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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Santippe - Piccolo romanzo fra l'antico e il moderno - -Author: Alfredo Panzini - -Release Date: June 10, 2021 [eBook #65586] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at - http://www.pgdp.net (This file was produced from images made - available by the HathiTrust Digital Library) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE *** - - ALFREDO PANZINI - - - SANTIPPE - - PICCOLO ROMANZO FRA - L’ANTICO E IL MODERNO - - - _propter speciem mulieris - multi homines perierunt_ - - - - MILANO - FRATELLI TREVES, EDITORI - — - =10.º migliaio.= - - - - - PROPRIETÀ LETTERARIA. - - _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati - per tutti i paesi, compresi i regni di Svezia, - Norvegia e Olanda._ - - Copyright by Fratelli Treves, 1914. - - Tip. Treves. — 1921. - - - - - ALL’AMICO - AVV. NICOLA MONTANARI - - - - -A CHI LEGGERÀ. - - -_Questo piccolo romanzo non è stato scritto per gli eruditi, benchè -parli della Grecia; e sebbene parli di un filosofo, non è stato scritto -per i filosofi._ - -_Si intitola bensì con il nome di Santippe, un nome di donna infamata -nei secoli; e si potrebbe pensare che l’autore avesse avuto in mente di -servirsi di Santippe, moglie di Socrate, come di un laido pupazzo per -ripetere vecchie e sgarbate cose contro le donne: le quali cose, anche -se fossero verità, sarebbero pur sempre verità maschili, a cui è lecito -opporre altre verità femminili. E poi quale irriverenza è mai questa di -dir male della donna che è l’anfora della vita?_ - -_No, il libro non ha questo scopo; forse non ha scopo nessuno; è venuto -al mondo, così, come noi veniamo al mondo, senza scopo._ - -_La sua prima pubblicazione è stata nella_ Nuova Antologia, _nella -primavera dell’anno passato; così che si può dire che Giovanni Cena -la tenne a battesimo, questa povera Santippe. In questo tempo però si -è fatta più sciolta e vivace; cioè il libro è divenuto più facile e -snello._ - -_Però, se pure essendo tale, se pure essendo breve, non si ripeterà -di lui la brutta lode_, si legge tutto d’un fiato; _se molte cose che -comunemente si credono serie, faranno sorridere; e molte altre cose -ritenute ridicole indurranno ad alcuna meditazione, il piccolo libro -crederà non del tutto inutile la sua venuta al mondo. Anzi crederà di -essere anche lui venuto al mondo per amare e servire Iddio._ - - _Milano, primavera del 1914._ - - - - -SANTIPPE - - - - -I. - -Ellade, giovinezza del mondo. - - -Nel tempo antichissimo, quando gli uomini erano molto occupati per -popolare il mondo, ci fu come una piccola schiera di uomini che -pervenne ad una piccola terra. Essa era ricamata dai mari, e pareva -come l’umbelico del mondo. Era stagione di primavera e il mare mandava -tutt’intorno i suoi effluvi. - -Quegli uomini sostarono. - -Si scoprivano di lassù i corsi degli astri; si vedevano le vie del -mare. Allora essi scoprirono le vie della loro anima, ed una divina -esaltazione li vinse. Rivaleggiarono con gli Dei immortali: crearono -quelle multiformi opere che rimangono anche oggi come modelli, e non -furono mai più superate in bellezza. - -Questa piccola terra fu l’Ellade: quel piccolo popolo fu il popolo -ellenico. La vita che esso visse si chiamò «giovinezza»! - -Ma esso visse una breve vita; esso consumò, bruciò, — per così dire, — -nel giro di qualche secolo l’ardore della sua vita, cinta di rose. - - * - -Più tardi, gli uomini ripresero ancora il loro viaggio; buttarono via -le rose, e si coronarono di una corona di spine, anzi inalberarono per -loro emblema una croce da cui pendeva un povero morto, che si chiamava -Cristo. - -Questa, probabilmente, era la verità più vera e le spine erano più vere -delle rose. - -Senonchè un bel giorno gli uomini si accorsero con terrore di una -spaventosa cosa: che essi in questo modo anticipavano sotto il sole il -regno delle tenebre. - -Da allora serbarono per Cristo un culto di semplice simpatia: rifecero -la loro strada, avanzarono ancora nei secoli, poi si moltiplicarono, -coprirono anzi la faccia del mondo, e fecero infinite scoperte e -progressi. - -Siccome faceva molto freddo, inventarono anche il riscaldamento a -termosifone; e similmente per rinfrescarsi, d’estate, crearono il -ghiaccio artificiale. Innumerevoli, incredibili si susseguirono le -creazioni dell’uomo; le macchine per correre, le macchine per cucire, -le macchine per volare, le macchine per votare, le macchine per -ammazzare, le macchine per cantare. Scoprirono i microbi, il colletto -inamidato, il positivismo, il socialismo, la burocrazia, i campanelli -elettrici: ma non rividero più la loro giovinezza. - -Un cittadino nord-americano dei nostri tempi potrebbe ben far risuonare -il suo grosso riso paragonando, ad esempio, il suo Mississipì ai -fiumicelli dell’Attica, così poveri di acque che nell’estate non -arrivavano al mare. Ma che nomi! L’Illisso, il Cefiso! I monti -dell’Attica avrebbero fatto contorcere di sprezzo le labbra altezzose -di un alpinista teutonico, che trasporta, come niente fosse, le sue -scarpe ferrate e le penne di gallo cedrone sino in vetta al Cervino. - -Senonchè quei monti avevano meravigliosi nomi, meravigliose virtù: -dal Parnaso cantavano le Muse: Muse titaniche e severe — non come le -odierne Muse che sembrano una _troupe_ di malsane dame viennesi. Esse, -figlie della memoria e del vaticinio, cantavano, non per facilitare -la digestione, ma canti non più uditi cantavano per accompagnare ed -aiutare il cammino della vita. - -Un altro monte si chiamava l’Imetto. Intorno ad esso era tutto uno -sciame di api scintillanti d’oro, e ne sgorgava il miele, che si -trasfuse poi nel linguaggio; il più volubile, scorrevole, lieve -linguaggio che mai sia stato parlato, senza bisogno di domandare ogni -tanto: «Come si dice, signor grammatico? mi è lecito adoperare questa -parola, signor accademico?». - -Un altro monte si chiamava il Pentelico; ma la sua pietra bianca e -immortale si plasmava docilmente sotto la divina forza dell’uomo, -in quelle statue di cui qualcuna, mùtila ed esule, sotto la vòlta di -qualche cimitero o museo, ancora e come prigioniera rimane. - -Non che io, contemplando queste statue, mi sia messo a piangere come -fece Arrigo Heine davanti alla Venere di Milo. Arrigo Heine, poveretto, -era paralitico, allora, e può aver pianto anche in considerazione della -sua esistenza finita; ma certo un gran fremito vinse me pure: «Oh, -destatevi nude carni, ridonateci la giovinezza meravigliosa!» sospirai. - -Qualche monte abbastanza alto e gelido lo avevano pur anche gli Elleni; -ma ci collocavano gli Dei. - -Del resto era un povero e sterile paese l’Ellade, tanto che ai suoi -abitanti, per mangiare, conveniva navigare e combattere. Mancavano i -cereali. Però dalla roccia calcarea balzava il tralcio della vite e -sorgeva impetuoso, con le sue pallide chiome, l’ulivo. - -Il mare che penetrava fra le terre, teneva in vibrazione gli spiriti, -come in una azzurra irrequietudine: tutt’all’intorno poi fiorivano le -viole, colore della morte e profumo della pura giovinezza, tanto che -un poeta, come vinto da quella ebrietà, cantava: «O, Atene, splendida, -gloriosa città, incoronata di viole, celebrata, sostegno della Grecia, -demoniaca».[1] - -Questo popolo ellenico fu come la cicala[2] canora, come l’ape -industre, che sono animali alati, asciutti, preziosi, irrequieti, -diffonditori di armonie e di dolcezza: non fu come altri popoli, -che hanno in loro qualcosa di pesante, di viscido, di adiposo, di -strisciante, di tossico, da cui la mano delicata del filosofo rifugge. -Questo popolo si affacciò in un mattino puro alla finestra della vita, -e vide quelle cose della vita che hanno vero valore; e meravigliò non -per le cose meccaniche, come noi meravigliamo, ma per le cose naturali, -come fa la cortigiana Diotima quando dice: «Cosa divina è questa, e in -creature mortali, cosa immortale: il concepire e il generare». - - * - -A noi la conoscenza di questo popolo è venuta attraverso il martirio -della scuola, attraverso un nembo di parole irte, pungenti, con cui i -greci mai non avrebbero tormentato la loro giovinezza. - -A dispetto di queste memorie dolorose della scuola, la mia ammirazione -per questo piccolo popolo ellenico mi è venuta crescendo quanto più mi -apparvero piccoli i così detti popoli grandi. - -Io lo ho ammirato nelle sue contraddizioni, nelle sue lotte fratricide -e terribili, nella sua breve vita. - -Soprattutto le sue contraddizioni! Esse sono il cuscino su cui qualche -volta riposa la mia testa stanca. Pensare! un popolo che ha disputato -di filosofia più che non cantassero le sue adorabili cicale, eppure -non ha imposto un dogma, non ha avuto preti; un popolo che ha creato -quel magnifico parlamento di Dei e di Dee sull’Olimpo, con tutti i -vizi ed i servizi possibili: il nèttare, l’ambrosia, Ebe, Ganimede, il -meccanico Vulcano, Mercurio per i dispacci fra la terra ed il cielo; -e poi un bel giorno se ne stancò dei suoi Numi! e: «Via, parassiti! — -gridò — via oziosi! via crudeli! via buffoni!» E poi atterrì vedendo il -vuoto nell’Olimpo gelido, e il vuoto nel suo cuore: un popolo che ebbe -la magnifica impertinenza di chiamare barbare tutte le altre genti; -che in politica ci lasciò questo terribile ammaestramento, che non è -possibile vivere che, o sotto la tirannia di un individuo o sotto la -tirannia della plebe: il _demos_ e la _tirannis_, come la tragedia e la -commedia: un popolo che adorò la sua minuscola città, la sua _polis_, -ed ebbe per patria il mondo! Ma la patria, la patria, cioè il genio -della stirpe, guai chi l’avesse obliata! guai all’infingardo che avesse -scioperato nel divino lavoro, che avesse obliato la patria! E così -Ulisse ai compagni, stanchi, strappa il dolce oblioso frutto del loto. -«Via! via! il vile dolce frutto del loto, che fa obliare la patria!» - -E guai a chi avesse disturbato questo popolo nel suo lavoro di -creazione! Come l’ape s’avventa contro il nemico e infigge l’aculeo -pur sapendo che ne morrà, così questo popolo s’avventava alla morte con -l’asta e con lo scudo, nel divino impeto della sua Minerva guerriera, -contro il barbaro disturbatore. E adorava la vita! - -E sapeva che laggiù non era resurrezione dei morti. Sapeva? certamente -sapeva che laggiù erano tenebre, e se anche era vita, era vita di -tenebre, alcunchè di oscuro e di severo come, l’aspetto di Tànatos, il -melanconico iddio. - -No, un popolo, così unico e savio, non era destinato nè a vivere a -lungo, nè a formare una di quelle nazioni che oggi diciamo una _grande -nazione_. - -Esso fu dilaniato dalla forza contradditoria dello stesso suo genio: -cadde in balìa di quei virtuosissimi ma pesantissimi Romani: forse -anche con il suo esempio volle illustrare la verità della sua sentenza: -_che è meglio morire che vivere, e che ad ogni modo muore giovane chi è -caro agli Dei._ - - * - -Questa meravigliosa Ellade antica è oggi ai miei occhi come una -necropoli bianca, una città morta piena di statue bianche, dai marmorei -occhi vuoti. - -Molte volte io, alquanto seccato dai fischi delle macchine, irritati i -nervi dal sibilare delle sirene, nauseato anche un po’ dalle circolari, -dagli avvisi fiscali di questa nostra civiltà, mi sono rifugiato per -mio spirituale riposo in questa necropoli bianca dei grandi morti -ellenici. - -Quando voi siete ammalati di nervi, il medico vi dice: «Fate un bel -viaggio!» Ma non tutti hanno la possibilità di fare un bel viaggio; ed -è per questo che allora io viaggio per questa necropoli di morti; così -imperturbabili in apparenza, così commossi in profondo. - - * - -Ora un giorno io stavo guardando Socrate, personaggio molto conosciuto, -e lo guardavo non soltanto perchè lui fu, come tutti sanno, il -fondatore di quella che si chiama _filosofia morale_; ma perchè lui -spiccava assai brutto in mezzo a una corona di splendenti giovani. -E come sotto la scrittura di un codice antico avviene di scoprire -le tracce di una seconda scrittura, così io dietro Socrate vedevo -accampare, entro contorni nebulosi, una figura enorme, rossiccia, quasi -furiosa. - -«Oh, ma chi è costei?» dissi prendendo la lente. - -Non uno dei discepoli di Socrate, certamente! - -Anzi i suoi discepoli, i bei giovani splendenti di giovinezza, si -rivolgevano verso quella figura con un sentimento di dolore, di -meraviglia o di riso. - -Allora, dopo aver molto guardato, ben conobbi chi era colei: essa era -Santippe, la mala femmina, rossa di pelo, la tormentatrice dell’eroe, -la moglie di Socrate. Santippe, dico! - - * - -Da quel tempo la mia ammirazione per il popolo ellenico è venuta -crescendo. - -Perchè è cosa nota che gli Elleni ci hanno lasciato anche i modelli più -vari e straordinari del tipo femminile; da Elena, dalla chioma fiorita, -per cui tanti eroi morirono volontieri; ad Aspasia, donna intellettuale -che teneva un salotto e rovinò la politica del suo paese; a Penelope, -straordinaria, che giunse ad ingannare gli amanti per mantenere fede -al marito, il quale non soltanto era lontano, ma dicevano anzi che era -morto. - -Tutti i tipi, dico, ha fornito la Grecia, del furore guerriero, del -furore erotico.... Clitennestra lorda di sangue e di lussuria ed -Antigone, la santa della terra, più bella di Ofelia! Tutti i tipi; -eppure io sentiva che mancava qualche cosa. Ora, trovata Santippe, non -mancava più niente! - -Ma mi pareva ben impossibile che i Greci avessero tralasciato di -consegnare all’umanità uno dei modelli più comuni, come quello che -anche oggi va sotto la denominazione di Santippe. - -Ah, sì! Noi abbiamo fatto una grande scoperta viaggiando per la -necropoli dei morti ellenici. Noi abbiamo scoperto la infame Santippe. - -È strano però come gli eruditi non se ne siano accorti! Forse perchè -non era nei codici. - -E allora, benchè io sia uomo modesto, mi sono congratulato con me -stesso della bella scoperta. - - - - -II. - -Come io mi trovai alle prese con Santippe. - - -Dunque io presi Santippe, e pensai fra me: ci sei cascata finalmente, -o progenitrice di tutte le mogli fastidiose, rossa Santippe! Noi ti -faremo la vivisezione, e così vendicheremo quel povero e santo uomo di -tuo marito e consoleremo tutti i mariti vivi ed anche tutti i mariti -morti. - -Però, esaminiamo le cose con saviezza e ponderazione. - -Noi, ben è vero, sappiamo pochissimo intorno a Santippe; ma sappiamo di -certo che essa fu la moglie di Socrate. - -I discepoli e gli amici del grande filosofo ne parlarono anche, ma -con un senso di raccapriccio e di paura, come si fosse trattato -di un’orribile malattia attaccata a quell’uomo straordinario. Ma -certamente, ripeto, Santippe fu la moglie di Socrate; perchè una cosa -è certa, che Socrate, il più savio degli uomini, prese moglie; e questa -moglie si chiamava Santippe. - -E adesso vediamo quello che gli amici di Socrate tramandarono intorno a -costei. - -Senofonte scrive con chiarezza e brutalità che «Santippe fu la moglie -più bisbetica e riottosa di quante furono, sono e saranno». - -«Ma come fai, Socrate, — domandava il bellissimo Alcibiade, — a -sopportare una donna così importuna e maldicente?» - -«Ci sono abituato, — gli rispondeva Socrate. — Per me oramai è come -sentir stridere la carrùcola del pozzo.» - -Non era molto gentile, Socrate; ma non bisogna scandolezzarci: a quei -tempi la cavalleria con le dame usava poco. In Omero, per esempio, -si legge che fra i premi alle corse si metteva indifferentemente un -tripode, una donna ed un bue. - -«Come fai, Socrate, — insisteva Alcibiade, — a convivere con una donna -che non ti può offrire oramai se non lo spettacolo di una stupidità -permanente e clamorosa?» - -«Scusa, Alcibiade, ma tu non sopporti le oche che strepitano e gridano -continuamente?» - -«Sì, ma le oche fanno le uova ed i pàperi.» - -«Lo stesso, caro: Santippe fa i figliuoli.» - -Socrate, come si vede, usava l’arma dell’ironia; e noi sappiamo di -alcune donne che sopportarono anche le busse, anche di essere valutate -meno di un tripode: ma non l’ironia! - -Busse, anzi, Socrate non ne dava, come appare da quest’altro episodio. - -Un giorno, Socrate tornava a casa insieme con gli amici, ed ecco venire -incontro Santippe, che aveva fra mani il mantello di lui; e non appena -lo vide, cominciò a dire: - -«Eccolo, eccolo qua. E non è solo. Ha con sè tutta la compagnia, -e anche quel suo bardasso di Fedone! È questo il momento buono per -dirgli, ben alto e ben forte, quello che gli va detto: Di’, amorino, -vieni tu ora dalle case di Aspasia, di Diotima, le svergognate femmine -che maneggiarono più amori, che non lance Diomede? Ma alla moglie si -consegnano gli stracci da rammendare! Ah, tu non rispondi?» - -E con le unghie si accostò alle sporgenti pupille di Socrate. - -Gli amici allora le dissero «vergogna», e colei inferocì e proferì le -più laide parole che possano offendere la rispettabilità del nostro -sesso. - -Allora Alcibiade disse ridendo: «Socrate, la senti? Ecco il momento per -darle una lezione a suon di busse». - -Ma Socrate si rivolse agli amici e disse: «Sì, per far divertir la -gente alle nostre spalle e sentir dire: To’ guarda Socrate! Guarda -Santippe! Bravi tutti e due! sotto! dài! Oh, come si bastonano di -gusto! Ma vi pare, amici, una cosa da farsi?» - -Sembrerebbe anzi che fosse stata Santippe a picchiare. - -Il silenzio filosofico del marito aveva la virtù di esasperare la buona -donna sino al parossismo. - -E Socrate, silenzioso. Silenzioso sì, ma meditante la fuga. - -Ma Santippe si è accorta della fuga. Ha afferrato un vil vaso -domestico; ha atteso al varco, cioè alla finestra. E quando Socrate è -passato sotto la finestra, ha scaricato il vaso. - -«Non dicevo io, — spiegò Socrate ai vicini che erano accorsi al -diverbio, — che Santippe dopo aver tanto tuonato, stava per piovere?» - -Questo episodio è così conosciuto che anche gli scolaretti lo sanno, -perchè i professori lo fanno servire di esercizio per i loro innocenti -latinucci. (Tutto serve ai maestri di scuola per i loro latinucci e le -loro cosucce: i teschi degli uomini morti servono ai barbari per motivo -architettonico). - -Oh, non si creda per questo esempio che Socrate fosse uomo timido! Più -volte fu anzi in guerra e vide intorno a sè il sangue rosseggiare. Ma -anche nella battaglia è ricordato come uomo assorto e meditabondo. - -Alla battaglia di Potidea, per esempio, i soldati, meravigliando, lo -videro tutto un dì ed una notte ritto in piedi, con la faccia pensosa, -sinchè non cominciò a rosseggiare l’aurora e non si fu levato il sole: -e allora, fatta una preghiera al sole, se ne andò. - -E così, serenamente assorto, egli era anche il dì della sua ultima -battaglia, perchè si dice che il dì innanzi la morte, quando Critone -tutto affannoso entrò nella carcere, che non era nè notte nè giorno, -per indurlo a fuggire, Socrate, quasi destandosi alle cose esterne, gli -domandò: «Critone, come è a quest’ora? è già mattutino?». - -Ora in questo stato di assorbimento, sentire i lunghi discorsi di lei, -tutti pieni di _Idiòtes_, _màtaios_ (_cretino_, _insensato_, direbbe -una nostra signora), io credo che dovesse far dispiacere a Socrate. - -Sì, io credo che dovesse far dispiacere, non soltanto per le mani -adunche di lei, ma perchè con quello strappo lo aveva tolto dalla -mirabile primavera del suo pensiero e lo aveva richiamato ai sensi -materiali, i quali secondo l’opinione di Santippe erano diventati -ottusi. Anzi lei diceva: «Quest’uomo oramai non sente più niente». - - * - -Ma — si può chiedere, — delle altre cose, di quelle brutte cose che -fanno le mogli ai mariti, nulla fece Santippe? - -Non pare, o non fu tramandato. Parrebbe anzi che lei si dolesse che -tutto il servizio domestico fosse un po’ in cattivo stato. Perchè un -giorno Socrate disse a Santippe: «Senti, cara, domani verranno a casa -alcuni amici miei ospiti, e tu preparerai da pranzo». - -E lei disse: «Ma come mai hai il coraggio di invitare la gente a pranzo -che mancano i piatti, che non vi sono tovaglioli, che c’è appena da -mangiare per noi?», - -Socrate così le rispose: «Sta di buon animo, Santippe. Se gli invitati -saranno discreti e frugali, non rifiuteranno quello che c’è in tavola; -se saranno indiscreti e senza rispetto, noi non ci cureremo di loro». - -Qui, — diciamo il vero, — Santippe, come padrona di casa, non era in -obbligo di gustare tutta la saviezza della risposta di Socrate. - -Queste sono le cose che la Storia tramanda intorno a Santippe. Ed ora -vediamo del «tipo Santippe». - - * - -Santippe, — la mal famata nei secoli, Santippe, — ha dato origine -al tipo Santippe, alla cui formazione quelle tali brutte cose non -sono proprio necessarie; ma anche senza di esse, la vita diventa -intollerabile. - -Oh! chi avrebbe mai supposto che quella creatura tutta bianca, tutta -pavida, tutta docile che noi orgogliosamente conducemmo, in un dì -beato, in carrozza, davanti al codice del signor sindaco, si sarebbe -ammalata e sarebbe diventata Santippe? - -Sì, è vero, si dice anche per celia, «la mia Santippe», per significare -«la mia signora». Ma una signora non dirà mai: «Io sono la Santippe di -mio marito». Potrà esclamare: «Te lo farò vedere io chi è Santippe». -E può anche farglielo vedere! Perchè se lei dicesse ponderatamente: -«Sì, io sono la Santippe di mio marito», rivelerebbe di possedere la -coscienza, e in tale caso non sarebbe più Santippe. - -Le varietà del tipo Santippe sono molte; e forse non è inutile, a -beneficio di quelli che non conoscono le conseguenze del viaggio -davanti al codice del signor sindaco, riferire qualche onesto esempio; -benchè in questo, come in altre cose, la sagace natura ha provveduto -alla propria salvezza facendo sì che l’uomo non potesse acquistar -conoscenza se non dopo il fatto o _experimentum_, cioè una conoscenza -che non serve nemmeno ad accender la pipa! - - * - -Un marito era incanutito precocemente: ma la signora non poteva -soffrire quel bianco e versava premurosamente sulla testa del marito -fini tinture. Considerazioni del marito: «Non era meglio, o donna, -evitare che i miei capelli diventassero canuti così presto?» - -Altro esempio: - -Noi siamo giunti a casa, abbiamo mangiato un boccone. La stufa era -accesa, il sofà ci invitava. Noi vi ci siamo distesi per obliare in -un breve chiudersi della pupilla i fastidi e le cure della mattina e -quelle che ci aspettano nel dopo pranzo. - -Noi invochiamo una piccola dose di sonno, cioè una piccola dose di -morte, dieci minuti, ecco, per immagazzinare l’energia indispensabile -per l’altra metà del giorno. Già ci pare di chiudere gli occhi, il -cuore ha dato un impercettibile tuffo, una specie di registrazione -automatica con cui esso attenua le sue pulsazioni; la memoria ha -distaccato i suoi dolorosi corsieri.... - -«Ah, con quella testa unta sul sofà! con quei piedacci sul mio -_voltaire_! L’ho stirato proprio questa mattina. E quella puzza -nauseabonda di pipa! Un marito non ha più nessun riguardo. Ma chi ha -creato i mariti?» - -Chi parla così? - -È una Santippe che parla così. Ella spalanca le finestre. - -«Moglie mia — diceva un marito prudente che voleva andare a letto -presto la sera, — che camicetta ti metterai tu per andare a teatro?» -Oppure, quando voleva una minestrina leggera in brodo: «Moglie mia, -perchè non fai quegli eccellenti gnocchi di patate?» - -Altro esempio: - -Un signore era diventato principe-consorte. Non che egli avesse sposato -una principessa di sangue reale; ma soltanto una principessa della -penna. La signora sdegnava nominarsi e firmarsi col nome del suo ignoto -marito. Questi non poteva invocare l’intervento del signor sindaco; -è evidente! ma in lui era così a dismisura cresciuto il terrore per -l’arte, per la penna, per la gloria letteraria che se per caso doveva -subire qualche presentazione di signora, domandava in antecedenza: -«scusi, la signora scrive?» - - * - -Da ciò avviene che qualche volta uomo e donna si dividano senza -voltarsi indietro; ma ciò avviene più di rado del necessario, perchè la -sagace natura ha provveduto in modo che le voci dei bimbi che dicono: -«Babbo mamma, perchè ci abbandonate?» abbiano tali vibrazioni che il -cuore umano difficilmente vi regge. - -Creda, il signor sindaco: questa è la forza maggiore del suo codice! - - * - -Come giunsi a questo punto delle mie piacevoli meditazioni, ecco che -quello che sino allora mi era apparso quasi barbarico, mi si disegnò -come cosa ideale: cioè la biografia della perfetta donna presso gli -antichi Romani: _Rimase in casa, filò la lana, parlò poco, visse -casta._ - -E allora più ideale ancora l’educazione giapponese delle loro -pulitissime donne! Dice, un marito giapponese alla sua piccola _musmè_: - -«Nessuna cosa, piccola _musmè_, è più dannosa alla pace domestica -della vostra loquacità; e il non sapere cuocere il riso a puntino, è un -giusto motivo per ripudiarvi!» - -E la piccola _musmè_ risponde con le manine in croce e gli occhioni -abbassati: - -«Onorevole marito, sì! Le vostre parole sono tutte onorevoli verità, e -le vostre azioni sono tutte onorevoli azioni!» - - * - -A questo punto fu da me udito un crepitare di sibili e di metalli. Mio -Dio, Santippe si destava, Santippe parlava! Non avevo io con me preso -Santippe?. - -Gran Dio, a quanti pericoli si espongono i pacifici uomini di studio -nei loro esperimenti! - -Santippe parlava, e parlava appunto così: - -«Infame razza prepotente, ipocrita, di uomini! rimasta tal quale! Ah, -a voi torna comoda la donna, oca di Strasburgo e ingrassata pel vostro -egoismo! A noi le gravi cure! Noi siamo uomini! — Tu torna, o donna, -all’ago e al pennecchio infra le ancelle; e ti ricorda che niuna cosa -rende più brutta la donna come la inverecondia. E poi le vanno a cercar -fuori le donne con gli occhi cerchiati di inverecondi pallori! Sii -massaia, o donna! E sono capaci di far soffrire la fame in casa per far -baldoria con le baldracche!...» - -«Oh buona donna, — io dissi, — se tu puoi parlare, parla. Ma di una -cosa ti prego: non parlare così. Tempera la voce; fa pausa ogni tanto! -Qualunque cosa tu dica, dilla con voce soave, senza irruenza. Tutto è -tollerabile, forse, dalla donna quando avviene soavemente.» - -Oimè, ella non poteva far pause, la sua voce si alimentava con la sua -voce, ed io cominciai a sentirmi male, e mormorai con Cristo: Perdona -a lei che ignora la sua spaventevole voce! Però che sistema nervoso -straordinario e perfetto deve aver avuto Socrate! - -«Maledette le vostre lusinghe, — proseguì la irritante voce di -Santippe, — che ci hanno ridotte a questo stato di servitù! Noi siamo -state troppo buone, troppo generose di cuore, ed ecco la ricompensa! -Noi siamo uguali a voi! - -Sapete voi che in origine eravamo forti e pelose anche noi come voi? -I figliuoli, si è vero, li facevamo noi; ma quando eravamo stanche di -allattare i marmocchi, li davamo all’uomo, e dicevamo: «To’, allatta -tu,» e andavamo fuori di casa a caccia dell’orso anche noi. - -Poi, per compiacervi, siamo rimaste in casa; per compiacervi ci siamo -profumate col paciulì, abbiamo fatto la voce di flauto, i piedini -piccoli, e vi sono anche oggi delle donne che non stanno in piedi, se -non sono appoggiate ad un maschio. Maledetto lo specchio di Venere! Oh, -ma noi lo romperemo e allora vedremo chi vale di più! Che diritto, che -diritto aveva il poeta Archiloco sopra le figlie di Licambe, che non ne -volevano sapere di lui? E lui perseguitarle coi suoi versi, finchè le -poverette, disperate, si impiccarono?» - -Così parlò Santippe. - -Or bene, prescindendo dalla voce che offendeva il mio sistema -nervoso, non posso negare che nelle parole di lei v’era qualcosa che -impressionava quel delicatissimo sentimento della giustizia che per mia -sventura possiedo. - -Io non so se la donna fosse nei tempi preistorici pelosa e guerriera: -le più antiche memorie storiche risalgono ad Eva, la quale era bianca -e la prima cosa che fece, dopo aver perso il pudore, fu una _toilette_ -con la pianta del fico: e quanto alle lusinghe ed al programma di -creare una nuova morale frantumando lo specchio di Venere, io credo -che sia impossibile. Ne è prova la signora Curie, la quale dopo -essere diventata grande scienziata, dopo avere scoperto il radio, pur -non essendo così giovane nè così bella come Eva, non potè sfuggire -alle seduzioni di Venere e sedusse o si lasciò sedurre da un suo -collaboratore di gabinetto. - -Certo è che alcune delle osservazioni di Santippe erano impressionanti; -e non si può affermare che l’uomo sia stato eccessivamente logico. -Vediamo un po’: - -Ha detto l’uomo: - -«Amami, o donna, senza di te l’universo è vuoto, il sole è tenebra. Un -bacio, un bacio, un bacio per carità!» E pareva che senza quel bacio -non potessero addormentarsi, poveri uomini, non potessero neanche -morire, come i bimbi che domandano il bacio della mamma. Ed ella fu -compiacente e gentile: si attorcigliò la chioma, o se la lasciò cader -giù sulle spalle, secondo i casi: imparò a dare i baci, a languire con -gli occhi chiusi, come morta, e diceva all’uomo: «Va bene così? O devo -prendere un’altra posizione?» Dopo avere imparato i baci, imparò a -fare l’infermiera. Spesso l’uomo giungeva a casa ferito o ammalato, e -allora quelle mani che gli si erano attorcigliate al collo al tempo dei -baci, se le sentì posare come un balsamo su le sue ferite; e le pupille -che si erano chiuse nel piacere dei baci, egli le sentì sopra di sè -vigilanti e materne. Non basta; ma spesso il focolare dell’uomo era -spento e lo ha ritrovato acceso; la sua casa era vuota, e la presenza -di lei sola, la donna, bastò a renderla piena e consolata. - -E poi dopo tutti questi benefici, hanno avuto il coraggio di dire alla -donna: - -«Ah l’impudica! Torna all’ago e al pennecchio.» - -E i dominatori del mondo? Noi li abbiamo, visti troppo spesso ai piedi -di lei. - -E i santi della Chiesa non hanno fatto lo stesso come gli altri uomini? -Un giorno hanno detto alla donna: «Tu sei Maria Vergine Santissima!» - -Un altro giorno, stralunando gli occhi, hanno detto «Tu sei il demonio -in figura di Venere! Fuggite, fuggite la demoniaca, la insaziabile!» Ma -in verità non fuggivano. Gridavano come i passeri attorno alla civetta. - -Ed è altresì vero che tutto il lavoro del mondo se lo è preso lui, -l’uomo: alla donna niente! - -«Alla donna, con la scusa che non capiva, le si vietò persino di -affacciarsi alla finestra e di contemplare il creato!» — gridò -Santippe. - -E i poeti? Sono poco illogici i poeti? - -Essi hanno celebrato continuamente i denti, gli occhi, i capelli ed -altre cose della donna. - -«Mai la nostra intelligenza, mai il nostro cuore....» - -«Sì, signora Santippe, qui posso convenire con lei! Francesco Petrarca -impiegò tre lunghe canzoni per lodare gli occhi della sua donna....» - -«Che dovevamo noi celebrare, la barba, i piedi dell’uomo?» gridò ancora -Santippe. - -«Sì, signora Santippe; ed io non escludo che la donna lusingata -da tutto quel gorghèggio abbia avuto come una spinta ad ingrandire -gli occhi, ad allungare i capelli, a cambiarli di biondi in bruni -e viceversa, ad impicciolire i piedi, ad affusolare le mani, e -specialmente a prendere quell’aria di bambolina, profumata di paciulì -e con la voce di flauto, che costituisce, anche nei tempi nostri, la -qualità che l’uomo stima di più nella donna. Ammetto tutto questo e -convengo che Archiloco ebbe torto, signora, e fu un prepotente. - -Potrei recare altro esempio di torti e di prepotenze in poeti -posteriori, anche più grandi di Archiloco. Per esempio, Dante. - -Una signora gli disse di no, e Dante che cantò l’universo, perdette -la sua calma e chiamò quella donna, _ladra, scherana, micidiale, -insensibile pietra_, e che la voleva pigliar per le trecce bionde, e -darle una coltellata nel cuore; ed il Leopardi, un santo oltre che un -filosofo, non perdette gran parte della sua filosofia quando una bella -donna gli disse ridendo «Caro conte, no!»? - -Così io parlai per amor di giustizia ed anche per acquetar Santippe, la -quale nei ventitrè secoli da che era all’inferno, mi pareva che fosse -diventata assai intelligente e saccente; quand’ecco, quei due nomi del -Leopardi e di Dante, proferiti come a caso, mi spalancarono per così -dire le porte del pensiero, e vidi una terribile visione. Allora non mi -seppi più frenare, alzai anch’io la voce, e dissi: - -«Sta però il fatto, signora, che voi, Santippe, siete stata -la tormentatrice degli eroi, o almeno degli eroi metafisici; e -specialmente degli eroi che presero moglie. È una schiera infinita; è -una legge costante! Udite, udite, o Santippe: - -Ercole ebbe una moglie chiamata Deianira che regalò a suo marito una -camicia avvelenata. Deianira era Santippe; il saggio Minosse ebbe una -moglie chiamata Pasifae che regalò a suo marito quel mostro chiamato -Minotauro; Eschilo, il gran tragico, ebbe una moglie tremendamente -Santippe, che gli mutò la dolce vita in tragedia; Marco Aurelio, il più -savio degli imperatori, ebbe una moglie che non nominerò, ma Santippe -certamente; Sady, gran poeta persiano, ebbe una moglie ricca, ma -Santippe, che non gli lasciò aver bene un giorno solo della sua vita. -Passando poi al nostro occidente e ai nostri tempi, io potrei compilare -un elenco non meno lungo di eroi: da Martin Lutero a Leone Tolstoi, -che ebbero mogli Santippe, cioè fecero un’orribile attraversata della -vita. Fra gli eroi, che io ricordi, non ci fu che Cristo a salvarsi; -Cristo ai cui piedi insanguinati Maria di Magdala versò tutto il nardo -prezioso che possedeva, contro il parere di Giuda che voleva specularci -sopra favorendo i pezzenti. Ma è pur vero, signora, che Cristo non -sposò Maria di Magdala. Chi sa come sarebbero andate le cose, se Cristo -la avesse sposata! Anzi Cristo fu un dio, e transitò come un sogno per -la vita. - -Ora, o signora Santippe, quando una legge è costante dai tempi di -Minosse a Leone Tolstoi, dall’oriente all’occidente, essa deve pur -avere un valore!» - -Così io parlai. Ma un crepitare terribile e come compresso, come un -mugghiare feroce mi arrestò. Ne uscì una voce sardonica: - -«Gli eroi! Gente moscia che vale meno degli altri. Inutili gli eroi! -Gli eroi metafisici, più che inutili!» - -Strabiliai! Così aveva risposto Santippe. - -«Ah, signora! Inutili gli eroi? Inutile vostro marito? Socrate inutile? -il metafisico, il fondatore della filosofia morale? Anzi il creatore — -io direi — della morale, perchè prima di lui non esisteva morale, ed -il mondo è fondato sulla morale; così che possiamo ben affermare che -il mondo gràvita su quel grand’uomo di cui voi aveste l’onore di essere -consorte!» - -«E chi ti dice, _idiotes_, che sia necessaria la morale inventata da -mio marito?» - -Così villanamente sibilarono le parole di Santippe contro di me. -Era diventata socialista costei in ventitrè secoli di abitazione -all’inferno? - -«Chi lo dice? Già, chi lo dice? Ma tutti lo dicono! Dai libri delle -scuole elementari ai discorsi del trono e dei ministri voi trovate, o -signora, la morale, cioè vostro marito....» - -«Sì, l’etichetta buona per i calli!» - -Nella mia qualità di uomo giusto e morale, confesso che strabiliai -una seconda volta a queste parole di Santippe. Credetti opportuno -per la dignità di Socrate, della morale, ed un poco anche mia, di -non replicare. Santippe, come donna, essendo fisica, non poteva forse -penetrare dentro la metafisica. - -Però dissi: «Ah, signora, adesso capisco per quale ragione quando -Critone entrò nel carcere e disse: «Socrate, fuggi!», Socrate non volle -fuggire e preferì la morte. Ah, signora, se le vostre labbra fossero -state capaci di qualche parola gentile, se le vostre mani fossero state -capaci di preparare un tranquillo desco con una bella zuppa di ceci con -olio e rosmarino, se aveste conservato un poco di nardo per ungere la -dolorante anima di vostro marito, egli sarebbe evaso dalla prigione: -l’umanità avrebbe avuto un martire di meno, ma anche un infelice di -meno!» - -E già proferendo queste parole, io mi preparavo a proteggere il mio -volto, quando con somma stupefazione non udii alcuna risposta. - -Fissai Santippe. Le sue pallide labbra tremavano di un convulso -tremore. Disse a pena, disdegnosamente: «Va, va un po’ anche a cercare -chi era lui!» - - * - -Allora è come dicono i dizionari, quando si cerca «Santippe», che -rimandano a «Santippe: vedi Socrate». - -Oh, ma che orribile mostro, Santippe! Che non sia una donna? - -Eppure, no! Lei era la donna, era la glabra, la mammifera, la contorta, -la chiomata, dall’ampio grembo generatore, la portatrice dell’uomo! - -Inutile però interrogarla di più! - -Non rimaneva che seguire il suo consiglio, ed andare in cerca di -Socrate. - -Però, conveniamone, la scoperta di Santippe, di cui tanto mi ero -rallegrato in principio, mi portava ad un viaggio piuttosto lungo e -difficile. - - - - -III. - -Socrate per le vie di Atene. - - -Andiamo, dunque, in cerca di Socrate. Egli non suole muoversi da Atene. -Noi siamo certi di trovarlo in Atene. - -E andando, io pensava: perchè Socrate prese moglie? - -Si racconta che una volta gli amici domandassero a Socrate: — Come fai, -o Socrate, a sopportare tua moglie? - -— Perchè, — rispose gravemente il filosofo, — se io riesco a sopportare -costei, riuscirò a sopportare qualunque altro individuo del genere -umano. Anzi, — confermò, — la ho scelta apposta! - -Eccomi, dunque, per le vie di Atene, ed ecco Socrate! Egli si riconosce -subito: è diverso da tutti gli altri uomini; è brutto in mezzo a uomini -belli; e a differenza dei filosofi che scrivono libri e svelano il loro -pensiero nelle Accademie, Socrate non scrisse libri, e parlava per le -strade. - -Se, per così dire, io chiudo gli occhi, io lo vedo ancora, Socrate! Lo -vedo per le vie della sua dolce Atene. - -Anche la città era bella, non troppo grande, ma meravigliosa città; -marmorea, sì anche. Ma i marmi di Atene erano screziati di azzurro, di -oro, intermezzati da piante, animati da tante significazioni della vita -che quei marmi rallegravano l’umanità, e non avevano l’aria di volerla -soffocare. Atene non era nemmeno una delle nostre moderne città piatte -e monotone. Si elevava nell’acropoli, sino all’asta e all’elmo di -Minerva: poi declinava verso il mare. - -Ora in una città così bella e fra gente così bella, Socrate doveva -spiccare stranamente. È vero che i suoi pensieri erano bellissimi ed -armonici come una musica, anzi; ma questi pensieri non si vedevano; si -vedevano invece i suoi abiti che dovevano essere in disordine. - -I suoi calzari certamente dovevano portare la traccia del suo perpetuo -vagabondare per le vie di Atene, giacchè Socrate era un continuo andare -e stare; e credo di non essere troppo lontano dal vero paragonando i -calzari di Socrate a quelli dei nostri frati zoccolanti. - -Ora guai agli uomini dalla calzatura in disordine; essi sono destinati -in vita ad assaggiare il sapore della cicuta. - -Al tempo dì Socrate si portavano i sandali, e queste cose si capivano -meno. Ma al tempo nostro in cui usano le scarpe, non sarà, mai -abbastanza raccomandata la maggior cura e la maggior spesa nelle -scarpe. Gli Inglesi, dominatori del mondo, portano scarpe di eccellente -modello. I Tedeschi, che vengono dopo gli Inglesi, hanno l’abitudine di -portare scarpe solidissime. Gli Americani si affermano con la filosofia -delle loro scarpe: _american shoe!_ - -La bellezza di Socrate era tutta di dentro. Ma ciò non poteva esser -bene apprezzato se non da un Dio, ed infatti Apolline, uno dei più seri -fra i dodici Iddii greci, lo aveva proclamato «il più savio fra tutti -gli uomini», che in greco si dice _sofòtatos_! - -Ma è pur vero che Apolline non vestiva mica come Socrate, ma con rara -eleganza; le pieghe della clamide di quel Dio erano molto curate, i -calzari stupendi, e la chioma la portava lucida e fluente come quella -di una bellissima femmina. - -Non si pensi per tutto questo che Socrate fosse, come i filosofi -cristiani, un disprezzatore della bellezza. Lui non era bello ma era un -entusiasta della bellezza, alla quale anzi non dava i confini ristretti -che diamo noi. Le chiome bionde del giovanetto Fedone gli producevano -un intenso piacere; ma lui era senza chiome e nel volto era piuttosto -anti-estetico. - -Tutti gli Ateniesi avevano una fronte diritta ed il naso regolare. -Socrate, invece, aveva una fronte un po’ sfuggevole, ed una brutta -insenatura si approfondiva tra la fronte ed il naso. Ciò oggidì sarebbe -poco avvertito; ma a quei tempi, in cui tutti possedevano quella -squisita conformazione, doveva produrre uno spiacevole effetto. - -Il naso, poi, sarebbe sembrato brutto anche ai nostri tempi: lunghetto -ed in avanti, con le narici scoperte e dilatate, quasi in atto di -indagare, di fiutare, di cercare che cosa ci fosse dentro in ogni cosa, -_ti en ècaston_, come si dice in greco. E questa era la sua passione. - -Due baffi, lasciando scoperto il labbro inferiore, labbro tumido ed -alquanto carnale, si accartocciavano, in giù per il mento, in due -volute che si intrecciavano con altre grosse arricciature della barba, -e con un pizzo sul mento; rigonfio il pizzo ed a punta caprina. Il -tutto poi si confondeva con i folti cernecchi di una specie di tonsura -naturale, perchè il cranio era lungo, bozzoluto; ma calvo del tutto. -Un barbiere moderno si sarebbe trovato in grande impaccio per dipanare -e mettere in ordine quella testa, e distinguere baffi, barba, pizzo, -capelli. I suoi occhi erano grossi, intenti, sporgenti e come fissi -nello stupore delle cose che lui solo aveva veduto indagando quel -terribile _ti en ècaston_. - -Sapientissimo, dunque, era stato proclamato Socrate, ma non bellissimo, -e, pur troppo, neanche felicissimo. - -Era proprio ellenico Socrate, o asiatico, o trace? Forse di tutto il -mondo; e forse aveva dal deforme Esopo strappato, con la linea esterna, -anche una scintilla di immortale gaiezza. - -Già! Cadrebbe in errore chi imaginasse Socrate come un melanconico, -oppure un infastidito. Era così bella la vita, e così splendente il suo -pensiero! E poi come si poteva far amare la sapienza, se la sapienza ha -il tristo privilegio di renderci melanconici? - -Io non dico per ciò che fosse un ottimista, perchè ottimista vuol dire -anche imbecille. Ecco: era un uomo allegro, che però non fu aiutato dal -cielo, come dice il proverbio, che il cielo aiuta gli uomini allegri. - -Anche quando Anito, un signore di cui parleremo più avanti, lo -obbligò in fine a bere la cicuta, egli non era di cattivo umore verso -l’umanità! Non disse come Cristo: «passi lungi da me questo amaro -calice!» ma bevve la sua cicuta. - -Ma era possibile che per un po’ di cicuta propinata dalla malvagità -di Anito e compagni si dovesse spegnere del tutto questa bella lampada -del sole? e tutta quella bella lampada ardente che era dentro di lui, -dovesse scomparire? E allora dove andava a finire la logica? - - * - -Brutto, dunque, col mantello un po’ in disordine, gioviale, anzi pieno -di spirito, come si dice noi, e piuttosto avanti con gli anni. Attorno -poi a questo vecchio c’erano molti bei giovani. Sì, così! Ma per -carità, non venga in mente un professore. - -Perchè questo paragone è stato fatto, ma è erroneo per molte ragioni, -fra cui non ultima è questa: che Socrate dichiarava apertamente di -non saper nulla; e un professore che oggi dicesse così, verrebbe -squalificato, nè alcun merito avrebbe per aver, forse, dichiarato il -vero. - -A me, dunque, pare di vedere questo vecchio Socrate per le vie di -Atene. Egli conosceva tutti nella sua cara città e da tutti era -conosciuto. Fermava la gente, ammiccava con quei suoi occhi grossi, -sorrideva, si studiava di parere piacente, anzi allettatore. In quella -città loquace come le sue cicale, egli era loquacissimo con tutti. -Fermava la gente e diceva: - -— Amico, bada a me, io sono un buon mezzano: sai che ci stanno di belle -giovinette lassù? Di’, le vogliamo andare a trovare? - -— Sì bene, o Socrate, e come si chiamano esse? - -— Una si chiama Aretè (Virtù), l’altra Enkràteia (Temperanza): e poi -c’è Dike (Giustizia), c’è Sofrosine (Saggezza). - -— Sta buono, Socrate; tu hai tempo da perdere: lasciami andare per -le mie faccende.... Dike è un pezzo che ha abbandonato il mondo degli -uomini. Lo dice anche Esiodo. Si vede che fra noi non ci stava troppo -bene ed ha chiesto a Giove il passaporto. - -— Ma di’, amico, non vogliamo noi diventare belli e buoni, e richiamare -in terra la nobile Dike, anche se ella si è disgustata di noi, e -promettere di non farle più oltraggio? E non ci piglieremo noi cura -della bellissima Aretè, figlia abbandonata? E non ti pare ella cosa per -cui noi saremmo superiori agli Dei, non fare mai oltraggio e torto a -nessuno, nemmeno, sì, nemmeno ai nostri nemici? - -— Sono cose troppo difficili. Io credo che sarà bene rimandarle per -un’altra volta. Ora preferisco ragazze di più dilettevole genere che -la non più giovane signorina Aretè. Sai che c’è in Atene Cleonetta, -Socrate caro? È il più bel fiore che io abbia mai visto sbocciare nei -giardini umani; essa poi è stata qualche tempo a scuola a Mitilene, -nell’isola di Lesbo, ed è sbarcata, or non è molto, piena di sapienza e -di entusiasmo. - -— Oh, amico, — gli rispondeva Socrate, — pensa a questa cosa: le -tarantole che sono ragni grandi non più di mezzo òbolo, se toccano -l’uomo con la bocca, lo straziano e gli fanno perdere il giudizio. Se -tanto arriva a fare una bestia così piccola, pensa che cosa può fare -una bestia così grossa con i suoi baci! E poi, di’ un po’, dov’è la -dignità dell’uomo, dov’è la libertà dello spirito, ed anche la sanità -del corpo a star lì, appiccicato ad una donna, a domandare la carità -dei baci come un mendicante? - -— Avrai ragione anche qui, non ti dico di no. Ma se tu mi incominci a -far della morale, ti saluto gioia della vita! Preferisco Cleonetta. - -E quegli se ne andava. - -E allora Socrate ne fermava un altro: — To’, senti: io ho una vergine, -la più bella di tutte le donne.... - -— Più di Leena? più di Cioè? - -— Più di tutte. - -— Vediamo se la conosco. Si chiama?... - -— Eleuteria (Libertà). - -— Va, pazzerellone! Eleuteria? La libertà? Vergine costei? Vecchia -baldracca ella è! Non c’è nessuna spia, vero? nessun sicofante c’è -qui vicino che ci ascolti? Bene, senti, Socrate mio: io non ne posso -più della libertà, siamo soffocati dalla libertà, qui in Atene. -Come si stava bene quando il lacedemone Lisandro inaugurò coi suoi -trenta Tiranni il sistema della cuffia del silenzio e delle verghe! -I galantuomini potevano vivere in pace, in quei giorni di stato -d’assedio. Oggi la libertà è tutta a beneficio dei politicanti e dei -birbanti. Oh, ma non ti scappi mica per detto, sai! - -— Ma io non ti parlo, o ammirabile uomo, di quella