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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Che cosa è l'arte? - -Author: Lev Nikolaevič Tolstoj - -Contributor: Enrico Panzacchi - -Release Date: March 3, 2022 [eBook #67556] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by The Internet Archive) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CHE COSA È L'ARTE? *** - - - LEONE TOLSTOI - - - Che cosa è l’arte? - - _Traduzione autorizzata dall’autore_ - - - PRECEDUTO DA UN SAGGIO DI - Enrico Panzacchi: - - _Tolstoi e Manzoni nell’idea morale dell’Arte_ - - - - MILANO - FRATELLI TREVES, EDITORI - 1904 - — - =Quinto Migliaio.= - - - - - PROPRIETÀ LETTERARIA - - Tip. Fratelli Treves. - - - - -TOLSTOI E MANZONI - -NELL’IDEA MORALE DELL’ARTE - -SAGGIO DI - -ENRICO PANZACCHI[1] - - -I. - -Il libro di Tolstoi: Che cosa è l’Arte? - -È un libro che meriterebbe di essere confutato da Ernesto Rénan. Quanto -a idee generali, esso non ci apporta grandi novità circa la mente -dell’autore sull’arte e il suo ufficio nel mondo. Leggendolo si pensa -alla _Sonata a Kreuzer_ e si trovano cose già dette nel volume _Zola, -Dumas et Guy de Maupassant_. Ma lo svolgimento della tesi è molto -più largo e profondo; e ne esce più fortemente ribadita la condanna -dell’arte contemporanea. - -“Un giorno„ raccontava l’autore nel suo volume tradotto nel 1896, -“mi venne mostrato da un pittore celebre un suo quadro rappresentante -una processione. Ogni cosa vi era mirabilmente rappresentata; ma non -appariva dal dipinto alcun sentimento dell’autore verso il proprio -soggetto. Gli domandai: - -“— Dunque voi considerate le processioni come utili? - -“— Il pittore, avendo l’aria di compatire alla mia ingenuità, mi -rispose che di questo non s’era occupato mai. Egli badava unicamente a -_dipingere la vita_. - -“— Ma voi avrete almeno l’idea del vostro soggetto? - -“— Non ne so niente! - -“— Allora voi odiate queste cerimonie religiose? - -“— Nè le amo nè le odio.... - -“E la risposta fu accompagnata da un vero sorriso di compassione. Io -facevo semplicemente la figura di uno sciocco, davanti a questo artista -moderno di alta fama, che _dipinge la vita_ senza intendere, senza -amare e senza odiare le manifestazioni della vita che trasceglie per il -suo lavoro.„ - -E Leone Tolstoi ne concludeva che questa è la grande colpa da cui -derivano le grandi miserie dell’arte del nostro tempo. Gli artisti -tutti: pittori, scultori, poeti lirici, poeti drammatici, romanzieri, -non trattano un argomento perchè la loro anima sia portata verso di -esso da amore o da odio; ossia da un’interna ragione d’indole morale. -Chi li muove adunque? Il solo fine di produrre nei loro simili un senso -di stupore mediante la rappresentazione della vita; oppure un senso di -piacere mediante la rappresentazione della bellezza. La maggior parte -degli uomini, nella nostra società borghese, si contenta dello stupore -artistico e delle grosse e violenti sensazioni che sono generate da -lui. Un numero più ristretto, i delicati, gli estetici, par che vadano -un po’ più in su col loro desiderio, domandando ai pittori, ai poeti e -ai musici di essere dilettati con le rappresentazioni di forme belle. -Ma anche questa distinzione di pubblico volgare e d’amatori fini, che -il Guy de Maupassant scolpiva abbastanza bene nella prefazione al suo -romanzo _Pierre et Jean_, in sostanza si riduce a ben poca cosa! “Nel -mondo frequentato da Maupassant, quel Bello, al cui servizio l’arte -deve trovarsi vera, ed è ancora rappresentata sopratutto dalla donna -giovane e bella, per la più parte poco vestita; il Bello è d’averci con -essa relazioni carnali....„ - -Avevo ragione di dire che qui ci vorrebbe Ernesto Rénan; anche perchè -nessuno dinanzi al giudizio di Tolstoi è forse più in causa dell’autore -delle _Origini del Cristianesimo_. Sono noti i suoi filosofici -entusiasmi per la bellezza; i quali non si fermavano all’Acropoli e -alla ideale perfezione delle figure scolpite nel pario e nel pentelico. -Per la bellezza della donna viva pochi poeti ebbero, io credo, parole -di più squisita e di più calda ammirazione. Nel suo libro su Marco -Aurelio egli giunse fino a dare al Cristianesimo una colpa grave per -la diffidenza rigida e paurosa che sempre dimostrò verso la bellezza -della donna. Tutto il medio evo risuonò della minaccia scritturale: -_per speciem mulieris multi perierunt_! Ebbene, il Cristianesimo, -secondo Rénan, ebbe torto. “Agli occhi d’una filosofia completa, la -bellezza, tutt’altro che essere un vantaggio superficiale, un pericolo, -un inconveniente, è un dono di Dio come la virtù. _Essa vale la virtù_; -la donna bella esprime una faccia dello scopo divino, uno dei fini di -Dio, come lo esprime l’uomo di genio e la donna virtuosa.... La donna, -ornandosi, compie un dovere; essa pratica un arte, arte squisita in -un senso, la più graziosa delle arti„. E prosegue dimostrando che la -dottrina cristiana non potè vivere e armonizzare dentro un quadro di -società completa, se non quando, per opera di spiriti illuminati e -disinvolti, potè spezzare questo duro giogo, voluto imporre alla natura -umana da un pietismo esaltato. - -Gli spiriti illuminati e disinvolti crearono il Rinascimento, il -quale rimise in onore la bellezza; e con essa vinse per modo i rigori -dell’ascetismo inumano che la stessa Chiesa dovette arrendersi; anzi -gli ecclesiastici e i Papi diedero l’esempio, aprendo alla bellezza -femminile le porte delle chiese e collocandola sugli altari.... Ma qui -appunto, secondo Tolstoi, cominciò il male maggiore! E come Girolamo -Savonarola si vantava dal pulpito d’aver stracciati i volumi platonici -e intimava ai Fiorentini “l’incendio delle vanità„, così il filosofo -russo, nel suo singolare ascetismo, impreca alla Chiesa Latina per quel -grande impulso di corruzione estetica che venne dato da lei a tutta la -Cristianità occidentale. - - * - * * - -Il nuovo libro di Tolstoi è dunque una nuova e più terribile accusa -contro l’arte del nostro tempo. Arrivato all’ultima pagina, io mi -sono vista sorgere dinanzi alla fantasia una di quelle fiere figure di -antichi solitari e di profeti, che dannavano al fuoco una città perchè -le abominazioni sue avevano stancata la pazienza di Dio. Anche i giusti -dovevano perire per le colpe dei malvagi. - -Ma dove sono i giusti per Tolstoi? La sua condanna scende inesorabile -su tutto. Ognuna delle forme artistiche in cui lo spirito nostro -si compiace, vien dimostrata perniciosa e frivola: il dramma, il -melodramma, la lirica, la pittura, il romanzo. Gli artisti, che una -specie di consenso generale ha messo fra i grandi e fra i gloriosi, -sono condannati e quasi messi a fascio coi guastamestieri. Wagner, -Ibsen, Baudelaire stanno accanto a nomi di mediocri e di infimi. -Questo per i contemporanei. Quando poi l’autore spazia nel vasto -orizzonte della storia, lo vediamo fermarsi con devota ammirazione -davanti a Omero, ai Profeti, ai racconti evangelici, a san Francesco -d’Assisi; ma in tutto il resto egli è di una disinvoltura che -confina con la irriverenza. Certo i nomi grandi e anche grandissimi -non lo intimidiscono. I tragici greci, Aristofane, Virgilio, Dante, -Shakespeare, Raffaello, Michelangelo, Goethe, Bach, Beethoven, sono -degnamente esteti di alta fama e hanno fatto di gran belle cose; ma -sul complesso della loro produzione Leone Tolstoi si riserva una grande -libertà di giudizio e rigore di scelta. - -A stringere molto in poco, egli fa questo calcolo: su diecimila lavori -d’ogni genere — poesie, drammi, musiche, statue, quadri — che siamo -abituati, noi, _hommes de la société_, a chiamare opere d’arte, una -appena meriterà davvero questo nome! - -E vien naturale la domanda: ma che cosa è dunque l’arte per Leone -Tolstoi? E che domanda egli da essa? A maggior chiarezza, piuttosto che -rispondere subito a queste interrogazioni, vediamo quali sono, secondo -lo scrittore russo, le gravi colpe dell’arte contemporanea. Da prima -egli osserva che l’arte fra noi costa troppo; e non solo in denaro, -ma in ogni maniera di faticosi sforzi e di umiliazioni per la dignità -della natura umana. Una sera Tolstoi volle vedere, stando ad osservare -sul palco scenico, la prova di una grand’opera musicale sul tipo -deìl’_Affricana_ o del _Fernando Cortes_; e uscì di là profondamente -impietosito, disgustato, irritato. Quante bestialità, quante sofferenze -e miserie in tutti quei comandi accompagnati d’ingiurie e di bestemmie, -in tutte quelle cadenze di piedi e movenze di braccia e modulazioni -di gole, ripetute automaticamente, senza fine, da una folla di esseri -abbrutiti! E tutto questo per mettere insieme un macchinoso spettacolo, -che dinanzi alla verità è un non senso, dinanzi all’arte un ibridismo, -una fatica e una noia per tutti. L’autore passa poi in esame le -altre discipline artistiche e scuopre che ogni prodotto di esse va -accompagnato da spese, perditempo, dolori e colpe d’uomini. La così -detta opera d’arte che ne vien fuori, al solito, non vale di gran lunga -quello che è costata. - - * - * * - -Vediamo adesso quali e quanti sono, secondo il libro, i maggiori -peccati nelle opere dell’arte contemporanea. Leone Tolstoi lascia -enumerare ad un autore francese[2] i caratteri dominanti nelle nuove -produzioni, massime letterarie. Essi sono: _la lassitude de vivre_, -_le mépris de l’époque présente_, _le regret d’un autre temp aperçu -à travers l’illusion de l’art_, _le goût du paradoxe_, _le besoin de -se singulariser_, _une aspiration de raffinés vers la simplicité_, -_l’adoration enfantine du merveilleux_, _la séduction maladive de la -rêverie_, _l’ébranlement des nerfs_, _surtout l’appel exaspéré de la -sensualité_. - -Soprattutto dunque la letteratura contemporanea (e le altre arti -per consenso) è dominata e potrebbe dirsi tutta impregnata di un -enorme spirito di lussuria. Gli scrittori parigini, per la vita -che conducono e per le idee che professano, sono tutti, più o meno, -malati di erotomania; ed è fra essi una continua gara a chi sa meglio -trasmetterla nella fantasia e nel sangue dei lettori. I modi variano. -Nei libri dei così detti naturalisti (Zola, De Goncourt e compagni) la -erotomania somiglia a una volgare cortigiana che si dà sfacciatamente; -in quelli dei così detti simbolisti e nei mistici è anche peggio, -poichè si tratta (come nei romanzi del Peladan e del Bourget) di una -lussuria più abilmente sofisticata e più sottilmente infusa attraverso -un velario ondeggiante di immagini spirituali. Ma il fine massimo dei -racconti è sempre uno solo; disporre la trama e i personaggi in modo -da giungere, prima o poi, a una scena capitale di lussuria; prepararla -bene, farla desiderare e, al momento, spingerla fin dove si può, senza -pregiudicare la vendita del romanzo, il quale, si sa, deve entrare -in tutte le famiglie oneste. Ecco dunque il “grande affare„ di questi -scrittori: esibire, muovere, agitare, scuoprire e denudare con maestria -il corpo delle donne, a incremento di desiderio nei maschi. Da ultimo -sono venuti anche i romanzieri _femministi_; e questi si occupano più -specialmente delle signore.... - -Dal suo gran centro di Parigi la scuola si è diffusa e domina in tutto -il mondo cristiano, specie in Inghilterra e in America, ove gli allievi -oramai non hanno più nulla da imparare. - -Alle esposizioni di arti grafiche, trionfa il nudo pornografico; nei -teatri padroneggia, inesauribile tema, l’adulterio; la poesia lirica -sceglie i motivi che in passato furono proprietà riservata dell’allegra -novellistica boccaccesca e rabelesiana, li fa suoi, li innalza di tono, -li circonda di pietà e di melanconie sentimentali, canta le mistiche -glorie del senso e i _divini spasimi_ della carne.... Oh come è -naturale e come è giusto, conclude Tolstoi, che la sana e grande anima -popolare viva straniera a tutta questa arte, la quale altro non può -destare in lei se non _la surprise, le mépris, ou l’indignation_! - -Questo abbiettamento profondo, per Tolstoi non è che l’ultimo gradino -di una scala per la quale l’arte è discesa, movendo da un punto -sbagliato: che l’arte avesse per fine di allettare e divertire gli -uomini col piacere della bellezza. Principio falso, tratto da un falso -ideale della vita, che venne proclamato, in periodo di decadenza, dai -dotti di un piccolo popolo semibarbaro (!) il quale fondava lo Stato -sulla schiavitù. Questo popolo imitava mirabilmente il corpo umano -e innalzava delle fabbriche gradevoli all’occhio. — Dopo diciannove -secoli la teoria greca potè ricomparire in mezzo alla Cristianità -e vi trionfava scandalosamente, per opera di umanisti e di preti -paganeggianti, che egualmente si allontanavano dall’anima del popolo -e dalla verità dell’Evangelo. Furono sempre _les hommes de la société_ -che guastarono i disegni della natura. - -Il primo guasto lo abbiamo già visto; fu l’erotomania, che era già -entrata, come un germe morboso, nell’opera d’arte e che doveva, di mano -in mano svolgersi e slargarsi e finalmente cuoprire della sua velenosa -e immonda fioritura tutta la produzione artistica, come al tempo -nostro. Perchè meravigliarsene? Il piacere ha una legge inesorabile e -una forza d’invasione a cui nessuna diga può essere contrapposta. Il -campo delle idee (nota acutamente il Tolstoi) è inesauribile tanto per -la sua immensità che per la sua varietà; e lo spirito umano vi procede -sempre a scoperte nuove. Le sensazioni del piacere invece sono numerate -dalle nostre condizioni biologiche e presto si fiaccano e si ottundono -con l’uso. Una volta quindi che del piacere ci siamo fatta una legge -e ci mettiamo sulla sua via, è necessario che noi troviamo, a ogni -costo, la novità nella raffinatezza della esibizione e nell’incremento -delle dosi. Così comincia la corsa sfrenata e la concorrenza pazza -che conduce ad eccessi inevitabili. Ai tempi della decadenza pagana -saranno le favole milesie; nel Cinquecento le opere in collaborazione -dell’Aretino e di Giulio Romano; al tempo nostro i racconti di Pietro -Louys e di Catullo Mendès. Se c’è una differenza, è tutta a nostro -danno; poichè presso gli antichi una certa distinzione tra il lecito -e l’illecito era ammessa pur sempre, mentre da noi un sofisma immenso -ha avviluppati gl’intelletti e ha preso forma di dottrina. Di più i -nostri artisti erotomaniaci credono di rappresentare le “condizioni -normali„ della società in cui vivono. “Passano la vita ad amplificare -le abominazioni sessuali che hanno provate; e sono persuasi che tutti -siano colpiti della stessa affezione morbida....„ - - * - * * - -Una parte considerevole del libro è dedicata a dimostrare quello che è -per Tolstoi il più grande pervertimento dell’arte contemporanea: cioè -il suo genio antipopolare; la sua tendenza a rinchiudersi in circoli -sempre più ristretti e a occultarsi dietro forme sempre meno facilmente -comunicabili. È la così detta aristocrazia dell’arte. - -Nè anche di questa aristocrazia dobbiamo maravigliarci; poichè -essa discende in linea retta dalle false idee che fine dell’arte -sia il piacere estetico. Il piacere è per natura sua egoistico e -quindi restrittivo. L’egoismo poi si manifesta in più modi. Fuori -dell’artista, ossia nelle classi privilegiate e poco numerose, che -al poeta, al pittore, al musico chieggono dilettazioni artistiche -_fatte a posta per loro_, senza che vi partecipi la vile moltitudine -e, scemandone le rarità, le faccia scemare di pregio. Dentro l’animo -dell’artista l’egoismo prende altre forme. Egli si profonda e si -dimentica volentieri nelle intimità del proprio artificio; ama di -farsene uno spettacolo riservato, una delizia gelosa; e si persuade -che, più si allontana per le sottigliezze de’ suoi procedimenti dalla -intelligenza comune, più egli si elevi e si glorifichi nell’opera sua. - -Ma qui sorge un ostacolo. Compiacersi della propria bellezza come -Narciso, va bene, ma non basta. Il fiore della lode ha i suoi profumi -attraenti, e vi sono troppi altri motivi che invitano e obbligano -l’artista a mettere sè e il proprio lavoro in comunicazione col -pubblico.... Egli è da questo contrasto che, a guisa di compromessi, -vennero formandosi via via parecchie tra le forme esoteriche del -mondo artistico e contemporaneo: i gruppi, le sétte, le chiesuole, i -cenacoli, de’ quali i nomi sono così strani e il numero così grande -e la vita così effimera. In mezzo a tutto quel brulichio di comparse -e di larve si levavano sempre le medesime voci: — “Noi siamo i -nuovissimi jerofanti della forma nuovissima! Pochi possono intendere, -pochi possono gustare, poichè la grande arte è dono privilegiato! Non -gettiamo ai porci le nostre margherite! Lungi i profani!„ — Inutile -avvertire che anche in questo campo, secondo Tolstoi, è quasi sempre -Parigi che inventa e dà le mosse: l’Europa e l’America si rassegnano a -imitare. - -Così, fin che le arti si mantennero fedeli al loro ufficio ideale, -che è quello di essere un nobilissimo vincolo di fraternità in mezzo -agli uomini, tutte le forme artistiche si mantennero in un lucido -contatto con la intelligenza e con la coscienza popolare. Da quando -invece vennero volte al piacere estetico, la coscienza popolare, che -domanda ben altro, si allontanò da esse, perchè più non comprese il -loro linguaggio. Ed esse accolte, protette e adulate in mille modi dai -ricchi e dai gaudenti del mondo, si diedero a soddisfare ai loro gusti, -sempre più usati e stanchi, con procedimenti sempre più artificiali -e complicati. Chiusa la limpida fonte delle idee nuove, che stanno -nella coscienza universale come un deposito inesauribile, l’arte cessò -di essere _inventiva_ e divenne _professionale_; ossia, sostituì al -criterio interiore di creare quello tutto esteriore di contraffare. -Le vecchie mitologie, i vecchi modelli letterari e artistici, i vecchi -pregiudizi e i costumi e i capricci e i tedî delle classi ristrette e -cupide di adulazioni e di svago, divennero la materia unica e obbligata -dell’arte. Astretti a rimaneggiare di continuo quei loro gloriosi -vecchiumi, i poeti per i primi, onde conseguire una qualche apparenza -di novità, dovettero appigliarsi ad espedienti meschini, ossia ai -furti più o meno abilmente mascherati, allo sfoggio insolente e barocco -dell’ornamentazione, al lezioso, all’inaspettato, allo strambo; tutta -roba ammannita ai clienti con una legge di progressione fatale e -inesorabile.... Finalmente, quando ogni altra salsa parve insipida ai -palati ristucchi, si arrivò all’“occultismo„ letterario e artistico. - -Stefano Mallarmé, capo dei poeti decadenti, ha posato questo canone: -la chiarezza è capitale difetto nella poesia. Che gusto può esserci -a sentir dire pane al pane e sole al sole? E che arte è quella che -sciorina là un oggetto o un concetto davanti agli occhi dei lettori -come fa il merciaio una pezza di drappo sul banco? Questo fu il fatale -errore dei poeti Parnassiani. Il sommo dell’arte moderna risiede invece -nel porgere le cose avvolte in una squisita ambiguità di immagini e di -eufemismi; e in quel lavoro di indagine, in quella perplessità e magari -in quello stento che ci vuole ad afferrarle, sta appunto il sapore e -il valore della dilettazione estetica, accresciuti dal pensiero che -pochi sono gli eletti a dividerlo con noi. Lo stesso dicasi delle -qualità ritmiche nel verso e nelle strofe. La metrica dei classici -usata fin qui, è troppo regolare, troppo geometrica, e dà all’orecchio -troppo facili armonie. Abbisogna anche qui introdurre del nuovo, del -ricercato, del recondito, delle strofe, per esempio, per le quali sia -necessario adoperare più la vista che l’udito; o dei versi che non -paiano versi e che sia necessario accentuare laboriosamente perchè -tornino. Se i più non li gustano, buon segno anche questo. Lo stesso -Mallarmè ha dichiarato che quando una sua lirica si imbatterà in -più che cinquanta lettori che la trovino bella, vorrà dire che non è -riuscita. - -All’occultismo sistematico della poesia lirica fa concorrenza -l’occultismo d’ogni altra forma artistica. Tutta questa arte -aristocratica, col suo manto di simbolismo e col suo misticismo -ateo, nel dramma, nella musica, nella pittura, non è quasi altro che -uno sforzo immane per nascondere la sua grande povertà di potenza -inventiva: e Wagner, Brahms, Riccardo Strauss, Boecklin, Burne-Jones, -Puvis de Chevannes, Ibsen, Maeterlinck e compagni, hanno tutti una -lontana parentela col marchese De Sade! - -La malattia è gravissima poichè non viene da cause accidentali, -ma è l’effetto di un turbamento profondo e antico. E a peggiorarla -s’aggiunge la critica divenuta al tempo nostro una vera maledizione. -Secondo Tolstoi, quando comincia a cessare la sincerità dell’arte, -la critica entra in campo; anzi i critici si sforzano a sollecitare -questa mancanza di sincerità, perchè hanno tutti bisogno di pescare -nel torbido. Così si avvera il loro grande sogno egoistico: nel regno -dell’arte una moltitudine d’iloti e pochissimi gli eletti. Essi sono -naturalmente del numero. Un rapido cenno d’intesa fra di loro: un altro -cenno con gli autori; un altro coi compari della galleria; poi giù le -grande sentenze e in tondo la frusta e in alto i turibuli! Il sofisma -di cui più abilmente si serve la critica ai nostri giorni è questo: -più un artista s’incammina verso lo strano e verso il recondito, più -s’accosta alle altissime cime dell’arte. Che meraviglia se solo pochi -possono seguirlo? Guardate, dice Tolstoi, quale è stato il giuoco -della critica verso Puschkin e verso Beethoven. Fin che il primo -scriveva versi e novelle, di valore vario ma secondo l’animo suo e -perciò vere opere d’arte, la critica lo trattò con freddo sussiego. Si -mette a scimiottare lo Shakespeare, a forzare la propria vena, a dare -nello strano; e la critica lo leva alle stelle. Il caso di Beethoven -è anche più significativo. Dopo aver composto moltissima musica, il -grande maestro diventa sordo. La malattia gli limita naturalmente le -facoltà musicali, e incomincia a scrivere dei pezzi d’invenzione tutta -cerebrale, incompiuti, nebulosi.... Potevano mai i critici nostri -lasciarsi scappare una così bella occasione? Eccoli, con Wagner alla -testa, levarsi tutti in coro e gridare che proprio d’allora ebbe -principio la sublimità di Beethoven! - - * - * * - -Da quanto ho fin qui riferito del nuovo libro di Leone Tolstoi, ognuno -può comprendere che accusatore egli sia dell’arte come è generalmente -intesa e professata ai nostri giorni. Accusa non tutta nuova -certamente. Chi, per esempio, ricorda la _Lettre sur les spectacles_ -di Gian Giacomo Rousseau, si avvede che, alla distanza di più di un -secolo, i due spiriti solitari s’incontrarono in più d’un argomento, -trattando il medesimo soggetto. - -Anche alle idee di Max Nordau è impossibile non pensare; e in -particolar modo a molti giudizi d’autori e di opere che si trovano nei -due volumi di _Degenerazione_. Ma qui la somiglianza è piuttosto nelle -conseguenze pratiche; anzi solamente in queste; poichè lo scrittore -russo e l’ungherese muovono da principî profondamente diversi. - -A ogni modo accuse gravissime. È curioso notare che, al principio di -questo secolo, il conte Giuseppe De Maistre, il filosofo della Santa -Alleanza, sentenziava: _Le beau est ce qui plaît au patricien éclairé_; -e di qui si dedusse tutta una teoria intorno all’arte; e tutti, uomini -di parte popolare e di parte patrizia, la vollero considerata del pari -come una espressione aristocratica della vita. Al chiudersi del secolo, -ecco che un altro patrizio, dal cuore della Santa Russia, si leva a -predicare tutto il contrario; e anzi sostiene che _les hommes de la -société_, i Papi, i principi, i nobili e in generale la gente istruita -e ricca, sono proprio essi che l’arte hanno snaturata e sviata dal suo -nobile fine, considerandola _per ciò che procura la più grande somma -di godimenti ad una categoria limitata d’uomini_. La grande umanità sta -fuori dall’arte nostra; o non la capisce o la disprezza. - -Un intero capitolo del libro è dedicato ad un rapido esame delle -dottrine degli studiosi sull’essenza e sul fine dell’arte. La -rassegna va dai Greci al Baumgarten e da questo a Carlo Darwin, allo -Spencer, al Kerd, al Knight, agli ultimissimi filosofi, sociologi ed -esteti. L’autore non si mostra punto edificato di tante definizioni, -confusioni, contraddizioni. E, lo dico di passaggio, nemmeno io per -verità. Ma c’è forse da meravigliarne? Ripeta egli il medesimo processo -a qualunque idea categorica: Dio, il tempo, lo spazio, l’amore, il -bene, il riso, il dolore, eco. Vedrà che, ogni volta che gli uomini -tentano di avvicinarsi molto a quello che Galileo Galilei chiamava -le _essenze oscure_ e si cimentano a definirle, il trovare due soli -cervelli che proprio si accordino, è tutt’altro che facile.... - -Leone Tolstoi non ha certo paura di dire tutto il suo pensiero: egli -domanda semplicemente a tutti gli uomini, che hanno proposito di bene, -di adoperarsi con lui _alla soppressione dell’arte moderna come il male -più terribile dell’umanità_. - -Chi crederà che questo terribile nichilista possa ritrovare qualche -cosa di lodevole nella produzione artistica del nostro tempo? Eppure -ne trova. Anche la Pentapoli ebbe qualche giusto. Mentre partecipa -al sentimento di quel povero diavolo che venne a trovarlo a piedi da -Saratov, e poi proseguì mendicando fino a Mosca, sempre domandando: — -Perchè innalzano una statua al signor Puschkine? — Tolstoi riconosce -che parecchi nostri artisti si elevano sulla comune viltà professionale -e lavorano al caldo raggio dell’arte buona e vera, a cui preparano -un lento ma sicuro trionfo nell’avvenire. Fra i pittori cita Bastien -Lepage, Giulio Breton, Millet, Lhermitte, ecc.; fra gli scrittori -Dickens, Vittor Ugo, Dostojevsky. - -Ma infine che cosa domanda il Tolstoi agli artisti e all’arte per -non meritare l’universale condanna? All’artista, oltre la potenza di -creare, egli domanda che sia _al livello della concezione più alta -della vita del suo tempo_; — all’arte, che tutte le opere sue sieno -sempre la espressione abile e sincera di sentimenti rivolti ad unire -e a migliorare gli uomini. Egli vuole che nella società moderna e -cristiana l’arte cessi d’essere mediatrice e mezzana del piacere; e sia -degna di chiamarsi moderna e torni ad essere cristiana. Vuole quindi -abolita quella grande eresia che è _l’arte per l’arte_; e perchè non -gli si rimproveri di mancare di logica, vuole abolire anche quell’altra -grande eresia che è _la scienza per la scienza_. Ogni attività umana -deve essere legittima e nobilitata da un alto fine sociale. - -Questa la sostanza e il fine del libro che Leone Tolstoi dice di avere -meditato e lavorato per quindici anni. Un libro serio e sintomatico -al più alto grado, e che, piaccia o non piaccia, si impone all’esame. -Ma avendo io avuto appena il tempo di riassumerlo, sono obbligato -a rimettere l’esame a miglior tempo, se non dispiacerà ai lettori -della _Nuova Antologia_. E mi lusingo che non tornerà inopportuno un -confronto tra quello che afferma oggi il Tolstoi con le idee che furono -espresse sullo stesso argomento, circa settant’anni fa, da un grande -italiano, Alessandro Manzoni. - - -II. - -Manzoni e Tolstoi nell’idea morale dell’arte. - -L’unione di questi due nomi, che, a primo tratto, può parere arbitraria -e anche bizzarra, ha invece, io credo, la sua ragion d’essere in -paralleli curiosi e in analogie profonde. I due uomini stanno veramente -a così gran distanza l’uno dall’altro e tanto si diversificano in molti -aspetti della vita reale e spirituale, da formare un vero contrapposto. -Eppure tra il latino e lo slavo, tra il solitario di Brusuglio e il -romito di Isnaia-Poljana, corrono, a guardarli attento, come dei cenni -di intelligenza e di consenso; e in certi momenti direste che le due -grandi figure (sempre così diverse di tipo e di contegno) si avvicinino -e si tendano la mano. Si tratta insomma di una di quelle somiglianze, -che è facile esagerare trascorrendo nell’assurdo e nel ridicolo, ma -che non sono per questo meno vere; e che anzi sono, per quello stesso -pericolo, tanto più degne d’essere studiate. - -Basterebbe, a convincersene, considerare la risoluta franchezza con la -quale tanto il Manzoni che il Tolstoi mutarono completamente d’avviso -intorno alla loro vita e alle loro dottrine, ogni volta che vi furono -indotti o dal sentimento o dalla ragione, e nessuno dei due mostrò di -badare agli effetti pratici e personali del proprio mutamento. - -Il Manzoni si mutò di incredulo in cattolico fervente, di classico -in romantico indipendente. Poco sappiamo in particolare della sua -conversione religiosa; e ignoriamo se e come affrontasse fiere -battaglie di spirito o andasse incontro per essa a rinuncie gravi; ma -che non fosse uomo da sbigottirsene potremo, io credo, argomentarlo con -bastante sicurezza anche osservando il modo con cui egli accettò tutte -le conseguenze della sua conversione letteraria. Quando, in appresso, -ebbe raggiunta la sua grande fama coi _Promessi Sposi_ e fu questione -per lui ben più seria che di sconfessare canoni pseudo-aristotelici e -ripudiare poemetti giovanili (per quanto questi ultimi a lui fossero -caramente diletti nel ricordo delle prime vittorie), noi troviamo -sempre lo stesso uomo risoluto e tranquillo nel seguire i precetti -della propria ragione. Censore infaticabile di sè stesso, egli da prima -si convince d’avere, scrivendo il romanzo, errato nel criterio della -lingua; e subito mette mano a rifare il romanzo e a professare la sua -nuova dottrina della lingua. Si pone quindi ad esaminare il romanzo -storico; e rinvenuto in quella mescolanza di invenzione e di verità un -principio dissolvente e un motivo di biasimo, non esita a prendere il -suo partito e pronuncia una condanna che ferisce in pieno petto il più -insigne documento della sua anima d’artista, la parte più preziosa del -suo viatico verso la posterità e la gloria. - -Un biografo di Manzoni ci ha lasciato un toccante ricordo dell’ultimo -tempo della sua vita. Il venerando uomo, avvertiti gli effetti -disastrosi che la tarda età andava producendo nelle sue facoltà -percettive, volle riassumerli in questo distico: - - Bocca, naso, occhi, orecchi e, ahimè!, pensiero, - Non ho più nulla che mi dica il vero. - -Un ricordo toccante ho detto; e avrei anche potuto dirlo ricordo -lugubre, quasi tragico. Non è forse a noi argomento d’infinita pietà -questo sorprendere un uomo, che per tutta una lunga esistenza aveva -saputo scrutare con sì forte acume i segreti dello spirito e che aveva -osservato con penetrazione così sottile la grande scena dal mondo, -sorprenderlo, dico, mentre egli assiste al tramontare, allo spegnersi -della sua intellettualità, rimanendogliene però sempre abbastanza -per avvertire il fatto, descriverlo e quasi scherzarvi sopra con -rassegnazione malinconica? - -Eppure io mi compiaccio molto che quell’umile documento dello spirito -senile di Alessandro Manzoni non sia rimasto sconosciuto. Mi pare -che quei due versi non suonino male nella pia sera della sua grande -giornata; poichè ce lo presentano fino all’ultimo quale egli fu -veramente in tutta la vita: osservatore rigido e vigilante d’ogni suo -atto e pronto sempre a giudicare sè stesso con una illimitata e quasi -eroica sincerità. - -Non c’è bisogno di un lungo esame per vedere la grande somiglianza -che, sotto questo aspetto, ha con la vita del Manzoni quella di -Leone Tolstoi. Anche s’egli non si fosse incaricato d’informarcene -distesamente in un libro basterebbe confrontare i suoi primi romanzi -con la _Sonata a Kreuzer_; e pensare come viveva quarant’anni fa e come -vive oggi lo scrittore moscovita, per misurare d’un tratto la immensa -trasformazione avvenuta in lui e da lui voluta. - -Al Manzoni come al Tolstoi vennero mosse le facili accuse di -incoerenza. Ma chi potrebbe (e questo è l’essenziale) accusarli di -bassi calcoli o di leggerezza? E che è mai il passare e il succedersi -di opinioni nel cervello di singoli uomini, di fronte alla non mai -terminata conquista del vero e del bene? Noi saremmo ancora nel più -fitto dell’ignoranza e nella ferocia primitiva, se gli uomini migliori, -a un certo momento della loro vita, non avessero cambiato di idee e di -propositi. Una cosa certo dispiace; ed è vedere tanti sciocchi, tanti -furbi e tanti farabutti ripararsi dietro quei nobili esempi. Ma v’è -anche modo di consolarsi pensando che, fatti i conti, ogni uomo rimane -poi sempre col proprio valore! - - * - * * - -È evidente che Manzoni e Tolstoi si assomigliano nell’avere delle -lettere, e dell’arte in genere, un concetto alto e austero e -nell’attribuire ad essa un grande ufficio educativo e sociale. Il -Manzoni spiegò per tempo la sua bandiera. “Tutto ciò che ha relazione -con l’arte della parola, e coi diversi modi d’influire sulle -idee e sugli atti degli uomini, è legato di sua natura a oggetti -gravissimi„[3]. - -Veramente questa, a quel tempo, era una massima comune. L’Alfieri e -il Parini avevano infuso nelle lettere un forte spirito di educazione -morale e civile; il Foscolo dalla cattedra di Pavia aveva parlato un -linguaggio somigliante. Se vi erano dissensi, questi potevano toccar -solo il modo di intendere e di applicare la massima. Gli stessi -difensori dell’uso della mitologia pagana, con a capo Vincenzo Monti, -adducevano le alte moralità rinchiuse nei vecchi miti e rese più -insinuanti attraverso i veli della finzione poetica. Questo, su per -giù, era anche il sentimento di Giacomo Leopardi, confidato a parecchi -dei suoi canti ed espresso di frequente nei _Dialoghi_, nei _Pensieri_, -nell’_Epistolario_ e dovunque egli insiste sulla necessità di certe -umane illusioni. Chi allora avesse affermato il contrario, non avrebbe -potuto difendersi dalla taccia di pazzo o almeno di stravagante. - -Ma il Manzoni mirava a un effetto più esteso, movendo da una idea più -fondamentale. Egli voleva far trionfare un principio che cominciava -già ad essere accetto ai giovani; un principio, che fuori d’Italia -scrittori di grande autorità, come la Staël, i fratelli Schegel, il -Chateaubriand, avevano già gridato alto, e che in Italia parecchi -valorosi amici suoi, come l’Hermes Visconti, il Berchet, il Pellico, -cominciavano ad accogliere e a divulgare. Ad Alessandro Manzoni -dispiaceva che questo principio andasse sotto il nome di Romanticismo, -parola, a suo gusto, antipatica e piena di equivoci. A ogni modo, il -romanticismo esprimeva per lui un movimento serio e salutare, a patto -che si dissipassero le fantasie paurose e bizzarre di cui l’avevano -circondato, e cessassero d’essere materia sua costante certi vani -pettegolezzi di scuola; a patto infine che la disputa non si fermasse -alle tre unità classiche e alla mitologia, anzi non si fermasse alla -pura forma letteraria. - -Discorrendone col marchese Cesare D’Azeglio nel 1823, il Manzoni -esprime tutta la sua viva compiacenza perchè le nuove idee si -diffondevano non solo ai diversi modi di poesia, ma occupavano di -mano in mano _tutte le teorie dell’estetica_[4]. Era dunque un pieno -e universale rinnovamento dell’arte quello che egli aveva concepito -e domandava e aspettava, come la unica razionale conseguenza del moto -romantico. - -Gli intendimenti del Manzoni appaiono con forma anche più viva dalle -lettere che egli scrisse al Fauriel tra il 1807 e il 1823, in quello -che fu veramente il periodo della sua grande creazione artistica, -perchè vi compose gli Inni sacri, le Tragedie, il Romanzo; e perchè è -anche rinchiusa in esso la sua conversione religiosa. - -Montesquieu aveva scritto: “Se non fossi cristiano, vorrei essere -stoico„. Manzoni dopo aver professato una specie di stoicismo -moderno col Fauriel, con Giorgio Cabanis e con madame Condorcet, -volle, prima d’uscire dalla giovinezza, rendersi cristiano. Ebbe -per catechista l’abate Degola, che a Roma, non a torto, avevano in -opinione di giansenista; ed ebbe per compagna, forse per ispiratrice -di conversione, la moglie Enrichetta Blondel, che era nata e cresciuta -nella fiera dogmatica di Calvino. - -Per quanto la tradizionale bonomia lombarda e la vivacità ironica e -l’indole critica dell’ingegno dovessero temperare in lui tutta quella -austerità religiosa, è fuor di dubbio che essa sempre lo signoreggiò -e lo diresse nella vita: e quindi anche nell’arte. A tacere degl’Inni -sacri, che si vollero considerare quasi un corollario immediato della -sua conversione, in ogni componimento a cui il Manzoni volge l’animo è -impossibile non riconoscere subito il preconcetto di un’alta finalità -etica e religiosa. Anche quando non teorizza su questo punto, lo dà -per supposto. Ha egli bisogno un galantuomo di professare ogni momento -la sua onestà? E uno scrittore deve essere galantuomo due volte: come -uomo e come scrittore. Inseparabili quindi nella scelta di un soggetto -le sue qualità prettamente artistiche dalla dignità e dalla utilità -spirituale. L’argomento d’una tragedia non è buono solo perchè gli dà -materia a vestire di bei versi e a mettere sulla scena un contrasto -di caratteri e di passioni commoventi. Questo potè bastare, forse, -a Guglielmo Shakespeare; a Manzoni non bastò. Vedete per che motivi -lo fermano e lo innamorano, fra tante, le figure del Carmagnola e -dell’Adelchi. Egli ha prima scoperti e studiati tutti gli elementi -che abbisognano per far sì che splenda intorno a quelle due figure una -grande moralità storica, civile e patriottica, che il poeta esprimerà -poi liricamente nelle strofe del Coro. E quando la voce del Coro tacerà -e il nodo tragico sarà sciolto, il poeta muterassi in narratore e -continuerà ad illustrare e a diffondere quella moralità con altra forma -e altri argomenti. - - * - * * - -E il Manzoni va anche più oltre. Non si contenta di questa, che -potremmo chiamare una buona fratellanza del principio estetico col -principio etico. Egli spinge questa fratellanza agli ultimi limiti -di una perfetta intimità; anzi, a parlar più preciso, non dubita di -condizionare e sottomettere il primo al secondo. Tra le sue mani una -questione letteraria si riduce sempre ai minimi termini di un vero -caso di coscienza. — Perchè debbono i poeti proscrivere l’uso della -mitologia pagana? I perchè sono molti e il Manzoni non tralascia di -enumerarli, deducendoli da quelli che egli crede i buoni canoni della -poetica moderna. Poi soggiunge, scrivendone al D’Azeglio: “Ma la -ragione, per la quale io credo detestabile l’uso della mitologia, e -utile quel sistema che tende ad escluderla, non la direi certamente -a chiunque, per non provocare delle risa.... Tale ragione per me è, -_che l’uso della favola è idolatria_[5]„. E passa a dimostrarlo. Lo -stesso accade nel giudizio che egli reca sul romanzo storico. Sotto -quell’acervo mirabilmente ingegnoso e sottile di osservazioni e di -esempi onde sono formate le due parti del _Discorso_, che cosa troviamo -in sostanza? Che, stando al convincimento del Manzoni, l’invenzione -e la storia, con cui si vuol comporre e fondere il romanzo, riescono -a formare un’unità solo “verbale e apparente„, mentre ben diversa era -la promessa fatta al lettore; onde il suo spirito s’inquieta e la sua -mente è tratta in inganno[6]. E non bisogna mai ingannare nessuno! -Eccoci dunque a un altro caso di coscienza e a un altro precetto del -Decalogo. - -Che nel sottomettere le invenzioni della letteratura e dell’arte in -genere alle strette discipline di un principio morale e religioso, -il pensiero del Manzoni e quello del Tolstoi s’incontrino e -sostanzialmente si identifichino, mi pare cosa tanto chiara da non -avere bisogno di altra dimostrazione. Chi lo credesse necessario, -potrebbe con facilità mettere a confronto ragionamenti e sentenze -tratte dall’uno e dall’altro. Ma ciò che meglio persuade è il -considerare, in complesso, le loro fisonomie di scrittori e cogliere, -per così dire, il sentimento profondo e continuo da cui quelle loro -fisonomie sono animate. Inutile quasi aggiungere che, parlando del -Tolstoi, io intendo specialmente alludere ai suoi ultimi libri; e che -affermando la loro somigliante orientazione nel mondo dell’arte, non -dimentico le molte dissomiglianze d’indole e di idee, massime religiose -e sociali, che intercedono fra i due. - -E anche ai tempi diversi bisogna guardare. Quando il Manzoni scriveva e -polemizzava intorno all’ufficio delle lettere, certe teorie o non erano -nate o non avevano ancora autorità e seguito; onde non ebbe bisogno di -scaldarsi e d’inveire (se pur l’animo suo l’avesse comportato) contro -dei nemici lontani e ancora invisibili. Il Tolstoi invece, arrivato -quando, dalla letteratura del Trenta in poi, tanti cattivi germi -avevano avuto campo di svilupparsi, trovò tutta l’Europa già inondata -dai peggiori prodotti dell’arte francese mercantile e pornografica; e -sentì gridare sui tetti le più strambe teorie e celebrare per grandi e -per sommi certi poeti, romanzieri, autori drammatici e musicisti, che a -lui parevano la negazione dell’arte seria, sana e benefica. Aggiungansi -la sua originale professione di mistico, il suo fervore d’apostolo, -i suoi istinti di lottatore agguerrito. Così il suo ultimo libro -sull’arte rimarrà meglio spiegato; e meglio sarà inteso il modo con cui -ha posto certe questioni, la preferenza che ha dato ad alcune di esse, -le grandi verità che ha saputo dire, le esagerazioni e le violenze da -cui non ha potuto astenersi. - -E sopratutto non dobbiamo mai scordarci che Leone Tolstoi è uno -slavo; anzi che egli, come uomo e come scrittore, è uno degli -spiriti meglio rappresentativi di ciò che la razza slava può avere -di conforme e disforme da noi. _Quanto a me_ (scriveva di lui -lo Zola), _col mio cervello latino, non posso comprendere quelle -speculazioni metafisiche._ Ora se tale incomunicabilità dell’ingegno -latino e dell’ingegno slavo, affermata in senso così assoluto, è -una esagerazione, non può negarsi nemmeno che tal volta dinanzi ai -giudizi e ai sentimenti e alle configurazioni fantastiche di quei bravi -iperborei, noi ci sentiamo attratti insieme e respinti, come dinanzi a -delle grandi porte, socchiuse ma impenetrabili. - - * - * * - -Quando vediamo che due forti intelletti si accordano sovra una tesi -d’importanza capitale, collegata a un sistema generale di speculazioni, -noi possiamo indurne con molta probabilità che la loro concordanza -dovrà, più o meno, estendersi a tutto il sistema. - -E questo parmi il caso di Manzoni e di Tolstoi nella tesi dell’amore, -quale argomento di rappresentazioni artistiche. Quando il Bonghi, -commemorando il Manzoni alla Biblioteca di Brera, ebbe fatto conoscere -alcuni passi inediti tolti dal manoscritto dei _Promessi Sposi_, ove -l’autore espone così argutamente le sue idee in proposito, lo stupore -fu grande e i pareri molti; ma l’idea era troppo chiaramente espressa -per ammettere dubbi e interpretazioni diverse. Confessa il Manzoni che -nella prima formazione del suo romanzo abbondavano le vive descrizioni -di scene d’amore fra i due promessi, e che anzi n’erano “la parte -più studiata„. Ma nel trascriverlo e nel rifarlo, egli si decise -ad escludere tutto ciò, riducendo il racconto dell’amore di Renzo e -Lucia all’attuale sobrietà e freddezza e castità di forme, che parve -a molti eccessiva. Il Settembrini, infatti, domandava stizzito di -che colore fossero gli occhi di Lucia. E se tanta era la ritenutezza -del romanziere nel descrivere un amore “che doveva essere comandato e -chiamarsi santo„, immaginarsi tutte le sue cautele a proposito della -tresca fra Egidio e la Monaca! Per verità, quella figura di Geltrude, -così bella, così misteriosa, così degna di tanta pietà anche nella -colpa, deve avere lungamente, pericolosamente assediata e quasi sedotta -la fantasia dell’autore. Lo si capisce dalla pagina calda e quasi -fremente con cui ce la descrive al suo primo entrare nel romanzo, -dietro la ferriata del parlatorio. Dunque in guardia, don Alessandro! -E nel primo e anche nel secondo manoscritto del romanzo (quello che -si conserva alla Braidense) fu levata via con mano rigorosa ogni -descrizione che potesse contenere il più piccolo allettamento erotico, -salvo, forse, la descrizione della sfiorita ma sempre attraente -bellezza della suora; e tutto il seguito della sacrilega avventura tra -essa e il libertino, venne troncata di botto con la celebre frase: “la -sventurata rispose„. - -Di questo suo inesorabile procedere il Manzoni espone molto nettamente -il motivo. “Io sono di quelli che dicono che non si deve scrivere -d’amore _in modo da far consentire l’animo di chi legge a questa -passione_.... Concludo che l’amore è necessario a questo mondo; ma -ve n’ha quanto basta e non fa mestieri che altri si dia la briga di -coltivarlo; e che col coltivarlo non si fa altro che farlo nascere dove -non fa bisogno. Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo ha bisogno -e che uno scrittore, secondo le sue forze, può diffondere un po’ più -negli animi,... ma dell’amore ve n’ha, facendo un calcolo moderato, -seicento volte più di quello che sia necessario alla conservazione -della nostra riverita specie. Io stimo dunque imprudente andarlo -fomentando cogli scritti; e ne son tanto persuaso che se un bel giorno, -per prodigio, mi venissero inspirate le pagine più eloquenti d’amore -che un uomo abbia mai scritte, non piglierei la penna per metterne una -linea sulla carta, tanto son certo che mi pentirei„. - -Antonio Fogazzaro osserva a ragione[7] che, con tale sentimento -Alessandro Manzoni non avrebbe voluto essere l’autore del quinto Canto -dell’_Inferno_; nè forse (aggiungo io) aver dipinti gli occhi della -Madonna di San Sisto. - -Quale sia la metafisica attualmente preferita da Leone Tolstoi intorno -all’amore, io non starò qui ad esporre; nè indagherò come egli intenda -ed applichi un famoso passo del Vangelo di san Matteo, che egli ha -messo in fronte al suo ultimo romanzo. E fuori di dubbio che egli -professa, in fatto d’amore, una opinione di pessimismo che può ben -dirsi ultra-schopenauriano. Nè certo le conseguenze lo sbigottiscono. -Quando il protagonista del tristissimo racconto _La sonata a Kreuzer_ -è arrivato a un certo punto nello svolgimento della teoria tolstoiana -sulle relazioni sessuali fra i coniugi, il suo interlocutore si crede -in dovere di interromperlo: — Ma voi così spegnerete il genere umano! — -E l’altro risponde senza scomporsi: — E che bisogno c’è che il genere -umano continui? — Il Manzoni, che ammette invece essere _l’amore -necessario a questo mondo_, pure pensando che ce ne sia tanto più del -bisogno, è dunque un moderato e quasi un timido nella sua dottrina, a -petto del romanziere moscovita. Ma l’importante da notare qui è questo: -che i due consentono perfettamente nell’idea di proscrivere dall’opera -d’arte ogni rappresentazione d’amore che “faccia consentire l’animo a -questa passione„. - -Il Manzoni è convinto che il peccato d’amore (per un carattere tutto -suo particolare collegato alle condizioni della nostra sensibilità) -tragga un grande impulso dalla viva evocazione, in genere, delle -immagini amorose; quindi o le esclude del tutto, applicando il _nec -nominetur_ di san Paolo, o le vuol ridotte a proporzioni minime e a -forme castigatissime. Il Tolstoi, logico anch’egli, va ben più oltre; -e vagheggia e invoca una letteratura la quale includa bensì l’amore, -ma solo per insinuare contro di lui il disgusto e l’abborrimento degli -uomini. Per questo, fra i romanzieri francesi contemporanei, Tolstoi -salva e cuopre della sua simpatia il Guy de Maupassant. Ed è curioso -vedere come lo giudica. Anch’egli il povero autore di _Bel-Ami_, come -Dumas, come Zola e tutti gli altri, è inquinato di erotomania dai -capelli alla punta dei piedi; ma dal fondo stesso del proprio abisso -egli ha saputo trarre un principio di salvezza. “Non havvi forse uno -scrittore che sia stato così sinceramente persuaso come Maupassant, -che tutta la felicità, che persino il senso della vita risiede nella -donna, nell’amore, e che abbia descritto con tanta forza di passione, -la donna e il suo amore sotto tutti gli aspetti. E non vi fu mai, -forse, uno scrittore che abbia mostrato, con una chiarezza e una -precisione incomparabili, tutti i lati umili di questo fenomeno che -gli sembrava il mezzo più elevato per ottenere la maggior felicità -possibile della vita. Quanto più egli ne approfondiva lo studio, tanto -più questo fenomeno si spogliava di ogni velo ai suoi occhi e non ne -rimanevano più che le conseguenze terribili„. È accaduto insomma a Guy -de Maupassant come al profeta Balaam; ma in senso inverso: “Egli voleva -esaltare l’amore, ma quanto più lo conobbe, tanto più lo maledì„[8]. -E da tutta l’opera sua pare che prorompa l’amara imprecazione di -quell’altro grande lussurioso che fu Alfredo De Musset: - - Amour, fléau du monde, execrable folie, - Toi qu’un lien si frêle à la volupté lie, - Quand par tant d’autres nœuds tu tiens à la douleur!...[9] - -Contro dunque le stesse sue intenzioni, il Maupassant c’insegna co’ -suoi libri a fuggire le donne e a detestare il sentimento d’amore che -vorrebbero inspirarci. E questo sarà notato a grande merito suo, nella -giornata del giudizio finale! - - * - * * - -In un altro punto i due scrittori s’incontrano; ed è il valore relativo -e subordinato che essi dànno, nell’opere d’arte, all’elemento della -bellezza. - -È degno di nota che Manzoni non pensa neppure a nominarla quando -esprime le qualità capitali che dee avere un lavoro artistico, perchè -corrisponda al suo debito ufficio. Vuole che abbia “il vero per -soggetto, l’utile per fine, l’insinuante per mezzo„. Sembra indubitato -che a quella virtù d’_insinuarsi_ negli animi, debba concorrere la -bellezza; ma non è detto in quale misura; e appare escluso, anche per -questa significante preterizione, che essa vi domini sovrana. - -Quanto al Tolstoi, abbiamo visto nell’articolo precedente che, per lui, -la grande eresia estetica consiste appunto in questo dominio; ossia -nell’aver posto come fine supremo dell’opera d’arte la contemplazione -dilettosa del bello. Tutti i traviamenti e tutte le corruttele sono -derivate da questa fonte. La civiltà del genere umano, che nella -letteratura e nella cultura artistica avrebbe dovuto trovare un -sì potente aiuto, vi ha invece trovato un inciampo e un impulso -funesto. I Greci diedero il cattivo esempio, i Latini lo seguirono, -il Rinascimento italiano ne rimase tutto inquinato; e oggi la società -d’Europa e d’America vede tutti i suoi vizi più abominevoli fomentati, -abbelliti e quasi deificati nei canti dei poeti, nelle descrizioni dei -novellieri, nei quadri e nelle statue, nei drammi, nelle commedie, -nelle opere in musica. E quale meraviglia? Il piacere ha una logica -inesorabile; e per quanto sieno scelte, peregrine e delicate le sue -prime forme, una volta che esso è posto nelle cose della vita come -fine, con la forza di quella logica esso tirerà a sè i sensi dell’uomo -giù per tutti i gradi della cecità e del peccato. - -E non sperate di mitigare la condanna del Tolstoi, parlandogli di una -categoria di bellezza artistica superiore, dalla quale non dovrebbero -piovere che influssi salutari, ispirazioni nobili, affetti casti. Egli -respinge ogni distinzione che possa aver l’aria di una concessione, -perchè pensa che il male risiede nella falsità del principio estetico. -Quindi una grande solidarietà di colpa involge nel suo giudizio opere e -autori di epoche lontane e di culture diverse; nè troppo noi dobbiamo -stupirci quando lo vediamo comprendere nella sua fiera condanna, -parziale o totale, artisti grandissimi e di genio austero, non salvando -nemmeno Dante, Michelangelo, Beethoven.... Che ne sappiamo noi? Quel -_San Giovannino_ di fra’ Bartolomeo della Porta, che, stando al Vasari, -i frati del convento di San Marco dovettero levar via dall’altare -perchè induceva in tentazione le donne di Firenze, forse non era che un -discendente legittimo, in linea d’arte, da Giotto e da Taddeo Gaddi, -che troppo avevano cercata, per sè medesima, la bellezza della figura -umana; forse le rime licenziose del Parny e del Casti non furono altro -che una lontana ma naturale derivazione dell’“amoroso foco„ che arse -nella lirica dei castelli di Provenza e del Trecento italiano.... Io ho -paura che Leone Tolstoi sia loico come il diavolo. - -Ma insomma che vuole egli? Che dobbiamo fare? Dovremo noi, per -contentare questo terribile russo, ritornare le arti al mistero del -medio evo e alle iconi della Chiesa moscovita? - -Questo terribile russo, per verità, non bandisce la bellezza dall’opera -d’arte. L’ama invece e la vuole. Solamente egli chiede che essa non -venga più considerata come una suprema entità e fine a sè stessa, -secondo che pensano gli esteti contemporanei, i quali ne hanno fatto -una idea _idolatra_, quindi inorganica e incivile. Pretende che -essa trovi la sua forza e la sua gloria in una doverosa servitù, -ossia che vada sempre subordinata e coordinata al trionfo del bene -morale. E siccome poi Tolstoi non comprende la moralità disgiunta -dal cristianesimo, anzi non v’ha per lui altra morale fuori della -cristiana[10], così egli domanda che l’arte si faccia cristiana per -davvero, nella sostanza e nella forma. È innegabile che, posto il -principio, tante applicazioni e affermazioni del Tolstoi nell’argomento -perdono molto della loro singolarità e anche della loro audacia. -Potranno parere eccessive e lo sono anche, ma non mancano di costrutto -logico. - -L’arte dunque, egli dice, deve essere evangelicamente demofila. “Il -concetto cristiano consiste nell’essere tutti gli uomini figli di -Dio: deve dunque esistere un’unione fra loro e con Dio, come dice il -Vangelo (S. Giovanni, XVII, 21). Gli è per ciò che i sentimenti che -giovano all’unione degli uomini con Dio e fra di loro devono essere il -fondo dell’arte cristiana.... L’arte per sè stessa ha il pregio d’unire -gli uomini. Essa unisce coloro che sono impressionati dal sentimento -dell’artista, anzitutto a questi, e poi a tutti gli uomini che subirono -la stessa impressione. L’arte non cristiana che riunisce una sola -categoria d’uomini, la separa, per ciò stesso, da tutte le altre; -questa unione parziale produce dunque non solo la disunione, ma anche -l’animosità.... L’arte cristiana, detta altrimenti l’arte dell’epoca -nostra, dev’esser _cattolica_ nel senso proprio di questa parola: -universale, e, di conseguenza, deve unire tutti gli uomini„. - -A questo modo un improvviso lume par che rischiari tutto il -sistema estetico di Leone Tolstoi; e un criterio molto semplice di -classificazione e di valutazione ci soccorre nel qualificare, alla -sua maniera, le opere dell’ingegno artistico. E così anche si spiegano -certe sue esaltazioni e certe sue condanne di autori, le quali formano -veramente la parte più inaspettata e più ostica del suo nuovo libro. -Quando egli si trova al cospetto di un poema, di un quadro, di un -dramma, di un romanzo, prima di giudicarli ne’ loro pregi estetici, -subito si domanda se l’opera corrisponda al grave fine per cui tutte -le opere dovrebbero essere fatte; se cioè per la somma delle idee, -dei sentimenti, delle simpatie, delle suggestioni (per dire la parola -in uso) che ne vien fuori, essa si accordi col principio cristiano, -sociale e umanitario, oppure se vi contradica; in altri termini, -usando ancora la frase del Manzoni, se essa _induca_ gli uomini a -_consentire_ a quel principio oppure ad allontanarsi da esso. Con -tale pietra del paragone fra le mani, il Tolstoi giudica, assolve e -condanna senza esitare. Per questo egli accetta e ama fra i pittori -Millet, Berton, Lhermitte, non accetta e non ama Delacroix, Vernet, -Makart e Burne Jones; accetta e ama fra i romanzieri Victor Hugo, Dumas -padre, Dickens, Gogol, Dostojewski, Giorgio Elliot, e perfino Guy de -Maupassant; non accetta o non ama Balzac, Zola, Flaubert, De Goncourt, -Paolo Bourget. - -In sostanza, che v’ha egli di veramente nuovo in tutto questo? Non -ha avuto forse l’arte, in tutti i tempi di civiltà, due ben distinte -categorie di giudici, cioè fuori o dentro il principio etico e -religioso? Non ci ricordiamo più che l’idea di Stato suggerì al divino -Platone giudizi così aspri intorno al divino Omero? Se poi ci piacciono -esempi meno lontani, non abbiamo che a ricordarci che lo stesso -metodo giudicativo fu, _mutatis mutandis_, già adottato dal Bousset, -dall’Arnaud, dal Pascal e da tutti gli scrittori appartenenti, in -Francia e fuori, a quel periodo che fu detto del rigore giansenista, e -che alle manifestazioni dell’arte faceva un viso così diffidente e così -austero. Di quel rigore giansenista il nostro Manzoni, il buon allievo -dell’abate Degola, fu, io credo, artisticamente parlando, un mitigato -ma logico seguitatore; e oggi, nella massima fondamentale, lo troviamo -d’accordo con Leone Tolstoi, il quale, alla sua volta, ci fa tornare -con la mente alle idee di Gian Giacomo Rousseau. - - * - * * - -Ma se il libro di Tolstoi, a guardarlo nella sua essenza, è tutt’altro -che un seguito di affermazioni strambe e di teorie incoerenti e -barbariche, come a qualche giornalista piacque, con la solita autorità, -di definirlo, questo non vuole già dire che esso risolva il problema -in modo del tutto soddisfacente. Dirò qui molto brevemente la mia -opinione. Questa dell’ufficio e del fine dell’arte, è questione che -troppo agevolmente si presta alle esagerazioni ed agli equivoci; troppo -di frequente si mescolano ad essa elementi eterogenei, e abiti e gusti -viziosi, e simpatie e antipatie interessate. Aggiungete che i criteri -teologici, ossia quelli che concernono i fini delle cose, sono sempre -difficilissimi ad essere adoperati con accorgimento e con perfetta -misura. - -E una mancanza appunto di misura io veggo nella dottrina del Tolstoi, -come in quella del Manzoni, come in tutti coloro che dinanzi a -ogni nuova creazione di poeta e d’altro artista, piglino subito un -atteggiamento da censore di classe e le domandano: — Ohe cosa provi tu? -Che effetto produci tu tra gli uomini? Sei tu venuto per accrescere o -per diminuire la dose della loro moralità? — Questa casuistica trita -e minuta, tirata ogni momento nel campo dell’arte, a me è parsa sempre -uggiosa e incomoda come tutto quello che è fuori di posto. E penso che -la risposta migliore sarebbe sempre quella della fioraia di Corinto -allo stoico indiscreto: — I fiori sono belli e odorano. - -L’antico buon senso dei popoli civili ha sempre distinto due categorie -di atti umani: quelli obbligatori e quelli leciti. A questi secondi -non ha fatto mai torto l’essere niente più che dilettevoli; e non si è -mai preteso di dedurre per questo che fine ultimo o massimo della vita -fosse il piacere. Ora, se vi ha gente che in questa regione del puro -dilettevole abbia diritto di muoversi e anche di vagabondare con una -certa onesta libertà, senza troppo inquietarsi d’altro, io dico che -sono i poeti e gli artisti. - -Affermare che il piacere soggettivo generato dalla bellezza sia fine -d’un’opera artistica, è proprio una così grande eresia? Il Tolstoi -non ne dubita. — Tanto varrebbe, egli dice, affermare che fine -dell’alimentazione sia il piacere del palato. — E perchè no? domando -io. Non sarà il fine unico e assoluto, ma che sia anch’esso un fine -ragionevole nessuno potrebbe negarlo; tanto è vero che un celebre -fisiologo disse argutamente potersi definire l’uomo un animale che -mangia anche senza lo stimolo della fame. E nemmeno si dovrebbe negare -che la bellezza possa contenere, in sè stessa e per sè stessa, una -salutare potenza di elevamento e di purificazione umana, quando davvero -un’arte “alta, gentile e pura„ la faccia splendere dinanzi ai nostri -occhi. Onde _bellezza educatrice_ non esitò a dire Niccolò Tommaseo; e -molto prima di lui Marco Tullio potè delineare un bellissimo quadro in -cui le umane lettere, liberamente professate, conferiscono insieme alla -felicità e alla nobiltà della vita.[11] - -“Quando l’arte non divertirà più, essa non corromperà più, assorbendo -a questo scopo le forze migliori....„ Questo afferma con la sua solita -audacia il Tolstoi. Ma ha egli ben pensato anche a tutte le “migliori -forze„ che l’arte perderà quando venisse il giorno, da lui invocato, -in cui essa non fosse più nè amabile, nè divertente? Crede egli che -l’alimentazione umana si avvantaggerebbe il giorno in cui i cibi -cessassero di essere gustosi al nostro palato? - -Però, a malgrado della nota esagerata e violenta che vi domina, -non dubito di ripetere quello che dissi nel mio primo articolo: -quest’ultimo di Leone Tolstoi è un libro poderosamente concepito, -ricco d’accenni profondi, di investigazioni acute e di verità utili -e umanamente accettabili anche da chi non si sente di salire a tutte -le premesse del suo spirito mistico. Libro sopratutto opportuno oggi -per noi. Poichè è stata veramente meravigliosa la leggerezza con la -quale molti in Italia credettero di poter escludere dal mondo dell’arte -nientemeno che la idea morale e di poter fabbricare (in questa vita -contemporanea, ove tutto fortemente si intreccia, si coordina e si -corrisponde) per comodo della sola arte, una specie di solitudine -puerilmente orgogliosa e vana; ed è stata quasi incredibile la facilità -con cui si lasciarono menare dalla novissima retorichetta francese -fino a parafrasare molto seriamente le facezie di Teofilo Gautier e -a convertire in canoni d’arte i suggerimenti mercantili di qualche -romanziere molto positivo ed esperto in calcoli editoriali. - -Pareva che questo dovesse bastare; ma ci fu dato uno spettacolo anche -più curioso. Venne innanzi una schiera di giovani scrittori dallo stile -molto fiorito e fosforescente, dicendo: — Siamo qua noi con la colonna -di fuoco! Il vuoto innegabile che si è fatto nell’arte per il divorzio -dalla vecchia morale e dalla vecchia fede, noi lo riempiamo assai -abbondantemente, poichè dal grembo della nostra nuova poetica, ecco che -noi facciamo uscire la formula di una Vita e di una Umanità superiore! -— Per tal modo, noi vedemmo nuovamente avverarsi l’antica massima che -spesso gli uomini, proprio per dove peccarono, vengono castigati..... - - ENRICO PANZACCHI. - - - - -CHE COSA È L’ARTE? - - - - -INTRODUZIONE. - - -Prendete in mano un giornale qualunque; ci troverete senza fallo -una o due colonne dedicate al teatro e alla musica. Due volte su -tre ci troverete pure la rassegna di qualche esposizione d’arte, -la descrizione di qualche quadro, di qualche statua, e per giunta -l’analisi dei romanzi, dei racconti, dei versi usciti di fresco. - -Il vostro giornale, con uno zelo ammirevole e con gran copia di -particolari, vi esporrà come questa o quest’altra attrice abbia -sostenuto la sua parte in una determinata produzione; e così potrete -comprendere di botto anche il valore del lavoro, sia dramma, sia -commedia od opera, e l’importanza dell’esecuzione. Sarete informati a -dovere anche dei concerti; saprete quali pezzi certi artisti abbiano -sonati o cantati, e in che modo. D’altro lato in tutte le grandi città -siete sicuri di trovare, se non due o tre, almeno una esposizione -di quadri, che coi loro meriti e coi loro difetti offrono ai critici -d’arte argomento di studi minuziosi. Quanto ai romanzi e alle poesie, -non passa giorno che non ne sbocci una fioritura, e i giornali si -credono in dovere di presentarne un’analisi accurata ai loro lettori. - -In Russia, dove per l’educazione del popolo, a dir molto, si spende la -centesima parte di quello che si dovrebbe, il governo sorregge l’arte -dispensando milioni di rubli sotto forma di sovvenzioni ai teatri, alle -accademie, ai conservatorj. In Francia l’arte costa allo Stato venti -milioni di lire; e altrettanto costerà in Germania e in Inghilterra. - -In tutte le città grandi sorgono edifizi colossali destinati ai musei, -alle accademie, ai conservatorj, alle sale di teatro e di concerto. -Migliaia e migliaia d’operai — carpentieri, muratori, pittori, -falegnami, tappezzieri, sarti, parrucchieri, gioiellieri, stampatori -— s’affaticano per tutta la vita in lavori molesti per soddisfare il -pubblico assetato d’arte, talchè si può dire, che, eccettuate le armi, -nessun altro ramo dell’operosità umana assorbisca un contingente così -largo della forza nazionale. - -E passi per il lavoro che si consuma a soddisfare codeste esigenze -artistiche; il peggio si è che vi si sacrificano giornalmente -innumerevoli vite d’uomini. Si contano a centinaia di migliaia le -persone che sin dall’infanzia non fanno se non apprendere a sgambettare -con agilità, a toccare rapidamente i tasti d’un pianoforte o le -corde d’un violino, a riprodurre col pennello l’aspetto e il colore -del mondo sensibile, a storpiare l’ordine naturale delle frasi, e -ad accoppiare le parole nella rima. E tutti costoro, mentre sono di -spesso onesti e di buon ingegno e naturalmente atti a mille occupazioni -utili, s’abbrutiscono nelle angustie di quella loro professione -speciale; diventano, come si suol dire, specialisti, cioè creature -di mente ristretta, e piene di vanità, che ignorano tutte le serie -manifestazioni della vita, e non sanno più fare altro se non muovere -con rapidità le gambe, le dita e la lingua. - - -Ma la peggiore conseguenza della nostra civiltà artistica non consiste -in codesta depressione della vita umana. Mi rammento d’aver un giorno -assistito alla prova d’un’opera in musica, d’una di quelle opere nuove, -grossolane e volgari, che s’allestiscono a gara su tutti i teatri -d’Europa e d’America, salvo poi a seppellirle al più presto e per -sempre nella dimenticanza più perfetta. - -Giunsi al teatro che era appena cominciato il primo atto. Per -arrivare al mio posto dovetti passare dietro il palcoscenico. Per -certi corridoi oscuri fui introdotto dapprima in un vano spazioso, -dove si trovavano delle macchine destinate ai cambiamenti di scena -e all’illuminazione. Colà, al buio e tra la polvere, avvertii degli -operai che lavoravano senza posa. Uno d’essi, pallido, inselvatichito, -coperto d’una guarnacca sporca, colle mani del pari sporche e incallite -dal lavoro, evidentemente un infelice affranto dalla stanchezza, -ringhioso e inacerbito, rampognava irosamente (come udii passando) -qualcuno de’ suoi compagni. Poscia per una scaletta mi si fece salire -nello spazio angusto che girava intorno alle quinte. Attraverso a un -garbuglio di corde, d’anelli, di tavole, di tende e di tela dipinta, -vidi formicolare intorno a me delle decine, fors’anco delle centinaia -d’uomini pitturati e truccati in vesti bizzarre, senza contar le donne, -naturalmente vestite il meno possibile. Tutta quella folla erano i -cantanti, i coristi, i ballerini e le ballerine, che aspettavano -d’esser chiamati. Finalmente la mia guida mi fece traversare il -palcoscenico, e giunsi al posto riservato per me, passando sopra un -ponte di tavole gettato sopra l’orchestra, dove osservai una grossa -schiera di sonatori seduti presso i loro strumenti, di violinisti, di -flautisti, di arpisti, di cembalisti, e chi più n’ha più ne metta. - -Su di un palchetto situato in mezzo a loro, tra due lampade a -riflettori, con un leggìo dinnanzi, se ne stava seduto colla sua -bacchetta in mano il direttore d’orchestra, dirigendo non solo i -sonatori, ma eziandio i cantanti che erano sulla scena. - -E appunto sulla scena vidi un corteo d’Indiani che avevano accompagnato -una sposa. Era un nugolo d’uomini e di donne in foggie esotiche; -ma notai pure due persone in abito ordinario che s’arrapinavano e -correvano da una parte all’altra del palcoscenico. Uno era il direttore -della parte drammatica, vale a dire il direttore di scena; e l’altro, -il quale, calzato di scarpette, volava qua e là con una prestezza -maravigliosa, era il direttore di ballo. Seppi dipoi che costui in un -mese guadagnava di più che non dieci operai in un anno. - -Godesti tre direttori s’ingegnavano di ordinare il buon andamento della -sfilata, che, secondo il solito, si faceva a due a due. Una quantità -di persone, recando sulle spalle delle alabarde coperte di stagnola, -si spiccava a un tratto, faceva parecchi giri sul palcoscenico, e -si fermava di nuovo. E ce ne volle a regolar bene la processione; -la prima volta gl’Indiani e le alabarde si mossero troppo tardi, -la seconda troppo presto, la terza partirono al momento giusto, ma -confusero le file per istrada; un’altra volta non seppero fermarsi al -punto prefisso; e in ciascuno di questi casi si riprendeva da capo -tutta la cerimonia. Il principio era costituito da un recitativo, -nel quale un personaggio camuffato da turco, sgangherando la bocca -in modo singolare, cantava “Accompagno la spo-o-sa!