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-The Project Gutenberg eBook of Santippe, by Alfredo Panzini
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: Santippe
- Piccolo romanzo fra l'antico e il moderno
-
-Author: Alfredo Panzini
-
-Release Date: June 10, 2021 [eBook #65586]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at
- http://www.pgdp.net (This file was produced from images made
- available by the HathiTrust Digital Library)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE ***
-
- ALFREDO PANZINI
-
-
- SANTIPPE
-
- PICCOLO ROMANZO FRA
- L’ANTICO E IL MODERNO
-
-
- _propter speciem mulieris
- multi homines perierunt_
-
-
-
- MILANO
- FRATELLI TREVES, EDITORI
- —
- =10.º migliaio.=
-
-
-
-
- PROPRIETÀ LETTERARIA.
-
- _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati
- per tutti i paesi, compresi i regni di Svezia,
- Norvegia e Olanda._
-
- Copyright by Fratelli Treves, 1914.
-
- Tip. Treves. — 1921.
-
-
-
-
- ALL’AMICO
- AVV. NICOLA MONTANARI
-
-
-
-
-A CHI LEGGERÀ.
-
-
-_Questo piccolo romanzo non è stato scritto per gli eruditi, benchè
-parli della Grecia; e sebbene parli di un filosofo, non è stato scritto
-per i filosofi._
-
-_Si intitola bensì con il nome di Santippe, un nome di donna infamata
-nei secoli; e si potrebbe pensare che l’autore avesse avuto in mente di
-servirsi di Santippe, moglie di Socrate, come di un laido pupazzo per
-ripetere vecchie e sgarbate cose contro le donne: le quali cose, anche
-se fossero verità, sarebbero pur sempre verità maschili, a cui è lecito
-opporre altre verità femminili. E poi quale irriverenza è mai questa di
-dir male della donna che è l’anfora della vita?_
-
-_No, il libro non ha questo scopo; forse non ha scopo nessuno; è venuto
-al mondo, così, come noi veniamo al mondo, senza scopo._
-
-_La sua prima pubblicazione è stata nella_ Nuova Antologia, _nella
-primavera dell’anno passato; così che si può dire che Giovanni Cena
-la tenne a battesimo, questa povera Santippe. In questo tempo però si
-è fatta più sciolta e vivace; cioè il libro è divenuto più facile e
-snello._
-
-_Però, se pure essendo tale, se pure essendo breve, non si ripeterà
-di lui la brutta lode_, si legge tutto d’un fiato; _se molte cose che
-comunemente si credono serie, faranno sorridere; e molte altre cose
-ritenute ridicole indurranno ad alcuna meditazione, il piccolo libro
-crederà non del tutto inutile la sua venuta al mondo. Anzi crederà di
-essere anche lui venuto al mondo per amare e servire Iddio._
-
- _Milano, primavera del 1914._
-
-
-
-
-SANTIPPE
-
-
-
-
-I.
-
-Ellade, giovinezza del mondo.
-
-
-Nel tempo antichissimo, quando gli uomini erano molto occupati per
-popolare il mondo, ci fu come una piccola schiera di uomini che
-pervenne ad una piccola terra. Essa era ricamata dai mari, e pareva
-come l’umbelico del mondo. Era stagione di primavera e il mare mandava
-tutt’intorno i suoi effluvi.
-
-Quegli uomini sostarono.
-
-Si scoprivano di lassù i corsi degli astri; si vedevano le vie del
-mare. Allora essi scoprirono le vie della loro anima, ed una divina
-esaltazione li vinse. Rivaleggiarono con gli Dei immortali: crearono
-quelle multiformi opere che rimangono anche oggi come modelli, e non
-furono mai più superate in bellezza.
-
-Questa piccola terra fu l’Ellade: quel piccolo popolo fu il popolo
-ellenico. La vita che esso visse si chiamò «giovinezza»!
-
-Ma esso visse una breve vita; esso consumò, bruciò, — per così dire, —
-nel giro di qualche secolo l’ardore della sua vita, cinta di rose.
-
- *
-
-Più tardi, gli uomini ripresero ancora il loro viaggio; buttarono via
-le rose, e si coronarono di una corona di spine, anzi inalberarono per
-loro emblema una croce da cui pendeva un povero morto, che si chiamava
-Cristo.
-
-Questa, probabilmente, era la verità più vera e le spine erano più vere
-delle rose.
-
-Senonchè un bel giorno gli uomini si accorsero con terrore di una
-spaventosa cosa: che essi in questo modo anticipavano sotto il sole il
-regno delle tenebre.
-
-Da allora serbarono per Cristo un culto di semplice simpatia: rifecero
-la loro strada, avanzarono ancora nei secoli, poi si moltiplicarono,
-coprirono anzi la faccia del mondo, e fecero infinite scoperte e
-progressi.
-
-Siccome faceva molto freddo, inventarono anche il riscaldamento a
-termosifone; e similmente per rinfrescarsi, d’estate, crearono il
-ghiaccio artificiale. Innumerevoli, incredibili si susseguirono le
-creazioni dell’uomo; le macchine per correre, le macchine per cucire,
-le macchine per volare, le macchine per votare, le macchine per
-ammazzare, le macchine per cantare. Scoprirono i microbi, il colletto
-inamidato, il positivismo, il socialismo, la burocrazia, i campanelli
-elettrici: ma non rividero più la loro giovinezza.
-
-Un cittadino nord-americano dei nostri tempi potrebbe ben far risuonare
-il suo grosso riso paragonando, ad esempio, il suo Mississipì ai
-fiumicelli dell’Attica, così poveri di acque che nell’estate non
-arrivavano al mare. Ma che nomi! L’Illisso, il Cefiso! I monti
-dell’Attica avrebbero fatto contorcere di sprezzo le labbra altezzose
-di un alpinista teutonico, che trasporta, come niente fosse, le sue
-scarpe ferrate e le penne di gallo cedrone sino in vetta al Cervino.
-
-Senonchè quei monti avevano meravigliosi nomi, meravigliose virtù:
-dal Parnaso cantavano le Muse: Muse titaniche e severe — non come le
-odierne Muse che sembrano una _troupe_ di malsane dame viennesi. Esse,
-figlie della memoria e del vaticinio, cantavano, non per facilitare
-la digestione, ma canti non più uditi cantavano per accompagnare ed
-aiutare il cammino della vita.
-
-Un altro monte si chiamava l’Imetto. Intorno ad esso era tutto uno
-sciame di api scintillanti d’oro, e ne sgorgava il miele, che si
-trasfuse poi nel linguaggio; il più volubile, scorrevole, lieve
-linguaggio che mai sia stato parlato, senza bisogno di domandare ogni
-tanto: «Come si dice, signor grammatico? mi è lecito adoperare questa
-parola, signor accademico?».
-
-Un altro monte si chiamava il Pentelico; ma la sua pietra bianca e
-immortale si plasmava docilmente sotto la divina forza dell’uomo,
-in quelle statue di cui qualcuna, mùtila ed esule, sotto la vòlta di
-qualche cimitero o museo, ancora e come prigioniera rimane.
-
-Non che io, contemplando queste statue, mi sia messo a piangere come
-fece Arrigo Heine davanti alla Venere di Milo. Arrigo Heine, poveretto,
-era paralitico, allora, e può aver pianto anche in considerazione della
-sua esistenza finita; ma certo un gran fremito vinse me pure: «Oh,
-destatevi nude carni, ridonateci la giovinezza meravigliosa!» sospirai.
-
-Qualche monte abbastanza alto e gelido lo avevano pur anche gli Elleni;
-ma ci collocavano gli Dei.
-
-Del resto era un povero e sterile paese l’Ellade, tanto che ai suoi
-abitanti, per mangiare, conveniva navigare e combattere. Mancavano i
-cereali. Però dalla roccia calcarea balzava il tralcio della vite e
-sorgeva impetuoso, con le sue pallide chiome, l’ulivo.
-
-Il mare che penetrava fra le terre, teneva in vibrazione gli spiriti,
-come in una azzurra irrequietudine: tutt’all’intorno poi fiorivano le
-viole, colore della morte e profumo della pura giovinezza, tanto che
-un poeta, come vinto da quella ebrietà, cantava: «O, Atene, splendida,
-gloriosa città, incoronata di viole, celebrata, sostegno della Grecia,
-demoniaca».[1]
-
-Questo popolo ellenico fu come la cicala[2] canora, come l’ape
-industre, che sono animali alati, asciutti, preziosi, irrequieti,
-diffonditori di armonie e di dolcezza: non fu come altri popoli,
-che hanno in loro qualcosa di pesante, di viscido, di adiposo, di
-strisciante, di tossico, da cui la mano delicata del filosofo rifugge.
-Questo popolo si affacciò in un mattino puro alla finestra della vita,
-e vide quelle cose della vita che hanno vero valore; e meravigliò non
-per le cose meccaniche, come noi meravigliamo, ma per le cose naturali,
-come fa la cortigiana Diotima quando dice: «Cosa divina è questa, e in
-creature mortali, cosa immortale: il concepire e il generare».
-
- *
-
-A noi la conoscenza di questo popolo è venuta attraverso il martirio
-della scuola, attraverso un nembo di parole irte, pungenti, con cui i
-greci mai non avrebbero tormentato la loro giovinezza.
-
-A dispetto di queste memorie dolorose della scuola, la mia ammirazione
-per questo piccolo popolo ellenico mi è venuta crescendo quanto più mi
-apparvero piccoli i così detti popoli grandi.
-
-Io lo ho ammirato nelle sue contraddizioni, nelle sue lotte fratricide
-e terribili, nella sua breve vita.
-
-Soprattutto le sue contraddizioni! Esse sono il cuscino su cui qualche
-volta riposa la mia testa stanca. Pensare! un popolo che ha disputato
-di filosofia più che non cantassero le sue adorabili cicale, eppure
-non ha imposto un dogma, non ha avuto preti; un popolo che ha creato
-quel magnifico parlamento di Dei e di Dee sull’Olimpo, con tutti i
-vizi ed i servizi possibili: il nèttare, l’ambrosia, Ebe, Ganimede, il
-meccanico Vulcano, Mercurio per i dispacci fra la terra ed il cielo;
-e poi un bel giorno se ne stancò dei suoi Numi! e: «Via, parassiti! —
-gridò — via oziosi! via crudeli! via buffoni!» E poi atterrì vedendo il
-vuoto nell’Olimpo gelido, e il vuoto nel suo cuore: un popolo che ebbe
-la magnifica impertinenza di chiamare barbare tutte le altre genti;
-che in politica ci lasciò questo terribile ammaestramento, che non è
-possibile vivere che, o sotto la tirannia di un individuo o sotto la
-tirannia della plebe: il _demos_ e la _tirannis_, come la tragedia e la
-commedia: un popolo che adorò la sua minuscola città, la sua _polis_,
-ed ebbe per patria il mondo! Ma la patria, la patria, cioè il genio
-della stirpe, guai chi l’avesse obliata! guai all’infingardo che avesse
-scioperato nel divino lavoro, che avesse obliato la patria! E così
-Ulisse ai compagni, stanchi, strappa il dolce oblioso frutto del loto.
-«Via! via! il vile dolce frutto del loto, che fa obliare la patria!»
-
-E guai a chi avesse disturbato questo popolo nel suo lavoro di
-creazione! Come l’ape s’avventa contro il nemico e infigge l’aculeo
-pur sapendo che ne morrà, così questo popolo s’avventava alla morte con
-l’asta e con lo scudo, nel divino impeto della sua Minerva guerriera,
-contro il barbaro disturbatore. E adorava la vita!
-
-E sapeva che laggiù non era resurrezione dei morti. Sapeva? certamente
-sapeva che laggiù erano tenebre, e se anche era vita, era vita di
-tenebre, alcunchè di oscuro e di severo come, l’aspetto di Tànatos, il
-melanconico iddio.
-
-No, un popolo, così unico e savio, non era destinato nè a vivere a
-lungo, nè a formare una di quelle nazioni che oggi diciamo una _grande
-nazione_.
-
-Esso fu dilaniato dalla forza contradditoria dello stesso suo genio:
-cadde in balìa di quei virtuosissimi ma pesantissimi Romani: forse
-anche con il suo esempio volle illustrare la verità della sua sentenza:
-_che è meglio morire che vivere, e che ad ogni modo muore giovane chi è
-caro agli Dei._
-
- *
-
-Questa meravigliosa Ellade antica è oggi ai miei occhi come una
-necropoli bianca, una città morta piena di statue bianche, dai marmorei
-occhi vuoti.
-
-Molte volte io, alquanto seccato dai fischi delle macchine, irritati i
-nervi dal sibilare delle sirene, nauseato anche un po’ dalle circolari,
-dagli avvisi fiscali di questa nostra civiltà, mi sono rifugiato per
-mio spirituale riposo in questa necropoli bianca dei grandi morti
-ellenici.
-
-Quando voi siete ammalati di nervi, il medico vi dice: «Fate un bel
-viaggio!» Ma non tutti hanno la possibilità di fare un bel viaggio; ed
-è per questo che allora io viaggio per questa necropoli di morti; così
-imperturbabili in apparenza, così commossi in profondo.
-
- *
-
-Ora un giorno io stavo guardando Socrate, personaggio molto conosciuto,
-e lo guardavo non soltanto perchè lui fu, come tutti sanno, il
-fondatore di quella che si chiama _filosofia morale_; ma perchè lui
-spiccava assai brutto in mezzo a una corona di splendenti giovani.
-E come sotto la scrittura di un codice antico avviene di scoprire
-le tracce di una seconda scrittura, così io dietro Socrate vedevo
-accampare, entro contorni nebulosi, una figura enorme, rossiccia, quasi
-furiosa.
-
-«Oh, ma chi è costei?» dissi prendendo la lente.
-
-Non uno dei discepoli di Socrate, certamente!
-
-Anzi i suoi discepoli, i bei giovani splendenti di giovinezza, si
-rivolgevano verso quella figura con un sentimento di dolore, di
-meraviglia o di riso.
-
-Allora, dopo aver molto guardato, ben conobbi chi era colei: essa era
-Santippe, la mala femmina, rossa di pelo, la tormentatrice dell’eroe,
-la moglie di Socrate. Santippe, dico!
-
- *
-
-Da quel tempo la mia ammirazione per il popolo ellenico è venuta
-crescendo.
-
-Perchè è cosa nota che gli Elleni ci hanno lasciato anche i modelli più
-vari e straordinari del tipo femminile; da Elena, dalla chioma fiorita,
-per cui tanti eroi morirono volontieri; ad Aspasia, donna intellettuale
-che teneva un salotto e rovinò la politica del suo paese; a Penelope,
-straordinaria, che giunse ad ingannare gli amanti per mantenere fede
-al marito, il quale non soltanto era lontano, ma dicevano anzi che era
-morto.
-
-Tutti i tipi, dico, ha fornito la Grecia, del furore guerriero, del
-furore erotico.... Clitennestra lorda di sangue e di lussuria ed
-Antigone, la santa della terra, più bella di Ofelia! Tutti i tipi;
-eppure io sentiva che mancava qualche cosa. Ora, trovata Santippe, non
-mancava più niente!
-
-Ma mi pareva ben impossibile che i Greci avessero tralasciato di
-consegnare all’umanità uno dei modelli più comuni, come quello che
-anche oggi va sotto la denominazione di Santippe.
-
-Ah, sì! Noi abbiamo fatto una grande scoperta viaggiando per la
-necropoli dei morti ellenici. Noi abbiamo scoperto la infame Santippe.
-
-È strano però come gli eruditi non se ne siano accorti! Forse perchè
-non era nei codici.
-
-E allora, benchè io sia uomo modesto, mi sono congratulato con me
-stesso della bella scoperta.
-
-
-
-
-II.
-
-Come io mi trovai alle prese con Santippe.
-
-
-Dunque io presi Santippe, e pensai fra me: ci sei cascata finalmente,
-o progenitrice di tutte le mogli fastidiose, rossa Santippe! Noi ti
-faremo la vivisezione, e così vendicheremo quel povero e santo uomo di
-tuo marito e consoleremo tutti i mariti vivi ed anche tutti i mariti
-morti.
-
-Però, esaminiamo le cose con saviezza e ponderazione.
-
-Noi, ben è vero, sappiamo pochissimo intorno a Santippe; ma sappiamo di
-certo che essa fu la moglie di Socrate.
-
-I discepoli e gli amici del grande filosofo ne parlarono anche, ma
-con un senso di raccapriccio e di paura, come si fosse trattato
-di un’orribile malattia attaccata a quell’uomo straordinario. Ma
-certamente, ripeto, Santippe fu la moglie di Socrate; perchè una cosa
-è certa, che Socrate, il più savio degli uomini, prese moglie; e questa
-moglie si chiamava Santippe.
-
-E adesso vediamo quello che gli amici di Socrate tramandarono intorno a
-costei.
-
-Senofonte scrive con chiarezza e brutalità che «Santippe fu la moglie
-più bisbetica e riottosa di quante furono, sono e saranno».
-
-«Ma come fai, Socrate, — domandava il bellissimo Alcibiade, — a
-sopportare una donna così importuna e maldicente?»
-
-«Ci sono abituato, — gli rispondeva Socrate. — Per me oramai è come
-sentir stridere la carrùcola del pozzo.»
-
-Non era molto gentile, Socrate; ma non bisogna scandolezzarci: a quei
-tempi la cavalleria con le dame usava poco. In Omero, per esempio,
-si legge che fra i premi alle corse si metteva indifferentemente un
-tripode, una donna ed un bue.
-
-«Come fai, Socrate, — insisteva Alcibiade, — a convivere con una donna
-che non ti può offrire oramai se non lo spettacolo di una stupidità
-permanente e clamorosa?»
-
-«Scusa, Alcibiade, ma tu non sopporti le oche che strepitano e gridano
-continuamente?»
-
-«Sì, ma le oche fanno le uova ed i pàperi.»
-
-«Lo stesso, caro: Santippe fa i figliuoli.»
-
-Socrate, come si vede, usava l’arma dell’ironia; e noi sappiamo di
-alcune donne che sopportarono anche le busse, anche di essere valutate
-meno di un tripode: ma non l’ironia!
-
-Busse, anzi, Socrate non ne dava, come appare da quest’altro episodio.
-
-Un giorno, Socrate tornava a casa insieme con gli amici, ed ecco venire
-incontro Santippe, che aveva fra mani il mantello di lui; e non appena
-lo vide, cominciò a dire:
-
-«Eccolo, eccolo qua. E non è solo. Ha con sè tutta la compagnia,
-e anche quel suo bardasso di Fedone! È questo il momento buono per
-dirgli, ben alto e ben forte, quello che gli va detto: Di’, amorino,
-vieni tu ora dalle case di Aspasia, di Diotima, le svergognate femmine
-che maneggiarono più amori, che non lance Diomede? Ma alla moglie si
-consegnano gli stracci da rammendare! Ah, tu non rispondi?»
-
-E con le unghie si accostò alle sporgenti pupille di Socrate.
-
-Gli amici allora le dissero «vergogna», e colei inferocì e proferì le
-più laide parole che possano offendere la rispettabilità del nostro
-sesso.
-
-Allora Alcibiade disse ridendo: «Socrate, la senti? Ecco il momento per
-darle una lezione a suon di busse».
-
-Ma Socrate si rivolse agli amici e disse: «Sì, per far divertir la
-gente alle nostre spalle e sentir dire: To’ guarda Socrate! Guarda
-Santippe! Bravi tutti e due! sotto! dài! Oh, come si bastonano di
-gusto! Ma vi pare, amici, una cosa da farsi?»
-
-Sembrerebbe anzi che fosse stata Santippe a picchiare.
-
-Il silenzio filosofico del marito aveva la virtù di esasperare la buona
-donna sino al parossismo.
-
-E Socrate, silenzioso. Silenzioso sì, ma meditante la fuga.
-
-Ma Santippe si è accorta della fuga. Ha afferrato un vil vaso
-domestico; ha atteso al varco, cioè alla finestra. E quando Socrate è
-passato sotto la finestra, ha scaricato il vaso.
-
-«Non dicevo io, — spiegò Socrate ai vicini che erano accorsi al
-diverbio, — che Santippe dopo aver tanto tuonato, stava per piovere?»
-
-Questo episodio è così conosciuto che anche gli scolaretti lo sanno,
-perchè i professori lo fanno servire di esercizio per i loro innocenti
-latinucci. (Tutto serve ai maestri di scuola per i loro latinucci e le
-loro cosucce: i teschi degli uomini morti servono ai barbari per motivo
-architettonico).
-
-Oh, non si creda per questo esempio che Socrate fosse uomo timido! Più
-volte fu anzi in guerra e vide intorno a sè il sangue rosseggiare. Ma
-anche nella battaglia è ricordato come uomo assorto e meditabondo.
-
-Alla battaglia di Potidea, per esempio, i soldati, meravigliando, lo
-videro tutto un dì ed una notte ritto in piedi, con la faccia pensosa,
-sinchè non cominciò a rosseggiare l’aurora e non si fu levato il sole:
-e allora, fatta una preghiera al sole, se ne andò.
-
-E così, serenamente assorto, egli era anche il dì della sua ultima
-battaglia, perchè si dice che il dì innanzi la morte, quando Critone
-tutto affannoso entrò nella carcere, che non era nè notte nè giorno,
-per indurlo a fuggire, Socrate, quasi destandosi alle cose esterne, gli
-domandò: «Critone, come è a quest’ora? è già mattutino?».
-
-Ora in questo stato di assorbimento, sentire i lunghi discorsi di lei,
-tutti pieni di _Idiòtes_, _màtaios_ (_cretino_, _insensato_, direbbe
-una nostra signora), io credo che dovesse far dispiacere a Socrate.
-
-Sì, io credo che dovesse far dispiacere, non soltanto per le mani
-adunche di lei, ma perchè con quello strappo lo aveva tolto dalla
-mirabile primavera del suo pensiero e lo aveva richiamato ai sensi
-materiali, i quali secondo l’opinione di Santippe erano diventati
-ottusi. Anzi lei diceva: «Quest’uomo oramai non sente più niente».
-
- *
-
-Ma — si può chiedere, — delle altre cose, di quelle brutte cose che
-fanno le mogli ai mariti, nulla fece Santippe?
-
-Non pare, o non fu tramandato. Parrebbe anzi che lei si dolesse che
-tutto il servizio domestico fosse un po’ in cattivo stato. Perchè un
-giorno Socrate disse a Santippe: «Senti, cara, domani verranno a casa
-alcuni amici miei ospiti, e tu preparerai da pranzo».
-
-E lei disse: «Ma come mai hai il coraggio di invitare la gente a pranzo
-che mancano i piatti, che non vi sono tovaglioli, che c’è appena da
-mangiare per noi?»,
-
-Socrate così le rispose: «Sta di buon animo, Santippe. Se gli invitati
-saranno discreti e frugali, non rifiuteranno quello che c’è in tavola;
-se saranno indiscreti e senza rispetto, noi non ci cureremo di loro».
-
-Qui, — diciamo il vero, — Santippe, come padrona di casa, non era in
-obbligo di gustare tutta la saviezza della risposta di Socrate.
-
-Queste sono le cose che la Storia tramanda intorno a Santippe. Ed ora
-vediamo del «tipo Santippe».
-
- *
-
-Santippe, — la mal famata nei secoli, Santippe, — ha dato origine
-al tipo Santippe, alla cui formazione quelle tali brutte cose non
-sono proprio necessarie; ma anche senza di esse, la vita diventa
-intollerabile.
-
-Oh! chi avrebbe mai supposto che quella creatura tutta bianca, tutta
-pavida, tutta docile che noi orgogliosamente conducemmo, in un dì
-beato, in carrozza, davanti al codice del signor sindaco, si sarebbe
-ammalata e sarebbe diventata Santippe?
-
-Sì, è vero, si dice anche per celia, «la mia Santippe», per significare
-«la mia signora». Ma una signora non dirà mai: «Io sono la Santippe di
-mio marito». Potrà esclamare: «Te lo farò vedere io chi è Santippe».
-E può anche farglielo vedere! Perchè se lei dicesse ponderatamente:
-«Sì, io sono la Santippe di mio marito», rivelerebbe di possedere la
-coscienza, e in tale caso non sarebbe più Santippe.
-
-Le varietà del tipo Santippe sono molte; e forse non è inutile, a
-beneficio di quelli che non conoscono le conseguenze del viaggio
-davanti al codice del signor sindaco, riferire qualche onesto esempio;
-benchè in questo, come in altre cose, la sagace natura ha provveduto
-alla propria salvezza facendo sì che l’uomo non potesse acquistar
-conoscenza se non dopo il fatto o _experimentum_, cioè una conoscenza
-che non serve nemmeno ad accender la pipa!
-
- *
-
-Un marito era incanutito precocemente: ma la signora non poteva
-soffrire quel bianco e versava premurosamente sulla testa del marito
-fini tinture. Considerazioni del marito: «Non era meglio, o donna,
-evitare che i miei capelli diventassero canuti così presto?»
-
-Altro esempio:
-
-Noi siamo giunti a casa, abbiamo mangiato un boccone. La stufa era
-accesa, il sofà ci invitava. Noi vi ci siamo distesi per obliare in
-un breve chiudersi della pupilla i fastidi e le cure della mattina e
-quelle che ci aspettano nel dopo pranzo.
-
-Noi invochiamo una piccola dose di sonno, cioè una piccola dose di
-morte, dieci minuti, ecco, per immagazzinare l’energia indispensabile
-per l’altra metà del giorno. Già ci pare di chiudere gli occhi, il
-cuore ha dato un impercettibile tuffo, una specie di registrazione
-automatica con cui esso attenua le sue pulsazioni; la memoria ha
-distaccato i suoi dolorosi corsieri....
-
-«Ah, con quella testa unta sul sofà! con quei piedacci sul mio
-_voltaire_! L’ho stirato proprio questa mattina. E quella puzza
-nauseabonda di pipa! Un marito non ha più nessun riguardo. Ma chi ha
-creato i mariti?»
-
-Chi parla così?
-
-È una Santippe che parla così. Ella spalanca le finestre.
-
-«Moglie mia — diceva un marito prudente che voleva andare a letto
-presto la sera, — che camicetta ti metterai tu per andare a teatro?»
-Oppure, quando voleva una minestrina leggera in brodo: «Moglie mia,
-perchè non fai quegli eccellenti gnocchi di patate?»
-
-Altro esempio:
-
-Un signore era diventato principe-consorte. Non che egli avesse sposato
-una principessa di sangue reale; ma soltanto una principessa della
-penna. La signora sdegnava nominarsi e firmarsi col nome del suo ignoto
-marito. Questi non poteva invocare l’intervento del signor sindaco;
-è evidente! ma in lui era così a dismisura cresciuto il terrore per
-l’arte, per la penna, per la gloria letteraria che se per caso doveva
-subire qualche presentazione di signora, domandava in antecedenza:
-«scusi, la signora scrive?»
-
- *
-
-Da ciò avviene che qualche volta uomo e donna si dividano senza
-voltarsi indietro; ma ciò avviene più di rado del necessario, perchè la
-sagace natura ha provveduto in modo che le voci dei bimbi che dicono:
-«Babbo mamma, perchè ci abbandonate?» abbiano tali vibrazioni che il
-cuore umano difficilmente vi regge.
-
-Creda, il signor sindaco: questa è la forza maggiore del suo codice!
-
- *
-
-Come giunsi a questo punto delle mie piacevoli meditazioni, ecco che
-quello che sino allora mi era apparso quasi barbarico, mi si disegnò
-come cosa ideale: cioè la biografia della perfetta donna presso gli
-antichi Romani: _Rimase in casa, filò la lana, parlò poco, visse
-casta._
-
-E allora più ideale ancora l’educazione giapponese delle loro
-pulitissime donne! Dice, un marito giapponese alla sua piccola _musmè_:
-
-«Nessuna cosa, piccola _musmè_, è più dannosa alla pace domestica
-della vostra loquacità; e il non sapere cuocere il riso a puntino, è un
-giusto motivo per ripudiarvi!»
-
-E la piccola _musmè_ risponde con le manine in croce e gli occhioni
-abbassati:
-
-«Onorevole marito, sì! Le vostre parole sono tutte onorevoli verità, e
-le vostre azioni sono tutte onorevoli azioni!»
-
- *
-
-A questo punto fu da me udito un crepitare di sibili e di metalli. Mio
-Dio, Santippe si destava, Santippe parlava! Non avevo io con me preso
-Santippe?.
-
-Gran Dio, a quanti pericoli si espongono i pacifici uomini di studio
-nei loro esperimenti!
-
-Santippe parlava, e parlava appunto così:
-
-«Infame razza prepotente, ipocrita, di uomini! rimasta tal quale! Ah,
-a voi torna comoda la donna, oca di Strasburgo e ingrassata pel vostro
-egoismo! A noi le gravi cure! Noi siamo uomini! — Tu torna, o donna,
-all’ago e al pennecchio infra le ancelle; e ti ricorda che niuna cosa
-rende più brutta la donna come la inverecondia. E poi le vanno a cercar
-fuori le donne con gli occhi cerchiati di inverecondi pallori! Sii
-massaia, o donna! E sono capaci di far soffrire la fame in casa per far
-baldoria con le baldracche!...»
-
-«Oh buona donna, — io dissi, — se tu puoi parlare, parla. Ma di una
-cosa ti prego: non parlare così. Tempera la voce; fa pausa ogni tanto!
-Qualunque cosa tu dica, dilla con voce soave, senza irruenza. Tutto è
-tollerabile, forse, dalla donna quando avviene soavemente.»
-
-Oimè, ella non poteva far pause, la sua voce si alimentava con la sua
-voce, ed io cominciai a sentirmi male, e mormorai con Cristo: Perdona
-a lei che ignora la sua spaventevole voce! Però che sistema nervoso
-straordinario e perfetto deve aver avuto Socrate!
-
-«Maledette le vostre lusinghe, — proseguì la irritante voce di
-Santippe, — che ci hanno ridotte a questo stato di servitù! Noi siamo
-state troppo buone, troppo generose di cuore, ed ecco la ricompensa!
-Noi siamo uguali a voi!
-
-Sapete voi che in origine eravamo forti e pelose anche noi come voi?
-I figliuoli, si è vero, li facevamo noi; ma quando eravamo stanche di
-allattare i marmocchi, li davamo all’uomo, e dicevamo: «To’, allatta
-tu,» e andavamo fuori di casa a caccia dell’orso anche noi.
-
-Poi, per compiacervi, siamo rimaste in casa; per compiacervi ci siamo
-profumate col paciulì, abbiamo fatto la voce di flauto, i piedini
-piccoli, e vi sono anche oggi delle donne che non stanno in piedi, se
-non sono appoggiate ad un maschio. Maledetto lo specchio di Venere! Oh,
-ma noi lo romperemo e allora vedremo chi vale di più! Che diritto, che
-diritto aveva il poeta Archiloco sopra le figlie di Licambe, che non ne
-volevano sapere di lui? E lui perseguitarle coi suoi versi, finchè le
-poverette, disperate, si impiccarono?»
-
-Così parlò Santippe.
-
-Or bene, prescindendo dalla voce che offendeva il mio sistema
-nervoso, non posso negare che nelle parole di lei v’era qualcosa che
-impressionava quel delicatissimo sentimento della giustizia che per mia
-sventura possiedo.
-
-Io non so se la donna fosse nei tempi preistorici pelosa e guerriera:
-le più antiche memorie storiche risalgono ad Eva, la quale era bianca
-e la prima cosa che fece, dopo aver perso il pudore, fu una _toilette_
-con la pianta del fico: e quanto alle lusinghe ed al programma di
-creare una nuova morale frantumando lo specchio di Venere, io credo
-che sia impossibile. Ne è prova la signora Curie, la quale dopo
-essere diventata grande scienziata, dopo avere scoperto il radio, pur
-non essendo così giovane nè così bella come Eva, non potè sfuggire
-alle seduzioni di Venere e sedusse o si lasciò sedurre da un suo
-collaboratore di gabinetto.
-
-Certo è che alcune delle osservazioni di Santippe erano impressionanti;
-e non si può affermare che l’uomo sia stato eccessivamente logico.
-Vediamo un po’:
-
-Ha detto l’uomo:
-
-«Amami, o donna, senza di te l’universo è vuoto, il sole è tenebra. Un
-bacio, un bacio, un bacio per carità!» E pareva che senza quel bacio
-non potessero addormentarsi, poveri uomini, non potessero neanche
-morire, come i bimbi che domandano il bacio della mamma. Ed ella fu
-compiacente e gentile: si attorcigliò la chioma, o se la lasciò cader
-giù sulle spalle, secondo i casi: imparò a dare i baci, a languire con
-gli occhi chiusi, come morta, e diceva all’uomo: «Va bene così? O devo
-prendere un’altra posizione?» Dopo avere imparato i baci, imparò a
-fare l’infermiera. Spesso l’uomo giungeva a casa ferito o ammalato, e
-allora quelle mani che gli si erano attorcigliate al collo al tempo dei
-baci, se le sentì posare come un balsamo su le sue ferite; e le pupille
-che si erano chiuse nel piacere dei baci, egli le sentì sopra di sè
-vigilanti e materne. Non basta; ma spesso il focolare dell’uomo era
-spento e lo ha ritrovato acceso; la sua casa era vuota, e la presenza
-di lei sola, la donna, bastò a renderla piena e consolata.
-
-E poi dopo tutti questi benefici, hanno avuto il coraggio di dire alla
-donna:
-
-«Ah l’impudica! Torna all’ago e al pennecchio.»
-
-E i dominatori del mondo? Noi li abbiamo, visti troppo spesso ai piedi
-di lei.
-
-E i santi della Chiesa non hanno fatto lo stesso come gli altri uomini?
-Un giorno hanno detto alla donna: «Tu sei Maria Vergine Santissima!»
-
-Un altro giorno, stralunando gli occhi, hanno detto «Tu sei il demonio
-in figura di Venere! Fuggite, fuggite la demoniaca, la insaziabile!» Ma
-in verità non fuggivano. Gridavano come i passeri attorno alla civetta.
-
-Ed è altresì vero che tutto il lavoro del mondo se lo è preso lui,
-l’uomo: alla donna niente!
-
-«Alla donna, con la scusa che non capiva, le si vietò persino di
-affacciarsi alla finestra e di contemplare il creato!» — gridò
-Santippe.
-
-E i poeti? Sono poco illogici i poeti?
-
-Essi hanno celebrato continuamente i denti, gli occhi, i capelli ed
-altre cose della donna.
-
-«Mai la nostra intelligenza, mai il nostro cuore....»
-
-«Sì, signora Santippe, qui posso convenire con lei! Francesco Petrarca
-impiegò tre lunghe canzoni per lodare gli occhi della sua donna....»
-
-«Che dovevamo noi celebrare, la barba, i piedi dell’uomo?» gridò ancora
-Santippe.
-
-«Sì, signora Santippe; ed io non escludo che la donna lusingata
-da tutto quel gorghèggio abbia avuto come una spinta ad ingrandire
-gli occhi, ad allungare i capelli, a cambiarli di biondi in bruni
-e viceversa, ad impicciolire i piedi, ad affusolare le mani, e
-specialmente a prendere quell’aria di bambolina, profumata di paciulì
-e con la voce di flauto, che costituisce, anche nei tempi nostri, la
-qualità che l’uomo stima di più nella donna. Ammetto tutto questo e
-convengo che Archiloco ebbe torto, signora, e fu un prepotente.
-
-Potrei recare altro esempio di torti e di prepotenze in poeti
-posteriori, anche più grandi di Archiloco. Per esempio, Dante.
-
-Una signora gli disse di no, e Dante che cantò l’universo, perdette
-la sua calma e chiamò quella donna, _ladra, scherana, micidiale,
-insensibile pietra_, e che la voleva pigliar per le trecce bionde, e
-darle una coltellata nel cuore; ed il Leopardi, un santo oltre che un
-filosofo, non perdette gran parte della sua filosofia quando una bella
-donna gli disse ridendo «Caro conte, no!»?
-
-Così io parlai per amor di giustizia ed anche per acquetar Santippe, la
-quale nei ventitrè secoli da che era all’inferno, mi pareva che fosse
-diventata assai intelligente e saccente; quand’ecco, quei due nomi del
-Leopardi e di Dante, proferiti come a caso, mi spalancarono per così
-dire le porte del pensiero, e vidi una terribile visione. Allora non mi
-seppi più frenare, alzai anch’io la voce, e dissi:
-
-«Sta però il fatto, signora, che voi, Santippe, siete stata
-la tormentatrice degli eroi, o almeno degli eroi metafisici; e
-specialmente degli eroi che presero moglie. È una schiera infinita; è
-una legge costante! Udite, udite, o Santippe:
-
-Ercole ebbe una moglie chiamata Deianira che regalò a suo marito una
-camicia avvelenata. Deianira era Santippe; il saggio Minosse ebbe una
-moglie chiamata Pasifae che regalò a suo marito quel mostro chiamato
-Minotauro; Eschilo, il gran tragico, ebbe una moglie tremendamente
-Santippe, che gli mutò la dolce vita in tragedia; Marco Aurelio, il più
-savio degli imperatori, ebbe una moglie che non nominerò, ma Santippe
-certamente; Sady, gran poeta persiano, ebbe una moglie ricca, ma
-Santippe, che non gli lasciò aver bene un giorno solo della sua vita.
-Passando poi al nostro occidente e ai nostri tempi, io potrei compilare
-un elenco non meno lungo di eroi: da Martin Lutero a Leone Tolstoi,
-che ebbero mogli Santippe, cioè fecero un’orribile attraversata della
-vita. Fra gli eroi, che io ricordi, non ci fu che Cristo a salvarsi;
-Cristo ai cui piedi insanguinati Maria di Magdala versò tutto il nardo
-prezioso che possedeva, contro il parere di Giuda che voleva specularci
-sopra favorendo i pezzenti. Ma è pur vero, signora, che Cristo non
-sposò Maria di Magdala. Chi sa come sarebbero andate le cose, se Cristo
-la avesse sposata! Anzi Cristo fu un dio, e transitò come un sogno per
-la vita.
-
-Ora, o signora Santippe, quando una legge è costante dai tempi di
-Minosse a Leone Tolstoi, dall’oriente all’occidente, essa deve pur
-avere un valore!»
-
-Così io parlai. Ma un crepitare terribile e come compresso, come un
-mugghiare feroce mi arrestò. Ne uscì una voce sardonica:
-
-«Gli eroi! Gente moscia che vale meno degli altri. Inutili gli eroi!
-Gli eroi metafisici, più che inutili!»
-
-Strabiliai! Così aveva risposto Santippe.
-
-«Ah, signora! Inutili gli eroi? Inutile vostro marito? Socrate inutile?
-il metafisico, il fondatore della filosofia morale? Anzi il creatore —
-io direi — della morale, perchè prima di lui non esisteva morale, ed
-il mondo è fondato sulla morale; così che possiamo ben affermare che
-il mondo gràvita su quel grand’uomo di cui voi aveste l’onore di essere
-consorte!»
-
-«E chi ti dice, _idiotes_, che sia necessaria la morale inventata da
-mio marito?»
-
-Così villanamente sibilarono le parole di Santippe contro di me.
-Era diventata socialista costei in ventitrè secoli di abitazione
-all’inferno?
-
-«Chi lo dice? Già, chi lo dice? Ma tutti lo dicono! Dai libri delle
-scuole elementari ai discorsi del trono e dei ministri voi trovate, o
-signora, la morale, cioè vostro marito....»
-
-«Sì, l’etichetta buona per i calli!»
-
-Nella mia qualità di uomo giusto e morale, confesso che strabiliai
-una seconda volta a queste parole di Santippe. Credetti opportuno
-per la dignità di Socrate, della morale, ed un poco anche mia, di
-non replicare. Santippe, come donna, essendo fisica, non poteva forse
-penetrare dentro la metafisica.
-
-Però dissi: «Ah, signora, adesso capisco per quale ragione quando
-Critone entrò nel carcere e disse: «Socrate, fuggi!», Socrate non volle
-fuggire e preferì la morte. Ah, signora, se le vostre labbra fossero
-state capaci di qualche parola gentile, se le vostre mani fossero state
-capaci di preparare un tranquillo desco con una bella zuppa di ceci con
-olio e rosmarino, se aveste conservato un poco di nardo per ungere la
-dolorante anima di vostro marito, egli sarebbe evaso dalla prigione:
-l’umanità avrebbe avuto un martire di meno, ma anche un infelice di
-meno!»
-
-E già proferendo queste parole, io mi preparavo a proteggere il mio
-volto, quando con somma stupefazione non udii alcuna risposta.
-
-Fissai Santippe. Le sue pallide labbra tremavano di un convulso
-tremore. Disse a pena, disdegnosamente: «Va, va un po’ anche a cercare
-chi era lui!»
-
- *
-
-Allora è come dicono i dizionari, quando si cerca «Santippe», che
-rimandano a «Santippe: vedi Socrate».
-
-Oh, ma che orribile mostro, Santippe! Che non sia una donna?
-
-Eppure, no! Lei era la donna, era la glabra, la mammifera, la contorta,
-la chiomata, dall’ampio grembo generatore, la portatrice dell’uomo!
-
-Inutile però interrogarla di più!
-
-Non rimaneva che seguire il suo consiglio, ed andare in cerca di
-Socrate.
-
-Però, conveniamone, la scoperta di Santippe, di cui tanto mi ero
-rallegrato in principio, mi portava ad un viaggio piuttosto lungo e
-difficile.
-
-
-
-
-III.
-
-Socrate per le vie di Atene.
-
-
-Andiamo, dunque, in cerca di Socrate. Egli non suole muoversi da Atene.
-Noi siamo certi di trovarlo in Atene.
-
-E andando, io pensava: perchè Socrate prese moglie?
-
-Si racconta che una volta gli amici domandassero a Socrate: — Come fai,
-o Socrate, a sopportare tua moglie?
-
-— Perchè, — rispose gravemente il filosofo, — se io riesco a sopportare
-costei, riuscirò a sopportare qualunque altro individuo del genere
-umano. Anzi, — confermò, — la ho scelta apposta!
-
-Eccomi, dunque, per le vie di Atene, ed ecco Socrate! Egli si riconosce
-subito: è diverso da tutti gli altri uomini; è brutto in mezzo a uomini
-belli; e a differenza dei filosofi che scrivono libri e svelano il loro
-pensiero nelle Accademie, Socrate non scrisse libri, e parlava per le
-strade.
-
-Se, per così dire, io chiudo gli occhi, io lo vedo ancora, Socrate! Lo
-vedo per le vie della sua dolce Atene.
-
-Anche la città era bella, non troppo grande, ma meravigliosa città;
-marmorea, sì anche. Ma i marmi di Atene erano screziati di azzurro, di
-oro, intermezzati da piante, animati da tante significazioni della vita
-che quei marmi rallegravano l’umanità, e non avevano l’aria di volerla
-soffocare. Atene non era nemmeno una delle nostre moderne città piatte
-e monotone. Si elevava nell’acropoli, sino all’asta e all’elmo di
-Minerva: poi declinava verso il mare.
-
-Ora in una città così bella e fra gente così bella, Socrate doveva
-spiccare stranamente. È vero che i suoi pensieri erano bellissimi ed
-armonici come una musica, anzi; ma questi pensieri non si vedevano; si
-vedevano invece i suoi abiti che dovevano essere in disordine.
-
-I suoi calzari certamente dovevano portare la traccia del suo perpetuo
-vagabondare per le vie di Atene, giacchè Socrate era un continuo andare
-e stare; e credo di non essere troppo lontano dal vero paragonando i
-calzari di Socrate a quelli dei nostri frati zoccolanti.
-
-Ora guai agli uomini dalla calzatura in disordine; essi sono destinati
-in vita ad assaggiare il sapore della cicuta.
-
-Al tempo dì Socrate si portavano i sandali, e queste cose si capivano
-meno. Ma al tempo nostro in cui usano le scarpe, non sarà, mai
-abbastanza raccomandata la maggior cura e la maggior spesa nelle
-scarpe. Gli Inglesi, dominatori del mondo, portano scarpe di eccellente
-modello. I Tedeschi, che vengono dopo gli Inglesi, hanno l’abitudine di
-portare scarpe solidissime. Gli Americani si affermano con la filosofia
-delle loro scarpe: _american shoe!_
-
-La bellezza di Socrate era tutta di dentro. Ma ciò non poteva esser
-bene apprezzato se non da un Dio, ed infatti Apolline, uno dei più seri
-fra i dodici Iddii greci, lo aveva proclamato «il più savio fra tutti
-gli uomini», che in greco si dice _sofòtatos_!
-
-Ma è pur vero che Apolline non vestiva mica come Socrate, ma con rara
-eleganza; le pieghe della clamide di quel Dio erano molto curate, i
-calzari stupendi, e la chioma la portava lucida e fluente come quella
-di una bellissima femmina.
-
-Non si pensi per tutto questo che Socrate fosse, come i filosofi
-cristiani, un disprezzatore della bellezza. Lui non era bello ma era un
-entusiasta della bellezza, alla quale anzi non dava i confini ristretti
-che diamo noi. Le chiome bionde del giovanetto Fedone gli producevano
-un intenso piacere; ma lui era senza chiome e nel volto era piuttosto
-anti-estetico.
-
-Tutti gli Ateniesi avevano una fronte diritta ed il naso regolare.
-Socrate, invece, aveva una fronte un po’ sfuggevole, ed una brutta
-insenatura si approfondiva tra la fronte ed il naso. Ciò oggidì sarebbe
-poco avvertito; ma a quei tempi, in cui tutti possedevano quella
-squisita conformazione, doveva produrre uno spiacevole effetto.
-
-Il naso, poi, sarebbe sembrato brutto anche ai nostri tempi: lunghetto
-ed in avanti, con le narici scoperte e dilatate, quasi in atto di
-indagare, di fiutare, di cercare che cosa ci fosse dentro in ogni cosa,
-_ti en ècaston_, come si dice in greco. E questa era la sua passione.
-
-Due baffi, lasciando scoperto il labbro inferiore, labbro tumido ed
-alquanto carnale, si accartocciavano, in giù per il mento, in due
-volute che si intrecciavano con altre grosse arricciature della barba,
-e con un pizzo sul mento; rigonfio il pizzo ed a punta caprina. Il
-tutto poi si confondeva con i folti cernecchi di una specie di tonsura
-naturale, perchè il cranio era lungo, bozzoluto; ma calvo del tutto.
-Un barbiere moderno si sarebbe trovato in grande impaccio per dipanare
-e mettere in ordine quella testa, e distinguere baffi, barba, pizzo,
-capelli. I suoi occhi erano grossi, intenti, sporgenti e come fissi
-nello stupore delle cose che lui solo aveva veduto indagando quel
-terribile _ti en ècaston_.
-
-Sapientissimo, dunque, era stato proclamato Socrate, ma non bellissimo,
-e, pur troppo, neanche felicissimo.
-
-Era proprio ellenico Socrate, o asiatico, o trace? Forse di tutto il
-mondo; e forse aveva dal deforme Esopo strappato, con la linea esterna,
-anche una scintilla di immortale gaiezza.
-
-Già! Cadrebbe in errore chi imaginasse Socrate come un melanconico,
-oppure un infastidito. Era così bella la vita, e così splendente il suo
-pensiero! E poi come si poteva far amare la sapienza, se la sapienza ha
-il tristo privilegio di renderci melanconici?
-
-Io non dico per ciò che fosse un ottimista, perchè ottimista vuol dire
-anche imbecille. Ecco: era un uomo allegro, che però non fu aiutato dal
-cielo, come dice il proverbio, che il cielo aiuta gli uomini allegri.
-
-Anche quando Anito, un signore di cui parleremo più avanti, lo
-obbligò in fine a bere la cicuta, egli non era di cattivo umore verso
-l’umanità! Non disse come Cristo: «passi lungi da me questo amaro
-calice!» ma bevve la sua cicuta.
-
-Ma era possibile che per un po’ di cicuta propinata dalla malvagità
-di Anito e compagni si dovesse spegnere del tutto questa bella lampada
-del sole? e tutta quella bella lampada ardente che era dentro di lui,
-dovesse scomparire? E allora dove andava a finire la logica?
-
- *
-
-Brutto, dunque, col mantello un po’ in disordine, gioviale, anzi pieno
-di spirito, come si dice noi, e piuttosto avanti con gli anni. Attorno
-poi a questo vecchio c’erano molti bei giovani. Sì, così! Ma per
-carità, non venga in mente un professore.
-
-Perchè questo paragone è stato fatto, ma è erroneo per molte ragioni,
-fra cui non ultima è questa: che Socrate dichiarava apertamente di
-non saper nulla; e un professore che oggi dicesse così, verrebbe
-squalificato, nè alcun merito avrebbe per aver, forse, dichiarato il
-vero.
-
-A me, dunque, pare di vedere questo vecchio Socrate per le vie di
-Atene. Egli conosceva tutti nella sua cara città e da tutti era
-conosciuto. Fermava la gente, ammiccava con quei suoi occhi grossi,
-sorrideva, si studiava di parere piacente, anzi allettatore. In quella
-città loquace come le sue cicale, egli era loquacissimo con tutti.
-Fermava la gente e diceva:
-
-— Amico, bada a me, io sono un buon mezzano: sai che ci stanno di belle
-giovinette lassù? Di’, le vogliamo andare a trovare?
-
-— Sì bene, o Socrate, e come si chiamano esse?
-
-— Una si chiama Aretè (Virtù), l’altra Enkràteia (Temperanza): e poi
-c’è Dike (Giustizia), c’è Sofrosine (Saggezza).
-
-— Sta buono, Socrate; tu hai tempo da perdere: lasciami andare per
-le mie faccende.... Dike è un pezzo che ha abbandonato il mondo degli
-uomini. Lo dice anche Esiodo. Si vede che fra noi non ci stava troppo
-bene ed ha chiesto a Giove il passaporto.
-
-— Ma di’, amico, non vogliamo noi diventare belli e buoni, e richiamare
-in terra la nobile Dike, anche se ella si è disgustata di noi, e
-promettere di non farle più oltraggio? E non ci piglieremo noi cura
-della bellissima Aretè, figlia abbandonata? E non ti pare ella cosa per
-cui noi saremmo superiori agli Dei, non fare mai oltraggio e torto a
-nessuno, nemmeno, sì, nemmeno ai nostri nemici?
-
-— Sono cose troppo difficili. Io credo che sarà bene rimandarle per
-un’altra volta. Ora preferisco ragazze di più dilettevole genere che
-la non più giovane signorina Aretè. Sai che c’è in Atene Cleonetta,
-Socrate caro? È il più bel fiore che io abbia mai visto sbocciare nei
-giardini umani; essa poi è stata qualche tempo a scuola a Mitilene,
-nell’isola di Lesbo, ed è sbarcata, or non è molto, piena di sapienza e
-di entusiasmo.
-
-— Oh, amico, — gli rispondeva Socrate, — pensa a questa cosa: le
-tarantole che sono ragni grandi non più di mezzo òbolo, se toccano
-l’uomo con la bocca, lo straziano e gli fanno perdere il giudizio. Se
-tanto arriva a fare una bestia così piccola, pensa che cosa può fare
-una bestia così grossa con i suoi baci! E poi, di’ un po’, dov’è la
-dignità dell’uomo, dov’è la libertà dello spirito, ed anche la sanità
-del corpo a star lì, appiccicato ad una donna, a domandare la carità
-dei baci come un mendicante?
-
-— Avrai ragione anche qui, non ti dico di no. Ma se tu mi incominci a
-far della morale, ti saluto gioia della vita! Preferisco Cleonetta.
-
-E quegli se ne andava.
-
-E allora Socrate ne fermava un altro: — To’, senti: io ho una vergine,
-la più bella di tutte le donne....
-
-— Più di Leena? più di Cioè?
-
-— Più di tutte.
-
-— Vediamo se la conosco. Si chiama?...
-
-— Eleuteria (Libertà).