libertà; ma di -un’altra libertà ben più vera: la libertà dell’animo io voglio dire. - -— Bravo, Socrate, e di quella poi cosa me ne faccio? Mi dovrò regolare -io con la mia testa e non con la testa degli altri? Ma sai che è -una vaga fatica questa che mi vuoi far fare tu? No, caro Socrate, la -libertà dell’anima sarà una cosa assai bella; ma, credi, non è pratica. - - * - -Non v’erano che i giovani, l’eterna purità della vita, non ancora -contaminata dall’esperimento, che lo ascoltavano con entusiasmo. - -La divina giovinezza ha sempre creduto, e crede anche oggi, che sia -cosa facile rinnovare il mondo. E ci credeva probabilmente, anzi -certamente, anche Socrate. Egli era vecchio, sì bene; ma il mondo era -giovane; il mondo era piccolo, il mondo era Atene, utero dell’avvenire. - -Oh, i giovani subivano il fascino dell’ammirabile favolatore. Essi -venivano da lontano per ascoltarlo. Antistene di Tracia faceva quaranta -stadi al giorno per poterlo ascoltare; Euclide di Megara si travestiva -da donna per potere entrare in Atene, e le parole di lui accendevano -tale ebbrezza che nell’udirle balzava a quei giovani il cuore come -ai coribanti. E quali potenti ed ingenue imagini essi trovarono per -esaltare il loro maestro! Memnone, un altro discepolo, paragonava -Socrate ad una torpedine, che è un brutto pesce di mare, gelatinoso, -tutto maculato e a bitorzoli; ma guai a chi lo tocca: dà una scossa e -fa cader nel torpore. Così la parola di Socrate faceva cadere l’anima -in un divino torpore. - -Bisognava chiamarsi Anito per rimanere insensibili! - -Ma il bell’Alcibiade aveva un paragone anche più folgorante e superbo. -Egli diceva: «Tu, o Socrate, sei come un Sileno, buffone al di fuori -con zampogne e con flauti in mano; ma divino dentro tu sei, e tutto -pieno delle terribili imagini dei Numi». - -Oh, incredibile paragone! Dunque attraverso la corporalità materiale -di Socrate intuivano quei giovani alcunchè di divino e di terribile? -Sì! Essi, attraverso la mobilità irrequieta dei gesti e delle parole -di Socrate, vedevano una cotale impassibilità interiore, un che di -incognito di dentro, proprio come quando noi riguardiamo negli occhi -aperti, ma senza luce, di una statua di nume greco. - - * - -— Ma sai tu, o uomo, — proseguì allora Socrate, accendendosi di -entusiasmo contro colui che non sapea che farsene della libertà, — sai -tu il segreto degli Dei? - -— Io no, ma se è bello raccontalo! - -— Sai tu quello che il Dio ha detto all’uomo? Dio ha detto all’uomo: io -non ti do un volto, non ti do una sede fissa, non ti do una speciale -forza o istinto come agli altri animali; ma quello che vorrai, sarai. -Tutte le altre cose ubbidiscono a leggi immutabili; tu, uomo, sei -nell’arbitrio tuo. Tutto ha confine; ma tu, uomo, lo stabilirai tu il -tuo confine. Ti collocai in mezzo al mondo perchè tu vedessi quello -che è il mondo. Non ti ho creato nè terreno, nè celeste, nè mortale, -nè immortale. Sarai quello che tu vorrai! Tu, tu potrai, se vuoi, -degenerare giù sino ai bruti; potrai, se vuoi, trasformarti sino agli -Dei.... - -— Bravo, — rispose l’allegro Ateniese, — e i miei affari allora? Ci -badi tu ai miei affari? Dare la scalata all’Olimpo? All’Olimpo della -ricchezza, del gran _chic_, eh, eh! ci starei. Ma all’Olimpo degli Dei, -oibò, Socrate! Oh, ma guarda, Socrate, Socrate, già che tu mi costringi -a pensare anche con la mia testa, guarda un po’: gli Dei poi in fin dei -conti cosa sono? un gran _chic_, un gran _snob_. Te lo dimostro subito: -noi andiamo a piedi o a cavallo, se abbiamo il cavallo: loro vanno in -processione sulle nubi: noi soffriamo qualche volta di indigestione, -essi no: essi godono il piacere della guerra, ma evitano la noia -di farsi del male o di morire: essi si divertono a mettere al mondo -figliuoli, ma hai visto mai Giunone fasciare ed allattare marmocchi o -Giove condurli a scuola? «Gli Dei dinanzi al piacere posero il sudore!» -hanno sentenziato gli Dei. Bella sentenza! Per i minchioni, però. Hai -visto mai un Dio sudare? Mai! Bensì dall’Olimpo loro si divertono a -veder sudare gli uomini e dicono: «Oh, gli industri uomini!» Dunque -sì, Socrate, io voglio essere simile agli Dei, cioè stare in panciolle, -libero di godere e niente lavorare. - -— Altri, altri Dei più veri e più grandi.... — disse Socrate. - -— Questi li hai tu nel tuo cervello strambo, o Socrate. Va là, non -mi far pensare! Sai tu perchè Giove ha quella bell’aria gioviale; -è sereno, olimpico, beato, ed è decorato di quella bella barba -nero-turchina, con quella capigliatura solida che gli ha appiccicato -Fidia? Perchè pensa poco, caro! Perciò non ha mai mal di testa. La sola -volta che se la sentì un poco pesante, prese una purga e venne fuori -Minerva: una dea, sia detto fra noi, un po’ turbolenta e seccante, -benchè sia la protettrice della nostra città. - -E colui se ne andava. - - * - -Colui se ne era andato; ed ecco cautamente un leggiadro giovanetto -si accostò a Socrate. Questo giovanetto oltre che leggiadro e ben -vestito, era anche molto prudente. Il suo nome era Iscomake. Costui era -innamorato di una bella giovinetta, la quale filava virtuosamente la -lana nel gineceo, con le ciglia abbassate, accanto alla cara madre. - -Ora Iscomake vedeva sotto le grandi ciglia abbassate modestamente della -sua cara fanciulla passare un lampo delizioso che gli metteva i brividi -addosso, e quel lampeggiare diceva: «Iscomake, Iscomake, sapessi come -mi annoio qui, nel gineceo, a filare, soletta soletta, la lana, e come -mi è faticoso oramai essere savia, savia, savia, come mi dice sempre la -mamma!» - -Anche vedeva quel suo bianco piccolo piede nudo, sorretto da un sottile -calzare che le dava una grazia ed una venustà senza pari; sentiva -l’umido profumo della sua chioma nera e delle sue carni di ambra. - -Dunque Iscomake era molto innamorato ma anche molto prudente. Egli -perciò, sapendo della grande sapienza di Socrate, gli domandò: — -Socrate, faccio bene o faccio male a prender moglie? - -E Socrate contemplò con quei suoi occhi la ingenua giovinezza di -Iscomake, e disse: — Io dico, Iscomake, che quale di queste due cose -farai, tu te ne pentirai. - -— Oh, Socrate, — disse il giovane. — quale risposta è la tua! Pensa che -i miei genitori e i genitori di lei oramai tutto hanno disposto perchè -le nozze avvengano nel più breve tempo, ed io altra cosa non desidero -più ardentemente. La mia domanda a te, che sei savio, voleva piuttosto -dire questo: «che cosa è il matrimonio? come devo comportarmi verso -quella che amo, e come lei verso di me, affinchè noi possiamo condurre -una vita felice?» - -E Iscomake cominciò a lagrimare, come quegli che vedeva per quella -strana risposta un’ombra lugubre distendersi sull’orizzonte della sua -vita. - -— Io ti rispondo come è veramente: io ti dico, Iscomake, — disse -Socrate, — che tu farai male a non prender moglie, e la ragione è -questa: perchè la casa dell’uomo senza la donna è infinitamente triste. -Il focolare di Vesta, o amico, non arde e non riscalda, se Vesta, la -dea, cioè la donna, manca nella casa. - -— Ed allora, perchè, o Socrate, io mi pentirò lo stesso se prenderò -moglie? - -— Perchè tu, Iscomake, credi che il matrimonio sia la soddisfazione del -piacere, mentre è la soddisfazione della saviezza. - -— Oh, per questo, Socrate, — disse Iscomake, — sta pur sicuro che i -miei genitori mi hanno allevato bene: mio padre mi ha sempre detto: «il -tuo dovere, Iscomake, è di esser savio». - -— Bene, Iscomake. E la tua sposa? È savia anche lei? - -— La madre di lei, — rispose Iscomake, — le ripete sempre: «il tuo -dovere, figliuola, è di essere savia». - -— Sa tessere e filare? - -— Sa tessere e filare. - -— Docilmente e silenziosamente? - -— Io credo di sì, Socrate. - -— Hai osservato anche se per caso non abbia disposizione a consumare in -un mese quello che deve bastare per un anno? a comparire più bella di -quello che è, perchè il matrimonio — bada! — è anche la società di due -corpi! - -— Ha quindici anni soltanto, Socrate. Ma io credo che sia massaia, -silenziosa, docile, modesta. Però ti dico che a tutte queste cose -non ho mai pensato. Ad ogni modo io farò come fanno tutti gli altri -Ateniesi che hanno moglie: provvederò che le serrature del gineceo -chiudano bene. - -— Sì, ma questo che si usa in Atene, non è, o Iscomake, il matrimonio -come fu stabilito dal Dio che ha costruito il mondo, — disse Socrate. - -— Che cosa ha stabilito il Dio, quello che tu chiami il costruttore del -mondo? - -— Ha stabilito che il matrimonio fosse una specie di giogo, o tiro a -due, rappresentato da un uomo e da una donna. Ti spiegherò meglio: una -società mutua in cui le condizioni dei due contraenti, cioè dell’uomo -e della donna, siano perfettamente eguali e squisitamente leali. -Il contratto non sarà leale, se, per esempio, la donna cercherà di -apparire più bella col lavorarsi la faccia, o più affascinante col -camminare sopra un paio di sandali alti! - -— Ed anche se io sono più ricco di lei, lei sarà uguale a me? — domandò -Iscomake. - -— Anche, Iscomake! Se lei saprà meglio di te amministrare questa -società del matrimonio, lei sarà superiore a te. E se la donna sarà -migliore dell’uomo, tu sarai ben felice di esserle servo e cavaliere. - -— Ma questa cosa non si è mai sentita dire, che la donna sia uguale -all’uomo, — disse Iscomake. - -— Eppure è proprio così, — rispose Socrate. — L’uomo e la donna sono -stati fabbricati con le stesse facoltà, e per questo non si distingue -se sia superiore il genere maschile o il femminile. La differenza -consiste in questo, che i due sessi non sono adatti per le stesse cose: -anzi il Dio punisce l’uomo che fa opera da donna, e la donna che fa -opera da uomo. L’uomo è più adatto per le cose esterne; la donna, per -le cose interne. La donna ha più affettività, una attività più solerte -e minuziosa, un senso di previdenza del pericolo. Alla sua volta l’uomo -è più forte ed ha il dovere della intrepidità e della difesa. Perciò i -due sessi si completano in quanto l’uno ha bisogno dell’altro. - -— E quando la donna diventa brutta o vecchia, — domandò Iscomake, — non -la ripudierò io per prenderne un’altra più bella e più fresca? - -— Quanto più la donna — disse Socrate — sarà buona compagna, custode di -te, dei figli, della casa, tanto più la onorerai, perchè i veri beni si -acquistano non con la bellezza, ma con la virtù. - -— Ma allora il matrimonio è un esercizio di virtù, — disse Iscomake, -molto avvilito. — E tutto questo sacrificio, perchè? - -— A vantaggio del genere umano, — rispose Socrate. — Il piacere serve -per la vita, ma non è la vita. - -Ora Iscomake aveva poco più di vent’anni. Egli aveva pensato a portarsi -a casa la sua adorabile giovinetta, e non a lavorare per il genere -umano. - -Era il volto di Iscomake assai triste e avvilito, nè sapea che -rispondere, quando improvvisamente esclamò: - -— Ecco, ecco, anche tu, Socrate, ti volti e la guardi! - -In quel punto passava Cleonetta, la bella etèra che era stata agli -studi nell’isola di Lesbo, ed ora era venuta in Atene a vendere rose; -e profumo di rose e di muschio sfuggiva dalla sua persona, come da -un’anfora. - -— Che mi guardi anche tu, figlio di Sofronisco? — disse la bella etèra. -— Sta in pace, Socrate, la deliziosa taràntola non morderà al tuo -vecchio cuoio! - - * - -Che cosa abbia poi deliberato il giovanetto Iscomake, noi non sappiamo -e ci interessa ben poco. A noi importa di assicurare che il discorso su -riferito non è per niente una nostra invenzione: ma è autentico. Esso -dimostra che razza di complicazione fosse fin da allora il matrimonio -nella mente di quel giudizioso filosofo! - -Ah, se invece di un Dio, grande Architetto dell’Universo, fosse stata -una Dea, la Architetta, le cose sarebbero passate più semplici e meno -melanconiche! - -Ma una cosa a me sta a cuore di notare in questi ragionamenti di -Socrate ad Iscomake intorno al matrimonio, ed è la questione dei -calzari, che noi diremmo delle scarpette. - -Si tratta di una seria questione, perchè Socrate dice: «il contratto -fra l’uomo e la donna non sarà leale se la donna cercherà di apparire -più splendente col tingersi la faccia, o più dominante ed affascinante -camminando sopra un paio di sandali alti». - -Ora è il vero che un paio di pantofole — invece delle scarpette — -rendono una donna antiestetica, e non è questa una scoperta — come ben -si vede — fatta ai nostri tempi! - -E generalmente accade che una donna preferisce apparire sleale -piuttosto che antiestetica per colpa delle pantofole. - -Tuttavia è indiscutibile che le pantofole hanno, sotto un certo -aspetto, un pregio molto superiore alla questione della lealtà: esse -non fanno rumore! - -Imaginiamo una moglie che passi come un crotalo da una stanza -all’altra, battendo sul pavimento i tacchi alti delle sue scarpette; -e un’altra moglie invece che si muove silenziosamente, monacalmente -silenziosa entro due pantofole.... - -Ah, sì! io lo so: un’anima giovane di uomo rimane atterrita da quelle -pantofole: egli sogna due tacchi alti in due scarpette lucide. E dato -il caso che possano far rumore, ci stende sotto una processione di -viole e di rose, o più semplicemente un folto tappeto d’oriente. E dopo -le scarpette, sogna due mani carezzevoli ambrate e profumate, che sono -il prolungamento tattile di due braccia tenere e poderose insieme, le -quali — quando lui torna a casa con la bocca un poco amara per avere -mangiato le prime foglie secche della delusione — gli si avviticchiano -dietro le spalle; e le mani soavi gli si posano sulle guance, poi sugli -occhi. Una voce adorabile dice intanto: «Mi conosci, amore? Chi è? -È la tua adorabile sposina?» E spesso le lebbra umidette e ristrette -si allungano, si applicano sul volto dell’uomo in un’azione benefica, -e, dirò così, antiflogistica, come fa la sanguisuga che porta via le -acrità e il mal calore del sangue. - -Io ho visto questa semplice e deliziosa scena ripetuta molte volte sui -teatri da alcune nostre graziosissime attrici, per le quali la menzogna -è piacere e insieme dovere professionale: e devo confessare che in -verità erano meravigliose operazioni allo scopo di rinfrescare l’uomo -dopo il calore della battaglia quotidiana. - -Dopo ho veduto l’uomo alzarsi, scuotersi, buttare quasi a terra le -scaglie del dubbio, della tristezza, dell’abbattimento: balzare in -piedi rinnovato di fronte alle lotte della vita, come se avesse dormito -dodici ore di sonno riparatore. Egli esclama: «Adesso mi sento forte!» - -Questo spettacolo è attraente e seduce non soltanto i giovani, ma anche -i vecchi spettatori; e chi ha di già preso moglie e questa si è fatta -acida e matura, sogna di procurarsi una seconda moglie o qualcosa di -equivalente, con cui ripetere questa cura igienica ed insieme patetica. - -Nella realtà della vita questo spettacolo bellissimo si ripete come sul -palcoscenico: ma con meno frequenza. - -Il giovane, ahimè, dimentica che le rose e le viole fioriscono in -tempo di primavera; che i tappeti orientali costano caro; e che quello -spettacolo che abbiamo descritto, riesce bene, se esiste anche un’abile -cuoca che sopraintenda alla cucina. - -Se queste ed altre condizioni non si mettono insieme, l’esperienza -a lungo andare riesce col non riuscire più bene. Anzi non soltanto -non riesce affatto; ma può accadere di vedere quelle care labbra, -già socchiuse ai baci, ingrandirsi smisuratamente, come in un’antica -maschera tragica, ed in cambio delle parolette flautate, sgorga un -torrente di male parole, di recriminazioni amare, triste seme di frutti -più amari. - -Ma gli uomini, con tutto questo, seguitano ad andare in cerca di -quelle donne che portano le scarpette lucide, coi tacchi sovrani; ed -anche Socrate, dopo il saggio discorso, si era voltato a contemplare -Cleonetta, la bellissima etèra. - - - - -IV. - -Socrate e la Morte. - - -Socrate col lungo naso fiutava la scìa dei profumi che lasciava dietro -a sè Cleonetta, quando ecco un altro giovane di nome Clinia, figlio -di Assioco, che accompagnato da un amico e dal suo maestro di musica, -corre per le vie di Atene: — Socrate, Socrate, — grida, — dove è -Socrate? - -Lo trovò alfine. Egli era presso all’Ilisso, dove sgorga la Bella -Fontana. Allora Clinia, riempiendosi gli occhi di lagrime, disse: — -Ora è tempo, Socrate, di mostrare coi fatti quella sapienza che tu lodi -sempre. Non sai? mio padre è in fin di vita: egli che poco fa si rideva -di quelli che hanno paura della morte, ora è disperato! Vieni, vieni tu -a confortarlo, così che egli senza lamenti, si avvii al suo fato, ed io -mostri di essere anche in ciò pietoso figliuolo. - -E Socrate, levandosi, disse: — Tu non chiederai inutilmente a me cosa -alcuna che sia giusta; ma questa poi è santa! — E si affrettò verso la -casa di Assioco. Come vi arrivarono, videro costui il quale giaceva nel -letto ed era molto disperato perchè doveva morire. Assioco era stato, -come noi diremmo, un lottatore della vita, un uomo politico. Ma allora -era assai languido ed afflitto, perchè doveva assolutamente morire. - -Socrate, appena lo vide, così gli parlò: — Oh, ma cosa è questo, -Assioco? Come? tu che ti sei sempre mostrato valoroso nei finti -combattimenti, adesso hai paura di quelli veri? Ma non sapevi tu che la -vita è come una peregrinazione, un passaggio? No, non è da uomo nè da -Ateniese lamentarsi così. - -— Belle parole, Socrate, — rispose Assioco faticosamente, — ma non -valgono un fico secco: io ho paura, capisci tu?, quando penso che -fra poco sarò senza luce e privato di tutti i miei poderi e delle mie -ricchezze, e mi sentirò trasmutato in putrefazione ed in vermini; e -questo avverrà in qualunque luogo mi mettano. Sai tu che è orribile? - -— Ma tu parli, Assioco, — disse Socrate, — come se dopo morto avessi -da tornare ancora vivo! Di’ un po’, Assioco, al tempo del governo di -Dracone soffrivi tu qualche male? No, perchè tu non eri ancor nato. -Bene, così tu non soffrirai nessun male dopo morto. Dove vuoi che trovi -posto il male, se tu non ci sarai più? - -— Ma è — ripeteva Assioco — che io voglio bene alla vita e che adesso -soffro per il dolore di vedere distrutta la mia vita! - -E allora Socrate cominciò, per confortarlo, a raccontare tutti i mali -della vita: «Gli Dei filarono ai mortali una dolorosa vita, perchè -nessun animale è più miserabile dell’uomo fra quelli che respirano -l’aria e strisciano per terra». - -E siccome Assioco era stato uomo di governo, e Atene era una città -democratica, così Socrate gli parlò di tutti gli inconvenienti della -democrazia, come io credo avrebbe parlato di tutti gli inconvenienti -della aristocrazia, se Atene fosse stata una città governata a -tirannide. — Tu, mio caro, — diceva Socrate, — sei stato come un -balocco in mano della plebe: oggi applausi, feste, carezze: domani -sei stato fischiato, esigliato, scomunicato. Ti pare? È una bella vita -questa? - -— Sì, sì, — dice Assioco, — questo è vero. Quel cervello balzano di -Aristofane che disse male di tutti, in fine non aveva torto quando -satireggiò il Demos; ed io lo so, che ci sono stato dentro. Chi si -accosta al popolo è molto più miserabile di lui. Ma anche con tutto -questo di morire non ne voglio sapere: io voglio invece diventare -vecchio, molto vecchio; ma non morire. - -E allora Socrate cominciò dolcemente a persuaderlo che diventar vecchi -è una cosa anche più brutta che aver da fare col popolo. — La Natura, -vedi, Assioco, ci ha dato la vita come fosse un prestito. Un’usuraia, -sai, è la Natura! Se tu non sei disposto a restituirle il suo prestito, -cioè la vita, lei te la ipoteca, ti mette le mani alla gola, ti porta -via la vista, l’udito. Tu resisti? e lei ti rende paralitico, brutto. -Tu resisti ancora? e lei ti rende imbecille come un bambino. Ecco -perchè molti vecchi sono come bambini. Credi, Assioco, che la partenza -da questa vita non è che un passaggio da un male ad un bene, tanto -è vero che gli Dei liberano molto presto dalla vita quelli che essi -amano. - -— Bravo! — sospirò con amaritudine Assioco. — E allora tu che sai tutte -queste belle cose, perchè stai al mondo? perchè non muori anche tu? - -— Caro, è qui l’errore, — disse Socrate. — Ma io non so che poche -cose, e le più comuni, che sono quelle che ti ho dette. Queste poche -cognizioni che io possiedo, le ho comperate da un gran sapiente, -che però, bada, se le faceva pagare. Niente per niente. Per alcune -cognizioni voleva otto oboli, per altre due dramme; alcune non le -cedeva che a quattro dramme l’una. Io ci ho speso tutto quel po’ che mi -lasciò il mio povero padre. Ma credi, che ne sono contento, perchè da -ora innanzi, o Assioco, la mia anima desidera la morte. - -— Be’, contami un po’ su, — disse Assioco, — perchè la tua anima -desidera la morte. - -E allora cominciò Socrate a dire il sogno delle meravigliose parole. -Oh, allora quale olio santo egli recò al morente! - -Oh, preti; oh, preti, che al morente ripetete le lugubri parole di non -so quale enorme peccato, ed impassibili compite i gesti macabri col -crisma, leggete di Socrate, e interpreterete meglio Cristo, redentore -nostro! - -Perchè Socrate apri le sue labbra e disse: — Oltre alle cose che ti -ho dette, vedi, Assioco, vi sono molte e belle ragioni per credere -anche nell’immortalità dell’anima. Ma ti pare che una natura mortale -avrebbe potuto levarsi a tanta altezza da domare le belve, passare i -mari, conoscere il cammino del sole e delle stelle, fondare le città, -gli stati, tramandarne la memoria, se non ci fosse in noi uno spirito -immortale? Io credo proprio che tu non andrai verso la morte, ma verso -la immortalità, o Assioco! Perchè tu devi sapere che l’anima, essendo -sparsa per i pori del corpo, si trova come imprigionata in questa -materia, e perciò desidera di ritornare al suo luogo proprio, al suo -principio, così che non appena ti sarai liberato da questa composizione -corporale, tu ti troverai immerso nell’eternità, cioè in una nuova vita -senza dolore e senza vecchiaia, dove tu potrai contemplare tutta la -verità, viva e fiorente, e potrai ragionare sul serio, mentre sino a -qui tu hai ragionato, o per far piacere alla moltitudine o per metterti -in bella vista. Consòlati, dunque, consòlati, Assioco: non c’è posto -per la morte, perchè non c’è un atomo che essa possa ridurre in niente. - -Ma ad Assioco poco importava della prigione del corpo dove si -era sempre trovato abbastanza bene, e meno ancora della verità -fiorente: voleva sapere di preciso quello che sarebbe accaduto di -lui personalmente; e allora Socrate gli parlò della geografia di -oltretomba, cosa molto incerta anche allora, cioè di certe beate isole -dove vanno a finire i morti. - -— Queste beate isole lontane sono circondate dal profondo oceano. Tre -volte all’anno la terra ferace matura di per sè rigogliosi frutti e -dolci come il miele. Le anime dei morti vi soggiornano libere da ogni -affanno. Ma bada, Assioco, che prima di arrivare a quelle isole, si -va in una pianura chiamata il luogo della verità perchè lì ci stanno -i giudici, e bugie non se ne possono dire, nè i giudici si possono -comperare come in Atene. Se nella vita sarai stato buono, o Assioco, se -sarai vissuto piamente, allora essi ti imbarcano per quelle isole che -si chiamano Fortunate: la primavera lì non finisce mai, gli alberi sono -pieni di frutta, vi sono banchetti, danze e molti altri divertimenti, -come mi disse un mago che mi ha insegnato tutte queste cose. - - * - -Quest’ultimo genere di discorso consolò Assioco più di ogni altro -discorso. - -— Se è così, quasi quasi mi fa piacere di morire, — disse, — benchè -morire sia in tale caso un termine improprio, non ti pare, Socrate? - -— Ma certamente! Noi non moriamo; noi andiamo all’immortalità. - -— E allora senti, Socrate: torna dopo mezzogiorno a ripetermelo -un’altra volta questo bel discorso. Adesso mi metto qui quieto! — E -le palpebre gli scesero giù, e Assioco vide il suo viaggio verso le -Isole Fortunate, con tutte quelle belle cose che lo aspettavano di -là. Peccato che ci fosse quella pianura della verità; ma sperava di -cavarsela abbastanza bene. Del resto, poi, tutto il mondo è paese, e i -giudici di quella pianura era probabile che fossero anche loro un po’ -come quelli di Atene, cioè gente da bene con cui non è difficile venire -ad onesti accomodamenti. - -Stette un po’ Socrate riguardando silenziosamente, quando Assioco si -riscosse e domandò: - -— Credi tu, Socrate, che sia necessario molto denaro portare nell’Ade? - -— Non credo. - -Assioco volse, consolato, uno sguardo verso il forziere dell’oramai -vana pecunia. - - * - -Socrate uscì piano piano dalla camera di Assioco, e additò il morente, -ora tranquillo e sopito, a Clinia; e dopo alquanto si ritrovò ancora -presso l’Ilisso, alla Bella Fontana, che era un luogo fuori di porta. - - - - -V. - -Questioni molto serie proposte da Santippe a Socrate. - - -Ed era oramai il mezzodì. - -Volgendo gli occhi in alto, si vedeva sul vertice enorme del Partenone -la gran figura bronzea di Pallade folgorante nel sole, erta sopra tutti -gli Dei, tutta chiusa nelle armi; il divino suo volto e l’asta protesa -contro ogni barbarie. - -Socrate, seduto presso la fontana, pensava al padre suo che fu un uomo -buono, ed alla madre sua. Ambedue erano morti da molto tempo, ma egli -li rivedeva presenti ancora, al di là della morte. - -E la bella fontana mormorava nel mezzodì. - -Suo padre era stato uno scultore e si chiamava Sofronisco; la madre -sua si chiamava Fenarete, ed era stata una levatrice. Ebbene, egli -proseguiva nel mestiere del padre e della madre: era uno scultore di -anime ed un alleviatore del dolore umano, come sua madre, la levatrice. - -Pensava anche alle fole dette ad Assioco, a quelle improvvise, -strane parole che gli erano venute su dal cuore: _Oltre a ciò sappi, -o Assioco, che molte e belle sono le ragioni le quali mostrano la -immortalità dell’anima_; e non sapeva più se quelle erano fole o -realtà. Il rombo delle sue parole al morente gli durava ancora nel -cuore. Dolce è il profumo d’ambra e di rose che sprigionava il corpo -di Cleonetta: dal disfatto corpo di Assioco già si diffondeva il -lezzo della morte. Misteriosi sensi! Eppure vi doveva essere una -resurrezione; un divino eterno ritorno! - -Il sole faceva splendere la non lontana marina. Lontano, lontano, -in più lontano mare, ecco apparire le Isole Beate; e sul prato -dell’asfodelo sotto il gran verde di belle piante, sorridevano coloro -che piansero in vita; quelli che qui soffersero per ingiusto giudizio, -erano colà da più veri giudici consolati. - -Felicità inconcepibile! E allora Socrate ripetè a sè stesso quelle -parole che poco prima aveva dette ad Assioco: «Da quest’ora l’anima mia -desidera la morte!» - -La fontana mormorando dolcemente, pareva consentire con lui; e su nel -cielo il sole pareva una grande pupilla che lo guardasse. Egli riguardò -nel sole, e come un brivido gli passò per il cuore in quel calore del -mezzodì. Forse non fu soltanto Sofronisco il padre suo nè Fenarete -la sua sola madre; forse anche quello lassù, il sole, Apolline, fu il -padre suo. - -Ma oramai era già trascorsa l’ora che gli Ateniesi dicevano del mercato -vuoto, cioè del mezzodì, quando tutti ritornano a casa. - -Ed anche Socrate si avviò, come era usato, verso casa, e tutta la sua -mente era infiorata e come inabissata in questi pensieri della vita e -della morte. Ma non appena fu giunto in vista della sua casa, sentì la -voce di Santippe, la quale era su la porta, e disse: — Tu diventi un -po’ carogna, Socrate! Mi sai dire cosa si fa oggi da mangiare? Tu vai -via la mattina; non lasci nemmeno un obolo per la spesa e poi quand’è -mezzogiorno, eccolo, bell’e fresco come una rosa. Cosa credi che noi -campiamo d’aria come le cicale, o di chiacchiere come fai tu? Hai -portato almeno qualche cosa da desinare? - -Socrate non portava niente da desinare perchè era stato astratto in -altre cose, nè aveva lasciato oboli molti per la spesa, perchè ne aveva -pochi. Socrate infine non era ricco, anzi egli viveva «in una miriade -di povertà», come ebbe a dichiarare. - -Disponeva, ben è vero, di un piccolo patrimonio lasciatogli da suo -padre, compresa quella sua casetta; ma tutto sommato, stando al computo -che fece Senofonte, — uomo pratico di affari, — il suo capitale non -arrivava alle cinque mine, che sarebbe come dire cinquecento lire, «al -patto però che si fosse trovato un buon compratore». - -Di questo capitale egli aveva speso qualche obolo e qualche dramma per -comperare, come abbiamo veduto, quel poco di scienza che possedeva: -ma nell’esercizio di rivendita non domandava niente. Faceva con tutti -come con Assioco, a cui aveva dato così bei conforti per prepararsi -a morire. «A me costano tanto» aveva detto, ma non disse, «e tu dammi -tanto». - -Già, egli avrebbe potuto mandare a Clinia una nota delle sue -prestazioni: _Per avere consolato l’anima di tuo padre, venticinque -dramme_. Ma come si fa? Come si fa a mandare la parcella per simili -cose? - -E bisogna dire ad onore di Santippe, che non era lei sola a -disapprovare questo sistema gratuito di suo marito. Qualcuno anche -degli amici gli andava dicendo: «Ma allora, Socrate, la tua scienza non -vale niente, se la dài per niente». - -E Santippe continuava: «Mi sai dire dove sei stato tutta questa -mattina? A predicare la castità ai passeri? Ad accarezzare i capelli di -Fedone, quel vergognoso mistero del sesso che non è nè uomo, nè donna? -O sei andato a misurare quanto è lungo il salto della pulce? o a fare -gli esperimenti sulle cicale per vedere se le cantano con la bocca o -col deretano? Be’, cos’hai guadagnato?» - - * - -Egli aveva guadagnato meno ancora di frate Egidio, seguace di -San Francesco, perchè frate Egidio voleva vivere affaticandosi -corporalmente, cioè della sua fatica; e una volta andò a opera a -bacchiare noci, e quando le ebbe bacchiate, gliene toccarono tante di -sua parte che si dovette levare la tonaca e, legate le maniche ed il -cappuccio, ne fece un sacco che tutto riempì di noci. Naturalmente non -le vendette frate Egidio, ma con grande letizia le distribuì ai poveri. - -Almeno si fosse presentato così Socrate a Santippe, con delle noci, dei -fichi, dell’uva da distribuire ai figliuoli, che aveva piccini, e si -sarebbero rallegrati di quei doni. - -Ma niente! - -Che cosa doveva rispondere Socrate a Santippe? - -Forse doveva offrirle il banchetto che Santo Francesco offrì a Santa -Chiara, che lasciarono sulla mensa il pane corporale perchè Santo -Francesco nutrì l’estatica monacella di pane spirituale? - -O doveva rispondere come Gesù Cristo: «Guarda, Santippe, come crescono -i gigli delle convalli. Nemmeno Salomone in tutta la sua splendidezza -fu mai vestito come uno di questi: guarda, come si nutrono gli uccelli -dell’aria»? - -Ma Cristo — come Santo Francesco — non aveva figliuoli nè moglie che -avessero fame; e in caso proprio di necessità, Cristo avrebbe operato -la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma a Socrate non venne mai -in mente di operare miracoli, o di camminare su le acque come Cristo, -o di risuscitare i morti. E per tutto questo Socrate tacque davanti a -Santippe. E quanto a Cristo, poi, sembra che anche Cristo fosse seccato -di dovere riposare il capo sopra un cuscino di pietra, mentre gli -uomini usano cuscini di lana e di piume. - -Io devo credere che Socrate dovesse rimanere assai malinconioso oltre -che silenzioso, davanti alle recriminazioni di Santippe. - -Perciò io non so come facciano i grandi scrittori a dire nei loro -celebri volumi che Socrate _era meravigliosamente esente da bisogni -personali_; e meno ancora capisco come i professori delle scuole -facciano ai loro scolari tradurre in greco questa stupida proposizione: -_Socrate con poche sostanze viveva contentissimo_. - -No, non è proprio così, illustri e garbati signori. È un’altra -faccenda; è che quando si è «dentro pieni di imagini degli Dei» come -era Socrate, i soldi non trovano la via per entrare; ovvero quando si -è pieni di imagini degli Dei non è lecito prender moglie per continuare -questa stirpe umana! - -E Santippe continuava: «Ah, tu vai predicando l’Aretè, la Sofrosine, -la Sofia, il Dovere! Il dovere l’ho fatto io che ho tirato su questi -figliuoli e li ho nutriti con queste qui! e non li ho mica esposti -come fanno le belle signore del tuo cuore! Eh, sì, che il più grande lo -meritava d’esser bacchiato: un vagabondo già come te, e che parolacce -dice a sua madre! A quello lì dovresti parlare e dirgli quello che gli -va detto, se non fossi o un grande impostore o un vecchio rimbambito. -Ma se, figlio di un cane, proprio non puoi fare a meno di andare in -giro a chiacchierare e hai questa malattia nel tuo sangue infelice, -invece di quell’aria melensa «io non so niente, io so che non so -niente», e poi dài dell’imbecille, dell’ignorante a tutti che oramai -non c’è uno solo che ti possa più sopportare in Atene, fa almeno come -Protagora. Anche lui chiacchiera, ma le sue chiacchiere le sa però -mutare in tanta buona moneta sonante!» - - - - -VI. - -Come Santippe ferì Socrate nel cuore. - - -Santippe lo aveva ferito nel cuore. - -Non perchè aveva detto: «O tu sei un impostore, o tu sei un vecchio -rimbambito»; ma perchè la buona donna aveva detto: «Fa, almeno, come -Protagora!» - -Il nome di Protagora era l’ombra della mente di Socrate. - -Protagora era, prima di tutto, un signore molto irreprensibile; la sua -clamide era fluente, i suoi calzari erano eleganti, la sua chioma era -profumata. Socrate, invece, benchè gli piacessero le chiome fluenti, -non possedeva la chioma; i suoi calzari erano in uno stato deplorevole, -come abbiamo osservato; ed il suo mantello non teneva più i punti, come -aveva dichiarato Santippe. - -Protagora era un personaggio straordinariamente affascinatore e -simpaticissimo; la sua parola scendeva giù per le orecchie di tutti -come una musica facile ed uguale. - -Poteva forse Protagora sembrare orgoglioso, in quanto che affermava -di essere sapiente in ogni scibile e _de quibusdam aliis_; mentre -Socrate affermava con quella sua aria melensa, come aveva notato anche -Santippe, di non sapere niente. - -Si, ma il vero è che Protagora si sarebbe ben guardato dal prendere in -giro il prossimo come faceva Socrate e di obbligare la gente a furia di -domande, a confessare che anche essi non sapevano niente. - -Il linguaggio di Socrate era piano e le sue imagini erano sensibili -ad ogni intelligenza. «Ma se io ti comprendo, tu sei uguale a me.» -Il linguaggio di Protagora era spesso artificiosamente drappeggiato. -«Ma se io non ti comprendo, tu sei superiore a me!» Ma Protagora -aveva tutti i ferri del mestiere nel suo arsenale dialettico; tutti, -fuorchè l’ironia: ma Protagora era squisitamente gentile, e se egli -era sapiente, «Tutti, tutti, signori Ateniesi, ornatissimi signori -Ateniesi, potete — diceva Protagora — diventare sapienti come me». - -Ah, sì; quel signore fece alle dottrine di Socrate la più implacabile -delle concorrenze, e bisogna ben confessare che questa concorrenza dura -anche oggi. - -Protagora poteva aver press’a poco l’età di Socrate, ma non era -Ateniese. Siccome però Atene era la città più intellettuale della -Grecia, così vi capitava spesso. - -E quando egli vi capitava, non aveva bisogno di sbarcare ad un hôtel, -perchè tutti i signori di Atene andavano a gara per averlo ospite nelle -loro case. - -Egli faceva anche, qualche volta, dei graziosi giuochi di prestigio. - -«Intelligentissimi signori Ateniesi, — diceva, — io prendo questa -pallina nera che, supponiamo, rappresenta la Giustizia. La prendo con -la mano destra, delicatamente così! Passa, passa, pallina! La pallina -è passata nella mano sinistra. Adesso prendo la bacchetta magica, dico: -un, due, tre! Pallina, scompari! E la pallina è scomparsa!» - -Tutto ciò si ripete anche oggi: ma bisogna conoscere il trucco. - -Ora il popolo Ateniese era molto giovane. La generazione precedente si -era affaticata in una lotta spaventosa: aveva sparso fiumi di sangue -combattendo contro una barbarie immane che lo aveva minacciato di -soffocazione. Ne era uscito vittorioso, perciò ora amava divertirsi e -di imparare i giuochi di prestigio, e il loro piacevole trucco. - -Per queste ragioni, tutti quelli che avevano figliuoli, pregavano -Protagora perchè desse loro delle lezioni private. Molti che aspiravano -alla carriera politica, offrivano grosse somme per sapere fare anche -loro bene quei giuochi così graziosi delle palline. I giovani di Atene -buttarono via dei capitali per potere imparare a parlar bene come -Protagora. - -Ed è vero che Protagora era un uomo onestissimo, al punto da -dichiarare: «Cari signori, fissate voi la ricompensa che credete di -darmi; ma non negatemi la ricompensa, perchè chi mi toglie il denaro, -mi toglie l’onore». - -Fu allora che il ministro della Pubblica Istruzione in Atene propose a -Protagora un grosso stipendio, se si fosse degnato di fissare la sua -dimora in quella città. Sventuratamente egli non potè aderire perchè -era aspettato in Italia; nelle città d’Italia del sud, e ciò unicamente -perchè a quei tempi non esistevano le città dell’Italia del nord. - - * - -Un giorno Socrate aveva trovato che le strade di Atene erano spopolate. -Era arrivato Protagora, e tutti erano andati a sentirlo. - -Anche gli amici di Socrate erano andati a sentirlo. - -Platone, che aspirava, sino dalla nascita, a diventare sopra tutto un -illustre sapiente accademico, era andato a sentirlo. - -Alcibiade, che aspirava all’alta politica, era andato a sentirlo. - -Socrate non incontrò che Apollodoro, che era un’anima candida; e -Fedone, l’adorabile adolescente che adorava Socrate, perchè Socrate gli -aveva trasfuso di dentro il divino martirio dell’anima. - -— Che tristezza, — diceva Fedone, — a pensare che tu, Socrate, la devi -quasi fermare per il petto la gente perchè ti stia ad ascoltare; e -quello lì, invece, basta che arrivi in Atene perchè tutti mettano da -parte i loro affari per andare alle sue conferenze. Eppure tu dici le -cose come veramente sono. Come sono spregevoli e vani questi Ateniesi! - -— No, — disse Apollodoro ancor più tristamente. — È che il popolo -ateniese è un popolo gaio. La bellezza, l’illusione, la gioia, ecco -quello che il popolo ateniese sente: qui tutti sono d’accordo. Ma tu -sei melanconico senza fine, Socrate. - -— Ma se, amici miei, — disse Socrate, — voi stessi mi chiamate Sileno, -il buono, l’allegro giullare! - -— No, Socrate! Triste è la tua anima, tristi sono le tue parole. Tu -dici di rispettare le leggi della nostra città, ma io sento che tutto -l’edificio fabbricato dagli uomini trema con sinistri rumori dalle -fondamenta alle tue parole. - -— Io sono l’uomo mansueto, — disse Socrate. - -— Ma sotto la tua mansuetudine, c’è un terrore di ribellione. Sai che -spesso ho paura per te, Socrate? - -— Paura? di che? degli uomini? della morte, forse? Temere la morte -null’altra cosa è che sembrare di essere saggio, senza essere. - - * - -Ma così conversando, essi erano oramai giunti alla casa di Callia, -il quale aveva l’alto onore di ospitare Protagora. L’atrio era pieno -della più eletta società, di Atene: nelle prime poltrone sedevano -gli Arconti, e Protagora non era solo, ma aveva con sè alcuni suoi -mammalucchi, giacchè il ventre di Protagora era fecondo. Esso seguita a -generare anche oggi. - -Il silenzio era meraviglioso, tanto che Socrate, Apollodoro e Fedone -poterono ascoltare assai bene. - -— Socrate? Oh, ecco Socrate! Salute a te, Socrate, — disse, con ben -paludata parola, Protagora non appena scorse Socrate in fondo alla -sala, — salute a te, Socrate! Anche noi, onorevoli signori Ateniesi, -intendiamo, come il vostro concittadino Socrate, informare il carattere -e l’intelligenza dei nobili giovani Ateniesi, educarli nelle virtù -pubbliche e private. Anche noi adoriamo la verità. Ma dove è la verità? -Intelligentissimi signori Ateniesi, se gli Dei non abitassero troppo -lontano, se la nostra vita non fosse così breve e così incerta, noi -potremmo benissimo sapere che cosa è la verità! Ma non tutti noi, -umanissimi uditori, abbiamo, come il vostro fortunato concittadino -Socrate, la rara fortuna di possedere un dio suggeritore, un demone -buono, nelle proprie tasche. La verità dunque bisogna che ce la -fabbrichiamo noi, secondo noi, tagliata sulla nostra misura! Che vale, -intelligentissimi signori Ateniesi, possedere l’arco di Ulisse se -nessuno lo può tendere? Che vale un grappolo d’uva, se è perennemente -acerbo? Una cosa si deve da noi chiamare vera, o signori, in quanto -che, messa in pratica, rende. E se non rende, non è verità. E perciò -non esiste nel mondo reale una verità unica, ma esistono due verità, -tre verità, molte verità, anzi tante verità quanti sono i gusti ed i -capricci degli uomini; e così non esiste una sola virtù ma esistono -molte virtù. Non esiste un solo Diritto, ma esistono molti Diritti. -V’è il diritto dell’agnello; ma vi è anche il diritto del lupo! Esiste -evidentemente la virtù di chi muore per la patria; ma esiste anche la -virtù di chi canta i morti per la patria, come esiste la virtù di chi -si conserva in buona salute per la patria. Esiste certamente, come dice -l’illustre cittadino vostro, Socrate, la glandola della coscienza; ma -non stimolàtela! Anzi, se avete coraggio, estirpàtela, e canterete -tutte le mattine vispi come canerini, e vi sembrerà ogni mattina di -tornare gioiosamente a vivere! - -Dopo di che tutti, cominciando dai signori Arconti, andarono a -congratularsi per la bella conferenza col signor Protagora. - -— Ma è evidente, — disse Meleto, l’arconte basileo, che era assai -adiposo e rappresentava la suprema autorità religiosa e giudiziaria -di Atene, — che se tutti avessero la sola virtù di morire per la -patria, chi resterebbe per fare gli elenchi dei morti per la patria, -chi resterebbe per fare le commemorazioni e le poesie pei morti per la -patria? - -Anche Socrate andò a congratularsi con Protagora. - -Disse Socrate: — Voi commerciate splendidamente al minuto nei -commestibili dell’anima. - -— E voi, disse di rimando graziosamente Protagora a Socrate, -commerciate un po’ troppo all’ingrosso. Sono partite colossali. -Scusate, chi volete che le comperi? Soltanto gli Immortali Iddii le -potrebbero comperare. Ma gli Iddii non ne hanno bisogno. Agli uomini, -— bisbigliò a pena l’insigne Protagora, — occorre vendere bagattelle, -possibilmente piacevoli. E poi, in confidenza, virtù e vizio, rose e -cipolle sono tutte produzioni del suolo. Credo che voi soffriate di -esaltazioni liriche, Socrate carissimo. - - * - -Strano! Dal tempo di Protagora e di Socrate i sistemi filosofici si -sono susseguiti come le onde del mare: erti di idealità sino alle -nuvole, cupi di pessimismo sin giù negli abissi! Gli uomini come tante -navicelle di carta, hanno seguitato a ballare su e giù per quelle onde -della filosofia, felici di essere giù, felici di essere su. - -Non ci fu che qualche individuo stravagante a dichiararsene -insoddisfatto, come per esempio Messer Lò, professore medievale -nell’università di Parigi, il quale, dopo essere stato sballottato -a lungo in cerca della perfetta letizia, finì col dire: _Linquo coax -ranis_ (lascio il gracchiare alle rane), e terminò col farsi frate, -secondo il costume di quel tempo; come Arrigo Heine, il quale dichiarò -che, dopo avere amoreggiato con tutti i possibili sistemi filosofici -senza rimanerne soddisfatto, — come Messalina dopo una notte di orgia, -— si veniva a trovare sullo stesso fondamento su cui si trovava il -povero negro, lo zio Tom. - -Ma non c’è dubbio che fra i tanti sistemi filosofici, quello -dell’illustre Protagora è il solo che gli uomini abbiano -coscienziosamente capito ed anche applicato. - -Gli Arconti e i Lucomoni vanno sempre a congratularsi con Protagora e -coi suoi mammalucchi. - -I servizi di Socrate non furono niente affatto riconosciuti dallo -Stato; e quella volta che il Governo si occupò seriamente di lui, fu -per fargli bere la cicuta. - - * - -Certo, Socrate, lui come lui, non ha l’onore di aver costruito nessun -edificio, nessun sistema filosofico, anche perchè non gliene lasciarono -il tempo, avendogli fatto bere la cicuta. - -Di lui non rimase che una pietra quadrangolare di marmo. - -Ma io lo vedo ancora col suo melanconico sorriso di Sileno, quel povero -figlio di Sofronisco scultore e di Fenarete, la levatrice. Egli sta -presso la sua pietra quadrangolare. Io lo vedo ancora. Dal convito -d’amore escono gli amici alquanto ebbri e con le rose sfiorite oramai; -gli amici e le amiche fra cui stanno le belle cortigiane. Essi vanno a -riposare. Socrate va alla bella fontana, si lava e si purifica. Sorge -il sole sull’acropoli. Egli riprende il suo dialogo eterno: «Di’, o -uomo meraviglioso, vogliamo noi diventare belli e buoni?» - -E gli uomini, da tanti secoli, non hanno sovrapposto una pietra su -quella pietra. - -Ma vero è anche che molti uomini, vicini a noi, dopo l’esperimento -della vita, vollero morire per quella terra, ed in quella piccola terra -che fu la patria di Socrate, considerandola come uguale al vasto mondo. - - - - -VII. - -La cena dell’amore. - - -Non si deve credere però che la buona società di Atene non istimasse -Socrate. In questo caso sarebbero stati Beoti, ed essi erano Ateniesi! -Certo spendevano più alla bottega di Protagora che a quella di Socrate; -ma, oh, buon figliuolo di Sofronisco, come potevi tu pretendere che la -gente venisse da te a comperare la _Dike_, la _Enkrateia_, la _Noùs_, -quel tremendo esplosivo che è la _Noùs_? Vendere la _Noùs_ per le -strade, sono cose, figlio di Sofronisco, che fanno strabiliare! Sono -cose che non poterono avvenire che in Atene, la città della giovinezza -del mondo. - -— Signori Ateniesi, questa merce si vende per nulla. Si vende per -nulla, non perchè non sia preziosa, chè la è preziosissima! Ma è che -uno dei due sfuma, o il denaro o la merce! — così diceva Socrate. - -E gli Ateniesi lo ascoltavano con curioso piacere: naturalmente, non -comperavano. - -— Se comperiamo codesta merce, — dicevano, — noi temiamo, o Socrate, -di diventare brutti come te! — Lo ascoltavano però volontieri: spesso -lo invitavano a cena, e mai gli fecero delle beffe: la qual cosa gli -sarebbe certamente accaduta se fosse vissuto in _Fiorenza_, la città -delle beffe. Naturalmente, quando era invitato a cena, il buon uomo -si ripuliva alquanto, perchè la società ateniese ci teneva molto -all’eleganza: non però sino al grado di noi moderni, in cui i venditori -di eleganza — camiciai, sarti, scarpai, ecc. — costituiscono un -sindacato della rispettabilità. - -E fu così che un giorno Apollodoro vide Socrate tutto ripulito, e -siccome questa cosa gli accadeva di rado, Apollodoro meravigliò forte. -Non mancava a Socrate