
-che passarono or ora trascinando alle fortezze del Danubio i vostri
-fratelli incatenati; bel paese selvaggio e melanconico, bel popolo
-austero, silenzioso e dolce, io ti rispetto e ti amo! Sia maledetta
-la strada ferrata che m'ha rotto il filo delle fantasie. Ora convien
-scendere e asciugarsi a piedi una galleria d'un miglio e mezzo: cose
-che non seguono che in Turchia. Entriamo dunque nella tana. Ma stiamo
-stretti, signori, e badiamo di non perderci, perchè è buio fitto.
-Vorrei però sapere come fa a passare il treno per questo cunicolo largo
-due braccia. Mi spieghino loro questo miracolo, signo.... Non c'è più
-nessuno! Poh, peggio per loro. Io accendo il mio cerino e tiro innanzi
-tranquillamente.... Oh! che vuol dir questo? Qui non ci sono rotaie!
-Questa non è una galleria di strada ferrata! Questo è un corridoio! I
-muri son segnati di croci e d'iscrizioni.... spagnuole! Oh l'orribile
-cosa! I sotterranei dell'Escuriale!...
-
-
-.... È stato un momento di debolezza; la preghiera m'ha ridato
-coraggio; andiamo innanzi; troverò un'uscita; Dio m'assisterà; il tutto
-è di riuscire a un cortile. Mi trema il cuore però. Mi spaventa questo
-corridoio sterminato. Questo corridoio non c'era la prima volta che
-venni al convento. E questo rumore.... che non è quel del mio passo!
-Ah! mi si rizzano i capelli! No, un momento, un po' di riflessione:
-questo è il suono del mio passo; infatti se io mi fermo.... Gran Dio!
-suona ancora! Io divento pazzo! Ma dove suona dunque? Non certo davanti
-a me, perchè mi metto a correre e lo sento sempre alla stessa distanza;
-nemmeno di dietro, perchè se mi fermo, non mi raggiunge; e sopra la
-vôlta non può essere, perchè non lo sentirei così distinto; sotto, è
-impossibile. Dov'è dunque? Ho sognato? Eppure no, lo sento, lo sento
-vicino a me, monotono, ostinato, sinistro. Questo non è uno spettro,
-questo è un frate, un prete, un custode che vuol farmi incanutire dal
-terrore. Oh! ma la rabbia che mi divora è anche più forte del terrore.
-Questo sconosciuto aguzzino mi è anche più odioso che terribile. O tu
-che mi cammini davanti, o dietro, o accanto, o sopra, o sotto, chiunque
-tu sia, sei un miserabile che disprezzo e sbeffeggio; e ti sfido a
-comparirmi davanti! E se non compari, ti dico che sei un vigliacco e
-ti sputo nel viso; e se fosti anche Filippo II, in carne ed ossa, colla
-corona e colla spada, io ti giuro che non ho paura di te, e ti comando
-di farmiti dinanzi, perchè possa piantarti nel cuore un palmo del mio
-pugnale marocchino, e rimandarti a marcire colla tua stupida prosapia
-sotto l'altar maggiore di San Lorenzo! — Nessuna risposta, e il passo
-continua a risuonare vicino a me, lento, cadenzato, implacabile! Io
-divento furioso! Avanti, avvicinati, dimmi da che parte sei, vieni a
-portata della mia mano, chè io mi possa liberare da questa tortura!
-Sei dentro al muro? Ebbene, guarda, io lo percoto coi pugni e coi
-calci, io lo raschio col pugnale, lo sgretolo colle unghie, lo rigo col
-mio sangue. Fuori! fuori! fuori! — E nessuno risponde, e sempre alla
-medesima distanza, quel passo misurato, sonoro, lugubre come il picchio
-d'un martello sopra una bara! Ah questo è troppo, non posso più, ho
-paura, è un sogno che m'uccide, svegliatemi, svegliatemi!....
-
-
-..... Dev'essere il barcarolo che m'ha svegliato con una pedata in
-un fianco. Dove andiamo? La campagna è tutta piana e velata dalla
-pioggia come da una nebbia; si vede confusamente qualche mulino a
-vento e qualche campanile; il canale è largo e colmo; mi pare che
-si debba essere tra Leuwarden e Dokkum. Non si starebbe mica male
-tappati in questo _trekschuit_ piccino e tepido, con un libro in mano
-e colla pipa in bocca; ma bisognerebbe buttar fuori questi diciassette
-bimbi paffuti, che mi premono da tutte le parti, e questo donnone,
-questo faccione di luna in quintadecima, questa sorella carnale della
-_Veneranda_, che mi fa gli occhi soavi parlando a fior di labbra. E
-bisogna dire che di questi diciassette marmocchi, le sia molto piaciuto
-il primo, poichè l'ha ristampato sedici volte senza correzioni, e
-tutti portano l'impronta netta della beata melensaggine della mamma. Oh
-questa è Olanda davvero! E chi sarà quel capo matto che ha rovesciato
-sui Paesi Bassi questa valanga di putti? e com'è possibile che questa
-madre d'un popolo, abbia ancora dei grilli per la testa? E mi tocca
-i piedi! Tocca? Pesta, per Giove! Avete una maniera un po' troppo
-vigorosa di manifestare le vostre simpatie, signora mia.... vorrei
-dirle. Che cosa dite? Eh? Io? Ma voi siete pazza. Io vostro marito?
-Io v'ho sposata davanti al borgomastro di Dokkum? Questi diciassette
-bimbi son.... nostri? Voi avete il contratto matrimoniale? Ah! la mia
-memoria si rischiara.... Ma dunque è vero! Dunque finora io ho sognato!
-Non v'inquietate, moglie mia: apro la finestra e metto la testa fuori
-per pigliare una boccata d'aria; — vi amo più della vita; — metto
-fuori anche il busto; — v'adoro; — mi sporgo ancora un po' innanzi; —
-lasciatemi appoggiare il piede sulla seggiola; — così, amor mio; — ed
-ora tu, Dio pietoso, accogli il mio spirito, e voi, acque dell'Olanda,
-il mio corpo!... Dannazione eterna! Chi mi trattiene?
-
-
-.... _Caballero_, ci perdoni se l'abbiamo tirato indietro così
-bruscamente; siamo guardie civili, dobbiamo obbedire agli ordini; è
-proibito ai viaggiatori di metter la testa fuori del finestrino dei
-vagoni; potrebbe seguire una disgrazia; ci son Carlisti da ogni parte;
-ieri erano a Calatayud; avanti ieri scorrazzavano intorno a Siguenza;
-non per nulla ci hanno messi cinque per vagone, armati fino ai denti;
-non s'appoggi sui fucili: son carichi. — E sta bene! E anche questo
-è un bel modo di viaggiare! Due facili carichi dinanzi, due fucili
-carichi di dietro, un pistolone rasente il ginocchio, il manico d'una
-daga contro il fianco, e sei cinghie di zaino che mi spenzolano sulle
-spalle; e se m'affaccio al finestrino, una palla cilindro-conica
-nel cranio; e tutte queste dolcezze, per andare al Marocco. Povera
-Spagna! Quanto la ritrovo mutata! La campagna, deserta, i villaggi
-barricati, le stazioni della strada ferrata arse, diroccate, circondate
-di parapetti e di fossi; per tutto gruppi di contadini oziosi e
-di soldati stanchi; tende, sentinelle, cavalli rifiniti, traccie
-d'accampamenti, case affumicate, miseria. Non sembra però che i miei
-compagni di viaggio si diano gran pensiero di questo sottosopra. Vedo
-là due sposi che colombeggiano; qui un operaio brillo che fa delle
-proposte di matrimonio a una vecchia contadina aragonese; più in là
-cinque scamiciati che giocano alle carte; un ufficiale dei cacciatori
-che canta, un postiglione castigliano che trinca, e un vecchio parroco
-di campagna che stabacca voluttuosamente fra un periodo e l'altro
-dell'_España católica_. Allegri, figliuoli, e che Dio vi conservi. Ora
-canta anche il postiglione, l'operaio gli fa eco, i cinque scamiciati
-entrano nel coro; come, come, anche loro, le signore guardie? Ma, e la
-_consegna_? E la disciplina? E i Carlisti? Oh che bel paese di matti!
-Il carnovale in mezzo alla guerra civile. Ma bene! Viva la.... darei
-un buffetto sul naso a quei due sposi, che si guardano nel bianco
-degli occhi. Corpo di Carlo V! Non c'è peggior supplizio per un povero
-viaggiatore, che di dover assistere a queste fanciullaggini! Smettiamo
-dunque; il vagone non è un'alcova, che diavolo!
-
-
-.... E un'altra coppia, — e un'altra, — e un'altra. Eccomi qui in
-piena Arcadia. Ora mi dovrò asciugare quest'uggioso spettacolo fino
-a Colonia. Già non ci dovevo venire. Me l'avevano detto che questi
-scellerati piroscafi del Reno, in autunno, sono il nido galleggiante di
-tutti gli amori nuziali del Belgio, dell'Olanda, della Svizzera tedesca
-e dei paesi delle due rive. Eccole qui, tutte queste bionde sdolcinate
-e scarmigliate, che alzano gli occhi al cielo e lasciano ricadere la
-testa. Ecco gli sguardi velati, le strette di mano furtive, i baci
-mandati col ventaglio, le toccatine di piede, i bisbigli, i languori,
-le sciocchezze infinite che cinquanta maledetti notari tabaccosi hanno
-legittimate pel mio malanno. Quella belga fraschetta! Quella magontina
-petulante! Questa lussemburghese ipocrita che nasconde coll'_Allgemeine
-Zeitung_ il braccio di suo marito! Le sfrontate! Gli ufficiali
-tedeschi salutano il piroscafo dalle terrazze delle ville, le chiese
-gotiche specchiano le loro guglie cesellate nelle acque, i vecchi
-castelli disegnano le loro gigantesche forme nere sul cielo, passa
-la roccia di Coblenza, sparisce la rovina di Hammerstein, si nasconde
-dietro ai monti lo splendido castello di Rheineck, si dileguano come
-sette nuvole enormi le Sette Montagne; e loro non vedono nulla! e
-continuano a bamboleggiare colla punta delle dita e colla punta dei
-piedi, stupidamente sicuri di non esser visti, come se fossimo tutti
-addormentati, orbi, o cretini.... Eppure se tutte queste sciocchezze
-non si facessero, non avrei trovato, le sere dei giorni di festa, nei
-giardini d'Anversa e nei viali di Basilea, una folla d'angioletti
-coi capelli d'oro, che mi scacciarono dal capo le idee nere, e mi
-riempirono il cuore di dolcezza! Ah! io sono un ingrato! Ebbene, sì,
-sorridete, guardatevi, amatevi, parlatevi nell'orecchio, giocate colle
-punte dei piedi, godete, inebbriatevi, scordatevi di noi e del Reno e
-dell'universo! purchè vengano gli angioletti coi capelli d'oro....
-
-
-.... Eccoli qui! Una folla di bimbi e di bambine che invadono il
-_Prater_ di Vienna, sparpagliandosi in mezzo agli alberi sfrondati, per
-i viali coperti di foglie gialle. L'autunno s'è cangiato a un tratto in
-primavera; l'aria grigia s'è riempita di fragranze e risuona di voci
-armoniose, e tutto spira freschezza e allegria. A gruppi, a schiere,
-a circoli, a stormi, vanno e vengono, come un nuvolo d'uccelletti e di
-farfalle; e rendono l'immagine d'un grande giardino di rose e di gigli
-vivi, che da sè stessi intreccino e disfacciano rapidamente mazzi,
-corone e ghirlande palpitanti e sonore. Ciarpe scozzesi e pelliccie
-russe, giubbette ungheresi e berrette polacche, penne purpuree,
-riccioli biondi e nastri azzurri, ondeggiano e si confondono in mezzo
-ai cerchi, alle carrozzine, alle racchette, ai cervi volanti, ai
-palloncini color di rosa. Tutto ride, tutto brilla, tutto splende,
-tutto tripudia, e un senso divino di giovinezza e di speranza invade
-l'anima mia. Siate benedetti, o bei fiori appena sbocciati della razza
-umana! Benedetti i vostri visi rosei, benedetti i vostri capelli di
-seta, benedette le vostre gambettine nude, benedetti i vostri giochi,
-la vostra gioia, la vostra innocenza, le vostre famiglie, la vostra
-vita! Io v'adoro, creaturine! Venite, accorrete intorno a me, fatemi
-fare qualche cosa, fatevi servire, imponetemi i vostri capricci,
-divertitevi di me! Volete picchiarmi? Volete farmi l'urlata? Volete
-saltarmi a piedi giunti? Volete ch'io vi porti sulle spalle? Volete
-che m'arrampichi sopra un albero, per farvi ridere? Se mi rompessi la
-testa, voi dite. E che m'importa di rompermi la testa per voi! Animo,
-sull'albero. Sono già molto alto, non è vero? Ma salirò ancora. Così?
-— Noch! — Così? — _Immer noch!_ — Ma volete dunque ch'io salga fino....
-
-
-.... Oh l'incantevole panorama! Un golfo coperto di navi, due mari
-che si congiungono, tre città che s'abbracciano, l'Europa e l'Asia
-che si guardano, mille minareti e mille cupole, in mezzo a migliaia
-di chioschi, di bazar, di bagni, di terrazze, d'acquedotti, dentro
-a una corona immensa di giardini e di boschi; e in ogni parte una
-folla variopinta e innumerevole che sale e scende per venti colline
-e venti porti, in mezzo ai cipressi, alle fontane e alle tombe; e su
-tutto questo il cielo d'Oriente! Oh com'è bello, splendido e grande!
-Io non credevo che una così meravigliosa bellezza si potesse vedere
-sulla terra altro che in sogno. Ora comprendo il musulmano moribondo
-che dice: — portatemi alla finestra. — Vi comprendo, poeti che avete
-spezzata la penna, pittori che avete lacerato la tela, scienziati che
-avete perduta la flemma, mercanti che avete balbettato dei versi,
-fanciulle che avete gettato un grido e abbracciato vostra madre,
-gente d'ogni paese e d'ogni tempra, che vi siete sentiti rimescolare
-il sangue e inumidire gli occhi davanti a questa visione di paradiso!
-Oh se potessi portar qui tutto quello che amo, e viver qui, a questa
-sublime altezza, su questa terrazza aerea salutata dal primo e
-dall'ultimo raggio del sole! Custode, non mi seccate. — Faccio il
-mio dovere, _captàn_. Tutta Costantinopoli sa che il nostro signore e
-padrone Abdul Aziz, che Allà protegga e conservi, non vuole che nessuna
-fronte umana si alzi sopra l'ultimo parapetto della torre del Seraskir.
-Fammi dunque il favore di abbassare la testa. — Lasciami in pace, ti do
-cinque lire franche. — Abbassa la testa, _captàn_. — Ti do due scudi
-franchi. — Abbassa la testa, _captàn_! — Ti do un napoleone d'oro,
-che tua moglie diventi sterile e gli uccelli del cielo insudicino la
-tua barba! S'è mai visto un mulo di turco più mulo di costui? Siamo
-d'accordo?
-
-
-.... _D'accord, monsieur, d'accord. Donnez moi le napoleon et voici
-la chaise._ — Sta bene; ma aiutatemi a salire, perchè è buio fitto,
-e sostenetemi di dietro perchè la folla ondeggia. Ed ora dove devo
-guardare? — Al di là della Senna, signore. — Ah! un fascio di raggi
-bianchi ha illuminato per un momento un mare di teste nel Campo di
-Marte. Ora dalla riva in faccia s'alza e s'allarga un nembo di foco che
-vien giù a schizzi, a sprazzi, a pioggioline, a cascatelle splendide
-in forma di fiori, di pagliole, di stelle, di fiocchi, d'anelli, e
-produce nelle acque un tremolío di riflessi, un turbinío di scintille,
-un lampeggiamento di colori, che par che la Senna travolga perle,
-cristalli e vezzi d'oro. Intanto dal ponte, dalle case, dalla riva
-destra si spandono torrenti di luce che colorano via via di verde
-smeraldo, di giallo sulfureo e di rosso sanguigno le sponde, la folla,
-l'altura del Trocadero, il padiglione dello Scià; cento cannoni tonano,
-cento musiche echeggiano, e l'immensa voce della moltitudine empie
-il cielo come il muggito d'un oceano. A un tratto, tutto si spegne,
-tutto tace, e la folla, immersa daccapo nelle tenebre, volta le sue
-trecentomila teste a monte della Senna. L'incendio di Parigi comincia.
-Vampe di luce indiana e fasci di luce elettrica vibrati tutt'insieme da
-mille punti, illuminano tutte le sommità dei più alti edifizî. I tetti
-delle Tuilleries sfolgorano come piramidi di carbonchio, la cupola del
-Panteon è di bragia, il palazzo dell'Industria è d'argento percosso
-dal sole, il palazzo degli Invalidi è verde acceso, la torre di San
-Giacomo, la colonna di Grenelle, la scuola militare, San Sulpizio,
-Nostra Signora di Parigi mostrano i loro grandiosi contorni segnati di
-foco, le loro cime coronate d'aureole e velate di fumo luminoso, e il
-cielo appare colorato qua e là d'aurore e di tramonti di soli ignoti; e
-infine una miriade di razzi scoppia da un capo all'altro di Parigi con
-un fragore formidabile, e si risolve in una immensa pioggia silenziosa
-di fiori ardenti, accompagnata da un grido universale d'allegrezza
-infantile....
-
-
-.... Vera allegrezza infantile! Lasciate stare codeste fanciullaggini,
-e pensate alla morte! — Ah! siete voi, signor Danmann? — Son io, il
-vecchio e uggioso filosofo danese, che vi sermoneggia in fondo a una
-carrozza, tra Turnu-Severin e Palanka, un'ora prima del levar del sole;
-distogliendo voi, stizzito, (perchè vedo che vi stizzite) dal cercare
-cogli occhi fra le capanne e le siepi, a traverso la nebbia, le incerte
-forme bianche delle contadine valacche. Lasciatemi dunque finire il
-discorso. Vi voglio ripetere il mio consiglio, un buon consiglio per
-la pace della vostra vita. Pensate tutti i giorni, e lungo tempo alla
-morte; ma sprofondatevi in questo pensiero e chiudetevi in esso come
-in una tomba, giovandovi di tutta la forza della vostra immaginazione.
-Raffigurate voi a voi stesso, colto da una malattia mortale —,
-moribondo —, morto; stampatevi bene in mente l'aspetto del vostro
-cadavere; osservate ogni movimento degli uomini che vi stendono nella
-cassa, che inchiodano il coperchio, che vi portan via; — guardate a
-traverso le assicelle la città affaccendata ed allegra; — sentite il
-freddo della fossa in cui vi calano —; udite il rumore della terra
-che vi gettano sul capo; immaginatevi là solo, immobile, scheletrito,
-orrendo, e meditate senza staccar gli occhi da quell'orrore. Ebbene,
-credete a me: chi non ne ha fatto esperimento, non può concepire il
-grande e salutare cangiamento che produce questa meditazione funebre
-di tutti i giorni nella nostra maniera di vedere e di sentire il mondo
-e la vita. La nostra sventura è quel sentimento vago d'immortalità
-terrena, il quale ci fa vedere tutte le cose che ne circondano, più
-grandi e più importanti di quello che sono; onde più grandi i dolori,
-e anche le gioie, perchè sproporzionatamente maggiori delle cause,
-sorgenti di tristezza. Ma l'abitudine del pensiero della morte,
-ravvivando continuamente il sentimento della precarietà d'ogni cosa,
-ci presenta tutto ridotto alle sue proporzioni reali, e restituisce
-così l'equilibrio tra noi ed il vero, e coll'equilibrio la pace, e
-colla pace un misurato e più sicuro godimento della vita. Provate e
-rimarrete meravigliato, amico mio, vedendo come fuggiranno da voi tutti
-i piccoli sentimenti ignobili, tutti quei piccoli dolori senza cagione,
-quella turba miserabile d'irucole, d'invidiole, d'ambizioncelle, di
-dispetti, di crucci, che rode sordamente l'anima umana, e la rende
-più infelice che non le grandi sventure. Provate: in ogni vostra piaga
-morale versate prontamente questo pensiero, come versereste un balsamo
-in una piaga del corpo. Ogni volta che v'assale l'orgoglio, osservate
-le vene della vostra mano, tastate le vostre costole, trattenete
-per qualche momento il respiro, e sentendo così improvvisamente
-la debolezza della vostra vita, tornerete umile. Quando qualcuno
-v'offende, rappresentatevi alla mente il suo scheletro, tutte le più
-minute parti del suo fragile organismo, un vaso sanguigno del suo capo
-che, rompendosi, lo può rendere da un momento all'altro forsennato o
-cadavere; e perdonerete. Abituatevi a vedere in ogni uomo un moribondo;
-nello spettacolo della natura un quadro fantasmagorico che brilla e
-svanisce; in tutti i beni della terra, il bene d'un momento, che un
-raffreddore vi può togliere; abituatevi a sentirvi morire, fatevi del
-pensiero della morte un sostegno, un rifugio; e non temete ch'esso vi
-stanchi della vita, e vi renda freddo agli affetti e al lavoro, chè
-anzi ogni vostro affetto si colorerà d'una mestizia divina, e si farà
-più profondo. Ah! con che delirio d'amore bacerete la vostra amante,
-pensando che con una stretta delle braccia potreste slanciare la sua
-anima nell'eternità e il suo corpo nella tomba! E il vostro lavoro sarà
-più fecondo, perchè stando quasi colla vostra mente fuori della vita,
-contemplerete gli uomini e le cose dall'alto, coll'anima più quieta
-e coll'occhio più sereno. Eccoci a Palanca; qui dobbiamo separarci;
-ricordatevi i consigli del vecchio Danmann, e addio. — Permettetemi
-d'abbracciarvi, signore. — A me figliuolo. — .... Gran Dio! Voi non
-siete Danmann, voi non siete vivo! Voi siete di bronzo!...
-
-
-.... Una statua. Ah, riconosco le tue sembianze, o potente e caro
-agitatore della mia giovinezza. In quest'aspetto io ti vedevo apparire
-come un fantasma luminoso, sulla soglia della mia stanza, quando a
-tarda notte alzavo dai tuoi libri il volto trasfigurato. Così vedevo
-codesta fronte, che porta la traccia delle battaglie ardenti e perpetue
-della tua mente; così tutta la tua nobile figura, che pareva sempre
-naturalmente atteggiata sul piedestallo che ora ti sorregge, «_tutto
-altero e grandioso, fuor che gli occhi, che son dolci_.» Ti riconosco;
-sei tu «che t'avanzavi come un conquistatore nell'eterno dominio del
-vero, del bene, del bello, lasciando dietro di te, vaga apparenza, la
-volgarità che tutti c'incatena;» tu il profondo e sottile investigatore
-del cuore umano, l'instancabile rimestatore di problemi, poeta della
-libertà e dell'amore, scultore di tiranni e d'eroi, pittore di vergini
-e di banditi, glorificatore di schiavi e di martiri; tu «il _vero
-uomo_» tu «il giovane eterno» tu che eri ad ogni otto giorni «un essere
-novo e più vicino alla perfezione;» ingegno tremendo e gentile, anima
-eccelsa e semplice, uomo grande dinanzi alla patria, grande in seno
-alla famiglia, grande nella lotta contro te stesso e contro la morte!
-Sei tu, dunque? Oh! permetti all'ultimo dei tuoi devoti, a uno che,
-te vivo, avrebbe attraversato l'Europa per andar a gridare sotto le
-finestre della tua casa che tu sei grande e che ti ama, permettigli
-di mettere per un istante sotto la tua mano di bronzo la sua fronte
-infocata, come farebbe per chiedere la benedizione d'un Dio.
-
-
-.... Chi profana il nome di Dio? Non c'è altro Dio che Allà e Maometto
-è il suo profeta. Ascari, caricate di catene questo miserabile che si
-prostra ai piedi d'un idolo di bronzo. — Tu vaneggi, Kaid! Questa è
-la statua di Federico Schiller e io sono nella città di Magonza. — Tu
-menti, Nazareno! Questo è il simulacro d'un Dio bugiardo e tu sei nel
-palazzo imperiale di Fez. — Un momento, in nome di Dio! Abbassate le
-spade: io domando di parlare al Sultano! — Voltati indietro e atterra
-la fronte: egli s'avanza.... — Ah! Mulei-el-Hassen, i ministri,
-la corte! Sia ringraziato il Cielo, son salvo! Mulei! Maestà! Sono
-accusato d'idolatria, sono innocente, io non riconosco e non adoro che
-il vero Iddio, Signore dei mondi, immensamente misericordioso. Voi non
-mi farete morire. Mi dovete riconoscere. Venni qui con un'ambasciata.
-Voi montavate un cavallo bardato di verde, e avevate la cappa bianca e
-il cappuccio sul turbante; eravate bello e gentile, Mulei, e i vostri
-occhi eran pieni di dolcezza. Indietro dunque colle vostre spade,
-soldati! la mia vita è nelle mani del vostro Signore. Mulei, voi siete
-giusto e buono; io son lontano dalla mia patria, solo, senza difesa;
-son giovane, sono amato, ho bisogno di vivere, pronunziate una parola,
-fate un cenno, sorridete, guardatemi! Oh, voi vi movete a pietà, Mulei;
-la vostra fronte si rasserena, le vostre labbra si schiudono; una
-parola, dunque, una sola parola! Fate almeno allontanar queste spade
-che mi balenano sugli occhi. Ma scotetevi una volta, principe senza
-cuore! Non vedete, per Dio! che son già tutto intriso di sangue....?
-
-
-.... È mio sangue, signor tenente; son io che l'ho macchiato; lei non è
-ferito; la palla è toccata a me.... in un fianco; non vada via, signor
-tenente; stia qui accanto a me; io sento che la vita m'abbandona;
-m'aiuti o morire. — Ma che morire, figliuol mio! Perchè parli di
-morire? La tua ferita non è grave; fatti coraggio; appoggiati qui alla
-sponda del fosso; mettimi la testa sul braccio; così; ora ti sbottono
-il cappotto; a momenti capiterà qui il medico; non ti perder d'animo,
-via; vedrai che per questa volta ci si mette ancora una toppa. — Ah,
-no, signor tenente! Questa volta è finita.... Sento che è finita....
-Mi si velano gli occhi.... Addio! addio, mio buon uffiziale! addio,
-mia buona madre! addio a tutti! — Morto!... Forse il suo cuore batte
-ancora. Ah! non batte più. Povero ragazzo! Egli non poteva avere più
-di ventidue anni. Ecco un taccuino, una lettera diretta a suo padre;
-_al signor Pietro Caretti, contadino_. Contadino! _Fiesole, presso
-Firenze._ Un biglietto da due lire: la sua paga degli ultimi cinque
-giorni. Il ritratto d'una vecchia: sua madre. Un anellino di capelli
-neri: la sua amante. Ecco tutto il suo passato e tutto il suo avvenire,
-sommersi in una pozza di sangue; tutto il suo piccolo mondo, frantumato
-da un pezzetto di piombo; affetti, promesse, disegni, speranze, tutto
-finito! E da chi? Da qualche altro ragazzo che è laggiù in quei campi,
-dietro quei nuvoli di fumo, e che forse ha anch'egli sul cuore un
-ritratto e una lettera.... ma quella lettera è scritta in tedesco!
-Ecco perchè un dei due si è pigliato una palla nel fianco.... — Avanti!
-avanti! — Ma come, dove avanti, signor maggiore? Dobbiamo arrampicarci
-su per questo muro? È impossibile! — Avanti a ogni modo! Aggrappatevi
-all'erba e all'edera, laceratevi il viso e le mani; ma salite! —
-Saliamo dunque.... Me se non si può! l'edera cede e si rompe! — Ma come
-si rompe! Se è marmo!
-
-
-.... Marmo? E infatti le mie mani stringono due colonnette; il mio
-piede destro posa sulla testa d'un santo; il mio piede sinistro, sulla
-groppa d'un leoncino, e sulla mia testa, s'alza una finestrina a sesto
-acuto; io m'arrampico su per un delicatissimo monumento d'architettura
-gotica, tutto rilievi e trafori, e pieno d'aria e di luce; e giù sotto
-di me, vi sono altre colonnette, altri santi, altri ricami di marmo;
-e ancora più sotto.... Dio eterno! Io sono a un'altezza prodigiosa,
-sulla guglia estrema del campanile della cattedrale di Strasburgo!
-Vedo Wissemburg, la montagna del Geisberg, il Reno, la foresta nera,
-l'Eichelberg, la valle della Murg! Sono sospeso tra il cielo e la
-terra! Ah! purchè riesca a cacciare la testa nel finestrino! Coraggio.
-— Su — adagio adagio — di statuetta in statuetta — di rilievo in
-rilievo.... Ma questo vento che mi caccia i capelli negli occhi! Questo
-immenso vuoto che mi circonda! Queste colonnette sottili come verghe
-di salice! Queste teste di santo grosse come una noce! Ah, il coraggio
-m'abbandona! Le mie mani tremano, i miei piedi scivolano, le colonne si
-muovono, i santi vacillano, i rilievi si staccano, il terrore m'invade,
-l'abisso mi attira, la vertigine m'accieca! Ah l'orrenda morte! Oh
-madre mia! Aiuto! Io precipito....
-
-
-Cos'è stato? Mi son svegliato con un grido? Chi mi chiama? Ah, la voce
-di mia madre nell'altra stanza. Che dici?
-
-— Ti dico quello che t'ho già detto tante volte, figlio mio: di non
-dormire mai sul fianco sinistro.
-
-
- FINE.
-
-
-
-
-INDICE
-
-
- PAG.
-
- La mia padrona di casa 7
- Scoraggiamenti 19
- Ritratto d'un'ordinanza 45
- Battaglie di tavolino 55
- Un incontro 77
- Emilio Castelar 91
- Un caro Pedante 109
- Una visita ad Alessandro Manzoni 119
- La lettura del Vocabolario 135
- Appunti 147
- Una parola nuova 191
- Consigli 201
- Il vivente linguaggio della Toscana 211
- Quello che si può imparare a Firenze 235
- Un bel parlatore 245
- Dall'album d'un Padre 253
- Sopra una culla 275
- Giovanni Ruffini 283
- L'amore dei libri 297
- Manuel Menendez (racconto) 307
- In sogno 341
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-
-
-
-
-End of the Project Gutenberg EBook of Pagine sparse, by Edmondo De Amicis
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE ***
-
-***** This file should be named 50806-0.txt or 50806-0.zip *****
-This and all associated files of various formats will be found in:
- http://www.gutenberg.org/5/0/8/0/50806/
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-Updated editions will replace the previous one--the old editions will
-be renamed.
-
-Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright
-law means that no one owns a United States copyright in these works,
-so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United
-States without permission and without paying copyright
-royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part
-of this license, apply to copying and distributing Project
-Gutenberg-tm electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG-tm
-concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark,
-and may not be used if you charge for the eBooks, unless you receive
-specific permission. If you do not charge anything for copies of this
-eBook, complying with the rules is very easy. You may use this eBook
-for nearly any purpose such as creation of derivative works, reports,
-performances and research. They may be modified and printed and given
-away--you may do practically ANYTHING in the United States with eBooks
-not protected by U.S. copyright law. Redistribution is subject to the
-trademark license, especially commercial redistribution.
-
-START: FULL LICENSE
-
-THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE
-PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK
-
-To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free
-distribution of electronic works, by using or distributing this work
-(or any other work associated in any way with the phrase "Project
-Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full
-Project Gutenberg-tm License available with this file or online at
-www.gutenberg.org/license.
-
-Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project
-Gutenberg-tm electronic works
-
-1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm
-electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to
-and accept all the terms of this license and intellectual property
-(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all
-the terms of this agreement, you must cease using and return or
-destroy all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your
-possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a
-Project Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound
-by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the
-person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph
-1.E.8.
-
-1.B. "Project Gutenberg" is a registered trademark. It may only be
-used on or associated in any way with an electronic work by people who
-agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few
-things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works
-even without complying with the full terms of this agreement. See
-paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project
-Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this
-agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm
-electronic works. See paragraph 1.E below.
-
-1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the
-Foundation" or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection
-of Project Gutenberg-tm electronic works. Nearly all the individual
-works in the collection are in the public domain in the United
-States. If an individual work is unprotected by copyright law in the
-United States and you are located in the United States, we do not
-claim a right to prevent you from copying, distributing, performing,
-displaying or creating derivative works based on the work as long as
-all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope
-that you will support the Project Gutenberg-tm mission of promoting
-free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg-tm
-works in compliance with the terms of this agreement for keeping the
-Project Gutenberg-tm name associated with the work. You can easily
-comply with the terms of this agreement by keeping this work in the
-same format with its attached full Project Gutenberg-tm License when
-you share it without charge with others.
-
-1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern
-what you can do with this work. Copyright laws in most countries are
-in a constant state of change. If you are outside the United States,
-check the laws of your country in addition to the terms of this
-agreement before downloading, copying, displaying, performing,
-distributing or creating derivative works based on this work or any
-other Project Gutenberg-tm work. The Foundation makes no
-representations concerning the copyright status of any work in any
-country outside the United States.
-
-1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg:
-
-1.E.1. The following sentence, with active links to, or other
-immediate access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear
-prominently whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work
-on which the phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the
-phrase "Project Gutenberg" is associated) is accessed, displayed,
-performed, viewed, copied or distributed:
-
- This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
- most other parts of the world at no cost and with almost no
- restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it
- under the terms of the Project Gutenberg License included with this
- eBook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the
- United States, you'll have to check the laws of the country where you
- are located before using this ebook.
-
-1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is
-derived from texts not protected by U.S. copyright law (does not
-contain a notice indicating that it is posted with permission of the
-copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in
-the United States without paying any fees or charges. If you are
-redistributing or providing access to a work with the phrase "Project
-Gutenberg" associated with or appearing on the work, you must comply
-either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or
-obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg-tm
-trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9.
-
-1.E.3. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted
-with the permission of the copyright holder, your use and distribution
-must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any
-additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms
-will be linked to the Project Gutenberg-tm License for all works
-posted with the permission of the copyright holder found at the
-beginning of this work.
-
-1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm
-License terms from this work, or any files containing a part of this
-work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.
-
-1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this
-electronic work, or any part of this electronic work, without
-prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with
-active links or immediate access to the full terms of the Project
-Gutenberg-tm License.
-
-1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary,
-compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including
-any word processing or hypertext form. However, if you provide access
-to or distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format
-other than "Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official
-version posted on the official Project Gutenberg-tm web site
-(www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense
-to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means
-of obtaining a copy upon request, of the work in its original "Plain
-Vanilla ASCII" or other form. Any alternate format must include the
-full Project Gutenberg-tm License as specified in paragraph 1.E.1.
-
-1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,
-performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works
-unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.
-
-1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing
-access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works
-provided that
-
-* You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from
- the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method
- you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed
- to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he has
- agreed to donate royalties under this paragraph to the Project
- Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid
- within 60 days following each date on which you prepare (or are
- legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty
- payments should be clearly marked as such and sent to the Project
- Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in
- Section 4, "Information about donations to the Project Gutenberg
- Literary Archive Foundation."
-
-* You provide a full refund of any money paid by a user who notifies
- you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
- does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm
- License. You must require such a user to return or destroy all
- copies of the works possessed in a physical medium and discontinue
- all use of and all access to other copies of Project Gutenberg-tm
- works.
-
-* You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of
- any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the
- electronic work is discovered and reported to you within 90 days of
- receipt of the work.
-
-* You comply with all other terms of this agreement for free
- distribution of Project Gutenberg-tm works.
-
-1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project
-Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than
-are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing
-from both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and The
-Project Gutenberg Trademark LLC, the owner of the Project Gutenberg-tm
-trademark. Contact the Foundation as set forth in Section 3 below.
-
-1.F.
-
-1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
-effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
-works not protected by U.S. copyright law in creating the Project
-Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm
-electronic works, and the medium on which they may be stored, may
-contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate
-or corrupt data, transcription errors, a copyright or other
-intellectual property infringement, a defective or damaged disk or
-other medium, a computer virus, or computer codes that damage or
-cannot be read by your equipment.
-
-1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right
-of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project
-Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project
-Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all
-liability to you for damages, costs and expenses, including legal
-fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT
-LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
-PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE
-TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
-LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
-INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
-DAMAGE.
-
-1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
-defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
-receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
-written explanation to the person you received the work from. If you
-received the work on a physical medium, you must return the medium
-with your written explanation. The person or entity that provided you
-with the defective work may elect to provide a replacement copy in
-lieu of a refund. If you received the work electronically, the person
-or entity providing it to you may choose to give you a second
-opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If
-the second copy is also defective, you may demand a refund in writing
-without further opportunities to fix the problem.
-
-1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth
-in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS', WITH NO
-OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT
-LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.
-
-1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied
-warranties or the exclusion or limitation of certain types of
-damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement
-violates the law of the state applicable to this agreement, the
-agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or
-limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or
-unenforceability of any provision of this agreement shall not void the
-remaining provisions.
-
-1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
-trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
-providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in
-accordance with this agreement, and any volunteers associated with the
-production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm
-electronic works, harmless from all liability, costs and expenses,
-including legal fees, that arise directly or indirectly from any of
-the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this
-or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or
-additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any
-Defect you cause.
-
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm
-
-Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
-goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg-tm and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at
-www.gutenberg.org
-
-
-
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state's laws.
-
-The Foundation's principal office is in Fairbanks, Alaska, with the
-mailing address: PO Box 750175, Fairbanks, AK 99775, but its
-volunteers and employees are scattered throughout numerous
-locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt
-Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to
-date contact information can be found at the Foundation's web site and
-official page at www.gutenberg.org/contact
-
-For additional contact information:
-
- Dr. Gregory B. Newby
- Chief Executive and Director
- gbnewby@pglaf.org
-
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
-Literary Archive Foundation
-
-Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
-spread public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular
-state visit www.gutenberg.org/donate
-
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-
-Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-
-Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.
-
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-
-Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-
-Most people start at our Web site which has the main PG search
-facility: www.gutenberg.org
-
-This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-
diff --git a/old/50806-0.zip b/old/50806-0.zip
deleted file mode 100644
index aad4953..0000000
--- a/old/50806-0.zip
+++ /dev/null
Binary files differ
diff --git a/old/50806-h.zip b/old/50806-h.zip
deleted file mode 100644
index 18b5ba3..0000000
--- a/old/50806-h.zip
+++ /dev/null
Binary files differ
diff --git a/old/50806-h/50806-h.htm b/old/50806-h/50806-h.htm
deleted file mode 100644
index dd05609..0000000
--- a/old/50806-h/50806-h.htm
+++ /dev/null
@@ -1,12871 +0,0 @@
-<!DOCTYPE html PUBLIC "-//W3C//DTD XHTML 1.1//EN"
-"http://www.w3.org/TR/xhtml11/DTD/xhtml11.dtd">
-
-<html xmlns="http://www.w3.org/1999/xhtml" xml:lang="it">
-<head>
- <meta http-equiv="content-type" content="text/html; charset=utf-8" />
- <title>
- Pagine sparse, di Edmondo De Amicis
- </title>
- <link rel="coverpage" href="images/cover.jpg" />
- <style type="text/css">
-body {margin-left: 10%; margin-right: 10%;}
-
-p {margin-top: .5em; margin-bottom: 0em; line-height: 1.2; text-align: justify;}
-.blockquote {margin: 2em 10%; font-size: 95%;}
-.blk {margin-top: .5em;}
-.blk p {margin-left: 1.5em; text-indent: -1.5em;}
-p.indl {text-align: left; margin-left: 5%;}
-p.indr {text-align: right; margin-right: 5%;}
-.center {text-align: center; text-indent: 0;}
-
-div.booktitle {page-break-before: always; padding: 3em;}
-div.titlepage {text-align: center; margin: 0 5%; padding: 2em 0; page-break-before: always; page-break-after: always;}
-div.titlepage p {text-align: inherit;}
-div.verso {text-align: center; padding-top: 2em; font-size: 95%; margin: 0 10%;}
-div.verso p {text-align: inherit;}
-div.somm {page-break-before: always; padding-top: 3em;}
-div.chapter {page-break-before: always; padding-top: 3em;}
-div.chapter h2 {page-break-before: avoid;}
-
-h1,h2,h3 {text-align: center; font-style: normal;
-font-weight: normal; line-height: 1.5;}
-h1 {font-size: 150%;}
-h2 {font-size: 140%; margin-top: 1em; margin-bottom: 2em; page-break-before: avoid;}
-h3 {font-size: 120%;}
-
-span.smaller {display: block; font-size: 70%; margin: .5em 5%; line-height: 1.2em;}
-
-hr {width: 70%; margin-top: 1em; margin-bottom: 1em; margin-left: 15%; margin-right: 15%; clear: both;}
-hr.mid {width: 50%; margin-left: 25%; margin-right: 25%;}
-hr.tbs {width: 20%; margin: 1.5em 40%; visibility: hidden;}
-hr.silver {width: 90%; margin-left: 5%; margin-right: 5%; border-top: none; border-right: none; border-bottom: thin solid silver; border-left: none;}
-@media handheld {
-hr.silver {display: none;}
-}
-
-a.tag {vertical-align: .3em; font-size: .8em; font-style: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; padding-left: .1em; line-height: 0em; white-space: nowrap;}
-div.footnotes {page-break-before: always; font-size: 90%; padding-top: 3em;}
-.footnotes h2 {margin-bottom: 2em; font-size: 115%;}
-div.footnote {margin-left: 2.5em; margin-right: 2em;}
-div.footnote>:first-child {margin-top: 1em;}
-div.footnote .label {display: inline-block; width: 0em; text-indent: -2.5em; text-align: right;}
-
-.pagenum {position: absolute; right: 2%; font-style: normal; font-weight: normal; text-decoration: none; font-size: 65%; text-align: right; color: #999999; background-color: #ffffff; clear: left;}
-
-.pad6 {margin-top: 6em;}
-.pad2 {margin-top: 2em;}
-.pad1 {margin-top: 1em;}
-
-.ast {text-align: center; font-size: 120%; margin: 1em auto;}
-.dots {text-align: center; letter-spacing: .5em; margin-top: 1.5em; margin-bottom: 1.5em;}
-
-.x-small {font-size: 70%;}
-.small {font-size: 85%;}
-.large {font-size: 115%;}
-.x-large {font-size: 130%;}
-.main-t {font-size: 200%;}
-.g {letter-spacing: .2em;}
-.smcap {font-variant: small-caps;}
-.lowercase {text-transform: lowercase;}
-
-ul {list-style-type: none; line-height: 1.2em; margin-top: .5em; margin-bottom: 0;}
-
-table {margin: auto; border-collapse: collapse;}
-.indice {width: 80%; line-height: 1em; margin-top: 2em;}
-.indice td {vertical-align: top; padding-left: 1.5em; text-indent: -1em;}
-.indice td.pag {text-align: right; vertical-align: bottom; white-space: nowrap;}
-
-.tnote {background-color: #f7f1e3; color: #000; padding: 1em 1em 2em 1em;
- margin: 3em 10%; font-family: sans-serif; font-size: 90%; page-break-before: always;}
-.tntitle {text-align: center; text-indent: 0; padding: 1em; font-size: 120%; margin-bottom: 1em;}
-.tnote p {padding: 0 1em;}
-.covernote {visibility: hidden; display: none;}
-@media handheld {
- .covernote {visibility: visible; display: block;}
-}
-
-.poem {text-align: left; font-size: 95%; margin: 1.5em 10%;}
-.stanza {margin: 1em auto;}
-.poem p {margin: 0; padding-left: 3em; text-indent: -3em;}
-.poem p.i2 {text-indent: -2em;}
-.poem p.i6 {text-indent: 6em;}
-
- </style>
- </head>
-<body>
-
-
-<pre>
-
-The Project Gutenberg EBook of Pagine sparse, by Edmondo De Amicis
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and most
-other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of
-the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you'll have
-to check the laws of the country where you are located before using this ebook.
-
-Title: Pagine sparse
-
-Author: Edmondo De Amicis
-
-Release Date: December 31, 2015 [EBook #50806]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE ***
-
-
-
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-
-
-
-
-
-</pre>
-
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-PAGINE SPARSE
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="chapter">
-<div class="blockquote">
-<p>
-La ma padrona di casa — Ritratto d'un'ordinanza — Un
-incontro — Un caro pedante = (ALCUNE
-OSSERVAZIONI SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA):
-La Lettura del Vocabolario — Appunti — Una
-parola nuova — Consigli — Il vivente
-linguaggio della Toscana — Quello che si può imparare
-a Firenze — Un bel parlatore = Dall'album
-d'un padre — L'amore dei libri — Manuel
-Menendez (racconto) — In Sogno — Scoraggiamenti — Battaglie
-di Tavolino — Una visita ad
-Alessandro Manzoni — Emilio Castelar — Giovanni
-Ruffini.
-</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="titlepage">
-<p class="large">
-EDMONDO DE AMICIS
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-PAGINE SPARSE
-</p>
-
-<p class="pad2">
-QUARTA EDIZIONE
-</p>
-
-<p class="pad6">
-<span class="small g">MILANO</span><br />
-<span class="x-small">TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA</span><br />
-<span class="small">1877.</span>
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-Proprietà letteraria.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p>
-.... Non riprendeva, anzi lodava ed amava che gli scrittori
-ragionassero molto di sè medesimi; perchè diceva che in
-questo sono quasi sempre e quasi tutti eloquenti, ed hanno
-per l'ordinario lo stile buono e convenevole, eziandio contro
-il consueto o del tempo, o della nazione, o proprio loro. E
-ciò non essere meraviglia; poichè quelli che scrivono delle
-cose proprie hanno l'animo fortemente preso e occupato
-della materia; non mancano mai nè di pensieri, nè di affetti
-nati da essa materia e nell'animo loro stesso, non
-trasportati d'altri luoghi, nè bevuti da altre fonti, nè comuni
-e triti, e con facilità si astengono dagli ornamenti
-frivoli in sè, o che non fanno a proposito, dalle grazie e
-dalle bellezze false, dall'affettazione e da tutto quello che
-è fuori del naturale. Ed essere falsissimo che i lettori ordinariamente
-si curino poco di quello che gli scrittori dicono
-di sè medesimi: prima, perchè tutto quello che veramente
-è pensato e sentito dallo scrittore stesso, e detto con
-modo naturale e acconcio, genera attenzione, e fa effetto;
-poi, perchè in nessun modo si rappresentano o discorrono
-con maggior verità ed efficacia le cose altrui, che favellando
-delle proprie: atteso che tutti gli uomini si rassomigliano
-tra loro, sì nelle qualità naturali, e sì negli accidenti, e in
-quel che dipende dalla sorte; e che le cose umane, a considerarle
-in sè stesso, si veggono molto meglio e con maggior
-sentimento che negli altri.
-</p>
-
-<p class="indl">
-<span class="smcap">Leopardi</span> — <i>Detti memorabili di Filippo Ottonieri.</i>
-</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-</p>
-
-<h2 id="padrona">LA MIA PADRONA DI CASA</h2>
-</div>
-
-<p>
-Non posso pensare a Firenze, senza ricordarmi
-della mia buona padrona di casa di via dei ***, la
-quale m'insegnò in sei mesi più lingua italiana di
-quanta io n'abbia imparata in dieci anni da tutti i
-miei professori di letteratura, nati, come diceva l'Alfieri,
-<i>là dove Italia boreal diventa</i>.
-</p>
-
-<p>
-Era una vecchietta simpatica, vedova d'un interprete
-d'albergo, buona come il pane, fiorentina fin
-nel bianco degli occhi, operosa, assestata e pulita
-come un'Olandese. Viveva d'una piccola rendita e
-di quel po' che guadagnava tenendo dozzina. Leggicchiava,
-giocava al lotto, faceva qualche visita,
-e passava quasi sempre la sera, sola come uno sparago,
-in un cantuccio della sua piccola camera ingombra
-di mobili vecchi, vicino a una finestra, dalla
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-quale si vedeva, di là dai tetti di molte case, la
-cima del campanile di Giotto.
-</p>
-
-<p>
-Che cos'è questo benedetto parlare toscano! Era
-una povera donna, non aveva cultura, sapeva appena
-leggere e scrivere; ma parlava da far rimanere
-a bocca aperta. E non il fiorentino volgare,
-perchè non ho mai inteso dalla sua bocca una parola
-o una frase che una signora non potesse ripetere
-in conversazione. Il suo parlare era tutto frasi
-efficacissime, immagini, proverbi, diminutivi graziosi,
-vezzi e fiori di lingua, che venivan via facili e fitti
-ad ogni proposito, come nei novellieri trecentisti,
-senza che le sfuggisse mai neppure un lampo di
-quel sorriso leggerissimo che per il solito tradisce
-la compiacenza intima di chi sa di parlar bene.
-</p>
-
-<p>
-Ogni momento gliene sentivo dire una nuova.
-</p>
-
-<p>
-Stentavo un po' a infilare il soprabito: essa mi
-diceva: Ma perchè non se lo fa allargare chè le è
-stretto assaettato?
-</p>
-
-<p>
-Entravo nella sua camera: — Badi, — mi diceva, — di
-non inciampare, perchè è buio come in gola.
-</p>
-
-<p>
-Veniva un amico a chiedermi dei denari; essa
-capiva, e mi domandava: — Le è venuto a dare una
-frecciata, non è vero?
-</p>
-
-<p>
-Diceva che il suo predicatore aveva la <i>parola
-facile e ornata</i>; che il lattaio aveva la voce <i>come
-uno di questi cani incimurriti e fiochi</i> che non
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-posson più abbaiare; che erano tre giorni che non
-vedeva più l'<i>effigie</i> dello spazzaturaio che pure
-le aveva promesso di venire; che il bambino della
-vicina aveva rotto un vetro, e suo padre non se ne
-era anche accorto, ma il poverino stava già rannicchiato
-dietro l'<i>uscio ad aspettare il lampo e la
-saetta</i>; che il mio maestro di spagnuolo aveva <i>un
-vestito che gli piangeva addosso</i>; che con tutte
-queste guerre che si fanno dopo che Pio IX <i>ha date
-le su' riforme</i> bisogna sempre <i>stare palpitando
-per i nostri cari</i>; che un tale ch'era caduto dal
-secondo piano, e non era morto, aveva <i>il sopravvivolo
-come i gatti</i>; che un certo quadro pareva
-<i>fatto coll'alito</i>; che a una certa sua amica, in una
-certa congiuntura, <i>essa aveva parlato come al cospetto
-di Dio, da cuore a cuore</i>; e altre espressioni
-gentili ed argute, che a scriverle tutte, ci sarebbe
-da fare un vocabolario.
-</p>
-
-<p>
-Però, quando s'accorgeva ch'io mi divertivo a
-farla parlare, taceva tutt'a un tratto e mi guardava
-con aria di diffidenza. Temeva ch'io la volessi canzonare.
-Anzi, qualche volta, quando mi lasciavo sfuggire
-un'esclamazione di meraviglia, quasi s'indispettiva.
-</p>
-
-<p>
-— Oh insomma, — mi disse un giorno, — io parlo
-come so. Se dico degli spropositi, m'insegni lei a
-parlar meglio. Io non ho mai preteso di parlar bene.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma no, cara signora, — le risposi coll'accento
-della più profonda sincerità. — Le giuro che ammiro
-davvero la sua maniera di parlare, che vorrei parlare
-io come lei, che vorrei saper scrivere come lei
-parla. Che c'è da stupirsi? Non lo sa che i fiorentini
-parlano meglio degli italiani delle altre provincie?
-Non l'ha mai inteso dire? Mi piace sentir parlare
-l'italiano da lei come mi piacerebbe sentir parlare
-il francese da un parigino. Mi piace perchè lei parla
-con naturalezza, perchè pronunzia bene, perchè io
-imparo. Ne vuole una prova? Guardi questi fogli.
-</p>
-
-<p>
-E le misi sott'occhio alcuni fogli sui quali avevo
-notato una lunga filza dei suoi modi di dire.
-</p>
-
-<p>
-Guardò, sorrise, poi sospettò daccapo e mi disse
-che non sapeva capire che cosa io trovassi di <i>particolare</i>
-in quelle parole. — Qualunque mercatino, — soggiunse, — è
-in caso di dirgliele tali e quali.
-</p>
-
-<p>
-Nondimeno, a poco a poco, finì per persuadersi
-che mi divertivo davvero a sentirla parlare perchè
-parlava bene.
-</p>
-
-<p>
-Ma trovavo sempre mille difficoltà a farmi capire
-quando volevo saper qualche cosa di preciso
-in fatto di lingua. — Come direbbe lei, — le domandavo, — per
-dire che piove forte? — Gua! — mi
-rispondeva, — direi che piove forte. — Io ripetevo
-la domanda in un'altra forma. — Ah! ho capito! — esclamava. — Chi
-si volesse spiegare in un'altra
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-maniera potrebbe anco dire che piove a rovescio, a
-catinelle, a orciuoli, a ciel rotto; ognuno può dire
-come gli piace; <i>non c'è regola fissa</i>.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno le diedi un mio libro. — L'ha scritto
-lei? — mi domandò. — Sì, — risposi. — Tutto di suo
-pugno? — Tutto di mio pugno. — Lo tenne due o
-tre giorni e vidi che lo leggeva. Quando me lo restituì,
-mi disse: — Bravo! mi son divertita; si vede che
-è un buon figliuolo. <i>E poi mi piacque anche lo stile.</i>
-</p>
-
-<p>
-A poco a poco mi prese a voler bene, mi parlava
-lungamente della buon'anima di suo marito, delle
-sue amiche, del caro dei viveri, delle tasse, del lotto,
-dei suoi malanni, della religione, sempre colla stessa
-grazia e colla stessa dolcezza. Ma specialmente quando
-parlava della sua disgrazia d'esser rimasta sola al
-mondo e diceva che la notte, non potendo dormire,
-pensava, pensava, fin che si metteva a piangere,
-aveva parole così dolci, così schiette, così poetiche,
-che mi si stringeva il cuore, e nello stesso tempo
-provavo una specie di voluttà artistica a sentirla.
-Mentre essa parlava la sua bella lingua, io appoggiato
-alla finestra della sua cameretta, guardavo il
-campanile di Giotto dorato dalla luce del tramonto,
-e provavo uno struggimento d'amore per Firenze.
-</p>
-
-<p>
-Una s'era, ch'ero già a letto, s'affacciò alla porta
-e disse con voce commossa: — Ah! figliuol mio!
-bisogna proprio credere, sa, che c'è un Dio! Questa
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-sera il predicatore ha detto che tutti i grandi uomini
-ci hanno creduto, — e Dante e Galileo e Colombo, — ne
-avrà citati più di cinquanta. E ha conciato per le
-feste quelli che dicono che il mondo l'ha fatto il
-caso! Il caso! E dire che sono gente che ha studiato!
-Io che sono una povera donna capisco che
-è una corbelleria. Se lo studio non dovesse portare
-altri frutti! Ma lei, benchè studii, non le pensa queste
-cose, non è vero, figliuolo? dica un po': ci crede
-lei al caso?
-</p>
-
-<p>
-— No, cara padrona, — le risposi; — io credo
-in Dio.
-</p>
-
-<p>
-— Oh lei non può immaginare la consolazione che
-mi dà con codeste parole, — rispose la buona donna.
-</p>
-
-<p>
-La notte, mentre lavoravo a tavolino, a una cert'ora
-sentivo picchiare nel muro e poi una voce insonnita
-che diceva:
-</p>
-
-<p>
-— Non lavori più, figliuolo; s'abbia riguardo agli
-occhi.
-</p>
-
-<p>
-Ed io: — Ancora una pagina.
-</p>
-
-<p>
-— Nemmeno una pagina. Si ricordi del proverbio:
-È meglio un.... cavallino vivo che un dottore morto.
-</p>
-
-<p>
-Passava un altro quarto d'ora e lei daccapo:
-</p>
-
-<p>
-— A letto, a letto, figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-— Padrona, domandavo io, — com'è quel proverbio
-di Berto, che mi disse stamani? Ne ho bisogno
-per scriverlo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Berto, rispondeva, — che dava a mangiare le
-pesche per vendere i noccioli. Vada a letto.
-</p>
-
-<p>
-— Ancora una cosa. Come si chiama il bastone
-d'Arlecchino?
-</p>
-
-<p>
-— Non mi cava più una parola, nemmeno se mi
-fa regina di Spagna.
-</p>
-
-<p>
-E non diceva più una parola davvero e io andavo
-a dormire.
-</p>
-
-<p>
-La mattina per tempo, appena svegliato, risentivo
-la sua voce: — Su, su! È un sereno che smaglia.
-Vada a fare un giro alle Cascine!
-</p>
-
-<p>
-Una sera tornai a casa pieno di malinconia e mi
-buttai sul sofà senza dire una parola. Essa mi venne
-accanto. Duravo fatica a trattener le lagrime. Mi domandò
-che cos'avessi. Non volevo rispondere. Insistette,
-e allora le apersi il mio cuore come a un amico.
-</p>
-
-<p>
-— Ho avuto un dispiacere, — le dissi. — Ho saputo
-che l'altro giorno, in una casa, hanno detto che
-i miei scritti sono noiosi e che non farò mai nulla
-di buono. Io ne sono persuaso e non ho più voglia
-di studiare. Voglio buttar nel fuoco tutti i miei
-libri e tornare a fare il soldato. Sono triste, scoraggito
-e annoiato della vita. Non m'importerebbe
-nulla di morire.
-</p>
-
-<p>
-La buona donna si sforzò di ridere; ma era intenerita.
-Cercò di consolarmi e di rimettermi di buon
-umore; chiamò a raccolta tutti i suoi frizzi, le sue
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-frasi e i suoi proverbi; mi assicurò che i miei libri
-erano pieni di <i>bei concetti</i> e che <i>avrebbe voluto
-saperli scrivere lei</i>; mi promise che sarei riuscito
-un <i>bravissimo scienziato</i> a dispetto dei maligni;
-mi disse che avrebbe voluto trovarsi faccia a faccia
-con chi aveva sparlato di me, <i>per fargli una risciacquata
-che non trovasse più la via di tornarsene
-a casa</i>; mi fece bere un dito di vin Santo,
-mi diede del ragazzo, mi picchiò sotto il mento e
-gridò: — Su la testa! — Infine mi lasciò rasserenato,
-dicendo che se le facevo un'altra volta una di
-quelle scene, il pezzo più grosso che sarebbe rimasto
-di me, aveva da essere un orecchio, com'è vero che
-c'è tanto di Biancone in piazza della Signoria.
-</p>
-
-<p>
-Qualche volta però ci bisticciavamo, per cose da
-nulla, s'intende; per esempio perchè tornavo a casa
-tardi, e lei mi trovava a ridire, ed io le rispondevo
-di mala grazia. Allora stavamo una mezza giornata
-senza scambiare una parola. La sera poi, pensando
-ch'essa era là in un cantuccio della sua camera,
-sola, malinconica, al buio, mi pigliava il rimorso,
-correvo all'uscio e le domandavo per il buco della
-serratura: — Padrona, come è quel detto di Cimabue
-che mi disse ier l'altro?
-</p>
-
-<p>
-— Cimabue che conosceva l'ortica al tasto — rispondeva
-con una voce in cui si sentiva un'improvvisa
-contentezza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Mi perdona? — le domandavo.
-</p>
-
-<p>
-— Oh buon figliuolo! — rispondeva; — perdoni
-lei a me, che sono una brontolona e una zotica. Ma
-veda: glielo dico per il su' bene che non venga a
-casa tardi perchè.... io non ho mica il diritto di
-impicciarmi nella sua condotta.... si capisce.... ma ho
-notato che tutte le sere che viene a casa tardi, e
-non studia più, la mattina dopo è di malumore.
-</p>
-
-<p>
-— Ha ragione, padrona, ha ragione! Apra la porta
-e facciamo la pace.
-</p>
-
-<p>
-Essa apriva la porta e non faceva mai in tempo
-a levarsi il fazzoletto dagli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Così passarono sei mesi.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno, dopo una settimana intera di preparativi
-e di esitazioni, mi feci forza e le dissi, guardandola
-fisso negli occhi:
-</p>
-
-<p>
-— Padrona, io debbo partire da Firenze.
-</p>
-
-<p>
-— Dove va?
-</p>
-
-<p>
-— A casa mia.
-</p>
-
-<p>
-— Va bene. Io terrò le sue camere libere per
-quando tornerà. Può lasciar qui libri, quadri, carte,
-come le lascerebbe alla sua famiglia. Prima che ritorni
-farò mettere la stufa, comprerò un altro seggiolone
-e se mi salta il ticchio farò cambiare la tappezzeria
-al salotto. E passeremo il nostro invernetto
-insieme d'amore e d'accordo, lei a studiare ed io a
-fare le mie faccenduole. Ah! vedo che almeno negli
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-ultimi anni della mia vita avrò qualche consolazione.
-Quando tornerà?
-</p>
-
-<p>
-— Cara padrona.... non glielo posso dire.
-</p>
-
-<p>
-— Che forse non tornerebbe più? domandò col
-viso alterato.
-</p>
-
-<p>
-— Forse non tornerò più!
-</p>
-
-<p>
-Stette qualche momento senza parlare e poi
-esclamò con voce tremante: — Ma dunque io resterò
-sola!...
-</p>
-
-<p>
-E tacque di nuovo come per sentir l'eco di quella
-triste parola.
-</p>
-
-<p>
-Poi nascose il viso nel grembiale e diede in uno
-scoppio di pianto.
-</p>
-
-<p>
-M'aiutò a fare i miei bauli, volle riporre tutti i
-libri colle sue mani, non mi lasciò più un momento
-fino all'ora della partenza. L'ultima notte, verso le
-undici, mentre scrivevo, picchiò ancora una volta
-nella parete e mi pregò di avermi riguardo agli
-occhi. La mattina seguente, quando partii, mi accompagnò
-fin sul pianerottolo e mi disse colla solita
-dolcezza: — Lei se ne torna colla sua famiglia; io,
-povera vecchia, rimango sola. Si ricordi qualche
-volta di me che le volevo bene come a un figliuolo.
-Abbia giudizio; continui a studiare e sarà contento.
-Mentre viaggerà in Spagna e in Francia, io guarderò
-il suo ritratto, leggerò i suoi libri e pregherò
-il Signore per lei. Quando morirò, lei si ricorderà
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-che le ho voluto bene e piangerà, non è vero? Ed
-ora vada, figliuolo, che è tardi; e Dio l'accompagni!
-</p>
-
-<p>
-Le diedi un bacio e discesi per le scale. La povera
-donna mi mandò ancora un addio rotto da un singhiozzo
-e poi rientrò nella sua casa vuota e triste.
-</p>
-
-<p>
-Oh buona e cara vecchia! se mi son ricordato di
-te! In viaggio, ogni volta che ho passata la notte a
-scrivere in una camera d'albergo, allo scoccare delle
-undici ho detto tra me, con tristezza: — Oh! se sentissi
-picchiare nel muro, quanto lavorerei più volentieri! — Ogni
-volta che scrivo, e rileggendo la
-mia prosa, la trovo scolorita e senza grazia, dico
-con rammarico: — Ah! quanto ci corre da quest'italiano
-a quello della mia padrona di casa! — La sera,
-quando la mia famiglia è raccolta intorno al fuoco,
-e tutti ridono e lavorano, io penso col cuore stretto
-che tu sei sola nella tua stanza, forse al freddo ed
-al buio, perchè la legna e l'olio sono rincarati. E
-non mi si presenta mai l'immagine della mia cara
-Firenze, senza ch'io goda in fondo all'anima pensando
-che un giorno forse vi tornerò, che andrò a
-cercarti, che ti troverò ancora, che mi rimetterò a
-imparare da te la lingua armoniosa e gentile con
-cui mi rallegravi e mi davi coraggio.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-</p>
-
-<h2 id="scoraggiamenti">SCORAGGIAMENTI</h2>
-</div>
-
-<p>
-Erano le nove della sera: Teresa ricamava accanto
-al fuoco, quando udì picchiare leggermente,
-corse all'uscio e più per abitudine che per diffidenza
-domandò chi fosse.
-</p>
-
-<p>
-— Io! — rispose una voce aspra. Teresa aperse,
-entrò un giovane ravvolto in un mantello, si baciarono,
-e la ragazza gli domandò subito:
-</p>
-
-<p>
-— Che hai, Mario?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè questa domanda? domandò il giovane
-alla sua volta.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non hai detto <i>io</i> come gli altri giorni.
-</p>
-
-<p>
-Mario la guardò un po' senza rispondere, poi buttò in
-un canto il mantello e il cappello, e s'avvicinò al caminetto.
-La ragazza tornò al suo posto, e tirò a sè un
-panchettino, sul quale sedette il giovane, appoggiando
-un gomito sul suo ginocchio e la testa sulla mano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-</p>
-
-<p>
-Stettero così qualche momento senza parlare; poi
-Teresa domandò timidamente:
-</p>
-
-<p>
-— Hai scritto?
-</p>
-
-<p>
-— No — rispose il giovane con aria pensierosa.
-</p>
-
-<p>
-— Hai fatto male.
-</p>
-
-<p>
-— Avrei fatto peggio se avessi scritto: anche
-oggi son vuoto come una bolla di sapone.
-</p>
-
-<p>
-— È un mese che lo dici.
-</p>
-
-<p>
-— È assai più d'un mese che lo sento. Sento che
-sono una buccia di limone spremuto. Un critico
-disse una volta una verità semplicissima, ma profonda: — Per
-scrivere bisogna avere qualcosa da
-dire ai proprî concittadini. — Ebbene, io non ho
-nulla da dire e non scrivo. Scrivere solamente per
-far sapere al pubblico che si sa accozzare il verbo
-col sostantivo e far delle infilzate di epiteti, non
-mi par degno d'un uomo.
-</p>
-
-<p>
-— Mario, — rispose la ragazza mettendogli una
-mano sul capo e sorridendo: — dici questo sul serio
-o soltanto per farmi stizzire?
-</p>
-
-<p>
-— Per farti stizzire? Lo dico con tutta la serietà
-d'una certezza dolorosa. È più d'un mese che per
-me il tavolino è la ruota del tormento, e mi ci
-mordo le dita senza riuscir a scrivere un periodo.
-Ho un bell'eccitarmi prima, leggere versi ad alta
-voce come consiglia il Buffon, <i>pensarci su</i> come dice
-il Manzoni, ed anche tenere i piedi nell'acqua fredda
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-come faceva lo Schiller, frugar dentro di me, ravvivare
-tutti i sentimenti che m'inspiravano una volta;
-ogni cosa è inutile. Seduto che sono al tavolino, mi
-pare che il cuore e il cervello mi si raggrinzino
-come vesciche crepate, e non mi riesce più di afferrare
-un'idea che meriti l'omaggio d'una goccia
-d'inchiostro. Ti giuro che dico la verità.
-</p>
-
-<p>
-— Non giurare.... m'hai detto altre volte le stesse
-cose e dopo qualche giorno le hai disdette.
-</p>
-
-<p>
-— Cara mia, anche le malattie disperate hanno i
-loro alti e bassi, e non v'è moribondo al quale non
-brillino dei barlumi di speranza. Ho avuto anch'io
-i miei barlumi.
-</p>
-
-<p>
-— Ma che melanconie son queste, Mario?
-</p>
-
-<p>
-— Non sono melanconie, son disinganni. Vuoi che
-io ti dica una cosa che non ho mai detta a nessuno
-e che non ho quasi mai osato dire a me medesimo,
-ma che ormai credo fermissimamente vera, tanto che
-provo quasi un sentimento di sdegno contro tutti
-coloro che per lungo tempo cospirarono a farmi
-credere il contrario? Te la dico in tre parole: — Ho
-sbagliato strada.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo, — disse con vivacità la ragazza, — ora
-ti faccio ravveder io. Io conosco il segreto di tutte
-queste malinconie. Tu hai una ruga qui tra ciglio
-e ciglio che quasi non si vede quando sei sereno, e
-quando non lo sei, diventa profonda come una ferita.
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-Ora è un mese che io ti vedo codesta ruga
-quasi tutti i giorni. Ecco perchè non puoi lavorare.
-Disinganni, vesciche, buccie di limone spremuto, son
-tutte fantasie: il male sta qui. Dunque non c'è da
-far altro che spianare la ruga; — e appuntandogli
-l'indice fra ciglio e ciglio soggiunse: — e io ci terrò
-il dito su fin che sparisca, e allora vedrai che ti
-tornerà l'inspirazione e la fiducia in te stesso.
-</p>
-
-<p>
-Mario le strinse il mento fra l'indice e il pollice,
-poi lasciando ricader la mano, rispose con un sospiro: — Ah
-buona Teresa, sulla ruga vera tu non
-puoi mettere il dito perchè è dentro al cervello.
-</p>
-
-<p>
-— Oh allora, — disse la ragazza con quel tuono
-di ironia benevola che s'usa coi bambini fingendo di
-dare importanza a una corbelleria, — allora non c'è
-rimedio. Capisco anch'io che hai sbagliato strada.
-Non parliamone più.
-</p>
-
-<p>
-— Eppure, — riprese il giovine senza badarle, — benchè
-questa certezza si sia impadronita di me a
-poco a poco, risparmiandomi così il dolore d'uno di
-quei disinganni improvvisi, che schiacciano prima
-che si sia potuto pensare a resistere, io credevo che
-l'avrei sopportata con cuore più fermo. E veramente
-quando s'è nutrito per molti anni la speranza di
-riuscire qualche cosa nel mondo, e s'è veduto godere
-di questa medesima speranza la famiglia e
-gli amici, e s'è avuto dalla gente mille dimostrazioni
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-di simpatia e di rispetto, non tanto per
-quello che s'era quanto per ciò che si prometteva
-di divenire; dopo tutto questo, l'accorgersi che ci si
-è ingannati e che s'è ingannato gli altri; prevedere
-che un giorno la gente ci farà scontare col disprezzo
-le lodi che le abbiamo scroccate; sentirsi a poco a
-poco riattrarre e poi travolgere e annegare nella
-folla sulla quale si era riusciti ad alzare un momento
-la testa; persuadersi infine che s'è sciupato
-gioventù, ingegno, fatiche per prepararsi dei disinganni
-e delle vergogne, mentre percorrendo una
-strada più modesta si sarebbe ottenuto un nome
-onorato e una vita tranquilla; è un cangiamento
-questo, mia cara Teresa, che somiglia a quello di
-un uomo il quale di ricco e potente si trovi ridotto
-mendico.
-</p>
-
-<p>
-Teresa lo guardò attentamente, e poi, sospettando
-ancora ch'egli non parlasse sul serio, prese un libro,
-lo aperse, mise un dito sul nome dell'autore, e domandò
-con ingenuità fanciullesca, abbassando la
-voce: — È questo signore che parla?
-</p>
-
-<p>
-— È lui, lui, — rispose Mario respingendo il libro. — Ah!
-cara amica, quanto t'inganni se credi
-che la vista di tutta quella cartaccia stampata mi
-faccia provare il menomo sentimento di alterezza.