-
-— Va, pazzerellone! Eleuteria? La libertà? Vergine costei? Vecchia
-baldracca ella è! Non c’è nessuna spia, vero? nessun sicofante c’è
-qui vicino che ci ascolti? Bene, senti, Socrate mio: io non ne posso
-più della libertà, siamo soffocati dalla libertà, qui in Atene.
-Come si stava bene quando il lacedemone Lisandro inaugurò coi suoi
-trenta Tiranni il sistema della cuffia del silenzio e delle verghe!
-I galantuomini potevano vivere in pace, in quei giorni di stato
-d’assedio. Oggi la libertà è tutta a beneficio dei politicanti e dei
-birbanti. Oh, ma non ti scappi mica per detto, sai!
-
-— Ma io non ti parlo, o ammirabile uomo, di quella libertà; ma di
-un’altra libertà ben più vera: la libertà dell’animo io voglio dire.
-
-— Bravo, Socrate, e di quella poi cosa me ne faccio? Mi dovrò regolare
-io con la mia testa e non con la testa degli altri? Ma sai che è
-una vaga fatica questa che mi vuoi far fare tu? No, caro Socrate, la
-libertà dell’anima sarà una cosa assai bella; ma, credi, non è pratica.
-
- *
-
-Non v’erano che i giovani, l’eterna purità della vita, non ancora
-contaminata dall’esperimento, che lo ascoltavano con entusiasmo.
-
-La divina giovinezza ha sempre creduto, e crede anche oggi, che sia
-cosa facile rinnovare il mondo. E ci credeva probabilmente, anzi
-certamente, anche Socrate. Egli era vecchio, sì bene; ma il mondo era
-giovane; il mondo era piccolo, il mondo era Atene, utero dell’avvenire.
-
-Oh, i giovani subivano il fascino dell’ammirabile favolatore. Essi
-venivano da lontano per ascoltarlo. Antistene di Tracia faceva quaranta
-stadi al giorno per poterlo ascoltare; Euclide di Megara si travestiva
-da donna per potere entrare in Atene, e le parole di lui accendevano
-tale ebbrezza che nell’udirle balzava a quei giovani il cuore come
-ai coribanti. E quali potenti ed ingenue imagini essi trovarono per
-esaltare il loro maestro! Memnone, un altro discepolo, paragonava
-Socrate ad una torpedine, che è un brutto pesce di mare, gelatinoso,
-tutto maculato e a bitorzoli; ma guai a chi lo tocca: dà una scossa e
-fa cader nel torpore. Così la parola di Socrate faceva cadere l’anima
-in un divino torpore.
-
-Bisognava chiamarsi Anito per rimanere insensibili!
-
-Ma il bell’Alcibiade aveva un paragone anche più folgorante e superbo.
-Egli diceva: «Tu, o Socrate, sei come un Sileno, buffone al di fuori
-con zampogne e con flauti in mano; ma divino dentro tu sei, e tutto
-pieno delle terribili imagini dei Numi».
-
-Oh, incredibile paragone! Dunque attraverso la corporalità materiale
-di Socrate intuivano quei giovani alcunchè di divino e di terribile?
-Sì! Essi, attraverso la mobilità irrequieta dei gesti e delle parole
-di Socrate, vedevano una cotale impassibilità interiore, un che di
-incognito di dentro, proprio come quando noi riguardiamo negli occhi
-aperti, ma senza luce, di una statua di nume greco.
-
- *
-
-— Ma sai tu, o uomo, — proseguì allora Socrate, accendendosi di
-entusiasmo contro colui che non sapea che farsene della libertà, — sai
-tu il segreto degli Dei?
-
-— Io no, ma se è bello raccontalo!
-
-— Sai tu quello che il Dio ha detto all’uomo? Dio ha detto all’uomo: io
-non ti do un volto, non ti do una sede fissa, non ti do una speciale
-forza o istinto come agli altri animali; ma quello che vorrai, sarai.
-Tutte le altre cose ubbidiscono a leggi immutabili; tu, uomo, sei
-nell’arbitrio tuo. Tutto ha confine; ma tu, uomo, lo stabilirai tu il
-tuo confine. Ti collocai in mezzo al mondo perchè tu vedessi quello
-che è il mondo. Non ti ho creato nè terreno, nè celeste, nè mortale,
-nè immortale. Sarai quello che tu vorrai! Tu, tu potrai, se vuoi,
-degenerare giù sino ai bruti; potrai, se vuoi, trasformarti sino agli
-Dei....
-
-— Bravo, — rispose l’allegro Ateniese, — e i miei affari allora? Ci
-badi tu ai miei affari? Dare la scalata all’Olimpo? All’Olimpo della
-ricchezza, del gran _chic_, eh, eh! ci starei. Ma all’Olimpo degli Dei,
-oibò, Socrate! Oh, ma guarda, Socrate, Socrate, già che tu mi costringi
-a pensare anche con la mia testa, guarda un po’: gli Dei poi in fin dei
-conti cosa sono? un gran _chic_, un gran _snob_. Te lo dimostro subito:
-noi andiamo a piedi o a cavallo, se abbiamo il cavallo: loro vanno in
-processione sulle nubi: noi soffriamo qualche volta di indigestione,
-essi no: essi godono il piacere della guerra, ma evitano la noia
-di farsi del male o di morire: essi si divertono a mettere al mondo
-figliuoli, ma hai visto mai Giunone fasciare ed allattare marmocchi o
-Giove condurli a scuola? «Gli Dei dinanzi al piacere posero il sudore!»
-hanno sentenziato gli Dei. Bella sentenza! Per i minchioni, però. Hai
-visto mai un Dio sudare? Mai! Bensì dall’Olimpo loro si divertono a
-veder sudare gli uomini e dicono: «Oh, gli industri uomini!» Dunque
-sì, Socrate, io voglio essere simile agli Dei, cioè stare in panciolle,
-libero di godere e niente lavorare.
-
-— Altri, altri Dei più veri e più grandi.... — disse Socrate.
-
-— Questi li hai tu nel tuo cervello strambo, o Socrate. Va là, non
-mi far pensare! Sai tu perchè Giove ha quella bell’aria gioviale;
-è sereno, olimpico, beato, ed è decorato di quella bella barba
-nero-turchina, con quella capigliatura solida che gli ha appiccicato
-Fidia? Perchè pensa poco, caro! Perciò non ha mai mal di testa. La sola
-volta che se la sentì un poco pesante, prese una purga e venne fuori
-Minerva: una dea, sia detto fra noi, un po’ turbolenta e seccante,
-benchè sia la protettrice della nostra città.
-
-E colui se ne andava.
-
- *
-
-Colui se ne era andato; ed ecco cautamente un leggiadro giovanetto
-si accostò a Socrate. Questo giovanetto oltre che leggiadro e ben
-vestito, era anche molto prudente. Il suo nome era Iscomake. Costui era
-innamorato di una bella giovinetta, la quale filava virtuosamente la
-lana nel gineceo, con le ciglia abbassate, accanto alla cara madre.
-
-Ora Iscomake vedeva sotto le grandi ciglia abbassate modestamente della
-sua cara fanciulla passare un lampo delizioso che gli metteva i brividi
-addosso, e quel lampeggiare diceva: «Iscomake, Iscomake, sapessi come
-mi annoio qui, nel gineceo, a filare, soletta soletta, la lana, e come
-mi è faticoso oramai essere savia, savia, savia, come mi dice sempre la
-mamma!»
-
-Anche vedeva quel suo bianco piccolo piede nudo, sorretto da un sottile
-calzare che le dava una grazia ed una venustà senza pari; sentiva
-l’umido profumo della sua chioma nera e delle sue carni di ambra.
-
-Dunque Iscomake era molto innamorato ma anche molto prudente. Egli
-perciò, sapendo della grande sapienza di Socrate, gli domandò: —
-Socrate, faccio bene o faccio male a prender moglie?
-
-E Socrate contemplò con quei suoi occhi la ingenua giovinezza di
-Iscomake, e disse: — Io dico, Iscomake, che quale di queste due cose
-farai, tu te ne pentirai.
-
-— Oh, Socrate, — disse il giovane. — quale risposta è la tua! Pensa che
-i miei genitori e i genitori di lei oramai tutto hanno disposto perchè
-le nozze avvengano nel più breve tempo, ed io altra cosa non desidero
-più ardentemente. La mia domanda a te, che sei savio, voleva piuttosto
-dire questo: «che cosa è il matrimonio? come devo comportarmi verso
-quella che amo, e come lei verso di me, affinchè noi possiamo condurre
-una vita felice?»
-
-E Iscomake cominciò a lagrimare, come quegli che vedeva per quella
-strana risposta un’ombra lugubre distendersi sull’orizzonte della sua
-vita.
-
-— Io ti rispondo come è veramente: io ti dico, Iscomake, — disse
-Socrate, — che tu farai male a non prender moglie, e la ragione è
-questa: perchè la casa dell’uomo senza la donna è infinitamente triste.
-Il focolare di Vesta, o amico, non arde e non riscalda, se Vesta, la
-dea, cioè la donna, manca nella casa.
-
-— Ed allora, perchè, o Socrate, io mi pentirò lo stesso se prenderò
-moglie?
-
-— Perchè tu, Iscomake, credi che il matrimonio sia la soddisfazione del
-piacere, mentre è la soddisfazione della saviezza.
-
-— Oh, per questo, Socrate, — disse Iscomake, — sta pur sicuro che i
-miei genitori mi hanno allevato bene: mio padre mi ha sempre detto: «il
-tuo dovere, Iscomake, è di esser savio».
-
-— Bene, Iscomake. E la tua sposa? È savia anche lei?
-
-— La madre di lei, — rispose Iscomake, — le ripete sempre: «il tuo
-dovere, figliuola, è di essere savia».
-
-— Sa tessere e filare?
-
-— Sa tessere e filare.
-
-— Docilmente e silenziosamente?
-
-— Io credo di sì, Socrate.
-
-— Hai osservato anche se per caso non abbia disposizione a consumare in
-un mese quello che deve bastare per un anno? a comparire più bella di
-quello che è, perchè il matrimonio — bada! — è anche la società di due
-corpi!
-
-— Ha quindici anni soltanto, Socrate. Ma io credo che sia massaia,
-silenziosa, docile, modesta. Però ti dico che a tutte queste cose
-non ho mai pensato. Ad ogni modo io farò come fanno tutti gli altri
-Ateniesi che hanno moglie: provvederò che le serrature del gineceo
-chiudano bene.
-
-— Sì, ma questo che si usa in Atene, non è, o Iscomake, il matrimonio
-come fu stabilito dal Dio che ha costruito il mondo, — disse Socrate.
-
-— Che cosa ha stabilito il Dio, quello che tu chiami il costruttore del
-mondo?
-
-— Ha stabilito che il matrimonio fosse una specie di giogo, o tiro a
-due, rappresentato da un uomo e da una donna. Ti spiegherò meglio: una
-società mutua in cui le condizioni dei due contraenti, cioè dell’uomo
-e della donna, siano perfettamente eguali e squisitamente leali.
-Il contratto non sarà leale, se, per esempio, la donna cercherà di
-apparire più bella col lavorarsi la faccia, o più affascinante col
-camminare sopra un paio di sandali alti!
-
-— Ed anche se io sono più ricco di lei, lei sarà uguale a me? — domandò
-Iscomake.
-
-— Anche, Iscomake! Se lei saprà meglio di te amministrare questa
-società del matrimonio, lei sarà superiore a te. E se la donna sarà
-migliore dell’uomo, tu sarai ben felice di esserle servo e cavaliere.
-
-— Ma questa cosa non si è mai sentita dire, che la donna sia uguale
-all’uomo, — disse Iscomake.
-
-— Eppure è proprio così, — rispose Socrate. — L’uomo e la donna sono
-stati fabbricati con le stesse facoltà, e per questo non si distingue
-se sia superiore il genere maschile o il femminile. La differenza
-consiste in questo, che i due sessi non sono adatti per le stesse cose:
-anzi il Dio punisce l’uomo che fa opera da donna, e la donna che fa
-opera da uomo. L’uomo è più adatto per le cose esterne; la donna, per
-le cose interne. La donna ha più affettività, una attività più solerte
-e minuziosa, un senso di previdenza del pericolo. Alla sua volta l’uomo
-è più forte ed ha il dovere della intrepidità e della difesa. Perciò i
-due sessi si completano in quanto l’uno ha bisogno dell’altro.
-
-— E quando la donna diventa brutta o vecchia, — domandò Iscomake, — non
-la ripudierò io per prenderne un’altra più bella e più fresca?
-
-— Quanto più la donna — disse Socrate — sarà buona compagna, custode di
-te, dei figli, della casa, tanto più la onorerai, perchè i veri beni si
-acquistano non con la bellezza, ma con la virtù.
-
-— Ma allora il matrimonio è un esercizio di virtù, — disse Iscomake,
-molto avvilito. — E tutto questo sacrificio, perchè?
-
-— A vantaggio del genere umano, — rispose Socrate. — Il piacere serve
-per la vita, ma non è la vita.
-
-Ora Iscomake aveva poco più di vent’anni. Egli aveva pensato a portarsi
-a casa la sua adorabile giovinetta, e non a lavorare per il genere
-umano.
-
-Era il volto di Iscomake assai triste e avvilito, nè sapea che
-rispondere, quando improvvisamente esclamò:
-
-— Ecco, ecco, anche tu, Socrate, ti volti e la guardi!
-
-In quel punto passava Cleonetta, la bella etèra che era stata agli
-studi nell’isola di Lesbo, ed ora era venuta in Atene a vendere rose;
-e profumo di rose e di muschio sfuggiva dalla sua persona, come da
-un’anfora.
-
-— Che mi guardi anche tu, figlio di Sofronisco? — disse la bella etèra.
-— Sta in pace, Socrate, la deliziosa taràntola non morderà al tuo
-vecchio cuoio!
-
- *
-
-Che cosa abbia poi deliberato il giovanetto Iscomake, noi non sappiamo
-e ci interessa ben poco. A noi importa di assicurare che il discorso su
-riferito non è per niente una nostra invenzione: ma è autentico. Esso
-dimostra che razza di complicazione fosse fin da allora il matrimonio
-nella mente di quel giudizioso filosofo!
-
-Ah, se invece di un Dio, grande Architetto dell’Universo, fosse stata
-una Dea, la Architetta, le cose sarebbero passate più semplici e meno
-melanconiche!
-
-Ma una cosa a me sta a cuore di notare in questi ragionamenti di
-Socrate ad Iscomake intorno al matrimonio, ed è la questione dei
-calzari, che noi diremmo delle scarpette.
-
-Si tratta di una seria questione, perchè Socrate dice: «il contratto
-fra l’uomo e la donna non sarà leale se la donna cercherà di apparire
-più splendente col tingersi la faccia, o più dominante ed affascinante
-camminando sopra un paio di sandali alti».
-
-Ora è il vero che un paio di pantofole — invece delle scarpette —
-rendono una donna antiestetica, e non è questa una scoperta — come ben
-si vede — fatta ai nostri tempi!
-
-E generalmente accade che una donna preferisce apparire sleale
-piuttosto che antiestetica per colpa delle pantofole.
-
-Tuttavia è indiscutibile che le pantofole hanno, sotto un certo
-aspetto, un pregio molto superiore alla questione della lealtà: esse
-non fanno rumore!
-
-Imaginiamo una moglie che passi come un crotalo da una stanza
-all’altra, battendo sul pavimento i tacchi alti delle sue scarpette;
-e un’altra moglie invece che si muove silenziosamente, monacalmente
-silenziosa entro due pantofole....
-
-Ah, sì! io lo so: un’anima giovane di uomo rimane atterrita da quelle
-pantofole: egli sogna due tacchi alti in due scarpette lucide. E dato
-il caso che possano far rumore, ci stende sotto una processione di
-viole e di rose, o più semplicemente un folto tappeto d’oriente. E dopo
-le scarpette, sogna due mani carezzevoli ambrate e profumate, che sono
-il prolungamento tattile di due braccia tenere e poderose insieme, le
-quali — quando lui torna a casa con la bocca un poco amara per avere
-mangiato le prime foglie secche della delusione — gli si avviticchiano
-dietro le spalle; e le mani soavi gli si posano sulle guance, poi sugli
-occhi. Una voce adorabile dice intanto: «Mi conosci, amore? Chi è?
-È la tua adorabile sposina?» E spesso le lebbra umidette e ristrette
-si allungano, si applicano sul volto dell’uomo in un’azione benefica,
-e, dirò così, antiflogistica, come fa la sanguisuga che porta via le
-acrità e il mal calore del sangue.
-
-Io ho visto questa semplice e deliziosa scena ripetuta molte volte sui
-teatri da alcune nostre graziosissime attrici, per le quali la menzogna
-è piacere e insieme dovere professionale: e devo confessare che in
-verità erano meravigliose operazioni allo scopo di rinfrescare l’uomo
-dopo il calore della battaglia quotidiana.
-
-Dopo ho veduto l’uomo alzarsi, scuotersi, buttare quasi a terra le
-scaglie del dubbio, della tristezza, dell’abbattimento: balzare in
-piedi rinnovato di fronte alle lotte della vita, come se avesse dormito
-dodici ore di sonno riparatore. Egli esclama: «Adesso mi sento forte!»
-
-Questo spettacolo è attraente e seduce non soltanto i giovani, ma anche
-i vecchi spettatori; e chi ha di già preso moglie e questa si è fatta
-acida e matura, sogna di procurarsi una seconda moglie o qualcosa di
-equivalente, con cui ripetere questa cura igienica ed insieme patetica.
-
-Nella realtà della vita questo spettacolo bellissimo si ripete come sul
-palcoscenico: ma con meno frequenza.
-
-Il giovane, ahimè, dimentica che le rose e le viole fioriscono in
-tempo di primavera; che i tappeti orientali costano caro; e che quello
-spettacolo che abbiamo descritto, riesce bene, se esiste anche un’abile
-cuoca che sopraintenda alla cucina.
-
-Se queste ed altre condizioni non si mettono insieme, l’esperienza
-a lungo andare riesce col non riuscire più bene. Anzi non soltanto
-non riesce affatto; ma può accadere di vedere quelle care labbra,
-già socchiuse ai baci, ingrandirsi smisuratamente, come in un’antica
-maschera tragica, ed in cambio delle parolette flautate, sgorga un
-torrente di male parole, di recriminazioni amare, triste seme di frutti
-più amari.
-
-Ma gli uomini, con tutto questo, seguitano ad andare in cerca di
-quelle donne che portano le scarpette lucide, coi tacchi sovrani; ed
-anche Socrate, dopo il saggio discorso, si era voltato a contemplare
-Cleonetta, la bellissima etèra.
-
-
-
-
-IV.
-
-Socrate e la Morte.
-
-
-Socrate col lungo naso fiutava la scìa dei profumi che lasciava dietro
-a sè Cleonetta, quando ecco un altro giovane di nome Clinia, figlio
-di Assioco, che accompagnato da un amico e dal suo maestro di musica,
-corre per le vie di Atene: — Socrate, Socrate, — grida, — dove è
-Socrate?
-
-Lo trovò alfine. Egli era presso all’Ilisso, dove sgorga la Bella
-Fontana. Allora Clinia, riempiendosi gli occhi di lagrime, disse: —
-Ora è tempo, Socrate, di mostrare coi fatti quella sapienza che tu lodi
-sempre. Non sai? mio padre è in fin di vita: egli che poco fa si rideva
-di quelli che hanno paura della morte, ora è disperato! Vieni, vieni tu
-a confortarlo, così che egli senza lamenti, si avvii al suo fato, ed io
-mostri di essere anche in ciò pietoso figliuolo.
-
-E Socrate, levandosi, disse: — Tu non chiederai inutilmente a me cosa
-alcuna che sia giusta; ma questa poi è santa! — E si affrettò verso la
-casa di Assioco. Come vi arrivarono, videro costui il quale giaceva nel
-letto ed era molto disperato perchè doveva morire. Assioco era stato,
-come noi diremmo, un lottatore della vita, un uomo politico. Ma allora
-era assai languido ed afflitto, perchè doveva assolutamente morire.
-
-Socrate, appena lo vide, così gli parlò: — Oh, ma cosa è questo,
-Assioco? Come? tu che ti sei sempre mostrato valoroso nei finti
-combattimenti, adesso hai paura di quelli veri? Ma non sapevi tu che la
-vita è come una peregrinazione, un passaggio? No, non è da uomo nè da
-Ateniese lamentarsi così.
-
-— Belle parole, Socrate, — rispose Assioco faticosamente, — ma non
-valgono un fico secco: io ho paura, capisci tu?, quando penso che
-fra poco sarò senza luce e privato di tutti i miei poderi e delle mie
-ricchezze, e mi sentirò trasmutato in putrefazione ed in vermini; e
-questo avverrà in qualunque luogo mi mettano. Sai tu che è orribile?
-
-— Ma tu parli, Assioco, — disse Socrate, — come se dopo morto avessi
-da tornare ancora vivo! Di’ un po’, Assioco, al tempo del governo di
-Dracone soffrivi tu qualche male? No, perchè tu non eri ancor nato.
-Bene, così tu non soffrirai nessun male dopo morto. Dove vuoi che trovi
-posto il male, se tu non ci sarai più?
-
-— Ma è — ripeteva Assioco — che io voglio bene alla vita e che adesso
-soffro per il dolore di vedere distrutta la mia vita!
-
-E allora Socrate cominciò, per confortarlo, a raccontare tutti i mali
-della vita: «Gli Dei filarono ai mortali una dolorosa vita, perchè
-nessun animale è più miserabile dell’uomo fra quelli che respirano
-l’aria e strisciano per terra».
-
-E siccome Assioco era stato uomo di governo, e Atene era una città
-democratica, così Socrate gli parlò di tutti gli inconvenienti della
-democrazia, come io credo avrebbe parlato di tutti gli inconvenienti
-della aristocrazia, se Atene fosse stata una città governata a
-tirannide. — Tu, mio caro, — diceva Socrate, — sei stato come un
-balocco in mano della plebe: oggi applausi, feste, carezze: domani
-sei stato fischiato, esigliato, scomunicato. Ti pare? È una bella vita
-questa?
-
-— Sì, sì, — dice Assioco, — questo è vero. Quel cervello balzano di
-Aristofane che disse male di tutti, in fine non aveva torto quando
-satireggiò il Demos; ed io lo so, che ci sono stato dentro. Chi si
-accosta al popolo è molto più miserabile di lui. Ma anche con tutto
-questo di morire non ne voglio sapere: io voglio invece diventare
-vecchio, molto vecchio; ma non morire.
-
-E allora Socrate cominciò dolcemente a persuaderlo che diventar vecchi
-è una cosa anche più brutta che aver da fare col popolo. — La Natura,
-vedi, Assioco, ci ha dato la vita come fosse un prestito. Un’usuraia,
-sai, è la Natura! Se tu non sei disposto a restituirle il suo prestito,
-cioè la vita, lei te la ipoteca, ti mette le mani alla gola, ti porta
-via la vista, l’udito. Tu resisti? e lei ti rende paralitico, brutto.
-Tu resisti ancora? e lei ti rende imbecille come un bambino. Ecco
-perchè molti vecchi sono come bambini. Credi, Assioco, che la partenza
-da questa vita non è che un passaggio da un male ad un bene, tanto
-è vero che gli Dei liberano molto presto dalla vita quelli che essi
-amano.
-
-— Bravo! — sospirò con amaritudine Assioco. — E allora tu che sai tutte
-queste belle cose, perchè stai al mondo? perchè non muori anche tu?
-
-— Caro, è qui l’errore, — disse Socrate. — Ma io non so che poche
-cose, e le più comuni, che sono quelle che ti ho dette. Queste poche
-cognizioni che io possiedo, le ho comperate da un gran sapiente,
-che però, bada, se le faceva pagare. Niente per niente. Per alcune
-cognizioni voleva otto oboli, per altre due dramme; alcune non le
-cedeva che a quattro dramme l’una. Io ci ho speso tutto quel po’ che mi
-lasciò il mio povero padre. Ma credi, che ne sono contento, perchè da
-ora innanzi, o Assioco, la mia anima desidera la morte.
-
-— Be’, contami un po’ su, — disse Assioco, — perchè la tua anima
-desidera la morte.
-
-E allora cominciò Socrate a dire il sogno delle meravigliose parole.
-Oh, allora quale olio santo egli recò al morente!
-
-Oh, preti; oh, preti, che al morente ripetete le lugubri parole di non
-so quale enorme peccato, ed impassibili compite i gesti macabri col
-crisma, leggete di Socrate, e interpreterete meglio Cristo, redentore
-nostro!
-
-Perchè Socrate apri le sue labbra e disse: — Oltre alle cose che ti
-ho dette, vedi, Assioco, vi sono molte e belle ragioni per credere
-anche nell’immortalità dell’anima. Ma ti pare che una natura mortale
-avrebbe potuto levarsi a tanta altezza da domare le belve, passare i
-mari, conoscere il cammino del sole e delle stelle, fondare le città,
-gli stati, tramandarne la memoria, se non ci fosse in noi uno spirito
-immortale? Io credo proprio che tu non andrai verso la morte, ma verso
-la immortalità, o Assioco! Perchè tu devi sapere che l’anima, essendo
-sparsa per i pori del corpo, si trova come imprigionata in questa
-materia, e perciò desidera di ritornare al suo luogo proprio, al suo
-principio, così che non appena ti sarai liberato da questa composizione
-corporale, tu ti troverai immerso nell’eternità, cioè in una nuova vita
-senza dolore e senza vecchiaia, dove tu potrai contemplare tutta la
-verità, viva e fiorente, e potrai ragionare sul serio, mentre sino a
-qui tu hai ragionato, o per far piacere alla moltitudine o per metterti
-in bella vista. Consòlati, dunque, consòlati, Assioco: non c’è posto
-per la morte, perchè non c’è un atomo che essa possa ridurre in niente.
-
-Ma ad Assioco poco importava della prigione del corpo dove si
-era sempre trovato abbastanza bene, e meno ancora della verità
-fiorente: voleva sapere di preciso quello che sarebbe accaduto di
-lui personalmente; e allora Socrate gli parlò della geografia di
-oltretomba, cosa molto incerta anche allora, cioè di certe beate isole
-dove vanno a finire i morti.
-
-— Queste beate isole lontane sono circondate dal profondo oceano. Tre
-volte all’anno la terra ferace matura di per sè rigogliosi frutti e
-dolci come il miele. Le anime dei morti vi soggiornano libere da ogni
-affanno. Ma bada, Assioco, che prima di arrivare a quelle isole, si
-va in una pianura chiamata il luogo della verità perchè lì ci stanno
-i giudici, e bugie non se ne possono dire, nè i giudici si possono
-comperare come in Atene. Se nella vita sarai stato buono, o Assioco, se
-sarai vissuto piamente, allora essi ti imbarcano per quelle isole che
-si chiamano Fortunate: la primavera lì non finisce mai, gli alberi sono
-pieni di frutta, vi sono banchetti, danze e molti altri divertimenti,
-come mi disse un mago che mi ha insegnato tutte queste cose.
-
- *
-
-Quest’ultimo genere di discorso consolò Assioco più di ogni altro
-discorso.
-
-— Se è così, quasi quasi mi fa piacere di morire, — disse, — benchè
-morire sia in tale caso un termine improprio, non ti pare, Socrate?
-
-— Ma certamente! Noi non moriamo; noi andiamo all’immortalità.
-
-— E allora senti, Socrate: torna dopo mezzogiorno a ripetermelo
-un’altra volta questo bel discorso. Adesso mi metto qui quieto! — E
-le palpebre gli scesero giù, e Assioco vide il suo viaggio verso le
-Isole Fortunate, con tutte quelle belle cose che lo aspettavano di
-là. Peccato che ci fosse quella pianura della verità; ma sperava di
-cavarsela abbastanza bene. Del resto, poi, tutto il mondo è paese, e i
-giudici di quella pianura era probabile che fossero anche loro un po’
-come quelli di Atene, cioè gente da bene con cui non è difficile venire
-ad onesti accomodamenti.
-
-Stette un po’ Socrate riguardando silenziosamente, quando Assioco si
-riscosse e domandò:
-
-— Credi tu, Socrate, che sia necessario molto denaro portare nell’Ade?
-
-— Non credo.
-
-Assioco volse, consolato, uno sguardo verso il forziere dell’oramai
-vana pecunia.
-
- *
-
-Socrate uscì piano piano dalla camera di Assioco, e additò il morente,
-ora tranquillo e sopito, a Clinia; e dopo alquanto si ritrovò ancora
-presso l’Ilisso, alla Bella Fontana, che era un luogo fuori di porta.
-
-
-
-
-V.
-
-Questioni molto serie proposte da Santippe a Socrate.
-
-
-Ed era oramai il mezzodì.
-
-Volgendo gli occhi in alto, si vedeva sul vertice enorme del Partenone
-la gran figura bronzea di Pallade folgorante nel sole, erta sopra tutti
-gli Dei, tutta chiusa nelle armi; il divino suo volto e l’asta protesa
-contro ogni barbarie.
-
-Socrate, seduto presso la fontana, pensava al padre suo che fu un uomo
-buono, ed alla madre sua. Ambedue erano morti da molto tempo, ma egli
-li rivedeva presenti ancora, al di là della morte.
-
-E la bella fontana mormorava nel mezzodì.
-
-Suo padre era stato uno scultore e si chiamava Sofronisco; la madre
-sua si chiamava Fenarete, ed era stata una levatrice. Ebbene, egli
-proseguiva nel mestiere del padre e della madre: era uno scultore di
-anime ed un alleviatore del dolore umano, come sua madre, la levatrice.
-
-Pensava anche alle fole dette ad Assioco, a quelle improvvise,
-strane parole che gli erano venute su dal cuore: _Oltre a ciò sappi,
-o Assioco, che molte e belle sono le ragioni le quali mostrano la
-immortalità dell’anima_; e non sapeva più se quelle erano fole o
-realtà. Il rombo delle sue parole al morente gli durava ancora nel
-cuore. Dolce è il profumo d’ambra e di rose che sprigionava il corpo
-di Cleonetta: dal disfatto corpo di Assioco già si diffondeva il
-lezzo della morte. Misteriosi sensi! Eppure vi doveva essere una
-resurrezione; un divino eterno ritorno!
-
-Il sole faceva splendere la non lontana marina. Lontano, lontano,
-in più lontano mare, ecco apparire le Isole Beate; e sul prato
-dell’asfodelo sotto il gran verde di belle piante, sorridevano coloro
-che piansero in vita; quelli che qui soffersero per ingiusto giudizio,
-erano colà da più veri giudici consolati.
-
-Felicità inconcepibile! E allora Socrate ripetè a sè stesso quelle
-parole che poco prima aveva dette ad Assioco: «Da quest’ora l’anima mia
-desidera la morte!»
-
-La fontana mormorando dolcemente, pareva consentire con lui; e su nel
-cielo il sole pareva una grande pupilla che lo guardasse. Egli riguardò
-nel sole, e come un brivido gli passò per il cuore in quel calore del
-mezzodì. Forse non fu soltanto Sofronisco il padre suo nè Fenarete
-la sua sola madre; forse anche quello lassù, il sole, Apolline, fu il
-padre suo.
-
-Ma oramai era già trascorsa l’ora che gli Ateniesi dicevano del mercato
-vuoto, cioè del mezzodì, quando tutti ritornano a casa.
-
-Ed anche Socrate si avviò, come era usato, verso casa, e tutta la sua
-mente era infiorata e come inabissata in questi pensieri della vita e
-della morte. Ma non appena fu giunto in vista della sua casa, sentì la
-voce di Santippe, la quale era su la porta, e disse: — Tu diventi un
-po’ carogna, Socrate! Mi sai dire cosa si fa oggi da mangiare? Tu vai
-via la mattina; non lasci nemmeno un obolo per la spesa e poi quand’è
-mezzogiorno, eccolo, bell’e fresco come una rosa. Cosa credi che noi
-campiamo d’aria come le cicale, o di chiacchiere come fai tu? Hai
-portato almeno qualche cosa da desinare?
-
-Socrate non portava niente da desinare perchè era stato astratto in
-altre cose, nè aveva lasciato oboli molti per la spesa, perchè ne aveva
-pochi. Socrate infine non era ricco, anzi egli viveva «in una miriade
-di povertà», come ebbe a dichiarare.
-
-Disponeva, ben è vero, di un piccolo patrimonio lasciatogli da suo
-padre, compresa quella sua casetta; ma tutto sommato, stando al computo
-che fece Senofonte, — uomo pratico di affari, — il suo capitale non
-arrivava alle cinque mine, che sarebbe come dire cinquecento lire, «al
-patto però che si fosse trovato un buon compratore».
-
-Di questo capitale egli aveva speso qualche obolo e qualche dramma per
-comperare, come abbiamo veduto, quel poco di scienza che possedeva:
-ma nell’esercizio di rivendita non domandava niente. Faceva con tutti
-come con Assioco, a cui aveva dato così bei conforti per prepararsi
-a morire. «A me costano tanto» aveva detto, ma non disse, «e tu dammi
-tanto».
-
-Già, egli avrebbe potuto mandare a Clinia una nota delle sue
-prestazioni: _Per avere consolato l’anima di tuo padre, venticinque
-dramme_. Ma come si fa? Come si fa a mandare la parcella per simili
-cose?
-
-E bisogna dire ad onore di Santippe, che non era lei sola a
-disapprovare questo sistema gratuito di suo marito. Qualcuno anche
-degli amici gli andava dicendo: «Ma allora, Socrate, la tua scienza non
-vale niente, se la dài per niente».
-
-E Santippe continuava: «Mi sai dire dove sei stato tutta questa
-mattina? A predicare la castità ai passeri? Ad accarezzare i capelli di
-Fedone, quel vergognoso mistero del sesso che non è nè uomo, nè donna?
-O sei andato a misurare quanto è lungo il salto della pulce? o a fare
-gli esperimenti sulle cicale per vedere se le cantano con la bocca o
-col deretano? Be’, cos’hai guadagnato?»
-
- *
-
-Egli aveva guadagnato meno ancora di frate Egidio, seguace di
-San Francesco, perchè frate Egidio voleva vivere affaticandosi
-corporalmente, cioè della sua fatica; e una volta andò a opera a
-bacchiare noci, e quando le ebbe bacchiate, gliene toccarono tante di
-sua parte che si dovette levare la tonaca e, legate le maniche ed il
-cappuccio, ne fece un sacco che tutto riempì di noci. Naturalmente non
-le vendette frate Egidio, ma con grande letizia le distribuì ai poveri.
-
-Almeno si fosse presentato così Socrate a Santippe, con delle noci, dei
-fichi, dell’uva da distribuire ai figliuoli, che aveva piccini, e si
-sarebbero rallegrati di quei doni.
-
-Ma niente!
-
-Che cosa doveva rispondere Socrate a Santippe?
-
-Forse doveva offrirle il banchetto che Santo Francesco offrì a Santa
-Chiara, che lasciarono sulla mensa il pane corporale perchè Santo
-Francesco nutrì l’estatica monacella di pane spirituale?
-
-O doveva rispondere come Gesù Cristo: «Guarda, Santippe, come crescono
-i gigli delle convalli. Nemmeno Salomone in tutta la sua splendidezza
-fu mai vestito come uno di questi: guarda, come si nutrono gli uccelli
-dell’aria»?
-
-Ma Cristo — come Santo Francesco — non aveva figliuoli nè moglie che
-avessero fame; e in caso proprio di necessità, Cristo avrebbe operato
-la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Ma a Socrate non venne mai
-in mente di operare miracoli, o di camminare su le acque come Cristo,
-o di risuscitare i morti. E per tutto questo Socrate tacque davanti a
-Santippe. E quanto a Cristo, poi, sembra che anche Cristo fosse seccato
-di dovere riposare il capo sopra un cuscino di pietra, mentre gli
-uomini usano cuscini di lana e di piume.
-
-Io devo credere che Socrate dovesse rimanere assai malinconioso oltre
-che silenzioso, davanti alle recriminazioni di Santippe.
-
-Perciò io non so come facciano i grandi scrittori a dire nei loro
-celebri volumi che Socrate _era meravigliosamente esente da bisogni
-personali_; e meno ancora capisco come i professori delle scuole
-facciano ai loro scolari tradurre in greco questa stupida proposizione:
-_Socrate con poche sostanze viveva contentissimo_.
-
-No, non è proprio così, illustri e garbati signori. È un’altra
-faccenda; è che quando si è «dentro pieni di imagini degli Dei» come
-era Socrate, i soldi non trovano la via per entrare; ovvero quando si
-è pieni di imagini degli Dei non è lecito prender moglie per continuare
-questa stirpe umana!
-
-E Santippe continuava: «Ah, tu vai predicando l’Aretè, la Sofrosine,
-la Sofia, il Dovere! Il dovere l’ho fatto io che ho tirato su questi
-figliuoli e li ho nutriti con queste qui! e non li ho mica esposti
-come fanno le belle signore del tuo cuore! Eh, sì, che il più grande lo
-meritava d’esser bacchiato: un vagabondo già come te, e che parolacce
-dice a sua madre! A quello lì dovresti parlare e dirgli quello che gli
-va detto, se non fossi o un grande impostore o un vecchio rimbambito.
-Ma se, figlio di un cane, proprio non puoi fare a meno di andare in
-giro a chiacchierare e hai questa malattia nel tuo sangue infelice,
-invece di quell’aria melensa «io non so niente, io so che non so
-niente», e poi dài dell’imbecille, dell’ignorante a tutti che oramai
-non c’è uno solo che ti possa più sopportare in Atene, fa almeno come
-Protagora. Anche lui chiacchiera, ma le sue chiacchiere le sa però
-mutare in tanta buona moneta sonante!»
-
-
-
-
-VI.
-
-Come Santippe ferì Socrate nel cuore.
-
-
-Santippe lo aveva ferito nel cuore.
-
-Non perchè aveva detto: «O tu sei un impostore, o tu sei un vecchio
-rimbambito»; ma perchè la buona donna aveva detto: «Fa, almeno, come
-Protagora!»
-
-Il nome di Protagora era l’ombra della mente di Socrate.
-
-Protagora era, prima di tutto, un signore molto irreprensibile; la sua
-clamide era fluente, i suoi calzari erano eleganti, la sua chioma era
-profumata. Socrate, invece, benchè gli piacessero le chiome fluenti,
-non possedeva la chioma; i suoi calzari erano in uno stato deplorevole,
-come abbiamo osservato; ed il suo mantello non teneva più i punti, come
-aveva dichiarato Santippe.
-
-Protagora era un personaggio straordinariamente affascinatore e
-simpaticissimo; la sua parola scendeva giù per le orecchie di tutti
-come una musica facile ed uguale.
-
-Poteva forse Protagora sembrare orgoglioso, in quanto che affermava
-di essere sapiente in ogni scibile e _de quibusdam aliis_; mentre
-Socrate affermava con quella sua aria melensa, come aveva notato anche
-Santippe, di non sapere niente.
-
-Si, ma il vero è che Protagora si sarebbe ben guardato dal prendere in
-giro il prossimo come faceva Socrate e di obbligare la gente a furia di
-domande, a confessare che anche essi non sapevano niente.
-
-Il linguaggio di Socrate era piano e le sue imagini erano sensibili
-ad ogni intelligenza. «Ma se io ti comprendo, tu sei uguale a me.»
-Il linguaggio di Protagora era spesso artificiosamente drappeggiato.
-«Ma se io non ti comprendo, tu sei superiore a me!» Ma Protagora
-aveva tutti i ferri del mestiere nel suo arsenale dialettico; tutti,
-fuorchè l’ironia: ma Protagora era squisitamente gentile, e se egli
-era sapiente, «Tutti, tutti, signori Ateniesi, ornatissimi signori
-Ateniesi, potete — diceva Protagora — diventare sapienti come me».
-
-Ah, sì; quel signore fece alle dottrine di Socrate la più implacabile
-delle concorrenze, e bisogna ben confessare che questa concorrenza dura
-anche oggi.
-
-Protagora poteva aver press’a poco l’età di Socrate, ma non era
-Ateniese. Siccome però Atene era la città più intellettuale della
-Grecia, così vi capitava spesso.
-
-E quando egli vi capitava, non aveva bisogno di sbarcare ad un hôtel,
-perchè tutti i signori di Atene andavano a gara per averlo ospite nelle
-loro case.
-
-Egli faceva anche, qualche volta, dei graziosi giuochi di prestigio.
-
-«Intelligentissimi signori Ateniesi, — diceva, — io prendo questa
-pallina nera che, supponiamo, rappresenta la Giustizia. La prendo con
-la mano destra, delicatamente così! Passa, passa, pallina! La pallina
-è passata nella mano sinistra. Adesso prendo la bacchetta magica, dico:
-un, due, tre! Pallina, scompari! E la pallina è scomparsa!»
-
-Tutto ciò si ripete anche oggi: ma bisogna conoscere il trucco.
-
-Ora il popolo Ateniese era molto giovane. La generazione precedente si
-era affaticata in una lotta spaventosa: aveva sparso fiumi di sangue
-combattendo contro una barbarie immane che lo aveva minacciato di
-soffocazione. Ne era uscito vittorioso, perciò ora amava divertirsi e
-di imparare i giuochi di prestigio, e il loro piacevole trucco.
-
-Per queste ragioni, tutti quelli che avevano figliuoli, pregavano
-Protagora perchè desse loro delle lezioni private. Molti che aspiravano
-alla carriera politica, offrivano grosse somme per sapere fare anche
-loro bene quei giuochi così graziosi delle palline. I giovani di Atene
-buttarono via dei capitali per potere imparare a parlar bene come
-Protagora.
-
-Ed è vero che Protagora era un uomo onestissimo, al punto da
-dichiarare: «Cari signori, fissate voi la ricompensa che credete di
-darmi; ma non negatemi la ricompensa, perchè chi mi toglie il denaro,
-mi toglie l’onore».
-
-Fu allora che il ministro della Pubblica Istruzione in Atene propose a
-Protagora un grosso stipendio, se si fosse degnato di fissare la sua
-dimora in quella città. Sventuratamente egli non potè aderire perchè
-era aspettato in Italia; nelle città d’Italia del sud, e ciò unicamente
-perchè a quei tempi non esistevano le città dell’Italia del nord.
-
- *
-
-Un giorno Socrate aveva trovato che le strade di Atene erano spopolate.
-Era arrivato Protagora, e tutti erano andati a sentirlo.
-
-Anche gli amici di Socrate erano andati a sentirlo.
-
-Platone, che aspirava, sino dalla nascita, a diventare sopra tutto un
-illustre sapiente accademico, era andato a sentirlo.
-
-Alcibiade, che aspirava all’alta politica, era andato a sentirlo.
-
-Socrate non incontrò che Apollodoro, che era un’anima candida; e
-Fedone, l’adorabile adolescente che adorava Socrate, perchè Socrate gli
-aveva trasfuso di dentro il divino martirio dell’anima.
-
-— Che tristezza, — diceva Fedone, — a pensare che tu, Socrate, la devi
-quasi fermare per il petto la gente perchè ti stia ad ascoltare; e
-quello lì, invece, basta che arrivi in Atene perchè tutti mettano da
-parte i loro affari per andare alle sue conferenze. Eppure tu dici le
-cose come veramente sono. Come sono spregevoli e vani questi Ateniesi!
-
-— No, — disse Apollodoro ancor più tristamente. — È che il popolo
-ateniese è un popolo gaio. La bellezza, l’illusione, la gioia, ecco
-quello che il popolo ateniese sente: qui tutti sono d’accordo. Ma tu
-sei melanconico senza fine, Socrate.
-
-— Ma se, amici miei, — disse Socrate, — voi stessi mi chiamate Sileno,
-il buono, l’allegro giullare!
-
-— No, Socrate! Triste è la tua anima, tristi sono le tue parole. Tu
-dici di rispettare le leggi della nostra città, ma io sento che tutto
-l’edificio fabbricato dagli uomini trema con sinistri rumori dalle
-fondamenta alle tue parole.
-
-— Io sono l’uomo mansueto, — disse Socrate.
-
-— Ma sotto la tua mansuetudine, c’è un terrore di ribellione. Sai che
-spesso ho paura per te, Socrate?
-
-— Paura? di che? degli uomini? della morte, forse? Temere la morte
-null’altra cosa è che sembrare di essere saggio, senza essere.
-
- *
-
-Ma così conversando, essi erano oramai giunti alla casa di Callia,
-il quale aveva l’alto onore di ospitare Protagora. L’atrio era pieno
-della più eletta società, di Atene: nelle prime poltrone sedevano
-gli Arconti, e Protagora non era solo, ma aveva con sè alcuni suoi
-mammalucchi, giacchè il ventre di Protagora era fecondo. Esso seguita a
-generare anche oggi.
-
-Il silenzio era meraviglioso, tanto che Socrate, Apollodoro e Fedone
-poterono ascoltare assai bene.
-
-— Socrate? Oh, ecco Socrate! Salute a te, Socrate, — disse, con ben
-paludata parola, Protagora non appena scorse Socrate in fondo alla
-sala, — salute a te, Socrate! Anche noi, onorevoli signori Ateniesi,
-intendiamo, come il vostro concittadino Socrate, informare il carattere
-e l’intelligenza dei nobili giovani Ateniesi, educarli nelle virtù
-pubbliche e private. Anche noi adoriamo la verità. Ma dove è la verità?
-Intelligentissimi signori Ateniesi, se gli Dei non abitassero troppo
-lontano, se la nostra vita non fosse così breve e così incerta, noi
-potremmo benissimo sapere che cosa è la verità! Ma non tutti noi,
-umanissimi uditori, abbiamo, come il vostro fortunato concittadino
-Socrate, la rara fortuna di possedere un dio suggeritore, un demone
-buono, nelle proprie tasche. La verità dunque bisogna che ce la
-fabbrichiamo noi, secondo noi, tagliata sulla nostra misura! Che vale,
-intelligentissimi signori Ateniesi, possedere l’arco di Ulisse se
-nessuno lo può tendere? Che vale un grappolo d’uva, se è perennemente
-acerbo? Una cosa si deve da noi chiamare vera, o signori, in quanto
-che, messa in pratica, rende. E se non rende, non è verità. E perciò
-non esiste nel mondo reale una verità unica, ma esistono due verità,
-tre verità, molte verità, anzi tante verità quanti sono i gusti ed i
-capricci degli uomini; e così non esiste una sola virtù ma esistono
-molte virtù. Non esiste un solo Diritto, ma esistono molti Diritti.
-V’è il diritto dell’agnello; ma vi è anche il diritto del lupo! Esiste
-evidentemente la virtù di chi muore per la patria; ma esiste anche la
-virtù di chi canta i morti per la patria, come esiste la virtù di chi
-si conserva in buona salute per la patria. Esiste certamente, come dice
-l’illustre cittadino vostro, Socrate, la glandola della coscienza; ma
-non stimolàtela! Anzi, se avete coraggio, estirpàtela, e canterete
-tutte le mattine vispi come canerini, e vi sembrerà ogni mattina di
-tornare gioiosamente a vivere!
-
-Dopo di che tutti, cominciando dai signori Arconti, andarono a
-congratularsi per la bella conferenza col signor Protagora.
-
-— Ma è evidente, — disse Meleto, l’arconte basileo, che era assai
-adiposo e rappresentava la suprema autorità religiosa e giudiziaria
-di Atene, — che se tutti avessero la sola virtù di morire per la
-patria, chi resterebbe per fare gli elenchi dei morti per la patria,
-chi resterebbe per fare le commemorazioni e le poesie pei morti per la
-patria?
-
-Anche Socrate andò a congratularsi con Protagora.
-
-Disse Socrate: — Voi commerciate splendidamente al minuto nei
-commestibili dell’anima.
-
-— E voi, disse di rimando graziosamente Protagora a Socrate,
-commerciate un po’ troppo all’ingrosso. Sono partite colossali.
-Scusate, chi volete che le comperi? Soltanto gli Immortali Iddii le
-potrebbero comperare. Ma gli Iddii non ne hanno bisogno. Agli uomini,
-— bisbigliò a pena l’insigne Protagora, — occorre vendere bagattelle,
-possibilmente piacevoli. E poi, in confidenza, virtù e vizio, rose e
-cipolle sono tutte produzioni del suolo. Credo che voi soffriate di
-esaltazioni liriche, Socrate carissimo.
-
- *
-
-Strano! Dal tempo di Protagora e di Socrate i sistemi filosofici si
-sono susseguiti come le onde del mare: erti di idealità sino alle
-nuvole, cupi di pessimismo sin giù negli abissi! Gli uomini come tante
-navicelle di carta, hanno seguitato a ballare su e giù per quelle onde
-della filosofia, felici di essere giù, felici di essere su.
-
-Non ci fu che qualche individuo stravagante a dichiararsene
-insoddisfatto, come per esempio Messer Lò, professore medievale
-nell’università di Parigi, il quale, dopo essere stato sballottato
-a lungo in cerca della perfetta letizia, finì col dire: _Linquo coax
-ranis_ (lascio il gracchiare alle rane), e terminò col farsi frate,
-secondo il costume di quel tempo; come Arrigo Heine, il quale dichiarò
-che, dopo avere amoreggiato con tutti i possibili sistemi filosofici
-senza rimanerne soddisfatto, — come Messalina dopo una notte di orgia,
-— si veniva a trovare sullo stesso fondamento su cui si trovava il
-povero negro, lo zio Tom.
-
-Ma non c’è dubbio che fra i tanti sistemi filosofici, quello
-dell’illustre Protagora è il solo che gli uomini abbiano
-coscienziosamente capito ed anche applicato.
-
-Gli Arconti e i Lucomoni vanno sempre a congratularsi con Protagora e
-coi suoi mammalucchi.
-
-I servizi di Socrate non furono niente affatto riconosciuti dallo
-Stato; e quella volta che il Governo si occupò seriamente di lui, fu
-per fargli bere la cicuta.
-
- *
-
-Certo, Socrate, lui come lui, non ha l’onore di aver costruito nessun
-edificio, nessun sistema filosofico, anche perchè non gliene lasciarono
-il tempo, avendogli fatto bere la cicuta.
-
-Di lui non rimase che una pietra quadrangolare di marmo.
-
-Ma io lo vedo ancora col suo melanconico sorriso di Sileno, quel povero
-figlio di Sofronisco scultore e di Fenarete, la levatrice. Egli sta
-presso la sua pietra quadrangolare. Io lo vedo ancora. Dal convito
-d’amore escono gli amici alquanto ebbri e con le rose sfiorite oramai;
-gli amici e le amiche fra cui stanno le belle cortigiane. Essi vanno a
-riposare. Socrate va alla bella fontana, si lava e si purifica. Sorge
-il sole sull’acropoli. Egli riprende il suo dialogo eterno: «Di’, o
-uomo meraviglioso, vogliamo noi diventare belli e buoni?»
-
-E gli uomini, da tanti secoli, non hanno sovrapposto una pietra su
-quella pietra.
-
-Ma vero è anche che molti uomini, vicini a noi, dopo l’esperimento
-della vita, vollero morire per quella terra, ed in quella piccola terra
-che fu la patria di Socrate, considerandola come uguale al vasto mondo.
-
-
-
-
-VII.
-
-La cena dell’amore.
-
-
-Non si deve credere però che la buona società di Atene non istimasse
-Socrate. In questo caso sarebbero stati Beoti, ed essi erano Ateniesi!
-Certo spendevano più alla bottega di Protagora che a quella di Socrate;
-ma, oh, buon figliuolo di Sofronisco, come potevi tu pretendere che la
-gente venisse da te a comperare la _Dike_, la _Enkrateia_, la _Noùs_,
-quel tremendo esplosivo che è la _Noùs_? Vendere la _Noùs_ per le
-strade, sono cose, figlio di Sofronisco, che fanno strabiliare! Sono
-cose che non poterono avvenire che in Atene, la città della giovinezza
-del mondo.
-
-— Signori Ateniesi, questa merce si vende per nulla. Si vende per
-nulla, non perchè non sia preziosa, chè la è preziosissima! Ma è che
-uno dei due sfuma, o il denaro o la merce! — così diceva Socrate.