che di essere profumato come costumavano tutti -allora indistintamente gli Ateniesi. - -Allora non c’era il precetto: «Amate il vostro prossimo!» e si -suppliva con quest’altro: «Profumate il vostro prossimo!» E così -l’uomo accostando il naso al suo prossimo, sentiva subito qualcosa di -piacevole. Ma Socrate preferiva il profumo della verità. - -Apollodoro che lo vide così azzimato, meravigliò forte. Apollodoro era -un’anima candida e quindi un poco irosa. - -— Dove vai, Socrate? Perchè così vestito? Che sollecitudine è la tua di -questa pomposità mondana e superflua? Non carichiamo e scarichiamo oggi -la _Noùs_, la _Dike_? - -— Caro, — disse Socrate, — io, come vedi, mi sono fatto bello perchè -oggi sono chiamato a cena da persone che sono tutte belle. - -Egli era in quel giorno invitato da Callia, un giovane signore, uno -_sportman_ — diremmo noi oggi — il quale aveva vinto il _grand prix_ -delle Panatenaiche. - -— Vieni anche tu, Apollodoro, — disse Socrate. - -— Ma non sono invitato! — rispose Apollodoro, il quale appunto come -anima candida ed irosa, era anche anima timida. - -— E se non sei invitato? Ti invito io. Una persona per bene è sempre -ospitata con piacere da un’altra persona per bene. - -Così parlò Socrate, e così si avviarono, lui e Apollodoro, alla casa di -Callia. - - * - -Callia abitava una villetta, un po’ fuori di Atene, sulla riva del -mare. Una piacevole passeggiata! E i sandali di Socrate e di Apollodoro -andavano allegramente. - -Appena Socrate fu in vista della villa di Callia, vide molti e bei -giovani che lo attendevano. - -Callia si fece incontro a Socrate e lo salutò con queste parole: - -— Ben venuto, Socrate: noi ti abbiamo invitato a cena, perchè tu, -essendo libero da cure mondane, farai più onore a noi che se avessimo -invitato Anito, il presidente della Repubblica, o Meleto il basileo, o -qualsiasi altro arconte o generale. - -(Mai uno _sportman_ dei nostri tempi sarebbe stato capace di così -intelligenti e graziose espressioni!) - - * - -E quando tutti si furono acconciati ne’ loro divani attorno alla mensa, -data l’acqua rosata alle dita, disse Callia bonariamente ai servi: -— Fate da voi, ragazzi, e fate le cose per bene, perchè noi vogliamo -mangiare e bere in pace. - -«Ma, e le signore? non c’erano al banchetto di quel _gentleman_ le -signore?» potrà domandare qualche signora, se qualche signora sarà -lettrice di questo libro. - -«No! a quei tempi le signore erano escluse dai banchetti. Servivano -soltanto come decorazione; muta, però. - -Ma è imaginabile, signora, Socrate che va alla cena di Callia con -Santippe a braccetto? È stato Cristo, signora, che ha introdotto le -signore nei banchetti: una marsina nera ed uno scollato bianco, in gran -contegno. Gli Ateniesi non usavano nemmeno il contegno, perchè stavano -sdraiati sui sofà, ed i fiori, anzichè sulla tavola, erano collocati -sulle teste. - -«Oh, gli orribili Ateniesi, sdraiati sui sofà senza l’intervento del -sesso gentile! Chi sa quali scostumatezze!» - -«Pur troppo, signora! L’uomo, o signora, è in alcuni rari casi di tipo -apollineo, qualche rara volta di tipo dionisiaco, ma più spesso di tipo -faunico, cioè bestia, e allora ruzzola sotto la tavola tanto oggi come -allora.» - - * - -La cena passò lietamente. I piatti erano d’argento e non usava la -seccatura di mutarli. - -Finita la cena, fu fatta entrare una leggiadrissima giovinetta, vestita -di un semplice _kiton_, che null’altro era che un quadratello di -stoffa, come un vessillo, ma messo con garbo: allora le Ateniesi belle -vestivano tutte così, con molta semplicità; come oggi, che le signore -portano certe _toilettes_, come dire? semplici. - -Un giovane aulete, o suonatore di flauto, accompagnava la fanciulla. - -Questi intonò il suono, e poco dopo, ella, come indolente, slegò e -scosse le membra della sua statua: le animò un po’ per volta, poi -furentemente, freneticamente. Ora ella, lieve, si trascinava dietro -il ritmo dell’aulete che, a fatica, con il collo turgido, la seguiva -zufolando. - -I signori, sdraiati sui loro sofà, contemplavano. - -D’improvviso la fanciulla ricompose le membra della sua statua; cessò -la danza: l’aulete potè allora trarre il respiro dal petto profondo. - -— Quella fanciulla pare vuota di dentro come la locusta! — disse -ammirando più d’uno. - -— Signori, — disse Filippo, uno dei commensali, — questo è effetto -della danza, esercizio utilissimo e graziosissimo. Io ho il ventre -grosso, e voglio diventare grazioso e leggero. Piglierò lezioni di -danza. Anche Socrate ha il ventre grosso e pesante e deve ballare, se -vuole diventare grazioso. - -— Tutti i giorni, o Filippo, — disse Socrate, — sta certo, io faccio in -casa esercizi di ballo. - -— Così, vedi, convien fare, — disse Filippo. — Tu, fatti in costà, — -e accennando alla donna che si scostasse, Filippo balzò dal sofà e si -mise a ballare col suo grosso ventre. - -Spumeggiò di risa la gioia del convito. - -— Da bere, — ordinò Callia. - -Tutti avevano gran sete. - -— Portate i cratèri più grandi, — ordinò Callia ai servi. - -— Callia, se permetti, — disse Socrate, — ordina i bicchieri più -piccoli. Il vino è cosa miracolosa come la pianta della mandragora: -addormenta il dolore, e sveglia la gioia, come l’olio sveglia la -fiamma. Ma in piccole tazze! Noi siamo come la sementa della terra. Se -l’acqua diluvia, la sementa marcisce; se invece scendono piogge soavi, -ecco tutta la bella fiorita della primavera. - -I servi recarono in giro piccole tazze. - -Disse per primo Callia: — Io bevo alla Ricchezza, alla mia dolce e -docile Ricchezza, dispensiera di libertà. Essa mi concede di onorare -con bei simposi, in questa bella casa, con tanti servi, con questo -inebriante vino, i cari amici. - -Disse un altro dei convitati: — Ed io, o Callia, propino e bevo — -perchè tu ci offri questo nobile vino — alla mia grande, vergine, -libera Povertà. Divina cosa, amici, la Povertà! Già tu la custodisci -senza forzieri, con la dolce negligenza essa fruttifica, il dente -dell’invidia non la morde; i figli non ti augurano di andar presto -a ritrovare Caronte. Anch’io sono libero, o Callia, io con la mia -povertà! - -(Queste cose si potevano dire allora quasi sul serio, per tante ragioni -per le quali la povertà non aveva l’odore così cadaverico che ha oggi). - -Un giovanetto non ancora segnato nel volto di alcuna lanugine, -inghirlandata la breve fronte di rose come un nume, fissando Callia con -ferme pupille, parlò così per terzo e come devotamente: — Io mi glorio -e mi esalto della mia, oh fuggitiva bellezza! la quale mi concede di -essere caro a te, o Callia, o unico, o solo mio bene! - -(E anche ciò poteva a quei tempi esser detto, se è permessa la -contraddizione, naturalmente. Le signore non potevano protestare). - -— Permettete allora, signori ed amici, — disse quel tal Filippo, — che -anch’io dica la mia. Io mi esalto e glorio perchè son nato buffone. -Socrate nostro non può profferire parola che non sia seria; io invece -non posso dir cosa che non sia buffonesca. Dire una cosa seria è per -me impossibile: come diventare immortale. Socrate dice di sentire -l’ambrosia di non so qual Nume o Demone di dentro. Io sento dentro di -me un onesto suino che annusa l’ambrosia delle buone pietanze......... - -— Ehi, ehi! — interruppe d’un tratto il buffone Filippo. — Si può -sapere che cosa fanno quei due laggiù? Ma quella è la danza, diciamo -così, del ventre! - -Infatti la bella donna ed il giovane aulete, rimasti senza occupazione, -avevano per conto loro attaccata una danza, una danza.... Come -dire? Un’abbominevole danza: quella che è detta oggi la danza degli -Apaches, la danza dei selvaggi che piace anche alla nostra buona -società. Io credo che sia una riproduzione dell’antica danza che i -due primi selvaggi, Adamo ed Eva, danzarono la prima volta ed ebbe per -conseguenza Caino ed Abele: una specie di _tango_. - -La donna era di un verismo assai perturbante. - -— Smetti, ragazza, — gridò Filippo. — Mi si desta Afrodite, e sorge -Eros. - -Cosa strana! In tutti si destava Afrodite, ed anche Eros. - -E poichè i due smisero, furono mandati via. - -— Per Giove, — esclamò Callia, — sapete, amici, che Eros, Amore, è un -dio misterioso anche lui! Misteriosa certamente è Demetra; misteriosa è -Minerva, ma anche Amore non ischerza! - -— E il modo come si manifesta! - -— E come è invincibile! - -— E come è indomabile! - -— Il più giovane ed il più bello degli Iddii, perchè chi può imaginare, -signori, Amore non dirò con la barba bianca, ma con la barba? - -— E nel tempo stesso, signori, il più vecchio fra gli Iddii, perchè -come sarebbe nato Giove se prima non c’era Amore? - -— E il più corroborante fra gli Iddii! Più assai di Dioniso di cui poco -fa parlava Socrate! Non ci fu che quel vile di Paride, che quando era -preso da Eros, si sdraiava sul letto: ma io allora sbranerei i leoni, -lotterei coi centauri, coi Lapiti, pur di arrivare all’oggetto che -concupisco! - -— La più bella istituzione del mondo è Eros! - -— La più piacevole! - -— La più esilarante! - -— Sparsa dovunque: dovunque ci si volta, ecco Amore! - -Così dissero i convitati di Callia in lode d’Amore. - - * - -«Oh, gli indecenti maschi avvinazzati! gli orribili Ateniesi!» — -potrebbe qui esclamare la mia ideale signora — «I profanatori, non i -lodatori d’Amore!» - -«Ecco, signora: io credo piuttosto che tutto provenga da un diverso -modo di giudicare l’Amore. Per noi moderni l’Amore è una cosa così -complicata, così difficile, così piena di conseguenza! E poi troppo -ideale: e spesso l’ideale se ne va, e non rimane, _pardon!_, che il -pitale d’Amore. - -Per gli Elleni invece era una cosa più semplice. Essi volevano soltanto -conoscere che cosa era quel delizioso furore di Eros: un problema -scientifico! E perciò i nostri convitati stanno per dire cose un po’ -sciocchine, un po’ puerili specialmente per chi è abituato alla nostra -così spaventosa psicologia dell’Amore; e, forse, un po’ invereconde: ma -tutto il loro discorso non fu inverecondo perchè nella loro mente Eros -si presentava come un problema scientifico. - - * - -Disse, dunque, uno dei commensali: - -— Come si spiega, o amici, l’arduo problema che c’è l’amore degli eroi -e l’amore, diremo così, dei suini? - -— È semplicissimo, — rispose un altro dei commensali. — Afrodite, la -mamma di Amore, ha avuto due figliuoli; cioè due Amorini, un Amorino -eroe e un Amorino maiale, in quanto che la nobile dea ha creduto di non -far torto a nessuno.... - -— Ma, e perchè, — chiese un terzo, — due putti, uno maschio ed uno -femmina, sono a un dipresso uguali, sino ad una certa età: ridono, -scherzano insieme; poi viene un bel momento che la puttina trema -davanti al maschio; ha paura e fugge; fugge, ma lascia andare tutte le -chiome lunghe lunghe per essere presa, e quando è presa, non piange ma -ride? Se poi giungono alla vecchiezza, perchè tornano uguali, tornano a -giocare in pace innocente ancora, come Filemone e Bauci? - -— E perchè, — disse un altro, — questa caccia furibonda e continua; e -perchè, questo è ben un mistero! perchè qualche volta avviene che un -maschio rincorre un altro maschio; e qualche volta una femmina corre -dietro una femmina? - -— Oh, — disse un altro, — la spiegazione è abbastanza semplice: Giove -quando creò la creatura umana, si pensò di congegnarla nel modo più -compiuto e dilettevole; e perciò la combinò per tal guisa che in -un solo individuo ci fosse maschio e femmina insieme. In principio, -dunque, non esisteva l’uomo e la donna: ma soltanto l’androgìno, cioè -l’uomo-donna. - -Chi sa come andarono le cose? Giove dice che l’androgìno era -prepotente, cattivo ed ingrato. V’è chi dice che Giove si stancò -dell’androgìno, nello stesso modo che i gran signori si stancano dello -stesso balocco. Il fatto è che Giove si mise a spaccare tutti gli -androgìni in due, come si fa con le acciughe, e diceva: Se non siete -buoni, vi spaccherò in quattro, ed anche in otto! Ed ecco che, fatta -appena questa operazione, la metà maschia si mise a cercare la sua metà -femmina, spasimando come tante biscie tagliate. Questa cosa è tanto -vera che anche oggi la moglie è chiamata la mia «metà». Ma chi sa dove -si trova la sua metà? Ed è per questo che quasi nessuno è contento -della sua metà, ma desidera molto di mutare la propria metà, per vedere -se trova quella che già combinava con lui. Spesso poi avviene che una -metà maschia si attacca ad un’altra metà maschia, ed una metà femmina -si appiccica con un’altra metà femmina, tanto è il cieco furore della -caccia! - -Così spiegò uno dei convitati, e tutti furono soddisfattissimi. - -Tutte queste spiegazioni non erano propriamente la verità: ma è -necessaria agli uomini la verità quando basta agli uomini una fola? - -Ora siccome ognuno aveva detta la sua, così si volle sentire anche -Socrate; ed ecco, quest’uomo, dissimile da tutti gli altri uomini, -venir fuori, non con un’altra storiella piacevole, ma con una di quelle -cose lugubri che si chiamano verità. - -— Perdonate, signori ed amici, — disse, — la mia dappocaggine, la mia -inguaribile dappocaggine, per effetto della quale non mi è possibile -dire altra cosa che non sia la verità. Vi devo dire che cos’è Amore? -Amore è una volontà di vivere, un disperato e oscuro bisogno che ogni -essere mortale sente di generare la sua immortalità. Perciò ogni essere -creato combatte e vive in difesa del suo germoglio, cioè de’ suoi -figli, che formano la sua immortalità. - -— Ma allora, — esclamò con dolce stupore il giovanetto che si era -vantato della sua bellezza, — i miei amori sarebbero riprovevoli amori -perchè io non germoglio. - -— Allora, Socrate, — disse Callia, — Amore non sarebbe precisamente il -Piacere! - -— Il Piacere, — ripetè Socrate, — serve per la vita, caro Callia, ma -non è la vita. - -— Permettimi, caro Socrate, di osservarti, — disse Filippo, — che le -tue opinioni sono piuttosto melanconiche e restrittive. Io per me mi -sento perfettamente suino o faunico che tu voglia dire; io non ho alcun -bisogno di immortalità; anzi ho paura dell’immortalità. Da bere, da -bere, Callia, e in grandi crateri, questa volta, anche se a Socrate non -pare. Tu ci vuoi far digerire male la gioia del convito! - - * - -Povero Socrate, così buono e intelligente! Egli non aveva nessuna -intenzione di disturbare la gioia di quel convito: era quella malattia -della verità! - -E chi non beve il dolce vino della favola, ma si ostina a bere l’acqua -cruda della verità, corre il rischio di rotolare e far mala fine, -come San Francesco gran bevitore d’acqua, che, per contemplare l’alta -verità, rotolò dal monte della Vernia. - - * - -Sul far dell’alba ognuno se ne tornò alle sue case. - -Ma Socrate era ancora lì con il suo buon Apollodoro sulla riva del mare. - -Parlò allora Apollodoro, che per timidezza mai aveva parlato durante il -banchetto. - -— Quale splendente verità tu hai detto, Socrate mio, — esclamò -Apollodoro con venerazione, — più bella e luminosa dell’occhio del sole -che ora sorge e accarezza l’Acropoli. - -— Considera, considera, Apollodoro mio, — diceva Socrate, — anche -queste altre verità. - -— Quali, Socrate? - -— Ecco: sai tu, Apollodoro, quanti figliuoli abbia avuto Giove? - -— Impossibile, Socrate. Chi li può numerare? - -— Vero! I figliuoli di Giove sono innumerevoli. Però osserverai una -cosa: che, fatta una sola eccezione per la dea Minerva la quale venne -fuori da per sè dal cervello di Giove e non succhiò latte di donna, -tutti gli altri figliuoli Giove li ha generati dalle più belle femmine -del mondo, tutte bianche, tutte docili, tutte devote, tutte silenziose: -Elettra, Europa, Leda, Alcmena! È strabiliante, Apollodoro, ma è così, -proprio così! Il termine più alto della bellezza che la nostra mente -contempla, è la donna; e noi cerchiamo appunto di procreare nella -maggior bellezza per creare la immortalità più bella. - -— Sublime verità tu hai detto, o Socrate, — rispose l’estatico -Apollodoro. — Oh, ecco che spiego ora a me stesso perchè anch’io, che -disprezzo tutte le cose mondane, pure non so staccare questi peccanti -miei occhi dalla bianchezza della donna! E anche tu la guardi, Socrate. - -Socrate sospirò profondamente. - -— Ah, perchè — prosegui Apollodoro — le belle donne allontanano invece -lo sguardo da te? Perchè tu, come Giove, non puoi ingannare la loro -stupidità, trasformandoti in cigno, in pioggia d’oro, in bianco toro -come fece quel Dio? Chi sa quale generazione immortale verrebbe fuori! -Altro che Ercole! altro che Achille! altro che Castore e Polluce! -Oh, ecco Minerva, vedi, o Socrate, — esclamò Apollodoro, — la divina -Minerva dovrebbe congiungersi con te. - -— La quale sventuratamente — disse Socrate sorridendo — è nata sterile. - -Apollodoro, col capo in giù, pensava alla singolare fatalità che -Minerva era sterile, e solo quella bianca oca di Leda fu capace di -covare quattro ova per volta! - -— Però, — disse Socrate levando la faccia camusa e sorridendo alquanto, -— tu puoi generare anche con Minerva! - -— Generare con Minerva? — chiese Apollodoro. — E che nascerà? - -— Nascerà l’idea! — disse Socrate. - -(Beatrice, l’amante di Dante, infatti, non soltanto fu sterile, ma -non aveva che due grandi occhi ed un manto; eppure generò la _Divina -Commedia_). - -— Sublime, generare l’idea! Questa è la grande immortalità! — esclamò -Apollodoro. - -Ma ora anche Socrate ritornava col capo all’ingiù. - -Forse pensava come fosse complicato quel problema di Amore, che egli -aveva al banchetto di Callia enunciato un po’ troppo semplicemente. -Dall’Amore del suino per la bella suina allo scopo di immortalare la -razza dei suini, all’Amore di Dante per la scarnificata Beatrice, è -tutta una scala indefinita: ma una femmina è indispensabile: o suina o -Beatrice. - -Ahimè! forse la fola dell’androgìno valeva quanto la verità enunciata -da Socrate! - -Essi così si stavano muti sulla riva dell’azzurro mare al mattino, e il -sole indorava l’Acropoli, quando Apollodoro esclamò: - -— Socrate, guardati! ecco viene Santippe. - -— Fuggiamo, figliuolo mio, — disse Socrate. - -— Impossibile! Ti ha riconosciuto. Senti già le alte strida? - -Era Santippe, infatti. Ella si era imbattuta nella comitiva dei -convitati di Callia, che ritornavano in Atene. Aveva chiesto di Socrate -e quelli ridevano. - -— Maledetti bardassi! cinedi porci! — aveva detto contro le loro -risa, ed aveva seguitato a girare per ritrovarlo quel vagabondo di suo -marito. - -— Eccolo qui, — disse, — che non si accontenta di aver persa la notte; -ma anche il mattino! A casa, dico, che tu sei ubriaco fradicio! - -E presolo per la mano se lo trascinava dietro a gran passi. — Ma che -proprio tutto io, tutto io? io accendere il fuoco? io scopare? e tu in -giro a far gozzoviglia, muso da cane? - - * - -E quando Socrate fu giunto a casa, un visetto, un po’ camuso anche lui, -si levò dagli stracci della sua cuna: due occhietti luccicarono, due -manine batterono a palma a palma: _File pappos_, Papà mio! - -Era il suo ultimo germoglio. - - - - -VIII. - -Il colloquio fra Anito e Meleto. - - -Le profezie di Santippe non tardarono ad avverarsi. - -— Socrate, — diceva Santippe, — sta a casina tua, metti la testa a -partito, chè sei vecchio; chiacchiera meno; se no ti predìco che farai -mala fine. - -Ma Socrate si era sempre profumato — come già dicemmo — col profumo -della verità, e perciò non poteva star zitto. - -Qui è indispensabile osservare come Socrate non fu lui solo ad avere -questa abitudine: Cristo parlava dall’alto della montagna; Dante -parlava dall’alto dei secoli; Campanella portava per emblema una -campana, e aveva per motto: «_Non tacebo_, non starò mai zitto!» -San Francesco andò scalzo e lacero a parlare davanti alla maestà del -Papa; Tolstoi cammina per la neve, con la sua barba bianca, sino ad -affacciarsi al nostro occidente e grida: «Io non posso tacere!» - -Ora quando si consideri come tutti costoro fecero mala fine, che -Tolstoi, che era un signore, morì su la neve, risulta evidente che è -assai meglio tenere la fiaccola sotto il moggio e non sopra il moggio: -cioè seguire la saggezza del sentenzioso Bertoldo, il quale assicurava -che in bocca chiusa non entrano mosche; e Bertoldo fu pure una -rispettabile persona, e se morì male fu anzi per eccesso di delicatezze -a cui il suo stomaco di bifolco non era abituato. - - * - -Dunque Socrate era un predestinato a far mala fine. Ma quando io penso -che Socrate non fu condannato da un tribunale segreto, coi giudici -notturni e mascherati; non fu crocifisso da fanatici ebbri di odio; -ma fu condannato alla luce del sole, legalmente, da cento tranquilli -cittadini giurati, allora io sono preso da una gioia furibonda, ed -esclamo, come in principio: — Oh, Atene luce del mondo, non solo nelle -arti, ma anche nella politica! - - * - -Atene — ci pare di averlo detto — era una repubblica, cioè uno stato in -cui tutti i cittadini sono proprietari della sovranità. Ora, siccome la -repubblica è quel governo appunto che è fondato sulla virtù, Socrate, -il quale vendeva la virtù per le strade, avrebbe dovuto essere almeno -presidente della repubblica. - -Invece Socrate fu condannato a morte, e appunto in una repubblica -democratica. Questa cosa può fare dispiacere alle nostre convinzioni -democratiche, per la quale cosa ci domandiamo: Come avvenne -questo fatto strano che Socrate fu condannato a morte in una città -democratica? - -Avvenne perchè Anito ebbe un importante colloquio con Meleto. - - * - -In Atene, città raffinata, la democrazia costava cara come la -aristocrazia. Tutti i cittadini essendo sovrani, aspiravano anche ad -una piccola lista civile, cioè a vivere sovvenzionati dallo Stato, -tanto che lo Stato dava anche gli spettacoli del teatro gratis. - -Il denaro — equivalente sensibile della virtù — era molto ricercato e -molto onorato in Atene. E similmente, come conseguenza, avvenne questo, -che una volta un re che assediava Atene, invece di bombardare la città, -vi fece entrare degli asini carichi d’oro: nessuna cavalcata eroica -sortì effetto più bello! Atene fu presa risparmiando vite ed edifici. - -Per evitare quest’inconveniente, gli Spartani, che erano aristocratici, -fecero coniare certe monete di bronzo da mezzo quintale l’una. Ma ciò -non documenta se non la puerilità e la rozzezza degli Spartani, perchè -l’uomo, quando si tratta di trasportare il denaro, è più robusto della -formica la quale è capace di trascinare un peso circa duecento volte -superiore al proprio peso. - -Questa è una facoltà che hanno gli uomini tanto in democrazia quanto in -aristocrazia. - -Ma un inconveniente anche più grave e più speciale di Atene era la -facilità con cui gli uomini, forniti di bella voce, arrivavano al -potere. E quando si consideri che quasi tutti in Atene avevano bella -voce, si capirà anche quanta gara ci fosse e quanta difficoltà nel -mantenersi al potere. - -Gli Spartani invece non parlavano che a monosillabi. - -Questa diversità del modo di parlare fu, nel caso speciale di Atene e -Sparta, uno dei motivi per cui i due popoli si guerreggiarono a morte. -Ma anche altre diversità, come del colore, del modo di mangiare, di -dire le orazioni, ecc., posson essere cagione di guerra. Ecco, dunque, -gli Spartani che facevano guerra a morte agli Ateniesi. - -E noi possiamo osservare che in tutti i tempi i grandi guerrieri, -questi tetri agenti della morte, sono taciturni come la morte. Perciò -gli Spartani, che parlavano a monosillabi, furono vincitori degli -Ateniesi che parlavano troppo! - -L’ultima battaglia navale fu un disastro irreparabile. La bella armata -di mare degli Ateniesi, la più bella armata che allora navigasse il -Mediterraneo, gloria e scudo di Atene, in un giorno di distrazione e -discussione dei suoi capitani, fu sorpresa dagli Spartani, e andò in -pezzi. - -Per effetto di questo disastro, Atene perdette la sua libertà e gli -Spartani vi insediarono trenta Oligarchi, taciturni e sanguinari, che -spadroneggiavano in Atene, tenevano chiusi i teatri, non permettevano -di parlare e mandavano la gente a casa all’ora del coprifoco. - -Socrate anche in quella circostanza seguitò a parlare lo stesso. - -Ed allora il capo degli Oligarchi lo mandò a chiamare e con voce cupa -gli disse: — Socrate, noi siamo stanchi fracidi dei tuoi discorsi! - -Ê molto probabile che Socrate avrebbe fatto già da allora cattiva fine. - -Ma gli Ateniesi, piuttosto che stare zitti, preferirono morire, e -fecero una rivoluzione. E allora gli Oligarchi, che incutevano tanta -paura, ebbero paura e scapparono. E qui diciamo come questo bello -spettacolo di vedere i tiranni aver paura e scappare davanti alla -rivoluzione, è uno dei vantaggi della democrazia. - -Atene, cacciati che ebbe gli Oligarchi, ritornò più democratica di -prima, e il presidente della Repubblica, o primo arconte, si chiamava -Anito, ed era di professione cuoiaio. - -Anito era una rispettabile persona ed era intelligente, prima perchè -tutti gli Ateniesi erano intelligenti, secondo perchè le persone -che arrivano al potere sono intelligenti. Era anche un formidabile -democratico, perchè aveva sofferto l’esilio durante la tirannia dei -trenta Oligarchi, e gli interessi della sua conceria erano stati molto -danneggiati. Per impedire che la flotta andasse in frantumi una seconda -volta, egli aveva provveduto facendo votare una legge che prescriveva -che tutte le navi fossero fasciate con un triplice rivestimento di -cuoio. - -Allo scopo poi di evitare congiurazioni contro lo Stato, Anito -ispezionava e faceva diligentemente ispezionare le vie di Atene. - -Ora noi sappiamo che Socrate passeggiava per le vie di Atene e vendeva -gratuitamente la _noùs_ ai giovani. - -Se Socrate avesse sparlato della democrazia e dei cuoiai puzzolenti, -oppure avesse deriso il progetto del rivestimento di triplice cuoio per -le navi, il sospettoso Anito avrebbe capito subito. - -Anito parlava lo stesso linguaggio di Socrate, ma non capì troppo bene. -Le orecchie di Anito erano pelose. Ora quando si pensi che frate Egidio -e re Luigi il Santo parlavano due diversi linguaggi, e pur si capirono -soltanto alle sfavillanti, lagrimanti pupille; anzi l’uno davanti -l’altro devotamente si inginocchiò, bisogna ammettere che questo umano -linguaggio ha meno valore che non si crede comunemente. - -E non soltanto Anito capì poco; ma gli parve che il saluto a lui, -presidente della Democrazia, fosse poco reverente. - -Alcibiade, nepote di Pericle (un intellettuale molto sospetto!) diceva -bensì: «Salute, Anito!»; ma le sue pupille, dall’alto della pura -clàmide, giravano così sardonicamente, che parevano dire: «Dove sei, -Anito, verme della terra?» - -Ed i sicofanti avevano riferito per certe queste parole del giovane -Senofonte: «Salcicciai e cuoiai arricchiti vadano pure al potere: ma -col voto dei salcicciai e cuoiai soltanto. Noi, piuttosto che dare il -voto a simili candidati, boicoteremo lo Stato, andremo volontariamente -in esilio.» - -«Tutto questo, — pensava Anito, — è effetto della filosofia di quel -vecchio. E che è questa filosofia che rende gli uomini indaganti, -oltracotanti, ciarlanti, boicotanti, scioperanti?» - -Egli non sapeva che cosa fosse la filosofia; ma come uomo politico, -cioè intelligente, capì che quel vecchio parlava parole a lui nemiche, -e quindi era nemico pericoloso per la democrazia. (E questo di -giudicare pericolosi i filosofi è, pur troppo, una qualità tanto delle -aristocrazie quanto delle democrazie.) - -«Ah, è troppo tempo, — diceva Anito, — che quel vecchio chiacchiera per -le vie di Atene!» - -E andava considerando fra sè come lo si potesse togliere dalla -circolazione. - -«Ecco, — esclamò trionfalmente Anito, puntando l’indice contro la -fronte, — noi possediamo l’organo legale, l’ostracismo! Blandamente, -dolcemente, noi togliamo questo individuo dalla circolazione. Sì, ma -dove li troviamo noi tremila cittadini che diano il voto per mandare -Socrate in esilio? Per quale motivazione? Perchè parla troppo? Ma -allora bisognerebbe mandare in esilio tutti gli Ateniesi! Eppure un -motivo ci deve essere!» - -Anito, uomo politico, sentiva al fiuto che un motivo c’era. Ma quale? -Non riusciva a trovarlo, e perciò si decise ad andare da Meleto, che -era l’arconte basileo, e aveva l’orecchio più sottile. - -Questo Meleto non era un sacerdote: Atene non ebbe sacerdoti, chè -se li avesse avuti, non sarebbe stata più Atene. Era soltanto una -mente sacerdotale. Oltre a ciò convien dire che questo Meleto era -un eupatrida, cioè un nobile, e lo si diceva un po’ partitante -dell’aristocrazia. Ma essendo al potere, ed avendo anche lui approvato -il rivestimento di cuoio per le navi, Anito e Meleto — cioè demagogo ed -oligarca — si trovavano in buoni rapporti. - -Mentre dunque Anito si reca da Meleto, noi ci domandiamo: Perchè -questa legge dell’ostracismo, cioè di un esilio blando e niente affatto -disonorevole, non fu conservata nelle legislazioni che vennero di poi? -Perchè quella legge fu trovata ingenua, cioè superflua. - -Dove Anito o Meleto salgono ai primi onori di uno Stato, gli uomini -buoni si eliminano automaticamente, senza ostracismo. - - * - -Meleto era un personaggio flemmatico e maestoso, e il discorso -che seguì fra i due uomini di Stato fu di molto interesse, anzi è -memorando. - -— Quell’uomo, quel Socrate, — cominciò a dire Anito, — io l’ho -ascoltato attentamente; parla di fabbri, di falegnami, di asini col -basto, dice che conviene essere _kaloikagatoi_,[3] _filosofoi_....; -eppure io sento che quell’uomo è pericoloso allo Stato. Pensa o non -pensa vostra Eminenza quest’uomo pericoloso allo Stato? - -— Mah! — rispose Meleto. - -— Che cosa vuol dire «Mah!»? — domandò Anito che era uomo impaziente. - -— Mah, — rispose gravemente Meleto, — vuol dire «pericoloso» e vuol -dire anche «niente affatto pericoloso». - -— Abbiate la cortesia di spiegarvi, perchè io non sono nato interprete -paziente di enigmi. - -— Non è un enigma, buon uomo, — rispose Meleto, — è una cosa semplice. -Se i peli delle vostre orecchie non vi avessero intercluso l’udito, voi -avreste inteso che Socrate non parla soltanto degli asini col basto, ma -parla anche di una voce misteriosa che ogni tanto gli ragiona, e lui -solo ode, e lo mette in diretta comunicazione con Giove. Ora vostra -Celsitudine può capire molto bene che se tutti gli Ateniesi fossero, -come Socrate, in diretta comunicazione con Giove, io sommo pontefice, -io arconte basileo, che servo appunto da interprete fra gli uomini e -gli Dei, _fututus sum!_ - -Detto ciò, Meleto tacque e sorrise. L’orlo del suo manto era scomposto, -e se lo ricompose. - -— _Ne dia_, — esclamò Anito, — ma allora se tutti gli Ateniesi -diventeranno ragionanti e ragionevoli, anch’io, arconte polemarco, -_fututus sum!_ - -Gli occhi sereni di Meleto fissavano lo scomposto volto di Anito. - -— _Ne dia_, per Giove, per la gran barba di Giove, — esclamò poco dopo -ancora Anito, come percosso da un secondo lampo di luce, — se tutti gli -Ateniesi, anzi se tutti gli uomini diventano _kaloikagatoi_, oltrechè -_filosofoi_, siamo f..... tutti! Non più guerre, non più rivestimenti -di cuoio alle navi! _Ne dia!_ le cose sono di una gravità immensa! Quel -vecchio melenso mi fa una rivoluzione più terribile di quella che ho -fatto io! Addio Meleto, vi do il buon giorno! - -— E dove va vostra Celsitudine? - -— Vado a salvare lo Stato, vado ad arrestare Socrate.... - -— Io credo che si possa aspettare anche domani, — disse pacatamente -Meleto. — Domani, o anche mai! - -— Mai? - -— Mai, buon Anito! perchè mai verrà il giorno che gli Ateniesi -diverranno ragionanti e ragionevoli, mai verrà il giorno in cui gli -asini col basto ubbidiranno alla voce del proprio Demone, mai gli -uomini diventeranno _kaloikagatoi_! Il pericolo socratico, credete, -Anito, è del tutto insussistente; è un futurismo senza futuro! - -— Ma il rivestimento di cuoio per le navi? - -— Il rivestimento di cuoio per le navi si farà, e così si faranno le -armi, e così si faranno le guerre in perpetuo, — rispose Meleto. — -La nobile Atene ha, a venti chilometri a nord, gli idioti Beoti; a -venti chilometri a sud, i taciturni Spartani, che dove passano una -sola traccia lasciano; quella della loro mano insanguinata e brutale: -tutt’attorno poi a nord, tutt’intorno a sud, dalla parte dove il sole -si leva, e dalla parte dove il sole tramonta, crescono e montano le -generazioni dei barbari che nessuna forza o dio distruggerà! Non vi -date, dunque, pensiero, Anito, nè per la guerra, nè per le armi, nè pel -rivestimento di cuoio. La nobile Atene dovrà guerreggiare in perpetuo -se vorrà salvare la sua Minerva! - -— Cosicchè voi, Meleto, — domandò Anito, — non condannereste Socrate -nemmeno con il più dolce, con il più blando ostracismo? - -— Io lo avrei, e da tempo, colpito di morte, — rispose Meleto con -gravità solenne; — ma noi siamo in una città democratica! - -Anito stupì e strinse calorosamente la mano a Meleto. - -— Allora convenite con me che quell’uomo è pericoloso allo Stato. Ma se -prima dicevate che urgenza di pericolo non c’era? - -— No, buon Anito, urgenza di pericolo non esiste. Per la salute del -mondo, mai gli asini col basto udranno la voce del Demone, mai gli -uomini diventeranno _kaloikagatoi_, e sotto quest’aspetto il pericolo -è insussistente. Ma ben è vero che gli Ateniesi sono già per loro -natura troppo schernevoli, troppo mobili! Da troppo tempo hanno preso -il mal vezzo di mettere, anche sul teatro, in burletta gli Dei! Mai -codesto sarebbe tollerato in governo aristocratico! Perchè sappiate, -o Anito, che per la salvezza di Atene e della terra, è sommamente -necessario conservare intatto Giove, il Cesare del Cielo, con le sue -gerarchie disciplinate: Briareo dalle cento braccia, Proteo dalle cento -forme, Ercole con la clava enorme; i gran gendarmi di Giove! Imperio, -ubbidienza e servitù. Ciò risponde alla configurazione della terra! -Ma le democrazie sono instabili, fermentanti, tumultuose. Vanno alle -estreme conseguenze della logica e della illogica; ed allora non è più -possibile governare gli Stati. Ora quel vecchio pazzo che su tutto -indaga, che su tutto discute, che insegna agli altri ad indagare e -discutere; che crea il diritto e la sovranità dell’individuo, mentre -non ci deve essere che un solo diritto, una sola sovranità, lo Stato, -quel vecchio è l’essere deleterio e perniciosissimo alla salute della -Repubblica. - -— Allora Socrate, — disse Anito con istupore, — è secondo voi -essenzialmente democratico! Io lo credevo aristocratico.... Però -sappiate, o Meleto, che se è necessario salvare la patria, io per -questa occasione posso diventare aristocratico! - -Il grave capo di Meleto, l’arconte basileo, si chinò alquanto. -— Confortatevi, Anito, — disse poi. — Forse Socrate è un -aristocratico.... - -— Allora io avevo capito subito.... — disse Anito. - -— Comunque sia, o aristocratico o democratico, — disse Meleto, — vano -è ricercare. Una cosa è certa: Socrate è pestifero. Quella gioventù -che indaga, dubita, discute, si affolla intorno a lui, è di mal seme! -Atene, circondata come è da Spartani e Beoti, di una sola cosa ha -bisogno, di una pesante spada di bronzo che cali con altrettanta -brutalità come la spada spartana. Per parlare, uno solo basta, -l’arconte. Gli altri basta che sappiano, con disciplinato silenzio, -morire. - -— Oh, ammirabile uomo! — esclamò Anito. — Ma è ben pericolosa la -filosofia! - -— Una malattia dello spirito, — sentenziò Meleto. - -— Una malattia, — rincalzò Anito, — che non ha altro effetto pratico -se non quello di rendere i nostri Ateniesi malcontenti, impertinenti, -disubbidienti, poco rispettosi anche verso di me. Andrò io bene alle -radici del male, Meleto! - -— Sì, ma procedete, vi prego, con la legalità più scrupolosa. -Siamo in città democratica, e per questo evitai io di prendere -un’iniziativa qualsiasi. Ma poichè a voi così pare, fate. Badate -però che la procedura non deve essere soggetta ad alcuna critica. -Ricavate la sentenza sulle coordinate del Codice. Tutto sia — ripeto — -perfettamente legale. Noi non vogliamo che una luce fosca sia gettata -sui nostri costumi politici. - -Così parlò Meleto ad Anito ed Anito a Meleto. - - * - -E fu in conseguenza di questo colloquio fra Anito e Meleto, uno dei -più interessanti colloqui storici che la politica ricordi ancorchè -non si trovi registrato in alcun testo, che nell’anno primo della -novantacinquesima Olimpiade, cioè l’anno 399, cioè quattro secoli -prima ancora della passione di nostro Signore Gesù Cristo, gli Ateniesi -lessero, — perchè tutti gli Ateniesi avevano l’istruzione obbligatoria, -e quindi sapevano leggere, — affisso sotto il portico dell’Arconte -Basileo, questa citazione, o libello, così concepito: «Socrate, -figlio del fu Sofronisco e della fu Fenarete, ammogliato con prole, -di professione scultore disoccupato, è accusato di perniciosissima -propaganda contro lo Stato. Arrogi che egli non mostra il dovuto -rispetto verso Giove, padre degli Dei e imperatore degli uomini, in -quanto che insegna dottrine religiose contrarie alla religione dello -Stato e alla democrazia, e perciò è di grave scandalo alla gioventù». - - * - -Quel giorno Santippe aspettò proprio invano suo marito per l’ora del -desinare. - - - - -IX. - -Oh, povera Santippe! - - -Non a pena Santippe venne a sapere che suo marito era stato messo in -prigione, ne fu molto perturbata. - -«Lo dicevo io che una volta o l’altra ci sarebbe capitato addosso -qualcosa di serio! Eh, avessi io sposato un onesto trippaio! Suvvia, -figliuoli, vestitevi con i peggiori abiti che avete (già di buoni non -ne avete) e andiamo a metterci sulla porta per dove devono passare i -giudici». - -I signori giudici giurati passavano gravemente in lunga fila di -cento giurati, tutti vestiti coi manti bianchi. Essi si recavano al -dikasterio, che vuol dire _la casa di Dike_, quella tale vergine e -troppo delicata Giustizia, la quale vedendo che non c’era modo di -salvare il suo onore, tornò su ancora in cielo: e allora ci andò ad -abitare al dikasterio una buona donna più accomodante, la quale non -essendo niente affatto vergine, era corazzata contro gli oltraggi degli -uomini, da ogni parte, con triplice cuoio, come le navi di Anito. - -Ora Santippe all’angolo del dikasterio, faceva insieme coi figliuoli, -gran corrotto, e tutti quei suoi capellacci rossi e quelle sue strida -mettevano quasi paura, anche ai signori giurati. - -— Meschini noi! — urlava. — Or che faremo noi, deserti del nostro uomo? -Adess’adesso vengo su anch’io nel dikasterio, e ci mettiamo tutti noi, -insieme con lui, a piangere! - -Ma tutti i signori giurati erano di una gravità nera ed impressionante -benchè vestiti di bianco. - -Mostravano verso Santippe la palla bianca degli occhi e le palme delle -mani ai due lati degli occhi come per dire: «È una cosa grave, grave, -grave!» - -E qualcuno pur le diceva: — Pare si tratti di un delitto contro lo -Stato. _Crimen lesae maiestatis!_ - -— _Proditionis insimulatus!_ — diceva un altro. - -— L’arconte basileo, oimè, sostiene l’accusa! — diceva un terzo. - -— Mah! — sospirava un quarto. - -— Sentiremo quello che risponde lui! Ma non sa nè parlare nè star zitto! - -— Voi, ad ogni buon conto, la mia buona donna, tenetevi qui pronta con -questi marmocchi; al momento opportuno, quando si farà la votazione, vi -manderemo a chiamare.... - -E qualcuno più disposto a pietà, diceva piano ai colleghi: — Se non -fosse una cosa sì grave, potrebbe costei tentar di inviare qualche -donativo ad Anito.... - -— Infatti, — rispondeva ancor più piano il collega, — _mùnera placant -hominesque deosque_.... Ma che può mandare costei? - -— Che vai dicendo? — chiedeva Santippe. - -— Diciamo, buona donna, che Anito è di animo sensibile. - -Così dicevano, nei primi giorni del processo, i giurati alla buona -donna, e lei si stava tutto il dì alla porta del dikasterio. Bene -avrebbe elevato nell’aula le strida, e fatto gran corrotto non appena -l’avessero chiamata! - -Mai però Santippe si sarebbe imaginata una simile tragedia, la quale -avrebbe travolto anche il suo umile nome nella rivista della storia! - -Ma passavano i giorni, e Santippe non era chiamata su in tribunale. -L’aspetto dei signori giurati era sempre più nero ed enigmatico. - -— Bisogna che vi armiate di coraggio, la mia donna, — disse uno dei -giurati; — ma le cose si mettono al male, e quel disgraziato si vuol -rovinare! Invece di star zitto e lasciar parlare il suo avvocato, parla -lui! Invece di lagrimare o di strapparsi quei quattro cernecchi che -gli avanzano in testa, sorride, sorride proprio in faccia all’arconte -basileo, e in faccia ad Anito...., e in faccia a noi! Pare che si sia -come fissato; e i suoi occhi spenti guardano cose lontane! Mah! — e le -teste dei giudici più pietosi crollavano compassionevolmente sopra i -candidi manti. - -— Ma lo sapete pure che è un insensato! — urlava Santippe. — Quando -vennero a casa a prenderlo, sorrideva anche allora, e si lasciò portar -via come un pecorino. Io gli volevo sformare il muso a quei sicofanti, -ma lui mi disse di stare cheta e di non contrastare. - -— Non è una buona ragione essere insensato, — rispondevano gravemente -i giurati. — Certo parla come insensato. Egli ha dichiarato che -è dolentissimo; ma che per far piacere ad Anito e Meleto non può, -specialmente alla sua età, mutare la sua vita. Lo vorrebbe anche, ma -il suo Dio non vuole, il suo Dio, capite voi? chè per quello che anche -noi se ne può capire, è più misterioso di Demetra, più intelligente di -Minerva, più autorevole di Giove stesso. È l’accusa di Meleto! E lui, -infelice, la ribadisce! - -— Meleto e Anito allora hanno ragione! - -— _Crimen impietatis_, oltre che _crimen lesae maiestatis!