„ Cantava così, -e gesticolava colle braccia, naturalmente nude. Poi s’avviava la -sfilata; ma eccoti un cornetto dell’orchestra a sgarrare una nota; -e il direttore d’orchestra a fremere come se rovinasse il mondo, e a -martellare sul leggìo colla bacchetta. S’arrestò di nuovo ogni cosa, e -il direttore volgendosi verso i sonatori, se la pigliò col cornetto, -rimproverandolo per la nota stonata con certe villanie come non ne -usano bisticciandosi tra di loro nemmeno i fiaccherai. E si ritornò da -capo: gl’Indiani e le loro alabarde si rimisero in moto; il cantante -riaprì la bocca sbraitando “Accompagno la spo-o-sa„. Ma questa volta le -coppie procedevano troppo serrate. - -Altri colpi di bacchetta sul leggìo, altra ripresa della scena. Gli -eroi avanzavano colle alabarde alcuni tristi e seri in viso, altri -sorridendo e chiacchierando. Eccoli che si fermano in cerchio, e -cominciano a cantare. Ma la bacchetta riprende a picchiare sul leggìo; -e il direttore di scena con accento disperato e furibondo, colma -d’insolenze i miseri Indiani. - -I poveracci, a quanto pareva, s’erano scordati di alzar le braccia -di tempo in tempo in segno d’entusiasmo. “Siete infrolliti, brutte -marmotte, siete di legno, che ve ne restate così impalati?„ E più e -più volte vidi ricominciare il corteo, intesi i colpi secchi della -bacchetta, e il torrente d’ingiurie che teneva loro dietro, “asini, -stupidi, idioti, porci,„ più di quaranta volte questi bei titoli -saranno stati ripetuti all’indirizzo dei coristi e dei sonatori. -Costoro, depressi moralmente e fisicamente, accettavano quegl’insulti -senza la menoma protesta. E i due direttori d’orchestra e di scena, -sapevano benissimo che quei disgraziati oramai erano troppo abbrutiti -per poter far altro che soffiare in una tromba, o camminare colle -scarpette gialle e colle alabarde di stagno; li sapevano avvezzi a una -vita comoda e larga, pronti a soffrir tutto pur di non rinunziare ai -loro agi, e perciò non si facevano scrupolo di dar la stura alla loro -grossolanità naturale, senza dire che avevano osservato a Vienna e -a Parigi lo stesso costume, e così s’imaginavano di seguire le buone -tradizioni dei grandi teatri. - -Sul serio non credo che al mondo si possa trovare uno spettacolo più -ripugnante. Ho veduto parecchie volte un lavorante insultarne un altro -perchè piegava sotto il peso d’un carico, o, durante la falciatura, -il capo del villaggio rampognare un contadino per qualche svarione, -e gli uomini così bistrattati sottomettersi in silenzio; ma per -quanto siffatte scene mi tornassero spiacevoli, la mia ripugnanza -era attenuata dal pensiero che in quei casi si trattava di lavori -importanti e necessari, nei quali il più piccolo fallo poteva dar luogo -a tristi conseguenze. - -Là invece, in quel teatro, che si faceva? Per che cosa e per chi -si lavorava? Capivo perfettamente che il direttore d’orchestra non -ne poteva più, come quell’operaio che avevo incontrato dietro il -palcoscenico; ma a benefizio di chi s’era egli ridotto in quello -stato? L’opera, di cui si faceva la prova, era, come ho detto, tra le -più volgari; adesso aggiungerò che in assurdità sorpassava quel che -di peggio si può imaginare. Un re indiano aveva il ruzzo di prender -moglie; gli si conduceva una sposa; il re si travestiva da menestrello; -la sposa s’invaghiva del menestrello, e se ne disperava, ma poi si -veniva a scoprire che il menestrello e il re suo fidanzato erano una -persona sola; e tutti cominciavano a delirare dalla gioia. Indiani di -codesta sorta non ve n’ebbero mai, nè ce ne saranno mai. Ed era certo -del pari che i loro fatti e le loro parole non solo non avevan nulla -da fare coi costumi dell’India, ma nemmeno con alcun costume d’uomini, -salvo che quelli delle opere. Infatti grazie al cielo gli uomini reali -non parlano in recitativi, nè volendo esprimere la loro commozione, -si collocano a distanze regolari agitando le braccia in cadenza; non -camminano mai a due a due, in babbuccie, con alabarde di stagnola, -nessuno nella vita s’adira o si dispera, ride o piange, come si -vedeva fare in quella rappresentazione. E che nessuno mai abbia potuto -commoversi per una produzione di quel genere, anche questo era fuori -d’ogni dubbio. - -Quindi era naturale chiedersi: a chi poteva giovare tutta quella -faccenda? A chi poteva piacere? Se in quell’opera ci fosse stata per -miracolo della musica graziosa, non bastava eseguire la musica sola, -senza tutti quei vestiti grotteschi, quelle processioni, quel dimenar -le braccia? Perchè tutti i giorni, in tutte le città, da un capo -all’altro del mondo civile, si ripetono codeste sciocchezze? - -C’è anche il ballo, il quale non è che una esposizione di donne -seminude che eseguiscono movimenti voluttuosi, allacciandosi in pose -sensuali, spettacolo che provoca non altro che sensazioni di lussuria. - -Ancora una volta, chi questi divertimenti possono interessare? Le -persone colte è forza che ne siano stomacate; l’operaio è forza che non -ne capisca nulla. Potrà compiacersene al più qualche giovine lacchè, -qualche operaio pervertito, che abbia contratto i bisogni delle classi -superiori senza potersi sollevare al loro buon gusto naturale. - - -Eppure ci si dice che tutte queste cose si fanno a benefizio dell’arte, -e che l’arte importa moltissimo. Ma sarà vero che l’arte abbia tanta -importanza da richiedere siffatti sacrifizi? Codesta questione si fa -tanto più incalzante in quanto il concetto di codesta arte, a cui si -sacrificano il lavoro di migliaia d’uomini, migliaia di esistenze, e -sopratutto l’amore reciproco dell’umanità, va diventando sempre più -vago e indeterminato. - -Infatti i critici, ai quali si solevano appellare gli amatori dell’arte -per trovar appoggio alle loro opinioni, in questi ultimi tempi hanno -preso a contendere così fortemente tra di loro che, se dal dominio -dell’arte escludiamo quanto ne hanno escluso le diverse scuole, in -codesto vantato dominio non resta pressochè più nulla. Le scuole degli -artisti, come le scuole dei teologi, s’escludono e si rinnegano a -vicenda. Studiateli e vedrete che non fanno se non combattere le sétte -rivali. Nella poesia, ad esempio, i vecchi romantici sconfessano i -parnassiani e i decadenti; i parnassiani sconfessano i romantici e i -decadenti; i decadenti sconfessano tutti i predecessori, e per giunta -i simbolisti; i simbolisti sconfessano tutti i predecessori, e per -giunta i magi, e questi sconfessano semplicemente tutti gli altri. Tra -i romanzieri si parla di naturalisti, di psicologi, di _naturisti_, -e tutti pretendono di meritar essi soli il nome d’artisti. Lo stesso -accade nella drammatica, nella pittura, nella musica. Pertanto codesta -arte, che richiede tanta fatica, che abbrutisce molte esistenze, che -costringe la gente a peccare contro l’amor del prossimo, non solo non è -cosa definita chiaramente e nettamente, ma persino i suoi fidi, i suoi -iniziati la intendono in tante e così diverse maniere che oramai quasi -non si sa più che si voglia dire colla parola “arte„, e in particolare, -quale sia l’arte buona, utile, preziosa, l’arte che merita le siano -offerti in omaggio tali e tanti sacrifizi. - - - - -CAPITOLO PRIMO. - -Il problema dell’arte. - - -Per produrre il menomo ballo, opera seria o buffa, quadro, sonata -o romanzo, migliaia di persone sono costrette ad un lavoro spesso -umiliante e penoso. Il male non sarebbe tanto grande se gli artisti -compiessero essi stessi la somma di lavoro richiesta dalle loro opere; -mentre invece occorre loro la prestazione d’innumerevoli operai. La -quale prestazione essi ottengono in uno od altro modo, ora sotto forma -di contribuzione offerta dai ricchi, ora di sovvenzione dello Stato; e -in quest’ultimo caso il denaro proviene dal popolo, costretto in gran -parte a privarsi del bisognevole per pagare i balzelli, senza potere -poi partecipare ai godimenti dell’arte. Il fatto parrebbe naturale, -trattandosi d’un artista greco o romano, oppur anche d’un artista -russo della prima metà del nostro secolo, quando cioè v’erano ancora -degli schiavi; poichè costoro potevano credersi in diritto di farsi -servire dal popolo. Ma ora che tutti gli uomini hanno, se non altro, -un vago sentore dell’uguaglianza nei diritti, non si può più ammettere -che il popolo lavori a contraggenio per vantaggio dell’arte, se prima -non si riesca a mettere in sodo fino a qual segno l’arte sia utile e -importante, sì da compensare largamente i mali di cui è cagione. - -Quindi in una società cultrice delle arti fa d’uopo ricercare se si -possa veramente chiamare arte tutto ciò che si crede esser tale, e -se, giusta il presupposto che vige nella nostra società, tutto ciò -che rientra nell’arte sia buono per questo solo fatto, e degno dei -sacrifizi che per essa si richiedono. Del resto codesta questione -deve premere anche agli artisti, trattandosi per loro di sapere se -ciò che fanno abbia veramente tutta l’importanza che si crede, e se -non rimangono nella falsa convinzione di lavorare utilmente solo -per i pregiudizi della chiesuola in cui vivono, e se d’altro lato -quanto prendono agli altri per i bisogni dell’arte e della loro vita -individuale, trovi qualche compenso nel valore dei loro prodotti. -Che cos’è adunque l’arte, questa entità ritenuta così preziosa e -indispensabile per il genere umano? - -“Bella domanda! L’arte è l’architettura, la scultura, la pittura, la -musica, e la poesia in tutte le loro forme.„ - -Così risponderanno senza dubbio i profani, gli amatori d’arte, e gli -artisti stessi, tutti ben persuasi che l’oggetto della loro risposta -sia chiarissimo e inteso da tutti a un modo. E allora noi domanderemo; -rispetto all’architettura, ci sono o non ci sono degli edifizi, che -non contano come opere d’arte, ed altri ancora, che con tutte le loro -pretensioni artistiche, sono brutti e sgradevoli a vedersi, e perciò -non si possono considerare come opere artistiche? E non si può dire lo -stesso della scultura, della musica, della poesia? In tal caso in che -cosa risiede la nota caratteristica d’un’opera d’arte? L’arte in tutte -le sue forme da una parte è limitata dall’utilità pratica, dall’altra -dal brutto, dall’incapacità a produrre l’arte. Ma come la potremo -distinguere da questi due termini che la limitano? Per quest’altro -quesito le semplici persone cosidette colte, e l’artista medesimo, -supposto che non sia infarinato d’estetica, crederanno d’aver pronta -la risposta, e che sia già trovata da un pezzo, e ovvia ad ognuno. -“L’arte, vi diranno, è l’attività che produce il bello„. - -Ma se l’arte, chiederete, consiste in questo, un ballo, oppure -un’operetta saranno prodotti artistici? E le persone colte e l’artista -torneranno a rispondervi, sebbene con qualche esitazione: “Sì, un buon -ballo, una graziosa operetta, in quanto siano una manifestazione del -bello appartengono all’arte„. - -Se vorrete poi sapere dai vostri interlocutori in che cosa si -distinguono dai loro contrari un buon ballo, una graziosa operetta, non -troveranno facilmente la risposta. E a chi domandasse loro, se l’opera -dei disegnatori di costumi e dei parrucchieri, così importanti per i -balli e per le operette, quella dei sarti, dei profumieri, dei cuochi -sia da considerare come opera d’arte, probabilmente risponderebbero -di no. Ma qui s’ingannerebbero, appunto perchè sono della gente -solita, e non specialisti, non esperti nelle questioni estetiche. Se -avessero messo il naso in tali questioni avrebbero letto, per esempio, -nell’opera del grande Renan, _Marc Aurèle_, una dissertazione che prova -l’opera del sarto essere un’opera d’arte, e che coloro i quali non -ritengono le acconciature femminili essere la più alta manifestazione -artistica, sono esseri inintelligenti e spiriti volgari. “Quella è -la grande arte„ afferma il Renan. I vostri interlocutori dovrebbero -puranco sapere che nella maggior parte dei moderni sistemi estetici gli -abiti, i profumi, la gastronomia sono considerate come arti speciali. -Così particolarmente la pensa il dotto professore Kralik, nella sua -_Beauté Universelle, essai d’une esthétique générale_; tale è il parere -del Guyau nei suoi _Problèmes de l’esthétique contemporaine_. - -“Esiste, dice il Kralik, un pentacolo delle arti fondato sui cinque -sensi dell’uomo„; e perciò distingue le arti che si riferiscono al -gusto, all’odorato, al tatto, all’udito, alla vista. - -Della prima di codeste arti egli discorre così: “Ci siamo troppo -avvezzi a non voler riconoscere se non per due o tre sensi il -privilegio di fornire il materiale all’arte. Ma non si vorrà negare -che, quando l’opera del cuoco riesce a trasformare per l’uomo il -cadavere d’un animale in una fonte di svariati piaceri, ci troviamo -dinanzi a una vera produzione estetica„. - -La stessa opinione ricorre nell’opera citata del francese Guyau che -molti tra gli scrittori più recenti onorano d’una stima eccezionale. -Esso parla con tutta serietà del tatto, del gusto, e dell’olfatto, come -di sensi idonei a somministrarci delle impressioni estetiche. “Se il -tatto, egli dice, è estraneo alla sensazione del colore, ci fornisce in -cambio una nozione, a cui non basta l’occhio di per sè stesso, e che -non è di piccola importanza estetica, la nozione cioè del fino, del -morbido, del liscio. La bellezza del velluto riceve la sua impronta, -oltrechè dal suo aspetto brillante, anche dalla sua morbidezza. Nel -concetto che ci formiamo della bellezza femminile entra come elemento -essenziale anche la finezza della pelle. Tutti probabilmente, a -pensarci alquanto, ricorderanno soddisfazioni tali del palato da -potersi chiamare veri godimenti estetici„. E qui l’autore, in via -d’esempio, racconta d’una tazza di latte bevuta in montagna, che gli -procurò un vero godimento estetico. - -Da tutto ciò si ricava che il concetto dell’arte considerata come la -manifestazione del bello, non è tanto semplice quanto si crederebbe -a prima vista. Ma la gente solita o ignora codeste questioni, o vi si -ribella, e persiste nella persuasione che tutti i problemi concernenti -l’arte si risolvano nettamente col riconoscere che la bellezza è -l’oggetto dell’arte. - -Trova cosa pienamente intelligibile e lampante, che la funzione -dell’arte sia quella di manifestare la bellezza. La bellezza le pare -sufficiente a risolvere tutte le questioni relative all’arte. - - -Ma che cos’è poi codesto bello che è oggetto dell’arte? Come lo si può -definire? In che cosa consiste? - -Secondo il solito, quanto più le idee che una parola ci suggerisce -riescono nebulose e confuse, la parola stessa è adoperata con tanta -maggiore sicumera, e si sostiene che il senso ne è troppo semplice -e troppo chiaro, perchè valga la pena di determinarlo meglio. È la -solita magagna delle questioni religiose; e si riscontra altresì in -codesto concetto della bellezza. Si crede accordato che tutti sappiano -e intendano il significato della parola _bellezza_. Ora la verità è -questa; non solo è falso che tutti lo intendano, ma per di più, sebbene -negli ultimi centocinquant’anni (dopochè Baumgarten ebbe fondato -l’estetica nel 1750) dal pensatori più dotti e più profondi si siano -scritti monti di libri intorno a questo argomento, resta pur sempre -insoluto il quesito che verte intorno all’essenza del bello, e ogni -nuova trattazione d’estetica vi risponde in modo diverso. Una delle -ultime scritture lette da me in proposito è un libriccino tedesco di -Giulio Mithalter, intitolato _l’Enigma del bello_. E codesto titolo -esprime egregiamente la vera posizione del problema. Dopo che migliaia -di dotti si sono scervellati per centocinquant’anni intorno al senso -della parola _bellezza_, codesto senso rimane sempre enigmatico. -I tedeschi lo definiscono a loro modo in cento guise differenti. -La scuola fisiologica a cui appartengono gl’inglesi Spencer, Grant -Allen e altri, risponde a suo modo; lo stesso vale per gli eclettici -francesi, e il Taine, e il Guyau, e i loro successori; e tutti costoro -trovano, esaminandole, insufficienti tutte le definizioni già date dal -Baumgarten, dal Kant, dallo Schiller, dal Fichte, dal Winckelmann, dal -Lessing, dall’Hegel, dallo Schopenauer, dall’Hartmann, dal Cousin, e da -mille altri. - -Ora, che sarà mai codesta singolare nozione del bello, che sembra tanto -ovvia a quelli che ne parlano a caso, ma da centocinquant’anni a questa -parte è refrattaria a tutte le definizioni; la qual cosa tuttavia non -trattiene gli estetici dal fondare su quella nozione tutte le loro -dottrine intorno all’arte? - -Nel nostro russo, la parola _krasota_ (bellezza) significa -semplicemente ciò che piace alla vista. E sebbene da qualche tempo ci -si parli anche in russo d’una “brutta azione„ o d’una “bella musica,„ -si offende con quelle frasi la proprietà della nostra lingua. Un -popolano russo, ignaro delle lingue straniere, se gli direte che un -uomo, che regala tutto il suo, ha fatto una “bella„ azione, oppure -che una certa canzone costituisce della “bella„ musica, non vi capirà -affatto. Nella lingua russa un’azione può essere buona e caritatevole, -oppur malvagia e cattiva. La musica può essere gradevole e buona, -oppure spiacevole e cattiva. Ma i russi non sanno che cosa sia una -“bella„ azione o una “bella„ musica. L’aggettivo “bello„ può solo -riferirsi a un uomo, a un cavallo, a una casa, a un luogo, a un moto. -Quindi la parola e la nozione del “buono„ per noi, in un certo ordine -di cose, implicano la nozione del “bello„ mentre quest’ultima nozione -non implica necessariamente il concetto del “buono„. Allorchè d’un -oggetto tenuto in pregio per la sua apparenza visibile diciamo che -è “buono,„ intendiamo dire che quest’oggetto è “bello„: se invece lo -affermiamo “bello,„ non ne deriva di necessità che lo crediamo “buono„. - -Nelle altre lingue d’Europa, appartenenti cioè alle nazioni tra le -quali prese piede la dottrina che considera la bellezza come la cosa -essenziale in arte, le parole “beau„, “schön,„ “beautiful,„ “bello„ -ecc., pur conservando il loro senso originario, vennero altresì a -esprimere la bontà, potendo così sostituire la parola “buono„. Oramai -in siffatte lingue sono correnti e naturali le espressioni di questo -genere; “bell’anima„, “bel pensiero„, “bell’azione„. Siffatte lingue -sono giunte al segno di non posseder più alcun vocabolo proprio per -designare la bellezza della forma; quindi a quell’uopo ricorrono a -combinazioni di parole, quali sarebbero “beau de forme,„ “beau à voir„, -ecc. - -Ma, dunque, che cos’è precisamente codesta “bellezza„, che muta senso a -seconda dei popoli e dei tempi? - - -Per rispondere a questa domanda, per determinare che cosa intendano -oggidì per “bellezza„ le nazioni Europee, dovrò addurre almeno un -piccolo saggio delle definizioni più largamente accettate nei sistemi -estetici moderni. Ma innanzi tratto mi fa d’uopo scongiurare il lettore -di non infastidirsi troppo della noia che risulterà dalle citazioni, e -di rassegnarsi a leggerle, o, meglio, a leggere alcuno degli autori, -dei quali andrò citando i passi opportuni. Per non discorrere che -di opere semplici e spicciative, si prendano, per esempio, il libro -tedesco del Kralik, quello inglese del Knight, o quello francese -del Lévêque. È indispensabile aver letto un trattato d’estetica per -formarsi un concetto della divergenza d’opinioni e dell’oscurità -spaventosa tuttora dominante in questo ramo del sapere filosofico. - -Eccovi per esempio che cosa dice l’estetico tedesco Schasler -nella prefazione della sua celebre, voluminosa, e minuziosa opera -sull’estetica: “In nessun’altra parte del dominio filosofico la -divergenza d’idee è grande quanto è nell’estetica. Nè in alcun’altra -disciplina filosofica si trova maggior copia di vana fraseologia, di -parole vuote di senso, o mal determinate, un’erudizione più pedantesca, -e a un tempo più superficiale„. E in realtà basta leggere l’opera dello -Schasler medesimo per intendere quanto sia giusta la sua osservazione. - -Sul medesimo argomento il francese Véron, nella prefazione del suo -libro notevole intorno all’estetica, scrive: “Non c’è scienza, la -quale sia stata abbandonata alle fantasticherie dei metafisici più -dell’estetica. Da Platone sino alle dottrine ufficiali dei nostri -giorni, si è fatto dell’arte non so qual miscela di fantasie sublimate -e di misteri trascendentali, che trovano la loro suprema espressione -nel concetto assoluto del bello ideale, prototipo immutabile e divino -delle cose reali„. - -Voglia compiacersi il lettore di scorrere le poche definizioni della -bellezza, che seguono, e sono tolte solo agli estetici di gran fama; e -potrà giudicare da sè quanto sia giustificata questa critica del Véron. - -Non citerò, come per lo più fanno tutti, le definizioni del bello -attribuite agli autori antichi, Socrate, Platone, Aristotele, e gli -altri sino a Plotino, poichè realmente, come dirò più tardi, gli -antichi avevano dell’arte un concetto affatto diverso da quello che -è il fondamento e l’oggetto dell’estetica moderna. Ravvicinando alla -nostra presente concezione del bello i giudizi che essi ne facevano, -s’attribuisce alle loro parole un significato del tutto alieno da esse. - - - - -CAPITOLO II. - -La bellezza. - - -Cominciamo dal fondatore dell’estetica, da Baumgarten (1714-1762). - -A suo parere, la conoscenza logica ha per oggetto la _verità_, e la -conoscenza estetica, vale a dire che tocca i sensi, ha per oggetto la -_bellezza_. La _bellezza_ è il perfetto, o l’assoluto riconosciuto dai -sensi; la _verità_ è il perfetto percepito dalla ragione. E la _bontà_ -dal suo canto è il perfetto raggiunto dalla volontà morale. - -Il Baumgarten definisce la bellezza come una “armonia„ cioè un ordine -tra certe parti, nelle loro mutue relazioni e nel loro rapporto col -tutto. Il fine poi della bellezza è quello “di piacere e d’eccitare -un desiderio„. Tra parentesi, abbiamo qui esattamente l’opposto della -definizione kantiana. - -Quanto alle manifestazioni del bello, l’autore in questione crede che -la suprema incarnazione del bello si trovi nella natura, e che perciò -l’ideale dell’arte consista nel copiare la natura; altra sentenza -questa che fa a pugni colle opinioni degli estetici successivi. - -Ci sia concesso lasciar da parte gl’immediati successori del -Baumgarten, cioè il Maier, l’Eschenburg e l’Eberhard, che solo -ritoccarono leggermente la dottrina del maestro, distinguendo dal -bello il gradevole. Ma non dobbiamo tacere le definizioni dovute ad -altri contemporanei del Baumgarten, per esempio allo Sulzer, a Mosè -Mendelssohn, al Moritz, che contraddicono apertamente alle dottrine di -quello, considerando come oggetto dell’arte la bontà, non la bellezza. -Secondo il Sulzer (1720-1779) non si può ritenere per bello se non ciò -che partecipi in qualche modo del buono; quindi la bellezza è ciò che -desta e svolge il sentimento morale. Mendelssohn (1729-1786) ravvisa -nella perfezione morale il solo scopo dell’arte. Codesti estetici -distruggono totalmente la distinzione che il Baumgarten stabiliva -tra le tre forme del perfetto, cioè il vero, il bello e il buono; e -rannodano il bello al vero e al buono. - -Codesto concetto non solo non è conservato dagli estetici del periodo -seguente, ma è anche contraddetto nella sua sostanza dai famoso -Winckelmann (1717-1768), che disgiunge la funzione dell’arte da -ogni fine di moralità, e attribuisce all’arte come suo oggetto la -bellezza esteriore, ristretta alla sola bellezza visibile. Secondo il -Winckelmann la bellezza è di tre sorta: 1.º la bellezza della forma; -2.º la bellezza dell’idea, che risulta dall’atteggiamento delle figure; -3.º la bellezza dell’espressione che scaturisce dalla fusione delle -altre due. La bellezza dell’espressione è il fine supremo dell’arte, -e si trova effettuata nell’arte antica; perciò l’arte moderna deve -tendere ad imitare l’antica. - -Analogo concetto della bellezza si mostra nel Lessing, nell’Herder, -nel Goethe e nei più degli altri estetici tedeschi, finchè non venne il -Kant ad abbatterlo sostituendovene un altro affatto diverso. - - -Nel medesimo periodo in Inghilterra, in Francia, in Italia e in Olanda -sorge uno sciame di teorie estetiche, le quali, benchè indipendenti -dalle tedesche, stanno loro a paro per l’oscurità e la confusione. - -A detta dello Shaftesbury (1690-1713); “ciò che è bello, è armonico e -ben proporzionato; ciò che è armonico e ben proporzionato è vero; e ciò -che è a un tempo bello e vero, è necessariamente gradevole e buono„. -Dio è il fondamento d’ogni bellezza; la bellezza e la bontà procedono -da lui. Così per codesto inglese la bellezza si distingue dalla bontà, -e pur tuttavia si confonde con essa. - -Secondo l’Hutcheson (1694-1747) l’oggetto dell’arte è la bellezza, -l’essenza della quale sta nell’evocare in noi la percezione -dell’uniformità nella varietà. Noi possediamo “un senso„ interno che -ci permette di riconoscere che cosa sia l’arte, ma può tuttavia essere -in contraddizione col senso estetico. Per dippiù, secondo l’idea -dell’Hutcheson la bellezza non corrisponde sempre alla bontà, ma se ne -distingue, e in certi casi le è contraria. - -Secondo l’Home (1696-1782) la bellezza è ciò che piace. Non c’è per -essa altra determinazione che il godimento. L’ideale del godimento -sta in questo che il massimo di ricchezza, di pienezza, di forza e di -varietà d’impressioni si trovi condensato entro i limiti più ristretti. -Codesto è pure l’ideale d’una perfetta opera d’arte. - -Secondo il Burke (1729-1797) il sublime e il bello, che sono gli -oggetti dell’arte, trovano la loro origine nel nostro istinto di -conservazione e nell’istinto di socievolezza. La difesa dell’individuo -e la guerra, che ne scaturisce, sono le fonti del sublime; la -socievolezza e l’istinto sessuale che ne deriva, sono la fonte del -bello. - -Se i pensatori inglesi nelle loro definizioni del bello e dell’arte si -contraddicevano a vicenda, nemmeno gli estetici francesi riuscivano -ad accordarsi meglio. Secondo il padre André (_Essai sur le Beau_, -1741) ci sono tre specie di bellezza: la bellezza divina, la bellezza -naturale e la bellezza artificiale. Secondo Batteaux (1713-1780), -l’arte consiste nell’imitare la bellezza della natura, e il suo scopo -dev’essere di piacere. Questa a un dipresso è pure la definizione del -Diderot. - -Il Voltaire e il D’Alembert pensano che le sole leggi del buon gusto -possano decidere del bello; ma che alla loro volta codeste leggi -sfuggano a ogni definizione. - -Secondo il Pagano, fiorito in Italia nel medesimo periodo, l’arte -consisterebbe nel raccogliere in uno le bellezze disseminate nella -natura. L’attitudine a percepire codeste bellezze costituisce il buon -gusto, la facoltà di raccoglierle in un tutto s’identifica coll’ingegno -artistico. La bellezza, per lui, si confonde colla bontà; la bellezza è -la bontà resa visibile, e la bontà è la bellezza resa interiore. - -Secondo altri italiani, ad esempio il Muratori (1672-1750) e lo -Spaletti (Saggio sopra la Bellezza, 1765), l’arte va ricondotta a una -sensazione egoistica fondata sul nostro istinto di conservazione e di -socievolezza. - -Degli estetici Olandesi il più notevole è Hemsterhuis (1720-1790) il -quale influì realmente sugli estetici tedeschi, sul Goethe medesimo. -Per lui la bellezza è ciò che procura il maggior piacere, e desta in -noi il massimo numero d’idee nella minima durata di tempo. Quindi a suo -parere il godimento del bello è il più alto di tutto, come quello che -ci procura nel più piccolo spazio di tempo la più grande quantità di -percezioni. - - -Tali erano all’incirca in Europa, le principali dottrine estetiche, -allorchè sorse quella del Kant (1724-1804) che rimase poi, come -sappiamo, tra le più celebrate. - -La teoria estetica del Kant si può riassumere nel modo seguente: — -L’uomo ha la conoscenza della natura esteriore e ad un tempo di sè -stesso entro la natura. Nella natura esso cerca il vero; in sè stesso -cerca la bontà. La prima ricerca risguarda la _ragione pura_, la -seconda la _ragione pratica_. Ma oltre a quei due mezzi di percezione -havvi ancora la capacità di giudicare, atta a produrre dei “giudizi -senza concetti, e dei piaceri senza desideri„. Codesta capacità è la -base del sentimento estetico. - -Secondo il Kant la bellezza considerata soggettivamente è quello che -piace in modo generale e necessario, senza concetto alcuno (Begriff) -e senza utilità pratica. Oggettivamente considerata, la bellezza è la -forma d’un oggetto piacente, in quanto ci piaccia senza alcun riguardo -alla sua utilità. - -Definizioni della bellezza poco diverse da questa del Kant furono -date dai suoi successori, tra i quali meritano menzione lo Schiller -(1759-1805) e Guglielmo di Humboldt. - -Oltre ai filosofi di second’ordine, dopo il Kant s’occuparono -d’estetica anche il Fichte, lo Schelling, l’Hegel, e i loro discepoli. -Il Fichte (1762-1814) sostiene che il mondo per noi ha due aspetti, -costituiti per una parte dalla somma delle nostre limitazioni, per -l’altra da quella della nostra libera attività ideale. Sotto il primo -aspetto ogni cosa è sfigurata, rimpicciolita, mutilata, e scorgiamo -così la bruttezza; sotto l’altro aspetto percepiamo gli oggetti nella -loro pienezza, nella loro vita intima, vale a dire ravvisiamo la -bellezza. Perciò la bellezza e la bruttezza delle cose dipendono dal -punto di vista di chi le osserva, e la bellezza non ha radice nel -mondo, ma nell’“anima bella„. L’arte è la manifestazione di siffatta -“anima bella„, e ha per fine l’educazione della mente, del cuore, -anzi dell’uomo intiero. Per la qual cosa i caratteri della bellezza -non risiedono nelle cose o sensazioni esteriori, ma nella presenza di -un’anima bella, nell’artista. - -Senza diffonderci intorno alle teorie di Federico Schlegel (1772-1829) -e di Adamo Müller (1779-1829) tocchiamo di quella celebre dello -Schelling (1775-1854). Secondo questo filosofo l’arte defluisce da -una concezione delle cose nella quale il soggetto diventa oggetto -a sè stesso, e l’oggetto diventa per sè soggetto. La bellezza è la -percezione dell’infinito nel finito. L’arte è l’unione del soggettivo -e dell’oggettivo, della natura e della ragione, del cosciente e -dell’incosciente. E la bellezza del pari è la contemplazione delle -cose in sè, quali cioè esistono nei loro prototipi. La bellezza non -è prodotta dal sapere o dall’abilità dell’artista, ma dall’idea della -bellezza che lo governa. - -Dopo lo Schelling e la sua scuola, come a dire il Solger, il Krause, -ecc., viene innanzi la famosa dottrina estetica dell’Hegel, la quale, -in fondo, è pur sempre la base delle opinioni correnti intorno all’arte -e alla bellezza. Del resto nemmeno questa teoria è più chiara o più -precisa delle precedenti, chè anzi le supera in astrusità e nebulosità. -Secondo l’Hegel (1770-1831), Dio si manifesta nella natura e nell’arte -sotto la forma della bellezza. La bellezza è il riflesso dell’idea -nella materia. L’anima sola è veramente bella; ma lo spirito si palesa -a noi sotto la forma sensibile, e in questa apparenza sensibile dello -spirito risiede l’unica realtà della bellezza. Nel sistema hegeliano -bellezza e verità sono tutt’uno; poichè la bellezza non è altro che la -manifestazione sensibile della verità. - -Questa dottrina fu ripresa, svolta, arricchita di molte nuove formole -dai discepoli dell’Hegel, Weisse, Ruge, Rosenkrantz, Vischer, e -altri. Ma non si creda che l’hegeinismo avesse il monopolio delle -teorie estetiche in Germania! Al suo fianco comparivano altri sistemi -in gran numero, i quali, ben lungi dall’ammettere coll’Hegel che la -bellezza fosse il riflesso dell’idea, impugnavano quella definizione, -confutandola e deridendola. Ci contentiamo di addurre le dottrine -dell’Herbart e dello Schopenhauer. - -Secondo Herbart (1776-1841) non c’è e non può esserci bellezza -esistente di per sè stessa. Non esiste nient’altro che la nostra -opinione, e questa è fondata sulle nostre impressioni personali. -Ci sono certe relazioni che noi chiamiamo bello, e l’arte sta nello -scoprirle, tanto nella pittura, quanto nella musica e nella poesia. - -Secondo lo Schopenhauer (1788-1860) la volontà si oggettiva nel mondo -su piani diversi, ciascuno dei quali ha la sua bellezza propria, e -il più elevato è il più bello. La rinuncia alla nostra individualità, -permettendoci di contemplare codeste manifestazioni della Volontà, ci -dà una percezione della bellezza. Tutti gli uomini hanno la facoltà -di oggettivare l’idea in disegni differenti; ma il genio dell’artista -la possiede in più alto grado, e può quindi produrre una bellezza -superiore. - -Dopo questi scrittori famosi ne sorsero in Germania degli altri meno -originali e meno autorevoli, ma pur sempre accaniti a sradicare le -dottrine dei loro confratelli passati e presenti: tali sono l’Hartmann, -il Kirchmann, lo Schnasse, il fisico Helmholtz, il Bergmann, il -Jungmann, ecc. - -Secondo Hartmann (nato nel 1842) la bellezza non risiede nè nel -mondo esterno, nè nella “cosa in sè stessa„, nè nell’anima nostra, ma -nell’_apparenza_ (Schein) prodotta dall’artista. La “cosa in sè„ non è -punto bella, ma ci sembra tale quando è trasformata dall’artista. - -Secondo Schnasse (1798-1875), non c’è nel mondo bellezza perfetta; -la natura non fa che accostarvisi soltanto; l’arte ci dà quel che la -natura non può darci. - -Secondo Kirchmann (1802-1884) ci sono sei regni della storia: i regni -della scienza, della ricchezza, della morale, della fede, della -politica, e della bellezza. L’arte è l’attività che s’esercita in -quest’ultimo regno. - -Secondo Helmholtz (1821-1896) il quale non s’occupò che dell’estetica -musicale, la bellezza in musica non s’ottiene se non coll’osservazione -di certe leggi invariabili, leggi che l’artista ignora, ma a cui -obbedisce incoscientemente. - -Secondo Bergmann (_Ueber das Schöne_, 1887) è impossibile -definire oggettivamente la bellezza. Essa non si può percepire che -soggettivamente, quindi il problema dell’estetica sta nel determinare -quello che piace a ciascuno. - -Secondo Jungmann (morto nel 1885): 1.º la bellezza è una qualità -soprasensibile delle cose; 2.º il piacere artistico è prodotto in noi -dalla semplice contemplazione della bellezza; 3.º la bellezza è il -fondamento dell’amore. - - -Credete voi che mentre la Germania partoriva tante dottrine, gli -estetici di Francia ed Inghilterra scioperassero? - -In Francia, c’era Cousin (1792-1867), un eclettico che s’ispirava -alle dottrine degl’idealisti tedeschi. Secondo lui la bellezza posa -sempre sopra un fondamento morale. Diceva inoltre che la bellezza può -esser definita oggettivamente, e ch’essa è, per essenza, la varietà -nell’unità. - -Il Jouffroy, suo scolaro (1796-1842) scorgeva nella bellezza -l’invisibile reso per mezzo di segni sensibili. - -Il metafisico Ravaisson considerava la bellezza come termine e fine -supremo dell’Universo. “La beauté la plus divine et principalement la -plus parfaite contient le secret.„ E appresso: “Le monde entier est -l’œuvre d’une beauté absolue, qui n’est la cause des choses que par -l’amour qu’elle met en elles.„ - -M’astengo a bello studio dal tradurre in russo codeste espressioni -metafisiche, perchè i francesi quando prendono a imitare i tedeschi li -superano d’assai nell’arruffio delle idee eterogenee. - -Il metafisico Renouvier alla sua volta diceva: “Ne craignons pas -d’affirmer qu’une vérité qui ne serait pas belle ne serait qu’un jeu -logique de notre esprit, et que la seule vérité solide, et digne de ce -nom, c’est la beauté.„ - -Tutti questi pensatori si riferivano colle loro dottrine all’estetica -tedesca; altri loro contemporanei si sforzarono d’esser più originali, -come il Taine, il Guyau, lo Cherbuliez, il Véron, ecc. - -Secondo Taine (1828-1893) c’è la bellezza quando il carattere -essenziale d’una idea importante si manifesta più completamente che -non nella realtà. Secondo Guyau (1854-1888) la bellezza non è cosa -esteriore all’oggetto, ma è il fiore stesso dell’oggetto. L’arte è -l’espressione d’una vita ragionevole e cosciente, evocando in noi a -un tempo la più profonda consapevolezza nella nostra esistenza e i -sentimenti più elevati e i pensieri più nobili. L’arte, secondo lui, -trasporta l’uomo dalla vita individuale nella vita universale per mezzo -della comunione dei sentimenti e delle idee. - -Secondo Cherbuliez l’arte è un’attività che: 1.º soddisfa il nostro -amore innato delle apparenze; 2.º incarna in queste apparenze delle -idee; 3.º procura a un tempo godimento ai sensi, al cuore, alla -ragione. - -Presentiamo ancora, per esser completi, il parere di alcuni autori -francesi più recenti. La _Psicologia del bello e dell’arte_ scritta -da Mario Pilo[12] (1895) afferma che la bellezza è un prodotto delle -nostre impressioni fisiche. Fine dell’arte è il piacere; ma l’autore -pensa che questo piacere è di necessità eminentemente morale. Il -_Saggio sull’arte contemporanea_ di Fierens-Gevaert (1897) dice che -l’arte consiste nell’equilibrio tra la conservazione delle tradizioni -del passato, e l’espressione dell’ideale del presente. Infine il Sâr -Péladan afferma che la bellezza è una delle manifestazioni di Dio. “Non -c’è altra Realtà che Dio, non c’è altra Verità che Dio, non c’è altra -Bellezza che Dio.„ - -L’_Estetica_ di Véron (1878) si distingue dalle opere affini se non -altro per maggiore chiarezza e facilità. Senza dare una definizione -esatta dell’arte, l’autore ha il merito di sbarazzare l’estetica da -tutte le vaghe nozioni del bello assoluto. Secondo il Véron l’arte -è la manifestazione d’un’emozione estrinsecata per mezzo di qualche -combinazione di linee, di forme, di colori, o con una successione di -movimenti, di ritmi, di suoni. - - -Quanto agli Inglesi, in massima parte s’accordano in questo, che -definiscono la bellezza non per le sue qualità proprie, ma seguendo le -impressioni e i gusti individuali. Così fecero già il Reid (1704-1796), -l’Alison ed Erasmo Darwin (1731-1802). Ma le teorie dei loro successori -sono assai più notevoli. - -Secondo Carlo Darwin (1805-1882) la bellezza è un sentimento naturale, -non soltanto dell’uomo, ma eziandio degli animali. Gli uccelli adornano -i loro nidi, e tengono conto della bellezza nei rapporti sessuali. -Del resto la bellezza è la risultante di varie nozioni e di vari -sentimenti. L’origine della musica si deve rintracciare nelle chiamate -che il maschio rivolge alla femmina. - -Secondo Erberto Spencer (nato nel 1820) l’origine dell’arte dev’essere -cercata nel giuoco. Negli animali inferiori l’energia vitale è rivolta -per intiero alla conservazione della vita individuale e della specie; -nell’uomo invece, soddisfatti i primi istinti, rimane un dippiù -d’energia, che si consuma nel giuoco, e poscia è trasformata in arte. -E l’autore continua a discorrere delle varie sorgenti del piacere -estetico, cioè della facoltà d’esercitare qualche senso nella sua -maggiore interezza e col minore dispendio di forza, della massima -varietà delle sensazioni, ecc. - -Grant Allen nei suoi _Physiological Esthetics_ (1877) assegna -alla bellezza un’origine fisica. I piaceri estetici derivano dalla -contemplazione della bellezza, ma il concetto della bellezza è il -risultato di un processo fisiologico. Il bello è ciò che procura il -maximum di stimoli col minimum di spesa. - -Le varie opinioni ora addotte intorno all’arte e alla bellezza, -senza dire di quelle degl’inglesi Todhunter, Morley, Kerd, Knight, -ecc., non esauriscono di certo quanto s’è scritto intorno al nostro -argomento. Non passa giorno senza che sorgano dei nuovi estetici, nella -dottrina dei quali si trovano, invariabilmente, lo stesso vago e le -stesse contraddizioni. Alcuni per inerzia si contentano di adottare -con qualche variante l’estetica mistica dei Baumgarten e dei Hegel; -altri trasportano la questione nel campo soggettivo, riconnettendo -la bellezza al gusto; altri, gli estetici delle ultime generazioni, -ricercano l’origine della bellezza nelle leggi della fisiologia; altri -infine affrontano risoluti il problema dell’arte indipendentemente dal -concetto di bellezza. - -Così il Sully, in _Sensation and Intuition_, elimina per intero la -nozione di bellezza. Nella sua definizione l’arte non è che un prodotto -idoneo a procurare al produttore un godimento attivo, e a suscitare -un’impressione gradevole in un certo numero di spettatori o d’uditori, -astraendo da ogni considerazione d’utilità pratica. - - - - -CAPITOLO III. - -Distinzione tra l’arte e la bellezza. - - -Che cosa si ricava da tutte codeste definizioni della bellezza? -Astraendo da quelle evidentemente fallaci, che non rispondono al -concetto dell’arte, e ripongono la bellezza o nell’adattamento a un -fine, o nella simmetria, o nell’ordine, o nell’armonia delle parti o -nell’unità sotto la varietà, o in diverse combinazioni di tutti questi -elementi, astraendo da questi tentativi infelici di determinazioni -oggettive, tutte le definizioni della bellezza proposte dagli estetici -fanno capo a due principii opposti. Il primo è che la bellezza è cosa -esistente di per sè, una manifestazione dell’Assoluto, del Perfetto, -dell’Idea, dello Spirito, della Volontà, di Dio; l’altro è, che la -bellezza consiste in un piacere particolare provato da noi, e nel quale -non entra punto il sentimento dell’utile. - -Di questi due principii il primo fu ammesso da Fichte, Schelling, -Hegel, Schopenhauer e dai metafisici francesi; è ancor oggi molto molto -diffuso tra le persone colte, specie della vecchia generazione. - -Il secondo principio, che riduce la bellezza a un’impressione -individuale di piacere, è caldeggiato particolarmente dagli estetici -inglesi, ed è accolto con favore crescente dalle generazioni nuove -della nostra società. - -Perciò, secondochè era inevitabile, non sono possibili se non due -definizioni della bellezza; una oggettiva, mistica, per cui la nozione -del bello s’annega in quella della perfezione o di Dio, — definizione -fantastica e senza fondamento reale; l’altra invece semplicissima -e chiarissima, ma affatto soggettiva, quella per cui la bellezza -s’identifica con tutto ciò che piace. Da un lato la bellezza apparisce -come qualche cosa di sublime, di soprannaturale, ma, nel medesimo -tempo d’indefinito; dall’altro, apparisce come una specie di piacere -disinteressato provato da noi. Infatti questo secondo concetto della -bellezza è chiarissimo, ma, pur troppo, è molto inesatto, in quanto -esagera nel senso opposto, implicando così la bellezza anche dei -piaceri provenienti dai cibi, dalle bevande, dal vestire, dal tatto, -ecc. - -È ben vero che seguendo l’estetica nelle fasi successive del suo -svolgimento dobbiamo riconoscere che le dottrine metafisiche e -idealiste vanno perdendo terreno a petto di quelle sperimentali e -positive, sicchè vediamo degli estetici come Véron e Sully sforzarsi a -escludere intieramente la nozione del bello. Ma gli estetici di codesta -scuola sinora hanno pochi seguaci, e la gran maggioranza del pubblico, -non esclusi i dotti e gli artisti, si attiene all’una o all’altra delle -due definizioni classiche dell’arte, che le assegnano per fondamento -la bellezza, considerata o come una entità mistica e metafisica, o come -una forma speciale di piacere. - - -Cerchiamo pertanto alla nostra volta d’esaminare questo famoso concetto -della bellezza artistica. - -Soggettivamente, ciò che chiamiamo bellezza è senza dubbio tutto quello -che ci fornisce un piacere particolare. Oggettivamente parlando, diamo -il nome di bellezza a una certa perfezione; ma è chiaro che facciamo -così perchè il contatto con questa perfezione ci procura un determinato -piacere; talchè la definizione oggettiva si riduce a essere solo una -nuova forma della definizione soggettiva. Realmente il concetto della -bellezza risulta per noi dal godimento d’un piacere _sui generis_. - -Così essendo sarebbe naturale che l’estetica rinunciasse alla -definizione dell’arte fondata sul bello, cioè sul piacere individuale, -e si mettesse in cerca di una definizione più comprensiva, applicabile -a tutte le produzioni artistiche, e tale da farci distinguere quanto -appartiene o non appartiene al dominio dell’arte. Ma, come si sarà -convinto il lettore dal nostro riassunto delle diverse dottrine -estetiche, non incontrammo alcuna definizione di quella sorta. Tutti -i tentativi fatti per definire il bello assoluto, o non definiscono -nulla o definiscono solo alcuni caratteri di alcuni prodotti artistici, -e non abbracciano tutto quello che tutti hanno sempre considerato come -appartenente al dominio dell’arte. - -Non c’è una sola definizione veramente oggettiva della bellezza. Le -definizioni esistenti, sia metafisiche sia sperimentali, riescono -tutte in fondo a quell’unica definizione soggettiva, che pretende -l’arte essere l’estrinsecazione della bellezza, e la bellezza essere -ciò che piace senza eccitare il desiderio. Molti estetici intesero -l’insufficienza e l’instabilità d’una definizione siffatta, e, per -darle una base solida, studiarono le origini del piacere artistico. -Così trasformarono la questione della bellezza in una questione di -gusto. Ma in ultima analisi si scoperse che il gusto non è più facile -a definirsi che la bellezza. Perchè non c’è, nè ci può essere alcuna -spiegazione compiuta e seria del motivo per cui una cosa piace a uno e -dispiace a un altro, e viceversa. Quindi l’estetica intiera, dalla sua -fondazione sino ai nostri tempi, fallisce in quello che ci potevamo -attendere da essa nella sua qualità di pretesa scienza; non avendoci -saputo determinare nè le proprietà e le leggi dell’arte, nè il bello, -nè l’essenza del gusto. Tutta codesta famosa scienza dell’estetica -consiste, in fondo, a non riconoscere come artistiche se non certe -opere, per l’unico motivo che ci piacciono, e poi ad architettare una -teorica dell’arte adattabile per l’appunto a cotali opere. Si comincia -dallo stabilire un canone artistico, secondo cui si designano come -opere d’arte certe produzioni che hanno la fortuna di piacere a certe -classi sociali, le opere di Fidia, di Raffaello, del Tiziano, di Bach, -di Beethoven, d’Omero, di Sofocle, di Dante, di Shakespeare, di Goethe, -ecc.; dopo ciò le leggi dell’estetica sono aggiustate in modo che -abbraccino la totalità di quelle opere. - -Un estetico tedesco che io leggevo giorni sono, Folgeldt, discutendo i -problemi dell’arte e della morale afferma di netto essere pura follia -il voler cercare la morale nell’arte. E sapete su quale argomento, -solo e soletto, fondi la sua dimostrazione? Dice che, se l’arte dovesse -essere morale, non sarebbero opere d’arte nè il _Romeo e Giulietta_ di -Shakespeare nè il _Wilhelm Meister_ di Goethe; ora quelle opere essendo -con piena evidenza opere d’arte, crollerebbe tutta la dottrina della -moralità nell’arte. Onde, il signor Folgeldt si mette in cerca di una -definizione dell’arte che lasci passare quei due lavori; e si decide a -proporre come fondamento dell’arte “il significato„. - -Orbene, è su questo modello che sono fabbricate tutte le estetiche. -In luogo di cominciare da una definizione dell’arte vera e poi -decidere che cosa appartenga o non appartenga all’arte, si gabellano -a priori come opere d’arte un certo numero di lavori che per certe -ragioni piacciono a una certa parte del pubblico; di poi s’inventa -una definizione dell’arte che possa estendersi a tutti quei lavori. -Per esempio l’estetico tedesco Muther nella sua _Storia dell’arte nel -secolo XIX_ mentre si guarda bene dal disapprovare le tendenze dei -preraffaellisti, dei decadenti, e dei simbolisti, s’adopera da senno -ad allargare la sua definizione dell’arte in modo da potervi includere -codeste nuove tendenze. Qualunque aberrazione nuova si faccia strada -nell’arte, purchè sia stata accolta dalle classi più elevate della -società, ecco s’inventa subito una teoria per spiegarla e sanzionarla, -come se la storia non ci offrisse dei periodi, in cui certi gruppi -sociali reputavano arte di buona lega un’arte falsa, contorta, priva -di senso, che in seguito sprofondò nell’oblìo senza lasciare traccia di -sè. - -Pertanto la teoria dell’arte fondata sulla bellezza, quale ce la -presenta l’estetica, si riduce all’ammissione, tra le cose “buone„ di -qualche cosa che ci sia piaciuto, o che ci piaccia ancora. - - -Per definire una forma particolare dell’attività umana occorre -comprenderne innanzi tutto il significato e il valore. E per giungere -a que sta nozione fa d’uopo esaminar codesta attività, prima in sè -stessa, poi ne’ suoi rapporti colle sue cause e co’ suoi effetti, -e non solo rispetto al piacere personale che possiamo ricavarne. Se -diciamo che l’unico fine di una certa forma della nostra attività è -il nostro piacere, e la definiamo secondo il piacere che ci cagiona, -la nostra definizione sarà certamente errata. Ma ciò è per l’appunto -quanto accade nelle solite definizioni dell’arte. Nella questione -del nutrimento a nessuno verrà in mente d’affermare che l’importanza -d’alimento si misuri dalla somma di piacere che ne ricaviamo. Ciascuno -ammette e comprende che sulla soddisfazione del palato non si può -fondare una definizione del valore d’un dato alimento, e che perciò -non abbiano il diritto d’argomentare che il pepe di Caienna, il cacio -di Limbourg, l’alcool, ecc., a cui siamo avvezzi e che ci piacciono, -formino il migliore degli alimenti. Ora nella questione dell’arte -abbiamo un caso analogo. La bellezza, ossia quello che ci piace, -non può in alcun modo servirci di fondamento a definir l’arte, nè la -schiera degli oggetti che ci procurano piacere può esser considerata -come il modello dell’arte. Cercare l’oggetto e il fine dell’arte nel -godimento che se ne ricava, è imaginare, come sogliono i selvaggi, -che l’oggetto e il fine dell’alimentazione stiano nel piacere che ne -proviene. - -In entrambi i casi il piacere non è che un elemento accessorio. E come -non si giunge a conoscere il vero fine dell’alimentazione, che è il -mantenimento del corpo, se non si tralascia di cercarlo nel piacere di -mangiare, così non si capisce il vero significato dell’arte se non si -smette di riporre il fine dell’arte nella bellezza, cioè nel piacere. -E a quel modo che il discutere intorno al perchè ad uno piacciano -le frutta, e un altro preferisca la carne, non ci aiuta a scoprire -quello che è utile ed essenziale nel nutrimento, così lo studiare le -questioni del gusto in arte, non che aiutarci a intendere quella forma -particolare dell’umana attività che chiamiamo arte, ce ne rende affatto -impossibile l’intelligenza. - -Al quesito “che cosa è l’arte?„, abbiamo sciorinato molte risposte -riportate da diverse opere d’estetica. E tutte, o pressochè tutte -codeste risposte, mentre nel resto sono tra di loro agli antipodi, -s’accordano nel proclamare che fine dell’arte è la bellezza, che la -bellezza si riconosce dal piacere che essa procura, e che alla sua -volta codesto piacere è importante, semplicemente perchè è un piacere. -A questo modo queste svariate definizioni dell’arte non riescono vere -definizioni, ma semplici conati per giustificare l’arte odierna. -Per quanto la cosa possa parere strana, nonostante la farragine di -libri scritti intorno all’arte, non s’è tentata ancora nessuna vera -definizione dell’arte, per questo solo motivo: che si volle sempre -fondare il concetto dell’arte su quello della bellezza. - - - - -CAPITOLO IV. - -La funzione dell’arte. - - -Che cos’è adunque l’arte, se eliminiamo il concetto della bellezza, -fatto solo per ingarbugliare inutilmente il problema? Le sole -definizioni dell’arte che attestino l’intenzione di lasciar da banda il -concetto del bello, sono, le seguenti: 1.º secondo Schiller, Darwin, -Spencer, l’arte è un’attività che si riscontra anche tra gli animali, -e nasce dall’istinto sessuale e dall’istinto del giuoco; e Grant Allen -aggiunge che siffatta attività s’accoppia a un gradevole eccitamento -del sistema nervoso; 2.º secondo Véron, l’arte è la manifestazione -esteriore di commovimenti interiori, ottenuta per mezzo di linee, -di colori, di moti, di suoni, di parole; 3.º secondo Sully, l’arte è -la produzione d’un oggetto durevole o d’un’azione passeggera tale da -generare nel produttore un godimento attivo, e suscitare in un dato -numero di spettatori o d’uditori un’impressione piacevole, esclusa ogni -considerazione d’utilità pratica. - -Queste tre definizioni, pur essendo superiori di molto a quelle -definizioni metafisiche le quali fondano l’arte sulla bellezza, restano -a ogni modo inesatte. - -La prima è inesatta, perchè, invece di considerare unicamente -l’attività artistica, che è sola in questione, non contempla che -l’origine di codesta attività. Ed è inesatta del pari anche l’aggiunta -proposta dal Grant Allen, attesochè l’eccitamento nervoso di cui -parla può accompagnarsi, oltrechè coll’azione artistica, con molte -altre forme dell’attività umana; e di qui è scaturito l’errore delle -nuove teorie estetiche per le quali s’innalza alla dignità dell’arte -la preparazione di belle vesti, di gradevoli profumi, e perfino di -pietanze. - -La definizione del Véron che fa consistere l’arte nell’esprimere -certe emozioni è inesatta, perchè si possono esprimere le proprie -emozioni per mezzo di linee, di colori, di parole, di suoni, senza che -cosiffatta espressione agisca sugli altri; nel qual caso non si può -trattare d’espressione artistica. - -Da ultimo è inesatta anche la definizione del Sully, come quella che si -può applicare tanto ai giuochi di prestigio e all’acrobatica, quanto -all’arte; mentre d’altro lato s’incontrano dei prodotti appartenenti -all’arte senza che procurino sensazioni gradevoli a chi li produce nè -al suo pubblico; come sarebbero le scene dolorose o patetiche, in una -poesia o in un dramma. - -La deficienza di tutte queste definizioni proviene dal fatto che -tutte quante, come le definizioni metafisiche, si fondano soltanto sul -piacere che l’arte può procurare, e non sulla funzione che può e deve -esercitare nella vita dell’uomo e del genere umano. - - -Per definire più correttamente l’arte fa d’uopo che si rinunzi a -riconoscere in essa soltanto una sorgente di piacere, e la si consideri -piuttosto come una delle condizioni essenziali della vita umana. Sotto -quest’aspetto l’arte ci si presenterà immediatamente come un mezzo di -comunicazione tra gli uomini. - -Ogni opera artistica ottiene l’effetto di porre chi ne prova il fascino -in comunicazione con colui che ne è stato l’autore, e con tutti coloro -che prima o poi ne furono o ne saranno partecipi. L’arte opera come la -parola, che serve di legame tra gli uomini trasmettendo il pensiero, -laddove per mezzo dell’arte si comunicano i sentimenti e le emozioni. E -siffatta trasmissione avviene così. - -Ogni uomo è capace di provare tutti i sentimenti umani, mentre non -ogni uomo sa esprimerli tutti quanti. Ma se uno per mezzo dell’udito -o della vista percepisce i sentimenti d’un altro espressi a dovere, -può provarli in sè stesso, anche trattandosi di sentimenti nuovi per -lui. Per prendere l’esempio più semplice: se un uomo ride, chi lo sente -ridere, diventerà più o meno allegro; se qualcuno piange, quelli che lo -vedono piangere si rattristano. Un tale è eccitato, oppur esasperato; i -presenti risentono il contagio di quelle disposizioni. Un altro esprime -coi gesti o col tuono della voce il coraggio, la rassegnazione, la -tristezza, e il suo sentimento si comunicherà a quelli che lo vedono -o l’ascoltano. O esprime il suo dolore coi gemiti e coi sospiri; e il -dolore passerà nell’anima di chi lo intende. E lo stesso si dica di -mille altre emozioni. - -Ora, quella forma d’attività che si chiama arte, si fonda sopra codesta -attitudine dell’uomo a provare i sentimenti che agitano gli altri. - -Se alcuno agisce sul sentimento altrui col suo aspetto o colle sue -parole mentre egli stesso è in preda al sentimento che manifesta; se -induce un altro a sbadigliare quando è costretto a sbadigliare egli -stesso, a ridere o a piangere, quando prova egli il bisogno di ridere -o di piangere; codesti effetti di contagio non sono ancora il risultato -d’una creazione artistica. L’arte comincia quando l’uomo rievoca in sè, -ed esprime con segni esteriori i sentimenti già provati altra volta col -fine di farli provare altrui. Prendiamo anche questa volta un esempio -elementare. Un ragazzo atterrito dall’incontro con un lupo, racconta -l’avventura; e per destare negli uditori l’emozione provata da lui, -descrive il suo stato d’allora, gli oggetti che lo circondavano, il -suo perfetto abbandono, poi l’improvviso apparire del lupo, le sue -mosse, la distanza a cui s’accostò, ecc. In codesto racconto avremo -un fatto d’arte, se il ragazzo, narrando il suo caso, risuscita in sè -i sentimenti già provati, e i suoi gesti, il tuono della sua voce, le -sue imagini forzano gli uditori a provare essi stessi dei sentimenti -analoghi. E quand’anche il ragazzo non avesse mai visto un lupo, ma si -fosse solo spaventato all’idea di incontrarne uno, e volendo comunicare -agli altri codesto suo spavento, inventasse un incontro con un lupo -e lo raccontasse in modo da far rabbrividire i suoi uditori, anche -in questo caso s’avrebbe un fatto d’arte. Così pure c’è arte, quando -alcuno, avendo provato o in realtà o in imaginazione il timore di -soffrire o il desiderio di godere, esprime sulla tela o nel marmo i -proprii sentimenti in modo da comunicarli agli altri. C’è arte allorchè -un uomo prova o s’imagina di provare sentimenti di gioia, di tristezza, -di disperazione, di coraggio, di accasciamento, e le transizioni -dall’uno all’altro di questi sentimenti, ed esprime tutto ciò con suoni -che mettono gli altri in grado di riprovare le stesse commozioni. - -I sentimenti che l’artista comunica agli altri possono essere di varie -sorta, forti o deboli, importanti o insignificanti, buoni o cattivi; -possono essere sentimenti di patriottismo, di rassegnazione, di pietà, -di voluttà; possono esser resi con un dramma, con un romanzo, con -una pittura, con una marcia, con una danza, un paesaggio, una favola; -qualunque opera che esprime, ciò soltanto, è opera d’arte. Allorchè gli -spettatori o gli uditori provano i sentimenti espressi dall’autore, c’è -opera d’arte. - -Risuscitare in sè stessi un sentimento già provato per trasfonderlo -negli altri col soccorso di moti, di linee, di colori, di suoni, -d’imagini orali: ecco il vero oggetto dell’arte. L’arte è una -forma dell’attività umana che ci consente di suscitare negli altri -coscientemente e volontariamente i nostri sentimenti per mezzo di -certi segni esteriori. S’ingannano i metafisici che vedono nell’arte -l’estrinsecazione d’un’idea misteriosa della bellezza o di Dio; nemmeno -l’arte è, come vogliono gli estetici fisiologi, un giuoco in cui l’uomo -spende il suo eccedente d’energia; non è la produzione d’oggetti -piacevoli; sovrattutto non è un piacere: è un mezzo di riunire gli -uomini raccogliendoli a unità di sentimenti, e perciò indispensabile -alla vita dell’umanità, e al suo progresso nella via della felicità. - -In fatti a quel modo che in virtù della nostra facoltà di esprimere con -parole i pensieri, ognuno di noi può conoscere quanto s’è fatto prima -di noi nel dominio delle idee e prender parte all’attività mentale -dei contemporanei, e trasmettere a questi e ai posteri i pensieri -raccolti dagli altri e quelli aggiunti del proprio; così in virtù del -nostro potere di trasfondere negli altri i nostri sentimenti per mezzo -dell’arte, ci diventano accessibili tutti i sentimenti che s’agitano -intorno a noi, come pure certi sentimenti provati mille anni prima di -noi. - -Se non godessimo della facoltà di accogliere le idee concepite dai -nostri predecessori, e di trasmettere altrui le nostre, saremmo animali -selvatici, oppure come Gaspare Hauser, l’orfano di Norimberga, il -quale, per essere stato allevato nella solitudine, a sedici anni aveva -l’intelligenza d’un bambino. E se ci mancasse l’attitudine a ricevere -la impressione dei sentimenti altrui resi dall’arte, saremmo quasi -ancora più selvatici, più divisi gli uni dagli altri, più ostili a -vicenda. Donde risulta che l’arte è cosa importantissima, non meno -importante del linguaggio stesso. - -Siamo stati abituati a non comprendere nella denominazione d’arte -se non quanto udiamo e vediamo nei teatri, nei concerti, nelle -esposizioni, o quello che leggiamo nelle poesie e nei romanzi. -Ora tutto ciò non è che l’infima parte dell’arte vera, colla quale -palesiamo agli altri la nostra vita interiore, o intendiamo la loro. -Tutta l’esistenza umana ribocca d’arte, dalle ninnananne, dalle danze, -dalla mimica, dalle cantilene, agli uffizi religiosi e alle cerimonie -pubbliche. Tutto ciò appartiene all’arte. Come la parola non opera su -di noi solo per l’eloquenza e per i libri, ma pure nelle conversazioni -famigliari, del pari l’arte, intesa nel sue più largo significato, -invade tutta la nostra vita, e la cosidetta arte in senso stretto è ben -lontana dal rappresentare l’insieme dell’arte vera. - - -Ma per molti secoli il genere umano riconobbe solo una parte di codesta -enorme e diversa attività artistica, quella cioè che si proponeva di -perpetuare i sentimenti religiosi. A tutte le altre manifestazioni -artistiche, cioè canzoni, danze, novelle di fate, ecc., gli uomini per -un pezzo non diedero alcuna importanza, e solo occasionalmente i grandi -educatori del genere umano si soffermarono a censurare certi prodotti -di codesta arte profana, qualora li giudicassero opposti ai concetti -religiosi del tempo. - -Così fu intesa l’arte dai savii antichi, da Socrate, da Platone, da -Aristotele, dai profeti ebrei e dai primi cristiani; così la intendono -oggi ancora i maomettani; e così l’intende il popolo nei nostri -villaggi russi. Ci furono persino degli educatori di popoli come -Platone, e delle nazioni intiere, come i maomettani o i buddisti, che -negarono all’arte il diritto di esistere. - -Certo avevano torto quegli uomini e quelle nazioni di condannare l’arte -in genere, cioè di voler sopprimere cosa che non si può sopprimere, -uno dei mezzi più indispensabili di comunicazione tra gli uomini. Ma -il loro errore era meno grande di quello che commettono ora gli Europei -civili col favorire tutte le arti al solo patto che producano il bello, -ovverosia che generino il piacere. Una volta si temeva che tra le -varie opere d’arte ce ne fossero di quelle atte a guastar la gente, e -si condannavano tutte per timore di queste ultime; oggigiorno invece -la paura di privarci di qualche minimo piacere basta a farci accettare -tutte le arti col rischio di ammetterne di molto pericolose. Errore -questo assai più grossolano dell’altro, e tale da produrre conseguenze -molto più disastrose! - - - - -CAPITOLO V. - -L’arte vera. - - -Ma come avvenne che l’arte non religiosa, un tempo appena tollerata, -nella nostra età sia stata favorita a condizione che ci procurasse -piacere? - -Ecco in breve come si può spiegare il fatto. La stima dell’arte, cioè -di quanto valgono i sentimenti che essa propaga, dipende dal concetto -che ci formiamo della vita e del suo significato, e di quello che in -essa ci par buono o cattivo. E la scienza che distingue il buono dal -cattivo porta il nome di religione. - -Il genere umano avanza nel progresso innalzandosi da un concetto -inferiore, parziale e oscuro della vita, ad altri più elevati, più -comprensivi, più chiari. In codesto movimento del progresso, come in -tutti i movimenti, gli uomini sono guidati da certi loro capi, che -intendono meglio degli altri il significato della vita; e tra codesti -precursori ce n’è sempre qualcuno, che ha espresso il suo concetto -personale più chiaramente, o più fortemente degli altri, tanto a parole -quanto coll’esempio. La determinazione impressa al significato della -vita da qualche uomo simile, accompagnata dalle tradizioni, dalle -superstizioni, dalle cerimonie, che circondano sempre la figura dei -grandi, è il costitutivo essenziale delle religioni. Esse rispecchiano -il concetto che si formano della vita gli uomini migliori e più -intelligenti d’una data età e d’una data società, il quale finisce per -essere irresistibilmente adottato dalla società intiera. Perciò in -tutti i tempi le religioni valsero a darci la misura dei sentimenti -umani. Quelli, per cui l’uomo s’accosta all’ideale proposto dalla -religione, e che armonizzano con esso, vengono ritenuti buoni, e -cattivi quegli altri che allontanano l’uomo dall’ideale della sua -religione. - -Laonde se, come presso gli antichi Ebrei, la religione fa consistere -il fondo della vita nell’adorare un Dio solo e sottomettersi alla sua -volontà, i sentimenti di obbedienza alla legge divina son riputati -buoni, e danno luogo all’arte buona, rappresentata dalle profezie, dai -salmi, dall’epopea della Genesi. E si considera come arte cattiva tutto -ciò che si oppone a quell’ideale, come a dire l’espressione d’un culto -verso divinità straniere, e gli altri sentimenti incompatibili colla -legge di Dio. - -Invece nel caso dei Greci, quando la religione spiega il significato -della vita riponendolo nella felicità terrena, nella forza e nella -bellezza, si considera arte buona quella che esprime l’allegrezza -e l’operosità della vita, e cattiva quella che ispira sentimenti di -mollezza o d’avvilimento. Il significato della vita essendo riposto, -come presso i Romani, nel collaborare alla grandezza della nazione, o, -come presso i Cinesi, nel rendere onore ai maggiori, e perpetuare il -loro genere di vita, si reputerà naturalmente arte buona quella che -esprime la gioia del sacrifizio personale per il bene della nazione, -oppure il rispetto verso gli antenati e il desiderio d’imitarli; e -cattiva ogni arte che bandisca sentimenti opposti. Quando poi il -significato della vita sta, come presso i buddisti, nel liberare -l’uomo dal giogo dell’animalità, sarà buona l’arte che innalza l’anima -deprimendo la carne, e cattiva quella che preconizza sentimenti atti a -favorire le cupidigie materiali. - -In ogni età e in ogni società vige un senso religioso, comune a tutti, -del buono e del cattivo, e serve di stregua a giudicar del valore dei -sentimenti espressi dall’arte. Così avveniva presso gli Ebrei, i Greci, -i Romani, i Cinesi, gli Egiziani, gl’Indiani; e così fu anche tra i -primi cristiani. - -Il Cristianesimo dei primi secoli non riconosceva per arte buona che -le leggende, le vite dei santi, i sermoni, le preghiere, gl’inni, tutto -quello che esprimeva l’amore per Cristo, l’ammirazione per la sua vita, -il desiderio d’imitarlo, la rinunzia ai piaceri del mondo, l’umiltà, la -carità; e tutte le opere artistiche ispirate a sentimenti di godimento -individuale erano ritenute cattive e perciò condannate; sovrattutto la -plastica non era ammessa che col valore di simbolo, ed era condannata -tutta l’arte pagana. Così facevano i primi cristiani, che concepivano -la dottrina di Cristo, se non del tutto nel suo vero senso, almeno -sotto una forma diversa da quella corrotta e paganizzata, che rivestì -più tardi la medesima dottrina. - -Ma a lato di quel Cristianesimo a poco a poco se ne formò un altro, -dipendente dalla Chiesa e più prossimo al paganesimo che non alla -dottrina di Cristo. E codesto Cristianesimo di Chiesa conseguentemente -alle sue dottrine cominciò a stimare ben altrimenti le opere d’arte. -Poichè, ai principii essenziali dei vero cristianesimo, che sono lo -stretto rapporto di tutti gli uomini con Dio, la perfetta uguaglianza -e fraternità di tutti gli uomini, l’umiltà e l’amore in luogo della -violenza, avendo sostituito una gerarchia celeste analoga alla -mitologia pagana, avendo introdotto nella religione il culto di Cristo, -della Vergine, degli Angeli, degli Apostoli, dei Santi, anzi anche -delle loro imagini, diede vita a un’arte che esprimeva alla meglio -questo nuovo ideale. - -Codesto Cristianesimo era di certo lontanissimo dalle dottrine di -Cristo, e inferiore persino al concetto che avevano della vita certi -Romani, quali furono gli Stoici, o l’imperatore Giuliano; ciò nondimeno -fra i barbari che raccoglievano, rappresentava sempre alcunchè di -superiore al loro antico culto di dei ed eroi nazionali, di spiriti -buoni e cattivi. E l’arte rampollata da questa religione esprimeva -l’amore per la Vergine, per Gesù, per i Santi e gli Angeli, la cieca -obbedienza ai dogmi, la paura delle pene d’inferno, e la speranza -dei gaudii celesti; e ogni arte in opposizione con quella era creduta -cattiva. - -Quell’arte, sebbene fondata sopra un tralignamento del Cristianesimo, -era arte vera, poichè corrispondeva al concetto religioso degli uomini -tra i quali fioriva. Gli artisti del medio evo attingendo i loro -sentimenti alla sorgente popolare, e rendendoli coll’architettura, -colla pittura, colla musica, colla poesia o col dramma, erano veri -artisti, e le loro opere, secondo l’ufficio delle opere d’arte, -trasfondevano i loro sentimenti in tutta la comunità che li circondava. - - -Così procedettero le cose, finchè le classi nobili, ricche e colte -della società europea cominciarono a dubitare che non fosse vero il -concetto della vita espresso nel Cristianesimo ufficiale. Allorchè dopo -le crociate e il culmine della potenza dei Papi, quelle classi poterono -attingere al senno degli autori classici, e riconobbero, da una parte -il buon senso e la chiarezza degl’insegnamenti greci, dall’altra -l’incompatibilità della dottrina ecclesiastica colle massime di Cristo, -trovarono impossibile continuare a credere nella dottrina della Chiesa. -Tuttavia rimasero in apparenza ligie alle forme ecclesiastiche, ma solo -per inerzia o per conservare la loro influenza sul popolo, che nulla -aveva perduto dell’antica fede e obbedienza. In realtà il Cristianesimo -ecclesiastico aveva cessato d’essere la dottrina religiosa comune a -tutti i cristiani. E le classi più colte si trovarono nella condizione -dei Romani colti prima del Cristianesimo; non ammettevano più la -religione delle turbe, senza essere in possesso di alcun’altra fede, -che potesse sostituire per loro la dottrina della Chiesa, che avevano -abbandonata. - -Il solo divario era che i Romani, perduta ogni fede nei loro imperatori -divinizzati, non potevano rifarsi alle mitologie ingarbugliate che -avevano preceduto la loro, e furono costretti a crearsi un concetto -nuovo della vita, mentre gli uomini del Rinascimento, dubitando del -Cristianesimo ecclesiastico, non avevano da cercar lontano per trovare -una dottrina migliore. Bastava che sfrondassero dalla dottrina di -Cristo le alterazioni che la Chiesa aveva prodotto in essa. E così per -l’appunto fecero parecchi, non solo i riformatori, Wiclef, Huss, Lutero -e Calvino, ma eziandio i seguaci del Cristianesimo non ufficiale, i -Paoliniani, i Bogomili, i Valdesi e altri. Però codesto ritorno al -Cristianesimo primitivo non avvenne che da parte di gente umile e priva -d’ogni potere temporale. Ci furono sì dei ricchi che, come Francesco -d’Assisi, ammisero la dottrina di Cristo nel suo pieno significato -e con tutte le sue conseguenze, e le sacrificarono i loro privilegi -sociali. Ma la maggior parte delle persone appartenenti alle classi più -elevate, sebbene alienate alle dottrine della Chiesa, non vollero nè -poterono seguire quell’esempio, perchè l’essenza del vero Cristianesimo -consisteva nell’ammettere la fratellanza e quindi anche l’uguaglianza -di tutti gli uomini, cosa che avrebbe distrutto i privilegi che erano -avvezzi a godere. E questi membri delle classi superiori, papi, -re, duchi, e tutti i grandi della terra, rimasero così senza vera -religione, e si contentarono di conservare le forme esteriori d’una -religione, le cui dottrine giustificavano i privilegi cari a loro. -E furono precisamente costoro, che essendo dotati di potere e di -ricchezza pagavano e dirigevano gli artisti. E tra costoro appunto, si -noti bene, sorse un’arte novella, che si misurava non più secondo la -sua capacità a esprimere i sentimenti religiosi del tempo, ma secondo -la bellezza, cioè il piacere che poteva procurare. Codesti ricchi e -potenti, essendo oramai nell’impossibilità di credere a una religione -riconosciuta falsa, come pure di ammettere il vero Cristianesimo che -condannava il loro modo di vivere, furono senza volerlo ricondotti al -concetto pagano che riponeva nel piacere personale il significato della -vita. Allora tra le classi più elevate sorse quello che è chiamato il -Rinascimento delle lettere e delle arti. Infatti l’età del Rinascimento -rappresenta un periodo di scetticismo completo nelle classi superiori. -Privi com’erano di fede religiosa, e di ogni norma per distinguere -l’arte buona dalla cattiva, gli uomini di quelle classi adottarono la -stregua del piacere personale. E una volta ammesso che il piacere, in -altri termini la bellezza, fosse il criterio, si trovarono contenti -d’aggrapparsi al concetto artistico — in fondo grossolano — dei Greci -antichi. La loro nuova teorica dell’arte defluì direttamente dal loro -nuovo modo d’intendere la vita. - - - - -CAPITOLO VI. - -L’arte falsa. - - -Dacchè le classi più elevate della società europea ebbero smarrita -ogni fede nel Cristianesimo papale, la bellezza, ovverosia il godimento -artistico, diventò per essa il criterio dell’arte buona o cattiva. E, -secondo tale nozione, nacque tra di loro una nuova dottrina estetica -per giustificarla; quella cioè che assegna all’arte l’unico fine di -produrre la bellezza. I seguaci di questa teoria per renderla più -accettabile sostennero che non era già stata inventata da loro, ma -che sgorgava senz’altro dalla natura delle cose, e che anzi l’avevano -già formulata i Greci antichi. La quale affermazione è assolutamente -arbitraria e inesatta; poichè, se i Greci in realtà non distinguevano -nettamente il buono dal bello, ciò dipendeva dal loro concetto morale -della vita. Non avevano alcuna idea chiara di quella somma perfezione -morale distinta dalla bellezza artistica, spesso in opposizione con -essa, che, già presentita da certi profeti ebrei, fu poi pienamente -tratteggiata nella dottrina di Cristo. Essi imaginavano che il bello -dovesse necessariamente anche essere il buono. Soltanto i loro più -grandi pensatori, come Socrate, Platone, Aristotele, sentirono che -la bontà non coincide sempre colla bellezza. Socrate subordinava di -proposito la bellezza alla bontà; Platone, per unire i due concetti, -discorreva d’una bellezza spirituale; Aristotele esigeva che l’arte -esercitasse colla _catharsis_ (purificazione) un’influenza morale. -Ma all’infuori di codesti savii, gli altri ammettevano la concordanza -intiera del bello e del buono, e così si spiega che nella lingua dei -Grecianti chi un composto, _kalokagathon_ (cioè _bello e buono_), abbia -servito a designare quella concordanza. - -Ciò non era che il risultato d’una cultura incompiuta, la semplice -confusione di due concetti ben distinti. Ora gli estetici del -Rinascimento vollero elevare codesta confusione a dignità di legge. -Pretesero dimostrare che il sovrapporsi della bellezza e della bontà -dipende dalla natura delle cose ed è necessario, e che il senso della -voce _kalokagathon_ (che, se valeva per i Greci, non poteva valere per -i cristiani) rappresenta l’ideale più alto del genere umano. Tutta la -nuova estetica s’aggira sopra questo equivoco; e la sua pretensione -di rifarsi all’estetica dei Greci è tutt’altro che giustificata. -“A guardar bene — dice il Bénard nel suo libro intorno all’estetica -d’Aristotele — si trova che in Aristotele, come anche in Platone e -ne’ suoi successori le dottrine del bello e dell’arte sono affatte -disgiunte.