-
-E gli Ateniesi lo ascoltavano con curioso piacere: naturalmente, non
-comperavano.
-
-— Se comperiamo codesta merce, — dicevano, — noi temiamo, o Socrate,
-di diventare brutti come te! — Lo ascoltavano però volontieri: spesso
-lo invitavano a cena, e mai gli fecero delle beffe: la qual cosa gli
-sarebbe certamente accaduta se fosse vissuto in _Fiorenza_, la città
-delle beffe. Naturalmente, quando era invitato a cena, il buon uomo
-si ripuliva alquanto, perchè la società ateniese ci teneva molto
-all’eleganza: non però sino al grado di noi moderni, in cui i venditori
-di eleganza — camiciai, sarti, scarpai, ecc. — costituiscono un
-sindacato della rispettabilità.
-
-E fu così che un giorno Apollodoro vide Socrate tutto ripulito, e
-siccome questa cosa gli accadeva di rado, Apollodoro meravigliò forte.
-Non mancava a Socrate che di essere profumato come costumavano tutti
-allora indistintamente gli Ateniesi.
-
-Allora non c’era il precetto: «Amate il vostro prossimo!» e si
-suppliva con quest’altro: «Profumate il vostro prossimo!» E così
-l’uomo accostando il naso al suo prossimo, sentiva subito qualcosa di
-piacevole. Ma Socrate preferiva il profumo della verità.
-
-Apollodoro che lo vide così azzimato, meravigliò forte. Apollodoro era
-un’anima candida e quindi un poco irosa.
-
-— Dove vai, Socrate? Perchè così vestito? Che sollecitudine è la tua di
-questa pomposità mondana e superflua? Non carichiamo e scarichiamo oggi
-la _Noùs_, la _Dike_?
-
-— Caro, — disse Socrate, — io, come vedi, mi sono fatto bello perchè
-oggi sono chiamato a cena da persone che sono tutte belle.
-
-Egli era in quel giorno invitato da Callia, un giovane signore, uno
-_sportman_ — diremmo noi oggi — il quale aveva vinto il _grand prix_
-delle Panatenaiche.
-
-— Vieni anche tu, Apollodoro, — disse Socrate.
-
-— Ma non sono invitato! — rispose Apollodoro, il quale appunto come
-anima candida ed irosa, era anche anima timida.
-
-— E se non sei invitato? Ti invito io. Una persona per bene è sempre
-ospitata con piacere da un’altra persona per bene.
-
-Così parlò Socrate, e così si avviarono, lui e Apollodoro, alla casa di
-Callia.
-
- *
-
-Callia abitava una villetta, un po’ fuori di Atene, sulla riva del
-mare. Una piacevole passeggiata! E i sandali di Socrate e di Apollodoro
-andavano allegramente.
-
-Appena Socrate fu in vista della villa di Callia, vide molti e bei
-giovani che lo attendevano.
-
-Callia si fece incontro a Socrate e lo salutò con queste parole:
-
-— Ben venuto, Socrate: noi ti abbiamo invitato a cena, perchè tu,
-essendo libero da cure mondane, farai più onore a noi che se avessimo
-invitato Anito, il presidente della Repubblica, o Meleto il basileo, o
-qualsiasi altro arconte o generale.
-
-(Mai uno _sportman_ dei nostri tempi sarebbe stato capace di così
-intelligenti e graziose espressioni!)
-
- *
-
-E quando tutti si furono acconciati ne’ loro divani attorno alla mensa,
-data l’acqua rosata alle dita, disse Callia bonariamente ai servi:
-— Fate da voi, ragazzi, e fate le cose per bene, perchè noi vogliamo
-mangiare e bere in pace.
-
-«Ma, e le signore? non c’erano al banchetto di quel _gentleman_ le
-signore?» potrà domandare qualche signora, se qualche signora sarà
-lettrice di questo libro.
-
-«No! a quei tempi le signore erano escluse dai banchetti. Servivano
-soltanto come decorazione; muta, però.
-
-Ma è imaginabile, signora, Socrate che va alla cena di Callia con
-Santippe a braccetto? È stato Cristo, signora, che ha introdotto le
-signore nei banchetti: una marsina nera ed uno scollato bianco, in gran
-contegno. Gli Ateniesi non usavano nemmeno il contegno, perchè stavano
-sdraiati sui sofà, ed i fiori, anzichè sulla tavola, erano collocati
-sulle teste.
-
-«Oh, gli orribili Ateniesi, sdraiati sui sofà senza l’intervento del
-sesso gentile! Chi sa quali scostumatezze!»
-
-«Pur troppo, signora! L’uomo, o signora, è in alcuni rari casi di tipo
-apollineo, qualche rara volta di tipo dionisiaco, ma più spesso di tipo
-faunico, cioè bestia, e allora ruzzola sotto la tavola tanto oggi come
-allora.»
-
- *
-
-La cena passò lietamente. I piatti erano d’argento e non usava la
-seccatura di mutarli.
-
-Finita la cena, fu fatta entrare una leggiadrissima giovinetta, vestita
-di un semplice _kiton_, che null’altro era che un quadratello di
-stoffa, come un vessillo, ma messo con garbo: allora le Ateniesi belle
-vestivano tutte così, con molta semplicità; come oggi, che le signore
-portano certe _toilettes_, come dire? semplici.
-
-Un giovane aulete, o suonatore di flauto, accompagnava la fanciulla.
-
-Questi intonò il suono, e poco dopo, ella, come indolente, slegò e
-scosse le membra della sua statua: le animò un po’ per volta, poi
-furentemente, freneticamente. Ora ella, lieve, si trascinava dietro
-il ritmo dell’aulete che, a fatica, con il collo turgido, la seguiva
-zufolando.
-
-I signori, sdraiati sui loro sofà, contemplavano.
-
-D’improvviso la fanciulla ricompose le membra della sua statua; cessò
-la danza: l’aulete potè allora trarre il respiro dal petto profondo.
-
-— Quella fanciulla pare vuota di dentro come la locusta! — disse
-ammirando più d’uno.
-
-— Signori, — disse Filippo, uno dei commensali, — questo è effetto
-della danza, esercizio utilissimo e graziosissimo. Io ho il ventre
-grosso, e voglio diventare grazioso e leggero. Piglierò lezioni di
-danza. Anche Socrate ha il ventre grosso e pesante e deve ballare, se
-vuole diventare grazioso.
-
-— Tutti i giorni, o Filippo, — disse Socrate, — sta certo, io faccio in
-casa esercizi di ballo.
-
-— Così, vedi, convien fare, — disse Filippo. — Tu, fatti in costà, —
-e accennando alla donna che si scostasse, Filippo balzò dal sofà e si
-mise a ballare col suo grosso ventre.
-
-Spumeggiò di risa la gioia del convito.
-
-— Da bere, — ordinò Callia.
-
-Tutti avevano gran sete.
-
-— Portate i cratèri più grandi, — ordinò Callia ai servi.
-
-— Callia, se permetti, — disse Socrate, — ordina i bicchieri più
-piccoli. Il vino è cosa miracolosa come la pianta della mandragora:
-addormenta il dolore, e sveglia la gioia, come l’olio sveglia la
-fiamma. Ma in piccole tazze! Noi siamo come la sementa della terra. Se
-l’acqua diluvia, la sementa marcisce; se invece scendono piogge soavi,
-ecco tutta la bella fiorita della primavera.
-
-I servi recarono in giro piccole tazze.
-
-Disse per primo Callia: — Io bevo alla Ricchezza, alla mia dolce e
-docile Ricchezza, dispensiera di libertà. Essa mi concede di onorare
-con bei simposi, in questa bella casa, con tanti servi, con questo
-inebriante vino, i cari amici.
-
-Disse un altro dei convitati: — Ed io, o Callia, propino e bevo —
-perchè tu ci offri questo nobile vino — alla mia grande, vergine,
-libera Povertà. Divina cosa, amici, la Povertà! Già tu la custodisci
-senza forzieri, con la dolce negligenza essa fruttifica, il dente
-dell’invidia non la morde; i figli non ti augurano di andar presto
-a ritrovare Caronte. Anch’io sono libero, o Callia, io con la mia
-povertà!
-
-(Queste cose si potevano dire allora quasi sul serio, per tante ragioni
-per le quali la povertà non aveva l’odore così cadaverico che ha oggi).
-
-Un giovanetto non ancora segnato nel volto di alcuna lanugine,
-inghirlandata la breve fronte di rose come un nume, fissando Callia con
-ferme pupille, parlò così per terzo e come devotamente: — Io mi glorio
-e mi esalto della mia, oh fuggitiva bellezza! la quale mi concede di
-essere caro a te, o Callia, o unico, o solo mio bene!
-
-(E anche ciò poteva a quei tempi esser detto, se è permessa la
-contraddizione, naturalmente. Le signore non potevano protestare).
-
-— Permettete allora, signori ed amici, — disse quel tal Filippo, — che
-anch’io dica la mia. Io mi esalto e glorio perchè son nato buffone.
-Socrate nostro non può profferire parola che non sia seria; io invece
-non posso dir cosa che non sia buffonesca. Dire una cosa seria è per
-me impossibile: come diventare immortale. Socrate dice di sentire
-l’ambrosia di non so qual Nume o Demone di dentro. Io sento dentro di
-me un onesto suino che annusa l’ambrosia delle buone pietanze.........
-
-— Ehi, ehi! — interruppe d’un tratto il buffone Filippo. — Si può
-sapere che cosa fanno quei due laggiù? Ma quella è la danza, diciamo
-così, del ventre!
-
-Infatti la bella donna ed il giovane aulete, rimasti senza occupazione,
-avevano per conto loro attaccata una danza, una danza.... Come
-dire? Un’abbominevole danza: quella che è detta oggi la danza degli
-Apaches, la danza dei selvaggi che piace anche alla nostra buona
-società. Io credo che sia una riproduzione dell’antica danza che i
-due primi selvaggi, Adamo ed Eva, danzarono la prima volta ed ebbe per
-conseguenza Caino ed Abele: una specie di _tango_.
-
-La donna era di un verismo assai perturbante.
-
-— Smetti, ragazza, — gridò Filippo. — Mi si desta Afrodite, e sorge
-Eros.
-
-Cosa strana! In tutti si destava Afrodite, ed anche Eros.
-
-E poichè i due smisero, furono mandati via.
-
-— Per Giove, — esclamò Callia, — sapete, amici, che Eros, Amore, è un
-dio misterioso anche lui! Misteriosa certamente è Demetra; misteriosa è
-Minerva, ma anche Amore non ischerza!
-
-— E il modo come si manifesta!
-
-— E come è invincibile!
-
-— E come è indomabile!
-
-— Il più giovane ed il più bello degli Iddii, perchè chi può imaginare,
-signori, Amore non dirò con la barba bianca, ma con la barba?
-
-— E nel tempo stesso, signori, il più vecchio fra gli Iddii, perchè
-come sarebbe nato Giove se prima non c’era Amore?
-
-— E il più corroborante fra gli Iddii! Più assai di Dioniso di cui poco
-fa parlava Socrate! Non ci fu che quel vile di Paride, che quando era
-preso da Eros, si sdraiava sul letto: ma io allora sbranerei i leoni,
-lotterei coi centauri, coi Lapiti, pur di arrivare all’oggetto che
-concupisco!
-
-— La più bella istituzione del mondo è Eros!
-
-— La più piacevole!
-
-— La più esilarante!
-
-— Sparsa dovunque: dovunque ci si volta, ecco Amore!
-
-Così dissero i convitati di Callia in lode d’Amore.
-
- *
-
-«Oh, gli indecenti maschi avvinazzati! gli orribili Ateniesi!» —
-potrebbe qui esclamare la mia ideale signora — «I profanatori, non i
-lodatori d’Amore!»
-
-«Ecco, signora: io credo piuttosto che tutto provenga da un diverso
-modo di giudicare l’Amore. Per noi moderni l’Amore è una cosa così
-complicata, così difficile, così piena di conseguenza! E poi troppo
-ideale: e spesso l’ideale se ne va, e non rimane, _pardon!_, che il
-pitale d’Amore.
-
-Per gli Elleni invece era una cosa più semplice. Essi volevano soltanto
-conoscere che cosa era quel delizioso furore di Eros: un problema
-scientifico! E perciò i nostri convitati stanno per dire cose un po’
-sciocchine, un po’ puerili specialmente per chi è abituato alla nostra
-così spaventosa psicologia dell’Amore; e, forse, un po’ invereconde: ma
-tutto il loro discorso non fu inverecondo perchè nella loro mente Eros
-si presentava come un problema scientifico.
-
- *
-
-Disse, dunque, uno dei commensali:
-
-— Come si spiega, o amici, l’arduo problema che c’è l’amore degli eroi
-e l’amore, diremo così, dei suini?
-
-— È semplicissimo, — rispose un altro dei commensali. — Afrodite, la
-mamma di Amore, ha avuto due figliuoli; cioè due Amorini, un Amorino
-eroe e un Amorino maiale, in quanto che la nobile dea ha creduto di non
-far torto a nessuno....
-
-— Ma, e perchè, — chiese un terzo, — due putti, uno maschio ed uno
-femmina, sono a un dipresso uguali, sino ad una certa età: ridono,
-scherzano insieme; poi viene un bel momento che la puttina trema
-davanti al maschio; ha paura e fugge; fugge, ma lascia andare tutte le
-chiome lunghe lunghe per essere presa, e quando è presa, non piange ma
-ride? Se poi giungono alla vecchiezza, perchè tornano uguali, tornano a
-giocare in pace innocente ancora, come Filemone e Bauci?
-
-— E perchè, — disse un altro, — questa caccia furibonda e continua; e
-perchè, questo è ben un mistero! perchè qualche volta avviene che un
-maschio rincorre un altro maschio; e qualche volta una femmina corre
-dietro una femmina?
-
-— Oh, — disse un altro, — la spiegazione è abbastanza semplice: Giove
-quando creò la creatura umana, si pensò di congegnarla nel modo più
-compiuto e dilettevole; e perciò la combinò per tal guisa che in
-un solo individuo ci fosse maschio e femmina insieme. In principio,
-dunque, non esisteva l’uomo e la donna: ma soltanto l’androgìno, cioè
-l’uomo-donna.
-
-Chi sa come andarono le cose? Giove dice che l’androgìno era
-prepotente, cattivo ed ingrato. V’è chi dice che Giove si stancò
-dell’androgìno, nello stesso modo che i gran signori si stancano dello
-stesso balocco. Il fatto è che Giove si mise a spaccare tutti gli
-androgìni in due, come si fa con le acciughe, e diceva: Se non siete
-buoni, vi spaccherò in quattro, ed anche in otto! Ed ecco che, fatta
-appena questa operazione, la metà maschia si mise a cercare la sua metà
-femmina, spasimando come tante biscie tagliate. Questa cosa è tanto
-vera che anche oggi la moglie è chiamata la mia «metà». Ma chi sa dove
-si trova la sua metà? Ed è per questo che quasi nessuno è contento
-della sua metà, ma desidera molto di mutare la propria metà, per vedere
-se trova quella che già combinava con lui. Spesso poi avviene che una
-metà maschia si attacca ad un’altra metà maschia, ed una metà femmina
-si appiccica con un’altra metà femmina, tanto è il cieco furore della
-caccia!
-
-Così spiegò uno dei convitati, e tutti furono soddisfattissimi.
-
-Tutte queste spiegazioni non erano propriamente la verità: ma è
-necessaria agli uomini la verità quando basta agli uomini una fola?
-
-Ora siccome ognuno aveva detta la sua, così si volle sentire anche
-Socrate; ed ecco, quest’uomo, dissimile da tutti gli altri uomini,
-venir fuori, non con un’altra storiella piacevole, ma con una di quelle
-cose lugubri che si chiamano verità.
-
-— Perdonate, signori ed amici, — disse, — la mia dappocaggine, la mia
-inguaribile dappocaggine, per effetto della quale non mi è possibile
-dire altra cosa che non sia la verità. Vi devo dire che cos’è Amore?
-Amore è una volontà di vivere, un disperato e oscuro bisogno che ogni
-essere mortale sente di generare la sua immortalità. Perciò ogni essere
-creato combatte e vive in difesa del suo germoglio, cioè de’ suoi
-figli, che formano la sua immortalità.
-
-— Ma allora, — esclamò con dolce stupore il giovanetto che si era
-vantato della sua bellezza, — i miei amori sarebbero riprovevoli amori
-perchè io non germoglio.
-
-— Allora, Socrate, — disse Callia, — Amore non sarebbe precisamente il
-Piacere!
-
-— Il Piacere, — ripetè Socrate, — serve per la vita, caro Callia, ma
-non è la vita.
-
-— Permettimi, caro Socrate, di osservarti, — disse Filippo, — che le
-tue opinioni sono piuttosto melanconiche e restrittive. Io per me mi
-sento perfettamente suino o faunico che tu voglia dire; io non ho alcun
-bisogno di immortalità; anzi ho paura dell’immortalità. Da bere, da
-bere, Callia, e in grandi crateri, questa volta, anche se a Socrate non
-pare. Tu ci vuoi far digerire male la gioia del convito!
-
- *
-
-Povero Socrate, così buono e intelligente! Egli non aveva nessuna
-intenzione di disturbare la gioia di quel convito: era quella malattia
-della verità!
-
-E chi non beve il dolce vino della favola, ma si ostina a bere l’acqua
-cruda della verità, corre il rischio di rotolare e far mala fine,
-come San Francesco gran bevitore d’acqua, che, per contemplare l’alta
-verità, rotolò dal monte della Vernia.
-
- *
-
-Sul far dell’alba ognuno se ne tornò alle sue case.
-
-Ma Socrate era ancora lì con il suo buon Apollodoro sulla riva del mare.
-
-Parlò allora Apollodoro, che per timidezza mai aveva parlato durante il
-banchetto.
-
-— Quale splendente verità tu hai detto, Socrate mio, — esclamò
-Apollodoro con venerazione, — più bella e luminosa dell’occhio del sole
-che ora sorge e accarezza l’Acropoli.
-
-— Considera, considera, Apollodoro mio, — diceva Socrate, — anche
-queste altre verità.
-
-— Quali, Socrate?
-
-— Ecco: sai tu, Apollodoro, quanti figliuoli abbia avuto Giove?
-
-— Impossibile, Socrate. Chi li può numerare?
-
-— Vero! I figliuoli di Giove sono innumerevoli. Però osserverai una
-cosa: che, fatta una sola eccezione per la dea Minerva la quale venne
-fuori da per sè dal cervello di Giove e non succhiò latte di donna,
-tutti gli altri figliuoli Giove li ha generati dalle più belle femmine
-del mondo, tutte bianche, tutte docili, tutte devote, tutte silenziose:
-Elettra, Europa, Leda, Alcmena! È strabiliante, Apollodoro, ma è così,
-proprio così! Il termine più alto della bellezza che la nostra mente
-contempla, è la donna; e noi cerchiamo appunto di procreare nella
-maggior bellezza per creare la immortalità più bella.
-
-— Sublime verità tu hai detto, o Socrate, — rispose l’estatico
-Apollodoro. — Oh, ecco che spiego ora a me stesso perchè anch’io, che
-disprezzo tutte le cose mondane, pure non so staccare questi peccanti
-miei occhi dalla bianchezza della donna! E anche tu la guardi, Socrate.
-
-Socrate sospirò profondamente.
-
-— Ah, perchè — prosegui Apollodoro — le belle donne allontanano invece
-lo sguardo da te? Perchè tu, come Giove, non puoi ingannare la loro
-stupidità, trasformandoti in cigno, in pioggia d’oro, in bianco toro
-come fece quel Dio? Chi sa quale generazione immortale verrebbe fuori!
-Altro che Ercole! altro che Achille! altro che Castore e Polluce!
-Oh, ecco Minerva, vedi, o Socrate, — esclamò Apollodoro, — la divina
-Minerva dovrebbe congiungersi con te.
-
-— La quale sventuratamente — disse Socrate sorridendo — è nata sterile.
-
-Apollodoro, col capo in giù, pensava alla singolare fatalità che
-Minerva era sterile, e solo quella bianca oca di Leda fu capace di
-covare quattro ova per volta!
-
-— Però, — disse Socrate levando la faccia camusa e sorridendo alquanto,
-— tu puoi generare anche con Minerva!
-
-— Generare con Minerva? — chiese Apollodoro. — E che nascerà?
-
-— Nascerà l’idea! — disse Socrate.
-
-(Beatrice, l’amante di Dante, infatti, non soltanto fu sterile, ma
-non aveva che due grandi occhi ed un manto; eppure generò la _Divina
-Commedia_).
-
-— Sublime, generare l’idea! Questa è la grande immortalità! — esclamò
-Apollodoro.
-
-Ma ora anche Socrate ritornava col capo all’ingiù.
-
-Forse pensava come fosse complicato quel problema di Amore, che egli
-aveva al banchetto di Callia enunciato un po’ troppo semplicemente.
-Dall’Amore del suino per la bella suina allo scopo di immortalare la
-razza dei suini, all’Amore di Dante per la scarnificata Beatrice, è
-tutta una scala indefinita: ma una femmina è indispensabile: o suina o
-Beatrice.
-
-Ahimè! forse la fola dell’androgìno valeva quanto la verità enunciata
-da Socrate!
-
-Essi così si stavano muti sulla riva dell’azzurro mare al mattino, e il
-sole indorava l’Acropoli, quando Apollodoro esclamò:
-
-— Socrate, guardati! ecco viene Santippe.
-
-— Fuggiamo, figliuolo mio, — disse Socrate.
-
-— Impossibile! Ti ha riconosciuto. Senti già le alte strida?
-
-Era Santippe, infatti. Ella si era imbattuta nella comitiva dei
-convitati di Callia, che ritornavano in Atene. Aveva chiesto di Socrate
-e quelli ridevano.
-
-— Maledetti bardassi! cinedi porci! — aveva detto contro le loro
-risa, ed aveva seguitato a girare per ritrovarlo quel vagabondo di suo
-marito.
-
-— Eccolo qui, — disse, — che non si accontenta di aver persa la notte;
-ma anche il mattino! A casa, dico, che tu sei ubriaco fradicio!
-
-E presolo per la mano se lo trascinava dietro a gran passi. — Ma che
-proprio tutto io, tutto io? io accendere il fuoco? io scopare? e tu in
-giro a far gozzoviglia, muso da cane?
-
- *
-
-E quando Socrate fu giunto a casa, un visetto, un po’ camuso anche lui,
-si levò dagli stracci della sua cuna: due occhietti luccicarono, due
-manine batterono a palma a palma: _File pappos_, Papà mio!
-
-Era il suo ultimo germoglio.
-
-
-
-
-VIII.
-
-Il colloquio fra Anito e Meleto.
-
-
-Le profezie di Santippe non tardarono ad avverarsi.
-
-— Socrate, — diceva Santippe, — sta a casina tua, metti la testa a
-partito, chè sei vecchio; chiacchiera meno; se no ti predìco che farai
-mala fine.
-
-Ma Socrate si era sempre profumato — come già dicemmo — col profumo
-della verità, e perciò non poteva star zitto.
-
-Qui è indispensabile osservare come Socrate non fu lui solo ad avere
-questa abitudine: Cristo parlava dall’alto della montagna; Dante
-parlava dall’alto dei secoli; Campanella portava per emblema una
-campana, e aveva per motto: «_Non tacebo_, non starò mai zitto!»
-San Francesco andò scalzo e lacero a parlare davanti alla maestà del
-Papa; Tolstoi cammina per la neve, con la sua barba bianca, sino ad
-affacciarsi al nostro occidente e grida: «Io non posso tacere!»
-
-Ora quando si consideri come tutti costoro fecero mala fine, che
-Tolstoi, che era un signore, morì su la neve, risulta evidente che è
-assai meglio tenere la fiaccola sotto il moggio e non sopra il moggio:
-cioè seguire la saggezza del sentenzioso Bertoldo, il quale assicurava
-che in bocca chiusa non entrano mosche; e Bertoldo fu pure una
-rispettabile persona, e se morì male fu anzi per eccesso di delicatezze
-a cui il suo stomaco di bifolco non era abituato.
-
- *
-
-Dunque Socrate era un predestinato a far mala fine. Ma quando io penso
-che Socrate non fu condannato da un tribunale segreto, coi giudici
-notturni e mascherati; non fu crocifisso da fanatici ebbri di odio;
-ma fu condannato alla luce del sole, legalmente, da cento tranquilli
-cittadini giurati, allora io sono preso da una gioia furibonda, ed
-esclamo, come in principio: — Oh, Atene luce del mondo, non solo nelle
-arti, ma anche nella politica!
-
- *
-
-Atene — ci pare di averlo detto — era una repubblica, cioè uno stato in
-cui tutti i cittadini sono proprietari della sovranità. Ora, siccome la
-repubblica è quel governo appunto che è fondato sulla virtù, Socrate,
-il quale vendeva la virtù per le strade, avrebbe dovuto essere almeno
-presidente della repubblica.
-
-Invece Socrate fu condannato a morte, e appunto in una repubblica
-democratica. Questa cosa può fare dispiacere alle nostre convinzioni
-democratiche, per la quale cosa ci domandiamo: Come avvenne
-questo fatto strano che Socrate fu condannato a morte in una città
-democratica?
-
-Avvenne perchè Anito ebbe un importante colloquio con Meleto.
-
- *
-
-In Atene, città raffinata, la democrazia costava cara come la
-aristocrazia. Tutti i cittadini essendo sovrani, aspiravano anche ad
-una piccola lista civile, cioè a vivere sovvenzionati dallo Stato,
-tanto che lo Stato dava anche gli spettacoli del teatro gratis.
-
-Il denaro — equivalente sensibile della virtù — era molto ricercato e
-molto onorato in Atene. E similmente, come conseguenza, avvenne questo,
-che una volta un re che assediava Atene, invece di bombardare la città,
-vi fece entrare degli asini carichi d’oro: nessuna cavalcata eroica
-sortì effetto più bello! Atene fu presa risparmiando vite ed edifici.
-
-Per evitare quest’inconveniente, gli Spartani, che erano aristocratici,
-fecero coniare certe monete di bronzo da mezzo quintale l’una. Ma ciò
-non documenta se non la puerilità e la rozzezza degli Spartani, perchè
-l’uomo, quando si tratta di trasportare il denaro, è più robusto della
-formica la quale è capace di trascinare un peso circa duecento volte
-superiore al proprio peso.
-
-Questa è una facoltà che hanno gli uomini tanto in democrazia quanto in
-aristocrazia.
-
-Ma un inconveniente anche più grave e più speciale di Atene era la
-facilità con cui gli uomini, forniti di bella voce, arrivavano al
-potere. E quando si consideri che quasi tutti in Atene avevano bella
-voce, si capirà anche quanta gara ci fosse e quanta difficoltà nel
-mantenersi al potere.
-
-Gli Spartani invece non parlavano che a monosillabi.
-
-Questa diversità del modo di parlare fu, nel caso speciale di Atene e
-Sparta, uno dei motivi per cui i due popoli si guerreggiarono a morte.
-Ma anche altre diversità, come del colore, del modo di mangiare, di
-dire le orazioni, ecc., posson essere cagione di guerra. Ecco, dunque,
-gli Spartani che facevano guerra a morte agli Ateniesi.
-
-E noi possiamo osservare che in tutti i tempi i grandi guerrieri,
-questi tetri agenti della morte, sono taciturni come la morte. Perciò
-gli Spartani, che parlavano a monosillabi, furono vincitori degli
-Ateniesi che parlavano troppo!
-
-L’ultima battaglia navale fu un disastro irreparabile. La bella armata
-di mare degli Ateniesi, la più bella armata che allora navigasse il
-Mediterraneo, gloria e scudo di Atene, in un giorno di distrazione e
-discussione dei suoi capitani, fu sorpresa dagli Spartani, e andò in
-pezzi.
-
-Per effetto di questo disastro, Atene perdette la sua libertà e gli
-Spartani vi insediarono trenta Oligarchi, taciturni e sanguinari, che
-spadroneggiavano in Atene, tenevano chiusi i teatri, non permettevano
-di parlare e mandavano la gente a casa all’ora del coprifoco.
-
-Socrate anche in quella circostanza seguitò a parlare lo stesso.
-
-Ed allora il capo degli Oligarchi lo mandò a chiamare e con voce cupa
-gli disse: — Socrate, noi siamo stanchi fracidi dei tuoi discorsi!
-
-Ê molto probabile che Socrate avrebbe fatto già da allora cattiva fine.
-
-Ma gli Ateniesi, piuttosto che stare zitti, preferirono morire, e
-fecero una rivoluzione. E allora gli Oligarchi, che incutevano tanta
-paura, ebbero paura e scapparono. E qui diciamo come questo bello
-spettacolo di vedere i tiranni aver paura e scappare davanti alla
-rivoluzione, è uno dei vantaggi della democrazia.
-
-Atene, cacciati che ebbe gli Oligarchi, ritornò più democratica di
-prima, e il presidente della Repubblica, o primo arconte, si chiamava
-Anito, ed era di professione cuoiaio.
-
-Anito era una rispettabile persona ed era intelligente, prima perchè
-tutti gli Ateniesi erano intelligenti, secondo perchè le persone
-che arrivano al potere sono intelligenti. Era anche un formidabile
-democratico, perchè aveva sofferto l’esilio durante la tirannia dei
-trenta Oligarchi, e gli interessi della sua conceria erano stati molto
-danneggiati. Per impedire che la flotta andasse in frantumi una seconda
-volta, egli aveva provveduto facendo votare una legge che prescriveva
-che tutte le navi fossero fasciate con un triplice rivestimento di
-cuoio.
-
-Allo scopo poi di evitare congiurazioni contro lo Stato, Anito
-ispezionava e faceva diligentemente ispezionare le vie di Atene.
-
-Ora noi sappiamo che Socrate passeggiava per le vie di Atene e vendeva
-gratuitamente la _noùs_ ai giovani.
-
-Se Socrate avesse sparlato della democrazia e dei cuoiai puzzolenti,
-oppure avesse deriso il progetto del rivestimento di triplice cuoio per
-le navi, il sospettoso Anito avrebbe capito subito.
-
-Anito parlava lo stesso linguaggio di Socrate, ma non capì troppo bene.
-Le orecchie di Anito erano pelose. Ora quando si pensi che frate Egidio
-e re Luigi il Santo parlavano due diversi linguaggi, e pur si capirono
-soltanto alle sfavillanti, lagrimanti pupille; anzi l’uno davanti
-l’altro devotamente si inginocchiò, bisogna ammettere che questo umano
-linguaggio ha meno valore che non si crede comunemente.
-
-E non soltanto Anito capì poco; ma gli parve che il saluto a lui,
-presidente della Democrazia, fosse poco reverente.
-
-Alcibiade, nepote di Pericle (un intellettuale molto sospetto!) diceva
-bensì: «Salute, Anito!»; ma le sue pupille, dall’alto della pura
-clàmide, giravano così sardonicamente, che parevano dire: «Dove sei,
-Anito, verme della terra?»
-
-Ed i sicofanti avevano riferito per certe queste parole del giovane
-Senofonte: «Salcicciai e cuoiai arricchiti vadano pure al potere: ma
-col voto dei salcicciai e cuoiai soltanto. Noi, piuttosto che dare il
-voto a simili candidati, boicoteremo lo Stato, andremo volontariamente
-in esilio.»
-
-«Tutto questo, — pensava Anito, — è effetto della filosofia di quel
-vecchio. E che è questa filosofia che rende gli uomini indaganti,
-oltracotanti, ciarlanti, boicotanti, scioperanti?»
-
-Egli non sapeva che cosa fosse la filosofia; ma come uomo politico,
-cioè intelligente, capì che quel vecchio parlava parole a lui nemiche,
-e quindi era nemico pericoloso per la democrazia. (E questo di
-giudicare pericolosi i filosofi è, pur troppo, una qualità tanto delle
-aristocrazie quanto delle democrazie.)
-
-«Ah, è troppo tempo, — diceva Anito, — che quel vecchio chiacchiera per
-le vie di Atene!»
-
-E andava considerando fra sè come lo si potesse togliere dalla
-circolazione.
-
-«Ecco, — esclamò trionfalmente Anito, puntando l’indice contro la
-fronte, — noi possediamo l’organo legale, l’ostracismo! Blandamente,
-dolcemente, noi togliamo questo individuo dalla circolazione. Sì, ma
-dove li troviamo noi tremila cittadini che diano il voto per mandare
-Socrate in esilio? Per quale motivazione? Perchè parla troppo? Ma
-allora bisognerebbe mandare in esilio tutti gli Ateniesi! Eppure un
-motivo ci deve essere!»
-
-Anito, uomo politico, sentiva al fiuto che un motivo c’era. Ma quale?
-Non riusciva a trovarlo, e perciò si decise ad andare da Meleto, che
-era l’arconte basileo, e aveva l’orecchio più sottile.
-
-Questo Meleto non era un sacerdote: Atene non ebbe sacerdoti, chè
-se li avesse avuti, non sarebbe stata più Atene. Era soltanto una
-mente sacerdotale. Oltre a ciò convien dire che questo Meleto era
-un eupatrida, cioè un nobile, e lo si diceva un po’ partitante
-dell’aristocrazia. Ma essendo al potere, ed avendo anche lui approvato
-il rivestimento di cuoio per le navi, Anito e Meleto — cioè demagogo ed
-oligarca — si trovavano in buoni rapporti.
-
-Mentre dunque Anito si reca da Meleto, noi ci domandiamo: Perchè
-questa legge dell’ostracismo, cioè di un esilio blando e niente affatto
-disonorevole, non fu conservata nelle legislazioni che vennero di poi?
-Perchè quella legge fu trovata ingenua, cioè superflua.
-
-Dove Anito o Meleto salgono ai primi onori di uno Stato, gli uomini
-buoni si eliminano automaticamente, senza ostracismo.
-
- *
-
-Meleto era un personaggio flemmatico e maestoso, e il discorso
-che seguì fra i due uomini di Stato fu di molto interesse, anzi è
-memorando.
-
-— Quell’uomo, quel Socrate, — cominciò a dire Anito, — io l’ho
-ascoltato attentamente; parla di fabbri, di falegnami, di asini col
-basto, dice che conviene essere _kaloikagatoi_,[3] _filosofoi_....;
-eppure io sento che quell’uomo è pericoloso allo Stato. Pensa o non
-pensa vostra Eminenza quest’uomo pericoloso allo Stato?
-
-— Mah! — rispose Meleto.
-
-— Che cosa vuol dire «Mah!»? — domandò Anito che era uomo impaziente.
-
-— Mah, — rispose gravemente Meleto, — vuol dire «pericoloso» e vuol
-dire anche «niente affatto pericoloso».
-
-— Abbiate la cortesia di spiegarvi, perchè io non sono nato interprete
-paziente di enigmi.
-
-— Non è un enigma, buon uomo, — rispose Meleto, — è una cosa semplice.
-Se i peli delle vostre orecchie non vi avessero intercluso l’udito, voi
-avreste inteso che Socrate non parla soltanto degli asini col basto, ma
-parla anche di una voce misteriosa che ogni tanto gli ragiona, e lui
-solo ode, e lo mette in diretta comunicazione con Giove. Ora vostra
-Celsitudine può capire molto bene che se tutti gli Ateniesi fossero,
-come Socrate, in diretta comunicazione con Giove, io sommo pontefice,
-io arconte basileo, che servo appunto da interprete fra gli uomini e
-gli Dei, _fututus sum!_
-
-Detto ciò, Meleto tacque e sorrise. L’orlo del suo manto era scomposto,
-e se lo ricompose.
-
-— _Ne dia_, — esclamò Anito, — ma allora se tutti gli Ateniesi
-diventeranno ragionanti e ragionevoli, anch’io, arconte polemarco,
-_fututus sum!_
-
-Gli occhi sereni di Meleto fissavano lo scomposto volto di Anito.
-
-— _Ne dia_, per Giove, per la gran barba di Giove, — esclamò poco dopo
-ancora Anito, come percosso da un secondo lampo di luce, — se tutti gli
-Ateniesi, anzi se tutti gli uomini diventano _kaloikagatoi_, oltrechè
-_filosofoi_, siamo f..... tutti! Non più guerre, non più rivestimenti
-di cuoio alle navi! _Ne dia!_ le cose sono di una gravità immensa! Quel
-vecchio melenso mi fa una rivoluzione più terribile di quella che ho
-fatto io! Addio Meleto, vi do il buon giorno!
-
-— E dove va vostra Celsitudine?
-
-— Vado a salvare lo Stato, vado ad arrestare Socrate....
-
-— Io credo che si possa aspettare anche domani, — disse pacatamente
-Meleto. — Domani, o anche mai!
-
-— Mai?
-
-— Mai, buon Anito! perchè mai verrà il giorno che gli Ateniesi
-diverranno ragionanti e ragionevoli, mai verrà il giorno in cui gli
-asini col basto ubbidiranno alla voce del proprio Demone, mai gli
-uomini diventeranno _kaloikagatoi_! Il pericolo socratico, credete,
-Anito, è del tutto insussistente; è un futurismo senza futuro!
-
-— Ma il rivestimento di cuoio per le navi?
-
-— Il rivestimento di cuoio per le navi si farà, e così si faranno le
-armi, e così si faranno le guerre in perpetuo, — rispose Meleto. —
-La nobile Atene ha, a venti chilometri a nord, gli idioti Beoti; a
-venti chilometri a sud, i taciturni Spartani, che dove passano una
-sola traccia lasciano; quella della loro mano insanguinata e brutale:
-tutt’attorno poi a nord, tutt’intorno a sud, dalla parte dove il sole
-si leva, e dalla parte dove il sole tramonta, crescono e montano le
-generazioni dei barbari che nessuna forza o dio distruggerà! Non vi
-date, dunque, pensiero, Anito, nè per la guerra, nè per le armi, nè pel
-rivestimento di cuoio. La nobile Atene dovrà guerreggiare in perpetuo
-se vorrà salvare la sua Minerva!
-
-— Cosicchè voi, Meleto, — domandò Anito, — non condannereste Socrate
-nemmeno con il più dolce, con il più blando ostracismo?
-
-— Io lo avrei, e da tempo, colpito di morte, — rispose Meleto con
-gravità solenne; — ma noi siamo in una città democratica!
-
-Anito stupì e strinse calorosamente la mano a Meleto.
-
-— Allora convenite con me che quell’uomo è pericoloso allo Stato. Ma se
-prima dicevate che urgenza di pericolo non c’era?
-
-— No, buon Anito, urgenza di pericolo non esiste. Per la salute del
-mondo, mai gli asini col basto udranno la voce del Demone, mai gli
-uomini diventeranno _kaloikagatoi_, e sotto quest’aspetto il pericolo
-è insussistente. Ma ben è vero che gli Ateniesi sono già per loro
-natura troppo schernevoli, troppo mobili! Da troppo tempo hanno preso
-il mal vezzo di mettere, anche sul teatro, in burletta gli Dei! Mai
-codesto sarebbe tollerato in governo aristocratico! Perchè sappiate,
-o Anito, che per la salvezza di Atene e della terra, è sommamente
-necessario conservare intatto Giove, il Cesare del Cielo, con le sue
-gerarchie disciplinate: Briareo dalle cento braccia, Proteo dalle cento
-forme, Ercole con la clava enorme; i gran gendarmi di Giove! Imperio,
-ubbidienza e servitù. Ciò risponde alla configurazione della terra!
-Ma le democrazie sono instabili, fermentanti, tumultuose. Vanno alle
-estreme conseguenze della logica e della illogica; ed allora non è più
-possibile governare gli Stati. Ora quel vecchio pazzo che su tutto
-indaga, che su tutto discute, che insegna agli altri ad indagare e
-discutere; che crea il diritto e la sovranità dell’individuo, mentre
-non ci deve essere che un solo diritto, una sola sovranità, lo Stato,
-quel vecchio è l’essere deleterio e perniciosissimo alla salute della
-Repubblica.
-
-— Allora Socrate, — disse Anito con istupore, — è secondo voi
-essenzialmente democratico! Io lo credevo aristocratico.... Però
-sappiate, o Meleto, che se è necessario salvare la patria, io per
-questa occasione posso diventare aristocratico!
-
-Il grave capo di Meleto, l’arconte basileo, si chinò alquanto.
-— Confortatevi, Anito, — disse poi. — Forse Socrate è un
-aristocratico....
-
-— Allora io avevo capito subito.... — disse Anito.
-
-— Comunque sia, o aristocratico o democratico, — disse Meleto, — vano
-è ricercare. Una cosa è certa: Socrate è pestifero. Quella gioventù
-che indaga, dubita, discute, si affolla intorno a lui, è di mal seme!
-Atene, circondata come è da Spartani e Beoti, di una sola cosa ha
-bisogno, di una pesante spada di bronzo che cali con altrettanta
-brutalità come la spada spartana. Per parlare, uno solo basta,
-l’arconte. Gli altri basta che sappiano, con disciplinato silenzio,
-morire.
-
-— Oh, ammirabile uomo! — esclamò Anito. — Ma è ben pericolosa la
-filosofia!
-
-— Una malattia dello spirito, — sentenziò Meleto.
-
-— Una malattia, — rincalzò Anito, — che non ha altro effetto pratico
-se non quello di rendere i nostri Ateniesi malcontenti, impertinenti,
-disubbidienti, poco rispettosi anche verso di me. Andrò io bene alle
-radici del male, Meleto!
-
-— Sì, ma procedete, vi prego, con la legalità più scrupolosa.
-Siamo in città democratica, e per questo evitai io di prendere
-un’iniziativa qualsiasi. Ma poichè a voi così pare, fate. Badate
-però che la procedura non deve essere soggetta ad alcuna critica.
-Ricavate la sentenza sulle coordinate del Codice. Tutto sia — ripeto —
-perfettamente legale. Noi non vogliamo che una luce fosca sia gettata
-sui nostri costumi politici.
-
-Così parlò Meleto ad Anito ed Anito a Meleto.
-
- *
-
-E fu in conseguenza di questo colloquio fra Anito e Meleto, uno dei
-più interessanti colloqui storici che la politica ricordi ancorchè
-non si trovi registrato in alcun testo, che nell’anno primo della
-novantacinquesima Olimpiade, cioè l’anno 399, cioè quattro secoli
-prima ancora della passione di nostro Signore Gesù Cristo, gli Ateniesi
-lessero, — perchè tutti gli Ateniesi avevano l’istruzione obbligatoria,
-e quindi sapevano leggere, — affisso sotto il portico dell’Arconte
-Basileo, questa citazione, o libello, così concepito: «Socrate,
-figlio del fu Sofronisco e della fu Fenarete, ammogliato con prole,
-di professione scultore disoccupato, è accusato di perniciosissima
-propaganda contro lo Stato. Arrogi che egli non mostra il dovuto
-rispetto verso Giove, padre degli Dei e imperatore degli uomini, in
-quanto che insegna dottrine religiose contrarie alla religione dello
-Stato e alla democrazia, e perciò è di grave scandalo alla gioventù».
-
- *
-
-Quel giorno Santippe aspettò proprio invano suo marito per l’ora del
-desinare.
-
-
-
-
-IX.
-
-Oh, povera Santippe!
-
-
-Non a pena Santippe venne a sapere che suo marito era stato messo in
-prigione, ne fu molto perturbata.
-
-«Lo dicevo io che una volta o l’altra ci sarebbe capitato addosso
-qualcosa di serio! Eh, avessi io sposato un onesto trippaio! Suvvia,
-figliuoli, vestitevi con i peggiori abiti che avete (già di buoni non
-ne avete) e andiamo a metterci sulla porta per dove devono passare i
-giudici».
-
-I signori giudici giurati passavano gravemente in lunga fila di
-cento giurati, tutti vestiti coi manti bianchi. Essi si recavano al
-dikasterio, che vuol dire _la casa di Dike_, quella tale vergine e
-troppo delicata Giustizia, la quale vedendo che non c’era modo di
-salvare il suo onore, tornò su ancora in cielo: e allora ci andò ad
-abitare al dikasterio una buona donna più accomodante, la quale non
-essendo niente affatto vergine, era corazzata contro gli oltraggi degli
-uomini, da ogni parte, con triplice cuoio, come le navi di Anito.
-
-Ora Santippe all’angolo del dikasterio, faceva insieme coi figliuoli,
-gran corrotto, e tutti quei suoi capellacci rossi e quelle sue strida
-mettevano quasi paura, anche ai signori giurati.
-
-— Meschini noi! — urlava. — Or che faremo noi, deserti del nostro uomo?
-Adess’adesso vengo su anch’io nel dikasterio, e ci mettiamo tutti noi,
-insieme con lui, a piangere!
-
-Ma tutti i signori giurati erano di una gravità nera ed impressionante
-benchè vestiti di bianco.
-
-Mostravano verso Santippe la palla bianca degli occhi e le palme delle
-mani ai due lati degli occhi come per dire: «È una cosa grave, grave,
-grave!»
-
-E qualcuno pur le diceva: — Pare si tratti di un delitto contro lo
-Stato. _Crimen lesae maiestatis!_
-
-— _Proditionis insimulatus!_ — diceva un altro.
-
-— L’arconte basileo, oimè, sostiene l’accusa! — diceva un terzo.
-
-— Mah! — sospirava un quarto.
-
-— Sentiremo quello che risponde lui! Ma non sa nè parlare nè star zitto!
-
-— Voi, ad ogni buon conto, la mia buona donna, tenetevi qui pronta con
-questi marmocchi; al momento opportuno, quando si farà la votazione, vi
-manderemo a chiamare....
-
-E qualcuno più disposto a pietà, diceva piano ai colleghi: — Se non
-fosse una cosa sì grave, potrebbe costei tentar di inviare qualche
-donativo ad Anito....
-
-— Infatti, — rispondeva ancor più piano il collega, — _mùnera placant
-hominesque deosque_.... Ma che può mandare costei?
-
-— Che vai dicendo? — chiedeva Santippe.
-
-— Diciamo, buona donna, che Anito è di animo sensibile.
-
-Così dicevano, nei primi giorni del processo, i giurati alla buona
-donna, e lei si stava tutto il dì alla porta del dikasterio. Bene
-avrebbe elevato nell’aula le strida, e fatto gran corrotto non appena
-l’avessero chiamata!
-
-Mai però Santippe si sarebbe imaginata una simile tragedia, la quale
-avrebbe travolto anche il suo umile nome nella rivista della storia!
-
-Ma passavano i giorni, e Santippe non era chiamata su in tribunale.
-L’aspetto dei signori giurati era sempre più nero ed enigmatico.
-
-— Bisogna che vi armiate di coraggio, la mia donna, — disse uno dei
-giurati; — ma le cose si mettono al male, e quel disgraziato si vuol
-rovinare! Invece di star zitto e lasciar parlare il suo avvocato, parla
-lui! Invece di lagrimare o di strapparsi quei quattro cernecchi che
-gli avanzano in testa, sorride, sorride proprio in faccia all’arconte
-basileo, e in faccia ad Anito...., e in faccia a noi! Pare che si sia
-come fissato; e i suoi occhi spenti guardano cose lontane! Mah! — e le
-teste dei giudici più pietosi crollavano compassionevolmente sopra i
-candidi manti.
-
-— Ma lo sapete pure che è un insensato! — urlava Santippe. — Quando
-vennero a casa a prenderlo, sorrideva anche allora, e si lasciò portar
-via come un pecorino. Io gli volevo sformare il muso a quei sicofanti,
-ma lui mi disse di stare cheta e di non contrastare.
-
-— Non è una buona ragione essere insensato, — rispondevano gravemente
-i giurati. — Certo parla come insensato. Egli ha dichiarato che
-è dolentissimo; ma che per far piacere ad Anito e Meleto non può,
-specialmente alla sua età, mutare la sua vita. Lo vorrebbe anche, ma
-il suo Dio non vuole, il suo Dio, capite voi? chè per quello che anche
-noi se ne può capire, è più misterioso di Demetra, più intelligente di
-Minerva, più autorevole di Giove stesso. È l’accusa di Meleto! E lui,
-infelice, la ribadisce!
-
-— Meleto e Anito allora hanno ragione!
-
-— _Crimen impietatis_, oltre che _crimen lesae maiestatis!_ —
-mormoravano i giudici del popolo e non volgevano più nemmeno il bianco
-delle pupille verso Santippe.
-
-E venne un nunzio quando fu sera e disse: — Santippe, Socrate vostro fu
-giudicato reo!
-
-— Oimè, oimè, deserta, — urlava Santippe fuggendo per le vie d’Atene,
-— me l’hanno condannato quel povero uomo. L’hanno giudicato reo! Ma reo
-dì che? Disoccupato, scioperato, mentecatto, ma reo di che?
-
-— Datti pace, Santippe, — diceva la gente per le vie, — ogni speranza
-non è perduta.... L’hanno giudicato reo: questo è vero, ma la
-maggioranza è di soli tre voti. L’ultima parola non è ancor detta.
-Domani è l’ultima seduta. Meleto, sì, è vero, proporrà domani la pena;
-ma Socrate ha il diritto di fare una controproposta. È per legge! E
-allora sappi, Santippe, che sono ancora i giurati quelli i quali devono
-stabilire la pena.
-
- *
-
-Or dunque, quando venne l’ultimo giorno, grande fu la trepidazione di
-Santippe.
-
-Ma il dikasterio pareva quel dì muto come la casa dei morti. Declinava
-ancora il sole.
-
-Ad un tratto fu udito un gran tumulto, un urlo di cento voci, poi
-silenzio ancora, poi, dopo alquanto, furono spalancate le porte e tutte
-le cento toghe bianche dei signori giurati si precipitarono fuori in
-gran tumulto. Travolsero Santippe.
-
-Ultimi, lentamente, uscirono Meleto, Anito ed i notari e fiscali.
-
-— Noi abbiamo salvato la Repubblica! — diceva gravemente Anito.
-
-— Nel presente e nel futuro, — diceva Meleto.
-
-I notari, loro intorno, facevano reverenza, e si ripetevano l’un
-l’altro: — Una pervicacia inaudita, signori! Il disprezzo di ogni
-tradizione, di ogni legge!
-
- *
-
-Che cosa dunque era accaduto nell’aula del dikasterio?
-
-Questo era accaduto:
-
-I signori giurati avevano il giorno precedente approvato l’accusa di
-reità. Ma la maggioranza dei voti era stata assai scarsa. Tre voti
-appena!
-
-E Anito e Meleto uscirono dal dikasterio in quel dì con accigliato
-cipiglio squadrando i cento giurati, fra cui quarantasette (certo)
-erano quelli che giudicavano Socrate, non reo.
-
-Tutta notte Meleto, al lume della lucerna, meditò nel nero cuore la
-sua requisitoria. E come spuntò il dì, la recitò, e rimbombò l’aula del
-dikasterio. Egli, l’arconte basileo, domandava la pena di morte, _pro
-crimine impietatis_!
-
-— Ma perchè, signori giurati, — proseguì Meleto, — nulla la democrazia
-ateniese fece e farà mai contro la legge, prima che voi diate sentenza,
-a te, Socrate, spetta proporre di quale pena ti giudichi meritevole.
-
-— In verità, Meleto, in verità, Anito, e tutti voi, signori di Atene, —
-cominciò allora Socrate, — io ben considerando di avere speso tutta la
-mia vita in pro’ vostro e di avere per questo trascurato gli interessi
-miei e quelli della mia famiglia, domanderei invece un premio. Ma
-sono vecchio oramai, ho settantacinque anni e perciò io mi restringo
-a chiedervi una tenue pensione; e quanto a voi, Meleto ed Anito, io
-chiedo la nomina nel Pritaneo, dove lo Stato onora e nutre i suoi
-cittadini più benemeriti.
-
-(Noi oggi diremmo la nomina a membro del Senato.)
-
-E fu allora che un clamore immenso si levò fra i giudici: — Quell’uomo
-schernisce la maestà della legge!
-
-— No, membro del Pritaneo? — continuò Socrate. — Voi mi volete
-condannare ad ogni modo? Ebbene: io allora ubbidirò e pagherò una
-multa: tutto quello che io vi posso dare, vi darò, signori giudici!