_ — -mormoravano i giudici del popolo e non volgevano più nemmeno il bianco -delle pupille verso Santippe. - -E venne un nunzio quando fu sera e disse: — Santippe, Socrate vostro fu -giudicato reo! - -— Oimè, oimè, deserta, — urlava Santippe fuggendo per le vie d’Atene, -— me l’hanno condannato quel povero uomo. L’hanno giudicato reo! Ma reo -dì che? Disoccupato, scioperato, mentecatto, ma reo di che? - -— Datti pace, Santippe, — diceva la gente per le vie, — ogni speranza -non è perduta.... L’hanno giudicato reo: questo è vero, ma la -maggioranza è di soli tre voti. L’ultima parola non è ancor detta. -Domani è l’ultima seduta. Meleto, sì, è vero, proporrà domani la pena; -ma Socrate ha il diritto di fare una controproposta. È per legge! E -allora sappi, Santippe, che sono ancora i giurati quelli i quali devono -stabilire la pena. - - * - -Or dunque, quando venne l’ultimo giorno, grande fu la trepidazione di -Santippe. - -Ma il dikasterio pareva quel dì muto come la casa dei morti. Declinava -ancora il sole. - -Ad un tratto fu udito un gran tumulto, un urlo di cento voci, poi -silenzio ancora, poi, dopo alquanto, furono spalancate le porte e tutte -le cento toghe bianche dei signori giurati si precipitarono fuori in -gran tumulto. Travolsero Santippe. - -Ultimi, lentamente, uscirono Meleto, Anito ed i notari e fiscali. - -— Noi abbiamo salvato la Repubblica! — diceva gravemente Anito. - -— Nel presente e nel futuro, — diceva Meleto. - -I notari, loro intorno, facevano reverenza, e si ripetevano l’un -l’altro: — Una pervicacia inaudita, signori! Il disprezzo di ogni -tradizione, di ogni legge! - - * - -Che cosa dunque era accaduto nell’aula del dikasterio? - -Questo era accaduto: - -I signori giurati avevano il giorno precedente approvato l’accusa di -reità. Ma la maggioranza dei voti era stata assai scarsa. Tre voti -appena! - -E Anito e Meleto uscirono dal dikasterio in quel dì con accigliato -cipiglio squadrando i cento giurati, fra cui quarantasette (certo) -erano quelli che giudicavano Socrate, non reo. - -Tutta notte Meleto, al lume della lucerna, meditò nel nero cuore la -sua requisitoria. E come spuntò il dì, la recitò, e rimbombò l’aula del -dikasterio. Egli, l’arconte basileo, domandava la pena di morte, _pro -crimine impietatis_! - -— Ma perchè, signori giurati, — proseguì Meleto, — nulla la democrazia -ateniese fece e farà mai contro la legge, prima che voi diate sentenza, -a te, Socrate, spetta proporre di quale pena ti giudichi meritevole. - -— In verità, Meleto, in verità, Anito, e tutti voi, signori di Atene, — -cominciò allora Socrate, — io ben considerando di avere speso tutta la -mia vita in pro’ vostro e di avere per questo trascurato gli interessi -miei e quelli della mia famiglia, domanderei invece un premio. Ma -sono vecchio oramai, ho settantacinque anni e perciò io mi restringo -a chiedervi una tenue pensione; e quanto a voi, Meleto ed Anito, io -chiedo la nomina nel Pritaneo, dove lo Stato onora e nutre i suoi -cittadini più benemeriti. - -(Noi oggi diremmo la nomina a membro del Senato.) - -E fu allora che un clamore immenso si levò fra i giudici: — Quell’uomo -schernisce la maestà della legge! - -— No, membro del Pritaneo? — continuò Socrate. — Voi mi volete -condannare ad ogni modo? Ebbene: io allora ubbidirò e pagherò una -multa: tutto quello che io vi posso dare, vi darò, signori giudici! - -E così dicendo, Socrate levò e presentò alta una moneta: un obolo! - -(Noi diremmo: due centesimi.) - -E fu così che quegli onesti bruti votarono la pena di morte a totale -maggioranza. - -Tutti quei cento bruti da molti giorni soffrivano di una cotale -prurigine alla pelle, come se le parole di Socrate fossero state -un’invisibile, un’impalpabile polvere vescicatoria. - -— A morte! — gridarono i giudici. - -— A morte, signori Ateniesi? — domandò allora Socrate senza mutar voce. -— Ma ci potremo intendere benissimo, giacchè il Dio solo sa e conosce -se la morte è un male od un bene. - - * - -E fu così che Socrate, per profumarsi col profumo della verità e più -specialmente per non poter tacere, fu condannato a morte. - -Avete ucciso, o Ateniesi, l’usignolo delle Muse, il savio vero, -l’innocente, il miglior uomo che fosse tra voi. - -E gli uomini giudicarono savio l’insensato, ma soltanto dopo che -l’insensato era morto! - - - - -X. - -Santippe nella prigione di Socrate. - - -Vi sono nella vita certe cose meravigliose ed indomite che la ragione -di un galantuomo non riesce a capire. - -Io, per esempio, non capisco perchè Socrate non volle fuggire dal -carcere quando quel giorno, che non era nè notte nè l’alba, venne -l’amico Critone e gli disse: — Socrate, fuggi! - -E glielo disse con quella sollecitudine e con quell’affanno con cui noi -avvertiamo una persona molto cara di campare da un grave pericolo e la -sollecitiamo, perchè essa non vede, non cura, non è sollecita. - -E Critone trovò Socrate non stoicamente «impassibile», nel suo carcere, -come spesso si legge di alcuni grandi eroi che erano condannati a -morte; ma lo trovò, come sempre, buono ed affabile. Era forse un po’ -disturbato, in quanto che Critone lo aveva allontanato dal sonno, e -pareva quasi voler rimproverare il suo giovane discepolo con quelle -parole: — Come, Critone, a quest’ora? È già spuntato il sole? — e -pareva volesse dire: — Perchè mi hai tu chiamato alla vita? - -— Perchè tu devi fuggire, — dice Critone, — devi salvarti: tutto è -pronto per la fuga, le guardie del carcere sono state comperate da noi. - -E Socrate disse che non voleva fuggire, e Critone vide la faccia di -Socrate distendersi nel suo umile sorriso come se dentro un lume di -letizia si fosse improvvisamente acceso. - -Critone cominciò a lagrimare. E Socrate cominciò a spiegargli le belle -ragioni perchè non voleva fuggire. - -Ed è proprio vero quello che noi sappiamo, cioè che Socrate non -volle fuggire per non far del male alla sua adorata, unica patria -disubbidendo alle sue leggi? - -Sì, questo può darsi. Allora non usavano le nostre grandi patrie; ma -usavano piccole patrie, le quali si abbracciavano con un’occhiata, e si -abbracciavano anche col cuore più facilmente che non le nostre troppo -grandi patrie. Ma può anche darsi che Socrate udisse al di là della -voce di Critone che supplicava: «Socrate, fuggi!», la voce dell’umanità -che diceva: «Socrate, non fuggire; Socrate, per carità, fatti -ammazzare!». Perchè è un fatto che l’umanità ha bisogno, ha bisogno, -ogni tanto, come l’Orco della favola, di divorare qualche uomo giusto. - -E potrebbe darsi inoltre che Socrate avesse sentito in quell’ora tutta -la verità di quelle parole inebbrianti che egli già aveva dette ad -Assioco: «Da quest’ora in avanti la mia anima desidera la morte». - -E potrebbe anche darsi che Socrate provasse in quell’ora quel furente -entusiasmo, quella follia che Dante colloca nell’animo di un altro eroe -tutt’altro che ingenuo, quando lo sospinge, vecchio, ad affrontare -l’immenso mare, ignoto, delle tenebre: «Suvvia, Socrate, facciamo -l’esperimento della morte! Scagliamo la nostra vita, con ancora tutte -le fiaccole dei sensi vive ed accese, contro la morte!» - -Ma che ne sappiamo noi? - -Noi sappiamo che egli non volle fuggire e che la mattina in cui, a -giorno già fatto, gli amici suoi, Fedone, Critone, Apollodoro, Cebete -e altri entrarono nel carcere, per l’ultima volta, vi trovarono già -Santippe. - -Povera e calunniata signora! - -Quante volte abbiamo letto nei libri, nei giornali, che mentre il -marito sta per morire, la moglie consulta la sarta sull’abito da lutto! - -Ma Santippe, no: ella era nel carcere di suo marito perchè aveva -saputo che in quel giorno Socrate doveva morire. Ella non disse: «Oh, -finalmente se ne va quel buon uomo». - -Ella seguiva il marito. - - * - -Però la sentenza non potè subito essere coronata dalla esecuzione; -passò più di un mese tra la sentenza e l’esecuzione. Ciò avvenne perchè -non sarebbe stato legale uccidere Socrate in quel frattempo! Quello -era un sacro tempo! Ogni anno una nave salpava dal porto di Atene per -portare doni _ex voto solemni pro accepta gratia_, al dio Apollo che -abitava l’isoletta di Delo. Ora per tutto quel tempo era per legge -vietato di ammazzare. Dopo, sì, si poteva ammazzare! Ma a cagione del -mare cattivo e dei sacri banchetti, la sacra nave tardava ad arrivare. -Ora finalmente era ’arrivata ed era permesso ammazzare. - -Ad Anito e Meleto, all’aristocrazia ed alla democrazia, stava a cuore -la più scrupolosa legalità. - -Gli ufficiali di giustizia, che erano Undici, si erano affrettati -di buon mattino a slegare Socrate, che per tutto quel mese era stato -incatenato come una malvagia bestia, e il servo dei magistrati — noi -diremmo, il boia — pestava tranquillamente la cicuta nel suo mortaio. - -Era press’a poco l’ora lugubre in cui l’_esecutore delle grandi opere_ -— come i Francesi, eleganti sempre, chiamano il carnefice — sorveglia -al lume delle fiaccole se la ghigliottina è montata a dovere; e si -veste l’abito nero: l’ora lugubre in cui gli elettricisti in America -provano la bontà della corrente nella sedia elettrica: in cui in altri -paesi il boia impiccatore sporge per l’apertura della carcere la sua -pupilla per vedere sul condannato di quale lunghezza deve essere la -corda della forca. Ai tempi di Socrate non esistevano questi lugubri -progressi tecnici e la morte legale era somministrata in una maniera -più intima e meno spettacolosa. - -Si dava la cicuta. - -La cicuta è una pianticella che cresce nei luoghi umidi. Essa è molto -simile all’utile prezzemolo e produce una morte — dicono — quasi -tranquilla, come quella che spesso avviene naturalmente, quando questo -povero nostro cuore improvvisamente si ferma per non riprendere più. -Certo non così estetica e tranquilla come la descrive Platone, ma -insomma una cosa discreta! - -Dunque gli amici entrarono e trovarono Santippe nella prigione. - -Ella era venuta di buon’ora insieme con i magistrati, detti gli Undici. -Si era levata presto quella mattina perchè aveva saputo anche lei che -la sacra nave era giunta. Il più piccino dei figliuoli si era svegliato -di soprassalto sentendo che la mamma si levava che era quasi notte, e: -— No via, no via anche tu, come il babbo! — aveva detto e poi si era -messo a piangere; e allora Santippe lo aveva infagottato alla meglio -per non farlo piangere di più e non svegliare gli altri due fratelli -che, per fortuna, dormivano. - -E per le vie ancor buie di Atene, era corsa alle carceri e aveva -veduto entrare i signori Undici. Allora s’era messa a galoppare col suo -figliuolo in braccio; li aveva raggiunti e: — Oh, Madonna, oh, Signore, -è vero — chiedeva all’uno e all’altro degli Undici — è vero che oggi -mio marito deve morire? - -— E arrivata infine la sacra nave da Delo, — risposero gravemente gli -uomini della legge. - -— Andate là, vedete di aspettare, lasciatemi andare da Anito, — chi sa -che non gli possa parlare, che non abbia pietà di noi meschinelli. - -— La mia buona donna, — disse uno degli Undici — intanto a quest’ora -Sua Celsitudine Anito dorme, e poi dite un po’, dove andrebbe a finire -il mondo se si potesse così leggermente fermare la spada punitrice -della Giustizia? - -— Ma infine, — urlò Santippe, — cos’ha fatto questo pover’uomo? Ha -rubato? Ha ammazzato? No! Diceva delle cose senza capo nè coda perchè -aveva come una fissazione! Eh, se si dovessero ammazzare gli uomini per -le sciocchezze che dicono, allora non ci resterebbe neppur più la cria -della vostra brutta razza prepotente. - -— Delle «sciocchezze»? — disse il più grave degli Undici, spalancando -la bocca ammirativa dentro la sua venerabile barba, mentre gli altri -degli Undici già salivano le scale della prigione. — Delle sciocchezze? -Ha fatto grande scandalo! - -— Ma che scandalo?... - -— Ha disprezzato la legge della città! Ma sapete voi cos’è la legge? La -legge è quella cosa...... - -— Che la fa chi può, e la mangia chi deve, — disse Santippe. - -— Vi compatisco che non sapete quel che vi dite. E l’avere offeso Giove -Olimpio che è il padre degli dei e degli uomini, vi par poco? - -— Eh, che non ci credete più neppur voi a Giove Olimpio, buffoni! - -E a quell’invettiva il bambinello che aveva, coi grandi occhi attoniti, -sull’alto della spalla di Santippe, assistito a quella scena al lume -delle lanterne che ingiallivano già, per l’alba nascente, scoppiò in -pianto dirotto. - -— Sta buono, cocco di mamma tua, sta buono; ora andiamo dal babbo. Vuoi -vedere il babbo? Sì? Ora lo andiamo a vedere. Ma non piangere. - -E salì dietro gli Undici, i quali erano molto seriamente occupati a -levare le catene a Socrate. - -Ora appena fu entrata: — Socrate, Socrate, Socrate, — esclamò Santippe -— ma dunque è vero? Ma perchè ti sei difeso così male? Anche Pericle -si è messo a piangere davanti ai giurati, e tu perchè non l’hai fatto? -Perchè non hai gridato «è Anito che mi odia»? E adesso come si fa? E -per gli affari chi ci pensa? E come si rimedia a quell’ipoteca che ci -mangia tutta la casa? Ah, vedi, che guadagno ci hai fatto con quella -tua idea fissa del _kaloì kagathoì_! - -Intanto gli Undici avevano tolto la catena e se ne erano andati, -lasciando Santippe, giacchè le antiche leggi ateniesi non erano così -formaliste come le nostre, in quanto che non era stata ancora ben -perfezionata la burocrazia. - -E quando fu sola con lui, gli si assise vicino sul letticciuolo, -col bimbo, che tirava al babbo la barba con le sue dolci manine, e -proseguì: — Ma se ieri l’altro, prima che arrivasse quella maledetta -nave, Critone aveva combinato tutto, aveva pagato i carcerieri, era -venuto a casa a dirmi di tenerci pronti! Io avevo messo da parte -quei quattro stracci per poter scappare tutti insieme.... Io pensava: -To’, non tutto il male vien per nuocere. Andremo a vivere a Megara, a -Tebe; là, lontano dalle occasioni, senza più tutti quei suoi cattivi -compagni che lo fanno parlare, chi sa che lui non badi di più alla sua -famiglia. Così io pensava e chi sa anche che non gli entri in testa che -il primo dovere di un uomo serio è quello di badare a sè ed alla sua -famiglia.... Ma cosa ti saltò in mente, povero infelice, di rifiutare? -Ma almeno parla, rispondi, ma di’! Se non lo vuoi fare per me, chè -non mi vuoi bene, lo so!, fallo per questa creaturina qui, che è tuo -sangue.... Non vedi come è pallidino, smorto? Ha un’anima anche lui, -sai! Alza la testa. - -E fu in quel punto, che già il giorno era ben chiaro, che entrarono gli -amici di Socrate; e allora Santippe, come una lampada su cui è versato -dell’olio, scoppiò in un gran pianto, e la realtà imminente della morte -le si affacciò nel suo orrore. - -— O Socrate, Socrate, — gridava fra i singhiozzi, — ecco l’ultima volta -che io e i tuoi amici parleremo con te e tu con noi! - -E allora Socrate infine parlò. Si rivolse specialmente a Critone e gli -disse: — Suvvia, amici, conducete via quella donna e rimenatela a casa. - -E allora avvenne una dolorosa scena perchè Santippe non voleva -andar via, e ingiuriava e piangeva, lei e il bimbo. Ma finalmente fu -trascinata a forza e spinta fuori e poi fu chiusa la porta. - -E stavano gli amici in mortale silenzio, quando Socrate, che era seduto -— come dicemmo — sul lettuccio, soffregandosi la gamba che era stata -per quasi un mese stretta nel morso della bestiale catena, sorridendo -disse: — Ecco qui, — e indicava il lividore delle carni piagate dalla -catena, — io provo un grande piacere, mentre prima provavo un grande -dolore. Sapete che è una gran cosa, una meravigliosa cosa quella del -dolore e del piacere? Che cosa sono essi? Ci stavo appunto pensando -quando entrò colei, anzi mi era venuto in mente di comporre una -favola come quelle di Esopo, nella quale volevo dire quello che me -ne pareva, cioè che il Piacere ed il Dolore sono così strettamente -congiunti insieme, che quando l’uomo vuole prendere l’uno è costretto -a prendere anche l’altro. Vi pare? E perciò imaginavo che Esopo -componesse così la favola, che il Dio volendo far fare pace a questi -due nemici inconciliabili, il Piacere ed il Dolore, e non potendo, li -legò insieme. Ed è quello che è avvenuto a me. Nella gamba, prima, per -effetto della catena vi era il dolore, adesso, tolta la catena, vi è -il piacere. Bella la favola, è vero? Più bella del ragionamento. Ora ci -vorrebbero i versi. Ma chi ne ha tempo? - -Ora urgeva il tempo della morte. - -Mentre così parlava, Santippe col figlioletto si era rincantucciata, -disperata e piangente, in fondo a un corridoio della prigione. - - * - -Che peccato che Sofocle, il vecchio immortale, che fu trascinato anche -lui dai figli davanti ai giudici perchè pe’ suoi sogni negligeva gli -affari di casa, che peccato — dico — che egli fosse morto da qualche -anno! Se fosse stato in vita allora, avrebbe scritto su la povera -Santippe una nuova tragedia, più potente assai delle molte che scrisse -su gli eroi e sugli Dei. - - - - -XI. - -La Immortalità dell’anima. - - -La presenza di Santippe presumibilmente contrastava con l’argomento -che Socrate, dopo essersi soffregata la gamba, stava per trattare con i -suoi amici: cioè dell’immortalità dell’anima. - -Egli, come già, abbiamo veduto, non appena gli fu tolta la catena, -aveva sentito il piacere, mentre prima sentiva il dolore. Una vera -scoperta come quella di Archimede. - -Socrate naturalmente non tripudiò, come Archimede, per la sua scoperta -sulla legge morale del Piacere e del Dolore. - -Gli faceva ancora un po’ male la gamba, per saltare; e forse gli -faceva male anche il cuore per la vista di quel suo povero piccino, -che dalle braccia di Santippe si protendeva sino al volto di lui, -invano, per l’ultima volta, tentando e inconsapevolmente di conciliare -gli inconciliabili e pure gli inseparabili, cioè Socrate e Santippe: -inconciliabili ed inseparabili come il piacere ed il dolore: ed aveva -esclamato il povero piccino: — _File pappos, pappos emòs_, caro babbo; -oh, babbo mio! — E poi era stato trascinato via con sua mamma. - -Ben fu crudele Socrate verso Santippe e verso il suo sangue! Lo -accerta Platone che non prese moglie, non ebbe figli. Ma forse può -darsi che sia stato così! Socrate stava per isciogliere il suo ultimo -canto sull’immortalità dell’anima. Egli era giunto in vista del -grande oceano; egli, come il cigno morente, sentiva il canto salire -vertiginoso. Santippe co’ suoi piagnistei, avrebbe dato disturbo. - -Ma può anche essere un’altra causa, che Platone non dice, cioè che -Dioniso, il dio terribile e insieme pietoso, abbia concesso a Socrate -in quelli estremi momenti quell’ebrietà, che toglie la sensazione delle -cose vere presenti e dona la esaltazione per cui, tanto al savio come -all’infante, la buia morte appare come una continuata vita. - -Dunque Socrate, prima di morire, parlò a lungo della immortalità -dell’anima. - -Questo famoso discorso di Socrate sull’immortalità dell’anima, conserva -anche oggi una strana forza di attualità. Sì, sì: il problema della -morte rimane ancora uno dei più seri problemi della vita, ma sarà -meglio non parlarne. - -Chi ha visto su di un caro volto immobile rinchiudersi il coperchio -della bara, preferisce non parlarne. Dirò soltanto che dei molti -argomenti di Socrate, o di Platone, questo più mi piace, come quello -che più è semplice, tanto semplice che non è nemmeno un argomento: «Se -non ci fosse la vita futura, ben fortunati sarebbero gli uomini malvagi -perchè con la loro anima scomparirebbe anche la loro malvagità». - -Come anche pare una cosa assurda che per un bicchiere di cicuta, -una innocente pianticella, propinata da Anito, si debba spegnere la -meravigliosa sensazione del vivere. - - * - -Cadeva il sole quando il lungo discorso di Socrate sull’_immortalità -dell’anima_ ebbe fine. - -Ebbe fine? - -Era dal mattino che il servo degli Undici teneva pronto il bicchiere -della cicuta, e con una cortesia del tutto ellenica, attendeva che -Socrate chiamasse. - -Infatti Socrate già disse agli amici: — Voi vi avvierete a questo passo -che io transito, alquanto più tardi di me; ma già «ora mi chiama il -fato», come direbbe un poeta tragico. - -E disse anche: — E’ mi par meglio prendere ora il bagno e lavarmi bene -e poi bere il veleno, senza dare poi alle donne ed a Santippe la noia -di lavare il cadavere. - -E questa fu l’ultima sua cortesia verso Santippe. - -Poi gli furono condotti i figli e Santippe anche. Conversò con essi -alquanto, diede alcune sue disposizioni, e poi li rimandò. - -Noi non sappiamo altro. - -Dopo queste cose egli parlò poco di più. - -Venne il servo; portò il veleno; gli insegnò, da persona esperta, il -modo che doveva seguire perchè il veleno presto salisse al cuore. - -Poi il servo se ne andò, dicendo a Socrate: — Addio, Socrate, procura -di sopportare l’inevitabile meno dolorosamente che tu possa. - -— Si, addio anche a te, caro, — gli rispose Socrate: E vòlto agli -amici: — Era una garbata persona, colui. Mi ha tenuto spesso compagnia. - -Poi prese con mano ferma il veleno e bevve tutto di un fiato. - -Allora la carcere si riempì di gran pianto. Ma Apollodoro, che tutto -quel dì aveva lagrimato come Santippe invece di ascoltare i discorsi di -Socrate sull’_immortalità dell’anima_, diè in un urlo, e venne fuori -di sè, e fu allora che Socrate gli disse: — Ho mandato via Santippe -specialmente per questo, per non vedere questi eccessi e queste -lagrime. — Ed affissando con le grandi pupille gli amici, soggiunse: — -Io ho sempre inteso dire che conviene morire lietamente. - -Poi attese camminando, finchè il gelo della morte gli giunse al cuore. -Allora si sdraiò e si copri il volto. Ma ad un certo punto si riscosse -e discoprendosi del lenzuolo e rivolgendosi a Critone, mormorò queste -ultime parole: — Critone, noi siamo in debito di un gallo ad Esculapio. -Dateglielo. Non ve ne dimenticate! - - * - -Esculapio era il dio della medicina, ed era costume in Atene, come oggi -si paga il medico dopo che vi ha curato da qualche infermità, di fare -un regalo al dio. E così Socrate voleva pagare e ringraziare il medico -Esculapio per averlo guarito con la morte del male della vita. - -Socrate aveva, forse, trovato l’ultimo corollario della legge sul -Piacere e sul Dolore. Era stato liberato dalla catena della vita, -e forse allora sentiva piacere. Questo è quanto di più preciso noi -sappiamo intorno all’_immortalità dell’anima._ - -Dopo, ancora, ritornò il servo degli Undici. Percepì un fremito sotto -il lenzuolo. Scoperse Socrate e vide che aveva l’occhio fisso. - -Questa cosa vedendo, Critone gli chiuse gli occhi e la bocca. - - * - -Sono passati parecchi secoli da quel giorno che Socrate morì per aver -bevuto la cicuta, propinatagli dai suoi concittadini; ma strana cosa: -io non mi posso raffigurare Socrate morto e la sua bocca sigillata per -sempre. E sì che egli era ben morto corporalmente! Un poeta racconta -che quando fu già dopo il tramonto, uscirono dalla prigione, a capo -chino, in silenzio, quegli amici di Socrate, e poi quella povera -Santippe; e c’erano davanti alla carcere alcuni monelli che giocavano -con gli scarabei, e martoriando una civetta, e cantando: - - E gira, gira a tondo, - E gira tutt’il mondo.... - -Poi quando videro uscire coloro e dilungare così tristamente, capirono -che l’uomo che doveva morire in quel dì, era morto; e allora ruppero le -danze e corsero su dal carceriere, e sì gli dissero: - -— È vero che hanno ucciso quell’uomo brutto? Facci vedere l’uomo brutto -che è morto. - -E quegli disse: — Se sarete buoni, vi farò vedere l’uomo morto. - -E così li condusse, perchè piace a molti che non hanno ancor lagrimato -dentro il loro cuore, andare a vedere il morto. - -Ma cosa strana! Io non so imaginare Socrate morto. E la favola degli -eroi che spezzano il marmo del sepolcro e risorgono, mi pare pur vera -cosa! Io me lo vedo ancora tornare davanti, Socrate, col suo sorriso; -e mi domanda con quei suoi grandi occhi tondi: — Che c’è di nuovo? Gli -uomini sono diventati belli e buoni? - -— Si attende ancora, figlio di Sofronisco. Gli uomini stan diventando -meccanici. - - - - -XII. - -Avvertimenti agli infelici figli di Santippe. - - -Il vostro buon papà, cari figliuoli di Socrate, si è ostinato a voler -bere la cicuta. Ora giace col naso affilato e con le palpebre chiuse: -le sue parole non le udirete mai più. Per questa ragione e per altre -cause, che voi siete figli di un filosofo e di una donna bisbetica, il -vostro avvenire probabilmente sarà infelice. - -Il vostro buon papà era un grande ammiratore di Omero, e aveva ragione. -Voi lo ricordate, è vero, il povero babbo, con tutti quei suoi paragoni -semplici e sottili del fabbro, del falegname, degli asini col basto? - -Anche il vostro povero babbo fu un gran falegname della verità. Ma ogni -tanto, lo ricordate? veniva fuori con citazioni e versi di Omero. Omero -è stato fra i poeti quello che più si è accostato alla verità umana, e -perciò era assai caro a Socrate, il padre vostro. - -E se è vero, che nel mondo dei morti sarà ai poeti strappato un dente -per tutte le bugie che hanno detto, è certo che moltissimi saranno i -poeti sdentati. Ma Omero li ha tutti i suoi denti. Egli non mangiava -lo zucchero filato dell’estetica, ma il nero pane della verità, che fa -bene ai denti. Lo ricordate Omero — o figli di Santippe — quando parla -di Astianatte figlio del re Ettore e di Andromaca, rimasto orfano dopo -che Achille gli ha trucidato il padre e per tre volte ne ha trascinato -il cadavere nudo dietro la furia dei cavalli correnti attorno alle mura -di Troia? - -E lo aveva, lagrimando, Ettore sollevato su, il suo bambino, quasi per -accostarlo a Giove che lo vedesse come era carino, e gli avesse un po’ -di pietà. Macchè! L’insensato dio non vide! Povero Astianatte, poveri -figliuoli di Socrate e di Santippe! - -Astianatte orfano e solo, va ora, con le guance lagrimose e smunte, a -trovare quelli che già furono amici di suo padre, e tocca agli uni il -saio, agli altri il mantello. Ma essi rispondono: — Va, non ti conosco. -— Il più pietoso fra essi gli accosta appena la tazza alle labbra, e i -giovani orgogliosi lo ributtano e dicono: — Non toccare il pane delle -nostre mense! — E i vicini, con la protezione delle leggi, portano via -i termini del suo terreno e lo privano di tutto. Tale fu il destino di -Astianatte, figlio del morto re Ettore; tale sarà il vostro destino, -figli di Socrate. - - * - -Siete andati, o figli di Socrate, anche voi a tirare il mantello ed -il saio agli amici del babbo? Vi hanno dato niente? Santippe forse era -con voi, più vecchia, più bisbetica, più arruffata che mai. Ella avrà -anche detto villania e vergogna. Avrà detto: — Guarda là! vedili là, -quei bei _gingin_, che facevano bellin bellino a quel povero màrtoro -di mio marito. To’! Fanno finta di non conoscermi. Non la conoscete più -Santippe? la moglie di Socrate, _ne Dia_, per Giove; e questi qui sono -i suoi figliuoli. Non vi hanno nemmeno guardato in faccia, creature -mie, e sì che la fisonomia di vostro padre l’avete! - -— Oh, — hanno detto coloro sollevando gli occhi al cielo, — non -dovreste mai nominarlo, voi, Santippe, quel sant’uomo di vostro marito, -dopo tutto quello che gli avete fatto soffrire. - -— Soffrire io? Ah, vigliacchi di uomini! Parlano così loro, dopo che -mi hanno sviato di casa quel pover’uomo, che gli hanno messa quella -vesania, quella frenesia nella testa di andare a cercare il segreto -delle cose, e a tener ferma in terra la Dike. - -Sì, c’era da lasciarci il ricordo delle unghie in faccia a quei -signori, e Santippe il coraggio di lasciare le impronte delle unghie ce -l’aveva; ma per allora si tenne quieta per la pietà dei figliuoli. Ma -disse: - -— Suvvia, voi che foste amici di Socrate, vedete di trovare qualche -impiego a questi ragazzi. - -Ma a chi parlava, o sventurata Santippe? - -Gli amici di Socrate non c’erano più! - -Critone, perseguitato, era fuggito da Atene; il dolce Apollodoro non -aveva saputo sopravvivere. Socrate, il dio per cui viveva, era morto. -Servire il mondo? Meglio morire! Senofonte, il gagliardo, era esulato -da Atene, gonfio il cuore di sdegno, lontano, per lontane terre, -per lontane guerre; Alcibiade, bellissimo, viveva chiuso nella sua -perfida mente, e dopo aver meditato su la morte di Socrate, si era -convinto della necessità di divenire magnificamente belluino, e perciò -era diventato uomo politico, come Anito e Meleto; Platone, il soave -Platone, quando ebbe visto il suo povero Socrate ridotto a quel modo, -col naso all’insù, si era messo in un gran spavento, ed aveva giurato -a se stesso di non occuparsi se non di cose tanto alte e sublimi che -nessuno ci trovasse a che dire. - -«Anche nella storia dei filosofi, — meditava l’antiveggente Platone, -— c’è puzza di sangue e di bruciaticcio. Ê bene cercare la immortalità -per altra strada che non sia la prematura morte.» - -Perciò Santippe, che si era recata a trovare il buon Platone, non lo -trovò. - -Andò da Alcibiade. Ma la casa di lui era guardata da cento servi in -livrea, che non lasciavano passare. - -E gli altri? Gli altri, fatti già uomini, si ricordavano della -avventura socratica tutt’al più come di una scappata di giovinezza. -Qualcuno, forse, come Pietro, seguace di Cristo, si vergognava di -essere riconosciuto quale discepolo di Socrate; qualche altro, come -Giuda Iscariota, si era dato al traffico delle monete d’argento ed allo -sfruttamento dei pezzenti. Dunque dagli ex-amici di Socrate non c’era -proprio da sperar niente! - -Povera Santippe! Una piccola pensione dallo Stato non la avrà -potuta ottenere, nemmeno. — Capisco, — le avrà risposto qualche capo -divisione, — vostro marito è morto in servizio della Repubblica; è una -tesi che si può sostenere. Egli esercitava l’ufficio di calabrone, -come si qualificava da se stesso, il quale deve pungere un nobile -ma indolente cavallo come era il popolo d’Atene. Ma era un servizio -non richiesto, ed il cavallo ha dato una zampata ed ha schiacciato -il povero calabrone. Una disgrazia, ma se la poteva aspettare la mia -donna! Denari no, non ve ne possiamo dare, perchè sapeste quanto costò -il rivestimento di cuoio per le navi! Volete dei biglietti gratuiti -per il teatro? delle tessere per le cucine economiche? Stendete una -regolare domanda. - - * - -Andò Santippe infine a trovare Eritreo. Eritreo, faccia ossuta, glabra, -color limone, sorriso acido, volontà di macigno, erudizione spaventosa, -ma senza Demone. Era il professore del Lyceum. - -Abitava una bella casa, ben ordinata e provveduta a cura dello Stato. -Santippe, quando potè arrivare sino a lui, vide la sua gran faccia -pallida sollevarsi dai codici. - -— Lei è? - -— Io son Santippe, moglie di Socrate, e questi sono i suoi figliuoli. -Guardali in faccia, son lui nati e sputati! - -— Oh, pover’uomo! — esclamò Eritreo. - -— Cosa, pover’uomo! — garrì Santippe. — Pover’uomo lo posso dir io, non -lei; perchè per quelle cose lì dei libri valeva più di tutti. Oh, non -l’ha proclamato l’Oracolo di Delfo il più sapiente di tutti gli uomini, -_andròn apànton Sòcrates sofòtatos?_ - -Eritreo, oltre ai codici, aveva alcuni fidi discepoli che studiavano -sui codici ed erano come nascosti dietro i codici. - -Un sorriso acido increspò le labbra di Eritreo all’esclamazione di -Santippe e tutti i suoi discepoli sorrisero a quel modo, acidamente. - -— Ah, ah, — disse Eritreo, — la sentite, bennati giovani, codesta -donna? Anche lei ripete, come taluni, che Socrate _primus deduxit -philòsophiam de cœlo in terram!_ - -— Ah! — esclamarono i discepoli. - -— _Deduxit nèbulas_, — disse Eritreo. — Ci portò delle fantasticherie! -Buon uomo, che diceva di sentire un dio ignoto parlare.... Lo sentite -voi? - -— Mai sentito! mai visto! — risposero premurosamente i bennati -giovani, i quali, come Eritreo, avevano l’occhio lucido soltanto per le -superficie non per gli abissi profondi. - -— E quale cosa — disse gravemente Eritreo, rivolto a Santippe — più -contraria alla vera saggezza, al vero positivismo che volere gli uomini -diversi da quello che sono? E quale cosa più ingenua che vivere la -propria filosofia? Si professa, non si vive una filosofia. - -Le vampe salgono alle gote di Santippe. - -Dice quasi singhiozzando: — Ma se l’ha proclamato l’Apollo in Delfo.... - -— E dov’è, buona donna, l’Apollo Delfico? Chi l’ha visto mai? Povero -Socrate, in materia di religione egli è morto da ieri, ma ci pare già -un antenato, uno dei tempi semplici del buon Solone. Un disgraziato -che andava soggetto ad esaltazioni ed allucinazioni liriche! _Verum -enim vero, quando quidem, dubio procul, edepol, meus deus fidius_, -quand’anche fosse che vostro marito sia stato un valentissimo uomo, -io sono desolatissimo, ma io prego di lasciarmi in pace, e di non -compromettermi. Quel vostro marmocchio più piccolo già mi ha quasi -sgualcito un codice. - - * - -E Santippe se ne andò peregrinando coi figliuoli nella Focide dove -era il santuario di Apolline in Delfo. Ma il dio, che, in mancanza -d’altri, ella voleva interrogare, non c’era, in fatti, come affermava -quel letterato. Aveva emigrato per sempre; e Santippe non trovò che una -scritta, un ben curioso geroglifico, inciso su di un macigno enorme. - -E il povero Socrate aveva camminato con quel macigno enorme sulle -spalle nel cammino della sua vita; ed era stato schiacciato. E dopo -Socrate verrà Cristo e rimarrà schiacciato, ed altri verranno nei -secoli, attratti dal fascino del divino enigma che era scolpito -profondamente su quel macigno, e conteneva queste tre parole: _conosci -te stesso!_ E rimarranno schiacciati! - - * - -Ora è ben più triste la casa di Socrate: nemmeno più le strida di -Santippe! Ella fa andare sul tagliere il setaccio per cuocere sul testo -una focaccia, una crescia, un pulmento qualsiasi. - -Come nei tristi silenziosi tramonti invernali il raggio del sole balena -su le pareti scialbe; dispare, riappare con un ultimo guizzo sanguigno; -poi incombono le tenebre fredde violacee; così l’imagine di lui, di -Socrate, si sofferma ancora nella povera casa, balena, scompare. - -Fra il ciarpame, in un angolo, stanno vecchie masserizie, che paiono -avere quasi l’anima infranta; v’è anche una povera cuna. Quivi -giacquero i figli di Socrate. Ed al mattino, quando il sole indorava la -stanza, il sole scopriva i cari volti infantili: la dolce primavera, -il cinguettìo dal nido ridesto al tepore del sole: «Ba.... ba.... -babbo, pappas!» Salutavano gioiosamente lui che li aveva chiamati, non -richiedenti, alla faticosa vita: — _Pappas! Pappas, file pappas,_ bel -papà! - -Ma tu non le udisti le care voci, o Socrate, tu col tuo cupo demone nel -cuore che ti spingeva a cercare che cosa ci fosse nell’intima natura di -ogni cosa: _ti en écaston!_ Va, va a ricercare _ti en écaston_, chè non -lo saprai mai e quando l’avrai saputo, le cose saranno come prima. - -— Se vi salta in mente di andar dietro all’_Andreia_ (valore), -all’_Aretè_ (virtù), alla _Sofrosine_ (sapienza), all’_Encratia_, -al _Ti en écaston_, — dice Santippe ai figliuoli, — vi sbatto questo -setaccio sulla testa e ve ne faccio una berretta. - - * - -E la notte è venuta. - -Ma di chi è il suono dei vecchi sandali? Di chi è quella voce armoniosa -ed ironica? - -Chi è? - -E Santippe balza sul giaciglio: un soffio come di un bacio si posa sui -rossi capelli, biancheggianti ormai, un ardore come di lagrime cadenti, -e una voce risponde e mormora: — È Socrate, tuo marito.... - - * - -E per tutto ciò ci sembra opportuno terminare questa narrazione con un -passo o citazione autorevole, come è costume dei nostri eruditi. - -Esso è del gigante Gargantua, figlio di Rabelais. Gargantua, mangiando -una certa insalata, non si era accorto menomamente di avere inghiottito -sei pellegrini errabondi, che erano in essa. Ma se ne accorse ad un -certo pizzicore che sentiva nello stomaco. Ed allora li rimandò fuori e -così li ammonì: - -«D’ora innanzi non siate propensi a codesti oziosi ed inutili viaggi -nei deserti dell’umano sapere. Rimanete nelle vostre famiglie, lavorate -secondo l’animo vostro, educate i vostri figliuoli e vivete come vi -insegna il buon Apostolo San Paolo. Per tale modo avrete la protezione -di Dio e dei Santi, nè mai danno o peste graverà sulle vostre case». - - - FINE. - - - - -INDICE. - - - A CHI LEGGERÀ Pag. IX - I. Ellade, giovinezza del mondo 1 - II. Come io mi trovai alle prese con Santippe 18 - III. Socrate per le vie di Atene 51 - IV. Socrate e la Morte 88 - V. Questioni molto serie proposte da Santippe - a Socrate 101 - VI. Come Santippe ferì Socrate nel cuore 113 - VII. La cena dell’amore 131 - VIII. Il colloquio fra Anito e Meleto 163 - IX. Oh, povera Santippe! 189 - X. Santippe nella prigione di Socrate 202 - XI. La immortalità dell’anima 220 - XII. Avvertimenti agli infelici figli di Santippe 231 - - - - -OPERE DI ALFREDO PANZINI: - - - _Piccole storie del mondo grande_ L. 7 — - _La lanterna di Diogene_ 7 — - _Le fiabe della virtù_, novelle 7 — - _Il 1859. Da Plombières a Villafranca_ 5 — - _Santippe, piccolo romanzo tra l’antico e il moderno_ 7 — - _La madonna di Mamà, romanzo del tempo della guerra_ 7 — - _Novelle d’ambo i sessi_ 4 — - _Viaggio di un povero letterato_ 7 — - _Io cerco moglie!_ 7 — - _Il mondo è rotondo_ 7 — - - - - -NOTE: - - -[1] Demoniaco: qui ha il senso antico, di _sovrumano_, _ottimo_, -_beato_, non di _sinistro_ o _malefico_. - -[2] Cara fu la cicala ai Greci e giustamente piacevole il suo canto che -a noi pare noioso. _Dolce profetessa dell’estate. La vecchiaia non ti -raggiunge, o cicaletta saggia, nobile, piena di canti e senza dolore._ -Così il vecchio Anacreonte. Ma la nostra età plutocratica e positiva -chiama saggia la esosa formica. - -[3] Vuol dire, _belli e buoni_, cioè uomini puri, coscienti, capaci di -governarsi da sè. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part -of this license, apply to copying and distributing Project -Gutenberg-tm electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG-tm -concept and trademark. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. 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You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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Treves. — 1921. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="dedica"> -<p> -<span class="smcap lowercase">ALL’AMICO</span></p> - -<p> -<span class="smcap">Avv.</span> NICOLA MONTANARI -</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span> -</p> - -<h2 id="intro">A CHI LEGGERÀ.</h2> -</div> - -<p> -<i>Questo piccolo romanzo non è stato -scritto per gli eruditi, benchè parli -della Grecia; e sebbene parli di un -filosofo, non è stato scritto per i -filosofi.</i> -</p> - -<p> -<i>Si intitola bensì con il nome di -Santippe, un nome di donna infamata -nei secoli; e si potrebbe pensare -che l’autore avesse avuto in mente di -servirsi di Santippe, moglie di Socrate, -come di un laido pupazzo per -ripetere vecchie e sgarbate cose contro -le donne: le quali cose, anche se -fossero verità, sarebbero pur sempre -<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span> -verità maschili, a cui è lecito opporre -altre verità femminili. E poi -quale irriverenza è mai questa di dir -male della donna che è l’anfora della -vita?</i> -</p> - -<p> -<i>No, il libro non ha questo scopo; -forse non ha scopo nessuno; è venuto -al mondo, così, come noi veniamo al -mondo, senza scopo.</i> -</p> - -<p> -<i>La sua prima pubblicazione è stata -nella</i> Nuova Antologia, <i>nella primavera -dell’anno passato; così che si -può dire che Giovanni Cena la tenne a -battesimo, questa povera Santippe. In -questo tempo però si è fatta più sciolta -e vivace; cioè il libro è divenuto più -facile e snello.</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span> -</p> - -<p> -<i>Però, se pure essendo tale, se pure -essendo breve, non si ripeterà di lui -la brutta lode</i>, si legge tutto d’un fiato; -<i>se molte cose che comunemente si credono -serie, faranno sorridere; e molte -altre cose ritenute ridicole indurranno -ad alcuna meditazione, il piccolo -libro crederà non del tutto inutile -la sua venuta al mondo. Anzi -crederà di essere anche lui venuto al -mondo per amare e servire Iddio.</i> -</p> - -<p class="indl"> -<i>Milano, primavera del 1914.</i> -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<p class="title"> -SANTIPPE -</p> - -<h2 id="cap1">I. -<span class="smaller">Ellade, giovinezza del mondo.</span></h2> -</div> - -<p> -Nel tempo antichissimo, quando gli -uomini erano molto occupati per popolare -il mondo, ci fu come una piccola -schiera di uomini che pervenne ad -una piccola terra. Essa era ricamata -dai mari, e pareva come l’umbelico del -mondo. Era stagione di primavera e il -mare mandava tutt’intorno i suoi effluvi. -</p> - -<p> -Quegli uomini sostarono. -</p> - -<p> -Si scoprivano di lassù i corsi degli -astri; si vedevano le vie del mare. -Allora essi scoprirono le vie della loro -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -anima, ed una divina esaltazione li -vinse. Rivaleggiarono con gli Dei immortali: -crearono quelle multiformi -opere che rimangono anche oggi come -modelli, e non furono mai più superate -in bellezza. -</p> - -<p> -Questa piccola terra fu l’Ellade: quel -piccolo popolo fu il popolo ellenico. La -vita che esso visse si chiamò «giovinezza»! -</p> - -<p> -Ma esso visse una breve vita; esso -consumò, bruciò, — per così dire, — nel -giro di qualche secolo l’ardore della sua -vita, cinta di rose. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Più tardi, gli uomini ripresero ancora -il loro viaggio; buttarono via le -rose, e si coronarono di una corona di -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -spine, anzi inalberarono per loro emblema -una croce da cui pendeva un povero -morto, che si chiamava Cristo. -</p> - -<p> -Questa, probabilmente, era la verità -più vera e le spine erano più vere delle -rose. -</p> - -<p> -Senonchè un bel giorno gli uomini si -accorsero con terrore di una spaventosa -cosa: che essi in questo modo anticipavano -sotto il sole il regno delle tenebre. -</p> - -<p> -Da allora serbarono per Cristo un -culto di semplice simpatia: rifecero la -loro strada, avanzarono ancora nei secoli, -poi si moltiplicarono, coprirono anzi -la faccia del mondo, e fecero infinite scoperte -e progressi. -</p> - -<p> -Siccome faceva molto freddo, inventarono -anche il riscaldamento a termosifone; -e similmente per rinfrescarsi, -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -d’estate, crearono il ghiaccio artificiale. -Innumerevoli, incredibili si susseguirono -le creazioni dell’uomo; le macchine per -correre, le macchine per cucire, le macchine -per volare, le macchine per votare, -le macchine per ammazzare, le -macchine per cantare. Scoprirono i microbi, -il colletto inamidato, il positivismo, -il socialismo, la burocrazia, i -campanelli elettrici: ma non rividero -più la loro giovinezza. -</p> - -<p> -Un cittadino nord-americano dei nostri -tempi potrebbe ben far risuonare il -suo grosso riso paragonando, ad esempio, -il suo Mississipì ai fiumicelli dell’Attica, -così poveri di acque che nell’estate -non arrivavano al mare. Ma che -nomi! L’Illisso, il Cefiso! I monti dell’Attica -avrebbero fatto contorcere di -sprezzo le labbra altezzose di un alpinista -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -teutonico, che trasporta, come -niente fosse, le sue scarpe ferrate e le -penne di gallo cedrone sino in vetta al -Cervino. -</p> - -<p> -Senonchè quei monti avevano meravigliosi -nomi, meravigliose virtù: dal -Parnaso cantavano le Muse: Muse titaniche -e severe — non come le odierne -Muse che sembrano una <i>troupe</i> di malsane -dame viennesi. Esse, figlie della -memoria e del vaticinio, cantavano, non -per facilitare la digestione, ma canti -non più uditi cantavano per accompagnare -ed aiutare il cammino della -vita. -</p> - -<p> -Un altro monte si chiamava l’Imetto. -Intorno ad esso era tutto uno sciame di -api scintillanti d’oro, e ne sgorgava il -miele, che si trasfuse poi nel linguaggio; -il più volubile, scorrevole, lieve -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -linguaggio che mai sia stato parlato, -senza bisogno di domandare ogni tanto: -«Come si dice, signor grammatico? mi -è lecito adoperare questa parola, signor -accademico?». -</p> - -<p> -Un altro monte si chiamava il Pentelico; -ma la sua pietra bianca e immortale -si plasmava docilmente sotto la divina -forza dell’uomo, in quelle statue di -cui qualcuna, mùtila ed esule, sotto la -vòlta di qualche cimitero o museo, ancora -e come prigioniera rimane. -</p> - -<p> -Non che io, contemplando queste statue, -mi sia messo a piangere come fece -Arrigo Heine davanti alla Venere di -Milo. Arrigo Heine, poveretto, era paralitico, -allora, e può aver pianto anche -in considerazione della sua esistenza -finita; ma certo un gran fremito vinse -me pure: «Oh, destatevi nude carni, -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -ridonateci la giovinezza meravigliosa!» -sospirai. -</p> - -<p> -Qualche monte abbastanza alto e gelido -lo avevano pur anche gli Elleni; -ma ci collocavano gli Dei. -</p> - -<p> -Del resto era un povero e sterile -paese l’Ellade, tanto che ai suoi abitanti, -per mangiare, conveniva navigare -e combattere. Mancavano i cereali. Però -dalla roccia calcarea balzava il tralcio -della vite e sorgeva impetuoso, con le -sue pallide chiome, l’ulivo. -</p> - -<p> -Il mare che penetrava fra le terre, -teneva in vibrazione gli spiriti, come in -una azzurra irrequietudine: tutt’all’intorno -poi fiorivano le viole, colore della -morte e profumo della pura giovinezza, -tanto che un poeta, come vinto da quella -ebrietà, cantava: «O, Atene, splendida, -gloriosa città, incoronata di viole, celebrata, -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -sostegno della Grecia, demoniaca».<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a> -</p> - -<p> -Questo popolo ellenico fu come la cicala<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a> -canora, come l’ape industre, che -sono animali alati, asciutti, preziosi, irrequieti, -diffonditori di armonie e di dolcezza: -non fu come altri popoli, che -hanno in loro qualcosa di pesante, di -viscido, di adiposo, di strisciante, di tossico, -da cui la mano delicata del filosofo -rifugge. Questo popolo si affacciò in un -mattino puro alla finestra della vita, e -vide quelle cose della vita che hanno -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -vero valore; e meravigliò non per le -cose meccaniche, come noi meravigliamo, -ma per le cose naturali, come fa la -cortigiana Diotima quando dice: «Cosa -divina è questa, e in creature mortali, -cosa immortale: il concepire e il generare». -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -A noi la conoscenza di questo popolo -è venuta attraverso il martirio della -scuola, attraverso un nembo di parole -irte, pungenti, con cui i greci mai -non avrebbero tormentato la loro giovinezza. -</p> - -<p> -A dispetto di queste memorie dolorose -della scuola, la mia ammirazione -per questo piccolo popolo ellenico mi è -venuta crescendo quanto più mi apparvero -piccoli i così detti popoli grandi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -</p> - -<p> -Io lo ho ammirato nelle sue contraddizioni, -nelle sue lotte fratricide e terribili, -nella sua breve vita. -</p> - -<p> -Soprattutto le sue contraddizioni! -Esse sono il cuscino su cui qualche volta -riposa la mia testa stanca. Pensare! un -popolo che ha disputato di filosofia più -che non cantassero le sue adorabili cicale, -eppure non ha imposto un dogma, -non ha avuto preti; un popolo che ha -creato quel magnifico parlamento di Dei -e di Dee sull’Olimpo, con tutti i vizi ed -i servizi possibili: il nèttare, l’ambrosia, -Ebe, Ganimede, il meccanico Vulcano, -Mercurio per i dispacci fra la terra -ed il cielo; e poi un bel giorno se ne -stancò dei suoi Numi! e: «Via, parassiti! — gridò — via -oziosi! via crudeli! -via buffoni!» E poi atterrì vedendo -il vuoto nell’Olimpo gelido, e il -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -vuoto nel suo cuore: un popolo che ebbe -la magnifica impertinenza di chiamare -barbare tutte le altre genti; che in politica -ci lasciò questo terribile ammaestramento, -che non è possibile vivere -che, o sotto la tirannia di un individuo -o sotto la tirannia della plebe: il <i>demos</i> -e la <i>tirannis</i>, come la tragedia e la -commedia: un popolo che adorò la sua -minuscola città, la sua <i>polis</i>, ed ebbe -per patria il mondo! Ma la patria, la patria, -cioè il genio della stirpe, guai chi -l’avesse obliata! guai all’infingardo che -avesse scioperato nel divino lavoro, che -avesse obliato la patria! E così Ulisse -ai compagni, stanchi, strappa il dolce -oblioso frutto del loto. «Via! via! il -vile dolce frutto del loto, che fa obliare -la patria!» -</p> - -<p> -E guai a chi avesse disturbato questo -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -popolo nel suo lavoro di creazione! -Come l’ape s’avventa contro il nemico -e infigge l’aculeo pur sapendo che ne -morrà, così questo popolo s’avventava -alla morte con l’asta e con lo scudo, nel -divino impeto della sua Minerva guerriera, -contro il barbaro disturbatore. E -adorava la vita! -</p> - -<p> -E sapeva che laggiù non era resurrezione -dei morti. Sapeva? certamente -sapeva che laggiù erano tenebre, e se -anche era vita, era vita di tenebre, -alcunchè di oscuro e di severo come, -l’aspetto di Tànatos, il melanconico -iddio. -</p> - -<p> -No, un popolo, così unico e savio, -non era destinato nè a vivere a lungo, -nè a formare una di quelle nazioni che -oggi diciamo una <i>grande nazione</i>. -</p> - -<p> -Esso fu dilaniato dalla forza contradditoria -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -dello stesso suo genio: cadde in -balìa di quei virtuosissimi ma pesantissimi -Romani: forse anche con il suo -esempio volle illustrare la verità della -sua sentenza: <i>che è meglio morire -che vivere, e che ad ogni modo muore -giovane chi è caro agli Dei.</i> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Questa meravigliosa Ellade antica è -oggi ai miei occhi come una necropoli -bianca, una città morta piena di statue -bianche, dai marmorei occhi vuoti. -</p> - -<p> -Molte volte io, alquanto seccato dai -fischi delle macchine, irritati i nervi dal -sibilare delle sirene, nauseato anche un -po’ dalle circolari, dagli avvisi fiscali -di questa nostra civiltà, mi sono rifugiato -per mio spirituale riposo in questa -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -necropoli bianca dei grandi morti -ellenici. -</p> - -<p> -Quando voi siete ammalati di nervi, -il medico vi dice: «Fate un bel viaggio!» -Ma non tutti hanno la possibilità -di fare un bel viaggio; ed è per questo -che allora io viaggio per questa necropoli -di morti; così imperturbabili in apparenza, -così commossi in profondo. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Ora un giorno io stavo guardando -Socrate, personaggio molto conosciuto, -e lo guardavo non soltanto perchè lui -fu, come tutti sanno, il fondatore di -quella che si chiama <i>filosofia morale</i>; -ma perchè lui spiccava assai brutto in -mezzo a una corona di splendenti giovani. -E come sotto la scrittura di un codice -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -antico avviene di scoprire le tracce -di una seconda scrittura, così io dietro -Socrate vedevo accampare, entro contorni -nebulosi, una figura enorme, rossiccia, -quasi furiosa. -</p> - -<p> -«Oh, ma chi è costei?» dissi prendendo -la lente. -</p> - -<p> -Non uno dei discepoli di Socrate, certamente! -</p> - -<p> -Anzi i suoi discepoli, i bei giovani -splendenti di giovinezza, si rivolgevano -verso quella figura con un sentimento -di dolore, di meraviglia o di riso. -</p> - -<p> -Allora, dopo aver molto guardato, -ben conobbi chi era colei: essa era Santippe, -la mala femmina, rossa di pelo, la -tormentatrice dell’eroe, la moglie di Socrate. -Santippe, dico! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Da quel tempo la mia ammirazione -per il popolo ellenico è venuta crescendo. -</p> - -<p> -Perchè è cosa nota che gli Elleni ci -hanno lasciato anche i modelli più vari -e straordinari del tipo femminile; da -Elena, dalla chioma fiorita, per cui tanti -eroi morirono volontieri; ad Aspasia, -donna intellettuale che teneva un salotto -e rovinò la politica del suo paese; -a Penelope, straordinaria, che giunse -ad ingannare gli amanti per mantenere -fede al marito, il quale non soltanto era -lontano, ma dicevano anzi che era morto. -</p> - -<p> -Tutti i tipi, dico, ha fornito la Grecia, -del furore guerriero, del furore erotico.... -Clitennestra lorda di sangue e -di lussuria ed Antigone, la santa della -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -terra, più bella di Ofelia! Tutti i tipi; -eppure io sentiva che mancava qualche -cosa. Ora, trovata Santippe, non mancava -più niente! -</p> - -<p> -Ma mi pareva ben impossibile che i -Greci avessero tralasciato di consegnare -all’umanità uno dei modelli più comuni, -come quello che anche oggi va sotto la -denominazione di Santippe. -</p> - -<p> -Ah, sì! Noi abbiamo fatto una grande -scoperta viaggiando per la necropoli -dei morti ellenici. Noi abbiamo scoperto -la infame Santippe. -</p> - -<p> -È strano però come gli eruditi non -se ne siano accorti! Forse perchè non -era nei codici. -</p> - -<p> -E allora, benchè io sia uomo modesto, -mi sono congratulato con me stesso -della bella scoperta. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -</p> - -<h2 id="cap2">II. -<span class="smaller">Come io mi trovai alle prese -con Santippe.</span></h2> -</div> - -<p> -Dunque io presi Santippe, e pensai -fra me: ci sei cascata finalmente, o -progenitrice di tutte le mogli fastidiose, -rossa Santippe! Noi ti faremo la vivisezione, -e così vendicheremo quel povero -e santo uomo di tuo marito e consoleremo -tutti i mariti vivi ed anche -tutti i mariti morti. -</p> - -<p> -Però, esaminiamo le cose con saviezza -e ponderazione. -</p> - -<p> -Noi, ben è vero, sappiamo pochissimo -intorno a Santippe; ma sappiamo di -certo che essa fu la moglie di Socrate. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -</p> - -<p> -I discepoli e gli amici del grande -filosofo ne parlarono anche, ma con un -senso di raccapriccio e di paura, come -si fosse trattato di un’orribile malattia -attaccata a quell’uomo straordinario. -Ma certamente, ripeto, Santippe fu la -moglie di Socrate; perchè una cosa è -certa, che Socrate, il più savio degli -uomini, prese moglie; e questa moglie -si chiamava Santippe. -</p> - -<p> -E adesso vediamo quello che gli -amici di Socrate tramandarono intorno -a costei. -</p> - -<p> -Senofonte scrive con chiarezza e brutalità -che «Santippe fu la moglie più -bisbetica e riottosa di quante furono, -sono e saranno». -</p> - -<p> -«Ma come fai, Socrate, — domandava -il bellissimo Alcibiade, — a sopportare -una donna così importuna e maldicente?» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -</p> - -<p> -«Ci sono abituato, — gli rispondeva -Socrate. — Per me oramai è come sentir -stridere la carrùcola del pozzo.» -</p> - -<p> -Non era molto gentile, Socrate; -ma non bisogna scandolezzarci: a quei -tempi la cavalleria con le dame usava -poco. In Omero, per esempio, si legge -che fra i premi alle corse si metteva -indifferentemente un tripode, una donna -ed un bue. -</p> - -<p> -«Come fai, Socrate, — insisteva Alcibiade, — a -convivere con una donna -che non ti può offrire oramai se non lo -spettacolo di una stupidità permanente -e clamorosa?» -</p> - -<p> -«Scusa, Alcibiade, ma tu non sopporti -le oche che strepitano e gridano -continuamente?» -</p> - -<p> -«Sì, ma le oche fanno le uova ed i -pàperi.» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -</p> - -<p> -«Lo stesso, caro: Santippe fa i figliuoli.» -</p> - -<p> -Socrate, come si vede, usava l’arma -dell’ironia; e noi sappiamo di alcune -donne che sopportarono anche le busse, -anche di essere valutate meno di un -tripode: ma non l’ironia! -</p> - -<p> -Busse, anzi, Socrate non ne dava, -come appare da quest’altro episodio. -</p> - -<p> -Un giorno, Socrate tornava a casa -insieme con gli amici, ed ecco venire -incontro Santippe, che aveva fra mani -il mantello di lui; e non appena lo -vide, cominciò a dire: -</p> - -<p> -«Eccolo, eccolo qua. E non è solo. -Ha con sè tutta la compagnia, e anche -quel suo bardasso di Fedone! È -questo il momento buono per dirgli, -ben alto e ben forte, quello che gli -va detto: Di’, amorino, vieni tu ora -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -dalle case di Aspasia, di Diotima, le -svergognate femmine che maneggiarono -più amori, che non lance Diomede? -Ma alla moglie si consegnano gli -stracci da rammendare! Ah, tu non -rispondi?» -</p> - -<p> -E con le unghie si accostò alle sporgenti -pupille di Socrate. -</p> - -<p> -Gli amici allora le dissero «vergogna», -e colei inferocì e proferì le più -laide parole che possano offendere la -rispettabilità del nostro sesso. -</p> - -<p> -Allora Alcibiade disse ridendo: «Socrate, -la senti? Ecco il momento per -darle una lezione a suon di busse». -</p> - -<p> -Ma Socrate si rivolse agli amici e -disse: «Sì, per far divertir la gente -alle nostre spalle e sentir dire: To’ -guarda Socrate! Guarda Santippe! Bravi -tutti e due! sotto! dài! Oh, come si -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -bastonano di gusto! Ma vi pare, amici, -una cosa da farsi?» -</p> - -<p> -Sembrerebbe anzi che fosse stata -Santippe a picchiare. -</p> - -<p> -Il silenzio filosofico del marito aveva -la virtù di esasperare la buona donna -sino al parossismo. -</p> - -<p> -E Socrate, silenzioso. Silenzioso sì, -ma meditante la fuga. -</p> - -<p> -Ma Santippe si è accorta della fuga. -Ha afferrato un vil vaso domestico; -ha atteso al varco, cioè alla finestra. -E quando Socrate è passato sotto la -finestra, ha scaricato il vaso. -</p> - -<p> -«Non dicevo io, — spiegò Socrate ai -vicini che erano accorsi al diverbio, — che -Santippe dopo aver tanto tuonato, -stava per piovere?» -</p> - -<p> -Questo episodio è così conosciuto che -anche gli scolaretti lo sanno, perchè -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -i professori lo fanno servire di esercizio -per i loro innocenti latinucci. (Tutto -serve ai maestri di scuola per i loro latinucci -e le loro cosucce: i teschi degli -uomini morti servono ai barbari per motivo -architettonico). -</p> - -<p> -Oh, non si creda per questo esempio -che Socrate fosse uomo timido! Più -volte fu anzi in guerra e vide intorno -a sè il sangue rosseggiare. Ma anche -nella battaglia è ricordato come uomo -assorto e meditabondo. -</p> - -<p> -Alla battaglia di Potidea, per esempio, -i soldati, meravigliando, lo videro -tutto un dì ed una notte ritto in piedi, -con la faccia pensosa, sinchè non cominciò -a rosseggiare l’aurora e non si -fu levato il sole: e allora, fatta una -preghiera al sole, se ne andò. -</p> - -<p> -E così, serenamente assorto, egli era -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -anche il dì della sua ultima battaglia, -perchè si dice che il dì innanzi la morte, -quando Critone tutto affannoso entrò -nella carcere, che non era nè notte nè -giorno, per indurlo a fuggire, Socrate, -quasi destandosi alle cose esterne, gli -domandò: «Critone, come è a quest’ora? -è già mattutino?». -</p> - -<p> -Ora in questo stato di assorbimento, -sentire i lunghi discorsi di lei, tutti -pieni di <i>Idiòtes</i>, <i>màtaios</i> (<i>cretino</i>, <i>insensato</i>, -direbbe una nostra signora), -io credo che dovesse far dispiacere a -Socrate. -</p> - -<p> -Sì, io credo che dovesse far dispiacere, -non soltanto per le mani adunche -di lei, ma perchè con quello strappo lo -aveva tolto dalla mirabile primavera del -suo pensiero e lo aveva richiamato ai -sensi materiali, i quali secondo l’opinione -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -di Santippe erano diventati ottusi. -Anzi lei diceva: «Quest’uomo oramai -non sente più niente». -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Ma — si può chiedere, — delle altre -cose, di quelle brutte cose che fanno le -mogli ai mariti, nulla fece Santippe? -</p> - -<p> -Non pare, o non fu tramandato. Parrebbe -anzi che lei si dolesse che tutto -il servizio domestico fosse un po’ in cattivo -stato. Perchè un giorno Socrate -disse a Santippe: «Senti, cara, domani -verranno a casa alcuni amici miei ospiti, -e tu preparerai da pranzo». -</p> - -<p> -E lei disse: «Ma come mai hai il -coraggio di invitare la gente a pranzo -che mancano i piatti, che non vi sono -tovaglioli, che c’è appena da mangiare -per noi?», -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -</p> - -<p> -Socrate così le rispose: «Sta di buon -animo, Santippe. Se gli invitati saranno -discreti e frugali, non rifiuteranno -quello che c’è in tavola; se saranno indiscreti -e senza rispetto, noi non ci cureremo -di loro». -</p> - -<p> -Qui, — diciamo il vero, — Santippe, -come padrona di casa, non era in obbligo -di gustare tutta la saviezza della -risposta di Socrate. -</p> - -<p> -Queste sono le cose che la Storia tramanda -intorno a Santippe. Ed ora vediamo -del «tipo Santippe». -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Santippe, — la mal famata nei secoli, -Santippe, — ha dato origine al tipo -Santippe, alla cui formazione quelle tali -brutte cose non sono proprio necessarie; -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -ma anche senza di esse, la vita -diventa intollerabile. -</p> - -<p> -Oh! chi avrebbe mai supposto che -quella creatura tutta bianca, tutta pavida, -tutta docile che noi orgogliosamente -conducemmo, in un dì beato, in -carrozza, davanti al codice del signor -sindaco, si sarebbe ammalata e sarebbe -diventata Santippe? -</p> - -<p> -Sì, è vero, si dice anche per celia, -«la mia Santippe», per significare -«la mia signora». Ma una signora non -dirà mai: «Io sono la Santippe di mio -marito». Potrà esclamare: «Te lo farò -vedere io chi è Santippe». E può anche -farglielo vedere! Perchè se lei dicesse -ponderatamente: «Sì, io sono la Santippe -di mio marito», rivelerebbe di -possedere la coscienza, e in tale caso -non sarebbe più Santippe. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -</p> - -<p> -Le varietà del tipo Santippe sono -molte; e forse non è inutile, a beneficio -di quelli che non conoscono le conseguenze -del viaggio davanti al codice -del signor sindaco, riferire qualche onesto -esempio; benchè in questo, come in -altre cose, la sagace natura ha provveduto -alla propria salvezza facendo sì -che l’uomo non potesse acquistar conoscenza -se non dopo il fatto o <i>experimentum</i>, -cioè una conoscenza che non -serve nemmeno ad accender la pipa! -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Un marito era incanutito precocemente: -ma la signora non poteva soffrire -quel bianco e versava premurosamente -sulla testa del marito fini tinture. -Considerazioni del marito: «Non era -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -meglio, o donna, evitare che i miei capelli -diventassero canuti così presto?» -</p> - -<p> -Altro esempio: -</p> - -<p> -Noi siamo giunti a casa, abbiamo -mangiato un boccone. La stufa era accesa, -il sofà ci invitava. Noi vi ci siamo -distesi per obliare in un breve chiudersi -della pupilla i fastidi e le cure -della mattina e quelle che ci aspettano -nel dopo pranzo. -</p> - -<p> -Noi invochiamo una piccola dose di -sonno, cioè una piccola dose di morte, -dieci minuti, ecco, per immagazzinare -l’energia indispensabile per l’altra metà -del giorno. Già ci pare di chiudere gli -occhi, il cuore ha dato un impercettibile -tuffo, una specie di registrazione -automatica con cui esso attenua le sue -pulsazioni; la memoria ha distaccato -i suoi dolorosi corsieri.... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -</p> - -<p> -«Ah, con quella testa unta sul sofà! -con quei piedacci sul mio <i>voltaire</i>! L’ho -stirato proprio questa mattina. E quella -puzza nauseabonda di pipa! Un marito -non ha più nessun riguardo. Ma chi ha -creato i mariti?» -</p> - -<p> -Chi parla così? -</p> - -<p> -È una Santippe che parla così. Ella -spalanca le finestre. -</p> - -<p> -«Moglie mia — diceva un marito -prudente che voleva andare a letto presto -la sera, — che camicetta ti metterai -tu per andare a teatro?» Oppure, -quando voleva una minestrina leggera -in brodo: «Moglie mia, perchè non fai -quegli eccellenti gnocchi di patate?» -</p> - -<p> -Altro esempio: -</p> - -<p> -Un signore era diventato principe-consorte. -Non che egli avesse sposato -una principessa di sangue reale; ma -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -soltanto una principessa della penna. La -signora sdegnava nominarsi e firmarsi -col nome del suo ignoto marito. Questi -non poteva invocare l’intervento del signor -sindaco; è evidente! ma in lui era -così a dismisura cresciuto il terrore per -l’arte, per la penna, per la gloria letteraria -che se per caso doveva subire qualche -presentazione di signora, domandava -in antecedenza: «scusi, la signora -scrive?» -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Da ciò avviene che qualche volta -uomo e donna si dividano senza voltarsi -indietro; ma ciò avviene più di -rado del necessario, perchè la sagace -natura ha provveduto in modo che le -voci dei bimbi che dicono: «Babbo -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -mamma, perchè ci abbandonate?» abbiano -tali vibrazioni che il cuore umano -difficilmente vi regge. -</p> - -<p> -Creda, il signor sindaco: questa è la -forza maggiore del suo codice! -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Come giunsi a questo punto delle mie -piacevoli meditazioni, ecco che quello -che sino allora mi era apparso quasi barbarico, -mi si disegnò come cosa ideale: -cioè la biografia della perfetta donna -presso gli antichi Romani: <i>Rimase in -casa, filò la lana, parlò poco, visse -casta.</i> -</p> - -<p> -E allora più ideale ancora l’educazione -giapponese delle loro pulitissime -donne! Dice, un marito giapponese alla -sua piccola <i>musmè</i>: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -</p> - -<p> -«Nessuna cosa, piccola <i>musmè</i>, è -più dannosa alla pace domestica della -vostra loquacità; e il non sapere cuocere -il riso a puntino, è un giusto motivo -per ripudiarvi!» -</p> - -<p> -E la piccola <i>musmè</i> risponde con le -manine in croce e gli occhioni abbassati: -</p> - -<p> -«Onorevole marito, sì! Le vostre -parole sono tutte onorevoli verità, e -le vostre azioni sono tutte onorevoli -azioni!» -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -A questo punto fu da me udito un -crepitare di sibili e di metalli. Mio Dio, -Santippe si destava, Santippe parlava! -Non avevo io con me preso Santippe?. -</p> - -<p> -Gran Dio, a quanti pericoli si espongono -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -i pacifici uomini di studio nei loro -esperimenti! -</p> - -<p> -Santippe parlava, e parlava appunto -così: -</p> - -<p> -«Infame razza prepotente, ipocrita, -di uomini! rimasta tal quale! Ah, a voi -torna comoda la donna, oca di Strasburgo -e ingrassata pel vostro egoismo! -A noi le gravi cure! Noi siamo uomini! — Tu -torna, o donna, all’ago e al pennecchio -infra le ancelle; e ti ricorda che -niuna cosa rende più brutta la donna -come la inverecondia. E poi le vanno a -cercar fuori le donne con gli occhi cerchiati -di inverecondi pallori! Sii massaia, -o donna! E sono capaci di far soffrire -la fame in casa per far baldoria -con le baldracche!...» -</p> - -<p> -«Oh buona donna, — io dissi, — se tu -puoi parlare, parla. Ma di una cosa ti -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -prego: non parlare così. Tempera la -voce; fa pausa ogni tanto! Qualunque -cosa tu dica, dilla con voce soave, senza -irruenza. Tutto è tollerabile, forse, dalla -donna quando avviene soavemente.» -</p> - -<p> -Oimè, ella non poteva far pause, la -sua voce si alimentava con la sua voce, -ed io cominciai a sentirmi male, e mormorai -con Cristo: Perdona a lei che -ignora la sua spaventevole voce! Però -che sistema nervoso straordinario e perfetto -deve aver avuto Socrate! -</p> - -<p> -«Maledette le vostre lusinghe, — proseguì -la irritante voce di Santippe, — che -ci hanno ridotte a questo stato di -servitù! Noi siamo state troppo buone, -troppo generose di cuore, ed ecco la ricompensa! -Noi siamo uguali a voi! -</p> - -<p> -Sapete voi che in origine eravamo -forti e pelose anche noi come voi? I -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -figliuoli, si è vero, li facevamo noi; ma -quando eravamo stanche di allattare i -marmocchi, li davamo all’uomo, e dicevamo: -«To’, allatta tu,» e andavamo -fuori di casa a caccia dell’orso anche noi. -</p> - -<p> -Poi, per compiacervi, siamo rimaste -in casa; per compiacervi ci siamo profumate -col paciulì, abbiamo fatto la voce -di flauto, i piedini piccoli, e vi sono -anche oggi delle donne che non stanno -in piedi, se non sono appoggiate ad un -maschio. Maledetto lo specchio di Venere! -Oh, ma noi lo romperemo e allora -vedremo chi vale di più! Che diritto, -che diritto aveva il poeta Archiloco sopra -le figlie di Licambe, che non ne volevano -sapere di lui? E lui perseguitarle -coi suoi versi, finchè le poverette, -disperate, si impiccarono?» -</p> - -<p> -Così parlò Santippe. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -</p> - -<p> -Or bene, prescindendo dalla voce che -offendeva il mio sistema nervoso, non -posso negare che nelle parole di lei v’era -qualcosa che impressionava quel delicatissimo -sentimento della giustizia che -per mia sventura possiedo. -</p> - -<p> -Io non so se la donna fosse nei tempi -preistorici pelosa e guerriera: le più antiche -memorie storiche risalgono ad Eva, -la quale era bianca e la prima cosa che -fece, dopo aver perso il pudore, fu una -<i>toilette</i> con la pianta del fico: e quanto -alle lusinghe ed al programma di creare -una nuova morale frantumando lo specchio -di Venere, io credo che sia impossibile. -Ne è prova la signora Curie, la -quale dopo essere diventata grande -scienziata, dopo avere scoperto il radio, -pur non essendo così giovane nè così -bella come Eva, non potè sfuggire alle -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -seduzioni di Venere e sedusse o si lasciò -sedurre da un suo collaboratore di gabinetto. -</p> - -<p> -Certo è che alcune delle osservazioni -di Santippe erano impressionanti; e non -si può affermare che l’uomo sia stato -eccessivamente logico. Vediamo un po’: -</p> - -<p> -Ha detto l’uomo: -</p> - -<p> -«Amami, o donna, senza di te l’universo -è vuoto, il sole è tenebra. Un -bacio, un bacio, un bacio per carità!» -E pareva che senza quel bacio non potessero -addormentarsi, poveri uomini, -non potessero neanche morire, come -i bimbi che domandano il bacio della -mamma. Ed ella fu compiacente e gentile: -si attorcigliò la chioma, o se la -lasciò cader giù sulle spalle, secondo i -casi: imparò a dare i baci, a languire con -gli occhi chiusi, come morta, e diceva -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -all’uomo: «Va bene così? O devo prendere -un’altra posizione?» Dopo avere -imparato i baci, imparò a fare l’infermiera. -Spesso l’uomo giungeva a casa -ferito o ammalato, e allora quelle mani -che gli si erano attorcigliate al collo al -tempo dei baci, se le sentì posare come -un balsamo su le sue ferite; e le pupille -che si erano chiuse nel piacere dei -baci, egli le sentì sopra di sè vigilanti e -materne. Non basta; ma spesso il focolare -dell’uomo era spento e lo ha ritrovato -acceso; la sua casa era vuota, e -la presenza di lei sola, la donna, bastò -a renderla piena e consolata. -</p> - -<p> -E poi dopo tutti questi benefici, hanno -avuto il coraggio di dire alla donna: -</p> - -<p> -«Ah l’impudica! Torna all’ago e al pennecchio.» -</p> - -<p> -E i dominatori del mondo? Noi li -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -abbiamo, visti troppo spesso ai piedi -di lei. -</p> - -<p> -E i santi della Chiesa non hanno fatto -lo stesso come gli altri uomini? Un -giorno hanno detto alla donna: «Tu sei -Maria Vergine Santissima!» -</p> - -<p> -Un altro giorno, stralunando gli occhi, -hanno detto «Tu sei il demonio -in figura di Venere! Fuggite, fuggite la -demoniaca, la insaziabile!» Ma in verità -non fuggivano. Gridavano come i -passeri attorno alla civetta. -</p> - -<p> -Ed è altresì vero che tutto il lavoro -del mondo se lo è preso lui, l’uomo: -alla donna niente! -</p> - -<p> -«Alla donna, con la scusa che non -capiva, le si vietò persino di affacciarsi -alla finestra e di contemplare il -creato!» — gridò Santippe. -</p> - -<p> -E i poeti? Sono poco illogici i poeti? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -</p> - -<p> -Essi hanno celebrato continuamente -i denti, gli occhi, i capelli ed altre cose -della donna. -</p> - -<p> -«Mai la nostra intelligenza, mai il -nostro cuore....» -</p> - -<p> -«Sì, signora Santippe, qui posso convenire -con lei! Francesco Petrarca impiegò -tre lunghe canzoni per lodare gli -occhi della sua donna....» -</p> - -<p> -«Che dovevamo noi celebrare, la barba, -i piedi dell’uomo?» gridò ancora -Santippe. -</p> - -<p> -«Sì, signora Santippe; ed io non -escludo che la donna lusingata da tutto -quel gorghèggio abbia avuto come una -spinta ad ingrandire gli occhi, ad allungare -i capelli, a cambiarli di biondi in -bruni e viceversa, ad impicciolire i piedi, -ad affusolare le mani, e specialmente a -prendere quell’aria di bambolina, profumata -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -di paciulì e con la voce di flauto, -che costituisce, anche nei tempi nostri, -la qualità che l’uomo stima di più nella -donna. Ammetto tutto questo e convengo -che Archiloco ebbe torto, signora, e -fu un prepotente. -</p> - -<p> -Potrei recare altro esempio di torti e -di prepotenze in poeti posteriori, anche -più grandi di Archiloco. Per esempio, -Dante. -</p> - -<p> -Una signora gli disse di no, e Dante -che cantò l’universo, perdette la sua calma -e chiamò quella donna, <i>ladra, scherana, -micidiale, insensibile pietra</i>, e -che la voleva pigliar per le trecce bionde, -e darle una coltellata nel cuore; ed il -Leopardi, un santo oltre che un filosofo, -non perdette gran parte della sua filosofia -quando una bella donna gli disse -ridendo «Caro conte, no!»? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -</p> - -<p> -Così io parlai per amor di giustizia ed -anche per acquetar Santippe, la quale -nei ventitrè secoli da che era all’inferno, -mi pareva che fosse diventata assai -intelligente e saccente; quand’ecco, -quei due nomi del Leopardi e di Dante, -proferiti come a caso, mi spalancarono -per così dire le porte del pensiero, e -vidi una terribile visione. Allora non -mi seppi più frenare, alzai anch’io la -voce, e dissi: -</p> - -<p> -«Sta però il fatto, signora, che voi, -Santippe, siete stata la tormentatrice -degli eroi, o almeno degli eroi metafisici; -e specialmente degli eroi che presero -moglie. È una schiera infinita; è -una legge costante! Udite, udite, o Santippe: -</p> - -<p> -Ercole ebbe una moglie chiamata Deianira -che regalò a suo marito una camicia -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -avvelenata. Deianira era Santippe; -il saggio Minosse ebbe una moglie -chiamata Pasifae che regalò a suo marito -quel mostro chiamato Minotauro; -Eschilo, il gran tragico, ebbe una moglie -tremendamente Santippe, che gli -mutò la dolce vita in tragedia; Marco -Aurelio, il più savio degli imperatori, -ebbe una moglie che non nominerò, ma -Santippe certamente; Sady, gran poeta -persiano, ebbe una moglie ricca, ma -Santippe, che non gli lasciò aver bene -un giorno solo della sua vita. Passando -poi al nostro occidente e ai nostri -tempi, io potrei compilare un elenco -non meno lungo di eroi: da Martin Lutero -a Leone Tolstoi, che ebbero mogli -Santippe, cioè fecero un’orribile attraversata -della vita. Fra gli eroi, che io -ricordi, non ci fu che Cristo a salvarsi; -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -Cristo ai cui piedi insanguinati Maria di -Magdala versò tutto il nardo prezioso -che possedeva, contro il parere di Giuda -che voleva specularci sopra favorendo i -pezzenti. Ma è pur vero, signora, che -Cristo non sposò Maria di Magdala. -Chi sa come sarebbero andate le cose, -se Cristo la avesse sposata! Anzi Cristo -fu un dio, e transitò come un sogno -per la vita. -</p> - -<p> -Ora, o signora Santippe, quando -una legge è costante dai tempi di Minosse -a Leone Tolstoi, dall’oriente all’occidente, -essa deve pur avere un valore!» -</p> - -<p> -Così io parlai. Ma un crepitare terribile -e come compresso, come un mugghiare -feroce mi arrestò. Ne uscì una -voce sardonica: -</p> - -<p> -«Gli eroi! Gente moscia che vale meno -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -degli altri. Inutili gli eroi! Gli eroi -metafisici, più che inutili!» -</p> - -<p> -Strabiliai! Così aveva risposto Santippe. -</p> - -<p> -«Ah, signora! Inutili gli eroi? Inutile -vostro marito? Socrate inutile? il -metafisico, il fondatore della filosofia -morale? Anzi il creatore — io direi — della -morale, perchè prima di lui non -esisteva morale, ed il mondo è fondato -sulla morale; così che possiamo ben -affermare che il mondo gràvita su quel -grand’uomo di cui voi aveste l’onore di -essere consorte!» -</p> - -<p> -«E chi ti dice, <i>idiotes</i>, che sia necessaria -la morale inventata da mio marito?» -</p> - -<p> -Così villanamente sibilarono le parole -di Santippe contro di me. Era diventata -socialista costei in ventitrè secoli di abitazione -all’inferno? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -</p> - -<p> -«Chi lo dice? Già, chi lo dice? Ma -tutti lo dicono! Dai libri delle scuole -elementari ai discorsi del trono e dei ministri -voi trovate, o signora, la morale, -cioè vostro marito....» -</p> - -<p> -«Sì, l’etichetta buona per i calli!» -</p> - -<p> -Nella mia qualità di uomo giusto e -morale, confesso che strabiliai una seconda -volta a queste parole di Santippe. -Credetti opportuno per la dignità di Socrate, -della morale, ed un poco anche -mia, di non replicare. Santippe, come -donna, essendo fisica, non poteva forse -penetrare dentro la metafisica. -</p> - -<p> -Però dissi: «Ah, signora, adesso capisco -per quale ragione quando Critone -entrò nel carcere e disse: «Socrate, fuggi!», -Socrate non volle fuggire e preferì -la morte. Ah, signora, se le vostre -labbra fossero state capaci di qualche -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -parola gentile, se le vostre mani fossero -state capaci di preparare un tranquillo -desco con una bella zuppa di ceci -con olio e rosmarino, se aveste conservato -un poco di nardo per ungere la dolorante -anima di vostro marito, egli sarebbe -evaso dalla prigione: l’umanità -avrebbe avuto un martire di meno, ma -anche un infelice di meno!» -</p> - -<p> -E già proferendo queste parole, io mi -preparavo a proteggere il mio volto, -quando con somma stupefazione non -udii alcuna risposta. -</p> - -<p> -Fissai Santippe. Le sue pallide labbra -tremavano di un convulso tremore. -Disse a pena, disdegnosamente: «Va, -va un po’ anche a cercare chi era lui!» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Allora è come dicono i dizionari, -quando si cerca «Santippe», che rimandano -a «Santippe: vedi Socrate». -</p> - -<p> -Oh, ma che orribile mostro, Santippe! -Che non sia una donna? -</p> - -<p> -Eppure, no! Lei era la donna, era la -glabra, la mammifera, la contorta, la -chiomata, dall’ampio grembo generatore, -la portatrice dell’uomo! -</p> - -<p> -Inutile però interrogarla di più! -</p> - -<p> -Non rimaneva che seguire il suo consiglio, -ed andare in cerca di Socrate. -</p> - -<p> -Però, conveniamone, la scoperta di -Santippe, di cui tanto mi ero rallegrato -in principio, mi portava ad un viaggio -piuttosto lungo e difficile. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -</p> - -<h2 id="cap3">III. -<span class="smaller">Socrate per le vie di Atene.</span></h2> -</div> - -<p> -Andiamo, dunque, in cerca di Socrate. -Egli non suole muoversi da Atene. -Noi siamo certi di trovarlo in Atene. -</p> - -<p> -E andando, io pensava: perchè Socrate -prese moglie? -</p> - -<p> -Si racconta che una volta gli amici -domandassero a Socrate: — Come fai, -o Socrate, a sopportare tua moglie? -</p> - -<p> -— Perchè, — rispose gravemente il -filosofo, — se io riesco a sopportare costei, -riuscirò a sopportare qualunque -altro individuo del genere umano. Anzi, — confermò, — la -ho scelta apposta! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -</p> - -<p> -Eccomi, dunque, per le vie di Atene, -ed ecco Socrate! Egli si riconosce subito: -è diverso da tutti gli altri uomini; -è brutto in mezzo a uomini belli; e a -differenza dei filosofi che scrivono libri -e svelano il loro pensiero nelle Accademie, -Socrate non scrisse libri, e parlava -per le strade. -</p> - -<p> -Se, per così dire, io chiudo gli occhi, -io lo vedo ancora, Socrate! Lo vedo -per le vie della sua dolce Atene. -</p> - -<p> -Anche la città era bella, non troppo -grande, ma meravigliosa città; marmorea, -sì anche. Ma i marmi di Atene -erano screziati di azzurro, di oro, intermezzati -da piante, animati da tante significazioni -della vita che quei marmi -rallegravano l’umanità, e non avevano -l’aria di volerla soffocare. Atene non -era nemmeno una delle nostre moderne -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -città piatte e monotone. Si elevava nell’acropoli, -sino all’asta e all’elmo di Minerva: -poi declinava verso il mare. -</p> - -<p> -Ora in una città così bella e fra gente -così bella, Socrate doveva spiccare stranamente. -È vero che i suoi pensieri -erano bellissimi ed armonici come una -musica, anzi; ma questi pensieri non si -vedevano; si vedevano invece i suoi abiti -che dovevano essere in disordine. -</p> - -<p> -I suoi calzari certamente dovevano -portare la traccia del suo perpetuo vagabondare -per le vie di Atene, giacchè -Socrate era un continuo andare e stare; -e credo di non essere troppo lontano dal -vero paragonando i calzari di Socrate a -quelli dei nostri frati zoccolanti. -</p> - -<p> -Ora guai agli uomini dalla calzatura -in disordine; essi sono destinati in vita -ad assaggiare il sapore della cicuta. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -</p> - -<p> -Al tempo dì Socrate si portavano i -sandali, e queste cose si capivano meno. -Ma al tempo nostro in cui usano le -scarpe, non sarà, mai abbastanza raccomandata -la maggior cura e la maggior -spesa nelle scarpe. Gli Inglesi, dominatori -del mondo, portano scarpe di -eccellente modello. I Tedeschi, che vengono -dopo gli Inglesi, hanno l’abitudine -di portare scarpe solidissime. Gli Americani -si affermano con la filosofia delle -loro scarpe: <i>american shoe!</i> -</p> - -<p> -La bellezza di Socrate era tutta di -dentro. Ma ciò non poteva esser bene -apprezzato se non da un Dio, ed infatti -Apolline, uno dei più seri fra i dodici -Iddii greci, lo aveva proclamato «il più -savio fra tutti gli uomini», che in greco -si dice <i>sofòtatos</i>! -</p> - -<p> -Ma è pur vero che Apolline non vestiva -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -mica come Socrate, ma con rara -eleganza; le pieghe della clamide di -quel Dio erano molto curate, i calzari -stupendi, e la chioma la portava lucida -e fluente come quella di una bellissima -femmina. -</p> - -<p> -Non si pensi per tutto questo che -Socrate fosse, come i filosofi cristiani, -un disprezzatore della bellezza. Lui non -era bello ma era un entusiasta della -bellezza, alla quale anzi non dava i confini -ristretti che diamo noi. Le chiome -bionde del giovanetto Fedone gli producevano -un intenso piacere; ma lui -era senza chiome e nel volto era piuttosto -anti-estetico. -</p> - -<p> -Tutti gli Ateniesi avevano una fronte -diritta ed il naso regolare. Socrate, invece, -aveva una fronte un po’ sfuggevole, -ed una brutta insenatura si approfondiva -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -tra la fronte ed il naso. Ciò -oggidì sarebbe poco avvertito; ma a -quei tempi, in cui tutti possedevano -quella squisita conformazione, doveva -produrre uno spiacevole effetto. -</p> - -<p> -Il naso, poi, sarebbe sembrato brutto -anche ai nostri tempi: lunghetto ed in -avanti, con le narici scoperte e dilatate, -quasi in atto di indagare, di fiutare, -di cercare che cosa ci fosse dentro -in ogni cosa, <i>ti en ècaston</i>, come si -dice in greco. E questa era la sua passione. -</p> - -<p> -Due baffi, lasciando scoperto il labbro -inferiore, labbro tumido ed alquanto -carnale, si accartocciavano, in giù per -il mento, in due volute che si intrecciavano -con altre grosse arricciature -della barba, e con un pizzo sul mento; -rigonfio il pizzo ed a punta caprina. -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -Il tutto poi si confondeva con i -folti cernecchi di una specie di tonsura -naturale, perchè il cranio era lungo, -bozzoluto; ma calvo del tutto. Un barbiere -moderno si sarebbe trovato in -grande impaccio per dipanare e mettere -in ordine quella testa, e distinguere -baffi, barba, pizzo, capelli. I suoi occhi -erano grossi, intenti, sporgenti e come -fissi nello stupore delle cose che lui solo -aveva veduto indagando quel terribile -<i>ti en ècaston</i>. -</p> - -<p> -Sapientissimo, dunque, era stato proclamato -Socrate, ma non bellissimo, e, -pur troppo, neanche felicissimo. -</p> - -<p> -Era proprio ellenico Socrate, o asiatico, -o trace? Forse di tutto il mondo; -e forse aveva dal deforme Esopo strappato, -con la linea esterna, anche una -scintilla di immortale gaiezza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -</p> - -<p> -Già! Cadrebbe in errore chi imaginasse -Socrate come un melanconico, -oppure un infastidito. Era così bella la -vita, e così splendente il suo pensiero! -E poi come si poteva far amare la sapienza, -se la sapienza ha il tristo privilegio -di renderci melanconici? -</p> - -<p> -Io non dico per ciò che fosse un ottimista, -perchè ottimista vuol dire anche -imbecille. Ecco: era un uomo allegro, -che però non fu aiutato dal cielo, come -dice il proverbio, che il cielo aiuta gli -uomini allegri. -</p> - -<p> -Anche quando Anito, un signore di -cui parleremo più avanti, lo obbligò in -fine a bere la cicuta, egli non era di -cattivo umore verso l’umanità! Non -disse come Cristo: «passi lungi da me -questo amaro calice!» ma bevve la sua -cicuta. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -</p> - -<p> -Ma era possibile che per un po’ di cicuta -propinata dalla malvagità di Anito -e compagni si dovesse spegnere del -tutto questa bella lampada del sole? e -tutta quella bella lampada ardente che -era dentro di lui, dovesse scomparire? -E allora dove andava a finire la logica? -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Brutto, dunque, col mantello un po’ -in disordine, gioviale, anzi pieno di spirito, -come si dice noi, e piuttosto avanti -con gli anni. Attorno poi a questo vecchio -c’erano molti bei giovani. Sì, così! -Ma per carità, non venga in mente un -professore. -</p> - -<p> -Perchè questo paragone è stato fatto, -ma è erroneo per molte ragioni, fra cui -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -non ultima è questa: che Socrate dichiarava -apertamente di non saper nulla; -e un professore che oggi dicesse così, -verrebbe squalificato, nè alcun merito -avrebbe per aver, forse, dichiarato il -vero. -</p> - -<p> -A me, dunque, pare di vedere questo -vecchio Socrate per le vie di Atene. -Egli conosceva tutti nella sua cara città -e da tutti era conosciuto. Fermava la -gente, ammiccava con quei suoi occhi -grossi, sorrideva, si studiava di parere -piacente, anzi allettatore. In quella città -loquace come le sue cicale, egli era loquacissimo -con tutti. Fermava la gente -e diceva: -</p> - -<p> -— Amico, bada a me, io sono un -buon mezzano: sai che ci stanno di belle -giovinette lassù? Di’, le vogliamo andare -a trovare? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -</p> - -<p> -— Sì bene, o Socrate, e come si -chiamano esse? -</p> - -<p> -— Una si chiama Aretè (Virtù), l’altra -Enkràteia (Temperanza): e poi c’è -Dike (Giustizia), c’è Sofrosine (Saggezza). -</p> - -<p> -— Sta buono, Socrate; tu hai tempo -da perdere: lasciami andare per le mie -faccende.... Dike è un pezzo che ha abbandonato -il mondo degli uomini. Lo -dice anche Esiodo. Si vede che fra noi -non ci stava troppo bene ed ha chiesto -a Giove il passaporto. -</p> - -<p> -— Ma di’, amico, non vogliamo noi -diventare belli e buoni, e richiamare in -terra la nobile Dike, anche se ella si è -disgustata di noi, e promettere di non -farle più oltraggio? E non ci piglieremo -noi cura della bellissima Aretè, figlia -abbandonata? E non ti pare ella cosa -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -per cui noi saremmo superiori agli Dei, -non fare mai oltraggio e torto a nessuno, -nemmeno, sì, nemmeno ai nostri -nemici? -</p> - -<p> -— Sono cose troppo difficili. Io credo -che sarà bene rimandarle per un’altra -volta. Ora preferisco ragazze di più dilettevole -genere che la non più giovane -signorina Aretè. Sai che c’è in Atene -Cleonetta, Socrate caro? È il più bel -fiore che io abbia mai visto sbocciare -nei giardini umani; essa poi è stata -qualche tempo a scuola a Mitilene, nell’isola -di Lesbo, ed è sbarcata, or non -è molto, piena di sapienza e di entusiasmo. -</p> - -<p> -— Oh, amico, — gli rispondeva Socrate, — pensa -a questa cosa: le tarantole -che sono ragni grandi non più di -mezzo òbolo, se toccano l’uomo con la -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -bocca, lo straziano e gli fanno perdere -il giudizio. Se tanto arriva a fare una -bestia così piccola, pensa che cosa può -fare una bestia così grossa con i suoi -baci! E poi, di’ un po’, dov’è la dignità -dell’uomo, dov’è la libertà dello spirito, -ed anche la sanità del corpo a star -lì, appiccicato ad una donna, a domandare -la carità dei baci come un mendicante? -</p> - -<p> -— Avrai ragione anche qui, non ti -dico di no. Ma se tu mi incominci a far -della morale, ti saluto gioia della vita! -Preferisco Cleonetta. -</p> - -<p> -E quegli se ne andava. -</p> - -<p> -E allora Socrate ne fermava un altro: -— To’, senti: io ho una vergine, la più -bella di tutte le donne.... -</p> - -<p> -— Più di Leena? più di Cioè? -</p> - -<p> -— Più di tutte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -</p> - -<p> -— Vediamo se la conosco. Si chiama?... -</p> - -<p> -— Eleuteria (Libertà). -</p> - -<p> -— Va, pazzerellone! Eleuteria? La -libertà? Vergine costei? Vecchia baldracca -ella è! Non c’è nessuna spia, -vero? nessun sicofante c’è qui vicino -che ci ascolti? Bene, senti, Socrate mio: -io non ne posso più della libertà, siamo -soffocati dalla libertà, qui in Atene. -Come si stava bene quando il lacedemone -Lisandro inaugurò coi suoi trenta -Tiranni il sistema della cuffia del silenzio -e delle verghe! I galantuomini potevano -vivere in pace, in quei giorni di -stato d’assedio. Oggi la libertà è tutta -a beneficio dei politicanti e dei birbanti. -Oh, ma non ti scappi mica per detto, -sai! -</p> - -<p> -— Ma io non ti parlo, o ammirabile -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -uomo, di quella libertà; ma di un’altra -libertà ben più vera: la libertà dell’animo -io voglio dire. -</p> - -<p> -— Bravo, Socrate, e di quella poi -cosa me ne faccio? Mi dovrò regolare io -con la mia testa e non con la testa degli -altri? Ma sai che è una vaga fatica questa -che mi vuoi far fare tu? No, caro -Socrate, la libertà dell’anima sarà una -cosa assai bella; ma, credi, non è pratica. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Non v’erano che i giovani, l’eterna -purità della vita, non ancora contaminata -dall’esperimento, che lo ascoltavano -con entusiasmo. -</p> - -<p> -La divina giovinezza ha sempre creduto, -e crede anche oggi, che sia cosa -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -facile rinnovare il mondo. E ci credeva -probabilmente, anzi certamente, anche -Socrate. Egli era vecchio, sì bene; ma -il mondo era giovane; il mondo era piccolo, -il mondo era Atene, utero dell’avvenire. -</p> - -<p> -Oh, i giovani subivano il fascino dell’ammirabile -favolatore. Essi venivano -da lontano per ascoltarlo. Antistene di -Tracia faceva quaranta stadi al giorno -per poterlo ascoltare; Euclide di Megara -si travestiva da donna per potere -entrare in Atene, e le parole di lui accendevano -tale ebbrezza che nell’udirle -balzava a quei giovani il cuore come ai -coribanti. E quali potenti ed ingenue -imagini essi trovarono per esaltare il -loro maestro! Memnone, un altro discepolo, -paragonava Socrate ad una torpedine, -che è un brutto pesce di mare, -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -gelatinoso, tutto maculato e a bitorzoli; -ma guai a chi lo tocca: dà una scossa -e fa cader nel torpore. Così la parola -di Socrate faceva cadere l’anima in un -divino torpore. -</p> - -<p> -Bisognava chiamarsi Anito per rimanere -insensibili! -</p> - -<p> -Ma il bell’Alcibiade aveva un paragone -anche più folgorante e superbo. -Egli diceva: «Tu, o Socrate, sei come -un Sileno, buffone al di fuori con zampogne -e con flauti in mano; ma divino -dentro tu sei, e tutto pieno delle terribili -imagini dei Numi». -</p> - -<p> -Oh, incredibile paragone! Dunque -attraverso la corporalità materiale di -Socrate intuivano quei giovani alcunchè -di divino e di terribile? Sì! Essi, attraverso -la mobilità irrequieta dei gesti e -delle parole di Socrate, vedevano una -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -cotale impassibilità interiore, un che -di incognito di dentro, proprio come -quando noi riguardiamo negli occhi -aperti, ma senza luce, di una statua di -nume greco. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -— Ma sai tu, o uomo, — proseguì allora -Socrate, accendendosi di entusiasmo -contro colui che non sapea che farsene -della libertà, — sai tu il segreto -degli Dei? -</p> - -<p> -— Io no, ma se è bello raccontalo! -</p> - -<p> -— Sai tu quello che il Dio ha detto -all’uomo? Dio ha detto all’uomo: io non -ti do un volto, non ti do una sede fissa, -non ti do una speciale forza o istinto -come agli altri animali; ma quello che -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -vorrai, sarai. Tutte le altre cose ubbidiscono -a leggi immutabili; tu, uomo, -sei nell’arbitrio tuo. Tutto ha confine; -ma tu, uomo, lo stabilirai tu il tuo confine. -Ti collocai in mezzo al mondo perchè -tu vedessi quello che è il mondo. -Non ti ho creato nè terreno, nè celeste, -nè mortale, nè immortale. Sarai quello -che tu vorrai! Tu, tu potrai, se vuoi, -degenerare giù sino ai bruti; potrai, se -vuoi, trasformarti sino agli Dei.... -</p> - -<p> -— Bravo, — rispose l’allegro Ateniese, — e -i miei affari allora? Ci badi -tu ai miei affari? Dare la scalata all’Olimpo? -All’Olimpo della ricchezza, -del gran <i>chic</i>, eh, eh! ci starei. Ma all’Olimpo -degli Dei, oibò, Socrate! Oh, -ma guarda, Socrate, Socrate, già che -tu mi costringi a pensare anche con la -mia testa, guarda un po’: gli Dei poi in -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -fin dei conti cosa sono? un gran <i>chic</i>, -un gran <i>snob</i>. Te lo dimostro subito: -noi andiamo a piedi o a cavallo, se abbiamo -il cavallo: loro vanno in processione -sulle nubi: noi soffriamo qualche -volta di indigestione, essi no: essi godono -il piacere della guerra, ma evitano -la noia di farsi del male o di morire: -essi si divertono a mettere al -mondo figliuoli, ma hai visto mai Giunone -fasciare ed allattare marmocchi o -Giove condurli a scuola? «Gli Dei dinanzi -al piacere posero il sudore!» -hanno sentenziato gli Dei. Bella sentenza! -Per i minchioni, però. Hai visto -mai un Dio sudare? Mai! Bensì dall’Olimpo -loro si divertono a veder sudare -gli uomini e dicono: «Oh, gli industri -uomini!» Dunque sì, Socrate, io -voglio essere simile agli Dei, cioè stare -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -in panciolle, libero di godere e niente -lavorare. -</p> - -<p> -— Altri, altri Dei più veri e più -grandi.... — disse Socrate. -</p> - -<p> -— Questi li hai tu nel tuo cervello -strambo, o Socrate. Va là, non mi far -pensare! Sai tu perchè Giove ha quella -bell’aria gioviale; è sereno, olimpico, -beato, ed è decorato di quella bella barba -nero-turchina, con quella capigliatura -solida che gli ha appiccicato Fidia? -Perchè pensa poco, caro! Perciò -non ha mai mal di testa. La sola volta -che se la sentì un poco pesante, prese -una purga e venne fuori Minerva: una -dea, sia detto fra noi, un po’ turbolenta -e seccante, benchè sia la protettrice -della nostra città. -</p> - -<p> -E colui se ne andava. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Colui se ne era andato; ed ecco cautamente -un leggiadro giovanetto si accostò -a Socrate. Questo giovanetto oltre -che leggiadro e ben vestito, era anche -molto prudente. Il suo nome era Iscomake. -Costui era innamorato di una -bella giovinetta, la quale filava virtuosamente -la lana nel gineceo, con le ciglia -abbassate, accanto alla cara madre. -</p> - -<p> -Ora Iscomake vedeva sotto le grandi -ciglia abbassate modestamente della -sua cara fanciulla passare un lampo delizioso -che gli metteva i brividi addosso, -e quel lampeggiare diceva: «Iscomake, -Iscomake, sapessi come mi annoio qui, -nel gineceo, a filare, soletta soletta, la -lana, e come mi è faticoso oramai essere -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -savia, savia, savia, come mi dice sempre -la mamma!» -</p> - -<p> -Anche vedeva quel suo bianco piccolo -piede nudo, sorretto da un sottile -calzare che le dava una grazia ed una -venustà senza pari; sentiva l’umido -profumo della sua chioma nera e delle -sue carni di ambra. -</p> - -<p> -Dunque Iscomake era molto innamorato -ma anche molto prudente. Egli -perciò, sapendo della grande sapienza -di Socrate, gli domandò: — Socrate, faccio -bene o faccio male a prender moglie? -</p> - -<p> -E Socrate contemplò con quei suoi -occhi la ingenua giovinezza di Iscomake, -e disse: — Io dico, Iscomake, che -quale di queste due cose farai, tu te ne -pentirai. -</p> - -<p> -— Oh, Socrate, — disse il giovane. — quale -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -risposta è la tua! Pensa che i -miei genitori e i genitori di lei oramai -tutto hanno disposto perchè le nozze avvengano -nel più breve tempo, ed io altra -cosa non desidero più ardentemente. La -mia domanda a te, che sei savio, voleva -piuttosto dire questo: «che cosa -è il matrimonio? come devo comportarmi -verso quella che amo, e come lei -verso di me, affinchè noi possiamo condurre -una vita felice?» -</p> - -<p> -E Iscomake cominciò a lagrimare, -come quegli che vedeva per quella strana -risposta un’ombra lugubre distendersi -sull’orizzonte della sua vita. -</p> - -<p> -— Io ti rispondo come è veramente: -io ti dico, Iscomake, — disse Socrate, — che -tu farai male a non prender moglie, -e la ragione è questa: perchè la -casa dell’uomo senza la donna è infinitamente -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -triste. Il focolare di Vesta, -o amico, non arde e non riscalda, se -Vesta, la dea, cioè la donna, manca -nella casa. -</p> - -<p> -— Ed allora, perchè, o Socrate, io mi -pentirò lo stesso se prenderò moglie? -</p> - -<p> -— Perchè tu, Iscomake, credi che -il matrimonio sia la soddisfazione del -piacere, mentre è la soddisfazione della -saviezza. -</p> - -<p> -— Oh, per questo, Socrate, — disse -Iscomake, — sta pur sicuro che i miei -genitori mi hanno allevato bene: mio -padre mi ha sempre detto: «il tuo dovere, -Iscomake, è di esser savio». -</p> - -<p> -— Bene, Iscomake. E la tua sposa? -È savia anche lei? -</p> - -<p> -— La madre di lei, — rispose Iscomake, — le -ripete sempre: «il tuo dovere, -figliuola, è di essere savia». -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -</p> - -<p> -— Sa tessere e filare? -</p> - -<p> -— Sa tessere e filare. -</p> - -<p> -— Docilmente e silenziosamente? -</p> - -<p> -— Io credo di sì, Socrate. -</p> - -<p> -— Hai osservato anche se per caso -non abbia disposizione a consumare in -un mese quello che deve bastare per un -anno? a comparire più bella di quello -che è, perchè il matrimonio — bada! — è -anche la società di due corpi! -</p> - -<p> -— Ha quindici anni soltanto, Socrate. -Ma io credo che sia massaia, silenziosa, -docile, modesta. Però ti dico -che a tutte queste cose non ho mai pensato. -Ad ogni modo io farò come fanno -tutti gli altri Ateniesi che hanno moglie: -provvederò che le serrature del -gineceo chiudano bene. -</p> - -<p> -— Sì, ma questo che si usa in Atene, -non è, o Iscomake, il matrimonio -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -come fu stabilito dal Dio che ha costruito -il mondo, — disse Socrate. -</p> - -<p> -— Che cosa ha stabilito il Dio, quello -che tu chiami il costruttore del mondo? -</p> - -<p> -— Ha stabilito che il matrimonio -fosse una specie di giogo, o tiro a due, -rappresentato da un uomo e da una -donna. Ti spiegherò meglio: una società -mutua in cui le condizioni dei -due contraenti, cioè dell’uomo e della -donna, siano perfettamente eguali e -squisitamente leali. Il contratto non -sarà leale, se, per esempio, la donna -cercherà di apparire più bella col lavorarsi -la faccia, o più affascinante col -camminare sopra un paio di sandali -alti! -</p> - -<p> -— Ed anche se io sono più ricco di -lei, lei sarà uguale a me? — domandò -Iscomake. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -</p> - -<p> -— Anche, Iscomake! Se lei saprà -meglio di te amministrare questa società -del matrimonio, lei sarà superiore -a te. E se la donna sarà migliore dell’uomo, -tu sarai ben felice di esserle -servo e cavaliere. -</p> - -<p> -— Ma questa cosa non si è mai sentita -dire, che la donna sia uguale all’uomo, — disse -Iscomake. -</p> - -<p> -— Eppure è proprio così, — rispose -Socrate. — L’uomo e la donna sono stati -fabbricati con le stesse facoltà, e per -questo non si distingue se sia superiore -il genere maschile o il femminile. La -differenza consiste in questo, che i due -sessi non sono adatti per le stesse cose: -anzi il Dio punisce l’uomo che fa -opera da donna, e la donna che fa opera -da uomo. L’uomo è più adatto per le cose -esterne; la donna, per le cose interne. -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -La donna ha più affettività, una attività -più solerte e minuziosa, un senso -di previdenza del pericolo. Alla sua -volta l’uomo è più forte ed ha il dovere -della intrepidità e della difesa. Perciò i -due sessi si completano in quanto l’uno -ha bisogno dell’altro. -</p> - -<p> -— E quando la donna diventa brutta -o vecchia, — domandò Iscomake, — non -la ripudierò io per prenderne un’altra -più bella e più fresca? -</p> - -<p> -— Quanto più la donna — disse Socrate — sarà -buona compagna, custode -di te, dei figli, della casa, tanto più la -onorerai, perchè i veri beni si acquistano -non con la bellezza, ma con la virtù. -</p> - -<p> -— Ma allora il matrimonio è un -esercizio di virtù, — disse Iscomake, -molto avvilito. — E tutto questo sacrificio, -perchè? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -</p> - -<p> -— A vantaggio del genere umano, — rispose -Socrate. — Il piacere serve -per la vita, ma non è la vita. -</p> - -<p> -Ora Iscomake aveva poco più di -vent’anni. Egli aveva pensato a portarsi -a casa la sua adorabile giovinetta, -e non a lavorare per il genere -umano. -</p> - -<p> -Era il volto di Iscomake assai triste -e avvilito, nè sapea che rispondere, -quando improvvisamente esclamò: -</p> - -<p> -— Ecco, ecco, anche tu, Socrate, ti -volti e la guardi! -</p> - -<p> -In quel punto passava Cleonetta, la -bella etèra che era stata agli studi -nell’isola di Lesbo, ed ora era venuta -in Atene a vendere rose; e profumo di -rose e di muschio sfuggiva dalla sua -persona, come da un’anfora. -</p> - -<p> -— Che mi guardi anche tu, figlio di -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -Sofronisco? — disse la bella etèra. — Sta -in pace, Socrate, la deliziosa taràntola -non morderà al tuo vecchio cuoio! -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Che cosa abbia poi deliberato il giovanetto -Iscomake, noi non sappiamo e -ci interessa ben poco. A noi importa di -assicurare che il discorso su riferito non -è per niente una nostra invenzione: ma -è autentico. Esso dimostra che razza di -complicazione fosse fin da allora il matrimonio -nella mente di quel giudizioso -filosofo! -</p> - -<p> -Ah, se invece di un Dio, grande Architetto -dell’Universo, fosse stata una -Dea, la Architetta, le cose sarebbero -passate più semplici e meno melanconiche! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -</p> - -<p> -Ma una cosa a me sta a cuore di notare -in questi ragionamenti di Socrate -ad Iscomake intorno al matrimonio, ed è -la questione dei calzari, che noi diremmo -delle scarpette. -</p> - -<p> -Si tratta di una seria questione, perchè -Socrate dice: «il contratto fra l’uomo -e la donna non sarà leale se la donna -cercherà di apparire più splendente -col tingersi la faccia, o più dominante -ed affascinante camminando sopra un -paio di sandali alti». -</p> - -<p> -Ora è il vero che un paio di pantofole — invece -delle scarpette — rendono una -donna antiestetica, e non è questa una -scoperta — come ben si vede — fatta -ai nostri tempi! -</p> - -<p> -E generalmente accade che una donna -preferisce apparire sleale piuttosto che -antiestetica per colpa delle pantofole. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -</p> - -<p> -Tuttavia è indiscutibile che le pantofole -hanno, sotto un certo aspetto, un -pregio molto superiore alla questione -della lealtà: esse non fanno rumore! -</p> - -<p> -Imaginiamo una moglie che passi come -un crotalo da una stanza all’altra, -battendo sul pavimento i tacchi alti delle -sue scarpette; e un’altra moglie invece -che si muove silenziosamente, monacalmente -silenziosa entro due pantofole.... -</p> - -<p> -Ah, sì! io lo so: un’anima giovane -di uomo rimane atterrita da quelle pantofole: -egli sogna due tacchi alti in due -scarpette lucide. E dato il caso che possano -far rumore, ci stende sotto una -processione di viole e di rose, o più semplicemente -un folto tappeto d’oriente. -E dopo le scarpette, sogna due mani -carezzevoli ambrate e profumate, che -sono il prolungamento tattile di due -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -braccia tenere e poderose insieme, le -quali — quando lui torna a casa con la -bocca un poco amara per avere mangiato -le prime foglie secche della delusione — gli -si avviticchiano dietro le -spalle; e le mani soavi gli si posano -sulle guance, poi sugli occhi. Una voce -adorabile dice intanto: «Mi conosci, -amore? Chi è? È la tua adorabile sposina?» -E spesso le lebbra umidette e -ristrette si allungano, si applicano sul -volto dell’uomo in un’azione benefica, -e, dirò così, antiflogistica, come fa la -sanguisuga che porta via le acrità e -il mal calore del sangue. -</p> - -<p> -Io ho visto questa semplice e deliziosa -scena ripetuta molte volte sui teatri -da alcune nostre graziosissime attrici, -per le quali la menzogna è piacere -e insieme dovere professionale: e devo -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -confessare che in verità erano meravigliose -operazioni allo scopo di rinfrescare -l’uomo dopo il calore della battaglia -quotidiana. -</p> - -<p> -Dopo ho veduto l’uomo alzarsi, scuotersi, -buttare quasi a terra le scaglie -del dubbio, della tristezza, dell’abbattimento: -balzare in piedi rinnovato di -fronte alle lotte della vita, come se -avesse dormito dodici ore di sonno riparatore. -Egli esclama: «Adesso mi -sento forte!» -</p> - -<p> -Questo spettacolo è attraente e seduce -non soltanto i giovani, ma anche -i vecchi spettatori; e chi ha di già preso -moglie e questa si è fatta acida e matura, -sogna di procurarsi una seconda -moglie o qualcosa di equivalente, con -cui ripetere questa cura igienica ed insieme -patetica. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<p> -Nella realtà della vita questo spettacolo -bellissimo si ripete come sul palcoscenico: -ma con meno frequenza. -</p> - -<p> -Il giovane, ahimè, dimentica che le -rose e le viole fioriscono in tempo di -primavera; che i tappeti orientali costano -caro; e che quello spettacolo che -abbiamo descritto, riesce bene, se esiste -anche un’abile cuoca che sopraintenda -alla cucina. -</p> - -<p> -Se queste ed altre condizioni non si -mettono insieme, l’esperienza a lungo -andare riesce col non riuscire più bene. -Anzi non soltanto non riesce affatto; -ma può accadere di vedere quelle care -labbra, già socchiuse ai baci, ingrandirsi -smisuratamente, come in un’antica -maschera tragica, ed in cambio -delle parolette flautate, sgorga un torrente -di male parole, di recriminazioni -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -amare, triste seme di frutti più -amari. -</p> - -<p> -Ma gli uomini, con tutto questo, seguitano -ad andare in cerca di quelle -donne che portano le scarpette lucide, -coi tacchi sovrani; ed anche Socrate, -dopo il saggio discorso, si era voltato -a contemplare Cleonetta, la bellissima -etèra. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -</p> - -<h2 id="cap4">IV. -<span class="smaller">Socrate e la Morte.</span></h2> -</div> - -<p> -Socrate col lungo naso fiutava la -scìa dei profumi che lasciava dietro a -sè Cleonetta, quando ecco un altro giovane -di nome Clinia, figlio di Assioco, -che accompagnato da un amico e dal -suo maestro di musica, corre per le vie -di Atene: — Socrate, Socrate, — grida, — dove -è Socrate? -</p> - -<p> -Lo trovò alfine. Egli era presso all’Ilisso, -dove sgorga la Bella Fontana. -Allora Clinia, riempiendosi gli occhi di -lagrime, disse: — Ora è tempo, Socrate, -di mostrare coi fatti quella sapienza -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -che tu lodi sempre. Non sai? mio padre -è in fin di vita: egli che poco fa si rideva -di quelli che hanno paura della -morte, ora è disperato! Vieni, vieni tu -a confortarlo, così che egli senza lamenti, -si avvii al suo fato, ed io mostri -di essere anche in ciò pietoso figliuolo. -</p> - -<p> -E Socrate, levandosi, disse: — Tu -non chiederai inutilmente a me cosa alcuna -che sia giusta; ma questa poi è -santa! — E si affrettò verso la casa di -Assioco. Come vi arrivarono, videro costui -il quale giaceva nel letto ed era -molto disperato perchè doveva morire. -Assioco era stato, come noi diremmo, -un lottatore della vita, un uomo politico. -Ma allora era assai languido ed -afflitto, perchè doveva assolutamente -morire. -</p> - -<p> -Socrate, appena lo vide, così gli parlò: — Oh, -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -ma cosa è questo, Assioco? -Come? tu che ti sei sempre mostrato -valoroso nei finti combattimenti, adesso -hai paura di quelli veri? Ma non sapevi -tu che la vita è come una peregrinazione, -un passaggio? No, non è da -uomo nè da Ateniese lamentarsi così. -</p> - -<p> -— Belle parole, Socrate, — rispose -Assioco faticosamente, — ma non valgono -un fico secco: io ho paura, capisci -tu?, quando penso che fra poco sarò -senza luce e privato di tutti i miei poderi -e delle mie ricchezze, e mi sentirò -trasmutato in putrefazione ed in vermini; -e questo avverrà in qualunque -luogo mi mettano. Sai tu che è orribile? -</p> - -<p> -— Ma tu parli, Assioco, — disse Socrate, — come -se dopo morto avessi da -tornare ancora vivo! Di’ un po’, Assioco, -al tempo del governo di Dracone -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -soffrivi tu qualche male? No, perchè tu -non eri ancor nato. Bene, così tu non -soffrirai nessun male dopo morto. Dove -vuoi che trovi posto il male, se tu non -ci sarai più? -</p> - -<p> -— Ma è — ripeteva Assioco — che -io voglio bene alla vita e che adesso -soffro per il dolore di vedere distrutta -la mia vita! -</p> - -<p> -E allora Socrate cominciò, per confortarlo, -a raccontare tutti i mali della -vita: «Gli Dei filarono ai mortali una -dolorosa vita, perchè nessun animale è -più miserabile dell’uomo fra quelli che -respirano l’aria e strisciano per terra». -</p> - -<p> -E siccome Assioco era stato uomo di -governo, e Atene era una città democratica, -così Socrate gli parlò di tutti gli -inconvenienti della democrazia, come io -credo avrebbe parlato di tutti gli inconvenienti -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -della aristocrazia, se Atene -fosse stata una città governata a tirannide. — Tu, -mio caro, — diceva Socrate, — sei -stato come un balocco in mano -della plebe: oggi applausi, feste, carezze: -domani sei stato fischiato, esigliato, -scomunicato. Ti pare? È una -bella vita questa? -</p> - -<p> -— Sì, sì, — dice Assioco, — questo è -vero. Quel cervello balzano di Aristofane -che disse male di tutti, in fine non -aveva torto quando satireggiò il Demos; -ed io lo so, che ci sono stato -dentro. Chi si accosta al popolo è molto -più miserabile di lui. Ma anche con -tutto questo di morire non ne voglio -sapere: io voglio invece diventare vecchio, -molto vecchio; ma non morire. -</p> - -<p> -E allora Socrate cominciò dolcemente -a persuaderlo che diventar vecchi è una -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -cosa anche più brutta che aver da fare -col popolo. — La Natura, vedi, Assioco, -ci ha dato la vita come fosse un prestito. -Un’usuraia, sai, è la Natura! Se -tu non sei disposto a restituirle il suo -prestito, cioè la vita, lei te la ipoteca, ti -mette le mani alla gola, ti porta via la -vista, l’udito. Tu resisti? e lei ti rende -paralitico, brutto. Tu resisti ancora? e -lei ti rende imbecille come un bambino. -Ecco perchè molti vecchi sono come -bambini. Credi, Assioco, che la partenza -da questa vita non è che un passaggio -da un male ad un bene, tanto è -vero che gli Dei liberano molto presto -dalla vita quelli che essi amano. -</p> - -<p> -— Bravo! — sospirò con amaritudine -Assioco. — E allora tu che sai tutte -queste belle cose, perchè stai al mondo? -perchè non muori anche tu? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -</p> - -<p> -— Caro, è qui l’errore, — disse Socrate. — Ma -io non so che poche cose, -e le più comuni, che sono quelle che ti -ho dette. Queste poche cognizioni che -io possiedo, le ho comperate da un gran -sapiente, che però, bada, se le faceva -pagare. Niente per niente. Per alcune -cognizioni voleva otto oboli, per altre -due dramme; alcune non le cedeva che -a quattro dramme l’una. Io ci ho speso -tutto quel po’ che mi lasciò il mio povero -padre. Ma credi, che ne sono contento, -perchè da ora innanzi, o Assioco, -la mia anima desidera la morte. -</p> - -<p> -— Be’, contami un po’ su, — disse -Assioco, — perchè la tua anima desidera -la morte. -</p> - -<p> -E allora cominciò Socrate a dire il sogno -delle meravigliose parole. Oh, allora -quale olio santo egli recò al morente! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -</p> - -<p> -Oh, preti; oh, preti, che al morente -ripetete le lugubri parole di non so quale -enorme peccato, ed impassibili compite -i gesti macabri col crisma, leggete di -Socrate, e interpreterete meglio Cristo, -redentore nostro! -</p> - -<p> -Perchè Socrate apri le sue labbra e -disse: — Oltre alle cose che ti ho dette, -vedi, Assioco, vi sono molte e belle ragioni -per credere anche nell’immortalità -dell’anima. Ma ti pare che una natura -mortale avrebbe potuto levarsi a -tanta altezza da domare le belve, passare -i mari, conoscere il cammino del -sole e delle stelle, fondare le città, gli -stati, tramandarne la memoria, se non -ci fosse in noi uno spirito immortale? -Io credo proprio che tu non andrai verso -la morte, ma verso la immortalità, o -Assioco! Perchè tu devi sapere che l’anima, -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -essendo sparsa per i pori del -corpo, si trova come imprigionata in -questa materia, e perciò desidera di ritornare -al suo luogo proprio, al suo -principio, così che non appena ti sarai -liberato da questa composizione corporale, -tu ti troverai immerso nell’eternità, -cioè in una nuova vita senza dolore -e senza vecchiaia, dove tu potrai contemplare -tutta la verità, viva e fiorente, -e potrai ragionare sul serio, mentre sino -a qui tu hai ragionato, o per far piacere -alla moltitudine o per metterti in bella -vista. Consòlati, dunque, consòlati, Assioco: -non c’è posto per la morte, perchè -non c’è un atomo che essa possa ridurre -in niente. -</p> - -<p> -Ma ad Assioco poco importava della -prigione del corpo dove si era sempre -trovato abbastanza bene, e meno ancora -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -della verità fiorente: voleva sapere di -preciso quello che sarebbe accaduto di -lui personalmente; e allora Socrate gli -parlò della geografia di oltretomba, cosa -molto incerta anche allora, cioè di certe -beate isole dove vanno a finire i morti. -</p> - -<p> -— Queste beate isole lontane sono -circondate dal profondo oceano. Tre -volte all’anno la terra ferace matura di -per sè rigogliosi frutti e dolci come il -miele. Le anime dei morti vi soggiornano -libere da ogni affanno. Ma bada, -Assioco, che prima di arrivare a quelle -isole, si va in una pianura chiamata il -luogo della verità perchè lì ci stanno i -giudici, e bugie non se ne possono dire, -nè i giudici si possono comperare come -in Atene. Se nella vita sarai stato buono, -o Assioco, se sarai vissuto piamente, -allora essi ti imbarcano per quelle isole -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -che si chiamano Fortunate: la primavera -lì non finisce mai, gli alberi sono -pieni di frutta, vi sono banchetti, danze -e molti altri divertimenti, come mi disse -un mago che mi ha insegnato tutte queste -cose. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Quest’ultimo genere di discorso consolò -Assioco più di ogni altro discorso. -</p> - -<p> -— Se è così, quasi quasi mi fa piacere -di morire, — disse, — benchè morire -sia in tale caso un termine improprio, -non ti pare, Socrate? -</p> - -<p> -— Ma certamente! Noi non moriamo; -noi andiamo all’immortalità. -</p> - -<p> -— E allora senti, Socrate: torna -dopo mezzogiorno a ripetermelo un’altra -volta questo bel discorso. Adesso -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -mi metto qui quieto! — E le palpebre -gli scesero giù, e Assioco vide il suo -viaggio verso le Isole Fortunate, con -tutte quelle belle cose che lo aspettavano -di là. Peccato che ci fosse quella -pianura della verità; ma sperava di cavarsela -abbastanza bene. Del resto, poi, -tutto il mondo è paese, e i giudici di -quella pianura era probabile che fossero -anche loro un po’ come quelli di -Atene, cioè gente da bene con cui non è -difficile venire ad onesti accomodamenti. -</p> - -<p> -Stette un po’ Socrate riguardando silenziosamente, -quando Assioco si riscosse -e domandò: -</p> - -<p> -— Credi tu, Socrate, che sia necessario -molto denaro portare nell’Ade? -</p> - -<p> -— Non credo. -</p> - -<p> -Assioco volse, consolato, uno sguardo -verso il forziere dell’oramai vana pecunia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Socrate uscì piano piano dalla camera -di Assioco, e additò il morente, -ora tranquillo e sopito, a Clinia; e dopo -alquanto si ritrovò ancora presso l’Ilisso, -alla Bella Fontana, che era un luogo -fuori di porta. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -</p> - -<h2 id="cap5">V. -<span class="smaller">Questioni molto serie -proposte da Santippe a Socrate.</span></h2> -</div> - -<p> -Ed era oramai il mezzodì. -</p> - -<p> -Volgendo gli occhi in alto, si vedeva -sul vertice enorme del Partenone la -gran figura bronzea di Pallade folgorante -nel sole, erta sopra tutti gli Dei, -tutta chiusa nelle armi; il divino suo -volto e l’asta protesa contro ogni barbarie. -</p> - -<p> -Socrate, seduto presso la fontana, -pensava al padre suo che fu un uomo -buono, ed alla madre sua. Ambedue -erano morti da molto tempo, ma egli li -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -rivedeva presenti ancora, al di là della -morte. -</p> - -<p> -E la bella fontana mormorava nel -mezzodì. -</p> - -<p> -Suo padre era stato uno scultore e si -chiamava Sofronisco; la madre sua si -chiamava Fenarete, ed era stata una -levatrice. Ebbene, egli proseguiva nel -mestiere del padre e della madre: era -uno scultore di anime ed un alleviatore -del dolore umano, come sua madre, la -levatrice. -</p> - -<p> -Pensava anche alle fole dette ad Assioco, -a quelle improvvise, strane parole -che gli erano venute su dal cuore: -<i>Oltre a ciò sappi, o Assioco, che -molte e belle sono le ragioni le quali -mostrano la immortalità dell’anima</i>; -e non sapeva più se quelle erano fole -o realtà. Il rombo delle sue parole al -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -morente gli durava ancora nel cuore. -Dolce è il profumo d’ambra e di rose -che sprigionava il corpo di Cleonetta: -dal disfatto corpo di Assioco già si diffondeva -il lezzo della morte. Misteriosi -sensi! Eppure vi doveva essere una resurrezione; -un divino eterno ritorno! -</p> - -<p> -Il sole faceva splendere la non lontana -marina. Lontano, lontano, in più -lontano mare, ecco apparire le Isole -Beate; e sul prato dell’asfodelo sotto il -gran verde di belle piante, sorridevano -coloro che piansero in vita; quelli che -qui soffersero per ingiusto giudizio, -erano colà da più veri giudici consolati. -</p> - -<p> -Felicità inconcepibile! E allora Socrate -ripetè a sè stesso quelle parole -che poco prima aveva dette ad Assioco: -«Da quest’ora l’anima mia desidera la -morte!» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -</p> - -<p> -La fontana mormorando dolcemente, -pareva consentire con lui; e su nel cielo -il sole pareva una grande pupilla che -lo guardasse. Egli riguardò nel sole, e -come un brivido gli passò per il cuore -in quel calore del mezzodì. Forse non -fu soltanto Sofronisco il padre suo nè -Fenarete la sua sola madre; forse anche -quello lassù, il sole, Apolline, fu il padre -suo. -</p> - -<p> -Ma oramai era già trascorsa l’ora che -gli Ateniesi dicevano del mercato vuoto, -cioè del mezzodì, quando tutti ritornano -a casa. -</p> - -<p> -Ed anche Socrate si avviò, come era -usato, verso casa, e tutta la sua mente -era infiorata e come inabissata in questi -pensieri della vita e della morte. Ma -non appena fu giunto in vista della sua -casa, sentì la voce di Santippe, la quale -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -era su la porta, e disse: — Tu diventi -un po’ carogna, Socrate! Mi sai dire -cosa si fa oggi da mangiare? Tu vai via -la mattina; non lasci nemmeno un obolo -per la spesa e poi quand’è mezzogiorno, -eccolo, bell’e fresco come una rosa. Cosa -credi che noi campiamo d’aria come le -cicale, o di chiacchiere come fai tu? Hai -portato almeno qualche cosa da desinare? -</p> - -<p> -Socrate non portava niente da desinare -perchè era stato astratto in altre -cose, nè aveva lasciato oboli molti per -la spesa, perchè ne aveva pochi. Socrate -infine non era ricco, anzi egli viveva -«in una miriade di povertà», come -ebbe a dichiarare. -</p> - -<p> -Disponeva, ben è vero, di un piccolo -patrimonio lasciatogli da suo padre, -compresa quella sua casetta; ma -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -tutto sommato, stando al computo che -fece Senofonte, — uomo pratico di affari, — il -suo capitale non arrivava alle -cinque mine, che sarebbe come dire cinquecento -lire, «al patto però che si -fosse trovato un buon compratore». -</p> - -<p> -Di questo capitale egli aveva speso -qualche obolo e qualche dramma per -comperare, come abbiamo veduto, quel -poco di scienza che possedeva: ma nell’esercizio -di rivendita non domandava -niente. Faceva con tutti come con Assioco, -a cui aveva dato così bei conforti -per prepararsi a morire. «A me costano -tanto» aveva detto, ma non disse, «e -tu dammi tanto». -</p> - -<p> -Già, egli avrebbe potuto mandare a -Clinia una nota delle sue prestazioni: -<i>Per avere consolato l’anima di tuo -padre, venticinque dramme</i>. Ma come -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -si fa? Come si fa a mandare la parcella -per simili cose? -</p> - -<p> -E bisogna dire ad onore di Santippe, -che non era lei sola a disapprovare questo -sistema gratuito di suo marito. -Qualcuno anche degli amici gli andava -dicendo: «Ma allora, Socrate, la tua -scienza non vale niente, se la dài per -niente». -</p> - -<p> -E Santippe continuava: «Mi sai dire -dove sei stato tutta questa mattina? A -predicare la castità ai passeri? Ad accarezzare -i capelli di Fedone, quel vergognoso -mistero del sesso che non è nè -uomo, nè donna? O sei andato a misurare -quanto è lungo il salto della pulce? -o a fare gli esperimenti sulle cicale per -vedere se le cantano con la bocca o col -deretano? Be’, cos’hai guadagnato?» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Egli aveva guadagnato meno ancora -di frate Egidio, seguace di San Francesco, -perchè frate Egidio voleva vivere -affaticandosi corporalmente, cioè della -sua fatica; e una volta andò a opera a -bacchiare noci, e quando le ebbe bacchiate, -gliene toccarono tante di sua -parte che si dovette levare la tonaca e, -legate le maniche ed il cappuccio, ne -fece un sacco che tutto riempì di noci. -Naturalmente non le vendette frate Egidio, -ma con grande letizia le distribuì -ai poveri. -</p> - -<p> -Almeno si fosse presentato così Socrate -a Santippe, con delle noci, dei -fichi, dell’uva da distribuire ai figliuoli, -che aveva piccini, e si sarebbero rallegrati -di quei doni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -</p> - -<p> -Ma niente! -</p> - -<p> -Che cosa doveva rispondere Socrate -a Santippe? -</p> - -<p> -Forse doveva offrirle il banchetto che -Santo Francesco offrì a Santa Chiara, -che lasciarono sulla mensa il pane corporale -perchè Santo Francesco nutrì -l’estatica monacella di pane spirituale? -</p> - -<p> -O doveva rispondere come Gesù Cristo: -«Guarda, Santippe, come crescono -i gigli delle convalli. Nemmeno Salomone -in tutta la sua splendidezza fu -mai vestito come uno di questi: guarda, -come si nutrono gli uccelli dell’aria»? -</p> - -<p> -Ma Cristo — come Santo Francesco — non -aveva figliuoli nè moglie che -avessero fame; e in caso proprio di necessità, -Cristo avrebbe operato la moltiplicazione -dei pani e dei pesci. Ma a -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -Socrate non venne mai in mente di operare -miracoli, o di camminare su le -acque come Cristo, o di risuscitare i -morti. E per tutto questo Socrate tacque -davanti a Santippe. E quanto a Cristo, -poi, sembra che anche Cristo fosse -seccato di dovere riposare il capo sopra -un cuscino di pietra, mentre gli uomini -usano cuscini di lana e di piume. -</p> - -<p> -Io devo credere che Socrate dovesse -rimanere assai malinconioso oltre che -silenzioso, davanti alle recriminazioni -di Santippe. -</p> - -<p> -Perciò io non so come facciano i -grandi scrittori a dire nei loro celebri -volumi che Socrate <i>era meravigliosamente -esente da bisogni personali</i>; -e meno ancora capisco come i professori -delle scuole facciano ai loro scolari -tradurre in greco questa stupida proposizione: -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -<i>Socrate con poche sostanze -viveva contentissimo</i>. -</p> - -<p> -No, non è proprio così, illustri e garbati -signori. È un’altra faccenda; è che -quando si è «dentro pieni di imagini -degli Dei» come era Socrate, i soldi -non trovano la via per entrare; ovvero -quando si è pieni di imagini degli Dei -non è lecito prender moglie per continuare -questa stirpe umana! -</p> - -<p> -E Santippe continuava: «Ah, tu vai -predicando l’Aretè, la Sofrosine, la Sofia, -il Dovere! Il dovere l’ho fatto io -che ho tirato su questi figliuoli e li ho -nutriti con queste qui! e non li ho mica -esposti come fanno le belle signore del -tuo cuore! Eh, sì, che il più grande lo -meritava d’esser bacchiato: un vagabondo -già come te, e che parolacce dice -a sua madre! A quello lì dovresti parlare -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -e dirgli quello che gli va detto, se -non fossi o un grande impostore o un -vecchio rimbambito. Ma se, figlio di un -cane, proprio non puoi fare a meno di -andare in giro a chiacchierare e hai questa -malattia nel tuo sangue infelice, invece -di quell’aria melensa «io non so -niente, io so che non so niente», e poi -dài dell’imbecille, dell’ignorante a tutti -che oramai non c’è uno solo che ti possa -più sopportare in Atene, fa almeno come -Protagora. Anche lui chiacchiera, ma -le sue chiacchiere le sa però mutare in -tanta buona moneta sonante!» -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -</p> - -<h2 id="cap6">VI. -<span class="smaller">Come Santippe ferì Socrate nel cuore.</span></h2> -</div> - -<p> -Santippe lo aveva ferito nel cuore. -</p> - -<p> -Non perchè aveva detto: «O tu sei -un impostore, o tu sei un vecchio rimbambito»; -ma perchè la buona donna -aveva detto: «Fa, almeno, come Protagora!» -</p> - -<p> -Il nome di Protagora era l’ombra -della mente di Socrate. -</p> - -<p> -Protagora era, prima di tutto, un signore -molto irreprensibile; la sua clamide -era fluente, i suoi calzari erano -eleganti, la sua chioma era profumata. -Socrate, invece, benchè gli piacessero -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -le chiome fluenti, non possedeva la chioma; -i suoi calzari erano in uno stato -deplorevole, come abbiamo osservato; -ed il suo mantello non teneva più i punti, -come aveva dichiarato Santippe. -</p> - -<p> -Protagora era un personaggio straordinariamente -affascinatore e simpaticissimo; -la sua parola scendeva giù per le -orecchie di tutti come una musica facile -ed uguale. -</p> - -<p> -Poteva forse Protagora sembrare orgoglioso, -in quanto che affermava di essere -sapiente in ogni scibile e <i>de quibusdam -aliis</i>; mentre Socrate affermava -con quella sua aria melensa, come -aveva notato anche Santippe, di non -sapere niente. -</p> - -<p> -Si, ma il vero è che Protagora si sarebbe -ben guardato dal prendere in giro -il prossimo come faceva Socrate e di obbligare -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -la gente a furia di domande, a -confessare che anche essi non sapevano -niente. -</p> - -<p> -Il linguaggio di Socrate era piano e -le sue imagini erano sensibili ad ogni -intelligenza. «Ma se io ti comprendo, -tu sei uguale a me.» Il linguaggio di -Protagora era spesso artificiosamente -drappeggiato. «Ma se io non ti comprendo, -tu sei superiore a me!» Ma -Protagora aveva tutti i ferri del mestiere -nel suo arsenale dialettico; tutti, -fuorchè l’ironia: ma Protagora era squisitamente -gentile, e se egli era sapiente, -«Tutti, tutti, signori Ateniesi, ornatissimi -signori Ateniesi, potete — diceva -Protagora — diventare sapienti -come me». -</p> - -<p> -Ah, sì; quel signore fece alle dottrine -di Socrate la più implacabile delle -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -concorrenze, e bisogna ben confessare -che questa concorrenza dura anche oggi. -</p> - -<p> -Protagora poteva aver press’a poco -l’età di Socrate, ma non era Ateniese. -Siccome però Atene era la città più intellettuale -della Grecia, così vi capitava -spesso. -</p> - -<p> -E quando egli vi capitava, non aveva -bisogno di sbarcare ad un hôtel, perchè -tutti i signori di Atene andavano a gara -per averlo ospite nelle loro case. -</p> - -<p> -Egli faceva anche, qualche volta, dei -graziosi giuochi di prestigio. -</p> - -<p> -«Intelligentissimi signori Ateniesi, — diceva, — io -prendo questa pallina -nera che, supponiamo, rappresenta la -Giustizia. La prendo con la mano destra, -delicatamente così! Passa, passa, -pallina! La pallina è passata nella mano -sinistra. Adesso prendo la bacchetta magica, -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -dico: un, due, tre! Pallina, scompari! -E la pallina è scomparsa!» -</p> - -<p> -Tutto ciò si ripete anche oggi: ma -bisogna conoscere il trucco. -</p> - -<p> -Ora il popolo Ateniese era molto giovane. -La generazione precedente si era -affaticata in una lotta spaventosa: aveva -sparso fiumi di sangue combattendo contro -una barbarie immane che lo aveva -minacciato di soffocazione. Ne era uscito -vittorioso, perciò ora amava divertirsi -e di imparare i giuochi di prestigio, e -il loro piacevole trucco. -</p> - -<p> -Per queste ragioni, tutti quelli che -avevano figliuoli, pregavano Protagora -perchè desse loro delle lezioni private. -Molti che aspiravano alla carriera politica, -offrivano grosse somme per sapere -fare anche loro bene quei giuochi così -graziosi delle palline. I giovani di Atene -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -buttarono via dei capitali per potere imparare -a parlar bene come Protagora. -</p> - -<p> -Ed è vero che Protagora era un -uomo onestissimo, al punto da dichiarare: -«Cari signori, fissate voi la ricompensa -che credete di darmi; ma non -negatemi la ricompensa, perchè chi mi -toglie il denaro, mi toglie l’onore». -</p> - -<p> -Fu allora che il ministro della Pubblica -Istruzione in Atene propose a Protagora -un grosso stipendio, se si fosse -degnato di fissare la sua dimora in -quella città. Sventuratamente egli non -potè aderire perchè era aspettato in Italia; -nelle città d’Italia del sud, e ciò -unicamente perchè a quei tempi non esistevano -le città dell’Italia del nord. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Un giorno Socrate aveva trovato che -le strade di Atene erano spopolate. Era -arrivato Protagora, e tutti erano andati -a sentirlo. -</p> - -<p> -Anche gli amici di Socrate erano andati -a sentirlo. -</p> - -<p> -Platone, che aspirava, sino dalla nascita, -a diventare sopra tutto un illustre -sapiente accademico, era andato a sentirlo. -</p> - -<p> -Alcibiade, che aspirava all’alta politica, -era andato a sentirlo. -</p> - -<p> -Socrate non incontrò che Apollodoro, -che era un’anima candida; e Fedone, -l’adorabile adolescente che adorava Socrate, -perchè Socrate gli aveva trasfuso -di dentro il divino martirio dell’anima. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -</p> - -<p> -— Che tristezza, — diceva Fedone, — a -pensare che tu, Socrate, la devi quasi -fermare per il petto la gente perchè ti -stia ad ascoltare; e quello lì, invece, -basta che arrivi in Atene perchè tutti -mettano da parte i loro affari per andare -alle sue conferenze. Eppure tu dici -le cose come veramente sono. Come -sono spregevoli e vani questi Ateniesi! -</p> - -<p> -— No, — disse Apollodoro ancor più -tristamente. — È che il popolo ateniese -è un popolo gaio. La bellezza, l’illusione, -la gioia, ecco quello che il popolo -ateniese sente: qui tutti sono d’accordo. -Ma tu sei melanconico senza fine, -Socrate. -</p> - -<p> -— Ma se, amici miei, — disse Socrate, — voi -stessi mi chiamate Sileno, -il buono, l’allegro giullare! -</p> - -<p> -— No, Socrate! Triste è la tua anima, -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -tristi sono le tue parole. Tu dici di -rispettare le leggi della nostra città, ma -io sento che tutto l’edificio fabbricato -dagli uomini trema con sinistri rumori -dalle fondamenta alle tue parole. -</p> - -<p> -— Io sono l’uomo mansueto, — disse -Socrate. -</p> - -<p> -— Ma sotto la tua mansuetudine, c’è -un terrore di ribellione. Sai che spesso -ho paura per te, Socrate? -</p> - -<p> -— Paura? di che? degli uomini? -della morte, forse? Temere la morte -null’altra cosa è che sembrare di essere -saggio, senza essere. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Ma così conversando, essi erano oramai -giunti alla casa di Callia, il quale -aveva l’alto onore di ospitare Protagora. -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -L’atrio era pieno della più eletta -società, di Atene: nelle prime poltrone -sedevano gli Arconti, e Protagora non -era solo, ma aveva con sè alcuni suoi -mammalucchi, giacchè il ventre di Protagora -era fecondo. Esso seguita a generare -anche oggi. -</p> - -<p> -Il silenzio era meraviglioso, tanto che -Socrate, Apollodoro e Fedone poterono -ascoltare assai bene. -</p> - -<p> -— Socrate? Oh, ecco Socrate! Salute -a te, Socrate, — disse, con ben paludata -parola, Protagora non appena -scorse Socrate in fondo alla sala, — salute -a te, Socrate! Anche noi, onorevoli -signori Ateniesi, intendiamo, come -il vostro concittadino Socrate, informare -il carattere e l’intelligenza dei -nobili giovani Ateniesi, educarli nelle -virtù pubbliche e private. Anche noi -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -adoriamo la verità. Ma dove è la verità? -Intelligentissimi signori Ateniesi, -se gli Dei non abitassero troppo lontano, -se la nostra vita non fosse così -breve e così incerta, noi potremmo benissimo -sapere che cosa è la verità! -Ma non tutti noi, umanissimi uditori, -abbiamo, come il vostro fortunato concittadino -Socrate, la rara fortuna di -possedere un dio suggeritore, un demone -buono, nelle proprie tasche. La -verità dunque bisogna che ce la fabbrichiamo -noi, secondo noi, tagliata sulla -nostra misura! Che vale, intelligentissimi -signori Ateniesi, possedere l’arco -di Ulisse se nessuno lo può tendere? -Che vale un grappolo d’uva, se è perennemente -acerbo? Una cosa si deve da -noi chiamare vera, o signori, in quanto -che, messa in pratica, rende. E se non -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -rende, non è verità. E perciò non esiste -nel mondo reale una verità unica, ma -esistono due verità, tre verità, molte -verità, anzi tante verità quanti sono i -gusti ed i capricci degli uomini; e così -non esiste una sola virtù ma esistono -molte virtù. Non esiste un solo Diritto, -ma esistono molti Diritti. V’è il -diritto dell’agnello; ma vi è anche il diritto -del lupo! Esiste evidentemente la -virtù di chi muore per la patria; ma esiste -anche la virtù di chi canta i morti -per la patria, come esiste la virtù di -chi si conserva in buona salute per la -patria. Esiste certamente, come dice -l’illustre cittadino vostro, Socrate, la -glandola della coscienza; ma non stimolàtela! -Anzi, se avete coraggio, estirpàtela, -e canterete tutte le mattine -vispi come canerini, e vi sembrerà ogni -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -mattina di tornare gioiosamente a vivere! -</p> - -<p> -Dopo di che tutti, cominciando dai -signori Arconti, andarono a congratularsi -per la bella conferenza col signor -Protagora. -</p> - -<p> -— Ma è evidente, — disse Meleto, -l’arconte basileo, che era assai adiposo -e rappresentava la suprema autorità religiosa -e giudiziaria di Atene, — che se -tutti avessero la sola virtù di morire -per la patria, chi resterebbe per fare gli -elenchi dei morti per la patria, chi resterebbe -per fare le commemorazioni e -le poesie pei morti per la patria? -</p> - -<p> -Anche Socrate andò a congratularsi -con Protagora. -</p> - -<p> -Disse Socrate: — Voi commerciate -splendidamente al minuto nei commestibili -dell’anima. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -</p> - -<p> -— E voi, disse di rimando graziosamente -Protagora a Socrate, commerciate -un po’ troppo all’ingrosso. Sono -partite colossali. Scusate, chi volete che -le comperi? Soltanto gli Immortali Iddii -le potrebbero comperare. Ma gli Iddii -non ne hanno bisogno. Agli uomini, — bisbigliò -a pena l’insigne Protagora, — occorre -vendere bagattelle, possibilmente -piacevoli. E poi, in confidenza, -virtù e vizio, rose e cipolle sono -tutte produzioni del suolo. Credo che -voi soffriate di esaltazioni liriche, Socrate -carissimo. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Strano! Dal tempo di Protagora e di -Socrate i sistemi filosofici si sono susseguiti -come le onde del mare: erti di -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -idealità sino alle nuvole, cupi di pessimismo -sin giù negli abissi! Gli uomini -come tante navicelle di carta, hanno seguitato -a ballare su e giù per quelle -onde della filosofia, felici di essere giù, -felici di essere su. -</p> - -<p> -Non ci fu che qualche individuo stravagante -a dichiararsene insoddisfatto, -come per esempio Messer Lò, professore -medievale nell’università di Parigi, -il quale, dopo essere stato sballottato a -lungo in cerca della perfetta letizia, finì -col dire: <i>Linquo coax ranis</i> (lascio il -gracchiare alle rane), e terminò col farsi -frate, secondo il costume di quel tempo; -come Arrigo Heine, il quale dichiarò -che, dopo avere amoreggiato con tutti -i possibili sistemi filosofici senza rimanerne -soddisfatto, — come Messalina -dopo una notte di orgia, — si veniva -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -a trovare sullo stesso fondamento su -cui si trovava il povero negro, lo -zio Tom. -</p> - -<p> -Ma non c’è dubbio che fra i tanti sistemi -filosofici, quello dell’illustre Protagora -è il solo che gli uomini abbiano -coscienziosamente capito ed anche applicato. -</p> - -<p> -Gli Arconti e i Lucomoni vanno sempre -a congratularsi con Protagora e coi -suoi mammalucchi. -</p> - -<p> -I servizi di Socrate non furono niente -affatto riconosciuti dallo Stato; e quella -volta che il Governo si occupò seriamente -di lui, fu per fargli bere la cicuta. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Certo, Socrate, lui come lui, non ha -l’onore di aver costruito nessun edificio, -nessun sistema filosofico, anche perchè -non gliene lasciarono il tempo, avendogli -fatto bere la cicuta. -</p> - -<p> -Di lui non rimase che una pietra quadrangolare -di marmo. -</p> - -<p> -Ma io lo vedo ancora col suo melanconico -sorriso di Sileno, quel povero -figlio di Sofronisco scultore e di Fenarete, -la levatrice. Egli sta presso la sua -pietra quadrangolare. Io lo vedo ancora. -Dal convito d’amore escono gli amici -alquanto ebbri e con le rose sfiorite -oramai; gli amici e le amiche fra cui -stanno le belle cortigiane. Essi vanno -a riposare. Socrate va alla bella fontana, -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -si lava e si purifica. Sorge il sole -sull’acropoli. Egli riprende il suo dialogo -eterno: «Di’, o uomo meraviglioso, -vogliamo noi diventare belli e buoni?» -</p> - -<p> -E gli uomini, da tanti secoli, non -hanno sovrapposto una pietra su quella -pietra. -</p> - -<p> -Ma vero è anche che molti uomini, vicini -a noi, dopo l’esperimento della vita, -vollero morire per quella terra, ed in -quella piccola terra che fu la patria di -Socrate, considerandola come uguale al -vasto mondo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -</p> - -<h2 id="cap7">VII. -<span class="smaller">La cena dell’amore.</span></h2> -</div> - -<p> -Non si deve credere però che la buona -società di Atene non istimasse Socrate. -In questo caso sarebbero stati -Beoti, ed essi erano Ateniesi! Certo -spendevano più alla bottega di Protagora -che a quella di Socrate; ma, oh, -buon figliuolo di Sofronisco, come potevi -tu pretendere che la gente venisse -da te a comperare la <i>Dike</i>, la <i>Enkrateia</i>, -la <i>Noùs</i>, quel tremendo esplosivo -che è la <i>Noùs</i>? Vendere la <i>Noùs</i> per -le strade, sono cose, figlio di Sofronisco, -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -che fanno strabiliare! Sono cose che non -poterono avvenire che in Atene, la città -della giovinezza del mondo. -</p> - -<p> -— Signori Ateniesi, questa merce -si vende per nulla. Si vende per nulla, -non perchè non sia preziosa, chè la è -preziosissima! Ma è che uno dei due -sfuma, o il denaro o la merce! — così -diceva Socrate. -</p> - -<p> -E gli Ateniesi lo ascoltavano con curioso -piacere: naturalmente, non comperavano. -</p> - -<p> -— Se comperiamo codesta merce, — dicevano, — noi -temiamo, o Socrate, -di diventare brutti come te! — Lo ascoltavano -però volontieri: spesso lo invitavano -a cena, e mai gli fecero delle -beffe: la qual cosa gli sarebbe certamente -accaduta se fosse vissuto in <i>Fiorenza</i>, -la città delle beffe. Naturalmente, -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -quando era invitato a cena, il -buon uomo si ripuliva alquanto, perchè -la società ateniese ci teneva molto all’eleganza: -non però sino al grado di -noi moderni, in cui i venditori di eleganza — camiciai, -sarti, scarpai, ecc. — costituiscono -un sindacato della rispettabilità. -</p> - -<p> -E fu così che un giorno Apollodoro -vide Socrate tutto ripulito, e siccome -questa cosa gli accadeva di rado, Apollodoro -meravigliò forte. Non mancava -a Socrate che di essere profumato come -costumavano tutti allora indistintamente -gli Ateniesi. -</p> - -<p> -Allora non c’era il precetto: «Amate -il vostro prossimo!» e si suppliva con -quest’altro: «Profumate il vostro prossimo!» -E così l’uomo accostando il naso -al suo prossimo, sentiva subito qualcosa -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -di piacevole. Ma Socrate preferiva -il profumo della verità. -</p> - -<p> -Apollodoro che lo vide così azzimato, -meravigliò forte. Apollodoro era -un’anima candida e quindi un poco -irosa. -</p> - -<p> -— Dove vai, Socrate? Perchè così -vestito? Che sollecitudine è la tua di -questa pomposità mondana e superflua? -Non carichiamo e scarichiamo oggi la -<i>Noùs</i>, la <i>Dike</i>? -</p> - -<p> -— Caro, — disse Socrate, — io, come -vedi, mi sono fatto bello perchè oggi -sono chiamato a cena da persone che -sono tutte belle. -</p> - -<p> -Egli era in quel giorno invitato da -Callia, un giovane signore, uno <i>sportman</i> — diremmo -noi oggi — il quale -aveva vinto il <i>grand prix</i> delle Panatenaiche. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -</p> - -<p> -— Vieni anche tu, Apollodoro, — disse -Socrate. -</p> - -<p> -— Ma non sono invitato! — rispose -Apollodoro, il quale appunto come anima -candida ed irosa, era anche anima -timida. -</p> - -<p> -— E se non sei invitato? Ti invito -io. Una persona per bene è sempre ospitata -con piacere da un’altra persona -per bene. -</p> - -<p> -Così parlò Socrate, e così si avviarono, -lui e Apollodoro, alla casa di Callia. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Callia abitava una villetta, un po’ -fuori di Atene, sulla riva del mare. Una -piacevole passeggiata! E i sandali di -Socrate e di Apollodoro andavano allegramente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -</p> - -<p> -Appena Socrate fu in vista della villa -di Callia, vide molti e bei giovani che lo -attendevano. -</p> - -<p> -Callia si fece incontro a Socrate e lo -salutò con queste parole: -</p> - -<p> -— Ben venuto, Socrate: noi ti abbiamo -invitato a cena, perchè tu, essendo -libero da cure mondane, farai più -onore a noi che se avessimo invitato -Anito, il presidente della Repubblica, o -Meleto il basileo, o qualsiasi altro arconte -o generale. -</p> - -<p> -(Mai uno <i>sportman</i> dei nostri tempi -sarebbe stato capace di così intelligenti -e graziose espressioni!) -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E quando tutti si furono acconciati -ne’ loro divani attorno alla mensa, data -l’acqua rosata alle dita, disse Callia bonariamente -ai servi: — Fate da voi, ragazzi, -e fate le cose per bene, perchè -noi vogliamo mangiare e bere in pace. -</p> - -<p> -«Ma, e le signore? non c’erano al -banchetto di quel <i>gentleman</i> le signore?» -potrà domandare qualche signora, -se qualche signora sarà lettrice di questo -libro. -</p> - -<p> -«No! a quei tempi le signore erano -escluse dai banchetti. Servivano soltanto -come decorazione; muta, però. -</p> - -<p> -Ma è imaginabile, signora, Socrate -che va alla cena di Callia con Santippe -a braccetto? È stato Cristo, signora, -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -che ha introdotto le signore nei banchetti: -una marsina nera ed uno scollato -bianco, in gran contegno. Gli Ateniesi -non usavano nemmeno il contegno, -perchè stavano sdraiati sui sofà, ed i -fiori, anzichè sulla tavola, erano collocati -sulle teste. -</p> - -<p> -«Oh, gli orribili Ateniesi, sdraiati -sui sofà senza l’intervento del sesso -gentile! Chi sa quali scostumatezze!» -</p> - -<p> -«Pur troppo, signora! L’uomo, o signora, -è in alcuni rari casi di tipo apollineo, -qualche rara volta di tipo dionisiaco, -ma più spesso di tipo faunico, -cioè bestia, e allora ruzzola sotto la tavola -tanto oggi come allora.» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -La cena passò lietamente. I piatti -erano d’argento e non usava la seccatura -di mutarli. -</p> - -<p> -Finita la cena, fu fatta entrare una -leggiadrissima giovinetta, vestita di un -semplice <i>kiton</i>, che null’altro era che -un quadratello di stoffa, come un vessillo, -ma messo con garbo: allora le Ateniesi -belle vestivano tutte così, con -molta semplicità; come oggi, che le signore -portano certe <i>toilettes</i>, come dire? -semplici. -</p> - -<p> -Un giovane aulete, o suonatore di -flauto, accompagnava la fanciulla. -</p> - -<p> -Questi intonò il suono, e poco dopo, -ella, come indolente, slegò e scosse le -membra della sua statua: le animò un -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -po’ per volta, poi furentemente, freneticamente. -Ora ella, lieve, si trascinava -dietro il ritmo dell’aulete che, a fatica, -con il collo turgido, la seguiva zufolando. -</p> - -<p> -I signori, sdraiati sui loro sofà, contemplavano. -</p> - -<p> -D’improvviso la fanciulla ricompose -le membra della sua statua; cessò la -danza: l’aulete potè allora trarre il respiro -dal petto profondo. -</p> - -<p> -— Quella fanciulla pare vuota di -dentro come la locusta! — disse ammirando -più d’uno. -</p> - -<p> -— Signori, — disse Filippo, uno dei -commensali, — questo è effetto della danza, -esercizio utilissimo e graziosissimo. -Io ho il ventre grosso, e voglio diventare -grazioso e leggero. Piglierò lezioni -di danza. Anche Socrate ha il ventre -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -grosso e pesante e deve ballare, se vuole -diventare grazioso. -</p> - -<p> -— Tutti i giorni, o Filippo, — disse -Socrate, — sta certo, io faccio in casa -esercizi di ballo. -</p> - -<p> -— Così, vedi, convien fare, — disse -Filippo. — Tu, fatti in costà, — e accennando -alla donna che si scostasse, -Filippo balzò dal sofà e si mise a ballare -col suo grosso ventre. -</p> - -<p> -Spumeggiò di risa la gioia del convito. -</p> - -<p> -— Da bere, — ordinò Callia. -</p> - -<p> -Tutti avevano gran sete. -</p> - -<p> -— Portate i cratèri più grandi, — ordinò -Callia ai servi. -</p> - -<p> -— Callia, se permetti, — disse Socrate, — ordina -i bicchieri più piccoli. -Il vino è cosa miracolosa come la pianta -della mandragora: addormenta il dolore, -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -e sveglia la gioia, come l’olio sveglia -la fiamma. Ma in piccole tazze! -Noi siamo come la sementa della terra. -Se l’acqua diluvia, la sementa marcisce; -se invece scendono piogge soavi, -ecco tutta la bella fiorita della primavera. -</p> - -<p> -I servi recarono in giro piccole tazze. -</p> - -<p> -Disse per primo Callia: — Io bevo -alla Ricchezza, alla mia dolce e docile -Ricchezza, dispensiera di libertà. Essa -mi concede di onorare con bei simposi, -in questa bella casa, con tanti servi, con -questo inebriante vino, i cari amici. -</p> - -<p> -Disse un altro dei convitati: — Ed -io, o Callia, propino e bevo — perchè tu -ci offri questo nobile vino — alla mia -grande, vergine, libera Povertà. Divina -cosa, amici, la Povertà! Già tu la custodisci -senza forzieri, con la dolce negligenza -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -essa fruttifica, il dente dell’invidia -non la morde; i figli non ti augurano -di andar presto a ritrovare Caronte. -Anch’io sono libero, o Callia, io con la -mia povertà! -</p> - -<p> -(Queste cose si potevano dire allora -quasi sul serio, per tante ragioni per le -quali la povertà non aveva l’odore così -cadaverico che ha oggi). -</p> - -<p> -Un giovanetto non ancora segnato -nel volto di alcuna lanugine, inghirlandata -la breve fronte di rose come un -nume, fissando Callia con ferme pupille, -parlò così per terzo e come devotamente: — Io -mi glorio e mi esalto della mia, -oh fuggitiva bellezza! la quale mi concede -di essere caro a te, o Callia, o -unico, o solo mio bene! -</p> - -<p> -(E anche ciò poteva a quei tempi -esser detto, se è permessa la contraddizione, -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -naturalmente. Le signore non potevano -protestare). -</p> - -<p> -— Permettete allora, signori ed -amici, — disse quel tal Filippo, — che -anch’io dica la mia. Io mi esalto e glorio -perchè son nato buffone. Socrate -nostro non può profferire parola che non -sia seria; io invece non posso dir cosa -che non sia buffonesca. Dire una cosa -seria è per me impossibile: come diventare -immortale. Socrate dice di sentire -l’ambrosia di non so qual Nume o Demone -di dentro. Io sento dentro di me -un onesto suino che annusa l’ambrosia -delle buone pietanze......... -</p> - -<p> -— Ehi, ehi! — interruppe d’un tratto -il buffone Filippo. — Si può sapere che -cosa fanno quei due laggiù? Ma quella -è la danza, diciamo così, del ventre! -</p> - -<p> -Infatti la bella donna ed il giovane -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -aulete, rimasti senza occupazione, avevano -per conto loro attaccata una danza, -una danza.... Come dire? Un’abbominevole -danza: quella che è detta oggi -la danza degli Apaches, la danza dei -selvaggi che piace anche alla nostra -buona società. Io credo che sia una riproduzione -dell’antica danza che i due -primi selvaggi, Adamo ed Eva, danzarono -la prima volta ed ebbe per conseguenza -Caino ed Abele: una specie di -<i>tango</i>. -</p> - -<p> -La donna era di un verismo assai -perturbante. -</p> - -<p> -— Smetti, ragazza, — gridò Filippo. — Mi -si desta Afrodite, e sorge Eros. -</p> - -<p> -Cosa strana! In tutti si destava Afrodite, -ed anche Eros. -</p> - -<p> -E poichè i due smisero, furono mandati -via. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -</p> - -<p> -— Per Giove, — esclamò Callia, — sapete, -amici, che Eros, Amore, è un dio -misterioso anche lui! Misteriosa certamente -è Demetra; misteriosa è Minerva, -ma anche Amore non ischerza! -</p> - -<p> -— E il modo come si manifesta! -</p> - -<p> -— E come è invincibile! -</p> - -<p> -— E come è indomabile! -</p> - -<p> -— Il più giovane ed il più bello degli -Iddii, perchè chi può imaginare, signori, -Amore non dirò con la barba bianca, ma -con la barba? -</p> - -<p> -— E nel tempo stesso, signori, il -più vecchio fra gli Iddii, perchè come -sarebbe nato Giove se prima non c’era -Amore? -</p> - -<p> -— E il più corroborante fra gli Iddii! -Più assai di Dioniso di cui poco fa -parlava Socrate! Non ci fu che quel -vile di Paride, che quando era preso da -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -Eros, si sdraiava sul letto: ma io allora -sbranerei i leoni, lotterei coi centauri, -coi Lapiti, pur di arrivare all’oggetto -che concupisco! -</p> - -<p> -— La più bella istituzione del mondo -è Eros! -</p> - -<p> -— La più piacevole! -</p> - -<p> -— La più esilarante! -</p> - -<p> -— Sparsa dovunque: dovunque ci si -volta, ecco Amore! -</p> - -<p> -Così dissero i convitati di Callia in -lode d’Amore. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -«Oh, gli indecenti maschi avvinazzati! -gli orribili Ateniesi!» — potrebbe -qui esclamare la mia ideale signora — «I -profanatori, non i lodatori d’Amore!» -</p> - -<p> -«Ecco, signora: io credo piuttosto -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -che tutto provenga da un diverso modo -di giudicare l’Amore. Per noi moderni -l’Amore è una cosa così complicata, così -difficile, così piena di conseguenza! E -poi troppo ideale: e spesso l’ideale se -ne va, e non rimane, <i>pardon!</i>, che il -pitale d’Amore. -</p> - -<p> -Per gli Elleni invece era una cosa -più semplice. Essi volevano soltanto conoscere -che cosa era quel delizioso furore -di Eros: un problema scientifico! -E perciò i nostri convitati stanno per -dire cose un po’ sciocchine, un po’ puerili -specialmente per chi è abituato alla -nostra così spaventosa psicologia dell’Amore; -e, forse, un po’ invereconde: -ma tutto il loro discorso non fu inverecondo -perchè nella loro mente Eros -si presentava come un problema scientifico. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Disse, dunque, uno dei commensali: -</p> - -<p> -— Come si spiega, o amici, l’arduo -problema che c’è l’amore degli eroi e -l’amore, diremo così, dei suini? -</p> - -<p> -— È semplicissimo, — rispose un altro -dei commensali. — Afrodite, la mamma -di Amore, ha avuto due figliuoli; -cioè due Amorini, un Amorino eroe e -un Amorino maiale, in quanto che la -nobile dea ha creduto di non far torto a -nessuno.... -</p> - -<p> -— Ma, e perchè, — chiese un terzo, — due -putti, uno maschio ed uno -femmina, sono a un dipresso uguali, -sino ad una certa età: ridono, scherzano -insieme; poi viene un bel momento -che la puttina trema davanti al maschio; -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -ha paura e fugge; fugge, ma -lascia andare tutte le chiome lunghe -lunghe per essere presa, e quando è -presa, non piange ma ride? Se poi giungono -alla vecchiezza, perchè tornano -uguali, tornano a giocare in pace innocente -ancora, come Filemone e Bauci? -</p> - -<p> -— E perchè, — disse un altro, — questa -caccia furibonda e continua; e perchè, -questo è ben un mistero! perchè qualche -volta avviene che un maschio rincorre -un altro maschio; e qualche volta -una femmina corre dietro una femmina? -</p> - -<p> -— Oh, — disse un altro, — la spiegazione -è abbastanza semplice: Giove -quando creò la creatura umana, si pensò -di congegnarla nel modo più compiuto -e dilettevole; e perciò la combinò per -tal guisa che in un solo individuo ci -fosse maschio e femmina insieme. In -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -principio, dunque, non esisteva l’uomo -e la donna: ma soltanto l’androgìno, -cioè l’uomo-donna. -</p> - -<p> -Chi sa come andarono le cose? Giove -dice che l’androgìno era prepotente, cattivo -ed ingrato. V’è chi dice che Giove -si stancò dell’androgìno, nello stesso -modo che i gran signori si stancano -dello stesso balocco. Il fatto è che Giove -si mise a spaccare tutti gli androgìni in -due, come si fa con le acciughe, e diceva: -Se non siete buoni, vi spaccherò -in quattro, ed anche in otto! Ed ecco -che, fatta appena questa operazione, la -metà maschia si mise a cercare la sua -metà femmina, spasimando come tante -biscie tagliate. Questa cosa è tanto vera -che anche oggi la moglie è chiamata la -mia «metà». Ma chi sa dove si trova -la sua metà? Ed è per questo che quasi -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -nessuno è contento della sua metà, ma -desidera molto di mutare la propria metà, -per vedere se trova quella che già -combinava con lui. Spesso poi avviene -che una metà maschia si attacca ad -un’altra metà maschia, ed una metà -femmina si appiccica con un’altra metà -femmina, tanto è il cieco furore della -caccia! -</p> - -<p> -Così spiegò uno dei convitati, e tutti -furono soddisfattissimi. -</p> - -<p> -Tutte queste spiegazioni non erano -propriamente la verità: ma è necessaria -agli uomini la verità quando basta agli -uomini una fola? -</p> - -<p> -Ora siccome ognuno aveva detta la -sua, così si volle sentire anche Socrate; -ed ecco, quest’uomo, dissimile da tutti -gli altri uomini, venir fuori, non con -un’altra storiella piacevole, ma con una -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -di quelle cose lugubri che si chiamano -verità. -</p> - -<p> -— Perdonate, signori ed amici, — disse, — la -mia dappocaggine, la mia inguaribile -dappocaggine, per effetto della -quale non mi è possibile dire altra cosa -che non sia la verità. Vi devo dire che -cos’è Amore? Amore è una volontà di -vivere, un disperato e oscuro bisogno che -ogni essere mortale sente di generare -la sua immortalità. Perciò ogni essere -creato combatte e vive in difesa del suo -germoglio, cioè de’ suoi figli, che formano -la sua immortalità. -</p> - -<p> -— Ma allora, — esclamò con dolce -stupore il giovanetto che si era vantato -della sua bellezza, — i miei amori sarebbero -riprovevoli amori perchè io non -germoglio. -</p> - -<p> -— Allora, Socrate, — disse Callia, — Amore -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -non sarebbe precisamente il Piacere! -</p> - -<p> -— Il Piacere, — ripetè Socrate, — serve -per la vita, caro Callia, ma non è -la vita. -</p> - -<p> -— Permettimi, caro Socrate, di osservarti, — disse -Filippo, — che le tue -opinioni sono piuttosto melanconiche e -restrittive. Io per me mi sento perfettamente -suino o faunico che tu voglia -dire; io non ho alcun bisogno di immortalità; -anzi ho paura dell’immortalità. -Da bere, da bere, Callia, e in grandi crateri, -questa volta, anche se a Socrate -non pare. Tu ci vuoi far digerire male -la gioia del convito! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Povero Socrate, così buono e intelligente! -Egli non aveva nessuna intenzione -di disturbare la gioia di quel convito: -era quella malattia della verità! -</p> - -<p> -E chi non beve il dolce vino della favola, -ma si ostina a bere l’acqua cruda -della verità, corre il rischio di rotolare -e far mala fine, come San Francesco -gran bevitore d’acqua, che, per contemplare -l’alta verità, rotolò dal monte -della Vernia. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Sul far dell’alba ognuno se ne tornò -alle sue case. -</p> - -<p> -Ma Socrate era ancora lì con il suo -buon Apollodoro sulla riva del mare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -</p> - -<p> -Parlò allora Apollodoro, che per timidezza -mai aveva parlato durante il -banchetto. -</p> - -<p> -— Quale splendente verità tu hai -detto, Socrate mio, — esclamò Apollodoro -con venerazione, — più bella e luminosa -dell’occhio del sole che ora sorge -e accarezza l’Acropoli. -</p> - -<p> -— Considera, considera, Apollodoro -mio, — diceva Socrate, — anche queste -altre verità. -</p> - -<p> -— Quali, Socrate? -</p> - -<p> -— Ecco: sai tu, Apollodoro, quanti -figliuoli abbia avuto Giove? -</p> - -<p> -— Impossibile, Socrate. Chi li può -numerare? -</p> - -<p> -— Vero! I figliuoli di Giove sono innumerevoli. -Però osserverai una cosa: -che, fatta una sola eccezione per la dea -Minerva la quale venne fuori da per sè -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -dal cervello di Giove e non succhiò latte -di donna, tutti gli altri figliuoli Giove -li ha generati dalle più belle femmine -del mondo, tutte bianche, tutte docili, -tutte devote, tutte silenziose: Elettra, -Europa, Leda, Alcmena! È strabiliante, -Apollodoro, ma è così, proprio così! Il -termine più alto della bellezza che la -nostra mente contempla, è la donna; -e noi cerchiamo appunto di procreare -nella maggior bellezza per creare la immortalità -più bella. -</p> - -<p> -— Sublime verità tu hai detto, o Socrate, — rispose -l’estatico Apollodoro. — Oh, -ecco che spiego ora a me stesso -perchè anch’io, che disprezzo tutte le -cose mondane, pure non so staccare -questi peccanti miei occhi dalla bianchezza -della donna! E anche tu la -guardi, Socrate. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -</p> - -<p> -Socrate sospirò profondamente. -</p> - -<p> -— Ah, perchè — prosegui Apollodoro — le -belle donne allontanano invece -lo sguardo da te? Perchè tu, come -Giove, non puoi ingannare la loro stupidità, -trasformandoti in cigno, in pioggia -d’oro, in bianco toro come fece quel -Dio? Chi sa quale generazione immortale -verrebbe fuori! Altro che Ercole! -altro che Achille! altro che Castore e -Polluce! Oh, ecco Minerva, vedi, o Socrate, — esclamò -Apollodoro, — la divina -Minerva dovrebbe congiungersi con te. -</p> - -<p> -— La quale sventuratamente — disse -Socrate sorridendo — è nata sterile. -</p> - -<p> -Apollodoro, col capo in giù, pensava -alla singolare fatalità che Minerva -era sterile, e solo quella bianca oca di -Leda fu capace di covare quattro ova -per volta! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -</p> - -<p> -— Però, — disse Socrate levando la -faccia camusa e sorridendo alquanto, — tu -puoi generare anche con Minerva! -</p> - -<p> -— Generare con Minerva? — chiese -Apollodoro. — E che nascerà? -</p> - -<p> -— Nascerà l’idea! — disse Socrate. -</p> - -<p> -(Beatrice, l’amante di Dante, infatti, -non soltanto fu sterile, ma non aveva -che due grandi occhi ed un manto; eppure -generò la <i>Divina Commedia</i>). -</p> - -<p> -— Sublime, generare l’idea! Questa -è la grande immortalità! — esclamò -Apollodoro. -</p> - -<p> -Ma ora anche Socrate ritornava col -capo all’ingiù. -</p> - -<p> -Forse pensava come fosse complicato -quel problema di Amore, che egli aveva -al banchetto di Callia enunciato un po’ -troppo semplicemente. Dall’Amore del -suino per la bella suina allo scopo di immortalare -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -la razza dei suini, all’Amore -di Dante per la scarnificata Beatrice, è -tutta una scala indefinita: ma una femmina -è indispensabile: o suina o Beatrice. -</p> - -<p> -Ahimè! forse la fola dell’androgìno -valeva quanto la verità enunciata da -Socrate! -</p> - -<p> -Essi così si stavano muti sulla riva -dell’azzurro mare al mattino, e il sole -indorava l’Acropoli, quando Apollodoro -esclamò: -</p> - -<p> -— Socrate, guardati! ecco viene -Santippe. -</p> - -<p> -— Fuggiamo, figliuolo mio, — disse -Socrate. -</p> - -<p> -— Impossibile! Ti ha riconosciuto. -Senti già le alte strida? -</p> - -<p> -Era Santippe, infatti. Ella si era imbattuta -nella comitiva dei convitati di -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -Callia, che ritornavano in Atene. Aveva -chiesto di Socrate e quelli ridevano. -</p> - -<p> -— Maledetti bardassi! cinedi porci! — aveva -detto contro le loro risa, ed -aveva seguitato a girare per ritrovarlo -quel vagabondo di suo marito. -</p> - -<p> -— Eccolo qui, — disse, — che non si -accontenta di aver persa la notte; ma -anche il mattino! A casa, dico, che tu -sei ubriaco fradicio! -</p> - -<p> -E presolo per la mano se lo trascinava -dietro a gran passi. — Ma che proprio -tutto io, tutto io? io accendere il -fuoco? io scopare? e tu in giro a far -gozzoviglia, muso da cane? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E quando Socrate fu giunto a casa, -un visetto, un po’ camuso anche lui, si -levò dagli stracci della sua cuna: due -occhietti luccicarono, due manine batterono -a palma a palma: <i>File pappos</i>, -Papà mio! -</p> - -<p> -Era il suo ultimo germoglio. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -</p> - -<h2 id="cap8">VIII. -<span class="smaller">Il colloquio fra Anito e Meleto.</span></h2> -</div> - -<p> -Le profezie di Santippe non tardarono -ad avverarsi. -</p> - -<p> -— Socrate, — diceva Santippe, — sta -a casina tua, metti la testa a partito, -chè sei vecchio; chiacchiera meno; se -no ti predìco che farai mala fine. -</p> - -<p> -Ma Socrate si era sempre profumato — come -già dicemmo — col profumo -della verità, e perciò non poteva -star zitto. -</p> - -<p> -Qui è indispensabile osservare come -Socrate non fu lui solo ad avere questa -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -abitudine: Cristo parlava dall’alto -della montagna; Dante parlava dall’alto -dei secoli; Campanella portava per emblema -una campana, e aveva per motto: -«<i>Non tacebo</i>, non starò mai zitto!» -San Francesco andò scalzo e lacero a -parlare davanti alla maestà del Papa; -Tolstoi cammina per la neve, con la sua -barba bianca, sino ad affacciarsi al nostro -occidente e grida: «Io non posso -tacere!» -</p> - -<p> -Ora quando si consideri come tutti -costoro fecero mala fine, che Tolstoi, -che era un signore, morì su la neve, risulta -evidente che è assai meglio tenere -la fiaccola sotto il moggio e non sopra -il moggio: cioè seguire la saggezza del -sentenzioso Bertoldo, il quale assicurava -che in bocca chiusa non entrano -mosche; e Bertoldo fu pure una rispettabile -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -persona, e se morì male fu anzi -per eccesso di delicatezze a cui il suo -stomaco di bifolco non era abituato. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Dunque Socrate era un predestinato -a far mala fine. Ma quando io penso che -Socrate non fu condannato da un tribunale -segreto, coi giudici notturni e mascherati; -non fu crocifisso da fanatici -ebbri di odio; ma fu condannato alla -luce del sole, legalmente, da cento tranquilli -cittadini giurati, allora io sono -preso da una gioia furibonda, ed esclamo, -come in principio: — Oh, Atene -luce del mondo, non solo nelle arti, ma -anche nella politica! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Atene — ci pare di averlo detto — era -una repubblica, cioè uno stato in cui -tutti i cittadini sono proprietari della sovranità. -Ora, siccome la repubblica è quel -governo appunto che è fondato sulla virtù, -Socrate, il quale vendeva la virtù -per le strade, avrebbe dovuto essere almeno -presidente della repubblica. -</p> - -<p> -Invece Socrate fu condannato a morte, -e appunto in una repubblica democratica. -Questa cosa può fare dispiacere -alle nostre convinzioni democratiche, -per la quale cosa ci domandiamo: Come -avvenne questo fatto strano che Socrate -fu condannato a morte in una città democratica? -</p> - -<p> -Avvenne perchè Anito ebbe un importante -colloquio con Meleto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -In Atene, città raffinata, la democrazia -costava cara come la aristocrazia. -Tutti i cittadini essendo sovrani, aspiravano -anche ad una piccola lista civile, -cioè a vivere sovvenzionati dallo Stato, -tanto che lo Stato dava anche gli spettacoli -del teatro gratis. -</p> - -<p> -Il denaro — equivalente sensibile -della virtù — era molto ricercato e -molto onorato in Atene. E similmente, -come conseguenza, avvenne questo, che -una volta un re che assediava Atene, -invece di bombardare la città, vi fece -entrare degli asini carichi d’oro: nessuna -cavalcata eroica sortì effetto più -bello! Atene fu presa risparmiando vite -ed edifici. -</p> - -<p> -Per evitare quest’inconveniente, gli -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -Spartani, che erano aristocratici, fecero -coniare certe monete di bronzo da mezzo -quintale l’una. Ma ciò non documenta -se non la puerilità e la rozzezza degli -Spartani, perchè l’uomo, quando si tratta -di trasportare il denaro, è più robusto -della formica la quale è capace di trascinare -un peso circa duecento volte superiore -al proprio peso. -</p> - -<p> -Questa è una facoltà che hanno gli -uomini tanto in democrazia quanto in -aristocrazia. -</p> - -<p> -Ma un inconveniente anche più grave -e più speciale di Atene era la facilità -con cui gli uomini, forniti di bella voce, -arrivavano al potere. E quando si consideri -che quasi tutti in Atene avevano -bella voce, si capirà anche quanta gara -ci fosse e quanta difficoltà nel mantenersi -al potere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -</p> - -<p> -Gli Spartani invece non parlavano -che a monosillabi. -</p> - -<p> -Questa diversità del modo di parlare -fu, nel caso speciale di Atene e Sparta, -uno dei motivi per cui i due popoli si -guerreggiarono a morte. Ma anche altre -diversità, come del colore, del modo di -mangiare, di dire le orazioni, ecc., posson -essere cagione di guerra. Ecco, dunque, -gli Spartani che facevano guerra a -morte agli Ateniesi. -</p> - -<p> -E noi possiamo osservare che in tutti -i tempi i grandi guerrieri, questi tetri -agenti della morte, sono taciturni come -la morte. Perciò gli Spartani, che parlavano -a monosillabi, furono vincitori -degli Ateniesi che parlavano troppo! -</p> - -<p> -L’ultima battaglia navale fu un disastro -irreparabile. La bella armata di -mare degli Ateniesi, la più bella armata -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -che allora navigasse il Mediterraneo, -gloria e scudo di Atene, in un giorno -di distrazione e discussione dei suoi capitani, -fu sorpresa dagli Spartani, e -andò in pezzi. -</p> - -<p> -Per effetto di questo disastro, Atene -perdette la sua libertà e gli Spartani vi -insediarono trenta Oligarchi, taciturni -e sanguinari, che spadroneggiavano in -Atene, tenevano chiusi i teatri, non permettevano -di parlare e mandavano la -gente a casa all’ora del coprifoco. -</p> - -<p> -Socrate anche in quella circostanza -seguitò a parlare lo stesso. -</p> - -<p> -Ed allora il capo degli Oligarchi lo -mandò a chiamare e con voce cupa gli -disse: — Socrate, noi siamo stanchi fracidi -dei tuoi discorsi! -</p> - -<p> -Ê molto probabile che Socrate avrebbe -fatto già da allora cattiva fine. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -</p> - -<p> -Ma gli Ateniesi, piuttosto che stare -zitti, preferirono morire, e fecero una -rivoluzione. E allora gli Oligarchi, che -incutevano tanta paura, ebbero paura e -scapparono. E qui diciamo come questo -bello spettacolo di vedere i tiranni aver -paura e scappare davanti alla rivoluzione, -è uno dei vantaggi della democrazia. -</p> - -<p> -Atene, cacciati che ebbe gli Oligarchi, -ritornò più democratica di prima, -e il presidente della Repubblica, o primo -arconte, si chiamava Anito, ed era di -professione cuoiaio. -</p> - -<p> -Anito era una rispettabile persona ed -era intelligente, prima perchè tutti gli -Ateniesi erano intelligenti, secondo perchè -le persone che arrivano al potere -sono intelligenti. Era anche un formidabile -democratico, perchè aveva sofferto -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -l’esilio durante la tirannia dei trenta -Oligarchi, e gli interessi della sua conceria -erano stati molto danneggiati. Per -impedire che la flotta andasse in frantumi -una seconda volta, egli aveva -provveduto facendo votare una legge -che prescriveva che tutte le navi fossero -fasciate con un triplice rivestimento -di cuoio. -</p> - -<p> -Allo scopo poi di evitare congiurazioni -contro lo Stato, Anito ispezionava -e faceva diligentemente ispezionare le -vie di Atene. -</p> - -<p> -Ora noi sappiamo che Socrate passeggiava -per le vie di Atene e vendeva -gratuitamente la <i>noùs</i> ai giovani. -</p> - -<p> -Se Socrate avesse sparlato della democrazia -e dei cuoiai puzzolenti, oppure -avesse deriso il progetto del rivestimento -di triplice cuoio per le navi, -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -il sospettoso Anito avrebbe capito subito. -</p> - -<p> -Anito parlava lo stesso linguaggio -di Socrate, ma non capì troppo bene. Le -orecchie di Anito erano pelose. Ora -quando si pensi che frate Egidio e re -Luigi il Santo parlavano due diversi -linguaggi, e pur si capirono soltanto -alle sfavillanti, lagrimanti pupille; anzi -l’uno davanti l’altro devotamente si inginocchiò, -bisogna ammettere che questo -umano linguaggio ha meno valore -che non si crede comunemente. -</p> - -<p> -E non soltanto Anito capì poco; ma -gli parve che il saluto a lui, presidente -della Democrazia, fosse poco reverente. -</p> - -<p> -Alcibiade, nepote di Pericle (un intellettuale -molto sospetto!) diceva bensì: -«Salute, Anito!»; ma le sue pupille, -dall’alto della pura clàmide, giravano -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -così sardonicamente, che parevano dire: -«Dove sei, Anito, verme della terra?» -</p> - -<p> -Ed i sicofanti avevano riferito per -certe queste parole del giovane Senofonte: -«Salcicciai e cuoiai arricchiti vadano -pure al potere: ma col voto dei -salcicciai e cuoiai soltanto. Noi, piuttosto -che dare il voto a simili candidati, -boicoteremo lo Stato, andremo volontariamente -in esilio.» -</p> - -<p> -«Tutto questo, — pensava Anito, — è -effetto della filosofia di quel vecchio. -E che è questa filosofia che rende gli -uomini indaganti, oltracotanti, ciarlanti, -boicotanti, scioperanti?» -</p> - -<p> -Egli non sapeva che cosa fosse la -filosofia; ma come uomo politico, cioè -intelligente, capì che quel vecchio parlava -parole a lui nemiche, e quindi era -nemico pericoloso per la democrazia. (E -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -questo di giudicare pericolosi i filosofi -è, pur troppo, una qualità tanto delle -aristocrazie quanto delle democrazie.) -</p> - -<p> -«Ah, è troppo tempo, — diceva Anito, — che -quel vecchio chiacchiera per -le vie di Atene!» -</p> - -<p> -E andava considerando fra sè come -lo si potesse togliere dalla circolazione. -</p> - -<p> -«Ecco, — esclamò trionfalmente Anito, -puntando l’indice contro la fronte, — noi -possediamo l’organo legale, l’ostracismo! -Blandamente, dolcemente, noi -togliamo questo individuo dalla circolazione. -Sì, ma dove li troviamo noi tremila -cittadini che diano il voto per mandare -Socrate in esilio? Per quale motivazione? -Perchè parla troppo? Ma allora -bisognerebbe mandare in esilio tutti -gli Ateniesi! Eppure un motivo ci deve -essere!» -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -</p> - -<p> -Anito, uomo politico, sentiva al fiuto -che un motivo c’era. Ma quale? Non -riusciva a trovarlo, e perciò si decise -ad andare da Meleto, che era l’arconte -basileo, e aveva l’orecchio più -sottile. -</p> - -<p> -Questo Meleto non era un sacerdote: -Atene non ebbe sacerdoti, chè se li -avesse avuti, non sarebbe stata più Atene. -Era soltanto una mente sacerdotale. -Oltre a ciò convien dire che questo Meleto -era un eupatrida, cioè un nobile, -e lo si diceva un po’ partitante dell’aristocrazia. -Ma essendo al potere, ed -avendo anche lui approvato il rivestimento -di cuoio per le navi, Anito e Meleto — cioè -demagogo ed oligarca — si -trovavano in buoni rapporti. -</p> - -<p> -Mentre dunque Anito si reca da Meleto, -noi ci domandiamo: Perchè questa -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -legge dell’ostracismo, cioè di un esilio -blando e niente affatto disonorevole, non -fu conservata nelle legislazioni che vennero -di poi? Perchè quella legge fu trovata -ingenua, cioè superflua. -</p> - -<p> -Dove Anito o Meleto salgono ai primi -onori di uno Stato, gli uomini buoni -si eliminano automaticamente, senza -ostracismo. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Meleto era un personaggio flemmatico -e maestoso, e il discorso che seguì -fra i due uomini di Stato fu di molto interesse, -anzi è memorando. -</p> - -<p> -— Quell’uomo, quel Socrate, — cominciò -a dire Anito, — io l’ho ascoltato -attentamente; parla di fabbri, di -falegnami, di asini col basto, dice che -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -conviene essere <i>kaloikagatoi</i>,<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a> <i>filosofoi</i>....; -eppure io sento che quell’uomo -è pericoloso allo Stato. Pensa o non -pensa vostra Eminenza quest’uomo pericoloso -allo Stato? -</p> - -<p> -— Mah! — rispose Meleto. -</p> - -<p> -— Che cosa vuol dire «Mah!»? — domandò -Anito che era uomo impaziente. -</p> - -<p> -— Mah, — rispose gravemente Meleto, — vuol -dire «pericoloso» e vuol -dire anche «niente affatto pericoloso». -</p> - -<p> -— Abbiate la cortesia di spiegarvi, -perchè io non sono nato interprete paziente -di enigmi. -</p> - -<p> -— Non è un enigma, buon uomo, — rispose -Meleto, — è una cosa semplice. -Se i peli delle vostre orecchie non vi -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -avessero intercluso l’udito, voi avreste -inteso che Socrate non parla soltanto -degli asini col basto, ma parla anche di -una voce misteriosa che ogni tanto gli -ragiona, e lui solo ode, e lo mette in -diretta comunicazione con Giove. Ora -vostra Celsitudine può capire molto -bene che se tutti gli Ateniesi fossero, -come Socrate, in diretta comunicazione -con Giove, io sommo pontefice, io arconte -basileo, che servo appunto da interprete -fra gli uomini e gli Dei, <i>fututus -sum!</i> -</p> - -<p> -Detto ciò, Meleto tacque e sorrise. -L’orlo del suo manto era scomposto, e -se lo ricompose. -</p> - -<p> -— <i>Ne dia</i>, — esclamò Anito, — ma -allora se tutti gli Ateniesi diventeranno -ragionanti e ragionevoli, anch’io, -arconte polemarco, <i>fututus sum!</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -</p> - -<p> -Gli occhi sereni di Meleto fissavano -lo scomposto volto di Anito. -</p> - -<p> -— <i>Ne dia</i>, per Giove, per la gran -barba di Giove, — esclamò poco dopo -ancora Anito, come percosso da un secondo -lampo di luce, — se tutti gli Ateniesi, -anzi se tutti gli uomini diventano -<i>kaloikagatoi</i>, oltrechè <i>filosofoi</i>, siamo -f..... tutti! Non più guerre, non più rivestimenti -di cuoio alle navi! <i>Ne dia!</i> -le cose sono di una gravità immensa! -Quel vecchio melenso mi fa una rivoluzione -più terribile di quella che ho fatto -io! Addio Meleto, vi do il buon giorno! -</p> - -<p> -— E dove va vostra Celsitudine? -</p> - -<p> -— Vado a salvare lo Stato, vado ad -arrestare Socrate.... -</p> - -<p> -— Io credo che si possa aspettare -anche domani, — disse pacatamente Meleto. — Domani, -o anche mai! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<p> -— Mai? -</p> - -<p> -— Mai, buon Anito! perchè mai -verrà il giorno che gli Ateniesi diverranno -ragionanti e ragionevoli, mai verrà -il giorno in cui gli asini col basto -ubbidiranno alla voce del proprio Demone, -mai gli uomini diventeranno <i>kaloikagatoi</i>! -Il pericolo socratico, credete, -Anito, è del tutto insussistente; è -un futurismo senza futuro! -</p> - -<p> -— Ma il rivestimento di cuoio per -le navi? -</p> - -<p> -— Il rivestimento di cuoio per le navi -si farà, e così si faranno le armi, e così -si faranno le guerre in perpetuo, — rispose -Meleto. — La nobile Atene ha, -a venti chilometri a nord, gli idioti -Beoti; a venti chilometri a sud, i taciturni -Spartani, che dove passano una -sola traccia lasciano; quella della loro -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -mano insanguinata e brutale: tutt’attorno -poi a nord, tutt’intorno a sud, -dalla parte dove il sole si leva, e dalla -parte dove il sole tramonta, crescono -e montano le generazioni dei barbari -che nessuna forza o dio distruggerà! -Non vi date, dunque, pensiero, Anito, -nè per la guerra, nè per le armi, -nè pel rivestimento di cuoio. La nobile -Atene dovrà guerreggiare in perpetuo -se vorrà salvare la sua Minerva! -</p> - -<p> -— Cosicchè voi, Meleto, — domandò -Anito, — non condannereste Socrate -nemmeno con il più dolce, con il più -blando ostracismo? -</p> - -<p> -— Io lo avrei, e da tempo, colpito di -morte, — rispose Meleto con gravità solenne; — ma -noi siamo in una città democratica! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -</p> - -<p> -Anito stupì e strinse calorosamente -la mano a Meleto. -</p> - -<p> -— Allora convenite con me che quell’uomo -è pericoloso allo Stato. Ma se -prima dicevate che urgenza di pericolo -non c’era? -</p> - -<p> -— No, buon Anito, urgenza di pericolo -non esiste. Per la salute del mondo, -mai gli asini col basto udranno la voce -del Demone, mai gli uomini diventeranno -<i>kaloikagatoi</i>, e sotto quest’aspetto -il pericolo è insussistente. Ma ben è -vero che gli Ateniesi sono già per loro -natura troppo schernevoli, troppo mobili! -Da troppo tempo hanno preso il -mal vezzo di mettere, anche sul teatro, -in burletta gli Dei! Mai codesto sarebbe -tollerato in governo aristocratico! Perchè -sappiate, o Anito, che per la salvezza -di Atene e della terra, è sommamente -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -necessario conservare intatto -Giove, il Cesare del Cielo, con le sue gerarchie -disciplinate: Briareo dalle cento -braccia, Proteo dalle cento forme, Ercole -con la clava enorme; i gran gendarmi -di Giove! Imperio, ubbidienza e -servitù. Ciò risponde alla configurazione -della terra! Ma le democrazie sono instabili, -fermentanti, tumultuose. Vanno -alle estreme conseguenze della logica -e della illogica; ed allora non è più possibile -governare gli Stati. Ora quel vecchio -pazzo che su tutto indaga, che su -tutto discute, che insegna agli altri ad -indagare e discutere; che crea il diritto -e la sovranità dell’individuo, mentre non -ci deve essere che un solo diritto, una -sola sovranità, lo Stato, quel vecchio è -l’essere deleterio e perniciosissimo alla -salute della Repubblica. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -</p> - -<p> -— Allora Socrate, — disse Anito con -istupore, — è secondo voi essenzialmente -democratico! Io lo credevo aristocratico.... -Però sappiate, o Meleto, che se è -necessario salvare la patria, io per questa -occasione posso diventare aristocratico! -</p> - -<p> -Il grave capo di Meleto, l’arconte -basileo, si chinò alquanto. — Confortatevi, -Anito, — disse poi. — Forse Socrate -è un aristocratico.... -</p> - -<p> -— Allora io avevo capito subito.... — disse -Anito. -</p> - -<p> -— Comunque sia, o aristocratico o -democratico, — disse Meleto, — vano è -ricercare. Una cosa è certa: Socrate è -pestifero. Quella gioventù che indaga, -dubita, discute, si affolla intorno a lui, -è di mal seme! Atene, circondata come -è da Spartani e Beoti, di una sola cosa -ha bisogno, di una pesante spada di -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -bronzo che cali con altrettanta brutalità -come la spada spartana. Per parlare, -uno solo basta, l’arconte. Gli altri -basta che sappiano, con disciplinato silenzio, -morire. -</p> - -<p> -— Oh, ammirabile uomo! — esclamò -Anito. — Ma è ben pericolosa la filosofia! -</p> - -<p> -— Una malattia dello spirito, — sentenziò -Meleto. -</p> - -<p> -— Una malattia, — rincalzò Anito, — che -non ha altro effetto pratico se non -quello di rendere i nostri Ateniesi malcontenti, -impertinenti, disubbidienti, poco -rispettosi anche verso di me. Andrò -io bene alle radici del male, Meleto! -</p> - -<p> -— Sì, ma procedete, vi prego, con la -legalità più scrupolosa. Siamo in città -democratica, e per questo evitai io di -prendere un’iniziativa qualsiasi. Ma poichè -a voi così pare, fate. Badate però -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -che la procedura non deve essere soggetta -ad alcuna critica. Ricavate la sentenza -sulle coordinate del Codice. Tutto -sia — ripeto — perfettamente legale. -Noi non vogliamo che una luce fosca -sia gettata sui nostri costumi politici. -</p> - -<p> -Così parlò Meleto ad Anito ed Anito -a Meleto. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E fu in conseguenza di questo colloquio -fra Anito e Meleto, uno dei più -interessanti colloqui storici che la politica -ricordi ancorchè non si trovi registrato -in alcun testo, che nell’anno -primo della novantacinquesima Olimpiade, -cioè l’anno 399, cioè quattro secoli -prima ancora della passione di nostro -Signore Gesù Cristo, gli Ateniesi lessero, — perchè -tutti gli Ateniesi avevano -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -l’istruzione obbligatoria, e quindi -sapevano leggere, — affisso sotto il portico -dell’Arconte Basileo, questa citazione, -o libello, così concepito: «Socrate, -figlio del fu Sofronisco e della fu -Fenarete, ammogliato con prole, di professione -scultore disoccupato, è accusato -di perniciosissima propaganda contro -lo Stato. Arrogi che egli non mostra -il dovuto rispetto verso Giove, padre -degli Dei e imperatore degli uomini, in -quanto che insegna dottrine religiose -contrarie alla religione dello Stato e -alla democrazia, e perciò è di grave -scandalo alla gioventù». -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Quel giorno Santippe aspettò proprio -invano suo marito per l’ora del desinare. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -</p> - -<h2 id="cap9">IX. -<span class="smaller">Oh, povera Santippe!</span></h2> -</div> - -<p> -Non a pena Santippe venne a sapere -che suo marito era stato messo in prigione, -ne fu molto perturbata. -</p> - -<p> -«Lo dicevo io che una volta o l’altra -ci sarebbe capitato addosso qualcosa di -serio! Eh, avessi io sposato un onesto -trippaio! Suvvia, figliuoli, vestitevi con -i peggiori abiti che avete (già di buoni -non ne avete) e andiamo a metterci sulla -porta per dove devono passare i giudici». -</p> - -<p> -I signori giudici giurati passavano -gravemente in lunga fila di cento giurati, -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -tutti vestiti coi manti bianchi. Essi -si recavano al dikasterio, che vuol dire -<i>la casa di Dike</i>, quella tale vergine e -troppo delicata Giustizia, la quale vedendo -che non c’era modo di salvare il -suo onore, tornò su ancora in cielo: e -allora ci andò ad abitare al dikasterio -una buona donna più accomodante, la -quale non essendo niente affatto vergine, -era corazzata contro gli oltraggi -degli uomini, da ogni parte, con triplice -cuoio, come le navi di Anito. -</p> - -<p> -Ora Santippe all’angolo del dikasterio, -faceva insieme coi figliuoli, gran -corrotto, e tutti quei suoi capellacci -rossi e quelle sue strida mettevano -quasi paura, anche ai signori giurati. -</p> - -<p> -— Meschini noi! — urlava. — Or che -faremo noi, deserti del nostro uomo? -Adess’adesso vengo su anch’io nel dikasterio, -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -e ci mettiamo tutti noi, insieme -con lui, a piangere! -</p> - -<p> -Ma tutti i signori giurati erano di -una gravità nera ed impressionante benchè -vestiti di bianco. -</p> - -<p> -Mostravano verso Santippe la palla -bianca degli occhi e le palme delle mani -ai due lati degli occhi come per dire: -«È una cosa grave, grave, grave!» -</p> - -<p> -E qualcuno pur le diceva: — Pare si -tratti di un delitto contro lo Stato. <i>Crimen -lesae maiestatis!</i> -</p> - -<p> -— <i>Proditionis insimulatus!</i> — diceva -un altro. -</p> - -<p> -— L’arconte basileo, oimè, sostiene -l’accusa! — diceva un terzo. -</p> - -<p> -— Mah! — sospirava un quarto. -</p> - -<p> -— Sentiremo quello che risponde -lui! Ma non sa nè parlare nè star zitto! -</p> - -<p> -— Voi, ad ogni buon conto, la mia -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -buona donna, tenetevi qui pronta con -questi marmocchi; al momento opportuno, -quando si farà la votazione, vi -manderemo a chiamare.... -</p> - -<p> -E qualcuno più disposto a pietà, diceva -piano ai colleghi: — Se non fosse -una cosa sì grave, potrebbe costei -tentar di inviare qualche donativo ad -Anito.... -</p> - -<p> -— Infatti, — rispondeva ancor più -piano il collega, — <i>mùnera placant hominesque -deosque</i>.... Ma che può mandare -costei? -</p> - -<p> -— Che vai dicendo? — chiedeva Santippe. -</p> - -<p> -— Diciamo, buona donna, che Anito -è di animo sensibile. -</p> - -<p> -Così dicevano, nei primi giorni del -processo, i giurati alla buona donna, e -lei si stava tutto il dì alla porta del dikasterio. -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -Bene avrebbe elevato nell’aula -le strida, e fatto gran corrotto non appena -l’avessero chiamata! -</p> - -<p> -Mai però Santippe si sarebbe imaginata -una simile tragedia, la quale avrebbe -travolto anche il suo umile nome nella -rivista della storia! -</p> - -<p> -Ma passavano i giorni, e Santippe -non era chiamata su in tribunale. L’aspetto -dei signori giurati era sempre più -nero ed enigmatico. -</p> - -<p> -— Bisogna che vi armiate di coraggio, -la mia donna, — disse uno dei giurati; — ma -le cose si mettono al male, -e quel disgraziato si vuol rovinare! Invece -di star zitto e lasciar parlare il suo -avvocato, parla lui! Invece di lagrimare -o di strapparsi quei quattro cernecchi -che gli avanzano in testa, sorride, sorride -proprio in faccia all’arconte basileo, -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -e in faccia ad Anito...., e in faccia -a noi! Pare che si sia come fissato; e -i suoi occhi spenti guardano cose lontane! -Mah! — e le teste dei giudici più -pietosi crollavano compassionevolmente -sopra i candidi manti. -</p> - -<p> -— Ma lo sapete pure che è un insensato! — urlava -Santippe. — Quando vennero -a casa a prenderlo, sorrideva anche -allora, e si lasciò portar via come un -pecorino. Io gli volevo sformare il muso -a quei sicofanti, ma lui mi disse di stare -cheta e di non contrastare. -</p> - -<p> -— Non è una buona ragione essere -insensato, — rispondevano gravemente i -giurati. — Certo parla come insensato. -Egli ha dichiarato che è dolentissimo; -ma che per far piacere ad Anito e Meleto -non può, specialmente alla sua età, -mutare la sua vita. Lo vorrebbe anche, -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -ma il suo Dio non vuole, il suo Dio, capite -voi? chè per quello che anche noi -se ne può capire, è più misterioso di Demetra, -più intelligente di Minerva, più -autorevole di Giove stesso. È l’accusa -di Meleto! E lui, infelice, la ribadisce! -</p> - -<p> -— Meleto e Anito allora hanno ragione! -</p> - -<p> -— <i>Crimen impietatis</i>, oltre che <i>crimen -lesae maiestatis!