-Sì, certo, quando sono in mezzo alla gente, mostro
-di credermi qualche cosa; il mio amor proprio sta
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-sulle difese. Il vedere la presunzione di tanti che valgono
-anche meno di me, e il timore di fornire agli
-altri, mostrando di stimarmi poco io stesso, il pretesto
-di stimarmi anche meno, mi tengono un po' su; e
-per questo, chi mi ferisce dal lato dell'amor proprio,
-sente la resistenza dell'orgoglio. Ma davanti a me
-stesso è altra cosa! Se ti dicessi che passan dei
-mesi ch'io non leggo una pagina di mio, nemmeno
-se mi cade sott'occhio, per timore della sgradevole
-impressione che ne riceverei? Se ti dicessi che,
-riandando le cose mie, anche le meno peggio, mi
-piglia il sospetto che un accordo d'amici, la benevolenza
-dei conoscenti e l'indulgenza sollecitata di
-molti altri sian stati la cagione di quel po' di fortuna
-che ho avuta? E se ti dicessi ancora che, quando
-correggo le prove di stampa, qualche volta mi sento
-tutt'a un tratto salire il sangue al viso, e penso alla
-maniera di sciogliermi dall'impegno contratto coll'editore,
-e comprendendo che non è più possibile,
-cerco almeno che ci sarebbe da fare per impedire
-la diffusione del libro, o se non altro, per evitare
-che lo legga il tale o il tal altro, di cui mi preme
-non perdere la stima?
-</p>
-
-<p>
-— Ma queste, scusa, sono esagerazioni! E poi,
-qualunque opinione tu abbia di te stesso, non potrai
-mettere in dubbio un fatto che dovrebbe bastare a
-darti coraggio: il favore pubblico.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Qui ti volevo. Il favore pubblico! Che cos'è
-questo favore pubblico? che cosa prova? Chi non
-ne ottiene un po' di questo favore, scrivendo, pur
-che abbia cuore e non offenda alcuna classe della
-società e segua l'andazzo del tempo e scriva cose
-che la maggior parte sentono o pensano, o non
-hanno interesse di negare? Entra in un caffè di
-una qualunque delle nostre grandi città, e sarà un
-miracolo se non ci troverai in un canto qualche pover'uomo
-a cui nessuno bada e di cui nessuno sa il
-nome, del quale venti o trent'anni prima qualcuno
-non abbia detto o stampato che era una speranza
-della letteratura italiana e che sarebbe diventato
-una gloria della patria. A vent'anni abbiamo tutti
-qualcosa di bello nel capo e di generoso nel cuore,
-e abbiamo tutti bisogno di farlo sapere. Ebbene, io
-l'ho fatto sapere, ho fatto il mio sfogo di giovanotto
-e sta bene. Ma ora basta, ora dovrei buttare la
-penna da parte e abbracciare una professione; perchè
-altro è esser nato per passare per lo stadio di
-scrittore, altro è esser nato per restarci; e una cosa
-è aver ingegno per scrivere, e un'altra cosa aver
-tanto ingegno da poter legittimamente non far altro
-che scrivere.
-</p>
-
-<p>
-— Io non so rispondere a tutte queste cose, — disse
-Teresa con voce commossa, — ma mi pare che
-non sia tutto vero. Che cosa vuoi concludere? Che
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-non devi più scrivere? Vuoi farmi dire che non sai
-far nulla? Vuoi provarmi che sei uno scemo?
-</p>
-
-<p>
-— No, perchè non lo sono; se lo fossi, non mi
-sarei disingannato, non ti terrei questi discorsi;
-continuerei a credermi un animalaccio raro, come
-fan molti, a dispetto del mondo intero. Il mio disinganno
-prova che c'è qualche cosa in questo nocciolo
-di testa. Ma il gran punto è che questo <i>qualche
-cosa</i> non basta. Vi sono ben dei momenti che abbraccio
-col pensiero un grande spazio intorno a me;
-ma son vedute istantanee, come quelle della notte
-al chiarore d'un lampo. Afferro colla mente un
-dei capi d'una catena d'idee; ma dò uno strappo, e
-non mi resta in mano che il primo anello. Ci corre,
-cara mia, da questi scatti d'ingegno alla forza dell'ingegno
-vero! a quell'ingegno confidente e imperioso,
-che si afferma qualche volta con parole superbe;
-quello che getta sprazzi di luce e pezzi di
-oro massiccio, che tira a sè e rende muti in sè
-stesso altri ingegni minori, che corre la sua strada
-destando e schiacciando ad un tempo ire ed invidie
-mortali, che s'innalza egli stesso degli ostacoli e li
-rovescia, che va a battere le ali dove gli altri arrivano
-appena collo sguardo, che trascina, innamora
-e spaventa! Questi sono uomini d'ingegno,
-spiragli aperti nella natura umana, per i quali la
-moltitudine vede confusamente qualche cosa del
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-mondo di là, che le strappa un grido di meraviglia.
-Questi hanno diritto di consacrare tutta la loro vita
-all'arte; questi sono i grandi alberi della vegetazione
-umana; il resto è erbaccia parassita, ed io sono un
-filo di quest'erba.
-</p>
-
-<p>
-— Grandi alberi! — mormorò Teresa timidamente. — Fuor
-che quei quattro o cinque che tutti
-sanno, per ora, di grand'alberi che vengano su, io
-non ne vedo. E qui pronunziò in fretta una lunga
-serie di nomi, e domandò: Son questi forse gli spiragli
-aperti nella natura umana?
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose Mario; — ma benchè io sia da
-meno di questi, non mi debbo paragonar con essi,
-per aver una idea giusta di quello che sono. Debbo
-metter tutti costoro in un mazzo, me compreso, e
-paragonarli ai pochissimi che sono sulla sommità
-della scala. Bisogna uscir dal proprio paese, cara
-mia, per vedere che cosa paiono, viste da lontano,
-certe gloriole di casa! Quando si vede che i veri
-grandi nomi, anche nostri, ed anco di questi ultimi
-tempi, suonano sul Tamigi come suonano sul Tevere,
-sul Tago come sul Reno, sulla Senna come sull'Adige,
-che conto vuoi più che si faccia di quelli che cascano
-come palloncini sgonfiati sulle frontiere del
-proprio paese? Che cosa siamo al paragone di quell'aquile
-che fanno il giro del mondo, noi moscerini
-che viviamo in un soffio d'aria, e facciamo un ronzío
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-che non si sente da una foglia all'altra d'un
-fiore? noi che mostriamo con pompa, come tutto il
-nostro avere, una qualità che in quelli altri non è
-che una delle mille faccette della perla del loro ingegno?
-Ah come si capisce tutto questo viaggiando!
-Quando uno straniero mi domandava: — Lei scrive? — io
-rispondevo in fretta arrossendo, come uno che
-respinga un sospetto ingiurioso: — No! no! non
-scrivo!
-</p>
-
-<p>
-Teresa scrollò la testa sorridendo, come per dire: — Sei
-sempre lo stesso!
-</p>
-
-<p>
-— E poi, — riprese Mario dopo una breve riflessione — vivere
-per scrivere! Bella presunzione è
-questa di aver nel capo tante cose degne d'esser
-dette al mondo, da dover impiegare tutta la vita a
-dirle! E con che diritto s'impiega la vita in questa
-maniera? Scrivere, in materia d'arte, non si
-dovrebbe che per soddisfare un bisogno dell'anima;
-e soddisfare un bisogno non può valer lo stesso
-che pagare un debito. Dunque chi non fa altro
-che scrivere, non paga il suo debito alla società;
-e se ad altri pare, a lui non deve parere. Rispondere: — Scrivo — a
-uno che mi domandi qual è la
-mia professione, mi pare lo stesso che a uno che
-mi domandasse: — Che cosa fai costì? — rispondergli: — Respiro. — E
-chi è questo poltrone che
-mentre tanta gente migliore di lui suda sangue per
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-guadagnarsi la vita, passa la giornata sur una seggiola
-a predicar la virtù e ad eccitar gli altri a
-fare? Lavori il giorno anche lui, e scriva la sera a
-tempo avanzato. Cacciatelo in un'officina!
-</p>
-
-<p>
-— Oh questa poi! — esclamò Teresa tra indispettita
-e intenerita. — Tutti non possono lavorare colle
-braccia!&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-— Ma io posso! E che credi? Che non mi vergogni
-qualche volta d'esser robusto? Quando vedo ammontati
-sul mio tavolo quei cinque o sei libracci
-che ho scritti, dei quali fra qualche anno non si
-troverà più il titolo in nessun catalogo di libraio,
-e penso che ho speso a farli gli anni più vigorosi
-della gioventù, e che spenderò forse nello stessa
-modo, e non con miglior frutto, gli anni che mi restano;
-e poi guardandomi nello specchio, mi vedo
-un par di spalle da atleta, che so io? sento che
-c'è una sproporzione fra me e il mio lavoro, un
-disaccordo, un qualche cosa che non va; mi sento
-dentro una voce di rimprovero; mi pare come di
-aver sciupato una trave per fare un bastoncino; e
-provo non so che bisogno di curvar la schiena
-sotto dei pesi e d'incallirmi le mani sopra uno strumento.
-</p>
-
-<p>
-Teresa gli afferrò le mani.
-</p>
-
-<p>
-— Quanti uomini sciupati — continuò Mario — con
-questo maledetto scrivere! Uomini di un sentire
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-nobilissimo, dotati d'una certa facoltà di trasfondere
-in altri l'anima propria, forniti d'un sentimento
-pel bello, parlatori facili, che avrebbero,
-in un altro campo, acquistato ed esercitato un potere
-benefico su molta gente.... sciupati! Io per
-esempio, ch'ero nato per fare il maestro di scuola,
-a segno che, quando vedo in una stanza quattro
-banchi e un tavolino, mi sento rimescolare! E non
-solo il maestro di scuola: sento che sarebbe stata
-la mia vita l'aver che fare con povera gente, con
-operai; sento che, se fossi pretore in un villaggio,
-mi farei fare una statua. E così quando leggo gli
-scritti di molti miei amici romanzieri, poeti, critici,
-vedo tra riga e riga le belle facoltà mal impiegate,
-e penso con rammarico che l'uno sarebbe riuscito
-un eccellente medico condotto, un altro un
-direttore di collegio inimitabile, un altro, un avvocato
-onestissimo e valentissimo. E dico a loro e a
-me: — Siamo fuori di strada! Tutti fuori di strada
-per aver preso per nostra dote principale una dote
-secondaria, che doveva soltanto servire d'aiuto, d'ornamento
-alle altre; per aver creduto che ciò che non
-ci dovrebbe occupare se non un'ora al giorno, bastasse
-a riempirci tutta la vita; per aver considerato
-come una vocazione quello che non era che una tendenza!
-</p>
-
-<p>
-— E quando vedi codesti amici — domandò Teresa
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-sorridendo — lo dici <i>loro</i> che avrebbero fatto
-meglio a fare i medici condotti?
-</p>
-
-<p>
-— Non mi seccare con quel <i>loro</i>, Teresa; di' <i>glielo</i>
-dici; te n'ho già pregato altre volte.... E che
-cosa segue da ciò? Segue che, avendo l'ambizione,
-senza aver la potenza di destare l'ammirazione del
-paese, diventiamo come gli accattoni che si contentano
-di quello che gli si dà: ci contentiamo di ispirar
-la <i>simpatia</i>, la <i>stima</i>, la <i>considerazione</i>, di
-acquistare la <i>notorietà</i>, la <i>distinzione</i>; e leggerai
-infatti ogni momento il simpatico, il pregevole, lo
-stimato, il noto, il distinto scrittore, e altri insipidi
-e sguaiati appellativi, che pure nella nostra nullità
-ci fanno sorridere di compiacenza; ma che a spremerne
-il sugo voglion dire: mediocre, insignificante,
-impotente, nullo, perchè chi, avendo dedicato la vita
-all'arte, non riesce che a rendersi simpatico, stimato,
-pregevole, ha sciupato tempo e fatica. E in
-fondo all'anima, lo sentiamo anche noi. Per questo,
-invece di lavorare serenamente e nobilmente, ci affanniamo,
-facciamo ogni sorta di sforzi disperati per
-saltar fuori dalla pegola della mediocrità che ci affoga;
-e buttiamo fuori in furia un libro dopo l'altro,
-avidi, impazienti, sperando sempre che l'ultimo che
-stiamo facendo, sia quello che ci porrà sul piedestallo
-della gloria; supplicando la gente che passa
-di soffermarsi; gridando al paese: Vòltati, guardami,
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-t'assicuro che ho del genio, dammi tempo a far qualche
-cos'altro, non profferire ancora l'ultimo giudizio,
-aspetta, vedrai. — E intanto il vento porta via libretti
-e libracci, e noi invecchiamo trascurati e
-dispettosi, finchè un bel giorno si tira il calzino,
-dieci giornali dicono che s'è lasciato <i>larga eredità
-d'affetti</i>, e il giorno dopo nessuno pronuncia più il
-nostro nome. Ecco la carriera degli scrittori simpatici,
-stimati, noti, distinti; la mia carriera e quella
-di cento altri campioni della <i>giovine letteratura</i>.
-</p>
-
-<p>
-— Ma tutti — disse Teresa, — anche i più grandi,
-hanno avuto di questi scoraggiamenti!
-</p>
-
-<p>
-— Erano altri scoraggiamenti, — rispose Mario; — stanne
-sicura. Si scoraggivano perchè sentivan
-la loro opera troppo inferiore al loro ingegno; ma
-non è che non sentissero l'ingegno. Essi hanno gettato
-sul mondo i riflessi della luce che brillava alla
-loro mente, e a noi questi riflessi paion già una gran
-luce; ma chi può immaginare lo splendore che vedevan
-loro cogli occhi del genio? Chi sa che portentoso
-<i>Cinque maggio</i> balenò ad Alessandro Manzoni,
-prima che si mettesse a scrivere quello che
-noi conosciamo? Tutti i grandi caddero qualche
-volta; ma caddero a pochi passi dalla cima della
-montagna, ed erano già saliti ad un'altezza tremenda.
-Non cadevan per fiacchezza, cadevano per vertigine.
-Erano battaglie, nelle quali riuscivano ora vinti, ora
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-vincitori. Ma in me, vedi, non c'è lotta; in me è
-calma morta. Ai grandi che picchiano alla porta
-del tempio dell'Arte, qualche volta una voce di dentro
-risponde: — Non ancora: — A me quella voce
-risponde: — Via! — Quelli sono pregati d'aspettare,
-e io sono scacciato come un cialtrone.
-</p>
-
-<p>
-Teresa aperse il libro che aveva preso poco prima
-e finse di mettersi a leggere senza badare alle parole
-di Mario.
-</p>
-
-<p>
-— Leggi, leggi, — continuò Mario sorridendo, — chi
-si contenta, gode. Intanto io farò un pochino di
-critica al tuo autore. I suoi personaggi son tutti
-fantocci che recitano la medesima parte, e non ne
-vien uno in iscena, che non lasci veder sotto la mano
-del burattinaio. Tre idee tinte di mille colori; ma
-non più che tre idee. Un manzonismo annacquato,
-senza coraggiose affermazioni; un ciondolío perpetuo
-fra il credo e il non credo; un voler far sentire la
-cosa senza compromettersi colla parola; una doppia
-paura di far sorridere i miscredenti e di scontentare le
-mamme pie; un tirar sempre al cuore, a tradimento,
-quando si dovrebbe tirare alla testa; e persino nella
-lingua, la persuasione profonda che si debba dare
-un calcio alle convenzioni, agli scrupoli grammaticali,
-alle parole illustri, a tutte le formole della lingua
-scipita, pedantesca, bastarda, che si parla fuor
-di Toscana; e la vigliaccheria di non farlo per paura
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-di coloro che combattono la proposta del Manzoni,
-perchè non vogliono ricominciare a studiare.
-</p>
-
-<p>
-— Io non me ne intendo di lingua, — disse Teresa; — non
-ti so cosa rispondere. Ma per quel ch'è
-dei fantocci, purchè dicano delle cose buone, che
-importa se si vede la mano? — Così dicendo, rise
-e gli prese la mano.
-</p>
-
-<p>
-— Dir delle cose buone! esclamò Mario. — Vorrei
-che tu mi dicessi che diritto ho io di dire delle
-cose buone, io che non ne faccio, e di metterci sotto
-la mia firma, come se le facessi. Mi ricordo, pochi
-giorni fa, quando ti dissi che compivo ventisette
-anni, tu esclamasti: — Ventisette anni! Hai già fatto
-molto! — Fatto molto! non ho ancora salvato la
-vita a nessuno, — non ho mai passato trenta notti
-di seguito al letto d'un ammalato, — non mi sono
-mai messo a rischio di buscarmi una coltellata per
-levare una donna dalle mani d'un brutale che la
-schiaffeggia nel mezzo della strada, — non ho mai
-fatto dieci miglia a piedi per andar a portare una
-buona notizia a una famiglia povera, — non mi son
-mai privato un mese di seguito del sigaro, del teatro
-e della birra, per fare un regalo a un mio antico
-maestro elementare che si trova nella strettezza.
-Ebbene, conosco dei giovani che fecero e che fanno
-tutte queste cose, e che si vergognerebbero di scriverle,
-e che quando le leggono scritte da me, mi
-dicono: «bravo! Lei fa del bene! Beato lei!»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Vero, e con questo?
-</p>
-
-<p>
-— Con questo, quando mi dicono quelle parole, io
-arrossisco perchè dovrei dirle io a loro; e loro dovrebbero
-dire a me che sono un impostore.
-</p>
-
-<p>
-— E allora, — disse Teresa con un'ironia faceta,
-di cui Mario non s'accorse; — se scrivendo delle
-cose morali ti pare di far l'impostore, scrivine delle
-immorali e vivrai in pace colla tua coscienza.
-</p>
-
-<p>
-— No! — rispose Mario — mai. Se volessi anche,
-non potrei. Su questo punto tu non conosci ancora
-le mie idee, e te le dico. Da un uomo di genio, di
-quelli che ti ho definiti poco fa, accetto tutto; creda,
-non creda, sia ottimista o veda tutto nero, non mi
-riveli che il bello o non mi mostri che le brutture
-dei suoi simili e le sue, — dissento, deploro — ma
-accetto, — o almeno mi rendo ragione del come gli
-possa parer lecito di scrivere quello che pensa e
-quello che fa. È un uomo di genio; preferisco averlo
-com'è al non averlo; anche offendendomi e sconfortandomi,
-mi fa vedere molte cose sotto una faccia
-nova; mi costringe a pensare; mi fa, se non altro,
-ammirare in sè un nuovo stampo d'uomo, e una
-gradazione di più nell'infinita varietà della natura.
-Sta bene. Ma che un uomo d'ingegno della seconda
-sfera, uno di quelli dei quali è dubbio se abbiano
-fatto bene o no a scegliere la via delle lettere, e
-che dovrebbero, poichè il mondo può benissimo far
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-di meno di loro, cercare tutti i modi di farsi perdonare
-l'ambizione che li rode; che uno di questi,
-dico, abbia la sfacciataggine di gridare al mondo: — Vòltati — per
-fargli sapere che non crede a nulla,
-che è divorato dalla bile, che disprezza i suoi simili,
-che vive fra le sgualdrine e s'ubbriaca; questo, per
-Dio, non solo non lo ammetto, ma non lo capisco;
-e non capisco come il pubblico non si stomachi di
-queste scimmie degli scapestrati di genio, e non se
-li levi di torno colla scopa.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque scrivi morale! — disse Teresa — Io
-non so più che cosa dirti! Dici che sei un impostore!
-Basta essere onesto per poter scrivere delle sante
-cose senza fingere. Come potresti scrivere, se prima
-di metterti a tavolino, dovessi far dieci miglia a piedi
-per portare una buona notizia a una famiglia povera?
-</p>
-
-<p>
-Mario sorrise e scrollò una spalla; e dopo qualche
-minuto di silenzio, disse:
-</p>
-
-<p>
-— Un giorno, a Firenze, passeggiando fuor di Porta
-Romana, sull'imbrunire, vidi tutt'a un tratto una
-gran luce dietro un gruppo di case e gente che correva.
-Presi anch'io la corsa e arrivai dinanzi a una
-casa che bruciava, in mezzo a una folla che faceva
-un grande strepito. L'incendio era scoppiato da poco;
-ma uscivan già fiamme dal tetto e da parecchie finestre,
-e si sentiva dentro un fracasso spaventoso
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-di travi che cadevano e si spezzavano, e in mezzo
-alla folla grida di donne e di bimbi, che facevan pietà.
-Arrivarono in quel momento le pompe e le guardie,
-e cominciò il solito lavoro di far dare addietro la
-gente, coll'urlío e il disordine solito. Tutt'a un tratto
-si sentì un grido straziante e si vide molta gente
-affollarsi da una parte. Era la solita disgrazia d'una
-donna che aveva chiuso il bambino in casa per uscire,
-e che tornava troppo tardi. La voce si sparse in un
-batter d'occhio. Per fortuna la finestra della camera
-dava sulla strada; fu portata una scala e appoggiata
-al davanzale, e una guardia salì. Ma sì! non era
-ancora arrivata in cima, che uscì un nuvolo di fumo
-nero e una lingua di fuoco dall'alto della finestra,
-e il pover uomo si sentì mancare il coraggio. La
-folla gridò: — Giù! Giù! — La guardia saltò giù;
-un'altra salì, e ricascò in terra come la prima; cinque
-o sei uomini si agitavano ai piedi della scala, e nessuno
-saliva. Intanto la povera donna gettava delle
-grida orribili, si buttava in ginocchio, si stracciava
-i capelli, faceva cose da lacerare il cuore. Allora
-non so che cosa seguì in me; mi si velò la vista, mi
-balenarono mille pensieri in un punto, quel bambino,
-mia madre, una gioia immensa; sentii come una
-voce sovrumana che mi gridò nell'orecchio: — Va! — e
-nello stesso momento un impulso irresistibile
-che mi sbalzò quasi ai piedi della scala. Ma là.... mi
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-parve d'essere afferrato di dietro da un artiglio di
-ferro, e rimasi inchiodato, immobile, trasognato,
-come uno che si trovi tutt'a un tratto sull'orlo di
-un precipizio. Mentre guardo intorno e rinvengo in
-me, un uomo si spicca dalla folla come una saetta,
-butta in terra una guardia, sale in cima alla scala,
-dispare nella finestra che pareva la bocca d'una
-fornace, — si fa un profondo silenzio — l'uomo ricompare — la
-folla getta un grido — quegli sale
-sul davanzale, si gira, mette il piede sulla scala, discende
-e casca in terra spossato.... Aveva portato giù
-il bambino sano e salvo! Ebbene, è una cosa che seguì
-molte volte, tu mi dirai. Ah Teresa! ma quella volta
-ero là, ho visto tutto; — ho visto quella donna quando
-si slanciò al collo di quell'uomo, — l'ho guardata
-negli occhi, — ho contato i baci furiosi che gli ha
-stampati sulla fronte e sul petto, — ho sentito le
-sue grida — le sento ancora — non credevo che
-un viso umano si potesse trasfigurare in quel modo,
-e che delle voci e dei singhiozzi di gioia come quelli
-là potessero fuggire da questo petto di creta senza
-spezzarlo! Non credevo che si potesse esser belli,
-felici, gloriosi, com'era quell'uomo, quando si passò
-una mano nei capelli strinati — fiutò la mano — e
-si mise a ridere!
-</p>
-
-<p>
-Teresa era commossa.
-</p>
-
-<p>
-— Io tornai a casa — continuò Mario, — triste
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-e pieno di disprezzo per me medesimo, come se avessi
-commesso un'azione vergognosa. Pensavo a quell'uomo,
-e mi pareva di essere meno che un verme
-della terra accanto a lui. Pensavo ai miei studî, e
-alle mie piccole soddisfazioni d'amor proprio, e ogni
-cosa mi pareva fredda e meschina, al paragone della
-gioia infinita che m'ero lasciata sfuggire. Rientrai
-in casa, accesi il lume e mi lasciai cadere sopra una
-poltrona, dicendo a me medesimo: — Bravo! Ecco il
-tuo piedestallo! — Sentivo delle voci nella strada,
-che mi parevano l'eco delle grida della madre e della
-folla, e da tutte le parti vedevo quella finestra infocata,
-la scala, l'uomo che saliva. A un tratto, mi
-cadon gli occhi sul tavolino, c'eran delle carte sparse,
-non mi ricordavo che fossero, guardai.... Erano pagine
-d'uno scritto, nel quale dicevo mille belle cose
-intorno all'amor materno, alla virtù del sacrifizio,
-alla generosità, al coraggio. Che vuoi che ti dica!
-Quelle parole, in quel momento, mi fecero l'effetto
-d'una ciurmeria ignobile, d'una ostentazione ipocrita
-e sfrontata; mi sentii salire il sangue al viso; buttai
-in terra, con una manata, quel mucchio di fogli....
-</p>
-
-<p>
-Teresa gli pose una mano sulla bocca.
-</p>
-
-<p>
-— E ci sputai sopra tre volte! — soggiunse Mario
-respingendo la mano.
-</p>
-
-<p>
-— No, Mario! — esclamò Teresa — non le dire
-queste cose!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Lasciamele dire — rispose Mario, con un sorriso
-mesto e amorevole: — è questo uno dei pochi
-bei tratti della mia vita. E ora sai perchè mi pare
-un'impostura lo scrivere quello che non faccio.
-</p>
-
-<p>
-— Eppure! — gli disse Teresa — guardandolo
-negli occhi, dopo alcuni momenti di silenzio. — Eppure
-domani tu scriverai.
-</p>
-
-<p>
-Mario si strinse nelle spalle.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, scriverai, — riprese Teresa — perchè io
-son donnina da trovare nella mia piccola testa delle
-ragioni convincenti da opporre a tutte quelle che
-mi hai dette finora per provarmi che non devi più
-scrivere.
-</p>
-
-<p>
-— Sentiamole.
-</p>
-
-<p>
-— Ma non oso dirtele perchè.... non mi so esprimere;
-sono una scioccherella.... io non m'intendo di
-letteratura.
-</p>
-
-<p>
-— Credi agli angeli?
-</p>
-
-<p>
-— Io sì.
-</p>
-
-<p>
-— E credi che gli angeli s'intendano di letteratura?
-</p>
-
-<p>
-Teresa sorrise, e continuò: — Ebbene, ecco la mia
-idea. Dici che dovrebbero scrivere solamente i grandi
-e questo non mi par giusto. In questo mondo ci
-sono tante anime che si somigliano, che vivono nella
-stessa maniera, che vedon le cose dallo stesso lato,
-che hanno perfino le medesime debolezze. Ebbene,
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-queste anime si cercano, e quando s'incontrano, sia
-anche in una pagina d'un libro, ne godono, e si attaccano
-a chi ha scritto quella pagina, come a un
-intimo amico. I grandi scrittori ne abbracciano un
-gran numero di queste anime, perchè abbracciano
-la natura sotto moltissimi aspetti. Gli scrittori che
-vengon dopo, ne abbracciano soltanto poche; ma
-bastano anche queste poche perchè essi abbiano ragione
-di essere. I grandi scrittori destano la maraviglia,
-l'entusiasmo: gli altri solamente l'affetto e
-la simpatia. Ebbene, anche far nascere una simpatia
-mi pare che sia un effetto che giustifichi un libro,
-perchè la simpatia è una disposizione benevola del
-cuore, e una disposizione benevola è la metà d'una
-buona azione. E poi, perchè il grande dovrebbe escludere
-il piccolo? e il bellissimo escludere il grazioso?
-Non ci dovrebbero essere delle margheritine e delle
-viole perchè ci sono dei girasoli e delle rose? Forse che
-il poema di Dante m'impedisce di piangere e di sentirmi
-riaver l'anima leggendo le novelle del Thouar?
-Quando uno è sicuro che cinquecento persone leggeranno
-quello che scrive, ogni volta che gli viene
-un buon sentimento, fosse anche a proposito di due
-lucciole che passano, lo deve scrivere; e se impiega
-tutta la sua vita a scrivere delle cose che trasfondono
-un buon sentimento in cinquecento persone,
-la sua vita mi par che sia bene impiegata. E quanto
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-allo scrivere quello che non si fa, mi par che tu non
-abbia ragione neppure; le buone azioni non si fanno
-soltanto col coraggio e coi sacrifizî; destare degli
-affetti gentili, consolare, intenerire, rasserenare l'anima
-per un momento a qualcuno, sono buone azioni
-non meno meritorie che star un mese senza fumare
-per fare un regalo a un maestro. Che importa se
-un libro che ha prodotto questi effetti, dopo un certo
-tempo è dimenticato? Quante buone azioni non si
-dimenticano ogni giorno! Forse che non si dovrebbero
-fare buone azioni che pei posteri? Ma perchè
-mi perdo in ragionamenti? Chi più di te sentiva
-queste verità, quando scrivevi le tue prime cose, e
-ogni volta che ne finivi una, comparivi qui colle
-braccia aperte e il viso radiante e mi dicevi: — Teresa,
-quanto mi rincrescerebbe morire! — Teresa,
-non dirmi che sono superbo: t'assicuro che oggi
-dentro di me c'era un angelo; era lui che mi dettava;
-se non ho scritto meglio, è perchè ho inteso male
-quello che diceva, tanto mi parlava in furia! — E
-vedi che anche adesso ti splendono gli occhi a sentirti
-ricordare quei giorni. — Dammi la mano, Mario — riprendi
-coraggio e fiducia — cercala qui l'ispirazione — nel
-cuore — vedrai che ti risponderà — la
-tua forza è qui; — promettimi che scriverai ancora, — che
-tornerai di nuovo qui contento e glorioso
-a farti baciare sulla fronte, — dimmi che ti
-senti l'angelo, Mario!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-</p>
-
-<p>
-Mario, commosso, le chinò il capo sul seno, e rimase
-per lungo tempo immobile e pensieroso.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente Teresa gli mormorò all'orecchio: — E
-l'angelo?
-</p>
-
-<p>
-— Oh! perdio sì! — gridò Mario balzando in piedi
-col viso radiante e battendosi una mano sul petto, — c'è
-ancora!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-</p>
-
-<h2 id="ordinanza">RITRATTO D'UN'ORDINANZA</h2>
-</div>
-
-<p>
-Dei capi originali, sotto la vôlta del cielo, ce n'è
-e posso vantarmi d'averne conosciuto parecchi; ma
-uno che possa far la coppia con lui, credo che abbia
-ancora da nascere.
-</p>
-
-<p>
-Era sardo, contadino, ventenne, analfabeta e soldato
-di fanteria.
-</p>
-
-<p>
-La prima volta che mi comparve davanti a Firenze,
-nell'uffizio d'un giornale militare, m'ispirò
-simpatia. Il suo aspetto, però, e qualcuna delle sue
-risposte, mi fecero capir subito ch'era un originale
-curioso. Visto di fronte, era lui; visto di profilo,
-pareva un altro. Si sarebbe detto che nell'atto che
-si voltava, tutti i suoi lineamenti s'alteravano. Di
-fronte, non c'era nulla da dire: era un viso come
-tanti altri; di profilo, faceva ridere. La punta del
-mento e la punta del naso cercavano di toccarsi, e
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-non ci riuscivano, impedite da due enormi labbra
-sempre aperte, che lasciavan vedere due file di denti
-scompigliati come un plotone di guardie nazionali.
-Gli occhi parevano due capocchie di spillo, tanto
-erano piccini, e sparivano quasi affatto tra le rughe,
-quando rideva. Le sopracciglia avevano la forma di
-due accenti circonflessi e la fronte era alta appena
-tanto da impedire ai capelli di confondersi colla
-barba. Un mio amico mi disse che pareva un uomo
-fatto per ischerzo. Aveva però una fisonomia che
-esprimeva intelligenza e bontà; ma un'intelligenza,
-se così può dirsi, parziale, e una bontà <i>sui generis</i>.
-Parlava con voce <i>aspra e chioccia</i> un italiano del
-quale avrebbe potuto domandare con tutti i diritti
-il brevetto d'invenzione.
-</p>
-
-<p>
-— Come ti piace Firenze? — gli domandai, poichè
-era arrivato il giorno innanzi a Firenze.
-</p>
-
-<p>
-— Non c'è male, — mi rispose.
-</p>
-
-<p>
-Per uno che non aveva visto che Cagliari e qualche
-piccola città dell'Italia settentrionale, la risposta
-mi parve un po' severa.
-</p>
-
-<p>
-— Ti piace più Firenze o Bergamo?
-</p>
-
-<p>
-— Sono arrivato ieri; non potrei ancora giudicare.
-</p>
-
-<p>
-Quando se n'andò gli dissi: — addio, — ed egli
-rispose: — addio.
-</p>
-
-<p>
-Il giorno dopo fece la sua entrata in casa.
-</p>
-
-<p>
-Nei primi giorni fui più volte sulle undici once
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-di perder la pazienza e di rimandarlo al suo reggimento.
-Se si fosse contentato di non capire niente,
-<i>transeat</i>: ma il malanno era che, un po' per la difficoltà
-dell'intendere l'italiano, un po' per la novità
-delle incombenze, capiva a mezzo e faceva tutto al
-rovescio. Se dicessi che portò ad affilare i miei rasoi
-dal Lemonnier e a stampare i miei manoscritti dall'arrotino;
-che rimise un romanzo francese al calzolaio
-e un paio di stivali alla porta di casa d'una
-signora, nessuno lo crederebbe; poichè per crederlo
-bisognerebbe aver visto fino a che segno, oltre al
-capir male, egli era distratto, non bastando il capir
-male a dar ragione di <i>qui pro quo</i> così madornali.
-Ma non posso trattenermi dal citare alcune fra le
-più meravigliose delle sue prodezze.
-</p>
-
-<p>
-Alle undici della mattina lo mandavo a comprare
-del prosciutto per far colazione, ed era l'ora che
-si gridava per le strade il <i>Corriere italiano</i>. Una
-mattina, sapendo che il giornale conteneva una
-notizia che mi premeva, gli dico: — Presto, prosciutto
-e <i>Corriere italiano</i>. — Due idee alla volta
-non le afferrava mai. Discese e ritornò dopo un
-minuto col prosciutto involto nel <i>Corriere italiano</i>.
-</p>
-
-<p>
-Una mattina sfogliettavo sotto gli occhi d'un mio
-amico, e in presenza sua, un bellissimo Atlante
-militare che m'era stato imprestato dalla Biblioteca,
-e gli dicevo: — Il male, vedi, è che io non posso
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-abbracciare tutte queste carte con uno sguardo solo
-e mi tocca osservarle una per una. Per afferrar
-bene il complesso della battaglia, vorrei vederle
-tutte inchiodate nel muro, in fila, in modo che formassero
-un solo quadro. — La sera, rientrando in
-casa.... rabbrividisco ancora a pensarci.... tutte le
-carte dell'Atlante erano inchiodate nel muro; e per
-maggior supplizio, la mattina seguente, mi toccò
-vederlo comparir lui col viso modesto e sorridente
-d'un uomo che viene a cercare un complimento.
-</p>
-
-<p>
-Un'altra mattina lo mando a comprare due ova
-da far cuocere collo spirito. Mentre è fuori, viene
-un amico a parlarmi d'un affar di premura. Quel
-disgraziato rientra; gli dico: — Aspetta; — egli si
-mette a sedere in un canto, io continuo a parlare
-coll'amico. Dopo un momento vedo il soldato che
-si fa rosso, bianco, verde, che par seduto sulle spine,
-che non sa dove nascondere il viso. Abbasso gli
-occhi e vedo una gamba della sua seggiola leggiadramente
-rigata d'una striscia color d'oro che non
-avevo mai veduta. M'avvicino: è giallo d'ovo. L'infame
-s'era messo le ova nelle tasche posteriori del
-cappotto e, rientrando in casa, s'era seduto senza
-ricordarsi che aveva la mia colazione di sotto.
-</p>
-
-<p>
-Ma queste son rose appetto a quello che mi
-toccò di vedere prima d'averlo ridotto a mettere in
-ordine la mia camera, non dico come volevo, ma
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-in una maniera che rivelasse, alla lontana, l'uomo
-ragionevole. Per lui l'arte suprema del metter le
-cose in ordine consisteva nel disporle l'una sull'altra
-in forme architettoniche, e la sua grande ambizione
-era di fabbricare degli edifizi alti. Nei primi
-giorni i miei libri formavano tutti insieme un semicerchio
-di torri tremolanti al menomo soffio; la
-catinella rovesciata sorreggeva una piramide ardita
-di piattini e di vasetti, in cima alla quale si rizzava
-alteramente il pennello della barba; i cappelli cilindrici
-nuovi e vecchi si elevavano in forma di colonna
-trionfale ad un'altezza vertiginosa. Per il che
-seguivano sovente, anche nel cuore della notte,
-rovine fragorose e vasti sparpagliamenti, che, se
-non fossero state le pareti della camera, nessuno sa
-dove sarebbero andati a finire. Per fargli capire,
-poi, che lo spazzolino da denti non apparteneva
-alla famiglia delle spazzole da testa, che il vasetto
-della pomata era tutt'altra cosa che il vasetto dell'estratto
-di carne, e che il tavolino da notte non
-è mobile da mettervi le camicie stirate, mi ci volle
-l'eloquenza di Cicerone e la pazienza di Giobbe.
-</p>
-
-<p>
-Se della buona maniera con cui lo trattavo, mi
-fosse grato, se sentisse affetto per me, non l'ho mai
-potuto capire. Una sola volta mostrò una certa sollecitudine
-per la mia persona, e la mostrò in un
-modo stranissimo. Ero a letto, malato da una quindicina
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-di giorni, e nè peggioravo, nè accennavo a
-guarire. Una sera egli fermò per le scale il mio
-medico ch'era un uomo ombrosissimo, e gli domandò
-bruscamente: — Ma, insomma, lo guarisce o non lo
-guarisce? — Il medico montò in bestia e gli fece
-una lavata di capo. — Gli è che l'è già un po' lunga! — brontolò
-lui per tutta risposta.
-</p>
-
-<p>
-Altre volte aveva certi frulli, che, invece di rimproverarglieli,
-come avrei dovuto, non potevo far
-altro che riderne. Una mattina mi svegliò dicendomi
-nell'orecchio con un certo suo accento strano: — Signor
-tenente, chi dorme non piglia pesci.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno entrò in casa mentre ne usciva un
-personaggio illustre, e sentì dire da un mio amico,
-rimasto con me, che quel tal personaggio era <i>una
-personalità molto spiccata</i>. Quindici giorni dopo,
-mentre stavo discorrendo con parecchi amici, egli
-s'affacciò alla porta della mia camera e m'annunciò
-una visita. — Chi è? — domandai. — È..., — rispose
-(non si ricordava il nome).... — è <i>quella personalità
-molto spiccata</i>. — Tutti diedero in uno
-scoppio di risa, il personaggio sentì, io gli spiegai
-la cosa, e ne rise anche lui dai precordi.
-</p>
-
-<p>
-È difficile dare un'idea della lingua che parlava
-quel curioso soggetto: era un misto di sardo, di
-lombardo e d'italiano, tutte frasi tronche, parole
-mozze e contratte, verbi all'infinito buttati là a
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-caso e lasciati in aria, che facevano l'effetto del
-discorso di un delirante. Un giorno mi venne a
-cercare un amico all'ora del desinare, ed entrando
-in casa, gli domandò: — A che punto è del desinare
-il tuo padrone? — <i>Trema!</i> — gli rispose il
-soldato. — L'amico rimase colla bocca aperta. Quel
-<i>trema</i> voleva dire <i>termina</i>.
-</p>
-
-<p>
-In cinque o sei mesi, frequentando le scuole reggimentali,
-aveva imparato a leggere e a scrivere
-stentatamente. Fu la mia disgrazia. Mentre ero fuor
-di casa, s'esercitava a scrivere sul mio tavolino, e
-soleva scrivere cento, duecento volte la stessa parola,
-una parola, per il solito, che il giorno prima
-aveva sentito pronunciar da me leggendo, e che gli
-aveva fatto impressione. Una mattina, per esempio,
-lo colpiva il nome di Vercingetorige. La sera, rientrando
-in casa, io trovavo Vercingetorige scritto
-sui margini dei giornali, sul rovescio degli stamponi,
-sulle fascie dei libri, sulle buste delle lettere, sulle
-carte del cestino, da per tutto dove aveva trovato
-tanto spazio da ficcarvi quelle quattordici lettere
-predilette dal suo cuore. Un'altra volta gli toccava
-il cuore la parola Ostrogoti e il giorno dopo la mia
-casa era invasa dagli Ostrogoti. Un giorno lo seduceva
-la parola rinoceronte e la mattina seguente
-la mia casa era convertita in un serraglio di bestie
-feroci. Ci guadagnai però da un altro lato, e fu di
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-poter abbandonare l'uso delle croci che facevo con
-matite di vario colore sulle lettere che doveva portare
-a mano a certe persone fisse, perchè non c'era
-verso di fargli ritenere i nomi; per cui egli soleva
-dire: questa lettera va alla signora celeste (ch'era
-mondana), questa al giornalista nero (ch'era rosso),
-questa all'impiegato giallo (ch'era al verde).
-</p>
-
-<p>
-Ma a proposito dello scrivere gliene scopersi una
-assai più curiosa di quelle che ho citate finora. Si
-era comprato un quadernino, sul quale copiava, da
-tutti i libri che gli venivano alle mani, le dediche
-degli autori ai parenti, badando sempre a sostituire
-ai nomi di questi, il nome di suo padre, di sua madre
-o de' suoi fratelli, ai quali s'immaginava di
-dare in tal modo uno splendido attestato di affetto
-e di gratitudine. Un giorno apersi il quaderno e
-vi lessi, fra le altre, le dediche seguenti: — <i>Pietro
-Tranci</i> (era suo padre, contadino), <i>Nato in povertà,
-Seppe collo studio e colla perseveranza Acquistarsi
-un posto segnalato fra i dotti, Soccorrere genitori
-e fratelli, Degnamente educare i figli. Alla memoria
-dell'ottimo padre Questo libro intitola L'autore
-Antonio Tranci</i>, invece di Michele Lessona.
-In un'altra pagina: — <i>A Pietro Tranci mio Padre
-Che annunziando al Parlamento subalpino Il disastro
-di Novara Cadeva svenuto al suolo, E tra
-pochi giorni moriva Consacro questo Carme</i>, ecc. — Più
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-sotto: — <i>A Cagliari</i> (invece di Trento) <i>Non ancora
-rappresentata nel Parlamento italiano</i>, ecc.
-<i>Antonio Tranci</i>, invece di Giovanni Prati.
-</p>
-
-<p>
-Quello che mi meravigliava di più in lui, — che
-non aveva mai visto nulla, — era una assoluta
-mancanza del sentimento della meraviglia, qualunque
-cosa, per quanto straordinaria, egli vedesse. Vide,
-nel tempo che stette a Firenze, le feste per il matrimonio
-del Principe Umberto; vide l'opera e il
-ballo alla Pergola (non aveva mai visto un teatro);
-vide le feste del carnevale e l'illuminazione fantastica
-del viale dei Colli; vide cento altre cose nuove
-affatto per lui, che avrebbero dovuto stupirlo, divertirlo,
-farlo parlare. Nulla di tutto questo. La sua
-ammirazione non andava mai più in là della solita
-formola: — Non c'è male. — Santa Maria del Fiore....
-non c'è male; la Torre di Giotto.... non c'è male; il
-palazzo Pitti.... non c'è male. Io credo che se Domeneddio
-in persona gli avesse domandato che cosa
-gli pareva della creazione, gli avrebbe risposto che
-non c'era male.
-</p>
-
-<p>
-Dal primo all'ultimo giorno che stette con me,
-fu sempre dello stesso umore, tra serio ed allegro;
-sempre docile, sempre stordito, sempre puntuale a
-capire le cose a rovescio, sempre immerso in una
-beata apatia, sempre stravagante ad un modo. Il
-giorno che ricevette il suo congedo, scribacchiò non
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-so quante ore nel suo quaderno colla stessa tranquillità
-degli altri giorni. Prima di partire venne
-ad accomiatarsi. La scena della separazione fu poco
-tenera. Gli dimandai se gli rincresceva di lasciar
-Firenze. Mi rispose: — Perchè no? — Gli dimandai
-se tornava a casa volentieri. Mi rispose con una
-smorfia che non capii.
-</p>
-
-<p>
-— Se avrà bisogno di qualche cosa, — disse all'ultimo
-momento, — scriva pure che mi farà sempre
-piacere. — Grazie tante! — gli risposi. E così
-uscì di casa, dopo più di due anni che stava con
-me, senza dar il menomo segno nè di rincrescimento,
-nè di allegrezza.
-</p>
-
-<p>
-Io lo guardai mentre scendeva le scale.
-</p>
-
-<p>
-Tutt'a un tratto si voltò.
-</p>
-
-<p>
-— Stiamo a vedere, — pensai, — che il suo cuore
-s'è svegliato e che ritorna a congedarsi in un altro
-modo.
-</p>
-
-<p>
-— Signor tenente, — disse: — il pennello per
-la barba l'ho messo nella cassetta del tavolino più
-grande.
-</p>
-
-<p>
-E disparve.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-</p>
-
-<h2 id="battaglie">BATTAGLIE DI TAVOLINO</h2>
-</div>
-
-<p>
-Un giorno un mio amico mi disse: — Tu non studii
-abbastanza; tu leggi; leggere non è studiare; leggere
-è un piacere, e studiare è una fatica: infatti
-tutti leggono e pochissimi studiano. Quali sono le
-ore della giornata che tu dedichi a uno studio profondo?
-a quel lavoro di figgersi nella mente le cose
-lette, di pensarle, di rimestarle, di raffrontarle, di
-spremerne il sugo? a quella fatica di raccogliere cognizioni
-precise, di formarsi giudizî proprî, di combattere,
-ragionando, i giudizî altrui, che dissentano
-da' tuoi? Tu con la mente non lavori, ti balocchi.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-A vent'anni quante ragioni si trovano da opporre
-a questi consigli! I libri, i libri! O che si vive pei
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-libri? Io ho del sangue nelle vene, io ho bisogno
-d'aria e di luce, io voglio leggere il gran libro della
-vita. Prima di studiare bisogna vivere. Perchè legarmi
-a questo strumento di tortura ch'è il tavolino?
-La vita è moto; chi si muove è sano, chi è
-sano è allegro, chi è allegro è buono, e chi è buono
-è più caro a Dio e più utile agli uomini che questi
-eremiti della società che si sono logorati sui libri,
-pieni di vanità, gonfi d'orgoglio e svogliati d'ogni
-cosa.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Le prime lotte son dure. Voi avete preso la risoluzione
-di studiare, date un addio agli amici, correte
-a casa, aprite un libro. A un tratto sentite non
-so che dentro di voi che dà indietro, che si raggomitola,
-che si scontorce. Voi ravvicinate la seggiola,
-e vi ripiegate sul libro, e vi sentite sbalzato indietro
-daccapo. V'è qualcuno dentro di voi, un nemico
-sordo, muto, cocciuto, che s'impenna, s'ostina, non
-vuole intendere ragione; un poltrone che si dibatte
-come se lo trascinassero al supplizio. E la lotta dura
-molto tempo e diventa accanita fino a farvi morder
-le dita e picchiare il pugno nel muro senza quasi
-sentirne dolore, come se veramente quelle offese non
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-fossero fatte a voi, ma all'<i>altro</i>; e voi foste intimamente
-persuaso che siete in <i>due</i>: un capitano
-animoso e un soldato vigliacco.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Poi si provano le prime gioie della vittoria. Vien
-sempre il momento in cui l'<i>io</i> che vuole, traendo
-dall'ira la forza che non aveva potuto trarre dal
-proposito, grida un <i>voglio</i> così imperioso, che l'<i>altro</i>
-non osa più di ribellarsi, si acquatta, si annichilisce.
-Allora vi sentite in cuore una soddisfazione piena di
-alterezza e assaporate la voluttà del comando; provate
-un sentimento quasi di rispetto per voi medesimo,
-come se in voi ci fosse qualcuno più valoroso
-e più forte di voi.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Dopo le prime lotte e le prime gioie, vengono i
-primi sconforti. Come nella mente del dotto una nozione
-chiama l'altra, e per poco che rimugini ne
-mette sottosopra una folla, ch'egli si fa sfilare dinanzi
-colla compiacenza d'un generale che passa
-in rassegna un esercito, o d'un avaro che conta le
-sue ricchezze; così nella mente di chi comincia a
-studiare una lacuna mette in un'altra lacuna, e il
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-povero esaminatore di sè stesso, dopo aver molto
-errato nel vuoto, prova un sentimento di solitudine,
-che gli precide il coraggio e le forze. Da un dubbio
-di lingua a un dubbio di storia, da un dubbio di
-storia a uno di geografia, da uno di geografia a uno
-di fisica, e son tutte cose elementari, essenziali, necessarie,
-tali che, sebbene dalla maggior parte si
-ignorino, pare nondimeno così vergognoso l'ignorarle
-che s'è convenuto fra tutti di fingere reciprocamente
-di saperle. E allora, in quell'affollamento di
-stupori e di vergogne, lo assale una smania dolorosa
-di colmare quei vuoti; e tira giù libri, e rovista dizionari,
-e piega pagine, e appunta; e mentre una
-nozione s'appiccica, l'altra si stacca, e mentre questa
-riaderisce, quell'altre due si confondono, fin che
-gli si fa buio fitto nella testa, le braccia gli cadono,
-ed egli esclama sconfortato: È inutile, è tardi, torniamo
-alla vita di prima.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il giorno dopo, a mente fresca, si ripiglia speranza
-e vigore. Si studia fino a sera e la sera si coglie
-il premio. In quel breve riposo che ci si concede
-dopo un sobrio desinare, tutte le cose imparate, come
-se si fossero data la posta, balzan tutte insieme dai
-ripostigli della mente, vengono a galla, non cercate,
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-con una specie di gara a chi giunga la prima, e fanno
-nella testa un tumulto che non si può esprimere.
-Sentenze di filosofi e regole di grammatica, versi e
-date, immagini e pensieri lucidissimi; e poi bagliori,
-barlumi lontani d'altri pensieri e d'altre immagini
-così fitti e rapidi che non lascian vedere le lacune
-oscure che poc'anzi ci prostravano nello sgomento.
-Quelli son momenti di gioia viva.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il sacrifizio più duro è quello della sera nella
-bella stagione. L'aria è odorosa, la città è splendida,
-udite giù per le scale il passo affrettato dei vicini,
-e risa di ragazze e di fanciulli; poi il rumore nella
-strada; poi la casa rimane silenziosa. Tutti sono
-usciti, rimanete solo. Allora vi tocca combattere
-contro le immagini seduttrici. Avete la fantasia eccitata
-dalla lettura, siete giovane, la lotta è fiera.
-È appena credibile quello che segue allo studioso in
-quei momenti. A volte vi sentite veramente soffiare
-nel viso un alito di donna che vi rimescola; vedete
-passare a traverso il vostro libro una treccia di capelli;
-udite dei passi leggeri, dei respiri, qualcosa
-che s'agita nell'aria. Allora vi piglia quella maledetta
-tentazione di dar una pedata al tavolino e di
-buttar a terra ogni cosa, gridando con un accento
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-di trionfo e di disprezzo: — Alla cassetta della spazzatura,
-cartaccie! Io voglio vivere!
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Sono belle e feconde queste battaglie combattute
-nel silenzio d'una cameretta tra l'immensa avidità
-del sapere e la foga prepotente della giovinezza;
-questo divincolarsi sotto un giogo che ci siamo imposti
-noi stessi. Il sudore che ci esce dalla fronte
-in questa fatica è un sudore salutare, la stanchezza
-che ne segue è madre di nuove forze. Allora si comprende
-che son sapienti certi consigli che ci parevan
-degni di riso. Allora si vede la necessità di combattere
-acerbamente questo corpo ribelle che ci vuole
-imporre una disciplina codarda; d'infliggergli dei
-patimenti che lo prostrino, non tanto da renderlo
-inetto a servire, ma abbastanza perchè non possa
-più comandare. Allora si piglia l'abitudine della
-colazione alla Franklin: pane, frutta, acqua, e di
-rigore in rigore, si è condotti logicamente fino a
-fare uno sforzo per non appoggiarsi alla spalliera
-della seggiola; concessione pericolosa, che per una
-serie d'altre concessioni conduce insensibilmente a
-ricominciar la battaglia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-L'arte di comandare a sè stessi consiste in gran
-parte nel trovar argomenti e parole efficaci per
-movere in noi la vergogna. Ci vuol immaginazione
-ed eloquenza. Una mattina ch'ero svogliato mi costrinsi
-a studiare con questo discorso. Supponi che
-le pareti, i solai, le scale della casa diventino ad
-un tratto trasparenti. Guarda in alto, in basso, intorno.
-Tu vedi da ogni parte menar scope, smover
-sacconi, spolverar mobili; la casa è tutta in moto e
-in faccende. Ebbene, giurami che se tutte quelle
-donne colle maniche rimboccate e il viso luccicante
-di sudore si voltassero tutt'insieme a guardar te
-sdraiato sulla poltrona colle braccia in croce, giurami
-che, in quel punto, non proveresti un senso di
-vergogna, non ti verrebbe fatto di afferrar subito
-un libro per fingere almeno che studiavi, non ti verrebbe
-detto, come a un ragazzo côlto in fallo, con
-accento di scusa: — Ma io lavoravo, sapete!
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-T'amo, o tavolino! Tu, fra tutti gli oggetti della
-casa, sei il solo che rappresenti l'amicizia fedele. La
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-porta che, nei nostri begli anni, risuona qualche
-volta al tocco d'un ditino, che ci fa balzare in piedi
-col cuore in sussulto, finisce col non aprirsi più che
-a qualche vecchio amico che ci viene a parlare di
-malanni. Lo specchio, che ci dice tante care cose,
-fin che abbiamo l'occhio scintillante e la guancia
-rosea, finisce per diventarci odioso come un importuno
-che ci rammenti sempre una sventura che
-vorremmo dimenticare. Il letto sul quale ora dormiamo
-i sonni pieni e quieti della giovinezza, finisce
-per diventare un giaciglio di spine sul quale cerchiamo
-inutilmente il riposo. Tu, tavolino, sei l'ultimo
-ridotto nel quale, affranti dai disinganni, ripariamo.
-Caro quando, accesi dall'ispirazione, ti percotiamo
-col pugno vigoroso, presentendo la gioia dei
-trionfi; ci sei caro ugualmente quando torniamo a
-te col cuore contristato da una speranza miseramente
-delusa. Giovani, t'amiamo per la gloria; vecchi,
-per la pace; e riedifichiamo su te l'edifizio caduto
-della giovinezza.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-V'hanno dei momenti nella giornata dello studioso, — anche
-giovane, — nei quali la vita, — non so
-per che improvviso rivolgimento d'idee — gli si
-presenta al pensiero soltanto sotto i tristi aspetti;
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-i pericoli, le delusioni, le lotte inutili, la vanità di
-ogni cosa; — e tutte queste immagini gli paion
-come altrettante figure umane che, accennando lui,
-dicano: — Ecco un fortunato! — In quei momenti
-egli prova qualcosa di simile al sentimento di chi,
-stando chiuso in una stanza calda, vede cader la
-neve nella via. Egli si sente bene nel suo covo, è
-contento della maniera di vita che ha scelta, prova
-come un bisogno di rannicchiarsi, vorrebbe vivere
-in un guscio anche più piccino, per tapparvisi meglio,
-per essere più al sicuro. Gli par di essere nella sua
-stanza piena di libri come in una fortezza inespugnabile,
-fornita di provvigioni inesauribili, in mezzo
-à una vasta pianura corsa da eserciti furiosi che
-spargano sangue e paura.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-V'hanno altri momenti, per contro, nei quali par
-che vi manchi tutt'a un tratto il calore intimo della
-vita del pensiero. Allora ogni cosa si agghiaccia
-intorno a voi; lo scopo delle vostre fatiche vi par
-puerile; vi piglia un'uggia invincibile di tutto ciò
-che avete dinanzi agli occhi e sotto le mani; i vostri
-libri ve li sentite come ammontati tutti sul
-petto; la finestra vi par diventata lo spiraglio di
-un carcere; il soffitto vi par che s'abbassi sulla vostra
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-testa. Vi manca il respiro, v'alzate, vi guardate
-allo specchio: avete i capelli aruffati, la barba lunga,
-gli occhi rossi; vi sentite inselvatichito, avvilito;
-vi pare d'esservi svegliato in una spelonca; provate
-quasi orrore di esser così solo, intanato; pensate
-agli amici, alla campagna, alla musica, alle signore
-eleganti, e dite a voi medesimo che siete un insensato
-e un infelice.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Certe figure d'amici vostri che sanno tanto più
-di voi, dopo che vi siete dato a studiar di proposito,
-ingigantiscono. Prima vi pareva che i lampi
-che voi mandate valessero assai più dell'oro che
-essi possedono, e vi meravigliavate che anch'essi non
-fossero del vostro parere. Ma a poco a poco siete
-arrivato a capire come un uomo che ha studiato
-davvero, che ha fatto di quegli sforzi di volere che
-costano lotte faticosissime, e riportate di quelle
-vittorie intime che insuperbiscono al pari d'un trionfo
-pubblico, debba naturalmente far poco conto dell'ingegno
-che s'alza per la sola forza delle sue ali;
-che molto ardisce perchè ignora molto; che non
-sente la sua vacuità perchè non essendosi mai messo
-alla grave impresa di riempirla, non l'ha mai misurata.
-Capite ora come a quell'uomo l'opera d'un
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-tale ingegno debba parere un edifizio fragile. Anche
-voi, a pari altezza, ammirate di più il vertice immobile
-d'una piramide che l'ondeggiamento d'un
-cervo volante. Chi studia, conquista; l'ingegno incolto,
-al suo paragone, par che rubi. Molti che vi
-parevano invidiosi perchè non vi battevano le mani,
-capite ora che non avevano per voi altro sentimento
-che quello d'una fredda disistima. Essi sono boccie
-di cristallo, e voi siete bolle di sapone.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Studia; ma non ti rintanare, scriveva il Giusti a
-suo fratello; e v'è un proverbio spagnuolo che tradotto
-letteralmente, dice: «corsa che non dà il puledro
-nel corpo gli rimane.» Guai al giovine che
-per studiare si seppellisce! La durerà più o men
-tempo, e poi gli piglieranno delle malinconie disperate.
-Per non aver creduto a chi mi dava questo
-consiglio, mi svegliai qualche volta con una così
-profonda ripugnanza per lo studio e per la casa,
-che scappai come un frenetico, corsi alla campagna,
-camminai tutta la giornata, dormii in un villaggio,
-e non tornai in città che il giorno dopo
-come torna un forzato alla galera. E non bisogna
-tuffarsi intero negli studî, anche per non perdere
-ogni attitudine alla vita sociale. Chi sta troppo solo,
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-non più usato a tollerare i difetti dei suoi simili,
-a far sacrifizî d'amor proprio, a soffrire degli attriti
-spiacevoli, quando poi ritorna in mezzo alla gente
-si sente urtato e punto in mille modi, da mille parti.
-E va qualche volta tant'oltre questa sensitività
-penosa, da renderci insopportabile la più leggiera
-contraddizione. Nello studio solitario l'amor proprio
-ingigantisce; l'<i>io</i> diventa formidabile. Le nostre
-fatiche eccessive par che ci diano il diritto, — qualunque
-sia il frutto che ne ricaviamo, — di tenerci
-da più degli altri. Assuefatti nel nostro piccolo mondo
-a regnar da principi assoluti, portiamo anche fuori
-di esso le pretensioni e le arroganze principesche.
-Bisogna andar sempre fra la gente per farsi rintuzzare
-le corna dell'orgoglio.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Una volta stetti tre mesi di seguito chiuso in
-casa a studiare, dalla mattina alla sera, non uscendo
-che un po' dopo desinare per pigliare una boccata
-d'aria. Facevo la colazione alla Franklin, bevevo
-appena un bicchier di vino al giorno, non fumavo,
-mi levavo la mattina all'alba. Volli esprimentare
-fino a che punto di elasticità e di forza si potessero
-condurre le facoltà mentali, e che miglioramento si
-operasse nelle morali, rifiutando al corpo tutto quello
-che infiacchisce le une e corrompe le altre.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-I frutti del primo mese e di mezzo il secondo furono
-ammirabili. Sentivo la verità di quella sentenza
-del Rousseau: — Un giovane che vivesse in questa
-maniera fino a venticinque anni, schiaccerebbe poi
-facilmente tutti gli altri. — La memoria mi s'era fatta
-più facile e più tenace; capivo a volo cose che prima
-mi davan da pensare un'ora; idee che pel passato
-mi si svolgevano nella mente come un filo sgomitolato
-a fatica, ora scoppiettavano tutte insieme,
-al menomo tocco, come un nuvolo di scintille; ragionando,
-sentivo che andavo più addentro; parlando,
-dovevo fare uno sforzo per contenere la piena delle
-parole che volevano prorompere. Poi, per quello che
-riguarda il sentimento, valeva addirittura il doppio.
-La commozione che mi dava la lettura delle cose
-poetiche, era più pronta e più durevole. Leggendo
-ad alta voce certi versi, mi sfuggivan persino delle
-grida. Mi rendevo ragione di certi esaltamenti, che
-m'erano parsi fino allora inesplicabili, di artisti, o
-di uomini nati per essere artisti, che alla lettura
-di certi libri erano stati presi dalla febbre, avevan
-dato in voci e in gesti da spiritati. E di tutti gli
-effetti di quella maniera di vita, quello che mi colpiva
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-di più era questo: che il mio pensiero tendeva
-sempre a andare in su, a smarrirsi fuori del mondo.
-Per ore e ore non facevo che fantasticare intorno
-agli astri, all'immortalità dell'anima, all'infinito.
-Mi ero chiuso la porta di casa, scappavo pel tetto.
-Ma, in complesso, il miglioramento era grande.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il terzo mese fu un mese di lotta, e finì colla mia
-sconfitta. Mi parve che la mia intelligenza diventasse
-inerte e la mia memoria s'intorbidasse. Rimaneva
-la commovibilità, ma era giunta al segno da potersi
-chiamare piuttosto irritazione morbosa che vigore
-sano di sentimento. Ero diventato stravagante. A
-volte, smettevo di leggere, per far dei giuochi di
-forza colle seggiole, fin che sgocciolavo di sudore.
-Sovente mi mettevo davanti allo specchio e discorrevo
-con me gesticolando e ridendo. Ebbi perfino
-paura che mi desse un po' volta il cervello. La mia
-padrona di casa mi diceva spesso: — Ma che vita
-la fa, caro signore? — L'ultima settimana non studiai
-quasi affatto. Eppure non volevo cangiar vita.
-Era una picca d'amor proprio. Avevo detto agli
-amici che non mi sarei più fatto vedere; non m'avean
-creduto; volevo spuntarla. Finalmente, una sera,
-irruppero in casa mia alcuni compagni del buon
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-tempo, mi chiusero i libri, mi misero il cappello,
-mi cacciaron fuori a spintoni, e fu finita. Dopo d'all'ora
-passai due mesi quasi nell'ozio: solita conseguenza
-di queste pazzie di solitudine. Ma il primo
-giorno la pagai cara. Svegliandomi non mi ricordai
-subito della scappata della sera, e corsi col pensiero
-alla vita di prima. Allora il ricordo saltò su, vidi i
-miei bei propositi andati in fumo, la catena dei miei
-sacrifizî spezzata, tutto l'edifizio innalzato nella
-solitudine, in rovine; e mi sentii oppresso da una
-grande tristezza, come una fanciulla alla quale fosse
-stato tolto a tradimento il diritto di portare quel
-nome.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il miglioramento che s'era operato in me in quel
-primo mese di vita austera, mi fece persuaso di
-questa verità, che bisognerebbe pestar bene nella
-testa a tutti i giovani: che, cioè, noi non ci accorgiamo
-del danno che fanno all'intelligenza e al cuore
-i disordini giovanili, anche quelli che paiono, per
-la loro natura e per la loro misura, più perdonabili;
-ma che ne fanno, ne fanno, ne fanno. Un
-giovane d'ingegno vivacissimo e di vita disordinata,
-col quale un giorno mi trattenni su questo argomento,
-diceva: — Sì, ammetto, si reggerà un po'
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-meno al lavoro, si scriverà cinque ore invece di
-dieci; ma l'ingegno non ne può soffrire; un uomo
-d'ingegno riman sempre un uomo d'ingegno; il
-lavoro della creazione artistica non può essere turbato. — E
-che ne sai? gli domandai. Puoi tu accorgerti
-di tutte le piccolissime alterazioni che si producono
-nella misteriosa macchina del pensiero? Puoi
-dire, quando ti si desta nella mente quel tumulto
-d'idee che precede l'ispirazione, puoi dire che non
-se ne desterebbe nessuna di più, se il giorno prima
-non avessi disordinato? Si citano i grandi scrittori
-che han menato una vita disordinata. Ma chi può
-dire che i cattivi versi e le pagine scipite che sono
-uscite anche dalla loro penna, non corrispondano
-appunto a quei giorni della loro vita in cui non
-vissero come dovevano? Sappiamo noi se, vivendo
-in un'altra maniera, non avrebbero fatto un'opera
-completa di ciò che ci hanno lasciato in frammenti?
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Un giovane che stia solo, se studia, se riman molto
-in casa, non solo finisce per amare la sua casa, ma
-per rispettarla; e molte cose che prima non gli parevano,
-gli paiono dopo una profanazione. Fra quelle
-quattro pareti dove avete provato tante nobili emozioni,
-leggendo, scrivendo, fantasticando creature
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-eccelse e grandi amori, vi ripugna, vi umilia lasciar
-penetrare qualcuno per cui i vostri studî, il vostro
-ingegno, la parte più eletta di voi, è un argomento
-di riso o un mistero.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-La gioia che viene dalla fatica è grande, e grande
-quella che viene dall'ingegno; ma più grande senza
-paragone è quella che viene dalla fatica dell'ingegno. — Io
-lavoravo da quasi un anno intorno a quel
-soggetto; non avevo mai fatto, sopra un soggetto
-unico, un così lungo lavoro; e perciò mi pareva
-assai più lungo di quello che ora mi parrebbe. Quando
-s'ha la penna facile, e molte cose belle da dire (o
-se non belle, liete), pare che lo scrivere dovrebbe
-essere un godimento, che la giornata dovrebbe riuscir
-breve alla furia dell'opera, che l'ora del lavoro
-dovrebbe essere aspettata con desiderio impaziente.
-Eppure, erano appena due o tre giorni ogni quindici
-quelli in cui mi mettevo a tavolino volentieri e
-scrivevo di vena; tutti gli altri giorni pigliavo la
-penna collo stesso animo col quale lo schiavo afferra
-lo strumento del lavoro che lo rifinisce. Certi giorni
-avrei preferito vangare, spaccar legna, e portar
-sacchi come un facchino, piuttosto che scrivere.
-Rimandavo d'ora in ora il momento di cominciare,
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-cercando mille pretesti, come per ingannare me medesimo;
-e talvolta, per salvarmi dal rimorso di quell'ozio,
-m'imponevo delle fatiche ch'erano in realtà
-assai più gravi che quella dello scrivere; come fare
-una carta geografica, studiare a memoria lunghi
-squarci di prosa, imparare sterminate filze di vocaboli
-d'una lingua straniera. Quando non avevo ancora
-scritto che una cinquantina di pagine del mio
-libro, mi pareva che, una volta arrivato a metà,
-avrei tirato un gran respiro e sarei andato innanzi
-sino alla fine, quasi senza sforzo; e pensavo sempre
-a quella metà benedetta, come si pensa al termine
-d'un viaggio pieno di traversie. Ma arrivato che
-ci fui, non provai nulla di quanto avevo sperato; e
-rimisi le mie speranze ai due terzi. Quante volte,
-anche dopo fatto più di mezzo il lavoro, fui tentato
-di rinunziare a finirlo! Quante volte mia madre,
-vedendomi in un canto della stanza colle braccia
-incrociate e gli occhi fissi, mi domandò: — Ebbene,
-a che punto siamo? — e io le risposi: — Indietro,
-cara, indietro, e ho paura che non andrò più innanzi! — Mi
-ricordo che invidiavo mio fratello,
-perchè impiegato che non aveva che da andare all'uffizio;
-che invidiavo tanti miei amici i quali non
-scrivevano che articoletti di giornale; che invidiavo
-tutti coloro che non avevano sul collo quel giogo
-di dover star tanti mesi lì a tavolino a stillarsi sulla
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-stessa cosa, quella prigionia dell'immaginazione,
-quella schiavitù del pensiero, quel supplizio di tutti
-i giorni e di tutti i momenti. Finalmente giunsi alle
-ultime pagine. Ebbi un ultimo scoraggiamento, chi
-lo crederebbe? quando non me ne rimanevan più
-da scrivere che una quarantina; ma fu breve; dopo
-di che mi prese un'attività impetuosa, gioiosa, febbrile,
-che durò fino al momento che scrissi l'ultima
-parola. Ricordo come se fosse ieri l'ora, il tempo,
-la luce che inondava la mia stanzina, l'odore di
-primavera che di tratto in tratto mi portava il
-vento, e persino l'ordine in cui eran disposti i miei
-fogli sul tavolino, quando scrissi con mano agitata
-la parola: — Fine. — Dio buono, era un ben meschino
-lavoro quello ch'io finivo, appetto alle fatiche
-ventenni (rido del paragone) del Gibbon, del
-quale avevo letto pochi giorni innanzi la bellissima
-prefazione alla <i>Storia della decadenza dell'impero
-romano</i>! Eppure, in quel momento, sentii anch'io,
-come lui, l'immensa gioia della libertà riacquistata,
-e mi parve di affacciarmi a una nuova vita. Mia
-madre non sapeva nulla; il giorno prima le avevo
-detto che mi rimaneva un'altra settimana di lavoro;
-e la mattina medesima le avevo annunziato che appena
-scritta l'ultima pagina avrei rimesso in ordine
-i miei libri che da parecchi mesi erano tutti sossopra,
-e fatto un <i>ripulisti</i> generale sul tavolino, che
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-era un monte di carte e di prove di stampa da non
-potercisi raccapezzare. L'ordine nella mia stanza
-sarebbe stato il segnale della fine del mio lavoro.
-Mi misi dunque in fretta e in furia, ma senza fare
-rumore, per non mettere sull'avviso mia madre, a
-ordinare, a pulire, a sgombrare, col tremito in cuore
-di esser sorpreso, trattenendo ogni momento il respiro
-per sentire se nessuno s'avvicinava, ridendo
-da me come un fanciullo e soffocando le risa, finchè
-tutti i libri furono al posto, tutte le cartacce nella
-cesta, e sul tavolino non rimase che il calamaio, la
-penna e gli ultimi fogli del manoscritto. Allora sedetti
-ed aspettai; il cuore mi batteva forte, mi sentivo
-il volto acceso, sudavo. Passarono alcuni minuti,
-nessuno veniva: cominciai a tossire; mi misi
-a cantarellare. Allora udii nella stanza vicina il
-passo di mia madre, mi alzai, le corsi incontro. Essa
-mi guardò e mi domandò con aria di meraviglia: — Che
-cos'hai? — Io le accennai il tavolino e
-dissi: — Guarda! — Guardò, non capì subito, stette
-un momento sopra pensiero, e poi gridò con uno
-slancio di gioia: — Ma dunque hai finito! — Io le
-gettai le braccia al collo, ed essa mormorò con voce
-commossa: Povero figliuolo!