-
-E così dicendo, Socrate levò e presentò alta una moneta: un obolo!
-
-(Noi diremmo: due centesimi.)
-
-E fu così che quegli onesti bruti votarono la pena di morte a totale
-maggioranza.
-
-Tutti quei cento bruti da molti giorni soffrivano di una cotale
-prurigine alla pelle, come se le parole di Socrate fossero state
-un’invisibile, un’impalpabile polvere vescicatoria.
-
-— A morte! — gridarono i giudici.
-
-— A morte, signori Ateniesi? — domandò allora Socrate senza mutar voce.
-— Ma ci potremo intendere benissimo, giacchè il Dio solo sa e conosce
-se la morte è un male od un bene.
-
- *
-
-E fu così che Socrate, per profumarsi col profumo della verità e più
-specialmente per non poter tacere, fu condannato a morte.
-
-Avete ucciso, o Ateniesi, l’usignolo delle Muse, il savio vero,
-l’innocente, il miglior uomo che fosse tra voi.
-
-E gli uomini giudicarono savio l’insensato, ma soltanto dopo che
-l’insensato era morto!
-
-
-
-
-X.
-
-Santippe nella prigione di Socrate.
-
-
-Vi sono nella vita certe cose meravigliose ed indomite che la ragione
-di un galantuomo non riesce a capire.
-
-Io, per esempio, non capisco perchè Socrate non volle fuggire dal
-carcere quando quel giorno, che non era nè notte nè l’alba, venne
-l’amico Critone e gli disse: — Socrate, fuggi!
-
-E glielo disse con quella sollecitudine e con quell’affanno con cui noi
-avvertiamo una persona molto cara di campare da un grave pericolo e la
-sollecitiamo, perchè essa non vede, non cura, non è sollecita.
-
-E Critone trovò Socrate non stoicamente «impassibile», nel suo carcere,
-come spesso si legge di alcuni grandi eroi che erano condannati a
-morte; ma lo trovò, come sempre, buono ed affabile. Era forse un po’
-disturbato, in quanto che Critone lo aveva allontanato dal sonno, e
-pareva quasi voler rimproverare il suo giovane discepolo con quelle
-parole: — Come, Critone, a quest’ora? È già spuntato il sole? — e
-pareva volesse dire: — Perchè mi hai tu chiamato alla vita?
-
-— Perchè tu devi fuggire, — dice Critone, — devi salvarti: tutto è
-pronto per la fuga, le guardie del carcere sono state comperate da noi.
-
-E Socrate disse che non voleva fuggire, e Critone vide la faccia di
-Socrate distendersi nel suo umile sorriso come se dentro un lume di
-letizia si fosse improvvisamente acceso.
-
-Critone cominciò a lagrimare. E Socrate cominciò a spiegargli le belle
-ragioni perchè non voleva fuggire.
-
-Ed è proprio vero quello che noi sappiamo, cioè che Socrate non
-volle fuggire per non far del male alla sua adorata, unica patria
-disubbidendo alle sue leggi?
-
-Sì, questo può darsi. Allora non usavano le nostre grandi patrie; ma
-usavano piccole patrie, le quali si abbracciavano con un’occhiata, e si
-abbracciavano anche col cuore più facilmente che non le nostre troppo
-grandi patrie. Ma può anche darsi che Socrate udisse al di là della
-voce di Critone che supplicava: «Socrate, fuggi!», la voce dell’umanità
-che diceva: «Socrate, non fuggire; Socrate, per carità, fatti
-ammazzare!». Perchè è un fatto che l’umanità ha bisogno, ha bisogno,
-ogni tanto, come l’Orco della favola, di divorare qualche uomo giusto.
-
-E potrebbe darsi inoltre che Socrate avesse sentito in quell’ora tutta
-la verità di quelle parole inebbrianti che egli già aveva dette ad
-Assioco: «Da quest’ora in avanti la mia anima desidera la morte».
-
-E potrebbe anche darsi che Socrate provasse in quell’ora quel furente
-entusiasmo, quella follia che Dante colloca nell’animo di un altro eroe
-tutt’altro che ingenuo, quando lo sospinge, vecchio, ad affrontare
-l’immenso mare, ignoto, delle tenebre: «Suvvia, Socrate, facciamo
-l’esperimento della morte! Scagliamo la nostra vita, con ancora tutte
-le fiaccole dei sensi vive ed accese, contro la morte!»
-
-Ma che ne sappiamo noi?
-
-Noi sappiamo che egli non volle fuggire e che la mattina in cui, a
-giorno già fatto, gli amici suoi, Fedone, Critone, Apollodoro, Cebete
-e altri entrarono nel carcere, per l’ultima volta, vi trovarono già
-Santippe.
-
-Povera e calunniata signora!
-
-Quante volte abbiamo letto nei libri, nei giornali, che mentre il
-marito sta per morire, la moglie consulta la sarta sull’abito da lutto!
-
-Ma Santippe, no: ella era nel carcere di suo marito perchè aveva
-saputo che in quel giorno Socrate doveva morire. Ella non disse: «Oh,
-finalmente se ne va quel buon uomo».
-
-Ella seguiva il marito.
-
- *
-
-Però la sentenza non potè subito essere coronata dalla esecuzione;
-passò più di un mese tra la sentenza e l’esecuzione. Ciò avvenne perchè
-non sarebbe stato legale uccidere Socrate in quel frattempo! Quello
-era un sacro tempo! Ogni anno una nave salpava dal porto di Atene per
-portare doni _ex voto solemni pro accepta gratia_, al dio Apollo che
-abitava l’isoletta di Delo. Ora per tutto quel tempo era per legge
-vietato di ammazzare. Dopo, sì, si poteva ammazzare! Ma a cagione del
-mare cattivo e dei sacri banchetti, la sacra nave tardava ad arrivare.
-Ora finalmente era ’arrivata ed era permesso ammazzare.
-
-Ad Anito e Meleto, all’aristocrazia ed alla democrazia, stava a cuore
-la più scrupolosa legalità.
-
-Gli ufficiali di giustizia, che erano Undici, si erano affrettati
-di buon mattino a slegare Socrate, che per tutto quel mese era stato
-incatenato come una malvagia bestia, e il servo dei magistrati — noi
-diremmo, il boia — pestava tranquillamente la cicuta nel suo mortaio.
-
-Era press’a poco l’ora lugubre in cui l’_esecutore delle grandi opere_
-— come i Francesi, eleganti sempre, chiamano il carnefice — sorveglia
-al lume delle fiaccole se la ghigliottina è montata a dovere; e si
-veste l’abito nero: l’ora lugubre in cui gli elettricisti in America
-provano la bontà della corrente nella sedia elettrica: in cui in altri
-paesi il boia impiccatore sporge per l’apertura della carcere la sua
-pupilla per vedere sul condannato di quale lunghezza deve essere la
-corda della forca. Ai tempi di Socrate non esistevano questi lugubri
-progressi tecnici e la morte legale era somministrata in una maniera
-più intima e meno spettacolosa.
-
-Si dava la cicuta.
-
-La cicuta è una pianticella che cresce nei luoghi umidi. Essa è molto
-simile all’utile prezzemolo e produce una morte — dicono — quasi
-tranquilla, come quella che spesso avviene naturalmente, quando questo
-povero nostro cuore improvvisamente si ferma per non riprendere più.
-Certo non così estetica e tranquilla come la descrive Platone, ma
-insomma una cosa discreta!
-
-Dunque gli amici entrarono e trovarono Santippe nella prigione.
-
-Ella era venuta di buon’ora insieme con i magistrati, detti gli Undici.
-Si era levata presto quella mattina perchè aveva saputo anche lei che
-la sacra nave era giunta. Il più piccino dei figliuoli si era svegliato
-di soprassalto sentendo che la mamma si levava che era quasi notte, e:
-— No via, no via anche tu, come il babbo! — aveva detto e poi si era
-messo a piangere; e allora Santippe lo aveva infagottato alla meglio
-per non farlo piangere di più e non svegliare gli altri due fratelli
-che, per fortuna, dormivano.
-
-E per le vie ancor buie di Atene, era corsa alle carceri e aveva
-veduto entrare i signori Undici. Allora s’era messa a galoppare col suo
-figliuolo in braccio; li aveva raggiunti e: — Oh, Madonna, oh, Signore,
-è vero — chiedeva all’uno e all’altro degli Undici — è vero che oggi
-mio marito deve morire?
-
-— E arrivata infine la sacra nave da Delo, — risposero gravemente gli
-uomini della legge.
-
-— Andate là, vedete di aspettare, lasciatemi andare da Anito, — chi sa
-che non gli possa parlare, che non abbia pietà di noi meschinelli.
-
-— La mia buona donna, — disse uno degli Undici — intanto a quest’ora
-Sua Celsitudine Anito dorme, e poi dite un po’, dove andrebbe a finire
-il mondo se si potesse così leggermente fermare la spada punitrice
-della Giustizia?
-
-— Ma infine, — urlò Santippe, — cos’ha fatto questo pover’uomo? Ha
-rubato? Ha ammazzato? No! Diceva delle cose senza capo nè coda perchè
-aveva come una fissazione! Eh, se si dovessero ammazzare gli uomini per
-le sciocchezze che dicono, allora non ci resterebbe neppur più la cria
-della vostra brutta razza prepotente.
-
-— Delle «sciocchezze»? — disse il più grave degli Undici, spalancando
-la bocca ammirativa dentro la sua venerabile barba, mentre gli altri
-degli Undici già salivano le scale della prigione. — Delle sciocchezze?
-Ha fatto grande scandalo!
-
-— Ma che scandalo?...
-
-— Ha disprezzato la legge della città! Ma sapete voi cos’è la legge? La
-legge è quella cosa......
-
-— Che la fa chi può, e la mangia chi deve, — disse Santippe.
-
-— Vi compatisco che non sapete quel che vi dite. E l’avere offeso Giove
-Olimpio che è il padre degli dei e degli uomini, vi par poco?
-
-— Eh, che non ci credete più neppur voi a Giove Olimpio, buffoni!
-
-E a quell’invettiva il bambinello che aveva, coi grandi occhi attoniti,
-sull’alto della spalla di Santippe, assistito a quella scena al lume
-delle lanterne che ingiallivano già, per l’alba nascente, scoppiò in
-pianto dirotto.
-
-— Sta buono, cocco di mamma tua, sta buono; ora andiamo dal babbo. Vuoi
-vedere il babbo? Sì? Ora lo andiamo a vedere. Ma non piangere.
-
-E salì dietro gli Undici, i quali erano molto seriamente occupati a
-levare le catene a Socrate.
-
-Ora appena fu entrata: — Socrate, Socrate, Socrate, — esclamò Santippe
-— ma dunque è vero? Ma perchè ti sei difeso così male? Anche Pericle
-si è messo a piangere davanti ai giurati, e tu perchè non l’hai fatto?
-Perchè non hai gridato «è Anito che mi odia»? E adesso come si fa? E
-per gli affari chi ci pensa? E come si rimedia a quell’ipoteca che ci
-mangia tutta la casa? Ah, vedi, che guadagno ci hai fatto con quella
-tua idea fissa del _kaloì kagathoì_!
-
-Intanto gli Undici avevano tolto la catena e se ne erano andati,
-lasciando Santippe, giacchè le antiche leggi ateniesi non erano così
-formaliste come le nostre, in quanto che non era stata ancora ben
-perfezionata la burocrazia.
-
-E quando fu sola con lui, gli si assise vicino sul letticciuolo,
-col bimbo, che tirava al babbo la barba con le sue dolci manine, e
-proseguì: — Ma se ieri l’altro, prima che arrivasse quella maledetta
-nave, Critone aveva combinato tutto, aveva pagato i carcerieri, era
-venuto a casa a dirmi di tenerci pronti! Io avevo messo da parte
-quei quattro stracci per poter scappare tutti insieme.... Io pensava:
-To’, non tutto il male vien per nuocere. Andremo a vivere a Megara, a
-Tebe; là, lontano dalle occasioni, senza più tutti quei suoi cattivi
-compagni che lo fanno parlare, chi sa che lui non badi di più alla sua
-famiglia. Così io pensava e chi sa anche che non gli entri in testa che
-il primo dovere di un uomo serio è quello di badare a sè ed alla sua
-famiglia.... Ma cosa ti saltò in mente, povero infelice, di rifiutare?
-Ma almeno parla, rispondi, ma di’! Se non lo vuoi fare per me, chè
-non mi vuoi bene, lo so!, fallo per questa creaturina qui, che è tuo
-sangue.... Non vedi come è pallidino, smorto? Ha un’anima anche lui,
-sai! Alza la testa.
-
-E fu in quel punto, che già il giorno era ben chiaro, che entrarono gli
-amici di Socrate; e allora Santippe, come una lampada su cui è versato
-dell’olio, scoppiò in un gran pianto, e la realtà imminente della morte
-le si affacciò nel suo orrore.
-
-— O Socrate, Socrate, — gridava fra i singhiozzi, — ecco l’ultima volta
-che io e i tuoi amici parleremo con te e tu con noi!
-
-E allora Socrate infine parlò. Si rivolse specialmente a Critone e gli
-disse: — Suvvia, amici, conducete via quella donna e rimenatela a casa.
-
-E allora avvenne una dolorosa scena perchè Santippe non voleva
-andar via, e ingiuriava e piangeva, lei e il bimbo. Ma finalmente fu
-trascinata a forza e spinta fuori e poi fu chiusa la porta.
-
-E stavano gli amici in mortale silenzio, quando Socrate, che era seduto
-— come dicemmo — sul lettuccio, soffregandosi la gamba che era stata
-per quasi un mese stretta nel morso della bestiale catena, sorridendo
-disse: — Ecco qui, — e indicava il lividore delle carni piagate dalla
-catena, — io provo un grande piacere, mentre prima provavo un grande
-dolore. Sapete che è una gran cosa, una meravigliosa cosa quella del
-dolore e del piacere? Che cosa sono essi? Ci stavo appunto pensando
-quando entrò colei, anzi mi era venuto in mente di comporre una
-favola come quelle di Esopo, nella quale volevo dire quello che me
-ne pareva, cioè che il Piacere ed il Dolore sono così strettamente
-congiunti insieme, che quando l’uomo vuole prendere l’uno è costretto
-a prendere anche l’altro. Vi pare? E perciò imaginavo che Esopo
-componesse così la favola, che il Dio volendo far fare pace a questi
-due nemici inconciliabili, il Piacere ed il Dolore, e non potendo, li
-legò insieme. Ed è quello che è avvenuto a me. Nella gamba, prima, per
-effetto della catena vi era il dolore, adesso, tolta la catena, vi è
-il piacere. Bella la favola, è vero? Più bella del ragionamento. Ora ci
-vorrebbero i versi. Ma chi ne ha tempo?
-
-Ora urgeva il tempo della morte.
-
-Mentre così parlava, Santippe col figlioletto si era rincantucciata,
-disperata e piangente, in fondo a un corridoio della prigione.
-
- *
-
-Che peccato che Sofocle, il vecchio immortale, che fu trascinato anche
-lui dai figli davanti ai giudici perchè pe’ suoi sogni negligeva gli
-affari di casa, che peccato — dico — che egli fosse morto da qualche
-anno! Se fosse stato in vita allora, avrebbe scritto su la povera
-Santippe una nuova tragedia, più potente assai delle molte che scrisse
-su gli eroi e sugli Dei.
-
-
-
-
-XI.
-
-La Immortalità dell’anima.
-
-
-La presenza di Santippe presumibilmente contrastava con l’argomento
-che Socrate, dopo essersi soffregata la gamba, stava per trattare con i
-suoi amici: cioè dell’immortalità dell’anima.
-
-Egli, come già, abbiamo veduto, non appena gli fu tolta la catena,
-aveva sentito il piacere, mentre prima sentiva il dolore. Una vera
-scoperta come quella di Archimede.
-
-Socrate naturalmente non tripudiò, come Archimede, per la sua scoperta
-sulla legge morale del Piacere e del Dolore.
-
-Gli faceva ancora un po’ male la gamba, per saltare; e forse gli
-faceva male anche il cuore per la vista di quel suo povero piccino,
-che dalle braccia di Santippe si protendeva sino al volto di lui,
-invano, per l’ultima volta, tentando e inconsapevolmente di conciliare
-gli inconciliabili e pure gli inseparabili, cioè Socrate e Santippe:
-inconciliabili ed inseparabili come il piacere ed il dolore: ed aveva
-esclamato il povero piccino: — _File pappos, pappos emòs_, caro babbo;
-oh, babbo mio! — E poi era stato trascinato via con sua mamma.
-
-Ben fu crudele Socrate verso Santippe e verso il suo sangue! Lo
-accerta Platone che non prese moglie, non ebbe figli. Ma forse può
-darsi che sia stato così! Socrate stava per isciogliere il suo ultimo
-canto sull’immortalità dell’anima. Egli era giunto in vista del
-grande oceano; egli, come il cigno morente, sentiva il canto salire
-vertiginoso. Santippe co’ suoi piagnistei, avrebbe dato disturbo.
-
-Ma può anche essere un’altra causa, che Platone non dice, cioè che
-Dioniso, il dio terribile e insieme pietoso, abbia concesso a Socrate
-in quelli estremi momenti quell’ebrietà, che toglie la sensazione delle
-cose vere presenti e dona la esaltazione per cui, tanto al savio come
-all’infante, la buia morte appare come una continuata vita.
-
-Dunque Socrate, prima di morire, parlò a lungo della immortalità
-dell’anima.
-
-Questo famoso discorso di Socrate sull’immortalità dell’anima, conserva
-anche oggi una strana forza di attualità. Sì, sì: il problema della
-morte rimane ancora uno dei più seri problemi della vita, ma sarà
-meglio non parlarne.
-
-Chi ha visto su di un caro volto immobile rinchiudersi il coperchio
-della bara, preferisce non parlarne. Dirò soltanto che dei molti
-argomenti di Socrate, o di Platone, questo più mi piace, come quello
-che più è semplice, tanto semplice che non è nemmeno un argomento: «Se
-non ci fosse la vita futura, ben fortunati sarebbero gli uomini malvagi
-perchè con la loro anima scomparirebbe anche la loro malvagità».
-
-Come anche pare una cosa assurda che per un bicchiere di cicuta,
-una innocente pianticella, propinata da Anito, si debba spegnere la
-meravigliosa sensazione del vivere.
-
- *
-
-Cadeva il sole quando il lungo discorso di Socrate sull’_immortalità
-dell’anima_ ebbe fine.
-
-Ebbe fine?
-
-Era dal mattino che il servo degli Undici teneva pronto il bicchiere
-della cicuta, e con una cortesia del tutto ellenica, attendeva che
-Socrate chiamasse.
-
-Infatti Socrate già disse agli amici: — Voi vi avvierete a questo passo
-che io transito, alquanto più tardi di me; ma già «ora mi chiama il
-fato», come direbbe un poeta tragico.
-
-E disse anche: — E’ mi par meglio prendere ora il bagno e lavarmi bene
-e poi bere il veleno, senza dare poi alle donne ed a Santippe la noia
-di lavare il cadavere.
-
-E questa fu l’ultima sua cortesia verso Santippe.
-
-Poi gli furono condotti i figli e Santippe anche. Conversò con essi
-alquanto, diede alcune sue disposizioni, e poi li rimandò.
-
-Noi non sappiamo altro.
-
-Dopo queste cose egli parlò poco di più.
-
-Venne il servo; portò il veleno; gli insegnò, da persona esperta, il
-modo che doveva seguire perchè il veleno presto salisse al cuore.
-
-Poi il servo se ne andò, dicendo a Socrate: — Addio, Socrate, procura
-di sopportare l’inevitabile meno dolorosamente che tu possa.
-
-— Si, addio anche a te, caro, — gli rispose Socrate: E vòlto agli
-amici: — Era una garbata persona, colui. Mi ha tenuto spesso compagnia.
-
-Poi prese con mano ferma il veleno e bevve tutto di un fiato.
-
-Allora la carcere si riempì di gran pianto. Ma Apollodoro, che tutto
-quel dì aveva lagrimato come Santippe invece di ascoltare i discorsi di
-Socrate sull’_immortalità dell’anima_, diè in un urlo, e venne fuori
-di sè, e fu allora che Socrate gli disse: — Ho mandato via Santippe
-specialmente per questo, per non vedere questi eccessi e queste
-lagrime. — Ed affissando con le grandi pupille gli amici, soggiunse: —
-Io ho sempre inteso dire che conviene morire lietamente.
-
-Poi attese camminando, finchè il gelo della morte gli giunse al cuore.
-Allora si sdraiò e si copri il volto. Ma ad un certo punto si riscosse
-e discoprendosi del lenzuolo e rivolgendosi a Critone, mormorò queste
-ultime parole: — Critone, noi siamo in debito di un gallo ad Esculapio.
-Dateglielo. Non ve ne dimenticate!
-
- *
-
-Esculapio era il dio della medicina, ed era costume in Atene, come oggi
-si paga il medico dopo che vi ha curato da qualche infermità, di fare
-un regalo al dio. E così Socrate voleva pagare e ringraziare il medico
-Esculapio per averlo guarito con la morte del male della vita.
-
-Socrate aveva, forse, trovato l’ultimo corollario della legge sul
-Piacere e sul Dolore. Era stato liberato dalla catena della vita,
-e forse allora sentiva piacere. Questo è quanto di più preciso noi
-sappiamo intorno all’_immortalità dell’anima._
-
-Dopo, ancora, ritornò il servo degli Undici. Percepì un fremito sotto
-il lenzuolo. Scoperse Socrate e vide che aveva l’occhio fisso.
-
-Questa cosa vedendo, Critone gli chiuse gli occhi e la bocca.
-
- *
-
-Sono passati parecchi secoli da quel giorno che Socrate morì per aver
-bevuto la cicuta, propinatagli dai suoi concittadini; ma strana cosa:
-io non mi posso raffigurare Socrate morto e la sua bocca sigillata per
-sempre. E sì che egli era ben morto corporalmente! Un poeta racconta
-che quando fu già dopo il tramonto, uscirono dalla prigione, a capo
-chino, in silenzio, quegli amici di Socrate, e poi quella povera
-Santippe; e c’erano davanti alla carcere alcuni monelli che giocavano
-con gli scarabei, e martoriando una civetta, e cantando:
-
- E gira, gira a tondo,
- E gira tutt’il mondo....
-
-Poi quando videro uscire coloro e dilungare così tristamente, capirono
-che l’uomo che doveva morire in quel dì, era morto; e allora ruppero le
-danze e corsero su dal carceriere, e sì gli dissero:
-
-— È vero che hanno ucciso quell’uomo brutto? Facci vedere l’uomo brutto
-che è morto.
-
-E quegli disse: — Se sarete buoni, vi farò vedere l’uomo morto.
-
-E così li condusse, perchè piace a molti che non hanno ancor lagrimato
-dentro il loro cuore, andare a vedere il morto.
-
-Ma cosa strana! Io non so imaginare Socrate morto. E la favola degli
-eroi che spezzano il marmo del sepolcro e risorgono, mi pare pur vera
-cosa! Io me lo vedo ancora tornare davanti, Socrate, col suo sorriso;
-e mi domanda con quei suoi grandi occhi tondi: — Che c’è di nuovo? Gli
-uomini sono diventati belli e buoni?
-
-— Si attende ancora, figlio di Sofronisco. Gli uomini stan diventando
-meccanici.
-
-
-
-
-XII.
-
-Avvertimenti agli infelici figli di Santippe.
-
-
-Il vostro buon papà, cari figliuoli di Socrate, si è ostinato a voler
-bere la cicuta. Ora giace col naso affilato e con le palpebre chiuse:
-le sue parole non le udirete mai più. Per questa ragione e per altre
-cause, che voi siete figli di un filosofo e di una donna bisbetica, il
-vostro avvenire probabilmente sarà infelice.
-
-Il vostro buon papà era un grande ammiratore di Omero, e aveva ragione.
-Voi lo ricordate, è vero, il povero babbo, con tutti quei suoi paragoni
-semplici e sottili del fabbro, del falegname, degli asini col basto?
-
-Anche il vostro povero babbo fu un gran falegname della verità. Ma ogni
-tanto, lo ricordate? veniva fuori con citazioni e versi di Omero. Omero
-è stato fra i poeti quello che più si è accostato alla verità umana, e
-perciò era assai caro a Socrate, il padre vostro.
-
-E se è vero, che nel mondo dei morti sarà ai poeti strappato un dente
-per tutte le bugie che hanno detto, è certo che moltissimi saranno i
-poeti sdentati. Ma Omero li ha tutti i suoi denti. Egli non mangiava
-lo zucchero filato dell’estetica, ma il nero pane della verità, che fa
-bene ai denti. Lo ricordate Omero — o figli di Santippe — quando parla
-di Astianatte figlio del re Ettore e di Andromaca, rimasto orfano dopo
-che Achille gli ha trucidato il padre e per tre volte ne ha trascinato
-il cadavere nudo dietro la furia dei cavalli correnti attorno alle mura
-di Troia?
-
-E lo aveva, lagrimando, Ettore sollevato su, il suo bambino, quasi per
-accostarlo a Giove che lo vedesse come era carino, e gli avesse un po’
-di pietà. Macchè! L’insensato dio non vide! Povero Astianatte, poveri
-figliuoli di Socrate e di Santippe!
-
-Astianatte orfano e solo, va ora, con le guance lagrimose e smunte, a
-trovare quelli che già furono amici di suo padre, e tocca agli uni il
-saio, agli altri il mantello. Ma essi rispondono: — Va, non ti conosco.
-— Il più pietoso fra essi gli accosta appena la tazza alle labbra, e i
-giovani orgogliosi lo ributtano e dicono: — Non toccare il pane delle
-nostre mense! — E i vicini, con la protezione delle leggi, portano via
-i termini del suo terreno e lo privano di tutto. Tale fu il destino di
-Astianatte, figlio del morto re Ettore; tale sarà il vostro destino,
-figli di Socrate.
-
- *
-
-Siete andati, o figli di Socrate, anche voi a tirare il mantello ed
-il saio agli amici del babbo? Vi hanno dato niente? Santippe forse era
-con voi, più vecchia, più bisbetica, più arruffata che mai. Ella avrà
-anche detto villania e vergogna. Avrà detto: — Guarda là! vedili là,
-quei bei _gingin_, che facevano bellin bellino a quel povero màrtoro
-di mio marito. To’! Fanno finta di non conoscermi. Non la conoscete più
-Santippe? la moglie di Socrate, _ne Dia_, per Giove; e questi qui sono
-i suoi figliuoli. Non vi hanno nemmeno guardato in faccia, creature
-mie, e sì che la fisonomia di vostro padre l’avete!
-
-— Oh, — hanno detto coloro sollevando gli occhi al cielo, — non
-dovreste mai nominarlo, voi, Santippe, quel sant’uomo di vostro marito,
-dopo tutto quello che gli avete fatto soffrire.
-
-— Soffrire io? Ah, vigliacchi di uomini! Parlano così loro, dopo che
-mi hanno sviato di casa quel pover’uomo, che gli hanno messa quella
-vesania, quella frenesia nella testa di andare a cercare il segreto
-delle cose, e a tener ferma in terra la Dike.
-
-Sì, c’era da lasciarci il ricordo delle unghie in faccia a quei
-signori, e Santippe il coraggio di lasciare le impronte delle unghie ce
-l’aveva; ma per allora si tenne quieta per la pietà dei figliuoli. Ma
-disse:
-
-— Suvvia, voi che foste amici di Socrate, vedete di trovare qualche
-impiego a questi ragazzi.
-
-Ma a chi parlava, o sventurata Santippe?
-
-Gli amici di Socrate non c’erano più!
-
-Critone, perseguitato, era fuggito da Atene; il dolce Apollodoro non
-aveva saputo sopravvivere. Socrate, il dio per cui viveva, era morto.
-Servire il mondo? Meglio morire! Senofonte, il gagliardo, era esulato
-da Atene, gonfio il cuore di sdegno, lontano, per lontane terre,
-per lontane guerre; Alcibiade, bellissimo, viveva chiuso nella sua
-perfida mente, e dopo aver meditato su la morte di Socrate, si era
-convinto della necessità di divenire magnificamente belluino, e perciò
-era diventato uomo politico, come Anito e Meleto; Platone, il soave
-Platone, quando ebbe visto il suo povero Socrate ridotto a quel modo,
-col naso all’insù, si era messo in un gran spavento, ed aveva giurato
-a se stesso di non occuparsi se non di cose tanto alte e sublimi che
-nessuno ci trovasse a che dire.
-
-«Anche nella storia dei filosofi, — meditava l’antiveggente Platone,
-— c’è puzza di sangue e di bruciaticcio. Ê bene cercare la immortalità
-per altra strada che non sia la prematura morte.»
-
-Perciò Santippe, che si era recata a trovare il buon Platone, non lo
-trovò.
-
-Andò da Alcibiade. Ma la casa di lui era guardata da cento servi in
-livrea, che non lasciavano passare.
-
-E gli altri? Gli altri, fatti già uomini, si ricordavano della
-avventura socratica tutt’al più come di una scappata di giovinezza.
-Qualcuno, forse, come Pietro, seguace di Cristo, si vergognava di
-essere riconosciuto quale discepolo di Socrate; qualche altro, come
-Giuda Iscariota, si era dato al traffico delle monete d’argento ed allo
-sfruttamento dei pezzenti. Dunque dagli ex-amici di Socrate non c’era
-proprio da sperar niente!
-
-Povera Santippe! Una piccola pensione dallo Stato non la avrà
-potuta ottenere, nemmeno. — Capisco, — le avrà risposto qualche capo
-divisione, — vostro marito è morto in servizio della Repubblica; è una
-tesi che si può sostenere. Egli esercitava l’ufficio di calabrone,
-come si qualificava da se stesso, il quale deve pungere un nobile
-ma indolente cavallo come era il popolo d’Atene. Ma era un servizio
-non richiesto, ed il cavallo ha dato una zampata ed ha schiacciato
-il povero calabrone. Una disgrazia, ma se la poteva aspettare la mia
-donna! Denari no, non ve ne possiamo dare, perchè sapeste quanto costò
-il rivestimento di cuoio per le navi! Volete dei biglietti gratuiti
-per il teatro? delle tessere per le cucine economiche? Stendete una
-regolare domanda.
-
- *
-
-Andò Santippe infine a trovare Eritreo. Eritreo, faccia ossuta, glabra,
-color limone, sorriso acido, volontà di macigno, erudizione spaventosa,
-ma senza Demone. Era il professore del Lyceum.
-
-Abitava una bella casa, ben ordinata e provveduta a cura dello Stato.
-Santippe, quando potè arrivare sino a lui, vide la sua gran faccia
-pallida sollevarsi dai codici.
-
-— Lei è?
-
-— Io son Santippe, moglie di Socrate, e questi sono i suoi figliuoli.
-Guardali in faccia, son lui nati e sputati!
-
-— Oh, pover’uomo! — esclamò Eritreo.
-
-— Cosa, pover’uomo! — garrì Santippe. — Pover’uomo lo posso dir io, non
-lei; perchè per quelle cose lì dei libri valeva più di tutti. Oh, non
-l’ha proclamato l’Oracolo di Delfo il più sapiente di tutti gli uomini,
-_andròn apànton Sòcrates sofòtatos?_
-
-Eritreo, oltre ai codici, aveva alcuni fidi discepoli che studiavano
-sui codici ed erano come nascosti dietro i codici.
-
-Un sorriso acido increspò le labbra di Eritreo all’esclamazione di
-Santippe e tutti i suoi discepoli sorrisero a quel modo, acidamente.
-
-— Ah, ah, — disse Eritreo, — la sentite, bennati giovani, codesta
-donna? Anche lei ripete, come taluni, che Socrate _primus deduxit
-philòsophiam de cœlo in terram!_
-
-— Ah! — esclamarono i discepoli.
-
-— _Deduxit nèbulas_, — disse Eritreo. — Ci portò delle fantasticherie!
-Buon uomo, che diceva di sentire un dio ignoto parlare.... Lo sentite
-voi?
-
-— Mai sentito! mai visto! — risposero premurosamente i bennati
-giovani, i quali, come Eritreo, avevano l’occhio lucido soltanto per le
-superficie non per gli abissi profondi.
-
-— E quale cosa — disse gravemente Eritreo, rivolto a Santippe — più
-contraria alla vera saggezza, al vero positivismo che volere gli uomini
-diversi da quello che sono? E quale cosa più ingenua che vivere la
-propria filosofia? Si professa, non si vive una filosofia.
-
-Le vampe salgono alle gote di Santippe.
-
-Dice quasi singhiozzando: — Ma se l’ha proclamato l’Apollo in Delfo....
-
-— E dov’è, buona donna, l’Apollo Delfico? Chi l’ha visto mai? Povero
-Socrate, in materia di religione egli è morto da ieri, ma ci pare già
-un antenato, uno dei tempi semplici del buon Solone. Un disgraziato
-che andava soggetto ad esaltazioni ed allucinazioni liriche! _Verum
-enim vero, quando quidem, dubio procul, edepol, meus deus fidius_,
-quand’anche fosse che vostro marito sia stato un valentissimo uomo,
-io sono desolatissimo, ma io prego di lasciarmi in pace, e di non
-compromettermi. Quel vostro marmocchio più piccolo già mi ha quasi
-sgualcito un codice.
-
- *
-
-E Santippe se ne andò peregrinando coi figliuoli nella Focide dove
-era il santuario di Apolline in Delfo. Ma il dio, che, in mancanza
-d’altri, ella voleva interrogare, non c’era, in fatti, come affermava
-quel letterato. Aveva emigrato per sempre; e Santippe non trovò che una
-scritta, un ben curioso geroglifico, inciso su di un macigno enorme.
-
-E il povero Socrate aveva camminato con quel macigno enorme sulle
-spalle nel cammino della sua vita; ed era stato schiacciato. E dopo
-Socrate verrà Cristo e rimarrà schiacciato, ed altri verranno nei
-secoli, attratti dal fascino del divino enigma che era scolpito
-profondamente su quel macigno, e conteneva queste tre parole: _conosci
-te stesso!_ E rimarranno schiacciati!
-
- *
-
-Ora è ben più triste la casa di Socrate: nemmeno più le strida di
-Santippe! Ella fa andare sul tagliere il setaccio per cuocere sul testo
-una focaccia, una crescia, un pulmento qualsiasi.
-
-Come nei tristi silenziosi tramonti invernali il raggio del sole balena
-su le pareti scialbe; dispare, riappare con un ultimo guizzo sanguigno;
-poi incombono le tenebre fredde violacee; così l’imagine di lui, di
-Socrate, si sofferma ancora nella povera casa, balena, scompare.
-
-Fra il ciarpame, in un angolo, stanno vecchie masserizie, che paiono
-avere quasi l’anima infranta; v’è anche una povera cuna. Quivi
-giacquero i figli di Socrate. Ed al mattino, quando il sole indorava la
-stanza, il sole scopriva i cari volti infantili: la dolce primavera,
-il cinguettìo dal nido ridesto al tepore del sole: «Ba.... ba....
-babbo, pappas!» Salutavano gioiosamente lui che li aveva chiamati, non
-richiedenti, alla faticosa vita: — _Pappas! Pappas, file pappas,_ bel
-papà!
-
-Ma tu non le udisti le care voci, o Socrate, tu col tuo cupo demone nel
-cuore che ti spingeva a cercare che cosa ci fosse nell’intima natura di
-ogni cosa: _ti en écaston!_ Va, va a ricercare _ti en écaston_, chè non
-lo saprai mai e quando l’avrai saputo, le cose saranno come prima.
-
-— Se vi salta in mente di andar dietro all’_Andreia_ (valore),
-all’_Aretè_ (virtù), alla _Sofrosine_ (sapienza), all’_Encratia_,
-al _Ti en écaston_, — dice Santippe ai figliuoli, — vi sbatto questo
-setaccio sulla testa e ve ne faccio una berretta.
-
- *
-
-E la notte è venuta.
-
-Ma di chi è il suono dei vecchi sandali? Di chi è quella voce armoniosa
-ed ironica?
-
-Chi è?
-
-E Santippe balza sul giaciglio: un soffio come di un bacio si posa sui
-rossi capelli, biancheggianti ormai, un ardore come di lagrime cadenti,
-e una voce risponde e mormora: — È Socrate, tuo marito....
-
- *
-
-E per tutto ciò ci sembra opportuno terminare questa narrazione con un
-passo o citazione autorevole, come è costume dei nostri eruditi.
-
-Esso è del gigante Gargantua, figlio di Rabelais. Gargantua, mangiando
-una certa insalata, non si era accorto menomamente di avere inghiottito
-sei pellegrini errabondi, che erano in essa. Ma se ne accorse ad un
-certo pizzicore che sentiva nello stomaco. Ed allora li rimandò fuori e
-così li ammonì:
-
-«D’ora innanzi non siate propensi a codesti oziosi ed inutili viaggi
-nei deserti dell’umano sapere. Rimanete nelle vostre famiglie, lavorate
-secondo l’animo vostro, educate i vostri figliuoli e vivete come vi
-insegna il buon Apostolo San Paolo. Per tale modo avrete la protezione
-di Dio e dei Santi, nè mai danno o peste graverà sulle vostre case».
-
-
- FINE.
-
-
-
-
-INDICE.
-
-
- A CHI LEGGERÀ Pag. IX
- I. Ellade, giovinezza del mondo 1
- II. Come io mi trovai alle prese con Santippe 18
- III. Socrate per le vie di Atene 51
- IV. Socrate e la Morte 88
- V. Questioni molto serie proposte da Santippe
- a Socrate 101
- VI. Come Santippe ferì Socrate nel cuore 113
- VII. La cena dell’amore 131
- VIII. Il colloquio fra Anito e Meleto 163
- IX. Oh, povera Santippe! 189
- X. Santippe nella prigione di Socrate 202
- XI. La immortalità dell’anima 220
- XII. Avvertimenti agli infelici figli di Santippe 231
-
-
-
-
-OPERE DI ALFREDO PANZINI:
-
-
- _Piccole storie del mondo grande_ L. 7 —
- _La lanterna di Diogene_ 7 —
- _Le fiabe della virtù_, novelle 7 —
- _Il 1859. Da Plombières a Villafranca_ 5 —
- _Santippe, piccolo romanzo tra l’antico e il moderno_ 7 —
- _La madonna di Mamà, romanzo del tempo della guerra_ 7 —
- _Novelle d’ambo i sessi_ 4 —
- _Viaggio di un povero letterato_ 7 —
- _Io cerco moglie!_ 7 —
- _Il mondo è rotondo_ 7 —
-
-
-
-
-NOTE:
-
-
-[1] Demoniaco: qui ha il senso antico, di _sovrumano_, _ottimo_,
-_beato_, non di _sinistro_ o _malefico_.
-
-[2] Cara fu la cicala ai Greci e giustamente piacevole il suo canto che
-a noi pare noioso. _Dolce profetessa dell’estate. La vecchiaia non ti
-raggiunge, o cicaletta saggia, nobile, piena di canti e senza dolore._
-Così il vecchio Anacreonte. Ma la nostra età plutocratica e positiva
-chiama saggia la esosa formica.
-
-[3] Vuol dire, _belli e buoni_, cioè uomini puri, coscienti, capaci di
-governarsi da sè.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE ***
-
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-<div style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of Santippe, by Alfredo Panzini</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
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-are not located in the United States, you will have to check the laws of the
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-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: Santippe</p>
-<p style='display:block; margin-top:0; margin-bottom:1em; margin-left:5ch;'>Piccolo romanzo fra l'antico e il moderno</p>
-
-<div style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Alfredo Panzini</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Release Date: June 10, 2021 [eBook #65586]</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Language: Italian</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Character set encoding: UTF-8</div>
-
-<div style='display:block; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the HathiTrust Digital Library)</div>
-
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-SANTIPPE.
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="x-large">
-ALFREDO PANZINI
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-SANTIPPE
-</p>
-
-<p class="pad1">
-PICCOLO ROMANZO FRA<br />
-L’ANTICO E IL MODERNO
-</p>
-
-<div class="poem-container">
-<div class="poem inl">
-<p><i>propter speciem mulieris</i></p>
-<p><i>multi homines perierunt</i></p>
-</div>
-</div>
-
-<p class="pad4">
-<span class="large">MILANO</span><br />
-<span class="small">FRATELLI TREVES, EDITORI</span><br />
-—<br />
-<b>10.º migliaio.</b>
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-PROPRIETÀ LETTERARIA.
-</p>
-
-<p>
-<i>I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati
-per tutti i paesi, compresi i regni di Svezia,
-Norvegia e Olanda.</i>
-</p>
-
-<p>
-Copyright by Fratelli Treves, 1914.
-</p>
-
-<p>
-Tip. Treves. — 1921.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="dedica">
-<p>
-<span class="smcap lowercase">ALL’AMICO</span></p>
-
-<p>
-<span class="smcap">Avv.</span> NICOLA MONTANARI
-</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span>
-</p>
-
-<h2 id="intro">A CHI LEGGERÀ.</h2>
-</div>
-
-<p>
-<i>Questo piccolo romanzo non è stato
-scritto per gli eruditi, benchè parli
-della Grecia; e sebbene parli di un
-filosofo, non è stato scritto per i
-filosofi.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>Si intitola bensì con il nome di
-Santippe, un nome di donna infamata
-nei secoli; e si potrebbe pensare
-che l’autore avesse avuto in mente di
-servirsi di Santippe, moglie di Socrate,
-come di un laido pupazzo per
-ripetere vecchie e sgarbate cose contro
-le donne: le quali cose, anche se
-fossero verità, sarebbero pur sempre
-<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span>
-verità maschili, a cui è lecito opporre
-altre verità femminili. E poi
-quale irriverenza è mai questa di dir
-male della donna che è l’anfora della
-vita?</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>No, il libro non ha questo scopo;
-forse non ha scopo nessuno; è venuto
-al mondo, così, come noi veniamo al
-mondo, senza scopo.</i>
-</p>
-
-<p>
-<i>La sua prima pubblicazione è stata
-nella</i> Nuova Antologia, <i>nella primavera
-dell’anno passato; così che si
-può dire che Giovanni Cena la tenne a
-battesimo, questa povera Santippe. In
-questo tempo però si è fatta più sciolta
-e vivace; cioè il libro è divenuto più
-facile e snello.</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span>
-</p>
-
-<p>
-<i>Però, se pure essendo tale, se pure
-essendo breve, non si ripeterà di lui
-la brutta lode</i>, si legge tutto d’un fiato;
-<i>se molte cose che comunemente si credono
-serie, faranno sorridere; e molte
-altre cose ritenute ridicole indurranno
-ad alcuna meditazione, il piccolo
-libro crederà non del tutto inutile
-la sua venuta al mondo. Anzi
-crederà di essere anche lui venuto al
-mondo per amare e servire Iddio.</i>
-</p>
-
-<p class="indl">
-<i>Milano, primavera del 1914.</i>
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<p class="title">
-SANTIPPE
-</p>
-
-<h2 id="cap1">I.
-<span class="smaller">Ellade, giovinezza del mondo.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Nel tempo antichissimo, quando gli
-uomini erano molto occupati per popolare
-il mondo, ci fu come una piccola
-schiera di uomini che pervenne ad
-una piccola terra. Essa era ricamata
-dai mari, e pareva come l’umbelico del
-mondo. Era stagione di primavera e il
-mare mandava tutt’intorno i suoi effluvi.
-</p>
-
-<p>
-Quegli uomini sostarono.
-</p>
-
-<p>
-Si scoprivano di lassù i corsi degli
-astri; si vedevano le vie del mare.
-Allora essi scoprirono le vie della loro
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-anima, ed una divina esaltazione li
-vinse. Rivaleggiarono con gli Dei immortali:
-crearono quelle multiformi
-opere che rimangono anche oggi come
-modelli, e non furono mai più superate
-in bellezza.
-</p>
-
-<p>
-Questa piccola terra fu l’Ellade: quel
-piccolo popolo fu il popolo ellenico. La
-vita che esso visse si chiamò «giovinezza»!
-</p>
-
-<p>
-Ma esso visse una breve vita; esso
-consumò, bruciò, — per così dire, — nel
-giro di qualche secolo l’ardore della sua
-vita, cinta di rose.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Più tardi, gli uomini ripresero ancora
-il loro viaggio; buttarono via le
-rose, e si coronarono di una corona di
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-spine, anzi inalberarono per loro emblema
-una croce da cui pendeva un povero
-morto, che si chiamava Cristo.
-</p>
-
-<p>
-Questa, probabilmente, era la verità
-più vera e le spine erano più vere delle
-rose.
-</p>
-
-<p>
-Senonchè un bel giorno gli uomini si
-accorsero con terrore di una spaventosa
-cosa: che essi in questo modo anticipavano
-sotto il sole il regno delle tenebre.
-</p>
-
-<p>
-Da allora serbarono per Cristo un
-culto di semplice simpatia: rifecero la
-loro strada, avanzarono ancora nei secoli,
-poi si moltiplicarono, coprirono anzi
-la faccia del mondo, e fecero infinite scoperte
-e progressi.
-</p>
-
-<p>
-Siccome faceva molto freddo, inventarono
-anche il riscaldamento a termosifone;
-e similmente per rinfrescarsi,
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-d’estate, crearono il ghiaccio artificiale.
-Innumerevoli, incredibili si susseguirono
-le creazioni dell’uomo; le macchine per
-correre, le macchine per cucire, le macchine
-per volare, le macchine per votare,
-le macchine per ammazzare, le
-macchine per cantare. Scoprirono i microbi,
-il colletto inamidato, il positivismo,
-il socialismo, la burocrazia, i
-campanelli elettrici: ma non rividero
-più la loro giovinezza.
-</p>
-
-<p>
-Un cittadino nord-americano dei nostri
-tempi potrebbe ben far risuonare il
-suo grosso riso paragonando, ad esempio,
-il suo Mississipì ai fiumicelli dell’Attica,
-così poveri di acque che nell’estate
-non arrivavano al mare. Ma che
-nomi! L’Illisso, il Cefiso! I monti dell’Attica
-avrebbero fatto contorcere di
-sprezzo le labbra altezzose di un alpinista
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-teutonico, che trasporta, come
-niente fosse, le sue scarpe ferrate e le
-penne di gallo cedrone sino in vetta al
-Cervino.
-</p>
-
-<p>
-Senonchè quei monti avevano meravigliosi
-nomi, meravigliose virtù: dal
-Parnaso cantavano le Muse: Muse titaniche
-e severe — non come le odierne
-Muse che sembrano una <i>troupe</i> di malsane
-dame viennesi. Esse, figlie della
-memoria e del vaticinio, cantavano, non
-per facilitare la digestione, ma canti
-non più uditi cantavano per accompagnare
-ed aiutare il cammino della
-vita.
-</p>
-
-<p>
-Un altro monte si chiamava l’Imetto.
-Intorno ad esso era tutto uno sciame di
-api scintillanti d’oro, e ne sgorgava il
-miele, che si trasfuse poi nel linguaggio;
-il più volubile, scorrevole, lieve
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-linguaggio che mai sia stato parlato,
-senza bisogno di domandare ogni tanto:
-«Come si dice, signor grammatico? mi
-è lecito adoperare questa parola, signor
-accademico?».
-</p>
-
-<p>
-Un altro monte si chiamava il Pentelico;
-ma la sua pietra bianca e immortale
-si plasmava docilmente sotto la divina
-forza dell’uomo, in quelle statue di
-cui qualcuna, mùtila ed esule, sotto la
-vòlta di qualche cimitero o museo, ancora
-e come prigioniera rimane.
-</p>
-
-<p>
-Non che io, contemplando queste statue,
-mi sia messo a piangere come fece
-Arrigo Heine davanti alla Venere di
-Milo. Arrigo Heine, poveretto, era paralitico,
-allora, e può aver pianto anche
-in considerazione della sua esistenza
-finita; ma certo un gran fremito vinse
-me pure: «Oh, destatevi nude carni,
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-ridonateci la giovinezza meravigliosa!»
-sospirai.
-</p>
-
-<p>
-Qualche monte abbastanza alto e gelido
-lo avevano pur anche gli Elleni;
-ma ci collocavano gli Dei.
-</p>
-
-<p>
-Del resto era un povero e sterile
-paese l’Ellade, tanto che ai suoi abitanti,
-per mangiare, conveniva navigare
-e combattere. Mancavano i cereali. Però
-dalla roccia calcarea balzava il tralcio
-della vite e sorgeva impetuoso, con le
-sue pallide chiome, l’ulivo.
-</p>
-
-<p>
-Il mare che penetrava fra le terre,
-teneva in vibrazione gli spiriti, come in
-una azzurra irrequietudine: tutt’all’intorno
-poi fiorivano le viole, colore della
-morte e profumo della pura giovinezza,
-tanto che un poeta, come vinto da quella
-ebrietà, cantava: «O, Atene, splendida,
-gloriosa città, incoronata di viole, celebrata,
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-sostegno della Grecia, demoniaca».<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>
-</p>
-
-<p>
-Questo popolo ellenico fu come la cicala<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>
-canora, come l’ape industre, che
-sono animali alati, asciutti, preziosi, irrequieti,
-diffonditori di armonie e di dolcezza:
-non fu come altri popoli, che
-hanno in loro qualcosa di pesante, di
-viscido, di adiposo, di strisciante, di tossico,
-da cui la mano delicata del filosofo
-rifugge. Questo popolo si affacciò in un
-mattino puro alla finestra della vita, e
-vide quelle cose della vita che hanno
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-vero valore; e meravigliò non per le
-cose meccaniche, come noi meravigliamo,
-ma per le cose naturali, come fa la
-cortigiana Diotima quando dice: «Cosa
-divina è questa, e in creature mortali,
-cosa immortale: il concepire e il generare».
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-A noi la conoscenza di questo popolo
-è venuta attraverso il martirio della
-scuola, attraverso un nembo di parole
-irte, pungenti, con cui i greci mai
-non avrebbero tormentato la loro giovinezza.
-</p>
-
-<p>
-A dispetto di queste memorie dolorose
-della scuola, la mia ammirazione
-per questo piccolo popolo ellenico mi è
-venuta crescendo quanto più mi apparvero
-piccoli i così detti popoli grandi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-</p>
-
-<p>
-Io lo ho ammirato nelle sue contraddizioni,
-nelle sue lotte fratricide e terribili,
-nella sua breve vita.
-</p>
-
-<p>
-Soprattutto le sue contraddizioni!
-Esse sono il cuscino su cui qualche volta
-riposa la mia testa stanca. Pensare! un
-popolo che ha disputato di filosofia più
-che non cantassero le sue adorabili cicale,
-eppure non ha imposto un dogma,
-non ha avuto preti; un popolo che ha
-creato quel magnifico parlamento di Dei
-e di Dee sull’Olimpo, con tutti i vizi ed
-i servizi possibili: il nèttare, l’ambrosia,
-Ebe, Ganimede, il meccanico Vulcano,
-Mercurio per i dispacci fra la terra
-ed il cielo; e poi un bel giorno se ne
-stancò dei suoi Numi! e: «Via, parassiti! — gridò — via
-oziosi! via crudeli!
-via buffoni!» E poi atterrì vedendo
-il vuoto nell’Olimpo gelido, e il
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-vuoto nel suo cuore: un popolo che ebbe
-la magnifica impertinenza di chiamare
-barbare tutte le altre genti; che in politica
-ci lasciò questo terribile ammaestramento,
-che non è possibile vivere
-che, o sotto la tirannia di un individuo
-o sotto la tirannia della plebe: il <i>demos</i>
-e la <i>tirannis</i>, come la tragedia e la
-commedia: un popolo che adorò la sua
-minuscola città, la sua <i>polis</i>, ed ebbe
-per patria il mondo! Ma la patria, la patria,
-cioè il genio della stirpe, guai chi
-l’avesse obliata! guai all’infingardo che
-avesse scioperato nel divino lavoro, che
-avesse obliato la patria! E così Ulisse
-ai compagni, stanchi, strappa il dolce
-oblioso frutto del loto. «Via! via! il
-vile dolce frutto del loto, che fa obliare
-la patria!»