</i> — mormoravano -i giudici del popolo e non volgevano più -nemmeno il bianco delle pupille verso -Santippe. -</p> - -<p> -E venne un nunzio quando fu sera e -disse: — Santippe, Socrate vostro fu -giudicato reo! -</p> - -<p> -— Oimè, oimè, deserta, — urlava -Santippe fuggendo per le vie d’Atene, — me -l’hanno condannato quel povero -uomo. L’hanno giudicato reo! Ma reo -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -dì che? Disoccupato, scioperato, mentecatto, -ma reo di che? -</p> - -<p> -— Datti pace, Santippe, — diceva la -gente per le vie, — ogni speranza non è -perduta.... L’hanno giudicato reo: questo -è vero, ma la maggioranza è di soli -tre voti. L’ultima parola non è ancor -detta. Domani è l’ultima seduta. Meleto, -sì, è vero, proporrà domani la pena; ma -Socrate ha il diritto di fare una controproposta. -È per legge! E allora sappi, -Santippe, che sono ancora i giurati -quelli i quali devono stabilire la pena. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Or dunque, quando venne l’ultimo -giorno, grande fu la trepidazione di Santippe. -</p> - -<p> -Ma il dikasterio pareva quel dì muto -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -come la casa dei morti. Declinava ancora -il sole. -</p> - -<p> -Ad un tratto fu udito un gran tumulto, -un urlo di cento voci, poi silenzio -ancora, poi, dopo alquanto, furono -spalancate le porte e tutte le cento toghe -bianche dei signori giurati si precipitarono -fuori in gran tumulto. Travolsero -Santippe. -</p> - -<p> -Ultimi, lentamente, uscirono Meleto, -Anito ed i notari e fiscali. -</p> - -<p> -— Noi abbiamo salvato la Repubblica! — diceva -gravemente Anito. -</p> - -<p> -— Nel presente e nel futuro, — diceva -Meleto. -</p> - -<p> -I notari, loro intorno, facevano reverenza, -e si ripetevano l’un l’altro: — Una -pervicacia inaudita, signori! -Il disprezzo di ogni tradizione, di ogni -legge! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Che cosa dunque era accaduto nell’aula -del dikasterio? -</p> - -<p> -Questo era accaduto: -</p> - -<p> -I signori giurati avevano il giorno -precedente approvato l’accusa di reità. -Ma la maggioranza dei voti era stata -assai scarsa. Tre voti appena! -</p> - -<p> -E Anito e Meleto uscirono dal dikasterio -in quel dì con accigliato cipiglio -squadrando i cento giurati, fra cui quarantasette -(certo) erano quelli che giudicavano -Socrate, non reo. -</p> - -<p> -Tutta notte Meleto, al lume della lucerna, -meditò nel nero cuore la sua requisitoria. -E come spuntò il dì, la recitò, -e rimbombò l’aula del dikasterio. Egli, -l’arconte basileo, domandava la pena -di morte, <i>pro crimine impietatis</i>! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -</p> - -<p> -— Ma perchè, signori giurati, — proseguì -Meleto, — nulla la democrazia ateniese -fece e farà mai contro la legge, -prima che voi diate sentenza, a te, Socrate, -spetta proporre di quale pena ti -giudichi meritevole. -</p> - -<p> -— In verità, Meleto, in verità, Anito, -e tutti voi, signori di Atene, — cominciò -allora Socrate, — io ben considerando di -avere speso tutta la mia vita in pro’ -vostro e di avere per questo trascurato -gli interessi miei e quelli della mia famiglia, -domanderei invece un premio. -Ma sono vecchio oramai, ho settantacinque -anni e perciò io mi restringo a -chiedervi una tenue pensione; e quanto -a voi, Meleto ed Anito, io chiedo la -nomina nel Pritaneo, dove lo Stato onora -e nutre i suoi cittadini più benemeriti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -</p> - -<p> -(Noi oggi diremmo la nomina a membro -del Senato.) -</p> - -<p> -E fu allora che un clamore immenso -si levò fra i giudici: — Quell’uomo schernisce -la maestà della legge! -</p> - -<p> -— No, membro del Pritaneo? — continuò -Socrate. — Voi mi volete condannare -ad ogni modo? Ebbene: io allora -ubbidirò e pagherò una multa: tutto -quello che io vi posso dare, vi darò, signori -giudici! -</p> - -<p> -E così dicendo, Socrate levò e presentò -alta una moneta: un obolo! -</p> - -<p> -(Noi diremmo: due centesimi.) -</p> - -<p> -E fu così che quegli onesti bruti votarono -la pena di morte a totale maggioranza. -</p> - -<p> -Tutti quei cento bruti da molti giorni -soffrivano di una cotale prurigine alla -pelle, come se le parole di Socrate fossero -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -state un’invisibile, un’impalpabile -polvere vescicatoria. -</p> - -<p> -— A morte! — gridarono i giudici. -</p> - -<p> -— A morte, signori Ateniesi? — domandò -allora Socrate senza mutar voce. — Ma -ci potremo intendere benissimo, -giacchè il Dio solo sa e conosce se la -morte è un male od un bene. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E fu così che Socrate, per profumarsi -col profumo della verità e più specialmente -per non poter tacere, fu condannato -a morte. -</p> - -<p> -Avete ucciso, o Ateniesi, l’usignolo -delle Muse, il savio vero, l’innocente, -il miglior uomo che fosse tra voi. -</p> - -<p> -E gli uomini giudicarono savio l’insensato, -ma soltanto dopo che l’insensato -era morto! -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -</p> - -<h2 id="cap10">X. -<span class="smaller">Santippe nella prigione di Socrate.</span></h2> -</div> - -<p> -Vi sono nella vita certe cose meravigliose -ed indomite che la ragione di -un galantuomo non riesce a capire. -</p> - -<p> -Io, per esempio, non capisco perchè -Socrate non volle fuggire dal carcere -quando quel giorno, che non era nè notte -nè l’alba, venne l’amico Critone e gli -disse: — Socrate, fuggi! -</p> - -<p> -E glielo disse con quella sollecitudine -e con quell’affanno con cui noi avvertiamo -una persona molto cara di campare -da un grave pericolo e la sollecitiamo, -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -perchè essa non vede, non cura, -non è sollecita. -</p> - -<p> -E Critone trovò Socrate non stoicamente -«impassibile», nel suo carcere, -come spesso si legge di alcuni grandi -eroi che erano condannati a morte; ma -lo trovò, come sempre, buono ed affabile. -Era forse un po’ disturbato, in quanto -che Critone lo aveva allontanato dal sonno, -e pareva quasi voler rimproverare il -suo giovane discepolo con quelle parole: — Come, -Critone, a quest’ora? È già -spuntato il sole? — e pareva volesse dire: — Perchè -mi hai tu chiamato alla vita? -</p> - -<p> -— Perchè tu devi fuggire, — dice -Critone, — devi salvarti: tutto è pronto -per la fuga, le guardie del carcere sono -state comperate da noi. -</p> - -<p> -E Socrate disse che non voleva fuggire, -e Critone vide la faccia di Socrate -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -distendersi nel suo umile sorriso come -se dentro un lume di letizia si fosse improvvisamente -acceso. -</p> - -<p> -Critone cominciò a lagrimare. E Socrate -cominciò a spiegargli le belle ragioni -perchè non voleva fuggire. -</p> - -<p> -Ed è proprio vero quello che noi sappiamo, -cioè che Socrate non volle fuggire -per non far del male alla sua adorata, -unica patria disubbidendo alle sue leggi? -</p> - -<p> -Sì, questo può darsi. Allora non usavano -le nostre grandi patrie; ma usavano -piccole patrie, le quali si abbracciavano -con un’occhiata, e si abbracciavano -anche col cuore più facilmente che -non le nostre troppo grandi patrie. Ma -può anche darsi che Socrate udisse al -di là della voce di Critone che supplicava: -«Socrate, fuggi!», la voce dell’umanità -che diceva: «Socrate, non fuggire; -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -Socrate, per carità, fatti ammazzare!». -Perchè è un fatto che l’umanità -ha bisogno, ha bisogno, ogni tanto, -come l’Orco della favola, di divorare -qualche uomo giusto. -</p> - -<p> -E potrebbe darsi inoltre che Socrate -avesse sentito in quell’ora tutta la verità -di quelle parole inebbrianti che egli -già aveva dette ad Assioco: «Da quest’ora -in avanti la mia anima desidera -la morte». -</p> - -<p> -E potrebbe anche darsi che Socrate -provasse in quell’ora quel furente entusiasmo, -quella follia che Dante colloca -nell’animo di un altro eroe tutt’altro che -ingenuo, quando lo sospinge, vecchio, -ad affrontare l’immenso mare, ignoto, -delle tenebre: «Suvvia, Socrate, facciamo -l’esperimento della morte! Scagliamo -la nostra vita, con ancora tutte -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -le fiaccole dei sensi vive ed accese, contro -la morte!» -</p> - -<p> -Ma che ne sappiamo noi? -</p> - -<p> -Noi sappiamo che egli non volle fuggire -e che la mattina in cui, a giorno -già fatto, gli amici suoi, Fedone, Critone, -Apollodoro, Cebete e altri entrarono -nel carcere, per l’ultima volta, vi trovarono -già Santippe. -</p> - -<p> -Povera e calunniata signora! -</p> - -<p> -Quante volte abbiamo letto nei libri, -nei giornali, che mentre il marito sta -per morire, la moglie consulta la sarta -sull’abito da lutto! -</p> - -<p> -Ma Santippe, no: ella era nel carcere -di suo marito perchè aveva saputo che -in quel giorno Socrate doveva morire. -Ella non disse: «Oh, finalmente se ne -va quel buon uomo». -</p> - -<p> -Ella seguiva il marito. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Però la sentenza non potè subito essere -coronata dalla esecuzione; passò -più di un mese tra la sentenza e l’esecuzione. -Ciò avvenne perchè non sarebbe -stato legale uccidere Socrate in quel -frattempo! Quello era un sacro tempo! -Ogni anno una nave salpava dal porto -di Atene per portare doni <i>ex voto solemni -pro accepta gratia</i>, al dio Apollo -che abitava l’isoletta di Delo. Ora per -tutto quel tempo era per legge vietato -di ammazzare. Dopo, sì, si poteva ammazzare! -Ma a cagione del mare cattivo -e dei sacri banchetti, la sacra nave -tardava ad arrivare. Ora finalmente era -’arrivata ed era permesso ammazzare. -</p> - -<p> -Ad Anito e Meleto, all’aristocrazia -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -ed alla democrazia, stava a cuore la più -scrupolosa legalità. -</p> - -<p> -Gli ufficiali di giustizia, che erano -Undici, si erano affrettati di buon mattino -a slegare Socrate, che per tutto -quel mese era stato incatenato come -una malvagia bestia, e il servo dei magistrati — noi -diremmo, il boia — pestava -tranquillamente la cicuta nel suo -mortaio. -</p> - -<p> -Era press’a poco l’ora lugubre in cui -l’<i>esecutore delle grandi opere</i> — come i -Francesi, eleganti sempre, chiamano il -carnefice — sorveglia al lume delle fiaccole -se la ghigliottina è montata a dovere; -e si veste l’abito nero: l’ora lugubre -in cui gli elettricisti in America provano -la bontà della corrente nella sedia -elettrica: in cui in altri paesi il boia -impiccatore sporge per l’apertura della -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -carcere la sua pupilla per vedere sul -condannato di quale lunghezza deve essere -la corda della forca. Ai tempi di -Socrate non esistevano questi lugubri -progressi tecnici e la morte legale era -somministrata in una maniera più intima -e meno spettacolosa. -</p> - -<p> -Si dava la cicuta. -</p> - -<p> -La cicuta è una pianticella che cresce -nei luoghi umidi. Essa è molto simile -all’utile prezzemolo e produce una -morte — dicono — quasi tranquilla, come -quella che spesso avviene naturalmente, -quando questo povero nostro cuore improvvisamente -si ferma per non riprendere -più. Certo non così estetica e tranquilla -come la descrive Platone, ma -insomma una cosa discreta! -</p> - -<p> -Dunque gli amici entrarono e trovarono -Santippe nella prigione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -</p> - -<p> -Ella era venuta di buon’ora insieme -con i magistrati, detti gli Undici. Si era -levata presto quella mattina perchè aveva -saputo anche lei che la sacra nave -era giunta. Il più piccino dei figliuoli si -era svegliato di soprassalto sentendo -che la mamma si levava che era quasi -notte, e: — No via, no via anche tu, -come il babbo! — aveva detto e poi si -era messo a piangere; e allora Santippe -lo aveva infagottato alla meglio per non -farlo piangere di più e non svegliare gli -altri due fratelli che, per fortuna, dormivano. -</p> - -<p> -E per le vie ancor buie di Atene, era -corsa alle carceri e aveva veduto entrare -i signori Undici. Allora s’era messa a -galoppare col suo figliuolo in braccio; -li aveva raggiunti e: — Oh, Madonna, -oh, Signore, è vero — chiedeva all’uno e -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -all’altro degli Undici — è vero che oggi -mio marito deve morire? -</p> - -<p> -— E arrivata infine la sacra nave -da Delo, — risposero gravemente gli uomini -della legge. -</p> - -<p> -— Andate là, vedete di aspettare, lasciatemi -andare da Anito, — chi sa che -non gli possa parlare, che non abbia -pietà di noi meschinelli. -</p> - -<p> -— La mia buona donna, — disse uno -degli Undici — intanto a quest’ora Sua -Celsitudine Anito dorme, e poi dite un -po’, dove andrebbe a finire il mondo se -si potesse così leggermente fermare la -spada punitrice della Giustizia? -</p> - -<p> -— Ma infine, — urlò Santippe, — cos’ha -fatto questo pover’uomo? Ha rubato? -Ha ammazzato? No! Diceva delle -cose senza capo nè coda perchè aveva -come una fissazione! Eh, se si dovessero -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -ammazzare gli uomini per le sciocchezze -che dicono, allora non ci resterebbe neppur -più la cria della vostra brutta razza -prepotente. -</p> - -<p> -— Delle «sciocchezze»? — disse il più -grave degli Undici, spalancando la bocca -ammirativa dentro la sua venerabile barba, -mentre gli altri degli Undici già salivano -le scale della prigione. — Delle -sciocchezze? Ha fatto grande scandalo! -</p> - -<p> -— Ma che scandalo?... -</p> - -<p> -— Ha disprezzato la legge della città! -Ma sapete voi cos’è la legge? La -legge è quella cosa...... -</p> - -<p> -— Che la fa chi può, e la mangia -chi deve, — disse Santippe. -</p> - -<p> -— Vi compatisco che non sapete quel -che vi dite. E l’avere offeso Giove Olimpio -che è il padre degli dei e degli uomini, -vi par poco? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -</p> - -<p> -— Eh, che non ci credete più neppur -voi a Giove Olimpio, buffoni! -</p> - -<p> -E a quell’invettiva il bambinello che -aveva, coi grandi occhi attoniti, sull’alto -della spalla di Santippe, assistito a quella -scena al lume delle lanterne che ingiallivano -già, per l’alba nascente, scoppiò -in pianto dirotto. -</p> - -<p> -— Sta buono, cocco di mamma tua, -sta buono; ora andiamo dal babbo. Vuoi -vedere il babbo? Sì? Ora lo andiamo a -vedere. Ma non piangere. -</p> - -<p> -E salì dietro gli Undici, i quali erano -molto seriamente occupati a levare le -catene a Socrate. -</p> - -<p> -Ora appena fu entrata: — Socrate, -Socrate, Socrate, — esclamò Santippe — ma -dunque è vero? Ma perchè ti sei difeso -così male? Anche Pericle si è messo -a piangere davanti ai giurati, e tu -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -perchè non l’hai fatto? Perchè non hai -gridato «è Anito che mi odia»? E -adesso come si fa? E per gli affari chi -ci pensa? E come si rimedia a quell’ipoteca -che ci mangia tutta la casa? Ah, -vedi, che guadagno ci hai fatto con quella -tua idea fissa del <i>kaloì kagathoì</i>! -</p> - -<p> -Intanto gli Undici avevano tolto la -catena e se ne erano andati, lasciando -Santippe, giacchè le antiche leggi ateniesi -non erano così formaliste come le -nostre, in quanto che non era stata ancora -ben perfezionata la burocrazia. -</p> - -<p> -E quando fu sola con lui, gli si assise -vicino sul letticciuolo, col bimbo, -che tirava al babbo la barba con le sue -dolci manine, e proseguì: — Ma se ieri -l’altro, prima che arrivasse quella maledetta -nave, Critone aveva combinato tutto, -aveva pagato i carcerieri, era venuto -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -a casa a dirmi di tenerci pronti! Io avevo -messo da parte quei quattro stracci -per poter scappare tutti insieme.... Io -pensava: To’, non tutto il male vien per -nuocere. Andremo a vivere a Megara, a -Tebe; là, lontano dalle occasioni, senza -più tutti quei suoi cattivi compagni che -lo fanno parlare, chi sa che lui non badi -di più alla sua famiglia. Così io pensava -e chi sa anche che non gli entri in testa -che il primo dovere di un uomo serio -è quello di badare a sè ed alla sua -famiglia.... Ma cosa ti saltò in mente, -povero infelice, di rifiutare? Ma almeno -parla, rispondi, ma di’! Se non lo vuoi -fare per me, chè non mi vuoi bene, lo -so!, fallo per questa creaturina qui, che -è tuo sangue.... Non vedi come è pallidino, -smorto? Ha un’anima anche lui, -sai! Alza la testa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -</p> - -<p> -E fu in quel punto, che già il giorno -era ben chiaro, che entrarono gli amici -di Socrate; e allora Santippe, come una -lampada su cui è versato dell’olio, scoppiò -in un gran pianto, e la realtà imminente -della morte le si affacciò nel suo -orrore. -</p> - -<p> -— O Socrate, Socrate, — gridava fra -i singhiozzi, — ecco l’ultima volta che io -e i tuoi amici parleremo con te e tu con -noi! -</p> - -<p> -E allora Socrate infine parlò. Si rivolse -specialmente a Critone e gli disse: — Suvvia, -amici, conducete via quella -donna e rimenatela a casa. -</p> - -<p> -E allora avvenne una dolorosa scena -perchè Santippe non voleva andar via, -e ingiuriava e piangeva, lei e il bimbo. -Ma finalmente fu trascinata a forza e -spinta fuori e poi fu chiusa la porta. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -</p> - -<p> -E stavano gli amici in mortale silenzio, -quando Socrate, che era seduto — come -dicemmo — sul lettuccio, soffregandosi -la gamba che era stata per -quasi un mese stretta nel morso della -bestiale catena, sorridendo disse: — Ecco -qui, — e indicava il lividore delle carni -piagate dalla catena, — io provo un -grande piacere, mentre prima provavo -un grande dolore. Sapete che è una -gran cosa, una meravigliosa cosa quella -del dolore e del piacere? Che cosa sono -essi? Ci stavo appunto pensando quando -entrò colei, anzi mi era venuto in mente -di comporre una favola come quelle -di Esopo, nella quale volevo dire quello -che me ne pareva, cioè che il Piacere ed -il Dolore sono così strettamente congiunti -insieme, che quando l’uomo -vuole prendere l’uno è costretto a prendere -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -anche l’altro. Vi pare? E perciò -imaginavo che Esopo componesse così -la favola, che il Dio volendo far fare -pace a questi due nemici inconciliabili, -il Piacere ed il Dolore, e non potendo, -li legò insieme. Ed è quello che è avvenuto -a me. Nella gamba, prima, per effetto -della catena vi era il dolore, adesso, -tolta la catena, vi è il piacere. Bella la -favola, è vero? Più bella del ragionamento. -Ora ci vorrebbero i versi. Ma chi -ne ha tempo? -</p> - -<p> -Ora urgeva il tempo della morte. -</p> - -<p> -Mentre così parlava, Santippe col -figlioletto si era rincantucciata, disperata -e piangente, in fondo a un corridoio -della prigione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Che peccato che Sofocle, il vecchio -immortale, che fu trascinato anche lui -dai figli davanti ai giudici perchè pe’ -suoi sogni negligeva gli affari di casa, -che peccato — dico — che egli -fosse morto da qualche anno! Se fosse -stato in vita allora, avrebbe scritto su la -povera Santippe una nuova tragedia, più -potente assai delle molte che scrisse su -gli eroi e sugli Dei. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -</p> - -<h2 id="cap11">XI. -<span class="smaller">La Immortalità dell’anima.</span></h2> -</div> - -<p> -La presenza di Santippe presumibilmente -contrastava con l’argomento che -Socrate, dopo essersi soffregata la gamba, -stava per trattare con i suoi amici: -cioè dell’immortalità dell’anima. -</p> - -<p> -Egli, come già, abbiamo veduto, non -appena gli fu tolta la catena, aveva sentito -il piacere, mentre prima sentiva il -dolore. Una vera scoperta come quella -di Archimede. -</p> - -<p> -Socrate naturalmente non tripudiò, -come Archimede, per la sua scoperta -sulla legge morale del Piacere e del -Dolore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -</p> - -<p> -Gli faceva ancora un po’ male la gamba, -per saltare; e forse gli faceva male -anche il cuore per la vista di quel suo -povero piccino, che dalle braccia di Santippe -si protendeva sino al volto di lui, -invano, per l’ultima volta, tentando e -inconsapevolmente di conciliare gli inconciliabili -e pure gli inseparabili, cioè -Socrate e Santippe: inconciliabili ed inseparabili -come il piacere ed il dolore: -ed aveva esclamato il povero piccino: — <i>File -pappos, pappos emòs</i>, caro babbo; -oh, babbo mio! — E poi era stato -trascinato via con sua mamma. -</p> - -<p> -Ben fu crudele Socrate verso Santippe -e verso il suo sangue! Lo accerta -Platone che non prese moglie, non ebbe -figli. Ma forse può darsi che sia stato -così! Socrate stava per isciogliere il -suo ultimo canto sull’immortalità dell’anima. -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -Egli era giunto in vista del -grande oceano; egli, come il cigno morente, -sentiva il canto salire vertiginoso. -Santippe co’ suoi piagnistei, avrebbe -dato disturbo. -</p> - -<p> -Ma può anche essere un’altra causa, -che Platone non dice, cioè che Dioniso, -il dio terribile e insieme pietoso, abbia -concesso a Socrate in quelli estremi momenti -quell’ebrietà, che toglie la sensazione -delle cose vere presenti e dona la -esaltazione per cui, tanto al savio come -all’infante, la buia morte appare come -una continuata vita. -</p> - -<p> -Dunque Socrate, prima di morire, -parlò a lungo della immortalità dell’anima. -</p> - -<p> -Questo famoso discorso di Socrate -sull’immortalità dell’anima, conserva -anche oggi una strana forza di attualità. -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -Sì, sì: il problema della morte rimane -ancora uno dei più seri problemi della -vita, ma sarà meglio non parlarne. -</p> - -<p> -Chi ha visto su di un caro volto immobile -rinchiudersi il coperchio della -bara, preferisce non parlarne. Dirò soltanto -che dei molti argomenti di Socrate, -o di Platone, questo più mi piace, -come quello che più è semplice, tanto -semplice che non è nemmeno un argomento: -«Se non ci fosse la vita futura, -ben fortunati sarebbero gli uomini malvagi -perchè con la loro anima scomparirebbe -anche la loro malvagità». -</p> - -<p> -Come anche pare una cosa assurda -che per un bicchiere di cicuta, una innocente -pianticella, propinata da Anito, si -debba spegnere la meravigliosa sensazione -del vivere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Cadeva il sole quando il lungo discorso -di Socrate sull’<i>immortalità dell’anima</i> -ebbe fine. -</p> - -<p> -Ebbe fine? -</p> - -<p> -Era dal mattino che il servo degli -Undici teneva pronto il bicchiere della -cicuta, e con una cortesia del tutto ellenica, -attendeva che Socrate chiamasse. -</p> - -<p> -Infatti Socrate già disse agli amici: — Voi -vi avvierete a questo passo che -io transito, alquanto più tardi di me; -ma già «ora mi chiama il fato», come -direbbe un poeta tragico. -</p> - -<p> -E disse anche: — E’ mi par meglio -prendere ora il bagno e lavarmi bene e -poi bere il veleno, senza dare poi alle -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -donne ed a Santippe la noia di lavare il -cadavere. -</p> - -<p> -E questa fu l’ultima sua cortesia -verso Santippe. -</p> - -<p> -Poi gli furono condotti i figli e Santippe -anche. Conversò con essi alquanto, -diede alcune sue disposizioni, e poi li -rimandò. -</p> - -<p> -Noi non sappiamo altro. -</p> - -<p> -Dopo queste cose egli parlò poco di -più. -</p> - -<p> -Venne il servo; portò il veleno; gli -insegnò, da persona esperta, il modo -che doveva seguire perchè il veleno presto -salisse al cuore. -</p> - -<p> -Poi il servo se ne andò, dicendo a -Socrate: — Addio, Socrate, procura di -sopportare l’inevitabile meno dolorosamente -che tu possa. -</p> - -<p> -— Si, addio anche a te, caro, — gli -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -rispose Socrate: E vòlto agli amici: — Era -una garbata persona, colui. Mi -ha tenuto spesso compagnia. -</p> - -<p> -Poi prese con mano ferma il veleno -e bevve tutto di un fiato. -</p> - -<p> -Allora la carcere si riempì di gran -pianto. Ma Apollodoro, che tutto quel -dì aveva lagrimato come Santippe invece -di ascoltare i discorsi di Socrate -sull’<i>immortalità dell’anima</i>, diè in un -urlo, e venne fuori di sè, e fu allora che -Socrate gli disse: — Ho mandato via -Santippe specialmente per questo, per -non vedere questi eccessi e queste lagrime. — Ed -affissando con le grandi -pupille gli amici, soggiunse: — Io ho -sempre inteso dire che conviene morire -lietamente. -</p> - -<p> -Poi attese camminando, finchè il gelo -della morte gli giunse al cuore. Allora -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -si sdraiò e si copri il volto. Ma ad un -certo punto si riscosse e discoprendosi -del lenzuolo e rivolgendosi a Critone, -mormorò queste ultime parole: — Critone, -noi siamo in debito di un gallo ad -Esculapio. Dateglielo. Non ve ne dimenticate! -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Esculapio era il dio della medicina, -ed era costume in Atene, come oggi si -paga il medico dopo che vi ha curato da -qualche infermità, di fare un regalo al -dio. E così Socrate voleva pagare e ringraziare -il medico Esculapio per averlo -guarito con la morte del male della vita. -</p> - -<p> -Socrate aveva, forse, trovato l’ultimo -corollario della legge sul Piacere e sul -Dolore. Era stato liberato dalla catena -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -della vita, e forse allora sentiva piacere. -Questo è quanto di più preciso noi sappiamo -intorno all’<i>immortalità dell’anima.</i> -</p> - -<p> -Dopo, ancora, ritornò il servo degli -Undici. Percepì un fremito sotto il lenzuolo. -Scoperse Socrate e vide che aveva -l’occhio fisso. -</p> - -<p> -Questa cosa vedendo, Critone gli -chiuse gli occhi e la bocca. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Sono passati parecchi secoli da quel -giorno che Socrate morì per aver bevuto -la cicuta, propinatagli dai suoi concittadini; -ma strana cosa: io non mi posso -raffigurare Socrate morto e la sua bocca -sigillata per sempre. E sì che egli era -ben morto corporalmente! Un poeta racconta -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -che quando fu già dopo il tramonto, -uscirono dalla prigione, a capo chino, in -silenzio, quegli amici di Socrate, e poi -quella povera Santippe; e c’erano davanti -alla carcere alcuni monelli che -giocavano con gli scarabei, e martoriando -una civetta, e cantando: -</p> - -<div class="poem"> -<p>E gira, gira a tondo,</p> -<p>E gira tutt’il mondo....</p> -</div> - -<p> -Poi quando videro uscire coloro e dilungare -così tristamente, capirono che -l’uomo che doveva morire in quel dì, era -morto; e allora ruppero le danze e corsero -su dal carceriere, e sì gli dissero: -</p> - -<p> -— È vero che hanno ucciso quell’uomo -brutto? Facci vedere l’uomo -brutto che è morto. -</p> - -<p> -E quegli disse: — Se sarete buoni, -vi farò vedere l’uomo morto. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -</p> - -<p> -E così li condusse, perchè piace a -molti che non hanno ancor lagrimato -dentro il loro cuore, andare a vedere il -morto. -</p> - -<p> -Ma cosa strana! Io non so imaginare -Socrate morto. E la favola degli eroi -che spezzano il marmo del sepolcro e risorgono, -mi pare pur vera cosa! Io me -lo vedo ancora tornare davanti, Socrate, -col suo sorriso; e mi domanda con quei -suoi grandi occhi tondi: — Che c’è di -nuovo? Gli uomini sono diventati belli -e buoni? -</p> - -<p> -— Si attende ancora, figlio di Sofronisco. -Gli uomini stan diventando meccanici. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -</p> - -<h2 id="cap12">XII. -<span class="smaller">Avvertimenti -agli infelici figli di Santippe.</span></h2> -</div> - -<p> -Il vostro buon papà, cari figliuoli di -Socrate, si è ostinato a voler bere la -cicuta. Ora giace col naso affilato e con -le palpebre chiuse: le sue parole non le -udirete mai più. Per questa ragione e -per altre cause, che voi siete figli di un -filosofo e di una donna bisbetica, il vostro -avvenire probabilmente sarà infelice. -</p> - -<p> -Il vostro buon papà era un grande -ammiratore di Omero, e aveva ragione. -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -Voi lo ricordate, è vero, il povero babbo, -con tutti quei suoi paragoni semplici e -sottili del fabbro, del falegname, degli -asini col basto? -</p> - -<p> -Anche il vostro povero babbo fu un -gran falegname della verità. Ma ogni -tanto, lo ricordate? veniva fuori con citazioni -e versi di Omero. Omero è stato -fra i poeti quello che più si è accostato -alla verità umana, e perciò era assai -caro a Socrate, il padre vostro. -</p> - -<p> -E se è vero, che nel mondo dei morti -sarà ai poeti strappato un dente per -tutte le bugie che hanno detto, è certo -che moltissimi saranno i poeti sdentati. -Ma Omero li ha tutti i suoi denti. Egli -non mangiava lo zucchero filato dell’estetica, -ma il nero pane della verità, -che fa bene ai denti. Lo ricordate Omero — o -figli di Santippe — quando parla -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -di Astianatte figlio del re Ettore e di -Andromaca, rimasto orfano dopo che -Achille gli ha trucidato il padre e per -tre volte ne ha trascinato il cadavere -nudo dietro la furia dei cavalli correnti -attorno alle mura di Troia? -</p> - -<p> -E lo aveva, lagrimando, Ettore sollevato -su, il suo bambino, quasi per accostarlo -a Giove che lo vedesse come -era carino, e gli avesse un po’ di pietà. -Macchè! L’insensato dio non vide! Povero -Astianatte, poveri figliuoli di Socrate -e di Santippe! -</p> - -<p> -Astianatte orfano e solo, va ora, con -le guance lagrimose e smunte, a trovare -quelli che già furono amici di suo padre, -e tocca agli uni il saio, agli altri il mantello. -Ma essi rispondono: — Va, non ti -conosco. — Il più pietoso fra essi gli accosta -appena la tazza alle labbra, e i -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -giovani orgogliosi lo ributtano e dicono: — Non -toccare il pane delle nostre mense! — E -i vicini, con la protezione delle -leggi, portano via i termini del suo terreno -e lo privano di tutto. Tale fu il destino -di Astianatte, figlio del morto re -Ettore; tale sarà il vostro destino, figli -di Socrate. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Siete andati, o figli di Socrate, anche -voi a tirare il mantello ed il saio agli -amici del babbo? Vi hanno dato niente? -Santippe forse era con voi, più vecchia, -più bisbetica, più arruffata che mai. Ella -avrà anche detto villania e vergogna. -Avrà detto: — Guarda là! vedili là, -quei bei <i>gingin</i>, che facevano bellin bellino -a quel povero màrtoro di mio marito. -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -To’! Fanno finta di non conoscermi. -Non la conoscete più Santippe? la moglie -di Socrate, <i>ne Dia</i>, per Giove; e -questi qui sono i suoi figliuoli. Non -vi hanno nemmeno guardato in faccia, -creature mie, e sì che la fisonomia di -vostro padre l’avete! -</p> - -<p> -— Oh, — hanno detto coloro sollevando -gli occhi al cielo, — non dovreste -mai nominarlo, voi, Santippe, quel sant’uomo -di vostro marito, dopo tutto -quello che gli avete fatto soffrire. -</p> - -<p> -— Soffrire io? Ah, vigliacchi di uomini! -Parlano così loro, dopo che mi -hanno sviato di casa quel pover’uomo, -che gli hanno messa quella vesania, -quella frenesia nella testa di andare a -cercare il segreto delle cose, e a tener -ferma in terra la Dike. -</p> - -<p> -Sì, c’era da lasciarci il ricordo delle -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -unghie in faccia a quei signori, e Santippe -il coraggio di lasciare le impronte -delle unghie ce l’aveva; ma per allora -si tenne quieta per la pietà dei figliuoli. -Ma disse: -</p> - -<p> -— Suvvia, voi che foste amici di Socrate, -vedete di trovare qualche impiego -a questi ragazzi. -</p> - -<p> -Ma a chi parlava, o sventurata Santippe? -</p> - -<p> -Gli amici di Socrate non c’erano più! -</p> - -<p> -Critone, perseguitato, era fuggito da -Atene; il dolce Apollodoro non aveva -saputo sopravvivere. Socrate, il dio per -cui viveva, era morto. Servire il mondo? -Meglio morire! Senofonte, il gagliardo, -era esulato da Atene, gonfio il -cuore di sdegno, lontano, per lontane -terre, per lontane guerre; Alcibiade, -bellissimo, viveva chiuso nella sua perfida -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -mente, e dopo aver meditato su la -morte di Socrate, si era convinto della -necessità di divenire magnificamente -belluino, e perciò era diventato uomo -politico, come Anito e Meleto; Platone, -il soave Platone, quando ebbe visto il -suo povero Socrate ridotto a quel modo, -col naso all’insù, si era messo in un -gran spavento, ed aveva giurato a se -stesso di non occuparsi se non di cose -tanto alte e sublimi che nessuno ci trovasse -a che dire. -</p> - -<p> -«Anche nella storia dei filosofi, — meditava -l’antiveggente Platone, — c’è -puzza di sangue e di bruciaticcio. Ê -bene cercare la immortalità per altra -strada che non sia la prematura morte.» -</p> - -<p> -Perciò Santippe, che si era recata a -trovare il buon Platone, non lo trovò. -</p> - -<p> -Andò da Alcibiade. Ma la casa di lui -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -era guardata da cento servi in livrea, -che non lasciavano passare. -</p> - -<p> -E gli altri? Gli altri, fatti già uomini, -si ricordavano della avventura socratica -tutt’al più come di una scappata di -giovinezza. Qualcuno, forse, come Pietro, -seguace di Cristo, si vergognava di -essere riconosciuto quale discepolo di -Socrate; qualche altro, come Giuda -Iscariota, si era dato al traffico delle -monete d’argento ed allo sfruttamento -dei pezzenti. Dunque dagli ex-amici di -Socrate non c’era proprio da sperar -niente! -</p> - -<p> -Povera Santippe! Una piccola pensione -dallo Stato non la avrà potuta ottenere, -nemmeno. — Capisco, — le avrà -risposto qualche capo divisione, — vostro -marito è morto in servizio della Repubblica; -è una tesi che si può sostenere. -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -Egli esercitava l’ufficio di calabrone, -come si qualificava da se stesso, il quale -deve pungere un nobile ma indolente -cavallo come era il popolo d’Atene. Ma -era un servizio non richiesto, ed il cavallo -ha dato una zampata ed ha schiacciato -il povero calabrone. Una disgrazia, -ma se la poteva aspettare la mia donna! -Denari no, non ve ne possiamo dare, -perchè sapeste quanto costò il rivestimento -di cuoio per le navi! Volete dei -biglietti gratuiti per il teatro? delle tessere -per le cucine economiche? Stendete -una regolare domanda. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Andò Santippe infine a trovare Eritreo. -Eritreo, faccia ossuta, glabra, color -limone, sorriso acido, volontà di macigno, -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -erudizione spaventosa, ma senza -Demone. Era il professore del Lyceum. -</p> - -<p> -Abitava una bella casa, ben ordinata -e provveduta a cura dello Stato. Santippe, -quando potè arrivare sino a lui, -vide la sua gran faccia pallida sollevarsi -dai codici. -</p> - -<p> -— Lei è? -</p> - -<p> -— Io son Santippe, moglie di Socrate, -e questi sono i suoi figliuoli. Guardali -in faccia, son lui nati e sputati! -</p> - -<p> -— Oh, pover’uomo! — esclamò Eritreo. -</p> - -<p> -— Cosa, pover’uomo! — garrì Santippe. — Pover’uomo -lo posso dir io, -non lei; perchè per quelle cose lì dei -libri valeva più di tutti. Oh, non l’ha -proclamato l’Oracolo di Delfo il più sapiente -di tutti gli uomini, <i>andròn apànton -Sòcrates sofòtatos?</i> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -</p> - -<p> -Eritreo, oltre ai codici, aveva alcuni -fidi discepoli che studiavano sui codici -ed erano come nascosti dietro i codici. -</p> - -<p> -Un sorriso acido increspò le labbra -di Eritreo all’esclamazione di Santippe -e tutti i suoi discepoli sorrisero a quel -modo, acidamente. -</p> - -<p> -— Ah, ah, — disse Eritreo, — la sentite, -bennati giovani, codesta donna? -Anche lei ripete, come taluni, che Socrate -<i>primus deduxit philòsophiam de -cœlo in terram!</i> -</p> - -<p> -— Ah! — esclamarono i discepoli. -</p> - -<p> -— <i>Deduxit nèbulas</i>, — disse Eritreo. — Ci -portò delle fantasticherie! -Buon uomo, che diceva di sentire un -dio ignoto parlare.... Lo sentite voi? -</p> - -<p> -— Mai sentito! mai visto! — risposero -premurosamente i bennati giovani, -i quali, come Eritreo, avevano l’occhio -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -lucido soltanto per le superficie non per -gli abissi profondi. -</p> - -<p> -— E quale cosa — disse gravemente -Eritreo, rivolto a Santippe — più contraria -alla vera saggezza, al vero positivismo -che volere gli uomini diversi da -quello che sono? E quale cosa più ingenua -che vivere la propria filosofia? Si -professa, non si vive una filosofia. -</p> - -<p> -Le vampe salgono alle gote di Santippe. -</p> - -<p> -Dice quasi singhiozzando: — Ma se -l’ha proclamato l’Apollo in Delfo.... -</p> - -<p> -— E dov’è, buona donna, l’Apollo -Delfico? Chi l’ha visto mai? Povero Socrate, -in materia di religione egli è -morto da ieri, ma ci pare già un antenato, -uno dei tempi semplici del buon -Solone. Un disgraziato che andava soggetto -ad esaltazioni ed allucinazioni liriche! -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -<i>Verum enim vero, quando quidem, -dubio procul, edepol, meus deus -fidius</i>, quand’anche fosse che vostro -marito sia stato un valentissimo uomo, -io sono desolatissimo, ma io prego di lasciarmi -in pace, e di non compromettermi. -Quel vostro marmocchio più piccolo -già mi ha quasi sgualcito un codice. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E Santippe se ne andò peregrinando -coi figliuoli nella Focide dove era il santuario -di Apolline in Delfo. Ma il dio, -che, in mancanza d’altri, ella voleva interrogare, -non c’era, in fatti, come affermava -quel letterato. Aveva emigrato -per sempre; e Santippe non trovò che -una scritta, un ben curioso geroglifico, -inciso su di un macigno enorme. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -</p> - -<p> -E il povero Socrate aveva camminato -con quel macigno enorme sulle -spalle nel cammino della sua vita; ed -era stato schiacciato. E dopo Socrate -verrà Cristo e rimarrà schiacciato, ed -altri verranno nei secoli, attratti dal fascino -del divino enigma che era scolpito -profondamente su quel macigno, e -conteneva queste tre parole: <i>conosci te -stesso!</i> E rimarranno schiacciati! -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -Ora è ben più triste la casa di Socrate: -nemmeno più le strida di Santippe! -Ella fa andare sul tagliere il setaccio -per cuocere sul testo una focaccia, -una crescia, un pulmento qualsiasi. -</p> - -<p> -Come nei tristi silenziosi tramonti -invernali il raggio del sole balena su le -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -pareti scialbe; dispare, riappare con un -ultimo guizzo sanguigno; poi incombono -le tenebre fredde violacee; così l’imagine -di lui, di Socrate, si sofferma ancora -nella povera casa, balena, scompare. -</p> - -<p> -Fra il ciarpame, in un angolo, stanno -vecchie masserizie, che paiono avere -quasi l’anima infranta; v’è anche una -povera cuna. Quivi giacquero i figli di -Socrate. Ed al mattino, quando il sole -indorava la stanza, il sole scopriva i -cari volti infantili: la dolce primavera, -il cinguettìo dal nido ridesto al tepore -del sole: «Ba.... ba.... babbo, pappas!» -Salutavano gioiosamente lui che li aveva -chiamati, non richiedenti, alla faticosa -vita: — <i>Pappas! Pappas, file pappas,</i> -bel papà! -</p> - -<p> -Ma tu non le udisti le care voci, o -Socrate, tu col tuo cupo demone nel -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -cuore che ti spingeva a cercare che cosa -ci fosse nell’intima natura di ogni cosa: -<i>ti en écaston!</i> Va, va a ricercare <i>ti en -écaston</i>, chè non lo saprai mai e quando -l’avrai saputo, le cose saranno come -prima. -</p> - -<p> -— Se vi salta in mente di andar dietro -all’<i>Andreia</i> (valore), all’<i>Aretè</i> (virtù), -alla <i>Sofrosine</i> (sapienza), all’<i>Encratia</i>, -al <i>Ti en écaston</i>, — dice Santippe -ai figliuoli, — vi sbatto questo setaccio -sulla testa e ve ne faccio una berretta. -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E la notte è venuta. -</p> - -<p> -Ma di chi è il suono dei vecchi sandali? -Di chi è quella voce armoniosa ed -ironica? -</p> - -<p> -Chi è? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<p> -E Santippe balza sul giaciglio: un -soffio come di un bacio si posa sui rossi -capelli, biancheggianti ormai, un ardore -come di lagrime cadenti, e una voce risponde -e mormora: — È Socrate, tuo -marito.... -</p> - -<p class="ast">*</p> - -<p> -E per tutto ciò ci sembra opportuno -terminare questa narrazione con un -passo o citazione autorevole, come è costume -dei nostri eruditi. -</p> - -<p> -Esso è del gigante Gargantua, figlio -di Rabelais. Gargantua, mangiando una -certa insalata, non si era accorto menomamente -di avere inghiottito sei pellegrini -errabondi, che erano in essa. Ma -se ne accorse ad un certo pizzicore che -sentiva nello stomaco. Ed allora li rimandò -fuori e così li ammonì: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -</p> - -<p> -«D’ora innanzi non siate propensi -a codesti oziosi ed inutili viaggi nei deserti -dell’umano sapere. Rimanete nelle -vostre famiglie, lavorate secondo l’animo -vostro, educate i vostri figliuoli e -vivete come vi insegna il buon Apostolo -San Paolo. Per tale modo avrete la protezione -di Dio e dei Santi, nè mai danno -o peste graverà sulle vostre case». -</p> - -<p class="pad2 center large"> -FINE. -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE.</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td colspan="2"><span class="smcap">A chi leggerà</span></td> <td class="pag"><a href="#intro">Pag. <span class="smcap lowercase">IX</span></a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">I.</td> <td>Ellade, giovinezza del mondo</td> <td class="pag"><a href="#cap1">1</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">II.</td> <td>Come io mi trovai alle prese con Santippe</td> <td class="pag"><a href="#cap2">18</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">III.</td> <td>Socrate per le vie di Atene</td> <td class="pag"><a href="#cap3">51</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">IV.</td> <td>Socrate e la Morte</td> <td class="pag"><a href="#cap4">88</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">V.</td> <td>Questioni molto serie proposte da Santippe a Socrate</td> <td class="pag"><a href="#cap5">101</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">VI.</td> <td>Come Santippe ferì Socrate nel cuore</td> <td class="pag"><a href="#cap6">113</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">VII.</td> <td>La cena dell’amore</td> <td class="pag"><a href="#cap7">131</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">VIII.</td> <td>Il colloquio fra Anito e Meleto</td> <td class="pag"><a href="#cap8">163</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">IX.</td> <td>Oh, povera Santippe!</td> <td class="pag"><a href="#cap9">189</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">X.</td> <td>Santippe nella prigione di Socrate</td> <td class="pag"><a href="#cap10">202</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">XI.</td> <td>La immortalità dell’anima</td> <td class="pag"><a href="#cap11">220</a></td> - </tr> - <tr> - <td class="cap">XII.</td> <td>Avvertimenti agli infelici figli di Santippe</td> <td class="pag"><a href="#cap12">231</a></td> - </tr> -</table> - -<hr /> -</div> - -<div class="opere"> -<p class="center large"> -<span class="smcap">Opere di</span> ALFREDO PANZINI: -</p> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td><i>Piccole storie del mondo grande</i></td> <td class="pag">L. 7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>La lanterna di Diogene</i></td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Le fiabe della virtù</i>, novelle</td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Il 1859. Da Plombières a Villafranca</i></td> <td class="pag">5 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Santippe, piccolo romanzo tra l’antico e il moderno</i></td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>La madonna di Mamà, romanzo del tempo della guerra</i></td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Novelle d’ambo i sessi</i></td> <td class="pag">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Viaggio di un povero letterato</i></td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Io cerco moglie!</i></td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Il mondo è rotondo</i></td> <td class="pag">7 —</td> - </tr> -</table> - -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>. </span>Demoniaco: qui ha il senso antico, di <i>sovrumano</i>, -<i>ottimo</i>, <i>beato</i>, non di <i>sinistro</i> o <i>malefico</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>. </span>Cara fu la cicala ai Greci e giustamente -piacevole il suo canto che a noi pare noioso. -<i>Dolce profetessa dell’estate. La vecchiaia non ti -raggiunge, o cicaletta saggia, nobile, piena di -canti e senza dolore.</i> Così il vecchio Anacreonte. -Ma la nostra età plutocratica e positiva chiama -saggia la esosa formica.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note3"> -<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>. </span>Vuol dire, <i>belli e buoni</i>, cioè uomini puri, coscienti, -capaci di governarsi da sè.</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin:0.83em 0; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE<br /> -<span style='font-size:smaller'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE<br /> -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</span> -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. 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Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> - -</body> -</html> diff --git a/old/65586-h/images/cover.jpg b/old/65586-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index b2860a9..0000000 --- a/old/65586-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