-</p>
-
-<p>
-Tutt'a un tratto mi sentii mutare quella gioia
-vivissima in un sentimento quasi di mestizia. Mia
-madre se ne accorse e mi domandò: — A che pensi? — O
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-madre mia, risposi, penso che per meritare
-questa soddisfazione avrei dovuto fare ben altro lavoro!
-Nondimeno son contento (e qui soggiunsi una
-frase che soglio dirle quando son contento, e che
-la fa sempre ridere) e ti ringrazio d'avermi messo
-al mondo.
-</p>
-
-<p>
-Ciò detto, le porsi il braccio, uscimmo dal mio
-gabinetto, e facemmo la nostra entrata trionfale
-nella stanza da pranzo dov'era il resto della famiglia.
-</p>
-
-<p>
-Vorrei che la donna che mi ama m'avesse visto
-in quel punto, perchè, lo dico francamente, ero bello.
-</p>
-
-<p class="dots">················</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-</p>
-
-<h2 id="incontro">UN INCONTRO</h2>
-</div>
-
-<p class="indl">
-Caro ***
-</p>
-
-<p>
-Ti spiego la cagione del <i>singolare aspetto</i> che
-tu mi vedesti, giorni sono, quando c'incontrammo
-di sfuggita nella stazione di A.ª Non t'ho da raccontare
-un'avventura, od è un'avventura diversa
-dalle solite, che consiste in un sentimento piuttosto
-che in un fatto. Ti ricordi della <i>Soireé perdue</i> del
-Musset, di quella figura gentile vista al teatro e
-perduta d'occhio all'uscita? Io ti debbo raccontare
-qualche cosa di simile.
-</p>
-
-<p>
-La mattina di quel giorno, partendo da T***, entrai,
-per caso, in un vagone, dove non c'era che
-una signora, seduta dalla parte opposta all'entrata,
-col viso rivolto fuori. Sentendomi entrare, si voltò,
-mi diede un'occhiata, e riprese l'atteggiamento di
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-prima. Era una signora sui quarant'anni, pallida,
-sottile, un po' accasciata della persona, e vestita con
-quella trascuratezza signorile, che rivela più l'abitudine
-che lo studio dell'eleganza. Il treno partì
-senza che entrasse nessun altro.
-</p>
-
-<p>
-Mentre io stava aspettando che si voltasse per
-vederla meglio, essa fece un gesto colla mano per
-aggiustarsi i capelli; un gesto che, sul primo momento,
-mi colpì; e un momento dopo, pensandoci,
-mi destò una lontana reminiscenza insieme a un
-sentimento di grata meraviglia. Avevo una canna
-fra le mani, la lasciai cadere; essa si voltò — la
-vidi in viso — e il cuore mi diede un balzo. Non
-m'ero ingannato, era lei. Essendosi accorta che avevo
-mostrato di conoscerla, da quel momento in poi si
-voltò di tratto in tratto a guardarmi, come se aspettasse
-che io le dirigessi la parola; e così potei vederla
-bene e finire di riconoscerla.
-</p>
-
-<p>
-Dio del cielo! Io non avrei mai creduto che un
-viso umano potesse in così breve tempo cangiarsi
-tanto. È vero che non l'avevo più vista da quattordici
-anni; ma a quel tempo — me ne ricordo — essa
-aveva vent'anni al più; era fresca, florida,
-splendida; era una delle più belle signore della piccola
-città di G. che io pure abitavo; ed ora, poco
-più che trentenne, pareva invecchiata non di quattordici,
-ma quasi di trent'anni. Appena si riconosceva,
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-piuttosto che ai lineamenti, a una certa
-espressione del suo sguardo dolce insieme e triste,
-che pareva il presentimento d'una vita sfortunata,
-ed era la sua più cara attrattiva. S'era fatta smorta,
-aveva qualche ruga sulla fronte, qualche capello
-bianco sulle tempie, e le mani smunte e color di
-cera. Che cosa era seguíto nella sua vita? Io non
-ne sapevo, e non ne so ancora che assai poco e in
-confuso. Prima dei diciott'anni era rimasta vedova,
-e due anni dopo s'era rimaritata. E fu appunto in
-quel tempo, quando colui che fu poi il suo secondo
-marito, le faceva la corte, che io la conobbi — nient'altro
-che di vista — e da lontano. Seppi poi
-che il suo secondo marito era un uomo disordinato
-e violento, e ch'essa menava una vita assai triste;
-ma ero lontanissimo dal pensare che potesse aver
-sofferto tanto da trasfigurarsi in quella maniera.
-Ora su quel viso si leggeva una lunga storia di disinganni,
-di sagrifizî, di torture. Pace, bellezza, gioventù,
-tutto se n'era andato. Erano stati quattordici
-anni di distruzione. Non le rimaneva più che quello
-che non si può perdere: la grazia, e quella dignità
-tranquilla e soave che viene dalla vita onesta, dalla
-rassegnazione, e dall'abitudine dei sentimenti gentili.
-</p>
-
-<p>
-Passata la prima meraviglia e il primo senso di
-tristezza, pare che tutto avrebbe dovuto finir lì.
-Ma per me c'era una ragione che mi faceva sentire
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-con più amarezza il suo cambiamento, che mi destava
-per lei un sentimento di viva pietà, una
-sollecitudine gentile, qualche cosa a cui non so
-trovare un nome, ma che mi metteva il desiderio
-di coprir di baci quella povera mano consunta; il
-desiderio, che so io? che un assassino ci assalisse,
-e che difendendola, mi toccasse una pugnalata — non
-dico nel petto — ma almeno in un braccio o
-in una mano, tanto da poter dire d'aver versato
-un po' di sangue per lei. Non potevo staccar gli occhi
-dal suo viso. Quando incontravo il suo sguardo
-mi veniva il suo nome sulle labbra. Stropicciavo le
-mani, ero inquieto; avevo bisogno di parlarle, e non
-osavo. Essa finì per accorgersi della mia inquietudine
-e ne parve meravigliata e intimorita. Allora,
-vedendo che non m'era più possibile tacere, perchè
-dovevo, se non altro, giustificare il mio contegno,
-mi feci coraggio e le domandai timidamente:
-</p>
-
-<p>
-— Perdoni.... Lei è la signora ***? e dissi il nome
-del suo secondo marito.
-</p>
-
-<p>
-La mia timidità, e il fatto che io sapessi il suo
-nome, la rassicurarono completamente. Mi rispose
-di sì e stette a guardarmi con molta curiosità.
-</p>
-
-<p>
-— Glie l'ho domandato — soggiunsi — perchè
-non ne ero ben certo.... Erano quattordici anni che
-non avevo la fortuna di vederla.
-</p>
-
-<p>
-Arrossì, pensando certo al gran cambiamento che
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-dovevo aver notato in lei, e mi guardò attentamente
-come per cercare di riconoscermi e dirmi nello
-stesso tempo che non mi riconosceva.
-</p>
-
-<p>
-— Lei non può sapere chi sono nè ricordarsi
-d'avermi veduto. Io non ho mai avuto l'onore di
-parlarle. La conoscevo di vista, nella città di G.,
-nell'anno 1860. Io avevo quattordici anni, andavo
-ancora a scuola. Lei era vedova. La sua casa aveva
-il portone in via degli Olmi, ma lei entrava sempre
-per la porticina della strada accanto. Lei andava
-al teatro tutte le sere, nel palco numero nove,
-prim'ordine, a destra. Portava sovente un vestito
-di seta lilla. La sera del primo dell'anno le cadde
-un braccialetto in platea. Aveva un ventaglio tutto
-d'avorio e teneva per abitudine la mano destra fuori
-del palchetto.
-</p>
-
-<p>
-La signora rimase meravigliata, stette un po' pensando,
-e poi esclamò sorridendo: — È vero!... Ma
-come mai si può ricordare di tutte queste cose?
-</p>
-
-<p>
-— Vuol che glielo dica francamente? — domandai.
-</p>
-
-<p>
-— Lo dica pure, — rispose, guardandomi con
-grande curiosità.
-</p>
-
-<p>
-— E mi promette prima di credere che qualunque
-cosa io dica, non dirò una sola parola che non si
-accordi col profondo rispetto dovuto a una signora
-come lei?
-</p>
-
-<p>
-Mi guardò un momento con stupore, e poi rispose
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-titubando: — .... Non ne potrei dubitare. Ma di
-che si tratta dunque?
-</p>
-
-<p>
-— Animo.... Bisogna pur dirlo. Lei è stata la prima
-donna che io ho amata in vita mia. — È detto.
-</p>
-
-<p>
-Arrossì, si mise a ridere, e dopo avermi guardato
-attentamente, rispose: — Non è possibile.
-</p>
-
-<p>
-— Non è possibile? — io dissi. — È tanto possibile
-che è vero come il sole, cara signora. Mi
-faccia la grazia d'ascoltare. Mi ricordo ogni cosa
-come se fosse ieri. L'avevo vista le prime volte al
-teatro, e m'ero fatto abbonare da mio padre, unicamente
-per vederla, e mi mettevo ogni sera nell'ultimo
-banco della platea in faccia al suo palco.
-Da principio non era che simpatia, che so io? ammirazione.
-Poi, a poco a poco, mi si accese il cuore
-e la testa.... Perdoni, signora, se m'esprimo in questi
-termini; non saprei dir la cosa altrimenti.... Insomma,
-finii per innamorarmi perdutamente di lei....
-Le giuro che le dico la verità.... E non può immaginare
-fino a che segno arrivassi. Chi m'avesse costretto
-a mancare una sera al teatro, m'avrebbe
-messo alla disperazione. Io stavo delle mezz'ore intere
-a guardarla, immobile, inchiodato, pietrificato,
-che m'avrebbero potuto fotografare cento volte. Mi
-par strano persino che non se ne sia mai avvista.
-Se ne avvidero altri. Poveretto me, se sapesse quante
-ne passavo! La farò ridere. Quando lei entrava nel
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-suo palchetto, mi pareva che il fruscío del suo vestito
-fosse un gran rumore che facesse voltare tutto
-il teatro a guardarmi, e mi sentivo morire dalla
-vergogna. Non perdevo, non dico un movimento
-della sua testa, ma nemmeno una contrazione del
-suo viso, delle sue labbra, della mano che teneva
-fuori del palco. Quando i suoi occhi cadevano, per
-caso, sul mio banco, mi saliva un'ondata di sangue
-alla testa. Cose da non credersi. Se sapesse quante
-parole appassionate le dicevo dentro di me, guardandola,
-quando sonava l'orchestra! Quante volte
-ho desiderato che pigliasse fuoco al teatro, per
-correre a salvarla! Mi rodevo di dispetto contro gli
-ufficiali che passavano sotto il suo palco, e colla
-punta del cheppi toccavano quasi il suo ventaglio.
-Avrei schiaffeggiato gli uomini che andavano a farle
-visita. Una sera fischiai un tenore che lei aveva
-guardato col canocchiale. Le mie serate, insomma,
-erano una successione di rossori, di batticuori, di
-gelosie, alle quali, il giorno dopo, corrispondevano
-altrettante sgrammaticature nella composizione latina.
-Capisce, signora? E fra tanti ammiratori che
-la circondavano, a lei non passava nemmeno per
-la mente che il più ardente di tutti fosse un povero
-scolaretto di ginnasio, il quale non doveva avere
-che quattordici anni dopo la fortuna di rivolgerle la
-parola.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-</p>
-
-<p>
-La signora che durante la mia chiacchierata ora
-aveva sorriso, ora arrossito, e ora corrugato le sopracciglia,
-quand'ebbi terminato, rise più forte e si
-coperse il viso col ventaglio. Poi mi domandò con
-viva curiosità: — Ma dice tutto questo sul serio?
-</p>
-
-<p>
-— Sul serio? — io continuai. — Le dirò ben altro.
-Me lo permette?... Che vuole?... Provo un gran
-piacere a rammentare quel tempo che fu il più
-tempestoso della mia adolescenza. La cosa era giunta
-al punto, che quando, in casa mia, sentivo pronunziare
-il suo nome, scappavo in un'altra stanza col
-viso rosso come una melagrana. Studiavo in una
-stanzina con mio fratello maggiore, il quale di tratto
-in tratto mi diceva: — Ma la vuoi finire coi tuoi
-sospiri, che mi sembri un innamorato del Metastasio? — Non
-studiavo più, ero distratto. Una
-notte sentii mio padre che parlando di me domandava
-sottovoce a mia madre: — Hai notato nessun
-cambiamento, da un tempo in qua, nelle sue maniere?
-E un'altra più curiosa. Il professore d'italiano
-ci diede da fare una composizione a tema libero;
-io scelsi l'<i>Innamorato</i> e scrissi una tale scempiaggine
-che fece ridere tutta la scuola e mi coprì di
-vergogna. Si figuri che fra le altre frasi, c'era
-questa: <i>La testa dell'innamorato è un'urna di
-lagrime e di sospiri</i>.... A poco a poco, m'ero ridotto
-al segno che arrossivo passando davanti alla
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-sua casa, incontrando le signore che vedevo al teatro
-con lei, udendo pronunziare una parola che rammentasse
-alla lontana il suo nome. Quando vedevo
-comparir lei in fondo a una strada, mi pigliava un
-tremito alle gambe, e scantonavo; se non ero più
-in tempo a scantonare, mi cacciavo in una bottega;
-se non potevo cacciarmi in una bottega, tornavo
-indietro. Era un terrore. E ogni sera m'andavo a
-rinfocolare al teatro e facevo peggio. Mi passò fin
-per la mente di indirizzarle una lettera, di scrivere
-qualche cosa col carbone sui muri delle sue scale,
-di gettarle un mazzo di fiori da un tetto, di travestirmi
-e andar a portar legna in casa sua. Infine,
-vuol che le dica tutto, signora? Lei mi deve
-essere molto riconoscente perchè parecchie sere,
-tornando dal teatro tutto commosso, esaltato, mezzo
-fuori di me, e non sapendo come sfogarmi altrimenti,
-pregai per lei con un fervore che.... se ne
-avessi messo la metà a prepararmi agli esami, non
-m'avrebbero rimandato.
-</p>
-
-<p>
-La signora rise di nuovo coprendosi il viso col
-ventaglio, e disse: — Ed io che non mi sono mai
-avvista di nulla! È strano!... Ma è proprio tutto
-vero?... — e sempre sorridendo, ma con una curiosità,
-se posso dir così, più raccolta e più seria,
-mi domandò: — E dopo? e si rimise in atto di
-ascoltare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dopo, — io ricominciai — .... venne il peggio.
-Verso la fine del carnevale cominciò a frequentare
-il suo palco quello che fu poi suo marito. Lo vuol
-credere, signora? Ancora adesso, dopo tanti anni,
-provo un sentimento di compassione per me quando
-penso a quello che ho sofferto in quei giorni. Le
-prime volte che intesi dire intorno a me al teatro: — Eh!
-pare che il nodo si stringa! — Pare che sia
-un matrimonio bell'e fatto! ecc., — creda che, benchè
-fossi un ragazzo, mi son sentito agghiacciare
-il sangue. Ogni sorriso, ogni parola a bassa voce
-che loro si scambiavano, mi era una stilettata al
-cuore. Che so io? mi pareva d'esser tradito. A lei....
-perdonavo. Lui.... bisogna pure che io dica tutta la
-verità.... l'odiavo con tutte le forze dell'anima. Lo
-vedevo per tutto. Lo sognavo, era il mio incubo.
-Volevo sfidarlo. Lo guardavo di sbieco. Un giorno,
-per la strada, se n'accorse, senza capirne il perchè,
-naturalmente; e si fermò a guardarmi; io abbassai
-gli occhi e tirai dritto. Infine corse la voce del suo
-prossimo matrimonio. Ne fui desolato. Non può farsi
-un'idea di quello che mi passava per l'anima. Pensavo
-di andare a qualche finestra, sulla strada dove
-lui passava, e di lasciargli cader sulla testa una
-grossa pietra. Mi proponevo di andarmi a gettare
-a suoi piedi e supplicarla per amor di Dio di non
-sposarlo se non voleva vedermi morto. Mi venne
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-in mente di farmi frate, di fuggire in Svizzera, di
-diventare uno di quegli uomini terribili dei romanzi
-che hanno un perpetuo sorriso mefistofelico sulla
-faccia di marmo. Addio latino! Addio studî! Passavo
-ore intere nel cortile di casa mia a martirizzare
-le lucertole e i vermi; un giorno m'incisi una mano
-colle forbici e per poco non svenni vedendo spicciare
-il sangue; una sera rubai una bottiglia di
-vino nella dispensa e m'ubbriacai come un facchino
-in un ripostiglio di mobili vecchi, al buio.... Venne
-finalmente quel giorno terribile.... La sera, la banda
-della guardia nazionale suonò sotto le sue finestre.
-Da casa mia si sentiva la musica. Ero avvilito, angosciato,
-disperato. Mi venne l'idea d'uccidermi.
-Scesi nel giardino con una corda e m'avvicinai a
-un albero.... ma mi mancò il coraggio. Allora mi
-misi a piangere, mi buttai in terra, e stetti tutta
-la sera là, solo, al buio, accovacciato come un cane,
-con la mia corda fra le mani, pensando a lei, e
-chiamandola di tratto in tratto per nome, fin che
-la banda cessò di suonare ed io corsi a casa a gettarmi
-nelle braccia di mia madre, alla quale confidai
-ogni cosa. Mia madre fece le grandi meraviglie,
-rise, mi consolò, mi condusse a letto, mi diede
-la buona notte ridendo, e per parecchi giorni, di
-tratto in tratto, continuò a guardarmi fisso, poi a
-baciarmi ed a ridere ancora. Il giorno dopo lei partì
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-con suo marito e non ho più avuto la fortuna di
-vederla. Ecco la storia del mio amore, cara signora.
-Ho aspettato quattordici anni a raccontargliela:
-spero che non mi accuserà di precipitazione. Se poi
-volesse sapere perchè glie l'ho raccontata, dico la
-verità, sarei imbarazzato a risponderle. Il fatto è
-che ho sempre desiderato d'incontrarla un giorno o
-l'altro per farle questo racconto; e che soddisfacendo
-il mio desiderio, ho trovato un'emozione
-gentile, piena di rispetto e di gratitudine per lei.
-</p>
-
-<p>
-A questo punto la signora, che m'aveva ascoltato
-con un'attenzione sempre crescente, si coperse il
-viso, ma senza ridere; poi mormorò con voce un
-po' commossa, sorridendo leggermente: — Certo che...
-lei m'ha detto delle cose molto gentili.... e io debbo
-ringraziarla.... — Qui rise di nuovo, ma quasi facendo
-uno sforzo; tornò a coprirsi il viso e rimase
-qualche momento in quell'atto. Che cosa abbia pensato
-in quei momenti, non saprei. O che il mio racconto,
-richiamandole vivamente alla memoria un
-tempo in cui era felice, e sperava un avvenire migliore,
-le abbia inacerbito il sentimento dei suoi
-disinganni; o che ripensando il tempo in cui poteva
-ispirare degli affetti così ardenti, abbia sentito con
-più amarezza il rammarico della sua gioventù e
-della sua bellezza perduta innanzi tempo; o che
-l'immagine di quello schietto e profondo amore giovanile,
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-le abbia fatto parer più triste di non essere
-stata amata da colui al quale aveva consacrata la
-vita; il fatto è che quando abbassò il ventaglio — con
-mia grande meraviglia — aveva il viso tutto
-rigato di lagrime.
-</p>
-
-<p>
-— Signora! — le dissi vivamente, prendendole
-una mano. — Che vedo mai?... Le ho ridestato
-qualche ricordo doloroso? Mi perdoni.... sono stato
-imprudente.... non me ne darò mai più pace.... Mi
-perdoni, signora!
-</p>
-
-<p>
-Essa fece cenno di no, che non avevo nessuna
-colpa; poi sorrise e si asciugò gli occhi con una
-mano lasciando un momento l'altra mano nella mia.
-</p>
-
-<p>
-In quel punto il treno era arrivato alla stazione
-dove io dovevo scendere.
-</p>
-
-<p>
-— Signora, — le dissi al momento di mettere il
-piede sul montatoio — mi faccia una grazia.... mi
-permetta di baciarle la mano che teneva fuori del
-palchetto!
-</p>
-
-<p>
-Me la porse, glie la baciai tre volte, e rialzando
-il viso, vidi nel suo atteggiamento e nei suoi occhi
-una così cara espressione di bontà, di mestizia, di
-rassegnazione; e nello stesso tempo tanta dolcezza
-e tanta grazia, che rimasi un momento attonito a
-guardarla ed esclamai ingenuamente e con tutto il
-cuore: — Siete sempre bella!
-</p>
-
-<p>
-— Non è vero! — rispose mestamente, ma sorridendo,
-e fece cenno di no col ventaglio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<p>
-Io m'allontanai, mi voltai indietro e feci cenno
-di sì col capo.
-</p>
-
-<p>
-— No, — ripetè essa col ventaglio — e si ritirò
-dallo sportello.
-</p>
-
-<p>
-Il treno partì, e nello stesso momento uscì dallo
-sportello la sua mano, che rimase così appoggiata,
-col ventaglio in giù, nello stesso atteggiamento in
-cui soleva tenerla fuori del suo palchetto al teatro.
-</p>
-
-<p>
-Il viso non ricomparve.
-</p>
-
-<p>
-Io accompagnai quella mano cogli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Era un addio — era un'immagine della sua giovinezza
-e della mia adolescenza — era un rimpianto
-del passato — era un'espressione di gratitudine — era
-qualche cosa d'infantile, di pietoso e di melanconico — era
-come la mano d'una morta che si
-fosse rifatta viva un momento per dare un ultimo
-saluto alla vita. — Addio! Addio! — dissi nel mio
-cuore quando mi sfuggì dalla vista — Addio, cara
-larva! cara memoria mia! e rimasi.... rimasi come
-tu mi trovasti quando c'incontrammo nel vestibolo
-della stazione.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-</p>
-
-<h2 id="castelar">EMILIO CASTELAR</h2>
-</div>
-
-<p class="indr">
-5 dicembre 1873.
-</p>
-
-<p class="pad1 indl">
-<i>Caro</i> ***.
-</p>
-
-<p>
-È naturalissimo il tuo desiderio di sapere qualche
-particolare intorno a Emilio Castelar, ed è giusto il
-rimprovero che mi fai di non averne parlato che
-vagamente nel mio libro.
-</p>
-
-<p>
-Io solevo accompagnarlo da casa sua alle Cortes
-e lo conobbi in quelle brevi conversazioni assai meglio
-che nei suoi libri. Non ti meravigli ch'egli
-usasse così famigliarmente con me straniero e sconosciuto,
-poichè, oltre ad essere molto alla mano
-con tutti, è così matto dell'arte italiana, che coglie
-con piacere ogni occasione di parlarne e d'udirne
-parlare anche dagli ignoranti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il Castelar ha questo di curioso, che a vederlo,
-a stargli insieme, nessuno direbbe mai che sia un
-grande oratore. All'aspetto non ha nulla di notevole.
-È piccino, grassoccio, calvo, e ha due grand'occhi,
-che spirano un'aria di cor contento. A udirlo poi, sembra
-meno che mai quello stess'uomo che strappa gli
-applausi alle Cortes. Parla a pause, stilla le parole
-come per pigliar tempo di cercare la frase, non
-casca mai nella declamazione, non si lascia mai
-sfuggire un'espressione che non convenga al linguaggio
-famigliare. Di più, mentre parlando alle
-Cortes tratta ogni argomento con una specie di dignità
-tragica, nella conversazione famigliare discorre
-in tuono di scherzo anche delle cose più gravi. Se
-qualche volta esce dallo scherzo, casca nell'indifferenza;
-ma non dà mai nel serio. Non ho mai visto
-sul suo viso, nè udito nella sua voce la più leggera
-espressione di sdegno. E infatti a lui, come oratore,
-manca assolutamente quell'<i>effet terrible</i> che descrive
-Vittor Hugo parlando del Mirabeau, e quella, se si
-può dire, forza della collera, per la quale grandeggia
-qualche volta il Gambetta. Egli piace, seduce e spesso
-commove; ma non fa mai paura. Non si può dire
-che ha i <i>fulmini dell'eloquenza</i>; ma i lampi, i raggi,
-che so io? l'iride; poichè i suoi discorsi brillano più
-di colori gentili che di luce feconda. Un giorno che
-era annunziato un discorso del Castelar, un ministro
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-disse giustamente ai suoi colleghi: — Oggi il
-pavone Castelar fa la ruota. — Ma aveva ragione
-anche un dotto Carlista, il quale, rimproverato da
-un suo amico perchè gli piacevano quelle <i>bolle di
-sapone</i> del Castelar, si scusò dicendogli ch'eran le
-più belle che si facessero in Spagna.
-</p>
-
-<p>
-Il primo giudizio che portai del Castelar, fu che
-non avesse punto fiele nell'anima. Guardandolo negli
-occhi quando parlava senza ira di gente che lo
-detesta e lo diffama, non gli vidi mai <i>quelle crespe
-delle palpebre e quei guizzi e colori dell'orbe</i>,
-come dice benissimo il reverendo padre Bresciani,
-che rivelano i sentimenti nascosti dalle parole. Soltanto
-mi parve che non fosse insensibile alle punture
-della gelosia oratoria, perchè un giorno, alle
-Cortes, nel momento che si alzava Cristino Martos,
-oratore <i>de pelo en pecho</i> (col pelo sul petto), come
-si dice in spagnuolo, per dire un uomo di polso; e
-che da tutte le parti della sala si faceva improvvisamente
-un profondo silenzio; vidi il Castelar rannuvolarsi
-e tentar di far uno sbadiglio che non gli
-riuscì di finire.
-</p>
-
-<p>
-Un sentimento che prova la sua gentilezza d'animo,
-e che non credevo di trovare in lui, così genuinamente
-spagnuolo, è una profonda avversione
-per le corse dei tori. — Non me ne parli! — mi
-disse un giorno facendo un atto di ribrezzo: — è
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-una stupida barbarie che vorrei veder bandita per
-l'onore del mio paese.
-</p>
-
-<p>
-Da principio non riuscivo a raccapezzare come la
-pensasse in fatto di religione. Spiritualista avevo
-capito subito che lo era; ma non capivo se fosse
-cristiano, ossia se credesse nella divinità di Gesù
-Cristo. La sua opera <i>La civiltà nei primi cinque
-secoli del cristianesimo</i> (quattro volumi che si potrebbero
-ridurre in uno, se si bada alla sostanza, e
-che si vorrebbe fossero cento, se si bada alla forma)
-non mi lasciava dubbio che fosse ardentemente cattolico.
-Per contro i suoi discorsi politici non mi lasciavan
-dubbio che fosse libero pensatore. Un giorno
-gli domandai <i>ex abrupto</i> una spiegazione, e mi parve
-che la domanda non gli riuscisse gradita, come segue
-di tutte le domande che ci obbligano ad affermare
-qualcosa di cui non siamo sicuri. — Una volta,
-mi rispose, ero cattolico; ora.... son razionalista. — E
-cambiò discorso. È insomma anche lui di quei
-moltissimi che si agitano <i>fra la fede e un dubbio
-serio ed inquieto</i>, come scriveva il Manzoni al Giusti;
-e se avesse da dire in termini recisi quello che
-pensa e che crede, si troverebbe imbarazzato. Certo
-è che la fede nell'esistenza di Dio e nell'immortalità
-dell'anima, è il sentimento che gli ha inspirato le
-più eloquenti parole dei suoi libri e dei suoi discorsi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-</p>
-
-<p>
-Come tutti gli artisti, è un po' vano e ghiotto della
-lode; ma la sua vanità è così ingenua, che non solo
-non ristucca, ma piace. Qualunque lode gli si dia,
-se la piglia, sta zitto e lascia che si tiri innanzi,
-come se si parlasse di un altro. Qualche volta poi
-dondola il capo come per dire: — dite bene, avete
-ragione, io pure son di questo parere. — Un giorno
-mi disse amichevolmente: Se lei vuol avere un'idea
-del mio genere d'eloquenza, venga a sentire il discorso
-che farò la settimana ventura contro la politica
-estera del governo. Ma lei dalla tribuna dei
-giornalisti non può vedermi in viso, e perde il mio
-gesto.... Ebbene le farò dare un biglietto per una
-delle tribune di rimpetto; così non perderà nulla. — Il
-mio principale merito, — disse un'altra volta — è
-quello d'aver saputo dire in lingua pura e in
-stile elevato molte cose nuove che pare non si possano
-dire che a scapito della dignità dello stile e
-della correttezza della lingua. — In questo modo si
-libera la gente dalla seccatura di dare il proprio
-parere. Un giorno gli lessi un brano d'un suo discorso
-che avevo tradotto in italiano, ed egli mi
-disse candidamente: È bello anche in italiano.
-</p>
-
-<p>
-Come tutti gli uomini d'immaginazione viva e di
-cuor caldo è facilissimo all'ammirazione, e non serba,
-nell'esprimere questo sentimento, nessuna misura.
-Quando loda qualcuno o qualcosa, i suoi amici non
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-gli credono più. Un giorno, alle Cortes, un deputato
-domandò a un collega, il quale aveva conosciuto il
-Gambetta a Parigi, se questo Gambetta gli fosse
-parso veramente quel grande uomo che molti dicevano. — Domandalo
-al Castelar, — gli rispose il collega; — egli
-lo conosce meglio di me. — Che! — disse
-l'altro; — in queste cose il Castelar è un bambino. — E
-in fatti la biografia del Gambetta scritta dal
-Castelar, piuttosto che il ritratto d'uno storico fedele
-è il panegirico di un partigiano infatuato.
-Un'altra volta un deputato, me presente, domandò
-al Castelar che impressione gli avesse fatta Garibaldi
-la prima volta che gli aveva parlato. Il Castelar
-allargò le braccia e alzò gli occhi al cielo,
-esclamando con enfasi: — <i>Amigo! La de un hombre
-extraordinario</i> (quella d'un uomo straordinario). — Me
-lo immaginavo, — rispose l'amico; — ma già
-su tutto quello che dici tu bisogna fare la tara. E
-per dirne ancor una, ricordo che, mentre il Castelar
-mi levava a cielo un tal Santa Maria di Siviglia
-che canta con molta grazia le canzonette andaluse,
-affermando che il Tamberlick, il Mario, lo Stagno,
-appetto a lui non valevano un fico secco, parecchi
-amici suoi diedero in uno scoppio di risa, e uno gli
-domandò: — Ma quando la finirai con codeste esagerazioni,
-don Emilio?
-</p>
-
-<p>
-Solevo interrogarlo intorno al lavorío col quale
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-prepara i suoi discorsi, intorno a quei segreti d'artista,
-<i>a quei misteri</i>, per dirla con Giambattista
-Giorgini, <i>che l'anima celebra con sè stessa</i>. Egli
-mi spiegò in che maniera fosse riuscito a parlare e
-a scrivere così facilmente e correttamente, e le sue
-parole mi parvero la rivelazione d'una nuova teorica
-dello scrivere, alla quale ho pensato continuamente
-d'allora in poi. — Con chiunque parli, mi
-disse, — e di qualunque cosa parli, non avessi che
-da dare un ordine al mio servitore, non trascuro mai
-l'espressione, cerco sempre di dir la cosa come la
-direi se le mie parole dovessero venir scritte o
-stampate in sull'atto. E ogni volta che mi balena
-un pensiero, lo esprimo subito a me medesimo come
-se dovessi esprimerlo a un altro; non mi lascio
-nulla nel capo in istato di embrione; penso continuamente
-parlando con me stesso a periodi finiti. — In
-fatti corregge pochissimo le cose scritte.
-Ma benchè prepari di lunga mano i suoi lavori per
-scrivere bisogna che abbia fretta. Diceva che non
-poteva far nulla, se non aveva lo stampatore alla
-porta.
-</p>
-
-<p>
-Con lui parlavo spagnuolo, e ci voleva del coraggio;
-ma spesso mi pregava di parlargli italiano. — Capisco
-l'italiano, — diceva, — ma non lo parlo, perchè
-non lo voglio profanare. In Italia badavo sempre
-a pregar la gente che mi parlassero italiano
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-e non francese. Bella! mirabile lingua! Però, lasciatemelo
-dire: se per la poesia è meglio la lingua
-italiana, per l'oratoria preferisco la spagnuola. — Su
-questo punto non voleva intendere ragioni. Qualche
-volta anzi gli pigliavano dei dubbi anche sulla poesia,
-e ripeteva quei versi famosi dell'Espronceda, coi
-quali un cavaliere imita il suono della corsa sfrenata
-del suo cavallo:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Mis ojos fuego en su inquietud lanzando</p>
-<p>Campo adelande devorando van.</p>
-</div>
-
-<p>
-E dicendoli con quella voce sonora e con quel gesto
-vigoroso, li faceva parere anche più belli ed efficaci
-di quello che sono; ma è superfluo il dire che non
-mi lasciava persuaso.
-</p>
-
-<p>
-Tutti sanno quanto egli ama l'arte italiana, ma
-soltanto quelli che lo conoscono possono sapere
-quanto e come l'ha studiata. Non c'è quadro o
-statua o basso rilievo di Firenze, di Roma o di Venezia
-ch'egli non abbia stampato nella memoria e
-non sia in grado di descrivere minutamente come
-se l'avesse visto il giorno innanzi. Parla delle nostre
-città, nominando strade, palazzi e porte, come parla
-di Toledo e di Siviglia. Firenze, <i>la ciudad</i>, com'egli
-la chiama, <i>de la inteligencia</i>, è la sua città prediletta. — <i>Allì</i>,
-mi disse un giorno, <i>el último limpiabotas
-tiene mas sello academico que nuestros individuo
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-de número</i>. — (Là l'ultimo lustrascarpe ha più carattere
-accademico che i nostri accademici). Un
-giorno, mentre alcuni amici suoi parlavano di politica,
-egli interruppe bruscamente la conversazione,
-a cui non badava, e fermandosi in mezzo alla strada
-colle braccia incrociate sul petto, esclamò con un
-accento di profondo stupore: — <i>Y decir que la
-puertas de Ghiberti son del siglo quince!</i> — (E
-dire che le porte del Ghiberti sono del secolo
-quindicesimo!) Quando si parla d'arte italiana, va
-in visibilio. L'ho visto cangiar di colore e tremare
-discorrendo d'un quadro del Tintoretto — <i>Mas si
-os digo</i>, — gridava battendosi la mano sulla fronte — <i>que
-se siente crujir la seda!</i> — (Ma se vi dico
-che si sente il fruscío della seta!)
-</p>
-
-<p>
-Avrei da scrivere molto se volessi riferire tutti i
-detti arguti che intesi da lui, e gli aneddoti ameni
-di cui è amantissimo.
-</p>
-
-<p>
-Diceva dello Zorilla: <b>È</b> un uomo che ha tutti i
-difetti d'un temperamento artistico, senz'alcuna delle
-buone qualità.
-</p>
-
-<p>
-A un amico materialista che gli aveva mandato
-un libro, nel quale trattava dell'influsso del cibo sul
-pensiero, diceva: — Sta bene, ma tu devi ancora
-scrivere un libretto per dimostrare quali sono i
-passi del <i>Don Chisciotte</i> che il Cervantes scrisse
-nei tempi in cui mangiava pane di granturco.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-</p>
-
-<p>
-Raccontava che un giorno, essendo a desinare in
-una famiglia, la padrona di casa, in fin di tavola,,
-gli aveva detto, arrossendo un pochino: — Signor
-Castelar, lei ci dovrebbe fare l'immenso favore di
-declamarci un bel discorso mentre prendiamo il caffè — Qui
-il Castelar rimaneva muto rifacendo tale e
-quale il viso che aveva fatto in quel momento, e ti
-assicuro che c'era da scoppiare dalle risa.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno passeggiando nel Prado, il Castelar, un
-suo amico monarchico e un terzo importuno ch'ero
-io, vedemmo venir verso di noi un uomo colla faccia
-stravolta, che parlava e gesticolava da sè. Il Castelar
-mi tocca col gomito e dice sottovoce: — Costui
-è uno che aspirava alla corona di Spagna. Prima
-che fosse eletto il duca d'Aosta andava egli stesso
-distribuendo ai deputati le schede col suo nome per
-il giorno della votazione. Non si faccia scorgere: è
-matto. — Il matto intese quelle parole, e si fermò;
-qualcuno che passava si fermò pure; si formò un
-gruppo di gente. Quando fummo a due passi da lui,
-prese un atteggiamento drammatico e voltandosi
-verso il Castelar, gli disse ad alta voce: — Ebbene,
-sì, io volevo esser re; ma non sono mai stato un impostore
-come lei! — Detto questo si allontanò brontolando;
-la gente rise; il Castelar fece uno sforzo
-per ridere egli pure, ma era diventato rosso come
-una fragola. — Bravo! — gli disse l'amico battendogli
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-la mano sulla spalla; — son contento di vedere
-che non hai ancora perduto il pudore. — E
-che! — rispose pronto il Castelar; — credevi che
-io fossi diventato monarchico?
-</p>
-
-<p>
-La sua sala di studio, in casa, è l'immagine della
-sua testa; o per meglio dire, era l'immagine, perchè
-non so se il Presidente della repubblica viva ancora
-come viveva il modesto deputato. Statuette, vasi di
-fiori, gabbie d'uccelli, opere di filosofia, libri di versi,
-medaglie antiche, cataloghi di musei, atti ufficiali,
-lettere di elettori, stampe, ritratti, giornali, opuscoli;
-si vedeva un po' d'ogni cosa sparpagliato sui
-tavolini, sulle seggiole e pel pavimento, in un disordine
-pittoresco, che faceva ridere e fantasticare. Là, in
-mezzo ai suoi amici e ai suoi libri, il Castelar era più
-bello a vedere che alle Cortes. Un giorno un amico suo
-fece il giro della sala con una bacchetta in mano, e
-toccando l'uno dopo l'altri tutti i cassetti dei tavolini,
-disse col tuono d'un cicerone: — Signori!
-Qui sono i manoscritti pei giornali del Perù. — Qui,
-quelli pei giornali del Messico. — Qui, quelli pei
-giornali di Cuba. — Qui, quelli pei giornali del Brasile. — Qui,
-quelli pei giornali degli Stati Uniti. — E
-qui, quelli pei giornali del vecchio continente.
-Quando un editore si presenta, il Castelar apre un
-cassetto, vi tuffa le mani a occhi chiusi, e butta
-via quello che trova. — Il Castelar disse una volta
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-che le corrispondenze dei giornali d'America gli
-rendono quindicimila scudi all'anno. E pensare che
-pochi anni prima, per guadagnare qualche soldo,
-scriveva prediche per preti di campagna!
-</p>
-
-<p>
-Mi raccontò egli stesso, un po' per volta, le prime
-vicende della sua vita, dicendomi di tratto in tratto
-che, se volevo, pigliassi pure degli appunti. È nato
-a Cadice nel 1832. Suo padre, uomo studioso, benchè
-agente di cambio, e possessore d'una ricca biblioteca,
-morì in età ancor fresca, lasciando la moglie
-e il piccolo Emilio, che non aveva ancora sette
-anni, in grandi strettezze. Una sua sorella d'Alicante
-li accolse in casa tutti e due, e la signora
-Castelar si consacrò tutta all'educazione del figliolo,
-facendo per lui, fra gli altri sacrifizi, quello di conservare
-e di arricchire la biblioteca paterna, affinchè
-egli prendesse per tempo amore ai libri. Il Castelar,
-in fatti, ebbe fin da ragazzo, più che amore,
-manía per la lettura, e l'ha ancora, poichè legge
-continuamente, per le strade, nelle Cortes, a tavola,
-a letto, nel bagno, da per tutto dove può tener sotto
-gli occhi un libro o un giornale. Con questo gran
-bisogno di leggere nacque in lui quasi ad un tempo
-un gran bisogno di parlare, e ancora bambino, diede
-prova di straordinaria facondia. — Facendo gli altarini — mi
-disse, — io e i miei piccoli compagni, solevamo
-pronunziare ciascuno un'orazione sacra dall'alto
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-d'una seggiola ravvolta in una coperta da letto. <i>Yo era
-el espanto de todos.</i> (Io ero lo spavento di tutti). — A
-dodici anni fu mandato a Elda, dove studiò la lingua
-latina, e cominciò a scrivere con grande ardore
-novelle, discorsi storici, dissertazioni religiose, poesie,
-commedie, poemi, saggi d'audacia, com'egli disse, più
-che d'ingegno; i quali finiron tutti nel fuoco. Le
-prime vere prove d'ingegno e d'eloquenza le diede
-in Alicante dove si trasferì nel 1845 per fare il
-corso di <i>segunda enseñansa</i>. Qui si dedicò con entusiasmo
-alla filosofia, alla storia e alla letteratura,
-e in questi studi andò innanzi d'un gran tratto a
-tutti i suoi colleghi, parecchi dei quali, che seggono
-ora nelle Cortes e professano principi politici affatto
-contrari ai suoi, come don Carlos Navarros, il Gallastra
-ed altri, attestano che sin d'allora era opinione
-di tutti, ch'egli sarebbe diventato un grande
-oratore e un grande scrittore. Da Alicante andò nel
-1848 a Madrid, dove vinse al concorso un posto gratuito
-d'alunno nella <i>Escuela nacional de filosofia</i>, e
-d'allora in poi, non solo provvide al suo mantenimento,
-ma scrivendo nei ritagli di tempo che gli
-lasciavano gli studi, guadagnò tanto da mantenere
-sua madre. Pubblicò in quel tempo, tra le altre cose,
-un giornaletto letterario, in cui i letterati ammirarono
-per la prima volta il suo stile nitidissimo e
-scintillante. Suo cugino don Antonio Aparisi, il rinomato
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-oratore cattolico, leggendo un giorno uno
-di quegli articoli, disse alla signora Castelar: — Zia
-mia, bisogna aver gran cura di questo ragazzo,
-perchè se continua come ha cominciato, farà molto
-rumore nel mondo. — Fin qui, però, le glorie del
-Castelar non erano state che glorie scolastiche. Egli
-si rivelò per la prima volta alla Spagna nel 1854,
-all'età di ventidue anni. Un amico, incontrandolo un
-giorno per strada, gli annunziò che c'era un'adunanza
-popolare nel Teatro Reale, e gli domandò perchè
-non ci andasse. Il Castelar non rispose altro che: — Vado — e
-corse al Teatro. Quando arrivò, molti oratori
-avevano già parlato, il pubblico era stanco, l'adunanza
-stava per sciogliersi. Ciò non ostante il Castelar,
-risoluto a parlare, salì sul palco scenico e
-cominciò: — Signori! Io vengo qui a difendere le
-idee democratiche.... — Un vivo bisbiglio di disapprovazione
-lo interruppe. La sua persona esile, la
-sua voce sottile, il suo atteggiamento fanciullesco,
-non ispiravano alcuna fiducia; lo presero per uno
-scolaretto; gli gridarono: — Basta! Basta! Un'altra
-volta! Un'altra volta! — Il Castelar, piccato, s'incaponì
-e tirò innanzi. A poco a poco si fece silenzio;
-poi s'udi qualche voce d'approvazione; a un tratto,
-scoppiò una tempesta d'applausi; infine ogni periodo
-fu applaudito con furore, l'oratore venne condotto
-fuori quasi in trionfo, il suo nome corse di bocca
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-in bocca, i giornali di Madrid lo levarono a cielo,
-tutta la Spagna, in pochi giorni, lo ripetè: il Castelar
-fu celebre da quella sera. La España, autorevole
-giornale letterario, disse, pubblicando il suo
-discorso: — <i>Està destinado a reemplazar à todos
-nuestros grandes oradores y à reemplazarlos con
-ventaja.</i> — E il pronostico s'è avverato.
-</p>
-
-<p>
-Ora ha in mano le sorti della Spagna, se pure le
-sorti d'un paese così sfasciato possono mai ridursi
-nelle mani d'un uomo solo. Che cosa farà? È un
-riesci, come si dice in Toscana. Ma io questo ti posso
-dire, che quando lo vedevo, in mezzo ai suoi amici,
-prorompere in scoppi di risa da giovanetto di quindici
-anni; o volgere in mente qualche bel periodo
-poetico da incastonare in un discorso, mentre un
-collega badava a parlargli di leggi e di votazioni;
-o fare il viso del malumore perchè il giorno che
-doveva parlare non c'eran signore nelle tribune;
-e in tutte le conversazioni saltar sempre dalla
-politica all'arte, dal ragionamento al sentimento,
-dalla terra alle nuvole; se qualcuno m'avesse detto
-allora: — Costui fra un anno governerà la Spagna
-in queste e queste condizioni, — con tutta l'ammirazione
-che avevo per lui, avrei dato una scrollatina
-di capo, e detto tutt'al più: Chi sa! le vie della
-Provvidenza sono infinite....
-</p>
-
-<p>
-E poi leggi questo brano di discorso pronunziato
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-da lui alle Cortes, due anni fa. — «Come? Non è
-individualista il ministro dell'interno? E se è tale,
-non comprende il gran poema della libertà di commercio?
-La terra ha attitudini diverse; i climi dánno
-diversi prodotti; ma grazie al grand'Ercole moderno,
-grazie al commercio, con codeste navi che ora paiono
-grandi uccelli marini, e ora lasciano la bianca traccia
-nell'acque e la densa nube di fumo nell'aria, si
-riuniscono tutti i prodotti; la pelle che il Russo
-strappa agli animali smarriti nei suoi deserti di gelo
-e la foglia del tabacco che cresce al sole ardente
-del tropico; il ferro scoperto in Siberia e la polvere
-d'oro che il negro d'Africa raccoglie nell'arena dei
-suoi fiumi; le stoffe tessute in Inghilterra e i prodotti
-tratti dal seno dell'India, e tinti dei colori
-dell'Iride da quelle società, primi testimoni della
-storia; il dattero di cui si alimentava il patriarca
-biblico sotto le palme dell'antica Asia, e le perle
-preziose che genera il vergine seno della giovine
-America; il grato succo delle viti che abbellano le
-rive del Reno e l'ardente vino di Xeres, che reca
-disciolto nei suoi atomi il raggio del sole di Andalusia
-per riscaldar le vene degli intirizziti figli
-del norte....»
-</p>
-
-<p>
-A me pare che questo periodo basti per giudicare
-il Castelar come uomo politico, come bastano certi
-sorrisi a rivelare tutta l'anima d'un uomo. Mi pare
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-che un oratore il quale fa in un parlamento una
-tirata di quella natura non possa esser capace di
-portare a salvamento la baracca d'uno Stato.
-</p>
-
-<p>
-Ma quando quest'uomo stesso, slanciandosi audacemente,
-non per proposito rettorico ma per impulso
-irresistibile del cuore, fuor dei confini dell'eloquenza
-politica, esclama con una voce che viene dal più
-profondo dell'anima: — Amo questa terra bagnata
-dalle lacrime che ho fatto spargere a mia madre! —;
-quando, accennando ai suicidi degli schiavi di Cuba,
-pronuncia con un accento che ti rimescola il sangue
-queste semplici parole: Signori deputati, che orrore! — quando,
-nella furia d'un'ispirazione che soverchia
-quasi le sue forze, rovescia sul parlamento attonito
-quei suoi periodi colossali, pieni di grandi
-immagini e di grandi sentenze, che passano sonando
-e sfolgorando come una legione di cavalieri del medio
-evo; quando, parlando di religione, versa la
-piena dei suoi pensieri affettuosi e malinconici, con
-una voce dolce e tremante, e col linguaggio solenne
-d'un sacerdote; quando racconta un atto d'eroismo,
-quando ricorda una sventura, quando invoca una
-memoria cara, quando consiglia, quando compiange,
-quando prega; quando infine scorda il parlamento
-e sè stesso, com'egli dice, e non vede più che terre
-e popoli lontani, e tutta la sua anima è nel suo
-cuore, e tutto il suo cuore nella sua parola; oh allora,
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-quanto egli è grande ed amabile! come gli si
-perdonano tutte le sue vanità e tutte le sue utopie!
-con che gioia gli si salterebbe al collo dicendogli: — Ah!
-don Emilio, se non ti fossi mai immischiato
-nella politica!
-</p>
-
-<p>
-Infine, io credo che la miglior definizione che si
-possa dare di lui, sia la seguente, la quale contiene
-in quel che dice la lode ch'egli merita e in quel
-che tace la censura che gli è dovuta:
-</p>
-
-<p>
-È un grande artista e un gran.... buon ragazzo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-</p>
-
-<h2 id="pedante">UN CARO PEDANTE</h2>
-</div>
-
-<p>
-I mezzi pedanti, quelli che pedanteggiano per
-ambizione di farsi temere, poichè non riescono a
-farsi ammirare; i pedanti maligni, che s'accaniscono
-contro la parola perchè detestano la persona; i
-pedanti freddi, che sorridono e disprezzano, sono
-gente volgare e noiosa. Ma quello nato coll'istinto
-della pedanteria, quello che non dorme per un francesismo,
-che si scorruccia con un amico perchè ha
-scritto <i>figlio</i> invece di figliuolo, che sente una compassione
-sincera per chi scrive <i>toeletta</i> invece di
-teletta, che inveisce contro un monosillabo colla
-voce strozzata dall'ira; quello, infine, che si rode e
-si consuma, che non è aguzzino, ma vittima, e che
-fa il pedante collo zelo e col coraggio d'un missionario
-di Nostra Santa Lingua Immacolata, questa
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-specie di pedante mi piace e m'ispira rispetto, e
-credo che sarebbe un peccato che se ne perdesse
-la semenza.
-</p>
-
-<p>
-Di tale specie era un pedante che conobbi a Firenze,
-del quale m'è rimasto un ricordo amenissimo
-unito a un sentimento di sincera ammirazione.
-</p>
-
-<p>
-La prima volta che lo vidi, giovanetto com'ero
-ed entrato allora, a scappellotto, nella repubblica
-letteraria, mi fece una viva impressione. Lo vidi
-una sera in fondo a una bottega di libraio, che
-leggeva. Le sue mani lunghe e scarne, appoggiate
-sul libro, parevano due enormi ragni che stessero
-in agguato per afferrare le mosche <i>francesismi</i>. Il
-suo naso adunco, che quasi toccava la pagina, arieggiava
-il becco d'un uccello che frugasse fra le parole
-per trovare i vermi <i>improprietà</i>. Tutta la sua
-persona alta e magra, e incurvata sul tavolino, mi
-dava l'immagine di non so che strumento di tortura
-messo là per dilaniare lo scrittore che leggeva. Parlando
-col libraio, ch'era piemontese, mi sfuggì
-qualche parola di vernacolo, e nello stesso momento
-vidi apparire e sparire sul suo viso, che mi si presentava
-di profilo, una gran macchia bianca.... il
-suo bianco dell'occhio. Di tanto in tanto si addentava
-il labbro di sotto o rideva con isforzo, facendo
-ballare le spalle. Tutt'a un tratto chiuse il libro
-con dispetto e s'alzò esclamando: — Oh che gente!
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-Oh che galera! — Poi prese il cappello ed uscì.
-Tutti i presenti risero ed io pure. Spinto dalla curiosità,
-m'avvicinai al tavolino e diedi un'occhiata
-al libro.... Era mio!
-</p>
-
-<p>
-Qualche tempo dopo, domandai informazioni sul
-conto suo a un amico che lo conosceva intimamente. — È
-una perla d'uomo, — mi disse; — ma un po'
-stravagante. Figuratevi ch'egli vive due vite: la
-vita reale, quella che viviamo noi, in mezzo ai nostri
-simili; e un'altra vita, puramente immaginaria,
-in un piccolo mondo ch'egli s'è creato colla lingua.
-In questo piccolo mondo, nel quale gli uomini son
-parole e le frasi avvenimenti, egli vi mette, o per
-meglio dire vi prova tutte le passioni che prova
-nell'altro. Ci ha le parole che ama come figliuoli,
-le parole che odia, le parole che disprezza, le parole
-che perseguita, le parole che gli turbano i sonni e
-le digestioni, le parole che lo consolano e che l'aiutano
-a sopportare i malanni della vita. Vi sono le
-frasi di cui si risente come d'un'ingiuria, quelle che
-lo affliggono come una sventura domestica, quelle
-che gli mettono nell'anima dei dubbi amari e lo
-fanno vivere in una continua inquietudine. Che suo
-figlio diventi un cattivo soggetto e che la parola
-<i>cómpito</i> cambi a poco a poco di significato, son due
-calamità presso a poco uguali per lui. Che l'Italia
-riesca a rassestare le sue finanze e che il verbo
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-<i>utimare</i> pervenga a pigliare il posto del verbo
-<i>exploiter</i>, sono due buone fortune che egli desidera
-col medesimo ardore. Egli ha una sola grande aspirazione:
-che nel suo paese si scriva bene; e un solo
-grande dolore: che non si sappia più scrivere. I
-suoi affetti, i suoi pensieri, tutta la sua vita gira
-su questo perno: la purità della lingua.
-</p>
-
-<p>
-Da altri seppi di lui altre cose, che mi parvero
-incredibili, benchè mi fossero assicurate con insistenza.
-Si diceva che un giorno aveva tenuto con
-un suo servitore il dialogo seguente:
-</p>
-
-<p>
-— Tonio, il caffè.
-</p>
-
-<p>
-— Ce lo porto.
-</p>
-
-<p>
-— Che hai detto?
-</p>
-
-<p>
-— Che ce lo porto.
-</p>
-
-<p>
-— Hai gli otto giorni per cercarti un altro padrone,
-manigoldo.
-</p>
-
-<p>
-Una volta, un suo conoscente, incontrandolo per
-via, gli disse: — Ho letto con molto <i>interesse</i> il
-vostro articolo. — Non me ne importa un fico, — egli
-rispose, — e gli voltò le spalle.
-</p>
-
-<p>
-Si diceva che una sera, in una conversazione,
-aveva dimostrato con un lungo ragionamento e
-colla massima serietà che un uomo capace di scrivere, — <i>al
-di là dei monti</i>, — invece di — <i>di là
-dai monti</i>, — messo al punto, sarebbe stato capacissimo
-di ammazzare a sangue freddo suo padre.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fossero o non fossero vere queste cose, dopo
-averne sentite tante, mi venne il desiderio di conoscerlo.
-Prima, però, volli sapere precisamente che
-cosa pensasse dei fatti miei, benchè la scena accaduta
-dal libraio non mi lasciasse alcun dubbio consolante.
-Un amico comune lo interpellò e n'ebbe
-questa risposta: — Ditegli che per quel ch'è sentimento,
-non c'è male; ma che per quello che riguarda
-la lingua, scrive come un Seraceno.
-</p>
-
-<p>
-Meno male! — pensai. — Ora, almeno, so a che
-paese appartengo, e qual è la <i>nazionalità</i> di cui
-mi debbo spogliare.
-</p>
-
-<p>
-Gli fui presentato; m'accolse cortesemente. Il discorso
-cadde subito sulla lingua. Gli domandai dei
-consigli. Sospirò, mi disse che i tempi eran tristi,
-che non v'era più amor di patria, che i bricconi
-avevan il mestolo in mano; le quali cose si riferivano
-unicamente alla lingua, e non alla politica,
-come potrebbe parere. Gli domandai quali degli
-scrittori del giorno, dei più illustri, s'intende, e
-toscani, avrei potuto seguire, in fatto di lingua, per
-non uscire dalla buona via; e glieli nominai uno
-dopo l'altro. — Il tale? — Per amor di Dio! — rispose; — che
-mi tocca di sentire! — Il tal altro? — Oh
-numi! Ci mancherebbe anche questa! — Tizio,
-dunque? — Oh povero figliuolo, che cosa le passa
-per il capo! — E qui prese a citarmi una lunga
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-filza di francesismi, d'idiotismi, di neologismi, d'errori
-d'ogni natura, sfuggiti a quegli scrittori, usando con
-la maggior serietà tutte le espressioni che sogliono
-adoperarsi al proposito degli scapestrati e dei malfattori,
-come ad esempio: — Le pare che questo
-sia un procedere da galantuomo? — Non so il tale
-dei tali che fine farà. — Bisogna proprio aver perduto
-ogni pudore, ecc., — a tal segno che, sapendomi
-colpevole d'una gran parte degli errori di cui
-accusava quei valentuomini, ebbi un momento il
-timore che m'agguantasse per la cravatta e mi
-conducesse alla questura. — Ma chi dunque scrive
-italiano? — domandai. — Nessuno! gridò, alzando
-il bastone. — Vi sarà qualcuno che scrive con parole
-italiane, in lingua, frase per frase, italiana; ma
-il complesso dello scrivere, ma l'ordito, ma il processo
-del pensiero, per Dio, è francese! francese!
-francese! La pelle è nazionale, il sangue che circola
-sotto, è barbaro! Barbari tutti, italiani rinnegati,
-scrittori senza coscienza e senza cuore! Se ne persuada,
-giovinotto! E una verità vergognosa, ma è
-la verità, la verità, la verità! — In quel punto
-eravamo arrivati dinanzi alla porta di casa sua.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Ma, — dissi io timidamente: — Alessandro Manzoni.... — Santissima
-Vergine! — esclamò turandosi
-le orecchie colle mani, e infilò la porta correndo.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno assistetti a un battibecco curioso tra
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-lui e il più grosso dei <i>due fondatori della prosa
-borghese</i>, di cui parla il Carducci nella sua poesia
-l'<i>Italia in Campidoglio</i>. S'era negli uffizi di una
-Rivista mensile col Mamiani, il Berti ed altri barbari.
-Il nostro personaggio inveiva contro «lo
-scellerato vezzo» di usare i nomi propri senz'articolo. — Vi
-assicuro, — diceva, — che quando leggo
-<i>la casa di Manzoni</i> o <i>la statua di Dupré</i>, non
-capisco.
-</p>
-
-<p>
-— Andiamo, via, — gli rispose il prosatore borghese; — codesta
-è una esagerazione.
-</p>
-
-<p>
-— Vi dico che non capisco!
-</p>
-
-<p>
-— Vi sostengo che capite benissimo.
-</p>
-
-<p>
-— Vi ripeto che non capisco! gridò il purista
-col viso acceso.
-</p>
-
-<p>
-— Giuratelo! — urlò il <i>borghese</i>.
-</p>
-
-<p>
-— Lo giuro, per Dio! — tuonò l'altro balzando
-in piedi, e picchiando un gran pugno sul tavolino.
-</p>
-
-<p>
-— Avete giurato il falso! — ribattè il primo colla
-sua voce stentorea, in mezzo alle risa e al vocío
-generale, — e se mi sfidate, v'ammazzo senza pietà,
-perchè son sicuro che andate all'inferno!
-</p>
-
-<p>
-Il povero purista ricadde spossato sulla seggiola,
-esclamando con voce fioca e gli occhi rivolti al
-cielo: — <i>La casa di Manzoni!</i>... Oh che gente! Oh
-che paese!
-</p>
-
-<p>
-Un'altra sera entrò gravemente nella sala e disse
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-con un accento di tristezza e di pietà, rivolgendo
-la parola a tutti: Bisognerebbe avvertire il Bonghi.
-</p>
-
-<p>
-Tutti pensarono che fosse accaduta al Bonghi
-qualche disgrazia.
-</p>
-
-<p>
-— Bisognerebbe, — continuò colla stessa gravità. — che
-se ne incaricasse un suo amico intimo. È
-una cosa che ormai passa tutti i limiti. Quell'uomo
-perde la testa.
-</p>
-
-<p>
-— Ma che cos'è seguíto? domandarono tutti con
-ansietà.
-</p>
-
-<p>
-Era seguíto che il Bonghi, in una delle sue rassegne
-politiche, aveva scritto <i>le fila dell'opposizione</i>
-invece di <i>le file</i>. Tutti respirarono.
-</p>
-
-<p>
-E di questi aneddoti ne potrei citare una cinquantina.
-</p>
-
-<p>
-Con me, benchè mi tenesse in conto d'un buon
-diavolaccio, non potè mai fare la pace. Riconosceva
-i miei sforzi ed anco qualche progresso che avevo
-fatto dall'Arabia verso l'Italia; ma in fondo, per
-lui, ero sempre un Seraceno, e lo diceva ai miei
-amici, onorandomi di un: — Peccato! — e di un: — Forse,
-col tempo!... — che mi dava un po' di
-consolazione. Qualche volta, poichè era pedante, ma
-uomo di cuore, mi guardava fisso con un'espressione
-di benevolenza pietosa; pensava, credo, con rammarico,
-che io così giovane, ero già così miseramente
-traviato; prevedeva i dolori che m'aspettavano; si
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-domandava che vita avrei trascinata, che razza di
-educazione avrei data ai miei figliuoli, che fine miserabile
-avrei fatta. Ma bastava che io gli domandassi
-improvvisamente: — <i>Cosa</i> pensa? — perchè
-vedesse ricomparire sulla mia fronte il marchio
-inviso di Maometto, e mi guardasse come un'anima
-perduta.
-</p>
-
-<p>
-Ora la semenza di questa specie di pedanti si va
-perdendo. In fatto di lingua, tutte le maniche s'allargano;
-i puristi più austeri transigono; gli stessi
-accademici della Crusca, e i migliori, si lasciano
-sfuggire parole e modi nuovi, e tengon dietro al
-movimento della lingua; i pedanti indietreggiano
-da ogni parte, incalzati dalla necessità e dalla critica;
-la legione s'è ridotta un drappello, la marea
-monta e li affoga. Eppure, sarebbe un peccato che
-rimanessero tutti affogati. Nella letteratura, la varietà
-è ricchezza. È bene che ci siano i demagoghi
-temerari e i reazionari arrabbiati. Questi Don Chisciotte
-del vocabolario che si slanciano a lancia in
-resta contro le parole, hanno il loro bello; questi
-carcerieri della lingua non sono inutili; la critica
-del microscopio può far del bene.
-</p>
-
-<p>
-Oh mio buon pedante! non ti sdegnare contro di
-me, se ti cadranno sotto gli occhi queste pagine:
-io ti giuro sul Corano che non ebbi intenzione di
-offenderti. Io ti temo, ma t'amo, perchè nel tuo
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-mondo di parole tu sei un artista, e sei un artista
-perchè ami, soffri e combatti. E prego il cielo che
-ti lasci lungo tempo ancora in questa valle di lagrime
-e di francesismi. E t'auguro che il buon sacerdote
-che ti assisterà nei tuoi ultimi momenti, ti
-parli correttamente la parola di Dio. E desidero
-che quando tu non sia più, tutti rammentino il tuo
-nome con affetto, nessuno con <i>interesse</i>; e che
-l'amico che scriverà la tua necrologia, non turbi
-il riposo delle tue ossa, dicendo che tu, su questa
-terra, hai fatto degnamente il tuo <i>cómpito</i>; ma
-proclami altamente che hai esercitato con onore il
-tuo ufficio. E chieggo a Dio come una grazia che se
-l'anima del Petruccelli della Gattina è destinata a
-salvarsi, egli la ponga in un altro cerchio del paradiso,
-perchè la tua felicità non sia turbata dal ridestarsi
-delle ire e dei dolori terreni. E così sia.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-</p>
-
-<h2 id="visita">UNA VISITA
-AD
-ALESSANDRO MANZONI</h2>
-</div>
-
-<p>
-È male parlar di sè, e peggio scriverne; ma quando
-l'Io, invece d'essere lo scopo di quello che si dice,
-non è che un mezzo per dire più facilmente e con
-più garbo cose che riguardano altri e possono riuscire
-gradite a molti, mi pare che sia lecito di servirsene;
-e tanto più quando quest'<i>altri</i> sia Alessandro
-Manzoni, e quell'<i>io</i> tanto piccino da non
-poter neppure essere sospetto di vanità.
-</p>
-
-<p>
-Lasciatemi dunque cominciare dal piccino.
-</p>
-
-<p>
-Io ero in collegio, avevo sedici anni e scrivevo
-dei versi. Il mio professore di letteratura italiana,
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-quando gli presentavo una poesia, mi permetteva
-di leggerla, se gli pareva che lo meritasse, in piena
-scuola; e i miei compagni solevano farla stampare
-a proprie spese, cosa di cui mi rimorde ancora la
-coscienza. Una delle prime poesie stampate fu un
-canto alla Polonia, ch'era in rivoluzione appunto
-in quell'anno; nel qual canto dicevo ira di Dio dello
-Czar e del Papa, e facevo una descrizione fantastica
-dell'isola di Caprera, assicurando che il sole vibrava
-su quell'isola i suoi più splendidi raggi e gli angeli
-la guardavano dall'alto con una viva simpatia.
-</p>
-
-<p>
-Questo canto, concepito un giorno che il direttore
-m'avea messo a pane ed acqua, e composto quasi
-per intero nelle tenebre del Dormitorio, mi pareva
-allora una gran cosa; tanto che a un mio vicino di
-banco, il quale, dopo lettolo, mi aveva detto gravemente: — Questo
-canto resterà, — io, stringendogli
-la mano, avevo risposto con non minore gravità: — Speriamo. — In
-fine m'ero tanto montata
-la testa, che un bel giorno misi una fascia all'opuscoletto,
-stesi una lettera di accompagnamento,
-scrissi sulla busta e sulla fascia: — Al signor Alessandro
-Manzoni —, e buttai lettera e opuscolo, dopo
-esser stato un po' colla mano per aria, nella buca
-della posta.
-</p>
-
-<p>
-Passa una settimana, passano quindici giorni,
-passa un mese; nessuna risposta. Non me ne meravigliai;
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-sapevo che il Manzoni scriveva pochissimo;
-m'avevano detto che riceveva ogni giorno un monte
-di lettere e di libri; era naturalissimo che avesse
-buttato i miei versacci in un canto; non ci pensai
-più.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno, nel tempo della ricreazione, mentre
-facevo la ginnastica sulle parallele, il direttore mi
-chiama, corro, mi dà una lettera. Il carattere dell'indirizzo
-mi era sconosciuto. Guardo il bollo: — Milano — Chi
-può essere? Apro, leggo in capo alla
-prima pagina <i>Gentilissimo giovanetto</i>; volto, tutto
-il foglio è scritto; volto ancora, e vedo in fondo alla
-quarta pagina <i>Alessandro Manzoni</i>.
-</p>
-
-<p>
-Come rimanessi non lo so dire. Sul primo momento
-mi s'imbarbugliò la vista e mi tremaron le ginocchia;
-poi rimasi qualche tempo immobile, guardando
-quella firma, che pareva s'ingrandisse e s'impicciolisse
-a vicenda, come per effetto d'una lente avvicinata
-e rimossa. Infine corsi in un angolo appartato
-del cortile e lessi.
-</p>
-
-<p>
-Ah, mio Dio! Io non posso ricordar quella lettera
-senza un sentimento di mestizia. Riguardo ai consigli
-ch'io avevo avuto l'audacia di chiedere, c'era
-detto: — <i>Anch'io, nella prima gioventù, m'ero
-formato di scritti altrui un concetto dal quale, col
-crescer degli anni, ho dovuto detrarre. E non di
-meno non ho poi provato rammarico d'un errore
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-che m'era stato occasione di voler bene anche ad
-uomini con cui non avevo alcuna conoscenza. Così
-spero che avverrà anche a lei riguardo a me e
-alla mia memoria.</i>
-</p>
-
-<p>
-Riguardo alla poesia. — <i>Se le dicessi che i versi
-mi paiono senza difetti, sarei un adulatore; ma
-parlerei ugualmente contro il mio intimo sentimento
-se dicessi che non mi par di vederci il
-presagio d'un vero poeta. In mezzo a di que' difetti
-che col tempo si perdono, ci sento (non dia
-a queste parole altro valore che quello della più
-schietta sincerità) quelle virtù che col tempo si
-perfezionano e che nessun tempo può far acquistare.</i>
-</p>
-
-<p>
-Riguardo ai versi della poesia che accennavano
-al Papa: — ....<i>Religione e patria sono due gran
-verità, anzi, in diverso grado, due verità sante;
-e ogni verità può spiegar tutte le sue forze e usar
-tutte le sue difese senza insultarne un'altra. È
-vero che le persone sono naturalmente distinte
-dalle istituzioni, ma ci sono degli ordini di cose
-in cui gli oltraggi (parlo di oltraggi, non di ragionamenti,
-che, del resto, non sono materia di
-poesia) in cui, dico, gli oltraggi alle persone non
-possono non alterare il rispetto e la dignità della
-istituzione medesima</i>, ecc.
-</p>
-
-<p>
-E infine v'era scritto: — «<i>Ho qui nel mio giardinetto
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-un giovane melagrano che questa primavera
-ha portato molti fiori, i quali in parte sono
-caduti, in parte allegano: il rigoglio di tutti e il
-sano vigore di alcuni annunziano insieme che
-quest'alberetto è destinato a dar frutti copiosi e
-scelti.</i>»
-</p>
-
-<p>
-La lettera, ora che scrivo, è in un quadretto, e colui
-che dovrebb'essere il melagrano carico di frutti,
-la guarda con un misto di tenerezza e di rammarico,
-pensando alle sue splendide speranze dei sedici
-anni come a un bel sogno di tempi lontani.
-</p>
-
-<p>
-La lettera fu per il collegio un grande avvenimento;
-il professore di letteratura la lesse nella
-scuola; fuori del collegio, gli amici volevano vederla;
-io non capivo più in me della contentezza; la rileggevo
-cento volte al giorno; me la dicevo a memoria;
-la notte sognavo che me l'avevan rubata; per
-istrada mi pareva che quei che mi passavano accanto
-si ammiccassero fra loro, come per dirsi: — Eccolo
-là; — a tavola facevo i bocconi piccini, in
-iscuola pigliavo degli atteggiamenti ispirati; in casa
-dei parenti sorridevo con una bonarietà affettata, per
-far vedere che, in fin dei conti, mi consideravo sempre
-come loro parente.
-</p>
-
-<p>
-Quando si dice, le previsioni! Da quell'anno in
-poi non ho più scritto un verso altro che per onomastici
-di famiglia; non ho più avuto nemmeno la
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-tentazione di scriverne; e sono ora profondamente
-persuaso che non sono nato per far dei versi. Chi
-me l'avesse detto allora, quando un prosatore mi
-pareva appena un uomo, e dicevo, leggendo il romanzo
-<i>I promessi sposi</i>: — Peccato che non sia
-in ottave!
-</p>
-
-<p>
-Quattro anni dopo ero sottotenente di presidio a
-Pavia, con un battaglione del mio reggimento. Non
-avevo mai visto Milano. Una mattina, svegliandomi,
-mi viene il ticchio di farci una scappata. Ma, e il
-permesso? To', bella idea! Mi faccio mandar da casa
-la lettera del <i>melagrano</i>, la mostro al tenente-colonnello,
-e gli dico: — Vorrei andar a Milano a
-vedere il Manzoni. — Così feci; la lettera venne,
-la diedi al mio capitano e lo pregai di domandarmi
-il permesso. Il tenente-colonnello, quando intese,
-prima di vedere la lettera, lo scopo della mia gita,
-esclamò: — Oh! oh! nientemeno! — come per
-dire: — Ci vuol della faccia; — ma, visto ch'ebbe
-la lettera, accordò il permesso dicendo: — È un altro
-par di maniche; vada e ce ne porti notizie.