-</p>
-
-<p>
-E guai a chi avesse disturbato questo
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-popolo nel suo lavoro di creazione!
-Come l’ape s’avventa contro il nemico
-e infigge l’aculeo pur sapendo che ne
-morrà, così questo popolo s’avventava
-alla morte con l’asta e con lo scudo, nel
-divino impeto della sua Minerva guerriera,
-contro il barbaro disturbatore. E
-adorava la vita!
-</p>
-
-<p>
-E sapeva che laggiù non era resurrezione
-dei morti. Sapeva? certamente
-sapeva che laggiù erano tenebre, e se
-anche era vita, era vita di tenebre,
-alcunchè di oscuro e di severo come,
-l’aspetto di Tànatos, il melanconico
-iddio.
-</p>
-
-<p>
-No, un popolo, così unico e savio,
-non era destinato nè a vivere a lungo,
-nè a formare una di quelle nazioni che
-oggi diciamo una <i>grande nazione</i>.
-</p>
-
-<p>
-Esso fu dilaniato dalla forza contradditoria
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-dello stesso suo genio: cadde in
-balìa di quei virtuosissimi ma pesantissimi
-Romani: forse anche con il suo
-esempio volle illustrare la verità della
-sua sentenza: <i>che è meglio morire
-che vivere, e che ad ogni modo muore
-giovane chi è caro agli Dei.</i>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Questa meravigliosa Ellade antica è
-oggi ai miei occhi come una necropoli
-bianca, una città morta piena di statue
-bianche, dai marmorei occhi vuoti.
-</p>
-
-<p>
-Molte volte io, alquanto seccato dai
-fischi delle macchine, irritati i nervi dal
-sibilare delle sirene, nauseato anche un
-po’ dalle circolari, dagli avvisi fiscali
-di questa nostra civiltà, mi sono rifugiato
-per mio spirituale riposo in questa
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-necropoli bianca dei grandi morti
-ellenici.
-</p>
-
-<p>
-Quando voi siete ammalati di nervi,
-il medico vi dice: «Fate un bel viaggio!»
-Ma non tutti hanno la possibilità
-di fare un bel viaggio; ed è per questo
-che allora io viaggio per questa necropoli
-di morti; così imperturbabili in apparenza,
-così commossi in profondo.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Ora un giorno io stavo guardando
-Socrate, personaggio molto conosciuto,
-e lo guardavo non soltanto perchè lui
-fu, come tutti sanno, il fondatore di
-quella che si chiama <i>filosofia morale</i>;
-ma perchè lui spiccava assai brutto in
-mezzo a una corona di splendenti giovani.
-E come sotto la scrittura di un codice
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-antico avviene di scoprire le tracce
-di una seconda scrittura, così io dietro
-Socrate vedevo accampare, entro contorni
-nebulosi, una figura enorme, rossiccia,
-quasi furiosa.
-</p>
-
-<p>
-«Oh, ma chi è costei?» dissi prendendo
-la lente.
-</p>
-
-<p>
-Non uno dei discepoli di Socrate, certamente!
-</p>
-
-<p>
-Anzi i suoi discepoli, i bei giovani
-splendenti di giovinezza, si rivolgevano
-verso quella figura con un sentimento
-di dolore, di meraviglia o di riso.
-</p>
-
-<p>
-Allora, dopo aver molto guardato,
-ben conobbi chi era colei: essa era Santippe,
-la mala femmina, rossa di pelo, la
-tormentatrice dell’eroe, la moglie di Socrate.
-Santippe, dico!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Da quel tempo la mia ammirazione
-per il popolo ellenico è venuta crescendo.
-</p>
-
-<p>
-Perchè è cosa nota che gli Elleni ci
-hanno lasciato anche i modelli più vari
-e straordinari del tipo femminile; da
-Elena, dalla chioma fiorita, per cui tanti
-eroi morirono volontieri; ad Aspasia,
-donna intellettuale che teneva un salotto
-e rovinò la politica del suo paese;
-a Penelope, straordinaria, che giunse
-ad ingannare gli amanti per mantenere
-fede al marito, il quale non soltanto era
-lontano, ma dicevano anzi che era morto.
-</p>
-
-<p>
-Tutti i tipi, dico, ha fornito la Grecia,
-del furore guerriero, del furore erotico....
-Clitennestra lorda di sangue e
-di lussuria ed Antigone, la santa della
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-terra, più bella di Ofelia! Tutti i tipi;
-eppure io sentiva che mancava qualche
-cosa. Ora, trovata Santippe, non mancava
-più niente!
-</p>
-
-<p>
-Ma mi pareva ben impossibile che i
-Greci avessero tralasciato di consegnare
-all’umanità uno dei modelli più comuni,
-come quello che anche oggi va sotto la
-denominazione di Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Ah, sì! Noi abbiamo fatto una grande
-scoperta viaggiando per la necropoli
-dei morti ellenici. Noi abbiamo scoperto
-la infame Santippe.
-</p>
-
-<p>
-È strano però come gli eruditi non
-se ne siano accorti! Forse perchè non
-era nei codici.
-</p>
-
-<p>
-E allora, benchè io sia uomo modesto,
-mi sono congratulato con me stesso
-della bella scoperta.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap2">II.
-<span class="smaller">Come io mi trovai alle prese
-con Santippe.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Dunque io presi Santippe, e pensai
-fra me: ci sei cascata finalmente, o
-progenitrice di tutte le mogli fastidiose,
-rossa Santippe! Noi ti faremo la vivisezione,
-e così vendicheremo quel povero
-e santo uomo di tuo marito e consoleremo
-tutti i mariti vivi ed anche
-tutti i mariti morti.
-</p>
-
-<p>
-Però, esaminiamo le cose con saviezza
-e ponderazione.
-</p>
-
-<p>
-Noi, ben è vero, sappiamo pochissimo
-intorno a Santippe; ma sappiamo di
-certo che essa fu la moglie di Socrate.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-</p>
-
-<p>
-I discepoli e gli amici del grande
-filosofo ne parlarono anche, ma con un
-senso di raccapriccio e di paura, come
-si fosse trattato di un’orribile malattia
-attaccata a quell’uomo straordinario.
-Ma certamente, ripeto, Santippe fu la
-moglie di Socrate; perchè una cosa è
-certa, che Socrate, il più savio degli
-uomini, prese moglie; e questa moglie
-si chiamava Santippe.
-</p>
-
-<p>
-E adesso vediamo quello che gli
-amici di Socrate tramandarono intorno
-a costei.
-</p>
-
-<p>
-Senofonte scrive con chiarezza e brutalità
-che «Santippe fu la moglie più
-bisbetica e riottosa di quante furono,
-sono e saranno».
-</p>
-
-<p>
-«Ma come fai, Socrate, — domandava
-il bellissimo Alcibiade, — a sopportare
-una donna così importuna e maldicente?»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Ci sono abituato, — gli rispondeva
-Socrate. — Per me oramai è come sentir
-stridere la carrùcola del pozzo.»
-</p>
-
-<p>
-Non era molto gentile, Socrate;
-ma non bisogna scandolezzarci: a quei
-tempi la cavalleria con le dame usava
-poco. In Omero, per esempio, si legge
-che fra i premi alle corse si metteva
-indifferentemente un tripode, una donna
-ed un bue.
-</p>
-
-<p>
-«Come fai, Socrate, — insisteva Alcibiade, — a
-convivere con una donna
-che non ti può offrire oramai se non lo
-spettacolo di una stupidità permanente
-e clamorosa?»
-</p>
-
-<p>
-«Scusa, Alcibiade, ma tu non sopporti
-le oche che strepitano e gridano
-continuamente?»
-</p>
-
-<p>
-«Sì, ma le oche fanno le uova ed i
-pàperi.»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Lo stesso, caro: Santippe fa i figliuoli.»
-</p>
-
-<p>
-Socrate, come si vede, usava l’arma
-dell’ironia; e noi sappiamo di alcune
-donne che sopportarono anche le busse,
-anche di essere valutate meno di un
-tripode: ma non l’ironia!
-</p>
-
-<p>
-Busse, anzi, Socrate non ne dava,
-come appare da quest’altro episodio.
-</p>
-
-<p>
-Un giorno, Socrate tornava a casa
-insieme con gli amici, ed ecco venire
-incontro Santippe, che aveva fra mani
-il mantello di lui; e non appena lo
-vide, cominciò a dire:
-</p>
-
-<p>
-«Eccolo, eccolo qua. E non è solo.
-Ha con sè tutta la compagnia, e anche
-quel suo bardasso di Fedone! È
-questo il momento buono per dirgli,
-ben alto e ben forte, quello che gli
-va detto: Di’, amorino, vieni tu ora
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-dalle case di Aspasia, di Diotima, le
-svergognate femmine che maneggiarono
-più amori, che non lance Diomede?
-Ma alla moglie si consegnano gli
-stracci da rammendare! Ah, tu non
-rispondi?»
-</p>
-
-<p>
-E con le unghie si accostò alle sporgenti
-pupille di Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Gli amici allora le dissero «vergogna»,
-e colei inferocì e proferì le più
-laide parole che possano offendere la
-rispettabilità del nostro sesso.
-</p>
-
-<p>
-Allora Alcibiade disse ridendo: «Socrate,
-la senti? Ecco il momento per
-darle una lezione a suon di busse».
-</p>
-
-<p>
-Ma Socrate si rivolse agli amici e
-disse: «Sì, per far divertir la gente
-alle nostre spalle e sentir dire: To’
-guarda Socrate! Guarda Santippe! Bravi
-tutti e due! sotto! dài! Oh, come si
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-bastonano di gusto! Ma vi pare, amici,
-una cosa da farsi?»
-</p>
-
-<p>
-Sembrerebbe anzi che fosse stata
-Santippe a picchiare.
-</p>
-
-<p>
-Il silenzio filosofico del marito aveva
-la virtù di esasperare la buona donna
-sino al parossismo.
-</p>
-
-<p>
-E Socrate, silenzioso. Silenzioso sì,
-ma meditante la fuga.
-</p>
-
-<p>
-Ma Santippe si è accorta della fuga.
-Ha afferrato un vil vaso domestico;
-ha atteso al varco, cioè alla finestra.
-E quando Socrate è passato sotto la
-finestra, ha scaricato il vaso.
-</p>
-
-<p>
-«Non dicevo io, — spiegò Socrate ai
-vicini che erano accorsi al diverbio, — che
-Santippe dopo aver tanto tuonato,
-stava per piovere?»
-</p>
-
-<p>
-Questo episodio è così conosciuto che
-anche gli scolaretti lo sanno, perchè
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-i professori lo fanno servire di esercizio
-per i loro innocenti latinucci. (Tutto
-serve ai maestri di scuola per i loro latinucci
-e le loro cosucce: i teschi degli
-uomini morti servono ai barbari per motivo
-architettonico).
-</p>
-
-<p>
-Oh, non si creda per questo esempio
-che Socrate fosse uomo timido! Più
-volte fu anzi in guerra e vide intorno
-a sè il sangue rosseggiare. Ma anche
-nella battaglia è ricordato come uomo
-assorto e meditabondo.
-</p>
-
-<p>
-Alla battaglia di Potidea, per esempio,
-i soldati, meravigliando, lo videro
-tutto un dì ed una notte ritto in piedi,
-con la faccia pensosa, sinchè non cominciò
-a rosseggiare l’aurora e non si
-fu levato il sole: e allora, fatta una
-preghiera al sole, se ne andò.
-</p>
-
-<p>
-E così, serenamente assorto, egli era
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-anche il dì della sua ultima battaglia,
-perchè si dice che il dì innanzi la morte,
-quando Critone tutto affannoso entrò
-nella carcere, che non era nè notte nè
-giorno, per indurlo a fuggire, Socrate,
-quasi destandosi alle cose esterne, gli
-domandò: «Critone, come è a quest’ora?
-è già mattutino?».
-</p>
-
-<p>
-Ora in questo stato di assorbimento,
-sentire i lunghi discorsi di lei, tutti
-pieni di <i>Idiòtes</i>, <i>màtaios</i> (<i>cretino</i>, <i>insensato</i>,
-direbbe una nostra signora),
-io credo che dovesse far dispiacere a
-Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Sì, io credo che dovesse far dispiacere,
-non soltanto per le mani adunche
-di lei, ma perchè con quello strappo lo
-aveva tolto dalla mirabile primavera del
-suo pensiero e lo aveva richiamato ai
-sensi materiali, i quali secondo l’opinione
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-di Santippe erano diventati ottusi.
-Anzi lei diceva: «Quest’uomo oramai
-non sente più niente».
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Ma — si può chiedere, — delle altre
-cose, di quelle brutte cose che fanno le
-mogli ai mariti, nulla fece Santippe?
-</p>
-
-<p>
-Non pare, o non fu tramandato. Parrebbe
-anzi che lei si dolesse che tutto
-il servizio domestico fosse un po’ in cattivo
-stato. Perchè un giorno Socrate
-disse a Santippe: «Senti, cara, domani
-verranno a casa alcuni amici miei ospiti,
-e tu preparerai da pranzo».
-</p>
-
-<p>
-E lei disse: «Ma come mai hai il
-coraggio di invitare la gente a pranzo
-che mancano i piatti, che non vi sono
-tovaglioli, che c’è appena da mangiare
-per noi?»,
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-</p>
-
-<p>
-Socrate così le rispose: «Sta di buon
-animo, Santippe. Se gli invitati saranno
-discreti e frugali, non rifiuteranno
-quello che c’è in tavola; se saranno indiscreti
-e senza rispetto, noi non ci cureremo
-di loro».
-</p>
-
-<p>
-Qui, — diciamo il vero, — Santippe,
-come padrona di casa, non era in obbligo
-di gustare tutta la saviezza della
-risposta di Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Queste sono le cose che la Storia tramanda
-intorno a Santippe. Ed ora vediamo
-del «tipo Santippe».
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Santippe, — la mal famata nei secoli,
-Santippe, — ha dato origine al tipo
-Santippe, alla cui formazione quelle tali
-brutte cose non sono proprio necessarie;
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-ma anche senza di esse, la vita
-diventa intollerabile.
-</p>
-
-<p>
-Oh! chi avrebbe mai supposto che
-quella creatura tutta bianca, tutta pavida,
-tutta docile che noi orgogliosamente
-conducemmo, in un dì beato, in
-carrozza, davanti al codice del signor
-sindaco, si sarebbe ammalata e sarebbe
-diventata Santippe?
-</p>
-
-<p>
-Sì, è vero, si dice anche per celia,
-«la mia Santippe», per significare
-«la mia signora». Ma una signora non
-dirà mai: «Io sono la Santippe di mio
-marito». Potrà esclamare: «Te lo farò
-vedere io chi è Santippe». E può anche
-farglielo vedere! Perchè se lei dicesse
-ponderatamente: «Sì, io sono la Santippe
-di mio marito», rivelerebbe di
-possedere la coscienza, e in tale caso
-non sarebbe più Santippe.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-</p>
-
-<p>
-Le varietà del tipo Santippe sono
-molte; e forse non è inutile, a beneficio
-di quelli che non conoscono le conseguenze
-del viaggio davanti al codice
-del signor sindaco, riferire qualche onesto
-esempio; benchè in questo, come in
-altre cose, la sagace natura ha provveduto
-alla propria salvezza facendo sì
-che l’uomo non potesse acquistar conoscenza
-se non dopo il fatto o <i>experimentum</i>,
-cioè una conoscenza che non
-serve nemmeno ad accender la pipa!
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Un marito era incanutito precocemente:
-ma la signora non poteva soffrire
-quel bianco e versava premurosamente
-sulla testa del marito fini tinture.
-Considerazioni del marito: «Non era
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-meglio, o donna, evitare che i miei capelli
-diventassero canuti così presto?»
-</p>
-
-<p>
-Altro esempio:
-</p>
-
-<p>
-Noi siamo giunti a casa, abbiamo
-mangiato un boccone. La stufa era accesa,
-il sofà ci invitava. Noi vi ci siamo
-distesi per obliare in un breve chiudersi
-della pupilla i fastidi e le cure
-della mattina e quelle che ci aspettano
-nel dopo pranzo.
-</p>
-
-<p>
-Noi invochiamo una piccola dose di
-sonno, cioè una piccola dose di morte,
-dieci minuti, ecco, per immagazzinare
-l’energia indispensabile per l’altra metà
-del giorno. Già ci pare di chiudere gli
-occhi, il cuore ha dato un impercettibile
-tuffo, una specie di registrazione
-automatica con cui esso attenua le sue
-pulsazioni; la memoria ha distaccato
-i suoi dolorosi corsieri....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Ah, con quella testa unta sul sofà!
-con quei piedacci sul mio <i>voltaire</i>! L’ho
-stirato proprio questa mattina. E quella
-puzza nauseabonda di pipa! Un marito
-non ha più nessun riguardo. Ma chi ha
-creato i mariti?»
-</p>
-
-<p>
-Chi parla così?
-</p>
-
-<p>
-È una Santippe che parla così. Ella
-spalanca le finestre.
-</p>
-
-<p>
-«Moglie mia — diceva un marito
-prudente che voleva andare a letto presto
-la sera, — che camicetta ti metterai
-tu per andare a teatro?» Oppure,
-quando voleva una minestrina leggera
-in brodo: «Moglie mia, perchè non fai
-quegli eccellenti gnocchi di patate?»
-</p>
-
-<p>
-Altro esempio:
-</p>
-
-<p>
-Un signore era diventato principe-consorte.
-Non che egli avesse sposato
-una principessa di sangue reale; ma
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-soltanto una principessa della penna. La
-signora sdegnava nominarsi e firmarsi
-col nome del suo ignoto marito. Questi
-non poteva invocare l’intervento del signor
-sindaco; è evidente! ma in lui era
-così a dismisura cresciuto il terrore per
-l’arte, per la penna, per la gloria letteraria
-che se per caso doveva subire qualche
-presentazione di signora, domandava
-in antecedenza: «scusi, la signora
-scrive?»
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Da ciò avviene che qualche volta
-uomo e donna si dividano senza voltarsi
-indietro; ma ciò avviene più di
-rado del necessario, perchè la sagace
-natura ha provveduto in modo che le
-voci dei bimbi che dicono: «Babbo
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-mamma, perchè ci abbandonate?» abbiano
-tali vibrazioni che il cuore umano
-difficilmente vi regge.
-</p>
-
-<p>
-Creda, il signor sindaco: questa è la
-forza maggiore del suo codice!
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Come giunsi a questo punto delle mie
-piacevoli meditazioni, ecco che quello
-che sino allora mi era apparso quasi barbarico,
-mi si disegnò come cosa ideale:
-cioè la biografia della perfetta donna
-presso gli antichi Romani: <i>Rimase in
-casa, filò la lana, parlò poco, visse
-casta.</i>
-</p>
-
-<p>
-E allora più ideale ancora l’educazione
-giapponese delle loro pulitissime
-donne! Dice, un marito giapponese alla
-sua piccola <i>musmè</i>:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Nessuna cosa, piccola <i>musmè</i>, è
-più dannosa alla pace domestica della
-vostra loquacità; e il non sapere cuocere
-il riso a puntino, è un giusto motivo
-per ripudiarvi!»
-</p>
-
-<p>
-E la piccola <i>musmè</i> risponde con le
-manine in croce e gli occhioni abbassati:
-</p>
-
-<p>
-«Onorevole marito, sì! Le vostre
-parole sono tutte onorevoli verità, e
-le vostre azioni sono tutte onorevoli
-azioni!»
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-A questo punto fu da me udito un
-crepitare di sibili e di metalli. Mio Dio,
-Santippe si destava, Santippe parlava!
-Non avevo io con me preso Santippe?.
-</p>
-
-<p>
-Gran Dio, a quanti pericoli si espongono
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-i pacifici uomini di studio nei loro
-esperimenti!
-</p>
-
-<p>
-Santippe parlava, e parlava appunto
-così:
-</p>
-
-<p>
-«Infame razza prepotente, ipocrita,
-di uomini! rimasta tal quale! Ah, a voi
-torna comoda la donna, oca di Strasburgo
-e ingrassata pel vostro egoismo!
-A noi le gravi cure! Noi siamo uomini! — Tu
-torna, o donna, all’ago e al pennecchio
-infra le ancelle; e ti ricorda che
-niuna cosa rende più brutta la donna
-come la inverecondia. E poi le vanno a
-cercar fuori le donne con gli occhi cerchiati
-di inverecondi pallori! Sii massaia,
-o donna! E sono capaci di far soffrire
-la fame in casa per far baldoria
-con le baldracche!...»
-</p>
-
-<p>
-«Oh buona donna, — io dissi, — se tu
-puoi parlare, parla. Ma di una cosa ti
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-prego: non parlare così. Tempera la
-voce; fa pausa ogni tanto! Qualunque
-cosa tu dica, dilla con voce soave, senza
-irruenza. Tutto è tollerabile, forse, dalla
-donna quando avviene soavemente.»
-</p>
-
-<p>
-Oimè, ella non poteva far pause, la
-sua voce si alimentava con la sua voce,
-ed io cominciai a sentirmi male, e mormorai
-con Cristo: Perdona a lei che
-ignora la sua spaventevole voce! Però
-che sistema nervoso straordinario e perfetto
-deve aver avuto Socrate!
-</p>
-
-<p>
-«Maledette le vostre lusinghe, — proseguì
-la irritante voce di Santippe, — che
-ci hanno ridotte a questo stato di
-servitù! Noi siamo state troppo buone,
-troppo generose di cuore, ed ecco la ricompensa!
-Noi siamo uguali a voi!
-</p>
-
-<p>
-Sapete voi che in origine eravamo
-forti e pelose anche noi come voi? I
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-figliuoli, si è vero, li facevamo noi; ma
-quando eravamo stanche di allattare i
-marmocchi, li davamo all’uomo, e dicevamo:
-«To’, allatta tu,» e andavamo
-fuori di casa a caccia dell’orso anche noi.
-</p>
-
-<p>
-Poi, per compiacervi, siamo rimaste
-in casa; per compiacervi ci siamo profumate
-col paciulì, abbiamo fatto la voce
-di flauto, i piedini piccoli, e vi sono
-anche oggi delle donne che non stanno
-in piedi, se non sono appoggiate ad un
-maschio. Maledetto lo specchio di Venere!
-Oh, ma noi lo romperemo e allora
-vedremo chi vale di più! Che diritto,
-che diritto aveva il poeta Archiloco sopra
-le figlie di Licambe, che non ne volevano
-sapere di lui? E lui perseguitarle
-coi suoi versi, finchè le poverette,
-disperate, si impiccarono?»
-</p>
-
-<p>
-Così parlò Santippe.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-</p>
-
-<p>
-Or bene, prescindendo dalla voce che
-offendeva il mio sistema nervoso, non
-posso negare che nelle parole di lei v’era
-qualcosa che impressionava quel delicatissimo
-sentimento della giustizia che
-per mia sventura possiedo.
-</p>
-
-<p>
-Io non so se la donna fosse nei tempi
-preistorici pelosa e guerriera: le più antiche
-memorie storiche risalgono ad Eva,
-la quale era bianca e la prima cosa che
-fece, dopo aver perso il pudore, fu una
-<i>toilette</i> con la pianta del fico: e quanto
-alle lusinghe ed al programma di creare
-una nuova morale frantumando lo specchio
-di Venere, io credo che sia impossibile.
-Ne è prova la signora Curie, la
-quale dopo essere diventata grande
-scienziata, dopo avere scoperto il radio,
-pur non essendo così giovane nè così
-bella come Eva, non potè sfuggire alle
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-seduzioni di Venere e sedusse o si lasciò
-sedurre da un suo collaboratore di gabinetto.
-</p>
-
-<p>
-Certo è che alcune delle osservazioni
-di Santippe erano impressionanti; e non
-si può affermare che l’uomo sia stato
-eccessivamente logico. Vediamo un po’:
-</p>
-
-<p>
-Ha detto l’uomo:
-</p>
-
-<p>
-«Amami, o donna, senza di te l’universo
-è vuoto, il sole è tenebra. Un
-bacio, un bacio, un bacio per carità!»
-E pareva che senza quel bacio non potessero
-addormentarsi, poveri uomini,
-non potessero neanche morire, come
-i bimbi che domandano il bacio della
-mamma. Ed ella fu compiacente e gentile:
-si attorcigliò la chioma, o se la
-lasciò cader giù sulle spalle, secondo i
-casi: imparò a dare i baci, a languire con
-gli occhi chiusi, come morta, e diceva
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-all’uomo: «Va bene così? O devo prendere
-un’altra posizione?» Dopo avere
-imparato i baci, imparò a fare l’infermiera.
-Spesso l’uomo giungeva a casa
-ferito o ammalato, e allora quelle mani
-che gli si erano attorcigliate al collo al
-tempo dei baci, se le sentì posare come
-un balsamo su le sue ferite; e le pupille
-che si erano chiuse nel piacere dei
-baci, egli le sentì sopra di sè vigilanti e
-materne. Non basta; ma spesso il focolare
-dell’uomo era spento e lo ha ritrovato
-acceso; la sua casa era vuota, e
-la presenza di lei sola, la donna, bastò
-a renderla piena e consolata.
-</p>
-
-<p>
-E poi dopo tutti questi benefici, hanno
-avuto il coraggio di dire alla donna:
-</p>
-
-<p>
-«Ah l’impudica! Torna all’ago e al pennecchio.»
-</p>
-
-<p>
-E i dominatori del mondo? Noi li
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-abbiamo, visti troppo spesso ai piedi
-di lei.
-</p>
-
-<p>
-E i santi della Chiesa non hanno fatto
-lo stesso come gli altri uomini? Un
-giorno hanno detto alla donna: «Tu sei
-Maria Vergine Santissima!»
-</p>
-
-<p>
-Un altro giorno, stralunando gli occhi,
-hanno detto «Tu sei il demonio
-in figura di Venere! Fuggite, fuggite la
-demoniaca, la insaziabile!» Ma in verità
-non fuggivano. Gridavano come i
-passeri attorno alla civetta.
-</p>
-
-<p>
-Ed è altresì vero che tutto il lavoro
-del mondo se lo è preso lui, l’uomo:
-alla donna niente!
-</p>
-
-<p>
-«Alla donna, con la scusa che non
-capiva, le si vietò persino di affacciarsi
-alla finestra e di contemplare il
-creato!» — gridò Santippe.
-</p>
-
-<p>
-E i poeti? Sono poco illogici i poeti?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-</p>
-
-<p>
-Essi hanno celebrato continuamente
-i denti, gli occhi, i capelli ed altre cose
-della donna.
-</p>
-
-<p>
-«Mai la nostra intelligenza, mai il
-nostro cuore....»
-</p>
-
-<p>
-«Sì, signora Santippe, qui posso convenire
-con lei! Francesco Petrarca impiegò
-tre lunghe canzoni per lodare gli
-occhi della sua donna....»
-</p>
-
-<p>
-«Che dovevamo noi celebrare, la barba,
-i piedi dell’uomo?» gridò ancora
-Santippe.
-</p>
-
-<p>
-«Sì, signora Santippe; ed io non
-escludo che la donna lusingata da tutto
-quel gorghèggio abbia avuto come una
-spinta ad ingrandire gli occhi, ad allungare
-i capelli, a cambiarli di biondi in
-bruni e viceversa, ad impicciolire i piedi,
-ad affusolare le mani, e specialmente a
-prendere quell’aria di bambolina, profumata
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-di paciulì e con la voce di flauto,
-che costituisce, anche nei tempi nostri,
-la qualità che l’uomo stima di più nella
-donna. Ammetto tutto questo e convengo
-che Archiloco ebbe torto, signora, e
-fu un prepotente.
-</p>
-
-<p>
-Potrei recare altro esempio di torti e
-di prepotenze in poeti posteriori, anche
-più grandi di Archiloco. Per esempio,
-Dante.
-</p>
-
-<p>
-Una signora gli disse di no, e Dante
-che cantò l’universo, perdette la sua calma
-e chiamò quella donna, <i>ladra, scherana,
-micidiale, insensibile pietra</i>, e
-che la voleva pigliar per le trecce bionde,
-e darle una coltellata nel cuore; ed il
-Leopardi, un santo oltre che un filosofo,
-non perdette gran parte della sua filosofia
-quando una bella donna gli disse
-ridendo «Caro conte, no!»?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-</p>
-
-<p>
-Così io parlai per amor di giustizia ed
-anche per acquetar Santippe, la quale
-nei ventitrè secoli da che era all’inferno,
-mi pareva che fosse diventata assai
-intelligente e saccente; quand’ecco,
-quei due nomi del Leopardi e di Dante,
-proferiti come a caso, mi spalancarono
-per così dire le porte del pensiero, e
-vidi una terribile visione. Allora non
-mi seppi più frenare, alzai anch’io la
-voce, e dissi:
-</p>
-
-<p>
-«Sta però il fatto, signora, che voi,
-Santippe, siete stata la tormentatrice
-degli eroi, o almeno degli eroi metafisici;
-e specialmente degli eroi che presero
-moglie. È una schiera infinita; è
-una legge costante! Udite, udite, o Santippe:
-</p>
-
-<p>
-Ercole ebbe una moglie chiamata Deianira
-che regalò a suo marito una camicia
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-avvelenata. Deianira era Santippe;
-il saggio Minosse ebbe una moglie
-chiamata Pasifae che regalò a suo marito
-quel mostro chiamato Minotauro;
-Eschilo, il gran tragico, ebbe una moglie
-tremendamente Santippe, che gli
-mutò la dolce vita in tragedia; Marco
-Aurelio, il più savio degli imperatori,
-ebbe una moglie che non nominerò, ma
-Santippe certamente; Sady, gran poeta
-persiano, ebbe una moglie ricca, ma
-Santippe, che non gli lasciò aver bene
-un giorno solo della sua vita. Passando
-poi al nostro occidente e ai nostri
-tempi, io potrei compilare un elenco
-non meno lungo di eroi: da Martin Lutero
-a Leone Tolstoi, che ebbero mogli
-Santippe, cioè fecero un’orribile attraversata
-della vita. Fra gli eroi, che io
-ricordi, non ci fu che Cristo a salvarsi;
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-Cristo ai cui piedi insanguinati Maria di
-Magdala versò tutto il nardo prezioso
-che possedeva, contro il parere di Giuda
-che voleva specularci sopra favorendo i
-pezzenti. Ma è pur vero, signora, che
-Cristo non sposò Maria di Magdala.
-Chi sa come sarebbero andate le cose,
-se Cristo la avesse sposata! Anzi Cristo
-fu un dio, e transitò come un sogno
-per la vita.
-</p>
-
-<p>
-Ora, o signora Santippe, quando
-una legge è costante dai tempi di Minosse
-a Leone Tolstoi, dall’oriente all’occidente,
-essa deve pur avere un valore!»
-</p>
-
-<p>
-Così io parlai. Ma un crepitare terribile
-e come compresso, come un mugghiare
-feroce mi arrestò. Ne uscì una
-voce sardonica:
-</p>
-
-<p>
-«Gli eroi! Gente moscia che vale meno
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-degli altri. Inutili gli eroi! Gli eroi
-metafisici, più che inutili!»
-</p>
-
-<p>
-Strabiliai! Così aveva risposto Santippe.
-</p>
-
-<p>
-«Ah, signora! Inutili gli eroi? Inutile
-vostro marito? Socrate inutile? il
-metafisico, il fondatore della filosofia
-morale? Anzi il creatore — io direi — della
-morale, perchè prima di lui non
-esisteva morale, ed il mondo è fondato
-sulla morale; così che possiamo ben
-affermare che il mondo gràvita su quel
-grand’uomo di cui voi aveste l’onore di
-essere consorte!»
-</p>
-
-<p>
-«E chi ti dice, <i>idiotes</i>, che sia necessaria
-la morale inventata da mio marito?»
-</p>
-
-<p>
-Così villanamente sibilarono le parole
-di Santippe contro di me. Era diventata
-socialista costei in ventitrè secoli di abitazione
-all’inferno?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-</p>
-
-<p>
-«Chi lo dice? Già, chi lo dice? Ma
-tutti lo dicono! Dai libri delle scuole
-elementari ai discorsi del trono e dei ministri
-voi trovate, o signora, la morale,
-cioè vostro marito....»
-</p>
-
-<p>
-«Sì, l’etichetta buona per i calli!»
-</p>
-
-<p>
-Nella mia qualità di uomo giusto e
-morale, confesso che strabiliai una seconda
-volta a queste parole di Santippe.
-Credetti opportuno per la dignità di Socrate,
-della morale, ed un poco anche
-mia, di non replicare. Santippe, come
-donna, essendo fisica, non poteva forse
-penetrare dentro la metafisica.
-</p>
-
-<p>
-Però dissi: «Ah, signora, adesso capisco
-per quale ragione quando Critone
-entrò nel carcere e disse: «Socrate, fuggi!»,
-Socrate non volle fuggire e preferì
-la morte. Ah, signora, se le vostre
-labbra fossero state capaci di qualche
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-parola gentile, se le vostre mani fossero
-state capaci di preparare un tranquillo
-desco con una bella zuppa di ceci
-con olio e rosmarino, se aveste conservato
-un poco di nardo per ungere la dolorante
-anima di vostro marito, egli sarebbe
-evaso dalla prigione: l’umanità
-avrebbe avuto un martire di meno, ma
-anche un infelice di meno!»
-</p>
-
-<p>
-E già proferendo queste parole, io mi
-preparavo a proteggere il mio volto,
-quando con somma stupefazione non
-udii alcuna risposta.
-</p>
-
-<p>
-Fissai Santippe. Le sue pallide labbra
-tremavano di un convulso tremore.
-Disse a pena, disdegnosamente: «Va,
-va un po’ anche a cercare chi era lui!»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Allora è come dicono i dizionari,
-quando si cerca «Santippe», che rimandano
-a «Santippe: vedi Socrate».
-</p>
-
-<p>
-Oh, ma che orribile mostro, Santippe!
-Che non sia una donna?
-</p>
-
-<p>
-Eppure, no! Lei era la donna, era la
-glabra, la mammifera, la contorta, la
-chiomata, dall’ampio grembo generatore,
-la portatrice dell’uomo!
-</p>
-
-<p>
-Inutile però interrogarla di più!
-</p>
-
-<p>
-Non rimaneva che seguire il suo consiglio,
-ed andare in cerca di Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Però, conveniamone, la scoperta di
-Santippe, di cui tanto mi ero rallegrato
-in principio, mi portava ad un viaggio
-piuttosto lungo e difficile.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap3">III.
-<span class="smaller">Socrate per le vie di Atene.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Andiamo, dunque, in cerca di Socrate.
-Egli non suole muoversi da Atene.
-Noi siamo certi di trovarlo in Atene.
-</p>
-
-<p>
-E andando, io pensava: perchè Socrate
-prese moglie?
-</p>
-
-<p>
-Si racconta che una volta gli amici
-domandassero a Socrate: — Come fai,
-o Socrate, a sopportare tua moglie?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè, — rispose gravemente il
-filosofo, — se io riesco a sopportare costei,
-riuscirò a sopportare qualunque
-altro individuo del genere umano. Anzi, — confermò, — la
-ho scelta apposta!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-</p>
-
-<p>
-Eccomi, dunque, per le vie di Atene,
-ed ecco Socrate! Egli si riconosce subito:
-è diverso da tutti gli altri uomini;
-è brutto in mezzo a uomini belli; e a
-differenza dei filosofi che scrivono libri
-e svelano il loro pensiero nelle Accademie,
-Socrate non scrisse libri, e parlava
-per le strade.
-</p>
-
-<p>
-Se, per così dire, io chiudo gli occhi,
-io lo vedo ancora, Socrate! Lo vedo
-per le vie della sua dolce Atene.
-</p>
-
-<p>
-Anche la città era bella, non troppo
-grande, ma meravigliosa città; marmorea,
-sì anche. Ma i marmi di Atene
-erano screziati di azzurro, di oro, intermezzati
-da piante, animati da tante significazioni
-della vita che quei marmi
-rallegravano l’umanità, e non avevano
-l’aria di volerla soffocare. Atene non
-era nemmeno una delle nostre moderne
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-città piatte e monotone. Si elevava nell’acropoli,
-sino all’asta e all’elmo di Minerva:
-poi declinava verso il mare.
-</p>
-
-<p>
-Ora in una città così bella e fra gente
-così bella, Socrate doveva spiccare stranamente.
-È vero che i suoi pensieri
-erano bellissimi ed armonici come una
-musica, anzi; ma questi pensieri non si
-vedevano; si vedevano invece i suoi abiti
-che dovevano essere in disordine.
-</p>
-
-<p>
-I suoi calzari certamente dovevano
-portare la traccia del suo perpetuo vagabondare
-per le vie di Atene, giacchè
-Socrate era un continuo andare e stare;
-e credo di non essere troppo lontano dal
-vero paragonando i calzari di Socrate a
-quelli dei nostri frati zoccolanti.
-</p>
-
-<p>
-Ora guai agli uomini dalla calzatura
-in disordine; essi sono destinati in vita
-ad assaggiare il sapore della cicuta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-</p>
-
-<p>
-Al tempo dì Socrate si portavano i
-sandali, e queste cose si capivano meno.
-Ma al tempo nostro in cui usano le
-scarpe, non sarà, mai abbastanza raccomandata
-la maggior cura e la maggior
-spesa nelle scarpe. Gli Inglesi, dominatori
-del mondo, portano scarpe di
-eccellente modello. I Tedeschi, che vengono
-dopo gli Inglesi, hanno l’abitudine
-di portare scarpe solidissime. Gli Americani
-si affermano con la filosofia delle
-loro scarpe: <i>american shoe!</i>
-</p>
-
-<p>
-La bellezza di Socrate era tutta di
-dentro. Ma ciò non poteva esser bene
-apprezzato se non da un Dio, ed infatti
-Apolline, uno dei più seri fra i dodici
-Iddii greci, lo aveva proclamato «il più
-savio fra tutti gli uomini», che in greco
-si dice <i>sofòtatos</i>!
-</p>
-
-<p>
-Ma è pur vero che Apolline non vestiva
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-mica come Socrate, ma con rara
-eleganza; le pieghe della clamide di
-quel Dio erano molto curate, i calzari
-stupendi, e la chioma la portava lucida
-e fluente come quella di una bellissima
-femmina.
-</p>
-
-<p>
-Non si pensi per tutto questo che
-Socrate fosse, come i filosofi cristiani,
-un disprezzatore della bellezza. Lui non
-era bello ma era un entusiasta della
-bellezza, alla quale anzi non dava i confini
-ristretti che diamo noi. Le chiome
-bionde del giovanetto Fedone gli producevano
-un intenso piacere; ma lui
-era senza chiome e nel volto era piuttosto
-anti-estetico.
-</p>
-
-<p>
-Tutti gli Ateniesi avevano una fronte
-diritta ed il naso regolare. Socrate, invece,
-aveva una fronte un po’ sfuggevole,
-ed una brutta insenatura si approfondiva
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-tra la fronte ed il naso. Ciò
-oggidì sarebbe poco avvertito; ma a
-quei tempi, in cui tutti possedevano
-quella squisita conformazione, doveva
-produrre uno spiacevole effetto.
-</p>
-
-<p>
-Il naso, poi, sarebbe sembrato brutto
-anche ai nostri tempi: lunghetto ed in
-avanti, con le narici scoperte e dilatate,
-quasi in atto di indagare, di fiutare,
-di cercare che cosa ci fosse dentro
-in ogni cosa, <i>ti en ècaston</i>, come si
-dice in greco. E questa era la sua passione.
-</p>
-
-<p>
-Due baffi, lasciando scoperto il labbro
-inferiore, labbro tumido ed alquanto
-carnale, si accartocciavano, in giù per
-il mento, in due volute che si intrecciavano
-con altre grosse arricciature
-della barba, e con un pizzo sul mento;
-rigonfio il pizzo ed a punta caprina.
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-Il tutto poi si confondeva con i
-folti cernecchi di una specie di tonsura
-naturale, perchè il cranio era lungo,
-bozzoluto; ma calvo del tutto. Un barbiere
-moderno si sarebbe trovato in
-grande impaccio per dipanare e mettere
-in ordine quella testa, e distinguere
-baffi, barba, pizzo, capelli. I suoi occhi
-erano grossi, intenti, sporgenti e come
-fissi nello stupore delle cose che lui solo
-aveva veduto indagando quel terribile
-<i>ti en ècaston</i>.
-</p>
-
-<p>
-Sapientissimo, dunque, era stato proclamato
-Socrate, ma non bellissimo, e,
-pur troppo, neanche felicissimo.
-</p>
-
-<p>
-Era proprio ellenico Socrate, o asiatico,
-o trace? Forse di tutto il mondo;
-e forse aveva dal deforme Esopo strappato,
-con la linea esterna, anche una
-scintilla di immortale gaiezza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-</p>
-
-<p>
-Già! Cadrebbe in errore chi imaginasse
-Socrate come un melanconico,
-oppure un infastidito. Era così bella la
-vita, e così splendente il suo pensiero!
-E poi come si poteva far amare la sapienza,
-se la sapienza ha il tristo privilegio
-di renderci melanconici?
-</p>
-
-<p>
-Io non dico per ciò che fosse un ottimista,
-perchè ottimista vuol dire anche
-imbecille. Ecco: era un uomo allegro,
-che però non fu aiutato dal cielo, come
-dice il proverbio, che il cielo aiuta gli
-uomini allegri.
-</p>
-
-<p>
-Anche quando Anito, un signore di
-cui parleremo più avanti, lo obbligò in
-fine a bere la cicuta, egli non era di
-cattivo umore verso l’umanità! Non
-disse come Cristo: «passi lungi da me
-questo amaro calice!» ma bevve la sua
-cicuta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma era possibile che per un po’ di cicuta
-propinata dalla malvagità di Anito
-e compagni si dovesse spegnere del
-tutto questa bella lampada del sole? e
-tutta quella bella lampada ardente che
-era dentro di lui, dovesse scomparire?
-E allora dove andava a finire la logica?
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Brutto, dunque, col mantello un po’
-in disordine, gioviale, anzi pieno di spirito,
-come si dice noi, e piuttosto avanti
-con gli anni. Attorno poi a questo vecchio
-c’erano molti bei giovani. Sì, così!
-Ma per carità, non venga in mente un
-professore.
-</p>
-
-<p>
-Perchè questo paragone è stato fatto,
-ma è erroneo per molte ragioni, fra cui
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-non ultima è questa: che Socrate dichiarava
-apertamente di non saper nulla;
-e un professore che oggi dicesse così,
-verrebbe squalificato, nè alcun merito
-avrebbe per aver, forse, dichiarato il
-vero.
-</p>
-
-<p>
-A me, dunque, pare di vedere questo
-vecchio Socrate per le vie di Atene.
-Egli conosceva tutti nella sua cara città
-e da tutti era conosciuto. Fermava la
-gente, ammiccava con quei suoi occhi
-grossi, sorrideva, si studiava di parere
-piacente, anzi allettatore. In quella città
-loquace come le sue cicale, egli era loquacissimo
-con tutti. Fermava la gente
-e diceva:
-</p>
-
-<p>
-— Amico, bada a me, io sono un
-buon mezzano: sai che ci stanno di belle
-giovinette lassù? Di’, le vogliamo andare
-a trovare?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sì bene, o Socrate, e come si
-chiamano esse?
-</p>
-
-<p>
-— Una si chiama Aretè (Virtù), l’altra
-Enkràteia (Temperanza): e poi c’è
-Dike (Giustizia), c’è Sofrosine (Saggezza).
-</p>
-
-<p>
-— Sta buono, Socrate; tu hai tempo
-da perdere: lasciami andare per le mie
-faccende.... Dike è un pezzo che ha abbandonato
-il mondo degli uomini. Lo
-dice anche Esiodo. Si vede che fra noi
-non ci stava troppo bene ed ha chiesto
-a Giove il passaporto.
-</p>
-
-<p>
-— Ma di’, amico, non vogliamo noi
-diventare belli e buoni, e richiamare in
-terra la nobile Dike, anche se ella si è
-disgustata di noi, e promettere di non
-farle più oltraggio? E non ci piglieremo
-noi cura della bellissima Aretè, figlia
-abbandonata? E non ti pare ella cosa
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-per cui noi saremmo superiori agli Dei,
-non fare mai oltraggio e torto a nessuno,
-nemmeno, sì, nemmeno ai nostri
-nemici?
-</p>
-
-<p>
-— Sono cose troppo difficili. Io credo
-che sarà bene rimandarle per un’altra
-volta. Ora preferisco ragazze di più dilettevole
-genere che la non più giovane
-signorina Aretè. Sai che c’è in Atene
-Cleonetta, Socrate caro? È il più bel
-fiore che io abbia mai visto sbocciare
-nei giardini umani; essa poi è stata
-qualche tempo a scuola a Mitilene, nell’isola
-di Lesbo, ed è sbarcata, or non
-è molto, piena di sapienza e di entusiasmo.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, amico, — gli rispondeva Socrate, — pensa
-a questa cosa: le tarantole
-che sono ragni grandi non più di
-mezzo òbolo, se toccano l’uomo con la
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-bocca, lo straziano e gli fanno perdere
-il giudizio. Se tanto arriva a fare una
-bestia così piccola, pensa che cosa può
-fare una bestia così grossa con i suoi
-baci! E poi, di’ un po’, dov’è la dignità
-dell’uomo, dov’è la libertà dello spirito,
-ed anche la sanità del corpo a star
-lì, appiccicato ad una donna, a domandare
-la carità dei baci come un mendicante?
-</p>
-
-<p>
-— Avrai ragione anche qui, non ti
-dico di no. Ma se tu mi incominci a far
-della morale, ti saluto gioia della vita!
-Preferisco Cleonetta.
-</p>
-
-<p>
-E quegli se ne andava.
-</p>
-
-<p>
-E allora Socrate ne fermava un altro:
-— To’, senti: io ho una vergine, la più
-bella di tutte le donne....
-</p>
-
-<p>
-— Più di Leena? più di Cioè?
-</p>
-
-<p>
-— Più di tutte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Vediamo se la conosco. Si chiama?...
-</p>
-
-<p>
-— Eleuteria (Libertà).
-</p>
-
-<p>
-— Va, pazzerellone! Eleuteria? La
-libertà? Vergine costei? Vecchia baldracca
-ella è! Non c’è nessuna spia,
-vero? nessun sicofante c’è qui vicino
-che ci ascolti? Bene, senti, Socrate mio:
-io non ne posso più della libertà, siamo
-soffocati dalla libertà, qui in Atene.
-Come si stava bene quando il lacedemone
-Lisandro inaugurò coi suoi trenta
-Tiranni il sistema della cuffia del silenzio
-e delle verghe! I galantuomini potevano
-vivere in pace, in quei giorni di
-stato d’assedio. Oggi la libertà è tutta
-a beneficio dei politicanti e dei birbanti.
-Oh, ma non ti scappi mica per detto,
-sai!
-</p>
-
-<p>
-— Ma io non ti parlo, o ammirabile
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-uomo, di quella libertà; ma di un’altra
-libertà ben più vera: la libertà dell’animo
-io voglio dire.
-</p>
-
-<p>
-— Bravo, Socrate, e di quella poi
-cosa me ne faccio? Mi dovrò regolare io
-con la mia testa e non con la testa degli
-altri? Ma sai che è una vaga fatica questa
-che mi vuoi far fare tu? No, caro
-Socrate, la libertà dell’anima sarà una
-cosa assai bella; ma, credi, non è pratica.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Non v’erano che i giovani, l’eterna
-purità della vita, non ancora contaminata
-dall’esperimento, che lo ascoltavano
-con entusiasmo.
-</p>
-
-<p>
-La divina giovinezza ha sempre creduto,
-e crede anche oggi, che sia cosa
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-facile rinnovare il mondo. E ci credeva
-probabilmente, anzi certamente, anche
-Socrate. Egli era vecchio, sì bene; ma
-il mondo era giovane; il mondo era piccolo,
-il mondo era Atene, utero dell’avvenire.
-</p>
-
-<p>
-Oh, i giovani subivano il fascino dell’ammirabile
-favolatore. Essi venivano
-da lontano per ascoltarlo. Antistene di
-Tracia faceva quaranta stadi al giorno
-per poterlo ascoltare; Euclide di Megara
-si travestiva da donna per potere
-entrare in Atene, e le parole di lui accendevano
-tale ebbrezza che nell’udirle
-balzava a quei giovani il cuore come ai
-coribanti. E quali potenti ed ingenue
-imagini essi trovarono per esaltare il
-loro maestro! Memnone, un altro discepolo,
-paragonava Socrate ad una torpedine,
-che è un brutto pesce di mare,
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-gelatinoso, tutto maculato e a bitorzoli;
-ma guai a chi lo tocca: dà una scossa
-e fa cader nel torpore. Così la parola
-di Socrate faceva cadere l’anima in un
-divino torpore.
-</p>
-
-<p>
-Bisognava chiamarsi Anito per rimanere
-insensibili!
-</p>
-
-<p>
-Ma il bell’Alcibiade aveva un paragone
-anche più folgorante e superbo.
-Egli diceva: «Tu, o Socrate, sei come
-un Sileno, buffone al di fuori con zampogne
-e con flauti in mano; ma divino
-dentro tu sei, e tutto pieno delle terribili
-imagini dei Numi».
-</p>
-
-<p>
-Oh, incredibile paragone! Dunque
-attraverso la corporalità materiale di
-Socrate intuivano quei giovani alcunchè
-di divino e di terribile? Sì! Essi, attraverso
-la mobilità irrequieta dei gesti e
-delle parole di Socrate, vedevano una
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-cotale impassibilità interiore, un che
-di incognito di dentro, proprio come
-quando noi riguardiamo negli occhi
-aperti, ma senza luce, di una statua di
-nume greco.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-— Ma sai tu, o uomo, — proseguì allora
-Socrate, accendendosi di entusiasmo
-contro colui che non sapea che farsene
-della libertà, — sai tu il segreto
-degli Dei?
-</p>
-
-<p>
-— Io no, ma se è bello raccontalo!
-</p>
-
-<p>
-— Sai tu quello che il Dio ha detto
-all’uomo? Dio ha detto all’uomo: io non
-ti do un volto, non ti do una sede fissa,
-non ti do una speciale forza o istinto
-come agli altri animali; ma quello che
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-vorrai, sarai. Tutte le altre cose ubbidiscono
-a leggi immutabili; tu, uomo,
-sei nell’arbitrio tuo. Tutto ha confine;
-ma tu, uomo, lo stabilirai tu il tuo confine.
-Ti collocai in mezzo al mondo perchè
-tu vedessi quello che è il mondo.
-Non ti ho creato nè terreno, nè celeste,
-nè mortale, nè immortale. Sarai quello
-che tu vorrai! Tu, tu potrai, se vuoi,
-degenerare giù sino ai bruti; potrai, se
-vuoi, trasformarti sino agli Dei....
-</p>
-
-<p>
-— Bravo, — rispose l’allegro Ateniese, — e
-i miei affari allora? Ci badi
-tu ai miei affari? Dare la scalata all’Olimpo?
-All’Olimpo della ricchezza,
-del gran <i>chic</i>, eh, eh! ci starei. Ma all’Olimpo
-degli Dei, oibò, Socrate! Oh,
-ma guarda, Socrate, Socrate, già che
-tu mi costringi a pensare anche con la
-mia testa, guarda un po’: gli Dei poi in
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-fin dei conti cosa sono? un gran <i>chic</i>,
-un gran <i>snob</i>. Te lo dimostro subito:
-noi andiamo a piedi o a cavallo, se abbiamo
-il cavallo: loro vanno in processione
-sulle nubi: noi soffriamo qualche
-volta di indigestione, essi no: essi godono
-il piacere della guerra, ma evitano
-la noia di farsi del male o di morire:
-essi si divertono a mettere al
-mondo figliuoli, ma hai visto mai Giunone
-fasciare ed allattare marmocchi o
-Giove condurli a scuola? «Gli Dei dinanzi
-al piacere posero il sudore!»