„ I Greci come gli altri popoli, ritenevano buona l’arte -quando era al servizio della bontà, vale a dire di ciò che credevano -buono. Ma in loro il senso morale era così poco svolto, che bontà -e bellezza pareva loro che coincidessero. Del resto non ebbero mai -neppure l’ombra d’una dottrina estetica sul fare di quella che si -attribuisce loro. L’estetica è un’invenzione dei tempi moderni, e non -prese forma scientifica se non dal Baumgarten in poi, come appare -dalla storia di codesta disciplina filosofica, che tralasciamo per -amore di brevità. Da buon tedesco il Baumgarten, con una cura assai -pedantesca della simmetria e dall’esattezza esteriore, e un disdegno -assoluto d’ogni osservazione di fatto, fabbricò ed espose la sua teoria -singolare. Ed essa, a dispetto della sua assurdità, si divulgò nella -cerchia della gente colta, ed è ripetuta tuttora da dotti e ignoranti -come se fosse un vero incrollabile e d’assoluta evidenza. - - -_Habent sua fata libelli pro capite lectoris_; e ancor più giustamente -si può dire che _habent sua fata_, le teorie, secondo il grado di -errore in cui si trova immersa la società nella quale queste teorie -sono inventate. Se qualche teoria serve a giustificare la falsa -posizione in cui vive una classe della società, per quanto si mostri -infondata e apertamente falsa, è accolta da quella tal classe della -società come articolo di fede. Questa sorte ebbe, per esempio, la -celebre e assurda dottrina del Malthus, colla quale si sosteneva che la -popolazione della terra s’accresce in proporzione geometrica, e i mezzi -di sussistenza crescono solo in proporzione aritmetica; quindi essere -inevitabile un affollamento eccessivo della terra. Lo stesso è avvenuto -della teoria (derivata dalla Malthusiana), che scorge il fondamento -del progresso nella selezione e nella lotta per la vita; ed è ciò che -succede ancora della dottrina del Marx che ci rappresenta come legge -fatale e inevitabile la distruzione graduale della piccola industria -privata per opera della grande industria capitalista. Queste dottrine -possono ben mancare d’ogni fondamento, opporsi a tutte le certezze, a -tutte le speranze del genere umano, essere scioccamente e bruttamente -immorali; tuttavia s’accolgono senza sforzo, s’insegnano senza -discussione, talvolta per parecchi secoli, finchè non siano scomparse -le condizioni sociali che esse valevano in certo modo a giustificare. -Del medesimo stampo è la singolare dottrina del Baumgarten che ravvisa -nel buono, nel bello, nel vero tre manifestazioni d’un essere unico e -perfetto. - -Invano si cercano degli argomenti per puntellare siffatta teoria. La -bontà è realmente il concetto fondamentale su cui riposa la nostra -coscienza nella sua essenza: è un concetto che la ragione non sa -definire, che nulla può definire, ma che serve esso stesso a definire -tutto il resto; è il fine supremo, eterno della nostra vita. La bontà -è tutt’uno con quello che chiamiamo Dio. In questo ebbe ragione il -Baumgarten. Ma la bellezza, se non vogliamo contentarci di parole, -non è se non quello che ci fa piacere, e quindi il suo concetto non -s’agguaglia con quello della bontà, anzi più presto vi si oppone, -stantechè la bontà coincide spesso con una vittoria sulle passioni, -mentre la bellezza è quasi radice di tutte le nostre passioni. So -che si parla sempre d’una bellezza morale o spirituale, ma con questo -giochetto di parole non si fa poi altro che designare la bontà stessa. - -Quanto a ciò che chiamiamo il vero, esso consiste semplicemente in -questo che la definizione o spiegazione d’un oggetto s’accordi colla -realtà, o con una nozione di quell’oggetto comune a tutte le menti; in -conseguenza possiamo dire che la verità è uno dei mezzi per produrre la -bontà, ma è ben lontana dal confondersi con essa. Per esempio, Socrate -e il Pascal, e altri savii, pensavano che non s’accordasse colla bontà -la conoscenza del vero intorno a soggetti inutili, e che ci fossero -delle verità malefiche, cioè cattive. D’altra parte la verità non è in -nessun rapporto colla bellezza, e spesso le si oppone, poichè la verità -in generale ci disinganna distruggendo l’illusione, cioè una delle -condizioni principali della bellezza. Non è egli un fatto stupefacente -che l’accozzamento arbitrario di tre nozioni così estranee l’una -all’altra abbia potuto offrire un appiglio ad una teoria, nel cui nome -una delle più basse manifestazioni dell’arte fu battezzata per arte -elevatissima, quella estrinsecazione d’arte che ha il piacere per unico -oggetto, quella contro di cui tutti gli educatori del genere umano -hanno sollevato obbiezioni? E nessuno protesta contro assurdità simili! -I dotti scrivono delle opere voluminose e incomprensibili, nelle quali -la bellezza è insediata come uno dei termini d’una trinità estetica. -Queste parole, il Bello, il Vero, il Bene, colle iniziali maiuscole, -sono ripetute dai filosofi e dagli artisti, dai poeti e dai critici -che pronunziandole pensano tutti di dire alcunchè di concreto e di -determinato, su cui possano riposare le loro opinioni! Ora la verità è -questa, che non solo siffatte parole non hanno alcun senso determinato, -ma c’impediscono pure di intendere un’arte qualunque in qualche senso -plausibile, come quelle che furono foggiate solo per giustificare la -falsa importanza attribuita alla forma più bassa dell’arte; a quella -che non ha altro fine che di procurarci un godimento. - - - - -CAPITOLO VII. - -L’arte degli eletti. - - -Ma, se l’arte è un’attività intesa a propagare tra gli uomini i -sentimenti migliori e più elevati della nostra anima, come si spiega -che il genere umano durante tutto il periodo moderno abbia rinunziato -a codesta attività, sostituendovi una funzione artistica inferiore, -indirizzata unicamente al piacere? - -Per rispondere a tale quesito, occorre prima sfatare l’errore solito -per cui all’arte nostra si attribuisce il valore d’arte universale. -Siamo tanto avvezzi a considerare ingenuamente la nostra razza come la -migliore di tutte, che, parlando dell’arte nostra, siamo perfettamente -convinti che sia l’arte vera, cioè la più vera e la migliore di -tutte. Invece la realtà c’insegna che la nostra arte, nonchè essere -la sola, non è accessibile che a una minima parte delle nostre razze -civili. S’ha il diritto di parlare d’un’arte nazionale ebrea, greca, -egiziana, e, se si vuole, anche cinese e indiana. Un’arte di questo -genere, comune a tutto un popolo, esistette anche in Russia sino a -Pietro il Grande, e nel resto d’Europa sino al secolo XIII o XIV. Ma -dacchè le classi più elevate della società perdettero ogni fede nella -Chiesa, e restarono prive di credenze religiose, non c’è più nulla -che meriti il nome d’arte europea o nazionale. A partire da quello -scetticismo religioso l’arte delle classi colte si separò da quella del -resto del popolo; e si ebbero due arti; una per il popolo, e l’altra -per i raffinati. Perciò a chi chieda come il genere umano abbia, -nei tempi moderni, potuto far a meno dell’arte vera, si risponde che -quella privazione non fu nè di tutto il genere umano nè d’una parte -considerevole di esso, ma solo delle classi più elevate della nostra -società europea e cristiana. - -E gli effetti di questa mancanza d’arte si sono palesati a sufficienza -nella corruzione delle classi che ne furono sprovviste. Tutte le -teorie nebulose e incomprensibili intorno all’arte, tutti i giudizi -falsi e contradditorii intorno ai suoi prodotti, e in particolare -la persistenza della nostra arte a impantanarsi nella sua cattiva -strada, tutto ciò derivò da quest’affermazione generalmente ammessa, -nonostante la sua assurdità, che l’arte delle nostre classi elevate -è tutta l’arte, l’arte vera, la sola arte, l’arte universale. Mentre -noi sosteniamo che ha solamente valore l’arte che ci appartiene, i -due terzi del genere umano vivono e muoiono senza sospettare nulla di -quest’arte unica e suprema. E anche in questa nostra società cristiana -ne godrà forse un uomo su cento; gli altri novantanove vivono e muoiono -di generazione in generazione, oppressi dal lavoro, senza fruire mai -della nostra arte; essa del resto è tale, che, quand’anche potessero -accedervi, non la intenderebbero. Si potrà rispondere che se al -presente non fruiscono tutti dell’arte esistente, ciò non dipende da -questa, ma dal cattivo organismo della nostra società, e che il futuro -ci permette di sperare uno stato di cose, in cui il lavoro materiale -sia in parte compiuto dalle macchine, in parte alleggerito da una -distribuzione più equa. Allora nessuno sarà più costretto a rimaner -tutta la vita dietro le quinte per muovere i scenari, o a sonare il -corno nell’orchestra, o a stampare dei libri; le persone addette a tali -servizi non ci lavoreranno che poche ore al giorno, e durante i riposi -si potranno godere le benedizioni dell’arte. - -Così parlano i difensori dell’arte presente. Ma io sono convinto che -non credono neppure essi a quello che dicono. Non possono ignorare che -l’arte, quale è intesa da loro, richiede per condizione necessaria -l’oppressione delle moltitudini, e senza tale oppressione non si -reggerebbe. È indispensabile che una folla d’operai si fiacchi al -lavoro, perchè i nostri artisti, scrittori, musicisti, ballerini -e pittori tocchino quel grado di perfezione che li rende atti a -farci godere. Liberate gli schiavi del capitale, e diventerà tanto -impossibile produrre un’arte simile, quanto è ora impossibile ammettere -questi schiavi a goderne. - -Ma supponendo pure possibile ciò che è impossibile, cioè che si -trovi un mezzo di rendere l’arte attuale accessibile al popolo, sorge -un’altra considerazione a dimostrarci che un’arte siffatta non può -essere universale; ed è questa: che essa è del tutto inintelligibile -per il popolo. Nei tempi andati certi poeti scrivevano in latino; ora -i prodotti artistici dei nostri poeti sono impenetrabili alla comune -degli uomini, come se fossero scritti in sanscrito. Si vorrà dire che -il fatto sia imputabile alla mancanza di cultura nel popolo, e che -quando tutti saranno istruiti a sufficienza, tutti potranno capire la -nostra arte? Sarebbe un’altra risposta insulsa; poichè sappiamo che -sempre l’arte delle classi più elevate fu un mero passatempo per queste -senza che il resto della gente ci capisse nulla. Le classi inferiori -poterono dirozzarsi a loro talento; l’arte in origine non fatta -per loro è sempre rimasta loro inaccessibile. Ed è e rimarrà sempre -estranea ad esse per natura, in quanto esprime e propaga dei sentimenti -proprii a una certa classe ed estranei al restante degli uomini. - -Così, per esempio, quei sentimenti che formano l’argomento capitale -dell’arte contemporanea, come a dire il punto d’onore, il patriottismo, -la galanteria e la sensualità, non possono suscitare nei popolani che -stupore, oppur disprezzo e indegnazione. Se anche alle classi operaie -è concessa la possibilità di vedere, di leggere, di udire, nelle ore -di libertà, ciò che forma il fiore dell’arte contemporanea (e sino a un -certo grado ciò torna loro possibile nelle città, a cagione dei musei, -dei concerti popolari, delle biblioteche), l’uomo di queste classi, -se non è pervertito, e conserva il sentire proprio del suo stato, non -potrà ricavare alcun profitto dalla nostra arte, e non l’intenderà -punto; e ciò che gli riuscirà intelligibile non sarà tale da innalzare -il suo animo, ma sì da guastarlo. Per uno che pensi, e voglia essere -sincero, non v’ha dubbio che l’arte delle classi più elevate non può -diventar quella di tutta la nazione. Ora se l’arte ha l’importanza -che le si attribuisce, se come si compiacciono di dire i suoi divoti, -uguaglia in importanza la religione, dovrebbe essere accessibile a -tutti. E poichè oggi non è tale, è forza dire che o l’arte non ha -l’importanza che si pretende, o che la nostra così detta arte non è -l’arte vera. - -Codesto dilemma è inevitabile, epperò taluni, scaltri e immorali -a un tempo, cercano di eluderlo negando formalmente che il volgo -abbia diritto a fruire dell’arte. Costoro con perfetta impudenza -proclamano, che ad assaporare le gioie dell’arte sono ammessi solo -i _begl’ingegni_, gli _eletti_, anzi i _superuomini_, per dirla col -Nietzsche; e tutti gli altri uomini, gregge abbietto e incapace di -gustare quelle gioie, devono contentarsi di prepararle per quegli -esseri supremi. - -Questa affermazione offre, se non altro, il vantaggio di non voler -conciliare l’inconciliabile, e di ammettere apertamente che la nostra -arte è fatta solo per una classe di privilegiati. Ed è tale per -l’appunto; nè lo ignorano in fondo tutti coloro che vi si accostano, -dichiarando pur sempre con insistenza che codesta arte delle classi -elevate è l’arte vera, la sola che il genere umano debba riconoscere -per tale. - - - - -CAPITOLO VIII. - -Gli effetti dell’arte pervertita; l’impoverimento della materia -artistica. - - -Lo scetticismo delle classi superiori ebbe questo effetto: che invece -d’un’arte rivolta a propagare i sentimenti più elevati, quelli che -sgorgano da un concetto religioso della vita, se n’ebbe un’arte col -solo intento di procurare a una certa classe della società la massima -somma di piacere. E dell’immenso dominio dell’arte non si coltivò se -non quella parte che meglio rispondesse a quest’ultimo uffizio. - -Per tacere degli effetti morali derivati alla società europea da un -cotale pervertimento nel concetto dell’arte, diremo solo che questo -pervertimento ha indebolito l’arte stessa, e in certo modo, l’ha -uccisa. In primo luogo fece sì che l’arte, proponendosi il piacere -come suo unico oggetto, si privasse di quella sorgente d’argomenti -così varia e profonda, che avrebbero potuto essere per lei i concetti -religiosi della vita. In secondo luogo per esso avvenne, che l’arte, -rivolgendosi a una cerchia ristretta di persone, perdesse la sua -bellezza formale, e diventasse oscura e affettata. In terzo luogo -l’arte cessò d’essere spontanea e sincera, e divenne artifiziata e -ricercata. - - -Il primo di codesti tre effetti, cioè l’impoverimento delle -sorgenti d’ispirazione, si sentì fatalmente, non appena l’arte si fu -staccata dalle nozioni religiose. Il merito degli argomenti nelle -opere artistiche dipende dal nuovo; e i prodotti dell’arte valgono -essenzialmente in quanto diffondono sentimenti nuovi. Come nell’ordine -dell’intelletto un’idea non vale, quando non sia nuova e si limiti a -ripetere ciò che già sappiamo, così non vale un’opera d’arte se non -quando infonde nella corrente della vita umana un sentimento nuovo, -grande o piccolo. Ora l’arte s’è privata della fonte da cui potevano -scaturire nuovi sentimenti, quando cominciò a fare stima dei sentimenti -non più secondo il concetto religioso che esprimono, ma secondo il -grado di piacere che procurano. Invero non c’è cosa meno variabile -e più costante del piacere, e nulla di più vario che i sentimenti -germogliati dalla coscienza religiosa delle varie età. Nè potrebbe -essere diversamente: il piacere ha dei limiti segnati dalla natura; -invece il progresso del genere umano non ha limiti. Ad ogni passo che -fa nel progresso il genere umano, vogliam dire nel vero progresso, -derivante da un nuovo sviluppo della coscienza religiosa, gli uomini -provano dei nuovi sentimenti. Solo dalla coscienza religiosa possono -scaturire nuove emozioni, non ancora mai provate. Dalla coscienza -religiosa dei greci defluirono i sentimenti così nuovi, importanti e -vari, che troviamo espressi in Omero e nei grandi tragici. Analogo è il -caso degli Ebrei giunti al concetto d’un Dio unico; dal qual concetto -scaturiscono gli affetti così freschi e gagliardi che furono resi dai -profeti. La stessa cosa si può ripetere per i poeti del medio evo, e -sarebbe lo stesso anche oggi per chi si rifacesse al concetto religioso -del vero Cristianesimo. - -La varietà dei sentimenti generati dalle concezioni religiose è -grandissima; e codesti sentimenti riescono sempre nuovi, perchè i -concetti religiosi sono sempre l’indice del futuro, cioè di nuovi -rapporti dell’uomo col mondo esterno. Per contro, quelli dovuti alla -caccia del piacere sono ristretti, e, inoltre, provati e arciprovati da -un pezzo. Perciò lo scetticismo delle classi superiori condannò l’arte -a nutrirsi dell’alimento più magro e più povero di tutti. - -Codesto impoverimento delle sorgenti dell’ispirazione s’accrebbe anche -per questo: che codesta arte, cessando d’essere religiosa, cessò pure -d’essere popolare, e restrinse la gamma dei sentimenti che poteva -trasfondere. Infatti il numero dei sentimenti che provano i ricchi e -i potenti, ignari dell’importanza del lavoro, è molto più ristretto -e insignificante che non sia quello dei sentimenti naturali dei -lavoratori. So che nelle riunioni dei nostri raffinati si sostiene -precisamente il contrario. Mi ricordo che il romanziere Gontciarof, -uomo istruito e intelligentissimo ma dato alla vita di città, un -giorno mi disse che dopo il Turghenief non restava più nulla a scrivere -intorno alla vita delle classi inferiori, come se quell’argomento fosse -esaurito. La vita dei contadini gli sembrava così miserabile, che i -racconti villerecci del Turghenief l’avevano sviscerata per intiero; -all’incontro la vita dei ricchi, colla loro galanteria e il loro -malcontento di tutto, gli pareva un soggetto inesauribile. - -Un gentiluomo, poniamo, dava un bacio alla sua dama sulla mano, un -altro sulla spalla, un terzo sulla nuca. Uno era annoiato per il non -far nulla, un altro perchè sentiva di non esser amato. E Gontciarof -era convinto che quella sfera offriva all’artista un’infinita varietà -di soggetti. Quanti non la pensano come lui! Quanti credono, come -lui, che la vita dei lavoratori sia povera di soggetti artistici, -e quella di noi oziosi ne sia riboccante! La vita del lavoratore -coll’infinita varietà delle forme di lavoro e del pericolo che le -accompagna, le migrazioni dell’operaio stesso, i suoi rapporti verso -i padroni, i sorveglianti, i compagni, verso uomini d’altre religioni -e d’altre nazioni, le sue lotte contro la natura e gli animali, le -sue occupazioni nella selva, nella steppa, nei campi, nei giardini, -i suoi rapporti colla moglie e coi figli, i suoi piaceri e i suoi -dolori, tutto questo ci sembra monotono a petto delle piccole gioie e -delle cure meschine della nostra vita, che non è vita di lavoro e di -produzione, ma di consumo e di distruzione di quanto altri ha prodotto -per noi. - -Noi c’imaginiamo che i sentimenti provati dalle persone della nostra -classe e del nostro tempo siano molto importanti e svariati; ma in -realtà è vero l’opposto, e si può ben dire che tutti i sentimenti -della nostra classe si riducono a tre categorie semplici e mediocri: -1.º il sentimento della vanità, al quale si rannodano l’ambizione e -il dispregio per gli altri; 2.º il sentimento del desiderio sessuale, -rivelantesi in forme diverse, partendo dalla galanteria divinizzata -dai poeti per giungere alla sensualità più grossolana e più ignobile; -3.º il sentimento di tedio per la vita. Questi tre sentimenti, e i loro -derivati, formano all’incirca l’unica materia dell’arte per le classi -agiate. - -Subito al primo separarsi di quest’arte nuova dedicata al piacere -dall’arte del popolo, vediamo predominare nel nuovo genere il -sentimento della vanità, dell’ambizione e del disprezzo per gli altri. -Nel Rinascimento, e per molto tempo appresso, soggetto principale delle -opere d’arte è l’elogio dei potenti, papi, re e duchi; si scrivono odi -e madrigali in loro onore, essi vengono celebrati nei cori e negl’inni, -sono riprodotti sulle tele e nei marmi. - -In seguito cominciò a penetrare sempre più nell’arte l’elemento del -desiderio sessuale; ed esso oramai, salvo rare eccezioni, costituisce -il nocciolo dei prodotti d’arte destinati alle classi ricche, -particolarmente dei romanzi. Dal Boccaccio a Marcello Prévost, i -romanzi, i racconti, le poesie esprimono il sentimento dell’amore -sessuale nelle varie sue forme. L’adulterio è il tema favorito, -per non dire l’unico, di tutti i romanzi. Ogni spettacolo di teatro -soggiace alla condizione indispensabile che, con un pretesto qualunque, -compaiano sulla scena delle donne col petto e le gambe denudate. Le -opere e le canzonette sono consacrate a idealizzare la lussuria. La -maggior parte dei quadri francesi rappresenta il nudo femminile. Nella -recente letteratura francese è molto se s’incontra una pagina, in cui -non ricorra l’aggettivo “nudo„. - -Un certo Rémy de Gourmont trova chi lo stampa, e passa per autore -d’ingegno; per formarmi un concetto di questi recentissimi scrittori, -lessi il suo romanzo _les chevaux de Diomède_. È un rendiconto -particolareggiato delle relazioni sessuali di alcuni signori con alcune -signore. Lo stesso si dica dell’_Aphrodite_ di Pierre Louys, che ha -avuto un successo enorme. Evidentemente questi autori sono persuasi -che, come essi passano la vita a imaginare diverse abbominazioni -sessuali, così il mondo intiero non debba far altro che imaginarne -esso pure. E costoro trovano infiniti imitatori tra tutti gli artisti -d’Europa e d’America. - -Il terzo dei grandi sentimenti espressi dall’arte dei ricchi, quello -del malcontento universale, manifestatosi più tardi che non gli altri -due, non assunse tutta la sua importanza che nel nostro secolo, e -trovò i suoi rappresentanti più efficaci nel Byron e nel Leopardi, e -dipoi nell’Heine. Oggi s’è fatto generale, e lo si ravvisa ripetuto -nelle varie opere d’arte, ma sovrattutto nelle poesie. Gli uomini -vivono di una vita sciocca e cattiva, e ne danno la colpa all’ordine -dell’universo. Ecco del resto con quanta verità il critico francese -Doumic tratteggia il carattere delle opere della nuova scuola: “È la -stanchezza della vita, il disprezzo dell’età presente, il rimpianto -di altri tempi, intravisti attraverso il prisma dell’arte, l’amore -del paradossale, il bisogno di mostrarsi originali, uno spasimare di -raffinati verso il semplice, l’adorazione puerile del maraviglioso, -la seduzione morbosa del fantasticare, l’alterazione dei nervi, — -sovrattutto lo stimolo furibondo della sensualità.„ - -A questo modo la miscredenza delle classi ricche e la loro vita -eccezionale produssero il primo effetto d’immiserire la materia -dell’arte loro propria, che s’è abbassata a non esprimere più altro se -non i tre sentimenti della vanità, dello stimolo sessuale, e del tedio -per la vita. - - - - -CAPITOLO IX. - -Gli effetti dell’arte pervertita; la ricerca dell’oscurità. - - -Il primo effetto della mancanza di fede nelle classi più elevate fu -per l’arte loro l’impoverimento della materia. Un secondo malanno -fu questo, che codesta arte, facendosi sempre più esclusiva, veniva -diventando di pari passo più artificiosa, più inceppata e più oscura. - -Nelle età di arte universale un artista, per esempio uno scultore greco -o un profeta ebreo, nelle sue creazioni si sforzava naturalmente di -dire ciò che voleva in modo tale che tutti potessero capire l’opera -sua. Allorchè invece gli artisti non lavorarono più che per un numero -ristretto di persone favorite da condizioni eccezionali, vale a dire -per papi, cardinali, re, duchi, o, non foss’altro, per le ganze dei -principi, naturalmente s’ingegnavano solo di far colpo su quelle -persone delle quali conoscevano bene i costumi e il gusto. E quel -genere di lavoro essendo più facile, l’artista si trovava adescato -senza saperlo a esprimersi con allusioni, chiare per gl’iniziati, -ma oscure per tutti gli altri. A quel modo era facile amplificare; e -poi anche agl’iniziati il vago e l’indefinito presentava una cotale -attrattiva. Siffatta tendenza, che si rivelava nelle allusioni -mitologiche e storiche e negli eufemismi, proseguì ad accentuarsi -fino all’età presente, nella quale pare abbia toccato il suo limite -estremo coll’arte dei moderni decadenti. In ultima analisi essa è -giunta a segno, che nelle opere artistiche non solo furono elevate a -pregi, — anzi a condizioni di poesia, — l’affettazione, la confusione, -l’oscurità, il sottrarsi all’intelligenza della moltitudine, ma -sono avviate a diventare meriti artistici anche le scorrezioni, le -incertezze, le mende tecniche d’ogni guisa. - -Teofilo Gautier, nella sua prefazione al celebre libro del Baudelaire -_Fleurs du mal_, dice che il Baudelaire sbandiva più che potesse dalla -poesia “l’eleganza, la passione, e la verità riprodotta con troppa -esattezza„. - -Il poeta Verlaine venuto dopo il Baudelaire, e riputato anch’esso uno -dei grandi, lasciò un’_Arte poetica_ in cui raccomanda di scrivere -così: - - De la musique avant toute chose, - Et, pour cela, préfère l’Impair, - Plus vague et plus soluble dans l’air, - Sans rien en lui qui pèse ou qui pose. - - Il faut aussi que tu n’ailles point - Choisir tes mots sans quelque méprise, - Rien de plus cher que la chanson grise; - Où l’Indécis au Précis se joint. - . . . . . . . . . . . . . . . . . . - -E più sotto: - - De la musique encor et toujours! - Que ton vers soit la chose envolée - Qu’on sent qui fuit d’une âme en allée - Vers d’autres cieux à d’autres amours! - - Que ton vers soit la bonne aventure - Éparse au vent crispé du matin, - Qui va fleurant la menthe et le thym.... - Et tout le reste est littérature. - -Il poeta Mallarmé che, dopo i due predetti, è ritenuto dai giovani -come il più ragguardevole, dichiara apertamente che l’attrattiva -della poesia sta nel doverne indovinare il significato, e che ogni -composizione poetica deve sempre contenere un enigma: - - “Io penso che occorre non ci sia altro che allusione. La - contemplazione degli oggetti, l’imagine liberantesi dalle - fantasticherie suscitate per essi, sono il canto. I Parnassiani, - loro, prendono la cosa intieramente, e la mostrano; con ciò, essi - mancano di mistero; tolgono alle menti quella gioia deliziosa che - proviene dal credere di creare. Nominare un oggetto è sopprimere i - tre quarti del godimento della poesia, che è fatta della felicità - d’indovinare a poco a poco; suggerirlo, ecco l’ideale. È il - perfetto uso di questo mistero che costituisce il simbolo; evocare - a poco a poco un oggetto per palesare uno stato d’anima, o, a - rovescio, scegliere un oggetto e svilupparne uno stato d’anima con - una serie d’interpretazioni.... Se un essere d’intelligenza media - e d’una preparazione letteraria insufficiente apre a caso un libro - così fatto, e pretende di poterne godere, c’è malinteso, bisogna - dissiparlo. Nella poesia ci deve sempre essere dell’enigma; ed il - fine della letteratura, l’unico, è quello di evocare gli oggetti.„ - (Risposta di MALLARMÉ a J. HURET nell’_Enquête sur l’évolution - littéraire_). - -Come vede ognuno, si tratta dell’oscurità eretta a dogma artistico. -E il critico francese Doumic, al quale codesto dogma non va ancora -a sangue, dice con ragione: “Sarebbe ora di farla finita con questa -famosa dottrina dell’oscurità, che la nuova scuola ha realmente elevata -all’altezza d’un dogma„. - -A pensare così non sono soltanto i giovani artisti francesi. -Dappertutto i poeti pensano e fanno il medesimo, in Germania, nella -Scandinavia, in Italia, in Russia, in Inghilterra. Gli stessi principii -ritornano pure fra i cultori di altre ramificazioni dell’arte, fra i -pittori, gli scultori, i musicisti. Appoggiandosi alle dottrine del -Nietzsche e all’esempio del Wagner gli artisti delle nuove generazioni -credono inutile per loro di farsi intendere dalla moltitudine; si -contentano di evocare il sentimento poetico in una schiera eletta di -raffinati. - -Affinchè non si creda che le mie affermazioni sieno esagerate, citerò -alcuni passi dei poeti francesi che si posero alla testa del movimento -decadente. Questi poeti si chiamano legione. Se poi cito soltanto dei -Francesi, egli è perchè ora sono essi i corifei del nuovo movimento -artistico, mentre il resto d’Europa si contenta d’imitarli. Oltre a -quelli già ritenuti celebri, come il Baudelaire e il Verlaine, eccovi -i nomi di alcuni altri: Jean Moréas, Charles Morice, Henri de Régnier, -Charles Vignier, Adrien Remacle, René Ghil, Maurice Maeterlinck, -Rémy de Goumont, Saint-Pol-Roux-le-Magnifique, Georges Rodenbach, il -conte Robert de Montesquiou-Fezenzac. Questi sono i _simbolisti_ e i -_decadenti_; ma ci sono altresì i _magi_: il Sâr Peladan, Paul Adam, -Jules Bois, Papus, e altri. E potreste leggere altri cento quarantun -nomi, mentovati dal Doumic nel suo libro _Les jeunes_. - -Ecco pertanto alcuni saggi di coloro che sono ritenuti fra i migliori, -cominciando da quel celebre Baudelaire, che fu giudicato degno -dell’onore d’una statua. Udite questa poesia appartenente ai suoi -_Fleurs du mal_: - - Je t’adore à l’egal de la voûte nocturne, - O vase de tristesse, ô grande taciturne, - Et t’aime d’autant plus, belle, que tu me fuis, - Et que tu me parais, ornement de mes nuits, - Plus ironiquement accumuler les lieues - Qui séparent mes bras des immensités bleues. - - Je m’avance à l’attaque, et je grimpe aux assauts, - Comme après un cadavre un chœur de vermisseaux, - Et je chéris, ô bête implacable et cruelle, - Jusqu’à cette froideur par où tu m’es plus belle! - -Trascriviamo un sonetto dello stesso autore: - - DUELLUM. - - Deux guerriers ont couru l’un sur l’autre; leurs armes - Ont éclaboussé l’air de lueurs et de sang. - Ces jeux, ces cliquetis du fer, sont les vacarmes - D’une jeunesse en proie à l’amour vagissant. - - Les glaives sont brisés! comme notre jeunesse, - Ma chère! Mais les dents, les ongles acérés - Vengent bientôt l’épée et la dague traîtresse; - O fureur des cœurs mûrs par l’amours ulcérés! - - Dans le ravin hanté des chats-pards et des onces - Nos héros, s’étreignant méchamment, ont roulé, - Et leur peau fleurira l’aridité des ronces. - - Ce gouffre, c’est l’enfer, de nos amis peuplé! - Roulons-y sans remords, amazone inhumaine, - Afin d’éterniser l’ardeur de notre haine! - -Per la sincerità debbo aggiungere che nella raccolta citata (_Fleurs du -mal_) ci sono altresì delle poesie meno difficili a capirsi, ma nessuna -è così semplice che si possa intendere senza sforzo; e di solito lo -sforzo non è compensato, poichè i sentimenti espressi dal poeta non -sono belli, e in genere appartengono a un ordine assai basso. Inoltre -sono esposti a bello studio con eccentricità, e senza alcun riguardo -per il buon senso. La ricerca dell’oscurità riesce ancora più evidente -nella sua prosa, in cui, se volesse, gli sarebbe più facile parlar -chiaramente. Eccovi, tradotto letteralmente, il primo numero dei suoi -_Petits poèmes en prose_: - - LO STRANIERO. - - Chi ami di più, uomo enigmatico, dimmi, tuo padre, tua madre, tua - sorella, o tuo fratello? - Non ho nè padre, nè madre, nè sorella, nè fratello. - I tuoi amici? - Voi vi servite d’una parola il senso della quale m’è rimasto ignoto - sino a oggi. - La tua patria? - Ignoro sotto che latitudine si trovi. - La bellezza? - L’amerei volontieri, dea e immortale. - L’oro? - Lo detesto, come voi detestate Dio. - Che cos’ami allora, singolarissimo straniero? - Amo le nubi.... le nubi che passano.... laggiù.... le nubi - meravigliose! - -La composizione intitolata _La Soupe et les Nuages_, secondo -ogni apparenza fu fatta per dimostrare che il poeta sa restare -incomprensibile persino alla donna amata. Eccola: - - La mia cara pazzerella mi dava da desinare, e, attraverso la - finestra spalancata della sala da pranzo, io contemplavo le - mobili architetture che Dio fabbrica coi vapori, le costruzioni - meravigliose dell’impalpabile. E dicevo a me stesso durante la mia - contemplazione: “Tutte queste fantasmagorie sono belle quasi come - gli occhi della mia bella dama, la pazzerella mostruosa dagli occhi - verdi.„ - - A un tratto ricevetti un forte pugno nella schiena e udii una voce - roca e graziosa, una voce isterica e come velata per l’acquavite, - la voce della mia cara piccola adorata, che mi diceva: “Volete - o non volete mangiare la minestra, sudic.... d’un mercante di - nuvoli?„ - -Per quanto sia ricercato lo stile di questo frammento con un po’ -di buona volontà si può ancora indovinare ciò che volle esprimere -l’autore; ma ve n’ha di quelli che sono assolutamente incomprensibili, -almeno per me. Adduco per esempio il _Galant tireur_, del quale mi -sfugge affatto il senso: - - Mentre la carrozza traversava il bosco, egli la fece fermare presso - a un tiro a segno, dicendo che aveva gusto di tirare qualche palla - per ammazzare il tempo. - - Ammazzare quel mostro, non è forse l’occupazione più comune e più - legittima di ciascuno? E da buon cavaliere offerse la mano alla - sua cara, deliziosa, esecrabile moglie, alla quale è debitore di - tanti piaceri, di tanti dolori e fors’anco d’una gran parte del suo - talento. - - Parecchie palle fallirono il segno; anzi una andò a ficcarsi nel - soffitto; e poichè quella graziosa creatura rideva pazzamente - dell’incapacità di suo marito, questi si voltò bruscamente verso - di lei, e le disse: “Guardate laggiù a destra quella bambola che ha - il naso per aria, e una cera così orgogliosa. Ebbene, angelo caro, - mi figuro che siate voi„. E chiuse gli occhi, e fece scattare il - grilletto. La bambola fu decapitata di netto. - - Allora egli facendo un inchino alla sua cara, deliziosa, esecrabile - moglie, alla sua Musa inevitabile e inesorabile, e baciandole - rispettosamente la mano, soggiunse: “Angelo caro, quanto vi - ringrazio della mia abilità!„ - -I parti poetici dell’altro (grande poeta), il Verlaine, non sono meno -affettati e incomprensibili. Udite la prima poesia della raccolta -intitolata _Ariettes oubliées_: - - C’est l’extase langoureuse, - C’est la fatigue amoureuse, - C’est tous les frissons des bois - Parmi l’étreinte des brises, - C’est, vers les ramures grises, - Le chœur des petites voix. - - O le frêle ot frais murmure! - Cela gazouille et susurre, - Cela ressemble au cri doux - Que l’herbe agitée expire.... - Tu dirais, sous l’eau qui vire, - Le roulis sourd des cailloux. - - Cette âme qui se lamente - En cette plainte dormante - C’est la nôtre, n’est-ce pas? - La mienne, dis, et la tienne, - Dont s’exhale l’humble antienne - Par ce tiède soir, tout bas? - -Che cosa sia codesto _chœur des petites voix, e quel cri doux que -l’herbe agitée expire_, e che voglia dire tutta la poesia, confesso che -non sono riuscito a capirlo. Eccovi un’altra ariette: - - Dans l’interminable - Ennui de la plaine, - La neige incertaine - Luit comme du sable. - - Le ciel est de cuivre, - Sans lueur aucune - On croirait voir vivre - Et mourir la lune. - - Comme des nuées, - Flottent gris les chênes - Des forêts prochaines - Parmi les buées. - - Le ciel est de cuivre, - Sans lueur aucune. - On croirait voir vivre - Et mourir la lune. - - Corneille poussive, - Et vous, les loups maigres, - Par ces bises aigres - Quoi donc vous arrive? - - Dans l’interminable - Ennui de la plaine, - La neige incertaine - Luit comme du sable. - -Come mai può sembrare che la luna viva e muoia in un _ciel de cuivre, -sans lueur aucune_? E come mai la neve può _luire comme du sable_? -Tutto ciò non è soltanto incomprensibile, ma colla scusa della -suggestione d’impressioni, è un tessuto di metafore scorrette e di -parole senza senso. Del resto nel Verlaine come nel Baudelaire insieme -a codeste poesie ricercate e incomprensibili, ce ne sono delle altre -facili a capirsi; ma in cambio mi paiono misere di sostanza e di forma. -Per esempio, le poesie che formano la raccolta intitolata _Sagesse_, -sono dedicate principalmente all’espressione mediocrissima dei più -volgari sentimenti cattolici e patriottici. Vi s’incontrano delle -strofe come la seguente; - - Je ne veux plus penser qu’à ma mère Marie, - Siège de la sagesse et source de pardons, - Mère de France aussi, de qui nous attendons - Inébranlablement l’honneur de la patrie. - -Prima di addurre dei saggi di altri poeti, non posso trattenermi -dall’insistere sulla gloria straordinaria di questi due autori, -Baudelaire e Verlaine, oggi riconosciuti in tutta l’Europa come i più -grandi ingegni della poesia moderna. Perchè mai i Francesi, che ebbero -Chénier, Lamartine, Musset, e soprattutto Vittor Hugo, che recentemente -ancora hanno avuti i Parnassiani, Lecomte de Lisle, Sully Prudhomme, -perchè mai hanno potuto dare un’importanza così smisurata e decretare -una gloria così alta a questi due poeti, così imperfetti di forma, e -così volgari e bassi nella sostanza degli argomenti? Il concetto che il -Baudelaire aveva della vita consisteva nell’erigere in teoria l’egoismo -più grossolano, e nel sostituire alla moralità un ideale discretamente -nebuloso della bellezza, e d’una bellezza affatto artificiale. Il -Baudelaire sosteneva di preferire un viso di donna imbellettato -al medesimo viso col colorito naturale; gli alberi metallici e -l’imitazione dell’acqua sulla scena gli piacevano di più che non i veri -alberi e la vera acqua. La filosofia dell’altro poeta, del Verlaine, -consisteva nella più abbietta dissolutezza, nel confessare la propria -impotenza morale, e nella più grossolana idolatria cattolica presa -come antidoto di quella impotenza. Avevano poi entrambi in comune la -mancanza assoluta di sincerità, di freschezza e di semplicità, ed erano -pieni d’affettazione, di pretensioni e di smania per l’eccentricità. -Nei loro scritti migliori troviamo sempre il signor Baudelaire o il -signor Verlaine piuttostochè l’argomento di cui sembrano occuparsi. -E dire che quei due cattivi poeti hanno fatto scuola, e si trascinano -dietro delle centinaia d’imitatori! È un fatto veramente strano: e non -ne vedo altra spiegazione che questa: cioè che l’arte di quella società -nella quale nascono produzioni simili, non è cosa seria, importante per -la vita, ma un semplice spasso. Ora ogni spasso troppo ripetuto finisce -coll’annoiare. Quindi per rendere di nuovo sopportabile un passatempo -che ci annoia, occorre rinfrescarlo. - -Quando si è sazi del _boston_, si gioca a _whist_; se il _whist_ ci -ha ristucchi, ci volgiamo al _picchetto_, e dopo questo all’_écarté_, -e via dicendo. La sostanza del trastullo rimane la stessa; cambia -soltanto la forma. Così avviene per codest’arte; la materia che -le appartiene s’è ristretta a segno, che oramai agli artisti delle -classi superiori sembra che tutto sia rifritto, e non ci sia più nulla -da dire. Quindi il bisogno di cercar sempre delle forme nuove per -rinfrescare l’arte loro. - -Il Baudelaire e il Verlaine inventarono per l’appunto delle forme -nuove, le condirono di particolari pornografici ai quali prima di -loro nessuno s’era degnato di abbassarsi; tanto bastò perchè fossero -salutati grandi scrittori dai critici e dal pubblico delle classi -colte. - -Il successo non solo del Baudelaire e del Verlaine, ma di tutta la -scuola decadente, non si spiega altrimenti. Ci sono in particolar -modo delle poesie del Mallarmé e del Maeterlinck che, a leggerle, sono -prive di senso, e nonostante questa graziosa loro proprietà, anzi forse -per questa, si stampano a decine d’edizioni, e vengono inserite nelle -antologie delle migliori produzioni appartenenti ai giovani poeti. Si -legga per esempio questo sonetto del Mallarmé: - - A la nue accablante tu, - Basse de basalte et de laves, - A même les échos esclaves, - Par une trompe sans vertu, - - Quel sépulcral naufrage (tu - Le sais, écume, mais y baves), - Suprême une entre les épaves, - Abolit le mât dévêtu; - - Ou cela que furibond faute - De quelque perdition haute - Tout l’abîme vain éployé - - Dans le si blanc cheveu qui traîne - Avarement aura noyé - Le flanc enfant d’une sirène. - -Questa poesia non è più incomprensibile di altri scritti, anche di -prosa, dello stesso autore. Citiamo per esempio: - - IL FENOMENO FUTURO. - - Un cielo pallido, sul mondo che basisce di decrepitezza, pare - voglia farla finita in un colle nuvole; i brandelli della - porpora logora dei tramonti si stingono in un fiume, che dorme - all’orizzonte sommerso nei raggi e nell’acqua. Gli alberi - s’annoiano, e sotto il loro fogliame imbiancato (più dalla polvere - del tempo, che non da quella della strada) s’innalza la casa di - tela del Mostratore delle Cose Passate. Molti fanali attendono - il crepuscolo e ravvivano i visi d’una folla disgraziata, vinta - dalla malattia immortale e dal peccato dei secoli; d’uomini - accanto alle loro gracili complici, incinte dei frutti miserabili - coi quali perirà la terra. Nel silenzio inquieto di tutti gli - occhi supplicanti laggiù il sole, che, sott’acqua, si sprofonda - colla disperazione d’un grido, ecco il semplice avviso: “Nessuna - insegna vi fa dono dello spettacolo interiore, poichè ora non c’è - alcun pittore capace di darne un’ombra triste. Io vi reco viva (e - conservata attraverso gli anni dalla scienza sovrana) una Donna - d’altri tempi. Una certa follia, originale e ingenua, un’estasi - d’oro — non so che! — detta da essa la sua capigliatura, si piega - col garbo delle stoffe intorno a un viso illuminato dalla nudità - sanguigna delle sue labbra. Invece del vestito vano ella ha un - corpo; e gli occhi — simili alle pietre preziose! non offuscano - lo sguardo che esce dalla sua carne felice; le mammelle alzate, - come se fossero piene d’un latte perpetuo, la punta verso il - cielo, le gambe liscie che conservano il sale del mare primitivo.„ - Rammentando le loro povere spose, calve, frolle, e piene d’orrore, - i mariti s’accalcano; anch’esse per curiosità, malinconiche, - vogliono vedere. - - Quando tutti avranno contemplata la nobile creatura, vestigio - di qualche epoca già maledetta, gli uni indifferenti perchè - non avranno avuto la forza di capire; ma altri, angosciati e le - palpebre umide di lacrime rassegnate, si guarderanno; mentre i - poeti di questi tempi, sentendosi ravvivare gli occhi spenti, - s’avvieranno verso la loro lampada, col cervello ebbro per un - istante d’una gloria confusa, assediati dal Ritmo, e dimentichi - d’esistere in un’età che sopravvive alla bellezza. - -Ed ecco una canzone di Maeterlinck, altro scrittore celebre della -giornata: - - “Quand il est sorti - (J’entendis la porte) - Quand il est sorti - Elle avait souri.... - - “Mais quand il entra - (J’entendis la lampe) - Mais quand il entra - Un autre était là.... - - “Et j’ai vu la mort - (J’entendis son âme) - Et j’ai vu la mort - Qui l’attend encore.... - - “On est venu dire - (Mon enfant, j’ai peur) - On est venu dire - Qu’il allait partir.... - - “Ma lampe allumée - (Mon enfant, j’ai peur) - Ma lampe allumée - Me suis approchée.... - - “A la première porte - (Mon enfant, j’ai peur) - A la première porte - La flamme a tremblé.... - - “A la seconde porte - (Mon enfant, j’ai peur) - A la seconde porte - La flamme a parlé.... - - “A la troisième porte - (Mon enfant, j’ai peur) - A la troisième porte - La lumière est morte.... - - “Et s’il venait un jour - Que faut-il lui dire? - — Dites-lui qu’on l’attendit - Jusqu’à s’en mourir.... - - “Et s’il demande où vous êtes - Que faut-il répondre? - — Donnez-lui mon anneau d’or - Sans rien lui répondre.... - - “Et s’il m’interroge alors - Sur la dernière heure? - Dites-lui que j’ai souri - De peur qu’il ne pleure.... - - “Et s’il m’interroge encore - Sans me reconnaître? - — Parlez-lui comme une sœur, - Il souffre peut-être.... - - “Et s’il veut savoir pourquoi - La salle est déserte? - — Montrez-lui la lampe éteinte - Et la porte ouverte....„ - -Chi “è uscito?„ Chi “entrò?„ Chi “parla?„ Chi “ha sorriso?„ - -Per evitare il rimprovero di aver scelto i versi più cattivi, ho -copiato, in ciascun volume, la poesia che si trova alla pagina 28. Gli -altri versi di questi poeti non sono più comprensibili; qualche volta -si riesce, dopo un grande sforzo, a capirne qualche cosa. - -In Francia Si contano a centinaia i poeti che producono delle opere -congeneri. E delle altre consimili si stampano in Germania, nella -Svezia, in Italia, e da noi in Russia. E per comporre, stampare, -impaginare, e rilegare opere siffatte si spendono milioni e milioni di -giornate laboriose; tante almeno quante ce ne vollero per innalzare la -Piramide maggiore. - -Lo stesso poi accade in tutte le altri arti, nella pittura, nella -musica, nella drammatica; si sciupa un lavoro infinito per rendere -possibile la produzione di opere del pari enigmatiche. - -La pittura, per esempio, in codesta via va ancora più oltre della -poesia. Presento qui alcune linee estratte dal taccuino d’un amatore di -pittura, che si trovava a Parigi nel 1894: - - Oggi sono stato a tre esposizioni; dei simbolisti, degli - impressionisti, e dei neo impressionisti. Ho contemplato con - accuratezza e coscienza tutti i quadri, e tutti mi hanno cagionato - lo stesso stupore. La più intelligibile delle tre esposizioni mi è - parsa quella degl’impressionisti. Pure ci ho veduti i lavori d’un - certo Camillo Pissaro, così confusi nel disegno che non riuscivo a - capire da che parte fosse voltata una testa, oppure una mano. Gli - argomenti erano di solito “effetti„: _Effetto di nebbia, Effetto - di sera, Tramonto del sole_. Nei colori predominavano l’azzurro - e il verde stridente. Ogni quadro aveva il suo colore speciale, - di cui era in certo modo tutto inondato. Per esempio nella - _Guardiana delle oche_ il colore particolare era il verdegrigio, - e si avvertivano, sparse un po’ dappertutto, delle chiazze di - codesto colore sul volto della figura, sui capelli, sulle mani, - sulle vesti. Nella stessa galleria c’erano altri dipinti di Puvis - de Chavannes, Manet, Monet, Renoir, Sisley, tutti impressionisti. - Uno di essi, che aveva un nome sul fare di _Redon_, aveva dipinto - di profilo una faccia interamente turchina. Ho pur veduto un - acquerello del Pissaro tutto fatto di puntolini di diversi colori. - Impossibile distinguere il colore generale, tanto avvicinandosi al - quadro quanto scostandosene. - - Di poi sono passato ai simbolisti. Dapprima mi sono sforzato di - esaminare i loro lavori senza chiedere spiegazioni a nessuno, - desiderando di comprenderne il senso da me; ma quei lavori - sfidano ogni acume d’intelligenza. Il mio sguardo fu subito - attratto da un altorilievo intagliato nel legno, eseguito con una - grossolanità inconcepibile, e rappresentante una donna nuda, che, - premendolo colle mani, si faceva uscire dal seno un fiotto di - sangue. Il sangue scorreva e diventava a poco a poco del colore - delle glicinie. I capelli prima scendevano, poi risalivano e si - trasformavano in un albero. La figura era tutta colorita di giallo, - eccetto i capelli, che erano neri. - - Lì vicino c’era un quadro; un mare giallo sul quale nuotava un - certo arnese che s’assomigliava parte a un battello e parte a un - cuore; all’orizzonte s’elevava un profilo con un’aureola e certi - capelli gialli, che si andavano a confondere col mare. Alcuni - degli espositori stemperano sulla tela uno strato così spesso di - colore che l’effetto dei loro lavori tramezza tra la pittura e la - scultura. Altro quadro, ancora più strano; un profilo d’uomo con - una fiamma davanti, e dei raggi neri — rappresentanti, a quanto mi - si disse di poi, delle sanguisughe. Alla fine ho dovuto chiedere - a uno dei presenti il significato di quegl’indovinelli. Mi chiarì - che l’altorilievo era simbolico, e rappresentava la _Terra_. Il - cuore che navigava sul mar giallo era l’_Illusione_, e l’uomo delle - sanguisughe raffigurava il _Male_. - -Ciò si faceva nel 1894. Codesta tendenza s’accentuò dipoi sempre -maggiormente. Adesso in pittura primeggiano Boecklin, Stuck, Klinger e -altrettali. - -Lo stesso succede nel dramma. Gli scrittori teatrali ora ci presentano -un architetto che per qualche motivo misterioso, non ha effettuato -i suoi disegni primitivi e sublimi, e perciò s’arrampica sul tetto -d’una casa costrutta da lui, e si precipita abbasso a capofitto.[13] -Ora sarà una vecchia enigmatica, dedita al mestiere di sterminare -i topi, che, senza alcun motivo concepibile, conduce un ragazzetto -al mare, e ve lo annega. Oppure saranno dei ciechi i quali, sedendo -sulla riva dell’acqua, ripetono all’infinito le stesse parole.[14] -Oppure una campana che si slancia in un lago, e là sotto comincia a -scampanare.[15] - -Lo stesso fenomeno riscontrasi nella musica, in un’arte che pareva -dovesse rimanere costantemente accessibile a tutti. Qualcuno dei -musicisti riputati siede al pianoforte in vostra presenza ed eseguisce -ciò che egli dirà essere una composizione nuova, o sua, o di qualche -altro musicista moderno. Lo udite produrre dei suoni strani e rumorosi, -ammirate la ginnastica delle sue dita, e per dippiù capite che egli -vuol farvi credere che i suoni così ottenuti esprimono varj sentimenti -poetici dell’anima. La sua intenzione è chiara; ma in noi non si -trasfonde altro sentimento che non sia quello d’una noia mortale. -L’esecuzione dura a lungo, o almeno a voi pare così, in quanto non -riuscite a ricevere alcuna nettezza d’impressioni. E v’imaginate che -forse tutto quell’armeggìo non è che una mistificazione, che forse -l’artista vuol mettervi alla prova e getta a caso le dita sui tasti, -sperando di cogliervi, e di potervi poi dar la baia. Tutt’altro. Quando -il pezzo di musica è finito, e il musicista, scalmanato e sudato, -s’alza dal piano, aspettandosi manifestamente le vostre lodi, dovete -riconoscere che egli faceva da senno. E ciò avviene in tutti i concerti -nei quali si suonano dei pezzi di Liszt, Wagner, Berlioz, Brahms, -Riccardo Strauss e dei compositori innumerevoli appartenenti alla -scuola nuova. - -La medesima tendenza ha invaso il dominio dei romanzi e dei racconti, -dove parrebbe impossibile che altri non si voglia far capire. -Leggete _Laggiù!_ del Huysmans, o qualche novella di Kipling, o -l’_Annonciateur_ del Villiers de l’Isle-Adam; tali lavori vi parranno -non soltanto _abscons_ (reconditi), per servirci d’un termine della -nuova scuola, ma pressochè incomprensibili, sia per la forma, sia per -la sostanza. - -Nello stesso caso è un romanzo di E. Morel, uscito testè nella _Revue -Blanche_, come la maggior parte dei nuovi romanzi. Lo stile vi è -sommamente enfatico, i sentimenti paiono arcielevati; ma è impossibile -decifrare che cosa avvenga, dove avvenga, e a chi avvenga. - -E tale è tutta l’arte della gioventù dei nostri tempi. - - -Gli uomini della prima metà del nostro secolo, ammiratori del -Goethe, dello Schiller, del Musset, dell’Hugo, del Dickens, del -Beethoven, dello Chopin, di Raffaello, di Leonardo, di Michelangelo, -del Delaroche, non intendendo nulla dell’arte nuova, s’adattano di -buon grado a considerarla come una mera follìa, o come uno scherzo -di cattivo gusto, e si volgono via da essa scrollando le spalle. Ma -codesto è un atteggiamento ingiusto rispetto a quest’arte; perchè -in primo luogo essa è avviata a estendersi sempre più, e s’è già -conquistato nel mondo un posto uguale a quello che vi occupava il -romanticismo nel 1830; e poi, perchè se condanniamo le opere dell’arte -decadente solo perchè non le comprendiamo, dobbiamo pur pensare che -c’è un gran numero di persone, tutti i lavoratori, e anche una gran -parte delle classi più elevate, che non comprendono meglio le opere -d’arte ritenute da noi le più belle, cioè le poesie del Goethe, dello -Schiller, dell’Hugo, i romanzi del Dickens, la musica del Beethoven e -dello Chopin, i quadri di Raffaello e di Leonardo da Vinci, le statue -di Michelangelo, ecc. - -Se ho il diritto di credere che la gran maggioranza degli uomini non -capisce nè gusta codeste opere, per me così perfette, a cagione di -scarso sviluppo intellettuale, non ho poi il diritto di negare che io -possa non intendere e non gustare i prodotti dell’arte nuova unicamente -a cagione della mia cultura insufficiente. Se io ho il diritto di dire -che la mia impossibilità a comprendere le opere delle nuove scuole -proviene dal non esservi nulla di comprensibile, altri potrà dire con -lo stesso diritto, che tutto ciò che io considero capolavori dell’arte, -non è che arte cattiva, e incomprensibile, perchè l’enorme massa del -popolo non è in grado di comprenderci nulla. - -Mi sono un giorno capacitato di quanto v’è d’ingiusto in questo mondo -di condannare l’arte delle nuove scuole. E fu un giorno che udii -un poeta, autore di versi incomprensibili, tempestare di sarcasmi -la musica incomprensibile; e subito dopo incontrai un musicista, -autore di sinfonie incomprensibili, che non rifiniva di sbeffeggiare -i poeti incomprensibili. Non è giusto che condanniamo l’arte nuova -fondandoci sul fatto che noi, uomini della prima metà del secolo, -non l’intendiamo. Abbiamo solo diritto di dire che quest’arte è -incomprensibile per noi. L’unica superiorità dell’arte che noi -ammiriamo sull’arte dei decadenti sta in questo, che l’arte caldeggiata -da noi è accessibile a un maggior numero di persone che non sia l’arte -d’oggidì. - -Da questo fatto che io mi trovo nell’impossibilità di comprendere un -genere d’arte, perchè sono avvezzo a un altro genere, non ho alcun -diritto di conchiudere che il genere ammirato da me sia il solo vero, e -che quello che io non intendo, sia falso e pervertito. - -Da un fatto simile, solo questo io posso argomentare: che l’arte, -facendosi sempre più esclusiva, è diventata sempre meno accessibile, e -nel suo cammino verso l’inintelligibile, ha oltrepassato quel punto in -cui mi trovavo io stesso. - -Dacchè l’arte delle classi superiori s’è staccata dall’arte popolare, -sorse il convincimento che l’arte potesse restare sempre arte -senza essere più intesa dalla moltitudine. E una volta ammesso quel -principio, era prevedibile che a poco a poco l’arte non sarebbe più -stata accessibile che a una piccola cerchia d’iniziati, e da ultimo -solo a due o tre persone, anzi a una sola, all’artista creatore. E -così parlano per l’appunto gli artisti moderni: “Io creo, e intendo me -stesso; se qualcuno è inetto a capirmi, peggio per lui.„ - -Ma questa affermazione che l’arte può essere vera, e rimanere -inaccessibile a un gran numero di persone, è perfettamente assurda, e -le sue conseguenze sono disastrose per l’arte stessa; tuttavia è così -comune e predominante tra di noi, che non s’insisterà mai di troppo -sulla sua assurdità. - -Il dire che un’opera d’arte è buona e cionondimeno incomprensibile alla -maggior parte degli uomini, equivale a dire che un qualche alimento -sia buono, ma che i più non possono mangiarlo. La maggior parte degli -uomini può rifuggire dal cacio putrido, o dalla selvaggina verminosa, -che sono leccornìe per la gente di gusto pervertito, ma il pane e -le frutta non sono buoni, se non quando piacciono alla maggioranza. -In arte è la stessa cosa. L’arte pervertita può non piacere alla -maggioranza, ma l’arte buona deve piacere di necessità a tutti. - -Dicono che per intendere le più eccelse opere d’arte occorra -una preparazione speciale. Ebbene, se non si possono intendere -naturalmente, ci saranno delle cognizioni atte a render l’uomo capace -d’intenderle, suscettibili d’essere insegnate e spiegate. Ma in realtà -non c’è nessuna cognizione di tal sorta, e ognuno sa che il valore -delle opere d’arte non si può spiegare. Ci si ricanta bensì che per -intendere quei capolavori occorre rileggerli, rivederli, riudirli senza -stancarsi. Ma ciò non è spiegare, è solamente avvezzare. E gli uomini -s’avvezzano a tutto, anche alle cose peggiori. Se sanno abituarsi alla -carne putrida, all’acquavite, al tabacco, all’oppio, possono parimente -abituarsi all’arte guasta; ed è quello che per l’appunto succede. - -D’altra parte non si può affermare che la maggioranza degli uomini non -abbia il gusto necessario per comprendere le manifestazioni più elevate -dell’arte. La moltitudine ha sempre inteso, e continua a intendere -ciò che anche noi riconosciamo per ottimo, per es., l’epopea della -Genesi, le parabole del Vangelo, i racconti delle fate, le leggende e -le canzoni popolari. Perchè dunque la moltitudine avrebbe perduto a un -tratto questa attitudine naturale, e non saprebbe più intendere l’arte -del tempo nostro? - -Trattandosi d’una parlata, anche stupenda, possiamo ammettere che -sia incomprensibile per quelli che ignorano la lingua in cui essa è -pronunziata. Un discorso in cinese potrà essere splendido; ma se non -conosco il cinese, non lo capirò di certo. Per contro un’opera d’arte -si distingue da tutte le altre manifestazioni dello spirito in quanto -il suo linguaggio è inteso da tutti, e tocca tutti indistintamente. -Le lacrime e il riso d’un Cinese mi commuovono nè più nè meno che il -pianto e il ridere d’un Russo; lo stesso vale per la pittura, per -la musica, per la poesia, purchè quest’ultima sia tradotta in una -lingua per me comprensibile. I canti d’un Kirghiso o d’un Giapponese -faranno minore impressione su di me che non sopra un Kirghiso o un -Giapponese, ma a ogni modo mi commuovono. Son tocco parimente dalla -pittura giapponese, dall’architettura indiana, dalle novelle arabe. -E se mi trovo meno sensibile d’un Giapponese o d’un Cinese alle loro -canzoni e ai loro romanzi, ciò avviene non già perchè io non capisca -l’arte loro, come troppo eccelsa, ma perchè conosco delle altre forme -d’arte più elevate. I capolavori artistici non sono tali se non perchè -sono intelligibili a ciascuno. La storia di Giuseppe voltata in cinese, -commuove i Cinesi. Così noi siamo tocchi dal racconto della vita di -Sakya-Muni. Perciò si conchiude che, se una forma d’arte non riesce a -commuovere, ciò si deve imputare non a mancanza di gusto o d’intelletto -nella gente, ma piuttosto al non essere quella arte vera, arte buona. - -L’arte differisce dalle altre forme dell’attività mentale in questo: -che può agire sugli uomini indipendentemente dal loro stato di sviluppo -e di cultura, adescandoli con l’incanto dei colori, dei suoni, delle -imagini. Anzi, ufficio essenziale dell’arte è di far sentire e capire -ciò che sotto forma di ragionamento resterebbe inaccessibile ai più. -Chi riceve una vera impressione artistica s’imagina d’aver già saputo -quanto l’arte gli rivela, pur essendo incapace ad esprimerlo. - -E tale fu sempre l’indole dell’arte buona e vera. L’Iliade, l’Odissea, -le storie d’Isacco, di Giacobbe, di Giuseppe, i canti dei profeti -ebrei, i Salmi, le parabole del Vangelo, la vita di Sakya-Muni -(Budda), gl’inni vedici, esprimono sentimenti elevati, e ci sono -pur tuttavia intelligibili, come lo furono molti secoli addietro -a uomini meno civili ancora dei nostri contadini. Le chiese, e le -imagini ch’esse contengono, non sono mai state incomprese da nessuno. -L’ostacolo a capire i sentimenti più alti non risiede nella deficienza -di svolgimento o di sapere, ma ben piuttosto in un falso progresso, -e una scienza falsa. Un’opera d’arte buona ed elevata può riuscire -anch’essa incomprensibile, ma non per il contadino, semplice e non -ancora pervertito; quella sorta di persone intende tutto ciò che v’è di -più alto; rischierà piuttosto di non essere intesa dalle menti che si -pretendono affinate, e io dico pervertite, cioè prive d’ogni concetto -serio della vita. Conosco delle persone che si credono coltissime, e -dicono di non intendere la poesia della carità, o dell’abnegazione, o -della castità. - - -Pertanto se l’arte del nostro tempo non è intesa dalla moltitudine -non è già perchè sia troppo elevata, secondo l’affermazione prediletta -degli artisti odierni. Diremo più a ragione che non è intesa perchè è -arte cattiva, o non è arte affatto. - -Attesochè il fine della opera d’arte sia quello d’esprimere dei -sentimenti, chi può parlare in tal caso d’incomprensibilità? Un -popolano, mettiamo, legge un libro, guarda un quadro, attende ad -ascoltare un dramma o una sinfonia, e non prova nessun commovimento. -Gli si dice che egli non può capire. Gli si promette uno spettacolo; -egli entra e non vede nulla che valga. E allora gli si spiega che la -sua vista non è ancora educata per gli spettacoli di quella fatta. Ma -il nostro popolano sa di vederci molto bene; e se non vede quello che -gli hanno promesso di mostrargli, argomenta con ragione che la promessa -che gli fu fatta, non è stata mantenuta. - -E il dire che un’arte determinata non produce alcun effetto sulle -persone, perchè sono troppo ottuse, oltre a essere un grave eccesso di -vanità, è un invertimento di parti, come se un malato invitasse un sano -a mettersi a letto. - -Voltaire diceva: “Sono buoni tutti i generi, eccetto il genere -noioso.