-</p>
-
-<p>
-Partii la mattina seguente, era domenica, faceva
-un bellissimo tempo. Arrivato a Milano e sbarcato
-in non so che albergo vicino al duomo, domandai a
-un piccolo cameriere dove stesse di casa il Manzoni. — <i>El
-negoziant de mobil?</i> — mi domandò alla sua
-volta. Ma che <i>negoziant de mobil</i>, — risposi; — il
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-conte senatore scrittore Alessandro Manzoni. — Oh mi
-scusi! — esclamò il ragazzo arrossendo: — io credevo....;
-il senatore Alessandro Manzoni sta in piazza
-Belgiojoso; — e mi descrisse la casa. Era di buon'ora,
-scappai a vedere il Duomo, poi difilato in piazza
-Belgiojoso. Come mi battè il cuore quando vidi quella
-casa! Con che venerazione mi levai il chepì entrando
-nella stanzina del portinaio! Ma ahimè! Alessandro
-Manzoni era a Brusuglio. Salii subito in una carrozza
-e mi feci condurre a Brusuglio. Strada facendo
-pensavo alle prime parole da dirgli; alla maniera di
-baciargli la mano prima che avesse tempo di ritirarla,
-come sapevo che faceva sempre; al modo di
-tener la sciabola in sua presenza. Star davanti al
-Manzoni, pensavo, colla sciabola! Mi pareva che non
-andasse; l'avrei lasciata volentieri nella carrozza.
-Per la strada passavan contadine e contadini; mi
-parevan tutti visi di sante persone; in ogni vecchietta
-vedevo Agnese, in ogni giovane Renzo, in
-ogni bimbo Menico. Guardavo con insolito piacere
-quel cielo di Lombardia <i>così bello quand'è bello</i>,
-e quella campagna verde e tranquilla; i miei sentimenti
-e i miei pensieri, via via che mi avvicinavo,
-s'innalzavano; provavo quello che si prova salendo
-su per una montagna; mi pareva di respirare un'aria
-sempre più pura, e la mia mente si staccava dalla
-terra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<p>
-La carrozza si fermò dinanzi alla villa, scesi, entrai
-nel giardino, un servitore mi venne incontro
-a domandarmi chi cercavo. Glie lo dissi: mi guardò
-da capo a piedi, e mi rispose un <i>ma</i>, che voleva
-dire: — Non so se sarà ricevuto. — Allora gli mostrai
-la lettera, la prese e accennandomi che lo seguissi
-si diresse verso la porta d'una stanza a terreno,
-dove entrò, dopo avermi pregato d'aspettare
-un momento. M'appoggiai all'uscio e tesi l'orecchio.
-Dopo un momento sentii una voce tremola pronunziare
-lentamente queste parole: — <i>Gentilissimo giovanetto.
-Degl'incomodi abituali non m'hanno permesso di
-ringraziarla nel primo momento, come desideravo
-vivamente, dei versi ch'Ella m'ha fatto il favore
-d'inviarmi</i>.... — Qui la voce tacque, e subito dopo
-uscì il servitore, il quale mi fece riattraversare il
-giardino ed entrare in un salotto, dove mi lasciò
-solo dicendomi: — Ora viene.
-</p>
-
-<p>
-Io stetti qualche minuto guardando la porta cogli
-occhi fissi, con tutta la persona immobile, respirando
-appena, come se fossi stato davanti a una macchina
-fotografica.
-</p>
-
-<p>
-La porta s'aperse....
-</p>
-
-<p>
-O miei benevoli amici e non amici, che mi avete
-detto tante volte e con tanta ragione, che il mio
-cuore è una spugna, che i miei occhi son due fontanelle
-di lagrime, che i miei soldati sono donnette
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-e che tutte le righe dalle mie pagine sono come
-tanti rigagnoli che corrono al gran mare del pianto
-in cui morirò un giorno annegato, siate giusti;
-riconoscete che almeno questa volta io avevo diritto
-d'intenerirmi; confessate che anche voi altri vi sareste
-sentiti un leggero moto di convulsione alla
-gola; e allora mi farò animo e vi dirò che io, lungo
-come un granatiere, io, colla mia sciabola d'ordinanza
-e colle mie pompose spalline, io, quando il
-Manzoni comparve, gli corsi incontro, gli afferrai
-la mano e diedi in uno scroscio di pianto così improvviso,
-così violento e così sonoro, che quello di
-uno qualunque dei miei soldati sarebbe parso, al
-confronto, un vagito di bambino.
-</p>
-
-<p>
-Il buon vecchio mise la sua mano sulla mia e mi
-disse con accento amorevole: — Vede.... cosa vuol
-dire avere un carattere così.... buono e.... ingenuo;
-si provano delle sensazioni.... violente; si rimetta,
-via.... si rimetta.
-</p>
-
-<p>
-Riferire per ordine la conversazione che seguì
-poi, se si può chiamar conversazione un dialogo nel
-quale uno dei due interlocutori dice appena quello
-che è indispensabile per dar appiglio all'altro di
-parlare, non saprei. Ricordo che mi domandò sorridendo: — E
-la poesia? — e che avendogli io risposto
-che l'avevo lasciata in disparte, mi disse: — Torneranno,
-torneranno i tempi per la poesia. — Ricordo
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-che parlò della battaglia di Custoza e
-disse: — <i>Fracta virtus!</i>; che recitò due strofe di
-una canzonetta del Brofferio intitolata: <i>El baron
-d'Onea</i>, fermandosi al verso: <i>a sauta</i>, <i>a pista</i>, <i>a
-braia</i>, per non dire la parola licenziosa ch'è nel
-verso seguente; che parlò, richiesto ripetutamente,
-del <i>Cinque maggio</i>, dicendo che gli aveva suggerito
-di scrivere quell'ode sua madre, mentre egli,
-all'annunzio della morte di Napoleone, s'era messo
-a declamare dei versi del Monti; ode, soggiungeva,
-piena di latinismi e di francesismi, della quale era
-ben lontano, quando la scrisse, dal prevedere <i>quel
-po' di fortuna</i> che aveva avuta in seguito; e m'indicò,
-se non sbaglio, il tavolino su cui l'aveva scritta.
-Su quel tavolino v'era il <i>Fior di memoria</i> del
-Cantù, che gli diede occasione di parlare d'un suo
-nipotino, il quale comparve poco dopo. Dopo il nipotino
-comparve il suo figliuolo primogenito. — Vede,
-disse il Manzoni, che questo figliuolo è una
-terribile fede di battesimo e che non posso più fare
-il giovanotto. — A una cert'ora mi lasciò per andar
-a desinare, e io rimasi solo, e mi misi a studiare
-a memoria i quadri, i mobili, i libri; e mi
-stampai così bene ogni cosa nel capo, che ce l'ho
-ancora, e sarei in grado di fare un inventario appuntino
-di quel salotto, come ne ho poi fatto molte
-volte lo schizzo a penna nella stanza dell'uffiziale
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-di picchetto e nel camerino del furiere. Quando
-tornò s'andò a fare un giro nel giardino. Ricordo
-ch'ero impacciato a camminare, che inciampavo
-nella sciabola, che parlavo senza garbo, che facevo
-delle domande scipite e che standogli così accanto
-quasi da toccarlo colle gomita, avevo non so che
-vergogna di esser più alto di lui di quasi tutta la
-testa, e cercavo di farmi piccino; e provavo poi un
-vivo dispetto vedendomi in quel modo tutto luccicante
-d'argento vicino a lui vestito modestissimamente,
-e mi rincresceva di non essermi infilato
-il cappotto; e guardandolo quando mi precedeva di
-alcuni passi che andava chino e lento sulle gambe
-mal ferme: — Ah caro vecchio, dicevo tra me, se
-potessi darti la mia salute e la mia forza, con che
-cuore te la darei, dovessi anche domandare l'<i>aspettativa
-per infermità non provenienti dal servizio</i>!
-</p>
-
-<p>
-Venne finalmente l'ora d'andarsene; accommiatandomi,
-volli baciargli la mano; egli mi porse il viso
-e sentì forse l'umidità delle mie guance. — <i>Giuan,
-el legnn!</i> — disse al suo cocchiere mentre uscivo;
-lo ringraziai accennandogli la carrozza che mi aspettava.
-Vidi, uscendo, le sue due belle nipoti, che forse
-avevano udito lo scroscio; attraversai il giardino
-facendo un gran strepito con quella maledetta sciabola
-che mi picchiava sulle gambe; e al momento
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-di risalire in carrozza, voltandomi, lo vidi ancora
-fermo sulla porta che salutava col fazzoletto.
-</p>
-
-<p>
-— Addio! — risposi in cuor mio, — addio, padre,
-maestro, amico; addio, santo consolatore; oh se
-fosse qui il mio reggimento e potessi farti presentare
-le armi!
-</p>
-
-<p>
-E lo salutai militarmente, con tutte le regole,
-come avrei salutato un generale.
-</p>
-
-<p>
-Arrivato a Milano, all'albergo, scrissi a casa una
-lettera di otto pagine nella quale dicevo che Milano
-m'era parsa la più bella città del mondo, che il
-Manzoni era un angelo e che io ero felice.
-</p>
-
-<p>
-La sera tardi arrivai a Pavia, e rientrando in
-casa trovai parecchi amici sulla porta che mi domandarono
-tutti insieme: — Ebbene, l'hai visto?
-gli hai parlato?
-</p>
-
-<p>
-— L'ho visto, gli ho parlato e l'ho anche baciato!
-risposi.
-</p>
-
-<p>
-— Sentiamo, — gridarono tutti in coro, — siedi
-e racconta.
-</p>
-
-<p>
-— Dirò tutto, — risposi; — ma lasciatemi fare un
-po' di prefazione. È male parlar di sè; ma quando l'Io,
-invece di esser lo scopo di quello che si dice, non è
-che un mezzo per dire più facilmente cose che riguardano
-altri e che possono riuscire gradite a molti....
-</p>
-
-<p>
-— Oh basta! — esclamarono gli amici — che
-seccatura! di' dunque, come ti sei fatto ricevere?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ve lo dirò, — cominciai; — ma bisogna ritornare
-un po' addietro. Io era in Collegio, avevo
-sedici anni e scrivevo dei versi. Il mio professore
-di letteratura....
-</p>
-
-<p>
-Diavolo! senz'accorgermene ricominciavo a scriver
-l'articolo. Si vede che dopo otto anni da quella
-visita, a pensarci, mi si confonde ancora la testa.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-</p>
-
-<p class="center x-large">
-ALCUNE OSSERVAZIONI<br />
-SULLO STUDIO DELLA LINGUA ITALIANA
-</p>
-
-<p class="center large">
-(per i ragazzi non toscani).
-</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-</p>
-
-<h2 id="vocabolario">LA LETTURA DEL VOCABOLARIO</h2>
-</div>
-
-<p>
-Lessi, non è molto, in uno scritto dedicato a Teofilo
-Gautier, il seguente periodo: — «Un giorno il
-Baudelaire gli domandò: — Come avete fatto per
-imparare a scrivere in questo modo? — E il Gautier
-rispose: — Ho studiato molto il vocabolario. — Si
-dice infatti ch'egli soleva leggere il vocabolario
-con molto diletto. — Legger queste parole, e
-veder come cadere un velo dinanzi ai miei occhi,
-e apparire un vocabolario, come il pugnale a Macbetto,
-in aria, volto di costa verso la mia mano,
-perchè l'afferrassi, fu un punto. Compresi, voglio
-dire, tutto ad un tratto, e per la prima volta, che
-leggere il <i>Vocabolario della lingua italiana</i>, leggerlo
-da capo a fondo, e rileggerlo, e postillarlo, e
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-farne spogli, e continuare a leggerlo, per consuetudine,
-un po' tutti i giorni, è più che un bisogno,
-un dovere di coscienza, non solo per chi scrive, ma per
-qualunque cittadino il quale desideri di morire senza
-rimorsi. Mi rammento che al balenare di questa
-verità, mi vergognai di non averla scoperta prima
-(per conto mio, ben inteso, che del resto la scoperta
-ha le barbe); e che appuntando il dito contro
-il calamaio, come per incaricarlo di rappresentare
-un momento la mia persona, gli gridai: — Arrossisci! — Poi
-presi a snocciolargli le molte ragioni,
-per le quali credevo che dovesse arrossire: — che
-nessuno, cioè, può ragionevolmente credere d'avere
-studiato la lingua, se non s'è servito del mezzo più
-semplice, più spiccio e più sicuro di conoscerne, se
-non tutti, quasi tutti gli elementi, e che questo
-mezzo non è altro che il <i>Vocabolario</i>, il solo libro
-nel quale della lingua si può vedere tutta la ricchezza,
-e abbracciarne, per così dire, il complesso,
-con una qualche sicurezza, nella quale l'intelletto
-si riposi, e dalla quale proceda poi, con maggior ardimento,
-a studiare nei libri. Che studiar la lingua
-soltanto nei libri, ed anco solo nel popolo che la parla,
-è uno studiarla a caso, poichè nei libri non ce n'è
-che una parte, nè il popolo la parla tutta, tacendo
-pure della impossibilità, quando tutta la parlasse,
-di tutta raccoglierla; del che si ha una prova nel
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-fatto, che non v'è alcuno il quale scorrendo del
-<i>Vocabolario</i> solo una minima parte, non trovi un
-buon numero di vocaboli propri a significare oggetti
-o fatti, ch'egli non soltanto non ricordava,
-ma di cui non sopponeva nemmeno l'esistenza, e
-a cui sostituiva definizioni, paragoni, giri di parole.
-Che il fatto di non studiarsi tutto il <i>Vocabolario</i>
-è cagione che un'infinità di cose non si dicano
-mai, nè si scrivano da nessuno e in nessun
-luogo, neppure in Toscana; non essendoci altra maniera,
-fuor di questa, di sapere come si dicano,
-quando occorre di dirle, se non facendo ricerche
-spesso lunghissime, qualche volta vane, sempre seccanti:
-onde si preferisce di lasciar correre. Che
-nella lingua scritta, ed anco nella parlata dalla gente
-colta, per ciò solo che non si studia il <i>Vocabolario</i>,
-c'è molto meno varietà di quanta ce ne protrebb'essere,
-essendosi ciascuno, a una certa età, formato
-un corredo di parole e di modi, che gli bastano ad
-esprimere quello che ordinariamente ha da dire, e
-che però non s'accresce più, salvo che per straordinarî
-bisogni; mentre colla lettura assidua del
-<i>Vocabolario</i> faremmo ciascuno al nostro linguaggio
-buttare ogni giorno delle messe nuove, e potremmo
-dire ogni giorno qualcosa di più, e di questo lavoro
-di tutti s'arricchirebbe la comune lingua parlata e
-scritta. E altre molte ragioni trite e ritrite, ma
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-non mai ripetute abbastanza, la conclusione delle
-quali fu che io m'ero ingannato fino allora nel considerare
-il <i>Vocabolario</i> come un libro fatto soltanto
-per rispondere quand'era interrogato; ch'esso era
-invece un libro da leggersi per disteso, come una
-storia, o un trattato, o un romanzo; e da tenersi
-sul tavolino da notte; e da portarselo, a fascicoli,
-nelle passeggiate in campagna.
-</p>
-
-<p>
-Mi misi a leggere, cominciando dall'A, con grande
-ardore, e divorai in pochi giorni parecchie centinaia
-di pagine, tempestando i margini di note in
-modo da non lasciarli più vedere. Che volete? Il
-diletto che ci provai fa tale e tanto, che non potei
-resistere al desiderio di esprimerlo, e sospesa
-la lettura, tirai giù le linee seguenti.
-</p>
-
-<p>
-Mi raffiguro una sala immensa, nella quale siano
-stati raccolti e schierati confusamente gli oggetti
-di cento Esposizioni universali. Attraversare di
-corsa questa sala dev'essere un piacere della natura
-di quello che si prova leggendo il <i>Vocabolario</i>.
-Voi trascorrete dalla città alla campagna, dal mare
-alla terra, dalla terra al cielo, dal cielo nelle viscere
-della terra, colla rapidità con cui trascorrerebbe
-la vostra immaginazione abbandonata ai suoi
-grilli. Accanto a un mobile di casa, vedete un'arma
-del medio evo, accanto all'arma un pesce raro, più
-in là una pianta asiatica, poi un ingegno meccanico,
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-poi una pietra preziosa, poi un fiore, poi un
-edifizio, poi un tessuto. Trovate strumenti di tutte
-le arti, termini di tutte le scienze, vestimenti di
-tutti i popoli, usi di tutti i tempi, immagini di tutte
-le religioni. V'accompagna per la via un vocío continuo
-intercalato di proverbi, di bisticci, di frizzi
-plebei, di grida di meraviglia, d'insulti, di complimenti,
-di beffe, di saluti. Incontrate una folla di
-parole che vi paiono larve di persone; le dotte,
-tronfie, professori cogli occhiali; le antiquate, archeologi
-tabacconi, pieni d'acciacchi, che brontolano
-contro la gente nuova; le nuove, fresche,
-sfrontate, come giovanotti entrati or ora nel
-mondo, con qualche lettera commendatizia di scrittore
-autorevole; le comuni, uomini pubblici con un
-lungo codazzo di clienti; le sinistre, soggetti da
-questura; le altisonanti, spacconi da assemblee popolari;
-le leziose, nobiluccie affettate; le sconcie,
-donnaccie senza pudore, con un marchio di riprovazione
-sulla fronte; le straniere, viaggiatori smarriti;
-i diminutivi, frotte di bambini, in lunghe file,
-colle mamme alla testa. E voi passate accanto
-all'une, senza guardarle, come persone di casa; all'altre
-fate un saluto in aria d'indifferenza; a queste
-correte incontro come a gente dimenticata, che si
-rifaccia viva; a quelle vi fermate innanzi un momento,
-per fissarvene in mente l'aspetto; e quale
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-vi fa ravvedere d'un errore, quale vi dà un consiglio
-amichevole, quale vi accenna un fatto storico,
-quale vi espone una tradizione popolesca; e voi
-pensate, ridete, fantasticate, e imparate lingua,
-storia, morale, poesia, scienza, giuochi, mestieri
-finchè chiudete il libro storditi, come all'escir da
-una sala dove aveste veduto insieme un teatro, un
-mercato e un'accademia. Che si può trovare di più
-in un libro? Come si può negare che sia un libro
-incantevole? E quando si potrà dire d'averlo letto
-abbastanza?
-</p>
-
-<p>
-Il Mantegazza nella sua <i>Fisiologia del piacere</i>
-ha dimenticato il <i>Vocabolario</i>, ed è una dimenticanza
-che non gli si può perdonare. Mi ricordo d'un
-professore di matematica, ardentissimo della sua
-scienza, il quale, portate per la prima volta in
-scuola le Tavole dei logaritmi, chinò il viso sul
-libro fino a toccare il margine col mento, e agitando
-in alto le braccia tese esclamò con un accento
-d'inesprimibile soddisfazione: — Com'è dolce
-nuotare in questo oceano! — E così è dolce nuotare
-nel <i>Vocabolario</i>. Si va giù per le colonne
-come per la corrente d'un fiume, e le parole sono
-villette, piante e donnine schierate lungo la riva;
-ci si lascia andare, e si scivola placidamente, pensando
-a mille cose, come quando si scartabella un
-albo di paesaggi, e si canta. Il <i>Vocabolario</i> è un
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-libro fantastico. Si dice che la lettura delle <i>Mille
-e una notte</i> desta nella mente un turbinío di immagini
-abbarbaglianti, che danno una specie di ebbrezza,
-seguíta da sogni deliziosi. Cinquanta pagine
-di <i>Vocabolario</i> suscitano nella testa una folla d'immagini
-più fitta, più varia, più turbinosa, che quella
-delle <i>Mille e una notte</i>. Chiuso il libro, chiudo gli
-occhi, e vedo intorno a me una miriade di cose
-disparatissime, che girano e s'inseguono, spariscono
-e riappaiono, come un nuvolo di farfalle, produgendomi
-nella mente un tumulto piacevole, che
-mi dura anco nel sonno. Il <i>Vocabolario</i> eccita i
-sensi.
-</p>
-
-<p>
-E lasciando da parte i piaceri, e per farla anche
-un po' da pedante, quante cose insegna nel suo
-casalingo linguaggio e colla sua paterna bonarietà,
-quest'aureo libro! Col suo costante, semplice e severo
-definire e specificare ogni cosa, dà contorno
-e lume alle vostre idee; così che dopo la lettura
-d'un'ora, se vi mettete a scrivere, non vi pare che
-quello che pensate e il come lo esprimete siano mai
-abbastanza chiari e determinati, e non vi contentate
-più della prima forma, e finite poi col far meglio.
-Col descrivere minutamente quegl'infiniti oggetti,
-che noi sogliamo indicare aiutando la parola
-col gesto, senza riuscir mai a porgerne l'immagine
-a chi non li abbia veduti, ci esercita alla descrizione
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-minuta, all'uso delle parole proprie, a quel
-lavoro di musaico della lingua, a quella lotta contro
-le piccole difficoltà, che gli scrittori di libri
-letterarî scansano quasi sempre fingendo di sdegnarla,
-ma in realtà perchè la temono. Poi, la curiosità
-è mezza scienza, e il <i>Vocabolario</i> ci mette
-ad ogni passo una curiosità; leggendo sentite il
-bisogno d'aver accanto ora un botanico, ora un
-meccanico, ora un archeologo, ora uno storico, chè
-l'affollereste di domande; non l'avete? la curiosità
-resta, le domande si appuntano, alla prima occasione
-si faranno. E poi, parola e pensiero son gemelli
-della mente: quante faville vi accende nella
-testa il <i>Vocabolario</i>! Il Gautier diceva che ci son
-parole diamante, parole zaffiro, parole rubino, che
-non domandano che d'essere incastonate; si può
-dir di più; ci son parole che gettan l'idea d'un lavoro;
-parole che dánno la sveglia a mille pensieri
-che ci stavano come ravvolti e nascosti in un angolo
-della testa; parole che ci ravvivano la memoria
-di tutto un libro dimenticato. E infine la
-lettura del <i>Vocabolario</i> fa l'effetto d'una lezione
-di modestia, perchè si può ben esser dotti, ma in ogni
-colonna si troverà sempre quella parola che ci fa
-dire: — Non sapevo! — e ci rende accorti d'una
-lacuna che avevamo nella mente. Molti lo dovrebbero
-leggere non foss'altro che per esercitarsi a
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-tirare indietro, come la lumaca, le corna dell'orgoglio.
-</p>
-
-<p>
-Ma non solamente è un libro ameno, utile e morale;
-il <i>Vocabolario</i> si fa anco amare perchè è il
-libro più intimamente «nazionale» di tutta la letteratura;
-ci han lavorato tutti i secoli, ci abbiamo
-lavorato tutti; dotti, analfabeti, fanciulli; c'è un
-verso d'ogni poeta e un periodo d'ogni prosatore;
-ogni grande avvenimento ci ha lasciato un ricordo:
-c'è la storia della nostra lingua; vi si trovano le
-traccie della lotta secolare tra la lingua prima e
-lo spirito trasformatore del popolo; vi son le parole
-moribonde, le vittoriose, le storpiate, le trasfigurate,
-le invulnerabili, le uccise, le sotterrate,
-le fracide, le risorte; è un vero campo di battaglia
-sul quale tutte le nostre provincie e tutte le nostre
-città hanno mandato soldati; è un libro tutto patria;
-il più nostro di tutti; si prova, a scorrerlo,
-quel piacere della proprietà che il Mantegazza annovera
-tra i più dolci; si gode a maneggiarlo come
-a palpare un mazzo di chiavi di casa nostra; a uno
-straniero che ci offendesse, daremmo sulla testa, in
-nome d'Italia, a preferenza d'ogni altro libro, questo;
-a volte ci si sente presi di vera tenerezza per lui;
-io gli batto la mano su, e gli dico; — Maestro,
-amico, consigliere, che sai tutto e rispondi a tutto
-ed a tutti, fido compagno degli studiosi, pedantone
-caro e glorioso, ti saluto!&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quante volte vi piglia la tentazione di consigliare
-la lettura del <i>Vocabolario</i> come farebbe un medico
-d'un medicinale! Quando voi, per esempio, che non
-sapete parlare il dialetto, o che vi siete intestati
-di non volerlo parlare, entrando in una casa di
-buona gente, vedete ragazzi fuggire, signorine turbarsi,
-e padre e madre, dopo aver tentato, a più
-riprese, ma invano, di farvi cambiare linguaggio,
-pigliar quasi il broncio, e lasciar languire la conversazione;
-quanto volontieri, all'uscire, consegnereste
-alla cameriera un biglietto di visita con su
-scritto, a modo di ricetta: <i>Vocabolario!</i> E quando
-vi si presenta un giovanetto, del quale si narran
-meraviglie, laureato, autore di belle poesie, che cinguetta
-il francese, l'inglese, il tedesco, e che poi,
-messo al punto di dovervi raccontare in italiano,
-alla lesta, non so qual caso seguíto a lui, s'impenna,
-si ripiglia, non può dire quello che vuole, e butta
-fuori strafalcioni da pigliar con le molle, con che
-matto gusto, finito quello strazio, gli mormorereste
-nell'orecchio, a modo di pietoso confessore: <i>Vocabolario!</i> — Finalmente
-se si potesse fare quello che
-un mio amico repubblicano desiderava; il quale,
-per gettare lo spavento in cuore ai partigiani della
-monarchia che gavazzano alle spese del povero popolo,
-avrebbe voluto che non so quale smisurato
-gigante immaginato da lui, lanciasse dall'Alpi a
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-Siracusa un tale grido di disperazione, da far traballare
-le mura e andare in frantumi i vetri di
-tutti i palazzi d'Italia; sarebbe a desiderarsi che
-questo gigante, rizzatosi in mezzo a tante migliaia
-d'Italiani che non vogliono parlar la lingua propria,
-o la stroppiano, o l'appestano, o la castrano, o la
-svergognano, gridasse con tutta la forza dei suoi
-prodigiosi polmoni: — <i>Vocabolario</i>.
-</p>
-
-<p>
-E poichè in questi giorni, — come intesi dire a
-un negoziante — tutto ciò che si scrive, anche in
-materia di letteratura, deve avere la sua «conclusione
-pratica» ne tirerò una anch'io da questo
-scritterello. E dirò come dice chiunque, ormai, che
-abbia tre lettere dell'alfabeto in testa, quando vuol
-mettere innanzi una proposta; se fossi Ministro
-della istruzione pubblica, dirò, metterei nel programma
-d'insegnamento per le scuole del Regno,
-colla più profonda convinzione di far cosa utile
-all'Italia, la lettura obbligatoria di tutto il <i>Vocabolario</i>
-della lingua, con spogli, commenti ed esame
-alla fine d'ogni anno. «Come si dice in italiano
-questo? e quello? e quest'altro?» domande ragionevolissime
-da fare a uno studente che sappia tant'altre
-cose. Dicono: — C'è dei <i>Prontuari</i>! — Lavoro
-fatto, non ci credo; bisogna comprar la lingua col
-nostro santo inchiostro e d'altra parte i <i>Prontuari</i>
-non contengon che nomi. Non c'è tempo! Vediamo:
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-io ho il Fanfani in mano, ultima edizione, millesettecento
-pagine, otto volumi di sesto ordinario,
-di quattrocento pagine l'uno, dieci pagine al giorno:
-</p>
-
-<p>
-— Un anno.
-</p>
-
-<p>
-Io continuo, e voi, ragazzi, seguite il mio consiglio:
-cominciate.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-</p>
-
-<h2 id="appunti">APPUNTI</h2>
-</div>
-
-<p>
-Qualunque italiano non toscano, e specialmente
-un italiano delle provincie settentrionali, il quale
-si metta a leggere il vocabolario, si persuade fin
-dalle prime pagine di questa verità: che la lingua
-italiana generalmente parlata e scritta nelle sue
-provincie è tanto povera, — tanto scarsa, voglio
-dire, di vocaboli e di modi, — da doversi chiamare
-piuttosto una <i>mezza lingua</i>, che una lingua intera.
-Leggendo il vocabolario, infatti, si trovano centinaia
-e migliaia di vocaboli e di modi vivi, efficacissimi,
-d'un significato che non sapremmo rendere
-con altre parole; i quali nell'Italia settentrionale
-non si dicono e non si scrivono mai, o rarissimamente,
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-come se fossero modi e vocaboli morti. È
-superfluo il dir la ragione di questo fatto, il quale
-è comune a tutte le lingue da per tutto dove si
-parla un dialetto. Ma non è inutile l'accennarlo e
-l'insistervi per dimostrare ai giovani dell'Italia settentrionale
-i quali si dánno allo studio della lingua
-italiana, come per prima cosa essi debbano cercare
-d'appropriarsi di questa lingua quella grandissima
-parte che loro manca, e della cui mancanza nulla
-ci può avvertire così prontamente e così utilmente
-come la lettura del vocabolario.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Si notino, per esempio, i seguenti vocaboli tolti
-dal dizionario del <span class="smcap">Fanfani</span>.
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Appiccichino.</span> — Uomo che si appiccica ad altri
-per molestare, o chiedendo o cianciando, o mostrando
-famigliarità soverchia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Attacchino.</span> — Più maligno, più pungente che <i>Attaccalite</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Attizzino.</span> — Chi attizza gli altri fra loro. Generalmente
-si dice <i>mettimale</i> che non è la stessissima
-cosa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Cicalino.</span> — È superfluo notare la differenza che
-corre fra questa parola e <i>cicalone</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Donnino.</span> <span class="smcap">Es.</span>: <i>Che camera assestata tiene questo
-Pietro: è proprio un donnino</i> (Fanf.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Farfallino.</span> — Uomo volubile.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Ficchino.</span> — È quasi lo stesso che <i>Ficcanaso</i>; ma
-dicesi più specialmente di chi, anche non invitato,
-cerca di andare o a pranzi o a ritrovi, ecc.;
-mentre <i>Ficcanaso</i> è chi si ficca per curiosità
-più che per altro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Frucchino</span> (da Frucchiare). — Chi mette le mani
-per ismania di darsi faccenda in diverse cose,
-e anche in una sola, ma con gran moto, senza
-senno nè gravità, e senza che le cose nelle quali
-mette le mani gli appartengano gran fatto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Frugolino.</span> — (dimin. di frugolo). — Una donnina,
-un bimbo, un ometto che non sta mai fermo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Galoppino.</span> — Uno che strappa da vivere facendo
-mille mestieri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Girandolino.</span> — Lo stesso che Farfallino.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Pertichino.</span> — Nel linguaggio teatrale si chiama
-<i>pertichino</i> quel cantante che sta fisso in teatro,
-a un tanto il mese, e che è adoperato a fare
-le parti più umili, ordinate solo a tener bordone
-e far apparir meglio le parti principali. Si applica
-per analogia ad altre persone.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rabattino.</span> — Persona ingegnosissima che in mille
-modi, ma sempre per vie oneste, cerca di guadagnare
-e vantaggiare la propria masserizia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Stillino.</span> — Lo stesso che <i>Rabattino</i>; ma dicesi
-anche di chi aguzza l'ingegno per riuscire in
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-alcuna cosa; da <i>stillare</i>, trovare accortamente
-il modo di far checchessia; <i>stillo</i>, modo, via, ecc.
-<span class="smcap">Es.</span>: <i>Trova qualche stillo per divertire, o per
-tenere a dada questa gente.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tritino.</span> — Dicesi di chi ha la manía di vestir bene,
-ma non potendoci arrivar colla spesa, ha sempre
-dei panni rifiniti, e di poco valore.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Quante volte, parlando e scrivendo, noi italiani
-del settentrione abbiamo bisogno di queste parole,
-e non le sapendo, o non avendole, come suol dirsi,
-alla mano, ne diciamo altre che non esprimono il
-nostro pensiero! Invece di <i>stillino</i>, per esempio,
-uomo ingegnoso; invece di <i>tritino</i>, vestito male;
-invece di <i>frugolino</i>, vivace; invece di <i>rabattino</i>,
-mestierante; invece di <i>appiccichino</i>, seccatore; parole
-generiche, adoperabili in mille casi, dalle
-quali il linguaggio non riceve nè colore nè garbo.
-L'<i>astratto</i>, come diceva il Manzoni, invece del <i>per
-l'appunto</i>.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Si notino quest'altre, tolte pure dal dizionario del
-Fanfani.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-</p>
-
-<ul>
-<li><span class="smcap">Affannone</span></li>
-<li><span class="smcap">Almanaccone</span></li>
-<li><span class="smcap">Arruffone</span></li>
-<li><span class="smcap">Cabalone</span></li>
-<li><span class="smcap">Ciabattone</span></li>
-<li><span class="smcap">Faccendone</span></li>
-<li><span class="smcap">Fiutone</span></li>
-<li><span class="smcap">Fracassone</span></li>
-<li><span class="smcap">Frugone</span></li>
-<li><span class="smcap">Girandolone</span></li>
-<li><span class="smcap">Litigone</span></li>
-<li><span class="smcap">Lumacone</span></li>
-<li><span class="smcap">Impiccione</span></li>
-<li><span class="smcap">Machione</span></li>
-<li><span class="smcap">Ninnolone</span></li>
-<li><span class="smcap">Nottolone</span></li>
-<li><span class="smcap">Piallone</span></li>
-<li><span class="smcap">Sballone</span></li>
-<li><span class="smcap">Scialone</span></li>
-<li><span class="smcap">Scioperone</span></li>
-<li><span class="smcap">Sgomentone</span></li>
-<li><span class="smcap">Sincerone</span></li>
-<li><span class="smcap">Soffione</span></li>
-<li><span class="smcap">Stronfione</span></li>
-<li><span class="smcap">Rigirone</span></li>
-<li><span class="smcap">Tatticone</span></li>
-<li><span class="smcap">Tentennone</span></li>
-<li><span class="smcap">Trafficone</span></li>
-<li><span class="smcap">Trappolone</span></li>
-<li><span class="smcap">Viluppone</span></li>
-</ul>
-
-<p>
-Di queste trenta parole, ciascuna delle quali ha
-un significato distinto, intelligibile da qualunque
-italiano che le senta per la prima volta, quante
-sono usate, così parlando che scrivendo, dagli italiani
-settentrionali? Tutt'al più quattro o cinque.
-E che parole s'usano invece? Ci rifletta un momento
-un piemontese, un genovese o un lombardo, e riconoscerà
-che usa quasi sempre una perifrasi, o esprime
-la cosa con un gesto, o dice una parola la quale
-non rende che presso a poco il suo pensiero.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Di questa povertà della lingua che si parla tra
-noi, s'ha una prova ogni momento. Un giorno, per
-esempio, ch'ero a desinare da una famiglia piemontese,
-la padrona di casa mi disse: — Lei oggi
-non ha appetito. — Non è che non abbia appetito, — risposi
-celiando; — è che ho fatto uno <i>spuntino</i>
-due ore fa. — Questa parola <i>spuntino</i> destò uno
-stupore generale, e tutti mi guardarono come per
-domandarmi che diavolo avessi voluto dire. Io continuai: — In
-ogni modo bisogna che desini per non
-essere poi obbligato a fare un <i>ritocchino</i> fra un
-paio d'ore. — Nuova meraviglia per questo misterioso
-<i>ritocchino</i>. — Del resto, soggiunsi, questo
-piatto è così squisito che vorrei pigliare ancora il
-<i>contentino</i>. — Terza meraviglia per il <i>contentino</i>.
-</p>
-
-<p>
-Infine mi domandarono che cosa significassero
-quelle tre parole.
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Spuntino</span>, — è il piccolo mangiare che si fa fuori
-dell'ordinario e tanto per sostenere lo stomaco
-fino all'ora solita del cibo. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Ritocchino</span>, — è un piccolo pasto che si fa dopo
-aver mangiato. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Contentino</span>, — è quel po' che si piglia ancora d'una
-cosa che ci piaccia, dopo che se n'è già mangiata
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-la propria porzione. (Si dice pure per la
-giunta che si dà dopo la derrata). (F.)
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Queste tre parole graziosissime, usate in tutta la
-Toscana, entrarono da quel giorno nel vocabolario
-faceto della famiglia, invece delle espressioni <i>mangiare
-prima del desinare</i>, <i>mangiare dopo</i>, <i>prendere
-ancora un boccone</i> che erano usate prima.
-Ora ci sarà qualcuno il quale consideri quelle parole
-come fiorentinismi, e le voglia bandite solo perchè
-non sarebbero capite alla prima in tutta l'Italia?
-Si approvi o no l'idea del Manzoni, non si
-può rifiutare di prendere tra le espressioni e i vocaboli
-toscani tutti quelli che servono a dir cose
-che noi diciamo altrimenti con più parole e con
-meno garbo. Ho veduto, per esempio, dei genovesi
-e dei piemontesi sudar freddo per dire in italiano
-quello che in francese si dice <i>foisonner</i>, in piemontese
-<i>fe foson</i>, in genovese <i>faa reo</i>, ecc.; una
-cosa che in famiglia occorre di dire spessissimo: di
-alimenti, cioè, i quali per mangiare che se ne faccia,
-pare che non consumino e sieno più abbondanti di
-quello che sono veramente. Dicevano: <i>la tal cosa
-pare più abbondante di quello che è</i>, <i>della tal cosa ce
-n'è sempre più di quello che si crede</i>, ecc. Espressioni
-vaghe, lunghe e inesatte. Ebbene, in Toscana
-si dice <i>far comparita</i>. Chi vorrà continuare a filare
-un lungo periodo per dir male una cosa semplicissima,
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-se può dirla con un <i>toscanismo</i> di due
-parole?
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Una delle gran ragioni per le quali molti di noi non
-capiamo la necessità di arricchire la propria lingua
-è questa: che ignorando certi modi e certi vocaboli,
-non ci accorgiamo punto, scrivendo o parlando,
-delle perifrasi, dei giri di parole, delle contorsioni
-di frase di cui ci serviamo per esprimer cose che
-quei modi e vocaboli esprimono con poche sillabe.
-Se io ignoro l'esistenza della parola <i>golino</i>, per
-esempio, non capisco perchè un Toscano sbadigli
-quando gli dico: — <i>il tale mi diede un colpo nella
-gola col pollice e coll'indice aperti.</i> — Se non so
-che ci sia la parola <i>ingozzatura</i>, non m'accorgo di
-fare una lungaggine dicendo invece di: — Gli diedi
-un'ingozzatura, — <i>Gli diedi un colpo colla mano
-aperta sul capello in modo che glielo feci scendere
-fin sulle spalle</i>, ecc. ecc. Ma mettiamoci un po' a
-studiare la lingua, come diceva il Giusti, con tanto
-d'occhi aperti; vedremo quante lacune ci son nel
-nostro parlare e nel nostro scrivere, quante superfluità,
-quante improprietà, quante pedanterie,
-quanta miseria!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il miglior mezzo di studiare il vocabolario mi par
-quello di cavarne un altro piccolo vocabolario per
-nostro uso, raggruppando intorno a un certo numero
-di soggetti generali tutte le parole e tutti i
-modi che ci sembrano degni di nota. Una scorsa
-data poi di tratto in tratto a queste note ravviva
-maggior quantità di lingua nella memoria che non
-la lettura di dieci libri. Estraggo, per esempio, dai
-miei appunti sul vocabolario del Fanfani, una parte
-di quello che riguarda il <i>mangiare</i> e il <i>bere</i>.
-</p>
-
-<p class="center">
-<i>Sulla maniera di mangiare.</i>
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Mangiare a desco molle.</span> — Mangiare a tavola
-sparecchiata.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Mangiare a battiscarpa.</span> — Senza apparecchiare,
-in fretta e stando in piedi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Mangiare a scappa e fuggi.</span> — In fretta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Macinare a mulino secco.</span> — Mangiare senza bere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Mangiare coll'imbuto.</span> — Mangiare in fretta e senza
-masticare.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-<i>Espressioni comiche per indicare il mangiar
-molto o ingordamente.</i>
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<i>Diluviare</i> — <i>Scuffiare</i> — <i>Pacchiare</i> — <i>Taffiare</i> — <i>Sgranocchiare</i> — <i>Spolparsi</i>,
-per es., <i>un
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-tacchino</i> — <i>Mangiare a scoppiacorpo</i> — <i>Dar
-ripiego</i> (Es.: Egli è una gola che darebbe ripiego
-a quanto v'ha in un refettorio di frati. F.) — <i>Ungere
-il dente, sbattere il dente, far ballare
-il dente, far ballare il mento</i> — <i>Gonfiar
-l'otre — Levarsi le crespe di su la pancia</i> — <i>Fare
-una mangiataccia</i> — <i>Fare una spanciata</i> — <i>Farsi
-una buona satolla di qualche
-cosa</i> — <i>Far dei bocconi che paiono giuramenti
-falsi</i> — <i>Impippiarsi, ingubbiarsi d'una
-cosa</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far rialto.</span> — Si dice in famiglia per far cena o
-desinare meglio dell'usato (F.); a cui male si
-sostituisce comunemente <i>far festa</i> od altro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Bocconcino della creanza.</span> — Il <i>morceau honteur</i>
-dei francesi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tornagusto.</span> — Cosa che fa tornare il gusto e la
-voglia di mangiare, ecc.
-</p>
-</div>
-
-<p class="center">
-<i>Fame.</i>
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Uzzolo.</span> — appetito intenso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Allampanare, allupare, arrabbiare dalla fame.</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far le fila sopra un piatto.</span> — Guardarlo con
-avidità grande.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far le volte del leone.</span> — Aspettare passeggiando.
-(F.) L'intesi dire efficacissimamente in
-Toscana a proposito del passeggiare che si fa
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-in una stanza quando s'ha appetito e s'aspetta
-che vengano a dire ch'è in tavola.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Pelatina.</span> — Malore che viene alle bestie, le quali
-pelatesi, non mangiano; onde per ironía, quando
-si vede uno che mangia molto, si dice che
-<i>debbe aver la pelatina</i>. (F.)
-</p>
-</div>
-
-<p class="center">
-<i>Del bere.</i>
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Colmatura.</span> — La parte del liquido che riempie il
-vaso, la quale rimane sopra l'orlo. (F.) Ho inteso
-dire molte volte: <i>il di più o quello che
-sporge!</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Culaccino.</span> — L'avanzo del vino che occupa il fondo
-del bicchiere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far spracche.</span> — Quel suono che si fa stringendo
-e riaprendo la bocca con forza quando s'è bevuto
-del vino generoso. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far la zuppa segreta</span> (graziosissimo). Bere colla
-bocca piena.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Bere a sciacquabudella.</span> — Ber vino a digiuno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Bere a garganella.</span> — Bere senza accostare il vaso
-alle labbra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Bere a gorgate.</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Sbicchierare.</span> — Vendere il vino a bicchieri. Es.:
-<i>Barile con quella bottega s'è arricchito. Compra
-tutto vino eccellente, e benchè lo paghi caro,
-sbicchierando come fa, ci guadagna il doppio.</i>
-(F.)
-</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-</p>
-
-<p class="center">
-<i>Ubbriachezza.</i>
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<i>Prendere una sbornia</i> — <i>Prendere una bertuccia</i> — <i>Prendere
-una colta</i> — <i>Prendere una briaca</i> — <i>Prender
-l'orso</i> — <i>Perder l'alfabeto</i> — <i>Perder
-l'erre</i> — <i>Essere in bernecche</i> — <i>Essere in cimberli</i> — <i>Fare
-i gattini</i> (pure del dialetto piemontese),
-<i>o fare la ricevuta</i>, per vomitare — <i>Alzare
-la gloria</i>, bere soverchio — <i>Essere una
-gola d'acquaio</i>, essere un beone — <i>Essere un
-briachella</i>, aver l'abitudine d'ubbriacarsi leggermente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Beveria.</span> — Il ber molto. Fare una beveria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Combibbia.</span> — Bevuta fatta con altri nell'osteria.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Certo che non tutti questi vocaboli e modi sono
-dell'uso comune neppure in Toscana, nè tutti sono
-da adoperarsi a occhi chiusi. Ma nel prendere appunti
-sul vocabolario, è meglio largheggiare che essere
-scarsi, poichè non v'è parola oziosa o poco
-usata o antipatica, — poichè anche in fatto di lingua
-ci sono le antipatie, — la quale adoperata in un
-certo senso o in un certo punto, particolarmente
-nel linguaggio faceto, non acquisti un'efficacia singolarissima,
-purchè, come diceva il Giusti, si sappia
-buttar là in modo da non far sospettare che si sia
-cercata col lumicino. E proviene appunto da non
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-conoscere o dal non aver pronte sulle labbra che
-uno scarsissimo numero di espressioni, la difficoltà
-che incontrano i non toscani a celiare con grazia o
-raccontare barzellette e far descrizioni burlesche in
-modo da far ridere. Perchè se la cosa che hanno
-da dire non è per sè stessa comicissima, poco possono
-aggiungerle per mezzo della lingua. Vediamo
-per l'opposto che quando raccontano nel loro dialetto
-cose per sè stesse quasi punto ridicole, le fanno
-riuscire tali, solo coll'adoperare certi vocaboli e
-modi particolari che eccitano il riso.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Par strano, ma è vero: per i non toscani, massime
-dell'Italia settentrionale, uno dei maggiori impedimenti
-a scrivere e a parlar bene è la paura del
-proprio dialetto. Per paura, infatti, di lasciarsi scappare
-degli idiotismi, bandiscono scrupolosamente
-dall'italiano tutte le espressioni del vernacolo, delle
-quali molte, letteralmente tradotte, sarebbero italianissime;
-e ciò facendo, durano una fatica doppia,
-e parlano una lingua stentata, leccata e senza vita.
-Per citare degli esempi, ho visto una volta un piemontese
-arrossire di vergogna perchè credeva di
-aver detto un grossolano piemontesismo coll'espressione: — Il
-tal libro, di cui m'avevan detto tanto
-male, lo lessi, e non <i>mi parre il diacolo</i>: — ossia
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-non mi parve tanto cattivo quanto si diceva; modo
-usatissimo nel dialetto piemontese. — Bell'italiano — soggiunse
-con ironia. — Perchè mai? — gli
-osservai. — <i>non mi parve il diavolo</i>, <i>non è il
-diavolo</i>, <i>non sarà poi il diavolo</i>, lo scrisse Giuseppe
-Giusti. — Non lo volle credere e gli dovetti far vedere
-il libro. Un'altra volta scandolezzai un genovese
-dicendo in italiano: — <i>So assai se il tale dei
-tali sia venuto</i> — Alto là! — mi gridò — la colgo
-in flagrante genovesismo. Il suo <i>so assai</i> è il nostro
-<i>so assae</i> pretto sputato. — Misi sotto gli occhi
-anche a lui le prose del Giusti dove trovò due o
-tre <i>so assai</i> che lo fecero rimanere a bocca aperta.
-E potrei citare mille altre espressioni che fanno rizzare
-i capelli a tutti coloro i quali a furia di scrupoli,
-di paure, di pedanterie, si son fatti una lingua italiana
-compassata, rigida, plumbea, che non è più una
-lingua. In Toscana, per esempio, si domanda a un libraio: — Quanto
-<i>fate</i> codesto libro? — Nove su dieci
-italiani delle provincie settentrionali, dovendo fare
-quella domanda, ficcano un prudente <i>pagare</i> in mezzo
-alle parole <i>fate</i> e <i>codesto</i>, perchè per loro <i>fare un
-libro</i>, in questo caso, è un'espressione assurda, e
-l'altra, invece, è intera, esatta, a prova di martello.
-Per la stessa ragione non dicono mai <i>nel momento
-ch'egli usciva</i>, ma <i>nel momento nel quale o in cui</i>;
-non <i>il luogo dove o per dove</i>, ma <i>il luogo nel quale
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-o per il quale</i>; non <i>guardai se passasse qualcuno</i>,
-ma <i>guardai per vedere se passasse qualcuno</i>, ecc.
-Ciò che il Giusti chiamava argutamente <i>parlare e
-scrivere colle seste</i>.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Per spiegar meglio il modo che, secondo me, si
-dovrebbe tenere nel prendere appunti sul vocabolario,
-mi pare utile addurre ancora alcuni esempi. Leggendo
-il vocabolario, credetti opportuno di notare tutti i
-seguenti modi e vocaboli che si riferiscono a commercio,
-affari, denaro, ecc., perchè m'accorsi, leggendoli,
-che sebbene fossero necessarî per dire per
-l'appunto quelle date cose, non li avevo mai adoperati
-perchè in parte non li sapevo, e in parte non
-m'erano abbastanza fitti nella mente da averli pronti
-sulla bocca o sulla punta della penna parlando o
-scrivendo.
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Metter su bottega.</span> — Rizzare una bottega, un
-negozio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Stiracchiare il prezzo.</span> (È chiaro).
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Salire.</span> — Per rincarare. Es.; <i>Quest'anno i tartufi
-son saliti alle stelle</i>. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rincarare.</span>
-</p>
-
-<ul>
-<li>Il pane è rincarato.</li>
-<li>Rincarare la pigione.</li>
-<li>Il rincaro del cotone.</li>
-</ul>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nell'Italia settentrionale, massime parlando,
-si dice generalmente colla solita lungaggine <i>il
-pane è divenuto caro</i>, invece di <i>è rincarato</i>,
-e <i>l'aumento di prezzo del cotone</i>, invece del
-<i>rincaro del cotone</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rinvilio.</span> — Lo scemar di prezzo. Parola che il
-Manzoni, correggendo i <i>Promessi Sposi</i>, sostituì
-a <i>diminuzione di prezzo</i>, e che ora si comincia
-a usare anche fuor di Toscana. Es.:
-<i>C'è stato un gran rinvilio nell'olio.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Ribasso.</span> — Es.: <i>Il cotone</i> <span class="smcap lowercase">HA FATTO</span> <i>un ribasso</i>. Gli
-scrupolosi direbbero: <i>C'è stato un ribasso nel
-cotone.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Richiesta.</span> — Una tal mercanzia ha molta richiesta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rientrare.</span> — Il popolo e i venditori, in Toscana,
-dicono <i>rientrarci</i> per <i>ripigliare il costo</i> con
-guadagno onesto vendendo una data mercanzia,
-Es.: <i>A volere che ci rientri, quel drappo bisogna
-che lo venda otto lire il braccio.</i> — <i>A tre lire
-non posso darglielo: non ci rientro.</i> (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rientro.</span> — Entrata, <i>rinfranco</i> di denari o d'altro,
-meglio che <i>risorsa</i>. Es.: <i>Giovanni non ha altro
-rientro che lo stipendio di 100 lire al mese.</i> (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Vantaggiare alcuno.</span> — Risparmiargli nel comprare
-e avanzargli nel vendere. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Stare a sportello.</span> — Dicono gli artefici quando
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-in alcuni giorni di mezze feste o simili, non
-aprono interamente la bottega, ma tengono solamente
-aperto lo sportello. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Spurghi.</span> — Le merci rimaste senza vendersi in
-una bottega. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Riparare.</span> — Si dice <i>non ripara</i> di una persona
-che non è sufficiente a secondare le richieste
-infinite che le vengono fatte; di un mercante
-che spaccia moltissimo di una tal mercanzia
-ed ha sempre il banco assediato dai compratori.
-Es.: <i>Mise su quella bottega di mercerie e si
-arricchirà di certo perchè non ripara.</i> (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Comprare cogli occhiali di panno.</span> — Senza esaminare
-quello che si compra.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Servirsi</span> <i>da</i> <span class="smcap lowercase">UN TAL NEGOZIANTE</span>. — Modo scansato da
-moltissimi per timore che non sia di <i>buon italiano</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Stare su un quattrino, su una lira.</span> — Lo spiega
-l'esempio: <i>Che credi ch'io stia sulle dieci lire?
-To' piglia un napoleone e vattene.</i> (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Quel fondaco</span> <i>va</i> <span class="smcap lowercase">SOTTO IL NOME DEL TALE</span>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">In quella impresa gli ci</span> <i>andarono</i> <span class="smcap lowercase">DIECI MILA
-LIRE</span>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rigirare i denari.</span> — Utilizzare onestamente <i>un
-piccolo corpo di denari</i>. Es.: <i>Ho pochi quattrini;
-ma mio fratello che ha pratica di negozi
-me li rigira bene.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rigirarsela.</span> — <i>Non son ricco, ma me la son
-sempre rigirata bene.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Il suo inchiostro corre per tutto.</span> — Dicesi d'un
-negoziante la cui firma sia tenuta buona in
-tutte le piazze. E a chi non abbia credito: <i>Il
-tuo inchiostro non tinge o non corre.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Puzzare d'inchiostro.</span> — Si dice di un abito o di
-altra cosa non ancora pagata nella bottega dove
-si è presa, <i>e dove è già accesa la partita del
-debito</i>. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Prendere una cosa a chiodo.</span> — Senza pagarla
-subito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Mangiarsi il guadagno in erba.</span> — Consumare ciò
-che si guadagna prima di riscuoterlo. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Danari giustificati.</span> — Danari spesi in cosa che li
-vale. (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Denari secchi.</span> — Danari morti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tirare la paga.</span> — Per <i>riscuoterla</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Vivere sul lavoro.</span> (È chiaro).
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Lavorare o fare sopra di sè.</span> — Si dice degli artefici
-che non stanno con altri, ma esercitano
-la loro arte da per sè a loro pro e danno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tirare un gran dado.</span> — Avere una gran sorte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare un buon trucco.</span> — Aver buona fortuna in
-una cosa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Gli è venuta la guazza.</span> — Si dice di chi ha trovato
-una buona fonte di guadagno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Gli è balzata la palla sul guanto.</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Trovare una bella vigna.</span> — Trovare facile e
-pronto utile (o piacere) in alcuna cosa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Succhiellare una bella carta.</span> — Essere in procinto
-di avere una qualche buona ventura.
-Ecc., ecc.
-</p>
-</div>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Per citare un altro esempio, c'è intorno al <i>parlare</i>
-un gran numero di vocaboli e di modi efficacissimi,
-per la più parte lepidi, e molti comuni ai
-vari dialetti d'Italia, e per questa ragione, ossia
-per paura, non usati da chi vuol parlare e scrivere
-un italiano castissimo.
-</p>
-
-<p>
-Stiantar bombe (il <i>craquer</i> dei francesi). — Stiantar
-bugie. — Stiantar spropositi. — Piantar carote. — Sballar
-favole. — Sfrottolare. — Dire delle
-sballonate. — Dire delle papere. — Dire dei farfalloni. — Fare
-delle sparate. — Dirne di quelle che
-non hanno nè babbo nè mamma (strafalcioni madornali);
-ciò che scrisse il povero Guerrazzi, poco
-prima di morire, parlando della sua ultima opera,
-<i>Il secolo che muore</i>.
-</p>
-
-<p>
-Graziosissima l'espressione: — <i>Dare una calcatella</i>,
-per rifiorire o esagerare una cosa detta da
-altri.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Dire una cosa di ritorno, di ripicco, di rintoppo,
-di rimbecco.</span> — Dire una cosa fuori dei
-denti. — Dire a uno una fitta d'ingiurie, una
-carta di villanie, una sfuriata d'impertinenze. — Fare
-una parrucca a uno, fargli una lavata
-di testa, un lavacapo, una risciacquata, una
-ripassata, una sbarbazzata. — Cantargli il vespro,
-cantargli la zolfa. — Trinciargli la giubba
-addosso, tagliargli le calze, lavarsene la bocca
-(per dirne male). — Dire, vomitare ira di Dio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Ripapparsi uno</span> (per garrirlo acerbamente). Es.:
-<i>Nebbia, in presenza della gente, tratta suo
-marito coi guanti, ma in casa poi bisogna
-vedere come se lo ripappa.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rimpolpettare.</span> — Lo spiega l'esempio: <i>Non è
-padrona di aprir bocca quella povera donna
-che bisogna vedere come la rimpolpettano.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rimbrontolare</span> (efficacissimo). — Rammentare spesso
-ad altri un beneficio o un favore fattogli. Es.:
-<i>Tizio mi regalò una volta cinquanta lire, è vero;
-ma non passa giorno che non me le rimbrontoli.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rifischiare.</span> — <i>Si cacciò in quell'adunanza il P.,
-e poi andò a rifischiare ogni cosa al prefetto.</i>
-Quanto più efficace che il solito <i>riferire</i> e <i>riportare</i>
-che si può dire in cento sensi!
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Spettegolare.</span> — Chiaccherar molto e senza proposito. — Es.:
-<i>Dopo essere stata là un'ora a
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-spettegolare se ne andò.</i> — <i>Già io ti dico tutto
-in segreto, e poi tu vai a spettegolare ogni
-cosa in casa delle vicine.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tirar sagrati, tirar moccoli, attaccar moccoli,
-tirar giù tutti i Santi, attaccarla a Dio e
-al Santi.</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Parlare colla bocca piccina</span> (graziosissimo). — Per
-parlare timidamente. Es.: <i>Cogl'inferiori
-fa il prepotente; ma coi superiori parla colla
-bocca piccina.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Stillare, piombare le parole</span>, — per parlare lentamente,
-a stento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Spiccicare le parole.</span> — Spiccarle. Si dice: <i>Non
-spiccica nulla, non spiccica parola</i>, di chi
-volendo parlare, non gli vien fatto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Discorrere fitto o fitto fitto.</span> — Presto e senza
-interruzione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Sfilar la corona.</span> — Dir tutto senza riguardo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Spippolare.</span> — <i>Spappolarla</i>, per es., <i>tale e quale</i>. — Chiaro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Faticare</span>, per es., una filza di paternostri, ciò che
-si esprime anche al verbo <i>Spaternostrare</i>, <i>Scoronciare</i>,
-ecc.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Gonfiar gli orecchi a uno.</span> — Dirgli cose che non
-gli piacciono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Dare spago a uno.</span> — Fingere di secondarlo per
-farlo parlare e svelare l'animo suo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Menare a spasso uno.</span> — Aggirarlo con parole.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Infilare gli aghi al buio.</span> — Parlare di ciò che
-non si conosce.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Allungare la tela.</span> — Per allungare il discorso.
-Es.: <i>Per cinque minuti lo stetti a sentire, ma
-poi, vedendo che allungava la tela, gli voltai
-le spalle.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Dare un tasto.</span> — Toccare un motto di qualche
-cosa. Es.: <i>Se vedo il prefetto, così alla larga
-gli voglio dare un tasto sulla faccenda degli
-arresti di domenica.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Farsi da alto.</span> — Per cominciare a parlare d'una
-cosa dal primissimo principio o alla lontana.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Farla cascar d'alto.</span> — Dare con parole a una
-cosa un'importanza maggiore di quella che ha,
-volerla far parere più bella, più difficile, ecc.,
-di quello che è.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Intonarla troppo alta.</span> — Si dice di chi comincia
-a parlare con un tuono che non può e non deve
-poi mantenere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tirare a traverso.</span> — Si dice di chi, disputando
-con noi, vuol torcere a cattivo senso le nostre
-parole, o sposta astutamente la quistione dai
-suoi veri termini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Parlare per comprare.</span> — (Chiaro).
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Abbreviare il testo.</span> — Farla corta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare un discorso corto.</span> — Modo usatissimo in
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-Toscana, quando nel contrattare una cosa si
-vuol far subito la proposta ultima e difinitiva.
-Es.: <i>S'ha a fare un discorso corto: la m'ha
-a dar tanto</i>, ecc. Si usa anche per venire a
-una risoluzione contro qualcuno: <i>Oh sai? s'ha
-a fare un discorso corto: tu t'hai a levar di
-qui.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Mozziamola!</span> — Lasciamola lì, tronchiamo questo
-discorso. Gli Spagnuoli dicono graziosamente: — <i>Doblémos
-la hoja</i> — pieghiamo la
-pagina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Levar le repliche.</span> — Lo spiega l'esempio: <i>Gli
-fece una di quelle filippiche che levano le repliche.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rimanere in secco.</span> — Si dice di quando a un tratto,
-a chi parla o scrive, mancano le parole o i
-concetti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Rimanere colla parola in aria.</span> — (È chiaro). In
-senso affine intesi dire a un contadino toscano:
-<i>Per quanto si sforzasse a parlare, le parole
-gli rimanevano attaccate giù per la gola.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Aggiustare le parole in bocca a uno.</span> — Insegnargli
-ciò che deve dire.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far peduccio a uno.</span> — Aiutarlo colle parole, dicendo
-il medesimo che ha detto lui, facendo
-buone e fortificando le sue ragioni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Pissi pissi, pispilloria.</span> — Strepito di voci che
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-fanno molti uccelli, anche applicabile a voci
-umane, specialmente per indicare chiacchericcio,
-cicaleccio di donne. — Es.: <i>Ogni tanto la
-Gigia lo piantava per andare a fare un pissi
-pissi di mezz'ora colle sue amiche.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Pissipissare.</span> — Bisbigliare, far pissi pissi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Ribobolare.</span> — V. att. Ribobolare, per es., un bel
-pensiero, ossia nasconderlo con riboboli. — <i>Il
-P. è un buon prosatore; ma per quel maledetto
-suo vezzo di far vedere che sa scrivere,
-un bel pensiero te lo ribobola in modo che
-non si capisce più.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Parlare colle seste.</span> — Con cautela. Parlare
-colle seste in bocca, disse il Giusti, per parlare
-con ripicchiata eleganza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Tirar su le calze a uno.</span> — Cavargli di bocca, con
-arte, un segreto, ecc., ecc.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-A proposito di questo e d'altri modi dello stesso
-genere, occorre fare un'osservazione; ed è che son
-modi vivi, efficaci, usatissimi e usabilissimi; ma che
-sono volgari, e che perciò si debbono usare parcamente,
-e solo quando il soggetto del discorso lo concede.
-Molti non la intendono così. Per costoro tutto
-quello che è toscano è dicibile e scrivibile a qualunque
-proposito. Moltissimi anzi non fanno propriamente
-consistere lo scriver toscano, secondo l'idea
-del Manzoni, che in una certa sfacciataggine di lingua,
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-in un certo sprezzo del galateo filologico, nello
-scrivere, insomma, una lettera a una signora tale
-e quale come una lettera a un fattore; un discorso
-accademico tale e quale come un aneddoto carnovalesco.
-Sono costoro che, da qualche anno in qua,
-empiono romanzi, novelle, articoli, ecc., di modi come
-<i>cascar l'asino</i>, <i>levar le gambe</i>, <i>tirar su le
-calze</i>, <i>tagliar le calze</i>, <i>essere agli sgoccioli</i>, <i>uscir
-per il rotto della cuffia</i>, ecc., ecc., i quali modi se
-danno efficacia e sapor comico al linguaggio quando
-sono adoperati a tempo e luogo, gli tolgono, adoperati
-a casaccio, ogni dignità, ogni gentilezza, ogni
-grazia. Ed anche a rischio di farmi dare sulle dita
-voglio dire che lo stesso Giuseppe Giusti ha qualche
-volta peccato da questo lato. Poichè, per esempio,
-quando scrivendo a una signora dice in un solo
-periodo che «scegliere per un congresso una città
-piccola come Lucca <i>è un voler metter l'asino a
-cavallo</i>: ma che i Lucchesi ne leveranno le
-gambe meglio che non si crede; che il duca se
-l'è battuta perchè <i>gli bolle a mala pena la pentola
-per sè e per i suoi</i>, ecc.,» io sento, non in
-ciascuna di queste maniere di dire per sè medesima,
-ma nella loro frequenza, nel tuono che danno
-al discorso, qualche cosa che non mi piace. Il
-Manzoni stesso, che in fatto di lingua è così delicatamente
-guardingo, nell'usare frasi e vocaboli toscani
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-ha qualche volta mancato a questo riserbo, e
-io credo che anche i suoi più ardenti ammiratori,
-fra i quali mi vergognerei di non essere in prima
-riga, cancellerebbero volentieri in qualche sua pagina
-le parole <i>porcheria, me ne impipo</i>, ecc., scritte
-da lui in omaggio all'uso toscano. Ora a me par
-giusto che si segua il Manzoni nel preferire un
-idiotismo a una pedanteria; ma mi par di vedere
-che molti toscaneggianti dell'Italia settentrionale
-vadano troppo in là. Ammetto, per esempio, che in
-molti casi, e in specie nel dialogo, si possa o debba
-dir <i>cosa</i> invece di <i>che cosa</i> o <i>che</i>; ma che un professore
-di letteratura italiana, come fanno molti,
-faccia perpetuamente scrivere dai suoi scolari <i>cosa</i>
-in vece di <i>che</i> o <i>che cosa</i>, non mi va. Capisco che
-piuttosto di scontorcere una frase e qualche volta
-tutto un periodo, si scriva <i>gli</i> invece di <i>loro</i>; ma
-non m'entra che, per seguire l'uso toscano, invece
-di <i>vidi Maria e le dissi</i>, si debba scrivere <i>vidi Maria
-e gli dissi</i>. Così pure il dire eternamente <i>lui</i>
-per <i>egli</i>, <i>lei</i> per <i>essa</i>, <i>loro per essi</i>, anche quando
-nè il suono nè la naturalezza lo richiedono, il che
-è anche contrario all'uso della Toscana, dove <i>egli</i>,
-<i>essa</i>, <i>essi</i> non sono punto parole scomparse dal vocabolario
-parlato. Non bisogna, mi pare, cadere nell'eccesso
-nè da una parte nè dall'altra. Che si metta
-al bando la prosa aristocratica, la lingua ripicchiata,
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-l'affettazione, la pedanteria, sta bene. Ma che per
-non scrivere come un accademico si parli come un
-mercatino; che per non star soggetti alla tirannia
-grammaticale del <i>che cosa</i> e dell'<i>egli</i>, si crei un'altra
-tirannia del <i>lui</i> e del <i>cosa</i>, che, in una parola, dopo
-aver smessa la parrucca, si voglia anche levarsi la
-camicia, non mi pare nè bello, nè ragionevole.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Veda chi vuol spigolare nel vocabolario, seguendo
-il modo che ho indicato, quante parole e modi e
-paragoni e immagini si possono raccogliere intorno
-al soggetto <i>Ritratti</i>, solo dal piccolo vocabolario
-del Fanfani; e come lo studiare la lingua in questa
-maniera, benchè paia seccante a primo aspetto,
-possa riuscire dilettevole.
-</p>
-
-<p>
-<i>Un uomo magro assaettato — secco allampanato — secco
-arrabbiato — secco arrovellato — secco
-spento — secco come un uscio — secco come un
-osso — trito in canna — ridotto sulle cigne — ridotto
-in un gomitolo — ridotto un fuscello — ridotto
-che pare un filo — che ha fatto un gran
-calo — che par fatto di calza sfatta — che pare
-la morte secca — che regge l'anima coi denti — che
-si vede e non si vede — che si piglierebbe col
-cucchiaio — verde come un ramarro — giallo
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-come un rigógolo — una mostra d'uomo — una
-carcassa — un cerotto — un ragazzo stentino — una
-cosa stentata — un coso stento stento — un
-viso di dolor di corpo — uno sbiobbo — uno scricciolo — un
-vecchio scaracchione, ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Un giovane di buon nerbo — un uomo di buon
-osso — uno stiattone — un trippone — un gonfione — grasso
-bracato — che non capisce nella
-pelle — con una faccia di mascheron di fontana — con
-un naso che gli rifiglia il vino bevuto — un
-vecchio rimprosciuttito, che va via come un
-frullino, che ha rimesso un tallo sul vecchio, ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Una zitella spersonita — ristecchita — vizza — passa
-rinfichita — rinfichisecchita — con un viso rinfrignato — cogli
-occhi cerpellini — con due gran calamai — con
-certe piazzate in testa (radure di capelli) che si
-può dir quasi pelata — una vecchia squarquoia — un
-vero reciticcio — un vero crostino — e perchè
-non ha dote, un crostino senza burro — una
-ricetta da lussuria, come si dice di persona
-che non solo non mette, ma scaccia le tentazioni. — ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Una ragazza tanto fatta — una bambolona — una
-meggiona — una mastiona — un bel fusto,
-un bel tocco, una bell'asta di donna — un bel
-pezzo di marcantonia — un bel pezzo da ottanta — fatta
-colle forme — pulita come un dado — sana
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-come una lasca — soda come una pina — una
-donnina minutina — gentilina — una cosolina — un
-pepino — una bazzina — un viso di
-solletico — che ha un'ideina di buona — che ha
-un'ideina che piace — che è l'idea della grazia — che
-è una gentilezza — a cui ridon prima
-gli occhi che la bocca, ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Un uomo a sghimbescio, a scatti, a folate, — un
-uomo scontroso, muffoso — una testa secca — una
-testa volante — un cervello svolazzatoio — un
-vecchio cascatoio — un vecchio cucco, ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Un uomo grosso di pasta — tondo di pelo — che
-ha un po' dello scemo — che ha l'ottavo dono
-dello Spirito Santo — che non ha di quel che si
-frigge — che serve di copertina a un altro — una
-lanterna senza moccolo, ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Una lamaccia, un malanno — un uomo che
-odora di birba — un'anima bigia — un uomo di
-scarpe grosse e di cervello sottile — un uomo che
-ha l'arco lungo — un uomo che ha l'osso del
-poltrone, l'osso del vile, l'osso del furfante — che
-ha il miele sulle labbra e il rasoio a cintola — un
-uomo di bassa estrazione — un terremoto — bravo
-come un lampo — bugiardo come un gallo — ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Un dabbenaccio — un galantominone — una
-coppa d'oro — un uomo di stocco — un uomo a
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-tutta tempera — un uomo rotto al mondo — un
-uomo tagliato al dosso di tutti — un uomo attaccaticcio — un
-uomo di ricapito — uomo dei suoi
-piaceri, dei suoi comodi — un uomo tutto Gesù e
-Madonna — un mammamia — un santificetur — un
-sacco di disdette, ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-Tutta questa è lingua viva e fresca, che quando
-s'abbia in mente, vien opportunissima sulle labbra
-e sulla punta della penna ad ogni momento; eppure
-si può dire che per l'Italia settentrionale è quasi tutta
-lettera morta; e nasce appunto dalla mancanza di
-tutta questa lingua, il difetto di varietà e di lepore
-che si lamenta nello scrivere, e principalmente nel
-parlare italiano degli italiani settentrionali.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Da un tempo in qua, in molte famiglie dell'alta
-Italia s'insegna a parlare italiano ai bambini. È
-ottima cosa, se i parenti sono in grado d'insegnar
-bene, o se badano almeno a correggere gli errori
-di cui s'accorgono; ma è cosa pessima se non
-sanno insegnare o non hanno voglia di correggere;
-il qual caso è frequentissimo. Occorre infatti ogni
-momento di sentir ragazzi di sette od otto anni,
-ed anco di dieci o di dodici, parlare con una
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-meravigliosa disinvoltura un italiano scellerato al
-segno da far desiderare che parlino invece il loro
-dialetto. E non è da credere che a poco a poco si
-correggano poi da sè stessi. Gli strafalcioni, le frasi
-viziose, i modi barbari e un gran numero di piccole
-improprietà di linguaggio che s'appiccicano
-alla lingua in quella prima età, difficilmente si perdono
-avanzando negli anni, fuorchè dai pochissimi
-che si dedicano particolarmente alle lettere; perchè
-coll'età cresce a mano a mano l'amor proprio, la
-pretensione, il timore, in chi potrebbe correggere,
-che la correzione venga presa in mala parte; e così
-accade che i giovanetti di quindici o di sedici anni
-parlano poco meno barbaramente di quelli di otto
-o di dieci.