-hanno sentenziato gli Dei. Bella sentenza!
-Per i minchioni, però. Hai visto
-mai un Dio sudare? Mai! Bensì dall’Olimpo
-loro si divertono a veder sudare
-gli uomini e dicono: «Oh, gli industri
-uomini!» Dunque sì, Socrate, io
-voglio essere simile agli Dei, cioè stare
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-in panciolle, libero di godere e niente
-lavorare.
-</p>
-
-<p>
-— Altri, altri Dei più veri e più
-grandi.... — disse Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Questi li hai tu nel tuo cervello
-strambo, o Socrate. Va là, non mi far
-pensare! Sai tu perchè Giove ha quella
-bell’aria gioviale; è sereno, olimpico,
-beato, ed è decorato di quella bella barba
-nero-turchina, con quella capigliatura
-solida che gli ha appiccicato Fidia?
-Perchè pensa poco, caro! Perciò
-non ha mai mal di testa. La sola volta
-che se la sentì un poco pesante, prese
-una purga e venne fuori Minerva: una
-dea, sia detto fra noi, un po’ turbolenta
-e seccante, benchè sia la protettrice
-della nostra città.
-</p>
-
-<p>
-E colui se ne andava.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Colui se ne era andato; ed ecco cautamente
-un leggiadro giovanetto si accostò
-a Socrate. Questo giovanetto oltre
-che leggiadro e ben vestito, era anche
-molto prudente. Il suo nome era Iscomake.
-Costui era innamorato di una
-bella giovinetta, la quale filava virtuosamente
-la lana nel gineceo, con le ciglia
-abbassate, accanto alla cara madre.
-</p>
-
-<p>
-Ora Iscomake vedeva sotto le grandi
-ciglia abbassate modestamente della
-sua cara fanciulla passare un lampo delizioso
-che gli metteva i brividi addosso,
-e quel lampeggiare diceva: «Iscomake,
-Iscomake, sapessi come mi annoio qui,
-nel gineceo, a filare, soletta soletta, la
-lana, e come mi è faticoso oramai essere
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-savia, savia, savia, come mi dice sempre
-la mamma!»
-</p>
-
-<p>
-Anche vedeva quel suo bianco piccolo
-piede nudo, sorretto da un sottile
-calzare che le dava una grazia ed una
-venustà senza pari; sentiva l’umido
-profumo della sua chioma nera e delle
-sue carni di ambra.
-</p>
-
-<p>
-Dunque Iscomake era molto innamorato
-ma anche molto prudente. Egli
-perciò, sapendo della grande sapienza
-di Socrate, gli domandò: — Socrate, faccio
-bene o faccio male a prender moglie?
-</p>
-
-<p>
-E Socrate contemplò con quei suoi
-occhi la ingenua giovinezza di Iscomake,
-e disse: — Io dico, Iscomake, che
-quale di queste due cose farai, tu te ne
-pentirai.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, Socrate, — disse il giovane. — quale
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-risposta è la tua! Pensa che i
-miei genitori e i genitori di lei oramai
-tutto hanno disposto perchè le nozze avvengano
-nel più breve tempo, ed io altra
-cosa non desidero più ardentemente. La
-mia domanda a te, che sei savio, voleva
-piuttosto dire questo: «che cosa
-è il matrimonio? come devo comportarmi
-verso quella che amo, e come lei
-verso di me, affinchè noi possiamo condurre
-una vita felice?»
-</p>
-
-<p>
-E Iscomake cominciò a lagrimare,
-come quegli che vedeva per quella strana
-risposta un’ombra lugubre distendersi
-sull’orizzonte della sua vita.
-</p>
-
-<p>
-— Io ti rispondo come è veramente:
-io ti dico, Iscomake, — disse Socrate, — che
-tu farai male a non prender moglie,
-e la ragione è questa: perchè la
-casa dell’uomo senza la donna è infinitamente
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-triste. Il focolare di Vesta,
-o amico, non arde e non riscalda, se
-Vesta, la dea, cioè la donna, manca
-nella casa.
-</p>
-
-<p>
-— Ed allora, perchè, o Socrate, io mi
-pentirò lo stesso se prenderò moglie?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè tu, Iscomake, credi che
-il matrimonio sia la soddisfazione del
-piacere, mentre è la soddisfazione della
-saviezza.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, per questo, Socrate, — disse
-Iscomake, — sta pur sicuro che i miei
-genitori mi hanno allevato bene: mio
-padre mi ha sempre detto: «il tuo dovere,
-Iscomake, è di esser savio».
-</p>
-
-<p>
-— Bene, Iscomake. E la tua sposa?
-È savia anche lei?
-</p>
-
-<p>
-— La madre di lei, — rispose Iscomake, — le
-ripete sempre: «il tuo dovere,
-figliuola, è di essere savia».
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sa tessere e filare?
-</p>
-
-<p>
-— Sa tessere e filare.
-</p>
-
-<p>
-— Docilmente e silenziosamente?
-</p>
-
-<p>
-— Io credo di sì, Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Hai osservato anche se per caso
-non abbia disposizione a consumare in
-un mese quello che deve bastare per un
-anno? a comparire più bella di quello
-che è, perchè il matrimonio — bada! — è
-anche la società di due corpi!
-</p>
-
-<p>
-— Ha quindici anni soltanto, Socrate.
-Ma io credo che sia massaia, silenziosa,
-docile, modesta. Però ti dico
-che a tutte queste cose non ho mai pensato.
-Ad ogni modo io farò come fanno
-tutti gli altri Ateniesi che hanno moglie:
-provvederò che le serrature del
-gineceo chiudano bene.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ma questo che si usa in Atene,
-non è, o Iscomake, il matrimonio
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-come fu stabilito dal Dio che ha costruito
-il mondo, — disse Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa ha stabilito il Dio, quello
-che tu chiami il costruttore del mondo?
-</p>
-
-<p>
-— Ha stabilito che il matrimonio
-fosse una specie di giogo, o tiro a due,
-rappresentato da un uomo e da una
-donna. Ti spiegherò meglio: una società
-mutua in cui le condizioni dei
-due contraenti, cioè dell’uomo e della
-donna, siano perfettamente eguali e
-squisitamente leali. Il contratto non
-sarà leale, se, per esempio, la donna
-cercherà di apparire più bella col lavorarsi
-la faccia, o più affascinante col
-camminare sopra un paio di sandali
-alti!
-</p>
-
-<p>
-— Ed anche se io sono più ricco di
-lei, lei sarà uguale a me? — domandò
-Iscomake.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Anche, Iscomake! Se lei saprà
-meglio di te amministrare questa società
-del matrimonio, lei sarà superiore
-a te. E se la donna sarà migliore dell’uomo,
-tu sarai ben felice di esserle
-servo e cavaliere.
-</p>
-
-<p>
-— Ma questa cosa non si è mai sentita
-dire, che la donna sia uguale all’uomo, — disse
-Iscomake.
-</p>
-
-<p>
-— Eppure è proprio così, — rispose
-Socrate. — L’uomo e la donna sono stati
-fabbricati con le stesse facoltà, e per
-questo non si distingue se sia superiore
-il genere maschile o il femminile. La
-differenza consiste in questo, che i due
-sessi non sono adatti per le stesse cose:
-anzi il Dio punisce l’uomo che fa
-opera da donna, e la donna che fa opera
-da uomo. L’uomo è più adatto per le cose
-esterne; la donna, per le cose interne.
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-La donna ha più affettività, una attività
-più solerte e minuziosa, un senso
-di previdenza del pericolo. Alla sua
-volta l’uomo è più forte ed ha il dovere
-della intrepidità e della difesa. Perciò i
-due sessi si completano in quanto l’uno
-ha bisogno dell’altro.
-</p>
-
-<p>
-— E quando la donna diventa brutta
-o vecchia, — domandò Iscomake, — non
-la ripudierò io per prenderne un’altra
-più bella e più fresca?
-</p>
-
-<p>
-— Quanto più la donna — disse Socrate — sarà
-buona compagna, custode
-di te, dei figli, della casa, tanto più la
-onorerai, perchè i veri beni si acquistano
-non con la bellezza, ma con la virtù.
-</p>
-
-<p>
-— Ma allora il matrimonio è un
-esercizio di virtù, — disse Iscomake,
-molto avvilito. — E tutto questo sacrificio,
-perchè?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-</p>
-
-<p>
-— A vantaggio del genere umano, — rispose
-Socrate. — Il piacere serve
-per la vita, ma non è la vita.
-</p>
-
-<p>
-Ora Iscomake aveva poco più di
-vent’anni. Egli aveva pensato a portarsi
-a casa la sua adorabile giovinetta,
-e non a lavorare per il genere
-umano.
-</p>
-
-<p>
-Era il volto di Iscomake assai triste
-e avvilito, nè sapea che rispondere,
-quando improvvisamente esclamò:
-</p>
-
-<p>
-— Ecco, ecco, anche tu, Socrate, ti
-volti e la guardi!
-</p>
-
-<p>
-In quel punto passava Cleonetta, la
-bella etèra che era stata agli studi
-nell’isola di Lesbo, ed ora era venuta
-in Atene a vendere rose; e profumo di
-rose e di muschio sfuggiva dalla sua
-persona, come da un’anfora.
-</p>
-
-<p>
-— Che mi guardi anche tu, figlio di
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-Sofronisco? — disse la bella etèra. — Sta
-in pace, Socrate, la deliziosa taràntola
-non morderà al tuo vecchio cuoio!
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Che cosa abbia poi deliberato il giovanetto
-Iscomake, noi non sappiamo e
-ci interessa ben poco. A noi importa di
-assicurare che il discorso su riferito non
-è per niente una nostra invenzione: ma
-è autentico. Esso dimostra che razza di
-complicazione fosse fin da allora il matrimonio
-nella mente di quel giudizioso
-filosofo!
-</p>
-
-<p>
-Ah, se invece di un Dio, grande Architetto
-dell’Universo, fosse stata una
-Dea, la Architetta, le cose sarebbero
-passate più semplici e meno melanconiche!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma una cosa a me sta a cuore di notare
-in questi ragionamenti di Socrate
-ad Iscomake intorno al matrimonio, ed è
-la questione dei calzari, che noi diremmo
-delle scarpette.
-</p>
-
-<p>
-Si tratta di una seria questione, perchè
-Socrate dice: «il contratto fra l’uomo
-e la donna non sarà leale se la donna
-cercherà di apparire più splendente
-col tingersi la faccia, o più dominante
-ed affascinante camminando sopra un
-paio di sandali alti».
-</p>
-
-<p>
-Ora è il vero che un paio di pantofole — invece
-delle scarpette — rendono una
-donna antiestetica, e non è questa una
-scoperta — come ben si vede — fatta
-ai nostri tempi!
-</p>
-
-<p>
-E generalmente accade che una donna
-preferisce apparire sleale piuttosto che
-antiestetica per colpa delle pantofole.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tuttavia è indiscutibile che le pantofole
-hanno, sotto un certo aspetto, un
-pregio molto superiore alla questione
-della lealtà: esse non fanno rumore!
-</p>
-
-<p>
-Imaginiamo una moglie che passi come
-un crotalo da una stanza all’altra,
-battendo sul pavimento i tacchi alti delle
-sue scarpette; e un’altra moglie invece
-che si muove silenziosamente, monacalmente
-silenziosa entro due pantofole....
-</p>
-
-<p>
-Ah, sì! io lo so: un’anima giovane
-di uomo rimane atterrita da quelle pantofole:
-egli sogna due tacchi alti in due
-scarpette lucide. E dato il caso che possano
-far rumore, ci stende sotto una
-processione di viole e di rose, o più semplicemente
-un folto tappeto d’oriente.
-E dopo le scarpette, sogna due mani
-carezzevoli ambrate e profumate, che
-sono il prolungamento tattile di due
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-braccia tenere e poderose insieme, le
-quali — quando lui torna a casa con la
-bocca un poco amara per avere mangiato
-le prime foglie secche della delusione — gli
-si avviticchiano dietro le
-spalle; e le mani soavi gli si posano
-sulle guance, poi sugli occhi. Una voce
-adorabile dice intanto: «Mi conosci,
-amore? Chi è? È la tua adorabile sposina?»
-E spesso le lebbra umidette e
-ristrette si allungano, si applicano sul
-volto dell’uomo in un’azione benefica,
-e, dirò così, antiflogistica, come fa la
-sanguisuga che porta via le acrità e
-il mal calore del sangue.
-</p>
-
-<p>
-Io ho visto questa semplice e deliziosa
-scena ripetuta molte volte sui teatri
-da alcune nostre graziosissime attrici,
-per le quali la menzogna è piacere
-e insieme dovere professionale: e devo
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-confessare che in verità erano meravigliose
-operazioni allo scopo di rinfrescare
-l’uomo dopo il calore della battaglia
-quotidiana.
-</p>
-
-<p>
-Dopo ho veduto l’uomo alzarsi, scuotersi,
-buttare quasi a terra le scaglie
-del dubbio, della tristezza, dell’abbattimento:
-balzare in piedi rinnovato di
-fronte alle lotte della vita, come se
-avesse dormito dodici ore di sonno riparatore.
-Egli esclama: «Adesso mi
-sento forte!»
-</p>
-
-<p>
-Questo spettacolo è attraente e seduce
-non soltanto i giovani, ma anche
-i vecchi spettatori; e chi ha di già preso
-moglie e questa si è fatta acida e matura,
-sogna di procurarsi una seconda
-moglie o qualcosa di equivalente, con
-cui ripetere questa cura igienica ed insieme
-patetica.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nella realtà della vita questo spettacolo
-bellissimo si ripete come sul palcoscenico:
-ma con meno frequenza.
-</p>
-
-<p>
-Il giovane, ahimè, dimentica che le
-rose e le viole fioriscono in tempo di
-primavera; che i tappeti orientali costano
-caro; e che quello spettacolo che
-abbiamo descritto, riesce bene, se esiste
-anche un’abile cuoca che sopraintenda
-alla cucina.
-</p>
-
-<p>
-Se queste ed altre condizioni non si
-mettono insieme, l’esperienza a lungo
-andare riesce col non riuscire più bene.
-Anzi non soltanto non riesce affatto;
-ma può accadere di vedere quelle care
-labbra, già socchiuse ai baci, ingrandirsi
-smisuratamente, come in un’antica
-maschera tragica, ed in cambio
-delle parolette flautate, sgorga un torrente
-di male parole, di recriminazioni
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-amare, triste seme di frutti più
-amari.
-</p>
-
-<p>
-Ma gli uomini, con tutto questo, seguitano
-ad andare in cerca di quelle
-donne che portano le scarpette lucide,
-coi tacchi sovrani; ed anche Socrate,
-dopo il saggio discorso, si era voltato
-a contemplare Cleonetta, la bellissima
-etèra.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap4">IV.
-<span class="smaller">Socrate e la Morte.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Socrate col lungo naso fiutava la
-scìa dei profumi che lasciava dietro a
-sè Cleonetta, quando ecco un altro giovane
-di nome Clinia, figlio di Assioco,
-che accompagnato da un amico e dal
-suo maestro di musica, corre per le vie
-di Atene: — Socrate, Socrate, — grida, — dove
-è Socrate?
-</p>
-
-<p>
-Lo trovò alfine. Egli era presso all’Ilisso,
-dove sgorga la Bella Fontana.
-Allora Clinia, riempiendosi gli occhi di
-lagrime, disse: — Ora è tempo, Socrate,
-di mostrare coi fatti quella sapienza
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-che tu lodi sempre. Non sai? mio padre
-è in fin di vita: egli che poco fa si rideva
-di quelli che hanno paura della
-morte, ora è disperato! Vieni, vieni tu
-a confortarlo, così che egli senza lamenti,
-si avvii al suo fato, ed io mostri
-di essere anche in ciò pietoso figliuolo.
-</p>
-
-<p>
-E Socrate, levandosi, disse: — Tu
-non chiederai inutilmente a me cosa alcuna
-che sia giusta; ma questa poi è
-santa! — E si affrettò verso la casa di
-Assioco. Come vi arrivarono, videro costui
-il quale giaceva nel letto ed era
-molto disperato perchè doveva morire.
-Assioco era stato, come noi diremmo,
-un lottatore della vita, un uomo politico.
-Ma allora era assai languido ed
-afflitto, perchè doveva assolutamente
-morire.
-</p>
-
-<p>
-Socrate, appena lo vide, così gli parlò: — Oh,
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-ma cosa è questo, Assioco?
-Come? tu che ti sei sempre mostrato
-valoroso nei finti combattimenti, adesso
-hai paura di quelli veri? Ma non sapevi
-tu che la vita è come una peregrinazione,
-un passaggio? No, non è da
-uomo nè da Ateniese lamentarsi così.
-</p>
-
-<p>
-— Belle parole, Socrate, — rispose
-Assioco faticosamente, — ma non valgono
-un fico secco: io ho paura, capisci
-tu?, quando penso che fra poco sarò
-senza luce e privato di tutti i miei poderi
-e delle mie ricchezze, e mi sentirò
-trasmutato in putrefazione ed in vermini;
-e questo avverrà in qualunque
-luogo mi mettano. Sai tu che è orribile?
-</p>
-
-<p>
-— Ma tu parli, Assioco, — disse Socrate, — come
-se dopo morto avessi da
-tornare ancora vivo! Di’ un po’, Assioco,
-al tempo del governo di Dracone
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-soffrivi tu qualche male? No, perchè tu
-non eri ancor nato. Bene, così tu non
-soffrirai nessun male dopo morto. Dove
-vuoi che trovi posto il male, se tu non
-ci sarai più?
-</p>
-
-<p>
-— Ma è — ripeteva Assioco — che
-io voglio bene alla vita e che adesso
-soffro per il dolore di vedere distrutta
-la mia vita!
-</p>
-
-<p>
-E allora Socrate cominciò, per confortarlo,
-a raccontare tutti i mali della
-vita: «Gli Dei filarono ai mortali una
-dolorosa vita, perchè nessun animale è
-più miserabile dell’uomo fra quelli che
-respirano l’aria e strisciano per terra».
-</p>
-
-<p>
-E siccome Assioco era stato uomo di
-governo, e Atene era una città democratica,
-così Socrate gli parlò di tutti gli
-inconvenienti della democrazia, come io
-credo avrebbe parlato di tutti gli inconvenienti
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-della aristocrazia, se Atene
-fosse stata una città governata a tirannide. — Tu,
-mio caro, — diceva Socrate, — sei
-stato come un balocco in mano
-della plebe: oggi applausi, feste, carezze:
-domani sei stato fischiato, esigliato,
-scomunicato. Ti pare? È una
-bella vita questa?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì, — dice Assioco, — questo è
-vero. Quel cervello balzano di Aristofane
-che disse male di tutti, in fine non
-aveva torto quando satireggiò il Demos;
-ed io lo so, che ci sono stato
-dentro. Chi si accosta al popolo è molto
-più miserabile di lui. Ma anche con
-tutto questo di morire non ne voglio
-sapere: io voglio invece diventare vecchio,
-molto vecchio; ma non morire.
-</p>
-
-<p>
-E allora Socrate cominciò dolcemente
-a persuaderlo che diventar vecchi è una
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-cosa anche più brutta che aver da fare
-col popolo. — La Natura, vedi, Assioco,
-ci ha dato la vita come fosse un prestito.
-Un’usuraia, sai, è la Natura! Se
-tu non sei disposto a restituirle il suo
-prestito, cioè la vita, lei te la ipoteca, ti
-mette le mani alla gola, ti porta via la
-vista, l’udito. Tu resisti? e lei ti rende
-paralitico, brutto. Tu resisti ancora? e
-lei ti rende imbecille come un bambino.
-Ecco perchè molti vecchi sono come
-bambini. Credi, Assioco, che la partenza
-da questa vita non è che un passaggio
-da un male ad un bene, tanto è
-vero che gli Dei liberano molto presto
-dalla vita quelli che essi amano.
-</p>
-
-<p>
-— Bravo! — sospirò con amaritudine
-Assioco. — E allora tu che sai tutte
-queste belle cose, perchè stai al mondo?
-perchè non muori anche tu?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Caro, è qui l’errore, — disse Socrate. — Ma
-io non so che poche cose,
-e le più comuni, che sono quelle che ti
-ho dette. Queste poche cognizioni che
-io possiedo, le ho comperate da un gran
-sapiente, che però, bada, se le faceva
-pagare. Niente per niente. Per alcune
-cognizioni voleva otto oboli, per altre
-due dramme; alcune non le cedeva che
-a quattro dramme l’una. Io ci ho speso
-tutto quel po’ che mi lasciò il mio povero
-padre. Ma credi, che ne sono contento,
-perchè da ora innanzi, o Assioco,
-la mia anima desidera la morte.
-</p>
-
-<p>
-— Be’, contami un po’ su, — disse
-Assioco, — perchè la tua anima desidera
-la morte.
-</p>
-
-<p>
-E allora cominciò Socrate a dire il sogno
-delle meravigliose parole. Oh, allora
-quale olio santo egli recò al morente!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-</p>
-
-<p>
-Oh, preti; oh, preti, che al morente
-ripetete le lugubri parole di non so quale
-enorme peccato, ed impassibili compite
-i gesti macabri col crisma, leggete di
-Socrate, e interpreterete meglio Cristo,
-redentore nostro!
-</p>
-
-<p>
-Perchè Socrate apri le sue labbra e
-disse: — Oltre alle cose che ti ho dette,
-vedi, Assioco, vi sono molte e belle ragioni
-per credere anche nell’immortalità
-dell’anima. Ma ti pare che una natura
-mortale avrebbe potuto levarsi a
-tanta altezza da domare le belve, passare
-i mari, conoscere il cammino del
-sole e delle stelle, fondare le città, gli
-stati, tramandarne la memoria, se non
-ci fosse in noi uno spirito immortale?
-Io credo proprio che tu non andrai verso
-la morte, ma verso la immortalità, o
-Assioco! Perchè tu devi sapere che l’anima,
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-essendo sparsa per i pori del
-corpo, si trova come imprigionata in
-questa materia, e perciò desidera di ritornare
-al suo luogo proprio, al suo
-principio, così che non appena ti sarai
-liberato da questa composizione corporale,
-tu ti troverai immerso nell’eternità,
-cioè in una nuova vita senza dolore
-e senza vecchiaia, dove tu potrai contemplare
-tutta la verità, viva e fiorente,
-e potrai ragionare sul serio, mentre sino
-a qui tu hai ragionato, o per far piacere
-alla moltitudine o per metterti in bella
-vista. Consòlati, dunque, consòlati, Assioco:
-non c’è posto per la morte, perchè
-non c’è un atomo che essa possa ridurre
-in niente.
-</p>
-
-<p>
-Ma ad Assioco poco importava della
-prigione del corpo dove si era sempre
-trovato abbastanza bene, e meno ancora
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-della verità fiorente: voleva sapere di
-preciso quello che sarebbe accaduto di
-lui personalmente; e allora Socrate gli
-parlò della geografia di oltretomba, cosa
-molto incerta anche allora, cioè di certe
-beate isole dove vanno a finire i morti.
-</p>
-
-<p>
-— Queste beate isole lontane sono
-circondate dal profondo oceano. Tre
-volte all’anno la terra ferace matura di
-per sè rigogliosi frutti e dolci come il
-miele. Le anime dei morti vi soggiornano
-libere da ogni affanno. Ma bada,
-Assioco, che prima di arrivare a quelle
-isole, si va in una pianura chiamata il
-luogo della verità perchè lì ci stanno i
-giudici, e bugie non se ne possono dire,
-nè i giudici si possono comperare come
-in Atene. Se nella vita sarai stato buono,
-o Assioco, se sarai vissuto piamente,
-allora essi ti imbarcano per quelle isole
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-che si chiamano Fortunate: la primavera
-lì non finisce mai, gli alberi sono
-pieni di frutta, vi sono banchetti, danze
-e molti altri divertimenti, come mi disse
-un mago che mi ha insegnato tutte queste
-cose.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Quest’ultimo genere di discorso consolò
-Assioco più di ogni altro discorso.
-</p>
-
-<p>
-— Se è così, quasi quasi mi fa piacere
-di morire, — disse, — benchè morire
-sia in tale caso un termine improprio,
-non ti pare, Socrate?
-</p>
-
-<p>
-— Ma certamente! Noi non moriamo;
-noi andiamo all’immortalità.
-</p>
-
-<p>
-— E allora senti, Socrate: torna
-dopo mezzogiorno a ripetermelo un’altra
-volta questo bel discorso. Adesso
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-mi metto qui quieto! — E le palpebre
-gli scesero giù, e Assioco vide il suo
-viaggio verso le Isole Fortunate, con
-tutte quelle belle cose che lo aspettavano
-di là. Peccato che ci fosse quella
-pianura della verità; ma sperava di cavarsela
-abbastanza bene. Del resto, poi,
-tutto il mondo è paese, e i giudici di
-quella pianura era probabile che fossero
-anche loro un po’ come quelli di
-Atene, cioè gente da bene con cui non è
-difficile venire ad onesti accomodamenti.
-</p>
-
-<p>
-Stette un po’ Socrate riguardando silenziosamente,
-quando Assioco si riscosse
-e domandò:
-</p>
-
-<p>
-— Credi tu, Socrate, che sia necessario
-molto denaro portare nell’Ade?
-</p>
-
-<p>
-— Non credo.
-</p>
-
-<p>
-Assioco volse, consolato, uno sguardo
-verso il forziere dell’oramai vana pecunia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Socrate uscì piano piano dalla camera
-di Assioco, e additò il morente,
-ora tranquillo e sopito, a Clinia; e dopo
-alquanto si ritrovò ancora presso l’Ilisso,
-alla Bella Fontana, che era un luogo
-fuori di porta.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap5">V.
-<span class="smaller">Questioni molto serie
-proposte da Santippe a Socrate.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Ed era oramai il mezzodì.
-</p>
-
-<p>
-Volgendo gli occhi in alto, si vedeva
-sul vertice enorme del Partenone la
-gran figura bronzea di Pallade folgorante
-nel sole, erta sopra tutti gli Dei,
-tutta chiusa nelle armi; il divino suo
-volto e l’asta protesa contro ogni barbarie.
-</p>
-
-<p>
-Socrate, seduto presso la fontana,
-pensava al padre suo che fu un uomo
-buono, ed alla madre sua. Ambedue
-erano morti da molto tempo, ma egli li
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-rivedeva presenti ancora, al di là della
-morte.
-</p>
-
-<p>
-E la bella fontana mormorava nel
-mezzodì.
-</p>
-
-<p>
-Suo padre era stato uno scultore e si
-chiamava Sofronisco; la madre sua si
-chiamava Fenarete, ed era stata una
-levatrice. Ebbene, egli proseguiva nel
-mestiere del padre e della madre: era
-uno scultore di anime ed un alleviatore
-del dolore umano, come sua madre, la
-levatrice.
-</p>
-
-<p>
-Pensava anche alle fole dette ad Assioco,
-a quelle improvvise, strane parole
-che gli erano venute su dal cuore:
-<i>Oltre a ciò sappi, o Assioco, che
-molte e belle sono le ragioni le quali
-mostrano la immortalità dell’anima</i>;
-e non sapeva più se quelle erano fole
-o realtà. Il rombo delle sue parole al
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-morente gli durava ancora nel cuore.
-Dolce è il profumo d’ambra e di rose
-che sprigionava il corpo di Cleonetta:
-dal disfatto corpo di Assioco già si diffondeva
-il lezzo della morte. Misteriosi
-sensi! Eppure vi doveva essere una resurrezione;
-un divino eterno ritorno!
-</p>
-
-<p>
-Il sole faceva splendere la non lontana
-marina. Lontano, lontano, in più
-lontano mare, ecco apparire le Isole
-Beate; e sul prato dell’asfodelo sotto il
-gran verde di belle piante, sorridevano
-coloro che piansero in vita; quelli che
-qui soffersero per ingiusto giudizio,
-erano colà da più veri giudici consolati.
-</p>
-
-<p>
-Felicità inconcepibile! E allora Socrate
-ripetè a sè stesso quelle parole
-che poco prima aveva dette ad Assioco:
-«Da quest’ora l’anima mia desidera la
-morte!»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-</p>
-
-<p>
-La fontana mormorando dolcemente,
-pareva consentire con lui; e su nel cielo
-il sole pareva una grande pupilla che
-lo guardasse. Egli riguardò nel sole, e
-come un brivido gli passò per il cuore
-in quel calore del mezzodì. Forse non
-fu soltanto Sofronisco il padre suo nè
-Fenarete la sua sola madre; forse anche
-quello lassù, il sole, Apolline, fu il padre
-suo.
-</p>
-
-<p>
-Ma oramai era già trascorsa l’ora che
-gli Ateniesi dicevano del mercato vuoto,
-cioè del mezzodì, quando tutti ritornano
-a casa.
-</p>
-
-<p>
-Ed anche Socrate si avviò, come era
-usato, verso casa, e tutta la sua mente
-era infiorata e come inabissata in questi
-pensieri della vita e della morte. Ma
-non appena fu giunto in vista della sua
-casa, sentì la voce di Santippe, la quale
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-era su la porta, e disse: — Tu diventi
-un po’ carogna, Socrate! Mi sai dire
-cosa si fa oggi da mangiare? Tu vai via
-la mattina; non lasci nemmeno un obolo
-per la spesa e poi quand’è mezzogiorno,
-eccolo, bell’e fresco come una rosa. Cosa
-credi che noi campiamo d’aria come le
-cicale, o di chiacchiere come fai tu? Hai
-portato almeno qualche cosa da desinare?
-</p>
-
-<p>
-Socrate non portava niente da desinare
-perchè era stato astratto in altre
-cose, nè aveva lasciato oboli molti per
-la spesa, perchè ne aveva pochi. Socrate
-infine non era ricco, anzi egli viveva
-«in una miriade di povertà», come
-ebbe a dichiarare.
-</p>
-
-<p>
-Disponeva, ben è vero, di un piccolo
-patrimonio lasciatogli da suo padre,
-compresa quella sua casetta; ma
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-tutto sommato, stando al computo che
-fece Senofonte, — uomo pratico di affari, — il
-suo capitale non arrivava alle
-cinque mine, che sarebbe come dire cinquecento
-lire, «al patto però che si
-fosse trovato un buon compratore».
-</p>
-
-<p>
-Di questo capitale egli aveva speso
-qualche obolo e qualche dramma per
-comperare, come abbiamo veduto, quel
-poco di scienza che possedeva: ma nell’esercizio
-di rivendita non domandava
-niente. Faceva con tutti come con Assioco,
-a cui aveva dato così bei conforti
-per prepararsi a morire. «A me costano
-tanto» aveva detto, ma non disse, «e
-tu dammi tanto».
-</p>
-
-<p>
-Già, egli avrebbe potuto mandare a
-Clinia una nota delle sue prestazioni:
-<i>Per avere consolato l’anima di tuo
-padre, venticinque dramme</i>. Ma come
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-si fa? Come si fa a mandare la parcella
-per simili cose?
-</p>
-
-<p>
-E bisogna dire ad onore di Santippe,
-che non era lei sola a disapprovare questo
-sistema gratuito di suo marito.
-Qualcuno anche degli amici gli andava
-dicendo: «Ma allora, Socrate, la tua
-scienza non vale niente, se la dài per
-niente».
-</p>
-
-<p>
-E Santippe continuava: «Mi sai dire
-dove sei stato tutta questa mattina? A
-predicare la castità ai passeri? Ad accarezzare
-i capelli di Fedone, quel vergognoso
-mistero del sesso che non è nè
-uomo, nè donna? O sei andato a misurare
-quanto è lungo il salto della pulce?
-o a fare gli esperimenti sulle cicale per
-vedere se le cantano con la bocca o col
-deretano? Be’, cos’hai guadagnato?»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Egli aveva guadagnato meno ancora
-di frate Egidio, seguace di San Francesco,
-perchè frate Egidio voleva vivere
-affaticandosi corporalmente, cioè della
-sua fatica; e una volta andò a opera a
-bacchiare noci, e quando le ebbe bacchiate,
-gliene toccarono tante di sua
-parte che si dovette levare la tonaca e,
-legate le maniche ed il cappuccio, ne
-fece un sacco che tutto riempì di noci.
-Naturalmente non le vendette frate Egidio,
-ma con grande letizia le distribuì
-ai poveri.
-</p>
-
-<p>
-Almeno si fosse presentato così Socrate
-a Santippe, con delle noci, dei
-fichi, dell’uva da distribuire ai figliuoli,
-che aveva piccini, e si sarebbero rallegrati
-di quei doni.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma niente!
-</p>
-
-<p>
-Che cosa doveva rispondere Socrate
-a Santippe?
-</p>
-
-<p>
-Forse doveva offrirle il banchetto che
-Santo Francesco offrì a Santa Chiara,
-che lasciarono sulla mensa il pane corporale
-perchè Santo Francesco nutrì
-l’estatica monacella di pane spirituale?
-</p>
-
-<p>
-O doveva rispondere come Gesù Cristo:
-«Guarda, Santippe, come crescono
-i gigli delle convalli. Nemmeno Salomone
-in tutta la sua splendidezza fu
-mai vestito come uno di questi: guarda,
-come si nutrono gli uccelli dell’aria»?
-</p>
-
-<p>
-Ma Cristo — come Santo Francesco — non
-aveva figliuoli nè moglie che
-avessero fame; e in caso proprio di necessità,
-Cristo avrebbe operato la moltiplicazione
-dei pani e dei pesci. Ma a
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-Socrate non venne mai in mente di operare
-miracoli, o di camminare su le
-acque come Cristo, o di risuscitare i
-morti. E per tutto questo Socrate tacque
-davanti a Santippe. E quanto a Cristo,
-poi, sembra che anche Cristo fosse
-seccato di dovere riposare il capo sopra
-un cuscino di pietra, mentre gli uomini
-usano cuscini di lana e di piume.
-</p>
-
-<p>
-Io devo credere che Socrate dovesse
-rimanere assai malinconioso oltre che
-silenzioso, davanti alle recriminazioni
-di Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Perciò io non so come facciano i
-grandi scrittori a dire nei loro celebri
-volumi che Socrate <i>era meravigliosamente
-esente da bisogni personali</i>;
-e meno ancora capisco come i professori
-delle scuole facciano ai loro scolari
-tradurre in greco questa stupida proposizione:
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-<i>Socrate con poche sostanze
-viveva contentissimo</i>.
-</p>
-
-<p>
-No, non è proprio così, illustri e garbati
-signori. È un’altra faccenda; è che
-quando si è «dentro pieni di imagini
-degli Dei» come era Socrate, i soldi
-non trovano la via per entrare; ovvero
-quando si è pieni di imagini degli Dei
-non è lecito prender moglie per continuare
-questa stirpe umana!
-</p>
-
-<p>
-E Santippe continuava: «Ah, tu vai
-predicando l’Aretè, la Sofrosine, la Sofia,
-il Dovere! Il dovere l’ho fatto io
-che ho tirato su questi figliuoli e li ho
-nutriti con queste qui! e non li ho mica
-esposti come fanno le belle signore del
-tuo cuore! Eh, sì, che il più grande lo
-meritava d’esser bacchiato: un vagabondo
-già come te, e che parolacce dice
-a sua madre! A quello lì dovresti parlare
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-e dirgli quello che gli va detto, se
-non fossi o un grande impostore o un
-vecchio rimbambito. Ma se, figlio di un
-cane, proprio non puoi fare a meno di
-andare in giro a chiacchierare e hai questa
-malattia nel tuo sangue infelice, invece
-di quell’aria melensa «io non so
-niente, io so che non so niente», e poi
-dài dell’imbecille, dell’ignorante a tutti
-che oramai non c’è uno solo che ti possa
-più sopportare in Atene, fa almeno come
-Protagora. Anche lui chiacchiera, ma
-le sue chiacchiere le sa però mutare in
-tanta buona moneta sonante!»
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap6">VI.
-<span class="smaller">Come Santippe ferì Socrate nel cuore.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Santippe lo aveva ferito nel cuore.
-</p>
-
-<p>
-Non perchè aveva detto: «O tu sei
-un impostore, o tu sei un vecchio rimbambito»;
-ma perchè la buona donna
-aveva detto: «Fa, almeno, come Protagora!»
-</p>
-
-<p>
-Il nome di Protagora era l’ombra
-della mente di Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Protagora era, prima di tutto, un signore
-molto irreprensibile; la sua clamide
-era fluente, i suoi calzari erano
-eleganti, la sua chioma era profumata.
-Socrate, invece, benchè gli piacessero
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-le chiome fluenti, non possedeva la chioma;
-i suoi calzari erano in uno stato
-deplorevole, come abbiamo osservato;
-ed il suo mantello non teneva più i punti,
-come aveva dichiarato Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Protagora era un personaggio straordinariamente
-affascinatore e simpaticissimo;
-la sua parola scendeva giù per le
-orecchie di tutti come una musica facile
-ed uguale.
-</p>
-
-<p>
-Poteva forse Protagora sembrare orgoglioso,
-in quanto che affermava di essere
-sapiente in ogni scibile e <i>de quibusdam
-aliis</i>; mentre Socrate affermava
-con quella sua aria melensa, come
-aveva notato anche Santippe, di non
-sapere niente.
-</p>
-
-<p>
-Si, ma il vero è che Protagora si sarebbe
-ben guardato dal prendere in giro
-il prossimo come faceva Socrate e di obbligare
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-la gente a furia di domande, a
-confessare che anche essi non sapevano
-niente.
-</p>
-
-<p>
-Il linguaggio di Socrate era piano e
-le sue imagini erano sensibili ad ogni
-intelligenza. «Ma se io ti comprendo,
-tu sei uguale a me.» Il linguaggio di
-Protagora era spesso artificiosamente
-drappeggiato. «Ma se io non ti comprendo,
-tu sei superiore a me!» Ma
-Protagora aveva tutti i ferri del mestiere
-nel suo arsenale dialettico; tutti,
-fuorchè l’ironia: ma Protagora era squisitamente
-gentile, e se egli era sapiente,
-«Tutti, tutti, signori Ateniesi, ornatissimi
-signori Ateniesi, potete — diceva
-Protagora — diventare sapienti
-come me».
-</p>
-
-<p>
-Ah, sì; quel signore fece alle dottrine
-di Socrate la più implacabile delle
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-concorrenze, e bisogna ben confessare
-che questa concorrenza dura anche oggi.
-</p>
-
-<p>
-Protagora poteva aver press’a poco
-l’età di Socrate, ma non era Ateniese.
-Siccome però Atene era la città più intellettuale
-della Grecia, così vi capitava
-spesso.
-</p>
-
-<p>
-E quando egli vi capitava, non aveva
-bisogno di sbarcare ad un hôtel, perchè
-tutti i signori di Atene andavano a gara
-per averlo ospite nelle loro case.
-</p>
-
-<p>
-Egli faceva anche, qualche volta, dei
-graziosi giuochi di prestigio.
-</p>
-
-<p>
-«Intelligentissimi signori Ateniesi, — diceva, — io
-prendo questa pallina
-nera che, supponiamo, rappresenta la
-Giustizia. La prendo con la mano destra,
-delicatamente così! Passa, passa,
-pallina! La pallina è passata nella mano
-sinistra. Adesso prendo la bacchetta magica,
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-dico: un, due, tre! Pallina, scompari!
-E la pallina è scomparsa!»
-</p>
-
-<p>
-Tutto ciò si ripete anche oggi: ma
-bisogna conoscere il trucco.
-</p>
-
-<p>
-Ora il popolo Ateniese era molto giovane.
-La generazione precedente si era
-affaticata in una lotta spaventosa: aveva
-sparso fiumi di sangue combattendo contro
-una barbarie immane che lo aveva
-minacciato di soffocazione. Ne era uscito
-vittorioso, perciò ora amava divertirsi
-e di imparare i giuochi di prestigio, e
-il loro piacevole trucco.
-</p>
-
-<p>
-Per queste ragioni, tutti quelli che
-avevano figliuoli, pregavano Protagora
-perchè desse loro delle lezioni private.
-Molti che aspiravano alla carriera politica,
-offrivano grosse somme per sapere
-fare anche loro bene quei giuochi così
-graziosi delle palline. I giovani di Atene
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-buttarono via dei capitali per potere imparare
-a parlar bene come Protagora.
-</p>
-
-<p>
-Ed è vero che Protagora era un
-uomo onestissimo, al punto da dichiarare:
-«Cari signori, fissate voi la ricompensa
-che credete di darmi; ma non
-negatemi la ricompensa, perchè chi mi
-toglie il denaro, mi toglie l’onore».
-</p>
-
-<p>
-Fu allora che il ministro della Pubblica
-Istruzione in Atene propose a Protagora
-un grosso stipendio, se si fosse
-degnato di fissare la sua dimora in
-quella città. Sventuratamente egli non
-potè aderire perchè era aspettato in Italia;
-nelle città d’Italia del sud, e ciò
-unicamente perchè a quei tempi non esistevano
-le città dell’Italia del nord.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Un giorno Socrate aveva trovato che
-le strade di Atene erano spopolate. Era
-arrivato Protagora, e tutti erano andati
-a sentirlo.
-</p>
-
-<p>
-Anche gli amici di Socrate erano andati
-a sentirlo.
-</p>
-
-<p>
-Platone, che aspirava, sino dalla nascita,
-a diventare sopra tutto un illustre
-sapiente accademico, era andato a sentirlo.
-</p>
-
-<p>
-Alcibiade, che aspirava all’alta politica,
-era andato a sentirlo.
-</p>
-
-<p>
-Socrate non incontrò che Apollodoro,
-che era un’anima candida; e Fedone,
-l’adorabile adolescente che adorava Socrate,
-perchè Socrate gli aveva trasfuso
-di dentro il divino martirio dell’anima.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che tristezza, — diceva Fedone, — a
-pensare che tu, Socrate, la devi quasi
-fermare per il petto la gente perchè ti
-stia ad ascoltare; e quello lì, invece,
-basta che arrivi in Atene perchè tutti
-mettano da parte i loro affari per andare
-alle sue conferenze. Eppure tu dici
-le cose come veramente sono. Come
-sono spregevoli e vani questi Ateniesi!
-</p>
-
-<p>
-— No, — disse Apollodoro ancor più
-tristamente. — È che il popolo ateniese
-è un popolo gaio. La bellezza, l’illusione,
-la gioia, ecco quello che il popolo
-ateniese sente: qui tutti sono d’accordo.
-Ma tu sei melanconico senza fine,
-Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Ma se, amici miei, — disse Socrate, — voi
-stessi mi chiamate Sileno,
-il buono, l’allegro giullare!
-</p>
-
-<p>
-— No, Socrate! Triste è la tua anima,
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-tristi sono le tue parole. Tu dici di
-rispettare le leggi della nostra città, ma
-io sento che tutto l’edificio fabbricato
-dagli uomini trema con sinistri rumori
-dalle fondamenta alle tue parole.
-</p>
-
-<p>
-— Io sono l’uomo mansueto, — disse
-Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sotto la tua mansuetudine, c’è
-un terrore di ribellione. Sai che spesso
-ho paura per te, Socrate?
-</p>
-
-<p>
-— Paura? di che? degli uomini?
-della morte, forse? Temere la morte
-null’altra cosa è che sembrare di essere
-saggio, senza essere.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Ma così conversando, essi erano oramai
-giunti alla casa di Callia, il quale
-aveva l’alto onore di ospitare Protagora.
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-L’atrio era pieno della più eletta
-società, di Atene: nelle prime poltrone
-sedevano gli Arconti, e Protagora non
-era solo, ma aveva con sè alcuni suoi
-mammalucchi, giacchè il ventre di Protagora
-era fecondo. Esso seguita a generare
-anche oggi.
-</p>
-
-<p>
-Il silenzio era meraviglioso, tanto che
-Socrate, Apollodoro e Fedone poterono
-ascoltare assai bene.
-</p>
-
-<p>
-— Socrate? Oh, ecco Socrate! Salute
-a te, Socrate, — disse, con ben paludata
-parola, Protagora non appena
-scorse Socrate in fondo alla sala, — salute
-a te, Socrate! Anche noi, onorevoli
-signori Ateniesi, intendiamo, come
-il vostro concittadino Socrate, informare
-il carattere e l’intelligenza dei
-nobili giovani Ateniesi, educarli nelle
-virtù pubbliche e private. Anche noi
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-adoriamo la verità. Ma dove è la verità?
-Intelligentissimi signori Ateniesi,
-se gli Dei non abitassero troppo lontano,
-se la nostra vita non fosse così
-breve e così incerta, noi potremmo benissimo
-sapere che cosa è la verità!
-Ma non tutti noi, umanissimi uditori,
-abbiamo, come il vostro fortunato concittadino
-Socrate, la rara fortuna di
-possedere un dio suggeritore, un demone
-buono, nelle proprie tasche. La
-verità dunque bisogna che ce la fabbrichiamo
-noi, secondo noi, tagliata sulla
-nostra misura! Che vale, intelligentissimi
-signori Ateniesi, possedere l’arco
-di Ulisse se nessuno lo può tendere?
-Che vale un grappolo d’uva, se è perennemente
-acerbo? Una cosa si deve da
-noi chiamare vera, o signori, in quanto
-che, messa in pratica, rende. E se non
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-rende, non è verità. E perciò non esiste
-nel mondo reale una verità unica, ma
-esistono due verità, tre verità, molte
-verità, anzi tante verità quanti sono i
-gusti ed i capricci degli uomini; e così
-non esiste una sola virtù ma esistono
-molte virtù. Non esiste un solo Diritto,
-ma esistono molti Diritti. V’è il
-diritto dell’agnello; ma vi è anche il diritto
-del lupo! Esiste evidentemente la
-virtù di chi muore per la patria; ma esiste
-anche la virtù di chi canta i morti
-per la patria, come esiste la virtù di
-chi si conserva in buona salute per la
-patria. Esiste certamente, come dice
-l’illustre cittadino vostro, Socrate, la
-glandola della coscienza; ma non stimolàtela!
-Anzi, se avete coraggio, estirpàtela,
-e canterete tutte le mattine
-vispi come canerini, e vi sembrerà ogni
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-mattina di tornare gioiosamente a vivere!
-</p>
-
-<p>
-Dopo di che tutti, cominciando dai
-signori Arconti, andarono a congratularsi
-per la bella conferenza col signor
-Protagora.
-</p>
-
-<p>
-— Ma è evidente, — disse Meleto,
-l’arconte basileo, che era assai adiposo
-e rappresentava la suprema autorità religiosa
-e giudiziaria di Atene, — che se
-tutti avessero la sola virtù di morire
-per la patria, chi resterebbe per fare gli
-elenchi dei morti per la patria, chi resterebbe
-per fare le commemorazioni e
-le poesie pei morti per la patria?
-</p>
-
-<p>
-Anche Socrate andò a congratularsi
-con Protagora.
-</p>
-
-<p>
-Disse Socrate: — Voi commerciate
-splendidamente al minuto nei commestibili
-dell’anima.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-</p>
-
-<p>
-— E voi, disse di rimando graziosamente
-Protagora a Socrate, commerciate
-un po’ troppo all’ingrosso. Sono
-partite colossali. Scusate, chi volete che
-le comperi? Soltanto gli Immortali Iddii
-le potrebbero comperare. Ma gli Iddii
-non ne hanno bisogno. Agli uomini, — bisbigliò
-a pena l’insigne Protagora, — occorre
-vendere bagattelle, possibilmente
-piacevoli. E poi, in confidenza,
-virtù e vizio, rose e cipolle sono
-tutte produzioni del suolo. Credo che
-voi soffriate di esaltazioni liriche, Socrate
-carissimo.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Strano! Dal tempo di Protagora e di
-Socrate i sistemi filosofici si sono susseguiti
-come le onde del mare: erti di
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-idealità sino alle nuvole, cupi di pessimismo
-sin giù negli abissi! Gli uomini
-come tante navicelle di carta, hanno seguitato
-a ballare su e giù per quelle
-onde della filosofia, felici di essere giù,
-felici di essere su.
-</p>
-
-<p>
-Non ci fu che qualche individuo stravagante
-a dichiararsene insoddisfatto,
-come per esempio Messer Lò, professore
-medievale nell’università di Parigi,
-il quale, dopo essere stato sballottato a
-lungo in cerca della perfetta letizia, finì
-col dire: <i>Linquo coax ranis</i> (lascio il
-gracchiare alle rane), e terminò col farsi
-frate, secondo il costume di quel tempo;
-come Arrigo Heine, il quale dichiarò
-che, dopo avere amoreggiato con tutti
-i possibili sistemi filosofici senza rimanerne
-soddisfatto, — come Messalina
-dopo una notte di orgia, — si veniva
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-a trovare sullo stesso fondamento su
-cui si trovava il povero negro, lo
-zio Tom.
-</p>
-
-<p>
-Ma non c’è dubbio che fra i tanti sistemi
-filosofici, quello dell’illustre Protagora
-è il solo che gli uomini abbiano
-coscienziosamente capito ed anche applicato.
-</p>
-
-<p>
-Gli Arconti e i Lucomoni vanno sempre
-a congratularsi con Protagora e coi
-suoi mammalucchi.
-</p>
-
-<p>
-I servizi di Socrate non furono niente
-affatto riconosciuti dallo Stato; e quella
-volta che il Governo si occupò seriamente
-di lui, fu per fargli bere la cicuta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Certo, Socrate, lui come lui, non ha
-l’onore di aver costruito nessun edificio,
-nessun sistema filosofico, anche perchè
-non gliene lasciarono il tempo, avendogli
-fatto bere la cicuta.
-</p>
-
-<p>
-Di lui non rimase che una pietra quadrangolare
-di marmo.
-</p>
-
-<p>
-Ma io lo vedo ancora col suo melanconico
-sorriso di Sileno, quel povero
-figlio di Sofronisco scultore e di Fenarete,
-la levatrice. Egli sta presso la sua
-pietra quadrangolare. Io lo vedo ancora.
-Dal convito d’amore escono gli amici
-alquanto ebbri e con le rose sfiorite
-oramai; gli amici e le amiche fra cui
-stanno le belle cortigiane. Essi vanno
-a riposare. Socrate va alla bella fontana,
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-si lava e si purifica. Sorge il sole
-sull’acropoli. Egli riprende il suo dialogo
-eterno: «Di’, o uomo meraviglioso,
-vogliamo noi diventare belli e buoni?»
-</p>
-
-<p>
-E gli uomini, da tanti secoli, non
-hanno sovrapposto una pietra su quella
-pietra.
-</p>
-
-<p>
-Ma vero è anche che molti uomini, vicini
-a noi, dopo l’esperimento della vita,
-vollero morire per quella terra, ed in
-quella piccola terra che fu la patria di
-Socrate, considerandola come uguale al
-vasto mondo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap7">VII.
-<span class="smaller">La cena dell’amore.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Non si deve credere però che la buona
-società di Atene non istimasse Socrate.
-In questo caso sarebbero stati
-Beoti, ed essi erano Ateniesi! Certo
-spendevano più alla bottega di Protagora
-che a quella di Socrate; ma, oh,
-buon figliuolo di Sofronisco, come potevi
-tu pretendere che la gente venisse
-da te a comperare la <i>Dike</i>, la <i>Enkrateia</i>,
-la <i>Noùs</i>, quel tremendo esplosivo
-che è la <i>Noùs</i>? Vendere la <i>Noùs</i> per
-le strade, sono cose, figlio di Sofronisco,
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-che fanno strabiliare! Sono cose che non
-poterono avvenire che in Atene, la città
-della giovinezza del mondo.
-</p>
-
-<p>
-— Signori Ateniesi, questa merce
-si vende per nulla. Si vende per nulla,
-non perchè non sia preziosa, chè la è
-preziosissima! Ma è che uno dei due
-sfuma, o il denaro o la merce! — così
-diceva Socrate.
-</p>
-
-<p>
-E gli Ateniesi lo ascoltavano con curioso
-piacere: naturalmente, non comperavano.