„ Più a ragione noi possiamo dire: “Sono buoni tutti i generi, -eccetto quelli che non si capiscono, e non agiscono sul nostro animo.„ -Infatti che cosa mai può valere una cosa che fallisce nel generare -quell’effetto per il quale fu prodotta? - -Badate bene: se ammettete che l’arte possa esser arte e riuscire -incomprensibile a uomini sani di mente, dovrete pure ammettere che -nulla impedisce a un’accolta di persone pervertite di comporre delle -opere esprimenti il loro sentire depravato, e intelligibili a loro -soli, e di chiamarle arte, come fanno ora gli artisti decadenti. - -L’evoluzione dell’arte nei tempi moderni si può paragonare a quello -che avviene quando sopra un primo cerchio collocate dei cerchietti -sempre più piccoli sinchè ne risulta un cono, la cui cima non è più un -cerchio. Il paragone calza perfettamente all’arte moderna. - - - - -CAPITOLO X. - -Le conseguenze della perversione nell’arte; la contraffazione dell’arte. - - -Per il progressivo impoverirsi della sostanza, e il crescere -dall’oscurità nella forma, l’arte delle classi superiori è giunta a -spogliarsi dei caratteri elementari dell’arte, e a non essere più che -una contraffazione o falsificazione dell’arte. - -Era una conseguenza facile a prevedersi. L’arte universale sorge -soltanto allorchè un uomo, tocco da una forte emozione, sente il -bisogno di trasmetterla agli altri. Ora l’arte professionale delle -classi superiori non sorge da un intimo impulso dell’artista; nasce -sovrattutto perchè le classi agiate vogliono dei divertimenti e li -pagano a dovere. Esse non domandano altro all’arte che di eccitare -in loro dei sentimenti piacevoli, e gli artisti s’ingegnano di -rispondere a tale richiesta. Ma non è cosa tanto facile, poichè i -ricchi che trascorrono la vita nell’ozio e nel lusso, pretendono -dei divertimenti sempre rinnovellati; e l’arte, anche del genere -inferiore, non si produce a piacere, ma richiede l’ispirazione. Quindi -gli artisti si trovarono forzati d’inventare metodi particolari per -ottenere certe imitazioni o contraffazioni dell’arte, e così soddisfare -indefinitamente alle esigenze delle classi sociali che davan loro di -che campare. - -I metodi escogitati a quell’intento si riducono a quattro: 1.º -gl’imprestiti; 2.º gli ornamenti; 3.º gli effetti (drastici, o -energici); 4.º l’eccitamento della curiosità. - - -Il primo metodo consiste nel prender a prestito dalle opere d’arte -anteriori o argomenti intieri, o elementi riconosciuti poetici, e -a rimaneggiarli con qualche aggiunta in guisa da farli parer nuovi. -Siffatti prodotti ridestano nell’animo d’una certa classe di persone -la reminiscenza di sentimenti artistici già provati, vi lasciano -un’impressione che s’assomiglia a quella dell’arte, e per poco che -corrispondano ad alcune altre condizioni sono presi in buona fede per -arte da coloro che nell’arte cercano soltanto il piacere. I soggetti -presi a prestanza dalle opere antecedenti si chiamano, in generale, -soggetti poetici. I personaggi e le cose così riprodotte son detti -pure personaggi e cose poetiche. Tali sarebbero, ad esempio, leggende, -saghe, antiche tradizioni d’ogni guisa. Nell’elenco dell’arsenale -poetico sogliamo inchiudere le giovinette, i guerrieri, i pastori, i -romiti, gli angeli, i diavoli, il chiaro di luna, il tuono, i monti, -il mare, i burroni, i fiumi, le chiome lunghe, i leoni, gli agnelli, le -colombe, gli usignoli. In termini generali si considera poetico ciò che -fu rimestato più di spesso dagli artisti delle generazioni precedenti. - -Mi rammento che una quarantina d’anni fa una signora, che non è più -al mondo, la quale era di mente molto ristretta, ma di grande cultura -e _ayant beaucoup d’acquis_, mi pregò d’ascoltare la lettura d’un -romanzo che essa aveva scritto. Il romanzo cominciava colla descrizione -d’un’eroina, che, vestita poeticamente di bianco, sciolta poeticamente -le lunghe chiome, leggeva dei versi presso una sorgente, in una foresta -poetica. La scena era in Russia; ma ecco che all’improvviso di dietro -i cespugli sbucava fuori l’eroe, adorno d’un cappello piumato alla -Guglielmo Tell (secondo i precisi particolari del libro) e accompagnato -da due cani bianchi, non meno poetico. Quella signora pensava d’aver -trovato un motivo sommamente poetico; e in realtà quelle pagine -potevano passare per il modello del genere se subito dopo l’eroe non -avesse dovuto appiccar discorso con l’eroina. Appena il giovane col -suo cappello alla Guglielmo Tell si fu messo a parlare colla giovine -biancovestita, io intesi chiaramente che l’autrice non aveva nulla da -far loro dire, che essa medesima non aveva nulla da dire, e che, tocca -dalla reminiscenza poetica d’altre opere, s’era imaginata che bastasse -cucire insieme alcuni brandelli di quelle opere per suscitare nel -lettore un’impressione artistica. Ora in noi non può nascere alcuna -impressione artistica, se non quando l’autore abbia provato egli -stesso in un modo suo particolare i sentimenti che ci comunica, e non -si contenti di rifriggerci i sentimenti che egli abbia accattato da -altri. Questa sorta d’imprestiti non ci commuove come opera d’arte; -al più serve a simularla, e anche solo per coloro che siano di gusto -pervertito. La signora, di cui ho detto, essendo scioccherella e senza -abilità, si capiva subito di che farina fosse la sua pasta; ma quando -questo metodo è adoperato da artisti colti, e d’ingegno, e versati -nella tecnica dell’arte loro, ci vengon fuori quelle ricopiature dal -greco, dal classico in genere, dal cristianesimo, dalla mitologia, che -ora sono così frequenti e dal pubblico sono ingenuamente riputate opera -d’arte. Un esempio specifico di siffatte contraffazioni, di tali plagi -artistici, vi sarà offerto in poesia dalla _Princesse Lointaine_ del -Rostand, lavoro tutto rubacchiato, dove non c’è la minima particella -d’arte o di poesia, cosa che non gl’impedisce di sembrar molto poetico -a un mondo di gente, e forse all’autore stesso. - - -Il secondo metodo adoperato a dar l’aspetto dell’arte a quello che non -è arte consiste in ciò che si chiama ornamentazione. Esso si propone di -ubbriacare i lettori, gli spettatori e gli uditori colle impressioni -più gradevoli ingannandoli sul conto dell’arte. In letteratura, se si -tratta di poesia il metodo sta nell’adoperare i ritmi più cadenzati, le -rime più sonore e le espressioni più eleganti; se si tratta di prosa, -risulta dall’aggiungere spicco alle descrizioni. Nelle produzioni -teatrali vuole che si eccitino i sensi degli spettatori collo sfoggio -degli attori, e sopratutto colla bellezza delle attrici, vestite di -abiti ricchissimi, e collo splendore delle decorazioni di scena. -In pittura, importa la scelta di modelli atti a eccitare i sensi, -e l’esagerazione del colore. Nella musica il metodo consiste nel -moltiplicare i _passaggi di tono_, e le _fioriture_, e le modulazioni, -e nell’introdurre strumenti nell’orchestra, ecc. Tutti codesti -ornamenti hanno raggiunto al presente un tal grado di perfezione, -che le classi superiori sono arrivate a prenderli per l’arte stessa, -aiutate in ciò anche dalla dottrina corrente che considera la bellezza -come fine dell’arte. - - -Un terzo metodo sta nell’agire sulla nostra sensibilità, di sovente -con procedimenti affatto materiali fisici. In tal caso si dice -che le opere d’arte sono _saisissantes_, o _pleines d’effet_. Gli -effetti che esse producono in tutte le arti sono quasi unicamente di -contrasto, in quanto si associa il terribile e il tenero, il brutto -e il bello, la dolcezza e la forza, la luce e l’ombra, il comune e -lo straordinario. Inoltre nella letteratura agli effetti d’antitesi -se ne aggiungono degli altri ricavati dal descrivere cose non mai -prima descritte. Saranno di solito dei particolari pornografici atti a -stimolare l’istinto sessuale, o ragguagli minuziosi di sofferenze e di -agonie rivolti a farci innorridire; per esempio, mentre si descrive un -assassinio, ci si presenterà una vera perizia medica intorno ai tessuti -lacerati, all’odore, alla quantità e al colore del sangue. - -Nella pittura e nella scultura un contrasto ora assai pregiato sta nel -finire con gran cura qualche particolare, lasciando al resto l’aspetto -sommario d’un abbozzo; senza contare l’abuso che si fa del chiaroscuro. -In teatro, non vediamo quasi più che quadri di pazzia, d’omicidio, -di morte; e non muore un personaggio senza che ci si faccia assistere -a tutte le fasi della sua agonia. In musica, gli effetti più in voga -sono: un _crescendo_ repentino per cui si passa dai suoni più leggeri -ai più violenti; una ripetizione delle medesime note _arpeggiate_ -in tutte le ottave e dai diversi strumenti; oppure anche una fuga -d’armonie, di toni e di ritmi diversi affatto da quelli che dovrebbero -naturalmente scaturire dall’idea musicale, e tali da colpirci -colla sorpresa. Per giunta la musica moderna abusa di quell’effetto -puramente fisico che consiste nel far sempre maggior fracasso di quanto -abbisogni. - -Alla stessa categoria appartiene pure un altro effetto, oggi comune -a tutte le arti; e sta nel voler forzare un’arte a esprimere quanto -spetta a un’altra. Per esempio, si pretende (come vorrebbe fare la -musica _descrittiva_ del Wagner e dei suoi successori) che la musica -ci descriva azioni e anche _paesaggi_. Oppure, secondo la maniera dei -decadenti, si costringono la pittura, il dramma, la poesia a evocare in -noi per _suggestione_ certi pensieri. - - -Il quarto metodo infine consiste nell’eccitare la curiosità sì da -impedire alla nostra mente di accorgersi della mancanza dell’arte vera. -Una volta si ricorreva per questo all’_intreccio_ ben complicato; -ora codesto artifizio va fuori di moda, ed è sostituito dalla -_documentazione_, cioè dalla pittura particolareggiata d’un periodo -storico, o d’un ramo della vita contemporanea. Così per assorbire -l’attenzione del lettore i romanzieri gli descrivono da cima a fondo -la vita degli Egiziani o dei Romani, la vita dei minatori oppure -dei commessi d’un gran magazzino. La curiosità si può solleticare -anche solo colla scelta delle espressioni, e codesto mezzo acquista -sempre più pregio. Versi e prose, drammi, quadri, sinfonie, tutto ciò -è disposto in guisa che se ne debba indovinare il senso come nelle -sciarade; il pubblico si scuote, cerca d’indovinare, si distrae, e -prova l’illusione d’aver ricevuto un’impressione artistica. - - -E voi udirete spesso ripetere che un’opera d’arte è eccellente, -perchè è poetica, o bella, o sorprendente, o interessante; ma in -realtà nessuno di quei quattro attributi serve a misurare l’eccellenza -d’un’opera d’arte, e nemmeno ha da far nulla coll’arte vera. - -Il dire che un’opera è poetica equivale a dire ch’è presa a -prestito. Tutti i prestiti ridestano nel pubblico vaghe reminiscenze -d’impressioni artistiche prodotte da opere anteriori; ma non ci possono -mai trasmettere i sentimenti dell’artista medesimo. Un’opera fondata -sui prestiti, per esempio il _Fausto_ del Goethe, può essere bene -eseguita, piena di brio e anche veramente bella; ma non può produrre -una schietta impressione artistica, mancando essa del carattere -principale d’un’opera d’arte, cioè dell’unità, di quell’armonia -intima tra la forma e la sostanza che vale a trasmettere i sentimenti -provati dall’artista. L’opera di seconda mano non fa che ridestare il -sentimento infuso in essa dall’opera iniziale; perciò ogni imprestito -di soggetti, di scene, di situazioni, di descrizioni non è che il -riflesso dell’arte, la sua contraffazione, ma non l’arte. Pretendere -che un’opera d’arte di questo genere sia buona perchè è poetica è come -pretendere che una moneta di piombo sia buona solo perchè si assomiglia -a una d’argento. - -Nemmeno gli ornamenti, vantati dai nostri estetici sotto il nome di -bellezza, possono servire di misura per l’eccellenza d’un’opera d’arte. -Infatti il carattere essenziale dell’arte consiste nel trasmettere agli -altri la commozione provata dall’artista; e la commozione artistica non -solo non coincide sempre colla bellezza, ma spesso le è in opposizione. -La vista delle sofferenze più ributtanti ci può commuovere con un forte -sentimento di compassione, di tenerezza e d’ammirazione per l’anima -grande di chi soffre; come d’altro lato ci accade di non sentir nulla -dinanzi a una statua di cera anche bellissima. Giudicare d’un’opera -d’arte secondo la bellezza è assurdo quanto il fare stima della -fecondità d’un terreno fondandosi sulla sua graziosa giacitura. - -Il terzo metodo di contraffazione consiste nell’accumulare gli -effetti gagliardi, ed è anche esso estraneo all’arte vera; poichè -l’effetto, sia esso poi di novità o di contrasto o d’orrore, non è -mai l’espressione d’un sentimento, ma semplicemente un’azione sui -nostri nervi. Quando un pittore rappresenta con esattezza perfetta -una ferita che sanguina, la vista della ferita mi colpisce, ma non è -arte. Una nota tenuta a lungo sopra un organo ci produce l’impressione -di stringere il cuore e può giungere fino a farci piangere; ma in -quel fatto non c’è musica, perchè non c’è l’espressione di alcun -sentimento. Tuttavia tali effetti fisiologici vengono ogni giorno presi -per dell’arte dalle persone della nostra società, e ciò non soltanto -nella musica, ma nella poesia, nella pittura, nel dramma. Non c’è in -verità nessuna facezia più amara di quella che consiste nel dire che -l’arte del nostro tempo si “raffina.„ Al contrario l’arte non ha mai -seguito tanto l’effettaccio volgare, non è mai stata più grossolana. -L’Europa intera ammira e acclama un nuovo dramma, com’è per esempio la -_Hannele_ di Gh. Hauptmann, in cui l’autore s’è proposto d’intenerirci -a proposito d’una ragazza perseguitata. Per eccitare in noi questo -sentimento col mezzo dell’arte, poteva o incaricare uno de’ suoi -personaggi d’esprimere la sua pietà per la ragazza in un modo che ci -commovesse, o descrivere con verità i sentimenti della ragazza. Invece -egli, non potendo o non volendo servirsi di questo mezzo, ne ha scelto -un altro più difficile per chi deve mettere in scena il lavoro, ma -infinitamente più facile per l’autore. Ci ha fatto vedere la ragazza -morente sulla scena; e per accentuar meglio l’effetto fisiologico di -questa agonia sui nostri nervi, ha fatto spegnere l’illuminazione della -sala, lasciando l’uditorio nelle tenebre. Tra le note d’una musica -sinistra, ci ha fatto vedere la ragazza perseguitata e battuta dal -padre ubbriacone. La fanciulla si lascia cadere, geme, sospira e muore. -Compaiono degli angeli che la conducono via. E gli uditori, che durante -tutta questa faccenda non hanno potuto far a meno di provare un certo -eccitamento, se ne vanno convinti d’aver provato un vero sentimento -artistico. Ora non c’è nulla d’artistico in un eccitamento di questo -genere, ma solo il miscuglio d’una vaga pietà per altri, e del piacere -di pensare che non s’ha noi stessi a soffrire di dolori simili. -L’effetto che ci producono delle opere di questo genere è della stessa -natura di quello che ci produce la vista d’un’esecuzione capitale, o di -quello che producevano sui Romani i supplizi del circo. - -La sostituzione dell’_effetto_ ai sentimenti artistici si riconosce -oggigiorno particolarmente nella musica, avendo quest’arte per la -propria natura un’azione fisiologica immediata sui nervi. In luogo -d’esprimere per mezzo di una melodia, rivestita d’armonie appropriate, -i sentimenti che ha provato, il compositore della nuova scuola accumula -e complica le sonorità; ora rinforzandole, ora di nuovo attenuandole; -produce sull’uditorio un effetto particolare, d’eccitazione nervosa. E -il pubblico prende quest’effetto fisiologico per un effetto artistico. - -Il quarto metodo, quello della curiosità, è pure di solito confuso -coll’arte. Quante volte non udiamo noi dire non solo d’un poema, -d’un romanzo, d’un quadro, ma anche d’un’opera musicale, che essa -è “interessante?„ E ciò che cosa può significare? Dire che un’opera -d’arte è interessante, è dire o che essa ci offre del nuovo, o che noi -non ne indoviniamo il senso che a poco a poco, e che ci divertiamo a -dover indovinare. Ora, nè in un caso nè nell’altro l’interesse ha nulla -di comune coll’impressione artistica. - -L’oggetto dell’arte è di farci provare dei sentimenti provati -dall’artista; ma lo sforzo d’intelligenza di cui abbisogniamo per -assimilarci la nuova informazione che ci reca un lavoro, o per -indovinare gli enigmi che esso contiene, questo sforzo distraendo la -nostra mente dall’emozione espressa, c’impedisce di provarla; talchè -non solo il fatto d’essere “interessante„ non contribuisce per nulla -al valore artistico d’un’opera d’arte, ma anzi è piuttosto un ostacolo -alla vera impressione artistica. - - -Parecchie condizioni debbono convergere perchè un uomo possa produrre -una vera opera d’arte. Quest’uomo deve, in primo luogo, trovarsi -al livello dei più alti concetti religiosi del suo tempo; inoltre -deve provare dei sentimenti e avere il desiderio e la capacità di -trasmetterli ad altri; e deve finalmente avere, per una delle diverse -forme dell’arte, quella capacità speciale che si chiama il talento. -Ora è molto raro che un uomo riunisca in sè tutte queste condizioni. Ma -per produrre senza posa quelle contraffazioni dell’arte, che passano al -presente per arte vera e la produzione delle quali è pagata così bene, -occorre semplicemente aver talento, cosa corrente e senza alcun valore. -Intendo per “talento„ l’abilità; in letteratura, l’abilità a esprimer -facilmente i propri pensieri e le proprie sensazioni, a notare e a -ricordare i particolari tipici; in pittura, a discernere e a ricordare -le linee, le forme e i colori; in musica a distinguere gl’intervalli, a -capire e a ricordare la successione dei suoni. - -E basta che un uomo possegga oggi siffatto talento, e sappia scegliere -qualche specialità, perchè con l’aiuto dei metodi di contraffazione -che ho detti, possa indefinitamente fabbricare delle opere destinate a -soddisfare al bisogno di divertimento delle nostre classi superiori. -In tutti i rami dell’arte esistono delle regole o ricette definite -che permettono di produrre delle opere di questo genere senza provare -nessun sentimento. E così l’uomo di talento, essendosi assimilate le -regole del suo mestiere, può ad ogni istante produrre a freddo delle -opere che passeranno poi come arte. - -E oggi si produce una quantità così immensa di codeste opere, che si -trovano degli uomini che conoscono centinaia e migliaia d’opere così -dette artistiche, e non hanno mai veduta una sola opera d’arte vera, e -non sanno neppure da che cosa si riconosca questa vera arte. - - - - -CAPITOLO XI. - -L’arte professionale, la critica, l’insegnamento artistico: loro -influenza sulla contraffazione dell’arte. - - -Questa enorme e crescente diffusione delle contraffazioni dell’arte -nella nostra società, è dovuta al concorso di tre condizioni, cioè: 1.º -il profitto materiale che queste contraffazioni procurano agli artisti; -2.º la critica; 3.º l’insegnamento artistico. - - -Quando l’arte era ancora universale, e soltanto l’arte religiosa era -pregiata e compensata, non c’erano contraffazioni, o, se ce n’erano, -non tardavano a scomparire, essendo esposte alla critica della -nazione intiera. Ma tostochè si fu prodotta la distinzione fra l’arte -aristocratica e l’arte del popolo, tostochè le classi superiori presero -ad acclamare ogni forma d’arte, purchè procurasse loro del piacere, -tostochè finalmente queste classi cominciarono a rimunerare la loro -pretesa arte assai più che ogni altra attività sociale, subito un gran -numero d’uomini si dedicarono a questo genere d’attività, e l’arte -prese un carattere nuovo, e diventò una professione. - -E come ciò ebbe luogo, la qualità principale e più preziosa dell’arte, -la sincerità, si trovò grandemente indebolita, e condannata in -prevenzione a sparire prontamente. All’arte vera fu sostituita la -contraffazione dell’arte. - -Infatti l’artista di professione è costretto a vivere dell’arte sua, -cosa che l’obbliga a inventare indefinitamente, per le sue opere, -numerosi soggetti. Vedete, per esempio, che differenza corre tra -le opere prodotte, da uomini come i profeti ebrei, gli autori dei -_Salmi_, Francesco d’Assisi, Fra Angelico, gli autori dell’_Iliade_ e -dell’_Odissea_, quelli delle leggende e delle canzoni popolari, tutti -codesti uomini d’altri tempi che non solo non erano pagati per le -loro opere, ma nemmeno si curavano di unirvi il loro nome; e d’altra -parte le opere prodotte dai poeti di corte, dai pittori o dai musici -colmati d’onori e di denari! Ma ancora più grande è la differenza tra -l’opera dei veri artisti, e quella dei professionisti dell’arte che -ora empiono il mondo, vivendo tutti del loro commercio, vale a dire -del denaro che ricevono dai direttori di giornali, editori, impresari -e altri intermediarii incaricati di mettere gli artisti in rapporto coi -consumatori d’arte. - - -Il _professionismo_ è la prima causa della diffusione che ebbero tra di -noi le contraffazioni dell’arte. - -La seconda causa è il nascimento, affatto recente, e lo sviluppo della -critica, cioè della stima dell’arte fatta non più da tutti, non più da -uomini semplici e sinceri, ma da eruditi, da esseri pervertiti di mente -e pieni a un tempo di confidenza in sè stessi. - -Discorrendo del rapporto dei critici rispetto agli artisti, un mio -amico diceva un po’ per burla: “I critici sono gli sciocchi che -discutono i savi„. Quella era una definizione inesatta, ingiusta, e -d’una durezza eccessiva; ma non manca di contenere una parte di verità; -e in ogni caso è incomparabilmente più giusta di quella che considera i -critici come aventi il diritto e i mezzi di spiegare le opere d’arte. - -Spiegare! Che cosa spiegano essi mai? L’artista, se è un vero artista, -coll’opera sua ha trasmesso agli altri uomini i sentimenti che egli -provava. E, in siffatte condizioni, che cosa resta da spiegare? - -Se un’opera è buona in quanto sia arte, il sentimento espresso -dall’artista, morale o immorale, si trasmette da sè agli altri -uomini. Se si trasmette loro, essi lo sentono, e tutte le spiegazioni -sono superflue. Se non si trasmette loro, non ci rimedierà nessuna -spiegazione. L’opera d’un artista non può essere spiegata. Se l’artista -avesse potuto spiegare a parole ciò che desiderava di trasfondere -in noi, si sarebbe espresso a parole. Se egli s’è espresso per -la via dell’arte, è precisamente perchè le emozioni non potevano -esserci trasmesse per un’altra via. Che si può dire intorno al riso -o al pianto, che ci aiuti, anche menomamente, a provarne qualche -commozione? Quando un uomo cerca d’interpretare delle opere d’arte con -dei discorsi, ciò prova solo che è incapace egli stesso di sentire -l’emozione artistica. E tale è il caso per l’appunto. Per quanto -possa parere strano, i critici sono sempre stati degli uomini meno -accessibili al contagio dell’arte che il resto degli uomini. Sono, per -la maggior parte, degli scrittori capaci, istruiti e intelligenti, ma -tali che in essi l’attitudine a essere commossi dall’arte è affatto -pervertita o atrofizzata. E da ciò deriva che i loro scritti hanno -sempre contribuito largamente e contribuiscono tuttora a pervertire il -gusto del pubblico che li legge, e si fida di loro. - -La critica non esisteva, non poteva esistere, nelle società in cui -l’arte s’indirizzava a tutti, e per conseguenza esprimeva un concetto -religioso della vita, comune a un popolo intiero. Essa non s’è -prodotta, non si poteva produrre che intorno all’arte delle classi -superiori, la quale non aveva per base la coscienza religiosa del suo -tempo. - -L’arte universale ha un criterio interno definito e indubitabile: la -coscienza religiosa. L’arte delle classi superiori manca di questo -criterio, ed è perciò che coloro che vogliono valutare quest’arte -sono forzati ad aggrapparsi a qualche criterio esteriore. E tale -criterio, lo trovano nei giudizî dell’_élite_, cioè nell’autorità -d’uomini considerati come più istruiti degli altri, e non solo nella -loro autorità, ma anche nella tradizione formata da un complesso -d’autorità di questo genere. Ma questa tradizione è estremamente -fallace, sia perchè l’_élite_ s’inganna molto di spesso, sia pure -perchè certi giudizî che ebbero valore al loro tempo cessano d’averne -in un altro tempo. Ora i critici mancando di base solida per i loro -giudizî, s’aggrappano ostinatamente alle loro tradizioni. Le tragedie -classiche un tempo furono considerate come buone; la critica continua -a considerarle per tali. Dante è stato ritenuto un gran poeta, -Raffaello un gran pittore, Bach un gran musicista; e i nostri critici, -in mancanza d’un mezzo per distinguere l’arte buona dalla cattiva, -proseguono non solo a ritenere grandi questi artisti ma giudicano per -di più tutte le opere loro come ammirevoli e degne d’essere imitate. -Nulla ha contribuito, o contribuisce tanto al pervertimento dell’arte -quanto le autorità messe innanzi dalla critica. - -Un uomo produce un’opera d’arte in cui, da vero artista, esprime a modo -suo un sentimento che egli ha provato. Il suo sentimento si trasmette -ad altri uomini, e la sua opera attira l’attenzione. Ma allora la -critica, impadronendosene, dichiara che, senza essere cattiva, non è -tuttavia l’opera nè d’un Dante, nè d’un Shakespeare, nè d’un Goethe, nè -d’un Raffaello, nè d’un Beethoven. E il giovine artista si rimette al -lavoro per copiare i maestri che gli si consiglia d’imitare; e produce -delle opere non solo deboli, ma false, delle contraffazioni dell’arte. - -Così, per esempio, il nostro Puschkin scrive dei poemetti, il suo -_Oneghine_ o il suo _Zingaro_, opere d’un valore molto disuguale, -ma che sono pur sempre tutte opere d’arte vera. Ma ecco, che sotto -l’influenza d’una critica mendace che esalta Shakespeare, lo stesso -Puschkin scrive il suo _Boris Godunof_, opera artificiosa e fredda; ed -ecco che i critici esaltano codesta opera e la propongono a modello; ed -ecco che la imitano tutti, Ostrowski nel suo _Minine_, Alexis Tolstoi -nel suo _Tsar Boris_, ecc. Queste imitazioni d’imitazioni ingombrano -tutte le letterature d’opere mediocri e assolutamente inutili. E questo -è il male maggiore che fanno i critici; mancando essi stessi della -capacità d’esser commossi dall’arte (e ne mancano per forza, poichè -altrimenti non tenterebbero l’impossibile, cioè di interpretare le -opere d’arte) non possono dare importanza o concedere delle lodi che -ad opere artificiose e prodotte a sangue freddo. Gli è per questo -che esaltano con tanta prosopopea, nelle lettere i tragici greci, -Dante, Tasso, Milton, Goethe, e tra gli autori più recenti, Zola e -Ibsen; nella musica il Beethoven dell’ultima maniera, e Wagner. Per -giustificare l’elogio entusiasta che fanno di questi grandi uomini, -essi costruiscono infaticabilmente delle vaste teorie; e così vediamo -degli uomini d’ingegno occuparsi a comporre delle opere in conformità -di quelle teorie; e spesso anche dei veri artisti far violenza al loro -genio e sottomettersi ad esse. - -Ogni opera d’arte falsa che è levata a cielo dai critici costituisce -come una porta attraverso la quale si precipitano le mediocrità. - -Se gl’Ibsen, i Maeterlinck, i Verlaine, i Mallarmè, i Puvis de -Chavannes, i Klinger, i Boecklin, gli Stuck, i Liszt, i Berlioz, i -Wagner, i Brahms, i Riccardo Strauss, ecc., sono divenuti possibili ai -nostri giorni, del pari che la folla immensa dei mediocri imitatori -di questi imitatori, lo dobbiamo sovrattutto ai nostri critici, che -continuano ancora oggidì a lodare ciecamente le opere rudimentali, e -spesso vuote di senso dei Greci antichi: Sofocle, Euripide, Aristofane, -e così pure tutta l’opera di Dante, del Tasso, del Milton, dello -Shakespeare, tutta l’opera di Michelangelo compreso il suo assurdo -_Giudizio universale_, tutta l’opera di Bach, tutta l’opera di -Beethoven, compreso il suo ultimo periodo. - -Nulla di più tipico, per questo rispetto, del caso di Beethoven. Tra -le sue numerose produzioni si trovano, a dispetto d’una forma sempre -artificiale, delle opere di arte vera. Ma egli diventa sordo, non può -più sentir nulla, e comincia a scrivere delle opere bizzarre, morbose, -il senso delle quali di sovente rimane oscuro. So che i musicisti -possono imaginare dei suoni e che è loro quasi possibile udire ciò -che leggono; ma dei suoni imaginari non potrebbero mai prendere il -posto dei suoni reali, e un musicista deve udire le sue opere per dar -loro una forma perfetta. Ora il Beethoven non poteva udir più nulla, e -perciò era nell’impossibilità di condurre le sue opere alla perfezione. -Ma la critica, avendo riconosciuto in lui un gran compositore, -s’è per l’appunto impossessata delle sue opere imperfette e spesso -anormali per rintracciarvi a ogni costo delle bellezze straordinarie. -E per giustificare questi elogi, pervertendo il vero senso dell’arte -musicale, attribuì alla musica la proprietà di dipingere ciò che essa -non può dipingere. E subito comparvero degl’imitatori, una falange -innumerevole d’imitatori, che si sono messi a copiare quelle opere -morbose e incomplete, quelle opere che il Beethoven non potè finire a -sufficienza per dar loro un pieno valore artistico. - -E tra di loro sorse il Wagner. Cominciò dal connettere, nei suoi -scritti di critica, le ultime opere del Beethoven alla teoria mistica -dello Schopenhauer, che faceva della musica l’espressione dell’essenza -stessa della Volontà. In appresso si diede a comporre della musica -ancora più strana, fondandosi su questa teoria, e sopra un sistema -d’unione di tutte le arti. E dal Wagner è uscita una nuova schiera -d’imitatori, che si scostano vieppiù ancora dall’arte vera. - - -Tali sono i risultati della critica. Non meno disastrosa è la terza -causa che contribuisce a pervertire l’arte del nostro tempo, voglio -dire l’insegnamento artistico. - -Dal giorno in cui l’arte, cessando di rivolgersi a un popolo intiero, -non si rivolse più che a una classe di ricchi, è divenuta una -professione; dacchè è divenuta una professione, si sono inventati dei -metodi per insegnarla; le persone che sceglievano codesta professione -dell’arte si misero a imparare codesti metodi, e così si sono formate -le scuole professionali: corsi di retorica o di lettere nelle scuole -pubbliche, accademie di pittura, conservatorj di musica e d’arte -drammatica. Queste scuole hanno per oggetto l’insegnamento dell’arte. -Ma l’arte è la trasmissione ad altri uomini d’un sentimento personale -provato da un artista. Come si potrebbe insegnare tal cosa nelle -scuole? - -Non c’è scuola che possa provocare in un uomo il sentimento, e, tanto -meno insegnargli come possa esprimere i suoi sentimenti nel modo -particolare che gli è naturale. Eppure egli è in queste due cose, che -risiede l’essenza dell’arte! - -Tutto ciò che le scuole possono insegnare è il modo d’esprimere dei -sentimenti provati da altri artisti nella guisa in cui gli altri -artisti li hanno espressi. Ed è precisamente quello che insegnano le -scuole professionali; e il loro insegnamento, ben lungi dal contribuire -a diffondere l’arte vera, contribuisce al contrario a moltiplicare -le contraffazioni dell’arte, facendo così più di tutto il resto per -distruggere negli uomini l’intelletto artistico. - -In letteratura s’insegna ai giovani come, senza aver nulla da dire, -possono scrivere una composizione di più o meno pagine intorno a un -argomento al quale non hanno mai pensato, e scriverla di tal maniera -che rassomigli agli scritti di autori di fama riconosciuta. - -In pittura, s’insegna loro principalmente a disegnare e a dipingere -seguendo delle copie e dei modelli, e a disegnare e a dipingere come -hanno disegnato e dipinto i maestri precedenti, e a rappresentare il -nudo, cioè quello che si vede meno nella realtà e che l’uomo occupato -della realtà ha meno occasione di dipingere. Quanto alla composizione, -la s’insegna ai giovani proponendo loro dei soggetti uguali a quelli -che sono già stati trattati da maestri celebri. - -Parimenti nelle scuole d’arte drammatica s’insegna agli alunni a -recitare dei monologhi esattamente come li recitavano gli attori -famosi. - -Lo stesso si fa nella musica. Tutta la teoria della musica non è -che una semplice ripetizione dei metodi, dei quali si sono valsi i -musicisti celebri. Quanto all’esecuzione musicale, essa diventa sempre -più meccanica, e pari a quella d’un automa. - -Un giorno il pittore russo Brulof, correggendo uno studio d’un suo -allievo, vi fece un paio di ritocchi, e subito lo studio mediocre -assunse l’espressione della vita. — “Come! ci avete appena dato un -tocco, ed eccolo cambiato per intiero! — Egli è che l’arte comincia -dove comincia questo tocco„, rispose Brulof. - -Nessun’arte dà tanto rilievo alla giustezza di questa idea quanto -l’esecuzione musicale. Perchè siffatta esecuzione sia artistica, vale a -dire ci trasmetta l’emozione dell’autore, si richiedono tre condizioni -principali, per non parlare delle altre. L’esecuzione musicale non -è artistica se non quando la nota è giusta, e dura esattamente il -tempo richiesto, e rende esattamente l’intensità del suono richiesto. -La più piccola alterazione della nota, il più piccolo mutamento nel -ritmo, il più piccolo rinforzo o indebolimento del suono, distruggono -la perfezione dell’opera, e perciò la sua facoltà di commuoverci. La -trasmissione dell’emozione musicale che sembra una cosa tanto semplice -e facile a ottenersi, è in realtà una cosa che s’ottiene solamente -quando l’esecutore trova la sfumatura impercettibile che è necessaria -alla perfezione. Ed è lo stesso in tutte le arti. Un uomo non può -scoprire queste sfumature, che sentendo l’opera e mettendosi in diretto -contatto con essa. - -Nessuna macchina può fare ciò che fa un buon ballerino che regola i -suoi movimenti sul ritmo della musica, nessun organo a vapore può fare -ciò che fa un pastorello che canti bene, nessun fotografo ciò che fa un -pittore; nessun retore troverà la parola o la disposizione di parole -che trova senza sforzo chi esprime quello che sente. Quindi le scuole -possono ben insegnare ciò che occorra per produrre alcunchè di analogo -all’arte, ma non insegneranno mai ciò che occorre a produrre l’arte -stessa. - -L’insegnamento delle scuole s’arresta dove comincia il _tocco_, cioè -dove comincia l’arte. - -E avvezzare gli uomini a qualche cosa di analogo all’arte equivale a -disvezzarli dal comprendere l’arte vera. Così si spiega come non ci -siano degli artisti peggiori di quelli che sono passati per le scuole -e vi riportarono dei successi. Le scuole professionali producono -un’ipocrisia dell’arte esattamente analoga all’ipocrisia della -religione che producono i seminarii, le scuole di teologia, ecc. Come è -impossibile in una scuola fare d’un uomo un educatore religioso, così è -impossibile insegnargli a diventare artista. - -Le scuole d’arte esercitano un’influenza doppiamente funesta. In primo -luogo distruggono la capacità di produrre dell’arte vera in quelli che -hanno avuto la disgrazia d’entrarvi e di perdervi sette, otto o dieci -anni della loro vita. In secondo luogo producono enormi quantità di -quelle contraffazioni dell’arte che pervertiscono il gusto delle masse, -e sono avviate a invadere tutto il mondo. - -Io non pretendo che i giovani d’ingegno non debbano conoscere i metodi -delle varie arti, quali furono elaborati dai grandi artisti prima -di loro. Ma per insegnarli loro, basterebbe che in tutte le scuole -elementari si creassero dei corsi di disegno e di musica, uscendo dai -quali i giovani di buona vocazione potrebbero perfezionarsi con piena -indipendenza nella pratica della loro arte. - -E non resta meno assodato che queste tre cose: il _professionismo_ -degli artisti, la critica, e l’insegnamento delle arti ebbero per -risultato di rendere oramai la maggior parte degli uomini incapaci -persino di capire che cosa sia l’arte, e li prepararono così ad -accettare come arte le contraffazioni più grossolane. - - - - -CAPITOLO XII. - -L’opera di Wagner, modello perfetto della contraffazione dell’arte. - - -Se vogliamo vedere fino a che punto gli uomini del nostro tempo e della -nostra società abbiano perduto la facoltà di sentire l’arte vera e -si siano abituati ad accettare come arte cose che non hanno nulla da -vedere coll’arte, nessun esempio potrà mostrarcelo meglio che l’opera -di Riccardo Wagner, in cui non solo la Germania, ma eziandio la Francia -e l’Inghilterra pretendono oggi di scoprire l’arte più elevata e la più -ricca di nuovi orizzonti. - -Il pensiero fondamentale di Wagner fu questo, come tutti sanno, che -la musica deve far corpo colla poesia, esprimere tutte le sfumature -d’un’opera poetica. È un’idea, che egli ha pure sempre esagerato, ma -che anche nel suo principio è assolutamente falsa, poichè ciascuna -delle arti ha il suo territorio determinato, distinto dal territorio -delle altre arti; e se la manifestazione di due arti differenti si -trova riunita in un solo lavoro, come è il caso per l’opera in musica, -una delle due deve di necessità essere sacrificata all’altra. - -L’unione del dramma e della musica, inventata nel secolo XVI da -Italiani che pensavano di richiamar in vita l’antico dramma greco, -non ha mai attecchito se non presso le classi superiori, e anche solo -quando qualche musicista di talento, Mozart, Weber, Rossini, prendendo -le mosse da un soggetto drammatico, s’abbandonò tuttavia liberamente -alla sua inspirazione, e subordinò il testo alla musica. Nelle opere -di questi maestri, la sola cosa importante per l’uditore era la musica -scritta sopra un certo testo, non già il testo stesso; questo poteva -spingersi fino all’assurdo, come, ad esempio, nel _Flauto magico_, -senza impedire alla musica di produrre un’impressione artistica. - -È questo appunto che il Wagner sognò di correggere, unendo più -intimamente la musica e la poesia. Ma l’arte musicale non saprebbe -sottomettersi all’arte drammatica senza perdere il suo significato -proprio, poichè ogni opera d’arte, se è buona, è l’espressione del -sentimento intimo dell’artista, d’un sentimento affatto eccezionale, -e che non trova la sua espressione se non in una forma speciale; -dimodochè pretendere che una produzione d’una certa arte faccia corpo -colla produzione d’un’altra è pretendere l’impossibile. Infatti è -domandare che due opere di dominii artistici differenti siano, da -un lato, eccezionali, senza rassomiglianza con chicchessia, e che -ciononostante coincidano e possano unirsi a formare un tutto. - -Ciò è tanto impossibile, quanto è di trovare due uomini, o anche due -foglie sopra un albero, che si rassomiglino perfettamente. E se due -opere artistiche coincidono rispettivamente, egli avviene o perchè -l’una è un’opera d’arte vera e l’altra una contraffazione, o perchè -tutte e due sono contraffazioni. Due foglie naturali non possono essere -esattamente simili, ma possono esser tali due foglie artificiali. Lo -stesso è delle opere d’arte. - -Se la poesia e la musica possono trovarsi accoppiate, come avviene per -gl’inni e le canzoni, il loro accoppiamento non è mai un’unione vera, -e il centro di gravità si trova sempre nell’una delle due, talchè è -soltanto l’una o l’altra che produce l’impressione artistica. - -Ma c’è di più. Una delle condizioni essenziali della creazione -artistica è la libertà assoluta dell’artista, la sua indipendenza da -ogni vincolo esteriore. E la necessità d’adattare un lavoro musicale -a un lavoro d’un’altra arte costituisce un vincolo esteriore di tal -fatta, bastante a sopprimere ogni possibilità di creazione artistica. - -In realtà è ciò che accade nella musica di Wagner. E la prova di -ciò sta in questo, che la musica di Wagner manca del carattere -essenziale d’ogni opera d’arte vera, cioè di quella unità e di quella -_integralità_ per le quali avviene che il più piccolo cambiamento di -forma basta ad alterare il significato dell’insieme. In un’opera di -vera arte, poema, quadro, canto o sinfonia, è impossibile toglier via -o mutar di posto una linea, una figura, una battuta, senza che ne sia -compromesso il senso dell’opera intiera, come è impossibile, senza -compromettere la vita d’un essere organizzato, mutar di posto un solo -de’ suoi organi. Ma nelle ultime opere di Wagner, eccettuate alcune -parti meno importanti che hanno un senso musicale indipendente, è -possibile fare ogni sorta di trasposizioni, mettere davanti quello che -era di dietro e viceversa, senza che ne sia modificato il significato -musicale. E la ragione del fatto è questa, che nella musica di Wagner -il senso sta nelle parole e non nella musica. - -La parte musicale di questi drammi di Wagner mi fa pensare al caso -d’uno di que’ versificatori abili e vuoti, come ora n’abbiamo in -abbondanza, che concepisse il progetto d’illustrare coi suoi versi una -sinfonia o una sonata del Beethoven, o una ballata dello Chopin. Sulle -prime battute, improntate d’un carattere speciale, egli scriverebbe -dei versi corrispondenti, secondo lui, al carattere di quelle battute. -Sulle battute seguenti di carattere diverso scriverebbe degli altri -versi corrispondenti a queste. E codesta nuova serie di versi non -avrebbe alcun intimo rapporto colla prima, e, inoltre, tutti i versi -non avrebbero nè ritmo nè rime. Ora supponete che un poeta simile -reciti, senza la musica, i versi così composti, avrete un’imagine -esatta di ciò che è la musica delle opere di Wagner, allorchè la si -ascolta senza le parole. - -Ma il Wagner non è solamente musicista, è anche poeta. Dunque, per -giudicarlo, bisogna conoscere anche la sua poesia, quella poesia a cui -egli pretende di subordinare la musica. Il principale dei suoi lavori -poetici è _L’anello dei Nibelunghi_. Ho letto colla massima attenzione -i quattro libretti che contengono questa creazione poetica, e vi -raccomando di leggerli se volete avere un’idea d’un lavoro veramente -_straordinario_; poichè è un modello della pseudo-poesia più grossolana -e che tocca davvero il grottesco. - - -Ma si dice che è impossibile giudicare le opere di Wagner se non le -si vedono sulla scena. La seconda _giornata_ della _Tetralogia_ fu per -l’appunto rappresentata a Mosca l’inverno scorso. Avendo sentito che è -la parte migliore di tutto il lavoro, mi sono recato a vederla; ed ecco -ciò che ho veduto. - -Quando giunsi, l’enorme sala era già affollata dal loggione sino -alla platea. C’erano dei granduchi e tutto il fiore della nobiltà, -del commercio, della scienza, dell’amministrazione e della media -borghesia. La maggior parte degli uditori avevano in mano il libretto -e si sforzavano di decifrarne il senso. Vidi pure molti musicisti — -alcuni già vecchi, coi capelli grigi — che seguivano la musica sopra -una partitura. Evidentemente quella rappresentazione costituiva un vero -avvenimento. - -Arrivai un po’ in ritardo; ma mi si accertò che il breve preludio -d’introduzione all’opera era poco importante e che non avevo perduto -molto a non sentirlo. Comunque, allorchè fui entrato, un attore era -seduto sulla scena in una decorazione destinata a rappresentare una -grotta, e che, secondo il consueto, produceva tanto minore illusione, -quanto più abilmente era architettata. L’attore era in maglia, con -una pelle a bisdosso, una parrucca e una barba finta; e con certe -mani bianche e fine, che rivelavano il commediante, martellava una -spada inverisimile con un martello impossibile, d’una foggia quale non -ebbe mai nessun martello maneggiato da uomini; e nello stesso tempo, -sgangherando la bocca in un modo non meno strano, cantava qualche -cosa d’incomprensibile. Intanto l’orchestra intiera si scalmanava ad -accompagnare i suoni bizzarri che uscivano dalla bocca di lui. - -Il libretto mi fe’ sapere che quest’attore doveva rappresentare un -gnomo potente, che viveva in una caverna e fabbricava una spada per -Siegfried, il giovinetto che egli aveva allevato. E appunto avevo -indovinato che esso rappresentava un gnomo, perchè, camminando, non -mancava mai di piegar le ginocchia per rimpicciolirsi. Il gnomo, -spalancando sempre la bocca nella medesima guisa stravagante, continuò -per un pezzo a cantare, o a vociare. La musica per parte sua seguiva -un andamento singolare; si otteneva l’impressione di principii che -non continuavano, nè finivano. Il libretto mi chiarì che il gnomo -raccontava a sè stesso la storia d’un anello, di cui un gigante s’era -impossessato, e che il gnomo desiderava di procacciarsi coll’aiuto di -Siegfried; ed ecco perchè gli foggiava una spada. - -Dopochè questo monologo fu durato un bel pezzo, intesi all’orchestra -degli altri suoni affatto diversi dai primi; salvochè essi pure mi -produssero l’impressione di cominciamenti che non finivano punto. -E infatti non tardò a presentarsi un altro attore, che portava -un corno sulla spalla ed era accompagnato da un uomo camuffato da -orso, e che correva a quattro zampe. Quest’uomo si slanciava sul -gnomo, che scappava, sempre piegando le gambe. L’attore che portava -il corno rappresentava Siegfried, l’eroe del dramma. I suoni -emessi dall’orchestra, prima del suo comparire, erano destinati -a rappresentare il suo carattere. Sono detti il _leit-motiv_ di -Siegfried; e vengono ripetuti ogni volta che Siegfried si presenta. -C’è precisamente una combinazione fissa di suoni, o _leit-motiv_, per -ciascuno dei personaggi; e ogni volta che il personaggio così designato -entra in scena, l’orchestra ripete il suo _leit-motiv_, e ogni volta -che si fa allusione a qualcuno dei personaggi, l’orchestra ripete il -_leit-motiv_ di questo personaggio. Tutti gli oggetti hanno anch’essi -il loro _leit-motiv_. - -C’è il _motivo dell’anello_, il _motivo dell’elmo_, il _motivo del -fuoco_, della _lancia_, della _spada_, dell’_acqua_, ecc; e l’orchestra -ripete codesti motivi non appena si fa menzione di questi diversi -oggetti. Ma ritorno al racconto della rappresentazione. - -L’attore munito del corno apre la bocca in modo non più naturale di -quello che facesse il gnomo, e continua per un pezzo, con una specie di -canto, a gridare certe parole, e _Mime_, il gnomo, gli risponde nello -stesso modo. Il senso di questa conversazione non si può indovinare che -leggendo il libretto; vi apprendo che Siegfried è stato allevato dal -gnomo, per la qual cosa egli lo detesta e cerca sempre d’accopparlo. -Il gnomo ha fabbricato una spada per Siegfried, ma questi non ne è -soddisfatto. Il dialogo dura una buona mezz’ora e occupa dieci pagine -del libretto. Ci fa sapere che la madre di Siegfried lo ha messo al -mondo in un bosco, che suo padre aveva una spada, quella di cui Mime -tenta di ricomporre i pezzi, e che Mime vuol impedire al giovine di -uscir dal bosco. Aggiungerò che, durante questa conversazione, al -minimo cenno che si faccia del padre, della spada, ecc., la musica non -manca mai di far sentire il _leit-motiv_ di queste persone e di questi -oggetti. - -Finalmente il dialogo s’arresta; si sente una musica affatto differente -— il _leit-motiv_ del dio Wotan; e comparisce un viaggiatore. Questo -viaggiatore è il dio Wotan. Fornito anch’esso di parrucca e di maglia, -il dio, ritto in una posa stupida con una lancia in mano, prende a -raccontare una lunga storia, che Mime doveva di certo già conoscere a -fondo, ma che l’autore ha creduto necessario di far conoscere ai suoi -uditori. E si badi, che egli non racconta questa storia semplicemente, -ma bensì sotto forma di enigmi ch’egli si fa rivolgere, assoggettandosi -a perder la vita se mai non indovinasse la risposta. E tutte le -volte che batte il suolo colla lancia, se ne vede uscir del fuoco, e -nell’orchestra si sente il _leit-motiv_ della lancia e del fuoco. Del -resto l’orchestra accompagna il dialogo con una musica in cui sono -sempre abilmente frammischiati i _leit-motiv_ delle persone di cui si -parla. - -Questi enigmi hanno il solo fine di farci sapere che cosa sono i gnomi, -che cosa sono i giganti, che cosa sono gli déi, e ciò che è accaduto -nelle opere precedenti. Per completare la spiegazione, Wotan propone -alla sua volta tre enigmi; poscia se ne va, e ritorna Siegfried, e si -trattiene di nuovo con Mime per tredici altre pagine del libretto. In -tutto questo tempo non si sente una sola melodia svolta per intiero; -non si sente che un intreccio perpetuo dei _leit-motiv_ delle persone e -delle cose di cui si parla. Mime dice che vuole insegnare a Siegfried -la paura, e Siegfried risponde che non sa che cosa sia la paura. Alla -fine terminate le tredici pagine, Siegfried afferra uno dei pezzi di -ciò che deve rappresentare la spada infranta, la pone sull’affare che -deve rappresentare l’incudine, lo batte, e canta “Heaho, heaho, hoho! -Hoho, hoho, hoho, hoho! Hoheo, haho, haheo, hoho!„ E il primo atto è -finito. - -Tutta questa roba era così irritante per me, che stentavo a tenermi -fermo, e, non appena fu terminato l’atto, volli andarmene. Ma gli -amici che m’accompagnavano mi pregarono di restare. Mi dissero che era -impossibile giudicare dell’opera dal solo primo atto, e che il secondo, -indubbiamente, mi sarebbe piaciuto di più. - -Tuttavia non avevo più nulla da imparare intorno alla questione per cui -ero venuto in teatro. Quanto al valore artistico del dramma del Wagner -ero oramai così sicuro del mio parere come ero stato rispetto al pregio -del romanzo di quella signora, quando essa mi aveva letto la scena -tra la donzella dalle chiome ondeggianti, e il cavaliere col cappello -piumato alla Guglielmo Teli. Da un autore capace di comporre scene di -quel genere, che offendono tutti i sentimenti estetici, non c’era da -sperar nulla: si poteva esser certi, senza sentir altro, che qualunque -cosa quell’autore avesse scritto, sarebbe stata arte cattiva, poi chè -evidentemente egli non sapeva che cosa fosse una vera opera d’arte. Ma -intorno a me notavo un’ammirazione, un’estasi generale; e per scoprire -la causa di codesta estasi, risolvetti di sentir ancora il secondo -atto. - -Atto II. — Notte; poi l’alba. Del resto in generale tutta la produzione -è decorata di lampi, nubi, chiaro di luna, tenebre, fuochi di bengala, -schianti di tuono, ecc. La scena rappresenta un bosco, e in fondo si -scorge una caverna. All’ingresso della caverna è seduto un altro attore -in maglia, che rappresenta un altro gnomo. Entra il dio Wotan, sempre -colla sua lancia, e in abito di viandante. Di nuovo l’orchestra fa -sentire il suo motivo, questa volta insieme con un altro motivo di tono -più basso che sia possibile. Questo motivo di basso profondo designa il -dragone. Wotan sveglia il dragone, gli stessi suoni bassi si ripetono -ancora più profondi. Il dragone comincia a dire che vuol dormire; ma -poi si decide a mostrarsi sulla soglia della caverna. Questo dragone è -rappresentato da due uomini. È vestito d’una pelle verde, squamosa; da -un capo dimena una gran coda di serpente, dall’altro spalanca una bocca -di coccodrillo, nella quale guizzano delle fiamme. E questo dragone — -che senza dubbio si volle rendere terribile, e che in realtà potrebbe -spaventare dei bambini di cinque anni — per parlare ha una voce d’una -profondità terribile. Tuttociò è così stupido, così simile a quello che -si fa vedere nelle trabacche della fiera, che vien da domandare come -mai delle persone che abbiano più di cinque anni possano assistervi -con tutta serietà; cionondimeno migliaia di persone che si pretendono -colte, ci assistono e guardano e ascoltano tutta la faccenda con una -pia attenzione, e ammattiscono dal piacere. - -Si vede ricomparire Siegfried col suo corno, e anche Mime. L’orchestra -naturalmente accenna i _leit-motiv_ che li riguardano; ed essi intanto -si mettono a discutere su questo punto, se Siegfried sa o non sa -che cosa sia la paura. Poi Mime se ne va, e comincia una scena che -ha l’intenzione d’essere eminentemente poetica. Siegfried, sempre -in maglia, si sdraia in una posa destinata a sembrarci bella; e -alternativamente tace o parla con sè stesso. Egli fantastica, ascolta -il canto degli uccelli, desidera imitarli. A quel fine taglia colla -spada una cannuccia e se ne fa un flauto. L’alba divien più chiara, gli -uccelli cantano; Siegfried tenta d’imitare gli uccelli. E la musica -dell’orchestra imita il canto degli uccelli, ma non trascurando di -farci udire i _leit-motiv_ delle persone e degli oggetti di cui si -parla. E Siegfried, non riuscendo a sonar bene il flauto, si decide a -sonare di preferenza il suo corno. - -Tutta questa scena è insoffribile. Di musica, cioè d’un’arte che ci -trasmetta un sentimento provato dall’autore, in tuttociò non c’è la -menoma traccia. E aggiungo che non s’è mai imaginato nulla di più -antimusicale. Par di sentire, indefinitamente, una speranza di musica -sempre seguita da una delusione. - -Centinaia di volte comincia alcunchè di musicale; ma questi -cominciamenti sono così brevi, così ingombri di complicazioni -d’armonia e di metallo, così carichi d’effetti di contrasto, così -oscuri e troncati tanto bruscamente, e ciò che accade sulla scena è -d’una falsità così inverosimile, che si stenta a percepire codesti -embrioni musicali, e tanto meno a sentirsene commossi. E sopra tutto, -dal principio alla fine, in ogni nota, è così, direi, palpabile -l’intenzione dell’autore che non vediamo o udiamo nè Siegfried nè gli -uccelli, ma solamente un tedesco dalle idee ristrette, un tedesco privo -di gusto e di stile, che, essendosi formato un concetto grossolano -della poesia, s’adopera a trasmetterci il suo concetto coi mezzi più -grossolani e più primitivi. - -Si sa che sentimento di diffidenza e di resistenza soglia destarsi in -presenza d’un lavoro che riveli con troppa evidenza un partito preso -dall’autore. Basta che un novelliere ci dica prima: “preparatevi a -piangere o a ridere!„ perchè siamo certi di non piangere e di non -ridere. Ma quando vediamo che un autore ci impone di commuoverci -per cosa che non è punto commovente, ma anzi ridicola o ripugnante, -e quando vediamo per giunta che questo autore è pienamente convinto -d’averci conquistati, proviamo una sensazione penosa analoga a quella -che susciterebbe in noi una vecchia in abito da ballo, che facesse la -civettuola con noi. - -Tale fu l’impressione che io provai durante quella scena, mentre vedevo -intorno a me una folla di tremila persone, che non solo assistevano -a quelle assurdità senza lagnarsi, ma che si credevano in dovere di -esserne entusiaste. - -A ogni modo mi rassegnai ancora alla scena seguente, in cui compare -il mostro, coll’accompagnamento delle sue note profonde mescolate col -_leit-motiv_ di Siegfried; ma dopo il combattimento col mostro, e i -muggiti, le vampe, i colpi di spada, ecc. non potei più resistere, e -scappai dal teatro con un sentimento di ripugnanza, che anche adesso -non posso dimenticare. - -E pensavo involontariamente a un contadino savio, istruito, -rispettabile, uno di quegli uomini veramente religiosi che conosco -tra i nostri contadini, mi raffiguravo la perplessità terribile che -proverebbe un uomo siffatto se dovesse assistere allo spettacolo che -io avevo veduto. Che direbbe venendo a sapere quanto lavoro s’era -speso per quella rappresentazione, e vedendo quell’uditorio, vedendo -quei grandi della terra — uomini attempati, calvi, dalla barba grigia, -uomini che egli era avvezzo a rispettare — vedendoli sedere immobili -a guardare e ad ascoltare, per sei ore di seguito, quel mucchio di -assurdità? - -Eppure un uditorio enorme, il fiore delle classi colte, assiste per sei -ore di seguito a codesta rappresentazione assurda: e tutta questa gente -se ne va a casa colla convinzione che col rendere un tributo a quelle -stravaganze s’è acquisito un nuovo diritto di credersi “illuminata„ e -“progredita„. - -Io parlo del pubblico di Mosca, ma questo pubblico non è che una minima -parte di quello che considerandosi come il fiore intellettuale del -mondo, si fa un merito d’aver tanto smarrita la facoltà d’ogni emozione -artistica da poter assistere senza ribellarsi a codesta stupida farsa, -anzi prendervi un piacere estremo. A Bayreuth, dove si rappresentò per -la prima volta quel lavoro, delle persone che si consideravano come la -quintessenza del genere umano accorsero dai quattro punti cardinali, e -spesero ciascuna delle migliaia di rubli per veder rappresentate delle -cose simili; e quattro giorni di seguito, per sei ore al giorno hanno -contemplato e ascoltato questa stupida farsa. - -Ma perchè queste persone si sono recate a Bayreuth, e perchè si -continua ad andar a vedere queste opere, e perchè le si ammirano? È un -quesito che s’impone fatalmente. Come si spiega il successo delle opere -del Wagner? - - -La spiegazione è molto semplice. Grazie a una condizione eccezionale, -potendo disporre dei mezzi d’un re, il Wagner si trovò in grado di -concentrare tutti i metodi inventati prima di lui per contraffare -l’arte; e maneggiando tutti questi metodi con estrema abilità, produsse -un modello perfetto della contraffazione dell’arte. Ed è appunto per -questo che ho parlato così a lungo dell’opera sua; nessun’altra che io -conosca mi fa vedere combinati con tanta accortezza ed efficacia tutti -i metodi che valgono a contraffare l’arte, cioè i prestiti, i fronzoli, -gli effetti, e l’appello alla curiosità. Cominciando dal soggetto, -ricavato dalle vecchie leggende, per venire alle nubi, al sorgere del -sole e della luna, il Wagner s’è valso di tutto ciò che è considerato -come poetico. Nella sua opera troviamo la bella addormentata in mezzo -al bosco, e le ninfe e i fuochi sotterranei, e i gnomi, e le battaglie, -e le spade, e l’amore, e l’incesto, e un mostro, e degli uccelli -canori; l’arsenale del _poetico_ ci si trova su tutta la linea. - -Aggiungete che lì dentro tutto è bello. Sono belle le scene, e le -vesti, e le ninfe, e la valkiria. Anche i suoni sono belli. Poichè -Wagner, che era tutt’altro che privo d’ingegno, ha inventato — alla -lettera, inventato — per accompagnare il suo testo delle combinazioni -di suoni belle non meno d’armonia che di metallo. Tutta codesta -bellezza è d’un ordine piuttosto basso e d’un gusto deplorevole, come -sono le belle donne che si vedono dipinte sugli affissi, o come dei -begli ufficiali in grande uniforme; ma tutto ciò è incontestabilmente -bello. - -In terzo luogo tutto vi è sbalorditivo in sommo grado e di grande -effetto: i mostri, le fiamme miracolose, le scene che avvengono -nell’acqua, l’oscurità della sala, l’orchestra invisibile, e poi delle -combinazioni armoniche nuove, e perciò sorprendenti. - -Infine tutto è “interessante„. L’interesse non istà solo nella -questione di sapere chi ammazzerà e chi sarà ammazzato, chi si sposerà, -e ciò che avverrà in seguito; l’interesse risiede altresì nel rapporto -tra la musica e il testo. Il moto delle onde del Reno; come lo renderà -la musica? Compare sulla scena un gnomo sensuale; come mai la musica -potrà esprimere un gnomo; come potrà colorire la sua sensualità? -Come saranno rappresentati musicalmente il coraggio, o il fuoco, o un -anello? Come farà l’autore a intrecciare il leit-motiv delle persone -che parlano con quello delle persone e delle cose di cui egli parla? E -l’interesse delle opere del Wagner non si ferma lì. La musica, anche -di per sè è un appello costante alla nostra curiosità. S’allontana -da tutte le leggi ammesse prima di essa e produce le modulazioni più -inaspettate, delle modulazioni affatto nuove (cosa non solo possibile, -ma anche facile a una musica che s’è liberata da ogni legge organica). -Le dissonanze sono nuove e sono risolute in un modo affatto nuovo. -Tuttociò è pure molto interessante. - -E sono questi elementi, l’apparato poetico, la bellezza, l’effetto, e -l’interesse, che, grazie alle singolarità dell’ingegno del Wagner e a -quello della sua condizione, si trovano nelle opere di lui portate al -sommo della perfezione: di modo che ipnotizzano lo spettatore, come -sareste ipnotizzati se ascoltaste per parecchie ore le divagazioni d’un -pazzo declamate con grande potenza rettorica. - -Mi si dice: “Non potete giudicare di tutto ciò senza aver veduto le -opere del Wagner a Bayreuth, nella sala oscura, coll’orchestra nascosta -del tutto e un’esecuzione inappuntabile!„ Sono pronto ad ammetterlo; -ma questo prova precisamente che non si tratta d’arte, ma d’ipnotismo. -È appunto nello stesso modo che parlano gli spiriti. Per convincerci -della realtà delle loro apparizioni, ci dicono infallibilmente: “Non -potete giudicare a casa vostra, venite alle nostre sedute„. In altri -termini: “Venite, e rimarrete seduti, per parecchie ore di seguito, al -buio, con altre persone mezze matte, ripetete questa esperienza una -decina di volte, e vedrete quello che vediamo noi„. E perchè non lo -vedrei? Mettetevi solamente in siffatte condizioni, e vedrete tutto -quello che volete vedere, sebbene possiate giungere più facilmente allo -stesso risultato ubriacandovi di vino o d’oppio. Lo stesso avviene per -l’audizione delle opere del Wagner. Rituffatevi per quattro giorni di -seguito nell’oscurità in compagnia di persone che si trovano in uno -stato di mente anormale, e per il veicolo dei vostri nervi acustici -sottomettete il vostro cervello all’azione potente dei suoni fatti -apposta per eccitarlo; dovrete per forza trovarvi in condizioni -anormali sicchè le assurdità peggiori vi faranno piacere. Ma per -arrivare a tanto non vi occorrono neppure quattro giorni; bastano le -sei ore che dura la rappresentazione d’una delle giornate. Che dico -mai? Un’ora basta per delle persone che non hanno alcuna idea chiara -di quello che dovrebbe essere l’arte, e che hanno anticipatamente -deciso che quanto vanno a vedere è eccellente, e sanno che mostrarsi -indifferenti o malcontenti dinanzi a codesta opera sarebbe imputato -loro come una prova d’inferiorità e di scarsa cultura. - -Ho osservato a Mosca l’uditorio del Siegfried. C’erano delle persone -che dirigevano gli altri e davano loro l’imbeccata; ce n’erano -di quelle che avevano già subito altre volte l’azione ipnotica -del Wagner, e vi si abbandonavano di nuovo, essendovisi abituate. -Coloro, trovandosi in uno stato anormale di mente, provavano -un’estasi perfetta. Accanto ad essi c’erano i critici d’arte, uomini -assolutamente privi della facoltà di provar commozione per l’arte, -e che quindi sono sempre pronti a lodare delle opere come quelle del -Wagner, in cui ogni cosa è affare d’intelligenza; perciò non mancavano -di sfoggiare tutta la loro profondità nel lodare un’opera che forniva -loro così ampia materia di raziocinii. Dietro a questi due gruppi -camminava la turba dei cittadini, uomini indifferenti all’arte, o tali -che la capacità d’esserne tocchi era in essi pervertita e in parte -atrofizzata; e costoro si schieravano servilmente coll’opinione dei -principi, dei caporioni della finanza e altri dilettanti, che alla loro -volta abbracciano sempre le idee di coloro che esprimono il loro parere -più forte e con maggior baldanza. — “Oh! che poesia! che meraviglia! -principalmente gli uccelli! Ah sì! m’arrendo!