-</p>
-
-<p>
-Ecco, per esempio, un saggio dell'Italiano che si
-parla generalmente nell'Italia settentrionale, non
-solo dai bambini, ma anco dagli adulti:
-</p>
-
-<p>
-«Ho veduto Tizio, e <i>ci</i> dissi che <i>alla sera</i>, in
-casa, noi giuochiamo, e che <i>saressimo</i> contenti
-che non ci mancasse nè <i>egli</i>, nè suo fratello. <i>Ci</i>
-dissi che i libri che m'aveva imprestati mi <i>hanno
-piaciuto</i>, e gliene <i>chiamai</i> degli altri, particolarmente
-quello dell'X, stampato <i>del</i> 1873, che è il
-romanzo <i>il</i> più bello che si possa immaginare. Lo
-ebbi, se non <i>mi sbaglio</i>, tre anni fa, lo lessi d'un
-fiato, ed <i>ho ritornato</i> a leggerlo, ecc.»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-</p>
-
-<p>
-E non c'è che dire, si sentono buttar giù questi
-spropositi anche da persone coltissime, le quali arrossiscono
-quando, per caso, si lasciano sfuggire errori
-assai meno gravi nel parlare francese.
-</p>
-
-<p>
-Ma tornando ai bambini, ecco alcuni vocaboli e
-modi, che si riferiscono a loro, e che sono una
-prova di più del gran giovamento che si può ricavare
-dallo spoglio del vocabolario; facendo il quale
-si finisce col trovarsi fra le mani un altro vocabolario
-bell'e fatto, che colma quasi tutte le lacune
-della nostra mente.
-</p>
-
-<div class="blk">
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a tamburello.</span> — Tamburello è quel piccolo
-cerchio, nel quale è imbulettata una
-pelle ben tirata, e che serve per giuocare alla
-palla.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a rimpiattino, a rimpiattarelli.</span> — Gioco
-nel quale uno si rimpiatta e gli altri debbon
-trovarlo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a ripiglino.</span> — Gioco così detto dal ripigliar
-col dorso della mano i noccioli o piccole
-monete che si sono tirate all'aria. È pure un
-altro gioco che si fa in due, avvolgendosi
-nelle mani del filo, e ripigliandolo l'un dall'altro
-in varie figure.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a guanciale d'oro.</span> — Gioco in cui uno
-posa il capo in grembo all'altro che siede, e
-questi gli chiude gli occhi in modo che non
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-possa vedere chi sia colui che lo percosse in
-una mano ch'egli tiene dietro sopra le reni,
-dovendolo egli indovinare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a scaldamane.</span> — Gioco che si fa accordandosi
-in più a porre le mani a vicenda l'una
-sopra l'altra, posata la prima sopra un piano,
-e traendo poi quella di sotto, ecc.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a toccapoma.</span> — Gioco in cui alcuni ragazzi
-si pongono appoggiati o a cantonate o
-ad alberi che siano attorno, e uno di essi resta
-nel mezzo. Quegli che sono agli alberi o cantonate
-cercano di mutar posto senza lasciarsi
-pigliare da colui che è in mezzo a quest'effetto,
-ecc.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a scaricabarili.</span> — Gioco che si fa da due
-soli, i quali si volgono le spalle l'un l'altro, e
-intricate scambievolmente le braccia, s'alzano
-a vicenda.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocar di pedina.</span> — Premersi coi piedi sotto la
-tavola.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Giocare a nocino.</span> — Gioco nel quale si fanno alcune
-castelline di noci, quanti sono i giocatori,
-e ciascuno tira verso quelle con una noce che
-si chiama bocco. Quante castelline butta giù il
-tiratore, tante ne vince.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare alle comaruccie.</span> — Gioco che si fa con un
-fantoccio, fingendo che una delle bambine l'abbia
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-messo al mondo; la quale bambina riceve
-le visite, e fa le altre cerimonie delle puerpere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare a pappaceci.</span> — Gioco dei fanciulli quando tirano
-fichi od altro all'aria e li ricevono colla
-bocca.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare a ginocchino.</span> — Dicesi di due che essendo
-accanto si urtano l'un l'altro col ginocchio.
-Questo modo però, come l'altro <i>giocar di pedina</i>,
-si usa di preferenza parlandosi d'un uomo
-e d'una donna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare le tenebre.</span> — Il battere che suol farsi con
-mazze sulle panche delle chiese per gli uffici
-della settimana santa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare le bizze, fare le furie.</span> — Si dice dei ragazzi,
-ed è chiaro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Far greppo.</span> — Quel raggrinzare la bocca che fanno
-i bambini quando vogliono cominciare a piangere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Sbatacchiarsi.</span> — Si dice (oltre che per atti di dolore
-disperato) dei bambini quando fanno le furie.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Smoccicare.</span> — Mandar fuora i mocci; il che fanno
-spesso i bambini quando piangono. Al qual proposito
-è da notarsi il modo: <i>Tirar su</i>, che dicesi
-dell'aspirare fortemente col naso per impedire
-che colino i mocci; onde il motto che
-suol dirsi ai bambini quando lo fanno: <i>Tira su
-e serba a Pasqua.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Aver la lucia.</span> — Lo dicono in Firenze ai bambini
-quando la sera, dal sonno, non possono tenere
-gli occhi aperti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare i lucciconi.</span> — Si dicono lucciconi quelle grosse
-lagrime che ci cadono dagli occhi per qualche
-improvvisa cagione di dolore, e che quasi si
-vorrebbero celare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare le cocche.</span> — Battere una mano aperta sull'altra
-serrata per segno di beffa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare un manichetto.</span> — Si dice di mettere una
-mano nella snodatura dell'altro braccio piegandolo
-all'insù, che è atto di sdegno e d'ingiuria.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Dare il congone.</span> — Atto di scherno che si fa battendo
-i pugni chiusi, o coi polpastrelli delle
-dita raccolti insieme, le gote gonfiate a questo
-fine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Dare un lecchino.</span> — Lo dicono i ragazzi per quell'atto
-di dispregio, che si fa mettendosi un dito
-in bocca, e poi, così bagnato di saliva, battendolo
-sul viso dell'altro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare il linguino.</span> — Mostrare la punta della lingua
-tenendola stretta fra le labbra; atto che
-ha differenti significati secondo che è fatto da
-bambini o da adulti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Sonare la furfantina.</span> — La furfantina è un concerto
-di fischi, urli e varii suoni fatti con la
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-bocca, che si fa dai ragazzi per ischerno d'alcuno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare la sassaiuola.</span> — Sassaiuola, battaglia coi
-sassi, e il trarre più persone dei sassi contro
-alcuno. Es.: <i>Quei maledetti ragazzi, appena
-lo videro, gli cominciarono a fare la sassaiuola.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Marinare la scuola.</span> — Non andarvi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Bucare la scuola.</span> — Sottrarsi con accortezza al
-dovere d'andarvi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Battere le gazzette.</span> — Avere gran freddo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Portare a cavalluccio.</span> — Portare altrui sulle
-spalle con una gamba di qua e una di là del
-collo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Portare a predellino.</span> — Si dice quando due, intrecciate
-fra loro le mani, portano un terzo
-che ci si mette su a sedere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Portare a barella.</span> — Dicono i fanciulli del prender
-uno per le braccia e per le gambe e così
-portarlo da luogo a luogo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Scendere a scorticaculo.</span> — Scendere strascinandosi
-sul deretano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Alzare di soppeso un bambino.</span> — Alzarlo con la
-sola forza delle braccia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare gambetta.</span> — Attraversare un piede tra le
-gambe d'un altro mentre cammina o s'agita,
-per farlo cadere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Dormire a gomitello.</span> — Dormire stando a sedere
-dinanzi a un tavolino col capo appoggiato sul
-gomito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare il pizzicorino.</span> — Fare il sollecito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Prendere per il ganascino.</span> — Stringere la gota
-tra l'indice e il medio piegato indietro.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Dare i monnini</span> (concettini). — Si dice di chi parlando
-con alcuno lo mette al punto di dir parola
-che rimi con un'altra da dover a quel tale
-dispiacere: come chi disse a quel chierico: — <i>Non
-fu mai gelatina senza</i>.... e qui si fermò;
-e il chierico subito disse, per mostrar che sapeva
-la sentenza: <i>senza alloro</i>: e l'altro ribattè: — <i>Voi
-siete il maggior bue che vada
-in coro.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Fare il groppo o mettere il tetto.</span> — Si dice di
-un ragazzo che ha finito di crescere; del quale
-suol dirsi pure con dispetto: <i>non cresce nè
-crepa</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Figliuol di grazia, figliuol di vezzi.</span> — Si dice il
-bambino prediletto della famiglia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Trottolino.</span> — Dicesi di bambino che va a piccoli
-e presti passi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Gnaulino.</span> — Dicesi per scherzo d'un bambino piccolo.
-Es.: <i>Ha un par di gnaulini che non le
-danno un momento di bene.</i> Da <i>gnaulare</i> (miagolare),
-che si dice pure del piangere dei bambini.
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-<i>Frignare</i> significa piangere interrottamente
-sforzandosi di rattenersi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Un sacchettino di vizii.</span> — (Chiaro).
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Malestro.</span> — Parola di cui tutte le madri hanno
-bisogno, alla quale sostituiscono malamente
-<i>monelleria</i>, <i>scappatella</i>, ecc. <i>Malestro</i> si dice
-qualunque danno facciano per casa i ragazzi,
-come romper piatti, bicchieri e simili. Es.: <i>Ragazzi,
-badate di non far malestri.</i> (F.)
-</p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Ninnare.</span> — Canterellare per fare addormentare i
-bambini cullandoli. Dice il Giusti:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>E lo accostava, al seno e lo ninnava</p>
-<p>Con baci e baci come fosse suo.</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="smcap">Spoppare.</span> — Levar la poppa ai bambini, disusarli
-dal latte; onde si dice <i>bambino spoppato</i>, <i>ecc.</i>
-</p>
-</div>
-
-<p>
-A proposito del linguaggio dei bambini, occorre
-un'osservazione sull'uso che si fa dei diminutivi in
-Toscana. È opinione di molti che se ne faccia un
-uso eccessivo, per il che suol dirsi che i Toscani
-parlano un italiano fiacco e sdolcinato. Nulla di più
-falso, a mio parere, perchè rarissimamente, in Toscana,
-si sente usare un diminutivo che non sia giustificato
-dalla modificazione ch'esso porta al senso
-della cosa espressa. È superfluo notare la differenza
-che corre tra <i>bellino</i> e <i>bello</i>, poichè tutti sanno che
-<i>bello</i> corrisponde a <i>beau</i> e <i>bellino</i> a <i>joli</i>, e nessuno
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-ignora il differente significato di queste due parole.
-Ma si osservino i seguenti esempi. In Toscana, si
-dice che una donna ha <i>giudizio</i>, e che una bambina
-ha un <i>giudizino</i> da far meravigliare. Si dice che una
-donna, una bottegaia, per esempio, ha una <i>manierina</i>
-che piace. Si dice che una bimba ha le sue <i>malizine</i>.
-Si dice che la madre è tutta <i>pensieri</i> per la sua
-figliuoletta, e che la figliuoletta è tutta <i>pensierini</i>
-per sua madre. Si dice che una donna è sempre
-<i>ravviata</i>, <i>ravversata</i> e che i suoi bimbi sono sempre
-<i>ravviatini</i>, <i>ravversatini</i>. Una mamma dice al suo
-bimbo il quale pretende ch'essa, gli porga qualche
-cosa: — <i>Allunga il santo manino e pigliatela da
-te</i>, ecc. Si vede da questi esempi che i diminutivi
-non sono adoperati a casaccio. Lo stesso può dirsi
-dei peggiorativi che non solo modificano il senso,
-ma qualche volta lo cambiano affatto. <i>Quell'uomo</i>,
-si dice, ha <i>delle idee</i>: <i>giovatevene</i>: <i>quell'altro ha
-delle ideaccie</i>: <i>guardatevene</i>. Si dice <i>mettere uno
-a un puntaccio</i>; e si sottintende: di fare uno sproposito;
-<i>fare una partaccia a uno</i>, ossia caricarlo
-di male parole; <i>fare un'azionaccia</i>, ossia una bricconata;
-<i>avere delle praticaccie</i>, ossia di donne perdute,
-che sono <i>robaccia</i>; <i>fare una levataccia</i>, ossia
-levarsi per tempissimo, ecc. Bella novità! — mi
-diranno molti italiani settentrionali che studiano la
-lingua; — tutti questi vocaboli, tutti questi modi
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-di dire li sapevamo. — Tanto meglio; ma non li dite
-mai, non li scrivete mai, non vi suonan mai nella
-testa quando li potreste scrivere o dire; e in fatto
-di lingua, tutto quello che non viene sulle labbra
-o sulla penna, non si sa. Ma dunque, mi si domanderà,
-come s'ha da fare per rendersi famigliari
-tutti questi vocaboli e questi modi? Ci sono molti
-mezzi. Si notano, si adoprano nelle lettere agli
-amici, si usano esprimendo a noi stessi i nostri
-pensieri, si fa il proponimento di usarli parlando
-coll'uno o coll'altro di quelle determinate cose, si
-masticano, si mandan giù, si rimestano, si fatica,
-in una parola, per imparare l'italiano, almeno almeno
-come si fatica per imparare il francese.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-E poichè ho accennato a una lingua straniera,
-cade qui a proposito un'altra osservazione. Da qualche
-anno in qua lo studio delle lingue straniere è diventato
-comunissimo in Italia. Un gran numero di
-giovani dei due sessi, e di tutte le classi sociali,
-si sono dati, per <i>completare la loro istruzione</i>,
-allo studio della lingua inglese e della lingua tedesca.
-(Non parlo della francese perchè si può dir
-quasi necessaria, come non parlo di coloro che studiano
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-quelle altre lingue per necessità). Or bene io
-mi domando se questo studio dà, nella massima parte
-dei casi, un frutto corrispondente alla fatica che
-costa; un frutto cioè, che equivalga a quello che
-si ricaverebbe da uno studio della lingua propria
-fatto in egual tempo e colla medesima alacrità.
-</p>
-
-<p>
-Ne dubito.
-</p>
-
-<p>
-Prima di tutto, non potendo o non volendo la
-maggior parte di coloro che studiano quelle lingue,
-studiarle scientificamente, questo studio si riduce
-per essi a una pura fatica della memoria, a un esercizio
-di pazienza, a uno sgobbo scolaresco, che giova
-pochissimo all'ingegno, per non dire che lo mortifica
-e che lo rintuzza. Poi c'è un argomento di fatto
-che vale più d'ogni altro contro questi studî; ed è
-che di trenta persone che cominciano a studiare,
-per esempio, il tedesco, quindici si scoraggiscono e
-smettono in capo a un anno o a sei mesi; cinque
-l'imparano, e lo dimenticano poi, in tutto o in parte,
-perchè le vicende della loro vita li costringono a
-trascurarlo; altri cinque non lo dimenticano, ma
-non hanno occasione di servirsene utilmente, o perchè
-non possono viaggiare, o perchè non hanno
-tempo e attitudine a fare altri studî di cui la
-lingua per sè stessa non è che la chiave; e degli
-ultimi cinque infine, ce ne saranno tutt'al più tre
-che giungono a possedere questa lingua in maniera
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-da poter gustare (gustare, intendiamoci, non capire
-soltanto) i buoni autori tedeschi. Perchè io comprendo
-come a un medico, a un fisico, a un ufficiale
-(e sottintendo i dotti di professione), metta conto
-di studiar tanto il tedesco da riuscire a comprendere
-ciascuno i libri della sua scienza, perchè di
-questa lingua a loro non occorre di conoscere che
-una parte, ossia non più di quanto è necessario per
-afferrare il senso dei loro libri speciali, e a ciò possono
-pervenire in breve tempo. Ma è tutt'altra cosa
-per un giovane che voglia imparare quella od altre
-lingue, come suol dirsi, per ornamento, il che gl'impone
-l'obbligo di farne uno studio vasto e profondo,
-in modo da riuscire a godere tutte le bellezze riposte,
-a sentire tutte le armonie, a toccare, per dir così,
-tutte le fibre della poesia del Goethe, dell'Heine,
-dello Shakspeare! E quanti sono quelli che dicono
-di toccarle, e leggono poi di soppiatto le versioni del
-Maffei e dello Zendrini, e non godono veramente
-Shakspeare che nei versi del Carcano!
-</p>
-
-<p>
-Credo una gran verità che non si possa dire esservi
-in un paese vera coltura se non ci fioriscono
-gli studî filologici; ma ha da essere lo studio della
-filologia, ossia la vera e buona scienza di pochi
-od anche di molti; non una manía universale di
-legger male e di balbettar peggio tre o quattro
-lingue straniere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-</p>
-
-<p>
-Invece di faticar tante ore a inchiodarsi nel cervello
-migliaia di radicali e di frasi esotiche, imparate
-le quali, il pensiero straniero si presenta pur
-sempre velato alla loro intelligenza, quanto sarebbe
-meglio che molti giovani si consacrassero allo studio
-amoroso e costante della propria lingua! Può
-essere una soddisfazione il saper sostenere, tiranneggiando
-il proprio pensiero, una conversazione di
-mezz'ora con una persona nata cinquecento miglia
-lontano da noi; ma è certo una soddisfazione più
-intima il saper trovare ogni momento, parlando la
-lingua materna, una formola evidente e gentile in
-cui il proprio pensiero s'adatti e risplenda come
-una gemma nell'anello; il poter rendere e stampare
-nell'anima altrui le più tenui sfumature dei nostri
-sentimenti; vedere il volto d'una persona che s'ama
-rispondere via via con una gradazione più viva di
-roseo ad ogni nostra espressione che giunga più
-dritta al cuore e lo rimescoli più addentro con una
-punta più delicata; rivelare a persone sconosciute,
-con poche parole fuggitive, il nostro grado di cultura;
-colorire e illuminare tutte le nostre idee; e
-infine essere italiani di lingua come s'è italiani di
-cuore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Questi saggi d'appunti intorno al <i>mangiare</i>, al
-<i>commercio</i>, al <i>parlare</i>, ai <i>ritratti</i>, ai <i>bambini</i>,
-possono dare un'idea di quanto si sarà acquistato
-nello studio della lingua quando si sia fatto altrettanto
-riguardo a una trentina d'altri soggetti, intorno
-ai quali si può raggruppare, man mano che
-si procede nella lettura del vocabolario, la maggior
-parte di quello che si nota. Per conto mio non conosco
-mezzo più spiccio, nè più facile, nè più profittevole.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-</p>
-
-<h2 id="parola">UNA PAROLA NUOVA</h2>
-</div>
-
-<p>
-Tocchiamo di volo, con un esempio, la molto agitata
-questione delle parole nuove.
-</p>
-
-<p>
-Scrivendo intorno a un paese dell'Europa settentrionale,
-dove l'arte dello scivolare sul ghiaccio è
-in grandissima voga, dovevo parlare molto minutamente
-di quest'arte, e non vedevo modo di parlarne
-senz'adoperare la parola <i>patinare</i> e le sue derivate,
-che non si trovavano allora in alcun vocabolario
-italiano<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>; e mi peritavo ad adoperarle, prevedendo
-che i puristi, ed anco i non puristi, i quali
-qualche volta sono assai più pedanti, m'avrebbero
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-dato sulle dita. Prima di mettere sulla carta quelle
-terribili parole, mi rivolsi a un linguista rigorosissimo,
-di quelli a cui un <i>lui</i> messo invece d'un <i>egli</i>
-manda a male il desinare, e gli domandai con umili
-parole il suo parere.
-</p>
-
-<p>
-— Non ci può esser dubbio, — mi rispose, — <i>patinare</i>
-è una parola barbara; bisogna scrivere
-<i>sdrucciolare</i>.
-</p>
-
-<p>
-— In teoria — dissi, — consento; ma nel caso
-pratico.... Per esempio, scriverebbe ella che un contadino
-olandese <i>sdrucciolò dall'Aja ad Amsterdam</i>
-e che uno studente di Leida <i>sdrucciolò per tre ore
-di seguito</i>?
-</p>
-
-<p>
-— E perchè no? mi domandò il linguista con accento
-severo.
-</p>
-
-<p>
-— Le citerò degli altri esempî, — continuai; — direbbe
-ella in una conversazione che una certa signora
-<i>sdrucciola</i>, che ha l'<i>abitudine di sdrucciolare</i>,
-che <i>sdrucciolò molte volte nello scorso carnevale</i>?
-</p>
-
-<p>
-Il linguista strinse le labbra e rimase sopra pensiero.
-</p>
-
-<p>
-— Vede, — io ripresi, — che ne potrebbero nascere
-delle conseguenze spiacevoli. Ma lasciamo pur
-da parte questi esempi a doppia faccia. Io le voglio
-fare un breve ragionamento. A Torino e a Milano
-moltissime signore <i>patinano</i>, e la maggior parte di
-esse tengono conversazione; e nelle loro conversazioni
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-si parla di <i>patinamento</i>, usando le parole <i>patino</i>,
-<i>patinatrice</i>, <i>patinatore</i>. Orbene, risponda alla
-mia domanda, e sia franco. Dovendo fare in una di
-queste conversazioni un complimento alla padrona
-di casa ch'ella avesse visita <i>patinare</i> il giorno prima,
-di quale parola si servirebbe? Intendo un complimento
-a voce, in presenza di molta gente, badi bene.
-</p>
-
-<p>
-Il linguista esitò un momento e poi disse:
-</p>
-
-<p>
-— Certo che.... se io dicessi <i>brava sdrucciolatrice</i>....
-anche rimossa ogni idea d'equivoco.... quei
-signori.... e forse anche la signora.... si metterebbero
-a ridere; ma, caro signor mio, qui si tratta di scrivere
-e non di parlare!
-</p>
-
-<p>
-— Ma che Dio la benedica, caro signor linguista, — io
-esclamai; — ma per chi si scrive, dunque?
-e che altro è lo scrivere che un parlare colla penna?
-e perchè una parola non deve essere più quella
-quando è messa sulla carta? Veda, nessuno mi leva
-dalla testa che sia appunto questo falso concetto
-delle due lingue, la parlata e la scritta, la cagione
-principalissima della <i>poca leggibilità</i> dei libri italiani.
-Faccia la prova lei che parla perfettamente
-la così detta <i>lingua povera</i>. Apra un qualunque
-buon libro francese, legga supponendo di parlare in
-una conversazione di gente colta e senza pedanteria,
-e vedrà che rarissimamente le occorrerà una parola
-o un'espressione che strida colla naturale e logica
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-semplicità del linguaggio parlato. Pigli un libro
-italiano anche dei meglio scritti, e se supporrà di
-dire ella stessa quello che legge, dovrà arrossire
-ogni momento. Guardi, apro a caso il primo libro
-che mi vien sotto le mani, è un romanzo: — <i>Quando
-primamente si guardò nello specchio....</i>
-Oserebbe ella dire in una conversazione: <i>quando primamente
-mi guardai nello specchio</i>, invece di dire
-la <i>prima volta</i>? Apro un altro libro, una novella: — <i>Deposi
-sulla tomba dei miei genitori una semplicetta
-corona di fiori.</i> Crede ella che ci sia mai stato
-un orfano in Italia che abbia espresso quel pensiero
-servendosi della parola <i>semplicetta</i> in quella maniera?
-Un altro libro, un racconto: — <i>La leggiadra
-e innamorata fanciulla....</i> Crede ella che ci sia mai
-stato un italiano ragionevole il quale abbia una
-volta sola in vita sua, altro che per ischerzo, dette
-quelle tre parole in quell'ordine?
-</p>
-
-<p>
-— No, — rispose il linguista; — ma....
-</p>
-
-<p>
-— Ma, — ripresi io, — che cos'è dunque questo
-arsenale di frasi e di parole che non si possono dire
-senza far ridere e che si scrivono nelle scritture più
-famigliari, come se passando dalle labbra sotto la
-penna, cambiassero senso, suono, natura? E viceversa
-che cosa sono tutte queste parole che tutti dicono, che
-tutti capiscono, che tutti sono costretti a usare, e
-a cui nessuno può sostituirne dell'altre senza farsi
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-canzonare, e che malgrado ciò, secondo lei, secondo
-mille altri, non si debbono scrivere? Ella mi potrà
-dire, a proposito del <i>patinare</i>, che questa parola si
-dice nell'Italia settentrionale ma non in Toscana;
-e io le rispondo che non è colpa dell'Italia settentrionale
-se nella Toscana non si <i>patina</i>, primo; e
-secondo, che sono disposto a scommettere cento
-contr'uno che in nessuna città di Toscana, in nessuna
-conversazione, nessunissima persona domanderebbe
-mai a un Torinese o a un Milanese se quest'anno,
-per esempio, si è <i>sdrucciolato</i> o <i>scivolato</i>
-al Valentino o nell'Arena, ma domanderebbero tutti
-se si è <i>patinato</i>; e quelli che ignorano questa parola,
-dopo averla intesa per la prima volta, l'adopererebbero
-costantemente per la semplice e indiscutibile
-ragione che è necessaria.
-</p>
-
-<p>
-Il linguista stette un po' pensando e poi disse:
-</p>
-
-<p>
-— Eppure.... un'altra parola ci deve essere. Il
-Bentivoglio, nella sua <i>Storia della guerra di Fiandra</i>,
-parla di quest'arte di sdrucciolare sul ghiaccio.
-Si ricorda ella della parola che usa?
-</p>
-
-<p>
-— Me ne ricordo, caro signor mio. Non adopera
-veramente nessun verbo che si possa sostituire al
-<i>patinare</i>, perchè tocca la cosa di volo, e toccando
-una cosa di volo si può sempre esprimersi con una
-perifrasi. Ma sa ella come se la cava l'eminentissimo
-cardinale per indicare i <i>patini</i>? Gli Olandesi, scrive,
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-si mettono ai piedi <i>certe, dirò così, ali</i>! Pare a lei
-un'azione da galantuomo il chiamare <i>ali</i> degli zoccoli?
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene... adoperi la parola <i>patinare</i> in carattere
-corsivo.
-</p>
-
-<p>
-— Così fece il Giusti, risposi. Ma quest'uso di
-scrivere le parole in corsivo non mi va; mi pare
-una transazione puerile; eccetto che la parola così
-scritta non debba essere adoperata che una volta
-sola. Seguendo quest'uso si verrebbe a poco a poco
-a veder dei libri stampati metà in corsivo e metà
-no, e ad avere una lingua doppia, bastarda, ridicola.
-Che significa il corsivo? Che riprovate la parola. Se
-la riprovate perchè l'usate? Perchè non ce n'è altra.
-E se non ce n'è altra, perchè riprovate quella?
-</p>
-
-<p>
-La conversazione non terminò qui; ma non approdò
-a nulla perchè il linguista non ebbe il coraggio
-di dare il suo consenso assoluto alla parola <i>patinare</i>.
-Allora mi rivolsi a uno scrittore e parlatore
-elegantissimo, — un uomo che il Giusti diceva <i>pieno
-zeppo d'ingegno</i> e del quale il Manzoni faceva grandissimo
-conto in materia di lingua, — e questo signore
-ebbe la bontà di scrivermi la lettera che
-segue:
-</p>
-
-<p>
-«E il suo <i>patiner</i>? Ella ha senza dubbio preso
-a quest'ora il suo partito, e io mi sarei trovato
-molto impicciato a suggerirgliene uno. Che vuole!
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-Il bimbo si battezza dove nasce, e poi gira il
-mondo portando attorno per tutto il suo nome.
-Così le cose che a noi vengon di fuori ci vengono
-col nome che hanno, e la parola che è stata per
-noi il mezzo di cognizione, il più delle volte rimane.
-Per questo non c'è la minima difficoltà in nessuna
-parte del mondo, e <i>consommé</i>, per dirne
-una, è parola di tutte le lingue, che si dice a
-Londra e a Pietroburgo come a Parigi. Noi italiani
-facciamo prima le boccacce e ci proviamo
-chi in un modo e chi nell'altro a tenere indietro
-queste parole forestiere, e a peggio andare, per
-non usare la parola scansiamo di nominare la cosa.
-Ma le sono ubbie queste, e i fatti son fatti, e
-sono all'ultimo i padroni del mondo. La conclusione
-è che noi abbiamo dato agli altri le parole
-finchè abbiamo dato le cose. Ma ora che di maestri
-siamo diventati discepoli, invece di dare prendiamo,
-e questo è sempre meglio che nulla. Io
-direi dunque <i>patinare</i> essendo questo il solo modo
-di dire la cosa. Non volendo passare sotto queste
-forche, uno scrittore ha sempre modo di uscirne.
-Si descrive, si definisce invece di nominare. Si
-pigliano vocaboli che hanno un senso affine, e
-con qualche aggiunto, o colla loro collocazione,
-si fa tanto che il lettore capisce quello che s'è
-voluto dire; ma capisce insieme che la parola
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-venuta alla bocca non era quella, e che l'autore
-ha dovuto stillarsi il cervello per trovarne un'altra,
-la quale sarà in ogni caso una traduzione
-più o meno felice della prima, che un altro rifarà
-poi a suo modo, più o meno felicemente; cosicchè
-invece d'aver un modo spiccio, sicuro, comune, se
-n'avrà molti, anzi nessuno, perchè i molti e il nessuno
-son pure sinonimi quando si parla di lingua.»
-</p>
-
-<p>
-Dunque? Dunque io direi d'aver sempre presenti,
-in fatto di lingua, questi due detti: uno del Leopardi,
-l'altro del Giusti.
-</p>
-
-<p>
-Il Leopardi, domandato da suo fratello Carlo se
-una certa parola, che non si trovava nei buoni autori,
-si potesse usare: — <i>È vero</i>, — rispose, — <i>che
-i buoni scrittori non l'hanno usata; ma non hanno
-nemmeno lasciato per testamento che non si potesse
-usare</i>.
-</p>
-
-<p>
-E il Giusti, a proposito di <i>diligenza</i>, parola francese,
-che, a suo avviso, aspettava cittadinanza dalla
-Crusca e la doveva ottenere perchè il
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p class="i6">cambio delle voci</p>
-<p>Fra gente e gente, come l'ombra al corpo,</p>
-<p>Tien dietro al cambio delle cose umane</p>
-</div>
-
-<p>
-disse:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>Nè straniero vocabolo corrompe</p>
-<p>L'intrinseca virtù d'una favella</p>
-<p>Quando lo stile riman paesano.</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ammessa questa massima, ci sarebbe da divertirsi
-a raccogliere tutte le espressioni e i vocaboli ricercati
-e ridicoli che usarono gli scrittori troppo teneri
-della purità per scansare le frasi e le parole
-nuove. Per esempio il Tommaseo esprime l'idea della
-giustezza, o come si dice militarmente, della precisione
-del tiro delle artiglierie, dicendo che <i>i cannoni
-con dottamente computato émpito mandano la strage
-nelle mura merlate</i>. L'Ugolini suggerisce di dire
-<i>viene da ornarsi</i>, <i>sta ad ornarsi</i>, <i>vado ad ornarmi</i>,
-invece di viene dalla toeletta, sta alla toeletta, va
-a far toeletta. Ma, signor Ugolini, io gli vorrei dire
-se avessi l'onore di conoscerlo, mi può ella giurare
-che se una signora di sua conoscenza dicesse a
-lei: — m'aspetti un momento, <i>vado ad ornarmi</i>, — ella
-non dovrebbe fare un leggiero sforzo per
-trattenersi dal ridere? — Così un dotto, ma troppo
-tenace purista, voleva che in scritti destinati principalmente
-ai soldati, io scrivessi <i>drappello</i> invece
-di <i>plotone</i>, <i>berretto</i> invece di <i>cheppì</i>, <i>fiaschetta</i> invece
-di <i>borraccia</i>. Ma se non posso — io badavo a
-rispondergli; — perchè il plotone non è un drappello,
-il berretto non è un cheppì, la borraccia non
-è una fiaschetta; — e se adopero una parola per
-l'altra, non mi capiscono più. — Non importa, — avrebbe
-voluto rispondermi; ma non osava, e non
-volendo d'altra parte rendersi complice dei miei
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-barbarismi, si stringeva nelle spalle e mi lasciava
-nelle peste.
-</p>
-
-<p>
-O Dio buono! Altro è dire in un vocabolario,
-in un trattato, in un elenco di modi errati, questa
-parola non va e questa frase è barbara; altro
-è dover esprimere quella tal cosa in una commedia,
-in una novella, in un qualunque scritto destinato
-al pubblico, dove una perifrasi sciupa una bella
-idea, un'espressione non immediatamente compresa
-manda a male un dialogo, una parola affettata o
-vaga o equivoca guasta tutta una descrizione. Per
-dare degli esempi di difficoltà superate, si citano le
-prose di questo o di quello, che trattano di storia,
-di letteratura, di morale, e si dice: — Trovateci
-una parola o un modo impuro, se potete. — Non
-ci si trova, lo so benissimo. Ma vorrei che questo
-e quello scrittore avessero raccontato un viaggio in
-strada ferrata, descritto un salotto alla moda, riferita
-una conversazione di signore, rappresentato un
-accampamento di soldati, e scritto tutto questo con
-spontaneità, grazia ed efficacia, senza farsi cogliere
-in fallo dai puristi: allora sì che mi rimetterei
-e mi darei del bue. Ma dove sono i modelli di questo
-genere di scritti? Andiamo, via; allarghiamo
-un po' la manica e facciamo a compatirci.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-</p>
-
-<h2 id="consigli">CONSIGLI</h2>
-</div>
-
-<p class="indl">
-(<i>Risposta a un giovanetto</i>).
-</p>
-
-<p>
-.... Vi dirò quello che per mia esperienza ritengo
-utile; ma vi prego di credere che non ho nessunissima
-pretensione d'insegnare. Voi, probabilmente,
-vi sarete già formato un parere; io v'espongo il
-mio. Se saremo d'accordo, tanto meglio; se vi parrà
-che io sbagli, darete una scrollatina di spalle, e non
-ci terremo il broncio per questo.
-</p>
-
-<p>
-Il primo consiglio che vi darei sarebbe di far i
-bauli e di prendere il treno di Firenze. Se potete
-far questo, non m'occorre di dirvi altro per ora:
-vi riscriverò a Firenze. Ma se, com'è più probabile,
-non potete, ecco ciò che io farei se fossi in voi.
-Prima di tutto mi stamperei bene nella testa che
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-lo studio della lingua è uno studio che richiede
-molto tempo, molta pazienza e molta regolarità:
-mezz'ora tutti i giorni giova più che due giorni interi
-ogni due settimane. E farei e cercherei di mantenere
-i seguenti propositi: — Parlare il meno possibile
-il mio dialetto. — Parlando italiano, parlar
-sempre con cura, sorvegliare sempre me stesso, e
-purgare il mio linguaggio di tutti i <i>grossi errori
-di grammatica e di proprietà</i>, non <i>avvertiti</i>, che
-sfuggono nella maggior parte d'Italia a <i>quasi tutte
-le persone colte</i>. — Terzo, correggere e perfezionare
-la mia pronunzia: il che può far benissimo un
-italiano di qualunque provincia, senza cadere nell'affettazione
-e senza riuscir ridicolo, purchè lo
-faccia a poco a poco e non lasciando apparire lo
-sforzo. — Per riuscire a <i>scriver bene</i> non mi pare
-che ci sia mezzo migliore che quello di cominciare
-a <i>parlar bene</i>, poichè se è vero che lo <i>scrivere</i> è
-un <i>parlare pensato</i>, chi parla bene non avrà più,
-pensando per scrivere, che da perfezionare, mentre
-chi parla male, dovrà far doppio lavoro: ossia evitar
-di scrivere gli spropositi che gli escono abitualmente
-dalla bocca, e poi con un secondo sforzo della
-mente, fare quello che l'altro fa alla prima. Ora,
-non capisco come si possa riuscire a parlar bene
-senza pronunziar bene, poichè mi pare che qualunque
-più bella espressione italiana perda della sua
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-efficacia se è pronunziata coll'accento e i suoni del
-dialetto; e la perde non solo per chi ascolta, ma
-anche per chi parla.
-</p>
-
-<p>
-Dopo questo farei una volta per sempre la fatica
-di leggere e di annotare tutto il <i>vocabolario</i>, e lascerei
-che i grulli ridessero di questa <i>pedanteria</i>.
-L'ha fatta il Manzoni, l'ha fatta il Grossi, l'ha fatta
-Teofilo Gautier, il più colorito e più ricco scrittore
-della Francia; e non erano pedanti. Farei così:
-raggrupperei tutti i vocaboli e modi notati nel vocabolario
-intorno a un certo numero di argomenti:
-per esempio, campagna, arte, industria, morale, architettura,
-vestiario, movimento, affari, affetti, ecc.;
-e intorno a ognuno di questi argomenti raccoglierei
-poi a mano a mano tutto quello che mi verrebbe
-fatto di notare nei libri. Un quaderno dunque!
-Uno sgobbo da scolaretto! E sia pure. Capisco
-che molti ridono di queste cose, e dicono che bisogna
-studiare in una maniera più <i>larga</i>. Ma mi consolerei
-pensando che in questa maniera <i>stretta</i> studiarono
-la lingua il Monti, il Foscolo, il Leopardi, il
-Giusti, il Guerrazzi; che, poveretti, credevano ancora
-ai <i>quaderni</i>. Ma che norma seguire nell'annotare
-e nello scegliere? Non lo so dire. In certe cose
-non si possono dar consigli. Io sceglierei ciò che
-mi bisogna e ciò che mi piace. Vi son parole e modi
-<i>antipatici</i> a uno, <i>simpatici</i> a un altro. Chi li trova
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-antipatici non li adopera mai quand'anche li veda
-adoperati da tutti. È dunque inutile che li noti e li
-ritenga a mente. Per esempio, vi sono degli scrittori
-che per cento lire non scriverebbero <i>ad ogni
-piè sospinto</i>. Ma è italiano! direte. Lo so, — vi rispondono; — ma
-lo detesto. — Il gusto deve andare
-innanzi a tutto. Quindi in questo lavoro di scegliere
-vocaboli e modi, ciascuno deve fare quello che gli
-pare. Se fa male, ossia contro il gusto dei più, peggio
-per lui; non c'è altro da dire.
-</p>
-
-<p>
-Dopo il vocabolario, i libri. Io leggerei quasi
-esclusivamente libri toscani, anche quei di poco o
-nessun valore per la sostanza, perchè in un libro
-scritto da un toscano c'è sempre, in fatto di lingua,
-qualche cosa da imparare; intendo di dire qualcosa
-di <i>speciale</i>, come diceva il Grossi, di <i>vivo</i>, che non
-si trova negli scritti più forbiti degli altri italiani.
-Tra questi libri toscani, ne sceglierei alcuni, od anche
-uno solo, da leggere ad alta voce o da farmi
-leggere mezz'ora tutti i giorni. Conosco un tale che
-scelse l'epistolario del Giusti. Ci sono molte affettazioni,
-molte <i>smorfie</i>; v'è in qualche punto la caricatura
-della naturalezza; v'è spinto sovente fino
-all'eccesso quello ch'egli chiamava il <i>parlare da
-serve</i> o parlare alla <i>casalinga</i>, il contrario di quello
-definito da lui: — parlare tirato <i>a chiaro d'ovo di
-grammatica e di vocabolario</i>. — Ma è tanto ricco,
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-tanto sciolto! v'è un fare così da padrone che, a
-studiarlo con discernimento, ci si può imparare più
-che in cento altri libri inappuntabili. Ma bisogna
-tempestarci su molto tempo, — anni ed anni, — ogni
-giorno un po'; — bisogna digerirlo e
-ridigerirlo; — empirsene la testa e gli orecchi
-in modo che tutti i momenti, a tutti i propositi,
-ci vengano alla memoria e sulle labbra quei modi,
-quei suoni, quei periodi. E questo si può dire di tutti
-gli altri libri. Leggerne pochi, ma con infaticabile
-perseveranza, fin che vengano a noia; fin che, lasciando
-cader gli occhi sopra una pagina qualunque
-la memoria precorra lo sguardo, e torni quasi inutile
-proseguire la lettura. E studiare a memoria
-molto e ridire ad alta voce le cose studiate, <i>fin
-che s'è molto giovani</i>, come scrisse Giacomo Zanella;
-perchè a una certa età questa fatica si può continuare
-a farla se si è sempre fatta; ma non si comincia
-a fare <i>a caso vergine</i>; e chi non possiede
-una buona quantità di lingua prima dei venticinque
-anni, è raro che l'acquisti dopo.
-</p>
-
-<p>
-Il difficile è il ritenere, l'appropriarsi così intimamente
-i vocaboli e i modi che si vanno via via
-notando, da averli poi pronti, spontanei quando si
-parla o si scrive. Per ottenere questo ci vuole una
-certa industria. Conosco uno che oltre al notare
-parole e modi nel suo gran quaderno a colonne, li
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-scriveva, via via che gli occorrevano, sul margine
-dei libri, sulle buste delle lettere, sulle assicelle degli
-scaffali, sulle porte, sui muri, sui giornali; tanto
-che nella stanza dove studiava, in qualunque punto
-fissasse gli occhi, vedeva una nota e se la rinfrescava
-così nella memoria. E qualunque parola o
-modo notasse, lo riferiva immediatamente, nel suo
-pensiero, a qualche persona o cosa che gli occorresse
-di vedere o di fare abitualmente nella giornata.
-Legava ogni parola a un'immagine, ogni
-frase ad un fatto, e se ne serviva il più presto possibile
-in una lettera o in una conversazione per
-istamparsela in mente, per mettervi, in certo modo,
-il suo suggello, per impiegarla subito nella sua casa.
-E dedicava ogni giorno una mezz'ora a rimestare,
-a combinare, a logorare, sto per dire, le sue note.
-Si formava coll'immaginazione un personaggio qualunque
-e scriveva di lui, per esempio, una tiritera
-come questa: — mi pareva un galantuomo; feci <i>fondamento
-sopra di lui</i>, e non credevo di <i>fidarmi sul
-vento</i>; oltrechè mi parve che fosse un uomo <i>di ricapito</i>,
-benchè sapessi che era anche <i>un uomo dei
-suoi comodi</i> o <i>dei suoi piaceri</i>. Ma m'ingannai e alla
-prima occasione <i>mi girò sotto</i>. Gli scopersi mille difetti.
-Prima di tutto è avaro; <i>ha il granchio alla
-borsa, ha la gotta alle mani, paga colle gomita,
-sta sul tirato, vive a stecchetto</i>; ma è pure ambizioso,
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-e <i>camperebbe con uno stecco unto</i> per <i>scialare
-fuori di casa</i>, ecc. Accortosi che l'avevo <i>preso
-in tasca, si ruppe con me</i>, me <i>l'ha giurata addosso,
-è nero con me, ha il sangue guasto con me,
-s'è guastato con me</i>, si <i>lava la bocca</i> di me, <i>gira
-largo</i> quando mi vede, ecc., ecc. — Tutti questi
-modi, estratti dalle sue note, combinava poi un altro
-giorno in un altro modo intorno a un altro
-soggetto, e studiava a mente quello che aveva scritto.
-Lo capisco; è una fatica uggiosa, non se ne tocca
-con mano il frutto che dopo molto tempo, alle
-volte se ne riman quasi umiliati, sovente si perde
-il coraggio. Ma bisogna perseverare, esser cocciuti,
-volere <i>fermamente</i> e a <i>qualunque costo</i>, e vien poi
-il giorno in cui s'è contenti di non aver ceduto. Se
-non costasse lunghe e penose fatiche l'imparare a
-scriver bene, i libri leggibili sarebbero più numerosi
-di quello che sono.
-</p>
-
-<p>
-Scrivendo, però, io mi sforzerei di dimenticare
-tutte le mie note e tutti i miei esercizi. Presa la
-penna in mano, non frugherei più nella mia memoria.
-Quello che deve cader sulla carta, deve cader
-da sè. Tutto ciò che è <i>cercato</i> è quasi sempre
-<i>ricercato</i>. È inutile tentar d'ingannare il lettore.
-Anche il lettore meno perspicace ha un senso finissimo
-che lo avverte d'ogni menoma affettazione, e
-gli fa discernere nettamente la parola e il modo
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-scritto spontaneamente da quello tirato fuori cogli
-uncini dai magazzini della memoria. Tutto ciò che
-non vien sulle labbra parlando è difficile che venga
-a proposito sulla punta della penna. Per questo ripeto
-che il migliore esercizio da farsi per imparare
-ad <i>usar</i> la lingua è quello di <i>parlare</i>. Parlando s'ha
-sempre un giudice la cui fisonomia accusa involontariamente
-con moti appena percettibili, ma di significazione
-non dubbia, tutte le affettazioni, tutte
-le lungaggini, tutte le oscurità del vostro linguaggio.
-Un <i>ascoltatore</i> è il miglior maestro di semplicità,
-di rapidità e d'efficacia.
-</p>
-
-<p>
-Resta la quistione delle parole nuove. Io direi che
-non mette conto di parlarne. Fa bene a occuparsene,
-piuttosto di non far nulla, chi non ha altro da fare.
-Quello che importa è che la frase, l'andamento, il
-giro del periodo, <i>l'impasto</i> della lingua sia italiano.
-La quistione delle parole dubbie, ammesse da Caio,
-respinte da Tizio, è un puro perditempo. Anzi, in
-queste cose, vi consiglierei di evitare le discussioni.
-In fatto di lingua le discussioni non approdano
-per lo più a nulla e non fanno che guastare il sangue,
-perchè in questa materia (strano a dirsi) la
-gente più modesta ha un amor proprio ombroso,
-ostinato, intrattabile. È impossibile, credo, trovare
-un italiano, anche digiuno d'ogni studio di lingua,
-il quale in una questione di parole si lasci persuadere
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-da chi ne sa più di lui. Non c'è usciere piemontese
-che non si creda in grado d'insegnare un
-po' di <i>vero</i> italiano a un accademico della Crusca, e
-voi non potete immaginare quanti maestrucoli di
-villaggio danno di ciuco al Manzoni. A che giovò
-per esempio, la discussione promossa dal <i>povero
-vecchio</i>, come dicevano i suoi avversarî, sull'unificazione
-della lingua? Abbiamo visto saltar su da
-tutte le parti dei linguaiuoli furiosi che ripeterono
-per la centesima volta le loro vecchie ragioni, abbiamo
-sentito dire molte impertinenze, siamo ricaduti
-fino agli occhi nei vergognosissimi pettegolezzi
-comareschi dei tempi andati; e ognuno è rimasto
-del proprio parere. La questione della lingua
-bisogna risolverla colla <i>pratica</i>. Un buono e bel libro
-scritto secondo le teorie del Manzoni, val più
-di cento discussioni. Ciascuno scriva come crede che
-si debba scrivere, senza pretendere di dettar la legge
-agli altri; il pubblico vedrà da sè dov'è la maggior
-evidenza, la maggior grazia, la maggior ricchezza;
-e la miglior <i>teoria</i> trionferà a poco a
-poco, tacitamente, senza bisogno che ci pigliamo
-pei capelli. Quello che importa sopra ogni cosa è di
-studiare tenendo sempre ferma questa sacrosanta
-verità nella testa: — che senza molta fatica e
-molta pazienza non si riesce a nulla in nessuna
-cosa; e che anche studiando molto, lo studio della
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-lingua è uno studio di tutta la vita, come tutti gli
-altri studi; e che chi lo sberta come una <i>pedanteria</i>
-che ammazza l'ingegno, è un fiaccone che non
-ci s'è mai messo, o un corbello che non l'ha mai
-capito.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-</p>
-
-<h2 id="vivente">IL VIVENTE LINGUAGGIO DELLA TOSCANA</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Ho riletto in questi giorni il libro di Giambattista
-Giuliani intitolato <i>Moralità e poesia del vivente
-linguaggio della Toscana</i> (Successori Lemonier,
-terza edizione); e ho riprovato la doppia soddisfazione
-che dà ogni libro veramente bello e
-veramente utile. Son certo che molti dei miei giovani
-lettori lo conoscono; ma dubito che molti abbiano
-avuto la pazienza di postillarlo, di trascriverne i
-tratti più notevoli, di ordinare le note, di spremerne
-il sugo in modo da poter mettere il libro da parte
-colla sicurezza d'averne ricavato il maggior vantaggio
-possibile. Per questo, credo che non riusciranno
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-inutili le pagine seguenti. Propongo, in somma,
-a quelli fra i lettori che studiano con amore la
-lingua, di leggere, o rileggere, il libro del Giuliani
-in compagnia d'uno che può risparmiar loro una
-parte della fatica che avrebbero a durare per far
-quella lettura da soli e con profitto.
-</p>
-
-<p>
-Questo libro è quasi tutto composto di discorsi,
-di frasi, di parole raccolte dalla bocca di contadini
-e contadine delle varie provincie toscane. Il Giuliani
-ci ha lavorato molti anni. Girò tutta la Toscana,
-soggiornò nei villaggi e nelle borgate, s'affratellò
-coi campagnuoli, ne studiò i lavori e i
-costumi, e a furia d'interrogare e di notare, mise
-insieme il suo libro, che è una miniera di purissima
-lingua. E non di lingua soltanto, perchè son contadini
-e contadine che parlano d'agricoltura, delle loro
-famiglie, dei loro amori, delle loro disgrazie; quindi
-c'è racconto, descrizione, affetto. Letto questo libro,
-par di essere vissuti un anno in quelle beate valli
-<i>popolate di case e d'oliveti</i>, e d'aver conosciuto
-quel buon popolo schietto e cortese; e per molto
-tempo rimangono nella mente quei vignaiuoli, quegli
-opranti, quei carrettieri, quei cacciatori, quelle
-fattoresse, quei garzoni, quelle nonne, quelle spose,
-quelle ragazze, colle quali s'è discorso alla sfuggita,
-come tanti personaggi di un romanzo.
-</p>
-
-<p>
-Io non credo che ci sia al mondo altro popolo
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-contadinesco, — per servirmi delle parole del Giuliani, — il
-quale parli una lingua così gentile, così
-potente, così splendidamente poetica come quella
-parlata dal popolo della campagna toscana. Certuni
-(non toscani, s'intende), leggendo questo libro sono
-stati presi qua e là dal dubbio <i>che non fosse tutta
-farina dei contadini</i>. — Certe idee, — dissero, — certe
-frasi son troppo belle, troppo poetiche per dei
-contadini. — Io penso invece che sono tanto poetiche
-e tanto belle da non poter sospettare che siano
-di Giovanbattista Giuliani, per quanto egli abbia ingegno
-e buon gusto. E dico il vero: se fossi sicuro
-che il racconto intitolato <i>Tre vittime del lavoro</i>,
-compreso nel libro di cui parliamo, non è stato
-scritto, quasi sotto dettatura della contadina <i>Teresa</i>
-e del pastore <i>Domenico Nesti</i>, ma steso per
-intero, e per sola forza d'immaginazione, dal signor
-Giuliani, piglierei questa sera il treno diretto di Firenze
-per andare ad abbracciare il degno abate e
-gridargli ch'è il primo scrittore d'Italia; tanto io
-credo che quel meraviglioso racconto sia al di sopra
-delle forze di qualunque ingegno, anche toscano,
-e che la natura sola l'abbia potuto dettare.
-</p>
-
-<p>
-E poi giudicheranno i lettori, non di quel racconto,
-ma dell'altre cose. Spigoleremo nel volume del
-signor Giuliani. Gran lavoro davvero da riempirne
-le pagine d'un libro! Ma qui si tratta di spigolare
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-riordinando. Il ritenere le cose di lingua dipende in
-gran parte dall'ordine col quale ci si presentano. Nel
-libro del Giuliani, composto in gran parte in forma
-di vocabolario, si trovano discorsi, frasi, immagini
-di natura svariatissima, l'una sull'altra, alla rinfusa.
-Nella stessa pagina, tre persone diverse parlano d'agricoltura,
-d'amore e di morte. Noi procederemo in
-un'altra maniera. Di più, non cogliendo altro che
-il fiore delle tante bellezze sparse in quel libro, lasceremo
-da banda quella parte di lingua, ed è moltissima,
-che riguarda esclusivamente l'agricoltura
-dal lato tecnico, e che perciò riuscirebbe inutile al
-maggior numero dei lettori.
-</p>
-
-<p>
-Cominciamo dalle espressioni poetiche del linguaggio
-del dolore, dell'amore e d'altri sentimenti.
-Molte volte rimarremo meravigliati del pensiero,
-non meno che della forma. Una contadina della
-montagna pistoiese, per esempio, parlando degli ultimi
-giorni d'una sua conoscente, morta poi di
-malattia, dice che <i>aveva la carne già morta e lo
-spirito sempre vivo</i>...; che <i>le morì la carne addosso
-prima ancora che se ne fosse ita con Dio</i>.
-Un'altra contadina della stessa montagna dice che
-<i>quando il dolore è di quello cocente, la parola
-resta dentro</i>: espressione di cui si ammirerebbe la
-potenza se si trovasse in un verso di Dante. — Una
-contadina senese dice le seguenti parole che a me
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-paiono sublimi: <i>La mamma io la perdetti ch'ero
-piccolina; a ogni modo mi par di mentovare un
-gran nome!</i> — <i>A casa</i>, — dice un'altra pistoiese, — ci
-sta il nonno, che gli voglio un bene all'anima.
-<i>Sempre sotto la sua ombra mi son riparata.</i> — Un'altra,
-parlando d'un figliuolo morto: — <i>La morte,
-come fa presto! Non si sa la mattina quando ci si
-leva, se si finisce il giorno.... Ma Dio ce li dà in pegno
-i figliuoli; a tutte l'ore li puole ripigliare, e
-bisogna renderli.</i> — Una donna del Casentino, raccontando
-un suo sogno d'una passeggiata fatta colla
-bambina che poi le è morta: — <i>Per la strada
-non si faceva altro che coglier fiori e fiori, parea
-fosser nati a bella posta per noi: era un non so
-che d'allegria per tutto.</i> — <i>A volte</i>, — dice un'altra
-di Valdensa, — <i>m'arrabbierei dalla disperazione;
-ma Dio è misericordioso, e ci svia la mente da queste
-tristizie.</i> — Un'altra madre: — <i>A noi mamme ci
-costano sangue tutti a un modo i figliuoli. C'è n'è
-tante che non se ne rifanno a mancargli un figliuolo.
-Tutti non si nasce d'una stampa; le dita delle mani
-non son mica tutte compagne.</i> — <i>A rifletterci bene</i>,
-dice una contadina di Montamiata, — <i>è proprio
-vero, il mondo è una catena continua d'amore:
-s'esce d'un amore e s'entra in uno più grande a
-pigliar marito</i>. — Un cieco delle montagne di Siena
-dice: — <i>perso gli occhi, perso il mondo; la luce
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-è la bellezza della vita</i>. — Un'altra madre del Casentino
-dice dei suoi figliuoli morti: — Mi ricordo
-di quando li avevo tutti e due; <i>come brillavano!
-allora sì che quella era vita!... Senza la vista degli
-occhi</i> (era diventata cieca) <i>si è più di là che
-ili qua, sparisce il meglio della vita.</i> — Un'altra
-madre: — Quando cominciano a chiamare <i>babbo,
-mamma, anco che non lo scolpiscano bene bene, è
-una tenerezza che ci cascano i lucciconi</i> (lagrimoni)
-<i>ridendo</i>.... — <i>Quando c'è l'amore</i>, — dice un'altra, — <i>tutto
-passa! Quello sì che è proprio un accorda
-cristiani!</i> — Ed altre, parlando sempre dei figliuoli: — <i>Le
-darei il fiato per tenerla viva</i> — Che almeno
-la rivegga in paradiso! <i>Mi reggo viva in questa speranza.</i> — Sebbene
-fossi più di là che di qua, l'avere
-il mi' figliuolo daccanto nel letto, <i>mi pareva di essere
-più degna di stare nel mondo</i>, ecc.
-</p>
-
-<p>
-Ecco ora un saggio d'altre espressioni più brevi
-di dolore e di affetto tolte qua e là dal libro e riferite
-tali e quali. Non dimentichiamo mai che son
-contadini e contadine che parlano. — Era una vista
-che levava il pianto dal cuore. — Sono dolori
-che ne va la vita. — Quando viene un rimescolo di
-sangue l'uomo non scerne più il bianco dal nero. — Sono
-pene di morte che fanno andare il cervello
-in aria. — Mi consumavo dentro. — Mi sento schiantar
-dentro dalla passione. — È un pensiero che mi
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-pesa sull'anima. — È un coltello che m'ha passata
-l'anima. — È una disgrazia che m'ha ferita a
-morte. — Se non fossi in mano di Dio, sarei già
-morta sfatta dal dolore. — Una puntura, per forte
-che sia, finisce presto, basta che non arrivi al cuore;
-ma feriti al cuore, addio: è una morte da vivo; non
-si guarisce più. — Li ricordo quei giorni! Li ho
-contati a goccie di sangue, li ho contati. — Parea
-distrutta dalla gran passione. Vede quel sasso?
-Tant'era lei. — E Teresa? Oh quella sì che il dolore
-le s'è fitto nell'ossa! — Vedevo lui (<i>il marito morto</i>,)
-e mi pareva volesse dir tante cose, e non poteva;
-che strazio è stato il mio! — Spasimava tra la
-vita e la morte. — Mi si travolse il cervello. — Mi
-pareva di non aver più senso di nulla. — Ero un
-turbine di dolore, ecc.
-</p>
-
-<p>
-Ma nulla di più gentile e di più caro che il linguaggio
-d'amore. — «M'ero messa a certi arrischi
-per vederlo (dice una contadina della montagna
-pistoiese parlando del suo damo, che fu poi suo marito)
-che a ripensarci mi s'accapona la pelle. Bastava
-mentovarmi il mio damo, io ero gelosa di
-tutte e di tutto. <i>Mi pativa il cuore, che l'aria
-me lo guardasse.</i> La prima volta che lo vidi, mi
-principiò subito a garbare.» — Un giovane contadino
-di Val di Greve dice: — «Io per me tra 'l
-lavoro penso alla mia dama, non sento manco la
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-fatica, tutto mi piace; <i>è un gran gusto quando
-c'è l'amore che rischiara la giornata</i>.» Una
-contadinella, parlando del suo innamorato: — «Quando
-si va in chiesa, quanti ne passa e quanti ci
-entrano, il più bello di tutti è lui: <i>pare un fiore,
-che lo distinguo tra mille</i>. Anche se mi ritrovo
-alle feste e che ci sia lui, <i>lo vedo sopra tutti</i>;
-gli voglio bene; il cuore non mentisce.» — S'ha
-un bel dire, ma non c'è barba di scrittore che
-valga a mettere insieme di queste parole. Un'altra,
-una contadina di Crespole, racconta così l'<i>andamento</i>
-del suo amore: — «La prima volta che vidi il mi'
-omo, era la festa della Madonna delle Grazie. Un
-giorno fra gli altri venne da me una mi' zia e mi
-chiama: Vien qua, Betta, senti, t'ho da dire una
-cosa: c'è quel giovinotto di Vellano, che t'ha visto
-in chiesa, ti ricordi? <i>Ti conobbe tanto allegra
-e con quel sorriso</i> (bellissimo!) che t'ha messo
-gli occhi addosso; e finchè t'ha potuto vedere,
-t'ha guardato e ha detto: Quella è la ragazza
-che fa per me; la voglio pigliar per moglie, <i>mi
-garba troppo</i>.» — Una ragazza di Cutigliano
-scrive al suo amante: — <i>Anche solo a poter prendere
-qualche boccata d'aria dove tu respiri, sarei
-contenta.</i> — La stessa, in un'altra lettera, temendo
-d'essere abbandonata: — «Rammentati bene che
-v'è un Dio sopra di noi, che se tu <i>avessi il cuore
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-voltato a tradirmi</i>, non te ne darebbe il tempo.» — In
-uno stornello c'è la parola <i>strazia fanciulle</i>,
-per amante volubile; e una povera ragazza abbandonata
-dice ingenuamente al suo damo: — <i>Come
-volete ch'io faccia a campare?</i> Undici sillabe in
-cui c'è più amore che in tutto il canzoniere d'un
-petrarchista.
-</p>
-
-<p>
-Tralascio di riferire un gran numero di parole e
-d'espressioni del linguaggio contadinesco, che non
-potremmo usare. Ma ve n'è molte, fra queste, che
-dánno tanta grazia e tanta originalità al discorso,
-che sarebbe un peccato lasciarle da parte. Voglio
-dire di quei vocaboli e modi che si soglion chiamare
-<i>illustri</i>, e che non convengono al linguaggio famigliare.
-Per esempio, si trattenga dal sorridere, chi
-può, raffigurandosi un contadino il quale dica le
-proposizioni seguenti: — Aveva una <i>dottoranza</i> nel
-su' dire, che ci si stava a bocca aperta a sentirlo. — Quando
-si torna di maremma, guai a non aversi
-un po' di <i>riguardanza</i>. — Per esser povera gente,
-l'hanno portato al cimitero con <i>onoranza</i>. — Si
-vede che il vino nelle botti non ha preso <i>possanza</i>. — Bisogna
-aspettare che il sole acquisti <i>possanza</i>
-di scioglier la neve. — Ho continua <i>temenza</i> che
-si faccia del male. — Vecchio, aveva nel cuore <i>l'ardenza</i>
-della gioventù. — Ero sfinita, e tutti mi guardavano
-come <i>una meraviglia di doglianza</i>. — Lavorava
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-per acquistarsi <i>nominanza</i>. — Uno dei
-bimbi le morì perchè non ebbe <i>custodimento</i>. — Ora
-le racconterò l'<i>andamento</i> della mia gamba
-(s'intende del suo male). — Mi sarei mangiate le
-mani, dal <i>rosicamento</i> che mi sentivo dentro. — Non
-mi <i>nutricavo</i> che di pianti e di sospiri. — Mi fu
-posto dinanzi un fiasco e potei bere a tutto tonfo,
-si figuri! A quella <i>confortazione</i> subito riebbi la
-vista. — Quest'aria è una <i>spirazione</i> di salute, ecc. — Noto
-di volo il curioso paragone <i>piangere come
-una vite tagliata</i> e la graziosissima espressione <i>donna
-usciaiola</i> per donna che sta sempre sull'uscio a
-<i>spettegolare, a tirarla giù all'uno e all'altro</i>; tanto
-differente da quelle buone donne che <i>lavorano di
-genio</i>, che <i>si tirano il bene da tutti</i>, che non <i>si
-guastano con nessuno</i> e che non si dan pensiero
-delle maldicenze, tenendo per massima che <i>un paio
-d'orecchie sorde chetano cento lingue</i>.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Si veda se c'è nulla di più grazioso e di più efficace
-delle espressioni seguenti, tutte raccolte dalla
-bocca di contadini, e sparse per il libro del Giuliani. — L'orologio
-cammina cammina senza ritegno,
-<i>e non dice più vero</i>. — Il <i>verno è nato</i>, la
-stagione declina. — Bella serata ch'è questa! È
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-<i>uno stellato fitto</i>, una chiarità che rallegra, starei
-qui tutta la notte <i>a godere le stelle</i>. — Carlo voleva
-partire; sua moglie non fece altro che <i>contraddirgli
-l'andata</i>. — I ricchi delle volte stanno
-peggio di noi perchè <i>hanno il baco che li rosica</i>
-giorno e notte. — Io non dissi parola; ma <i>piangevo
-nel mio dentro</i>. — A contare tutto quello che ho
-passato nel mondo, sarebbe <i>una leggenda da far rabbrividire</i>. — Voleva
-intendere, voleva sapere (parla
-d'uno che sotto colore di chiedere <i>albergo</i>, s'era
-ficcato in casa per rubare); non <i>aveva terren sotto
-i piedi</i>. — Non <i>toccava</i> nemmeno <i>terra dall'allegria</i>. — <i>Non
-batte</i> gli occhi <i>da tanto che sta lì
-a guardarla</i>. — Creda che quando si vuol bene
-davvero, le <i>parole muoiono in bocca</i>. — Che acqua!
-<i>è una freschezza che rompe il bicchiere.</i> — Voglio
-tornar a casa perchè altrimenti c'è quel benedetto
-vecchio che m'<i>ingolla viva</i>. — <i>Un dì per me dice
-tre</i> (parla un vecchio), <i>calo fuor di maniera.</i> — La
-carità, se la facciamo bene, <i>Dio la scrive in cielo</i>. — Che
-serve disperarsi?<i> Tanto questo mondo è una
-fiatata.</i> — Conoscete il mi' figliuolo? Il vostro bimbo
-<i>inchina tutto a quell'idea</i> (gli somiglia). <i>Lo rammenta
-fin nei capelli.</i> — Guadagnarsi il pane a <i>stille
-di sudore</i>, <i>assaettarsi</i> al lavoro, condurre una vita
-<i>arrovellata</i>. — Mio marito lavora tanto che quando
-torna a casa si mette subito a letto <i>e si sveglia dalla
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-parte che s'è abbandonato</i>. — Come diremmo questo,
-otto su dieci di noi settentrionali, quando non
-avessimo tempo a pensarci? <i>Si sveglia nella stessa
-posizione.... nello stesso atteggiamento.... nel quale....</i>
-</p>
-
-<p>
-Un bello studio ci sarebbe da fare, con questo libro
-alla mano, su quei modi e costrutti che i fautori
-della prosa compassata rigettano con orrore, e
-i novatori, invece, che badano all'efficacia più che
-alla regolarità dello stile, cercano e adoperano, non
-solo senza scrupolo, ma con predilezione. Lasciamo
-stare le espressioni come le seguenti: — Di quei figliuoli
-non ne <i>rinasce</i> (invece di <i>rinascono</i>). — C'<i>è
-morto</i> pezzi di giovinotti (invece di <i>ci son morti</i>),
-ecc., che non han bisogno di essere giustificate. Notiamo
-invece: — <i>Il mio omo è da tre settimane
-che si sente male.</i> — A casa ci sta il mio nonno <i>che
-gli voglio</i> un bene dell'anima. — Per noi queste libecciate
-è una disgrazia grande. — <i>L'uva ce n'è
-di tante</i> specie. — La maremma <i>son</i> tutti luoghi
-ammacchiati. — C'era due che contrattavano della
-seggina. <i>Quello che comprava gli è parso che il
-venditore l'avesse alterata di prezzo</i>, ecc. Che cosa
-si deve dire di queste licenze? che si possono pigliare?
-Il Manzoni non esiterebbe a rispondere di
-sì poichè egli stesso ha scritto nei suoi <i>Promessi
-Sposi</i> (edizione corretta), oltre a moltissime proposizioni
-consimili, le seguenti: — <i>Tutti coloro che
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-gli pizzicavan le mani....</i> — <i>Queste sono sottigliezze
-metafisiche che una moltitudine non ci arriva....</i>,
-ecc. Ma nonostante l'illustre esempio, io starei umilmente
-con coloro che credono di non doverlo seguire.
-Che si debba preferire un idiotismo efficace a
-una pedanteria d'effetto contrario, siamo d'accordo;
-ma a patto che quell'idiotismo sia indispensabile ad
-esprimere quella data cosa; a patto che quando ci sono
-due espressioni di uguale efficacia da scegliere, una
-sgrammaticata e una no, si scelga quest'ultima; a patto,
-infine, che non si consideri ogni idiotismo come
-una gemma per la sola ed unica ragione che è un
-idiotismo. In quelle due proposizioni del Manzoni, per
-esempio, non mi pare affatto giustificata la violazione
-della sintassi regolare. Non trovo che il dire <i>tutti coloro
-a cui pizzicavan le mani o che si sentivano
-pizzicare le mani</i>, ecc., sia tanto pedantesco, tanto
-forzato, da dover preferire l'altra maniera. Mi pare
-anzi che sia appunto questa maniera, preferita come
-più naturale, quella che, in simil caso, riesce più forzata.
-Ma, si dirà, è una forma del linguaggio parlato,
-e voi stesso dite che bisogna scrivere come si parla.
-Certo; ma <i>come si parla</i> da chi parla bene, correttamente
-ed elegantemente. Ora io scommetto che
-nessun toscano colto dice <i>coloro che gli pizzican
-le mani</i> altro che qualche volta e senz'avvedersene.
-Abitualmente dirà, per esempio, <i>coloro che si sentono
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-pizzicar le mani</i>. È grammaticale e non è certo meno
-semplice e meno spontaneo. Capisco che si scriva in
-quel modo quando si fanno parlare dei ragazzi, degli
-operai, dei contadini: si vuole, si deve imitare il loro
-linguaggio; lo si imiti, lo si riferisca anzi tal quale;
-sta benissimo. Ma non capisco perchè abbia da parlare
-lo stesso linguaggio lo scrittore, anche quando parla
-per conto proprio e di materie che non richiedono
-assolutamente l'estrema semplicità del dire. Non mi
-va, per esempio, che Emilio Broglio scriva nella
-sua <i>Vita di Federico II</i>: — <i>I compagni gli riuscì
-di fuggire.</i> La gran pedanteria che sarebbe stata di
-scrivere invece: — <i>Ai compagni riuscì di fuggire!</i> — Dove
-andremo a riuscire se ci mettiamo su
-questa via? Transigere colle sgrammaticature, è un
-conto; adorarle, è un altro. Si finirà per considerare
-come la migliore prosa quella che sarà più spropositata
-e più triviale. Vi sono, è vero, molti modi
-e costrutti popolari graziosissimi che non stridono
-nel linguaggio corretto; questi, per esempio, che si
-trovano nel libro del Giuliani: — Si sente già cantare
-i cicalini; <i>i cicalini, il caldo li sollecita</i>. — <i>Aver
-sempre queste pene al cuore, non ci si regge.</i> — <i>Questo
-stromento</i>, vedete, <i>è la prima volta che
-me ne servo</i>. — Si sentiva un gran fracassío di
-voci; <i>ma vedere, non si vedeva niente</i>, ecc. Altri
-la penserà diversamente e metterà al bando anche
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-questi modi; è affar di gusto, e sui gusti, come dice
-il volgo, non ci si sputa.