-</p>
-
-<p>
-— Se comperiamo codesta merce, — dicevano, — noi
-temiamo, o Socrate,
-di diventare brutti come te! — Lo ascoltavano
-però volontieri: spesso lo invitavano
-a cena, e mai gli fecero delle
-beffe: la qual cosa gli sarebbe certamente
-accaduta se fosse vissuto in <i>Fiorenza</i>,
-la città delle beffe. Naturalmente,
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-quando era invitato a cena, il
-buon uomo si ripuliva alquanto, perchè
-la società ateniese ci teneva molto all’eleganza:
-non però sino al grado di
-noi moderni, in cui i venditori di eleganza — camiciai,
-sarti, scarpai, ecc. — costituiscono
-un sindacato della rispettabilità.
-</p>
-
-<p>
-E fu così che un giorno Apollodoro
-vide Socrate tutto ripulito, e siccome
-questa cosa gli accadeva di rado, Apollodoro
-meravigliò forte. Non mancava
-a Socrate che di essere profumato come
-costumavano tutti allora indistintamente
-gli Ateniesi.
-</p>
-
-<p>
-Allora non c’era il precetto: «Amate
-il vostro prossimo!» e si suppliva con
-quest’altro: «Profumate il vostro prossimo!»
-E così l’uomo accostando il naso
-al suo prossimo, sentiva subito qualcosa
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-di piacevole. Ma Socrate preferiva
-il profumo della verità.
-</p>
-
-<p>
-Apollodoro che lo vide così azzimato,
-meravigliò forte. Apollodoro era
-un’anima candida e quindi un poco
-irosa.
-</p>
-
-<p>
-— Dove vai, Socrate? Perchè così
-vestito? Che sollecitudine è la tua di
-questa pomposità mondana e superflua?
-Non carichiamo e scarichiamo oggi la
-<i>Noùs</i>, la <i>Dike</i>?
-</p>
-
-<p>
-— Caro, — disse Socrate, — io, come
-vedi, mi sono fatto bello perchè oggi
-sono chiamato a cena da persone che
-sono tutte belle.
-</p>
-
-<p>
-Egli era in quel giorno invitato da
-Callia, un giovane signore, uno <i>sportman</i> — diremmo
-noi oggi — il quale
-aveva vinto il <i>grand prix</i> delle Panatenaiche.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Vieni anche tu, Apollodoro, — disse
-Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Ma non sono invitato! — rispose
-Apollodoro, il quale appunto come anima
-candida ed irosa, era anche anima
-timida.
-</p>
-
-<p>
-— E se non sei invitato? Ti invito
-io. Una persona per bene è sempre ospitata
-con piacere da un’altra persona
-per bene.
-</p>
-
-<p>
-Così parlò Socrate, e così si avviarono,
-lui e Apollodoro, alla casa di Callia.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Callia abitava una villetta, un po’
-fuori di Atene, sulla riva del mare. Una
-piacevole passeggiata! E i sandali di
-Socrate e di Apollodoro andavano allegramente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-</p>
-
-<p>
-Appena Socrate fu in vista della villa
-di Callia, vide molti e bei giovani che lo
-attendevano.
-</p>
-
-<p>
-Callia si fece incontro a Socrate e lo
-salutò con queste parole:
-</p>
-
-<p>
-— Ben venuto, Socrate: noi ti abbiamo
-invitato a cena, perchè tu, essendo
-libero da cure mondane, farai più
-onore a noi che se avessimo invitato
-Anito, il presidente della Repubblica, o
-Meleto il basileo, o qualsiasi altro arconte
-o generale.
-</p>
-
-<p>
-(Mai uno <i>sportman</i> dei nostri tempi
-sarebbe stato capace di così intelligenti
-e graziose espressioni!)
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E quando tutti si furono acconciati
-ne’ loro divani attorno alla mensa, data
-l’acqua rosata alle dita, disse Callia bonariamente
-ai servi: — Fate da voi, ragazzi,
-e fate le cose per bene, perchè
-noi vogliamo mangiare e bere in pace.
-</p>
-
-<p>
-«Ma, e le signore? non c’erano al
-banchetto di quel <i>gentleman</i> le signore?»
-potrà domandare qualche signora,
-se qualche signora sarà lettrice di questo
-libro.
-</p>
-
-<p>
-«No! a quei tempi le signore erano
-escluse dai banchetti. Servivano soltanto
-come decorazione; muta, però.
-</p>
-
-<p>
-Ma è imaginabile, signora, Socrate
-che va alla cena di Callia con Santippe
-a braccetto? È stato Cristo, signora,
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-che ha introdotto le signore nei banchetti:
-una marsina nera ed uno scollato
-bianco, in gran contegno. Gli Ateniesi
-non usavano nemmeno il contegno,
-perchè stavano sdraiati sui sofà, ed i
-fiori, anzichè sulla tavola, erano collocati
-sulle teste.
-</p>
-
-<p>
-«Oh, gli orribili Ateniesi, sdraiati
-sui sofà senza l’intervento del sesso
-gentile! Chi sa quali scostumatezze!»
-</p>
-
-<p>
-«Pur troppo, signora! L’uomo, o signora,
-è in alcuni rari casi di tipo apollineo,
-qualche rara volta di tipo dionisiaco,
-ma più spesso di tipo faunico,
-cioè bestia, e allora ruzzola sotto la tavola
-tanto oggi come allora.»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-La cena passò lietamente. I piatti
-erano d’argento e non usava la seccatura
-di mutarli.
-</p>
-
-<p>
-Finita la cena, fu fatta entrare una
-leggiadrissima giovinetta, vestita di un
-semplice <i>kiton</i>, che null’altro era che
-un quadratello di stoffa, come un vessillo,
-ma messo con garbo: allora le Ateniesi
-belle vestivano tutte così, con
-molta semplicità; come oggi, che le signore
-portano certe <i>toilettes</i>, come dire?
-semplici.
-</p>
-
-<p>
-Un giovane aulete, o suonatore di
-flauto, accompagnava la fanciulla.
-</p>
-
-<p>
-Questi intonò il suono, e poco dopo,
-ella, come indolente, slegò e scosse le
-membra della sua statua: le animò un
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-po’ per volta, poi furentemente, freneticamente.
-Ora ella, lieve, si trascinava
-dietro il ritmo dell’aulete che, a fatica,
-con il collo turgido, la seguiva zufolando.
-</p>
-
-<p>
-I signori, sdraiati sui loro sofà, contemplavano.
-</p>
-
-<p>
-D’improvviso la fanciulla ricompose
-le membra della sua statua; cessò la
-danza: l’aulete potè allora trarre il respiro
-dal petto profondo.
-</p>
-
-<p>
-— Quella fanciulla pare vuota di
-dentro come la locusta! — disse ammirando
-più d’uno.
-</p>
-
-<p>
-— Signori, — disse Filippo, uno dei
-commensali, — questo è effetto della danza,
-esercizio utilissimo e graziosissimo.
-Io ho il ventre grosso, e voglio diventare
-grazioso e leggero. Piglierò lezioni
-di danza. Anche Socrate ha il ventre
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-grosso e pesante e deve ballare, se vuole
-diventare grazioso.
-</p>
-
-<p>
-— Tutti i giorni, o Filippo, — disse
-Socrate, — sta certo, io faccio in casa
-esercizi di ballo.
-</p>
-
-<p>
-— Così, vedi, convien fare, — disse
-Filippo. — Tu, fatti in costà, — e accennando
-alla donna che si scostasse,
-Filippo balzò dal sofà e si mise a ballare
-col suo grosso ventre.
-</p>
-
-<p>
-Spumeggiò di risa la gioia del convito.
-</p>
-
-<p>
-— Da bere, — ordinò Callia.
-</p>
-
-<p>
-Tutti avevano gran sete.
-</p>
-
-<p>
-— Portate i cratèri più grandi, — ordinò
-Callia ai servi.
-</p>
-
-<p>
-— Callia, se permetti, — disse Socrate, — ordina
-i bicchieri più piccoli.
-Il vino è cosa miracolosa come la pianta
-della mandragora: addormenta il dolore,
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-e sveglia la gioia, come l’olio sveglia
-la fiamma. Ma in piccole tazze!
-Noi siamo come la sementa della terra.
-Se l’acqua diluvia, la sementa marcisce;
-se invece scendono piogge soavi,
-ecco tutta la bella fiorita della primavera.
-</p>
-
-<p>
-I servi recarono in giro piccole tazze.
-</p>
-
-<p>
-Disse per primo Callia: — Io bevo
-alla Ricchezza, alla mia dolce e docile
-Ricchezza, dispensiera di libertà. Essa
-mi concede di onorare con bei simposi,
-in questa bella casa, con tanti servi, con
-questo inebriante vino, i cari amici.
-</p>
-
-<p>
-Disse un altro dei convitati: — Ed
-io, o Callia, propino e bevo — perchè tu
-ci offri questo nobile vino — alla mia
-grande, vergine, libera Povertà. Divina
-cosa, amici, la Povertà! Già tu la custodisci
-senza forzieri, con la dolce negligenza
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-essa fruttifica, il dente dell’invidia
-non la morde; i figli non ti augurano
-di andar presto a ritrovare Caronte.
-Anch’io sono libero, o Callia, io con la
-mia povertà!
-</p>
-
-<p>
-(Queste cose si potevano dire allora
-quasi sul serio, per tante ragioni per le
-quali la povertà non aveva l’odore così
-cadaverico che ha oggi).
-</p>
-
-<p>
-Un giovanetto non ancora segnato
-nel volto di alcuna lanugine, inghirlandata
-la breve fronte di rose come un
-nume, fissando Callia con ferme pupille,
-parlò così per terzo e come devotamente: — Io
-mi glorio e mi esalto della mia,
-oh fuggitiva bellezza! la quale mi concede
-di essere caro a te, o Callia, o
-unico, o solo mio bene!
-</p>
-
-<p>
-(E anche ciò poteva a quei tempi
-esser detto, se è permessa la contraddizione,
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-naturalmente. Le signore non potevano
-protestare).
-</p>
-
-<p>
-— Permettete allora, signori ed
-amici, — disse quel tal Filippo, — che
-anch’io dica la mia. Io mi esalto e glorio
-perchè son nato buffone. Socrate
-nostro non può profferire parola che non
-sia seria; io invece non posso dir cosa
-che non sia buffonesca. Dire una cosa
-seria è per me impossibile: come diventare
-immortale. Socrate dice di sentire
-l’ambrosia di non so qual Nume o Demone
-di dentro. Io sento dentro di me
-un onesto suino che annusa l’ambrosia
-delle buone pietanze.........
-</p>
-
-<p>
-— Ehi, ehi! — interruppe d’un tratto
-il buffone Filippo. — Si può sapere che
-cosa fanno quei due laggiù? Ma quella
-è la danza, diciamo così, del ventre!
-</p>
-
-<p>
-Infatti la bella donna ed il giovane
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-aulete, rimasti senza occupazione, avevano
-per conto loro attaccata una danza,
-una danza.... Come dire? Un’abbominevole
-danza: quella che è detta oggi
-la danza degli Apaches, la danza dei
-selvaggi che piace anche alla nostra
-buona società. Io credo che sia una riproduzione
-dell’antica danza che i due
-primi selvaggi, Adamo ed Eva, danzarono
-la prima volta ed ebbe per conseguenza
-Caino ed Abele: una specie di
-<i>tango</i>.
-</p>
-
-<p>
-La donna era di un verismo assai
-perturbante.
-</p>
-
-<p>
-— Smetti, ragazza, — gridò Filippo. — Mi
-si desta Afrodite, e sorge Eros.
-</p>
-
-<p>
-Cosa strana! In tutti si destava Afrodite,
-ed anche Eros.
-</p>
-
-<p>
-E poichè i due smisero, furono mandati
-via.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Per Giove, — esclamò Callia, — sapete,
-amici, che Eros, Amore, è un dio
-misterioso anche lui! Misteriosa certamente
-è Demetra; misteriosa è Minerva,
-ma anche Amore non ischerza!
-</p>
-
-<p>
-— E il modo come si manifesta!
-</p>
-
-<p>
-— E come è invincibile!
-</p>
-
-<p>
-— E come è indomabile!
-</p>
-
-<p>
-— Il più giovane ed il più bello degli
-Iddii, perchè chi può imaginare, signori,
-Amore non dirò con la barba bianca, ma
-con la barba?
-</p>
-
-<p>
-— E nel tempo stesso, signori, il
-più vecchio fra gli Iddii, perchè come
-sarebbe nato Giove se prima non c’era
-Amore?
-</p>
-
-<p>
-— E il più corroborante fra gli Iddii!
-Più assai di Dioniso di cui poco fa
-parlava Socrate! Non ci fu che quel
-vile di Paride, che quando era preso da
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-Eros, si sdraiava sul letto: ma io allora
-sbranerei i leoni, lotterei coi centauri,
-coi Lapiti, pur di arrivare all’oggetto
-che concupisco!
-</p>
-
-<p>
-— La più bella istituzione del mondo
-è Eros!
-</p>
-
-<p>
-— La più piacevole!
-</p>
-
-<p>
-— La più esilarante!
-</p>
-
-<p>
-— Sparsa dovunque: dovunque ci si
-volta, ecco Amore!
-</p>
-
-<p>
-Così dissero i convitati di Callia in
-lode d’Amore.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-«Oh, gli indecenti maschi avvinazzati!
-gli orribili Ateniesi!» — potrebbe
-qui esclamare la mia ideale signora — «I
-profanatori, non i lodatori d’Amore!»
-</p>
-
-<p>
-«Ecco, signora: io credo piuttosto
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-che tutto provenga da un diverso modo
-di giudicare l’Amore. Per noi moderni
-l’Amore è una cosa così complicata, così
-difficile, così piena di conseguenza! E
-poi troppo ideale: e spesso l’ideale se
-ne va, e non rimane, <i>pardon!</i>, che il
-pitale d’Amore.
-</p>
-
-<p>
-Per gli Elleni invece era una cosa
-più semplice. Essi volevano soltanto conoscere
-che cosa era quel delizioso furore
-di Eros: un problema scientifico!
-E perciò i nostri convitati stanno per
-dire cose un po’ sciocchine, un po’ puerili
-specialmente per chi è abituato alla
-nostra così spaventosa psicologia dell’Amore;
-e, forse, un po’ invereconde:
-ma tutto il loro discorso non fu inverecondo
-perchè nella loro mente Eros
-si presentava come un problema scientifico.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Disse, dunque, uno dei commensali:
-</p>
-
-<p>
-— Come si spiega, o amici, l’arduo
-problema che c’è l’amore degli eroi e
-l’amore, diremo così, dei suini?
-</p>
-
-<p>
-— È semplicissimo, — rispose un altro
-dei commensali. — Afrodite, la mamma
-di Amore, ha avuto due figliuoli;
-cioè due Amorini, un Amorino eroe e
-un Amorino maiale, in quanto che la
-nobile dea ha creduto di non far torto a
-nessuno....
-</p>
-
-<p>
-— Ma, e perchè, — chiese un terzo, — due
-putti, uno maschio ed uno
-femmina, sono a un dipresso uguali,
-sino ad una certa età: ridono, scherzano
-insieme; poi viene un bel momento
-che la puttina trema davanti al maschio;
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-ha paura e fugge; fugge, ma
-lascia andare tutte le chiome lunghe
-lunghe per essere presa, e quando è
-presa, non piange ma ride? Se poi giungono
-alla vecchiezza, perchè tornano
-uguali, tornano a giocare in pace innocente
-ancora, come Filemone e Bauci?
-</p>
-
-<p>
-— E perchè, — disse un altro, — questa
-caccia furibonda e continua; e perchè,
-questo è ben un mistero! perchè qualche
-volta avviene che un maschio rincorre
-un altro maschio; e qualche volta
-una femmina corre dietro una femmina?
-</p>
-
-<p>
-— Oh, — disse un altro, — la spiegazione
-è abbastanza semplice: Giove
-quando creò la creatura umana, si pensò
-di congegnarla nel modo più compiuto
-e dilettevole; e perciò la combinò per
-tal guisa che in un solo individuo ci
-fosse maschio e femmina insieme. In
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-principio, dunque, non esisteva l’uomo
-e la donna: ma soltanto l’androgìno,
-cioè l’uomo-donna.
-</p>
-
-<p>
-Chi sa come andarono le cose? Giove
-dice che l’androgìno era prepotente, cattivo
-ed ingrato. V’è chi dice che Giove
-si stancò dell’androgìno, nello stesso
-modo che i gran signori si stancano
-dello stesso balocco. Il fatto è che Giove
-si mise a spaccare tutti gli androgìni in
-due, come si fa con le acciughe, e diceva:
-Se non siete buoni, vi spaccherò
-in quattro, ed anche in otto! Ed ecco
-che, fatta appena questa operazione, la
-metà maschia si mise a cercare la sua
-metà femmina, spasimando come tante
-biscie tagliate. Questa cosa è tanto vera
-che anche oggi la moglie è chiamata la
-mia «metà». Ma chi sa dove si trova
-la sua metà? Ed è per questo che quasi
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-nessuno è contento della sua metà, ma
-desidera molto di mutare la propria metà,
-per vedere se trova quella che già
-combinava con lui. Spesso poi avviene
-che una metà maschia si attacca ad
-un’altra metà maschia, ed una metà
-femmina si appiccica con un’altra metà
-femmina, tanto è il cieco furore della
-caccia!
-</p>
-
-<p>
-Così spiegò uno dei convitati, e tutti
-furono soddisfattissimi.
-</p>
-
-<p>
-Tutte queste spiegazioni non erano
-propriamente la verità: ma è necessaria
-agli uomini la verità quando basta agli
-uomini una fola?
-</p>
-
-<p>
-Ora siccome ognuno aveva detta la
-sua, così si volle sentire anche Socrate;
-ed ecco, quest’uomo, dissimile da tutti
-gli altri uomini, venir fuori, non con
-un’altra storiella piacevole, ma con una
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-di quelle cose lugubri che si chiamano
-verità.
-</p>
-
-<p>
-— Perdonate, signori ed amici, — disse, — la
-mia dappocaggine, la mia inguaribile
-dappocaggine, per effetto della
-quale non mi è possibile dire altra cosa
-che non sia la verità. Vi devo dire che
-cos’è Amore? Amore è una volontà di
-vivere, un disperato e oscuro bisogno che
-ogni essere mortale sente di generare
-la sua immortalità. Perciò ogni essere
-creato combatte e vive in difesa del suo
-germoglio, cioè de’ suoi figli, che formano
-la sua immortalità.
-</p>
-
-<p>
-— Ma allora, — esclamò con dolce
-stupore il giovanetto che si era vantato
-della sua bellezza, — i miei amori sarebbero
-riprovevoli amori perchè io non
-germoglio.
-</p>
-
-<p>
-— Allora, Socrate, — disse Callia, — Amore
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-non sarebbe precisamente il Piacere!
-</p>
-
-<p>
-— Il Piacere, — ripetè Socrate, — serve
-per la vita, caro Callia, ma non è
-la vita.
-</p>
-
-<p>
-— Permettimi, caro Socrate, di osservarti, — disse
-Filippo, — che le tue
-opinioni sono piuttosto melanconiche e
-restrittive. Io per me mi sento perfettamente
-suino o faunico che tu voglia
-dire; io non ho alcun bisogno di immortalità;
-anzi ho paura dell’immortalità.
-Da bere, da bere, Callia, e in grandi crateri,
-questa volta, anche se a Socrate
-non pare. Tu ci vuoi far digerire male
-la gioia del convito!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Povero Socrate, così buono e intelligente!
-Egli non aveva nessuna intenzione
-di disturbare la gioia di quel convito:
-era quella malattia della verità!
-</p>
-
-<p>
-E chi non beve il dolce vino della favola,
-ma si ostina a bere l’acqua cruda
-della verità, corre il rischio di rotolare
-e far mala fine, come San Francesco
-gran bevitore d’acqua, che, per contemplare
-l’alta verità, rotolò dal monte
-della Vernia.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Sul far dell’alba ognuno se ne tornò
-alle sue case.
-</p>
-
-<p>
-Ma Socrate era ancora lì con il suo
-buon Apollodoro sulla riva del mare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-</p>
-
-<p>
-Parlò allora Apollodoro, che per timidezza
-mai aveva parlato durante il
-banchetto.
-</p>
-
-<p>
-— Quale splendente verità tu hai
-detto, Socrate mio, — esclamò Apollodoro
-con venerazione, — più bella e luminosa
-dell’occhio del sole che ora sorge
-e accarezza l’Acropoli.
-</p>
-
-<p>
-— Considera, considera, Apollodoro
-mio, — diceva Socrate, — anche queste
-altre verità.
-</p>
-
-<p>
-— Quali, Socrate?
-</p>
-
-<p>
-— Ecco: sai tu, Apollodoro, quanti
-figliuoli abbia avuto Giove?
-</p>
-
-<p>
-— Impossibile, Socrate. Chi li può
-numerare?
-</p>
-
-<p>
-— Vero! I figliuoli di Giove sono innumerevoli.
-Però osserverai una cosa:
-che, fatta una sola eccezione per la dea
-Minerva la quale venne fuori da per sè
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-dal cervello di Giove e non succhiò latte
-di donna, tutti gli altri figliuoli Giove
-li ha generati dalle più belle femmine
-del mondo, tutte bianche, tutte docili,
-tutte devote, tutte silenziose: Elettra,
-Europa, Leda, Alcmena! È strabiliante,
-Apollodoro, ma è così, proprio così! Il
-termine più alto della bellezza che la
-nostra mente contempla, è la donna;
-e noi cerchiamo appunto di procreare
-nella maggior bellezza per creare la immortalità
-più bella.
-</p>
-
-<p>
-— Sublime verità tu hai detto, o Socrate, — rispose
-l’estatico Apollodoro. — Oh,
-ecco che spiego ora a me stesso
-perchè anch’io, che disprezzo tutte le
-cose mondane, pure non so staccare
-questi peccanti miei occhi dalla bianchezza
-della donna! E anche tu la
-guardi, Socrate.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-</p>
-
-<p>
-Socrate sospirò profondamente.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, perchè — prosegui Apollodoro — le
-belle donne allontanano invece
-lo sguardo da te? Perchè tu, come
-Giove, non puoi ingannare la loro stupidità,
-trasformandoti in cigno, in pioggia
-d’oro, in bianco toro come fece quel
-Dio? Chi sa quale generazione immortale
-verrebbe fuori! Altro che Ercole!
-altro che Achille! altro che Castore e
-Polluce! Oh, ecco Minerva, vedi, o Socrate, — esclamò
-Apollodoro, — la divina
-Minerva dovrebbe congiungersi con te.
-</p>
-
-<p>
-— La quale sventuratamente — disse
-Socrate sorridendo — è nata sterile.
-</p>
-
-<p>
-Apollodoro, col capo in giù, pensava
-alla singolare fatalità che Minerva
-era sterile, e solo quella bianca oca di
-Leda fu capace di covare quattro ova
-per volta!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Però, — disse Socrate levando la
-faccia camusa e sorridendo alquanto, — tu
-puoi generare anche con Minerva!
-</p>
-
-<p>
-— Generare con Minerva? — chiese
-Apollodoro. — E che nascerà?
-</p>
-
-<p>
-— Nascerà l’idea! — disse Socrate.
-</p>
-
-<p>
-(Beatrice, l’amante di Dante, infatti,
-non soltanto fu sterile, ma non aveva
-che due grandi occhi ed un manto; eppure
-generò la <i>Divina Commedia</i>).
-</p>
-
-<p>
-— Sublime, generare l’idea! Questa
-è la grande immortalità! — esclamò
-Apollodoro.
-</p>
-
-<p>
-Ma ora anche Socrate ritornava col
-capo all’ingiù.
-</p>
-
-<p>
-Forse pensava come fosse complicato
-quel problema di Amore, che egli aveva
-al banchetto di Callia enunciato un po’
-troppo semplicemente. Dall’Amore del
-suino per la bella suina allo scopo di immortalare
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-la razza dei suini, all’Amore
-di Dante per la scarnificata Beatrice, è
-tutta una scala indefinita: ma una femmina
-è indispensabile: o suina o Beatrice.
-</p>
-
-<p>
-Ahimè! forse la fola dell’androgìno
-valeva quanto la verità enunciata da
-Socrate!
-</p>
-
-<p>
-Essi così si stavano muti sulla riva
-dell’azzurro mare al mattino, e il sole
-indorava l’Acropoli, quando Apollodoro
-esclamò:
-</p>
-
-<p>
-— Socrate, guardati! ecco viene
-Santippe.
-</p>
-
-<p>
-— Fuggiamo, figliuolo mio, — disse
-Socrate.
-</p>
-
-<p>
-— Impossibile! Ti ha riconosciuto.
-Senti già le alte strida?
-</p>
-
-<p>
-Era Santippe, infatti. Ella si era imbattuta
-nella comitiva dei convitati di
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-Callia, che ritornavano in Atene. Aveva
-chiesto di Socrate e quelli ridevano.
-</p>
-
-<p>
-— Maledetti bardassi! cinedi porci! — aveva
-detto contro le loro risa, ed
-aveva seguitato a girare per ritrovarlo
-quel vagabondo di suo marito.
-</p>
-
-<p>
-— Eccolo qui, — disse, — che non si
-accontenta di aver persa la notte; ma
-anche il mattino! A casa, dico, che tu
-sei ubriaco fradicio!
-</p>
-
-<p>
-E presolo per la mano se lo trascinava
-dietro a gran passi. — Ma che proprio
-tutto io, tutto io? io accendere il
-fuoco? io scopare? e tu in giro a far
-gozzoviglia, muso da cane?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E quando Socrate fu giunto a casa,
-un visetto, un po’ camuso anche lui, si
-levò dagli stracci della sua cuna: due
-occhietti luccicarono, due manine batterono
-a palma a palma: <i>File pappos</i>,
-Papà mio!
-</p>
-
-<p>
-Era il suo ultimo germoglio.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap8">VIII.
-<span class="smaller">Il colloquio fra Anito e Meleto.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Le profezie di Santippe non tardarono
-ad avverarsi.
-</p>
-
-<p>
-— Socrate, — diceva Santippe, — sta
-a casina tua, metti la testa a partito,
-chè sei vecchio; chiacchiera meno; se
-no ti predìco che farai mala fine.
-</p>
-
-<p>
-Ma Socrate si era sempre profumato — come
-già dicemmo — col profumo
-della verità, e perciò non poteva
-star zitto.
-</p>
-
-<p>
-Qui è indispensabile osservare come
-Socrate non fu lui solo ad avere questa
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-abitudine: Cristo parlava dall’alto
-della montagna; Dante parlava dall’alto
-dei secoli; Campanella portava per emblema
-una campana, e aveva per motto:
-«<i>Non tacebo</i>, non starò mai zitto!»
-San Francesco andò scalzo e lacero a
-parlare davanti alla maestà del Papa;
-Tolstoi cammina per la neve, con la sua
-barba bianca, sino ad affacciarsi al nostro
-occidente e grida: «Io non posso
-tacere!»
-</p>
-
-<p>
-Ora quando si consideri come tutti
-costoro fecero mala fine, che Tolstoi,
-che era un signore, morì su la neve, risulta
-evidente che è assai meglio tenere
-la fiaccola sotto il moggio e non sopra
-il moggio: cioè seguire la saggezza del
-sentenzioso Bertoldo, il quale assicurava
-che in bocca chiusa non entrano
-mosche; e Bertoldo fu pure una rispettabile
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-persona, e se morì male fu anzi
-per eccesso di delicatezze a cui il suo
-stomaco di bifolco non era abituato.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Dunque Socrate era un predestinato
-a far mala fine. Ma quando io penso che
-Socrate non fu condannato da un tribunale
-segreto, coi giudici notturni e mascherati;
-non fu crocifisso da fanatici
-ebbri di odio; ma fu condannato alla
-luce del sole, legalmente, da cento tranquilli
-cittadini giurati, allora io sono
-preso da una gioia furibonda, ed esclamo,
-come in principio: — Oh, Atene
-luce del mondo, non solo nelle arti, ma
-anche nella politica!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Atene — ci pare di averlo detto — era
-una repubblica, cioè uno stato in cui
-tutti i cittadini sono proprietari della sovranità.
-Ora, siccome la repubblica è quel
-governo appunto che è fondato sulla virtù,
-Socrate, il quale vendeva la virtù
-per le strade, avrebbe dovuto essere almeno
-presidente della repubblica.
-</p>
-
-<p>
-Invece Socrate fu condannato a morte,
-e appunto in una repubblica democratica.
-Questa cosa può fare dispiacere
-alle nostre convinzioni democratiche,
-per la quale cosa ci domandiamo: Come
-avvenne questo fatto strano che Socrate
-fu condannato a morte in una città democratica?
-</p>
-
-<p>
-Avvenne perchè Anito ebbe un importante
-colloquio con Meleto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-In Atene, città raffinata, la democrazia
-costava cara come la aristocrazia.
-Tutti i cittadini essendo sovrani, aspiravano
-anche ad una piccola lista civile,
-cioè a vivere sovvenzionati dallo Stato,
-tanto che lo Stato dava anche gli spettacoli
-del teatro gratis.
-</p>
-
-<p>
-Il denaro — equivalente sensibile
-della virtù — era molto ricercato e
-molto onorato in Atene. E similmente,
-come conseguenza, avvenne questo, che
-una volta un re che assediava Atene,
-invece di bombardare la città, vi fece
-entrare degli asini carichi d’oro: nessuna
-cavalcata eroica sortì effetto più
-bello! Atene fu presa risparmiando vite
-ed edifici.
-</p>
-
-<p>
-Per evitare quest’inconveniente, gli
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-Spartani, che erano aristocratici, fecero
-coniare certe monete di bronzo da mezzo
-quintale l’una. Ma ciò non documenta
-se non la puerilità e la rozzezza degli
-Spartani, perchè l’uomo, quando si tratta
-di trasportare il denaro, è più robusto
-della formica la quale è capace di trascinare
-un peso circa duecento volte superiore
-al proprio peso.
-</p>
-
-<p>
-Questa è una facoltà che hanno gli
-uomini tanto in democrazia quanto in
-aristocrazia.
-</p>
-
-<p>
-Ma un inconveniente anche più grave
-e più speciale di Atene era la facilità
-con cui gli uomini, forniti di bella voce,
-arrivavano al potere. E quando si consideri
-che quasi tutti in Atene avevano
-bella voce, si capirà anche quanta gara
-ci fosse e quanta difficoltà nel mantenersi
-al potere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gli Spartani invece non parlavano
-che a monosillabi.
-</p>
-
-<p>
-Questa diversità del modo di parlare
-fu, nel caso speciale di Atene e Sparta,
-uno dei motivi per cui i due popoli si
-guerreggiarono a morte. Ma anche altre
-diversità, come del colore, del modo di
-mangiare, di dire le orazioni, ecc., posson
-essere cagione di guerra. Ecco, dunque,
-gli Spartani che facevano guerra a
-morte agli Ateniesi.
-</p>
-
-<p>
-E noi possiamo osservare che in tutti
-i tempi i grandi guerrieri, questi tetri
-agenti della morte, sono taciturni come
-la morte. Perciò gli Spartani, che parlavano
-a monosillabi, furono vincitori
-degli Ateniesi che parlavano troppo!
-</p>
-
-<p>
-L’ultima battaglia navale fu un disastro
-irreparabile. La bella armata di
-mare degli Ateniesi, la più bella armata
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-che allora navigasse il Mediterraneo,
-gloria e scudo di Atene, in un giorno
-di distrazione e discussione dei suoi capitani,
-fu sorpresa dagli Spartani, e
-andò in pezzi.
-</p>
-
-<p>
-Per effetto di questo disastro, Atene
-perdette la sua libertà e gli Spartani vi
-insediarono trenta Oligarchi, taciturni
-e sanguinari, che spadroneggiavano in
-Atene, tenevano chiusi i teatri, non permettevano
-di parlare e mandavano la
-gente a casa all’ora del coprifoco.
-</p>
-
-<p>
-Socrate anche in quella circostanza
-seguitò a parlare lo stesso.
-</p>
-
-<p>
-Ed allora il capo degli Oligarchi lo
-mandò a chiamare e con voce cupa gli
-disse: — Socrate, noi siamo stanchi fracidi
-dei tuoi discorsi!
-</p>
-
-<p>
-Ê molto probabile che Socrate avrebbe
-fatto già da allora cattiva fine.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma gli Ateniesi, piuttosto che stare
-zitti, preferirono morire, e fecero una
-rivoluzione. E allora gli Oligarchi, che
-incutevano tanta paura, ebbero paura e
-scapparono. E qui diciamo come questo
-bello spettacolo di vedere i tiranni aver
-paura e scappare davanti alla rivoluzione,
-è uno dei vantaggi della democrazia.
-</p>
-
-<p>
-Atene, cacciati che ebbe gli Oligarchi,
-ritornò più democratica di prima,
-e il presidente della Repubblica, o primo
-arconte, si chiamava Anito, ed era di
-professione cuoiaio.
-</p>
-
-<p>
-Anito era una rispettabile persona ed
-era intelligente, prima perchè tutti gli
-Ateniesi erano intelligenti, secondo perchè
-le persone che arrivano al potere
-sono intelligenti. Era anche un formidabile
-democratico, perchè aveva sofferto
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-l’esilio durante la tirannia dei trenta
-Oligarchi, e gli interessi della sua conceria
-erano stati molto danneggiati. Per
-impedire che la flotta andasse in frantumi
-una seconda volta, egli aveva
-provveduto facendo votare una legge
-che prescriveva che tutte le navi fossero
-fasciate con un triplice rivestimento
-di cuoio.
-</p>
-
-<p>
-Allo scopo poi di evitare congiurazioni
-contro lo Stato, Anito ispezionava
-e faceva diligentemente ispezionare le
-vie di Atene.
-</p>
-
-<p>
-Ora noi sappiamo che Socrate passeggiava
-per le vie di Atene e vendeva
-gratuitamente la <i>noùs</i> ai giovani.
-</p>
-
-<p>
-Se Socrate avesse sparlato della democrazia
-e dei cuoiai puzzolenti, oppure
-avesse deriso il progetto del rivestimento
-di triplice cuoio per le navi,
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-il sospettoso Anito avrebbe capito subito.
-</p>
-
-<p>
-Anito parlava lo stesso linguaggio
-di Socrate, ma non capì troppo bene. Le
-orecchie di Anito erano pelose. Ora
-quando si pensi che frate Egidio e re
-Luigi il Santo parlavano due diversi
-linguaggi, e pur si capirono soltanto
-alle sfavillanti, lagrimanti pupille; anzi
-l’uno davanti l’altro devotamente si inginocchiò,
-bisogna ammettere che questo
-umano linguaggio ha meno valore
-che non si crede comunemente.
-</p>
-
-<p>
-E non soltanto Anito capì poco; ma
-gli parve che il saluto a lui, presidente
-della Democrazia, fosse poco reverente.
-</p>
-
-<p>
-Alcibiade, nepote di Pericle (un intellettuale
-molto sospetto!) diceva bensì:
-«Salute, Anito!»; ma le sue pupille,
-dall’alto della pura clàmide, giravano
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-così sardonicamente, che parevano dire:
-«Dove sei, Anito, verme della terra?»
-</p>
-
-<p>
-Ed i sicofanti avevano riferito per
-certe queste parole del giovane Senofonte:
-«Salcicciai e cuoiai arricchiti vadano
-pure al potere: ma col voto dei
-salcicciai e cuoiai soltanto. Noi, piuttosto
-che dare il voto a simili candidati,
-boicoteremo lo Stato, andremo volontariamente
-in esilio.»
-</p>
-
-<p>
-«Tutto questo, — pensava Anito, — è
-effetto della filosofia di quel vecchio.
-E che è questa filosofia che rende gli
-uomini indaganti, oltracotanti, ciarlanti,
-boicotanti, scioperanti?»
-</p>
-
-<p>
-Egli non sapeva che cosa fosse la
-filosofia; ma come uomo politico, cioè
-intelligente, capì che quel vecchio parlava
-parole a lui nemiche, e quindi era
-nemico pericoloso per la democrazia. (E
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-questo di giudicare pericolosi i filosofi
-è, pur troppo, una qualità tanto delle
-aristocrazie quanto delle democrazie.)
-</p>
-
-<p>
-«Ah, è troppo tempo, — diceva Anito, — che
-quel vecchio chiacchiera per
-le vie di Atene!»
-</p>
-
-<p>
-E andava considerando fra sè come
-lo si potesse togliere dalla circolazione.
-</p>
-
-<p>
-«Ecco, — esclamò trionfalmente Anito,
-puntando l’indice contro la fronte, — noi
-possediamo l’organo legale, l’ostracismo!
-Blandamente, dolcemente, noi
-togliamo questo individuo dalla circolazione.
-Sì, ma dove li troviamo noi tremila
-cittadini che diano il voto per mandare
-Socrate in esilio? Per quale motivazione?
-Perchè parla troppo? Ma allora
-bisognerebbe mandare in esilio tutti
-gli Ateniesi! Eppure un motivo ci deve
-essere!»
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anito, uomo politico, sentiva al fiuto
-che un motivo c’era. Ma quale? Non
-riusciva a trovarlo, e perciò si decise
-ad andare da Meleto, che era l’arconte
-basileo, e aveva l’orecchio più
-sottile.
-</p>
-
-<p>
-Questo Meleto non era un sacerdote:
-Atene non ebbe sacerdoti, chè se li
-avesse avuti, non sarebbe stata più Atene.
-Era soltanto una mente sacerdotale.
-Oltre a ciò convien dire che questo Meleto
-era un eupatrida, cioè un nobile,
-e lo si diceva un po’ partitante dell’aristocrazia.
-Ma essendo al potere, ed
-avendo anche lui approvato il rivestimento
-di cuoio per le navi, Anito e Meleto — cioè
-demagogo ed oligarca — si
-trovavano in buoni rapporti.
-</p>
-
-<p>
-Mentre dunque Anito si reca da Meleto,
-noi ci domandiamo: Perchè questa
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-legge dell’ostracismo, cioè di un esilio
-blando e niente affatto disonorevole, non
-fu conservata nelle legislazioni che vennero
-di poi? Perchè quella legge fu trovata
-ingenua, cioè superflua.
-</p>
-
-<p>
-Dove Anito o Meleto salgono ai primi
-onori di uno Stato, gli uomini buoni
-si eliminano automaticamente, senza
-ostracismo.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Meleto era un personaggio flemmatico
-e maestoso, e il discorso che seguì
-fra i due uomini di Stato fu di molto interesse,
-anzi è memorando.
-</p>
-
-<p>
-— Quell’uomo, quel Socrate, — cominciò
-a dire Anito, — io l’ho ascoltato
-attentamente; parla di fabbri, di
-falegnami, di asini col basto, dice che
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-conviene essere <i>kaloikagatoi</i>,<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a> <i>filosofoi</i>....;
-eppure io sento che quell’uomo
-è pericoloso allo Stato. Pensa o non
-pensa vostra Eminenza quest’uomo pericoloso
-allo Stato?
-</p>
-
-<p>
-— Mah! — rispose Meleto.
-</p>
-
-<p>
-— Che cosa vuol dire «Mah!»? — domandò
-Anito che era uomo impaziente.
-</p>
-
-<p>
-— Mah, — rispose gravemente Meleto, — vuol
-dire «pericoloso» e vuol
-dire anche «niente affatto pericoloso».
-</p>
-
-<p>
-— Abbiate la cortesia di spiegarvi,
-perchè io non sono nato interprete paziente
-di enigmi.
-</p>
-
-<p>
-— Non è un enigma, buon uomo, — rispose
-Meleto, — è una cosa semplice.
-Se i peli delle vostre orecchie non vi
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-avessero intercluso l’udito, voi avreste
-inteso che Socrate non parla soltanto
-degli asini col basto, ma parla anche di
-una voce misteriosa che ogni tanto gli
-ragiona, e lui solo ode, e lo mette in
-diretta comunicazione con Giove. Ora
-vostra Celsitudine può capire molto
-bene che se tutti gli Ateniesi fossero,
-come Socrate, in diretta comunicazione
-con Giove, io sommo pontefice, io arconte
-basileo, che servo appunto da interprete
-fra gli uomini e gli Dei, <i>fututus
-sum!</i>
-</p>
-
-<p>
-Detto ciò, Meleto tacque e sorrise.
-L’orlo del suo manto era scomposto, e
-se lo ricompose.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ne dia</i>, — esclamò Anito, — ma
-allora se tutti gli Ateniesi diventeranno
-ragionanti e ragionevoli, anch’io,
-arconte polemarco, <i>fututus sum!</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gli occhi sereni di Meleto fissavano
-lo scomposto volto di Anito.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Ne dia</i>, per Giove, per la gran
-barba di Giove, — esclamò poco dopo
-ancora Anito, come percosso da un secondo
-lampo di luce, — se tutti gli Ateniesi,
-anzi se tutti gli uomini diventano
-<i>kaloikagatoi</i>, oltrechè <i>filosofoi</i>, siamo
-f..... tutti! Non più guerre, non più rivestimenti
-di cuoio alle navi! <i>Ne dia!</i>
-le cose sono di una gravità immensa!
-Quel vecchio melenso mi fa una rivoluzione
-più terribile di quella che ho fatto
-io! Addio Meleto, vi do il buon giorno!
-</p>
-
-<p>
-— E dove va vostra Celsitudine?
-</p>
-
-<p>
-— Vado a salvare lo Stato, vado ad
-arrestare Socrate....
-</p>
-
-<p>
-— Io credo che si possa aspettare
-anche domani, — disse pacatamente Meleto. — Domani,
-o anche mai!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Mai?
-</p>
-
-<p>
-— Mai, buon Anito! perchè mai
-verrà il giorno che gli Ateniesi diverranno
-ragionanti e ragionevoli, mai verrà
-il giorno in cui gli asini col basto
-ubbidiranno alla voce del proprio Demone,
-mai gli uomini diventeranno <i>kaloikagatoi</i>!
-Il pericolo socratico, credete,
-Anito, è del tutto insussistente; è
-un futurismo senza futuro!
-</p>
-
-<p>
-— Ma il rivestimento di cuoio per
-le navi?
-</p>
-
-<p>
-— Il rivestimento di cuoio per le navi
-si farà, e così si faranno le armi, e così
-si faranno le guerre in perpetuo, — rispose
-Meleto. — La nobile Atene ha,
-a venti chilometri a nord, gli idioti
-Beoti; a venti chilometri a sud, i taciturni
-Spartani, che dove passano una
-sola traccia lasciano; quella della loro
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-mano insanguinata e brutale: tutt’attorno
-poi a nord, tutt’intorno a sud,
-dalla parte dove il sole si leva, e dalla
-parte dove il sole tramonta, crescono
-e montano le generazioni dei barbari
-che nessuna forza o dio distruggerà!
-Non vi date, dunque, pensiero, Anito,
-nè per la guerra, nè per le armi,
-nè pel rivestimento di cuoio. La nobile
-Atene dovrà guerreggiare in perpetuo
-se vorrà salvare la sua Minerva!
-</p>
-
-<p>
-— Cosicchè voi, Meleto, — domandò
-Anito, — non condannereste Socrate
-nemmeno con il più dolce, con il più
-blando ostracismo?
-</p>
-
-<p>
-— Io lo avrei, e da tempo, colpito di
-morte, — rispose Meleto con gravità solenne; — ma
-noi siamo in una città democratica!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anito stupì e strinse calorosamente
-la mano a Meleto.
-</p>
-
-<p>
-— Allora convenite con me che quell’uomo
-è pericoloso allo Stato. Ma se
-prima dicevate che urgenza di pericolo
-non c’era?
-</p>
-
-<p>
-— No, buon Anito, urgenza di pericolo
-non esiste. Per la salute del mondo,
-mai gli asini col basto udranno la voce
-del Demone, mai gli uomini diventeranno
-<i>kaloikagatoi</i>, e sotto quest’aspetto
-il pericolo è insussistente. Ma ben è
-vero che gli Ateniesi sono già per loro
-natura troppo schernevoli, troppo mobili!
-Da troppo tempo hanno preso il
-mal vezzo di mettere, anche sul teatro,
-in burletta gli Dei! Mai codesto sarebbe
-tollerato in governo aristocratico! Perchè
-sappiate, o Anito, che per la salvezza
-di Atene e della terra, è sommamente
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-necessario conservare intatto
-Giove, il Cesare del Cielo, con le sue gerarchie
-disciplinate: Briareo dalle cento
-braccia, Proteo dalle cento forme, Ercole
-con la clava enorme; i gran gendarmi
-di Giove! Imperio, ubbidienza e
-servitù. Ciò risponde alla configurazione
-della terra! Ma le democrazie sono instabili,
-fermentanti, tumultuose. Vanno
-alle estreme conseguenze della logica
-e della illogica; ed allora non è più possibile
-governare gli Stati. Ora quel vecchio
-pazzo che su tutto indaga, che su
-tutto discute, che insegna agli altri ad
-indagare e discutere; che crea il diritto
-e la sovranità dell’individuo, mentre non
-ci deve essere che un solo diritto, una
-sola sovranità, lo Stato, quel vecchio è
-l’essere deleterio e perniciosissimo alla
-salute della Repubblica.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Allora Socrate, — disse Anito con
-istupore, — è secondo voi essenzialmente
-democratico! Io lo credevo aristocratico....
-Però sappiate, o Meleto, che se è
-necessario salvare la patria, io per questa
-occasione posso diventare aristocratico!
-</p>
-
-<p>
-Il grave capo di Meleto, l’arconte
-basileo, si chinò alquanto. — Confortatevi,
-Anito, — disse poi. — Forse Socrate
-è un aristocratico....
-</p>
-
-<p>
-— Allora io avevo capito subito.... — disse
-Anito.
-</p>
-
-<p>
-— Comunque sia, o aristocratico o
-democratico, — disse Meleto, — vano è
-ricercare. Una cosa è certa: Socrate è
-pestifero. Quella gioventù che indaga,
-dubita, discute, si affolla intorno a lui,
-è di mal seme! Atene, circondata come
-è da Spartani e Beoti, di una sola cosa
-ha bisogno, di una pesante spada di
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-bronzo che cali con altrettanta brutalità
-come la spada spartana. Per parlare,
-uno solo basta, l’arconte. Gli altri
-basta che sappiano, con disciplinato silenzio,
-morire.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, ammirabile uomo! — esclamò
-Anito. — Ma è ben pericolosa la filosofia!
-</p>
-
-<p>
-— Una malattia dello spirito, — sentenziò
-Meleto.
-</p>
-
-<p>
-— Una malattia, — rincalzò Anito, — che
-non ha altro effetto pratico se non
-quello di rendere i nostri Ateniesi malcontenti,
-impertinenti, disubbidienti, poco
-rispettosi anche verso di me. Andrò
-io bene alle radici del male, Meleto!
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ma procedete, vi prego, con la
-legalità più scrupolosa. Siamo in città
-democratica, e per questo evitai io di
-prendere un’iniziativa qualsiasi. Ma poichè
-a voi così pare, fate. Badate però
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-che la procedura non deve essere soggetta
-ad alcuna critica. Ricavate la sentenza
-sulle coordinate del Codice. Tutto
-sia — ripeto — perfettamente legale.
-Noi non vogliamo che una luce fosca
-sia gettata sui nostri costumi politici.
-</p>
-
-<p>
-Così parlò Meleto ad Anito ed Anito
-a Meleto.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E fu in conseguenza di questo colloquio
-fra Anito e Meleto, uno dei più
-interessanti colloqui storici che la politica
-ricordi ancorchè non si trovi registrato
-in alcun testo, che nell’anno
-primo della novantacinquesima Olimpiade,
-cioè l’anno 399, cioè quattro secoli
-prima ancora della passione di nostro
-Signore Gesù Cristo, gli Ateniesi lessero, — perchè
-tutti gli Ateniesi avevano
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-l’istruzione obbligatoria, e quindi
-sapevano leggere, — affisso sotto il portico
-dell’Arconte Basileo, questa citazione,
-o libello, così concepito: «Socrate,
-figlio del fu Sofronisco e della fu
-Fenarete, ammogliato con prole, di professione
-scultore disoccupato, è accusato
-di perniciosissima propaganda contro
-lo Stato. Arrogi che egli non mostra
-il dovuto rispetto verso Giove, padre
-degli Dei e imperatore degli uomini, in
-quanto che insegna dottrine religiose
-contrarie alla religione dello Stato e
-alla democrazia, e perciò è di grave
-scandalo alla gioventù».
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Quel giorno Santippe aspettò proprio
-invano suo marito per l’ora del desinare.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap9">IX.
-<span class="smaller">Oh, povera Santippe!</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Non a pena Santippe venne a sapere
-che suo marito era stato messo in prigione,
-ne fu molto perturbata.
-</p>
-
-<p>
-«Lo dicevo io che una volta o l’altra
-ci sarebbe capitato addosso qualcosa di
-serio! Eh, avessi io sposato un onesto
-trippaio! Suvvia, figliuoli, vestitevi con
-i peggiori abiti che avete (già di buoni
-non ne avete) e andiamo a metterci sulla
-porta per dove devono passare i giudici».
-</p>
-
-<p>
-I signori giudici giurati passavano
-gravemente in lunga fila di cento giurati,
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-tutti vestiti coi manti bianchi. Essi
-si recavano al dikasterio, che vuol dire
-<i>la casa di Dike</i>, quella tale vergine e
-troppo delicata Giustizia, la quale vedendo
-che non c’era modo di salvare il
-suo onore, tornò su ancora in cielo: e
-allora ci andò ad abitare al dikasterio
-una buona donna più accomodante, la
-quale non essendo niente affatto vergine,
-era corazzata contro gli oltraggi
-degli uomini, da ogni parte, con triplice
-cuoio, come le navi di Anito.
-</p>
-
-<p>
-Ora Santippe all’angolo del dikasterio,
-faceva insieme coi figliuoli, gran
-corrotto, e tutti quei suoi capellacci
-rossi e quelle sue strida mettevano
-quasi paura, anche ai signori giurati.
-</p>
-
-<p>
-— Meschini noi! — urlava. — Or che
-faremo noi, deserti del nostro uomo?
-Adess’adesso vengo su anch’io nel dikasterio,
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-e ci mettiamo tutti noi, insieme
-con lui, a piangere!
-</p>
-
-<p>
-Ma tutti i signori giurati erano di
-una gravità nera ed impressionante benchè
-vestiti di bianco.
-</p>
-
-<p>
-Mostravano verso Santippe la palla
-bianca degli occhi e le palme delle mani
-ai due lati degli occhi come per dire:
-«È una cosa grave, grave, grave!»
-</p>
-
-<p>
-E qualcuno pur le diceva: — Pare si
-tratti di un delitto contro lo Stato. <i>Crimen
-lesae maiestatis!</i>
-</p>
-
-<p>
-— <i>Proditionis insimulatus!</i> — diceva
-un altro.
-</p>
-
-<p>
-— L’arconte basileo, oimè, sostiene
-l’accusa! — diceva un terzo.
-</p>
-
-<p>
-— Mah! — sospirava un quarto.
-</p>
-
-<p>
-— Sentiremo quello che risponde
-lui! Ma non sa nè parlare nè star zitto!
-</p>
-
-<p>
-— Voi, ad ogni buon conto, la mia
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-buona donna, tenetevi qui pronta con
-questi marmocchi; al momento opportuno,
-quando si farà la votazione, vi
-manderemo a chiamare....
-</p>
-
-<p>
-E qualcuno più disposto a pietà, diceva
-piano ai colleghi: — Se non fosse
-una cosa sì grave, potrebbe costei
-tentar di inviare qualche donativo ad
-Anito....
-</p>
-
-<p>
-— Infatti, — rispondeva ancor più
-piano il collega, — <i>mùnera placant hominesque
-deosque</i>.... Ma che può mandare
-costei?
-</p>
-
-<p>
-— Che vai dicendo? — chiedeva Santippe.
-</p>
-
-<p>
-— Diciamo, buona donna, che Anito
-è di animo sensibile.