-</p>
-
-<p>
-Questo bel parlare dei contadini toscani, che ha
-conservato tutta l'antica purezza, può anche servire
-a levar molti scrupoli a coloro che scrivendo
-italiano si guardano con orrore da tutti i modi del
-loro dialetto, come se fossero tutti e necessariamente
-<i>non italiani</i> per la sola ragione che appartengono
-al dialetto. Quanti sono, per esempio, gli
-italiani delle provincie settentrionali che sarebbero
-presi da mille dubbi sul punto di scrivere le frasi
-seguenti! — Che? le sai le divozioni? domanda una
-contadina a una bimba. E la madre risponde: — <i>Altro,
-se le sa!</i> — <i>Addio, e questa volta non star più
-tanto</i> a scrivermi (non farmi più aspettar tanto le
-lettere). — Lui non pensa che a me; <i>per essere</i>,
-(è una contadina che parla del marito) ho inciampato
-bene assai, ecc. — Così c'è da imparare tutte
-quelle maniere di chiudere il periodo che usiamo
-anche parlando, senz'accorgercene, perchè lo vuole
-l'orecchio; ed anco quelle parole accoppiate che
-pure si dicono, non perchè lo richieda il senso, ma
-perchè il suono le chiama. Per esempio: — Troverò
-io <i>il verso e la maniera</i>. — <i>Senza dire nè chè
-nè come.</i> — E uscendo dal libro del Giuliani, quest'altre: — <i>Senza
-sapere nè perchè nè per come</i> — <i>Senza
-dire nè asino nè bestia</i>, — non ne seppe
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-<i>nè grado nè grazia</i>, — <i>non fa nè ficca</i>, — <i>non
-cresce nè crepa</i>, — una lingua che <i>taglia e fora</i>,
-che <i>taglia e fende</i>, che <i>taglia e cuce</i>, — <i>dàgli,
-picchia e mena, dàgli, picchia e martella</i> — sono
-d'accordo <i>bene</i> e <i>meglio</i> — <i>sono un paio e una
-coppia</i> — è lei in <i>petto</i> e <i>persona</i> — viene in casa
-<i>spesso e volontieri</i>, ecc., ecc.
-</p>
-
-<p>
-Ed ora torniamo alle bellezze della lingua contadinesca,
-che il Giuliani raccolse con tanto amore.
-Davvero, quando penso alla fatica che gli dev'esser
-costata questo lavoro, lo ammiro, perchè conosco
-un po' anch'io i contadini toscani, e so per
-prova quanto è difficile il farli parlare come occorre
-che parlino perchè un raccoglitore di lingua se ne
-possa valere. Non è che non attacchino discorso
-volentieri; chè anzi sono cortesissimi, e una volta
-che han preso a discorrere, terrebbero a bada un'accademia.
-Il male è che quando s'accorgono che li
-fate parlare per sentirli, o temono che li vogliate
-canzonare, e vi sguisciano di mano; o compiacendosi
-della vostra ammirazione, e volendo meritarla
-meglio con un parlare più scelto, vi cominciano a
-tenere dei discorsi così arruffati, così lontani dalla
-loro grazia e chiarezza abituale, che vi fanno cascare,
-come suol dirsi, il pan di mano. Mi ricordo
-d'un contadino che invece di dire: <i>son sceso perchè
-avevo da dire una parola al tale</i>, volendo parlare
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-in punta di forchetta, mi disse: — <i>son sceso per
-via d'una parola che avrei avuto l'idea</i>, ecc., e
-non ricordo come sia andato a finire. Non basta
-dunque girare per la campagna e interrogare i contadini;
-bisogna guadagnarsene la confidenza, pigliare
-dimestichezza con loro, imparare a farli discorrere
-senza che se n'accorgano, trovare il verso di farsi
-ripetere dieci volte lo stesso discorso, ed altre arti
-in cui non tutti riescono, e il Giuliani riuscì mirabilmente.
-Il curioso è che i più di quei buoni contadini
-credono di parlar male. Un oprante senese, per esempio,
-disse al Giuliani queste parole ingenue e graziosissime: — Mi
-pare forestiere lei <i>perchè la sua
-parlata non combina colla nostra</i>. Si sa anco noi
-che il peggio parlare è il nostro; bisogna compatirci;
-siamo poveri contadini, che non si conosce
-la lettura. — Così mi ricordo d'una ragazzina fiorentina,
-figliuola d'un barbiere, che disse ingenuamente: — <i>Mi
-piace tanto come parlate voi altri
-piemontesi l'italiano!</i>&nbsp;—
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-I contadini parlano spesso e volentieri della loro
-salute e dei loro malanni, e per questo v'è nel libro
-del Giuliani un gran numero di espressioni efficacissime
-relative a quell'argomento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Una volta gagliardo era che sfidava il vento</i>,
-dice un contadino. — <i>Fora l'aria come una saetta.</i> — <i>Va
-che manco una saetta l'arriva.</i> — <i>Corre che
-vola.</i> — <i>Ha un braccio che non c'è il compagno.</i> — <i>Sta
-bene in gamba.</i> — <i>Mangia di voglia.</i> — <i>È
-pochino</i> (piccoletto della persona) <i>ma saldo più
-dell'acciaio</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ma pur troppo occorre più spesso di parlar di
-malanni che di salute, e quindi v'è più messe di
-lingua da mietere in quel campo che in questo.
-</p>
-
-<p>
-— Poveretto, a vederlo, <i>casca da tutte le parti</i>, — <i>rifiata
-a stento</i>, — è bianco morto, <i>senza nemmen
-la forza di rifiatare</i>. — È <i>all'ultime fiatate</i>. — <i>Ha
-un viso da campar più poco.</i> — <i>In otto
-giorni che ha le febbri</i> non si conosce più. — Poverino,
-a che s'è condotto! Che voglia durarla a
-lungo, non credo: <i>le pere mezze</i> (quasi sfatte) <i>a una
-ventata sono in terra</i>. — Quando viene il colpo
-mortale, <i>si casca giù come pere mezze, e dove uno
-batte ci resta</i>. — <i>Si strugge a oncia a oncia</i> e
-tanto ha sempre quel suo sorriso sulle labbra. — Non
-si lagnava neanco <i>quando il male lo cuoceva
-dentro</i>. — Le morì il babbo; <i>dalla gran passione
-si lasciò andare giù giù, strutta come una candela</i>. — È
-<i>schietta dentro</i> (sana di viscere); ma non ha
-più la faccia <i>rosata</i> come prima. — Ebbe un <i>grosso
-male, un male di pericolo</i>. — Ha una <i>freddagione</i>
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-che gli <i>mozza la vita</i>. — Ci ha un dente che quando
-<i>c'entra lo spasimo</i> non <i>gli dà requie</i>. — A volte
-l'enfiagione è cosa di poco, <i>sfuma</i> presto; ma se il
-male infuria, se ne va la testa all'aria. — Oggi
-<i>m'ha preso una pena tanto mai grossa</i> allo stomaco. — Ho
-dovuto <i>tenere il letto</i> per un mese, e
-non ho avuto nessuno che mi <i>guardasse</i>. — Avevo
-un erpete infistolito; dal gran <i>tribolamento</i> mi sentivo
-mancare la vita; ma <i>tanto mi son ripigliata</i>,
-mi riebbi adagio adagio, e questa <i>la riconto</i>. — A
-un tratto cascò morta <i>e non c'è stato più verso a
-farla risentire</i>. — La peggior vita è non essere nè
-sano nè malato, nè dentro nè fuori, nè di qua nè
-di là; essere tra la vita e la morte; onde si dice
-di uno <i>che non muore</i> e <i>non campa</i>. — Dopo
-quella caduta, questa gamba non mi <i>dice</i> più come
-prima.
-</p>
-
-<p>
-E si veda se è possibile dipingere più mirabilmente
-una figura umana di quello che fa una povera
-contadina colle parole seguenti: — .... <i>Ma gli ha i
-segni della morte in faccia; non vede più lume,
-sdentato, il capo senza un pelo, e con quella faccia
-grinzosa, che la morte non si può figurare più
-al naturale.</i> — Qui vocaboli, elissi, cadenza, sintassi,
-tutto giova all'evidenza della descrizione. Son tante
-pennellate e non ce n'è una superflua nè una che
-manchi. Qualcuno, son certo, leggendo le parole e
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-frasi sopra citate, dirà che le <i>conosceva</i>. Ne son
-persuaso. Ma convien ripetere la solita osservazione.
-In materia di lingua <i>conoscere</i> non significa <i>sapere</i>,
-perchè <i>sapere</i> vuol dire avere alla mano, sulle labbra,
-pronto al bisogno: vuol dire <i>servirsi</i> della lingua. Che
-importa sapere che esiste l'espressione <i>cosa di poco</i>,
-per esempio, se ogni volta che occorre di esprimere
-quell'idea, si dice, ci scappa detto o ci vien scritto
-invece: <i>cosa di poca importanza</i>? Ognuno di noi,
-italiani delle provincie settentrionali, possiede nei
-ripostigli della mente una parte di lingua viva, efficace,
-bella, — una parte della lingua raccolta nel
-libro del Giuliani; — ma che non adopera perchè
-non è ancora abbastanza <i>sua</i>, perchè appunto l'ha
-nei rispostigli della mente e non sulla punta della
-lingua e della penna, come i Toscani ce l'hanno.
-Per questo lo studiar la lingua, per una persona
-colta delle nostre provincie, non è tanto un imparare
-parole e modi nuovi, quanto un ravvivare nella
-memoria, un rimestare, un impadronirsi meglio di
-quello che già si è acquistato; imparare a spendere
-il tesoro nascosto; addestrarsi a maneggiare per
-tutti i versi lo strumento che si sa maneggiare per
-un verso solo.
-</p>
-
-<p>
-Il <i>tempo</i> è un altro grande argomento di discorso
-per i contadini; onde il libro del Giuliani è ricchissimo
-di espressioni e d'immagini che vi si riferiscono.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Il sole cuoceva la carne sull'ossa</i>, dicono. — <i>Per
-la via s'avvampava.</i> — Con questo caldo <i>s'avvampa
-vivi</i>. — Il sudore <i>ci casca in terra a goccioloni</i>. — Badi:
-<i>sul buon del giorno</i> si vive bene quassù; il
-<i>crudo</i> è la mattina e la sera. — Oggi ve la siete
-scaldata a codesto sole la groppina? — A queste
-<i>solate</i>. — A queste <i>nebbiate</i>, — Signore! par d'esser
-rinati nel riveder la faccia del sole! — <i>È un'aria
-che fa riavere!</i> — Quelle chiare giornate che
-si campa tanto volentieri, passano come un lampo!
-<i>E ci rientra</i> tante faccende allora! <i>Le giornate
-d'ora</i> (inverno) <i>rilucono appena</i>. — Oggi tirava
-un vento che pareva di <i>fitto inverno</i>. — <i>Tirava un
-vento diacciato che arrivava alla midolla.</i> — <i>Che
-vita tribolata si conduce noi poveri, il verno per
-un verso, l'estate per un altro!</i> — Nel verno <i>si
-tribola per un conto</i> e d'estate <i>per un altro</i>. — A
-volte <i>il vento mena gran rovina</i>. — <i>Attaccò per
-bene a piovere</i> sulla mezzanotte. — <i>Giù acqua e
-baleni</i>, pareva il finimondo. — Per ora non c'è <i>disegno</i>
-di piovere. — È un tempo <i>perverso, infierito</i>. — E
-questa ammirabile descrizione che fa una povera
-contadina della montagna pistoiese, presso Castiglione: — Il
-<i>vento percoteva forte, i castagni
-svettavano</i> (agitavano le vette, le cime), <i>l'aria rintronava,
-un mugolío si sentiva che mi parevano
-urli di morte</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ciò non ostante, mi pare che il linguaggio più immaginoso
-e più poetico sia quello che si riferisce
-all'agricoltura; e per questo l'ho serbato in fondo.
-</p>
-
-<p>
-Ecco, per esempio, un breve discorso d'un contadino
-della Valdinievole, che è una vera meraviglia
-d'immagini, d'armonia, di gentilezza. Il Giuliani
-gli domanda una spiegazione del proverbio: <i>Sotto
-la neve pane e sotto l'acqua fame.</i> — Perchè, egli
-risponde, sotto la neve il grano <i>accestisce meglio</i>
-(<i>accestire</i> significa venir su con parecchi fili da un
-sol ceppo), <i>compone vita</i> adagino adagino, piglia
-più campo. Si sa: dalle barbe <i>riscoppiano più fili
-e la figliolanza</i> si fa maggiore. E poi, non si dubiti,
-che se il caldo viene a suo tempo, <i>la maturazione
-s'affretta a buon modo</i>: lo <i>spigame</i> abbonda.
-Una moltitudine di spighe porta, che è una
-dovizia. Ma unguanno è venuta tant'acqua, che il
-grano <i>ammutolisce</i>: perchè, m'intende? l'acqua
-ripiove giù giù dalle barbe del grano e lo strugge. — Si
-metta questo discorso in versi ed è poesia
-della meglio.
-</p>
-
-<p>
-«Nel corpo (ossia nella parte interna del castagneto), — dice
-un contadino di Montamiata, — <i>i
-castagni pigliano alterezza</i>» per dire che crescon
-meglio.
-</p>
-
-<p>
-«Belli quassù i grani! — dice un contadino di
-Valdinievole, — <i>s'ergono su su col collo pieno;
-a vederli è una dignità</i>.»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-</p>
-
-<p>
-Un contadino di Versilia dice al compagno: — Non
-lo gittare questo seme, credi a me, non è terra
-<i>degna</i>, non lo merita.
-</p>
-
-<p>
-Un contadino pistoiese dice che basta una solata
-a far levare il capo all'erba, e che si rià a un
-tratto perchè il <i>sole è vita alle piante</i>.
-</p>
-
-<p>
-Un diluvio d'acqua, — dice un senese, — è più
-una rovina che altro, ma se vien regolata, che la
-possa ricevere, <i>il campo gode e lavora</i>.
-</p>
-
-<p>
-Le patate a questa <i>rinfrescata</i> si <i>son risentite</i>, — dice
-un di Versilia, — e <i>godono</i> che è un piacere
-a vederle.
-</p>
-
-<p>
-Il grano, — dice un pistoiese, — è venuto adagino,
-pigliò vigore, e vede come <i>rizza il capo rigoglioso</i>! — <i>È
-pieno, tien corpo, è bene spigato.</i> — <i>Il
-sole quassù ha molta possanza</i>, ecc.
-</p>
-
-<p>
-Vuol essere custodimento, — dice un pisano, — se
-si vuole che la pianta <i>venga in orgoglio</i>.
-</p>
-
-<p>
-Il buon sugo (pure un pisano) rinvigorisce le
-piante, le mantien fresche e le fa <i>venire in essere</i>
-a tutto punto.... Si cuoce a fiamma la legna che
-<i>prende essere</i> di carbone.
-</p>
-
-<p>
-Giù nelle fondate (un altro pisano) le viti non
-ci approdano: <i>è il trionfo dei grani</i>. — Miri che
-<i>trionfo</i> di verde! — A volere che la campagna
-<i>trionfi</i> ci vorrebbe un pochino d'acqua.
-</p>
-
-<p>
-Son terre magre e sassose (un senese); <i>è uno
-sgomento a domarle</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il grano cresce rigoglioso ch'è una bellezza, proprio
-<i>una meraviglia di speranza</i>.
-</p>
-
-<p>
-Pel freddo il faggio s'abbandona e resta <i>mortificato</i>;
-par che <i>il freddo gli rompa l'anima</i>.
-</p>
-
-<p>
-È una pianta che vuol di molto custodimento,
-guai abbandonarla! <i>resta senza fiato</i>.
-</p>
-
-<p>
-La terra dà quanto riceve; nutrita poco, dimagra
-come i cristiani, <i>e non ha più nerbo a reggere le
-piante; la terra rende frutto secondo che si nutrica,
-ecc., ecc.</i>
-</p>
-
-<p>
-E questo è quel «dialetto come tutti gli altri»
-o «il dialetto che più s'avvicina alla lingua» e
-che avrebbe «la pretesa di farsi considerar come
-lingua,» quel gergo toscano, infine, che l'ignoranza
-presuntuosa e cocciuta di molti non vuole nè ammirare,
-nè studiare, nè sentire. — Pare impossibile! — diceva
-il Manzoni, scrollando il capo, con un
-sorriso tra mesto e stizzoso.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-</p>
-
-<h2 id="imparare">QUELLO CHE SI PUÒ IMPARARE A FIRENZE</h2>
-</div>
-
-<p>
-Che cosa può far dire il dispetto! Qualche tempo
-fa, essendo corsa la voce che il ministro della guerra
-voleva trasferire la Scuola militare da Modena a
-Firenze, perchè gli allievi avessero miglior modo
-d'imparare l'Italiano, un giornale dell'Alta Italia
-disse le seguenti parole tali e quali: — Che cosa
-potranno mai imparare (gli allievi) a Firenze?
-Qualche idiotismo, e nulla più. — È grossa, anzi
-crassa, o per dir meglio, briccona. Eppure, se vogliamo
-esser giusti, non c'è da meravigliarsene più
-che tanto, perchè l'opinione di chi scrisse quelle
-parole è l'opinione di molti e in Piemonte e in altre
-provincie d'Italia. Fino all'età di diciassette anni,
-mi ricordo d'aver sempre inteso dire nelle scuole,
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-dai miei professori di letteratura italiana, che i
-toscani <i>parlano con affettazione</i>, che dicono <i>molti
-spropositi di grammatica</i>, che <i>scrivono male</i>, ecc.,
-e mi ricordo pure che noi scolari piemontesi credevamo
-fermamente di conoscer la lingua meglio
-dei toscani. — I toscani, — dicevamo, — sapranno
-un maggior numero di vocaboli e parleranno con
-maggiore facilità; ma noi che studiamo seriamente
-la lingua, noi ne abbiamo senza dubbio una conoscenza
-più esatta, la scriviamo con più correttezza
-e la parliamo in modo più scelto. — Perchè il gran
-che, a quei tempi e in quelle scuole, era di scrivere
-scelto.
-</p>
-
-<p>
-E infatti, quando andai per la prima volta a Firenze,
-per starvi lungo tempo, v'andai volentierissimo,
-ma coll'idea d'impararvi la pronunzia, non
-la lingua. Avevo la testa tutta imbottita di parole
-illustri, sapevo a memoria delle filze sterminate di
-periodi d'A<i>ntologia</i>, avevo con me una mezza dozzina
-di quaderni pieni di frasi di «buona lega,» di
-«italiane eleganze,» di «modi eletti;» e non mi
-passava nemmeno per il capo che il primo venuto
-dei fiorentini si potesse impancare a insegnarmi la
-lingua italiana; — i-ta-li-a-na, — ripetevo tra me — non
-toscana, buffoni.
-</p>
-
-<p>
-Però, il giorno medesimo che arrivai a Firenze,
-appena uscito dall'albergo, ebbi una piccola mortificazione
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-d'amor proprio. Due monelli di sette o ott'anni
-giocavano nella strada. Uno di essi teneva
-un coltellino aperto sulla palma della mano e nell'atto
-di pigliar la mira per gettarlo contro un
-uscio, diceva all'altro: — Sta attento: io lo tiro,
-vi si configge, oscilla e po' si queta. — La grazia, la
-proprietà, l'efficacia di quelle parole, mi colpì. Osservai
-che non v'erano nè idiotismi nè sgrammaticature.
-Interrogai la mia coscienza, e la coscienza
-mi rispose che, per dire quella stessa cosa, io mi
-sarei espresso altrimenti e men bene. Sentii un
-po' di dispetto e un pochino di vergogna. Ma fu
-un lampo. Ripensai ai miei quaderni e a certi: — bravo! — dei
-miei professori, e il mio orgoglio
-scolaresco rivenne a galla.
-</p>
-
-<p>
-Conobbi dei fiorentini, frequentai qualche famiglia,
-passarono alcuni mesi.
-</p>
-
-<p>
-Ahimè! Allora cominciarono le <i>dolenti note</i>.
-</p>
-
-<p>
-Fin che, in una conversazione di molta gente, si
-trattava di parlare, colle solite frasi coniate, di politica,
-di letteratura, di teatri, il mio italiano correva
-a meraviglia. Ma quando ero faccia a faccia
-con una signora, e dovevo parlare delle mie faccenduole,
-esprimere sentimenti intimi, rispondere
-collo scherzo allo scherzo, raccontare, descrivere,
-discutere intorno ad argomenti delicatissimi, dire,
-in una parola, quei mille nienti di cui s'alimenta la
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-conversazione famigliare libera e vagabonda, a tavola
-e accanto al fuoco; allora la mia lingua era restía,
-i miei frasoni scappavano come uccellacci selvatici,
-volevo dire una cosa e ne dicevo un'altra, m'impigliavo
-nei miei periodi come dentro una rete, stentavo,
-m'indispettivo, e qualche volta rinunziavo a
-esternare un mio pensiero per paura di non riuscirci.
-Quanti sorrisi leggerissimi ho visti guizzare
-sulle labbra dei miei ascoltatori, mentre parlavo;
-sorrisi che allora mi facevano fremere, e che ora
-benedico, perchè m'accorgo che furono i più utili
-insegnamenti che io m'abbia avuti in materia di
-lingua! Qualche volta una signora cortese mi dava
-amabilmente la baia, e anche questa era una eccellente
-correzione. — <i>Il tale</i>, — io dicevo, — <i>s'appressò
-a me</i>. — <i>T'appressa, Oreste!</i> — essa esclamava
-con accento tragico. — Io esprimevo l'idea
-più semplice, poniamo il caso, con una frase ricercata
-ed altisonante, ed essa esclamava: — Oh come
-parla bene! — Ogni giorno cadeva dal mio vocabolario,
-ferito a morte da uno scherzo affilato, un
-piemontesismo, un francesismo, una pedanteria, una
-frase poetica. Ogni giorno mi confermavo meglio
-nella dolorosa persuasione che invece di <i>parlare</i>
-italiano, <i>componevo</i>; che il mio tesoro linguistico
-era uno scrigno di diamanti falsi, e che se volevo
-riuscire a parlare e a scrivere a dovere, dovevo rimettermi
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-a studiar daccapo. Son pur bestia! dicevo
-come Vittorio Alfieri nel suo sonetto a monna Vocaboliera.
-</p>
-
-<p>
-Ma il cimento più duro per il mio amor proprio
-fu quando misi per la prima volta in mani fiorentine
-gli stamponi dei miei poveri scritti. Una signora
-mi presentò un giorno una quarantina di
-pagine tutte tempestate di punti neri. Mi morsi
-le labbra dal dispetto. — Vediamo, — dissi con la
-più profonda sicurezza di riuscir vittorioso alla
-prova, — vediamo e discutiamo. — Cospetto! — pensavo: — scrivere
-è tutt'altra cosa che parlare. Mi
-può essere sfuggito qualche sproposito; ma cento,
-non credo. Son fresco di studi, so dove ho pescato
-la mia lingua, citerò i passi degli scrittori. La vedremo.
-</p>
-
-<p>
-Si cominciò.
-</p>
-
-<p>
-— Questa frase non va, — mi diceva.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non va?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non ha garbo, perchè non viene spontanea
-a chi vuol dire quello che lei ha voluto dire.
-</p>
-
-<p>
-— Ma l'ha adoperata il tale dei tali, e dicevo
-il nome d'uno scrittore consacrato.
-</p>
-
-<p>
-— Me ne dispiace per lui; ha fatto male ad adoperarla;
-io non l'adoprerei davvero.
-</p>
-
-<p>
-— Ma è o non è italiana?
-</p>
-
-<p>
-— Ma anche conciofossecosacchè è italiano. Lei
-l'userebbe per questo?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma come direbbe lei invece?
-</p>
-
-<p>
-La cortese correttrice mi suggeriva la correzione.
-Era nove volte su dieci la semplicità sostituita all'affettazione,
-l'evidenza all'equivoco, la grazia alla
-pedanteria. Ma quella correzione era come un colpo
-di catapulta che faceva traballare tutto l'edifizio
-della mia educazione letteraria; e perciò io resistevo,
-mi dibattevo, citavo, cavillavo, qualche volta
-credendo davvero di aver ragione, e non di rado
-facendo dentro di me il proposito di non sottomettermi
-mai più a quella tortura. Ma il giorno dopo
-ci ripensavo, davo a me stesso di corbello e di
-cocciuto e facevo la correzione. E mi ricordo che
-mi meravigliavo di vedere, durante le discussioni
-vivissime, e qualche volta anche acerbe, che il mio
-testardo amor proprio sollevava, di vedere, dico, il
-viso della mia correttrice sempre pacato e sorridente.
-Non capivo ch'essa non s'impazientiva perchè
-era profondamente sicura d'aver ragione, e che io
-avrei finito per riconoscerlo. — Oh questa poi! — esclamavo
-qualche volta; — questa assolutamente
-non la passo! — Ebbene, ne riparleremo domani, — essa
-rispondeva. E il giorno dopo non c'era neppur
-più bisogno di parlarne.
-</p>
-
-<p>
-Molte volte bastava una semplice osservazione per
-farmi ravvedere; ed era quando si trattava di tutte
-quelle piccole affettazioni, che sono nella lingua
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-ciò che sul viso umano sono le smorfie, le rughe,
-i vezzi ridicoli, i mille segni e atteggiamenti sfuggevoli
-e inesprimibili, che rendono una persona
-antipatica; affettazioni delle quali molti scrittori
-italiani, anche valentissimi, non si sono ancora
-spogliati, e che sebbene paiano difetti di poco o
-punto rilievo, deturpano lo stile e rendono i libri
-noiosi.
-</p>
-
-<p>
-Leggevo, per esempio, nei miei scartafacci: — «Cadde
-sul <i>destro</i> piede.»
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non sul piede destro? — mi domandava.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè è meno elegante, — rispondevo. Si
-metteva a ridere così di cuore che io tiravo un
-frego sull'eleganza.
-</p>
-
-<p>
-Leggevo: — Partissi da casa....
-</p>
-
-<p>
-— Ma perchè non <i>partì</i> da casa? Che direbbe di
-me se le dicessi che questa mattina <i>partiimi</i> da
-casa d'una mia amica e <i>andaimi</i> a casa d'una parente?
-</p>
-
-<p>
-Leggevo: — Prese quel partito, <i>però che fosse</i>
-l'unico ragionevole che....
-</p>
-
-<p>
-— Oh terrore! — esclamava accompagnando la
-parola con un gesto drammatico.
-</p>
-
-<p>
-— Ma è italiano! — io dicevo.
-</p>
-
-<p>
-— Ma e batti con questo italiano! Vuole scommettere
-che senza dire mai nè una parola nè una
-frase che non sia italiana, io, questa sera, nel mio
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-salotto, parlo in maniera da far scappare tutti i
-miei amici?
-</p>
-
-<p>
-Non erano mica, come si vede, correzioni di errori
-di grammatica o d'altri strafalcioni gravi. Erano
-quasi sempre cambiamenti di una parola in un'altra
-di senso affine, trasposizioni, raddrizzamenti di
-frasi torte, tocchi e ritocchi da nulla; ma che facevan
-mutar faccia a un periodo e colore a un
-pensiero, e dove il lettore avrebbe inarcato le ciglia
-o non badato, facevano sì che o non badasse o
-sorridesse di compiacenza. Era soprattutto un insegnamento
-continuo intorno al modo di distribuire
-e di combinare tutta quella parte minuta della lingua,
-tutto quel tritume di monosillabi, che è la
-maggior difficoltà delle lingue moderne; di distribuirlo
-e di combinarlo in maniera, che il linguaggio
-non ne rimanesse irto e rotto, le giunture dei periodi
-rigide, i passaggi stentati, il suono sgradevole,
-come vediamo accadere al più degli scrittori non
-toscani. Erano delicatezze di lingua alle quali non
-avevo mai pensato, che anzi non avevo mai neppur
-sentite nei buoni scrittori, o le avevo sentite nell'effetto
-complessivo del loro modo di scrivere; ma
-senza rendermi ragione del come e del perchè. — Paiono
-inezie, — mi diceva quella colta signora; — e
-molti ne ridono; ma a pensarci bene, sono cose
-essenziali per chi voglia scriver bene. Perchè in che
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-altro si distingue uno scrittore elegante ed efficace
-da uno scrittore rozzo e sgradevole? Scriverebbero
-tutti bene ad un modo, se lo scriver bene consistesse
-nel non violar la grammatica, nel non adoperare
-nessuna parola e nessuna frase della quale non vi
-sia esempio negli scrittori, nel far capire, presso a
-poco, quello che si pensa. L'eleganza, la grazia,
-l'arte vera del parlare e dello scrivere, sta tutta
-nelle <i>segrete cose</i>, nei nonnulla che sfuggono all'attenzione
-dei più, in un'armonia che gli orecchi non
-educati non sentono. E in questo, se ne persuada
-pure, signor mio, e <i>lasci dir la gente</i>: i toscani
-possono insegnare qualche cosa ai loro fratelli
-d'Italia.
-</p>
-
-<p>
-Di questa verità non erano persuasi, neppure dopo
-due o tre anni di soggiorno a Firenze, molti Italiani
-delle Provincie settentrionali, per i quali l'aspirazione
-toscana, il <i>te</i> per il <i>tu</i>, il <i>dai retta</i> per il
-dà retta, l'<i>un</i> per il <i>non</i>, e qualche altro idiotismo
-eran cose che, messe nella bilancia, facevano saltare
-in aria tutte le grazie, tutte le ricchezze, tutte
-le meraviglie del linguaggio toscano. Ma nel fatto
-era come se ne fossero persuasissimi; perchè senza
-volerlo, imparavano a parlare ed a scrivere; la loro
-lingua si snodava; adoperavano, senza accorgersene,
-modi vivacissimi e frasi semplici e piene di garbo,
-per dir cose che esprimevano prima con perifrasi e
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-giri di parole ridicoli; si abituavano a raccontare
-e a scherzare senza compasso e senza fatica; e in
-fine canzonavano l'italiano stentato e mal connesso
-dei nuovi arrivati a Firenze, e trovavano insopportabili
-certe maniere di scrivere che avevano ammirate
-fino allora con pecoraggine scolaresca.
-</p>
-
-<p>
-Vi sono però molti, i quali andarono per qualche
-loro faccenda a Firenze, stettero una settimana all'albergo,
-sentirono bestemmiare i fiacchierai in
-piazza della Signoria, colsero a volo qualche frammento
-di conversazione in mezzo alle erbivendole di
-Mercato Vecchio, passarono tutt'al più una serata
-in una famiglia fiorentina, e poi tornati a casa,
-dissero che a Firenze non c'è da imparare che qualche
-idiotismo, che la lingua italiana non è là, che
-un qualunque italiano colto può parlar meglio d'un
-toscano, che l'idea del Manzoni è una stramberia.
-</p>
-
-<p>
-Dio vi perdoni e vi converta, signori.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-</p>
-
-<h2 id="parlatore">UN BEL PARLATORE</h2>
-</div>
-
-<p>
-Ogni volta che l'ho sentito parlare, mi sono persuaso
-che sono un barbaro e son tornato a casa
-umiliato.
-</p>
-
-<p>
-Non so come parli alla Camera e sulla cattedra;
-suppongo che parli bene; ma non credo che l'eloquenza
-politica e la scolastica siano la sua vera
-eloquenza. Bisogna sentirlo in conversazione.
-</p>
-
-<p>
-Qui è veramente ammirabile.
-</p>
-
-<p>
-Prima di tutto, bisogna dire, per chi non l'ha
-mai visto, che la sua persona non toglie nulla, ma
-neppure giova gran fatto all'efficacia del suo parlare.
-Se ne può fare il ritratto in due tocchi: una gran
-zazzera sopra un viso magro ed irregolare nel quale
-brillano due piccoli occhi pieni d'ingegno. Ha un
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-sorriso un po' canzonatorio, un gesto un po' curialesco,
-una voce dolce e pieghevole. È superfluo il
-dire che è nato in Toscana; ma necessario soggiungere
-che è senatore, e che ha passato di qualche
-anno la cinquantina.
-</p>
-
-<p>
-Bisogna, dunque, sentirlo in conversazione.
-</p>
-
-<p>
-È un po' pigro, anche a parlare; e perciò non è
-molto facile fargli scioglier la lingua. Se non è in
-vena, e se il soggetto della conversazione non lo
-tira, è capace di non aprir bocca in tutta la serata.
-Peggio, poi, quando s'accorge che lo si vuol far
-parlare per starlo a sentire. In questo caso è timido
-e cocciuto come un bambino. Un giorno una signora,
-sollecitata da un amico curioso, gli mise dinanzi un
-libro di poesie (poichè legge mirabilmente i versi)
-e lo pregò ripetutamente di leggere. — Ma come
-vuole che io legga, — egli rispose quasi indispettito, — con
-tutto questo apparato? Diventerei rosso
-fino alla radice dei capelli! — E non ci fu verso di
-fargli leggere un rigo.
-</p>
-
-<p>
-Bisogna ch'egli s'impegni in una conversazione
-quasi senz'accorgersene, che vi scivoli, che vi si
-trovi legato senz'averlo voluto. Una volta che ha
-preso la parola, gl'interlocutori a poco a poco tacciono
-e diventano ascoltatori. Allora egli non si avvede
-d'essere sul palco scenico e la platea può esser
-sicura d'avere il fatto suo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<p>
-Seduto in un angolo del salotto, cogli occhi socchiusi
-e il sorriso sulle labbra, passandosi di tratto
-in tratto una mano sul ciuffo, poi sulla fronte, e
-poi sul mento, egli dice mille cose argute e gentili
-con una grazia e una nobiltà di forma e d'accento
-che è impossibile a esprimersi. Parla lentamente e
-pesa le parole, ma senza sforzo; si direbbe che le
-scocca, che le fa scattare l'una dall'altra, che sente
-e che fa sentire in ognuna di esse un valor nuovo,
-scoperto o piuttosto dato da lui, come un'effigie a
-una moneta. Qualche volta fa aspettare una parola,
-si capisce che la cerca, e che gli sfugge; ma la
-coglie sempre, ed è sempre la propria, la necessaria,
-quella che s'aspettava. Talora si direbbe che ha
-compiuto l'espressione del suo pensiero, e non è;
-aggiunge ancora un aggettivo, un avverbio, un monosillabo,
-che fa sempre l'effetto dell'ultimo tocco
-d'un pittore sicuro. Si direbbe che cerca le difficoltà
-per pigliarsi il piacere di vincerle. Non gira
-mai intorno al proprio pensiero. Scava dentro di
-sè, mette fuori tutto, fa comprender tutto; colorisce,
-brunisce, orla, frangia, si trastulla in mille
-modi colla sua lingua; tocca con una destrezza meravigliosa
-soggetti disparatissimi, si diverte a sguisciar
-di mano, fa mille sorprese colla frase e coll'inflessione
-della voce; e di qualunque cosa parli, sia
-di filosofia, sia di finanze, sia di letteratura, sia di
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-corbellerie, ha sempre la stessa evidenza e lo stesso
-colorito caldo e brillante di linguaggio, che seduce
-egualmente uomini, signore e bambini.
-</p>
-
-<p>
-Qui dovrebbero essere, — pensavo io quando l'udivo
-parlare, — coloro che dicono che <i>scrivere come
-si parla è la sapienza degli ignoranti</i>. Essi mi direbbero
-forse che questo signore, per quanto parli
-bene, scrive certamente meglio. Meglio, sì, ossia,
-con più ordine, con più sobrietà, con un nesso più
-stretto fra pensiero e pensiero, fra periodo e periodo;
-meglio, in una parola, <i>ma non in una
-maniera diversa</i>. Ossia non adopera, scrivendo,
-nè una frase nè una parola che non adopererebbe
-parlando, e scrive nondimeno con una eleganza
-e una nobiltà di stile e di lingua ammirabile.
-Egli può studiare a memoria quello che scrive e
-ripeterlo in conversazione, senza che nessuno s'accorga
-che sia stato scritto. Leggendo la sua prosa,
-par di sentir parlar lui; lui, — notiamo bene, — lui
-nascosto dietro una cortina o coll'anello di Gige
-nel dito; e non un altro personaggio che non si sa
-chi sia, un personaggio non vero, un terzo fittizio
-che si caccia fra l'autore e il lettore, un burlone
-che si vergognerebbe di parlare come scrive e si
-vergogna di scrivere come parla, un vanitoso imbellettato,
-un ipocrita letterario, un ciurmadore
-di parole. Scrivere come si parla vuol dire scrivere
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-come vorremmo saper parlare; osservare, scrivendo, le
-stesse leggi che ci sforziamo (e non ci riesce sempre,
-perchè ci manca il tempo per riflettere), di osservare
-parlando; non mettere sulla carta nessuna frase, nessuna
-parola, nessuna trasposizione di parole, che
-usata parlando, in un crocchio di persone educate,
-colte e nemiche d'ogni affettazione e d'ogni caricatura,
-farebbe inarcar le ciglia o dare in uno scroscio
-di risa o dire che siamo pedanti o pretenziosi
-o sciocchi. Col quale principio, ch'era quello del
-Manzoni, se si esaminano nove su dieci dei libri
-italiani, e quelli per i primi di cui son colpevole io,
-mi duole il doverlo dire, si trova ogni momento una
-frase, una parola, un'attaccatura, un'inflessione di
-periodo, un qualche cosa, insomma, che non va, che
-non ha una ragione d'essere, che non dev'essere
-<i>scritto</i> perchè non può essere <i>detto</i>, che ci farebbe
-arrossire se ci sfuggisse discorrendo con una signora,
-che è un'eleganza, come diceva il Manzoni, del
-cassone, una ruga dello stile, una smorfia della
-lingua. E con questo si spiega come al Manzoni non
-finisse di piacere nessun prosatore italiano. Cercava
-il suo ideale e non lo trovava. Leggeva tendendo
-l'orecchio e non sentiva parlare, o <i>sentiva leggere
-una cosa scritta</i>. Diceva del Nicolini medesimo che
-<i>parlava meglio di quello che scriveva</i>. Nelle sue
-meditazioni tranquille e profonde sull'arte dello scrivere,
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-non aveva trovato nessuna buona ragione colla
-quale si potesse giustificare una differenza qualunque
-tra il linguaggio parlato e lo scritto, su <i>qualunque
-materia</i> si scriva, poichè nel dialogo sulla
-<i>Finzione</i> egli scrisse cose altissime e stupende di
-filosofia e di morale senza scostarsi dalla lingua,
-dalla forma, dal tono d'una conversazione famigliare.
-E se qualche volta, in quello e in altri scritti, se n'è
-scostato, se n'è accorto poi e ha mutato, e se non
-ha mutato, sentiva che avrebbe dovuto mutare, e
-non c'è bisogno d'averlo conosciuto intimamente,
-per poter dire che sapeva di non essere riuscito a
-scrivere in tutto e per tutto come voleva, a incarnar
-meglio il suo principio, a dare l'esempio più strettamente
-conforme alla teoria.
-</p>
-
-<p>
-Così la pensa il <i>bel parlatore</i> di cui ho parlato,
-il quale, se scrivesse dei libri, sarebbe col fatto il
-più potente propugnatore della teoria manzoniana,
-com'è, parlando, il più ammirabile maestro di conversazione
-ch'io abbia conosciuto. E l'ho in fatti
-per un tale maestro che quando mi viene sulla punta
-della penna un'espressione o una parola o un giro
-di periodo sospetto, chiudo gli occhi, mi raffiguro
-lui che parla, intrometto furtivamente nel suo discorso
-quella parola o quell'espressione, e se non
-la sento stridere, la scrivo; se stride, la caccio in
-bando del mio regno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-</p>
-
-<p>
-Forse, s'egli leggesse queste pagine, direbbe che
-il mio regno è popolato di bricconi e mi consiglierebbe
-di bandire ancora. Abbia pazienza, caro maestro;
-mi lasci un altro po' di tempo e le assicuro
-che «sarà fatta giustizia» e «forza rimarrà alla
-legge.»
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span>
-</p>
-
-<h2 id="album">DALL'ALBUM D'UN PADRE
-<span class="smaller">(A VITTORIO BERSEZIO.)</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Questa creatura che occupa tanta parte della mia
-vita, e senza la quale mi sembra che non potrei
-più vivere, come se fosse legata a me da un'arteria
-invisibile, tre anni sono non esisteva nemmeno nella
-mia mente! È strano. Mi pare che ripensando profondamente
-al mio passato, dovrei trovarne qualche
-traccia, qualche preannunzio. Cos'è quest'apparizione?
-Di dove vieni? Chi sei? Che sei venuto
-a dire nel mondo? Qual è il tuo perchè, straniero?
-Che cosa cerchi, sconosciuto? Perchè al mio appello
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-hai risposto tu, cogli occhi celesti, e non un
-altro cogli occhi neri? Rispondi, personaggio misterioso.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-L'età più bella dei bimbi, per chi ha occhio d'artista
-oltre che cuore di padre, è quando passano
-ancora ritti sotto la tavola e si può reggerli con
-una mano sola, portarli a cavalluccio sul collo, nasconderli
-sotto un giornale, metterli in prigione in
-mezzo a due vocabolari; e tutto il loro vestiario,
-dalla scuffietta alle scarpe, sta comodamente dentro
-un vecchio cappello del babbo. A quell'età la madre
-impazzisce per infilare una calza al suo bimbo; ma
-quando una volta su dieci egli vi spinge il piedino
-dentro da sè, essa lo abbraccia con impeto ed
-esclama alteramente: — Sei un uomo!
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Hanno un visetto che pare una mela cogli occhi,
-un collo esile che si cinge quasi col pollice e l'indice,
-due manine che c'è bisogno di guardarle per
-persuadersi che hanno già tutt'e cinque le dita e
-un piedino che proprio non si può pigliare sul serio.
-La loro testina, secondo il momento che gliela
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-fiutate, ha odore di passero, di micio, di coniglio,
-di nido di rondini, di mattoni, di legno, di vernice,
-d'olio di lume, di tutto quello che c'è in casa, che
-essi possan toccare; e il fiato un leggiero odore
-latteo misto colla fragranza di non so che fiori;
-un fiato che, ad aspirarlo, par che debba far bene
-al sangue, come l'aria della campagna.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Eppure v'è chi non ama queste creature! Io vedo
-col pensiero un bambino roseo e ridente che dalle
-braccia di sua madre tende tutt'e due le mani in
-atto amoroso verso un signore lungo, stecchito e
-severo, il quale dà indietro con un movimento quasi
-di ripugnanza, e facendo un sorriso forzato, gli agita
-dinanzi agli occhi un dito nodoso che non vuol essere
-toccato. Oh uomo lungo, stecchito e severo, sii
-pure un grande ministro o un letterato famoso o
-un fondatore di opere pie: io ti detesto.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Bisogna vedere come sono atteggiati nella culla,
-la mattina, prima che si sveglino. Chi può trattenere
-i baci e le risa? Sono atteggiamenti di soldati
-morti sul campo di battaglia, atti di dolore disperato,
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-contorsioni d'acrobatici, abbandoni svenevoli
-d'innamorati languenti. Ora son tutti in un gomitolo
-sul cuscino, ora rintanati sotto, ora capovolti,
-in modo che cercando il visetto trovate la punta
-dei piedi, e volendo afferrare un piede ficcate il dito
-nella bocca. E allora è bello pigliar tutto in un fascio
-bimbo, lenzuola, coperta e coltrone, e fuggir
-per la casa, colla preda calda fra le braccia.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Chi vede senza ridere un bambino di tre anni,
-quando appena svegliato, vestito e messo in terra,
-rimane un momento immobile, soffregandosi gli occhi,
-e poi va innanzi a passo lento, tutto d'un pezzo
-insonnito, scarmigliato, di malumore, piagnucolando
-e guardando la gente di traverso; — o quando è
-preso dal freddo, che ha il nasino livido, e cammina
-a passetti di marionetta, facendo la gobbina, e mille
-vezzi e graziette minuscole, come per dire: — Son
-piccino, sono una cosa da nulla, scaldatemi o sparisco; — o
-quando tuffa mezzo il capo in un tazzone
-di caffè e latte tenuto a due mani, e tracannando
-avidamente, fa la guardia colla coda dell'occhio a
-un pezzo di biscotto sul quale sospetta che voi abbiate
-qualche intenzione ostile; — chi vede queste
-cose senza ridere, non ha un senso comico delicato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-A quell'età nulla di più bello che il vederli correre.
-La loro corsa ha qualche cosa del saltellare
-d'una palla elastica, del barcollamento d'un ubbriaco
-e dei movimenti d'una foglia portata dal
-vento. La piccola creatura si spicca dallo sgabello,
-si slancia fuori della stanza, inciampa nel gatto,
-rovescia una seggiola, infila un corridoio, e via sgambettando
-e annaspando colle mani, di stanza in
-stanza, inseguito dalla madre, fino all'angolo più
-lontano della casa, dove si rifugia dietro un sacco
-da viaggio, e di là tenta un'ultima resistenza per
-strappare una concessione al nemico. Ah! invano!
-Bisogna lasciarsi lavare la faccia.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Chi può dire che cos'è la voce dei bambini? C'è
-il gorgheggio dell'usignuolo, il pissi pissi della rondine,
-il pigolío dei pulcini, il gnaulío del gatto. Son
-note di flauto, mormorii e bisbigli infinitamente soavi,
-strida e garriti che lacerano le orecchie, trilli di
-soprano, scoppi di voce virile, stonature di tenore
-sgolato, falsetti di maschere, fioriture e passaggi
-strani; tutti i suoni che escono da una gabbia di
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-cento uccelli e da un'orchestra di cento strumenti.
-Accostate il viso alla loro bocca e fatevi mormorare
-qualche parola nell'orecchio: alle volte n'esce
-un suono che vi rimescola; vi pare d'aver posto
-l'orecchio allo spiraglio d'una porta misteriosa e
-sentito una voce sovrumana.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Egli ride. Non l'ho mai visto ridere così di cuore.
-È un riso smodato, squarciato, sgangherato. Ho
-perfin paura che gli manchi il respiro. Si butta a
-destra e a sinistra, rovescia la testa indietro, gli si
-empion gli occhi di lagrime, gli si fa il viso pavonazzo.
-Ora basta, via, ti puoi far male, smetti di
-ridere. È un riso inestinguibile, una convulsione,
-un riso da schiantare le viscere. Ma finiscila una
-volta! Ma perchè ridi? Che cos'è stato?... Ah! non
-m'ero accorto che m'ha messo un cappelletto di
-carta sulla testa.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Vestiti paiono qualche cosa: spogliati, non son
-più nulla. Si palpa quel corpicino, si sente quell'ossatura
-sottile, che par che si debba spezzare a premervi
-sopra la mano, e si trema pensando a che
-<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span>
-tenue filo è legata quella cara vita. Quanto tempo
-e quanti dolori, per lui e per chi l'ama, prima che
-questo piccolo braccio possa respingere l'offesa di
-un uomo! Guardatelo lì ignudo nato quest'ometto
-spoppato ieri! Come! Ha da venire un giorno in cui
-tu avrai la barba e il cappello cilindrico? e capirai
-Tito Livio? e saprai risolvere un'equazione di secondo
-grado a tre incognite? Eh via! spaccone,
-questo non può essere.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Dovrei proprio guarirmi da questa debolezza. Sono
-seduto a tavolino, scrivo, ho la testa piena di pensieri
-gravi, la menoma distrazione m'inquieta, mi
-preme di finire; e con tutto ciò, bisogna che lasci
-la penna, che m'alzi, che attraversi la stanza rimovendo
-le seggiole, inciampando nei giocattoli e
-scomodando quattro o cinque persone, per andare
-a stringere fra l'indice ed il pollice, per un momento
-solo, la polpina di quella gambetta che dal mio posto
-vedevo biancheggiare in un angolo oscuro dietro
-la spalliera della poltrona. Appagato questo capriccio
-ritorno al tavolino col cuore in pace e colla
-mente disposta. Altrimenti, non mi riusciva di finire
-la pagina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Gran voluttà quella di malmenare un bambino e
-di coprirlo di vituperi! Sei un fantaccione, sei pesante,
-sei rotondo, sei duro, sei brutto; mangi come
-un bue e dormi come una talpa; sei un ignorantone
-e un fannullone che mi rovini e mi fai dannar l'anima;
-un giorno o l'altro ti do un carico di legnate,
-non ti voglio più, ti butto fuori di casa, farai una
-cattiva fine, sei un soggetto d'ergastolo, sei la mia
-vita, t'adoro!
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Anche l'amore dei bambini ha le sue furie. Un
-vero padre si sente qualche volta un po' antropofago
-e vorrebbe stare in una casa isolata per poter saziare
-la sua fame senza che accorrano i vicini alle
-grida della vittima. Non strillare, hai inteso? Il
-mio dovere è di mantenerti, il tuo è di lasciarti
-baciare, sulla testa, — negli occhi, — nella bocca, — sul
-petto, — nel collo, — fin che mi resta fiato.
-Strilla! Strilla! Che m'importa? Pur che io mi sazi.
-Ah! se non avessi paura di soffocarti! Già, è scritto:
-un giorno o l'altro ti finisco.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Questa mattina passeggiavo per la stanza con lui
-disteso sulle braccia, come in una culla. Egli teneva
-gli occhi chiusi e lasciava spenzolare la testa
-e le gambe. La fantesca disse: — Par morto. — Questa
-parola mi agghiacciò il sangue. Mi misi a
-pensare che cosa seguirebbe di me se egli morisse.
-Mi parve che sarei impazzito. M'internai in quell'immaginazione.
-Prenderei sulle braccia il bambino
-morto, — pensai, — uscirei di casa, attraverserei
-la città, piglierei la campagna, e via, di sentiero in
-sentiero, di villaggio in villaggio, di giorno, di notte,
-al vento, alla pioggia, muto, infaticabile, stringendo
-colle mani irrigidite quel corpicino freddo, fin che
-arriverei in mezzo a una pianura immensa e sinistra,
-dove darei tutt'a un tratto in un tale scoppio
-di pianto che mi si romperebbe una vena nel petto
-e cadrei senza vita.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Ha rotto un bicchiere, ha rovesciato un lume,
-straccia la tappezzeria, sbatacchia gli usci, fa tintinnare
-i vetri,... getta in aria i fantocci,... copre
-la voce di tutti.... Che inferno in questa casa! che
-pace nel mio cuore!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Quando son triste, vedo in ogni suo trastullo l'immagine
-di una disgrazia che gli potrà accadere, e
-mi perdo in mille presentimenti dolorosi. Rompe
-una gamba a un fantoccio: io penso: si romperà
-una gamba in una caduta? Gioca colle pallottole:
-io mi domando: — Diventerà un giocatore? Quando
-suona il tamburo, m'immagino che possa morire in
-guerra; quando rovescia un altarino, temo che diventi
-uno scettico; quando lo vedo rannicchiato in
-un cantuccio in mezzo a due seggiole, mi pare che
-un giorno abbia da essere gittato in una prigione.
-Lui! Son sogni. Fin che io vivo non gli seguiranno
-disgrazie. Lo seguirò come l'ombra il corpo. Sarò
-il suo amico, il suo confessore, la sua sentinella. Ma
-poi? Ah! Il pensiero di lasciarlo solo nel mondo mi
-spaventa, ho paura della morte, son diventato pusillanime.
-Vorrei vivere un secolo, ridurmi decrepito,
-cieco, paralitico, inchiodato perpetuamente sopra
-una seggiola; purchè nei giorni di dubbio o di pericolo,
-potessi afferrarlo per la mano, toccargli il
-capo, supplicarlo, se non potessi più colla voce, almeno
-coi gesti e colle lagrime, di non uscire dalla
-via dell'onore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-È una cosa che fa fremere. Qualche volta, guardandolo,
-io mi raffiguro le molte migliaia di bambini
-dell'età sua, nati nello stesso paese, e che in
-questo mentre sono come lui innocenti, amorosi,
-carezzevoli; me li raffiguro nelle loro culle, fra le
-braccia delle loro madri, coperti di baci e chiamati
-coi più dolci nomi della lingua umana; vedo nel
-cuore dei loro genitori le medesime speranze, lo
-stesso presentimento ch'essi saranno onesti e contenti,
-anzi la medesima profonda certezza, e non
-altrimenti fondata, che io nutro riguardo al mio: e
-penso che non di meno da tutta questa legione di
-angioletti usciranno dei ladri, dei falsari, degli assassini,
-dei parricidi, che getteranno la disperazione
-e il disonore nelle loro famiglie. Quando questo
-pensiero mi s'inchioda nel capo, mi tocca fare un
-grande sforzo per liberarmene. Questa mattina presi
-il mio bimbo sulle ginocchia e gli domandai: — Bimbo,
-sarai un'assassino tu? — Egli non capisce
-ancora il significato di questa parola. — Si, — rispose — ma
-voglio dei dolci.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Se potessi indovinare il suo avvenire, come fanno
-le zingare, dalla palma della mano! Che cosa tratterà
-questa manina? La spada? Il pennello? La
-penna? L'archetto del violino? Il coltello anatomico?
-Povera manina, quante volte sorreggerà la testa
-stanca d'un lavoro ingrato o d'un pensiero doloroso!
-Di quante lettere listate di nero romperà
-il suggello! Quante destre di falsi amici e di donne
-indegne gli occorrerà di stringere! Ma tu la conserverai
-pura d'ogni macchia, figliuol mio, e se
-quando ti colpirà un grande dolore immeritato, ti
-verrà fatto di levarla in alto, non la leverai per
-maledire, ma per giungerla coll'altra, come ogni
-sera e ogni mattina t'insegna a fare tua madre.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Guardo la sua manina, la stringo, la nascondo
-tutta nel mio pugno, e sorrido pensando che passarono
-per questa forma anche le mani dei guerrieri
-più formidabili e degli artefici più potenti del
-mondo. E da questo pensiero son condotto alla mia
-immaginazione prediletta dell'infanzia degli uomini
-<span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span>
-grandi. Mi raffiguro Omero che si dispera perchè
-gli hanno rubato una pesca; Cesare che trema dinanzi
-a un topo; Dante che salta in sella a un cavallino
-di legno; Michelangiolo, che mentre suo
-padre gli mostra una statua, è tutto intento a schiacciare
-un nocciolo coi piedi; e la signora Buonaparte
-che dice al futuro vincitore d'Europa: — Vergogna!
-Alla tua età, quando se n'ha bisogno, si dice,
-e non s'imbratta in codesto modo la casa.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Se diventasse un grand'uomo! È un sogno di
-tutti i padri; ma non è impossibile. Egli è un enimma
-infine; un geroglifico il cui significato è ancora
-ignoto; una parola della quale non è scritta che
-la prima lettera; un numero dell'immenso lotto
-umano. Questo dubbio è il più dolce alimento della
-mia vita. Mi pare di possedere uno scrigno misterioso,
-nel quale è possibile che ci sia un pugno di
-sabbia o un mucchio di perle. Son vicino a trent'anni,
-e il mio avvenire che cominciava a restringersi,
-s'è improvvisamente allargato; ho perduto
-le ultime illusioni della gioventù, ho ritrovate le
-speranze infinite dell'infanzia. Che importa che i
-miei capelli cadano? I suoi diventan folti. Che importa
-che io discenda? Egli sale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-E se riuscisse invece d'intelligenza scarsa e di
-fibra debole, non solo da non uscire dall'oscurità,
-ma da rimanere degli ultimi in mezzo agli oscuri?
-Quando mi coglie questo pensiero, sento un irresistibile
-bisogno di stringermelo al petto e di coprirlo
-di carezze, come per domandargli perdono della
-vana ambizione che me lo fa sognare diverso da
-quello che forse egli è destinato ad essere. Sento il
-bisogno d'assicurarlo fin d'ora che quanto sarà più
-angusto il posto che gli è riservato nel mondo, tanto
-sarà più grande quello ch'egli avrà nel mio cuore.
-Pensando che un giorno, forse, tornando dalla scuola
-egli mi dirà piangendo: — Son l'ultimo; — io mi
-sento uno struggimento d'amore per lui. Ma questo
-non sarà, perchè io l'aiuterò nei suoi studî, mi rimetterò
-al greco e alle matematiche, veglierò con
-lui, e gli verserò tanto affetto nel cuore, che il
-cuore illuminerà la mente. Quando qui sotto v'è un
-tesoro, anche qua sopra v'è qualcosa.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-I bambini sono grandi consolatori. Chi lo sa più
-di te, povera vecchia fantesca? In casa tu sei amata;
-ma la tua testa calva, il tuo viso rugoso, tutta la
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-tua persona deformata dagli anni, ti rendono incresciosa
-alle persone che ti sono più care e sono
-cagione ch'esse non ti rendano, ora che ne avresti
-tanto bisogno, le carezze che tu prodigasti loro
-quand'erano bambini. Alberto, giovinetto, si ritira
-bruscamente indietro quando tu accosti il tuo volto
-al suo per guardare le vignette del libro ch'egli
-sfoglia; Enrico da molto tempo non vuol più che
-tu gli faccia il nodo della cravatta per non sentire
-il tuo alito e il contatto delle tue mani; e quando
-vuoi baciare Adelaide, la ragazzina che hai portata
-in braccio per tanti anni e divertita con tante
-istorie nelle lunghe sere d'inverno, sei costretta,
-perchè non ti respinga, a baciarla furtivamente
-quando dorme. V'è una sola creatura al mondo che
-non respinge le tue carezze, che ama la tua testa
-calva e il tuo viso rugoso, che ti compensa di ogni
-ingratitudine e d'ogni amarezza, ed è questo bambino
-di tre anni — Ernesta, — egli ti dice baciandoti
-sulla bocca, — tu sei bella.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-E sempre ricasco nel pensiero della bellezza. Non
-credevo che un padre, oltre l'affetto che tutti comprendono,
-dovesse nutrire pel suo figliuolo un sentimento
-così affine a quello di uno scultore per la
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-sua statua. Io pure spio con trepidazione il viso di
-chi lo guarda, interpreto i sorrisi e commento i
-complimenti come un artista incerto dell'opera sua.
-Ogni sua bellezza mi pare un merito delle mie mani,
-ogni sua imperfezione l'effetto d'una mia svista.
-Ogni giorno mi si presenta in un aspetto diverso.
-Lo guardo e lo riguardo, di faccia, di profilo, davanti,
-di dietro, di sopra, di sotto; correggo cogli
-occhi certi suoi tratti; rimango perplesso; ci ripenso;
-ma finisco sempre col darmi una fregatina
-alle mani e dire che è un bel lavoretto.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Gran livellatori del cuore umano i bambini! V'è
-una povera donna con un bimbo in braccio seduta
-sullo scalino della porta, che vede passare una signora
-in carrozza con un bimbo sulle ginocchia. Il
-bimbo della signora è vestito di velluto, il suo è
-vestito di cenci; quello ha un fascio di giocattoli,
-il suo non ha mai avuto giocattoli; quello mangia
-dei confetti, il suo rosicchia un pezzo di pan nero.
-Eppure degli sguardi che le due donne si scambiarono
-sui propri figliuoli, quello che espresse un
-sentimento d'invidia è quel della signora! La povera
-donna se n'accorse ed esclamò con un fremito
-di orgoglio: — Il mio è più bello!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Io non so se tutti i padri vedano nei loro bambini
-quello ch'io vedo nel mio; so che più lo guardo
-e più ammiro l'infinita amabilità dell'infanzia, che
-mi pare un compenso dato da Dio alle ansietà e
-alle cure ch'essa ci costa. Ha dei movimenti di
-capo, delle espressioni di stupore, dei lampi di sorriso,
-dei gesti sfuggevoli, dei vezzini, delle civetterie,
-dei nonnulla inesprimibili che mi strappano un
-grido d'amore. — Non provocarmi! — gli dico qualche
-volta. E in questa grazia incantevole di gesti
-e di atteggiamenti, una varietà immensa, una trasfigurazione
-continua, una sorpresa ogni momento.
-Mi pare che chiuso con lui in un castello solitario,
-senza libri, senza lavoro, senz'altra cura che di custodirlo,
-non avrei un'ora di noia.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Comincia, parlando, a legare insieme due proposizioni.
-È un gran piacere per me il seguire attentamente
-l'estrinsecazione laboriosa del suo pensiero,
-vedere con che bizzarri artifizî esprime l'idea più
-semplice, con che buffe contrazioni del viso pronunzia
-ogni parola nuova, come tira e scontorce e
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-spreme il suo piccolo capitale di venticinque parole;
-che stroppiature mostruose, che sgrammaticature
-colossali, che spropositi enormi e incredibili, mette
-fuori colla più ingenua sicurezza, e qualche volta
-guai a chi gli ride in faccia! E notare come in
-questo suo linguaggio stravolto e spropositato, un
-giorno si raddrizza una parola, un altro giorno si
-combina una concordanza, e a poco a poco i vocaboli
-si dispongono in ordine, e le consonanti difficili
-escono spiccate e sonore, fin che lo strumento
-completato e accordato, potrà prendere parte al concerto
-della conversazione domestica, non facendo più
-che qualche stonatura per caso.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-È strano ch'io ci pensi oggi per la prima volta:
-questo visetto, questa vocina, questa grazia angelica,
-che ora rallegra la mia vita, fra qualche anno
-non saranno più. Ogni giorno che passa mi ruba
-qualche cosa di questo bambino roseo. Fra qualche
-anno egli avrà un altro viso, parlerà con un'altra
-voce, gestirà in un'altra maniera, e della creatura
-d'oggi non mi rimarrà che qualche ritratto
-e qualche reminiscenza. Questo corpicino non è
-che una forma che mi passa dinanzi e che deve
-svanire. Sono irragionevole; ma è un pensiero che
-mi rattrista.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Non capisco più, ora, come io abbia potuto vivere
-tanto tempo, ed essere quasi felice, in una casa
-sempre tranquilla —, dove non c'era mai una seggiola
-fuori di posto —, dove non si rompeva mai
-una bottiglia — dove non s'inciampava mai in una
-marionetta —, dove non si facevano mai delle oche
-di carta —, dove non si vedeva mai nessuno sotto
-una tavola —, dove non c'erano che dei letti
-enormi —, dove non si sentivano mai che dei
-passi lenti e gravi —, dove non s'udivano che voci
-pacate che dicevano senza errori di grammatica
-delle cose sempre ragionevoli.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Sovente, vedendolo così ben vestito e ben pasciuto,
-con un monte di ninnoli davanti, io dico tra
-me: — E se un rovescio improvviso di fortuna mi
-costringesse a non trattarlo più in questa maniera?
-Tutto il mio sangue si rimescola violentemente a
-questo pensiero, e nello stesso tempo la mia fronte
-si solleva e la mia anima ingigantisce. Ah! non sarà
-mai, bambino mio! dovessi comprare ogni tuo giocattolo
-con una notte di lavoro, scontare ogni tuo
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-vestitino nuovo con una ruga della fronte, pagare
-ogni tuo giorno di contentezza con una ciocca di
-capelli bianchi, conservare il color di rosa del tuo
-volto colla tortura del mio cervello e delle mie ossa!
-Che m'importerebbe che la gente ridesse della mia
-faccia scarna e del mio vestito logoro? Io ti condurrei
-a passeggiare con me in qualche parte solitaria
-della campagna, e starei a veder tramontare
-il sole premendomi la tua testa sul cuore. Ah, non
-temere! Fra te e la povertà, ci sono i miei trent'anni,
-la mia volontà indomabile e le forze smisurate
-dell'amore che mi divora.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Oggi gli ho fatto fare un bagno in una zuppiera
-rotta, e vedendolo così tutto nudo e bello che grondava
-acqua e rideva, pensavo: — Eppure queste
-povere creaturine, la febbre le consuma, il vaiuolo
-le accieca, la tosse convulsiva le soffoca, il crup le
-strozza, e bisogna vederli diventar neri, dibattersi,
-stralunar gli occhi pieni di lagrime, chieder soccorso
-agitando le manine, e rimanere irrigiditi; bisogna
-vederli chiudere in una cassetta, vederli portar
-via ravvolti in un panno nero, vederli calare in un
-fosso e coprir di terra e di sassi; e poi tornare a casa
-<span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span>
-pensando ch'essi sono là soli sotto la neve, in mezzo
-a un campo pieni di scheletri; e rientrando in casa,
-rivedere i loro giocattoli e i loro vestiti, la culla
-vuota, la seggiolina vuota, la stanza vuota, tutto
-l'universo vuoto, e sentir risuonare in quell'orrendo
-silenzio le risa dei bimbi dei vicini! Ah! quando
-questo accade, mi par che non si possan far che
-due cose: o spezzarsi il cranio contro una parete
-o cadere in ginocchio e rimanere perpetuamente
-colla fronte inchiodata sulla culla.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Dopo che la mia vita è legata a questa creatura,
-il pensiero della morte non mi atterrisce o non mi
-rattrista più se non in quanto si lega a quello del
-suo avvenire. Ma se per la sua vita dovessi sacrificare
-la mia; se dovessi, colla sicurezza di salvarlo,
-fargli scudo del mio corpo, e difenderlo senza difendermi,
-immobile con lui nelle braccia, e dieci assassini
-alle spalle; oh! io fremo di non so che voluttà
-feroce e superba a questo pensiero: io credo, sento,
-giuro che mi lascerei crivellare di pugnalate, coprendogli
-la testa di baci, senza aprir la bocca per
-gridare: — Pietà! — e senza versare una lagrima
-sul mio destino.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Questa mattina, fra le altre sue stranezze, ho
-scoperto ch'egli crede che gli uomini siano fatti
-di legno, e per quanto gli abbia detto.... — Interrotto
-dalla caduta d'una palla di gomma elastica
-che rovesciò il calamaio.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-</p>
-
-<h2 id="culla">SOPRA UNA CULLA</h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Sono tre giorni che ha 'l visetto bianco</p>
-<p>E gira l'occhio illanguidito e lento,</p>
-<p>E non cerca la madre, e leva a stento</p>
-<p>Le braccia dimagrate e il capo stanco.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Parla, dottore — dirami aperto e franco</p>
-<p>La triste verità ch'io già presento;</p>
-<p>E tu fa core, amica; — ecco il momento;</p>
-<p>Dammi la mano — e sta stretta al mio fianco.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">E grave? — .... Assai? — .... C'è da temer la morte?</p>
-<p>Ebbene, amica — qui — qui sul cor mio,</p>
-<p>E opponiamo al dolor l'anima forte.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p><span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span></p>
-<p class="i2">Ma no! non posso! mi si spezza il core!</p>
-<p>Ho bisogno di piangere! Mio Dio,</p>
-<p>Pietà! M'uccido se il mio bimbo muore!</p>
-</div>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Bambino mio, cos'hai? cosa ti senti?</p>
-<p>Sorridi — guarda — moviti — respira;</p>
-<p>Non vedi il padre tuo, qui, che delira?</p>
-<p>Non le senti le sue lacrime ardenti?</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Non lacerarmi il cor co' tuoi lamenti!</p>
-<p>Oh dottore — soccorrilo — egli spira;</p>
-<p>Vedi come già trema, e come gira</p>
-<p>Gli sguardi tralunati e semispenti.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Che aspetti dunque? Di parole vane</p>
-<p>Non è più tempo! Salvalo, per Dio!</p>
-<p>Prova! Tenta! non hai viscere umane?</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">No, no, perdona! io son pazzo, lo vedi;</p>
-<p>Ma salva dalla morte il bimbo mio,</p>
-<p>E bacierò l'impronta de' tuoi piedi!</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span>
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Come ha già il volto smorto ed affilato,</p>
-<p>Povero bimbo, povero angioletto!</p>
-<p>Ah per pietà, coprite quel visetto;</p>
-<p>Non lo posso veder così mutato.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Appena appena gli si sente il fiato</p>
-<p>Ed un leggiero tremito nel petto;</p>
-<p>Sembra già morto — ha già mutato aspetto;</p>
-<p>Ha chiuso gli occhi — è immobile — è diacciato!</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Dottore! Amica mia! Ma dunque è vero!</p>
-<p>Egli morrà! Lo porteranno via!</p>
-<p>Porteranno il mio bimbo al cimitero!</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Il mio bimbo! il mio cor! Ma rispondete!</p>
-<p>Dite che è un sogno della mente mia,</p>
-<p>O mi spezzo la fronte alla parete!</p>
-</div>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Che? — C'è speranza ancor ch'egli non mora?</p>
-<p>Non è la tua pietà — dottor — che mente?</p>
-<p>È salvo se fra un'ora si risente?</p>
-<p>Se fra un'ora il suo volto si colora?</p>
-<p><span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span></p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Un'ora! Un'ora eterna! Un'ora ancora</p>
-<p>Per vederlo morir più lentamente!</p>
-<p>Ma prima sarò anch'io morto — o demente,</p>
-<p>O invecchierò di trenta anni in quest'ora.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Ebben — coraggio — starò qui prostrato,</p>
-<p>Muto — aspettando colle braccia in croce</p>
-<p>Che il mio povero bimbo sia spirato.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Ed aspetta anche tu — cara — pregando;</p>
-<p>Non alzar contro Dio l'incauta voce....</p>
-<p>Inginocchiati qui.... te lo comando!</p>
-</div>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Pietà, tremendo Iddio! Pietà, Signore!</p>
-<p>Nel santo nome della madre mia.</p>
-<p>Pietà del mio bambino in agonia,</p>
-<p>Non rapite quest'angelo al mio core.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Io redento dal pianto e dal dolore</p>
-<p>Vivrò una vita santa, umile e pia,</p>
-<p>E non avrò più senso che non sia</p>
-<p>Bontà, dolcezza, pentimento, amore.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">E se è fermo nel Vostro alto consiglio</p>
-<p>Ch'egli debba morir — ch'io non intenda</p>
-<p>La voce che dirà: — non hai più figlio!</p>
-<p><span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span></p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Datemi, eterno Iddio, questo conforto;</p>
-<p>Ch'io non la senta la parola orrenda;</p>
-<p>Ch'io resti prima o forsennato o morto.</p>
-</div>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Povero core! Povero bambino!</p>
-<p>Era un angiolo d'anima e d'aspetto;</p>
-<p>Pareva un fiore — e qualche riccioletto</p>
-<p>Gli usciva già di sotto al cuffiettino.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">La notte, lo cullavo — e sul mattino</p>
-<p>Venia — nudo e ridente — nel mio letto,</p>
-<p>E sgambettando mi puntava al petto</p>
-<p>E contro il volto il suo rosso piedino.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Ed ogni sera — in lui rapito — chino</p>
-<p>Teneramente sul suo bianco nido</p>
-<p>Gli coprivo di baci il corpicino;</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">E in mezzo ai baci mi fuggía dal core</p>
-<p>Un gemito, un singhiozzo, un riso, un grido,</p>
-<p>E cadevo in ginocchio ebbro d'amore.</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">Addio, mia bella visïon fuggita,</p>
-<p>Bel sogno mio svanito sull'aurora,</p>
-<p>Larva adorata che brillasti un'ora</p>
-<p>Sul deserto cammin della mia vita!</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Non tutta ancor l'anima mia smarrita</p>
-<p>Può intendere il dolor che la divora;</p>
-<p>Ancor vaneggio; — non lo sento ancora</p>
-<p>Tutto lo strazio della mia ferita.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Avrò per sempre il mio bimbo morente</p>
-<p>Dinanzi agli occhi — ed il mio labbro muto</p>
-<p>Cercherà la sua fronte eternamente.</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Arte, fede, avvenir, gloria, fortuna,</p>
-<p>Speranze, gioventù — tutto è perduto;</p>
-<p>Tutto è morto e sepolto in questa cuna.</p>
-</div>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<div class="poem">
-<p class="i2">No! non lo credo! Tu m'inganni! Giura</p>
-<p>Che dici il vero! Per pietà, dottore,</p>
-<p>Non lacerarmi un'altra volta il core,</p>
-<p>Non ti far gioco della mia sventura!</p>
-<p><span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span></p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">È uno scherno crudel della natura!</p>
-<p>È un vano inganno! È un sogno mentitore!</p>
-<p>È salvo? Vive? Vive ancor? Non muore?</p>
-<p>Ah! la povera mia mente s'oscura!</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Indietro tutti — via da me — lasciate</p>
-<p>Ch'io profonda sul mio santo angioletto</p>
-<p>Questa piena di lacrime infocate!</p>
-<div class="stanza"></div>
-<p class="i2">Ride! Parla! Mi guarda! Eterno Iddio,</p>
-<p>Che il grande nome tuo sia benedetto!</p>
-<p>Mio figlio è salvo — l'universo è mio!</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-</p>
-
-<h2 id="ruffini">GIOVANNI RUFFINI</h2>
-</div>
-
-<p>
-Un giorno, a Parigi, ricevetti una lettera con questo
-poscritto: — «Se non lo sa, le annunzio che il
-Ruffini, l'autore del <i>Dottore Antonio</i> e del <i>Lorenzo
-Benoni</i>, sta in via Boulogne, numero trentasei.»
-</p>
-
-<p>
-Vi sono molti che pure desiderando vivamente di
-conoscer di persona un uomo illustre che amano ed
-ammirano, per nulla al mondo andrebbero a bussare
-alla sua porta senz'essere accompagnati da un conoscente
-comune, o avere in tasca una lettera di
-raccomandazione, o essere stati assicurati in mille
-modi che possono presentarsi senza timore di parere
-impertinenti. Per me, quando ho un desiderio
-di questa natura, trovo che la maniera più naturale
-e più dignitosa di soddisfarlo, è quella di andar per
-la via più corta a casa del personaggio, e dire alla
-cameriera che viene ad aprire: — Abbia la bontà
-di annunziare al padrone che il tale dei tali ha un
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-vivissimo desiderio di vederlo. — Non mi conosce?
-che importa? O che vado là per far ammirar me, e
-non per ammirar lui? Ma potrebbe supporre che vi
-abbia condotto a casa sua una curiosità volgare, o
-l'ambizioncina di dire poi che l'avete conosciuto.
-Ma che! Se è un uomo d'ingegno deve aver l'occhio
-fino e conoscere gli uomini: gli basterà guardarmi
-in viso e sentire il suono d'una mia parola, per
-capire che il cuore che mi batte, ch'egli mi fece del
-bene, che ho della gratitudine per lui, e che v'è più
-rispetto e più amore in quella mia risoluzione di farmi
-innanzi così alla bella libera, che in tutte le esitazioni
-e in tutti gli scrupoli degli ammiratori timidissimi.
-</p>
-
-<p>
-Andando per via Clichy verso via Boulogne,
-pensavo al <i>Dottore Antonio</i>, che avevo letto cinque
-anni innanzi, di primavera, all'uscire di una grave
-malattia. Pei libri che si lessero la prima volta in
-tempo di convalescenza, quando pare di esser rinati
-a un'altra vita, e stando ancora in letto più per
-prudenza che per bisogno, si guarda colla curiosità
-d'un prigoniero quel po' di cielo azzurro che appare
-dalla finestra, e quella ciocca di verde che spunta
-sul terrazzino della casa dirimpetto; pei libri che si
-lessero in quei giorni, qualunque essi sieno, si nutre
-un sentimento particolare di gratitudine. Se poi
-son libri che facciano amare soavemente quella vita
-<span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span>
-che si è temuto di perdere, e desiderare con ardore
-quel lavoro che ci fu tanto doloroso di smettere, e
-ammirare con entusiasmo quella natura varia e bellissima
-che le quattro pareti della nostra stanza ci
-hanno nascosta per tanto tempo; se son libri, in
-una parola, che aggiungano una nota dolcissima
-all'inno di gratitudine che si alza dal nostro cuore
-verso tutto quello che è intorno noi e sopra di noi,
-come se ogni cosa si rallegrasse della nostra salvezza,
-e ci animasse a rimetterci in cammino con
-coraggio; allora quei libri diventano amici di tutta
-la vita, e il nome di chi li scrisse ci resta nell'anima
-come il nome di un benefattore.
-</p>
-
-<p>
-Entrando in via di Boulogne mi ricordai delle affettuose
-parole colle quali un amico mio mi espresse
-un giorno l'impressione che aveva ricevuta dai romanzi
-del Ruffini. — È uno di quelli scrittori, ai
-quali, dopo letto l'ultima pagina d'un loro libro, domandereste
-un consiglio per pigliar moglie, confidereste
-una vostra sorella per un viaggio, rimettereste
-nelle mani denari, memorie secrete, lettere
-intime, ogni cosa.
-</p>
-
-<p>
-Tirai il campanello, mi aperse una vecchia cameriera. — C'è? — C'è. — Abbia
-la bontà di dirgli
-che il tale dei tali ha un vivissimo desiderio di vederlo. — Scomparve,
-e tornò di lì a un minuto a
-dirmi ch'entrassi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-</p>
-
-<p>
-Entrai in una cameretta modesta — lo vidi — aveva
-capito — mi venne incontro sorridendo — balbettai
-qualche parola — sedemmo.
-</p>
-
-<p>
-I primi momenti in cui si trovano l'uno di fronte
-all'altro un uomo illustre e uno sconosciuto che è
-stato spinto verso di lui da un sentimento di ammirazione
-e di affetto, passano quasi sempre in silenzio,
-poichè il visitatore, lì per lì, è occupato suo
-malgrado a fare un raffronto tra la persona che ha
-dinanzi e quella che si raffigurava; e l'uomo illustre,
-dal canto suo, indovinando quel raffronto, per
-quanto sia superiore ad ogni sentimento di vanità,
-rimane sospeso nell'atto di cercar negli occhi dell'ammiratore
-l'impressione che la sua persona gli
-produce. Fuor che nei momenti dell'inspirazione, il
-viso di uno scrittore o d'un artista non riflette mai
-così limpidamente la bellezza dell'ingegno e del cuore.
-Vi si vede una soddisfazione serena, mista a un non
-so qual leggiero turbamento di pudore virile, che
-farebbe parer bello anche un viso non bello, e desterebbe
-un moto di simpatia anche in un'anima
-dalla quale fosse svaporata ogni freschezza di sentimenti
-gentili.
-</p>
-
-<p>
-Il Ruffini ha l'aspetto d'un buon padre di famiglia;
-uno di quei bei volti aperti e soavi, che in
-questi tempi, come dicono coloro che hanno per intercalare
-<i>il mondo peggiora</i>, non si vedono più;
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-una di quelle fisonomie che ricordano certi grandi
-ritratti che ornan le sale delle case patrizie. Così a
-occhio si direbbe che ha una sessantina d'anni; e
-godo di poter aggiungere che ha l'apparenza d'un
-uomo destinato a sbarcarne altri sessanta. Però malgrado
-il suo aspetto pacato, s'indovina da certi moti
-risentiti delle labbra e da certi suoni profondi della
-voce, che la sua vita deve essere stata agitata da
-passioni vigorose e afflitta da qualche grande dolore.
-Come nelle pagine del <i>Dottor Antonio</i>, così
-sul suo viso, nel suo accento, nei suoi discorsi vi è
-qualche cosa di melanconico. Ma è una melanconia
-temperata di tanta benignità e di tanta dolcezza,
-che non se ne sente punto l'amaro. Ha poi una semplicità
-infantile di modi e di linguaggio, che vi fa
-parere d'essergli sempre vissuti insieme, e una maniera
-di guardarvi e d'interrogarvi come se foste
-voi in casa vostra, ed egli ci fosse venuto, mosso
-dallo stesso sentimento che condusse voi a casa sua.
-</p>
-
-<p>
-Alle prime parole che gl'intesi dire fui meravigliato
-che non avesse perduto l'accento genovese
-dopo tanti anni che vive lontano dal suo paese. È
-nato a Taggia, vicino a San Remo, su quella beata
-riviera ligure che egli dipinse con una meravigliosa
-freschezza di colori nel suo secondo romanzo. Si sa
-che nel 1848 i suoi concittadini lo mandarono al
-Parlamento piemontese, e che lo rielessero non è
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-molto, benchè egli dichiarasse che non avrebbe accettato
-il mandato, come in fatti non l'accettò, <i>per
-non spellar la mano nei ferri dell'altrui bottega</i>.
-Ora vive un po' a Londra, un po' in Isvizzera e un
-po' a Parigi; ma più lungamente a Parigi, dove ha
-molti amici e molti ricordi. È stato gravemente
-malato or fa un anno, credo appunto in Parigi, e
-non s'è ancora rimesso affatto dalla malattia; ma
-la sua è una convalescenza colla quale molti uomini di
-pari età vorrebbero poter cangiare la propria salute.
-</p>
-
-<p>
-Gli feci quella solita dimanda, che per gli uomini
-come lui dev'essere importuna come una mosca,
-tanto spesso e da tanti se la senton fare! ma che
-pure è naturalissima, e scappa dalla bocca prima
-che si sia pensato a mandarla fuori: — E ora che
-sta facendo?
-</p>
-
-<p>
-— Non faccio nulla — rispose — perchè non ho
-niente da dire.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Risposta semplicissima che chiude una profonda
-sentenza: — Scrivere quando si ha bisogno di scrivere, — o
-come diceva il Manzoni — aspettare che
-la musa ci venga a cercare, e non iscalmanarsi a
-correr dietro alla musa. — E poi soggiunse per
-chiarir meglio il suo pensiero:
-</p>
-
-<p>
-— Ognuno non ha che una certa quantità di roba
-nel sacco, e quando il sacco s'è vuotato, se si vuol
-continuare a dare, non si dan più che parole&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gli domandai se nei soggetti de' suoi romanzi ci
-fosse il fondamento d'un qualche fatto vero e n'ebbi
-la risposta che m'aspettavo. Egli ha conosciuto quasi
-tutti i suoi personaggi, ha raccontato i loro casi, s'è
-servito delle loro parole. Di qui l'efficacissimo colore
-di verità che brilla nei suoi racconti, i dialoghi
-che par di sentire piuttosto che di leggere, e i personaggi
-che, a libro chiuso, si confondono nella memoria
-del lettore con gente vera ch'egli conobbe in
-altri tempi, così che alle volte gli bisogna quasi
-fare un atto di riflessione per separare le persone
-dalle larve. Dio sa quante cose gli avrei domandato
-intorno ai suoi libri, ai suoi studî e alla sua vita
-se non me ne avesse trattenuto il timore che egli,
-osservatore sottile, mi leggesse negli occhi il proposito
-segreto di spiattellare in una gazzetta tutto
-quello che gli usciva dalla bocca. E perciò fui costretto
-a lasciar cascare la conversazione sull'interpellanza
-contro il decreto del prefetto di Lione e
-sulla discussione intorno all'ordine della Legion di
-Onore. Il Ruffini conosce la Francia <i>intus et in cute</i>,
-e spiega, parlando di politica, quell'accorgimento
-fino e quel buon senso rettissimo, col quale suol
-giudicare gli uomini e le cose nei suoi romanzi;
-ma pure non mi potei trattenere dall'interrompere
-quei suoi discorsi per ricondurlo a parlare di sè, e
-cogliendo a volo tutti gli appicchi ch'egli diede involontariamente
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-alle mie interrogazioni indiscrete,
-riuscii a raccapezzare qualcosa.
-</p>
-
-<p>
-Come abbia cominciato la sua vita letteraria, i
-più, credo, lo sanno. Emigrò giovanissimo, andò a
-Londra, e trovandosi corto a denari, dovette pensare
-a guadagnarsi la vita col lavoro. Prima d'allora non
-avea scritto altro che articoli per gazzette, e benchè
-si sentisse dentro quella <i>certa smania inesplicabile</i>
-che agitava l'anima del Giusti prima che si
-fosse rivelato a sè stesso, non aveva mai sognato
-di salire un giorno su per la sterminata scala dell'arte
-fino all'altezza a cui è salito. Gli venne in
-mente di scrivere un libro — che fu poi il <i>Lorenzo
-Benoni</i> — per far conoscere in Inghilterra quel periodo
-importantissimo della vita italiana, e destar
-così un sentimento di simpatia per il suo paese
-«che allora aveva bisogno di tutti.» Manifestò il
-suo disegno ad alcuni amici che lo approvarono, e
-trattò della pubblicazione coll'editore d'un giornale,
-che lo esortò a scrivere i primi capitoli, i quali sarebbero
-stati stampati subito per tastare l'opinione
-pubblica, e o smettere a tempo o tirare innanzi di
-buono. Il Ruffini scrisse le prime cento pagine e gliele
-portò; ma l'editore non fu soddisfatto, e cangiato avviso,
-volle vedere il lavoro finito prima di cominciarne
-la stampa. Allora il Ruffini si perdette d'animo,
-buttò in un canto il suo manoscritto e si dedicò ad
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-altre cose. Qualche tempo dopo, essendo andato a
-Parigi e avendo dato a leggere quel poco che aveva
-fatto ad una colta ed arguta signora, che gliene fece
-caldissime lodi, e lo spronò vigorosamente a scrivere,
-riprese animo, si rimise al lavoro, lo condusse a fine,
-e mandò il romanzo con una lettera di raccomandazione
-di suo fratello, a un editore di Edimburgo, il
-quale approvò, stampò e ricompensò l'autore con
-cento lire sterline: non sperata fortuna! che fu, come
-tutti sanno, il primo anello d'una catena d'oro. Il <i>Lorenzo</i>
-ebbe un successo splendido; la stampa inglese
-incoraggiò l'autore con larghissime lodi; lo stesso
-Mazzini, benchè in quel libro ci fosse qualche nota
-stridente per un orecchio repubblicano, gli espresse
-per lettera la sua ammirazione; la fama del Ruffini
-fu assicurata. Poi venne il <i>Dottor Antonio</i>, e dopo
-il <i>Dottor Antonio</i>, tutti gli altri gioielli smaglianti
-di limpidissima luce.
-</p>
-
-<p>
-Come ha potuto il Ruffini ridursi in grado di scrivere
-in inglese, per quanto si assicura, puro, facile
-ed elegante, in così breve tempo, poichè egli medesimo
-dice che quando andò in Inghilterra non conosceva
-che pochissimo la lingua? Voglio che un
-ingegno potente divini, in gran parte, il linguaggio
-del quale ha bisogno per rivelarsi ed espandersi; ma
-quanto deve aver faticato in quelle prime lotte del
-pensiero colla parola, così lunghe e difficili anche per
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-chi scrive nella lingua che gli è famigliare dall'infanzia,
-egli che doveva scrivere in una lingua
-straniera, e tanto diversa dalla sua! Io credo che
-quando va a Londra, non dimentichi mai di visitare
-quella stanzina al quarto piano, nella quale vegliò
-le prime notti, colla mente affollata di pensieri e
-d'immagini che non trovavan l'uscita, e il cuore
-gonfio d'affetti che prorompevano in lagrime prima
-che in parole! Chi avesse potuto in quei momenti
-susurrargli nell'orecchio con uno di quegli accenti
-di voce sovrumana che annunziano il futuro agli
-eroi delle leggende: — Tu sarai ricco, celebre ed
-amato in questo paese, nel tuo, in molti altri, per
-una lunga vita e dopo la vita!
-</p>
-
-<p>
-È facile avvedersi da qualche parola buttata qua
-e là che il Ruffini si dà pensiero del rimprovero
-che molti gli potrebbero fare, che qualcuno gli fece,
-d'aver scritto in inglese invece che in italiano. Per
-me credo che non occorra nemmeno discolparlo. Per
-potergli fare un carico d'aver scritto in inglese,
-bisognerebbe potergli anche scrivere a colpa di aver
-emigrato, d'esser andato a Londra, di essersi trovato
-nella strettezza, di aver avuto bisogno di farsi
-capire dalla gente da cui voleva farsi leggere. D'altra
-parte i suoi libri, benchè scritti in inglese, sono
-tanto italiani e per soggetto e per sentimento e per
-scopo, che si può quasi affermare che appartengono
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-alla letteratura italiana più che alla letteratura inglese.
-Scritti in italiano, non si sarebbero certamente
-diffusi quanto si diffusero, e non avrebbero
-ottenuto in egual misura lo scopo che l'autore si
-propose: — di far conoscere ed amare l'Italia fuori
-d'Italia. — Il Ruffini ha fatto una buona azione in
-inglese; e una buona azione è sempre una buona azione
-in qualunque forma la si faccia; e il nostro amor
-proprio nazionale non è punto meno solleticato da che
-gl'Inglesi ci dicano: — Alcuni dei nostri più cari romanzi
-sono d'un Italiano; — che dal poter dir noi: — abbiamo
-un Italiano che scrisse alcuni romanzi
-degni di stare accanto ai più cari romanzi inglesi.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-I romanzi del Ruffini furono tradotti in molte lingue.
-Mi parlò egli stesso di una traduzione tedesca
-che si fece mesi sono, e da quanto mi parve di
-capire, tutte queste traduzioni gli fruttarono qualche
-cosa, — eccettuate le traduzioni italiane — dalle
-quali non gli venne il bellissimo nulla. Non lo disse,
-ma credo di poterlo affermare; e mi spiace di poterlo
-affermare. Eppure i libri del Ruffini furono e
-sono tuttora molto letti in Italia. Dal che si può
-tirare una conseguenza che non è onorevole per il
-commercio letterario italiano.
-</p>
-
-<p>
-S'informò delle condizioni della nostra stampa
-letteraria e mi domandò che vita possa menare fra
-noi uno scrittore al quale non manchi il favore
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-pubblico. Gli risposi che in Italia, uno scrittore al
-quale il pubblico sia favorevolissimo, può oramai
-considerarsi quasi sicuro di non morir di fame,
-purchè lavori il doppio di quello che dovrebbe per
-rispetto all'arte sua e per riguardo alla propria salute,
-e purchè i suoi libri abbiano una straordinaria
-diffusione. E siccome mi nominò uno scrittore giovane,
-autore di alcuni romanzi dei quali si fecero
-parecchie edizioni, gli avrei voluto far sapere che
-appunto quello scrittore, che pure si può annoverare
-tra i più fortunati del giorno, può scrivere ogni sera
-qualche pagina di romanzo, perchè lungo il giorno ne
-scrive molte, e Dio sa che camiciate gli costano, sul
-corso forzoso, sulle imposte comunali e sui progetti
-di strade ferrate. E gliene avrei potuto nominare un
-altro, morto giovane, ch'era pieno d'ingegno e d'affetto,
-e operosissimo, e i cui libri si leggevano avidamente,
-e che pure, non molto tempo prima di morire,
-si trovava ridotto a desinare di castagne secche.
-E gli avrei potuto anche dire d'un uomo illustre,
-vivente, autore di alcune opere note anche fuori
-d'Italia, che per reggersi ritto, scrive ogni giorno
-una lettera politica a un giornale di provincia, che
-manda cento lire al mese a un amico suo, il quale
-si fa passare per corrispondente, e rimette i denari
-a lui, che salva così il pudore della povertà. Il Ruffini
-che s'è fatto una piccola fortuna con quattro
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-novelle, avrebbe sorriso se gli avessi detto queste
-cose. Certo che si può obbiettare: — Scrivete delle
-novelle come le sue. — Ma tra farsi una fortuna e
-campare, ci corre più che tra le novelle del Ruffini
-e gli scritti di coloro che ho accennati, benchè ci corra
-moltissimo. E non dico questo per cavarne un'accusa
-contro l'Italia; ma per dire le cose come sono.
-</p>
-
-<p>
-Non so quanto tempo io sia rimasto con quel caro
-uomo, — medico di anime e fattore di galantuomini, — cogli
-occhi fissi nei suoi e colla mente tesa
-per cogliere ogni suo pensiero e impadronirmi di
-ogni sua parola. E mi pareva di vedere intorno a
-lui, come un corteo, tutti i gentili fantasmi che ci
-fece amare nei suoi libri, e lontano, in fondo al
-quadro che mi rappresentavo colla fantasia, quella
-bella marina ligure, quel bel cielo, quel lido verde
-e queto, ch'egli ci fece parere più bello e ci rese
-più caro. E udendolo parlare italiano così un po'
-lentamente e con qualche giro di frase straniera, e
-pensando ai lunghi anni ch'egli visse fuori della sua
-patria, e al suo soggiorno in Francia, e ai suoi viaggi
-in Isvizzera e in Inghilterra, che lo allontanano da
-noi, provavo come un senso di mestizia, e gli avrei
-voluto dire quello che ora scrivo, non per chi leggerà,
-ma proprio per lui: — Tornate fra noi, caro
-amico, che se non abbiamo potuto agevolare i primi
-passi che faceste sulla nobile via delle lettere, nè
-<span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span>
-raccoglier di prima mano i fiori di cui l'avete cosparsa,
-v'abbiamo però accompagnato da lontano
-con un sentimento d'orgoglio, misto di rammarico
-e di desiderio. Tornate fra noi perchè abbiamo bisogno
-d'una persona cara e venerabile, sulla quale
-versare una parte dell'affetto che avevamo accumulato
-sul capo di quel vecchio illustre, del quale voi
-avete la bell'anima, e se non pari gloria, la stessa
-gloria: quella di aver fatto del bene.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Uscendo di casa sua, mi accorsi che per la prima
-volta, dopo due mesi che stavo a Parigi, mi sentivo
-libero da un certo stordimento, da un turbinio di
-desiderî, da non so che tumulto del cuore e della
-testa, che non mi lasciava ben avere, nè lavorare,
-nè pensare, come se ogni giorno fosse il giorno dell'arrivo,
-e che a volte mi prostrava in uno sgomento
-da non potersi esprimere, come di chi credesse
-d'esser diventato tutt'ad un tratto povero,
-stupido, nullo, e che tutti, incontrandolo, dovessero
-sentir compassione di lui. Il Ruffini mi guarì da
-questa malattia. Dopo di allora non l'ho più visto.
-Se gli cadranno sott'occhio queste pagine, pensi che
-i medici debbono tollerare le piccole indiscretezze dei
-malati — accetti la, mia pubblica professione di gratitudine, — sorrida, — e
-mi perdoni.
-</p>
-
-<p class="indl">
-1873.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span>
-</p>
-
-<h2 id="amore">L'AMORE DEI LIBRI</h2>
-</div>
-
-<p>
-Un tale, tempo fa, scrisse contro la pessima abitudine
-di moltissimi italiani, i quali benchè siano
-dediti alla lettura e possano spendere, non comprano
-mai un libro.
-</p>
-
-<p>
-Le cagioni di quest'abitudine di non comprare, o
-meglio, di questa mancanza dell'abitudine di comprare,
-son molte; ma le principali mi paion queste:
-che <i>la libreria</i> non è ancora considerata come
-un <i>mobile</i> necessario al decoro della casa, che il
-libro non è ancora capito come oggetto d'ornamento,
-che si ama la lettura, infine, ma che non si ama
-ancora il libro.
-</p>
-
-<p>
-Io credo infatti che di tutti i mobili quello che
-si vende meno in Italia sia lo scaffale.
-</p>
-
-<p>
-Moltissimi non capiscono in nessuna maniera come
-<span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span>
-e perchè si abbia da conservare un libro dopo che
-si è letto.
-</p>
-
-<p>
-Ogni momento, dai librai, occorre di sentir dire
-a qualcuno: — leggerei volontieri questo libro. — Gli
-domandano perchè non lo compra. — Perchè
-non lo compro? — risponde l'interrogato. — E che
-vuol che ne faccia quando l'abbia letto? — Per costoro
-un libro letto non essendo più che un ingombro,
-hanno ragione di non voler spender denari per empirsi
-la casa di carta sudicia. Entrate nelle case. Nella
-maggior parte vedete delle raccolte di conchiglie,
-d'uova, di pietruzze, di francobolli esteri, persino di
-scatoline di fiammiferi; ma non ci vedete una raccolta
-di libri. In ogni parte c'è qualche cosa che vi
-rammenta che la famiglia mangia, gioca, dorme, suona;
-nulla che vi rammenti che legge. È gala se vedete
-sparsi qua e là pei tavolini e pei cassetti una
-ventina di volumi, un terzo dei quali appartengono
-al ragazzo che va a scuola e quattro o cinque a un
-gabinetto di lettura. I pochi che rimangono, — la
-sola proprietà libraria della casa, — son laceri e
-scuciti e hanno i primi fogli coperti di cifre e di
-fantocci. Se ne servono per smorzare la candela,
-per accendere il fuoco, per fornire di carta le parti
-della casa dove è bene che ci sia sempre carta. — Perchè
-stracciate questo libro? domandate. — Oh
-bella! — rispondono — se l'abbiamo già letto e riletto
-tatti!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span>
-</p>
-
-<p>
-Una casa senza libreria è una casa senza dignità, — ha
-qualcosa della locanda, — è come una città
-senza librai, — un villaggio senza scuole, — una
-lettera senza ortografia.
-</p>
-
-<p>
-Quanto è bella una biblioteca! Quante cose ci
-vede e quanto piacere ne può ricavare anche chi
-legge per puro spasso, se appena ha un po' di sentimento
-e d'immaginazione!
-</p>
-
-<p>
-I più mirabili frutti dell'ingegno umano son qui,
-raccolti in un piccolo spazio, sotto la mia mano.
-Frutti d'ispirazioni divine, frutti di meditazioni e
-di studi che segnarono di rughe precoci le più nobili
-fronti umane, frutti delle più splendide fantasie
-dell'universo, son qui ridotti nella forma di piccoli
-parallelepipedi, imprigionati fra quattro assicelle,
-divisi per tempi, per paese, per lingua, per materia,
-per dignità, numerati e schierati come un esercito.
-Uno scompartimento mi apre i secoli passati, un
-altro mi trasporta nei paesi lontani, questo mi tocca
-il cuore, quello mi stimola la vena del riso, un terzo
-mi fa sognare, un quarto mi fa pensare e un quinto
-mi fa piangere. Io posso scegliere secondo il mio
-umore; è una farmacia morale; vi sono gli scompartimenti
-per i giorni foschi, quelli per i giorni
-sereni, quelli per i giorni di fiaccona, quelli per i
-giorni in cui mi piglia la furia del lavoro. E alla
-varietà delle materie corrisponde la varietà degli
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-aspetti. Vi sono i colossi, — vocabolari e grandi
-opere illustrate, — che formano quasi l'ossatura di
-questo piccolo mondo. Vi sono file compatte di volumi
-tarchiati, di color oscuro, — vecchie edizioni
-economiche di opere classiche, — modeste all'aspetto,
-ma piene di <i>vital nutrimento</i>, come nel mondo reale
-gli uomini di vero merito. Sotto questi, l'aristocrazia
-delle legature, la classe privilegiata della biblioteca,
-rivestita di pelli luccicanti e rabescata di
-fregi d'oro. Poi la gioventù elegante e gaia: il roseo
-del Lemonnier, il turchinetto del Barbera, il rosso
-aranciato dell'Hachette, il giallo chiaro del Levy,
-cento colori di cento edizioni civettuole, che fanno
-a chi più tira gli sguardi. Poi daccapo lunghe file
-di volumetti uniformi e poveri, che sono come il
-popolo minuto della biblioteca, guardato con indifferenza
-e trattato con pochi riguardi. Più sotto le
-edizioncine diamante, genterella irrequieta, che va
-e viene dalla città alla campagna, per strada ferrata
-e in carrozza, dalla tasca alla valigia, dalla valigia
-al tavolino da notte, e si contenta dei ritagli della
-nostra giornata. In questa folla abbiamo le nostre
-simpatie, i vecchi amici, gli amici di ieri, i maestri,
-i benefattori, i cattivi consiglieri, i capi scarichi,
-le anime perdute, i rigoristi, i seccanti, i buffoni, i
-parassiti, i predicatori, i mettimale, i consolatori. E
-in fondo finalmente, al pian terreno, quattro dita
-<span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span>
-sopra il pavimento, il cimitero, dove sono ammontati
-alla rinfusa, sbrandellati e coperti di polvere,
-libretti ed opuscoletti d'ogni forma e d'ogni colore,
-che vissero un giorno od un'ora nella nostra mente:
-stravizi dello spirito, come dice il Guerrazzi; segatura
-dell'ingegno umano: poesie di nozze, primi
-saggi di poeti falliti, romanzi rachitici, almanacchi,
-libelli, imitazioni, plagi, capricci, corbellerie, cenci
-e cocci della letteratura, destinati al banco del tabaccaio
-alla cesta dello spazzino.
-</p>
-
-<p>
-L'amore dei libri, crescendo a poco a poco, finisce
-poi col diventare un sentimento affatto distinto
-dall'amore della lettura, e fonte, per sè solo, di
-mille piaceri vivissimi, piaceri della vista, del tatto,
-dell'odorato. Certi libri, si gode a palparli, a lisciarli,
-a sfogliarli, a fiutarli. L'odore della stampa
-fresca dà dei fremiti di voluttà. A occhi chiusi, fiutando,
-si riconosce se un libro è antico, o soltanto
-vecchio, o recente, o recentissimo. Certi colorini di
-certe edizioni innamorano, e s'incapriccisce per
-certi sesti e certi frontispizî, come per certi corpicini
-e certi visetti. Si prova veramente per i libri
-piccoli e graziosi un sentimento di sollecitudine
-più gentile, che pei libri grossi, e a sollevare con
-uno sforzo certi libroni si ride d'una compiacenza
-che non saprei definire; ma che è tutt'altra da quella
-che si sente sollevando qualunque altro peso. Si gode
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-disponendo i proprî libri in un nuovo ordine, che
-formi una nuova combinazione di colori; si lavora
-di mosaico; si fa ogni giorno un cambiamento; una
-biblioteca anche piccola da lavorare; c'è da colmare
-le lacune, da barattare le edizioni, da ricevere
-i nuovi venuti, da congedare quei che partono,
-da curare quei che soffrono, da ristorare quei che
-invecchiano, da far la corte a quei che splendono;
-è insomma un piccolo Stato da governare, nel quale
-si provano tutti i piaceri, tutti gli sconforti, tutte
-le invidie ed anche tutte le gloriole d'un piccolo
-re, che non potendo allargare i suoi confini quanto
-vorrebbe, si diverte e si consola rimestando continuamente
-quel po' che possiede.
-</p>
-
-<p>
-È un grande errore quello di credere che s'impari
-ugualmente dai libri che si possedono e da
-quelli che si pigliano a prestito. Un libro non fa
-tutto il pro che può fare se non è cosa nostra. Bisogna
-poter logorarselo, sottolinearselo, farvi dei
-punti d'esclamazione, piegare le pagine, segnarne
-i margini colle nostre unghie. Un libro che non fa
-che passarci per casa, non lascia traccia profonda.
-E poi, che differenza! Se lo avete in casa, lo leggete
-e lo rileggete appunto nei casi in cui siete
-meglio disposti a riceverne un'impressione viva ed
-utile, perchè ciò che vi fa cercar quella lettura
-piuttosto che un'altra, è una disposizione particolare
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-dell'animo, la quale se doveste cercare il libro
-altrove, sarebbe forse già mutata prima che il libro
-fosse nelle vostre mani.
-</p>
-
-<p>
-Quanto è grande l'efficacia d'una biblioteca sull'educazione
-dei ragazzi! Il destino di molti uomini
-dipese dall'esserci o non esserci stata una biblioteca
-nella loro casa paterna. L'aver avuto sotto
-mano, a tutte le ore del giorno, il modo di soddisfare
-le prime curiosità infantili, d'ingannare sfogliando
-libri la noia delle giornate piovose, gettò
-in molti cervelli i primi germi d'un amore allo
-studio che divenne col tempo passione ardente per
-la scienza e fecondò precocemente certe facoltà dell'ingegno
-che lo studio obbligato e circoscritto della
-scuola avrebbe lasciate inerti. E lasciando pure da
-parte i grandi effetti, è bene ispirare all'infanzia il
-culto dei libri, anche prima dell'amore della lettura.
-È ben per il bambino che ci sia un angolo
-della casa, dove è eretto quasi un altare allo studio
-e al sapere, al quale, senza comprenderne ancora
-la ragione, egli vede dai suoi parenti usar
-certe cure e testimoniare un certo rispetto; una
-stanza silenziosa, dove di tratto in tratto egli vede
-qualcuno immobile e serio; un luogo consacrato al
-pensiero come ce n'è uno consacrato alla mensa,
-uno al lavoro, uno al riposo. E da giovinetto, leggerà
-con un piacere particolare quei libri che gli
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-son famigliari all'occhio fin dell'infanzia, che ha
-veduto mille volte ordinare, pulire, accarezzare dai
-suoi genitori; che avevano già per lui, ciascuno
-secondo la sua forma e il suo colore, un significato
-fantastico, prima che conoscesse l'alfabeto. Certo ci
-dev'essere una differenza tra il giovinetto che fin
-dai suoi primi anni ha veduto la sua famiglia conservare
-e rispettare religiosamente i libri, e quello
-che l'ha veduta vivere di brigantaggio librario e
-fare dei libri letti quello che si fa delle scarpe vecchie
-e degli abiti smessi.
-</p>
-
-<p>
-E poi! che c'è che ravvivi più intimamente e
-più dolcemente nel cuore del figliuolo la famiglia o
-lontana o dispersa, i genitori morti, l'infanzia, l'affetto
-e le cure di cui fu circondato? I libri che portano
-il nome del padre, ch'egli stesso mise nelle
-sue mani, di cui parlò con lui, gli ricordano le sue
-letture predilette, i suoi giudizî, le sue opinioni,
-mille sfumature della sua indole. Su certi libri gli
-par di vedere, al lume della candela, chinarsi quegli
-occhiali luccicanti e quella barba bianca. Altri gli
-rammentano la famiglia seduta in cerchio, intenta
-alla lettura d'un solo; atteggiamenti di persone
-care, esclamazioni e risa allegre o singhiozzi mal
-soffocati delle sorelle piccine, che pure gli sarebbero
-già fuggiti dalla memoria da lungo tempo. Il
-figliuolo di chi amò i libri, amerà i libri, e non
-<span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span>
-sarà mai un'anima affatto volgare quella in cui rimarrà
-questo culto.
-</p>
-
-<p>
-Ah! vediamo di formarci intorno per tempo questa
-corona d'amici muti e fedeli; fabbrichiamoci
-questa pacifica fortezza per ripararvici dentro nei
-giorni in cui saremo assaliti dai dolori della vita.
-Questi giorni vengono, e con essi il bisogno della
-solitudine e del silenzio. Sarà triste allora il non
-aver un angolo della casa dove poter rifugiarsi per
-tentar di dimenticare i vivi confortandosi coi morti!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-</p>
-
-<h2 id="menendez">MANUEL MENENDEZ
-<span class="smaller">(RACCONTO)</span></h2>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-La canzonetta andalusa intitolata <i>Don Manuel
-Menendez</i> è una favola che non ha quasi punto
-che fare col fatto vero, il quale si può sapere soltanto
-dai Sivigliani che conobbero intimamente il personaggio,
-e che son rari, perchè egli partì da Siviglia
-di quattordici anni, quando perdette il padre e la
-madre; non vi tornò che dieci anni dopo, e ne ripartì
-per sempre in capo a pochi mesi. In questo
-breve tempo riempi la città del suo nome. Non
-stava però sempre in città: partiva, tornava, spariva,
-senza che nessuno sapesse nè perchè, nè dove;
-e qualche volta la notizia del suo ritorno giungeva
-<span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span>
-inaspettata ai suoi amici insieme con quella
-d'un colpo di spada ch'egli aveva dato o toccato
-fuori della Porta di Cordova per una quistione di
-donne o di politica. Molti dicevano che aveva un
-ramo di pazzia, e la credevano conseguenza d'una
-cornata nel capo che aveva ricevuto, a tredici anni,
-da un toro <i>novillo</i>, nei giochi domenicali del circo.
-L'aveva ricevuta infatti, e ne portava ancora la
-traccia; ma il suo cervello n'era rimasto illeso.
-Aveva una meravigliosa esuberanza di vita che
-espandeva in amore, in moto, in versi, in lacrime,
-in sangue, senza riuscire a trovar pace; un cuor
-grande, un orgoglio satanico, degl'impeti di rabbia
-in cui si sfracellava una mano contro il muro, una
-forza d'animo da far fremere e il coraggio d'un
-forsennato. Una signora aveva detto di lui uno
-scherzo che gli si attagliava a meraviglia: — Io
-mi son fitta in testa che se nelle comete ci sono
-degli uomini, debbono essere tutti come Manuel
-Menendez. — La sua parola non usciva, esplodeva,
-e pareva sempre che una parte della sua vita fuggisse
-nel suono della sua voce. Quando un <i>torero</i>,
-impaurito, vibrava un colpo da traditore o straziava
-l'animale senza ucciderlo, il più formidabile: — Codardo! — che
-risonasse nel circo di Siviglia,
-era il suo; nel teatro di San Fernando, quando si
-sentiva improvvisamente nel silenzio d'una scena
-<span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span>
-sublime, uno di quei <i>bravo</i> fuggiti dalle viscere, che
-fanno correre un brivido per la platea, nessuno domandava
-di chi fosse: tutti sapevano che era di
-Manuel Menendez. Qualche suo amico diceva ch'egli
-aveva un <i>talento colosal</i>; ma era una pura sballonata
-andalusa. Le sue liriche non erano che un solo
-lungo periodo, un'ondata di parole sonore e d'immagini
-luccicanti, che finiva in un verso inaspettato,
-il quale doveva fare un gran colpo; e tutta la poesia
-era architettata su questo verso, che il più delle
-volte non si capiva. Non si capiva la sua poesia
-come non si capiva la sua vita. Chi lo vedeva a
-mezzanotte attraversare la <i>Halameda de Hercules</i>
-senza cappello; chi lo vedeva uscire all'alba
-da una piccola porta della Cattedrale; chi lo vedeva
-andare e venire tutta una mattinata per la
-famosa strada delle cento svoltate, colla testa bassa,
-come se cercasse uno spillo; nella sua casa, dalla
-strada, di notte, ora si sentiva leggere, ora ridere
-sgangheratamente, una volta spezzare i vetri delle
-finestre, un'altra volta singhiozzare una donna;
-qualunque cosa si raccontasse di lui, fuorchè una
-vigliaccheria, era creduta. Tutta Siviglia lo conosceva.
-La società alta, che bazzicava poco, lo guardava
-di mal occhio un po' per diffidenza e un
-po' per paura; il basso popolo lo rispettava perchè
-aveva salvato un vecchio facchino dalle acque
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-del Guadalquivir; e non v'era forse un ventaglio
-in tutta la città, da quello della Governatrice
-a quello dell'ultima operaia della fabbrica
-di tabacchi, il quale, almeno una volta, fingendo
-di riparar dal sole il viso della sua padrona, non
-avesse lasciato passare tra le sue stecche uno
-sguardo o curioso o provocatore, diretto a quell'indomabile
-scapato; poichè Menendez aveva un bel
-viso d'arabo, contornato da una selva di capelli
-neri, e il suo vestire strano, ma elegante, segnava
-come una maglia le forme vigorose e signorili del
-suo bel corpo di ventiquattr'anni. Così era Menendez,
-e non una specie d'animale selvaggio come lo
-dipinge la canzone popolare, non certo stata fatta
-dal popolo; o così fu almeno fino all'ultimo dì del
-settimo mese del suo soggiorno in Siviglia, che è
-la data del suo gran cangiamento. Il suo amico don
-Hermógenes, che vive ancora, si ricorda di quel
-giorno come di ieri, e assicura che egli presentì
-quel cangiamento fin da quel giorno. — Manuel — gli
-disse — tu sei un uomo sfrenato; codesto non
-è il modo di vivere; tu ti uccidi; tu hai bisogno d'un
-amore potente che ti soggioghi; finora hai sempre
-comandato, ora bisogna che tu obbedisca; bisogna
-che tu trovi un'anima più forte della tua; bisogna
-che tu trovi una dominatrice. — L'ho trovata — rispose
-sorridendo Manuel. — Chi è? — domandò
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-con aria incredula don Hermógenes — Fermina!
-disse Menendez, — Fermina? gridò l'amico; Fermina
-del sobborgo di Triana? Fermina di Granata? Fermina
-la <i>princesa</i>? — Menendez accennò di sì. — Don
-Hermógenes balzò d'un salto alla finestra e
-gridò con voce solenne: — Sivigliani don Manuel
-Menendez è morto!
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Un mese dopo, Manuel Menendez era un altro.
-Tutti i Sivigliani che avevano una testina capricciosa
-da governare, respiravano. Egli non si vedeva
-più nè alla Villa Cristina, nè al Circo, nè al San
-Fernando. Chi l'avesse voluto trovare, avrebbe dovuto
-passare il ponte di ferro, voltare a sinistra,
-andare innanzi lungo il fiume fin quasi all'estremità
-del borgo di Triana, salire al secondo piano
-d'una casa bianca posta in faccia alla Torre d'oro,
-e guardare per il buco della serratura in una cameretta
-modesta, ombreggiata dagli alberi della riva
-destra del Guadalquivir. Egli era là, seduto ai piedi
-della più bella e più strana creatura dinanzi a cui
-si fosse mai curvata la sua fronte di saraceno, e versava
-l'anima in un torrente di parole amorose e
-insensate, ch'essa ascoltava in silenzio, lavorando
-a una corona di fiori — Fermina, — le diceva
-<span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span>
-a bassa voce; — tu sei un mistero. Tu sei una
-creatura d'un altro pianeta. Da che mondo sei venuta?
-Come hai fatto a innamorarti d'un uomo? Io
-giurerei che ci fu un tempo che tu avevi i capelli
-azzurri e le pupille rosse. Perchè non ridi mai? Tu
-mi fai paura. Non sto volentieri solo con te. Tu,
-con quegli occhi, devi veder qualche cosa o qualcheduno
-che io non vedo, e che forse è qui, dietro di
-me, che ti guarda. La tua anima dev'essere un'anima
-trasmigrata, la tua voce dev'essere contraffatta, e
-la tua lingua non è certamente lo spagnuolo. Forse
-se mi parlassi tutt'a un tratto colla tua voce vera
-e colla tua lingua nativa, io rimarrei pietrificato.
-Però son contento d'essere amato da te; il tuo
-amore è un anello che mi congiunge col soprannaturale.
-Dimmi la verità: chi hai amato nell'altra
-vita? Io son geloso d'un abitante di Sirio. — A queste
-parole Fermina con un movimento rapido e vigoroso
-della mano gli sconvolgeva tutti i capelli e
-Menendez metteva un grido d'amore. Poi, a un
-tratto, essa aggrottava le sopracciglia e fissava uno
-sguardo sospettoso sopra un leggiero segno rosso
-del collo di lui. — Che cosa guardi? — domandava il
-giovane meravigliandosi. — Nulla, — rispondeva lei
-rassicurata; — ma.... guardati, Manuel! — E dopo
-qualche momento soggiungeva freddamente: — Io
-andrei a pugnalare una regina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span>
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Fermina era tale veramente da ispirare a chiunque
-la vedesse le bizzarre fantasie che passavano
-pel capo a Menendez; la sua indole, la sua bellezza
-e la sua vita erano ugualmente singolari. Nel sobborgo
-di Triana la chiamavano <i>la princesa</i>; i giovani
-sul serio, le ragazze con ironia; ma queste più
-d'ogni altri sentivano ch'essa meritava veramente
-l'onore di quel soprannome. Era forse la più alta
-ragazza del sobborgo: Menendez, che sarebbe stato
-un bel corazziere della guardia reale, non la passava
-che di mezza la fronte. Il suo occhio nero e
-triste e le larghissime soppracciglia che si toccavano,
-davano al suo viso bruno, d'una struttura
-un po' africana, un'espressione quasi di minaccia;
-la quale si cangiava a un tratto in una ilarità
-dolcissima, appena schiudeva le sue labbra tumide
-e irrequiete. Ma come le diceva Menendez,
-essa non sorrideva che una volta al giorno; e per
-solito teneva gli occhi socchiusi quasi in atto di disprezzo.
-Portava una rosa nei capelli, una mantiglia
-di trina bianca, un busto nero, una veste rosea, e
-due stivaletti di stoffa chiara che stringevano vigorosamente
-il suo piede di bimba e la sua gamba fina
-e nervosa. Era questo il costume invariabile in cui
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-Fermina si mostrava, una volta la settimana, ai
-mille sguardi curiosi, amorosi, rabbiosi, impertinenti,
-procaci, che la saettavano da tutte le parti. Nessuno
-però osava d'accostarsele, nemmeno quando
-era sola, poichè si sapeva che le tre o quattro mani
-audaci che s'erano stese sopra di lei, nella prima
-settimana del suo soggiorno in Siviglia, s'erano tirate
-indietro insanguinate. — O è un angelo — si
-diceva, — o è un mostro; — ma nessuno sapeva
-sicuramente quello che fosse. Si diceva che fosse
-venuta da Granata, si sapeva che stava sola, si
-credeva che vivesse del suo lavoro; e sul resto non
-si facevano che congetture; nè i suoi vicini di casa,
-nè le poche ragazze con cui scambiava un saluto,
-conoscevano i fatti suoi meglio di chi la vedeva
-passare per strada. Essa s'era invaghita di Menendez,
-e Menendez era pazzo d'amore per lei; s'adoravano;
-erano alteri l'un dell'altro; si guardavano
-lungamente, con una attenzione profonda, senza
-sorridere; si temevano; si trattavano qualche volta,
-per eccesso d'amore, con modi violenti e brutali,
-che provocavano lacrime di rabbia dalle due parti,
-e finivano in pioggie di baci ch'eran tocchi di ferro
-rovente e in espansioni di tenerezza da cui rimanevano
-prostrati. Una sola cosa turbava la felicità di
-Menendez: un sentimento vago e intermittente di
-gelosia, ch'essa, senza volerlo, alimentava, respingendolo
-<span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span>
-con una fierezza, la quale pareva a Menendez
-troppo sdegnosa, e quindi non sincera. Ma s'ingannava,
-perchè Fermina sentiva veramente più
-che disprezzo, orrore per tutti quei piccoli e bassi
-sentimenti che pullulano dall'amore anche più
-schietto nelle anime volgari. — Manuel, — gli
-aveva detto una volta — il giorno in cui tu mi
-crederai capace d'averti tradito, ossia d'essere una
-creatura spregevole, il mio amore sarà morto. Pensaci
-bene. Io non sono una donna come le altre
-donne; tu non devi essere un uomo come gli altri
-uomini. Voi altri siete quasi tutti vigliacchi. Io ho
-posto amore a te perchè non me lo sei parso. Non
-lo diventare. Io sono superba. T'ho dato il mio
-onore: rispettalo. Non giocare col mio amore. Io
-non son di quelle che perdonano. Se si cade una
-volta dal mio cuore, non vi si rientra più. Fermina
-t'ha detto una volta che t'ama: ti basti per tutta
-la vita. Stampati bene queste parole in fondo all'anima,
-Menendez.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-S'amavano, e tutta Siviglia lo sapeva, o piuttosto
-lo vedeva. Andavano a passeggiare di notte in
-mezzo ai platani d'Oriente <i>de las delicias de Cristina</i>;
-andavano in barca, sul Guadalquivir, sino a
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-San Juan d'Aznalfarache, a passar le ore calde
-all'ombra degli aranci; ed era ben raro che qualcuno
-vedesse Fermina inginocchiata dinanzi all'enorme
-altar maggiore della Cattedrale, senza
-riconoscere un momento dopo nell'ombra di qualche
-cappella vicina, la figura elegante ed immobile
-di Menendez. Per strada erano guardati da tutti
-con quel sentimento amaro insieme e voluttuoso di
-invidia, che ispira anche ai giovani la vista di
-due amanti felici, poderosi e superbi. Essi passavano
-come due principi in mezzo al mormorío della folla,
-Fermina, guardando al di sopra delle teste, Menendez,
-cercando inutilmente uno sguardo che si fissasse
-nel suo; gettavano il loro amore in faccia a
-Siviglia; portavano la loro felicità in trionfo; e per
-tutto dove passavano, lasciavano una larga traccia
-d'orgogli feriti e di amoruccoli schiacciati. A grado
-a grado, però, Fermina s'era acquistata la simpatia
-di molta parte del sesso femminino del suo ceto;
-molte avevano piegata la testa dinanzi alla sua invincibile
-alterezza; era considerata quasi come un
-ornamento del sobborgo; era presa a modello; aveva
-suscitato delle imitatrici; c'eran molte rozze e facili
-Gitane, che s'erano messe a camminare col capo
-rovesciato indietro e gli occhi socchiusi, lasciando
-sporgere fuor del busto il manico d'un pugnale, che
-non avrebbero mai adoperato.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-In questo stato di cose, un improvviso rivolgimento
-seguì nell'animo del Menendez. Nessuno, a
-Siviglia, ne seppe la cagione, fuorchè colui o coloro
-che ne furono colpevoli; ma tutti quelli che
-conoscevano il carattere di lui, non se ne meravigliarono
-punto. In certe nature esiste sempre
-intera e pronta la formidabile macchina del
-sospetto, alla quale basta buttare un nome e dare
-una scossa, perchè il più forte affetto vi rimanga
-stritolato. Chi, in vita sua, non è stato almeno una
-volta o vittima o colpevole d'una di queste precipitose
-distruzioni? Un dubbio leggerissimo, che
-c'era passato un giorno per la mente, e di cui
-avevamo sorriso, trova nella riga d'una lettera,
-nella parola d'un amico, in un avvenimento fortuito
-e insignificante, una presa fatale che lo rialza
-lentamente, come una lenza, dalla più oscura profondità
-dell'anima dove stava sepolto, e ce lo rimette
-sotto gli occhi come un insetto schifoso
-che agita con furia orribile le sue cento braccia
-smaniose di preda. Atterriti per un momento, ripigliamo
-coraggio e fede, e schiacciamo il piccolo
-mostro. Ma è inutile. Già da tutti i ripostigli della
-memoria, sono usciti, come una folla di piccoli cattivi
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-genii, mille ricordi, fino allora sopiti, di sorrisi
-sfuggevoli, di mezze parole, di movimenti appena
-percettibili delle sopracciglia e delle labbra, d'una
-porta socchiusa, d'un rumor di passi, d'un fruscío,
-d'un bisbiglio, d'un'ombra, che prima ribollono
-confusamente nel capo, e poi si congiungono e si
-combinano, pigliano forza, fuoco e parola, denunziano,
-affermano, provano, stravolgono il cuore e la
-ragione, mettono in mano il pugnale o la penna, e
-spingono al delitto o alle offese che non si perdonano,
-in minor tempo che non ci saremmo spinti
-dalla evidenza immediata della realtà. Quando questo
-accadde a Menendez, erano le undici di sera;
-egli si trovava in casa, ritto dinanzi a un tavolino,
-con una lettera fra le mani. Sul primo momento,
-temette d'essere impazzito; balzò in piedi, si slanciò
-alla finestra, e rimase qualche tempo immobile
-come una statua, con una mano sulla fronte e l'altra
-sul cuore, guardando fissamente in mezzo alla piazza.
-Poi mise un grido soffocato d'angoscia e di rabbia,
-e si precipitò fuor di casa. Attraversò come una
-freccia la piazza del Trionfo, girò intorno alla <i>Caridad</i>,
-oltrepassò quasi correndo la Torre D'Oro,
-saltò in una barca, raggiunse la riva destra del
-fiume, si slanciò nella casa di Fermina e percosse
-la porta.... Fermina non c'era! Per un caso straordinario
-non aveva ancora potuto tornare a casa,
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-e per la sciagura di tutti e due quell'assenza, in
-quell'ora, corrispondeva fortuitamente a un'indicazione
-della calunnia, era un'accusa, una prova, una
-maledizione. Menendez rimase come pietrificato davanti
-alla porta. Il dolore dell'amante era già
-morto dentro al suo cuore, e non vi fremeva
-più che l'ira feroce del suo enorme orgoglio ferito.
-Un pensiero satanico gli balenò alla mente,
-scese di volo le scale e si diresse di corsa verso
-casa. Arrivato al ponte, si fermò. Un altro pensiero
-gli aveva quasi percosso e schiacciato il
-primo. — E se non è vero? — si domandò, e per
-un momento gli brillò l'anima. Ma la fatalità lo
-perseguitava. In quel punto gli passò accanto una
-donna, lo guardò in viso e gli disse fuggendo: — Fermina
-ti tradisce! — A quelle parole il furore,
-risollevandosi impetuosamente, gli velò l'intelletto,
-e lo ricacciò innanzi come un dannato. Per colmo
-di sventura, rientrando nella sua stanza trovò una
-lettera di Fermina che diceva: — domattina non
-sarò in casa; — e anche quest'annunzio avverava
-sciaguratamente una previsione. Allora Menendez
-perdette affatto il lume della ragione,
-ruggì, rise, maledì, afferrò la penna, scrisse a
-grandi caratteri sopra un foglio di carta il nome
-di Fermina, un epiteto, l'indicazione d'un'ora e
-d'un prezzo, un insulto orrendo; poi volò fuor di
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-casa con quel foglio, rifece la via di prima, arrivò
-alla casa dì Fermina, attaccò alla porta con le mani
-convulse il cartello infame, e si cacciò digrignando
-i denti giù per le scale. Arrivato in fondo, si fermò:
-sentì aprirsi quella porta, vide illuminarsi la scala,
-e udì quasi nello stesso punto un grido disperato e
-il rumore della caduta d'un corpo. Dopo pochi momenti
-sentì aprire altre porte, — scender gente, — una
-donna leggere il biglietto — e molte voci prorompere
-in un grido d'indignazione: — <i>Mentira!</i>
-(Menzogna!)...
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Un'ora dopo egli si trovava nello stato d'uno
-che si svegli da un sogno spaventoso. Quel grido
-l'aveva svegliato. Inutilmente aveva subito tentato
-di riadunare e di ricomporre insieme prove,
-indizî, argomenti, ricordi, ombre; tutto era fuggito
-e svanito colla stessa rapidità fulminea con
-cui s'era raccolto, e aveva preso forma e saldezza.
-Come poca cosa era bastata a farlo credere, così
-un grido era bastato a disingannarlo. Egli era rimbalzato
-da una certezza a un'altra certezza; non
-aveva più bisogno di prove; s'era spiegato tutto;
-aveva capito tutto; sentiva dentro ed intorno a sè
-<span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span>
-un silenzio solenne, e non vedeva più che la figura
-immobile, bianca e sinistra di Fermina, e fra
-loro un abisso. Egli la conosceva, capiva che
-non avrebbe più perdonato, sentiva che l'aveva
-uccisa. Un avvilimento profondo, uno sgomento
-mortale, un amor nuovo rinvigorito dal rimorso e
-dalla disperazione, un desiderio immenso di morire,
-e insieme una prostrazione di forze che gl'impediva
-un qualunque atto risoluto, s'erano impadroniti di
-lui. Passò la notte disteso in terra, vicino alla
-finestra, e la mattina all'alba, si trovò, senz'accorgersene,
-sul ponte di ferro, dove rimase improvvisamente
-inchiodato. Fermina veniva verso
-di lui. Appena la vide, capì ch'essa lo aveva visto,
-e lesse nel suo volto e nel suo atteggiamento una
-risoluzione che gli troncò l'ultimo filo di speranza.
-Era vestita come nei giorni festivi; veniva innanzi a
-passo franco, quasi impetuoso, colla testa alta, coll'occhio
-socchiuso e fisso dinanzi a sè, col viso pallido
-ed immobile come una maschera di marmo. Quando
-gli fu vicina, egli aprì la bocca per parlare, ma la
-parola gli restò dentro. Essa passò senza guardarlo,
-dritta e maestosa, colla morte nel cuore e col disprezzo
-sul volto, mandandogli in viso un'ondata
-d'odor di rosa, e s'allontanò senza voltarsi. Menendez
-vide come un velo nero stendersi fra lei e
-i suoi occhi e sentì che tutto era finito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-Tutto quello ch'egli fece quel giorno e il giorno
-dopo, lo fece quasi macchinalmente, e senza energia,
-perchè era senza speranza. Era il primo solenne
-castigo che riceveva il suo carattere orgoglioso
-e violento, e n'era come istupidito. Scrisse
-a Fermina una lunga lettera; non ebbe risposta;
-non se ne stupì, e quasi nemmeno se n'accorò,
-tanto era sicuro che questo doveva accadere. Le
-riscrisse; la lettera questa volta gli ritornò intatta;
-la riprese e la buttò in un canto senza
-badarci. Andò, a sera inoltrata, col cuore tremante,
-a picchiare alla sua porta; c'era il lume alla
-finestra; lei era in casa; ma la porta non s'aperse.
-Tornò dopo un'ora; il lume c'era ancora; la porta
-rimase chiusa. Se n'andò a casa, e passò mezza la
-notte seduto alla finestra, col capo appoggiato sopra
-una mano. Il giorno dopo non iscrisse più, nè andò
-più a cercar Fermina, e forse, se non fosse uscito,
-non avrebbe mai più osato cercarla. Ma uscì, e gli
-seguì un caso che decise della sorte di tutta la
-sua vita. Era giorno di festa: girando a caso, di
-strada in strada, quasi senza coscienza di sè, si
-trovò nei viali della Cristina. Era l'ora della passeggiata;
-dalla Torre d'oro al palazzo di san Telmo
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-formicolava una folla brillante e gaia; una musica
-festosa riempiva l'aria; il sole dorava le acque del
-Guadalquivir; Menendez si sentì per un momento
-alleggerito del peso mortale della sua tristezza, e si
-lasciò trascinare dalla corrente. All'improvviso una
-ragazza del popolo, passandogli accanto, gli gridò
-all'orecchio: — <i>Es mentira, Menendez!</i> — e disparve.
-Menendez impallidì e cercò di sottrarsi agli
-sguardi curiosi dei vicini che avevan sentito; ma
-quasi subito un'altra ragazza, distante da lui una
-decina di passi, gridò più forte: — <i>Mentira!</i> — Menendez
-si voltò dalla parte opposta, confuso e
-sgomento, e cercò di fendere la folla, per uscire dal
-passeggio. Ma una terza, una quarta, e poi un gruppo
-di ragazze del sobborgo di Triana, che l'avevano
-riconosciuto, gli gridarono alle spalle: — <i>Mentira,
-Menendez, mentira!</i> — Molta gente si fermò; altre
-ragazze, avvicinandosi, ripeterono quel grido; il
-suo nome corse di bocca in bocca; la folla s'aperse
-per fargli circolo intorno; e questo fu il suo salvamento.
-Approfittando di questo vuoto, si slanciò,
-stravolto e bianco come un cadavere, fuori del viale,
-raggiunse una carrozza, vi saltò dentro, e s'allontanò
-rapidamente udendo ancora per un buon tratto
-le grida lontane delle sue persecutrici. Appena entrato
-in casa si coperse il volto colle mani e diede in uno
-scoppio di pianto desolato e rabbioso. — Dunque la
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-voce s'è sparsa! — gridò — Io sono il ludibrio di
-Siviglia! Io non potrò più mostrare il viso in mezzo
-alla gente! Io son disprezzato, insultato, disonorato! — A
-questo punto un'idea grande e nuova
-gli balenò alla mente, la sua anima generosa vi
-rispose con un rimescolamento profondo, il suo
-volto s'illuminò, tutte le sue fibre si rinvigorino,
-tutto il suo sangue s'accese. Poi, come se la voce
-d'un amico invisibile gli avesse susurrato una preghiera
-nell'orecchio: — Sì, — rispose con un accento
-di condiscendenza: — ancora una prova. — E
-si slanciò fuor di casa.
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-Fermina lavorava, col lume, in un angolo della
-stanza, quando sentì un passo rapido e leggiero
-su per la scala, e s'accorse, troppo tardi, che
-aveva lasciata la porta socchiusa. Ebbe appena
-il tempo di alzarsi e di ricadere sulla seggiola: Menendez
-si precipitò ai suoi piedi, curvò la fronte
-sul pavimento, e gridò singhiozzando: — Perdono,
-Fermina!
-</p>
-
-<p>
-Essa non rispose.
-</p>
-
-<p>
-Aveva il viso pallidissimo, e stava rivolta verso la
-finestra, cogli occhi dilatati e colle labbra tremanti.
-</p>
-
-<p>
-— Fermina! — continuò Menendez con una voce
-<span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span>
-che pareva gli dovesse spezzare il petto — perdonami!
-Sono stato un vile e un pazzo! Tu sei un
-angelo! Io sono un disgraziato! Mi sono lacerato
-il cuore colle mie mani, ho pianto lacrime di sangue,
-m'hanno insultato per le strade, credevo d'impazzire,
-non posso più vivere così, perdonami, rendimi
-il tuo amore, non mi condannare a uno strazio
-eterno, dimentica, amami! Vedi, io mi striscio ai
-tuoi piedi, batto la fronte per terra, non ho più
-voce, non ho più lacrime, non ho più stima di me,
-non ho più onore nel mondo, non ho più che l'amore
-che mi strazia e la disperazione che mi uccide!
-Fermina, abbi compassione di Menendez!
-</p>
-
-<p>
-Fermina continuava a guardar la finestra; aveva
-il viso stravolto e convulso, il seno ansante, tutta
-la persona agitata da un tremito febbrile; pareva
-che facesse uno sforzo per ottenere prima da sè
-stessa quello che Menendez voleva da lei; che aspettasse
-essa pure un improvviso cangiamento del proprio
-cuore; e Menendez osservava con profonda
-ansietà tutti i movimenti del suo viso. Finalmente
-proruppe con accento disperato:
-</p>
-
-<p>
-— È inutile, Menendez! Non posso! non sento
-più niente! son vuota! son morta! Potresti supplicarmi
-per tutta la vita, ucciderti sotto i miei
-occhi, diventare un re, un santo, un Dio.... è inutile!
-Non credo più! Non amo più! M'hai uccisa!
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-Hai capito, Menendez? Hai forse dimenticato che
-cos'hai fatto? Fermina t'aveva dato il suo onore e
-tu v'hai sputato sopra in faccia a tutta Siviglia!
-Dio! Dio! Dio! E questo è stato possibile! e tu vuoi
-che io ti perdoni! — Poi, facendo un violento sforzo,
-si ricompose, e soggiunse freddamente: — Va, Menendez,
-lasciami sola, lasciami nella mia tomba, tutto
-è finito, addio.
-</p>
-
-<p>
-— Pensaci ancora, — disse Menendez con voce
-supplichevole.
-</p>
-
-<p>
-Fermina si svincolò da lui e gli accennò la porta
-senza guardarlo in viso.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sei dunque senza cuore! — gridò il giovane
-balzando in piedi colla rabbia nel sangue e
-la minaccia sul volto.
-</p>
-
-<p>
-Fermina lo guardò.
-</p>
-
-<p>
-Menendez diede indietro e si gettò fuor della
-porta.
-</p>
-
-<h3>IX.</h3>
-
-<p>
-Appena tornato a casa, si mise a preparar le
-sue robe per partire la mattina dopo. Egli aveva
-deciso d'andare a passar un mese a La Rinconada,
-piccolo villaggio circondato d'oliveti, poco lontano
-dalla città, dove stava don Luis de Guevara, suo
-amico d'infanzia, <i>facultativo</i>, ossia medico condotto,
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-che gli aveva più volte offerto la sua casa per quando
-volesse fuggire i grandi calori di Siviglia. Terminato
-ogni cosa, si buttò sul letto, e per la prima volta
-dopo la sera fatale del suo delirio, dormì. All'alba
-si svegliò più tranquillo, corse alla finestra, fermò
-la prima carrozza che vide passar sulla piazza,
-si vestì, fece portar giù le sue valigie, si mise a
-tracolla il suo fucile da caccia, discese rapidamente,
-e montando sul legno, ordinò al cocchiere di condurlo
-sulla riva destra del fiume, in faccia alla
-Torre d'oro. Un gran cangiamento era seguíto in
-lui; non pareva più l'uomo del giorno innanzi; il
-suo volto non esprimeva più nè ansietà nè dolore;
-era pallido e portava le traccie della tempesta dei
-giorni scorsi; ma risoluto e quasi altiero. Scese dinanzi
-alla casa di Fermina, salì le scale con passo
-deciso, sospinse l'uscio e si piantò ritto immobile
-sulla soglia.
-</p>
-
-<p>
-Fermina fece un atto di sorpresa sgradevole, e
-si voltò verso la finestra.
-</p>
-
-<p>
-— Una sola parola, Fermina, — disse con accento
-pacato Menendez.
-</p>
-
-<p>
-Fermina voltò la testa verso di lui, tenendo gli
-occhi socchiusi.
-</p>
-
-<p>
-— Sei profondamente sicura — disse Menendez, — puoi
-giurarmi sul tuo onore, per la memoria di
-tua madre, per la salvezza dell'anima tua, che lo
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-stato presente del tuo cuore non è l'effetto d'uno
-sforzo che fai sopra te stessa? che senti veramente
-e immutabilmente di non amarmi più?
-</p>
-
-<p>
-— Sì — rispose con accento risoluto Fermina.
-</p>
-
-<p>
-— Addio — disse Menendez, e disparve.
-</p>
-
-<h3>X.</h3>
-
-<p>
-Fermina mise un sospiro, lasciò cadere il suo lavoro
-e chinò la testa sopra una mano. Essa vedeva
-partire Menendez senza dolore, ma non senza tristezza.
-Non era più il suo amante che perdeva, è
-vero; ma era pure un'immagine cara, la forma umana
-in cui le si era presentata per la prima volta la felicità;
-l'aspetto dal quale non avrebbe mai più potuto
-scindere il ricordo dei più bei giorni della sua giovinezza.
-Sul primo momento, anzi, mentre sentiva
-ancora il rumore lontano della carrozza, che credeva
-lo conducesse via da Siviglia per sempre, fu
-colta da un dubbio improvviso, che la fece tremare,
-e sentì il bisogno d'interrogare ancora una volta
-sè stessa, di frugare ancora una volta nel più profondo
-dell'anima se mai vi fosse rimasta una scintilla,
-una speranza, una promessa. Ma interrogò,
-frugò, e non vi trovò nulla, e ne sentì quasi un
-sollievo. Ripetè anzi a sè medesima, e con maggior
-sicurezza che per l'addietro, che in quell'anima
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-non c'era mai stato e non ci poteva essere il
-grande, cieco e tremendo amore ch'essa aveva sognato;
-l'unico amore che la sua natura virile e superba
-potesse accettare e rendere; l'amore di Menendez
-era un delirio passeggiero della mente, non
-una febbre profonda e perpetua del cuore; Menendez
-non l'aveva capita perchè non l'aveva stimata;
-se si fossero riconciliati, si sarebbero rotti un'altra
-volta; essa non avrebbe più potuto amarlo che per
-pietà, ed egli avrebbe diffidato daccapo, alla prima
-occasione, e con fondamento; forse anche in lui era
-morto l'amore, e non era più che l'orgoglio umiliato
-e il rimorso che l'aveva spinto a chieder compassione
-e perdono; e d'altra parte s'era accomiatato
-coll'animo più tranquillo, cominciava forse
-a rassegnarsi, a dimenticare; col tempo avrebbe
-dimenticato; era meglio per tutt'e due che tutto
-fosse finito in quella maniera. — Sia così, — disse
-sospirando Fermina: — è un sogno svanito, io gli
-perdono, e Dio l'accompagni. — E riabbassò sopra
-il lavoro la sua bella fronte pensierosa.
-</p>
-
-<h3>XI.</h3>
-
-<p>
-I giorni passarono; nessuno a Siviglia vide più Menendez;
-qualcuno disse ch'era partito per Cuba; tutti
-lo credettero, e qualche raro amico lo rimpianse; ma
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-la maggior parte non lo rammentarono più che per
-vituperare il suo nome. Fermina, invece, dopo che
-s'era sparsa la notizia dell'avventura, aveva acquistato,
-anche sull'altra riva del Guadalquivir, una
-piccola celebrità romanzesca, d'una parte della quale
-si sentivano un po' altere tutte le ragazze di Triana,
-come se il raro esempio di sdegnosa fermezza dato
-da lei, avesse rialzato in faccia a Siviglia la dignità
-di tutto il sesso femminino del sobborgo, non generalmente
-presa sul serio prima d'allora. Un poeta
-sconosciuto aveva scritto dei versi sul muro della
-sua casa; la moglie del Capitano generale d'Andalusia
-le aveva data un'ordinazione di fiori per aver
-modo di parlarle; le ragazze, incontrandola per strada,
-le dicevano: — <i>Muy bien, Fermina!</i> —; tutti la
-guardavano con una certa curiosità rispettosa,
-e ci fu tra gli altri un panciuto negoziante di telerie,
-marito d'una indiavolata brunetta di Badajoz,
-che incontrandola due giorni dopo la partenza di
-Menendez, esclamò con uno slancio di gratitudine: — Benedetta
-lei, <i>senorita</i>, che ce ne ha
-liberati! — Ma Fermina viveva più che mai raccolta
-e sola, e tutta occupata del suo lavoro, non
-lasciandosi vedere che raramente dalle vicine di
-casa. Non era contenta, ma tranquilla, e non pensava
-più a Menendez che con un sentimento di
-vaga mestizia, come avrebbe pensato ad un morto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span>
-</p>
-
-<h3>XII.</h3>
-
-<p>
-Erano passati quindici giorni dalla partenza di Manuel
-Menendez. Una mattina, poco dopo il levar del
-sole, Fermina stava lavorando nella sua stanza, seduta
-accanto alla finestra, e alzava di tratto in tratto la
-testa, per rivolgere uno sguardo malanconico al fiume,
-alla Torre d'oro, alla Cristina, alle guglie lontane
-della cattedrale, a cento luoghi e a cento cose che
-le rammentavano il suo immenso amore svanito, e
-sospirava. In quei momenti, avrebbe voluto poter
-riamare Menendez, anche sapendo di non doverlo
-mai più rivedere, non foss'altro che per dare un
-alimento alla sua anima vuota; e andava frugando,
-infatti, dentro all'anima, non più col timore, come
-aveva fatto altre volte, ma colla speranza di ritrovarvi
-ancora qualche cosa. Ma anche in quei momenti
-o non vi trovava nulla, o vi trovava soltanto
-un resto di sdegno pronto a riaccendersi, e s'affrettava
-a spegnerlo cacciandovi sopra un altro pensiero. — Morto,
-morto —, diceva tra sè, scrollando
-la testa con tristezza, e sentiva profondamente che
-se anche Menendez le fosse ricomparso davanti, essa
-l'avrebbe ricevuto come le altre volte, senza risentirne
-la più leggiera scossa, senza dubitare un momento
-dell'immutabilità del suo cuore, senza dover
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-fare il menomo sforzo per ripetergli: — Va, lasciami
-sola nella mia tomba, tutto è finito.
-</p>
-
-<p>
-Il corso dei suoi pensieri fu improvvisamente interrotto
-da un leggiero fruscío; si voltò, mise un
-grido e balzò in piedi.
-</p>
-
-<p>
-Menendez era dinanzi a lei.
-</p>
-
-<p>
-Fermina si ricompose subito; ma non potè far a
-meno di fissare per qualche momento uno sguardo
-inquieto sopra di lui.