-</p>
-
-<p>
-Così dicevano, nei primi giorni del
-processo, i giurati alla buona donna, e
-lei si stava tutto il dì alla porta del dikasterio.
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-Bene avrebbe elevato nell’aula
-le strida, e fatto gran corrotto non appena
-l’avessero chiamata!
-</p>
-
-<p>
-Mai però Santippe si sarebbe imaginata
-una simile tragedia, la quale avrebbe
-travolto anche il suo umile nome nella
-rivista della storia!
-</p>
-
-<p>
-Ma passavano i giorni, e Santippe
-non era chiamata su in tribunale. L’aspetto
-dei signori giurati era sempre più
-nero ed enigmatico.
-</p>
-
-<p>
-— Bisogna che vi armiate di coraggio,
-la mia donna, — disse uno dei giurati; — ma
-le cose si mettono al male,
-e quel disgraziato si vuol rovinare! Invece
-di star zitto e lasciar parlare il suo
-avvocato, parla lui! Invece di lagrimare
-o di strapparsi quei quattro cernecchi
-che gli avanzano in testa, sorride, sorride
-proprio in faccia all’arconte basileo,
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-e in faccia ad Anito...., e in faccia
-a noi! Pare che si sia come fissato; e
-i suoi occhi spenti guardano cose lontane!
-Mah! — e le teste dei giudici più
-pietosi crollavano compassionevolmente
-sopra i candidi manti.
-</p>
-
-<p>
-— Ma lo sapete pure che è un insensato! — urlava
-Santippe. — Quando vennero
-a casa a prenderlo, sorrideva anche
-allora, e si lasciò portar via come un
-pecorino. Io gli volevo sformare il muso
-a quei sicofanti, ma lui mi disse di stare
-cheta e di non contrastare.
-</p>
-
-<p>
-— Non è una buona ragione essere
-insensato, — rispondevano gravemente i
-giurati. — Certo parla come insensato.
-Egli ha dichiarato che è dolentissimo;
-ma che per far piacere ad Anito e Meleto
-non può, specialmente alla sua età,
-mutare la sua vita. Lo vorrebbe anche,
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-ma il suo Dio non vuole, il suo Dio, capite
-voi? chè per quello che anche noi
-se ne può capire, è più misterioso di Demetra,
-più intelligente di Minerva, più
-autorevole di Giove stesso. È l’accusa
-di Meleto! E lui, infelice, la ribadisce!
-</p>
-
-<p>
-— Meleto e Anito allora hanno ragione!
-</p>
-
-<p>
-— <i>Crimen impietatis</i>, oltre che <i>crimen
-lesae maiestatis!</i> — mormoravano
-i giudici del popolo e non volgevano più
-nemmeno il bianco delle pupille verso
-Santippe.
-</p>
-
-<p>
-E venne un nunzio quando fu sera e
-disse: — Santippe, Socrate vostro fu
-giudicato reo!
-</p>
-
-<p>
-— Oimè, oimè, deserta, — urlava
-Santippe fuggendo per le vie d’Atene, — me
-l’hanno condannato quel povero
-uomo. L’hanno giudicato reo! Ma reo
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-dì che? Disoccupato, scioperato, mentecatto,
-ma reo di che?
-</p>
-
-<p>
-— Datti pace, Santippe, — diceva la
-gente per le vie, — ogni speranza non è
-perduta.... L’hanno giudicato reo: questo
-è vero, ma la maggioranza è di soli
-tre voti. L’ultima parola non è ancor
-detta. Domani è l’ultima seduta. Meleto,
-sì, è vero, proporrà domani la pena; ma
-Socrate ha il diritto di fare una controproposta.
-È per legge! E allora sappi,
-Santippe, che sono ancora i giurati
-quelli i quali devono stabilire la pena.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Or dunque, quando venne l’ultimo
-giorno, grande fu la trepidazione di Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Ma il dikasterio pareva quel dì muto
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-come la casa dei morti. Declinava ancora
-il sole.
-</p>
-
-<p>
-Ad un tratto fu udito un gran tumulto,
-un urlo di cento voci, poi silenzio
-ancora, poi, dopo alquanto, furono
-spalancate le porte e tutte le cento toghe
-bianche dei signori giurati si precipitarono
-fuori in gran tumulto. Travolsero
-Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Ultimi, lentamente, uscirono Meleto,
-Anito ed i notari e fiscali.
-</p>
-
-<p>
-— Noi abbiamo salvato la Repubblica! — diceva
-gravemente Anito.
-</p>
-
-<p>
-— Nel presente e nel futuro, — diceva
-Meleto.
-</p>
-
-<p>
-I notari, loro intorno, facevano reverenza,
-e si ripetevano l’un l’altro: — Una
-pervicacia inaudita, signori!
-Il disprezzo di ogni tradizione, di ogni
-legge!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Che cosa dunque era accaduto nell’aula
-del dikasterio?
-</p>
-
-<p>
-Questo era accaduto:
-</p>
-
-<p>
-I signori giurati avevano il giorno
-precedente approvato l’accusa di reità.
-Ma la maggioranza dei voti era stata
-assai scarsa. Tre voti appena!
-</p>
-
-<p>
-E Anito e Meleto uscirono dal dikasterio
-in quel dì con accigliato cipiglio
-squadrando i cento giurati, fra cui quarantasette
-(certo) erano quelli che giudicavano
-Socrate, non reo.
-</p>
-
-<p>
-Tutta notte Meleto, al lume della lucerna,
-meditò nel nero cuore la sua requisitoria.
-E come spuntò il dì, la recitò,
-e rimbombò l’aula del dikasterio. Egli,
-l’arconte basileo, domandava la pena
-di morte, <i>pro crimine impietatis</i>!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ma perchè, signori giurati, — proseguì
-Meleto, — nulla la democrazia ateniese
-fece e farà mai contro la legge,
-prima che voi diate sentenza, a te, Socrate,
-spetta proporre di quale pena ti
-giudichi meritevole.
-</p>
-
-<p>
-— In verità, Meleto, in verità, Anito,
-e tutti voi, signori di Atene, — cominciò
-allora Socrate, — io ben considerando di
-avere speso tutta la mia vita in pro’
-vostro e di avere per questo trascurato
-gli interessi miei e quelli della mia famiglia,
-domanderei invece un premio.
-Ma sono vecchio oramai, ho settantacinque
-anni e perciò io mi restringo a
-chiedervi una tenue pensione; e quanto
-a voi, Meleto ed Anito, io chiedo la
-nomina nel Pritaneo, dove lo Stato onora
-e nutre i suoi cittadini più benemeriti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-</p>
-
-<p>
-(Noi oggi diremmo la nomina a membro
-del Senato.)
-</p>
-
-<p>
-E fu allora che un clamore immenso
-si levò fra i giudici: — Quell’uomo schernisce
-la maestà della legge!
-</p>
-
-<p>
-— No, membro del Pritaneo? — continuò
-Socrate. — Voi mi volete condannare
-ad ogni modo? Ebbene: io allora
-ubbidirò e pagherò una multa: tutto
-quello che io vi posso dare, vi darò, signori
-giudici!
-</p>
-
-<p>
-E così dicendo, Socrate levò e presentò
-alta una moneta: un obolo!
-</p>
-
-<p>
-(Noi diremmo: due centesimi.)
-</p>
-
-<p>
-E fu così che quegli onesti bruti votarono
-la pena di morte a totale maggioranza.
-</p>
-
-<p>
-Tutti quei cento bruti da molti giorni
-soffrivano di una cotale prurigine alla
-pelle, come se le parole di Socrate fossero
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-state un’invisibile, un’impalpabile
-polvere vescicatoria.
-</p>
-
-<p>
-— A morte! — gridarono i giudici.
-</p>
-
-<p>
-— A morte, signori Ateniesi? — domandò
-allora Socrate senza mutar voce. — Ma
-ci potremo intendere benissimo,
-giacchè il Dio solo sa e conosce se la
-morte è un male od un bene.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E fu così che Socrate, per profumarsi
-col profumo della verità e più specialmente
-per non poter tacere, fu condannato
-a morte.
-</p>
-
-<p>
-Avete ucciso, o Ateniesi, l’usignolo
-delle Muse, il savio vero, l’innocente,
-il miglior uomo che fosse tra voi.
-</p>
-
-<p>
-E gli uomini giudicarono savio l’insensato,
-ma soltanto dopo che l’insensato
-era morto!
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap10">X.
-<span class="smaller">Santippe nella prigione di Socrate.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Vi sono nella vita certe cose meravigliose
-ed indomite che la ragione di
-un galantuomo non riesce a capire.
-</p>
-
-<p>
-Io, per esempio, non capisco perchè
-Socrate non volle fuggire dal carcere
-quando quel giorno, che non era nè notte
-nè l’alba, venne l’amico Critone e gli
-disse: — Socrate, fuggi!
-</p>
-
-<p>
-E glielo disse con quella sollecitudine
-e con quell’affanno con cui noi avvertiamo
-una persona molto cara di campare
-da un grave pericolo e la sollecitiamo,
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-perchè essa non vede, non cura,
-non è sollecita.
-</p>
-
-<p>
-E Critone trovò Socrate non stoicamente
-«impassibile», nel suo carcere,
-come spesso si legge di alcuni grandi
-eroi che erano condannati a morte; ma
-lo trovò, come sempre, buono ed affabile.
-Era forse un po’ disturbato, in quanto
-che Critone lo aveva allontanato dal sonno,
-e pareva quasi voler rimproverare il
-suo giovane discepolo con quelle parole: — Come,
-Critone, a quest’ora? È già
-spuntato il sole? — e pareva volesse dire: — Perchè
-mi hai tu chiamato alla vita?
-</p>
-
-<p>
-— Perchè tu devi fuggire, — dice
-Critone, — devi salvarti: tutto è pronto
-per la fuga, le guardie del carcere sono
-state comperate da noi.
-</p>
-
-<p>
-E Socrate disse che non voleva fuggire,
-e Critone vide la faccia di Socrate
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-distendersi nel suo umile sorriso come
-se dentro un lume di letizia si fosse improvvisamente
-acceso.
-</p>
-
-<p>
-Critone cominciò a lagrimare. E Socrate
-cominciò a spiegargli le belle ragioni
-perchè non voleva fuggire.
-</p>
-
-<p>
-Ed è proprio vero quello che noi sappiamo,
-cioè che Socrate non volle fuggire
-per non far del male alla sua adorata,
-unica patria disubbidendo alle sue leggi?
-</p>
-
-<p>
-Sì, questo può darsi. Allora non usavano
-le nostre grandi patrie; ma usavano
-piccole patrie, le quali si abbracciavano
-con un’occhiata, e si abbracciavano
-anche col cuore più facilmente che
-non le nostre troppo grandi patrie. Ma
-può anche darsi che Socrate udisse al
-di là della voce di Critone che supplicava:
-«Socrate, fuggi!», la voce dell’umanità
-che diceva: «Socrate, non fuggire;
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-Socrate, per carità, fatti ammazzare!».
-Perchè è un fatto che l’umanità
-ha bisogno, ha bisogno, ogni tanto,
-come l’Orco della favola, di divorare
-qualche uomo giusto.
-</p>
-
-<p>
-E potrebbe darsi inoltre che Socrate
-avesse sentito in quell’ora tutta la verità
-di quelle parole inebbrianti che egli
-già aveva dette ad Assioco: «Da quest’ora
-in avanti la mia anima desidera
-la morte».
-</p>
-
-<p>
-E potrebbe anche darsi che Socrate
-provasse in quell’ora quel furente entusiasmo,
-quella follia che Dante colloca
-nell’animo di un altro eroe tutt’altro che
-ingenuo, quando lo sospinge, vecchio,
-ad affrontare l’immenso mare, ignoto,
-delle tenebre: «Suvvia, Socrate, facciamo
-l’esperimento della morte! Scagliamo
-la nostra vita, con ancora tutte
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-le fiaccole dei sensi vive ed accese, contro
-la morte!»
-</p>
-
-<p>
-Ma che ne sappiamo noi?
-</p>
-
-<p>
-Noi sappiamo che egli non volle fuggire
-e che la mattina in cui, a giorno
-già fatto, gli amici suoi, Fedone, Critone,
-Apollodoro, Cebete e altri entrarono
-nel carcere, per l’ultima volta, vi trovarono
-già Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Povera e calunniata signora!
-</p>
-
-<p>
-Quante volte abbiamo letto nei libri,
-nei giornali, che mentre il marito sta
-per morire, la moglie consulta la sarta
-sull’abito da lutto!
-</p>
-
-<p>
-Ma Santippe, no: ella era nel carcere
-di suo marito perchè aveva saputo che
-in quel giorno Socrate doveva morire.
-Ella non disse: «Oh, finalmente se ne
-va quel buon uomo».
-</p>
-
-<p>
-Ella seguiva il marito.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Però la sentenza non potè subito essere
-coronata dalla esecuzione; passò
-più di un mese tra la sentenza e l’esecuzione.
-Ciò avvenne perchè non sarebbe
-stato legale uccidere Socrate in quel
-frattempo! Quello era un sacro tempo!
-Ogni anno una nave salpava dal porto
-di Atene per portare doni <i>ex voto solemni
-pro accepta gratia</i>, al dio Apollo
-che abitava l’isoletta di Delo. Ora per
-tutto quel tempo era per legge vietato
-di ammazzare. Dopo, sì, si poteva ammazzare!
-Ma a cagione del mare cattivo
-e dei sacri banchetti, la sacra nave
-tardava ad arrivare. Ora finalmente era
-’arrivata ed era permesso ammazzare.
-</p>
-
-<p>
-Ad Anito e Meleto, all’aristocrazia
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-ed alla democrazia, stava a cuore la più
-scrupolosa legalità.
-</p>
-
-<p>
-Gli ufficiali di giustizia, che erano
-Undici, si erano affrettati di buon mattino
-a slegare Socrate, che per tutto
-quel mese era stato incatenato come
-una malvagia bestia, e il servo dei magistrati — noi
-diremmo, il boia — pestava
-tranquillamente la cicuta nel suo
-mortaio.
-</p>
-
-<p>
-Era press’a poco l’ora lugubre in cui
-l’<i>esecutore delle grandi opere</i> — come i
-Francesi, eleganti sempre, chiamano il
-carnefice — sorveglia al lume delle fiaccole
-se la ghigliottina è montata a dovere;
-e si veste l’abito nero: l’ora lugubre
-in cui gli elettricisti in America provano
-la bontà della corrente nella sedia
-elettrica: in cui in altri paesi il boia
-impiccatore sporge per l’apertura della
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-carcere la sua pupilla per vedere sul
-condannato di quale lunghezza deve essere
-la corda della forca. Ai tempi di
-Socrate non esistevano questi lugubri
-progressi tecnici e la morte legale era
-somministrata in una maniera più intima
-e meno spettacolosa.
-</p>
-
-<p>
-Si dava la cicuta.
-</p>
-
-<p>
-La cicuta è una pianticella che cresce
-nei luoghi umidi. Essa è molto simile
-all’utile prezzemolo e produce una
-morte — dicono — quasi tranquilla, come
-quella che spesso avviene naturalmente,
-quando questo povero nostro cuore improvvisamente
-si ferma per non riprendere
-più. Certo non così estetica e tranquilla
-come la descrive Platone, ma
-insomma una cosa discreta!
-</p>
-
-<p>
-Dunque gli amici entrarono e trovarono
-Santippe nella prigione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ella era venuta di buon’ora insieme
-con i magistrati, detti gli Undici. Si era
-levata presto quella mattina perchè aveva
-saputo anche lei che la sacra nave
-era giunta. Il più piccino dei figliuoli si
-era svegliato di soprassalto sentendo
-che la mamma si levava che era quasi
-notte, e: — No via, no via anche tu,
-come il babbo! — aveva detto e poi si
-era messo a piangere; e allora Santippe
-lo aveva infagottato alla meglio per non
-farlo piangere di più e non svegliare gli
-altri due fratelli che, per fortuna, dormivano.
-</p>
-
-<p>
-E per le vie ancor buie di Atene, era
-corsa alle carceri e aveva veduto entrare
-i signori Undici. Allora s’era messa a
-galoppare col suo figliuolo in braccio;
-li aveva raggiunti e: — Oh, Madonna,
-oh, Signore, è vero — chiedeva all’uno e
-<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span>
-all’altro degli Undici — è vero che oggi
-mio marito deve morire?
-</p>
-
-<p>
-— E arrivata infine la sacra nave
-da Delo, — risposero gravemente gli uomini
-della legge.
-</p>
-
-<p>
-— Andate là, vedete di aspettare, lasciatemi
-andare da Anito, — chi sa che
-non gli possa parlare, che non abbia
-pietà di noi meschinelli.
-</p>
-
-<p>
-— La mia buona donna, — disse uno
-degli Undici — intanto a quest’ora Sua
-Celsitudine Anito dorme, e poi dite un
-po’, dove andrebbe a finire il mondo se
-si potesse così leggermente fermare la
-spada punitrice della Giustizia?
-</p>
-
-<p>
-— Ma infine, — urlò Santippe, — cos’ha
-fatto questo pover’uomo? Ha rubato?
-Ha ammazzato? No! Diceva delle
-cose senza capo nè coda perchè aveva
-come una fissazione! Eh, se si dovessero
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-ammazzare gli uomini per le sciocchezze
-che dicono, allora non ci resterebbe neppur
-più la cria della vostra brutta razza
-prepotente.
-</p>
-
-<p>
-— Delle «sciocchezze»? — disse il più
-grave degli Undici, spalancando la bocca
-ammirativa dentro la sua venerabile barba,
-mentre gli altri degli Undici già salivano
-le scale della prigione. — Delle
-sciocchezze? Ha fatto grande scandalo!
-</p>
-
-<p>
-— Ma che scandalo?...
-</p>
-
-<p>
-— Ha disprezzato la legge della città!
-Ma sapete voi cos’è la legge? La
-legge è quella cosa......
-</p>
-
-<p>
-— Che la fa chi può, e la mangia
-chi deve, — disse Santippe.
-</p>
-
-<p>
-— Vi compatisco che non sapete quel
-che vi dite. E l’avere offeso Giove Olimpio
-che è il padre degli dei e degli uomini,
-vi par poco?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Eh, che non ci credete più neppur
-voi a Giove Olimpio, buffoni!
-</p>
-
-<p>
-E a quell’invettiva il bambinello che
-aveva, coi grandi occhi attoniti, sull’alto
-della spalla di Santippe, assistito a quella
-scena al lume delle lanterne che ingiallivano
-già, per l’alba nascente, scoppiò
-in pianto dirotto.
-</p>
-
-<p>
-— Sta buono, cocco di mamma tua,
-sta buono; ora andiamo dal babbo. Vuoi
-vedere il babbo? Sì? Ora lo andiamo a
-vedere. Ma non piangere.
-</p>
-
-<p>
-E salì dietro gli Undici, i quali erano
-molto seriamente occupati a levare le
-catene a Socrate.
-</p>
-
-<p>
-Ora appena fu entrata: — Socrate,
-Socrate, Socrate, — esclamò Santippe — ma
-dunque è vero? Ma perchè ti sei difeso
-così male? Anche Pericle si è messo
-a piangere davanti ai giurati, e tu
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-perchè non l’hai fatto? Perchè non hai
-gridato «è Anito che mi odia»? E
-adesso come si fa? E per gli affari chi
-ci pensa? E come si rimedia a quell’ipoteca
-che ci mangia tutta la casa? Ah,
-vedi, che guadagno ci hai fatto con quella
-tua idea fissa del <i>kaloì kagathoì</i>!
-</p>
-
-<p>
-Intanto gli Undici avevano tolto la
-catena e se ne erano andati, lasciando
-Santippe, giacchè le antiche leggi ateniesi
-non erano così formaliste come le
-nostre, in quanto che non era stata ancora
-ben perfezionata la burocrazia.
-</p>
-
-<p>
-E quando fu sola con lui, gli si assise
-vicino sul letticciuolo, col bimbo,
-che tirava al babbo la barba con le sue
-dolci manine, e proseguì: — Ma se ieri
-l’altro, prima che arrivasse quella maledetta
-nave, Critone aveva combinato tutto,
-aveva pagato i carcerieri, era venuto
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-a casa a dirmi di tenerci pronti! Io avevo
-messo da parte quei quattro stracci
-per poter scappare tutti insieme.... Io
-pensava: To’, non tutto il male vien per
-nuocere. Andremo a vivere a Megara, a
-Tebe; là, lontano dalle occasioni, senza
-più tutti quei suoi cattivi compagni che
-lo fanno parlare, chi sa che lui non badi
-di più alla sua famiglia. Così io pensava
-e chi sa anche che non gli entri in testa
-che il primo dovere di un uomo serio
-è quello di badare a sè ed alla sua
-famiglia.... Ma cosa ti saltò in mente,
-povero infelice, di rifiutare? Ma almeno
-parla, rispondi, ma di’! Se non lo vuoi
-fare per me, chè non mi vuoi bene, lo
-so!, fallo per questa creaturina qui, che
-è tuo sangue.... Non vedi come è pallidino,
-smorto? Ha un’anima anche lui,
-sai! Alza la testa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-</p>
-
-<p>
-E fu in quel punto, che già il giorno
-era ben chiaro, che entrarono gli amici
-di Socrate; e allora Santippe, come una
-lampada su cui è versato dell’olio, scoppiò
-in un gran pianto, e la realtà imminente
-della morte le si affacciò nel suo
-orrore.
-</p>
-
-<p>
-— O Socrate, Socrate, — gridava fra
-i singhiozzi, — ecco l’ultima volta che io
-e i tuoi amici parleremo con te e tu con
-noi!
-</p>
-
-<p>
-E allora Socrate infine parlò. Si rivolse
-specialmente a Critone e gli disse: — Suvvia,
-amici, conducete via quella
-donna e rimenatela a casa.
-</p>
-
-<p>
-E allora avvenne una dolorosa scena
-perchè Santippe non voleva andar via,
-e ingiuriava e piangeva, lei e il bimbo.
-Ma finalmente fu trascinata a forza e
-spinta fuori e poi fu chiusa la porta.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span>
-</p>
-
-<p>
-E stavano gli amici in mortale silenzio,
-quando Socrate, che era seduto — come
-dicemmo — sul lettuccio, soffregandosi
-la gamba che era stata per
-quasi un mese stretta nel morso della
-bestiale catena, sorridendo disse: — Ecco
-qui, — e indicava il lividore delle carni
-piagate dalla catena, — io provo un
-grande piacere, mentre prima provavo
-un grande dolore. Sapete che è una
-gran cosa, una meravigliosa cosa quella
-del dolore e del piacere? Che cosa sono
-essi? Ci stavo appunto pensando quando
-entrò colei, anzi mi era venuto in mente
-di comporre una favola come quelle
-di Esopo, nella quale volevo dire quello
-che me ne pareva, cioè che il Piacere ed
-il Dolore sono così strettamente congiunti
-insieme, che quando l’uomo
-vuole prendere l’uno è costretto a prendere
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-anche l’altro. Vi pare? E perciò
-imaginavo che Esopo componesse così
-la favola, che il Dio volendo far fare
-pace a questi due nemici inconciliabili,
-il Piacere ed il Dolore, e non potendo,
-li legò insieme. Ed è quello che è avvenuto
-a me. Nella gamba, prima, per effetto
-della catena vi era il dolore, adesso,
-tolta la catena, vi è il piacere. Bella la
-favola, è vero? Più bella del ragionamento.
-Ora ci vorrebbero i versi. Ma chi
-ne ha tempo?
-</p>
-
-<p>
-Ora urgeva il tempo della morte.
-</p>
-
-<p>
-Mentre così parlava, Santippe col
-figlioletto si era rincantucciata, disperata
-e piangente, in fondo a un corridoio
-della prigione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Che peccato che Sofocle, il vecchio
-immortale, che fu trascinato anche lui
-dai figli davanti ai giudici perchè pe’
-suoi sogni negligeva gli affari di casa,
-che peccato — dico — che egli
-fosse morto da qualche anno! Se fosse
-stato in vita allora, avrebbe scritto su la
-povera Santippe una nuova tragedia, più
-potente assai delle molte che scrisse su
-gli eroi e sugli Dei.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap11">XI.
-<span class="smaller">La Immortalità dell’anima.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-La presenza di Santippe presumibilmente
-contrastava con l’argomento che
-Socrate, dopo essersi soffregata la gamba,
-stava per trattare con i suoi amici:
-cioè dell’immortalità dell’anima.
-</p>
-
-<p>
-Egli, come già, abbiamo veduto, non
-appena gli fu tolta la catena, aveva sentito
-il piacere, mentre prima sentiva il
-dolore. Una vera scoperta come quella
-di Archimede.
-</p>
-
-<p>
-Socrate naturalmente non tripudiò,
-come Archimede, per la sua scoperta
-sulla legge morale del Piacere e del
-Dolore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-</p>
-
-<p>
-Gli faceva ancora un po’ male la gamba,
-per saltare; e forse gli faceva male
-anche il cuore per la vista di quel suo
-povero piccino, che dalle braccia di Santippe
-si protendeva sino al volto di lui,
-invano, per l’ultima volta, tentando e
-inconsapevolmente di conciliare gli inconciliabili
-e pure gli inseparabili, cioè
-Socrate e Santippe: inconciliabili ed inseparabili
-come il piacere ed il dolore:
-ed aveva esclamato il povero piccino: — <i>File
-pappos, pappos emòs</i>, caro babbo;
-oh, babbo mio! — E poi era stato
-trascinato via con sua mamma.
-</p>
-
-<p>
-Ben fu crudele Socrate verso Santippe
-e verso il suo sangue! Lo accerta
-Platone che non prese moglie, non ebbe
-figli. Ma forse può darsi che sia stato
-così! Socrate stava per isciogliere il
-suo ultimo canto sull’immortalità dell’anima.
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-Egli era giunto in vista del
-grande oceano; egli, come il cigno morente,
-sentiva il canto salire vertiginoso.
-Santippe co’ suoi piagnistei, avrebbe
-dato disturbo.
-</p>
-
-<p>
-Ma può anche essere un’altra causa,
-che Platone non dice, cioè che Dioniso,
-il dio terribile e insieme pietoso, abbia
-concesso a Socrate in quelli estremi momenti
-quell’ebrietà, che toglie la sensazione
-delle cose vere presenti e dona la
-esaltazione per cui, tanto al savio come
-all’infante, la buia morte appare come
-una continuata vita.
-</p>
-
-<p>
-Dunque Socrate, prima di morire,
-parlò a lungo della immortalità dell’anima.
-</p>
-
-<p>
-Questo famoso discorso di Socrate
-sull’immortalità dell’anima, conserva
-anche oggi una strana forza di attualità.
-<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span>
-Sì, sì: il problema della morte rimane
-ancora uno dei più seri problemi della
-vita, ma sarà meglio non parlarne.
-</p>
-
-<p>
-Chi ha visto su di un caro volto immobile
-rinchiudersi il coperchio della
-bara, preferisce non parlarne. Dirò soltanto
-che dei molti argomenti di Socrate,
-o di Platone, questo più mi piace,
-come quello che più è semplice, tanto
-semplice che non è nemmeno un argomento:
-«Se non ci fosse la vita futura,
-ben fortunati sarebbero gli uomini malvagi
-perchè con la loro anima scomparirebbe
-anche la loro malvagità».
-</p>
-
-<p>
-Come anche pare una cosa assurda
-che per un bicchiere di cicuta, una innocente
-pianticella, propinata da Anito, si
-debba spegnere la meravigliosa sensazione
-del vivere.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Cadeva il sole quando il lungo discorso
-di Socrate sull’<i>immortalità dell’anima</i>
-ebbe fine.
-</p>
-
-<p>
-Ebbe fine?
-</p>
-
-<p>
-Era dal mattino che il servo degli
-Undici teneva pronto il bicchiere della
-cicuta, e con una cortesia del tutto ellenica,
-attendeva che Socrate chiamasse.
-</p>
-
-<p>
-Infatti Socrate già disse agli amici: — Voi
-vi avvierete a questo passo che
-io transito, alquanto più tardi di me;
-ma già «ora mi chiama il fato», come
-direbbe un poeta tragico.
-</p>
-
-<p>
-E disse anche: — E’ mi par meglio
-prendere ora il bagno e lavarmi bene e
-poi bere il veleno, senza dare poi alle
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-donne ed a Santippe la noia di lavare il
-cadavere.
-</p>
-
-<p>
-E questa fu l’ultima sua cortesia
-verso Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Poi gli furono condotti i figli e Santippe
-anche. Conversò con essi alquanto,
-diede alcune sue disposizioni, e poi li
-rimandò.
-</p>
-
-<p>
-Noi non sappiamo altro.
-</p>
-
-<p>
-Dopo queste cose egli parlò poco di
-più.
-</p>
-
-<p>
-Venne il servo; portò il veleno; gli
-insegnò, da persona esperta, il modo
-che doveva seguire perchè il veleno presto
-salisse al cuore.
-</p>
-
-<p>
-Poi il servo se ne andò, dicendo a
-Socrate: — Addio, Socrate, procura di
-sopportare l’inevitabile meno dolorosamente
-che tu possa.
-</p>
-
-<p>
-— Si, addio anche a te, caro, — gli
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-rispose Socrate: E vòlto agli amici: — Era
-una garbata persona, colui. Mi
-ha tenuto spesso compagnia.
-</p>
-
-<p>
-Poi prese con mano ferma il veleno
-e bevve tutto di un fiato.
-</p>
-
-<p>
-Allora la carcere si riempì di gran
-pianto. Ma Apollodoro, che tutto quel
-dì aveva lagrimato come Santippe invece
-di ascoltare i discorsi di Socrate
-sull’<i>immortalità dell’anima</i>, diè in un
-urlo, e venne fuori di sè, e fu allora che
-Socrate gli disse: — Ho mandato via
-Santippe specialmente per questo, per
-non vedere questi eccessi e queste lagrime. — Ed
-affissando con le grandi
-pupille gli amici, soggiunse: — Io ho
-sempre inteso dire che conviene morire
-lietamente.
-</p>
-
-<p>
-Poi attese camminando, finchè il gelo
-della morte gli giunse al cuore. Allora
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-si sdraiò e si copri il volto. Ma ad un
-certo punto si riscosse e discoprendosi
-del lenzuolo e rivolgendosi a Critone,
-mormorò queste ultime parole: — Critone,
-noi siamo in debito di un gallo ad
-Esculapio. Dateglielo. Non ve ne dimenticate!
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Esculapio era il dio della medicina,
-ed era costume in Atene, come oggi si
-paga il medico dopo che vi ha curato da
-qualche infermità, di fare un regalo al
-dio. E così Socrate voleva pagare e ringraziare
-il medico Esculapio per averlo
-guarito con la morte del male della vita.
-</p>
-
-<p>
-Socrate aveva, forse, trovato l’ultimo
-corollario della legge sul Piacere e sul
-Dolore. Era stato liberato dalla catena
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-della vita, e forse allora sentiva piacere.
-Questo è quanto di più preciso noi sappiamo
-intorno all’<i>immortalità dell’anima.</i>
-</p>
-
-<p>
-Dopo, ancora, ritornò il servo degli
-Undici. Percepì un fremito sotto il lenzuolo.
-Scoperse Socrate e vide che aveva
-l’occhio fisso.
-</p>
-
-<p>
-Questa cosa vedendo, Critone gli
-chiuse gli occhi e la bocca.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Sono passati parecchi secoli da quel
-giorno che Socrate morì per aver bevuto
-la cicuta, propinatagli dai suoi concittadini;
-ma strana cosa: io non mi posso
-raffigurare Socrate morto e la sua bocca
-sigillata per sempre. E sì che egli era
-ben morto corporalmente! Un poeta racconta
-<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span>
-che quando fu già dopo il tramonto,
-uscirono dalla prigione, a capo chino, in
-silenzio, quegli amici di Socrate, e poi
-quella povera Santippe; e c’erano davanti
-alla carcere alcuni monelli che
-giocavano con gli scarabei, e martoriando
-una civetta, e cantando:
-</p>
-
-<div class="poem">
-<p>E gira, gira a tondo,</p>
-<p>E gira tutt’il mondo....</p>
-</div>
-
-<p>
-Poi quando videro uscire coloro e dilungare
-così tristamente, capirono che
-l’uomo che doveva morire in quel dì, era
-morto; e allora ruppero le danze e corsero
-su dal carceriere, e sì gli dissero:
-</p>
-
-<p>
-— È vero che hanno ucciso quell’uomo
-brutto? Facci vedere l’uomo
-brutto che è morto.
-</p>
-
-<p>
-E quegli disse: — Se sarete buoni,
-vi farò vedere l’uomo morto.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-</p>
-
-<p>
-E così li condusse, perchè piace a
-molti che non hanno ancor lagrimato
-dentro il loro cuore, andare a vedere il
-morto.
-</p>
-
-<p>
-Ma cosa strana! Io non so imaginare
-Socrate morto. E la favola degli eroi
-che spezzano il marmo del sepolcro e risorgono,
-mi pare pur vera cosa! Io me
-lo vedo ancora tornare davanti, Socrate,
-col suo sorriso; e mi domanda con quei
-suoi grandi occhi tondi: — Che c’è di
-nuovo? Gli uomini sono diventati belli
-e buoni?
-</p>
-
-<p>
-— Si attende ancora, figlio di Sofronisco.
-Gli uomini stan diventando meccanici.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cap12">XII.
-<span class="smaller">Avvertimenti
-agli infelici figli di Santippe.</span></h2>
-</div>
-
-<p>
-Il vostro buon papà, cari figliuoli di
-Socrate, si è ostinato a voler bere la
-cicuta. Ora giace col naso affilato e con
-le palpebre chiuse: le sue parole non le
-udirete mai più. Per questa ragione e
-per altre cause, che voi siete figli di un
-filosofo e di una donna bisbetica, il vostro
-avvenire probabilmente sarà infelice.
-</p>
-
-<p>
-Il vostro buon papà era un grande
-ammiratore di Omero, e aveva ragione.
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-Voi lo ricordate, è vero, il povero babbo,
-con tutti quei suoi paragoni semplici e
-sottili del fabbro, del falegname, degli
-asini col basto?
-</p>
-
-<p>
-Anche il vostro povero babbo fu un
-gran falegname della verità. Ma ogni
-tanto, lo ricordate? veniva fuori con citazioni
-e versi di Omero. Omero è stato
-fra i poeti quello che più si è accostato
-alla verità umana, e perciò era assai
-caro a Socrate, il padre vostro.
-</p>
-
-<p>
-E se è vero, che nel mondo dei morti
-sarà ai poeti strappato un dente per
-tutte le bugie che hanno detto, è certo
-che moltissimi saranno i poeti sdentati.
-Ma Omero li ha tutti i suoi denti. Egli
-non mangiava lo zucchero filato dell’estetica,
-ma il nero pane della verità,
-che fa bene ai denti. Lo ricordate Omero — o
-figli di Santippe — quando parla
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-di Astianatte figlio del re Ettore e di
-Andromaca, rimasto orfano dopo che
-Achille gli ha trucidato il padre e per
-tre volte ne ha trascinato il cadavere
-nudo dietro la furia dei cavalli correnti
-attorno alle mura di Troia?
-</p>
-
-<p>
-E lo aveva, lagrimando, Ettore sollevato
-su, il suo bambino, quasi per accostarlo
-a Giove che lo vedesse come
-era carino, e gli avesse un po’ di pietà.
-Macchè! L’insensato dio non vide! Povero
-Astianatte, poveri figliuoli di Socrate
-e di Santippe!
-</p>
-
-<p>
-Astianatte orfano e solo, va ora, con
-le guance lagrimose e smunte, a trovare
-quelli che già furono amici di suo padre,
-e tocca agli uni il saio, agli altri il mantello.
-Ma essi rispondono: — Va, non ti
-conosco. — Il più pietoso fra essi gli accosta
-appena la tazza alle labbra, e i
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-giovani orgogliosi lo ributtano e dicono: — Non
-toccare il pane delle nostre mense! — E
-i vicini, con la protezione delle
-leggi, portano via i termini del suo terreno
-e lo privano di tutto. Tale fu il destino
-di Astianatte, figlio del morto re
-Ettore; tale sarà il vostro destino, figli
-di Socrate.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Siete andati, o figli di Socrate, anche
-voi a tirare il mantello ed il saio agli
-amici del babbo? Vi hanno dato niente?
-Santippe forse era con voi, più vecchia,
-più bisbetica, più arruffata che mai. Ella
-avrà anche detto villania e vergogna.
-Avrà detto: — Guarda là! vedili là,
-quei bei <i>gingin</i>, che facevano bellin bellino
-a quel povero màrtoro di mio marito.
-<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span>
-To’! Fanno finta di non conoscermi.
-Non la conoscete più Santippe? la moglie
-di Socrate, <i>ne Dia</i>, per Giove; e
-questi qui sono i suoi figliuoli. Non
-vi hanno nemmeno guardato in faccia,
-creature mie, e sì che la fisonomia di
-vostro padre l’avete!
-</p>
-
-<p>
-— Oh, — hanno detto coloro sollevando
-gli occhi al cielo, — non dovreste
-mai nominarlo, voi, Santippe, quel sant’uomo
-di vostro marito, dopo tutto
-quello che gli avete fatto soffrire.
-</p>
-
-<p>
-— Soffrire io? Ah, vigliacchi di uomini!
-Parlano così loro, dopo che mi
-hanno sviato di casa quel pover’uomo,
-che gli hanno messa quella vesania,
-quella frenesia nella testa di andare a
-cercare il segreto delle cose, e a tener
-ferma in terra la Dike.
-</p>
-
-<p>
-Sì, c’era da lasciarci il ricordo delle
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-unghie in faccia a quei signori, e Santippe
-il coraggio di lasciare le impronte
-delle unghie ce l’aveva; ma per allora
-si tenne quieta per la pietà dei figliuoli.
-Ma disse:
-</p>
-
-<p>
-— Suvvia, voi che foste amici di Socrate,
-vedete di trovare qualche impiego
-a questi ragazzi.
-</p>
-
-<p>
-Ma a chi parlava, o sventurata Santippe?
-</p>
-
-<p>
-Gli amici di Socrate non c’erano più!
-</p>
-
-<p>
-Critone, perseguitato, era fuggito da
-Atene; il dolce Apollodoro non aveva
-saputo sopravvivere. Socrate, il dio per
-cui viveva, era morto. Servire il mondo?
-Meglio morire! Senofonte, il gagliardo,
-era esulato da Atene, gonfio il
-cuore di sdegno, lontano, per lontane
-terre, per lontane guerre; Alcibiade,
-bellissimo, viveva chiuso nella sua perfida
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-mente, e dopo aver meditato su la
-morte di Socrate, si era convinto della
-necessità di divenire magnificamente
-belluino, e perciò era diventato uomo
-politico, come Anito e Meleto; Platone,
-il soave Platone, quando ebbe visto il
-suo povero Socrate ridotto a quel modo,
-col naso all’insù, si era messo in un
-gran spavento, ed aveva giurato a se
-stesso di non occuparsi se non di cose
-tanto alte e sublimi che nessuno ci trovasse
-a che dire.
-</p>
-
-<p>
-«Anche nella storia dei filosofi, — meditava
-l’antiveggente Platone, — c’è
-puzza di sangue e di bruciaticcio. Ê
-bene cercare la immortalità per altra
-strada che non sia la prematura morte.»
-</p>
-
-<p>
-Perciò Santippe, che si era recata a
-trovare il buon Platone, non lo trovò.
-</p>
-
-<p>
-Andò da Alcibiade. Ma la casa di lui
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-era guardata da cento servi in livrea,
-che non lasciavano passare.
-</p>
-
-<p>
-E gli altri? Gli altri, fatti già uomini,
-si ricordavano della avventura socratica
-tutt’al più come di una scappata di
-giovinezza. Qualcuno, forse, come Pietro,
-seguace di Cristo, si vergognava di
-essere riconosciuto quale discepolo di
-Socrate; qualche altro, come Giuda
-Iscariota, si era dato al traffico delle
-monete d’argento ed allo sfruttamento
-dei pezzenti. Dunque dagli ex-amici di
-Socrate non c’era proprio da sperar
-niente!
-</p>
-
-<p>
-Povera Santippe! Una piccola pensione
-dallo Stato non la avrà potuta ottenere,
-nemmeno. — Capisco, — le avrà
-risposto qualche capo divisione, — vostro
-marito è morto in servizio della Repubblica;
-è una tesi che si può sostenere.
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-Egli esercitava l’ufficio di calabrone,
-come si qualificava da se stesso, il quale
-deve pungere un nobile ma indolente
-cavallo come era il popolo d’Atene. Ma
-era un servizio non richiesto, ed il cavallo
-ha dato una zampata ed ha schiacciato
-il povero calabrone. Una disgrazia,
-ma se la poteva aspettare la mia donna!
-Denari no, non ve ne possiamo dare,
-perchè sapeste quanto costò il rivestimento
-di cuoio per le navi! Volete dei
-biglietti gratuiti per il teatro? delle tessere
-per le cucine economiche? Stendete
-una regolare domanda.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Andò Santippe infine a trovare Eritreo.
-Eritreo, faccia ossuta, glabra, color
-limone, sorriso acido, volontà di macigno,
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-erudizione spaventosa, ma senza
-Demone. Era il professore del Lyceum.
-</p>
-
-<p>
-Abitava una bella casa, ben ordinata
-e provveduta a cura dello Stato. Santippe,
-quando potè arrivare sino a lui,
-vide la sua gran faccia pallida sollevarsi
-dai codici.
-</p>
-
-<p>
-— Lei è?
-</p>
-
-<p>
-— Io son Santippe, moglie di Socrate,
-e questi sono i suoi figliuoli. Guardali
-in faccia, son lui nati e sputati!
-</p>
-
-<p>
-— Oh, pover’uomo! — esclamò Eritreo.
-</p>
-
-<p>
-— Cosa, pover’uomo! — garrì Santippe. — Pover’uomo
-lo posso dir io,
-non lei; perchè per quelle cose lì dei
-libri valeva più di tutti. Oh, non l’ha
-proclamato l’Oracolo di Delfo il più sapiente
-di tutti gli uomini, <i>andròn apànton
-Sòcrates sofòtatos?</i>
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-</p>
-
-<p>
-Eritreo, oltre ai codici, aveva alcuni
-fidi discepoli che studiavano sui codici
-ed erano come nascosti dietro i codici.
-</p>
-
-<p>
-Un sorriso acido increspò le labbra
-di Eritreo all’esclamazione di Santippe
-e tutti i suoi discepoli sorrisero a quel
-modo, acidamente.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ah, — disse Eritreo, — la sentite,
-bennati giovani, codesta donna?
-Anche lei ripete, come taluni, che Socrate
-<i>primus deduxit philòsophiam de
-cœlo in terram!</i>
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — esclamarono i discepoli.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Deduxit nèbulas</i>, — disse Eritreo. — Ci
-portò delle fantasticherie!
-Buon uomo, che diceva di sentire un
-dio ignoto parlare.... Lo sentite voi?
-</p>
-
-<p>
-— Mai sentito! mai visto! — risposero
-premurosamente i bennati giovani,
-i quali, come Eritreo, avevano l’occhio
-<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span>
-lucido soltanto per le superficie non per
-gli abissi profondi.
-</p>
-
-<p>
-— E quale cosa — disse gravemente
-Eritreo, rivolto a Santippe — più contraria
-alla vera saggezza, al vero positivismo
-che volere gli uomini diversi da
-quello che sono? E quale cosa più ingenua
-che vivere la propria filosofia? Si
-professa, non si vive una filosofia.
-</p>
-
-<p>
-Le vampe salgono alle gote di Santippe.
-</p>
-
-<p>
-Dice quasi singhiozzando: — Ma se
-l’ha proclamato l’Apollo in Delfo....
-</p>
-
-<p>
-— E dov’è, buona donna, l’Apollo
-Delfico? Chi l’ha visto mai? Povero Socrate,
-in materia di religione egli è
-morto da ieri, ma ci pare già un antenato,
-uno dei tempi semplici del buon
-Solone. Un disgraziato che andava soggetto
-ad esaltazioni ed allucinazioni liriche!
-<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span>
-<i>Verum enim vero, quando quidem,
-dubio procul, edepol, meus deus
-fidius</i>, quand’anche fosse che vostro
-marito sia stato un valentissimo uomo,
-io sono desolatissimo, ma io prego di lasciarmi
-in pace, e di non compromettermi.
-Quel vostro marmocchio più piccolo
-già mi ha quasi sgualcito un codice.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E Santippe se ne andò peregrinando
-coi figliuoli nella Focide dove era il santuario
-di Apolline in Delfo. Ma il dio,
-che, in mancanza d’altri, ella voleva interrogare,
-non c’era, in fatti, come affermava
-quel letterato. Aveva emigrato
-per sempre; e Santippe non trovò che
-una scritta, un ben curioso geroglifico,
-inciso su di un macigno enorme.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-</p>
-
-<p>
-E il povero Socrate aveva camminato
-con quel macigno enorme sulle
-spalle nel cammino della sua vita; ed
-era stato schiacciato. E dopo Socrate
-verrà Cristo e rimarrà schiacciato, ed
-altri verranno nei secoli, attratti dal fascino
-del divino enigma che era scolpito
-profondamente su quel macigno, e
-conteneva queste tre parole: <i>conosci te
-stesso!</i> E rimarranno schiacciati!
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-Ora è ben più triste la casa di Socrate:
-nemmeno più le strida di Santippe!
-Ella fa andare sul tagliere il setaccio
-per cuocere sul testo una focaccia,
-una crescia, un pulmento qualsiasi.
-</p>
-
-<p>
-Come nei tristi silenziosi tramonti
-invernali il raggio del sole balena su le
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-pareti scialbe; dispare, riappare con un
-ultimo guizzo sanguigno; poi incombono
-le tenebre fredde violacee; così l’imagine
-di lui, di Socrate, si sofferma ancora
-nella povera casa, balena, scompare.
-</p>
-
-<p>
-Fra il ciarpame, in un angolo, stanno
-vecchie masserizie, che paiono avere
-quasi l’anima infranta; v’è anche una
-povera cuna. Quivi giacquero i figli di
-Socrate. Ed al mattino, quando il sole
-indorava la stanza, il sole scopriva i
-cari volti infantili: la dolce primavera,
-il cinguettìo dal nido ridesto al tepore
-del sole: «Ba.... ba.... babbo, pappas!»
-Salutavano gioiosamente lui che li aveva
-chiamati, non richiedenti, alla faticosa
-vita: — <i>Pappas! Pappas, file pappas,</i>
-bel papà!
-</p>
-
-<p>
-Ma tu non le udisti le care voci, o
-Socrate, tu col tuo cupo demone nel
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-cuore che ti spingeva a cercare che cosa
-ci fosse nell’intima natura di ogni cosa:
-<i>ti en écaston!</i> Va, va a ricercare <i>ti en
-écaston</i>, chè non lo saprai mai e quando
-l’avrai saputo, le cose saranno come
-prima.
-</p>
-
-<p>
-— Se vi salta in mente di andar dietro
-all’<i>Andreia</i> (valore), all’<i>Aretè</i> (virtù),
-alla <i>Sofrosine</i> (sapienza), all’<i>Encratia</i>,
-al <i>Ti en écaston</i>, — dice Santippe
-ai figliuoli, — vi sbatto questo setaccio
-sulla testa e ve ne faccio una berretta.
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E la notte è venuta.
-</p>
-
-<p>
-Ma di chi è il suono dei vecchi sandali?
-Di chi è quella voce armoniosa ed
-ironica?
-</p>
-
-<p>
-Chi è?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span>
-</p>
-
-<p>
-E Santippe balza sul giaciglio: un
-soffio come di un bacio si posa sui rossi
-capelli, biancheggianti ormai, un ardore
-come di lagrime cadenti, e una voce risponde
-e mormora: — È Socrate, tuo
-marito....
-</p>
-
-<p class="ast">*</p>
-
-<p>
-E per tutto ciò ci sembra opportuno
-terminare questa narrazione con un
-passo o citazione autorevole, come è costume
-dei nostri eruditi.
-</p>
-
-<p>
-Esso è del gigante Gargantua, figlio
-di Rabelais. Gargantua, mangiando una
-certa insalata, non si era accorto menomamente
-di avere inghiottito sei pellegrini
-errabondi, che erano in essa. Ma
-se ne accorse ad un certo pizzicore che
-sentiva nello stomaco. Ed allora li rimandò
-fuori e così li ammonì:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-</p>
-
-<p>
-«D’ora innanzi non siate propensi
-a codesti oziosi ed inutili viaggi nei deserti
-dell’umano sapere. Rimanete nelle
-vostre famiglie, lavorate secondo l’animo
-vostro, educate i vostri figliuoli e
-vivete come vi insegna il buon Apostolo
-San Paolo. Per tale modo avrete la protezione
-di Dio e dei Santi, nè mai danno
-o peste graverà sulle vostre case».
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-FINE.
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE.</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td colspan="2"><span class="smcap">A chi leggerà</span></td> <td class="pag"><a href="#intro">Pag. <span class="smcap lowercase">IX</span></a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">I.</td> <td>Ellade, giovinezza del mondo</td> <td class="pag"><a href="#cap1">1</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">II.</td> <td>Come io mi trovai alle prese con Santippe</td> <td class="pag"><a href="#cap2">18</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">III.</td> <td>Socrate per le vie di Atene</td> <td class="pag"><a href="#cap3">51</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">IV.</td> <td>Socrate e la Morte</td> <td class="pag"><a href="#cap4">88</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">V.</td> <td>Questioni molto serie proposte da Santippe a Socrate</td> <td class="pag"><a href="#cap5">101</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">VI.</td> <td>Come Santippe ferì Socrate nel cuore</td> <td class="pag"><a href="#cap6">113</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">VII.</td> <td>La cena dell’amore</td> <td class="pag"><a href="#cap7">131</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">VIII.</td> <td>Il colloquio fra Anito e Meleto</td> <td class="pag"><a href="#cap8">163</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">IX.</td> <td>Oh, povera Santippe!</td> <td class="pag"><a href="#cap9">189</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">X.</td> <td>Santippe nella prigione di Socrate</td> <td class="pag"><a href="#cap10">202</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">XI.</td> <td>La immortalità dell’anima</td> <td class="pag"><a href="#cap11">220</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td class="cap">XII.</td> <td>Avvertimenti agli infelici figli di Santippe</td> <td class="pag"><a href="#cap12">231</a></td>
- </tr>
-</table>
-
-<hr />
-</div>
-
-<div class="opere">
-<p class="center large">
-<span class="smcap">Opere di</span> ALFREDO PANZINI:
-</p>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td><i>Piccole storie del mondo grande</i></td> <td class="pag">L. 7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>La lanterna di Diogene</i></td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Le fiabe della virtù</i>, novelle</td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Il 1859. Da Plombières a Villafranca</i></td> <td class="pag">5&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Santippe, piccolo romanzo tra l’antico e il moderno</i></td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>La madonna di Mamà, romanzo del tempo della guerra</i></td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Novelle d’ambo i sessi</i></td> <td class="pag">4&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Viaggio di un povero letterato</i></td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Io cerco moglie!</i></td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><i>Il mondo è rotondo</i></td> <td class="pag">7&nbsp;—</td>
- </tr>
-</table>
-
-</div>
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Demoniaco: qui ha il senso antico, di <i>sovrumano</i>,
-<i>ottimo</i>, <i>beato</i>, non di <i>sinistro</i> o <i>malefico</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note2">
-<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Cara fu la cicala ai Greci e giustamente
-piacevole il suo canto che a noi pare noioso.
-<i>Dolce profetessa dell’estate. La vecchiaia non ti
-raggiunge, o cicaletta saggia, nobile, piena di
-canti e senza dolore.</i> Così il vecchio Anacreonte.
-Ma la nostra età plutocratica e positiva chiama
-saggia la esosa formica.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note3">
-<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vuol dire, <i>belli e buoni</i>, cioè uomini puri, coscienti,
-capaci di governarsi da sè.</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK SANTIPPE ***</div>
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-
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-Defect you cause.
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-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
-remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
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