-</p>
-
-<p>
-Il suo viso era pallido e dimagrato; il suo occhio,
-smorto; le sue labbra, livide. Aveva la cappa
-sulle spalle e una borsa da viaggio a tracolla. Stava
-ritto sulla soglia della porta, un po' curvo e colle
-gambe un po' piegate; e fissava Fermina con uno
-sguardo profondo, pieno d'amore e di mestizia.
-</p>
-
-<p>
-— Siete stato malato! — gli disse lei con un
-leggiero accento di pietà.
-</p>
-
-<p>
-Menendez esitò un momento e poi rispose con
-voce debole:
-</p>
-
-<p>
-— Sì.... un poco.
-</p>
-
-<p>
-Fermina abbassò la testa.
-</p>
-
-<p>
-— Ed ora parto —, soggiunse il giovane.
-</p>
-
-<p>
-— Per dove? — domandò Fermina senza alzare
-la testa.
-</p>
-
-<p>
-— Per Cuba.
-</p>
-
-<p>
-— Oggi?
-</p>
-
-<p>
-— Adesso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Per sempre?
-</p>
-
-<p>
-— ..... Per sempre.
-</p>
-
-<p>
-Fermina mise un sospiro, si passò una mano sulla
-fronte, e poi disse con un accento pietoso: — Ebbene....
-addio, Menendez; il Signore t'accompagni....
-e.... addio!
-</p>
-
-<p>
-— Non hai altro da dirmi? — domandò Menendez
-colla voce tremante — sei sempre la stessa?
-</p>
-
-<p>
-Fermina gli rivolse uno sguardo che rivelava il
-suo cuore desolato di non potergli dare che una
-triste risposta.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene, — disse allora Menendez avvicinandosi
-al suo tavolino;.... — poichè non ci vedremo più,
-fammi una grazia, Fermina. Accetta questo ricordo. — E
-dicendo così, mise sul tavolino una piccola
-cassetta di mogano, colla chiavina nella serratura. — Non
-respingerlo, Fermina! te ne prego! Non è
-un dono. Non contiene che un foglio di carta in
-cui è rivelato un segreto che tu devi conoscere;
-un segreto di famiglia, che non ho rivelato ad altri
-che a te; una cosa sacra. Accettalo, Fermina; ti
-giuro sul mio onore che è necessario che tu lo accetti;
-riconoscerai tu pure questa necessità quando
-avrai visto di che si tratta, e dirai che avevo ragione
-e che ho fatto il mio dovere..... Ed ora non
-ho più altro da dirti. Addio, Fermina!.... dimenticami
-e sii felice!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fermina si asciugò una lagrima e gli porse una
-mano, voltando il viso dall'altra parte.
-</p>
-
-<p>
-Menendez le coprì la mano di baci e si diresse
-verso la porta.
-</p>
-
-<p>
-— Menendez! — disse vivamente Fermina.
-</p>
-
-<p>
-Menendez si voltò.
-</p>
-
-<p>
-— Addio! — ripetè la ragazza con voce alterata,
-ma ferma; — sono più sventurata di te, perchè non
-ho più nulla nel cuore! Va, Menendez! Va, e il Signore
-sia sulla tua strada!
-</p>
-
-<p>
-Menendez uscì, socchiuse la porta e cominciò a
-scender lentamente la scala, coll'orecchio intento,
-col respiro sospeso, col cuore che gli batteva come
-se volesse rompergli il petto.
-</p>
-
-<p>
-A un tratto sentì il rumore della chiavina della
-cassetta che girava nella serratura.
-</p>
-
-<p>
-Le gambe gli piegarono sotto e un velo nero gli
-si stese sugli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Si appoggiò al muro del pianerottolo.
-</p>
-
-<p>
-Passarono alcuni secondi.
-</p>
-
-<p>
-All'improvviso, un grido sovrumano di dolore, di
-terrore e d'amore, risonò di cima in fondo alla casa,
-come un colpo di fulmine; la porta si spalancò, Fermina
-balzò d'un salto in fondo alla scala, si precipitò
-dinanzi a Menendez, e prese a baciargli con una
-furia disperata i piedi, le ginocchia, i panni, singhiozzando,
-gridando, chiedendo perdono, invocando
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-Iddio, fin che la voce le mancò, gli occhi le
-si chiusero e cadde svenuta.
-</p>
-
-<p>
-I vicini erano già accorsi, e fra essi il signor Luis
-de Guevara, che aveva accompagnato Menendez
-dalla Rinconada a Siviglia, e lo stava aspettando
-nella strada.
-</p>
-
-<p>
-— Don Luis, — gli disse Menendez appena lo vide,
-sollevando Fermina svenuta, e voltandola in modo
-ch'egli la potesse vedere nel viso: — ti presento
-mia moglie.
-</p>
-
-<h3>XIII.</h3>
-
-<p>
-Quindici giorni dopo, infatti, il segretario dell'amministrazione
-del Circo dei tori di Siviglia, dovendo
-mandare a Fermina la chiave del trentesimo
-palco <i>del lado de la sombra</i> (della parte dell'ombra),
-indirizzava la lettera: — <i>A doña Fermina
-Menendez</i>; — ed essendo quella la prima
-lettera ch'essa riceveva col titolo di <i>doña</i> e col
-proprio nome legato a quello del suo amante, baciò
-tre volte la busta e la mise in serbo come una
-cosa preziosa. Qualunque altra Sivigliana, però,
-avrebbe in quel giorno baciato invece della busta
-la chiave, poichè per il felicissimo arrivo di Sua
-Maestà la Regina Isabella, la quale per la prima
-volta si faceva vedere a Siviglia colla corona,
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-l'Impresario del Circo aveva preparato uno spettacolo
-unico nei fasti del <i>toreo</i> andaluso; e basti
-il dire che la prima spada si chiamava il <i>Tato</i>, e
-che si sarebbero slanciati nell'arena otto tori, comprati
-a peso di dobloni novi, <i>doblones de Isabel</i>,
-nei pascoli dell'eccellentissimo marchese di Veragua,
-primo allevatore della Spagna. Per questo, sebbene lo
-spettacolo cominciasse alle due pomeridiane, la <i>plaza</i>
-era già quasi piena a mezzogiorno, e al tocco non ci si
-poteva più entrare. Era una delle più belle giornate
-che si possan vedere a Siviglia nel mese di settembre.
-Il vasto Circo poligonale presentava sulle sue trenta
-gradinate una meravigliosa confusione di visi bruni,
-di treccie nere, di ventagli agitati e di mani per aria;
-vi brillava il fiore della bellezza del sobborgo di
-Triana, v'erano le più famose danzatrici delle <i>escuelas
-de baile</i>, centinaia d'operaie della fabbrica dei tabacchi
-colle sottane bianche o rosee, gruppi di gitane con
-mazzetti nei capelli e sul seno, i più belli e più
-terribili schermitori di coltello della provincia, coi
-loro cappellotti di velluto nero e loro cinture rosse
-ed azzurre; tutto il più ardente sangue andaluso
-che circolava in quel tempo dal Campo della fiera
-alla porta di San Juan e dalla Cartuja alla Trinidad;
-un'immensa raccolta d'amori, di gelosie, di capricci,
-di gioie, di miserie, un incrociarsi rapidissimo e
-continuo d'apostrofi clamorose e di occhiate furtive,
-<span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span>
-di fiori e di risa, di parole galanti e d'aranci:
-tutto ciò rallegrato da una musica strepitosa e
-saettato da un sole ardente. Alle due precise, gli
-<i>alguaciles</i> entrarono nell'arena per far sgombrare la
-folla, e nello stesso momento, da due lati contigui
-del Circo, cento visi si voltarono quasi tutti insieme
-verso un punto solo e al gridío generale seguì improvvisamente
-un profondo silenzio. Fermina, vestita di
-bianco, con un gran mazzo di fiori fra le mani, col
-viso splendido d'una letizia dignitosa e severa come
-la sua bellezza, era comparsa nel suo palco, insieme
-con Menendez, pallido e sorridente, in mezzo a una
-corona d'amici. Al primo silenzio, seguì dopo pochi
-momenti un lungo mormorío favorevole, quasi amoroso
-e altri mille sguardi si fissarono sui due sposi.
-Tutta Siviglia sapeva quello ch'era accaduto. A un
-tratto, una gitana seduta sul primo gradino sotto
-il palco, balzò in piedi, si levò una rosa dai capelli
-e buttandola a Fermina, gridò: — <i>A ti, doña Fermina
-Menendez, y Dios te dé la buena suerte!</i> — Subito
-dopo un'altra ragazza buttò un mazzetto
-a Menendez e gridò: — <i>A ti, don Luis Menendez</i>,
-cuor valoroso! — L'esempio fu rapidamente imitato:
-da tutti i gradini vicini al palco cominciarono a
-piovere fiori sugli sposi, accompagnati da un gridío
-appassionato e festoso: — A te, bella creatura! — A
-te, sangue di prode! — A voi, la più bella coppia
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-di Siviglia! — Amatevi! — Buona fortuna! — Molti
-giorni come questi! — Dio vi protegga! — In pochi
-minuti la notizia e l'entusiasmo si propagarono per
-quasi tutto il Circo, e da ogni parte si buttarono
-fiori, si agitarono fazzoletti e mantiglie, si mandarono
-evviva e saluti; tanto che Fermina, sopraffatta
-dalla commozione, lasciò cader la testa sulla spalla
-di Menendez, e la Regina Isabella, che aveva già
-preso posto nel palco reale con tutto il suo corteggio,
-si voltò a domandare al giovane generale Serrano
-chi fossero i due personaggi che mettevano sottosopra
-i suoi sudditi. Il <i>general bonito</i>, il bel generale,
-come si chiamava allora il futuro vincitore
-d'Alcolea, si fece innanzi rispettosamente, e disse
-col tuono più dolce della sua voce: — Sono due
-sposi, Maestà. La sposa è la più bella giovane di
-Siviglia, e lo sposo è un giovane che ha fatto onore
-al sangue andaluso. In un accesso di gelosia, avendo
-offeso mortalmente la sua fidanzata con un cartello
-infamante, e non essendo riuscito in altro modo a
-farsi perdonare e riamare, ottenne l'una e l'altra
-cosa presentandole una cassettina nella quale c'era
-la penna fatta in due pezzi, che aveva scritto il
-cartello; sotto la penna, un foglio di carta con su
-scritto col sangue: — <i>Espiazione</i>, e sotto il foglio
-di carta la sua mano destra....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-</p>
-
-<p>
-Mentre la Regina appuntava il cannocchiale verso
-gli sposi, le trombe squillarono, la folla gettò un
-altissimo grido, e il primo toro dell'eccellentissimo
-signor marchese di Veragua si slanciò muggendo
-in mezzo all'arena.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-</p>
-
-<h2 id="sogno">IN SOGNO</h2>
-</div>
-
-<p>
-Non so se molti altri abbiano un ordine speciale
-di sogni che si possano procurare a loro piacere:
-io ho quello dei viaggi, e mi basta, per viaggiare
-in sogno anche tutta una notte, fissarmi col pensiero,
-quando sto per addormentarmi, in qualche
-luogo lontano del quale mi sia rimasto un ricordo
-molto vivo; dopo di che, mi passano dinanzi cento
-altri luoghi, città, campagne e genti, trasformandosi
-rapidamente, senza che nel sogno s'intrometta mai
-una visione di altra natura. E questo è strano: che
-gli avvenimenti, no; ma i luoghi e i personaggi che
-sogno, son sempre luoghi e personaggi che ho visti;
-il che non m'accade quando, addormentandomi, non
-metto l'immaginazione sulla via delle reminiscenze;
-poichè se chiudo gli occhi pensando a Sydney o a
-Batavia, vago poi, sognando, per tutta la terra, ed è
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-facile che mi trovi a discorrere di politica, a un'ora
-dopo mezzanotte, con qualche defunto imperatore
-chinese. Quale è la ragione di questo? In che maniera
-la mente, errando fra le più bizzarre fantasie
-nel campo degli avvenimenti, rimane nello stesso
-tempo legata alla realtà geografica dei miei viaggi?
-Come mai in fatti di luoghi e di persone, non fo', sognando,
-che ricordarmi, e non vaneggio che in fatto
-di casi e di discorsi? Perchè questa costante distinzione?
-Sarà forse la centesima volta che mi rivolgo
-la stessa domanda, e per la centesima volta
-non ci so trovare altra risposta che voltar la testa
-sul cuscino da destra a sinistra, raccogliendo tutti
-i miei pensieri nel giardino del duca di Montpensier,
-il quale, da quanto sembra, dev'essere questa notte
-il punto di partenza d'un lungo pellegrinaggio, poichè
-mi torna e mi ritorna in mente con una ostinazione
-invincibile, e ormai vedo che m'addormenterò
-all'ombra degli aranci ducali. Sia almeno un
-viaggio allegro e tranquillo, che non m'accada, come
-altre volte, di svegliar mia madre con grida di spavento
-o sospiri di dolore.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Com'ero entrato nel giardino del duca di Montpensier,
-del <i>Rey naranjero</i>, come lo chiamano in
-Spagna? Era probabilmente il mio borbonico amico
-Segovia che m'aveva fatto avere il permesso. Non
-<span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span>
-me ne ricordo bene. Non ricordo nemmeno gran
-cosa del giardino. La più viva, anzi la sola rimembranza
-viva di quel luogo è la fontana a cui diedi
-il nome dei <i>cinque sensi</i>. Ah! veramente io posso
-dire d'aver passato là l'ora più deliziosamente sensuale
-del mio soggiorno a Siviglia. Era tra mezzogiorno
-e il tocco, splendeva un sole abbarbagliante
-e tirava un'arietta leggerissima. Io stavo seduto
-sull'erba all'ombra d'un gruppo d'allori accanto
-alla vasca d'una fontana, sotto i rami curvi d'un
-roseto; con una mano mi mettevo in bocca gli
-spicchi d'un arancio che stillava sugo a grandi
-goccie; coll'altra accarezzavo la gamba d'un putto
-di marmo finissimo che dalla bocca mi schizzava
-acqua diaccia rasente i capelli; le foglie delle rose,
-scosse dall'aria, mi cadevano sul petto; l'acqua limpida
-della vasca rifletteva come uno specchio il mio
-viso non turbato dall'ombra d'un pensiero; al disopra
-del verde cupo degli alberi, vedevo la terrazza
-bianca e arabescata d'una casetta di stile moresco;
-e più lontano l'enorme statua dorata della fede che
-girava fiammeggiando sulla sommità della Giralda
-nell'azzurro purissimo del cielo andaluso. — Ancora
-qualcosa per l'orecchio! — esclamai con un fremito
-di piacere. E un momento dopo sentii dietro gli allori,
-prima il rumore leggiero d'un rastrello, poi
-la voce fresca e sonora d'una ragazza, che cantava
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-con un accento sivigliano pieno di dolcezza: — Io
-sono bella e tu hai vent'anni! — Allora ebbi un
-momento d'ebbrezza; aspirai una gran boccata d'aria,
-tuffai il viso nell'acqua, morsi insieme l'arancio e
-le rose, risi e mi ravvoltolai nell'erba come un bambino.
-Poi, a poco a poco, preso da un languore dolcissimo....
-chiusi gli occhi.... e rimasi assopito....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-E tu mi hai svegliato, caro e crudele Parodi! E
-perchè? Le meraviglie del <i>Restaurant Blond</i> valgono
-forse le delizie del giardino dei Montpensier? Ma
-bisogna esser giusti, e riconoscere che il signor Blond
-ci dà il più succoso brodo e il più saporito manzo
-di Parigi, e che è grazia di Dio l'aver per due lire
-questo pranzetto e questo spettacolo. Quale spettacolo!
-Venti tavolate d'affamati; una folla in movimento
-perpetuo, che parla in venti lingue diverse
-di mille cose assurde o sublimi; cercatori di fortuna
-d'ogni parte del mondo; giovanetti colle prime speranze,
-vecchi colle ultime; inventori di <i>sistemi</i> e
-di <i>riforme universali</i>, pieni d'utopie e di debiti;
-grandi uomini senza senso comune; forse qualche
-grand'uomo davvero; qualche rompicollo oscuro, del
-quale fra tre mesi sarà recitata dieci volte la prima
-commedia al <i>Téàtre français</i>, e il suo nome correrà
-l'Europa; mezzani che ballano a un tanto per sera
-al Mabille o al Valentino: giocolieri di teatro che
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-si mettono una spada nella gola fino all'elsa; giornalisti
-della macchia che ti piantano il pugnale nelle
-erni fino al manico; un bavarese che almanacca da
-dieci anni un favoloso progetto di rinnovamento
-sociale fondato sull'alleanza del Papa colla democrazia;
-un brasiliano che ha inventato dei romanzi
-armonici e odorosi, dalla copertina dei quali il lettore,
-giunto a certe pagine, fa uscire con una leggiera
-pressione del dito, un profumo e un'arietta
-d'occasione; un polacco che ha creato un genere di
-commedia da rappresentarsi, non sul palco scenico
-ma nella vita reale, o piuttosto un genere novo
-di vita da viversi in forma di commedia; un inglese
-che vuol ottenere dal Governo l'istituzione
-nelle Università della Francia d'un corso permanente
-di lezioni sull'<i>Arte di governare le donne</i>; l'inevitabile
-inventore della lingua universale; l'indispensabile
-regolatore della locomozione aerea; avanguardie
-mattamente audaci di tutte le scienze e di tutte le
-arti; tutte le deformità intellettuali che corrispondono
-alle deformità fisiche: menti sbilenche, ingegni
-gobbi e guerci, genî idropici, fantasie affette d'elefantiasi;
-giocatori, innamorati, bevitori d'assenzio,
-atei, fanatici, cinici; gente che s'ammazza a studiare
-e gente che si finisce nei bagordi; uomini che
-dormono sui tetti e giovani che dormono sotto gli
-alberi dei Campi Elisi; qualcuno matto d'allegrezza,
-<span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span>
-qualche altro che si brucierà le cervella la settimana
-ventura; tutti in cerca di qualcuno: chi dell'editore,
-chi del mecenate, chi dell'impresario, chi
-di scolari, chi d'affigliati, chi di vittime, chi di
-complici; un'accozzaglia cosmopolitica che lavora,
-digiuna, farnetica, si dibatte sull'immenso lastrico
-di Parigi, per lasciar il nome alla posterità, o l'ambizione
-in carcere, o l'ingegno al manicomio, o il
-cadavere all'ospedale. Sì, caro Parodi, questo spettacolo
-è bizzarro, ma quest'aria mi soffoca; domani
-pranzeremo al <i>Passage des Princes</i>; ho anch'io i miei
-capricci di povero diavolo; ho bisogno ogni tanto
-di sdraiare la mia vanità in una sala dorata e di
-tuffare la mia miseria in un bicchiere di Champagne....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-..... Champagne? <i>Kellner</i>, Champagne al signore. — <i>Sie
-beschämen mich mit Ihren Höflichkeiten</i>,
-biondo capitano Schopper. Il vostro bastimento
-è un palazzo splendido e voi siete il re del
-Danubio. Oh la bellissima sera! Per le finestre aperte,
-di là dalle acque rosate del fiume, vedo fuggire la riva
-boscosa del Banato di Temesvar, e tra finestra e finestra,
-i grandi specchi incorniciati d'oro mi riflettono
-la campagna malinconica della Slavonia rischiarata
-dal tramonto del sole. E la fortuna m'ha messo dinanzi
-il più bel visetto e il più svelto corpicino
-ungherese che sia mai passato sul nuovo ponte di
-<span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span>
-Pest. Signor Castelulù, recitatemi i versi sulla statua
-di Michaiù Vitézlù, io adoro la lingua rumena; e
-voi, capitano Schopper, soffiatemi nel viso un nuvoletto
-di fumo del vostro sigaro d'Avana. Alla tua
-salute, mio buon Mahmud Dejézaerli, gloria predestinata
-della pittura musulmana; buoni studi a
-Vienna, e che io ti rivegga fra dieci anni installato
-in una bella villetta sulla riva del Bosforo, accanto
-alla più bianca moschea di Bujukderé! Mi pare che
-qualcuno laggiù canti le lodi del Reno. Capitano
-Schopper, mandate quell'insolente a baloccarsi sul
-suo rigagnolo con una barchetta di carta, e insegnategli
-a rispettare il nostro immenso Danubio.
-Ah! voi ridete, capitano Schopper! ridete dell'effetto
-che mi fa il vostro Champagne, è vero? Ebbene....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Ebbene, che è questo? Cosa accade qui? La
-riva della Slavonia è sparita, il cielo s'oscura, le acque
-s'agitano, il vento mugge, la sala splendida s'è cangiata
-in uno stambugio rischiarato da un lanternino,
-l'elegante capitano Schopper in un vecchio cencioso,
-la bella signorina ungherese in una povera contadina
-con due bimbi in braccio; e il bastimento rulla,
-beccheggia e scroscia spaventosamente mandando
-ogni cosa sossopra. — <i>No, no, señor Capitan</i>, per
-amor di Dio, per pietà delle mie due creaturine, non
-ci moviamo di qua, il mare è cattivo, può seguire
-<span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span>
-una disgrazia, aspettiamo che faccia giorno, non
-passiamo il capo Trafalgar, ve ne scongiuro, non
-per me, per le mie povere creaturine! — Non posso,
-buona donna; <i>el capitan tiene sus obligaciones</i>: ci
-son cinque passeggieri che vanno in Africa; io debbo
-sbarcarli domattina all'alba a Algesira; non posso
-passar la notte a Trafalgar; bisogna tentar d'andare
-innanzi; seguirà quello che Dio vuole! — No! no!
-<i>señor Capitan!</i> noi naufraghiamo! noi moriamo! i
-miei bambini! <i>Ave Maria purissima</i>, se n'è andato!
-Lei, signor italiano, per carità, vada lei, vada a supplicare
-il capitano che non si mova di qui, che non
-ci faccia morire! Dio mio! Dio mio! — Chetatevi,
-buona donna, vado io. Capitano! Dov'è il capitano?
-Non c'è modo di trovare questo capitano? È a
-prua! — È a poppa! — Passi di qui! — Scenda
-di là!...
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Di qua, di là! Che il malanno vi colga! Son
-tre ore che cammino e non mi sono ancora raccapezzato.
-Sarà ben sonata la mezzanotte. Ah! se
-me ne fossi rimasto nel mio piccolo albergo di Leicester-square,
-invece di venirmi a cacciare in questo
-labirinto fetido e oscuro! Dopo una strada un'altra
-strada, dopo una svolta un'altra svolta, e crocicchi
-dietro crocicchi, e case accanto a case, e non una
-porta aperta, non un lume a una finestra, non un
-<span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span>
-<i>policeman</i>, non una voce umana, non il suono d'un
-passo, non un indizio di vita; null'altro che interminabili
-muraglie nere che si perdono nella nebbia, e
-un silenzio di città disabitata. Cammino, corro, divoro
-la via, e mi par sempre d'essere nello stesso luogo.
-Forse non faccio che girare e rigirare nelle medesime
-strade. Questo sospetto mi sgomenta e le forze
-cominciano a mancarmi. E poi.... che serve ch'io lo
-nasconda a me stesso? Ho paura! paura d'essere
-assassinato, di cadere in una fogna, d'inciampare in
-un cadavere, di mettere i piedi in una pozza di
-sangue. Come son venuto qui? Dove sono? Sapessi
-almeno dove sono! Sono in White Chapel? a San
-Gilles? in Waping? Se fossi sicuro d'essere a Bethnal
-Green, per esempio, cercherei di trovare Mile end
-Road, e di là saprei andare alla torre di Londra; o
-se fossi in Seven Dials, potrei sperare di riuscire
-in Regen Street o d'infilare Piccadilly. Ma qui non
-so da che parte voltarmi, cammino a caso, come
-un pazzo. M'imbattessi anche in un branco di ladri,
-purchè incontrassi qualcuno! Questo silenzio sepolcrale
-mi gela il sangue. Dio mio! non domando che
-il rumore d'un passo o il latrato d'un cane! E un'altra
-strada, un'altra di queste interminabili e lugubri
-strade! Ah, io non vado più innanzi; in questa strada
-c'è qualcosa d'orrendo, ci son dei morti, le mie
-gambe tremano, il mio cuore si agghiaccia, la mia
-<span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span>
-ragione si perde, io mi metto a gridare, io.... Che!
-Sei tu! Tu, mia amica! Tu, amor mio! Tu qui, a
-Londra! con me! Ma è un sogno! Ma parla! No!
-fuggimmo prima, qua la mano, coraggio, seguimi,
-vola.... Oh l'inesprimibile piacere! il vento ci porta,
-il cielo si rischiara, il sole ci batte in fronte, Londra
-è sparita, siamo sul mare, siam salvi!
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Dove siamo? Ah! tu mi domandi dove siamo,
-classichetta che tu sei, piena di greci e di romani,
-tu che diventi rossa a nominarti Pindaro,
-che piangi quando ti dico che un giorno faremo un
-viaggio nella Troade, tu che mi hai fatto diventar
-geloso di Annibale e prendere in tasca Catone, testolina
-imbottita di grandi nomi e di grandi versi!
-Ebbene. Questa volta sarai felice; ma devi indovinar
-tu dove siamo. Guarda questo cielo splendido, questo
-mare azzurro, questi colli cinerini, queste roccie
-nude, queste pietre sparse, e indovina. Ah, tu impallidisci! — Ebbene,
-non è la Troade. — No, non
-sono le rovine di Cartagine. — Nicea? Meno che
-mai, signorina. Cerchi, cerchi ancora, frughi nelle
-sue reminiscenze storiche, interroghi tutti i suoi
-desiderî classici. Ma sì, amica mia, sì! Atene! Atene!
-Atene! Siamo sull'Acropoli! Ah io sono pazzo della
-tua gioia! Qua, nelle mia braccia, ed ammira: quella
-è la costa orientale del Peloponneso, — più in qua
-<span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span>
-l'isola di Salamina; — lì il Pireo, — là il Falereo, — a
-destra, su quel colle nudo, il tempio di
-Teseo, — su questa roccia, in direzione della mia
-mano, le rovine dell'Areopago; — qui sotto il teatro
-di Bacco, dove il tuo Eschilo e il tuo Sofocle facevano
-rappresentare le loro tragedie; — in fondo
-a quella gola, il tempio delle Eumenidi; — tu tremi,
-poverina, a sentir questi nomi; — ed ora, voltati:
-ecco le quarantasei colonne del Partenone, — e
-adesso alzati e fa pure qualche pazzia perchè le
-pietre su cui sei stata seduta finora sostenevano
-l'enorme Minerva Promacos di Fidia, la quale mostrava
-al cielo la punta della sua lancia dorata, la
-prima immagine della patria che rivedeva il navigatore
-ateniese, venendo dal capo Sunium. Ah! la
-mia cara classichina che piange!... Dov'è il nostro
-bambino? Era qui un momento fa. Zitta! Non t'inquietare;
-non può esser lontano; tu cercalo di qua,
-io lo cerco di là; si sarà nascosto nell'Erecteo;
-Checchino, dove sei? Checchino! Checchino!...
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Sentite, galantuomo: ho girato il mondo, e ho
-conosciuti molti buffoni; ma vi dico schiettamente che
-uno del vostro stampo l'avevo ancora da inciampare.
-Animo, via; il proverbio insegna che ogni bel
-gioco dura poco, il che vuol dire che un gioco stupido
-deve finire appena incominciato. Mettete giù
-<span class="pagenum" id="Page_352">[352]</span>
-il bambino che avete nella mano destra, che è mio,
-e quello che avete sulle spalle, e quello che avete
-sotto il braccio, e i tre che tenete nella cesta. Eh,
-dico, metteteli giù, o m'arrampico su per la vostra
-colonna, e vi scaravento in terra come un sacco di
-cenci. Vi paiono scherzi da fare codesti? O di dove
-siete sbucato, faccia patibolare? Chi siete? Come?
-Osereste? Ah! l'orribile mostro, che si mette in
-bocca la testa del mio bambino! Aiuto! A me, a me,
-Ateniesi! Sia lodato il Cielo, vien gente. O perchè
-tutti ridono? Che c'è da ridere, Ateniesi? È una
-vergogna che in una città colta e gentile come la
-vostra, si permetta a un mascalzone come costui
-di torturare i bambini in mezzo a una piazza pubblica.
-Rispondete dunque. A voi, cittadino, rendetemi
-conto voi di quest'infamie. Sentiamo! — <i>Eh,
-monsieur, vous êtes fou; vous n'êtes pas à Athènes,
-vous êtes dans la ville de Berne, devant la
-statue du mangeur d'enfants, devant la Kindlifresser-Brunnen,
-que tout le monde connait; regardez
-donc dans votre guide Bedeker, farçeur....</i>
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Statue! Berna! Son baie. A Berna non c'è
-questa campagna solitaria, nè questo cielo di zaffiro,
-nè questa immensa pace che mi penetra fino
-al più profondo dell'anima. Oh la mia bella Bulgaria!
-Belle roccie coniche, coronate di castelli muscosi,
-<span class="pagenum" id="Page_353">[353]</span>
-e tinte di rosa e di viola dai primi raggi del
-sole; belle colline vestite di macchie inestricabili
-che l'autunno ha screziate dei suoi mille colori
-pomposi e tristi; bruni villaggi mezzo sepolti nella
-terra, come per sottrarvi alla vista del minareto
-odioso che vi torreggia sul capo; vasti pascoli ondulati,
-immensi armenti, alti pastori dal grande
-saio e dal berretto velloso, curvi sopra le traccie
-dei cavalli dei lilas, che passarono or ora trascinando
-alle fortezze del Danubio i vostri fratelli incatenati;
-bel paese selvaggio e melanconico, bel popolo
-austero, silenzioso e dolce, io ti rispetto e ti
-amo! Sia maledetta la strada ferrata che m'ha
-rotto il filo delle fantasie. Ora convien scendere e
-asciugarsi a piedi una galleria d'un miglio e mezzo:
-cose che non seguono che in Turchia. Entriamo
-dunque nella tana. Ma stiamo stretti, signori, e badiamo
-di non perderci, perchè è buio fitto. Vorrei però
-sapere come fa a passare il treno per questo cunicolo
-largo due braccia. Mi spieghino loro questo
-miracolo, signo.... Non c'è più nessuno! Poh, peggio
-per loro. Io accendo il mio cerino e tiro innanzi
-tranquillamente.... Oh! che vuol dir questo? Qui
-non ci sono rotaie! Questa non è una galleria di
-strada ferrata! Questo è un corridoio! I muri son
-segnati di croci e d'iscrizioni.... spagnuole! Oh l'orribile
-cosa! I sotterranei dell'Escuriale!...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_354">[354]</span>
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... È stato un momento di debolezza; la preghiera
-m'ha ridato coraggio; andiamo innanzi; troverò
-un'uscita; Dio m'assisterà; il tutto è di riuscire
-a un cortile. Mi trema il cuore però. Mi spaventa
-questo corridoio sterminato. Questo corridoio
-non c'era la prima volta che venni al convento. E
-questo rumore.... che non è quel del mio passo! Ah!
-mi si rizzano i capelli! No, un momento, un po' di
-riflessione: questo è il suono del mio passo; infatti
-se io mi fermo.... Gran Dio! suona ancora! Io divento
-pazzo! Ma dove suona dunque? Non certo davanti
-a me, perchè mi metto a correre e lo sento
-sempre alla stessa distanza; nemmeno di dietro, perchè
-se mi fermo, non mi raggiunge; e sopra la
-vôlta non può essere, perchè non lo sentirei così
-distinto; sotto, è impossibile. Dov'è dunque? Ho sognato?
-Eppure no, lo sento, lo sento vicino a me,
-monotono, ostinato, sinistro. Questo non è uno spettro,
-questo è un frate, un prete, un custode che
-vuol farmi incanutire dal terrore. Oh! ma la rabbia
-che mi divora è anche più forte del terrore. Questo
-sconosciuto aguzzino mi è anche più odioso che terribile.
-O tu che mi cammini davanti, o dietro, o accanto,
-o sopra, o sotto, chiunque tu sia, sei un miserabile
-che disprezzo e sbeffeggio; e ti sfido a
-comparirmi davanti! E se non compari, ti dico che
-<span class="pagenum" id="Page_355">[355]</span>
-sei un vigliacco e ti sputo nel viso; e se fosti anche
-Filippo II, in carne ed ossa, colla corona e colla
-spada, io ti giuro che non ho paura di te, e ti comando
-di farmiti dinanzi, perchè possa piantarti
-nel cuore un palmo del mio pugnale marocchino, e
-rimandarti a marcire colla tua stupida prosapia
-sotto l'altar maggiore di San Lorenzo! — Nessuna
-risposta, e il passo continua a risuonare vicino a
-me, lento, cadenzato, implacabile! Io divento furioso!
-Avanti, avvicinati, dimmi da che parte sei,
-vieni a portata della mia mano, chè io mi possa liberare
-da questa tortura! Sei dentro al muro? Ebbene,
-guarda, io lo percoto coi pugni e coi calci,
-io lo raschio col pugnale, lo sgretolo colle unghie,
-lo rigo col mio sangue. Fuori! fuori! fuori! — E
-nessuno risponde, e sempre alla medesima distanza,
-quel passo misurato, sonoro, lugubre come
-il picchio d'un martello sopra una bara! Ah questo
-è troppo, non posso più, ho paura, è un sogno che
-m'uccide, svegliatemi, svegliatemi!....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-..... Dev'essere il barcarolo che m'ha svegliato
-con una pedata in un fianco. Dove andiamo? La
-campagna è tutta piana e velata dalla pioggia come
-da una nebbia; si vede confusamente qualche mulino
-a vento e qualche campanile; il canale è largo e
-colmo; mi pare che si debba essere tra Leuwarden
-<span class="pagenum" id="Page_356">[356]</span>
-e Dokkum. Non si starebbe mica male tappati in
-questo <i>trekschuit</i> piccino e tepido, con un libro in
-mano e colla pipa in bocca; ma bisognerebbe buttar
-fuori questi diciassette bimbi paffuti, che mi premono
-da tutte le parti, e questo donnone, questo
-faccione di luna in quintadecima, questa sorella
-carnale della <i>Veneranda</i>, che mi fa gli occhi soavi
-parlando a fior di labbra. E bisogna dire che di
-questi diciassette marmocchi, le sia molto piaciuto il
-primo, poichè l'ha ristampato sedici volte senza
-correzioni, e tutti portano l'impronta netta della
-beata melensaggine della mamma. Oh questa è Olanda
-davvero! E chi sarà quel capo matto che ha rovesciato
-sui Paesi Bassi questa valanga di putti? e
-com'è possibile che questa madre d'un popolo, abbia
-ancora dei grilli per la testa? E mi tocca i piedi!
-Tocca? Pesta, per Giove! Avete una maniera un
-po' troppo vigorosa di manifestare le vostre simpatie,
-signora mia.... vorrei dirle. Che cosa dite? Eh? Io?
-Ma voi siete pazza. Io vostro marito? Io v'ho sposata
-davanti al borgomastro di Dokkum? Questi
-diciassette bimbi son.... nostri? Voi avete il contratto
-matrimoniale? Ah! la mia memoria si rischiara....
-Ma dunque è vero! Dunque finora io ho sognato!
-Non v'inquietate, moglie mia: apro la finestra e
-metto la testa fuori per pigliare una boccata d'aria; — vi
-amo più della vita; — metto fuori anche il
-<span class="pagenum" id="Page_357">[357]</span>
-busto; — v'adoro; — mi sporgo ancora un po' innanzi; — lasciatemi
-appoggiare il piede sulla seggiola; — così,
-amor mio; — ed ora tu, Dio pietoso, accogli
-il mio spirito, e voi, acque dell'Olanda, il mio
-corpo!... Dannazione eterna! Chi mi trattiene?
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... <i>Caballero</i>, ci perdoni se l'abbiamo tirato
-indietro così bruscamente; siamo guardie civili,
-dobbiamo obbedire agli ordini; è proibito ai viaggiatori
-di metter la testa fuori del finestrino dei
-vagoni; potrebbe seguire una disgrazia; ci son Carlisti
-da ogni parte; ieri erano a Calatayud; avanti
-ieri scorrazzavano intorno a Siguenza; non per
-nulla ci hanno messi cinque per vagone, armati fino
-ai denti; non s'appoggi sui fucili: son carichi. — E
-sta bene! E anche questo è un bel modo di viaggiare!
-Due facili carichi dinanzi, due fucili carichi
-di dietro, un pistolone rasente il ginocchio, il manico
-d'una daga contro il fianco, e sei cinghie di
-zaino che mi spenzolano sulle spalle; e se m'affaccio
-al finestrino, una palla cilindro-conica nel cranio; e
-tutte queste dolcezze, per andare al Marocco. Povera
-Spagna! Quanto la ritrovo mutata! La campagna,
-deserta, i villaggi barricati, le stazioni della
-strada ferrata arse, diroccate, circondate di parapetti
-e di fossi; per tutto gruppi di contadini
-oziosi e di soldati stanchi; tende, sentinelle,
-<span class="pagenum" id="Page_358">[358]</span>
-cavalli rifiniti, traccie d'accampamenti, case
-affumicate, miseria. Non sembra però che i miei
-compagni di viaggio si diano gran pensiero di questo
-sottosopra. Vedo là due sposi che colombeggiano;
-qui un operaio brillo che fa delle proposte di
-matrimonio a una vecchia contadina aragonese; più
-in là cinque scamiciati che giocano alle carte; un
-ufficiale dei cacciatori che canta, un postiglione
-castigliano che trinca, e un vecchio parroco di
-campagna che stabacca voluttuosamente fra un periodo
-e l'altro dell'<i>España católica</i>. Allegri, figliuoli,
-e che Dio vi conservi. Ora canta anche il postiglione,
-l'operaio gli fa eco, i cinque scamiciati entrano
-nel coro; come, come, anche loro, le signore
-guardie? Ma, e la <i>consegna</i>? E la disciplina? E i
-Carlisti? Oh che bel paese di matti! Il carnovale
-in mezzo alla guerra civile. Ma bene! Viva la.... darei
-un buffetto sul naso a quei due sposi, che si guardano
-nel bianco degli occhi. Corpo di Carlo V! Non
-c'è peggior supplizio per un povero viaggiatore, che
-di dover assistere a queste fanciullaggini! Smettiamo
-dunque; il vagone non è un'alcova, che diavolo!
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... E un'altra coppia, — e un'altra, — e un'altra.
-Eccomi qui in piena Arcadia. Ora mi dovrò
-asciugare quest'uggioso spettacolo fino a Colonia.
-Già non ci dovevo venire. Me l'avevano detto che
-<span class="pagenum" id="Page_359">[359]</span>
-questi scellerati piroscafi del Reno, in autunno, sono
-il nido galleggiante di tutti gli amori nuziali del
-Belgio, dell'Olanda, della Svizzera tedesca e dei
-paesi delle due rive. Eccole qui, tutte queste bionde
-sdolcinate e scarmigliate, che alzano gli occhi al
-cielo e lasciano ricadere la testa. Ecco gli sguardi
-velati, le strette di mano furtive, i baci mandati
-col ventaglio, le toccatine di piede, i bisbigli, i languori,
-le sciocchezze infinite che cinquanta maledetti
-notari tabaccosi hanno legittimate pel mio
-malanno. Quella belga fraschetta! Quella magontina
-petulante! Questa lussemburghese ipocrita che nasconde
-coll'<i>Allgemeine Zeitung</i> il braccio di suo
-marito! Le sfrontate! Gli ufficiali tedeschi salutano
-il piroscafo dalle terrazze delle ville, le chiese gotiche
-specchiano le loro guglie cesellate nelle acque,
-i vecchi castelli disegnano le loro gigantesche
-forme nere sul cielo, passa la roccia di Coblenza,
-sparisce la rovina di Hammerstein, si nasconde dietro
-ai monti lo splendido castello di Rheineck, si
-dileguano come sette nuvole enormi le Sette Montagne;
-e loro non vedono nulla! e continuano a
-bamboleggiare colla punta delle dita e colla punta
-dei piedi, stupidamente sicuri di non esser visti, come
-se fossimo tutti addormentati, orbi, o cretini.... Eppure
-se tutte queste sciocchezze non si facessero,
-non avrei trovato, le sere dei giorni di festa, nei
-<span class="pagenum" id="Page_360">[360]</span>
-giardini d'Anversa e nei viali di Basilea, una folla
-d'angioletti coi capelli d'oro, che mi scacciarono
-dal capo le idee nere, e mi riempirono il cuore di
-dolcezza! Ah! io sono un ingrato! Ebbene, sì, sorridete,
-guardatevi, amatevi, parlatevi nell'orecchio,
-giocate colle punte dei piedi, godete, inebbriatevi,
-scordatevi di noi e del Reno e dell'universo! purchè
-vengano gli angioletti coi capelli d'oro....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Eccoli qui! Una folla di bimbi e di bambine
-che invadono il <i>Prater</i> di Vienna, sparpagliandosi in
-mezzo agli alberi sfrondati, per i viali coperti di
-foglie gialle. L'autunno s'è cangiato a un tratto in
-primavera; l'aria grigia s'è riempita di fragranze e risuona
-di voci armoniose, e tutto spira freschezza e
-allegria. A gruppi, a schiere, a circoli, a stormi,
-vanno e vengono, come un nuvolo d'uccelletti e di
-farfalle; e rendono l'immagine d'un grande giardino
-di rose e di gigli vivi, che da sè stessi intreccino
-e disfacciano rapidamente mazzi, corone e ghirlande
-palpitanti e sonore. Ciarpe scozzesi e pelliccie
-russe, giubbette ungheresi e berrette polacche, penne
-purpuree, riccioli biondi e nastri azzurri, ondeggiano
-e si confondono in mezzo ai cerchi, alle carrozzine,
-alle racchette, ai cervi volanti, ai palloncini color
-di rosa. Tutto ride, tutto brilla, tutto splende,
-tutto tripudia, e un senso divino di giovinezza
-<span class="pagenum" id="Page_361">[361]</span>
-e di speranza invade l'anima mia. Siate benedetti,
-o bei fiori appena sbocciati della razza
-umana! Benedetti i vostri visi rosei, benedetti i
-vostri capelli di seta, benedette le vostre gambettine
-nude, benedetti i vostri giochi, la vostra gioia,
-la vostra innocenza, le vostre famiglie, la vostra
-vita! Io v'adoro, creaturine! Venite, accorrete intorno
-a me, fatemi fare qualche cosa, fatevi servire,
-imponetemi i vostri capricci, divertitevi di
-me! Volete picchiarmi? Volete farmi l'urlata? Volete
-saltarmi a piedi giunti? Volete ch'io vi porti
-sulle spalle? Volete che m'arrampichi sopra un
-albero, per farvi ridere? Se mi rompessi la testa,
-voi dite. E che m'importa di rompermi la testa per
-voi! Animo, sull'albero. Sono già molto alto, non è
-vero? Ma salirò ancora. Così? — Noch! — Così? — <i>Immer
-noch!</i> — Ma volete dunque ch'io salga
-fino....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Oh l'incantevole panorama! Un golfo coperto
-di navi, due mari che si congiungono, tre città che
-s'abbracciano, l'Europa e l'Asia che si guardano,
-mille minareti e mille cupole, in mezzo a migliaia di
-chioschi, di bazar, di bagni, di terrazze, d'acquedotti,
-dentro a una corona immensa di giardini e di boschi;
-e in ogni parte una folla variopinta e innumerevole
-che sale e scende per venti colline e venti porti,
-<span class="pagenum" id="Page_362">[362]</span>
-in mezzo ai cipressi, alle fontane e alle tombe; e su
-tutto questo il cielo d'Oriente! Oh com'è bello, splendido
-e grande! Io non credevo che una così meravigliosa
-bellezza si potesse vedere sulla terra altro che in
-sogno. Ora comprendo il musulmano moribondo che
-dice: — portatemi alla finestra. — Vi comprendo,
-poeti che avete spezzata la penna, pittori che avete
-lacerato la tela, scienziati che avete perduta la flemma,
-mercanti che avete balbettato dei versi, fanciulle
-che avete gettato un grido e abbracciato vostra
-madre, gente d'ogni paese e d'ogni tempra,
-che vi siete sentiti rimescolare il sangue e inumidire
-gli occhi davanti a questa visione di paradiso!
-Oh se potessi portar qui tutto quello che amo, e
-viver qui, a questa sublime altezza, su questa terrazza
-aerea salutata dal primo e dall'ultimo raggio
-del sole! Custode, non mi seccate. — Faccio il mio
-dovere, <i>captàn</i>. Tutta Costantinopoli sa che il nostro
-signore e padrone Abdul Aziz, che Allà protegga
-e conservi, non vuole che nessuna fronte
-umana si alzi sopra l'ultimo parapetto della torre
-del Seraskir. Fammi dunque il favore di abbassare
-la testa. — Lasciami in pace, ti do cinque lire franche. — Abbassa
-la testa, <i>captàn</i>. — Ti do due
-scudi franchi. — Abbassa la testa, <i>captàn</i>! — Ti
-do un napoleone d'oro, che tua moglie diventi sterile
-e gli uccelli del cielo insudicino la tua barba!
-<span class="pagenum" id="Page_363">[363]</span>
-S'è mai visto un mulo di turco più mulo di costui?
-Siamo d'accordo?
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... <i>D'accord, monsieur, d'accord. Donnez moi
-le napoleon et voici la chaise.</i> — Sta bene; ma
-aiutatemi a salire, perchè è buio fitto, e sostenetemi
-di dietro perchè la folla ondeggia. Ed ora dove
-devo guardare? — Al di là della Senna, signore. — Ah!
-un fascio di raggi bianchi ha illuminato per
-un momento un mare di teste nel Campo di Marte.
-Ora dalla riva in faccia s'alza e s'allarga un nembo di
-foco che vien giù a schizzi, a sprazzi, a pioggioline, a
-cascatelle splendide in forma di fiori, di pagliole, di
-stelle, di fiocchi, d'anelli, e produce nelle acque un
-tremolío di riflessi, un turbinío di scintille, un lampeggiamento
-di colori, che par che la Senna travolga
-perle, cristalli e vezzi d'oro. Intanto dal ponte,
-dalle case, dalla riva destra si spandono torrenti di
-luce che colorano via via di verde smeraldo, di giallo
-sulfureo e di rosso sanguigno le sponde, la folla,
-l'altura del Trocadero, il padiglione dello Scià; cento
-cannoni tonano, cento musiche echeggiano, e l'immensa
-voce della moltitudine empie il cielo come
-il muggito d'un oceano. A un tratto, tutto si spegne,
-tutto tace, e la folla, immersa daccapo nelle
-tenebre, volta le sue trecentomila teste a monte
-della Senna. L'incendio di Parigi comincia. Vampe
-<span class="pagenum" id="Page_364">[364]</span>
-di luce indiana e fasci di luce elettrica vibrati tutt'insieme
-da mille punti, illuminano tutte le sommità
-dei più alti edifizî. I tetti delle Tuilleries sfolgorano
-come piramidi di carbonchio, la cupola del
-Panteon è di bragia, il palazzo dell'Industria è d'argento
-percosso dal sole, il palazzo degli Invalidi è
-verde acceso, la torre di San Giacomo, la colonna
-di Grenelle, la scuola militare, San Sulpizio, Nostra
-Signora di Parigi mostrano i loro grandiosi contorni
-segnati di foco, le loro cime coronate d'aureole e
-velate di fumo luminoso, e il cielo appare colorato
-qua e là d'aurore e di tramonti di soli ignoti; e
-infine una miriade di razzi scoppia da un capo all'altro
-di Parigi con un fragore formidabile, e si
-risolve in una immensa pioggia silenziosa di fiori
-ardenti, accompagnata da un grido universale d'allegrezza
-infantile....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Vera allegrezza infantile! Lasciate stare codeste
-fanciullaggini, e pensate alla morte! — Ah!
-siete voi, signor Danmann? — Son io, il vecchio e
-uggioso filosofo danese, che vi sermoneggia in fondo
-a una carrozza, tra Turnu-Severin e Palanka, un'ora
-prima del levar del sole; distogliendo voi, stizzito,
-(perchè vedo che vi stizzite) dal cercare cogli occhi
-fra le capanne e le siepi, a traverso la nebbia,
-le incerte forme bianche delle contadine valacche. Lasciatemi
-<span class="pagenum" id="Page_365">[365]</span>
-dunque finire il discorso. Vi voglio ripetere
-il mio consiglio, un buon consiglio per la pace
-della vostra vita. Pensate tutti i giorni, e lungo
-tempo alla morte; ma sprofondatevi in questo pensiero
-e chiudetevi in esso come in una tomba, giovandovi
-di tutta la forza della vostra immaginazione.
-Raffigurate voi a voi stesso, colto da una
-malattia mortale —, moribondo —, morto; stampatevi
-bene in mente l'aspetto del vostro cadavere;
-osservate ogni movimento degli uomini che vi stendono
-nella cassa, che inchiodano il coperchio, che
-vi portan via; — guardate a traverso le assicelle
-la città affaccendata ed allegra; — sentite il freddo
-della fossa in cui vi calano —; udite il rumore della
-terra che vi gettano sul capo; immaginatevi là solo,
-immobile, scheletrito, orrendo, e meditate senza
-staccar gli occhi da quell'orrore. Ebbene, credete
-a me: chi non ne ha fatto esperimento, non può concepire
-il grande e salutare cangiamento che produce
-questa meditazione funebre di tutti i giorni
-nella nostra maniera di vedere e di sentire il mondo
-e la vita. La nostra sventura è quel sentimento vago
-d'immortalità terrena, il quale ci fa vedere tutte
-le cose che ne circondano, più grandi e più importanti
-di quello che sono; onde più grandi i dolori,
-e anche le gioie, perchè sproporzionatamente maggiori
-delle cause, sorgenti di tristezza. Ma l'abitudine
-<span class="pagenum" id="Page_366">[366]</span>
-del pensiero della morte, ravvivando continuamente
-il sentimento della precarietà d'ogni cosa,
-ci presenta tutto ridotto alle sue proporzioni reali,
-e restituisce così l'equilibrio tra noi ed il vero, e
-coll'equilibrio la pace, e colla pace un misurato e
-più sicuro godimento della vita. Provate e rimarrete
-meravigliato, amico mio, vedendo come fuggiranno
-da voi tutti i piccoli sentimenti ignobili,
-tutti quei piccoli dolori senza cagione, quella turba
-miserabile d'irucole, d'invidiole, d'ambizioncelle,
-di dispetti, di crucci, che rode sordamente l'anima
-umana, e la rende più infelice che non le grandi
-sventure. Provate: in ogni vostra piaga morale
-versate prontamente questo pensiero, come versereste
-un balsamo in una piaga del corpo. Ogni volta
-che v'assale l'orgoglio, osservate le vene della vostra
-mano, tastate le vostre costole, trattenete per
-qualche momento il respiro, e sentendo così improvvisamente
-la debolezza della vostra vita, tornerete
-umile. Quando qualcuno v'offende, rappresentatevi
-alla mente il suo scheletro, tutte le più minute parti
-del suo fragile organismo, un vaso sanguigno del
-suo capo che, rompendosi, lo può rendere da un
-momento all'altro forsennato o cadavere; e perdonerete.
-Abituatevi a vedere in ogni uomo un moribondo;
-nello spettacolo della natura un quadro fantasmagorico
-che brilla e svanisce; in tutti i beni
-<span class="pagenum" id="Page_367">[367]</span>
-della terra, il bene d'un momento, che un raffreddore
-vi può togliere; abituatevi a sentirvi morire,
-fatevi del pensiero della morte un sostegno, un rifugio;
-e non temete ch'esso vi stanchi della vita,
-e vi renda freddo agli affetti e al lavoro, chè anzi
-ogni vostro affetto si colorerà d'una mestizia divina,
-e si farà più profondo. Ah! con che delirio
-d'amore bacerete la vostra amante, pensando che
-con una stretta delle braccia potreste slanciare la
-sua anima nell'eternità e il suo corpo nella tomba!
-E il vostro lavoro sarà più fecondo, perchè stando
-quasi colla vostra mente fuori della vita, contemplerete
-gli uomini e le cose dall'alto, coll'anima più quieta
-e coll'occhio più sereno. Eccoci a Palanca; qui dobbiamo
-separarci; ricordatevi i consigli del vecchio
-Danmann, e addio. — Permettetemi d'abbracciarvi,
-signore. — A me figliuolo. — .... Gran Dio! Voi non
-siete Danmann, voi non siete vivo! Voi siete di
-bronzo!...
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Una statua. Ah, riconosco le tue sembianze,
-o potente e caro agitatore della mia giovinezza. In
-quest'aspetto io ti vedevo apparire come un fantasma
-luminoso, sulla soglia della mia stanza, quando
-a tarda notte alzavo dai tuoi libri il volto trasfigurato.
-Così vedevo codesta fronte, che porta la
-traccia delle battaglie ardenti e perpetue della tua
-<span class="pagenum" id="Page_368">[368]</span>
-mente; così tutta la tua nobile figura, che pareva
-sempre naturalmente atteggiata sul piedestallo che
-ora ti sorregge, «<i>tutto altero e grandioso, fuor che
-gli occhi, che son dolci</i>.» Ti riconosco; sei tu «che
-t'avanzavi come un conquistatore nell'eterno dominio
-del vero, del bene, del bello, lasciando dietro
-di te, vaga apparenza, la volgarità che tutti c'incatena;»
-tu il profondo e sottile investigatore del
-cuore umano, l'instancabile rimestatore di problemi,
-poeta della libertà e dell'amore, scultore di tiranni
-e d'eroi, pittore di vergini e di banditi, glorificatore
-di schiavi e di martiri; tu «il <i>vero uomo</i>»
-tu «il giovane eterno» tu che eri ad ogni otto
-giorni «un essere novo e più vicino alla perfezione;»
-ingegno tremendo e gentile, anima eccelsa e
-semplice, uomo grande dinanzi alla patria, grande in
-seno alla famiglia, grande nella lotta contro te stesso
-e contro la morte! Sei tu, dunque? Oh! permetti
-all'ultimo dei tuoi devoti, a uno che, te vivo, avrebbe
-attraversato l'Europa per andar a gridare sotto le
-finestre della tua casa che tu sei grande e che ti
-ama, permettigli di mettere per un istante sotto la
-tua mano di bronzo la sua fronte infocata, come
-farebbe per chiedere la benedizione d'un Dio.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Chi profana il nome di Dio? Non c'è altro
-Dio che Allà e Maometto è il suo profeta. Ascari,
-<span class="pagenum" id="Page_369">[369]</span>
-caricate di catene questo miserabile che si prostra
-ai piedi d'un idolo di bronzo. — Tu vaneggi, Kaid!
-Questa è la statua di Federico Schiller e io sono
-nella città di Magonza. — Tu menti, Nazareno!
-Questo è il simulacro d'un Dio bugiardo e tu sei
-nel palazzo imperiale di Fez. — Un momento, in
-nome di Dio! Abbassate le spade: io domando di
-parlare al Sultano! — Voltati indietro e atterra
-la fronte: egli s'avanza.... — Ah! Mulei-el-Hassen,
-i ministri, la corte! Sia ringraziato il Cielo, son
-salvo! Mulei! Maestà! Sono accusato d'idolatria, sono
-innocente, io non riconosco e non adoro che il vero
-Iddio, Signore dei mondi, immensamente misericordioso.
-Voi non mi farete morire. Mi dovete riconoscere.
-Venni qui con un'ambasciata. Voi montavate
-un cavallo bardato di verde, e avevate la cappa
-bianca e il cappuccio sul turbante; eravate bello e
-gentile, Mulei, e i vostri occhi eran pieni di dolcezza.
-Indietro dunque colle vostre spade, soldati! la mia
-vita è nelle mani del vostro Signore. Mulei, voi
-siete giusto e buono; io son lontano dalla mia patria,
-solo, senza difesa; son giovane, sono amato, ho
-bisogno di vivere, pronunziate una parola, fate un
-cenno, sorridete, guardatemi! Oh, voi vi movete a
-pietà, Mulei; la vostra fronte si rasserena, le vostre
-labbra si schiudono; una parola, dunque, una sola
-parola! Fate almeno allontanar queste spade che mi
-<span class="pagenum" id="Page_370">[370]</span>
-balenano sugli occhi. Ma scotetevi una volta, principe
-senza cuore! Non vedete, per Dio! che son già
-tutto intriso di sangue....?
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... È mio sangue, signor tenente; son io che l'ho
-macchiato; lei non è ferito; la palla è toccata a me....
-in un fianco; non vada via, signor tenente; stia
-qui accanto a me; io sento che la vita m'abbandona;
-m'aiuti o morire. — Ma che morire, figliuol
-mio! Perchè parli di morire? La tua ferita non è
-grave; fatti coraggio; appoggiati qui alla sponda
-del fosso; mettimi la testa sul braccio; così; ora ti
-sbottono il cappotto; a momenti capiterà qui il medico;
-non ti perder d'animo, via; vedrai che per
-questa volta ci si mette ancora una toppa. — Ah,
-no, signor tenente! Questa volta è finita.... Sento
-che è finita.... Mi si velano gli occhi.... Addio! addio,
-mio buon uffiziale! addio, mia buona madre!
-addio a tutti! — Morto!... Forse il suo cuore batte
-ancora. Ah! non batte più. Povero ragazzo! Egli
-non poteva avere più di ventidue anni. Ecco un taccuino,
-una lettera diretta a suo padre; <i>al signor
-Pietro Caretti, contadino</i>. Contadino! <i>Fiesole, presso
-Firenze.</i> Un biglietto da due lire: la sua paga degli
-ultimi cinque giorni. Il ritratto d'una vecchia: sua
-madre. Un anellino di capelli neri: la sua amante.
-Ecco tutto il suo passato e tutto il suo avvenire,
-<span class="pagenum" id="Page_371">[371]</span>
-sommersi in una pozza di sangue; tutto il suo piccolo
-mondo, frantumato da un pezzetto di piombo;
-affetti, promesse, disegni, speranze, tutto finito! E
-da chi? Da qualche altro ragazzo che è laggiù in
-quei campi, dietro quei nuvoli di fumo, e che forse
-ha anch'egli sul cuore un ritratto e una lettera....
-ma quella lettera è scritta in tedesco! Ecco perchè
-un dei due si è pigliato una palla nel fianco.... — Avanti!
-avanti! — Ma come, dove avanti, signor
-maggiore? Dobbiamo arrampicarci su per
-questo muro? È impossibile! — Avanti a ogni
-modo! Aggrappatevi all'erba e all'edera, laceratevi
-il viso e le mani; ma salite! — Saliamo dunque....
-Me se non si può! l'edera cede e si rompe! — Ma
-come si rompe! Se è marmo!
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-.... Marmo? E infatti le mie mani stringono due
-colonnette; il mio piede destro posa sulla testa d'un
-santo; il mio piede sinistro, sulla groppa d'un leoncino,
-e sulla mia testa, s'alza una finestrina a sesto
-acuto; io m'arrampico su per un delicatissimo monumento
-d'architettura gotica, tutto rilievi e trafori,
-e pieno d'aria e di luce; e giù sotto di me, vi
-sono altre colonnette, altri santi, altri ricami di
-marmo; e ancora più sotto.... Dio eterno! Io sono
-a un'altezza prodigiosa, sulla guglia estrema del
-campanile della cattedrale di Strasburgo! Vedo
-<span class="pagenum" id="Page_372">[372]</span>
-Wissemburg, la montagna del Geisberg, il Reno, la
-foresta nera, l'Eichelberg, la valle della Murg! Sono
-sospeso tra il cielo e la terra! Ah! purchè riesca a
-cacciare la testa nel finestrino! Coraggio. — Su — adagio
-adagio — di statuetta in statuetta — di
-rilievo in rilievo.... Ma questo vento che mi caccia
-i capelli negli occhi! Questo immenso vuoto che mi
-circonda! Queste colonnette sottili come verghe di
-salice! Queste teste di santo grosse come una noce!
-Ah, il coraggio m'abbandona! Le mie mani tremano,
-i miei piedi scivolano, le colonne si muovono, i
-santi vacillano, i rilievi si staccano, il terrore m'invade,
-l'abisso mi attira, la vertigine m'accieca!
-Ah l'orrenda morte! Oh madre mia! Aiuto! Io precipito....
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Cos'è stato? Mi son svegliato con un grido? Chi
-mi chiama? Ah, la voce di mia madre nell'altra
-stanza. Che dici?
-</p>
-
-<p>
-— Ti dico quello che t'ho già detto tante volte,
-figlio mio: di non dormire mai sul fianco sinistro.
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-FINE.
-</p>
-<hr class="silver" />
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il nuovo vocabolario dell'uso del Fanfani e del Rigattini
-ha la parola <i>patinare</i>.</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_373">[373]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td>&nbsp;</td> <td class="pag"><span class="smcap">Pag.</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#padrona">La mia padrona di casa</a></td> <td class="pag">7</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#scoraggiamenti">Scoraggiamenti</a></td> <td class="pag">19</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#ordinanza">Ritratto d'un'ordinanza</a></td> <td class="pag">45</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#battaglie">Battaglie di tavolino</a></td> <td class="pag">55</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#incontro">Un incontro</a></td> <td class="pag">77</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#castelar">Emilio Castelar</a></td> <td class="pag">91</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#pedante">Un caro Pedante</a></td> <td class="pag">109</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#visita">Una visita ad Alessandro Manzoni</a></td> <td class="pag">119</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#vocabolario">La lettura del Vocabolario</a></td> <td class="pag">135</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#appunti">Appunti</a></td> <td class="pag">147</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#parola">Una parola nuova</a></td> <td class="pag">191</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#consigli">Consigli</a></td> <td class="pag">201</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#vivente">Il vivente linguaggio della Toscana</a></td> <td class="pag">211</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#imparare">Quello che si può imparare a Firenze</a></td> <td class="pag">235</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#parlatore">Un bel parlatore</a></td> <td class="pag">245</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_374">[374]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#album">Dall'album d'un Padre</a></td> <td class="pag">253</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#culla">Sopra una culla</a></td> <td class="pag">275</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#ruffini">Giovanni Ruffini</a></td> <td class="pag">283</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#amore">L'amore dei libri</a></td> <td class="pag">297</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#menendez">Manuel Menendez</a> (racconto)</td> <td class="pag">307</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><a href="#sogno">In sogno</a></td> <td class="pag">341</td>
- </tr>
-</table>
-<hr />
-
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-
-
-
-
-
-
-
-<pre>
-
-
-
-
-
-End of the Project Gutenberg EBook of Pagine sparse, by Edmondo De Amicis
-
-*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK PAGINE SPARSE ***
-
-***** This file should be named 50806-h.htm or 50806-h.zip *****
-This and all associated files of various formats will be found in:
- http://www.gutenberg.org/5/0/8/0/50806/
-
-Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
-Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This
-file was produced from images generously made available
-by The Internet Archive)
-
-Updated editions will replace the previous one--the old editions will
-be renamed.
-
-Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright
-law means that no one owns a United States copyright in these works,
-so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United
-States without permission and without paying copyright
-royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part
-of this license, apply to copying and distributing Project
-Gutenberg-tm electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG-tm
-concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark,
-and may not be used if you charge for the eBooks, unless you receive
-specific permission. If you do not charge anything for copies of this
-eBook, complying with the rules is very easy. You may use this eBook
-for nearly any purpose such as creation of derivative works, reports,
-performances and research. They may be modified and printed and given
-away--you may do practically ANYTHING in the United States with eBooks
-not protected by U.S. copyright law. Redistribution is subject to the
-trademark license, especially commercial redistribution.
-
-START: FULL LICENSE
-
-THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE
-PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK
-
-To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free
-distribution of electronic works, by using or distributing this work
-(or any other work associated in any way with the phrase "Project
-Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full
-Project Gutenberg-tm License available with this file or online at
-www.gutenberg.org/license.
-
-Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project
-Gutenberg-tm electronic works
-
-1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm
-electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to
-and accept all the terms of this license and intellectual property
-(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all
-the terms of this agreement, you must cease using and return or
-destroy all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your
-possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a
-Project Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound
-by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the
-person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph
-1.E.8.
-
-1.B. "Project Gutenberg" is a registered trademark. It may only be
-used on or associated in any way with an electronic work by people who
-agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few
-things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works
-even without complying with the full terms of this agreement. See
-paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project
-Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this
-agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm
-electronic works. See paragraph 1.E below.
-
-1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the
-Foundation" or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection
-of Project Gutenberg-tm electronic works. Nearly all the individual
-works in the collection are in the public domain in the United
-States. If an individual work is unprotected by copyright law in the
-United States and you are located in the United States, we do not
-claim a right to prevent you from copying, distributing, performing,
-displaying or creating derivative works based on the work as long as
-all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope
-that you will support the Project Gutenberg-tm mission of promoting
-free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg-tm
-works in compliance with the terms of this agreement for keeping the
-Project Gutenberg-tm name associated with the work. You can easily
-comply with the terms of this agreement by keeping this work in the
-same format with its attached full Project Gutenberg-tm License when
-you share it without charge with others.
-
-1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern
-what you can do with this work. Copyright laws in most countries are
-in a constant state of change. If you are outside the United States,
-check the laws of your country in addition to the terms of this
-agreement before downloading, copying, displaying, performing,
-distributing or creating derivative works based on this work or any
-other Project Gutenberg-tm work. The Foundation makes no
-representations concerning the copyright status of any work in any
-country outside the United States.
-
-1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg:
-
-1.E.1. The following sentence, with active links to, or other
-immediate access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear
-prominently whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work
-on which the phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the
-phrase "Project Gutenberg" is associated) is accessed, displayed,
-performed, viewed, copied or distributed:
-
- This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
- most other parts of the world at no cost and with almost no
- restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it
- under the terms of the Project Gutenberg License included with this
- eBook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the
- United States, you'll have to check the laws of the country where you
- are located before using this ebook.
-
-1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is
-derived from texts not protected by U.S. copyright law (does not
-contain a notice indicating that it is posted with permission of the
-copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in
-the United States without paying any fees or charges. If you are
-redistributing or providing access to a work with the phrase "Project
-Gutenberg" associated with or appearing on the work, you must comply
-either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or
-obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg-tm
-trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9.
-
-1.E.3. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted
-with the permission of the copyright holder, your use and distribution
-must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any
-additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms
-will be linked to the Project Gutenberg-tm License for all works
-posted with the permission of the copyright holder found at the
-beginning of this work.
-
-1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm
-License terms from this work, or any files containing a part of this
-work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.
-
-1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this
-electronic work, or any part of this electronic work, without
-prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with
-active links or immediate access to the full terms of the Project
-Gutenberg-tm License.
-
-1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary,
-compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including
-any word processing or hypertext form. However, if you provide access
-to or distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format
-other than "Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official
-version posted on the official Project Gutenberg-tm web site
-(www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense
-to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means
-of obtaining a copy upon request, of the work in its original "Plain
-Vanilla ASCII" or other form. Any alternate format must include the
-full Project Gutenberg-tm License as specified in paragraph 1.E.1.
-
-1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying,
-performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works
-unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.
-
-1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing
-access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works
-provided that
-
-* You pay a royalty fee of 20% of the gross profits you derive from
- the use of Project Gutenberg-tm works calculated using the method
- you already use to calculate your applicable taxes. The fee is owed
- to the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, but he has
- agreed to donate royalties under this paragraph to the Project
- Gutenberg Literary Archive Foundation. Royalty payments must be paid
- within 60 days following each date on which you prepare (or are
- legally required to prepare) your periodic tax returns. Royalty
- payments should be clearly marked as such and sent to the Project
- Gutenberg Literary Archive Foundation at the address specified in
- Section 4, "Information about donations to the Project Gutenberg
- Literary Archive Foundation."
-
-* You provide a full refund of any money paid by a user who notifies
- you in writing (or by e-mail) within 30 days of receipt that s/he
- does not agree to the terms of the full Project Gutenberg-tm
- License. You must require such a user to return or destroy all
- copies of the works possessed in a physical medium and discontinue
- all use of and all access to other copies of Project Gutenberg-tm
- works.
-
-* You provide, in accordance with paragraph 1.F.3, a full refund of
- any money paid for a work or a replacement copy, if a defect in the
- electronic work is discovered and reported to you within 90 days of
- receipt of the work.
-
-* You comply with all other terms of this agreement for free
- distribution of Project Gutenberg-tm works.
-
-1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project
-Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than
-are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing
-from both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and The
-Project Gutenberg Trademark LLC, the owner of the Project Gutenberg-tm
-trademark. Contact the Foundation as set forth in Section 3 below.
-
-1.F.
-
-1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
-effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
-works not protected by U.S. copyright law in creating the Project
-Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm
-electronic works, and the medium on which they may be stored, may
-contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate
-or corrupt data, transcription errors, a copyright or other
-intellectual property infringement, a defective or damaged disk or
-other medium, a computer virus, or computer codes that damage or
-cannot be read by your equipment.
-
-1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right
-of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project
-Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project
-Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all
-liability to you for damages, costs and expenses, including legal
-fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT
-LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
-PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE
-TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
-LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
-INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
-DAMAGE.
-
-1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
-defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
-receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
-written explanation to the person you received the work from. If you
-received the work on a physical medium, you must return the medium
-with your written explanation. The person or entity that provided you
-with the defective work may elect to provide a replacement copy in
-lieu of a refund. If you received the work electronically, the person
-or entity providing it to you may choose to give you a second
-opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If
-the second copy is also defective, you may demand a refund in writing
-without further opportunities to fix the problem.
-
-1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth
-in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS', WITH NO
-OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT
-LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.
-
-1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied
-warranties or the exclusion or limitation of certain types of
-damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement
-violates the law of the state applicable to this agreement, the
-agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or
-limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or
-unenforceability of any provision of this agreement shall not void the
-remaining provisions.
-
-1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
-trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone
-providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in
-accordance with this agreement, and any volunteers associated with the
-production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm
-electronic works, harmless from all liability, costs and expenses,
-including legal fees, that arise directly or indirectly from any of
-the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this
-or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or
-additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any
-Defect you cause.
-
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm
-
-Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
-goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg-tm and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at
-www.gutenberg.org
-
-
-
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state's laws.
-
-The Foundation's principal office is in Fairbanks, Alaska, with the
-mailing address: PO Box 750175, Fairbanks, AK 99775, but its
-volunteers and employees are scattered throughout numerous
-locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt
-Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to
-date contact information can be found at the Foundation's web site and
-official page at www.gutenberg.org/contact
-
-For additional contact information:
-
- Dr. Gregory B. Newby
- Chief Executive and Director
- gbnewby@pglaf.org
-
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
-Literary Archive Foundation
-
-Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
-spread public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular
-state visit www.gutenberg.org/donate
-
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-
-Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-
-Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.
-
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-
-Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-
-Most people start at our Web site which has the main PG search
-facility: www.gutenberg.org
-
-This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-
-
-
-</pre>
-
-</body>
-</html>
diff --git a/old/50806-h/images/cover.jpg b/old/50806-h/images/cover.jpg
deleted file mode 100644
index 4dcff44..0000000
--- a/old/50806-h/images/cover.jpg
+++ /dev/null
Binary files differ