„ Così esclama tutta -quella folla ripetendo a gara ciò che ha or ora udito affermare dagli -uomini di autorità riconosciuta. - -Ciononostante forse ci sono delle persone che si sentono urtate -dall’assurdità e dalla volgarità di questa così detta arte nuova; ma -tacciono timidamente, come un uomo digiuno rimane silenzioso e timido -quando si vede circondato da ubbriachi. - -E così avviene che, grazie alla maestria prodigiosa con cui contraffà -l’arte senza aver nulla di comune con essa, un’opera grossolana, -bassa e vuota di senso si trova ammessa dal mondo intiero, costa per -la rappresentazione migliaia di rubli, e contribuisce sempre più a -pervertire il gusto delle classi superiori, allontanandole sempre più -dall’arte vera. - - - - -CAPITOLO XIII. - -Difficoltà di distinguere l’arte vera dalla sua contraffazione. - - -So che la maggior parte degli uomini, anche i più intelligenti, -stentano a riconoscere la verità anche più semplice e più evidente, -se questa verità li costringe a ritener false delle idee che si -son formati forse a fatica, delle idee di cui sono fieri, che -hanno insegnate a degli altri, e sulle quali hanno fondato la loro -vita. Quindi non ho molta speranza che quanto io dico intorno al -pervertimento dell’arte e del gusto nella nostra società abbia -ad essere ammesso dai miei lettori, o neppur preso seriamente -in considerazione. Tuttavia non mi so trattenere dall’enunciare -francamente la conclusione a cui inevitabilmente m’hanno condotto le -mie ricerche intorno al problema dell’arte. Questa conclusione è che -quanto la maggior parte della nostra società considera come arte, -come arte buona, come essenza dell’arte, non è che una contraffazione -dell’arte vera. Questa conclusione, lo so bene, sembrerà strana e -paradossale; ma purchè ammettiamo che l’arte è un’attività umana -per mezzo della quale certi uomini trasmettono i loro sentimenti a -certi altri (e non già un culto della Bellezza, nè una manifestazione -dell’Idea, nè nulla di simile), saremo costretti inevitabilmente ad -ammettere questa conclusione come conseguenza naturale. - -Se l’arte è un’attività colla quale un uomo trasmette i suoi sentimenti -ad altri uomini, dobbiamo confessare che di tutto ciò che chiamiamo -arte nella nostra società, di tutti questi romanzi, racconti, drammi, -quadri, opere, balli, ecc., è dir molto se la centomillesima parte -procede da un’emozione sentita dall’autore, tutto il resto riducendosi -a contraffazioni dell’arte, in cui gli imprestiti, gli ornamenti, gli -effetti e l’interesse sostituiscono il contagio del sentimento. Ho -letto, non so dove, che solo a Parigi il numero dei pittori oltrepassa -i ventimila; probabilmente ce ne saranno altrettanti in Inghilterra, -altrettanti in Germania, altrettanti negli altri paesi d’Europa. -Quindi in Europa ci saranno circa centomila pittori, e senza dubbio -vi si troveranno pure centomila musicisti e centomila letterati. Se -codesti trecentomila individui producono ciascuno tre opere all’anno, -si può calcolare ogni anno sopra un milione circa di così dette opere -d’arte. Ora quanti sono gl’intenditori d’arte che siano colpiti da -codesto milione di lavori? Per non parlare delle classi lavoratrici, -che non hanno alcuna idea di quelle produzioni, sarà molto se anche -gli uomini delle classi superiori conoscono una su mille di quelle -opere, e possono ricordarne una su diecimila. Quindi possiamo dire che -tutte queste opere non sono che simulacri d’arte, non producono che -l’impressione d’un passatempo per la turba degli oziosi e dei ricchi, e -sono destinate a scomparire non appena sono prodotte. - -La condizione d’un uomo della nostra società che voglia scoprire -un’opera di arte vera nel gran numero delle opere che pretendono di -essere arte, s’assomiglia a quella d’un uomo che fosse condotto per -miglia e miglia lungo una strada lastricata d’un mosaico di pietre -artificiali, e volesse riconoscere l’unico diamante o rubino o topazio -vero che supponesse trovarsi in mezzo a quel milione d’imitazioni. - -Anzi la difficoltà dì distinguere le opere dell’arte vera oggigiorno si -trova accresciuta dal fatto che la qualità esteriore del lavoro nelle -false opere d’arte non solo non è peggiore, ma spesso è anche migliore -che nelle vere; poichè la contraffazione produce spesso più effetto che -l’arte vera, e i suoi soggetti sono più interessanti. Come riconoscere -dunque l’arte vera dalla falsa? Come distinguere da un milione d’opere -fatte apposta per imitare un’opera che non se ne distingue per la forma -esteriore? - - -Per un uomo il gusto del quale non fosse pervertito ciò sarebbe -facile, come per un animale il cui olfatto non è pervertito è facile -il seguire la traccia che segue in mezzo a cento altre nel bosco. -L’animale trova infallibilmente la sua traccia. E l’uomo farebbe -lo stesso se le sue qualità naturali non fossero state pervertite. -Troverebbe infallibilmente, in mezzo a migliaia d’oggetti, la sola -opera d’un’arte vera, cioè quella che gli comunica dei sentimenti -particolari e nuovi. Ma ciò non vale per coloro il cui gusto è stato -pervertito dall’educazione e dal genere di vita. In uomini siffatti il -potere naturale d’essere commosso da un’opera d’arte è atrofizzato, -e nel valore che danno alle opere d’arte sono costretti a lasciarsi -guidare dalla discussione e dallo studio, che finiscono entrambi per -fuorviarli. E così accade che la maggior parte degli uomini nella -nostra società sono assolutamente incapaci di distinguere un’opera -d’arte dalla sua contraffazione più grossolana. Costoro si condannano -a rimaner seduti per delle ore intiere nei teatri a sentire i lavori -di Ibsen, di Maeterlinck, di Hauptmann o di Wagner; si credono in -dovere di leggere dalla prima riga all’ultima i romanzi dello Zola, -del Huysmans, del Bourget o del Kipling, di guardar dei quadri -rappresentanti o delle cose incomprensibili, o delle cose che possono -vedere assai meglio nella vita reale; e sopratutto considerano come -loro obbligo d’andar in estasi per tutta quella roba, pensando che -sia dell’arte, mentre nel medesimo istante delle opere d’arte vera -ispireranno loro un profondo disprezzo, perchè nei loro circoli quelle -opere non sono messe sulla lista delle opere d’arte. - -E così, per quanto ciò possa parere strano, io sostengo che tra gli -uomini della nostra società, alcuni dei quali scrivono dei versi, -dei romanzi, delle opere, delle sinfonie, dipingono dei quadri e -scolpiscono delle statue, e discutono, condannano, esaltano le loro -produzioni a vicenda, sostengo che tra tutti costoro ce n’è appena -uno su cento che conosca il sentimento prodotto da un’opera d’arte -e distingua questo sentimento dalle diverse forme del divertimento -e dell’eccitazione nervosa che ai nostri tempi passano per forme -dell’arte. - - - - -CAPITOLO XIV. - -Il contagio artistico, criterio dell’arte vera. - - -Eppure c’è un segno certo e infallibile per distinguere l’arte vera -dalle sue contraffazioni; ed è ciò che io chiamo il contagio artistico. -Se un uomo senza alcun sforzo da parte sua dinanzi all’opera d’un -altro uomo, prova un’emozione che lo unisce a questo e ad altri ancora -ricevendo contemporaneamente la stessa impressione, ciò significa che -l’opera dinanzi a cui si trova è un’opera d’arte. E un’opera può essere -quanto vuole bella, poetica, ricca d’effetti e interessante, ma non è -un’opera d’arte se non desta in noi quell’emozione tutta particolare, -la gioia di sentirci in comunione d’arte coll’autore e cogli altri -uomini in compagnia dei quali noi leggiamo, vediamo, sentiamo l’opera -in questione. - -Certamente questo è un segno affatto interiore; e certamente le -persone che non hanno mai provato l’impressione prodotta da un’opera -d’arte potranno imaginarsi che il divertimento e l’eccitazione nervosa -provocati in loro dalle contraffazioni dell’arte costituiscano delle -impressioni artistiche. Ma queste persone sono come gli affetti da -daltonismo, ai quali nulla può far credere che il verde non è il rosso. -E all’infuori di esse per ogni persona che non sia di gusto pervertito -e atrofizzato, il segno che ho detto conserva il suo pieno valore e -permette di distinguere nettamente l’impressione artistica da tutte le -altre. La particolarità principale di questa impressione sta in ciò, -che l’uomo che la riceve si trova per così dire confuso coll’artista. -Gli pare che i sentimenti che gli sono trasmessi non provengano da -un’altra persona, ma da sè stesso, e che tutto ciò che l’artista -esprime, egli stesso avrebbe voluto esprimerlo da un pezzo. La vera -opera d’arte ha per effetto di sopprimere la distinzione tra la persona -a cui è indirizzata e l’artista, come pure tra questa persona e tutte -le altre a cui è indirizzata la stessa opera d’arte. Ed è appunto in -questa soppressione d’ogni barriera tra gli uomini, in questa unione -del pubblico coll’artista che sta la virtù principale dell’arte. - -Proviamo noi codesto sentimento in presenza d’un’opera? Vuol dire -che l’opera è vera arte. Non lo proviamo, e non ci sentiamo uniti -coll’autore e cogli altri uomini a cui l’opera è indirizzata? Vuol dire -che in quest’opera non c’è arte. E non solo il potere del contagio è il -segno infallibile dell’arte, ma il grado di questo contagio è l’unica -misura dell’eccellenza artistica. Più è forte il contagio, e più l’arte -è vera, in quanto sia arte, indipendentemente dal contenuto, cioè dal -valore dei sentimenti che ci trasmette. - -E il grado del contagio dell’arte dipende da tre condizioni: 1.º dalla -maggiore o minore singolarità, originalità e novità dei sentimenti -espressi; 2.º dalla maggiore o minor chiarezza con cui sono espressi; -3.º finalmente dalla sincerità dell’artista, cioè dall’intensità più o -meno grande colla quale prova egli stesso i sentimenti che esprime. - -Quanto più i sentimenti sono singolari e nuovi, tanto più agiscono su -colui al quale si trasmettono. Costui riceve un’impressione tanto più -viva, quanto è più singolare e nuovo lo stato d’animo in cui si trova -trasportato. - -La chiarezza colla quale sono espressi i sentimenti determina in -secondo luogo il contagio perchè nella nostra impressione d’essere -uniti coll’autore, la nostra soddisfazione è tanto maggiore quanto sono -espressi più chiaramente quei sentimenti, che ci sembra di provare già -da un pezzo e di essere finalmente riusciti a esprimere. - -Ma sopra tutto è il grado di sincerità dell’artista che determina -il grado del contagio artistico. Quando lo spettatore, l’uditore, -il lettore indovinano che l’artista è commosso egli stesso dalla -sua opera, che scrive, dipinge e suona per sè stesso, s’assimilano -subito i sentimenti dell’artista; e al contrario quando lo spettatore, -l’uditore, il lettore capiscono che l’autore non produce la sua opera -per sè stesso, e non prova egli stesso ciò che vuole esprimere, tosto -nasce in loro un desiderio di resistenza; in tal caso nè la novità -del sentimento nè la semplicità dell’espressione riescono a dar loro -l’emozione voluta. - -Io discorro di tre condizioni del contagio artistico; ma in realtà -si riducono tutte e tre all’ultima che esige che l’artista provi per -proprio conto i sentimenti che esprime. In fatti questa condizione -implica la prima, poichè, se l’artista è sincero, esprimerà il suo -sentimento come l’ha provato; e attesochè ognuno differisce dagli -altri, i sentimenti dell’artista saranno tanto più nuovi per gli altri -uomini quanto più profondamente li avrà attinti in sè stesso. E del -pari quanto più l’artista è sincero, riesce a esprimere con tanta -maggior chiarezza il sentimento che gli preme. - -Quindi la sincerità è la condizione essenziale dell’arte. Questa -condizione è sempre presente nell’arte popolare, mentre è quasi del -tutto assente nell’arte delle nostre classi superiori, in cui l’artista -ha sempre dinanzi a sè delle considerazioni di guadagno, di convenienza -o d’amor proprio personale. - -Ecco dunque per quale indizio certo si può distinguere l’arte vera -dalla sua contraffazione e inoltre misurare il grado d’eccellenza -dell’arte in quanto è arte, indipendentemente dal suo contenuto, cioè -dalla questione di sapere se esprime dei sentimenti buoni o cattivi. -Ma ora si presenta un altro problema: da qual segno si distinguerà nel -contenuto dell’arte, ciò che è buono da ciò che è cattivo? - - - - -CAPITOLO XV. - -L’arte buona e l’arte cattiva. - - -L’arte è, insieme colla parola, uno degli stromenti dell’unione degli -uomini e perciò del progresso, ovverosia dell’avanzare del genere -umano verso la felicità. La parola concede agli uomini delle nuove -generazioni di conoscere tuttociò che per mezzo dell’esperienza -e della riflessione hanno imparato le generazioni precedenti, e i -più sapienti tra i contemporanei; l’arte concede agli uomini delle -nuove generazioni di provare tutti i sentimenti che hanno provato le -generazioni anteriori, come pure i migliori dei contemporanei. E a -quella guisa che procede l’evoluzione delle cognizioni, per la quale -delle cognizioni più reali e più utili si sostituiscono sempre ad altre -meno reali e meno utili, del pari procede l’evoluzione dei sentimenti -per mezzo dell’arte. Ai sentimenti inferiori, meno buoni e meno utili -per la felicità dell’uomo, si sostituiscono senza posa dei sentimenti -migliori, più utili a questa felicità. Tale è la funzione dell’arte. -In conseguenza l’arte, rispetto al suo contenuto, è tanto migliore, -quanto meglio adempie questa funzione, ed è meno buona, se meno bene vi -soddisfa. - -Ora la stima dei sentimenti, cioè la distinzione tra quelli che -sono buoni da quelli meno buoni considerati rispetto alla felicità -dell’uomo, codesta stima, ripeto, si fonda sulla coscienza religiosa -d’un’età. - -In tutte le età storiche, e in tutte le società esiste un concetto -superiore del significato della vita, proprio di ciascuna età; ed è -esso appunto che determina l’ideale della felicità verso cui tendono -quell’epoca e quella società. Questo concetto costituisce la coscienza -religiosa. E tale coscienza si trova sempre espressa chiaramente da -alcuni uomini eletti, mentre il resto dei loro contemporanei la sente -con forza maggiore o minore. Talvolta ci pare che questa coscienza -manchi in certe società; ma realmente non è già che essa manchi, siamo -noi che non vogliamo vederla, sovratutto perchè non va d’accordo col -nostro modo di vivere. - -In una società la coscienza religiosa è come la corrente d’un fiume. Se -il fiume scorre gli è perchè c’è l’avviamento della corrente. E se la -società vive gli è che c’è una coscienza religiosa la quale determina -la corrente che seguono, più o meno a loro insaputa, gli uomini di -questa società. - -Pertanto in ogni società c’è sempre stata e ci sarà sempre una -coscienza religiosa. Ed è in conformità di questa coscienza religiosa -che si sono sempre valutati i sentimenti espressi dall’arte. È solo -sul fondamento di questa coscienza religiosa del tempo loro che gli -uomini hanno potuto distinguere, nella varietà infinita del dominio -dell’arte, i soggetti capaci di produrre dei sentimenti conformi -all’ideale religioso del loro tempo. E l’arte che esprimesse tali -sentimenti fu sempre grandemente stimata; mentre quella che traduceva -dei sentimenti sgorganti dalla coscienza religiosa di epoche anteriori, -dei sentimenti logori e vieti, fu sempre sdegnata e abbandonata. E -quanto a tutta quell’arte che esprimeva la varietà infinita degli altri -sentimenti d’ogni specie, quella non era ammessa e incoraggiata se non -in quanto i sentimenti che essa esprimeva non fossero contrari alla -coscienza religiosa. Così per esempio presso i Greci si distingueva, -s’approvava e s’incoraggiava l’arte che esprimeva i sentimenti della -bellezza, della forza, della virilità (Esiodo, Omero, Fidia), mentre -si condannava e si sprezzava l’arte che traduceva dei sentimenti di -sensualità grossolana, d’abbiezione, e di tristezza. Presso gli Ebrei -si ammetteva e s’incoraggiava l’arte che esprimeva dei sentimenti -di sommissione verso il Dio degli Ebrei, mentre si condannava e si -disprezzava l’arte che esprimeva dei sentimenti d’idolatria; e tutto -il resto dell’arte, racconti, canti, ornamenti delle case, vasellame, -vesti, purchè non cozzasse colla coscienza religiosa, non era nè -condannato nè incoraggiato. Così l’arte, sempre e dappertutto, era -stimata secondo il suo contenuto; e così dovrebbe sempre essere -stimata, poichè questo modo di considerar l’arte defluisce dall’essenza -stessa della natura umana, e questa essenza è sempre invariabile. - -Non ignoro che secondo un’opinione ai nostri tempi diffusa, la -religione è un pregiudizio di cui l’umanità s’è finalmente liberata; -e da ciò risulterebbe che nel tempo nostro non c’è coscienza religiosa -comune a tutti gli uomini, la quale quindi possa servir di base a una -valutazione dell’arte. E so pure che questa opinione è ritenuta quella -delle classi più colte della nostra società. Degli uomini, che non -volendo riconoscere il vero senso del Cristianesimo, inventano ogni -sorta di dottrine filosofiche ed estetiche per nascondere ai propri -occhi l’irragionevolezza e la bassezza della loro vita, tali uomini -non possono avere altra opinione. Sinceramente o no essi confondono -l’idea d’un culto religioso con quella d’una coscienza religiosa; e -respingendo il culto, s’imaginano di respingere colla medesima mossa -la coscienza religiosa. Ma tutti questi assalti contro la religione, -e questi tentativi di stabilire una filosofia contraria alla coscienza -religiosa del nostro tempo, tuttociò prova abbastanza chiaramente che -questa coscienza esiste, e che essa accusa la vita degli uomini che -l’attaccano, e la contraddice. - -Se nell’umanità c’è un progresso, cioè un cammino per cui s’avanza, -dev’esserci necessariamente qualche cosa che designi agli uomini la -direzione da seguire in questo cammino. Ora questo è sempre stato il -cómpito delle religioni. Tutta la storia ci mostra che il progresso -dell’umanità è sempre avvenuto sotto la guida d’una religione. E poichè -il progresso non s’arresta, poichè in conseguenza deve aver luogo anche -nel nostro tempo, se ne conchiude che anche il nostro tempo ha una -religione propria. E se la nostra età, come tutte le altre, ha la sua -religione, egli è sul fondamento di questa religione che deve essere -stimata l’arte nostra, e debbono essere stimate e incoraggiate quelle -sole opere d’arte che sgorgano dalla religione del nostro tempo mentre -tutte le opere contrarie a questa religione devono essere condannate, e -tutto il resto dell’arte dev’essere trattato con indifferenza. - - -Ora, la coscienza religiosa del nostro tempo in termini generali, -consiste nel riconoscere che la nostra felicità materiale e spirituale, -individuale e collettiva, momentanea e permanente, risiede nella -fraternità di tutti gli uomini, nella nostra unione per una vita -comune. Questa coscienza non solo si trova affermata sotto le forme più -diverse, dagli uomini del nostro tempo, ma è dessa che serve di filo -conduttore a tutto il lavoro dell’umanità, lavoro che ha per oggetto -da una parte la soppressione di tutte le barriere fisiche e morali, -che s’oppongono all’unione degli uomini, e dall’altra l’assodamento -di principii comuni a tutti gli uomini che possano unirli tutti in una -stessa fraternità universale. Egli è pertanto sul fondamento di questa -coscienza religiosa che dobbiamo valutare tutte le manifestazioni della -nostra vita, e tra queste, l’arte nostra; distinguendo tra tutto il -resto nei prodotti di quest’arte quelli che esprimono dei sentimenti -in accordo con questa coscienza religiosa, e respingendo e condannando -tutti quelli che sono contrarii a questa coscienza. - -L’errore principale che commisero le classi superiori della società al -tempo del così detto Rinascimento e che noi continuiamo a commettere -dopo d’allora, non risiede tanto nell’aver l’uomo cessato di pregiare -il senso dell’arte religiosa, quanto piuttosto nell’avere stabilito -al posto dell’arte religiosa scomparsa un’arte indifferente che non ha -per fine che il semplice divertimento e non merita punto d’essere tanto -stimata e incoraggiata. - -Uno dei Padri della Chiesa diceva che la peggior disgrazia per gli -uomini non è quella di non conoscere Dio ma di aver messo al posto di -Dio ciò che non è Dio. Per l’arte siamo nello stesso caso. La peggior -disgrazia delle classi superiori del nostro tempo non è il mancare -d’un’arte religiosa, ma che al posto elevato dove non meritava d’essere -collocata che questa sola arte, sola importante e degna d’essere -incoraggiata, hanno innalzato un’arte indifferente, o anche più di -sovente funesta, che obbedisce al fine di divertire alcuni uomini, ed è -per ciò stesso contraria al principio cristiano dell’unione universale, -che forma il fondo della coscienza religiosa del nostro tempo. - -Senza dubbio, l’arte che soddisferebbe alle aspirazioni religiose del -nostro tempo non potrebbe aver nulla di comune colle qualità d’arte -delle età passate; ma questa differenza non toglie che l’ideale -dell’arte religiosa del nostro tempo sia perfettamente chiaro e -definito per chiunque riflette e non s’allontana di proposito dalla -verità. Nelle età anteriori, quando la coscienza religiosa non univa -ancora che un gruppo solo d’uomini — i cittadini ebrei, ateniesi, o -romani — i sentimenti espressi dall’arte di quei tempi scaturivano -dal desiderio di potenza, di grandezza, di gloria propria di ciascuno -di quei gruppi, e l’arte poteva anche assumere come eroi degli uomini -che adoperavano per il bene del loro gruppo la violenza o l’astuzia -(Ulisse, Ercole, e in generale gli eroi antichi). Al contrario la -coscienza religiosa del nostro tempo non ammette dei gruppi separati -tra gli uomini, ma esige l’unione di tutti gli uomini senza eccezione, -e sopra tutte le altre virtù colloca l’amor fraterno dell’umanità -intiera; perciò i sentimenti che deve esprimere l’arte del nostro tempo -non solo non possono coincidere con quelli delle arti anteriori, ma si -trovano per forza in opposizione con quelli. - -E se finora un’arte cristiana, ma veramente cristiana, non s’è mai -potuta stabilire, ciò dipende per l’appunto da questo: che il concetto -religioso cristiano non è stato uno di quei piccoli passi avanti, quali -ne fa di continuo il genere umano, ma bensì una rivoluzione enorme, -destinata a modificare da cima a fondo, presto o tardi, il modo di -vivere degli uomini e i loro sentimenti. Il concetto cristiano ha dato -una direzione differente e nuova a tutti i sentimenti dell’umanità; -quindi doveva pure di necessità modificare totalmente la materia e il -significato dell’arte. Ai Greci fu possibile trar partito dall’arte -dei Persiani, e ai Romani da quella dei Greci, come pure agli Ebrei -da quella degli Egiziani, essendo identica la base dei loro ideali. -Infatti l’ideale dei Persiani era la grandezza e la prosperità dei -Persiani; quello dei Greci la grandezza e la prosperità dei Greci. Così -una stessa arte si poteva trasportare in un nuovo ambiente e adattarsi -ad altre nazioni. Ma l’ideale cristiano al contrario ha modificato, -anzi rovesciato tutti gli altri di modo che come si dice nel Vangelo: -“Ciò che era grande nel cospetto degli uomini, è diventato piccolo nel -cospetto di Dio.„ Quest’ideale non fu più riposto nella potenza, come -era quello degli Egiziani, e nemmeno nella ricchezza, come quello dei -Fenici, o nella bellezza, come quello dei Greci, ma nell’umiltà, nella -rassegnazione, nell’amore. L’eroe, oramai, non fu più il ricco, ma -Lazzaro il mendicante. Maria l’Egiziaca parve degna d’essere ammirata -non all’epoca della sua bellezza, ma in quella del suo pentimento. -Non si celebrò come virtù l’ammassare ricchezze, ma il rinunciare ad -esse. E l’oggetto supremo dell’arte non fu più la glorificazione della -riuscita, ma la rappresentazione d’un’anima umana, così riboccante -d’amore che rendeva possibile al martire di compiangere e d’amare i -suoi persecutori. - -E così si spiega perchè il mondo cristiano duri tanta fatica a -svincolarsi dall’arte pagana a cui s’è avvezzo. Il contenuto dell’arte -religiosa cristiana è per gli uomini cosa tanto nuova, tanto differente -dal contenuto dell’arte anteriore, che essi provano di leggeri -l’impressione che codest’arte cristiana sia la negazione dell’arte, e -s’aggrappano disperatamente al loro antico ideale artistico. Ma d’altro -lato codesto concetto critico, oramai non derivando più dalla nostra -coscienza religiosa, ha perduto per noi ogni significato, talchè, per -amore o per forza, siamo costretti a staccarcene. - -L’essenza della coscienza cristiana sta in ciò che ogni uomo riconosce -la sua discendenza divina, e come corollario di questa discendenza -l’unione di tutti gli uomini con Dio e tra di loro, secondochè è -scritto nel Vangelo (S. Giov., XVII, 21), e ne risulta che la sola vera -materia dell’arte cristiana debbono essere tutti i sentimenti atti a -effettuare l’unione degli uomini con Dio e tra di loro. - -Queste parole _l’unione degli uomini con Dio e tra di loro_, per -quanto possano sembrare oscure a menti offuscate da preconcetti, hanno -un senso perfettamente chiaro. Significano che l’unione cristiana, -contrariamente alla unione parziale e esclusiva di alcuni uomini, -unisce tra di loro tutti gli uomini senza eccezione. Ora è proprietà -essenziale dell’arte, di ogni arte, quella d’unire gli uomini tra loro. -Ogni arte ha per effetto che gli uomini che ricevono il sentimento -trasmesso dall’artista si trovano per questo fatto uniti, prima -coll’artista stesso, e poi con tutti gli altri uomini che ricevono la -medesima impressione. Ma l’arte non cristiana unendo tra di loro alcuni -uomini, per ciò appunto isola codesti uomini dal resto dell’umanità, -di modo che questa unione parziale è spesso causa d’allontanamento -rispetto ad altri uomini. L’arte cristiana al contrario è quella che -unisce tutti gli uomini senza eccezione. E può ottenere questo fine -in due modi: o evocando in tutti gli uomini la coscienza della loro -parentela con Dio e tra di loro; oppure anche evocando in tutti gli -uomini uno stesso sentimento, per semplice che sia, purchè non sia -contrario al Cristianesimo e possa estendersi a tutti gli uomini senza -eccezioni. Solo questi due ordini di sentimenti possono formare al -nostro tempo la materia dell’arte _buona_, quanto al contenuto. - - -Pertanto oggigiorno ci possono essere due specie d’arte cristiana: -1.º l’arte che esprime dei sentimenti derivati dal nostro concetto -religioso, cioè dal concetto della nostra parentela con Dio e cogli -altri uomini; 2.º l’arte che esprime dei sentimenti accessibili a tutti -gli uomini del mondo intero. La prima di queste due forme è quella -dell’arte _religiosa_ nel senso stretto del vocabolo: la seconda quella -dell’arte _universale_. - -L’arte religiosa poi si può dividere in due specie: un’arte superiore -e un’arte inferiore. L’arte religiosa superiore è quella che esprime -direttamente e immediatamente dei sentimenti derivati dall’amor di -Dio e dall’amor del prossimo; l’arte religiosa inferiore è quella che -esprime dei sentimenti di malcontento, di delusione, di disprezzo per -tutto ciò che è contrario all’amor di Dio e del prossimo. - -E l’arte universale alla sua volta si può dividere in arte superiore -accessibile a tutti gli uomini sempre e dappertutto, e in arte -inferiore accessibile solamente a tutti gli uomini d’una certa nazione -e d’una certa epoca. - -La prima delle due grandi forme dell’arte, quella dell’arte religiosa, -superiore o inferiore, si manifesta sopratutto nelle lettere, e -talvolta pure nella pittura e nella scultura; la seconda forma, quella -dell’arte universale, esprimente sentimenti accessibili a tutti, può -concretarsi nelle lettere, nella pittura, nella scultura, nella danza, -nell’architettura, ma particolarmente nella musica. - -Chè se ora mi chiedeste di designare nell’arte moderna dei modelli -di ciascuna di queste forme dell’arte, e in primo luogo dei modelli -dell’arte religiosa, sia superiore sia inferiore, indicherò di -preferenza tra i contemporanei Vittore Hugo coi suoi _Miserables_ e -_Pauvres gens_; indicherò ancora tutti i romanzi e tutte le novelle di -Carlo Dickens, le _Due Città_, le _Campane del Natale_, ecc.; indicherò -la _Capanna dello zio Tom_, e le opere del Dostojevsky, sovratutto la -sua _Casa dei morti_, e _Adam Bede_ di Giorgio Eliot. - -Nella pittura contemporanea, strano a dirsi, esistono appena opere -d’arte di questa fatta, che rendano il sentimento cristiano dell’amor -di Dio e del prossimo; o quelle che se ne trovano, appartengono in -genere a pittori mediocri. Ci sono bensì in gran quantità dei quadri -di scene del Vangelo; ma non sono che rappresentazioni storiche, -ricostituite con più o meno di particolari; nessuna esprime, nè -potrebbe esprimere, il sentimento religioso che manca ai loro autori. -C’è pure un buon dato di quadri che rendono i sentimenti personali di -certi pittori. Ma dei quadri che esaltino la rinunzia a sè stessi e -la carità cristiana non ne conosco. È molto che di quando in quando -si trovi nell’opera di qualche pittore secondario, un quadro che -esprima sentimenti di bontà e di compassione. Altri quadri, d’un -genere prossimo, ci rappresentano con simpatia e rispetto la vita dei -lavoratori. Così per esempio l’_Angelus_ del Millet, o il suo _Homme à -la houe_; tali ancora certi dipinti di Jules Breton, del Lhermitte, del -Defregger, ecc. Potrei pure citare qualche quadro appartenente fino a -un certo segno all’arte religiosa inferiore, vale a dire eccitante in -noi l’odio per ciò che è contrario all’amor di Dio e del prossimo; per -esempio il _Tribunale_ del pittore Gay. Ma anche questi quadri sono -rarissimi. La cura della tecnica e della bellezza il più delle volte -offusca nei pittori il sentimento. Per esempio il celebre quadro del -Gérôme, _Pollice verso_, non esprime punto l’orrore del soggetto che -rappresenta, ma piuttosto il piacere provato dall’artista nel dipingere -un bello spettacolo. - -Ma stenterei ancora di più a designare nell’arte contemporanea -dei modelli della seconda forma dell’arte, quella che esprime dei -sentimenti accessibili a tutti gli uomini, o anche solo a un popolo -intiero. Si trovano bene delle opere che, per la natura degli -argomenti, potrebbero essere classificate in questa categoria: per -esempio il _Don Chisciotte_, le commedie di Molière, il _Pickwick -Club_ del Dickens, i racconti di Gogol, di Puschkin, alcuni del -Maupassant, ed anche i romanzi di Dumas padre; ma tutte queste opere -esprimono dei sentimenti così individuali, e lasciano tanto posto alle -particolarità dei tempi e dei luoghi, e sopratutto hanno un fondo -così povero, che non sono accessibili se non agli uomini d’un’epoca -molto ristretta, e non possono sostenere il confronto coi capolavori -dell’arte universale d’una volta. Prendete, per esempio, la storia -di Giuseppe, figlio di Giacobbe. Dei fratelli di Giuseppe che lo -vendono a mercatanti per gelosia del favore che egli gode presso il -padre; la moglie di Putiphar che vuol sedurre Giuseppe; questi che -perdona i fratelli e il resto: eccovi dei sentimenti accessibili al -contadino russo, al chinese, all’africano, al bambino e al vegliardo, -al letterato e all’illetterato; e tutto ciò è scritto con tanta -sobrietà, senza particolari inutili, che potete trasportare il racconto -in qualunque altro ambiente senza che perda nulla della sua chiarezza -e del suo patetico. Come sono diversi i sentimenti di Don Chisciotte, -o degli eroi di Molière, benchè Molière sia l’artista più universale, -e perciò il più grande dell’arte moderna! E quanto sono ancora più -diversi i sentimenti di Pickwic o degli eroi di Gogol! Essi sono d’uno -stampo così speciale, che per dar loro tutto il risalto, gli autori -dovettero sopraccaricarli di particolari di tempo e di luogo. E questa -sovrabbondanza di particolari li rende inaccessibili a tutti coloro che -vivono in un ambiente diverso da quello descritto dall’autore. - -L’autore della storia di Giuseppe non ha creduto necessario descriverci -minutamente, come si farebbe ora, la veste insanguinata di Giuseppe, -o il vestire di Giacobbe e la casa che egli abitava, o l’acconciatura -della moglie di Putiphar. I sentimenti espressi in questo racconto -sono così forti, che tutti i particolari di quel genere sembrerebbero -superflui e nocerebbero alla loro espressione. L’autore non ha -conservato che i tratti indispensabili, come per esempio quando ci dice -che Giuseppe, trovando i suoi fratelli, andò in una camera vicina per -piangere. Ed è in virtù di quest’assenza di particolari inutili che il -racconto è accessibile a tutti gli uomini, che commuove gli uomini di -tutte le nazioni, di tutte le età, di tutte le condizioni, che è giunto -sino a noi attraverso ai secoli e sopravviverà a noi delle migliaia -d’anni. Provatevi al contrario a spogliare dei particolari accessorii i -migliori romanzi del nostro tempo e vedrete quello che ne resterà! - -Insomma nella letteratura moderna non è quasi possibile trovare qualche -opera che soddisfi pienamente alle condizioni dell’universalità. E -le poche opere che, per il loro contenuto, potrebbero soddisfare a -questa condizione, per lo più sono guaste da quello che si chiama il -_realismo_, e che si potrebbe piuttosto chiamare il _provincialismo_ -dell’arte. - -Lo stesso avviene nella musica e per le stesse ragioni. In seguito -all’impoverimento del fondo, cioè dei sentimenti, le melodie dei -musicisti moderni presentano un vuoto desolante. Per rinforzare -l’impressione di siffatte melodie così vuote, i musicisti s’ingegnano -di sopraccaricarle con un mondo d’armonie e di modulazioni complicate, -che sono intelligibili solo a una piccola cerchia d’iniziati, a -una certa scuola musicale. La melodia, ogni melodia, è libera e può -essere intesa da tutti; ma quando si trova vincolata con una certa -armonia, non è più accessibile che agli uomini famigliarizzati con -questa armonia; essa diventa estranea non solo agli uomini delle altre -nazioni, ma anche a tutti quelli fra i compaesani dell’autore che non -sono avvezzi come lui a certe forme dello svolgimento musicale. - -All’infuori delle marcie e delle danze, che esprimono dei sentimenti -inferiori, ma veramente comuni alla massa degli uomini, il numero -delle opere rispondenti alla nostra definizione dell’arte universale è -grandemente ristretto. Citerò, per esempio, la celebre _Aria_ di Bach, -il _Notturno in mi bemolle maggiore_ di Chopin, e una decina di passi -scelti nelle opere di Haydn, di Mozart, di Weber, di Beethoven, e di -Chopin.[16] - -Anche nella pittura si offre il medesimo fenomeno, e al pari dei -letterati e dei musicisti, i pittori suppliscono alla povertà del -sentimento colla profusione degli accessorii, restringendo così il -significato delle loro opere. Tuttavia è molto maggiore nella pittura -che nelle altre arti il numero delle opere che soddisfanno alle -condizioni dell’universalità, cioè che esprimono dei sentimenti comuni -a tutti gli uomini. Ritratti, paesaggi, pittura di genere, potrei -addurre una quantità d’opere di pittori moderni, e anche contemporanei, -che esprimono dei sentimenti tali che tutti gli uomini sono in grado di -capirli. - -Riassumendo, non ci sono che due sorta d’arte cristiana, cioè d’arte -che oggi si debba considerare come buona; e tutto il resto, tutte -le opere che non entrano in queste due categorie, devono essere -considerate come arte cattiva che non solo non merita d’essere -incoraggiata, ma merita al contrario d’essere condannata e disprezzata, -avendo per effetto non già di unire, ma di separare gli uomini. Nelle -lettere questo è il caso dei drammi, dei romanzi, delle poesie che -esprimono dei sentimenti esclusivi, proprii alla sola classe dei ricchi -e degli oziosi, dei sentimenti d’onore aristocratico, di pessimismo, -di corruzione e di pervertimento dell’anima risultante dall’amore -sessuale. In pittura si dovrebbero tener per cattive tutte le opere che -rappresentano i piaceri e i divertimenti della vita ricca e oziosa, e -anche tutte le opere simboliste, nelle quali il significato del simbolo -non è accessibile che a un piccolo numero di persone, e sovrattutto -le opere rappresentanti dei soggetti voluttuosi, tutte quelle nudità -scandalose che oggidì riempiono i musei e le esposizioni. E alla stessa -categoria d’opere cattive e condannabili appartiene tutta la musica del -nostro tempo, musica che non esprime se non dei sentimenti esclusivi, -e non è accessibile che ad uomini di gusto depravato. Tutta la nostra -musica d’opera e di camera, cominciando da Beethoven, la musica di -Schumann, di Berlioz, di Liszt, di Wagner, tutta intesa a esprimere dei -sentimenti che non possono capire se non quelli che coltivarono in sè -stessi una sensibilità nervosa di genere morboso, tutta questa musica, -salvo rare eccezioni, partecipa dell’arte che si deve considerare come -cattiva. - -— Come!, si griderà, la nona sinfonia entra nella categoria dell’arte -cattiva? - -— Certamente! risponderò io. Tutto ciò che ho scritto e che s’è finito -di leggere, l’ho scritto solo per giungere a stabilire un criterio -chiaro e ragionevole, che ci concedesse di giudicare il valore delle -opere d’arte. E ora questo criterio mi prova nel modo più lampante che -la nona sinfonia del Beethoven non è una buona opera d’arte. D’altro -lato intendo che ciò paia strano e sorprendente ad uomini allevati -nell’adorazione di certe opere e dei loro autori. Ma non dovrei io -perciò inchinarmi alla verità, quale me l’indica la mia ragione? - -La nona sinfonia del Beethoven è riputata una delle più grandi opere -d’arte. Per rendermi conto del come stia la cosa, mi propongo prima -di tutto il seguente quesito: quest’opera esprime essa un sentimento -religioso d’ordine superiore? E rispondo subito con una denegazione, -perchè in nessun caso la musica saprebbe esprimere dei sentimenti -simili. Mi domando di nuovo: quest’opera se non può appartenere alla -categoria superiore dell’arte religiosa, possiede almeno la seconda -qualità dell’arte vera del nostro tempo, cioè quella d’unire tutti -gli uomini in un medesimo sentimento? E anche questa volta non posso -rispondere che negativamente; perchè in primo luogo non vedo che i -sentimenti espressi da questa sinfonia possano in alcuna guisa unire -gli uomini che non siano stati specialmente educati e preparati -a subire quell’_ipnotizzazione_ artificiale; e poi non giungo a -rappresentarmi una folla d’uomini normalmente costituiti che possa -capire qualche cosa in quest’opera enorme e complicata, salvo dei -brevi passi annegati in un oceano d’incomprensibilità. E così, per -amore o per forza, debbo conchiudere che questo lavoro appartiene a -ciò che è per me l’arte cattiva. Per un caso singolare, la poesia dello -Schiller introdotta nell’ultima parte della sinfonia, enuncia, se non -chiaramente, almeno espressamente questo pensiero: che il sentimento -(Schiller veramente non parla che del sentimento della gioia) unisce -tutti gli uomini e genera in essi l’amore. Ma oltrechè questi versi non -sono cantati che alla fine della sinfonia, la musica della sinfonia -intiera non corrisponde affatto al pensiero espresso dallo Schiller, -poichè è una musica affatto particolarista, che non contenta tutti gli -uomini, ma solo alcuni uomini cui essa contribuisce così a isolare dal -resto dell’umanità. - - -Tale è, a mio giudizio, il modo in cui si deve procedere per sapere se -un’opera che è creduta opera d’arte è veramente un’opera d’arte oppure -ne è la semplice contraffazione; e per sapere in seguito se un’opera -d’arte vera è buona o cattiva, quanto al suo contenuto, cioè merita -d’essere incoraggiata, o non merita che d’essere disprezzata. Ed è solo -procedendo così che avremo la possibilità di discernere, per entro la -massa delle pretese opere d’arte del nostro tempo, le poche opere che -costituiscono realmente per l’anima un alimento reale, importante, -necessario, mentre tutto il resto non è che arte inutile o nociva, o -anche una semplice contraffazione dell’arte. È solo procedendo così -che saremo in grado di evitare le conseguenze perniciose dell’arte -cattiva, e di godere di quegli effetti benefici, indispensabili per -la nostra vita spirituale, che risultano dall’arte vera e buona e che -costituiscono il suo fine. - - - - -CAPITOLO XVI. - -Le conseguenze del cattivo funzionamento dell’arte. - - -L’arte è uno dei due organi del progresso umano. Per mezzo della parola -l’uomo scambia il suo pensiero, per mezzo dell’arte scambia i suoi -sentimenti con tutti gli uomini non solo del suo tempo, ma pure delle -generazioni passate e future. Ed è nella natura dell’uomo di servirsi -di questi due organi, talchè il pervertimento dell’uno dei due non può -mancare di recar con sè delle conseguenze funeste per la società in cui -avviene. - -Le conseguenze di questo pervertimento possono essere di due sorta: -cioè dapprima l’incapacità della società a compiere gli atti che si -dovevano compiere per mezzo dell’organo pervertito; secondo, un cattivo -funzionamento dell’organo pervertito. Ora entrambe queste conseguenze -si sono prodotte nella nostra società. Essendo pervertito l’organo -dell’arte, la società delle classi superiori fu privata di tutte le -operazioni che quest’organo doveva compiere. Diffondendosi tra di -noi in proporzioni enormi delle contraffazioni dell’arte destinate -unicamente a divertire e a distrarre gli uomini, e insieme con esse, -delle opere più artistiche, ma di un’arte particolare, esclusiva, -inutile o nociva, — esse hanno atrofizzato o snaturato nella maggior -parte degli uomini della nostra società la facoltà di sentire il -contagio delle vere opere d’arte; e per conseguenza la nostra società -s’è trovata impedita di provare quei sentimenti superiori, verso i -quali sempre tendeva l’umanità, e che sola l’arte poteva trasmettere -agli uomini. - -Tutto ciò che s’è fatto di buono nell’arte, tutto ciò resta estraneo -a una società privata del mezzo di essere commossa dall’arte; e in -luogo di ciò questa società ammira delle contraffazioni menzognere, -oppure un’arte inutile e vana, che essa si compiace di credere -molto importante. Gli uomini del nostro tempo e della nostra società -ammirano nella poesia i Baudelaire, i Verlaine, i Moréas, gli Ibsen e -i Maeterlinck; nella pittura i Manet, i Monet, i Puvis de Chavannes, i -Burne-Jones, i Boecklin e gli Stück; nella musica i Wagner, i Liszt e -i Riccardo Strauss; ma l’arte vera, non dico la più elevata, ma persino -la più semplice, essi sono assolutamente incapaci di capirla. - -E ne risulta che nelle nostre classi superiori, private così della -facoltà di subire il contagio delle opere d’arte, gli uomini crescono, -sono allevati e vivono senza subire l’azione dell’arte atta a -raddolcire e migliorare; e da ciò viene quest’altro risultato fatale -che non solo essi non si avviano verso il bene e verso la perfezione, -ma al contrario, con tutto lo sviluppo della loro pretesa civiltà, -diventano sempre più selvaggi, più grossolani e più induriti di cuore. - - -Tale è la conseguenza del mancare nella nostra società quella funzione -che deve esser compiuta dall’arte, come organo indispensabile. Ma le -conseguenze che derivano dal cattivo funzionare di quest’organo sono -ancora più funeste; e sono molte. - -La prima di codeste conseguenze salta agli occhi. È l’enorme consumo -di lavoro umano per opere non solo inutili, ma spesso anche dannose, -un consumo di lavoro e di vite senza alcun vantaggio che lo compensi. -Si freme al pensiero di tutte le fatiche e di tutte le privazioni -che sopportano milioni d’uomini al solo scopo di stampare per dodici -e anche quattordici ore al giorno dei libri così detti artistici, -che non servono ad altro che a diffondere la depravazione tra gli -uomini, o ancora allo scopo di diffondere codesta depravazione per -mezzo dei teatri, dei concerti, delle esposizioni. Ma ciò che è ancora -più spaventevole è di pensare che dei bambini belli, pieni di vita, -dotati per il bene, sono sacrificati all’uscir dalla culla gli uni -a sonare delle scale per sei, otto, dieci ore al giorno, gli altri -a ballare in punta di piedi, altri a solfeggiare, altri a disegnare -sull’antico, sul nudo, oppure a scrivere delle frasi vuote di senso -secondo le regole d’una certa rettorica. D’anno in anno i disgraziati -vanno perdendo, per questi esercizi funesti, tutte le loro forze -fisiche e intellettuali, tutta la loro attitudine a intendere la vita. -Si parla molto dell’orribile e lamentevole spettacolo che consiste -nel vedere dei piccoli acrobati che si fanno passare le gambe dietro -la nuca; ma non è uno spettacolo ancora più sinistro quello di vedere -dei bambini di dieci anni che dànno dei concerti, e sopratutto di -vedere dei collegiali di dieci anni che sanno a memoria le eccezioni -della grammatica latina? In ciò essi perdono le loro forze fisiche -e intellettuali e ad un tempo si depravano in ordine alla morale, -diventano incapaci di qualunque opera utile per gli uomini. Assumendo -nella società la parte di giocolieri dei ricchi, perdono ogni -sentimento della dignità umana. Il bisogno di lodi si sviluppa in essi -a un grado così mostruoso che soffrono per tutta la vita a cagione di -questo eccesso e spendono tutto il loro essere morale nel voler saziare -un bisogno insaziabile. E c’è una cosa ancora più tragica; ed è che -questi uomini che sacrificano tutta la loro vita all’arte, che sono -perduti per sempre per la vita vera a cagione dell’amore dell’arte, -nonchè recare alcun vantaggio a codesta arte, le cagionano un danno -immenso. Poichè nelle accademie, nei collegi, nei conservatorj imparano -il modo di contraffare l’arte, e una volta che l’hanno appresa, ne -sono tanto pervertiti, che diventano incapaci per sempre di concepire -l’arte vera, e sono essi che contribuiscono a diffondere quest’arte -contraffatta o snaturata di cui è pieno il mondo. - -Un’altra conseguenza non meno funesta del cattivo funzionare dell’arte -è, che, producendo essa, in condizioni così spaventevoli, l’esercito -degli artisti di professione, procura ai ricchi la possibilità di -condurre la vita che conducono, e che non solo non è buona, ma è -altresì contraria ai principî che professano. Vivere come vivono -delle persone ricche e oziose del tempo nostro, sovratutto le donne, -lontane dalla vita, in condizioni artificiali, coi muscoli atrofizzati -o sformati dalla ginnastica, coll’energia vitale incurabilmente -affievolita, ciò non sarebbe possibile senza quello che chiamano -l’arte. Solo questa pretesa arte fornisce il divertimento e la -distrazione che distolgono i nostri occhi dall’assurdità della nostra -vita, e ci salvano dalla noia che risulta da una vita simile. Togliete -ai ricchi oziosi i teatri, i concerti, le esposizioni, il pianoforte, i -romanzi, di cui si occupano nella certezza che queste sono occupazioni -raffinate ed estetiche; togliete ai mecenati che comprano i quadri, che -incoraggiano i musicisti, che dànno pane ai letterati, togliete loro -la possibilità di proteggere quest’arte che credono così importante; e -— non saranno più in grado di continuare nella loro vita, e morranno -tutti di tristezza e di noia, e tutti riconosceranno l’assurdità e -l’immoralità del loro modo di vivere. - -Una terza conseguenza del cattivo funzionamento dell’arte, è la -confusione e lo scompiglio che questo cattivo funzionamento genera -nella mente dei ragazzi e dei popolani. Negli uomini che non sono -stati pervertiti dalle teorie menzognere della nostra società, negli -artigiani e nei ragazzi, la natura ha posto un concetto ben definito -di ciò che merita d’essere biasimato o lodato. Secondo l’istinto del -popolo e dei ragazzi la lode non compete di diritto che o alla forza -fisica (Ercole, gli eroi, i conquistatori) o alla forza morale (Sakya -Muni che rinuncia alla bellezza e al potere per salvare gli uomini, -Cristo che muore sulla croce per il nostro bene, i santi, i martiri, -ecc.). Queste sono nozioni d’una perfetta chiarezza. Le anime semplici -e rette capiscono che è impossibile non rispettare la forza fisica, -perchè s’impone da sè stessa al rispetto; e neppure possono far a -meno di rispettare la forza morale dell’uomo che lavora per il bene -sentendosi attratti verso di essa da tutto il loro essere interno. -Ed ecco che queste anime semplici s’accorgono che oltre agli uomini -rispettati per la loro forza fisica e morale, ce ne sono degli altri -più rispettati, più ammirati, più ricompensati di tutti gli eroi della -forza e del bene, e ciò semplicemente perchè sanno cantare, ballare, o -scrivere dei versi. Esse vedono che i cantanti, i ballerini, i pittori, -i letterati guadagnano dei milioni, che sono riveriti meglio dei santi; -e queste anime semplici — i ragazzi e i popolani — sentono crescere in -sè stessi la confusione delle idee. - -Quando, cinquant’anni dopo la morte di Puschkin, le sue opere furono -divulgate tra il popolo, e gli s’innalzò una statua a Mosca, ricevetti -più di dieci lettere di contadini che mi chiedevano perchè si esaltava -codesto Puschkin. Pochi giorni fa un piccolo borghese di Saratof — del -resto persona istruita — è venuto a Mosca per rimproverare il clero -d’aver approvato l’innalzamento d’una statua al signor Puschkin. - -Infatti imaginiamoci solo lo stato mentale d’un popolano che legga -nel suo giornale, o senta dire che il clero, il governo, tutti gli -uomini migliori della Russia innalzano con entusiasmo un monumento a un -grand’uomo, a un benefattore, a una gloria nazionale, Puschkin, di cui -sin’allora non ha mai inteso parlare. Da ogni parte gli si discorre di -Puschkin; ed egli suppone che, se si rendono tali omaggi a quest’uomo, -bisogna che abbia fatto qualche cosa di straordinario, di molto forte, -o dl molto buono. Procura perciò di sapere chi fosse Puschkin; e -venendo a sapere che Puschkin non era un eroe, e nemmeno un generale -d’armata, ma semplicemente uno scrittore, ne conchiude che certo -Puschkin dovette essere un sant’uomo, un educatore benefico. Quindi -s’affretta a leggere o a farsi leggere la sua vita e le sue opere. -Imaginiamoci ora il suo sbalordimento quando scopre che il Puschkin fu -un uomo di costumi più che leggeri, che morì in duello, cioè mentre -tentava d’uccidere un altr’uomo e, che tutto il suo merito consiste -nell’avere scritto dei versi intorno all’amore! - -Che gli eroi, che Alessandro il Grande, o Gengiskhan, o Napoleone siano -stati uomini grandi, egli lo capisce perchè sente che tutti costoro -avrebbero potuto annientarlo, lui e migliaia di suoi simili. Capisce -pure che Budda, Socrate e Cristo siano stati grandi, perchè sente e sa -che egli stesso e tutti gli uomini dovrebbero rassomigliare a quelli -là. Ma come un uomo possa essere grande per aver scritto dei versi -intorno all’amore delle donne, è cosa che egli non può assolutamente -intendere. - -E lo stesso turbamento si deve produrre nel cervello d’un contadino -bretone o provenzale, allorchè ode che si vuol innalzare un monumento, -una statua, come se ne innalzano alla Vergine, e che s’innalzerà -al Baudelaire, l’autore delle _Fleurs du mal_, o al Verlaine, uno -scapestrato che scrisse dei versi incomprensibili. E che scompiglio -deve nascere nel cervello dei popolani quando odono che la Patti o -la Taglioni ricevono cento mila lire per una stagione, e che ci sono -degli autori di romanzi che guadagnano la stessa somma perchè sanno -descrivere delle scene d’amore! - -Lo stesso fenomeno si manifesta nel cervello dei ragazzi. Mi ricordo -d’avere, in altri tempi, provato io stesso questo stupore e questo -turbamento. È una conseguenza fatale del cattivo funzionamento -dell’arte nella nostra società. - -Una quarta conseguenza del quale, sta in ciò che gli uomini delle -classi superiori, vedendo riprodursi sempre più di spesso il contrasto -tra la bellezza e il bene, giungono a considerare l’ideale della -bellezza come il più elevato dei due e si svincolano così dai doveri -della morale. Invertendo le parti, costoro, invece di riconoscere -che l’arte ammirata da loro è una cosa inferiore, pretendono che per -contro precisamente la moralità sia una cosa inferiore e spoglia di -significato per esseri giunti al grado di sviluppo al quale pensano -d’esser giunti essi stessi. - -Questa conseguenza del pervertimento dell’arte s’era già fatta sentire -da un pezzo nella nostra società; ma al presente ha preso uno sviluppo -straordinario, grazie agli scritti del celebre Nietzsche e ai paradossi -dei decadenti e degli esteti inglesi, che, seguendo Oscar Wilde, -prendono volontieri ad argomento dei loro scritti la sovversione d’ogni -morale e l’apoteosi della perversità. - -Questo concetto dell’arte ha trovato il suo contraccolpo -nell’insegnamento filosofico. Ho ricevuto ultimamente dall’America un -libro intitolato _La Sopravvivenza del più adatto, o la Filosofia della -Forza_, per Ragnar Redbeard (Chicago, 1897). L’idea fondamentale di -questo libro, espressa fin dalla prefazione, è questa, che è assurdo -valutare più oltre il bene secondo la filosofia mendace dei profeti -ebrei e dei “messia lagrimosi„. Il diritto, per codesto autore, non si -fonda che sulla forza. Tutte le leggi, tutti i precetti che c’insegnano -a non fare agli altri quello che non vorremmo si facesse a noi, tutto -ciò, per sè stesso, non ha senso, e non serve a dirigere gli uomini -se non per il suo accompagnamento di bastonate, di sciabolate e di -prigione. L’uomo veramente libero non deve obbedire ad alcuna legge, -umana nè divina; ogni obbligo è indizio di degenerazione; la mancanza -d’obblighi è il distintivo degli eroi. Gli uomini devono cessare di -credersi vincolati da errori imaginati per nuocer loro. L’universo -intiero non è che un campo di battaglia. La giustizia ideale sta in -questo: che i vinti siano sfruttati, torturati, disprezzati. L’uomo -libero e audace può conquistare il mondo. E, come conseguenza, gli -uomini devono essere eternamente in guerra, per la vita, per il suolo, -per l’amore, per la donna, per il potere, per l’oro. Tutta la terra coi -suoi frutti, è “la preda del più ardito„. - -A vederle esposte così, sotto forma scientifica, queste idee non -possono a meno di scandalizzare. Ma in realtà si trovano fatalmente -e implicitamente contenute nei concetti che assegnano all’arte la -bellezza per oggetto. È l’arte delle nostre classi superiori che -ha prodotto e svolto in certi uomini questo ideale del _superuomo_ -quantunque codesto ideale sia già stato quello di Nerone, di -Stenka-Razine, di Gengiskhan, di Napoleone, di tutti i loro pari, -avventurieri e sorti dal nulla. E c’è da sgomentarsi a pensare che -cosa avverrebbe se un ideale simile, e l’arte che lo genera, si -diffondessero nella massa del popolo. Ma per l’appunto cominciano a -diffondersi anche là. - -Finalmente il cattivo funzionamento dell’arte adduce questa quinta -conseguenza, che l’arte cattiva che fiorisce tra le nostre classi -superiori le pervertisce direttamente col suo potere di contagio -artistico, e rafforza in essa i sentimenti più detestabili per la -felicità degli uomini, quelli della superstizione, del patriottismo, e -della sensualità. - -È l’arte che, nel nostro tempo, contribuisce di più a pervertire gli -uomini in ciò che riguarda la questione più importante della loro vita -sociale, voglio dire la questione dei rapporti sessuali. Sappiamo tutti -e da noi stessi e per i parenti, a quali terribili sofferenze morali -e fisiche, a quale inutile sperpero di forze, s’espongono gli uomini -per il solo eccesso del desiderio sessuale. Dacchè mondo è mondo, dai -tempi della guerra di Troia, cagionata dalla passione sessuale, sino ai -suicidii e ai delitti passionali di cui sono zeppe le nostre gazzette -tutti i giorni, tutto ci prova l’azione nefasta di questa passione, che -è senza fallo la sorgente principale delle disgrazie umane. - -Cionondimeno che cosa vediamo? Vediamo tutta l’arte, sia contraffatta, -sia genuina, salvo rare eccezioni, consacrata unicamente a descrivere, -a rappresentare, a stimolare le diverse forme dell’amore sessuale. Ci -basti rammentare tutti i romanzi lussuriosi di cui è piena la nostra -letteratura, tutti i quadri e tutte le statue in cui si mostra nudo il -corpo della donna, e tutte le imagini oscene che s’incollano sui muri -come affissi, e quella quantità innumerevole d’opere, d’operette, di -canzoni, di romanze, da cui siamo circondati! L’arte contemporanea non -ha davvero che un solo oggetto definito: eccitare e diffondere, più che -si possa, la depravazione. - - -Tali sono, se non tutte, almeno le più gravi conseguenze di questo -pervertimento dell’arte che s’è compiuto nella nostra società. E così, -ciò che ora chiamiamo arte, non solo non contribuisce al progresso del -genere umano, ma piuttosto ha per effetto, più che tutto il resto, di -distruggere la possibilità del bene nella nostra vita. - -E così la questione che s’offre fatalmente all’intelletto d’ognuno -che pensi, quella che mi sono proposta al principio del mio libro, -la questione di sapere se è giusto sacrificare a ciò che vien detto -arte, il lavoro e la vita di milioni d’uomini, tale questione riceve -una risposta formale; no, ciò non è giusto, ciò non dovrebbe essere. -Questa è ad un tempo, la risposta della sana ragione e del senso morale -non pervertito. E se si proponesse la questione di decidere se valga -di più per il nostro mondo cristiano perdere tutto ciò che oggi si -chiama arte, falsa e vera che sia, o perdere tutto il bene che esiste -al mondo, credo che l’uomo ragionevole e morale non potrebbe far a -meno di rispondere a questa questione, come vi rispose Platone nella -sua _Repubblica_, e come vi risposero tutti gli educatori religiosi -dell’umanità, cristiani e maomettani, cioè di proclamare che è meglio -rinunziare a tutte le arti, che mantenere l’arte o la contraffazione -dell’arte oggi esistente, la quale ha per effetto di depravare gli -uomini. Del resto questa per fortuna è una questione superflua, perchè -l’arte vera non ha da far nulla colla pretesa arte d’oggigiorno. -Ma ciò che possiamo e dobbiamo fare noi che ci lusinghiamo d’essere -uomini colti, noi che per la nostra condizione possiamo intendere il -senso delle diverse manifestazioni della nostra vita, è di riconoscere -l’errore in cui ci troviamo e di non soggiacervi, ma di cercare il -mezzo di liberarcene. - - - - -CAPITOLO XVII. - -Possibilità d’un rinnovamento artistico. - - -Lo stato di menzogna, in cui è caduta l’arte della nostra società, -deriva da questo: che gli uomini delle classi superiori si sono messi a -vivere senza alcuna fede, sforzandosi di sostituire alla fede mancante, -gli uni l’ipocrisia, al punto da dichiarare che credono ancora alle -forme della loro religione, gli altri un’audace professione della loro -incredulità, altri ancora uno scetticismo raffinato, altri un ritorno -all’adorazione dei Greci per la bellezza. Ma con qualunque mezzo questi -uomini si sforzino di mantenere e di giustificare i loro privilegi, -cioè la separazione della loro classe delle altre, sono costretti per -amore o per forza di riconoscere che da tutte le parti intorno a loro, -consciamente e inconsciamente, la verità si fa strada, quella verità -cristiana che consiste a non concepire la felicità degli uomini che -nell’unione e nella fratellanza. - -Inconsciamente, questa verità si fa strada coll’aprirsi di nuove vie di -comunicazione, il telegrafo, il telefono, la stampa, tutte invenzioni -che tendono sempre più a stringere tra di loro tutti gli uomini; -coscientemente, si manifesta collo scomparire delle superstizioni che -separavano gli uomini, coll’espressione della fratellanza ideale, e -anche con le poche opere d’arte del nostro tempo che sono buone e vere. - -L’arte è un organo morale della vita umana, e, come tale, non può -essere intieramente distrutta. Quindi, nonostante tutti gli sforzi -degli uomini delle classi superiori per nasconderci l’ideale religioso -di cui vive l’umanità, questo ideale si fa sempre più chiaro per gli -uomini, e trova sempre più spesso l’occasione d’esprimersi, anche -in mezzo alla nostra società pervertita, tanto nella scienza quanto -nell’arte. Infatti l’arte stessa comincia a distinguere il vero -ideale del nostro tempo e a dirigersi verso di esso. Da una parte, le -opere migliori degli artisti contemporanei esprimono dei sentimenti -d’unione e di fraternità fra gli uomini (per esempio gli scritti di -Carlo Dickens, di Vittor Hugo, di Dostoievsky, i quadri dei Millet, -di Bastien-Lepage, di Jules Breton e di altri); d’altra parte ci -sono oggidì degli artisti che cercano d’esprimere dei sentimenti -più generali, più universali che sia possibile. Il numero di questi -artisti è ancora ristretto, ma sembra che si cominci a intendere la -loro utilità. Debbo aggiungere che, in questi ultimi tempi, si sono -moltiplicati i tentativi d’imprese artistiche popolari, edizioni di -libri, concerti, teatri, musei, ecc. Tutto ciò è ancora molto lontano -da quello che dovrebbe essere; ma si può già discernere la direzione -che prenderà l’arte per rimettersi nella via che le appartiene. - -La coscienza religiosa del nostro tempo s’è notevolmente rischiarata; e -oramai basterebbe agli uomini ripudiare la falsa teoria della bellezza, -che ravvisa nel piacere il solo oggetto dell’arte, perchè tosto questa -coscienza religiosa possa prendere liberamente in mano la condotta -dell’arte. - -E il giorno in cui la coscienza religiosa, che già comincia a dirigere -inconsciamente la vita degli uomini, sarà riconosciuta da essi con -tutta consapevolezza, si vedrà subito scomparire spontaneamente la -separazione dell’arte in arte delle classi inferiori e delle classi -superiori. Allora non ci sarà più che un’arte sola comune a tutti, -fraterna, universale. E il giorno in cui l’arte sarà universale, — -cessando d’essere ciò che è stata in questi ultimi tempi, un mezzo -di abbrutimento e di depravazione per gli uomini, — diventerà ciò -che era da principio, e ciò che dovrebbe essere sempre: un mezzo di -perfezionamento per l’umanità, che l’aiuterà a effettuare nel mondo -l’amore, l’unione e la felicità. - - - - -CAPITOLO XVIII. - -Che cosa dovrà essere l’arte dell’avvenire. - - -Si parla volontieri dell’arte dell’avvenire, e s’intende rappresentare -con queste parole un’arte nuova, eminentemente raffinata, e derivante -dall’arte attuale delle classi superiori della nostra società. Ma -una siffatta arte dell’avvenire non nascerà mai, nè potrebbe nascere. -L’arte delle nostre classi superiori è fin d’ora giunta a una stretta -insuperabile. Sulla via per cui s’è messa non le riuscirà di fare un -passo di più. Quest’arte, dal giorno in cui s’è separata dal fondamento -principale dell’arte vera, dal giorno in cui ha cessato d’ispirarsi -alla coscienza religiosa, è diventata sempre più speciale, sempre più -pervertita; ed ora eccola ridotta al nulla. Perciò l’arte dell’avvenire -— la vera, quella che vivrà veramente nell’avvenire — non sarà il -prolungamento della nostra arte presente, ma scaturirà da principii -affatto diversi, e non aventi nulla in comune con quelli a cui ora -s’ispira l’arte delle nostre classi superiori. - -L’arte dell’avvenire, destinata a diffondersi tra tutti gli uomini, -non avrà più il fine di esprimere dei sentimenti accessibili solo -ad alcuni ricchi; avrà il fine di manifestare la più alta coscienza -religiosa delle generazioni future. Nel futuro non si considererà -come arte se non quella che esprimerà dei sentimenti che spingano gli -uomini all’unione fraterna, o anche dei sentimenti così universali da -poter essere provati dalla massa degli uomini. Solo quest’arte sarà -segnalata fra il resto, ammessa, incoraggiata, diffusa. E tutto il -resto dell’arte, tutto ciò che non è accessibile che ad alcuni, sarà -considerato come cosa senza importanza e lasciato da parte. E l’arte -non sarà più pregiata, come oggidì, solo da una piccola classe di -persone ricche; sarà stimata dalla massa degli uomini. - -E gli artisti, nell’avvenire, non saranno più, come ora, presi -esclusivamente in una piccola classe della nazione; saranno artisti -tutti coloro che a qualunque classe appartengano, si mostreranno capaci -di creazione artistica. Allora tutti potranno diventare artisti; -perchè, in primo luogo, non s’esigerà più dall’arte una tecnica -complicata e artificiosa, che richiede per essere imparata una perdita -infinita di tempo; non le si domanderà altro che la chiarezza, la -semplicità e la sobrietà; tutte cose che non s’acquistano con una -preparazione meccanica, ma coll’educazione del gusto. In secondo luogo -tutti potranno diventare artisti, perchè invece delle nostre scuole -professionali, accessibili solamente a pochi, tutti potranno imparare -la musica e il disegno fin dalla scuola primaria, insieme colle altre -nozioni elementari, talchè ogni persona che si sentirà una disposizione -per un’arte, potrà esercitarla ed esprimere con essa i suoi sentimenti -personali. - -Mi si obbietterà che colla soppressione delle scuole artistiche -speciali, la tecnica dell’arte sarà indebolita. Sì, certamente, sarà -indebolita, se s’intende per tecnica l’insieme dei vani artifizi che -oggi si designano con questo nome; ma se per tecnica s’intende soltanto -la chiarezza, la semplicità e la sobrietà, non solo quella tecnica -non ne sarà tocca, come lo prova abbastanza tutta l’arte popolare, ma -si troverà invece innalzata a un grado superiore. Poichè tutti gli -artisti di genio finora nascosti tra il popolo potranno partecipare -all’arte e fornire dei modelli di perfezione che saranno la migliore -scuola di tecnica per gli artisti del loro tempo e dei tempi a venire. -Anche oggidì non è nella scuola che s’istruisce il vero artista, è -nella vita, studiando l’esempio dei grandi maestri; ma allora, quando -parteciperanno all’arte gli uomini di maggior ingegno del popolo -intiero, il numero dei modelli da studiare sarà più grande, e questi -modelli saranno più accessibili; e la mancanza d’un insegnamento -professionale sarà cento volte compensata, per il vero artista, dal -giusto concetto che si farà del fine e dei metodi dell’arte. - - -Questa sarà una delle differenze dell’arte futura dalla nostra arte -presente. Un’altra differenza sarà che l’arte dell’avvenire non verrà -più esercitata da artisti professionali pagati per l’arte loro, e -occupati solo in essa. L’arte dell’avvenire sarà esercitata da tutti -gli uomini che ne sentiranno il desiderio, e anche questi non se -n’occuperanno che nel momento in cui ne sentiranno il desiderio. - -Si crede facilmente, nella nostra società, che l’artista lavora tanto -meglio e più efficacemente, quanto più assicurata è la sua condizione -materiale. Questa opinione basterebbe a provare una volta di più, se -fosse necessario, che ciò che oggidì si prende per arte, non ne è che -la contraffazione. Infatti è vero che per produrre delle scarpe o del -pane la divisione del lavoro offre grandi vantaggi; il calzolaio o il -fornaio che non è costretto a cucinarsi il suo pasto o a spaccarsi -la legna, può fare una maggior quantità di scarpe o di pagnotte. Ma -l’arte non è un mestiere; è la trasmissione che si fa agli altri d’un -sentimento provato dall’artista. E questo sentimento non può nascere -in un uomo se non quando esso viva intieramente della vita naturale e -vera degli uomini. Pertanto, assicurare all’artista la soddisfazione -di tutti i suoi bisogni materiali, è nuocere alla sua capacità di -produrre l’arte, poichè liberando l’artista dalle condizioni — comuni -a tutti gli uomini — della lotta contro la natura per la conservazione -della propria vita e di quella degli altri, lo si priva dell’occasione -e della possibilità d’imparare a conoscere i sentimenti più importanti -e più naturali degli uomini. Non c’è condizione più detestabile per la -facoltà creatrice d’un artista che quella sicurezza assoluta e quel -lusso, che oggi sono ritenuti la condizione indispensabile perchè -l’arte funzioni bene. - -L’artista dell’avvenire vivrà della vita ordinaria degli uomini, -guadagnandosi il pane con un mestiere qualunque. Ed essendo così -educato a conoscere il lato serio della vita si sforzerà di trasmettere -al più gran numero possibile d’uomini il dono superiore che la natura -gli avrà accordato; tale trasmissione sarà la sua gioia e la sua -ricompensa. - -Fintantochè non si saranno cacciati i mercatanti dal tempio, il tempio -dell’arte non sarà un tempio. Ma la prima cura dell’arte dell’avvenire -sarà quella di cacciarneli. - - -Finalmente il contenuto dell’arte dell’avvenire, come io me la -raffiguro, differirà totalmente da quello della nostra arte presente. -Consisterà nell’espressione di sentimenti non già esclusivi, come -l’ambizione, il pessimismo, il disgusto, e la sensualità, ma di -sentimenti provati dall’uomo che vive della vita comune di tutti -gli uomini, e fondati sulla coscienza religiosa del nostro tempo, di -sentimenti accessibili a tutti gli uomini senza eccezione. - -Ecco, si dirà, un contenuto molto scarso! Che cosa si può esprimere -di nuovo nel terreno dei sentimenti cristiani d’amor del prossimo? E -che ci può essere di più mediocre e di più monotono che dei sentimenti -accessibili a tutti gli uomini? - -Eppure non è meno certo che i soli sentimenti nuovi che oggidì -possano esser provati, sono dei sentimenti religiosi, cristiani, e -dei sentimenti accessibili a tutti. I sentimenti che provengono dalla -coscienza religiosa del nostro tempo sono infinitamente nuovi e varii; -ma non consistono solo, come talora si crede, a rappresentare Cristo -nei diversi episodi del Vangelo, o a ripetere sotto nuova forma le -verità cristiane dell’unione, della fratellanza, dell’uguaglianza e -dell’amore. I sentimenti cristiani sono nuovi e varii all’infinito, -perchè, quando l’uomo considera le cose sotto il punto di vista -cristiano, i soggetti più vecchi, più comuni, quelli che si ritengono -più logori, destano in lui i sentimenti più nuovi, più impreveduti, -più patetici. Che cosa ci può essere di più vecchio dei rapporti -tra il marito e la moglie, tra i figli e i genitori, tra uomini di -paesi diversi? Ora, basta che alcuno consideri questi rapporti dal -punto di vista cristiano perchè tosto nascano in lui dei sentimenti -infinitamente varii, dei sentimenti nuovi, profondi, patetici. - -Il vero è che il contenuto dell’arte dell’avvenire non sarà punto -immiserito, ma allargato, quando quest’arte avrà per oggetto di -trasmettere i sentimenti vitali, i più generali fra tutti, i più -semplici, i più universali. Nella nostra arte d’ora non si considerano -come degni d’essere espressi dall’arte che i sentimenti particolari -d’uomini in una certa situazione eccezionale, e si esige per giunta -che siano espressi in un modo raffinatissimo, inaccessibile alla -maggioranza degli uomini. E si ritiene indegno di fornir materia -all’arte tutto l’immenso dominio dell’arte popolare e infantile: i -proverbi, le canzoni, i giuochi, le imitazioni, ecc. Ma l’artista -dell’avvenire capirà che produrre una favola, una canzone, purchè -commovano, produrre una farsa, purchè diverta, disegnare una figura che -rallegri delle migliaia di bambini e di adulti, che tutto ciò è molto -più fecondo e più importante che produrre un romanzo, o una sinfonia, -o un quadro, che divertiranno per qualche tempo un piccolo numero di -ricchi, e poi si sprofonderanno per sempre nella dimenticanza. Ora il -territorio di questa arte dei sentimenti semplici, accessibili a tutti, -è immenso, e si può dire non sia mai stato toccato. - -Così l’arte dell’avvenire non sarà più povera della nostra, -ma all’opposto infinitamente più ricca. E la forma dell’arte -dell’avvenire, anch’essa non sarà inferiore alla forma presente -dell’arte, ma le sarà incomparabilmente superiore, e ciò non nel senso -d’una tecnica raffinata e artificiosa, ma nel senso d’una espressione -breve, semplice, chiara, libera di ogni sopraccarico inutile. - -Mi ricordo che una volta, dopo d’aver inteso da un astronomo -eminente una conferenza pubblica intorno all’analisi spettrale delle -stelle della via lattea, domandai a quell’astronomo se non avrebbe -acconsentito a tenerci semplicemente una conferenza sul movimento -della terra, attesochè tra i suoi uditori c’era senza dubbio un bel -numero di persone che non sapevano con precisione che cosa producesse -il giorno e la notte, l’estate e l’inverno. E l’astronomo mi rispose -sorridendo: “Sì, sarebbe un bell’argomento, ma troppo difficile. Mi -riesce infinitamente più facile parlare dell’analisi spettrale della -via lattea„. - -Avviene lo stesso dell’arte. Scrivere un poema sopra un soggetto dei -tempi di Cleopatra, dipingere Nerone che appicca il fuoco a Roma, -comporre una sinfonia nella maniera di Brahms e di Riccardo Strauss, -o un’opera come quelle di Wagner, è infinitamente più facile che -raccontare una semplice storia senza nulla d’eccezionale, beninteso -raccontandola in modo che trasmetta il sentimento di chi la racconta, o -anche disegnare col lapis un’imagine che commuova o che rallegri chi la -vede, o scrivere quattro battute d’una melodia senza accompagnamento, -ma tale da tradurre un certo stato dell’anima. - -— Ma colla nostra civiltà, ci riesce impossibile ritornare alle forme -primitive! — diranno gli artisti. Ci è impossibile di scrivere oggi -dei racconti come la storia di Giuseppe, o come l’Odissea, di comporre -della musica come quella delle canzoni popolari! - -Ciò è realmente impossibile agli artisti del nostro tempo; ma non lo -sarà all’artista dell’avvenire, che non avrà più la testa ingombra d’un -arsenale di formule tecniche, e che non essendo più un professionista -dell’arte, non essendo più pagato per i suoi prodotti, non produrrà -dell’arte se non quando ci si sentirà trascinato da un irresistibile -bisogno interiore. - -Pertanto la differenza sarà completa, sotto il rispetto sì della forma -che della sostanza, tra l’arte dell’avvenire, e ciò che oggigiorno -riteniamo per arte. Il fondo dell’arte dell’avvenire sarà costituito -da sentimenti incoraggianti gli uomini a unirsi, o tali da unirli -effettivamente; la forma di siffatta arte sarà tale da poter essere -accessibile alla massa degli uomini. Perciò l’ideale della perfezione, -nel futuro, non sarà più il grado di particolarità dei sentimenti, ma -al contrario il loro grado di generalità. L’artista non cercherà più -come ora, d’essere oscuro, complicato ed enfatico, ma al contrario di -essere breve, chiaro, e semplice. E solo quando l’arte avrà assunto -questo carattere, essa non servirà più unicamente a distrarre è a -divertire una classe d’oziosi, come fa ora, ma comincierà a compiere il -suo vero ufficio, vale a dire a trasportare un concetto religioso dal -dominio della ragione nel dominio del sentimento, a guidare così gli -uomini verso la felicità, verso la vita, verso quell’unione e quella -perfezione che loro raccomanda la loro coscienza religiosa. - - - - -CONCLUSIONE. - - -Ho fatto del mio meglio per riassumere in questo libro i miei pensieri -sopra un soggetto che da quindici anni non ha cessato d’occuparmi. Con -questo non voglio dire, s’intende, che io abbia cominciato quindici -anni fa a scrivere questo studio: ma sono di certo almeno quindici anni -che ho cominciato a scrivere uno studio sull’arte, dicendo a me stesso, -che una volta avviato in questo soggetto, sarei andato sino alla fine -senza fermarmi. Cionondimeno le mie idee intorno a tale soggetto si -trovarono essere così poco chiare, che non potei esprimerle in forma -soddisfacente. E dopo d’allora non ho mai cessato di riflettere intorno -a questo argomento, e sei o sette volte mi sono rimesso a scrivere -uno studio in proposito; ma ogni volta, dopo d’avere scritto un certo -numero di pagine, non mi sono più sentito in grado di condurre il mio -lavoro sino alla fine. Ora finalmente sono riuscito a terminarlo; e -per cattivo che esso sia, spero almeno di non essermi ingannato nel -pensiero che ne forma la base e che consiste a considerare l’arte del -nostro tempo come incamminata per una falsa strada. Possa dunque il mio -lavoro non rimanere senza frutto! Ma affinchè l’arte riesca a uscire -dalla falsa strada e a ritornare al suo uffizio naturale, occorre che -un altro ramo non meno importante dell’attività intellettuale degli -uomini, cioè la scienza, colla quale l’arte si trova sempre in rapporto -di stretta dipendenza, occorre che anch’essa abbandoni la strada falsa -nella quale si trova. - -L’arte e la scienza stanno tra di loro in un rapporto tanto stretto -quanto è quello dei polmoni e del cuore; e se uno dei due organi è -alterato, l’altro non può più funzionare normalmente. La vera scienza -insegna agli uomini le cognizioni che debbono avere per essi la -maggiore importanza e dirigere la loro vita. L’arte trasporta codeste -cognizioni dal dominio della ragione in quello del sentimento. Perciò -se il cammino seguito dalla scienza è cattivo, il cammino seguito -dall’arte sarà pure cattivo. L’arte e la scienza s’assomigliano a quei -battelli che vanno a due a due sui fiumi, l’uno fornito di macchina, e -fatto per rimorchiar l’altro. Se il primo prende una direzione falsa, -anche il secondo è costretto a seguirlo in essa. - -E come l’arte, in termini generali, è la trasmissione di tutti -i sentimenti possibili, ma tuttavia, nel senso più ristretto del -vocabolo, non è arte seria se non quella che trasmette agli uomini dei -sentimenti importanti per essi, così la scienza, in termini generali, -è l’espressione di tutte le cognizioni possibili, ma non è per noi -scienza seria se non quella che esprime delle cognizioni importanti per -noi. - -Ora, ciò che determina il grado d’importanza sia dei sentimenti che -delle cognizioni è la coscienza religiosa d’una società e d’una epoca -data, cioè il concetto comune che si formano del senso della vita gli -uomini di quell’epoca e di quella società. Ciò che più contribuisce a -tradurre in realtà quest’ideale della vita, è ciò che si deve insegnare -maggiormente: ciò che vi contribuisce meno, dev’essere insegnato meno; -e ciò che non contribuisce in nessun modo a realizzare il destino della -vita umana non deve essere insegnato affatto, o, se lo s’insegna, non -deve essere almeno considerato come cosa che abbia alcuna importanza. -Così fu sempre in passato per la scienza, e così dovrebbe essere -ancora, perchè così esige la natura stessa del pensiero e della vita -dell’uomo. Eppure la scienza delle nostre classi superiori non solo -non riconosce come base alcuna religione, ma anzi reputa superstizioni -tutte le religioni. - -In conseguenza gli uomini del nostro tempo affermano che imparano -indistintamente _tutto_. Ma poichè _tutto_ è un po’ troppo, essendo -infiniti gli oggetti della conoscenza, e poichè è impossibile imparare -tutto indistintamente, quella non è che un’affermazione puramente -teorica. Nella realtà, gli uomini non imparano _tutto_, e non avviene -indifferentemente che imparino quello che imparano. Nella realtà, -gli uomini non imparano che ciò che è molto utile, o molto gradevole -a coloro che s’occupano della scienza. E appartenendo costoro alle -classi superiori della società, ciò che torna loro più utile è di -mantenere l’ordine sociale che permette alle loro classi di godere dei -loro privilegi; e ciò che torna loro più gradevole è di soddisfare -vane curiosità che non esigono da essi uno sforzo di mente troppo -considerevole. - -Da ciò proviene che una delle sezioni della scienza più in onore -è quella delle scienze che, come la storia e l’economia politica, -s’occupano sopratutto di stabilire che l’ordine presente della -vita sociale è appunto quello che è sempre esistito e che deve -esister sempre, di modo che ogni tentativo di modificarlo ci si -mostri illegittimo e vano. Un’altra sezione è quella delle scienze -sperimentali, che abbracciano la fisica, la chimica, la botanica; -queste scienze non s’occupano che di ciò che non ha alcun rapporto -diretto colla vita, di ciò che è materia di pura curiosità, o anche di -ciò che può contribuire a rendere più comoda l’esistenza delle classi -superiori della società. Ed è per giustificare questa scelta arbitraria -e mostruosa, fatta tra le diverse materie della conoscenza, che i -nostri scienziati hanno inventato una teoria corrispondente appuntino -a quella dell’_arte per l’arte_, la teoria della _scienza per la -scienza_. - -La teoria dell’arte per l’arte sostiene che l’arte consiste -nell’occuparsi di tutti i soggetti che fanno piacere; la teoria della -scienza per la scienza sostiene che la scienza consiste nell’insegnare -tutti i soggetti interessanti. - -E così accade che, delle due sezioni della scienza che s’insegnano agli -uomini, l’una invece d’insegnare come gli uomini dovrebbero vivere per -effettuare il loro destino, predica la legittimità e l’immutabilità -d’un modo di vita menzognero e funesto, mentre l’altra sezione, quella -delle scienze sperimentali, s’occupa di quistioni di pura curiosità, o -anche di piccole invenzioni pratiche. - -E di queste due sezioni della scienza contemporanea, la prima è -cattiva non solo perchè intorbida la mente degli uomini e dà loro -delle idee false; è pur cattiva per il fatto solo della sua esistenza, -e perchè occupa il posto che dovrebbe occupare la scienza vera. E la -seconda sezione, quella appunto di cui oggi la scienza insuperbisce, -è cattiva, perchè svia l’attenzione degli uomini dagli obbiettivi -veramente importanti, volgendola verso ricerche inutili; ed è anche -cattiva perchè nell’organismo sociale che è legittimato e sostenuto -dalle scienze della prima sezione, la maggior parte delle invenzioni -tecniche della scienza sperimentale servono non già alla felicità, ma -all’infelicità degli uomini. - -Soltanto gli uomini che hanno dedicato la loro vita a questi studi -inutili, possono continuare a credere che le scoperte e le invenzioni -che si compiono nel dominio delle scienze sperimentali siano cosa -veramente importante e profittevole. E se costoro lo credono, egli è -perchè non guardano dintorno a sè, e non vedono ciò che è veramente -importante. Basterebbe che alzassero il capo dal loro microscopio, -attraverso il quale osservano tutte le materie che studiano; basterebbe -che volgessero gli sguardi intorno a sè per vedere quanto siano vane -tutte quelle cognizioni da cui ricavano una vanità così ingenua, in -confronto di quelle altre cognizioni alle quali abbiamo rinunziato per -rimetterle nelle mani dei professori di giurisprudenza, di finanza, -d’economia politica, ecc. Basterebbe che volgessero un’occhiata intorno -a sè per vedere che l’oggetto importante e proprio della scienza umana -non dovrebbe essere d’imparare ciò che, per caso, è interessante, -ma d’imparare in che senso deve essere diretta la vita dell’uomo, -d’imparare quelle verità religiose, morali, sociali senza di cui -tutta la nostra così detta conoscenza della natura non può esserci che -inutile o funesta. - -Noi siamo contentissimi e fierissimi che la nostra scienza ci offra -la possibilità di trar partito dalla forza del vapore a profitto -dell’industria, o, se volete, che ci conceda di scavare delle gallerie -nel fianco dei monti. Ma come non pensiamo che codesta forza del -vapore non l’adoperiamo per il benessere degli uomini, ma solo per -arricchire un piccolo numero di capitalisti? Questa stessa dinamite, -che ci serve ad aprire i tunnel, come mai non pensiamo che non è -impiegata principalmente a scavar delle gallerie, ma bensì a procurare -la distruzione delle vite umane, come stromento terribile per quelle -guerre che ci ostiniamo a considerare come indispensabili, e alle quali -non cessiamo di prepararci? - -E se anche è vero — cosa che resta ancora da dimostrare — che la -scienza ora sia giunta a impedire la difterite, a spianare le -gibbosità, a guarire la sifilide, a compiere delle operazioni -straordinarie, ecc., nemmeno in ciò possiamo trovare di che -inorgoglirci per poco che vogliamo pensare alla vera funzione della -scienza. Se la decima parte delle forze che si spendono ora a studiare -argomenti di pura curiosità o piccole invenzioni pratiche, fosse -impiegata nella vera scienza, che ha per oggetto la felicità degli -uomini, vedremmo sparire almeno la metà di quelle malattie che oggidì -ingombrano le cliniche e gli ospedali; non vedremmo, come ora, dei -ragazzini condannati all’etisia e al rachitismo dal regime delle -fabbriche, non vedremmo la mortalità dei bambini superare, come ora, il -cinquanta per cento, non vedremmo delle generazioni intiere immolate -alle malattie, non vedremmo la prostituzione, non la sifilide, non le -guerre, che sono l’eccidio di milioni d’uomini, non vedremmo tutte le -mostruosità di sciocchezze e di patimenti che la scienza contemporanea -osa ritenere come condizioni inevitabili della vita umana! - -Ma il nostro concetto della scienza è pervertito a tal segno che -gli uomini del nostro tempo troveranno strano che si parli loro di -scienze capaci di diminuire la mortalità dei bambini, di sopprimere -la prostituzione, la sifilide, la degenerazione, la guerra. Siamo -giunti ad imaginarci che non c’è scienza se non quando un uomo, in -un laboratorio, versa un liquido da un provino in un altro, guarda -attraverso a un prisma, tortura delle rane o dei conigli, oppure anche -svolge da una cattedra una matassa di frasi sonanti e stupide — che del -resto non cerca di capire nemmeno egli stesso — sui luoghi comuni della -filosofia, della storia, del diritto, dell’economia politica, e tutto -ciò per il solo fine di provare che quello che è deve essere sempre. - -Eppure la scienza, la vera scienza, la sola che meriterebbe la -considerazione concessa oggigiorno alla sua contraffazione, la vera -scienza consisterebbe nel riconoscere a che cosa dobbiamo credere e -a che cosa non dobbiamo credere, come dobbiamo e come non dobbiamo -condurre la nostra vita, come fa d’uopo allevare i figli, come possiamo -trar partito dai beni della terra senza schiacciare per ciò delle -altre vite umane, e quale deve essere la nostra condotta riguardo agli -animali, senza contare molte altre questioni ugualmente importanti per -la vita degli uomini. - -Tale è sempre stata la vera scienza; e tale dev’essere. Ed è questa -scienza che sola corrisponde alla coscienza religiosa del nostro -tempo; ma essa si trova, da un lato, negata e combattuta da tutti -gli scienziati che lavorano a mantenere l’ordine sociale presente, e -dall’altro è ritenuta vana, sterile, antiscientifica dagli infelici -la cui intelligenza s’è atrofizzata nello studio delle scienze -sperimentali. - - -La scienza essendo intesa come è intesa oggi, quali sentimenti può -mai destare che l’arte alla sua volta possa trasmetterci? La prima -sezione di questa scienza provoca dei sentimenti retrivi, antiquati, -fuori d’uso, e cattivi per il nostro tempo. E l’altra sezione tutta -consacrata allo studio di soggetti che non hanno rapporto colla vita -degli uomini, è di sua natura incapace di fornire materia all’arte. -E così avviene che l’arte del nostro tempo, per essere arte vera, -deve aprirsi la via da sè, a dispetto della scienza, oppure mettere a -profitto gl’insegnamenti d’una scienza che il nostro mondo non ammette, -d’una scienza rinnegata e respinta dalla parte ortodossa della scienza. -È a questo partito che l’arte si trova ridotta, quando si dà pensiero -di compiere la sua funzione. - -Almeno conviene sperare che un lavoro simile a questo che io ho tentato -per l’arte sarà intrapreso, un giorno o l’altro, rispetto alla scienza; -un lavoro che proverà agli uomini la falsità della teoria della scienza -per la scienza, che mostrerà loro la necessità di riconoscere la -dottrina cristiana nel suo vero senso, e che appoggiandosi su questa -dottrina, insegnerà loro a valutare in un modo nuovo l’importanza delle -cognizioni di cui ora siamo fieri in modo così ridicolo. Possano allora -gli uomini riconoscere quanto sono secondarie e insignificanti le -cognizioni sperimentali, e quanto essenziali e importanti le cognizioni -religiose, morali, e sociali! Possano capire che queste cognizioni -primordiali non devono essere lasciate, come lo sono ora, sotto -la tutela e alla discrezione delle classi ricche, ma che devono al -contrario essere rimesse nelle mani di tutti gli uomini liberi e amanti -della verità, i quali, spesso in contraddizione colle classi ricche, -cercano il destino reale della vita! Possano le scienze matematiche, -astronomiche, fisiche, chimiche e biologiche, come pure la scienza -applicata alla medicina, non essere più insegnate che nella misura in -cui contribuiranno ad affrancare gli uomini dagli errori religiosi, -giuridici e sociali, nella misura in cui serviranno al bene di tutti -gli uomini, e non più d’una sola classe privilegiata! - -Solo allora la scienza cesserà d’essere ciò che è ora, cioè da una -parte un sistema di sofismi destinati a mantenere un organismo sociale -decrepito, dall’altra un ammasso informe di cognizioni, in gran parte -poco utili o anche assolutamente inutili. Solo allora essa diventerà -ciò che deve essere, un tutto organico, avente uno scopo determinato e -comprensibile per tutti gli uomini, cioè d’introdurre nella coscienza -umana le verità che derivano dall’idea religiosa d’un’epoca. - -E soltanto allora l’arte, sempre dipendente dalla scienza, ridiventerà -ciò che può e deve essere, un organo imparentato con quello della -scienza, ugualmente importante per la vita e per il progresso degli -uomini. - - -L’arte non è un godimento, un piacere, nè un divertimento; l’arte è una -grande cosa. È un organo vitale dell’umanità, che trasporta i concetti -della ragione nel dominio del sentimento. Nel tempo nostro il concetto -religioso degli uomini ha per centro la fratellanza universale e la -felicità nell’unione. La vera scienza deve dunque insegnarci le diverse -applicazioni di questo concetto alla vita; e l’arte deve trasportare -questo concetto nel dominio dei nostri sentimenti. - -Così l’arte ha dinanzi a sè un cómpito immenso: coll’aiuto della -scienza e sotto la guida della religione deve fare in modo che -quell’unione pacifica degli uomini, che ora non s’ottiene che con mezzi -esteriori, tribunali, polizia, ispezioni, ecc., possa effettuarsi per -il libero e gioioso consenso di tutti. L’arte deve sopprimere nel mondo -il regno della violenza e della coercizione. - -Ed è un cómpito a cui essa sola può soddisfare. - -Essa sola può ottenere che i sentimenti d’amore e di fratellanza, -oggi solamente accessibili agli uomini migliori della nostra società, -diventino sentimenti costanti, universali, istintivi in tutti gli -uomini. Eccitando in noi, coll’aiuto di creazioni imaginarie, i -sentimenti della fratellanza e dell’amore, può avvezzarci a provare -gli stessi sentimenti nella realtà, può assestare nell’anima umana -delle rotaie, sulle quali oramai scorrerà la vita, sotto la guida -della scienza e della religione. E unendo gli uomini più diversi -in comunanza di sentimenti, sopprimendo le distinzioni tra di loro, -l’arte universale può preparare gli uomini all’unione definitiva, può -dimostrar loro, non col ragionamento, ma per mezzo della vita stessa, -la gioia dell’unione universale, al di là delle barriere imposte dalla -vita. - -L’uffizio dell’arte nel tempo nostro è di trasportare dal dominio della -ragione in quello del sentimento questa verità: che la felicità degli -uomini sta nella loro unione. È l’arte sola che potrà fondare sulle -rovine del nostro regime presente di violenza e di coercizione, quel -regno di Dio che si presenta a noi tutti come il termine più alto della -vita umana. - -Ed è ben possibile che nell’avvenire la scienza somministri all’arte -un altro ideale, e che l’arte abbia allora il cómpito di tradurlo in -atto; ma nel nostro tempo la funzione dell’arte è chiara e precisa. -Il cómpito dell’arte vera, dell’arte cristiana, è oggidì quello di -effettuare l’unione fraterna degli uomini. - - - FINE. - - - - -INDICE. - - - TOLSTOI E MANZONI NELL’IDEA MORALE DELL’ARTE, - di _Enrico Panzacchi_ Pag. V a XLVII - - _Introduzione dell’autore_ 3 - - I. Il problema dell’arte 15 - II. La bellezza 27 - III. Distinzione tra l’arte e la bellezza 44 - IV. La funzione dell’arte 54 - V. L’arte vera 64 - VI. L’arte falsa 73 - VII. L’arte degli eletti 80 - VIII. Gli effetti dell’arte pervertita; l’impoverimento - della materia artistica 87 - IX. Gli effetti dell’arte pervertita; la ricerca - dell’oscurità 96 - X. Le conseguenze della perversione nell’arte; la - contraffazione dell’arte 129 - XI. L’arte professionale, la critica, l’insegnamento - artistico: loro influenza sulla contraffazione - dell’arte 144 - XII. L’opera di Wagner, modello perfetto della - contraffazione dell’arte 159 - XIII. Difficoltà di distinguere l’arte vera dalla - sua contraffazione 182 - XIV. Il contagio artistico, criterio dell’arte vera 188 - XV. L’arte buona e l’arte cattiva 193 - XVI. Le conseguenze del cattivo funzionamento - dell’arte 217 - XVII. Possibilità d’un rinnovamento artistico 232 - XVIII. Che cosa dovrà essere l’arte dell’avvenire 236 - - _Conclusione_ 247 - - - - -OPERE DI LEONE TOLSTOI - - _Edizioni Treves_ - - _Anna Karenine_. 2 volumi preceduti da uno studio di - D. Ciàmpoli sui romanzi russi. 9.ª edizione. L. 2 — - _La guerra e la pace_. 4 volumi. 8.ª edizione. 4 — - _I Cosacchi_. 5.ª edizione 1 — - _La sonata a Kreutzer_. 8.ª edizione 1 — - _Ultime novelle; Piaceri viziosi_. 5.ª edizione 1 — - La morte di Ivan Iliitch. — Il romanzo d’un cavallo. — - Un povero diavolo. — L’alcool e il tabacco. — - L’ubbriachezza nelle classi dirigenti. — Delle - relazioni fra i sessi. - _Padrone e servitore_, racconto. 9.ª edizione 1 — - _Resurrezione_, romanzo. 3 volumi. 5.ª edizione 5 — - _Memorie._ 6.ª edizione 3 — - _Che cosa è l’arte?_ (con prefazione di ENRICO PANZACCHI). - 5.ª edizione 1 — - _La vera vita_, preceduto da un saggio critico di NINO - DE SANCTIS 3 — - _La potenza delle tenebre_, dramma. 2.ª edizione 1 — - _I frutti dell’istruzione_, commedia 1 — - - _Dottrine Religiose e Sociali del Conte L. N. Tolstoi_, - di BASSANO GABBA 1 50 - - - - -NOTE: - - -[1] Come introduzione all’opera di Tolstoi, abbiamo il piacere di -presentare i due articoli che le dedicò Enrico Panzacchi nei fascicoli -della _Nuova Antologia_ del 16 giugno e del 16 dicembre 1898. Dobbiamo -ringraziare l’autore e il direttore dell’_Antologia_ del permesso -accordatoci, — e ne saranno del pari grati i lettori. (_Nota degli -Editori_). - -[2] RENÉ DOUMIC, _Les jeunes_. - -[3] Prefazione alla tragedia _Il conte di Carmagnola_. - -[4] _Opere varie._ Edizione Rechiedei, pag. 796. - -[5] _Opere varie._ Ediz. cit., pag. 783. - -[6] Ib., pagg. 465 e seg. - -[7] _Discorsi._ “Una opinione di Alessandro Manzoni„. Edizione -Cogliati. Milano, 1898. - -[8] _Zola, Dumas, Guy de Maupassant_, pag. 153 e seg. - -[9] _Prémières poésies._ “Don Paez„. - -[10] Vedi di lui _Science et Religion_, pag. 229 e seg. - -[11] _Pro Archia poeta._ - -[12] Mario Pilo è un professore italiano. L’A. ha avuto sott’occhi la -traduzione francese del suo volume. (_N. d. T._). - -[13] _Solness il costruttore_, di Ibsen. - -[14] _I ciechi_, di Maeterlinck. - -[15] _La campana sommersa_, di Hauptmann (_N. d. T._). - -[16] Adducendo questi titoli delle opere d’arte che ritengo le migliori -tra le moderne, sono lontano dal pretendere di dare un giudizio -definitivo di queste opere; poichè non solo non ho l’esperienza -occorrente per valutare tutte le produzioni artistiche, ma per giunta -appartengo io stesso a quella specie d’uomini che ebbero per tempo -depravato il gusto da una cattiva educazione. Quindi è possibilissimo -che colle mie vecchie abitudini connaturate con me io m’inganni -su parecchi punti, attribuendo un valore artistico superiore ad -impressioni famigliari a me sino dall’infanzia. Ma se enumero così -certe opere di diverse categorie, lo faccio solo per ispiegar meglio il -mio pensiero, e per dimostrar meglio come ora io intenda la perfezione -nell’arte. E debbo aggiungere ancora che schiero nella classe -dell’_arte cattiva_ tutte le mie proprie opere artistiche, eccettuato -il racconto _Dio vede la Verità_ col quale volli fare un’opera d’arte -religiosa, e quell’altra mia narrazione _Nel Caucaso_, che mi sembra -appartenere alla seconda delle categorie che ritengo accettabili. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK CHE COSA È L'ARTE? *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. 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margin:1em 0'> -This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and -most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions -whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms -of the Project Gutenberg License included with this eBook or online -at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. 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Fratelli Treves. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_v">[v]</span> -</p> - -<h2 id="saggio">TOLSTOI E MANZONI -<span class="smaller">NELL’IDEA MORALE DELL’ARTE</span></h2> -</div> - -<p class="center"> -SAGGIO DI<br /> -ENRICO PANZACCHI<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a> -</p> - -<h3>I. -<span class="smaller">Il libro di Tolstoi: Che cosa è l’Arte?</span></h3> - -<p> -È un libro che meriterebbe di essere confutato -da Ernesto Rénan. Quanto a idee generali, esso -non ci apporta grandi novità circa la mente dell’autore -sull’arte e il suo ufficio nel mondo. Leggendolo -si pensa alla <i>Sonata a Kreuzer</i> e si trovano -cose già dette nel volume <i>Zola, Dumas et -Guy de Maupassant</i>. Ma lo svolgimento della tesi -è molto più largo e profondo; e ne esce più fortemente -<span class="pagenum" id="Page_vi">[vi]</span> -ribadita la condanna dell’arte contemporanea. -</p> - -<p> -“Un giorno„ raccontava l’autore nel suo volume -tradotto nel 1896, “mi venne mostrato da -un pittore celebre un suo quadro rappresentante -una processione. Ogni cosa vi era mirabilmente -rappresentata; ma non appariva dal dipinto alcun -sentimento dell’autore verso il proprio soggetto. -Gli domandai: -</p> - -<p> -“— Dunque voi considerate le processioni come -utili? -</p> - -<p> -“— Il pittore, avendo l’aria di compatire alla -mia ingenuità, mi rispose che di questo non s’era -occupato mai. Egli badava unicamente a <i>dipingere -la vita</i>. -</p> - -<p> -“— Ma voi avrete almeno l’idea del vostro -soggetto? -</p> - -<p> -“— Non ne so niente! -</p> - -<p> -“— Allora voi odiate queste cerimonie religiose? -</p> - -<p> -“— Nè le amo nè le odio.... -</p> - -<p> -“E la risposta fu accompagnata da un vero -sorriso di compassione. Io facevo semplicemente -la figura di uno sciocco, davanti a questo artista -moderno di alta fama, che <i>dipinge la vita</i> senza -intendere, senza amare e senza odiare le manifestazioni -della vita che trasceglie per il suo -lavoro.„ -</p> - -<p> -E Leone Tolstoi ne concludeva che questa è -la grande colpa da cui derivano le grandi miserie -dell’arte del nostro tempo. Gli artisti tutti: -pittori, scultori, poeti lirici, poeti drammatici, -romanzieri, non trattano un argomento perchè -<span class="pagenum" id="Page_vii">[vii]</span> -la loro anima sia portata verso di esso da amore -o da odio; ossia da un’interna ragione d’indole -morale. Chi li muove adunque? Il solo fine di -produrre nei loro simili un senso di stupore mediante -la rappresentazione della vita; oppure un -senso di piacere mediante la rappresentazione -della bellezza. La maggior parte degli uomini, -nella nostra società borghese, si contenta dello -stupore artistico e delle grosse e violenti sensazioni -che sono generate da lui. Un numero più -ristretto, i delicati, gli estetici, par che vadano -un po’ più in su col loro desiderio, domandando -ai pittori, ai poeti e ai musici di essere dilettati -con le rappresentazioni di forme belle. Ma anche -questa distinzione di pubblico volgare e d’amatori -fini, che il Guy de Maupassant scolpiva abbastanza -bene nella prefazione al suo romanzo -<i>Pierre et Jean</i>, in sostanza si riduce a ben poca -cosa! “Nel mondo frequentato da Maupassant, -quel Bello, al cui servizio l’arte deve trovarsi -vera, ed è ancora rappresentata sopratutto dalla -donna giovane e bella, per la più parte poco -vestita; il Bello è d’averci con essa relazioni -carnali....„ -</p> - -<p> -Avevo ragione di dire che qui ci vorrebbe Ernesto -Rénan; anche perchè nessuno dinanzi al -giudizio di Tolstoi è forse più in causa dell’autore -delle <i>Origini del Cristianesimo</i>. Sono noti -i suoi filosofici entusiasmi per la bellezza; i quali -non si fermavano all’Acropoli e alla ideale perfezione -delle figure scolpite nel pario e nel pentelico. -Per la bellezza della donna viva pochi -poeti ebbero, io credo, parole di più squisita e -<span class="pagenum" id="Page_viii">[viii]</span> -di più calda ammirazione. Nel suo libro su Marco -Aurelio egli giunse fino a dare al Cristianesimo -una colpa grave per la diffidenza rigida e paurosa -che sempre dimostrò verso la bellezza della -donna. Tutto il medio evo risuonò della minaccia -scritturale: <i>per speciem mulieris multi perierunt</i>! -Ebbene, il Cristianesimo, secondo Rénan, ebbe -torto. “Agli occhi d’una filosofia completa, la bellezza, -tutt’altro che essere un vantaggio superficiale, -un pericolo, un inconveniente, è un dono -di Dio come la virtù. <i>Essa vale la virtù</i>; la donna -bella esprime una faccia dello scopo divino, uno -dei fini di Dio, come lo esprime l’uomo di genio -e la donna virtuosa.... La donna, ornandosi, compie -un dovere; essa pratica un arte, arte squisita -in un senso, la più graziosa delle arti„. E prosegue -dimostrando che la dottrina cristiana non -potè vivere e armonizzare dentro un quadro di -società completa, se non quando, per opera di spiriti -illuminati e disinvolti, potè spezzare questo -duro giogo, voluto imporre alla natura umana -da un pietismo esaltato. -</p> - -<p> -Gli spiriti illuminati e disinvolti crearono il -Rinascimento, il quale rimise in onore la bellezza; -e con essa vinse per modo i rigori dell’ascetismo -inumano che la stessa Chiesa dovette arrendersi; -anzi gli ecclesiastici e i Papi diedero l’esempio, -aprendo alla bellezza femminile le porte delle -chiese e collocandola sugli altari.... Ma qui appunto, -secondo Tolstoi, cominciò il male maggiore! -E come Girolamo Savonarola si vantava -dal pulpito d’aver stracciati i volumi platonici -e intimava ai Fiorentini “l’incendio delle vanità„, -<span class="pagenum" id="Page_ix">[ix]</span> -così il filosofo russo, nel suo singolare -ascetismo, impreca alla Chiesa Latina per quel -grande impulso di corruzione estetica che venne -dato da lei a tutta la Cristianità occidentale. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il nuovo libro di Tolstoi è dunque una nuova -e più terribile accusa contro l’arte del nostro -tempo. Arrivato all’ultima pagina, io mi sono -vista sorgere dinanzi alla fantasia una di quelle -fiere figure di antichi solitari e di profeti, che -dannavano al fuoco una città perchè le abominazioni -sue avevano stancata la pazienza di Dio. -Anche i giusti dovevano perire per le colpe dei -malvagi. -</p> - -<p> -Ma dove sono i giusti per Tolstoi? La sua -condanna scende inesorabile su tutto. Ognuna -delle forme artistiche in cui lo spirito nostro si -compiace, vien dimostrata perniciosa e frivola: -il dramma, il melodramma, la lirica, la pittura, -il romanzo. Gli artisti, che una specie di consenso -generale ha messo fra i grandi e fra i -gloriosi, sono condannati e quasi messi a fascio -coi guastamestieri. Wagner, Ibsen, Baudelaire -stanno accanto a nomi di mediocri e di infimi. -Questo per i contemporanei. Quando poi l’autore -spazia nel vasto orizzonte della storia, lo -vediamo fermarsi con devota ammirazione davanti -a Omero, ai Profeti, ai racconti evangelici, -a san Francesco d’Assisi; ma in tutto il resto -egli è di una disinvoltura che confina con la irriverenza. -<span class="pagenum" id="Page_x">[x]</span> -Certo i nomi grandi e anche grandissimi -non lo intimidiscono. I tragici greci, Aristofane, -Virgilio, Dante, Shakespeare, Raffaello, -Michelangelo, Goethe, Bach, Beethoven, sono degnamente -esteti di alta fama e hanno fatto di -gran belle cose; ma sul complesso della loro produzione -Leone Tolstoi si riserva una grande libertà -di giudizio e rigore di scelta. -</p> - -<p> -A stringere molto in poco, egli fa questo calcolo: -su diecimila lavori d’ogni genere — poesie, -drammi, musiche, statue, quadri — che siamo -abituati, noi, <i>hommes de la société</i>, a chiamare -opere d’arte, una appena meriterà davvero -questo nome! -</p> - -<p> -E vien naturale la domanda: ma che cosa è -dunque l’arte per Leone Tolstoi? E che domanda -egli da essa? A maggior chiarezza, piuttosto che -rispondere subito a queste interrogazioni, vediamo -quali sono, secondo lo scrittore russo, le gravi -colpe dell’arte contemporanea. Da prima egli osserva -che l’arte fra noi costa troppo; e non solo -in denaro, ma in ogni maniera di faticosi sforzi -e di umiliazioni per la dignità della natura umana. -Una sera Tolstoi volle vedere, stando ad osservare -sul palco scenico, la prova di una grand’opera -musicale sul tipo deìl’<i>Affricana</i> o del -<i>Fernando Cortes</i>; e uscì di là profondamente impietosito, -disgustato, irritato. Quante bestialità, -quante sofferenze e miserie in tutti quei comandi -accompagnati d’ingiurie e di bestemmie, in tutte -quelle cadenze di piedi e movenze di braccia e -modulazioni di gole, ripetute automaticamente, -senza fine, da una folla di esseri abbrutiti! E -<span class="pagenum" id="Page_xi">[xi]</span> -tutto questo per mettere insieme un macchinoso -spettacolo, che dinanzi alla verità è un non senso, -dinanzi all’arte un ibridismo, una fatica e una -noia per tutti. L’autore passa poi in esame le -altre discipline artistiche e scuopre che ogni -prodotto di esse va accompagnato da spese, perditempo, -dolori e colpe d’uomini. La così detta -opera d’arte che ne vien fuori, al solito, non vale -di gran lunga quello che è costata. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Vediamo adesso quali e quanti sono, secondo -il libro, i maggiori peccati nelle opere dell’arte -contemporanea. Leone Tolstoi lascia enumerare -ad un autore francese<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a> i caratteri dominanti -nelle nuove produzioni, massime letterarie. Essi -sono: <i>la lassitude de vivre</i>, <i>le mépris de l’époque -présente</i>, <i>le regret d’un autre temp aperçu à travers -l’illusion de l’art</i>, <i>le goût du paradoxe</i>, <i>le -besoin de se singulariser</i>, <i>une aspiration de raffinés -vers la simplicité</i>, <i>l’adoration enfantine du -merveilleux</i>, <i>la séduction maladive de la rêverie</i>, -<i>l’ébranlement des nerfs</i>, <i>surtout l’appel exaspéré -de la sensualité</i>. -</p> - -<p> -Soprattutto dunque la letteratura contemporanea -(e le altre arti per consenso) è dominata -e potrebbe dirsi tutta impregnata di un enorme -spirito di lussuria. Gli scrittori parigini, per la -vita che conducono e per le idee che professano, -<span class="pagenum" id="Page_xii">[xii]</span> -sono tutti, più o meno, malati di erotomania; -ed è fra essi una continua gara a chi sa meglio -trasmetterla nella fantasia e nel sangue dei lettori. -I modi variano. Nei libri dei così detti naturalisti -(Zola, De Goncourt e compagni) la erotomania -somiglia a una volgare cortigiana che -si dà sfacciatamente; in quelli dei così detti simbolisti -e nei mistici è anche peggio, poichè si -tratta (come nei romanzi del Peladan e del Bourget) -di una lussuria più abilmente sofisticata e -più sottilmente infusa attraverso un velario ondeggiante -di immagini spirituali. Ma il fine massimo -dei racconti è sempre uno solo; disporre la -trama e i personaggi in modo da giungere, prima -o poi, a una scena capitale di lussuria; prepararla -bene, farla desiderare e, al momento, spingerla -fin dove si può, senza pregiudicare la vendita -del romanzo, il quale, si sa, deve entrare in -tutte le famiglie oneste. Ecco dunque il “grande -affare„ di questi scrittori: esibire, muovere, agitare, -scuoprire e denudare con maestria il corpo -delle donne, a incremento di desiderio nei maschi. -Da ultimo sono venuti anche i romanzieri -<i>femministi</i>; e questi si occupano più specialmente -delle signore.... -</p> - -<p> -Dal suo gran centro di Parigi la scuola si è -diffusa e domina in tutto il mondo cristiano, -specie in Inghilterra e in America, ove gli allievi -oramai non hanno più nulla da imparare. -</p> - -<p> -Alle esposizioni di arti grafiche, trionfa il nudo -pornografico; nei teatri padroneggia, inesauribile -tema, l’adulterio; la poesia lirica sceglie i motivi -che in passato furono proprietà riservata -<span class="pagenum" id="Page_xiii">[xiii]</span> -dell’allegra novellistica boccaccesca e rabelesiana, -li fa suoi, li innalza di tono, li circonda di pietà -e di melanconie sentimentali, canta le mistiche -glorie del senso e i <i>divini spasimi</i> della carne.... -Oh come è naturale e come è giusto, conclude -Tolstoi, che la sana e grande anima popolare -viva straniera a tutta questa arte, la quale altro -non può destare in lei se non <i>la surprise, le mépris, -ou l’indignation</i>! -</p> - -<p> -Questo abbiettamento profondo, per Tolstoi non -è che l’ultimo gradino di una scala per la quale -l’arte è discesa, movendo da un punto sbagliato: -che l’arte avesse per fine di allettare e divertire -gli uomini col piacere della bellezza. Principio -falso, tratto da un falso ideale della vita, che -venne proclamato, in periodo di decadenza, dai -dotti di un piccolo popolo semibarbaro (!) il quale -fondava lo Stato sulla schiavitù. Questo popolo -imitava mirabilmente il corpo umano e innalzava -delle fabbriche gradevoli all’occhio. — Dopo -diciannove secoli la teoria greca potè ricomparire -in mezzo alla Cristianità e vi trionfava scandalosamente, -per opera di umanisti e di preti -paganeggianti, che egualmente si allontanavano -dall’anima del popolo e dalla verità dell’Evangelo. -Furono sempre <i>les hommes de la société</i> che -guastarono i disegni della natura. -</p> - -<p> -Il primo guasto lo abbiamo già visto; fu l’erotomania, -che era già entrata, come un germe -morboso, nell’opera d’arte e che doveva, di mano -in mano svolgersi e slargarsi e finalmente cuoprire -della sua velenosa e immonda fioritura tutta -la produzione artistica, come al tempo nostro. -<span class="pagenum" id="Page_xiv">[xiv]</span> -Perchè meravigliarsene? Il piacere ha una legge -inesorabile e una forza d’invasione a cui nessuna -diga può essere contrapposta. Il campo delle -idee (nota acutamente il Tolstoi) è inesauribile -tanto per la sua immensità che per la sua varietà; -e lo spirito umano vi procede sempre a -scoperte nuove. Le sensazioni del piacere invece -sono numerate dalle nostre condizioni biologiche -e presto si fiaccano e si ottundono con l’uso. -Una volta quindi che del piacere ci siamo fatta -una legge e ci mettiamo sulla sua via, è necessario -che noi troviamo, a ogni costo, la novità -nella raffinatezza della esibizione e nell’incremento -delle dosi. Così comincia la corsa sfrenata -e la concorrenza pazza che conduce ad eccessi -inevitabili. Ai tempi della decadenza pagana -saranno le favole milesie; nel Cinquecento -le opere in collaborazione dell’Aretino e di Giulio -Romano; al tempo nostro i racconti di Pietro -Louys e di Catullo Mendès. Se c’è una differenza, -è tutta a nostro danno; poichè presso gli antichi -una certa distinzione tra il lecito e l’illecito era -ammessa pur sempre, mentre da noi un sofisma -immenso ha avviluppati gl’intelletti e ha preso -forma di dottrina. Di più i nostri artisti erotomaniaci -credono di rappresentare le “condizioni -normali„ della società in cui vivono. “Passano la -vita ad amplificare le abominazioni sessuali che -hanno provate; e sono persuasi che tutti siano -colpiti della stessa affezione morbida....„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xv">[xv]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Una parte considerevole del libro è dedicata -a dimostrare quello che è per Tolstoi il più -grande pervertimento dell’arte contemporanea: -cioè il suo genio antipopolare; la sua tendenza a -rinchiudersi in circoli sempre più ristretti e a -occultarsi dietro forme sempre meno facilmente -comunicabili. È la così detta aristocrazia dell’arte. -</p> - -<p> -Nè anche di questa aristocrazia dobbiamo maravigliarci; -poichè essa discende in linea retta -dalle false idee che fine dell’arte sia il piacere -estetico. Il piacere è per natura sua egoistico e -quindi restrittivo. L’egoismo poi si manifesta in -più modi. Fuori dell’artista, ossia nelle classi privilegiate -e poco numerose, che al poeta, al pittore, -al musico chieggono dilettazioni artistiche -<i>fatte a posta per loro</i>, senza che vi partecipi la -vile moltitudine e, scemandone le rarità, le faccia -scemare di pregio. Dentro l’animo dell’artista l’egoismo -prende altre forme. Egli si profonda e si -dimentica volentieri nelle intimità del proprio artificio; -ama di farsene uno spettacolo riservato, -una delizia gelosa; e si persuade che, più si allontana -per le sottigliezze de’ suoi procedimenti -dalla intelligenza comune, più egli si elevi e si -glorifichi nell’opera sua. -</p> - -<p> -Ma qui sorge un ostacolo. Compiacersi della -propria bellezza come Narciso, va bene, ma non -basta. Il fiore della lode ha i suoi profumi attraenti, -e vi sono troppi altri motivi che invitano -<span class="pagenum" id="Page_xvi">[xvi]</span> -e obbligano l’artista a mettere sè e il proprio -lavoro in comunicazione col pubblico.... Egli -è da questo contrasto che, a guisa di compromessi, -vennero formandosi via via parecchie tra -le forme esoteriche del mondo artistico e contemporaneo: -i gruppi, le sétte, le chiesuole, i cenacoli, -de’ quali i nomi sono così strani e il numero -così grande e la vita così effimera. In mezzo -a tutto quel brulichio di comparse e di larve si -levavano sempre le medesime voci: — “Noi siamo -i nuovissimi jerofanti della forma nuovissima! -Pochi possono intendere, pochi possono gustare, -poichè la grande arte è dono privilegiato! -Non gettiamo ai porci le nostre margherite! Lungi -i profani!„ — Inutile avvertire che anche in -questo campo, secondo Tolstoi, è quasi sempre -Parigi che inventa e dà le mosse: l’Europa e -l’America si rassegnano a imitare. -</p> - -<p> -Così, fin che le arti si mantennero fedeli al -loro ufficio ideale, che è quello di essere un nobilissimo -vincolo di fraternità in mezzo agli uomini, -tutte le forme artistiche si mantennero in -un lucido contatto con la intelligenza e con la -coscienza popolare. Da quando invece vennero -volte al piacere estetico, la coscienza popolare, -che domanda ben altro, si allontanò da esse, perchè -più non comprese il loro linguaggio. Ed esse -accolte, protette e adulate in mille modi dai ricchi -e dai gaudenti del mondo, si diedero a soddisfare -ai loro gusti, sempre più usati e stanchi, -con procedimenti sempre più artificiali e complicati. -Chiusa la limpida fonte delle idee nuove, -che stanno nella coscienza universale come un -<span class="pagenum" id="Page_xvii">[xvii]</span> -deposito inesauribile, l’arte cessò di essere <i>inventiva</i> -e divenne <i>professionale</i>; ossia, sostituì al -criterio interiore di creare quello tutto esteriore -di contraffare. Le vecchie mitologie, i vecchi modelli -letterari e artistici, i vecchi pregiudizi e -i costumi e i capricci e i tedî delle classi ristrette -e cupide di adulazioni e di svago, divennero -la materia unica e obbligata dell’arte. Astretti -a rimaneggiare di continuo quei loro gloriosi -vecchiumi, i poeti per i primi, onde conseguire -una qualche apparenza di novità, dovettero appigliarsi -ad espedienti meschini, ossia ai furti -più o meno abilmente mascherati, allo sfoggio -insolente e barocco dell’ornamentazione, al lezioso, -all’inaspettato, allo strambo; tutta roba -ammannita ai clienti con una legge di progressione -fatale e inesorabile.... Finalmente, quando -ogni altra salsa parve insipida ai palati ristucchi, -si arrivò all’“occultismo„ letterario e artistico. -</p> - -<p> -Stefano Mallarmé, capo dei poeti decadenti, ha -posato questo canone: la chiarezza è capitale difetto -nella poesia. Che gusto può esserci a sentir -dire pane al pane e sole al sole? E che arte -è quella che sciorina là un oggetto o un concetto -davanti agli occhi dei lettori come fa il -merciaio una pezza di drappo sul banco? Questo -fu il fatale errore dei poeti Parnassiani. Il sommo -dell’arte moderna risiede invece nel porgere le -cose avvolte in una squisita ambiguità di immagini -e di eufemismi; e in quel lavoro di indagine, -in quella perplessità e magari in quello -stento che ci vuole ad afferrarle, sta appunto il -<span class="pagenum" id="Page_xviii">[xviii]</span> -sapore e il valore della dilettazione estetica, accresciuti -dal pensiero che pochi sono gli eletti -a dividerlo con noi. Lo stesso dicasi delle qualità -ritmiche nel verso e nelle strofe. La metrica -dei classici usata fin qui, è troppo regolare, troppo -geometrica, e dà all’orecchio troppo facili armonie. -Abbisogna anche qui introdurre del nuovo, -del ricercato, del recondito, delle strofe, per esempio, -per le quali sia necessario adoperare più la -vista che l’udito; o dei versi che non paiano -versi e che sia necessario accentuare laboriosamente -perchè tornino. Se i più non li gustano, -buon segno anche questo. Lo stesso Mallarmè ha -dichiarato che quando una sua lirica si imbatterà -in più che cinquanta lettori che la trovino -bella, vorrà dire che non è riuscita. -</p> - -<p> -All’occultismo sistematico della poesia lirica fa -concorrenza l’occultismo d’ogni altra forma artistica. -Tutta questa arte aristocratica, col suo -manto di simbolismo e col suo misticismo ateo, -nel dramma, nella musica, nella pittura, non è -quasi altro che uno sforzo immane per nascondere -la sua grande povertà di potenza inventiva: -e Wagner, Brahms, Riccardo Strauss, Boecklin, -Burne-Jones, Puvis de Chevannes, Ibsen, -Maeterlinck e compagni, hanno tutti una lontana -parentela col marchese De Sade! -</p> - -<p> -La malattia è gravissima poichè non viene da -cause accidentali, ma è l’effetto di un turbamento -profondo e antico. E a peggiorarla s’aggiunge -la critica divenuta al tempo nostro una -vera maledizione. Secondo Tolstoi, quando comincia -a cessare la sincerità dell’arte, la critica -<span class="pagenum" id="Page_xix">[xix]</span> -entra in campo; anzi i critici si sforzano a -sollecitare questa mancanza di sincerità, perchè -hanno tutti bisogno di pescare nel torbido. Così -si avvera il loro grande sogno egoistico: nel regno -dell’arte una moltitudine d’iloti e pochissimi -gli eletti. Essi sono naturalmente del numero. -Un rapido cenno d’intesa fra di loro: un altro -cenno con gli autori; un altro coi compari della -galleria; poi giù le grande sentenze e in tondo la -frusta e in alto i turibuli! Il sofisma di cui più -abilmente si serve la critica ai nostri giorni è -questo: più un artista s’incammina verso lo strano -e verso il recondito, più s’accosta alle altissime -cime dell’arte. Che meraviglia se solo pochi possono -seguirlo? Guardate, dice Tolstoi, quale è -stato il giuoco della critica verso Puschkin e -verso Beethoven. Fin che il primo scriveva versi -e novelle, di valore vario ma secondo l’animo -suo e perciò vere opere d’arte, la critica lo trattò -con freddo sussiego. Si mette a scimiottare lo -Shakespeare, a forzare la propria vena, a dare -nello strano; e la critica lo leva alle stelle. Il -caso di Beethoven è anche più significativo. Dopo -aver composto moltissima musica, il grande maestro -diventa sordo. La malattia gli limita naturalmente -le facoltà musicali, e incomincia a scrivere -dei pezzi d’invenzione tutta cerebrale, incompiuti, -nebulosi.... Potevano mai i critici nostri -lasciarsi scappare una così bella occasione? -Eccoli, con Wagner alla testa, levarsi tutti in -coro e gridare che proprio d’allora ebbe principio -la sublimità di Beethoven! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xx">[xx]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Da quanto ho fin qui riferito del nuovo libro -di Leone Tolstoi, ognuno può comprendere che -accusatore egli sia dell’arte come è generalmente -intesa e professata ai nostri giorni. Accusa non -tutta nuova certamente. Chi, per esempio, ricorda -la <i>Lettre sur les spectacles</i> di Gian Giacomo -Rousseau, si avvede che, alla distanza di -più di un secolo, i due spiriti solitari s’incontrarono -in più d’un argomento, trattando il medesimo -soggetto. -</p> - -<p> -Anche alle idee di Max Nordau è impossibile -non pensare; e in particolar modo a molti giudizi -d’autori e di opere che si trovano nei due -volumi di <i>Degenerazione</i>. Ma qui la somiglianza -è piuttosto nelle conseguenze pratiche; anzi solamente -in queste; poichè lo scrittore russo e -l’ungherese muovono da principî profondamente -diversi. -</p> - -<p> -A ogni modo accuse gravissime. È curioso notare -che, al principio di questo secolo, il conte -Giuseppe De Maistre, il filosofo della Santa Alleanza, -sentenziava: <i>Le beau est ce qui plaît au -patricien éclairé</i>; e di qui si dedusse tutta una -teoria intorno all’arte; e tutti, uomini di parte -popolare e di parte patrizia, la vollero considerata -del pari come una espressione aristocratica -della vita. Al chiudersi del secolo, ecco che un -altro patrizio, dal cuore della Santa Russia, si -leva a predicare tutto il contrario; e anzi sostiene -che <i>les hommes de la société</i>, i Papi, i principi, -<span class="pagenum" id="Page_xxi">[xxi]</span> -i nobili e in generale la gente istruita e ricca, -sono proprio essi che l’arte hanno snaturata e -sviata dal suo nobile fine, considerandola <i>per -ciò che procura la più grande somma di godimenti -ad una categoria limitata d’uomini</i>. La grande -umanità sta fuori dall’arte nostra; o non la capisce -o la disprezza. -</p> - -<p> -Un intero capitolo del libro è dedicato ad un -rapido esame delle dottrine degli studiosi sull’essenza -e sul fine dell’arte. La rassegna va dai -Greci al Baumgarten e da questo a Carlo Darwin, -allo Spencer, al Kerd, al Knight, agli ultimissimi -filosofi, sociologi ed esteti. L’autore non -si mostra punto edificato di tante definizioni, confusioni, -contraddizioni. E, lo dico di passaggio, -nemmeno io per verità. Ma c’è forse da meravigliarne? -Ripeta egli il medesimo processo a qualunque -idea categorica: Dio, il tempo, lo spazio, -l’amore, il bene, il riso, il dolore, eco. Vedrà che, -ogni volta che gli uomini tentano di avvicinarsi -molto a quello che Galileo Galilei chiamava le -<i>essenze oscure</i> e si cimentano a definirle, il trovare -due soli cervelli che proprio si accordino, -è tutt’altro che facile.... -</p> - -<p> -Leone Tolstoi non ha certo paura di dire tutto -il suo pensiero: egli domanda semplicemente a -tutti gli uomini, che hanno proposito di bene, -di adoperarsi con lui <i>alla soppressione dell’arte -moderna come il male più terribile dell’umanità</i>. -</p> - -<p> -Chi crederà che questo terribile nichilista possa -ritrovare qualche cosa di lodevole nella produzione -artistica del nostro tempo? Eppure ne -trova. Anche la Pentapoli ebbe qualche giusto. -<span class="pagenum" id="Page_xxii">[xxii]</span> -Mentre partecipa al sentimento di quel povero -diavolo che venne a trovarlo a piedi da Saratov, -e poi proseguì mendicando fino a Mosca, sempre -domandando: — Perchè innalzano una statua al -signor Puschkine? — Tolstoi riconosce che parecchi -nostri artisti si elevano sulla comune viltà -professionale e lavorano al caldo raggio dell’arte -buona e vera, a cui preparano un lento ma sicuro -trionfo nell’avvenire. Fra i pittori cita Bastien -Lepage, Giulio Breton, Millet, Lhermitte, ecc.; fra -gli scrittori Dickens, Vittor Ugo, Dostojevsky. -</p> - -<p> -Ma infine che cosa domanda il Tolstoi agli artisti -e all’arte per non meritare l’universale condanna? -All’artista, oltre la potenza di creare, -egli domanda che sia <i>al livello della concezione -più alta della vita del suo tempo</i>; — all’arte, -che tutte le opere sue sieno sempre la espressione -abile e sincera di sentimenti rivolti ad -unire e a migliorare gli uomini. Egli vuole che -nella società moderna e cristiana l’arte cessi -d’essere mediatrice e mezzana del piacere; e sia -degna di chiamarsi moderna e torni ad essere -cristiana. Vuole quindi abolita quella grande eresia -che è <i>l’arte per l’arte</i>; e perchè non gli si rimproveri -di mancare di logica, vuole abolire anche -quell’altra grande eresia che è <i>la scienza per la -scienza</i>. Ogni attività umana deve essere legittima -e nobilitata da un alto fine sociale. -</p> - -<p> -Questa la sostanza e il fine del libro che Leone -Tolstoi dice di avere meditato e lavorato per -quindici anni. Un libro serio e sintomatico al -più alto grado, e che, piaccia o non piaccia, si -impone all’esame. Ma avendo io avuto appena il -<span class="pagenum" id="Page_xxiii">[xxiii]</span> -tempo di riassumerlo, sono obbligato a rimettere -l’esame a miglior tempo, se non dispiacerà -ai lettori della <i>Nuova Antologia</i>. E mi lusingo -che non tornerà inopportuno un confronto tra -quello che afferma oggi il Tolstoi con le idee che -furono espresse sullo stesso argomento, circa settant’anni -fa, da un grande italiano, Alessandro -Manzoni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xxiv">[xxiv]</span> -</p> - -<h3>II. -<span class="smaller">Manzoni e Tolstoi nell’idea morale dell’arte.</span></h3> - -<p> -L’unione di questi due nomi, che, a primo -tratto, può parere arbitraria e anche bizzarra, -ha invece, io credo, la sua ragion d’essere in paralleli -curiosi e in analogie profonde. I due uomini -stanno veramente a così gran distanza l’uno -dall’altro e tanto si diversificano in molti aspetti -della vita reale e spirituale, da formare un vero -contrapposto. Eppure tra il latino e lo slavo, tra -il solitario di Brusuglio e il romito di Isnaia-Poljana, -corrono, a guardarli attento, come dei cenni -di intelligenza e di consenso; e in certi momenti -direste che le due grandi figure (sempre così diverse -di tipo e di contegno) si avvicinino e si -tendano la mano. Si tratta insomma di una di -quelle somiglianze, che è facile esagerare trascorrendo -nell’assurdo e nel ridicolo, ma che non -sono per questo meno vere; e che anzi sono, per -quello stesso pericolo, tanto più degne d’essere -studiate. -</p> - -<p> -Basterebbe, a convincersene, considerare la risoluta -franchezza con la quale tanto il Manzoni -<span class="pagenum" id="Page_xxv">[xxv]</span> -che il Tolstoi mutarono completamente d’avviso -intorno alla loro vita e alle loro dottrine, ogni -volta che vi furono indotti o dal sentimento o -dalla ragione, e nessuno dei due mostrò di badare -agli effetti pratici e personali del proprio -mutamento. -</p> - -<p> -Il Manzoni si mutò di incredulo in cattolico -fervente, di classico in romantico indipendente. -Poco sappiamo in particolare della sua conversione -religiosa; e ignoriamo se e come affrontasse -fiere battaglie di spirito o andasse incontro -per essa a rinuncie gravi; ma che non fosse -uomo da sbigottirsene potremo, io credo, argomentarlo -con bastante sicurezza anche osservando -il modo con cui egli accettò tutte le conseguenze -della sua conversione letteraria. Quando, -in appresso, ebbe raggiunta la sua grande fama -coi <i>Promessi Sposi</i> e fu questione per lui ben -più seria che di sconfessare canoni pseudo-aristotelici -e ripudiare poemetti giovanili (per quanto -questi ultimi a lui fossero caramente diletti nel -ricordo delle prime vittorie), noi troviamo sempre -lo stesso uomo risoluto e tranquillo nel seguire -i precetti della propria ragione. Censore -infaticabile di sè stesso, egli da prima si convince -d’avere, scrivendo il romanzo, errato nel -criterio della lingua; e subito mette mano a rifare -il romanzo e a professare la sua nuova dottrina -della lingua. Si pone quindi ad esaminare -il romanzo storico; e rinvenuto in quella mescolanza -di invenzione e di verità un principio dissolvente -e un motivo di biasimo, non esita a prendere -il suo partito e pronuncia una condanna -<span class="pagenum" id="Page_xxvi">[xxvi]</span> -che ferisce in pieno petto il più insigne documento -della sua anima d’artista, la parte più -preziosa del suo viatico verso la posterità e la -gloria. -</p> - -<p> -Un biografo di Manzoni ci ha lasciato un toccante -ricordo dell’ultimo tempo della sua vita. -Il venerando uomo, avvertiti gli effetti disastrosi -che la tarda età andava producendo nelle sue facoltà -percettive, volle riassumerli in questo distico: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Bocca, naso, occhi, orecchi e, ahimè!, pensiero,</p> -<p class="i01">Non ho più nulla che mi dica il vero.</p> -</div></div> - -<p> -Un ricordo toccante ho detto; e avrei anche -potuto dirlo ricordo lugubre, quasi tragico. Non -è forse a noi argomento d’infinita pietà questo -sorprendere un uomo, che per tutta una lunga -esistenza aveva saputo scrutare con sì forte acume -i segreti dello spirito e che aveva osservato con -penetrazione così sottile la grande scena dal -mondo, sorprenderlo, dico, mentre egli assiste al -tramontare, allo spegnersi della sua intellettualità, -rimanendogliene però sempre abbastanza per -avvertire il fatto, descriverlo e quasi scherzarvi -sopra con rassegnazione malinconica? -</p> - -<p> -Eppure io mi compiaccio molto che quell’umile -documento dello spirito senile di Alessandro Manzoni -non sia rimasto sconosciuto. Mi pare che -quei due versi non suonino male nella pia sera -della sua grande giornata; poichè ce lo presentano -fino all’ultimo quale egli fu veramente in -tutta la vita: osservatore rigido e vigilante d’ogni -<span class="pagenum" id="Page_xxvii">[xxvii]</span> -suo atto e pronto sempre a giudicare sè -stesso con una illimitata e quasi eroica sincerità. -</p> - -<p> -Non c’è bisogno di un lungo esame per vedere -la grande somiglianza che, sotto questo -aspetto, ha con la vita del Manzoni quella di -Leone Tolstoi. Anche s’egli non si fosse incaricato -d’informarcene distesamente in un libro -basterebbe confrontare i suoi primi romanzi con -la <i>Sonata a Kreuzer</i>; e pensare come viveva -quarant’anni fa e come vive oggi lo scrittore -moscovita, per misurare d’un tratto la immensa -trasformazione avvenuta in lui e da lui voluta. -</p> - -<p> -Al Manzoni come al Tolstoi vennero mosse le -facili accuse di incoerenza. Ma chi potrebbe (e -questo è l’essenziale) accusarli di bassi calcoli o -di leggerezza? E che è mai il passare e il succedersi -di opinioni nel cervello di singoli uomini, -di fronte alla non mai terminata conquista -del vero e del bene? Noi saremmo ancora -nel più fitto dell’ignoranza e nella ferocia primitiva, -se gli uomini migliori, a un certo momento -della loro vita, non avessero cambiato di -idee e di propositi. Una cosa certo dispiace; ed è -vedere tanti sciocchi, tanti furbi e tanti farabutti -ripararsi dietro quei nobili esempi. Ma v’è anche -modo di consolarsi pensando che, fatti i conti, -ogni uomo rimane poi sempre col proprio valore! -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -È evidente che Manzoni e Tolstoi si assomigliano -nell’avere delle lettere, e dell’arte in genere, -un concetto alto e austero e nell’attribuire -<span class="pagenum" id="Page_xxviii">[xxviii]</span> -ad essa un grande ufficio educativo e sociale. Il -Manzoni spiegò per tempo la sua bandiera. “Tutto -ciò che ha relazione con l’arte della parola, e coi -diversi modi d’influire sulle idee e sugli atti degli -uomini, è legato di sua natura a oggetti gravissimi„<a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>. -</p> - -<p> -Veramente questa, a quel tempo, era una massima -comune. L’Alfieri e il Parini avevano infuso -nelle lettere un forte spirito di educazione -morale e civile; il Foscolo dalla cattedra di Pavia -aveva parlato un linguaggio somigliante. Se -vi erano dissensi, questi potevano toccar solo il -modo di intendere e di applicare la massima. Gli -stessi difensori dell’uso della mitologia pagana, -con a capo Vincenzo Monti, adducevano le alte -moralità rinchiuse nei vecchi miti e rese più insinuanti -attraverso i veli della finzione poetica. -Questo, su per giù, era anche il sentimento di -Giacomo Leopardi, confidato a parecchi dei suoi -canti ed espresso di frequente nei <i>Dialoghi</i>, nei -<i>Pensieri</i>, nell’<i>Epistolario</i> e dovunque egli insiste -sulla necessità di certe umane illusioni. Chi allora -avesse affermato il contrario, non avrebbe -potuto difendersi dalla taccia di pazzo o almeno -di stravagante. -</p> - -<p> -Ma il Manzoni mirava a un effetto più esteso, -movendo da una idea più fondamentale. Egli voleva -far trionfare un principio che cominciava -già ad essere accetto ai giovani; un principio, -che fuori d’Italia scrittori di grande autorità, -come la Staël, i fratelli Schegel, il Chateaubriand, -<span class="pagenum" id="Page_xxix">[xxix]</span> -avevano già gridato alto, e che in Italia parecchi -valorosi amici suoi, come l’Hermes Visconti, -il Berchet, il Pellico, cominciavano ad accogliere -e a divulgare. Ad Alessandro Manzoni dispiaceva -che questo principio andasse sotto il nome -di Romanticismo, parola, a suo gusto, antipatica -e piena di equivoci. A ogni modo, il romanticismo -esprimeva per lui un movimento serio e salutare, -a patto che si dissipassero le fantasie -paurose e bizzarre di cui l’avevano circondato, -e cessassero d’essere materia sua costante certi -vani pettegolezzi di scuola; a patto infine che la -disputa non si fermasse alle tre unità classiche -e alla mitologia, anzi non si fermasse alla pura -forma letteraria. -</p> - -<p> -Discorrendone col marchese Cesare D’Azeglio -nel 1823, il Manzoni esprime tutta la sua viva -compiacenza perchè le nuove idee si diffondevano -non solo ai diversi modi di poesia, ma occupavano -di mano in mano <i>tutte le teorie dell’estetica</i><a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>. -Era dunque un pieno e universale rinnovamento -dell’arte quello che egli aveva concepito e domandava -e aspettava, come la unica razionale -conseguenza del moto romantico. -</p> - -<p> -Gli intendimenti del Manzoni appaiono con forma -anche più viva dalle lettere che egli scrisse -al Fauriel tra il 1807 e il 1823, in quello che fu -veramente il periodo della sua grande creazione -artistica, perchè vi compose gli Inni sacri, le Tragedie, -il Romanzo; e perchè è anche rinchiusa -in esso la sua conversione religiosa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xxx">[xxx]</span> -</p> - -<p> -Montesquieu aveva scritto: “Se non fossi cristiano, -vorrei essere stoico„. Manzoni dopo aver -professato una specie di stoicismo moderno col -Fauriel, con Giorgio Cabanis e con madame Condorcet, -volle, prima d’uscire dalla giovinezza, -rendersi cristiano. Ebbe per catechista l’abate -Degola, che a Roma, non a torto, avevano in -opinione di giansenista; ed ebbe per compagna, -forse per ispiratrice di conversione, la moglie -Enrichetta Blondel, che era nata e cresciuta -nella fiera dogmatica di Calvino. -</p> - -<p> -Per quanto la tradizionale bonomia lombarda -e la vivacità ironica e l’indole critica dell’ingegno -dovessero temperare in lui tutta quella austerità -religiosa, è fuor di dubbio che essa sempre -lo signoreggiò e lo diresse nella vita: e quindi -anche nell’arte. A tacere degl’Inni sacri, che si -vollero considerare quasi un corollario immediato -della sua conversione, in ogni componimento -a cui il Manzoni volge l’animo è impossibile -non riconoscere subito il preconcetto di -un’alta finalità etica e religiosa. Anche quando -non teorizza su questo punto, lo dà per supposto. -Ha egli bisogno un galantuomo di professare -ogni momento la sua onestà? E uno scrittore -deve essere galantuomo due volte: come -uomo e come scrittore. Inseparabili quindi nella -scelta di un soggetto le sue qualità prettamente -artistiche dalla dignità e dalla utilità spirituale. -L’argomento d’una tragedia non è buono solo -perchè gli dà materia a vestire di bei versi e a -mettere sulla scena un contrasto di caratteri e -di passioni commoventi. Questo potè bastare, -<span class="pagenum" id="Page_xxxi">[xxxi]</span> -forse, a Guglielmo Shakespeare; a Manzoni non -bastò. Vedete per che motivi lo fermano e lo innamorano, -fra tante, le figure del Carmagnola e -dell’Adelchi. Egli ha prima scoperti e studiati -tutti gli elementi che abbisognano per far sì che -splenda intorno a quelle due figure una grande -moralità storica, civile e patriottica, che il poeta -esprimerà poi liricamente nelle strofe del Coro. -E quando la voce del Coro tacerà e il nodo tragico -sarà sciolto, il poeta muterassi in narratore -e continuerà ad illustrare e a diffondere quella -moralità con altra forma e altri argomenti. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -E il Manzoni va anche più oltre. Non si contenta -di questa, che potremmo chiamare una -buona fratellanza del principio estetico col principio -etico. Egli spinge questa fratellanza agli -ultimi limiti di una perfetta intimità; anzi, a -parlar più preciso, non dubita di condizionare -e sottomettere il primo al secondo. Tra le sue -mani una questione letteraria si riduce sempre -ai minimi termini di un vero caso di coscienza. — Perchè -debbono i poeti proscrivere l’uso della -mitologia pagana? I perchè sono molti e il Manzoni -non tralascia di enumerarli, deducendoli da -quelli che egli crede i buoni canoni della poetica -moderna. Poi soggiunge, scrivendone al D’Azeglio: -“Ma la ragione, per la quale io credo detestabile -l’uso della mitologia, e utile quel sistema -che tende ad escluderla, non la direi certamente -<span class="pagenum" id="Page_xxxii">[xxxii]</span> -a chiunque, per non provocare delle risa.... -Tale ragione per me è, <i>che l’uso della favola -è idolatria</i><a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>„. E passa a dimostrarlo. Lo stesso -accade nel giudizio che egli reca sul romanzo -storico. Sotto quell’acervo mirabilmente ingegnoso -e sottile di osservazioni e di esempi onde sono -formate le due parti del <i>Discorso</i>, che cosa troviamo -in sostanza? Che, stando al convincimento -del Manzoni, l’invenzione e la storia, con cui si -vuol comporre e fondere il romanzo, riescono a -formare un’unità solo “verbale e apparente„, -mentre ben diversa era la promessa fatta al lettore; -onde il suo spirito s’inquieta e la sua mente -è tratta in inganno<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>. E non bisogna mai ingannare -nessuno! Eccoci dunque a un altro caso di -coscienza e a un altro precetto del Decalogo. -</p> - -<p> -Che nel sottomettere le invenzioni della letteratura -e dell’arte in genere alle strette discipline -di un principio morale e religioso, il pensiero del -Manzoni e quello del Tolstoi s’incontrino e sostanzialmente -si identifichino, mi pare cosa tanto -chiara da non avere bisogno di altra dimostrazione. -Chi lo credesse necessario, potrebbe con -facilità mettere a confronto ragionamenti e sentenze -tratte dall’uno e dall’altro. Ma ciò che meglio -persuade è il considerare, in complesso, le -loro fisonomie di scrittori e cogliere, per così -dire, il sentimento profondo e continuo da cui -quelle loro fisonomie sono animate. Inutile quasi -aggiungere che, parlando del Tolstoi, io intendo -<span class="pagenum" id="Page_xxxiii">[xxxiii]</span> -specialmente alludere ai suoi ultimi libri; e che -affermando la loro somigliante orientazione nel -mondo dell’arte, non dimentico le molte dissomiglianze -d’indole e di idee, massime religiose -e sociali, che intercedono fra i due. -</p> - -<p> -E anche ai tempi diversi bisogna guardare. -Quando il Manzoni scriveva e polemizzava intorno -all’ufficio delle lettere, certe teorie o non -erano nate o non avevano ancora autorità e seguito; -onde non ebbe bisogno di scaldarsi e d’inveire -(se pur l’animo suo l’avesse comportato) -contro dei nemici lontani e ancora invisibili. Il -Tolstoi invece, arrivato quando, dalla letteratura -del Trenta in poi, tanti cattivi germi avevano -avuto campo di svilupparsi, trovò tutta l’Europa -già inondata dai peggiori prodotti dell’arte francese -mercantile e pornografica; e sentì gridare sui -tetti le più strambe teorie e celebrare per grandi -e per sommi certi poeti, romanzieri, autori drammatici -e musicisti, che a lui parevano la negazione -dell’arte seria, sana e benefica. Aggiungansi -la sua originale professione di mistico, il -suo fervore d’apostolo, i suoi istinti di lottatore -agguerrito. Così il suo ultimo libro sull’arte rimarrà -meglio spiegato; e meglio sarà inteso il -modo con cui ha posto certe questioni, la preferenza -che ha dato ad alcune di esse, le grandi -verità che ha saputo dire, le esagerazioni e le -violenze da cui non ha potuto astenersi. -</p> - -<p> -E sopratutto non dobbiamo mai scordarci che -Leone Tolstoi è uno slavo; anzi che egli, come -uomo e come scrittore, è uno degli spiriti meglio -rappresentativi di ciò che la razza slava può -<span class="pagenum" id="Page_xxxiv">[xxxiv]</span> -avere di conforme e disforme da noi. <i>Quanto a -me</i> (scriveva di lui lo Zola), <i>col mio cervello latino, -non posso comprendere quelle speculazioni -metafisiche.</i> Ora se tale incomunicabilità dell’ingegno -latino e dell’ingegno slavo, affermata in -senso così assoluto, è una esagerazione, non può -negarsi nemmeno che tal volta dinanzi ai giudizi -e ai sentimenti e alle configurazioni fantastiche di -quei bravi iperborei, noi ci sentiamo attratti insieme -e respinti, come dinanzi a delle grandi -porte, socchiuse ma impenetrabili. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Quando vediamo che due forti intelletti si accordano -sovra una tesi d’importanza capitale, -collegata a un sistema generale di speculazioni, -noi possiamo indurne con molta probabilità che -la loro concordanza dovrà, più o meno, estendersi -a tutto il sistema. -</p> - -<p> -E questo parmi il caso di Manzoni e di Tolstoi -nella tesi dell’amore, quale argomento di -rappresentazioni artistiche. Quando il Bonghi, -commemorando il Manzoni alla Biblioteca di -Brera, ebbe fatto conoscere alcuni passi inediti -tolti dal manoscritto dei <i>Promessi Sposi</i>, ove l’autore -espone così argutamente le sue idee in proposito, -lo stupore fu grande e i pareri molti; -ma l’idea era troppo chiaramente espressa per -ammettere dubbi e interpretazioni diverse. Confessa -il Manzoni che nella prima formazione del -suo romanzo abbondavano le vive descrizioni di -<span class="pagenum" id="Page_xxxv">[xxxv]</span> -scene d’amore fra i due promessi, e che anzi n’erano -“la parte più studiata„. Ma nel trascriverlo -e nel rifarlo, egli si decise ad escludere tutto ciò, -riducendo il racconto dell’amore di Renzo e Lucia -all’attuale sobrietà e freddezza e castità di -forme, che parve a molti eccessiva. Il Settembrini, -infatti, domandava stizzito di che colore -fossero gli occhi di Lucia. E se tanta era la ritenutezza -del romanziere nel descrivere un amore -“che doveva essere comandato e chiamarsi santo„, -immaginarsi tutte le sue cautele a proposito -della tresca fra Egidio e la Monaca! Per verità, -quella figura di Geltrude, così bella, così -misteriosa, così degna di tanta pietà anche nella -colpa, deve avere lungamente, pericolosamente -assediata e quasi sedotta la fantasia dell’autore. -Lo si capisce dalla pagina calda e quasi fremente -con cui ce la descrive al suo primo entrare nel -romanzo, dietro la ferriata del parlatorio. Dunque -in guardia, don Alessandro! E nel primo e -anche nel secondo manoscritto del romanzo (quello -che si conserva alla Braidense) fu levata via con -mano rigorosa ogni descrizione che potesse contenere -il più piccolo allettamento erotico, salvo, -forse, la descrizione della sfiorita ma sempre attraente -bellezza della suora; e tutto il seguito -della sacrilega avventura tra essa e il libertino, -venne troncata di botto con la celebre frase: “la -sventurata rispose„. -</p> - -<p> -Di questo suo inesorabile procedere il Manzoni -espone molto nettamente il motivo. “Io -sono di quelli che dicono che non si deve scrivere -d’amore <i>in modo da far consentire l’animo -<span class="pagenum" id="Page_xxxvi">[xxxvi]</span> -di chi legge a questa passione</i>.... Concludo che -l’amore è necessario a questo mondo; ma ve n’ha -quanto basta e non fa mestieri che altri si dia -la briga di coltivarlo; e che col coltivarlo non -si fa altro che farlo nascere dove non fa bisogno. -Vi hanno altri sentimenti dei quali il mondo -ha bisogno e che uno scrittore, secondo le sue -forze, può diffondere un po’ più negli animi,... -ma dell’amore ve n’ha, facendo un calcolo moderato, -seicento volte più di quello che sia necessario -alla conservazione della nostra riverita specie. -Io stimo dunque imprudente andarlo fomentando -cogli scritti; e ne son tanto persuaso che -se un bel giorno, per prodigio, mi venissero inspirate -le pagine più eloquenti d’amore che un -uomo abbia mai scritte, non piglierei la penna -per metterne una linea sulla carta, tanto son -certo che mi pentirei„. -</p> - -<p> -Antonio Fogazzaro osserva a ragione<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a> che, con -tale sentimento Alessandro Manzoni non avrebbe -voluto essere l’autore del quinto Canto dell’<i>Inferno</i>; -nè forse (aggiungo io) aver dipinti gli -occhi della Madonna di San Sisto. -</p> - -<p> -Quale sia la metafisica attualmente preferita -da Leone Tolstoi intorno all’amore, io non starò -qui ad esporre; nè indagherò come egli intenda ed -applichi un famoso passo del Vangelo di san Matteo, -che egli ha messo in fronte al suo ultimo -romanzo. E fuori di dubbio che egli professa, in -fatto d’amore, una opinione di pessimismo che -<span class="pagenum" id="Page_xxxvii">[xxxvii]</span> -può ben dirsi ultra-schopenauriano. Nè certo le -conseguenze lo sbigottiscono. Quando il protagonista -del tristissimo racconto <i>La sonata a -Kreuzer</i> è arrivato a un certo punto nello svolgimento -della teoria tolstoiana sulle relazioni -sessuali fra i coniugi, il suo interlocutore si crede -in dovere di interromperlo: — Ma voi così spegnerete -il genere umano! — E l’altro risponde -senza scomporsi: — E che bisogno c’è che il genere -umano continui? — Il Manzoni, che ammette -invece essere <i>l’amore necessario a questo -mondo</i>, pure pensando che ce ne sia tanto più -del bisogno, è dunque un moderato e quasi un -timido nella sua dottrina, a petto del romanziere -moscovita. Ma l’importante da notare qui è questo: -che i due consentono perfettamente nell’idea -di proscrivere dall’opera d’arte ogni rappresentazione -d’amore che “faccia consentire l’animo -a questa passione„. -</p> - -<p> -Il Manzoni è convinto che il peccato d’amore -(per un carattere tutto suo particolare collegato -alle condizioni della nostra sensibilità) tragga un -grande impulso dalla viva evocazione, in genere, -delle immagini amorose; quindi o le esclude del -tutto, applicando il <i>nec nominetur</i> di san Paolo, -o le vuol ridotte a proporzioni minime e a forme -castigatissime. Il Tolstoi, logico anch’egli, va ben -più oltre; e vagheggia e invoca una letteratura -la quale includa bensì l’amore, ma solo per insinuare -contro di lui il disgusto e l’abborrimento -degli uomini. Per questo, fra i romanzieri francesi -contemporanei, Tolstoi salva e cuopre della -sua simpatia il Guy de Maupassant. Ed è curioso -<span class="pagenum" id="Page_xxxviii">[xxxviii]</span> -vedere come lo giudica. Anch’egli il povero -autore di <i>Bel-Ami</i>, come Dumas, come Zola e -tutti gli altri, è inquinato di erotomania dai capelli -alla punta dei piedi; ma dal fondo stesso -del proprio abisso egli ha saputo trarre un principio -di salvezza. “Non havvi forse uno scrittore -che sia stato così sinceramente persuaso -come Maupassant, che tutta la felicità, che persino -il senso della vita risiede nella donna, nell’amore, -e che abbia descritto con tanta forza di -passione, la donna e il suo amore sotto tutti gli -aspetti. E non vi fu mai, forse, uno scrittore -che abbia mostrato, con una chiarezza e una -precisione incomparabili, tutti i lati umili di questo -fenomeno che gli sembrava il mezzo più elevato -per ottenere la maggior felicità possibile -della vita. Quanto più egli ne approfondiva lo -studio, tanto più questo fenomeno si spogliava -di ogni velo ai suoi occhi e non ne rimanevano -più che le conseguenze terribili„. È accaduto insomma -a Guy de Maupassant come al profeta -Balaam; ma in senso inverso: “Egli voleva esaltare -l’amore, ma quanto più lo conobbe, tanto -più lo maledì„<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>. E da tutta l’opera sua pare -che prorompa l’amara imprecazione di quell’altro -grande lussurioso che fu Alfredo De Musset: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Amour, fléau du monde, execrable folie,</p> -<p class="i01">Toi qu’un lien si frêle à la volupté lie,</p> -<p class="i01">Quand par tant d’autres nœuds tu tiens à la douleur!...<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a></p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_xxxix">[xxxix]</span> -</p> - -<p> -Contro dunque le stesse sue intenzioni, il Maupassant -c’insegna co’ suoi libri a fuggire le donne -e a detestare il sentimento d’amore che vorrebbero -inspirarci. E questo sarà notato a grande -merito suo, nella giornata del giudizio finale! -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -In un altro punto i due scrittori s’incontrano; -ed è il valore relativo e subordinato che essi -dànno, nell’opere d’arte, all’elemento della bellezza. -</p> - -<p> -È degno di nota che Manzoni non pensa neppure -a nominarla quando esprime le qualità capitali -che dee avere un lavoro artistico, perchè -corrisponda al suo debito ufficio. Vuole che abbia -“il vero per soggetto, l’utile per fine, l’insinuante -per mezzo„. Sembra indubitato che a -quella virtù d’<i>insinuarsi</i> negli animi, debba concorrere -la bellezza; ma non è detto in quale misura; -e appare escluso, anche per questa significante -preterizione, che essa vi domini sovrana. -</p> - -<p> -Quanto al Tolstoi, abbiamo visto nell’articolo -precedente che, per lui, la grande eresia estetica -consiste appunto in questo dominio; ossia nell’aver -posto come fine supremo dell’opera d’arte -la contemplazione dilettosa del bello. Tutti i traviamenti -e tutte le corruttele sono derivate da -questa fonte. La civiltà del genere umano, che -nella letteratura e nella cultura artistica avrebbe -dovuto trovare un sì potente aiuto, vi ha invece -trovato un inciampo e un impulso funesto. I -<span class="pagenum" id="Page_xl">[xl]</span> -Greci diedero il cattivo esempio, i Latini lo seguirono, -il Rinascimento italiano ne rimase tutto -inquinato; e oggi la società d’Europa e d’America -vede tutti i suoi vizi più abominevoli fomentati, -abbelliti e quasi deificati nei canti dei -poeti, nelle descrizioni dei novellieri, nei quadri -e nelle statue, nei drammi, nelle commedie, nelle -opere in musica. E quale meraviglia? Il piacere -ha una logica inesorabile; e per quanto sieno -scelte, peregrine e delicate le sue prime forme, -una volta che esso è posto nelle cose della vita -come fine, con la forza di quella logica esso tirerà -a sè i sensi dell’uomo giù per tutti i gradi -della cecità e del peccato. -</p> - -<p> -E non sperate di mitigare la condanna del -Tolstoi, parlandogli di una categoria di bellezza -artistica superiore, dalla quale non dovrebbero -piovere che influssi salutari, ispirazioni nobili, affetti -casti. Egli respinge ogni distinzione che -possa aver l’aria di una concessione, perchè pensa -che il male risiede nella falsità del principio estetico. -Quindi una grande solidarietà di colpa involge -nel suo giudizio opere e autori di epoche -lontane e di culture diverse; nè troppo noi dobbiamo -stupirci quando lo vediamo comprendere -nella sua fiera condanna, parziale o totale, artisti -grandissimi e di genio austero, non salvando -nemmeno Dante, Michelangelo, Beethoven.... Che -ne sappiamo noi? Quel <i>San Giovannino</i> di fra’ -Bartolomeo della Porta, che, stando al Vasari, -i frati del convento di San Marco dovettero levar -via dall’altare perchè induceva in tentazione le -donne di Firenze, forse non era che un discendente -<span class="pagenum" id="Page_xli">[xli]</span> -legittimo, in linea d’arte, da Giotto e da -Taddeo Gaddi, che troppo avevano cercata, per -sè medesima, la bellezza della figura umana; -forse le rime licenziose del Parny e del Casti -non furono altro che una lontana ma naturale -derivazione dell’“amoroso foco„ che arse nella -lirica dei castelli di Provenza e del Trecento italiano.... -Io ho paura che Leone Tolstoi sia loico -come il diavolo. -</p> - -<p> -Ma insomma che vuole egli? Che dobbiamo -fare? Dovremo noi, per contentare questo terribile -russo, ritornare le arti al mistero del medio -evo e alle iconi della Chiesa moscovita? -</p> - -<p> -Questo terribile russo, per verità, non bandisce -la bellezza dall’opera d’arte. L’ama invece e la -vuole. Solamente egli chiede che essa non venga -più considerata come una suprema entità e fine -a sè stessa, secondo che pensano gli esteti contemporanei, -i quali ne hanno fatto una idea <i>idolatra</i>, -quindi inorganica e incivile. Pretende che -essa trovi la sua forza e la sua gloria in una -doverosa servitù, ossia che vada sempre subordinata -e coordinata al trionfo del bene morale. -E siccome poi Tolstoi non comprende la moralità -disgiunta dal cristianesimo, anzi non v’ha -per lui altra morale fuori della cristiana<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>, così -egli domanda che l’arte si faccia cristiana per -davvero, nella sostanza e nella forma. È innegabile -che, posto il principio, tante applicazioni e -affermazioni del Tolstoi nell’argomento perdono -molto della loro singolarità e anche della loro -<span class="pagenum" id="Page_xlii">[xlii]</span> -audacia. Potranno parere eccessive e lo sono anche, -ma non mancano di costrutto logico. -</p> - -<p> -L’arte dunque, egli dice, deve essere evangelicamente -demofila. “Il concetto cristiano consiste -nell’essere tutti gli uomini figli di Dio: deve dunque -esistere un’unione fra loro e con Dio, come -dice il Vangelo (S. Giovanni, XVII, 21). Gli è -per ciò che i sentimenti che giovano all’unione -degli uomini con Dio e fra di loro devono essere -il fondo dell’arte cristiana.... L’arte per sè stessa -ha il pregio d’unire gli uomini. Essa unisce coloro -che sono impressionati dal sentimento dell’artista, -anzitutto a questi, e poi a tutti gli uomini -che subirono la stessa impressione. L’arte -non cristiana che riunisce una sola categoria -d’uomini, la separa, per ciò stesso, da tutte le -altre; questa unione parziale produce dunque -non solo la disunione, ma anche l’animosità.... -L’arte cristiana, detta altrimenti l’arte dell’epoca -nostra, dev’esser <i>cattolica</i> nel senso proprio di -questa parola: universale, e, di conseguenza, deve -unire tutti gli uomini„. -</p> - -<p> -A questo modo un improvviso lume par che -rischiari tutto il sistema estetico di Leone Tolstoi; -e un criterio molto semplice di classificazione -e di valutazione ci soccorre nel qualificare, -alla sua maniera, le opere dell’ingegno artistico. -E così anche si spiegano certe sue esaltazioni e -certe sue condanne di autori, le quali formano -veramente la parte più inaspettata e più ostica -del suo nuovo libro. Quando egli si trova al cospetto -di un poema, di un quadro, di un dramma, -di un romanzo, prima di giudicarli ne’ loro -<span class="pagenum" id="Page_xliii">[xliii]</span> -pregi estetici, subito si domanda se l’opera corrisponda -al grave fine per cui tutte le opere dovrebbero -essere fatte; se cioè per la somma -delle idee, dei sentimenti, delle simpatie, delle -suggestioni (per dire la parola in uso) che ne -vien fuori, essa si accordi col principio cristiano, -sociale e umanitario, oppure se vi contradica; -in altri termini, usando ancora la frase del Manzoni, -se essa <i>induca</i> gli uomini a <i>consentire</i> a quel -principio oppure ad allontanarsi da esso. Con -tale pietra del paragone fra le mani, il Tolstoi -giudica, assolve e condanna senza esitare. Per -questo egli accetta e ama fra i pittori Millet, -Berton, Lhermitte, non accetta e non ama Delacroix, -Vernet, Makart e Burne Jones; accetta -e ama fra i romanzieri Victor Hugo, Dumas -padre, Dickens, Gogol, Dostojewski, Giorgio Elliot, -e perfino Guy de Maupassant; non accetta -o non ama Balzac, Zola, Flaubert, De Goncourt, -Paolo Bourget. -</p> - -<p> -In sostanza, che v’ha egli di veramente nuovo -in tutto questo? Non ha avuto forse l’arte, in -tutti i tempi di civiltà, due ben distinte categorie -di giudici, cioè fuori o dentro il principio -etico e religioso? Non ci ricordiamo più che l’idea -di Stato suggerì al divino Platone giudizi così -aspri intorno al divino Omero? Se poi ci piacciono -esempi meno lontani, non abbiamo che a -ricordarci che lo stesso metodo giudicativo fu, -<i>mutatis mutandis</i>, già adottato dal Bousset, dall’Arnaud, -dal Pascal e da tutti gli scrittori appartenenti, -in Francia e fuori, a quel periodo -che fu detto del rigore giansenista, e che alle -<span class="pagenum" id="Page_xliv">[xliv]</span> -manifestazioni dell’arte faceva un viso così diffidente -e così austero. Di quel rigore giansenista -il nostro Manzoni, il buon allievo dell’abate Degola, -fu, io credo, artisticamente parlando, un -mitigato ma logico seguitatore; e oggi, nella massima -fondamentale, lo troviamo d’accordo con -Leone Tolstoi, il quale, alla sua volta, ci fa -tornare con la mente alle idee di Gian Giacomo -Rousseau. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Ma se il libro di Tolstoi, a guardarlo nella -sua essenza, è tutt’altro che un seguito di affermazioni -strambe e di teorie incoerenti e barbariche, -come a qualche giornalista piacque, con la -solita autorità, di definirlo, questo non vuole già -dire che esso risolva il problema in modo del -tutto soddisfacente. Dirò qui molto brevemente -la mia opinione. Questa dell’ufficio e del fine -dell’arte, è questione che troppo agevolmente si -presta alle esagerazioni ed agli equivoci; troppo -di frequente si mescolano ad essa elementi eterogenei, -e abiti e gusti viziosi, e simpatie e antipatie -interessate. Aggiungete che i criteri teologici, -ossia quelli che concernono i fini delle -cose, sono sempre difficilissimi ad essere adoperati -con accorgimento e con perfetta misura. -</p> - -<p> -E una mancanza appunto di misura io veggo -nella dottrina del Tolstoi, come in quella del -Manzoni, come in tutti coloro che dinanzi a -ogni nuova creazione di poeta e d’altro artista, -<span class="pagenum" id="Page_xlv">[xlv]</span> -piglino subito un atteggiamento da censore di -classe e le domandano: — Ohe cosa provi tu? -Che effetto produci tu tra gli uomini? Sei tu -venuto per accrescere o per diminuire la dose -della loro moralità? — Questa casuistica trita -e minuta, tirata ogni momento nel campo dell’arte, -a me è parsa sempre uggiosa e incomoda -come tutto quello che è fuori di posto. E penso -che la risposta migliore sarebbe sempre quella -della fioraia di Corinto allo stoico indiscreto: — I -fiori sono belli e odorano. -</p> - -<p> -L’antico buon senso dei popoli civili ha sempre -distinto due categorie di atti umani: quelli -obbligatori e quelli leciti. A questi secondi non -ha fatto mai torto l’essere niente più che dilettevoli; -e non si è mai preteso di dedurre per -questo che fine ultimo o massimo della vita fosse -il piacere. Ora, se vi ha gente che in questa regione -del puro dilettevole abbia diritto di muoversi -e anche di vagabondare con una certa -onesta libertà, senza troppo inquietarsi d’altro, -io dico che sono i poeti e gli artisti. -</p> - -<p> -Affermare che il piacere soggettivo generato -dalla bellezza sia fine d’un’opera artistica, è proprio -una così grande eresia? Il Tolstoi non ne -dubita. — Tanto varrebbe, egli dice, affermare -che fine dell’alimentazione sia il piacere del palato. — E -perchè no? domando io. Non sarà il -fine unico e assoluto, ma che sia anch’esso un -fine ragionevole nessuno potrebbe negarlo; tanto -è vero che un celebre fisiologo disse argutamente -potersi definire l’uomo un animale che -mangia anche senza lo stimolo della fame. E nemmeno -<span class="pagenum" id="Page_xlvi">[xlvi]</span> -si dovrebbe negare che la bellezza possa -contenere, in sè stessa e per sè stessa, una salutare -potenza di elevamento e di purificazione -umana, quando davvero un’arte “alta, gentile -e pura„ la faccia splendere dinanzi ai nostri -occhi. Onde <i>bellezza educatrice</i> non esitò a dire -Niccolò Tommaseo; e molto prima di lui Marco -Tullio potè delineare un bellissimo quadro in cui -le umane lettere, liberamente professate, conferiscono -insieme alla felicità e alla nobiltà della -vita.<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a> -</p> - -<p> -“Quando l’arte non divertirà più, essa non corromperà -più, assorbendo a questo scopo le forze -migliori....„ Questo afferma con la sua solita audacia -il Tolstoi. Ma ha egli ben pensato anche a -tutte le “migliori forze„ che l’arte perderà -quando venisse il giorno, da lui invocato, in cui -essa non fosse più nè amabile, nè divertente? -Crede egli che l’alimentazione umana si avvantaggerebbe -il giorno in cui i cibi cessassero di -essere gustosi al nostro palato? -</p> - -<p> -Però, a malgrado della nota esagerata e violenta -che vi domina, non dubito di ripetere -quello che dissi nel mio primo articolo: quest’ultimo -di Leone Tolstoi è un libro poderosamente -concepito, ricco d’accenni profondi, di -investigazioni acute e di verità utili e umanamente -accettabili anche da chi non si sente di -salire a tutte le premesse del suo spirito mistico. -Libro sopratutto opportuno oggi per noi. Poichè -è stata veramente meravigliosa la leggerezza -<span class="pagenum" id="Page_xlvii">[xlvii]</span> -con la quale molti in Italia credettero di poter -escludere dal mondo dell’arte nientemeno che -la idea morale e di poter fabbricare (in questa -vita contemporanea, ove tutto fortemente si intreccia, -si coordina e si corrisponde) per comodo -della sola arte, una specie di solitudine puerilmente -orgogliosa e vana; ed è stata quasi incredibile -la facilità con cui si lasciarono menare -dalla novissima retorichetta francese fino a parafrasare -molto seriamente le facezie di Teofilo -Gautier e a convertire in canoni d’arte i suggerimenti -mercantili di qualche romanziere molto -positivo ed esperto in calcoli editoriali. -</p> - -<p> -Pareva che questo dovesse bastare; ma ci fu -dato uno spettacolo anche più curioso. Venne -innanzi una schiera di giovani scrittori dallo -stile molto fiorito e fosforescente, dicendo: — Siamo -qua noi con la colonna di fuoco! Il vuoto -innegabile che si è fatto nell’arte per il divorzio -dalla vecchia morale e dalla vecchia fede, noi -lo riempiamo assai abbondantemente, poichè dal -grembo della nostra nuova poetica, ecco che noi -facciamo uscire la formula di una Vita e di una -Umanità superiore! — Per tal modo, noi vedemmo -nuovamente avverarsi l’antica massima -che spesso gli uomini, proprio per dove peccarono, -vengono castigati..... -</p> - -<p class="indr"> -<span class="smcap">Enrico Panzacchi.</span> -</p> - -<hr class="silver" /> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<p class="center x-large"> -CHE COSA È L’ARTE? -</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -</p> - -<h2 id="intro"><span class="smcap">Introduzione.</span></h2> -</div> - -<p> -Prendete in mano un giornale qualunque; -ci troverete senza fallo una o due colonne -dedicate al teatro e alla musica. Due volte -su tre ci troverete pure la rassegna di qualche -esposizione d’arte, la descrizione di qualche -quadro, di qualche statua, e per giunta -l’analisi dei romanzi, dei racconti, dei versi -usciti di fresco. -</p> - -<p> -Il vostro giornale, con uno zelo ammirevole -e con gran copia di particolari, vi esporrà -come questa o quest’altra attrice abbia sostenuto -la sua parte in una determinata produzione; -e così potrete comprendere di botto -anche il valore del lavoro, sia dramma, sia -commedia od opera, e l’importanza dell’esecuzione. -Sarete informati a dovere anche dei -concerti; saprete quali pezzi certi artisti abbiano -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -sonati o cantati, e in che modo. D’altro -lato in tutte le grandi città siete sicuri di -trovare, se non due o tre, almeno una esposizione -di quadri, che coi loro meriti e coi -loro difetti offrono ai critici d’arte argomento -di studi minuziosi. Quanto ai romanzi e alle -poesie, non passa giorno che non ne sbocci -una fioritura, e i giornali si credono in dovere -di presentarne un’analisi accurata ai -loro lettori. -</p> - -<p> -In Russia, dove per l’educazione del popolo, -a dir molto, si spende la centesima parte -di quello che si dovrebbe, il governo sorregge -l’arte dispensando milioni di rubli sotto forma -di sovvenzioni ai teatri, alle accademie, ai -conservatorj. In Francia l’arte costa allo Stato -venti milioni di lire; e altrettanto costerà in -Germania e in Inghilterra. -</p> - -<p> -In tutte le città grandi sorgono edifizi colossali -destinati ai musei, alle accademie, ai -conservatorj, alle sale di teatro e di concerto. -Migliaia e migliaia d’operai — carpentieri, -muratori, pittori, falegnami, tappezzieri, sarti, -parrucchieri, gioiellieri, stampatori — s’affaticano -per tutta la vita in lavori molesti per -soddisfare il pubblico assetato d’arte, talchè -si può dire, che, eccettuate le armi, nessun -altro ramo dell’operosità umana assorbisca -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -un contingente così largo della forza nazionale. -</p> - -<p> -E passi per il lavoro che si consuma a soddisfare -codeste esigenze artistiche; il peggio -si è che vi si sacrificano giornalmente innumerevoli -vite d’uomini. Si contano a centinaia -di migliaia le persone che sin dall’infanzia -non fanno se non apprendere a sgambettare -con agilità, a toccare rapidamente i -tasti d’un pianoforte o le corde d’un violino, -a riprodurre col pennello l’aspetto e il colore -del mondo sensibile, a storpiare l’ordine -naturale delle frasi, e ad accoppiare le parole -nella rima. E tutti costoro, mentre sono -di spesso onesti e di buon ingegno e naturalmente -atti a mille occupazioni utili, s’abbrutiscono -nelle angustie di quella loro professione -speciale; diventano, come si suol dire, -specialisti, cioè creature di mente ristretta, -e piene di vanità, che ignorano tutte le serie -manifestazioni della vita, e non sanno più -fare altro se non muovere con rapidità le -gambe, le dita e la lingua. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma la peggiore conseguenza della nostra -civiltà artistica non consiste in codesta depressione -della vita umana. Mi rammento -d’aver un giorno assistito alla prova d’un’opera -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -in musica, d’una di quelle opere nuove, -grossolane e volgari, che s’allestiscono a gara -su tutti i teatri d’Europa e d’America, salvo -poi a seppellirle al più presto e per sempre -nella dimenticanza più perfetta. -</p> - -<p> -Giunsi al teatro che era appena cominciato -il primo atto. Per arrivare al mio posto dovetti -passare dietro il palcoscenico. Per certi -corridoi oscuri fui introdotto dapprima in un -vano spazioso, dove si trovavano delle macchine -destinate ai cambiamenti di scena e -all’illuminazione. Colà, al buio e tra la polvere, -avvertii degli operai che lavoravano -senza posa. Uno d’essi, pallido, inselvatichito, -coperto d’una guarnacca sporca, colle mani -del pari sporche e incallite dal lavoro, evidentemente -un infelice affranto dalla stanchezza, -ringhioso e inacerbito, rampognava -irosamente (come udii passando) qualcuno -de’ suoi compagni. Poscia per una scaletta -mi si fece salire nello spazio angusto che -girava intorno alle quinte. Attraverso a un -garbuglio di corde, d’anelli, di tavole, di tende -e di tela dipinta, vidi formicolare intorno a -me delle decine, fors’anco delle centinaia -d’uomini pitturati e truccati in vesti bizzarre, -senza contar le donne, naturalmente vestite -il meno possibile. Tutta quella folla erano i -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -cantanti, i coristi, i ballerini e le ballerine, -che aspettavano d’esser chiamati. Finalmente -la mia guida mi fece traversare il palcoscenico, -e giunsi al posto riservato per me, -passando sopra un ponte di tavole gettato -sopra l’orchestra, dove osservai una grossa -schiera di sonatori seduti presso i loro strumenti, -di violinisti, di flautisti, di arpisti, di -cembalisti, e chi più n’ha più ne metta. -</p> - -<p> -Su di un palchetto situato in mezzo a loro, -tra due lampade a riflettori, con un leggìo -dinnanzi, se ne stava seduto colla sua bacchetta -in mano il direttore d’orchestra, dirigendo -non solo i sonatori, ma eziandio i -cantanti che erano sulla scena. -</p> - -<p> -E appunto sulla scena vidi un corteo d’Indiani -che avevano accompagnato una sposa. -Era un nugolo d’uomini e di donne in foggie -esotiche; ma notai pure due persone in abito -ordinario che s’arrapinavano e correvano -da una parte all’altra del palcoscenico. Uno -era il direttore della parte drammatica, vale -a dire il direttore di scena; e l’altro, il quale, -calzato di scarpette, volava qua e là con una -prestezza maravigliosa, era il direttore di -ballo. Seppi dipoi che costui in un mese guadagnava -di più che non dieci operai in un anno. -</p> - -<p> -Godesti tre direttori s’ingegnavano di ordinare -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -il buon andamento della sfilata, che, secondo -il solito, si faceva a due a due. Una -quantità di persone, recando sulle spalle delle -alabarde coperte di stagnola, si spiccava a -un tratto, faceva parecchi giri sul palcoscenico, -e si fermava di nuovo. E ce ne volle -a regolar bene la processione; la prima volta -gl’Indiani e le alabarde si mossero troppo -tardi, la seconda troppo presto, la terza partirono -al momento giusto, ma confusero le -file per istrada; un’altra volta non seppero -fermarsi al punto prefisso; e in ciascuno di -questi casi si riprendeva da capo tutta la -cerimonia. Il principio era costituito da un -recitativo, nel quale un personaggio camuffato -da turco, sgangherando la bocca in -modo singolare, cantava “Accompagno la -spo-o-sa!„ Cantava così, e gesticolava colle -braccia, naturalmente nude. Poi s’avviava la -sfilata; ma eccoti un cornetto dell’orchestra -a sgarrare una nota; e il direttore d’orchestra -a fremere come se rovinasse il mondo, -e a martellare sul leggìo colla bacchetta. S’arrestò -di nuovo ogni cosa, e il direttore volgendosi -verso i sonatori, se la pigliò col cornetto, -rimproverandolo per la nota stonata -con certe villanie come non ne usano bisticciandosi -tra di loro nemmeno i fiaccherai. E -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -si ritornò da capo: gl’Indiani e le loro alabarde -si rimisero in moto; il cantante riaprì la -bocca sbraitando “Accompagno la spo-o-sa„. -Ma questa volta le coppie procedevano troppo -serrate. -</p> - -<p> -Altri colpi di bacchetta sul leggìo, altra ripresa -della scena. Gli eroi avanzavano colle -alabarde alcuni tristi e seri in viso, altri sorridendo -e chiacchierando. Eccoli che si fermano -in cerchio, e cominciano a cantare. Ma -la bacchetta riprende a picchiare sul leggìo; -e il direttore di scena con accento disperato -e furibondo, colma d’insolenze i miseri Indiani. -</p> - -<p> -I poveracci, a quanto pareva, s’erano scordati -di alzar le braccia di tempo in tempo -in segno d’entusiasmo. “Siete infrolliti, brutte -marmotte, siete di legno, che ve ne restate -così impalati?„ E più e più volte vidi ricominciare -il corteo, intesi i colpi secchi della -bacchetta, e il torrente d’ingiurie che teneva -loro dietro, “asini, stupidi, idioti, porci,„ più -di quaranta volte questi bei titoli saranno -stati ripetuti all’indirizzo dei coristi e dei sonatori. -Costoro, depressi moralmente e fisicamente, -accettavano quegl’insulti senza la -menoma protesta. E i due direttori d’orchestra -e di scena, sapevano benissimo che quei -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -disgraziati oramai erano troppo abbrutiti per -poter far altro che soffiare in una tromba, o -camminare colle scarpette gialle e colle alabarde -di stagno; li sapevano avvezzi a una -vita comoda e larga, pronti a soffrir tutto pur -di non rinunziare ai loro agi, e perciò non -si facevano scrupolo di dar la stura alla loro -grossolanità naturale, senza dire che avevano -osservato a Vienna e a Parigi lo stesso costume, -e così s’imaginavano di seguire le -buone tradizioni dei grandi teatri. -</p> - -<p> -Sul serio non credo che al mondo si possa -trovare uno spettacolo più ripugnante. Ho veduto -parecchie volte un lavorante insultarne -un altro perchè piegava sotto il peso d’un carico, -o, durante la falciatura, il capo del villaggio -rampognare un contadino per qualche -svarione, e gli uomini così bistrattati sottomettersi -in silenzio; ma per quanto siffatte -scene mi tornassero spiacevoli, la mia ripugnanza -era attenuata dal pensiero che in quei -casi si trattava di lavori importanti e necessari, -nei quali il più piccolo fallo poteva dar -luogo a tristi conseguenze. -</p> - -<p> -Là invece, in quel teatro, che si faceva? -Per che cosa e per chi si lavorava? Capivo -perfettamente che il direttore d’orchestra non -ne poteva più, come quell’operaio che avevo -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -incontrato dietro il palcoscenico; ma a benefizio -di chi s’era egli ridotto in quello stato? -L’opera, di cui si faceva la prova, era, come -ho detto, tra le più volgari; adesso aggiungerò -che in assurdità sorpassava quel che -di peggio si può imaginare. Un re indiano -aveva il ruzzo di prender moglie; gli si conduceva -una sposa; il re si travestiva da menestrello; -la sposa s’invaghiva del menestrello, -e se ne disperava, ma poi si veniva -a scoprire che il menestrello e il re suo fidanzato -erano una persona sola; e tutti cominciavano -a delirare dalla gioia. Indiani di -codesta sorta non ve n’ebbero mai, nè ce ne -saranno mai. Ed era certo del pari che i loro -fatti e le loro parole non solo non avevan -nulla da fare coi costumi dell’India, ma nemmeno -con alcun costume d’uomini, salvo -che quelli delle opere. Infatti grazie al cielo -gli uomini reali non parlano in recitativi, nè -volendo esprimere la loro commozione, si -collocano a distanze regolari agitando le braccia -in cadenza; non camminano mai a due -a due, in babbuccie, con alabarde di stagnola, -nessuno nella vita s’adira o si dispera, ride -o piange, come si vedeva fare in quella -rappresentazione. E che nessuno mai abbia -potuto commoversi per una produzione di -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -quel genere, anche questo era fuori d’ogni -dubbio. -</p> - -<p> -Quindi era naturale chiedersi: a chi poteva -giovare tutta quella faccenda? A chi poteva -piacere? Se in quell’opera ci fosse stata per -miracolo della musica graziosa, non bastava -eseguire la musica sola, senza tutti quei vestiti -grotteschi, quelle processioni, quel dimenar -le braccia? Perchè tutti i giorni, in -tutte le città, da un capo all’altro del mondo -civile, si ripetono codeste sciocchezze? -</p> - -<p> -C’è anche il ballo, il quale non è che una -esposizione di donne seminude che eseguiscono -movimenti voluttuosi, allacciandosi in -pose sensuali, spettacolo che provoca non -altro che sensazioni di lussuria. -</p> - -<p> -Ancora una volta, chi questi divertimenti -possono interessare? Le persone colte è forza -che ne siano stomacate; l’operaio è forza che -non ne capisca nulla. Potrà compiacersene al -più qualche giovine lacchè, qualche operaio -pervertito, che abbia contratto i bisogni delle -classi superiori senza potersi sollevare al -loro buon gusto naturale. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Eppure ci si dice che tutte queste cose si -fanno a benefizio dell’arte, e che l’arte importa -moltissimo. Ma sarà vero che l’arte abbia -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -tanta importanza da richiedere siffatti sacrifizi? -Codesta questione si fa tanto più incalzante -in quanto il concetto di codesta arte, -a cui si sacrificano il lavoro di migliaia d’uomini, -migliaia di esistenze, e sopratutto l’amore -reciproco dell’umanità, va diventando -sempre più vago e indeterminato. -</p> - -<p> -Infatti i critici, ai quali si solevano appellare -gli amatori dell’arte per trovar appoggio -alle loro opinioni, in questi ultimi tempi -hanno preso a contendere così fortemente -tra di loro che, se dal dominio dell’arte escludiamo -quanto ne hanno escluso le diverse -scuole, in codesto vantato dominio non resta -pressochè più nulla. Le scuole degli artisti, -come le scuole dei teologi, s’escludono e si -rinnegano a vicenda. Studiateli e vedrete che -non fanno se non combattere le sétte rivali. -Nella poesia, ad esempio, i vecchi romantici -sconfessano i parnassiani e i decadenti; i -parnassiani sconfessano i romantici e i decadenti; -i decadenti sconfessano tutti i predecessori, -e per giunta i simbolisti; i simbolisti -sconfessano tutti i predecessori, e per -giunta i magi, e questi sconfessano semplicemente -tutti gli altri. Tra i romanzieri si -parla di naturalisti, di psicologi, di <i>naturisti</i>, -e tutti pretendono di meritar essi soli il nome -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -d’artisti. Lo stesso accade nella drammatica, -nella pittura, nella musica. Pertanto codesta -arte, che richiede tanta fatica, che abbrutisce -molte esistenze, che costringe la gente a peccare -contro l’amor del prossimo, non solo -non è cosa definita chiaramente e nettamente, -ma persino i suoi fidi, i suoi iniziati la intendono -in tante e così diverse maniere che -oramai quasi non si sa più che si voglia -dire colla parola “arte„, e in particolare, -quale sia l’arte buona, utile, preziosa, l’arte -che merita le siano offerti in omaggio tali e -tanti sacrifizi. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -</p> - -<h2 id="cap1"><span class="smcap">Capitolo Primo.</span> -<span class="smaller">Il problema dell’arte.</span></h2> -</div> - -<p> -Per produrre il menomo ballo, opera seria -o buffa, quadro, sonata o romanzo, migliaia -di persone sono costrette ad un lavoro spesso -umiliante e penoso. Il male non sarebbe tanto -grande se gli artisti compiessero essi stessi la -somma di lavoro richiesta dalle loro opere; -mentre invece occorre loro la prestazione -d’innumerevoli operai. La quale prestazione -essi ottengono in uno od altro modo, ora sotto -forma di contribuzione offerta dai ricchi, ora -di sovvenzione dello Stato; e in quest’ultimo -caso il denaro proviene dal popolo, costretto -in gran parte a privarsi del bisognevole per -pagare i balzelli, senza potere poi partecipare -ai godimenti dell’arte. Il fatto parrebbe -naturale, trattandosi d’un artista greco o romano, -oppur anche d’un artista russo della -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -prima metà del nostro secolo, quando cioè -v’erano ancora degli schiavi; poichè costoro -potevano credersi in diritto di farsi servire -dal popolo. Ma ora che tutti gli uomini hanno, -se non altro, un vago sentore dell’uguaglianza -nei diritti, non si può più ammettere che il -popolo lavori a contraggenio per vantaggio -dell’arte, se prima non si riesca a mettere -in sodo fino a qual segno l’arte sia utile e -importante, sì da compensare largamente i -mali di cui è cagione. -</p> - -<p> -Quindi in una società cultrice delle arti fa -d’uopo ricercare se si possa veramente chiamare -arte tutto ciò che si crede esser tale, -e se, giusta il presupposto che vige nella -nostra società, tutto ciò che rientra nell’arte -sia buono per questo solo fatto, e degno dei -sacrifizi che per essa si richiedono. Del resto -codesta questione deve premere anche -agli artisti, trattandosi per loro di sapere se -ciò che fanno abbia veramente tutta l’importanza -che si crede, e se non rimangono -nella falsa convinzione di lavorare utilmente -solo per i pregiudizi della chiesuola in cui -vivono, e se d’altro lato quanto prendono -agli altri per i bisogni dell’arte e della loro -vita individuale, trovi qualche compenso nel -valore dei loro prodotti. Che cos’è adunque -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -l’arte, questa entità ritenuta così preziosa e -indispensabile per il genere umano? -</p> - -<p> -“Bella domanda! L’arte è l’architettura, la -scultura, la pittura, la musica, e la poesia -in tutte le loro forme.„ -</p> - -<p> -Così risponderanno senza dubbio i profani, -gli amatori d’arte, e gli artisti stessi, tutti -ben persuasi che l’oggetto della loro risposta -sia chiarissimo e inteso da tutti a un modo. E -allora noi domanderemo; rispetto all’architettura, -ci sono o non ci sono degli edifizi, -che non contano come opere d’arte, ed altri -ancora, che con tutte le loro pretensioni artistiche, -sono brutti e sgradevoli a vedersi, -e perciò non si possono considerare come -opere artistiche? E non si può dire lo stesso -della scultura, della musica, della poesia? In -tal caso in che cosa risiede la nota caratteristica -d’un’opera d’arte? L’arte in tutte le -sue forme da una parte è limitata dall’utilità -pratica, dall’altra dal brutto, dall’incapacità -a produrre l’arte. Ma come la potremo distinguere -da questi due termini che la limitano? -Per quest’altro quesito le semplici persone -cosidette colte, e l’artista medesimo, -supposto che non sia infarinato d’estetica, -crederanno d’aver pronta la risposta, e che -sia già trovata da un pezzo, e ovvia ad -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -ognuno. “L’arte, vi diranno, è l’attività che -produce il bello„. -</p> - -<p> -Ma se l’arte, chiederete, consiste in questo, -un ballo, oppure un’operetta saranno prodotti -artistici? E le persone colte e l’artista torneranno -a rispondervi, sebbene con qualche -esitazione: “Sì, un buon ballo, una graziosa -operetta, in quanto siano una manifestazione -del bello appartengono all’arte„. -</p> - -<p> -Se vorrete poi sapere dai vostri interlocutori -in che cosa si distinguono dai loro contrari -un buon ballo, una graziosa operetta, -non troveranno facilmente la risposta. E a -chi domandasse loro, se l’opera dei disegnatori -di costumi e dei parrucchieri, così importanti -per i balli e per le operette, quella -dei sarti, dei profumieri, dei cuochi sia da -considerare come opera d’arte, probabilmente -risponderebbero di no. Ma qui s’ingannerebbero, -appunto perchè sono della gente solita, -e non specialisti, non esperti nelle questioni -estetiche. Se avessero messo il naso in tali -questioni avrebbero letto, per esempio, nell’opera -del grande Renan, <i>Marc Aurèle</i>, una -dissertazione che prova l’opera del sarto essere -un’opera d’arte, e che coloro i quali non -ritengono le acconciature femminili essere la -più alta manifestazione artistica, sono esseri -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -inintelligenti e spiriti volgari. “Quella è la -grande arte„ afferma il Renan. I vostri interlocutori -dovrebbero puranco sapere che nella -maggior parte dei moderni sistemi estetici gli -abiti, i profumi, la gastronomia sono considerate -come arti speciali. Così particolarmente -la pensa il dotto professore Kralik, -nella sua <i>Beauté Universelle, essai d’une esthétique -générale</i>; tale è il parere del Guyau nei -suoi <i>Problèmes de l’esthétique contemporaine</i>. -</p> - -<p> -“Esiste, dice il Kralik, un pentacolo delle -arti fondato sui cinque sensi dell’uomo„; e -perciò distingue le arti che si riferiscono al -gusto, all’odorato, al tatto, all’udito, alla vista. -</p> - -<p> -Della prima di codeste arti egli discorre -così: “Ci siamo troppo avvezzi a non voler -riconoscere se non per due o tre sensi il privilegio -di fornire il materiale all’arte. Ma -non si vorrà negare che, quando l’opera del -cuoco riesce a trasformare per l’uomo il cadavere -d’un animale in una fonte di svariati -piaceri, ci troviamo dinanzi a una vera produzione -estetica„. -</p> - -<p> -La stessa opinione ricorre nell’opera citata -del francese Guyau che molti tra gli scrittori -più recenti onorano d’una stima eccezionale. -Esso parla con tutta serietà del tatto, del gusto, -e dell’olfatto, come di sensi idonei a -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -somministrarci delle impressioni estetiche. -“Se il tatto, egli dice, è estraneo alla sensazione -del colore, ci fornisce in cambio una -nozione, a cui non basta l’occhio di per sè -stesso, e che non è di piccola importanza -estetica, la nozione cioè del fino, del morbido, -del liscio. La bellezza del velluto riceve la -sua impronta, oltrechè dal suo aspetto brillante, -anche dalla sua morbidezza. Nel concetto -che ci formiamo della bellezza femminile -entra come elemento essenziale anche -la finezza della pelle. Tutti probabilmente, a -pensarci alquanto, ricorderanno soddisfazioni -tali del palato da potersi chiamare veri godimenti -estetici„. E qui l’autore, in via d’esempio, -racconta d’una tazza di latte bevuta in -montagna, che gli procurò un vero godimento -estetico. -</p> - -<p> -Da tutto ciò si ricava che il concetto dell’arte -considerata come la manifestazione del -bello, non è tanto semplice quanto si crederebbe -a prima vista. Ma la gente solita o -ignora codeste questioni, o vi si ribella, e persiste -nella persuasione che tutti i problemi -concernenti l’arte si risolvano nettamente col -riconoscere che la bellezza è l’oggetto dell’arte. -</p> - -<p> -Trova cosa pienamente intelligibile e lampante, -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -che la funzione dell’arte sia quella di -manifestare la bellezza. La bellezza le pare -sufficiente a risolvere tutte le questioni relative -all’arte. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma che cos’è poi codesto bello che è oggetto -dell’arte? Come lo si può definire? In -che cosa consiste? -</p> - -<p> -Secondo il solito, quanto più le idee che -una parola ci suggerisce riescono nebulose -e confuse, la parola stessa è adoperata con -tanta maggiore sicumera, e si sostiene che -il senso ne è troppo semplice e troppo chiaro, -perchè valga la pena di determinarlo meglio. -È la solita magagna delle questioni religiose; -e si riscontra altresì in codesto concetto della -bellezza. Si crede accordato che tutti sappiano -e intendano il significato della parola <i>bellezza</i>. -Ora la verità è questa; non solo è falso che -tutti lo intendano, ma per di più, sebbene -negli ultimi centocinquant’anni (dopochè Baumgarten -ebbe fondato l’estetica nel 1750) -dal pensatori più dotti e più profondi si siano -scritti monti di libri intorno a questo argomento, -resta pur sempre insoluto il quesito -che verte intorno all’essenza del bello, e ogni -nuova trattazione d’estetica vi risponde in -modo diverso. Una delle ultime scritture lette -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -da me in proposito è un libriccino tedesco -di Giulio Mithalter, intitolato <i>l’Enigma del -bello</i>. E codesto titolo esprime egregiamente -la vera posizione del problema. Dopo che -migliaia di dotti si sono scervellati per centocinquant’anni -intorno al senso della parola -<i>bellezza</i>, codesto senso rimane sempre -enigmatico. I tedeschi lo definiscono a loro -modo in cento guise differenti. La scuola -fisiologica a cui appartengono gl’inglesi Spencer, -Grant Allen e altri, risponde a suo modo; -lo stesso vale per gli eclettici francesi, e -il Taine, e il Guyau, e i loro successori; e -tutti costoro trovano, esaminandole, insufficienti -tutte le definizioni già date dal Baumgarten, -dal Kant, dallo Schiller, dal Fichte, -dal Winckelmann, dal Lessing, dall’Hegel, -dallo Schopenauer, dall’Hartmann, dal Cousin, -e da mille altri. -</p> - -<p> -Ora, che sarà mai codesta singolare nozione -del bello, che sembra tanto ovvia a -quelli che ne parlano a caso, ma da centocinquant’anni -a questa parte è refrattaria a -tutte le definizioni; la qual cosa tuttavia non -trattiene gli estetici dal fondare su quella nozione -tutte le loro dottrine intorno all’arte? -</p> - -<p> -Nel nostro russo, la parola <i>krasota</i> (bellezza) -significa semplicemente ciò che piace -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -alla vista. E sebbene da qualche tempo ci si -parli anche in russo d’una “brutta azione„ -o d’una “bella musica,„ si offende con quelle -frasi la proprietà della nostra lingua. Un -popolano russo, ignaro delle lingue straniere, -se gli direte che un uomo, che regala -tutto il suo, ha fatto una “bella„ azione, oppure -che una certa canzone costituisce della -“bella„ musica, non vi capirà affatto. Nella -lingua russa un’azione può essere buona e -caritatevole, oppur malvagia e cattiva. La -musica può essere gradevole e buona, oppure -spiacevole e cattiva. Ma i russi non -sanno che cosa sia una “bella„ azione o -una “bella„ musica. L’aggettivo “bello„ può -solo riferirsi a un uomo, a un cavallo, a una -casa, a un luogo, a un moto. Quindi la parola -e la nozione del “buono„ per noi, in un certo -ordine di cose, implicano la nozione del -“bello„ mentre quest’ultima nozione non implica -necessariamente il concetto del “buono„. -Allorchè d’un oggetto tenuto in pregio -per la sua apparenza visibile diciamo che è -“buono,„ intendiamo dire che quest’oggetto -è “bello„: se invece lo affermiamo “bello,„ -non ne deriva di necessità che lo crediamo -“buono„. -</p> - -<p> -Nelle altre lingue d’Europa, appartenenti -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -cioè alle nazioni tra le quali prese piede la dottrina -che considera la bellezza come la cosa -essenziale in arte, le parole “beau„, “schön,„ -“beautiful,„ “bello„ ecc., pur conservando -il loro senso originario, vennero altresì a -esprimere la bontà, potendo così sostituire la -parola “buono„. Oramai in siffatte lingue -sono correnti e naturali le espressioni di questo -genere; “bell’anima„, “bel pensiero„, -“bell’azione„. Siffatte lingue sono giunte al -segno di non posseder più alcun vocabolo -proprio per designare la bellezza della forma; -quindi a quell’uopo ricorrono a combinazioni -di parole, quali sarebbero “beau de forme,„ -“beau à voir„, ecc. -</p> - -<p> -Ma, dunque, che cos’è precisamente codesta -“bellezza„, che muta senso a seconda -dei popoli e dei tempi? -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Per rispondere a questa domanda, per determinare -che cosa intendano oggidì per “bellezza„ -le nazioni Europee, dovrò addurre almeno -un piccolo saggio delle definizioni più -largamente accettate nei sistemi estetici moderni. -Ma innanzi tratto mi fa d’uopo scongiurare -il lettore di non infastidirsi troppo -della noia che risulterà dalle citazioni, e -di rassegnarsi a leggerle, o, meglio, a leggere -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -alcuno degli autori, dei quali andrò citando -i passi opportuni. Per non discorrere -che di opere semplici e spicciative, si prendano, -per esempio, il libro tedesco del Kralik, -quello inglese del Knight, o quello francese -del Lévêque. È indispensabile aver letto un -trattato d’estetica per formarsi un concetto -della divergenza d’opinioni e dell’oscurità -spaventosa tuttora dominante in questo ramo -del sapere filosofico. -</p> - -<p> -Eccovi per esempio che cosa dice l’estetico -tedesco Schasler nella prefazione della sua -celebre, voluminosa, e minuziosa opera sull’estetica: -“In nessun’altra parte del dominio -filosofico la divergenza d’idee è grande quanto -è nell’estetica. Nè in alcun’altra disciplina -filosofica si trova maggior copia di vana fraseologia, -di parole vuote di senso, o mal determinate, -un’erudizione più pedantesca, e -a un tempo più superficiale„. E in realtà basta -leggere l’opera dello Schasler medesimo -per intendere quanto sia giusta la sua osservazione. -</p> - -<p> -Sul medesimo argomento il francese Véron, -nella prefazione del suo libro notevole intorno -all’estetica, scrive: “Non c’è scienza, -la quale sia stata abbandonata alle fantasticherie -dei metafisici più dell’estetica. Da Platone -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -sino alle dottrine ufficiali dei nostri -giorni, si è fatto dell’arte non so qual miscela -di fantasie sublimate e di misteri trascendentali, -che trovano la loro suprema espressione -nel concetto assoluto del bello ideale, prototipo -immutabile e divino delle cose reali„. -</p> - -<p> -Voglia compiacersi il lettore di scorrere -le poche definizioni della bellezza, che seguono, -e sono tolte solo agli estetici di gran -fama; e potrà giudicare da sè quanto sia giustificata -questa critica del Véron. -</p> - -<p> -Non citerò, come per lo più fanno tutti, le -definizioni del bello attribuite agli autori antichi, -Socrate, Platone, Aristotele, e gli altri -sino a Plotino, poichè realmente, come dirò -più tardi, gli antichi avevano dell’arte un concetto -affatto diverso da quello che è il fondamento -e l’oggetto dell’estetica moderna. -Ravvicinando alla nostra presente concezione -del bello i giudizi che essi ne facevano, -s’attribuisce alle loro parole un significato -del tutto alieno da esse. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -</p> - -<h2 id="cap2"><span class="smcap">Capitolo II.</span> -<span class="smaller">La bellezza.</span></h2> -</div> - -<p> -Cominciamo dal fondatore dell’estetica, da -Baumgarten (1714-1762). -</p> - -<p> -A suo parere, la conoscenza logica ha per -oggetto la <i>verità</i>, e la conoscenza estetica, -vale a dire che tocca i sensi, ha per oggetto -la <i>bellezza</i>. La <i>bellezza</i> è il perfetto, o l’assoluto -riconosciuto dai sensi; la <i>verità</i> è il -perfetto percepito dalla ragione. E la <i>bontà</i> dal -suo canto è il perfetto raggiunto dalla volontà -morale. -</p> - -<p> -Il Baumgarten definisce la bellezza come -una “armonia„ cioè un ordine tra certe parti, -nelle loro mutue relazioni e nel loro rapporto -col tutto. Il fine poi della bellezza è quello -“di piacere e d’eccitare un desiderio„. Tra -parentesi, abbiamo qui esattamente l’opposto -della definizione kantiana. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -</p> - -<p> -Quanto alle manifestazioni del bello, l’autore -in questione crede che la suprema incarnazione -del bello si trovi nella natura, e -che perciò l’ideale dell’arte consista nel copiare -la natura; altra sentenza questa che fa -a pugni colle opinioni degli estetici successivi. -</p> - -<p> -Ci sia concesso lasciar da parte gl’immediati -successori del Baumgarten, cioè il Maier, -l’Eschenburg e l’Eberhard, che solo ritoccarono -leggermente la dottrina del maestro, distinguendo -dal bello il gradevole. Ma non -dobbiamo tacere le definizioni dovute ad altri -contemporanei del Baumgarten, per esempio -allo Sulzer, a Mosè Mendelssohn, al Moritz, -che contraddicono apertamente alle dottrine -di quello, considerando come oggetto dell’arte -la bontà, non la bellezza. Secondo il Sulzer -(1720-1779) non si può ritenere per bello se -non ciò che partecipi in qualche modo del -buono; quindi la bellezza è ciò che desta e -svolge il sentimento morale. Mendelssohn -(1729-1786) ravvisa nella perfezione morale il -solo scopo dell’arte. Codesti estetici distruggono -totalmente la distinzione che il Baumgarten -stabiliva tra le tre forme del perfetto, -cioè il vero, il bello e il buono; e rannodano -il bello al vero e al buono. -</p> - -<p> -Codesto concetto non solo non è conservato -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -dagli estetici del periodo seguente, ma -è anche contraddetto nella sua sostanza dai -famoso Winckelmann (1717-1768), che disgiunge -la funzione dell’arte da ogni fine di -moralità, e attribuisce all’arte come suo oggetto -la bellezza esteriore, ristretta alla sola -bellezza visibile. Secondo il Winckelmann la -bellezza è di tre sorta: 1.º la bellezza della -forma; 2.º la bellezza dell’idea, che risulta -dall’atteggiamento delle figure; 3.º la bellezza -dell’espressione che scaturisce dalla fusione -delle altre due. La bellezza dell’espressione -è il fine supremo dell’arte, e si trova effettuata -nell’arte antica; perciò l’arte moderna -deve tendere ad imitare l’antica. -</p> - -<p> -Analogo concetto della bellezza si mostra -nel Lessing, nell’Herder, nel Goethe e nei più -degli altri estetici tedeschi, finchè non venne -il Kant ad abbatterlo sostituendovene un altro -affatto diverso. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Nel medesimo periodo in Inghilterra, in -Francia, in Italia e in Olanda sorge uno sciame -di teorie estetiche, le quali, benchè indipendenti -dalle tedesche, stanno loro a paro per -l’oscurità e la confusione. -</p> - -<p> -A detta dello Shaftesbury (1690-1713); “ciò -che è bello, è armonico e ben proporzionato; -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -ciò che è armonico e ben proporzionato è -vero; e ciò che è a un tempo bello e vero, -è necessariamente gradevole e buono„. Dio -è il fondamento d’ogni bellezza; la bellezza -e la bontà procedono da lui. Così per codesto -inglese la bellezza si distingue dalla bontà, -e pur tuttavia si confonde con essa. -</p> - -<p> -Secondo l’Hutcheson (1694-1747) l’oggetto -dell’arte è la bellezza, l’essenza della quale sta -nell’evocare in noi la percezione dell’uniformità -nella varietà. Noi possediamo “un -senso„ interno che ci permette di riconoscere -che cosa sia l’arte, ma può tuttavia essere in -contraddizione col senso estetico. Per dippiù, -secondo l’idea dell’Hutcheson la bellezza non -corrisponde sempre alla bontà, ma se ne distingue, -e in certi casi le è contraria. -</p> - -<p> -Secondo l’Home (1696-1782) la bellezza è ciò -che piace. Non c’è per essa altra determinazione -che il godimento. L’ideale del godimento -sta in questo che il massimo di ricchezza, di -pienezza, di forza e di varietà d’impressioni -si trovi condensato entro i limiti più ristretti. -Codesto è pure l’ideale d’una perfetta opera -d’arte. -</p> - -<p> -Secondo il Burke (1729-1797) il sublime e il -bello, che sono gli oggetti dell’arte, trovano -la loro origine nel nostro istinto di conservazione -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -e nell’istinto di socievolezza. La difesa -dell’individuo e la guerra, che ne scaturisce, -sono le fonti del sublime; la socievolezza -e l’istinto sessuale che ne deriva, -sono la fonte del bello. -</p> - -<p> -Se i pensatori inglesi nelle loro definizioni -del bello e dell’arte si contraddicevano a vicenda, -nemmeno gli estetici francesi riuscivano -ad accordarsi meglio. Secondo il padre -André (<i>Essai sur le Beau</i>, 1741) ci sono tre -specie di bellezza: la bellezza divina, la bellezza -naturale e la bellezza artificiale. Secondo -Batteaux (1713-1780), l’arte consiste -nell’imitare la bellezza della natura, e il suo -scopo dev’essere di piacere. Questa a un dipresso -è pure la definizione del Diderot. -</p> - -<p> -Il Voltaire e il D’Alembert pensano che le -sole leggi del buon gusto possano decidere -del bello; ma che alla loro volta codeste leggi -sfuggano a ogni definizione. -</p> - -<p> -Secondo il Pagano, fiorito in Italia nel medesimo -periodo, l’arte consisterebbe nel raccogliere -in uno le bellezze disseminate nella -natura. L’attitudine a percepire codeste bellezze -costituisce il buon gusto, la facoltà di -raccoglierle in un tutto s’identifica coll’ingegno -artistico. La bellezza, per lui, si confonde -colla bontà; la bellezza è la bontà resa -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -visibile, e la bontà è la bellezza resa interiore. -</p> - -<p> -Secondo altri italiani, ad esempio il Muratori -(1672-1750) e lo Spaletti (Saggio sopra la -Bellezza, 1765), l’arte va ricondotta a una sensazione -egoistica fondata sul nostro istinto -di conservazione e di socievolezza. -</p> - -<p> -Degli estetici Olandesi il più notevole è -Hemsterhuis (1720-1790) il quale influì realmente -sugli estetici tedeschi, sul Goethe medesimo. -Per lui la bellezza è ciò che procura -il maggior piacere, e desta in noi il massimo -numero d’idee nella minima durata di tempo. -Quindi a suo parere il godimento del bello è -il più alto di tutto, come quello che ci procura -nel più piccolo spazio di tempo la più -grande quantità di percezioni. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tali erano all’incirca in Europa, le principali -dottrine estetiche, allorchè sorse quella -del Kant (1724-1804) che rimase poi, come sappiamo, -tra le più celebrate. -</p> - -<p> -La teoria estetica del Kant si può riassumere -nel modo seguente: — L’uomo ha la -conoscenza della natura esteriore e ad un -tempo di sè stesso entro la natura. Nella natura -esso cerca il vero; in sè stesso cerca la -bontà. La prima ricerca risguarda la <i>ragione -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -pura</i>, la seconda la <i>ragione pratica</i>. Ma oltre -a quei due mezzi di percezione havvi ancora -la capacità di giudicare, atta a produrre dei -“giudizi senza concetti, e dei piaceri senza -desideri„. Codesta capacità è la base del sentimento -estetico. -</p> - -<p> -Secondo il Kant la bellezza considerata soggettivamente -è quello che piace in modo generale -e necessario, senza concetto alcuno -(Begriff) e senza utilità pratica. Oggettivamente -considerata, la bellezza è la forma d’un -oggetto piacente, in quanto ci piaccia senza -alcun riguardo alla sua utilità. -</p> - -<p> -Definizioni della bellezza poco diverse da -questa del Kant furono date dai suoi successori, -tra i quali meritano menzione lo Schiller -(1759-1805) e Guglielmo di Humboldt. -</p> - -<p> -Oltre ai filosofi di second’ordine, dopo il -Kant s’occuparono d’estetica anche il Fichte, -lo Schelling, l’Hegel, e i loro discepoli. Il Fichte -(1762-1814) sostiene che il mondo per noi ha -due aspetti, costituiti per una parte dalla -somma delle nostre limitazioni, per l’altra da -quella della nostra libera attività ideale. Sotto -il primo aspetto ogni cosa è sfigurata, rimpicciolita, -mutilata, e scorgiamo così la bruttezza; -sotto l’altro aspetto percepiamo gli -oggetti nella loro pienezza, nella loro vita intima, -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -vale a dire ravvisiamo la bellezza. Perciò -la bellezza e la bruttezza delle cose dipendono -dal punto di vista di chi le osserva, -e la bellezza non ha radice nel mondo, ma -nell’“anima bella„. L’arte è la manifestazione -di siffatta “anima bella„, e ha per fine -l’educazione della mente, del cuore, anzi dell’uomo -intiero. Per la qual cosa i caratteri -della bellezza non risiedono nelle cose o -sensazioni esteriori, ma nella presenza di -un’anima bella, nell’artista. -</p> - -<p> -Senza diffonderci intorno alle teorie di Federico -Schlegel (1772-1829) e di Adamo Müller -(1779-1829) tocchiamo di quella celebre -dello Schelling (1775-1854). Secondo questo filosofo -l’arte defluisce da una concezione delle -cose nella quale il soggetto diventa oggetto a -sè stesso, e l’oggetto diventa per sè soggetto. -La bellezza è la percezione dell’infinito nel -finito. L’arte è l’unione del soggettivo e dell’oggettivo, -della natura e della ragione, del -cosciente e dell’incosciente. E la bellezza del -pari è la contemplazione delle cose in sè, -quali cioè esistono nei loro prototipi. La bellezza -non è prodotta dal sapere o dall’abilità -dell’artista, ma dall’idea della bellezza che lo -governa. -</p> - -<p> -Dopo lo Schelling e la sua scuola, come a -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -dire il Solger, il Krause, ecc., viene innanzi la -famosa dottrina estetica dell’Hegel, la quale, -in fondo, è pur sempre la base delle opinioni -correnti intorno all’arte e alla bellezza. -Del resto nemmeno questa teoria è -più chiara o più precisa delle precedenti, -chè anzi le supera in astrusità e nebulosità. -Secondo l’Hegel (1770-1831), Dio si manifesta -nella natura e nell’arte sotto la forma della -bellezza. La bellezza è il riflesso dell’idea -nella materia. L’anima sola è veramente -bella; ma lo spirito si palesa a noi sotto la -forma sensibile, e in questa apparenza sensibile -dello spirito risiede l’unica realtà della -bellezza. Nel sistema hegeliano bellezza e -verità sono tutt’uno; poichè la bellezza non -è altro che la manifestazione sensibile della -verità. -</p> - -<p> -Questa dottrina fu ripresa, svolta, arricchita -di molte nuove formole dai discepoli dell’Hegel, -Weisse, Ruge, Rosenkrantz, Vischer, -e altri. Ma non si creda che l’hegeinismo -avesse il monopolio delle teorie estetiche in -Germania! Al suo fianco comparivano altri -sistemi in gran numero, i quali, ben lungi dall’ammettere -coll’Hegel che la bellezza fosse -il riflesso dell’idea, impugnavano quella definizione, -confutandola e deridendola. Ci contentiamo -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -di addurre le dottrine dell’Herbart -e dello Schopenhauer. -</p> - -<p> -Secondo Herbart (1776-1841) non c’è e non -può esserci bellezza esistente di per sè stessa. -Non esiste nient’altro che la nostra opinione, -e questa è fondata sulle nostre impressioni -personali. Ci sono certe relazioni che noi chiamiamo -bello, e l’arte sta nello scoprirle, tanto -nella pittura, quanto nella musica e nella -poesia. -</p> - -<p> -Secondo lo Schopenhauer (1788-1860) la volontà -si oggettiva nel mondo su piani diversi, -ciascuno dei quali ha la sua bellezza propria, -e il più elevato è il più bello. La rinuncia -alla nostra individualità, permettendoci di -contemplare codeste manifestazioni della Volontà, -ci dà una percezione della bellezza. -Tutti gli uomini hanno la facoltà di oggettivare -l’idea in disegni differenti; ma il genio -dell’artista la possiede in più alto grado, e -può quindi produrre una bellezza superiore. -</p> - -<p> -Dopo questi scrittori famosi ne sorsero in -Germania degli altri meno originali e meno -autorevoli, ma pur sempre accaniti a sradicare -le dottrine dei loro confratelli passati e -presenti: tali sono l’Hartmann, il Kirchmann, -lo Schnasse, il fisico Helmholtz, il Bergmann, -il Jungmann, ecc. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -</p> - -<p> -Secondo Hartmann (nato nel 1842) la bellezza -non risiede nè nel mondo esterno, nè -nella “cosa in sè stessa„, nè nell’anima nostra, -ma nell’<i>apparenza</i> (Schein) prodotta dall’artista. -La “cosa in sè„ non è punto bella, -ma ci sembra tale quando è trasformata dall’artista. -</p> - -<p> -Secondo Schnasse (1798-1875), non c’è nel -mondo bellezza perfetta; la natura non fa -che accostarvisi soltanto; l’arte ci dà quel -che la natura non può darci. -</p> - -<p> -Secondo Kirchmann (1802-1884) ci sono sei -regni della storia: i regni della scienza, della -ricchezza, della morale, della fede, della politica, -e della bellezza. L’arte è l’attività che -s’esercita in quest’ultimo regno. -</p> - -<p> -Secondo Helmholtz (1821-1896) il quale non -s’occupò che dell’estetica musicale, la bellezza -in musica non s’ottiene se non coll’osservazione -di certe leggi invariabili, leggi -che l’artista ignora, ma a cui obbedisce incoscientemente. -</p> - -<p> -Secondo Bergmann (<i>Ueber das Schöne</i>, 1887) -è impossibile definire oggettivamente la bellezza. -Essa non si può percepire che soggettivamente, -quindi il problema dell’estetica sta -nel determinare quello che piace a ciascuno. -</p> - -<p> -Secondo Jungmann (morto nel 1885): 1.º la -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -bellezza è una qualità soprasensibile delle -cose; 2.º il piacere artistico è prodotto in noi -dalla semplice contemplazione della bellezza; -3.º la bellezza è il fondamento dell’amore. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Credete voi che mentre la Germania partoriva -tante dottrine, gli estetici di Francia ed -Inghilterra scioperassero? -</p> - -<p> -In Francia, c’era Cousin (1792-1867), un -eclettico che s’ispirava alle dottrine degl’idealisti -tedeschi. Secondo lui la bellezza posa -sempre sopra un fondamento morale. Diceva -inoltre che la bellezza può esser definita oggettivamente, -e ch’essa è, per essenza, la -varietà nell’unità. -</p> - -<p> -Il Jouffroy, suo scolaro (1796-1842) scorgeva -nella bellezza l’invisibile reso per mezzo di -segni sensibili. -</p> - -<p> -Il metafisico Ravaisson considerava la bellezza -come termine e fine supremo dell’Universo. -“La beauté la plus divine et principalement -la plus parfaite contient le secret.„ -E appresso: “Le monde entier est l’œuvre -d’une beauté absolue, qui n’est la cause des -choses que par l’amour qu’elle met en elles.„ -</p> - -<p> -M’astengo a bello studio dal tradurre in -russo codeste espressioni metafisiche, perchè -i francesi quando prendono a imitare i tedeschi -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -li superano d’assai nell’arruffio delle -idee eterogenee. -</p> - -<p> -Il metafisico Renouvier alla sua volta diceva: -“Ne craignons pas d’affirmer qu’une -vérité qui ne serait pas belle ne serait qu’un -jeu logique de notre esprit, et que la seule -vérité solide, et digne de ce nom, c’est la -beauté.„ -</p> - -<p> -Tutti questi pensatori si riferivano colle loro -dottrine all’estetica tedesca; altri loro contemporanei -si sforzarono d’esser più originali, -come il Taine, il Guyau, lo Cherbuliez, -il Véron, ecc. -</p> - -<p> -Secondo Taine (1828-1893) c’è la bellezza -quando il carattere essenziale d’una idea importante -si manifesta più completamente che -non nella realtà. Secondo Guyau (1854-1888) -la bellezza non è cosa esteriore all’oggetto, -ma è il fiore stesso dell’oggetto. L’arte è l’espressione -d’una vita ragionevole e cosciente, -evocando in noi a un tempo la più profonda -consapevolezza nella nostra esistenza e i sentimenti -più elevati e i pensieri più nobili. -L’arte, secondo lui, trasporta l’uomo dalla vita -individuale nella vita universale per mezzo -della comunione dei sentimenti e delle idee. -</p> - -<p> -Secondo Cherbuliez l’arte è un’attività che: -1.º soddisfa il nostro amore innato delle apparenze; -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -2.º incarna in queste apparenze delle -idee; 3.º procura a un tempo godimento ai -sensi, al cuore, alla ragione. -</p> - -<p> -Presentiamo ancora, per esser completi, il -parere di alcuni autori francesi più recenti. -La <i>Psicologia del bello e dell’arte</i> scritta da -Mario Pilo<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a> (1895) afferma che la bellezza è -un prodotto delle nostre impressioni fisiche. -Fine dell’arte è il piacere; ma l’autore pensa -che questo piacere è di necessità eminentemente -morale. Il <i>Saggio sull’arte contemporanea</i> -di Fierens-Gevaert (1897) dice che l’arte -consiste nell’equilibrio tra la conservazione -delle tradizioni del passato, e l’espressione -dell’ideale del presente. Infine il Sâr Péladan -afferma che la bellezza è una delle manifestazioni -di Dio. “Non c’è altra Realtà che Dio, -non c’è altra Verità che Dio, non c’è altra -Bellezza che Dio.„ -</p> - -<p> -L’<i>Estetica</i> di Véron (1878) si distingue dalle -opere affini se non altro per maggiore chiarezza -e facilità. Senza dare una definizione -esatta dell’arte, l’autore ha il merito di sbarazzare -l’estetica da tutte le vaghe nozioni -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -del bello assoluto. Secondo il Véron l’arte è -la manifestazione d’un’emozione estrinsecata -per mezzo di qualche combinazione di -linee, di forme, di colori, o con una successione -di movimenti, di ritmi, di suoni. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Quanto agli Inglesi, in massima parte s’accordano -in questo, che definiscono la bellezza -non per le sue qualità proprie, ma seguendo -le impressioni e i gusti individuali. Così fecero -già il Reid (1704-1796), l’Alison ed Erasmo -Darwin (1731-1802). Ma le teorie dei loro successori -sono assai più notevoli. -</p> - -<p> -Secondo Carlo Darwin (1805-1882) la bellezza -è un sentimento naturale, non soltanto dell’uomo, -ma eziandio degli animali. Gli uccelli -adornano i loro nidi, e tengono conto della -bellezza nei rapporti sessuali. Del resto la -bellezza è la risultante di varie nozioni e di -vari sentimenti. L’origine della musica si deve -rintracciare nelle chiamate che il maschio rivolge -alla femmina. -</p> - -<p> -Secondo Erberto Spencer (nato nel 1820) l’origine -dell’arte dev’essere cercata nel giuoco. -Negli animali inferiori l’energia vitale è rivolta -per intiero alla conservazione della vita -individuale e della specie; nell’uomo invece, -soddisfatti i primi istinti, rimane un dippiù -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -d’energia, che si consuma nel giuoco, e poscia -è trasformata in arte. E l’autore continua -a discorrere delle varie sorgenti del piacere -estetico, cioè della facoltà d’esercitare qualche -senso nella sua maggiore interezza e col -minore dispendio di forza, della massima varietà -delle sensazioni, ecc. -</p> - -<p> -Grant Allen nei suoi <i>Physiological Esthetics</i> -(1877) assegna alla bellezza un’origine fisica. -I piaceri estetici derivano dalla contemplazione -della bellezza, ma il concetto della bellezza -è il risultato di un processo fisiologico. -Il bello è ciò che procura il maximum di -stimoli col minimum di spesa. -</p> - -<p> -Le varie opinioni ora addotte intorno all’arte -e alla bellezza, senza dire di quelle degl’inglesi -Todhunter, Morley, Kerd, Knight, ecc., -non esauriscono di certo quanto s’è scritto intorno -al nostro argomento. Non passa giorno -senza che sorgano dei nuovi estetici, nella -dottrina dei quali si trovano, invariabilmente, -lo stesso vago e le stesse contraddizioni. Alcuni -per inerzia si contentano di adottare -con qualche variante l’estetica mistica dei -Baumgarten e dei Hegel; altri trasportano la -questione nel campo soggettivo, riconnettendo -la bellezza al gusto; altri, gli estetici -delle ultime generazioni, ricercano l’origine -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -della bellezza nelle leggi della fisiologia; altri -infine affrontano risoluti il problema dell’arte -indipendentemente dal concetto di bellezza. -</p> - -<p> -Così il Sully, in <i>Sensation and Intuition</i>, elimina -per intero la nozione di bellezza. Nella -sua definizione l’arte non è che un prodotto -idoneo a procurare al produttore un godimento -attivo, e a suscitare un’impressione -gradevole in un certo numero di spettatori o -d’uditori, astraendo da ogni considerazione -d’utilità pratica. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -</p> - -<h2 id="cap3"><span class="smcap">Capitolo III.</span> -<span class="smaller">Distinzione tra l’arte e la bellezza.</span></h2> -</div> - -<p> -Che cosa si ricava da tutte codeste definizioni -della bellezza? Astraendo da quelle evidentemente -fallaci, che non rispondono al -concetto dell’arte, e ripongono la bellezza o -nell’adattamento a un fine, o nella simmetria, -o nell’ordine, o nell’armonia delle parti o nell’unità -sotto la varietà, o in diverse combinazioni -di tutti questi elementi, astraendo da -questi tentativi infelici di determinazioni oggettive, -tutte le definizioni della bellezza proposte -dagli estetici fanno capo a due principii -opposti. Il primo è che la bellezza è cosa -esistente di per sè, una manifestazione dell’Assoluto, -del Perfetto, dell’Idea, dello Spirito, -della Volontà, di Dio; l’altro è, che la -bellezza consiste in un piacere particolare -provato da noi, e nel quale non entra punto -il sentimento dell’utile. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -</p> - -<p> -Di questi due principii il primo fu ammesso -da Fichte, Schelling, Hegel, Schopenhauer e -dai metafisici francesi; è ancor oggi molto -molto diffuso tra le persone colte, specie della -vecchia generazione. -</p> - -<p> -Il secondo principio, che riduce la bellezza -a un’impressione individuale di piacere, è -caldeggiato particolarmente dagli estetici inglesi, -ed è accolto con favore crescente dalle -generazioni nuove della nostra società. -</p> - -<p> -Perciò, secondochè era inevitabile, non sono -possibili se non due definizioni della bellezza; -una oggettiva, mistica, per cui la nozione del -bello s’annega in quella della perfezione o di -Dio, — definizione fantastica e senza fondamento -reale; l’altra invece semplicissima e -chiarissima, ma affatto soggettiva, quella per -cui la bellezza s’identifica con tutto ciò che -piace. Da un lato la bellezza apparisce come -qualche cosa di sublime, di soprannaturale, -ma, nel medesimo tempo d’indefinito; dall’altro, -apparisce come una specie di piacere disinteressato -provato da noi. Infatti questo secondo -concetto della bellezza è chiarissimo, -ma, pur troppo, è molto inesatto, in quanto -esagera nel senso opposto, implicando così la -bellezza anche dei piaceri provenienti dai cibi, -dalle bevande, dal vestire, dal tatto, ecc. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -</p> - -<p> -È ben vero che seguendo l’estetica nelle -fasi successive del suo svolgimento dobbiamo -riconoscere che le dottrine metafisiche e idealiste -vanno perdendo terreno a petto di quelle -sperimentali e positive, sicchè vediamo degli -estetici come Véron e Sully sforzarsi a escludere -intieramente la nozione del bello. Ma -gli estetici di codesta scuola sinora hanno -pochi seguaci, e la gran maggioranza del -pubblico, non esclusi i dotti e gli artisti, si -attiene all’una o all’altra delle due definizioni -classiche dell’arte, che le assegnano per fondamento -la bellezza, considerata o come una -entità mistica e metafisica, o come una forma -speciale di piacere. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Cerchiamo pertanto alla nostra volta d’esaminare -questo famoso concetto della bellezza -artistica. -</p> - -<p> -Soggettivamente, ciò che chiamiamo bellezza -è senza dubbio tutto quello che ci fornisce -un piacere particolare. Oggettivamente -parlando, diamo il nome di bellezza a una -certa perfezione; ma è chiaro che facciamo -così perchè il contatto con questa perfezione -ci procura un determinato piacere; talchè la -definizione oggettiva si riduce a essere solo -una nuova forma della definizione soggettiva. -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -Realmente il concetto della bellezza risulta -per noi dal godimento d’un piacere <i>sui generis</i>. -</p> - -<p> -Così essendo sarebbe naturale che l’estetica -rinunciasse alla definizione dell’arte fondata -sul bello, cioè sul piacere individuale, e -si mettesse in cerca di una definizione più -comprensiva, applicabile a tutte le produzioni -artistiche, e tale da farci distinguere -quanto appartiene o non appartiene al dominio -dell’arte. Ma, come si sarà convinto il -lettore dal nostro riassunto delle diverse dottrine -estetiche, non incontrammo alcuna definizione -di quella sorta. Tutti i tentativi fatti -per definire il bello assoluto, o non definiscono -nulla o definiscono solo alcuni caratteri -di alcuni prodotti artistici, e non abbracciano -tutto quello che tutti hanno sempre -considerato come appartenente al dominio -dell’arte. -</p> - -<p> -Non c’è una sola definizione veramente oggettiva -della bellezza. Le definizioni esistenti, -sia metafisiche sia sperimentali, riescono -tutte in fondo a quell’unica definizione soggettiva, -che pretende l’arte essere l’estrinsecazione -della bellezza, e la bellezza essere ciò -che piace senza eccitare il desiderio. Molti -estetici intesero l’insufficienza e l’instabilità -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -d’una definizione siffatta, e, per darle una -base solida, studiarono le origini del piacere -artistico. Così trasformarono la questione -della bellezza in una questione di gusto. -Ma in ultima analisi si scoperse che il -gusto non è più facile a definirsi che la bellezza. -Perchè non c’è, nè ci può essere alcuna -spiegazione compiuta e seria del motivo -per cui una cosa piace a uno e dispiace -a un altro, e viceversa. Quindi l’estetica intiera, -dalla sua fondazione sino ai nostri -tempi, fallisce in quello che ci potevamo attendere -da essa nella sua qualità di pretesa -scienza; non avendoci saputo determinare nè -le proprietà e le leggi dell’arte, nè il bello, -nè l’essenza del gusto. Tutta codesta famosa -scienza dell’estetica consiste, in fondo, a non -riconoscere come artistiche se non certe -opere, per l’unico motivo che ci piacciono, e -poi ad architettare una teorica dell’arte adattabile -per l’appunto a cotali opere. Si comincia -dallo stabilire un canone artistico, secondo -cui si designano come opere d’arte -certe produzioni che hanno la fortuna di piacere -a certe classi sociali, le opere di Fidia, -di Raffaello, del Tiziano, di Bach, di Beethoven, -d’Omero, di Sofocle, di Dante, di Shakespeare, -di Goethe, ecc.; dopo ciò le leggi -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -dell’estetica sono aggiustate in modo che abbraccino -la totalità di quelle opere. -</p> - -<p> -Un estetico tedesco che io leggevo giorni -sono, Folgeldt, discutendo i problemi dell’arte -e della morale afferma di netto essere pura -follia il voler cercare la morale nell’arte. E -sapete su quale argomento, solo e soletto, -fondi la sua dimostrazione? Dice che, se l’arte -dovesse essere morale, non sarebbero opere -d’arte nè il <i>Romeo e Giulietta</i> di Shakespeare -nè il <i>Wilhelm Meister</i> di Goethe; ora quelle -opere essendo con piena evidenza opere -d’arte, crollerebbe tutta la dottrina della moralità -nell’arte. Onde, il signor Folgeldt si -mette in cerca di una definizione dell’arte che -lasci passare quei due lavori; e si decide a -proporre come fondamento dell’arte “il significato„. -</p> - -<p> -Orbene, è su questo modello che sono fabbricate -tutte le estetiche. In luogo di cominciare -da una definizione dell’arte vera e poi -decidere che cosa appartenga o non appartenga -all’arte, si gabellano a priori come -opere d’arte un certo numero di lavori che -per certe ragioni piacciono a una certa parte -del pubblico; di poi s’inventa una definizione -dell’arte che possa estendersi a tutti quei lavori. -Per esempio l’estetico tedesco Muther -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -nella sua <i>Storia dell’arte nel secolo XIX</i> mentre -si guarda bene dal disapprovare le tendenze -dei preraffaellisti, dei decadenti, e dei -simbolisti, s’adopera da senno ad allargare -la sua definizione dell’arte in modo da potervi -includere codeste nuove tendenze. Qualunque -aberrazione nuova si faccia strada nell’arte, -purchè sia stata accolta dalle classi -più elevate della società, ecco s’inventa subito -una teoria per spiegarla e sanzionarla, -come se la storia non ci offrisse dei periodi, -in cui certi gruppi sociali reputavano arte -di buona lega un’arte falsa, contorta, priva -di senso, che in seguito sprofondò nell’oblìo -senza lasciare traccia di sè. -</p> - -<p> -Pertanto la teoria dell’arte fondata sulla -bellezza, quale ce la presenta l’estetica, si riduce -all’ammissione, tra le cose “buone„ di -qualche cosa che ci sia piaciuto, o che ci -piaccia ancora. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Per definire una forma particolare dell’attività -umana occorre comprenderne innanzi -tutto il significato e il valore. E per giungere -a que sta nozione fa d’uopo esaminar codesta -attività, prima in sè stessa, poi ne’ suoi rapporti -colle sue cause e co’ suoi effetti, e non -solo rispetto al piacere personale che possiamo -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -ricavarne. Se diciamo che l’unico fine -di una certa forma della nostra attività è il -nostro piacere, e la definiamo secondo il piacere -che ci cagiona, la nostra definizione -sarà certamente errata. Ma ciò è per l’appunto -quanto accade nelle solite definizioni -dell’arte. Nella questione del nutrimento a -nessuno verrà in mente d’affermare che l’importanza -d’alimento si misuri dalla somma -di piacere che ne ricaviamo. Ciascuno ammette -e comprende che sulla soddisfazione -del palato non si può fondare una definizione -del valore d’un dato alimento, e che perciò -non abbiano il diritto d’argomentare che il -pepe di Caienna, il cacio di Limbourg, l’alcool, -ecc., a cui siamo avvezzi e che ci piacciono, -formino il migliore degli alimenti. Ora -nella questione dell’arte abbiamo un caso analogo. -La bellezza, ossia quello che ci piace, -non può in alcun modo servirci di fondamento -a definir l’arte, nè la schiera degli oggetti -che ci procurano piacere può esser considerata -come il modello dell’arte. Cercare -l’oggetto e il fine dell’arte nel godimento che -se ne ricava, è imaginare, come sogliono i -selvaggi, che l’oggetto e il fine dell’alimentazione -stiano nel piacere che ne proviene. -</p> - -<p> -In entrambi i casi il piacere non è che un -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -elemento accessorio. E come non si giunge a -conoscere il vero fine dell’alimentazione, che -è il mantenimento del corpo, se non si tralascia -di cercarlo nel piacere di mangiare, -così non si capisce il vero significato dell’arte -se non si smette di riporre il fine dell’arte -nella bellezza, cioè nel piacere. E a quel modo -che il discutere intorno al perchè ad uno -piacciano le frutta, e un altro preferisca la -carne, non ci aiuta a scoprire quello che è -utile ed essenziale nel nutrimento, così lo -studiare le questioni del gusto in arte, non -che aiutarci a intendere quella forma particolare -dell’umana attività che chiamiamo -arte, ce ne rende affatto impossibile l’intelligenza. -</p> - -<p> -Al quesito “che cosa è l’arte?„, abbiamo -sciorinato molte risposte riportate da diverse -opere d’estetica. E tutte, o pressochè tutte codeste -risposte, mentre nel resto sono tra di -loro agli antipodi, s’accordano nel proclamare -che fine dell’arte è la bellezza, che la bellezza -si riconosce dal piacere che essa procura, e -che alla sua volta codesto piacere è importante, -semplicemente perchè è un piacere. A -questo modo queste svariate definizioni dell’arte -non riescono vere definizioni, ma semplici -conati per giustificare l’arte odierna. Per -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -quanto la cosa possa parere strana, nonostante -la farragine di libri scritti intorno all’arte, -non s’è tentata ancora nessuna vera -definizione dell’arte, per questo solo motivo: -che si volle sempre fondare il concetto dell’arte -su quello della bellezza. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -</p> - -<h2 id="cap4"><span class="smcap">Capitolo IV.</span> -<span class="smaller">La funzione dell’arte.</span></h2> -</div> - -<p> -Che cos’è adunque l’arte, se eliminiamo il -concetto della bellezza, fatto solo per ingarbugliare -inutilmente il problema? Le sole definizioni -dell’arte che attestino l’intenzione di -lasciar da banda il concetto del bello, sono, -le seguenti: 1.º secondo Schiller, Darwin, -Spencer, l’arte è un’attività che si riscontra -anche tra gli animali, e nasce dall’istinto sessuale -e dall’istinto del giuoco; e Grant Allen -aggiunge che siffatta attività s’accoppia a un -gradevole eccitamento del sistema nervoso; -2.º secondo Véron, l’arte è la manifestazione -esteriore di commovimenti interiori, ottenuta -per mezzo di linee, di colori, di moti, di suoni, -di parole; 3.º secondo Sully, l’arte è la produzione -d’un oggetto durevole o d’un’azione -passeggera tale da generare nel produttore -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -un godimento attivo, e suscitare in un dato -numero di spettatori o d’uditori un’impressione -piacevole, esclusa ogni considerazione -d’utilità pratica. -</p> - -<p> -Queste tre definizioni, pur essendo superiori -di molto a quelle definizioni metafisiche -le quali fondano l’arte sulla bellezza, restano -a ogni modo inesatte. -</p> - -<p> -La prima è inesatta, perchè, invece di considerare -unicamente l’attività artistica, che è -sola in questione, non contempla che l’origine -di codesta attività. Ed è inesatta del pari -anche l’aggiunta proposta dal Grant Allen, -attesochè l’eccitamento nervoso di cui parla -può accompagnarsi, oltrechè coll’azione artistica, -con molte altre forme dell’attività -umana; e di qui è scaturito l’errore delle -nuove teorie estetiche per le quali s’innalza -alla dignità dell’arte la preparazione di belle -vesti, di gradevoli profumi, e perfino di pietanze. -</p> - -<p> -La definizione del Véron che fa consistere -l’arte nell’esprimere certe emozioni è inesatta, -perchè si possono esprimere le proprie emozioni -per mezzo di linee, di colori, di parole, -di suoni, senza che cosiffatta espressione -agisca sugli altri; nel qual caso non si può -trattare d’espressione artistica. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -</p> - -<p> -Da ultimo è inesatta anche la definizione -del Sully, come quella che si può applicare -tanto ai giuochi di prestigio e all’acrobatica, -quanto all’arte; mentre d’altro lato s’incontrano -dei prodotti appartenenti all’arte senza -che procurino sensazioni gradevoli a chi li -produce nè al suo pubblico; come sarebbero -le scene dolorose o patetiche, in una poesia -o in un dramma. -</p> - -<p> -La deficienza di tutte queste definizioni proviene -dal fatto che tutte quante, come le definizioni -metafisiche, si fondano soltanto sul -piacere che l’arte può procurare, e non sulla -funzione che può e deve esercitare nella vita -dell’uomo e del genere umano. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Per definire più correttamente l’arte fa -d’uopo che si rinunzi a riconoscere in essa -soltanto una sorgente di piacere, e la si consideri -piuttosto come una delle condizioni essenziali -della vita umana. Sotto quest’aspetto -l’arte ci si presenterà immediatamente come -un mezzo di comunicazione tra gli uomini. -</p> - -<p> -Ogni opera artistica ottiene l’effetto di porre -chi ne prova il fascino in comunicazione con -colui che ne è stato l’autore, e con tutti coloro -che prima o poi ne furono o ne saranno -partecipi. L’arte opera come la parola, che -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -serve di legame tra gli uomini trasmettendo -il pensiero, laddove per mezzo dell’arte si comunicano -i sentimenti e le emozioni. E siffatta -trasmissione avviene così. -</p> - -<p> -Ogni uomo è capace di provare tutti i sentimenti -umani, mentre non ogni uomo sa esprimerli -tutti quanti. Ma se uno per mezzo dell’udito -o della vista percepisce i sentimenti -d’un altro espressi a dovere, può provarli in sè -stesso, anche trattandosi di sentimenti nuovi -per lui. Per prendere l’esempio più semplice: -se un uomo ride, chi lo sente ridere, diventerà -più o meno allegro; se qualcuno piange, -quelli che lo vedono piangere si rattristano. -Un tale è eccitato, oppur esasperato; i presenti -risentono il contagio di quelle disposizioni. -Un altro esprime coi gesti o col tuono -della voce il coraggio, la rassegnazione, la -tristezza, e il suo sentimento si comunicherà -a quelli che lo vedono o l’ascoltano. O esprime -il suo dolore coi gemiti e coi sospiri; e il -dolore passerà nell’anima di chi lo intende. -E lo stesso si dica di mille altre emozioni. -</p> - -<p> -Ora, quella forma d’attività che si chiama -arte, si fonda sopra codesta attitudine dell’uomo -a provare i sentimenti che agitano -gli altri. -</p> - -<p> -Se alcuno agisce sul sentimento altrui col -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -suo aspetto o colle sue parole mentre egli -stesso è in preda al sentimento che manifesta; -se induce un altro a sbadigliare quando -è costretto a sbadigliare egli stesso, a ridere -o a piangere, quando prova egli il bisogno -di ridere o di piangere; codesti effetti -di contagio non sono ancora il risultato -d’una creazione artistica. L’arte comincia -quando l’uomo rievoca in sè, ed esprime -con segni esteriori i sentimenti già provati altra -volta col fine di farli provare altrui. Prendiamo -anche questa volta un esempio elementare. -Un ragazzo atterrito dall’incontro -con un lupo, racconta l’avventura; e per destare -negli uditori l’emozione provata da lui, -descrive il suo stato d’allora, gli oggetti che -lo circondavano, il suo perfetto abbandono, -poi l’improvviso apparire del lupo, le sue -mosse, la distanza a cui s’accostò, ecc. In codesto -racconto avremo un fatto d’arte, se il -ragazzo, narrando il suo caso, risuscita in sè -i sentimenti già provati, e i suoi gesti, il -tuono della sua voce, le sue imagini forzano -gli uditori a provare essi stessi dei sentimenti -analoghi. E quand’anche il ragazzo non avesse -mai visto un lupo, ma si fosse solo spaventato -all’idea di incontrarne uno, e volendo -comunicare agli altri codesto suo spavento, -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -inventasse un incontro con un lupo e lo raccontasse -in modo da far rabbrividire i suoi uditori, -anche in questo caso s’avrebbe un fatto -d’arte. Così pure c’è arte, quando alcuno, -avendo provato o in realtà o in imaginazione -il timore di soffrire o il desiderio di godere, -esprime sulla tela o nel marmo i proprii sentimenti -in modo da comunicarli agli altri. -C’è arte allorchè un uomo prova o s’imagina -di provare sentimenti di gioia, di tristezza, -di disperazione, di coraggio, di accasciamento, -e le transizioni dall’uno all’altro -di questi sentimenti, ed esprime tutto ciò con -suoni che mettono gli altri in grado di riprovare -le stesse commozioni. -</p> - -<p> -I sentimenti che l’artista comunica agli altri -possono essere di varie sorta, forti o deboli, -importanti o insignificanti, buoni o cattivi; -possono essere sentimenti di patriottismo, -di rassegnazione, di pietà, di voluttà; -possono esser resi con un dramma, con un -romanzo, con una pittura, con una marcia, -con una danza, un paesaggio, una favola; -qualunque opera che esprime, ciò soltanto, è -opera d’arte. Allorchè gli spettatori o gli uditori -provano i sentimenti espressi dall’autore, -c’è opera d’arte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -</p> - -<p> -Risuscitare in sè stessi un sentimento già -provato per trasfonderlo negli altri col soccorso -di moti, di linee, di colori, di suoni, -d’imagini orali: ecco il vero oggetto dell’arte. -L’arte è una forma dell’attività umana che -ci consente di suscitare negli altri coscientemente -e volontariamente i nostri sentimenti -per mezzo di certi segni esteriori. S’ingannano -i metafisici che vedono nell’arte l’estrinsecazione -d’un’idea misteriosa della bellezza -o di Dio; nemmeno l’arte è, come vogliono -gli estetici fisiologi, un giuoco in cui -l’uomo spende il suo eccedente d’energia; -non è la produzione d’oggetti piacevoli; sovrattutto -non è un piacere: è un mezzo di -riunire gli uomini raccogliendoli a unità di -sentimenti, e perciò indispensabile alla vita -dell’umanità, e al suo progresso nella via -della felicità. -</p> - -<p> -In fatti a quel modo che in virtù della nostra -facoltà di esprimere con parole i pensieri, -ognuno di noi può conoscere quanto s’è fatto -prima di noi nel dominio delle idee e prender -parte all’attività mentale dei contemporanei, -e trasmettere a questi e ai posteri i -pensieri raccolti dagli altri e quelli aggiunti -del proprio; così in virtù del nostro potere -di trasfondere negli altri i nostri sentimenti -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -per mezzo dell’arte, ci diventano accessibili -tutti i sentimenti che s’agitano intorno a noi, -come pure certi sentimenti provati mille anni -prima di noi. -</p> - -<p> -Se non godessimo della facoltà di accogliere -le idee concepite dai nostri predecessori, -e di trasmettere altrui le nostre, saremmo -animali selvatici, oppure come Gaspare -Hauser, l’orfano di Norimberga, il quale, -per essere stato allevato nella solitudine, a -sedici anni aveva l’intelligenza d’un bambino. -E se ci mancasse l’attitudine a ricevere la -impressione dei sentimenti altrui resi dall’arte, -saremmo quasi ancora più selvatici, -più divisi gli uni dagli altri, più ostili a vicenda. -Donde risulta che l’arte è cosa importantissima, -non meno importante del linguaggio -stesso. -</p> - -<p> -Siamo stati abituati a non comprendere -nella denominazione d’arte se non quanto -udiamo e vediamo nei teatri, nei concerti, -nelle esposizioni, o quello che leggiamo nelle -poesie e nei romanzi. Ora tutto ciò non è -che l’infima parte dell’arte vera, colla quale -palesiamo agli altri la nostra vita interiore, -o intendiamo la loro. Tutta l’esistenza umana -ribocca d’arte, dalle ninnananne, dalle danze, -dalla mimica, dalle cantilene, agli uffizi religiosi -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -e alle cerimonie pubbliche. Tutto ciò -appartiene all’arte. Come la parola non opera -su di noi solo per l’eloquenza e per i libri, -ma pure nelle conversazioni famigliari, del -pari l’arte, intesa nel sue più largo significato, -invade tutta la nostra vita, e la cosidetta -arte in senso stretto è ben lontana dal -rappresentare l’insieme dell’arte vera. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma per molti secoli il genere umano riconobbe -solo una parte di codesta enorme e -diversa attività artistica, quella cioè che si -proponeva di perpetuare i sentimenti religiosi. -A tutte le altre manifestazioni artistiche, -cioè canzoni, danze, novelle di fate, ecc., -gli uomini per un pezzo non diedero alcuna -importanza, e solo occasionalmente i grandi -educatori del genere umano si soffermarono -a censurare certi prodotti di codesta arte -profana, qualora li giudicassero opposti ai -concetti religiosi del tempo. -</p> - -<p> -Così fu intesa l’arte dai savii antichi, da -Socrate, da Platone, da Aristotele, dai profeti -ebrei e dai primi cristiani; così la intendono -oggi ancora i maomettani; e così l’intende il -popolo nei nostri villaggi russi. Ci furono -persino degli educatori di popoli come Platone, -e delle nazioni intiere, come i maomettani -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -o i buddisti, che negarono all’arte il diritto -di esistere. -</p> - -<p> -Certo avevano torto quegli uomini e quelle -nazioni di condannare l’arte in genere, cioè -di voler sopprimere cosa che non si può -sopprimere, uno dei mezzi più indispensabili -di comunicazione tra gli uomini. Ma il loro -errore era meno grande di quello che commettono -ora gli Europei civili col favorire -tutte le arti al solo patto che producano il -bello, ovverosia che generino il piacere. Una -volta si temeva che tra le varie opere d’arte -ce ne fossero di quelle atte a guastar la -gente, e si condannavano tutte per timore di -queste ultime; oggigiorno invece la paura -di privarci di qualche minimo piacere basta -a farci accettare tutte le arti col rischio di -ammetterne di molto pericolose. Errore questo -assai più grossolano dell’altro, e tale da -produrre conseguenze molto più disastrose! -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -</p> - -<h2 id="cap5"><span class="smcap">Capitolo V.</span> -<span class="smaller">L’arte vera.</span></h2> -</div> - -<p> -Ma come avvenne che l’arte non religiosa, -un tempo appena tollerata, nella nostra età -sia stata favorita a condizione che ci procurasse -piacere? -</p> - -<p> -Ecco in breve come si può spiegare il -fatto. La stima dell’arte, cioè di quanto valgono -i sentimenti che essa propaga, dipende -dal concetto che ci formiamo della vita e del -suo significato, e di quello che in essa ci par -buono o cattivo. E la scienza che distingue il -buono dal cattivo porta il nome di religione. -</p> - -<p> -Il genere umano avanza nel progresso innalzandosi -da un concetto inferiore, parziale -e oscuro della vita, ad altri più elevati, più -comprensivi, più chiari. In codesto movimento -del progresso, come in tutti i movimenti, gli -uomini sono guidati da certi loro capi, che intendono -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -meglio degli altri il significato della -vita; e tra codesti precursori ce n’è sempre -qualcuno, che ha espresso il suo concetto personale -più chiaramente, o più fortemente -degli altri, tanto a parole quanto coll’esempio. -La determinazione impressa al significato -della vita da qualche uomo simile, accompagnata -dalle tradizioni, dalle superstizioni, -dalle cerimonie, che circondano sempre la -figura dei grandi, è il costitutivo essenziale -delle religioni. Esse rispecchiano il concetto -che si formano della vita gli uomini migliori -e più intelligenti d’una data età e d’una data -società, il quale finisce per essere irresistibilmente -adottato dalla società intiera. Perciò -in tutti i tempi le religioni valsero a darci -la misura dei sentimenti umani. Quelli, per -cui l’uomo s’accosta all’ideale proposto dalla -religione, e che armonizzano con esso, vengono -ritenuti buoni, e cattivi quegli altri che -allontanano l’uomo dall’ideale della sua religione. -</p> - -<p> -Laonde se, come presso gli antichi Ebrei, -la religione fa consistere il fondo della vita -nell’adorare un Dio solo e sottomettersi alla -sua volontà, i sentimenti di obbedienza alla -legge divina son riputati buoni, e danno -luogo all’arte buona, rappresentata dalle profezie, -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -dai salmi, dall’epopea della Genesi. E -si considera come arte cattiva tutto ciò che -si oppone a quell’ideale, come a dire l’espressione -d’un culto verso divinità straniere, e -gli altri sentimenti incompatibili colla legge -di Dio. -</p> - -<p> -Invece nel caso dei Greci, quando la religione -spiega il significato della vita riponendolo -nella felicità terrena, nella forza e nella -bellezza, si considera arte buona quella che -esprime l’allegrezza e l’operosità della vita, -e cattiva quella che ispira sentimenti di mollezza -o d’avvilimento. Il significato della vita -essendo riposto, come presso i Romani, nel -collaborare alla grandezza della nazione, o, -come presso i Cinesi, nel rendere onore ai -maggiori, e perpetuare il loro genere di vita, -si reputerà naturalmente arte buona quella -che esprime la gioia del sacrifizio personale -per il bene della nazione, oppure il rispetto -verso gli antenati e il desiderio d’imitarli; e -cattiva ogni arte che bandisca sentimenti opposti. -Quando poi il significato della vita sta, -come presso i buddisti, nel liberare l’uomo -dal giogo dell’animalità, sarà buona l’arte -che innalza l’anima deprimendo la carne, e -cattiva quella che preconizza sentimenti atti -a favorire le cupidigie materiali. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -</p> - -<p> -In ogni età e in ogni società vige un senso -religioso, comune a tutti, del buono e del cattivo, -e serve di stregua a giudicar del valore -dei sentimenti espressi dall’arte. Così avveniva -presso gli Ebrei, i Greci, i Romani, i -Cinesi, gli Egiziani, gl’Indiani; e così fu anche -tra i primi cristiani. -</p> - -<p> -Il Cristianesimo dei primi secoli non riconosceva -per arte buona che le leggende, le -vite dei santi, i sermoni, le preghiere, gl’inni, -tutto quello che esprimeva l’amore per Cristo, -l’ammirazione per la sua vita, il desiderio -d’imitarlo, la rinunzia ai piaceri del mondo, -l’umiltà, la carità; e tutte le opere artistiche -ispirate a sentimenti di godimento individuale -erano ritenute cattive e perciò condannate; -sovrattutto la plastica non era ammessa che -col valore di simbolo, ed era condannata -tutta l’arte pagana. Così facevano i primi cristiani, -che concepivano la dottrina di Cristo, -se non del tutto nel suo vero senso, almeno -sotto una forma diversa da quella corrotta e -paganizzata, che rivestì più tardi la medesima -dottrina. -</p> - -<p> -Ma a lato di quel Cristianesimo a poco a -poco se ne formò un altro, dipendente dalla -Chiesa e più prossimo al paganesimo che -non alla dottrina di Cristo. E codesto Cristianesimo -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -di Chiesa conseguentemente alle -sue dottrine cominciò a stimare ben altrimenti -le opere d’arte. Poichè, ai principii essenziali -dei vero cristianesimo, che sono lo -stretto rapporto di tutti gli uomini con Dio, -la perfetta uguaglianza e fraternità di tutti -gli uomini, l’umiltà e l’amore in luogo della -violenza, avendo sostituito una gerarchia celeste -analoga alla mitologia pagana, avendo -introdotto nella religione il culto di Cristo, -della Vergine, degli Angeli, degli Apostoli, dei -Santi, anzi anche delle loro imagini, diede -vita a un’arte che esprimeva alla meglio questo -nuovo ideale. -</p> - -<p> -Codesto Cristianesimo era di certo lontanissimo -dalle dottrine di Cristo, e inferiore -persino al concetto che avevano della vita -certi Romani, quali furono gli Stoici, o l’imperatore -Giuliano; ciò nondimeno fra i barbari -che raccoglievano, rappresentava sempre -alcunchè di superiore al loro antico culto -di dei ed eroi nazionali, di spiriti buoni e -cattivi. E l’arte rampollata da questa religione -esprimeva l’amore per la Vergine, per Gesù, -per i Santi e gli Angeli, la cieca obbedienza -ai dogmi, la paura delle pene d’inferno, e la -speranza dei gaudii celesti; e ogni arte in -opposizione con quella era creduta cattiva. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -</p> - -<p> -Quell’arte, sebbene fondata sopra un tralignamento -del Cristianesimo, era arte vera, -poichè corrispondeva al concetto religioso -degli uomini tra i quali fioriva. Gli artisti del -medio evo attingendo i loro sentimenti alla -sorgente popolare, e rendendoli coll’architettura, -colla pittura, colla musica, colla poesia -o col dramma, erano veri artisti, e le loro -opere, secondo l’ufficio delle opere d’arte, trasfondevano -i loro sentimenti in tutta la comunità -che li circondava. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Così procedettero le cose, finchè le classi -nobili, ricche e colte della società europea -cominciarono a dubitare che non fosse vero -il concetto della vita espresso nel Cristianesimo -ufficiale. Allorchè dopo le crociate e il -culmine della potenza dei Papi, quelle classi -poterono attingere al senno degli autori classici, -e riconobbero, da una parte il buon senso -e la chiarezza degl’insegnamenti greci, dall’altra -l’incompatibilità della dottrina ecclesiastica -colle massime di Cristo, trovarono impossibile -continuare a credere nella dottrina -della Chiesa. Tuttavia rimasero in apparenza -ligie alle forme ecclesiastiche, ma solo per -inerzia o per conservare la loro influenza sul -popolo, che nulla aveva perduto dell’antica -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -fede e obbedienza. In realtà il Cristianesimo -ecclesiastico aveva cessato d’essere la dottrina -religiosa comune a tutti i cristiani. E -le classi più colte si trovarono nella condizione -dei Romani colti prima del Cristianesimo; -non ammettevano più la religione delle -turbe, senza essere in possesso di alcun’altra -fede, che potesse sostituire per loro la dottrina -della Chiesa, che avevano abbandonata. -</p> - -<p> -Il solo divario era che i Romani, perduta -ogni fede nei loro imperatori divinizzati, non -potevano rifarsi alle mitologie ingarbugliate -che avevano preceduto la loro, e furono costretti -a crearsi un concetto nuovo della vita, -mentre gli uomini del Rinascimento, dubitando -del Cristianesimo ecclesiastico, non -avevano da cercar lontano per trovare una -dottrina migliore. Bastava che sfrondassero -dalla dottrina di Cristo le alterazioni che la -Chiesa aveva prodotto in essa. E così per l’appunto -fecero parecchi, non solo i riformatori, -Wiclef, Huss, Lutero e Calvino, ma eziandio i -seguaci del Cristianesimo non ufficiale, i Paoliniani, -i Bogomili, i Valdesi e altri. Però codesto -ritorno al Cristianesimo primitivo non -avvenne che da parte di gente umile e priva -d’ogni potere temporale. Ci furono sì dei ricchi -che, come Francesco d’Assisi, ammisero la -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -dottrina di Cristo nel suo pieno significato e -con tutte le sue conseguenze, e le sacrificarono -i loro privilegi sociali. Ma la maggior -parte delle persone appartenenti alle classi -più elevate, sebbene alienate alle dottrine -della Chiesa, non vollero nè poterono seguire -quell’esempio, perchè l’essenza del vero Cristianesimo -consisteva nell’ammettere la fratellanza -e quindi anche l’uguaglianza di tutti -gli uomini, cosa che avrebbe distrutto i privilegi -che erano avvezzi a godere. E questi -membri delle classi superiori, papi, re, duchi, -e tutti i grandi della terra, rimasero così senza -vera religione, e si contentarono di conservare -le forme esteriori d’una religione, le cui -dottrine giustificavano i privilegi cari a loro. -E furono precisamente costoro, che essendo -dotati di potere e di ricchezza pagavano e -dirigevano gli artisti. E tra costoro appunto, -si noti bene, sorse un’arte novella, che si -misurava non più secondo la sua capacità a -esprimere i sentimenti religiosi del tempo, -ma secondo la bellezza, cioè il piacere che -poteva procurare. Codesti ricchi e potenti, essendo -oramai nell’impossibilità di credere a -una religione riconosciuta falsa, come pure -di ammettere il vero Cristianesimo che condannava -il loro modo di vivere, furono senza -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -volerlo ricondotti al concetto pagano che riponeva -nel piacere personale il significato -della vita. Allora tra le classi più elevate sorse -quello che è chiamato il Rinascimento delle -lettere e delle arti. Infatti l’età del Rinascimento -rappresenta un periodo di scetticismo -completo nelle classi superiori. Privi com’erano -di fede religiosa, e di ogni norma per -distinguere l’arte buona dalla cattiva, gli uomini -di quelle classi adottarono la stregua -del piacere personale. E una volta ammesso -che il piacere, in altri termini la bellezza, fosse -il criterio, si trovarono contenti d’aggrapparsi -al concetto artistico — in fondo grossolano — dei -Greci antichi. La loro nuova teorica dell’arte -defluì direttamente dal loro nuovo modo -d’intendere la vita. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -</p> - -<h2 id="cap6"><span class="smcap">Capitolo VI.</span> -<span class="smaller">L’arte falsa.</span></h2> -</div> - -<p> -Dacchè le classi più elevate della società -europea ebbero smarrita ogni fede nel Cristianesimo -papale, la bellezza, ovverosia il -godimento artistico, diventò per essa il criterio -dell’arte buona o cattiva. E, secondo -tale nozione, nacque tra di loro una nuova -dottrina estetica per giustificarla; quella cioè -che assegna all’arte l’unico fine di produrre -la bellezza. I seguaci di questa teoria per -renderla più accettabile sostennero che non -era già stata inventata da loro, ma che sgorgava -senz’altro dalla natura delle cose, e -che anzi l’avevano già formulata i Greci antichi. -La quale affermazione è assolutamente -arbitraria e inesatta; poichè, se i Greci in -realtà non distinguevano nettamente il buono -dal bello, ciò dipendeva dal loro concetto -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -morale della vita. Non avevano alcuna idea -chiara di quella somma perfezione morale -distinta dalla bellezza artistica, spesso in opposizione -con essa, che, già presentita da -certi profeti ebrei, fu poi pienamente tratteggiata -nella dottrina di Cristo. Essi imaginavano -che il bello dovesse necessariamente -anche essere il buono. Soltanto i loro più -grandi pensatori, come Socrate, Platone, Aristotele, -sentirono che la bontà non coincide -sempre colla bellezza. Socrate subordinava -di proposito la bellezza alla bontà; Platone, -per unire i due concetti, discorreva d’una -bellezza spirituale; Aristotele esigeva che -l’arte esercitasse colla <i>catharsis</i> (purificazione) -un’influenza morale. Ma all’infuori di -codesti savii, gli altri ammettevano la concordanza -intiera del bello e del buono, e così -si spiega che nella lingua dei Grecianti chi un -composto, <i>kalokagathon</i> (cioè <i>bello e buono</i>), -abbia servito a designare quella concordanza. -</p> - -<p> -Ciò non era che il risultato d’una cultura -incompiuta, la semplice confusione di due -concetti ben distinti. Ora gli estetici del Rinascimento -vollero elevare codesta confusione -a dignità di legge. Pretesero dimostrare -che il sovrapporsi della bellezza e -della bontà dipende dalla natura delle cose -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -ed è necessario, e che il senso della voce -<i>kalokagathon</i> (che, se valeva per i Greci, non -poteva valere per i cristiani) rappresenta l’ideale -più alto del genere umano. Tutta la -nuova estetica s’aggira sopra questo equivoco; -e la sua pretensione di rifarsi all’estetica -dei Greci è tutt’altro che giustificata. -“A guardar bene — dice il Bénard nel suo -libro intorno all’estetica d’Aristotele — si -trova che in Aristotele, come anche in Platone -e ne’ suoi successori le dottrine del bello -e dell’arte sono affatte disgiunte.„ I Greci -come gli altri popoli, ritenevano buona l’arte -quando era al servizio della bontà, vale a -dire di ciò che credevano buono. Ma in loro -il senso morale era così poco svolto, che -bontà e bellezza pareva loro che coincidessero. -Del resto non ebbero mai neppure l’ombra -d’una dottrina estetica sul fare di quella -che si attribuisce loro. L’estetica è un’invenzione -dei tempi moderni, e non prese forma -scientifica se non dal Baumgarten in poi, -come appare dalla storia di codesta disciplina -filosofica, che tralasciamo per amore -di brevità. Da buon tedesco il Baumgarten, -con una cura assai pedantesca della simmetria -e dall’esattezza esteriore, e un disdegno -assoluto d’ogni osservazione di fatto, -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -fabbricò ed espose la sua teoria singolare. -Ed essa, a dispetto della sua assurdità, si -divulgò nella cerchia della gente colta, ed è -ripetuta tuttora da dotti e ignoranti come se -fosse un vero incrollabile e d’assoluta evidenza. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -<i>Habent sua fata libelli pro capite lectoris</i>; e -ancor più giustamente si può dire che <i>habent -sua fata</i>, le teorie, secondo il grado di errore -in cui si trova immersa la società nella quale -queste teorie sono inventate. Se qualche teoria -serve a giustificare la falsa posizione in -cui vive una classe della società, per quanto -si mostri infondata e apertamente falsa, è accolta -da quella tal classe della società come -articolo di fede. Questa sorte ebbe, per esempio, -la celebre e assurda dottrina del Malthus, -colla quale si sosteneva che la popolazione -della terra s’accresce in proporzione geometrica, -e i mezzi di sussistenza crescono solo in -proporzione aritmetica; quindi essere inevitabile -un affollamento eccessivo della terra. -Lo stesso è avvenuto della teoria (derivata -dalla Malthusiana), che scorge il fondamento -del progresso nella selezione e nella lotta per -la vita; ed è ciò che succede ancora della -dottrina del Marx che ci rappresenta come -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -legge fatale e inevitabile la distruzione graduale -della piccola industria privata per opera -della grande industria capitalista. Queste dottrine -possono ben mancare d’ogni fondamento, -opporsi a tutte le certezze, a tutte le speranze -del genere umano, essere scioccamente e -bruttamente immorali; tuttavia s’accolgono -senza sforzo, s’insegnano senza discussione, -talvolta per parecchi secoli, finchè non siano -scomparse le condizioni sociali che esse valevano -in certo modo a giustificare. Del medesimo -stampo è la singolare dottrina del -Baumgarten che ravvisa nel buono, nel bello, -nel vero tre manifestazioni d’un essere unico -e perfetto. -</p> - -<p> -Invano si cercano degli argomenti per puntellare -siffatta teoria. La bontà è realmente -il concetto fondamentale su cui riposa la nostra -coscienza nella sua essenza: è un concetto -che la ragione non sa definire, che nulla -può definire, ma che serve esso stesso a definire -tutto il resto; è il fine supremo, eterno -della nostra vita. La bontà è tutt’uno con -quello che chiamiamo Dio. In questo ebbe -ragione il Baumgarten. Ma la bellezza, se non -vogliamo contentarci di parole, non è se non -quello che ci fa piacere, e quindi il suo concetto -non s’agguaglia con quello della bontà, -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -anzi più presto vi si oppone, stantechè la -bontà coincide spesso con una vittoria sulle -passioni, mentre la bellezza è quasi radice -di tutte le nostre passioni. So che si parla -sempre d’una bellezza morale o spirituale, -ma con questo giochetto di parole non si fa -poi altro che designare la bontà stessa. -</p> - -<p> -Quanto a ciò che chiamiamo il vero, esso -consiste semplicemente in questo che la definizione -o spiegazione d’un oggetto s’accordi -colla realtà, o con una nozione di quell’oggetto -comune a tutte le menti; in conseguenza -possiamo dire che la verità è uno -dei mezzi per produrre la bontà, ma è ben -lontana dal confondersi con essa. Per esempio, -Socrate e il Pascal, e altri savii, pensavano -che non s’accordasse colla bontà la conoscenza -del vero intorno a soggetti inutili, -e che ci fossero delle verità malefiche, cioè -cattive. D’altra parte la verità non è in nessun -rapporto colla bellezza, e spesso le si oppone, -poichè la verità in generale ci disinganna -distruggendo l’illusione, cioè una delle condizioni -principali della bellezza. Non è egli un -fatto stupefacente che l’accozzamento arbitrario -di tre nozioni così estranee l’una all’altra -abbia potuto offrire un appiglio ad una -teoria, nel cui nome una delle più basse manifestazioni -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -dell’arte fu battezzata per arte elevatissima, -quella estrinsecazione d’arte che -ha il piacere per unico oggetto, quella contro -di cui tutti gli educatori del genere umano -hanno sollevato obbiezioni? E nessuno protesta -contro assurdità simili! I dotti scrivono -delle opere voluminose e incomprensibili, -nelle quali la bellezza è insediata come uno -dei termini d’una trinità estetica. Queste parole, -il Bello, il Vero, il Bene, colle iniziali -maiuscole, sono ripetute dai filosofi e dagli -artisti, dai poeti e dai critici che pronunziandole -pensano tutti di dire alcunchè di concreto -e di determinato, su cui possano riposare -le loro opinioni! Ora la verità è questa, -che non solo siffatte parole non hanno alcun -senso determinato, ma c’impediscono pure -di intendere un’arte qualunque in qualche -senso plausibile, come quelle che furono foggiate -solo per giustificare la falsa importanza -attribuita alla forma più bassa dell’arte; a -quella che non ha altro fine che di procurarci -un godimento. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -</p> - -<h2 id="cap7"><span class="smcap">Capitolo VII.</span> -<span class="smaller">L’arte degli eletti.</span></h2> -</div> - -<p> -Ma, se l’arte è un’attività intesa a propagare -tra gli uomini i sentimenti migliori -e più elevati della nostra anima, come si -spiega che il genere umano durante tutto -il periodo moderno abbia rinunziato a codesta -attività, sostituendovi una funzione artistica -inferiore, indirizzata unicamente al piacere? -</p> - -<p> -Per rispondere a tale quesito, occorre prima -sfatare l’errore solito per cui all’arte nostra -si attribuisce il valore d’arte universale. -Siamo tanto avvezzi a considerare ingenuamente -la nostra razza come la migliore di -tutte, che, parlando dell’arte nostra, siamo -perfettamente convinti che sia l’arte vera, -cioè la più vera e la migliore di tutte. Invece -la realtà c’insegna che la nostra arte, nonchè -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -essere la sola, non è accessibile che a una -minima parte delle nostre razze civili. S’ha -il diritto di parlare d’un’arte nazionale ebrea, -greca, egiziana, e, se si vuole, anche cinese -e indiana. Un’arte di questo genere, comune -a tutto un popolo, esistette anche in Russia -sino a Pietro il Grande, e nel resto d’Europa -sino al secolo XIII o XIV. Ma dacchè le classi -più elevate della società perdettero ogni fede -nella Chiesa, e restarono prive di credenze -religiose, non c’è più nulla che meriti il nome -d’arte europea o nazionale. A partire da quello -scetticismo religioso l’arte delle classi colte -si separò da quella del resto del popolo; e -si ebbero due arti; una per il popolo, e l’altra -per i raffinati. Perciò a chi chieda come il genere -umano abbia, nei tempi moderni, potuto -far a meno dell’arte vera, si risponde -che quella privazione non fu nè di tutto il -genere umano nè d’una parte considerevole -di esso, ma solo delle classi più elevate della -nostra società europea e cristiana. -</p> - -<p> -E gli effetti di questa mancanza d’arte si -sono palesati a sufficienza nella corruzione -delle classi che ne furono sprovviste. Tutte -le teorie nebulose e incomprensibili intorno -all’arte, tutti i giudizi falsi e contradditorii -intorno ai suoi prodotti, e in particolare la -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -persistenza della nostra arte a impantanarsi -nella sua cattiva strada, tutto ciò derivò da -quest’affermazione generalmente ammessa, -nonostante la sua assurdità, che l’arte delle -nostre classi elevate è tutta l’arte, l’arte vera, -la sola arte, l’arte universale. Mentre noi sosteniamo -che ha solamente valore l’arte che -ci appartiene, i due terzi del genere umano -vivono e muoiono senza sospettare nulla di -quest’arte unica e suprema. E anche in questa -nostra società cristiana ne godrà forse -un uomo su cento; gli altri novantanove vivono -e muoiono di generazione in generazione, -oppressi dal lavoro, senza fruire mai -della nostra arte; essa del resto è tale, che, -quand’anche potessero accedervi, non la intenderebbero. -Si potrà rispondere che se al -presente non fruiscono tutti dell’arte esistente, -ciò non dipende da questa, ma dal cattivo organismo -della nostra società, e che il futuro -ci permette di sperare uno stato di cose, in -cui il lavoro materiale sia in parte compiuto -dalle macchine, in parte alleggerito da una -distribuzione più equa. Allora nessuno sarà -più costretto a rimaner tutta la vita dietro le -quinte per muovere i scenari, o a sonare il -corno nell’orchestra, o a stampare dei libri; -le persone addette a tali servizi non ci lavoreranno -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -che poche ore al giorno, e durante -i riposi si potranno godere le benedizioni dell’arte. -</p> - -<p> -Così parlano i difensori dell’arte presente. -Ma io sono convinto che non credono neppure -essi a quello che dicono. Non possono -ignorare che l’arte, quale è intesa da loro, -richiede per condizione necessaria l’oppressione -delle moltitudini, e senza tale oppressione -non si reggerebbe. È indispensabile che -una folla d’operai si fiacchi al lavoro, perchè -i nostri artisti, scrittori, musicisti, ballerini -e pittori tocchino quel grado di perfezione che -li rende atti a farci godere. Liberate gli schiavi -del capitale, e diventerà tanto impossibile -produrre un’arte simile, quanto è ora impossibile -ammettere questi schiavi a goderne. -</p> - -<p> -Ma supponendo pure possibile ciò che è -impossibile, cioè che si trovi un mezzo di rendere -l’arte attuale accessibile al popolo, sorge -un’altra considerazione a dimostrarci che -un’arte siffatta non può essere universale; -ed è questa: che essa è del tutto inintelligibile -per il popolo. Nei tempi andati certi poeti -scrivevano in latino; ora i prodotti artistici -dei nostri poeti sono impenetrabili alla comune -degli uomini, come se fossero scritti -in sanscrito. Si vorrà dire che il fatto sia imputabile -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -alla mancanza di cultura nel popolo, -e che quando tutti saranno istruiti a sufficienza, -tutti potranno capire la nostra arte? -Sarebbe un’altra risposta insulsa; poichè sappiamo -che sempre l’arte delle classi più elevate -fu un mero passatempo per queste senza -che il resto della gente ci capisse nulla. Le -classi inferiori poterono dirozzarsi a loro talento; -l’arte in origine non fatta per loro è -sempre rimasta loro inaccessibile. Ed è e rimarrà -sempre estranea ad esse per natura, -in quanto esprime e propaga dei sentimenti -proprii a una certa classe ed estranei al restante -degli uomini. -</p> - -<p> -Così, per esempio, quei sentimenti che formano -l’argomento capitale dell’arte contemporanea, -come a dire il punto d’onore, il patriottismo, -la galanteria e la sensualità, non -possono suscitare nei popolani che stupore, -oppur disprezzo e indegnazione. Se anche alle -classi operaie è concessa la possibilità di vedere, -di leggere, di udire, nelle ore di libertà, -ciò che forma il fiore dell’arte contemporanea -(e sino a un certo grado ciò torna loro possibile -nelle città, a cagione dei musei, dei -concerti popolari, delle biblioteche), l’uomo di -queste classi, se non è pervertito, e conserva -il sentire proprio del suo stato, non potrà ricavare -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -alcun profitto dalla nostra arte, e non -l’intenderà punto; e ciò che gli riuscirà intelligibile -non sarà tale da innalzare il suo -animo, ma sì da guastarlo. Per uno che pensi, -e voglia essere sincero, non v’ha dubbio che -l’arte delle classi più elevate non può diventar -quella di tutta la nazione. Ora se l’arte ha -l’importanza che le si attribuisce, se come si -compiacciono di dire i suoi divoti, uguaglia -in importanza la religione, dovrebbe essere -accessibile a tutti. E poichè oggi non è tale, -è forza dire che o l’arte non ha l’importanza -che si pretende, o che la nostra così detta -arte non è l’arte vera. -</p> - -<p> -Codesto dilemma è inevitabile, epperò taluni, -scaltri e immorali a un tempo, cercano -di eluderlo negando formalmente che il volgo -abbia diritto a fruire dell’arte. Costoro con -perfetta impudenza proclamano, che ad assaporare -le gioie dell’arte sono ammessi solo -i <i>begl’ingegni</i>, gli <i>eletti</i>, anzi i <i>superuomini</i>, -per dirla col Nietzsche; e tutti gli altri uomini, -gregge abbietto e incapace di gustare quelle -gioie, devono contentarsi di prepararle per -quegli esseri supremi. -</p> - -<p> -Questa affermazione offre, se non altro, il -vantaggio di non voler conciliare l’inconciliabile, -e di ammettere apertamente che la nostra -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -arte è fatta solo per una classe di privilegiati. -Ed è tale per l’appunto; nè lo ignorano -in fondo tutti coloro che vi si accostano, -dichiarando pur sempre con insistenza che -codesta arte delle classi elevate è l’arte vera, -la sola che il genere umano debba riconoscere -per tale. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -</p> - -<h2 id="cap8"><span class="smcap">Capitolo VIII.</span> -<span class="smaller">Gli effetti dell’arte pervertita; -l’impoverimento della materia artistica.</span></h2> -</div> - -<p> -Lo scetticismo delle classi superiori ebbe -questo effetto: che invece d’un’arte rivolta a -propagare i sentimenti più elevati, quelli che -sgorgano da un concetto religioso della vita, -se n’ebbe un’arte col solo intento di procurare -a una certa classe della società la massima -somma di piacere. E dell’immenso dominio -dell’arte non si coltivò se non quella -parte che meglio rispondesse a quest’ultimo -uffizio. -</p> - -<p> -Per tacere degli effetti morali derivati alla -società europea da un cotale pervertimento -nel concetto dell’arte, diremo solo che questo -pervertimento ha indebolito l’arte stessa, e -in certo modo, l’ha uccisa. In primo luogo -fece sì che l’arte, proponendosi il piacere -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -come suo unico oggetto, si privasse di quella -sorgente d’argomenti così varia e profonda, -che avrebbero potuto essere per lei i concetti -religiosi della vita. In secondo luogo per esso -avvenne, che l’arte, rivolgendosi a una cerchia -ristretta di persone, perdesse la sua bellezza -formale, e diventasse oscura e affettata. -In terzo luogo l’arte cessò d’essere spontanea -e sincera, e divenne artifiziata e ricercata. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Il primo di codesti tre effetti, cioè l’impoverimento -delle sorgenti d’ispirazione, si sentì -fatalmente, non appena l’arte si fu staccata -dalle nozioni religiose. Il merito degli argomenti -nelle opere artistiche dipende dal -nuovo; e i prodotti dell’arte valgono essenzialmente -in quanto diffondono sentimenti -nuovi. Come nell’ordine dell’intelletto un’idea -non vale, quando non sia nuova e si limiti -a ripetere ciò che già sappiamo, così non -vale un’opera d’arte se non quando infonde -nella corrente della vita umana un sentimento -nuovo, grande o piccolo. Ora l’arte s’è -privata della fonte da cui potevano scaturire -nuovi sentimenti, quando cominciò a fare -stima dei sentimenti non più secondo il concetto -religioso che esprimono, ma secondo il -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -grado di piacere che procurano. Invero non -c’è cosa meno variabile e più costante del -piacere, e nulla di più vario che i sentimenti -germogliati dalla coscienza religiosa delle varie -età. Nè potrebbe essere diversamente: il -piacere ha dei limiti segnati dalla natura; invece -il progresso del genere umano non ha -limiti. Ad ogni passo che fa nel progresso il -genere umano, vogliam dire nel vero progresso, -derivante da un nuovo sviluppo della -coscienza religiosa, gli uomini provano dei -nuovi sentimenti. Solo dalla coscienza religiosa -possono scaturire nuove emozioni, non -ancora mai provate. Dalla coscienza religiosa -dei greci defluirono i sentimenti così nuovi, -importanti e vari, che troviamo espressi in -Omero e nei grandi tragici. Analogo è il caso -degli Ebrei giunti al concetto d’un Dio unico; -dal qual concetto scaturiscono gli affetti così -freschi e gagliardi che furono resi dai profeti. -La stessa cosa si può ripetere per i poeti -del medio evo, e sarebbe lo stesso anche -oggi per chi si rifacesse al concetto religioso -del vero Cristianesimo. -</p> - -<p> -La varietà dei sentimenti generati dalle -concezioni religiose è grandissima; e codesti -sentimenti riescono sempre nuovi, perchè i -concetti religiosi sono sempre l’indice del futuro, -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -cioè di nuovi rapporti dell’uomo col -mondo esterno. Per contro, quelli dovuti alla -caccia del piacere sono ristretti, e, inoltre, -provati e arciprovati da un pezzo. Perciò lo -scetticismo delle classi superiori condannò -l’arte a nutrirsi dell’alimento più magro e più -povero di tutti. -</p> - -<p> -Codesto impoverimento delle sorgenti dell’ispirazione -s’accrebbe anche per questo: che -codesta arte, cessando d’essere religiosa, -cessò pure d’essere popolare, e restrinse la -gamma dei sentimenti che poteva trasfondere. -Infatti il numero dei sentimenti che provano -i ricchi e i potenti, ignari dell’importanza del -lavoro, è molto più ristretto e insignificante -che non sia quello dei sentimenti naturali -dei lavoratori. So che nelle riunioni dei nostri -raffinati si sostiene precisamente il contrario. -Mi ricordo che il romanziere Gontciarof, -uomo istruito e intelligentissimo ma dato -alla vita di città, un giorno mi disse che dopo -il Turghenief non restava più nulla a scrivere -intorno alla vita delle classi inferiori, come -se quell’argomento fosse esaurito. La vita dei -contadini gli sembrava così miserabile, che -i racconti villerecci del Turghenief l’avevano -sviscerata per intiero; all’incontro la vita dei -ricchi, colla loro galanteria e il loro malcontento -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -di tutto, gli pareva un soggetto inesauribile. -</p> - -<p> -Un gentiluomo, poniamo, dava un bacio -alla sua dama sulla mano, un altro sulla -spalla, un terzo sulla nuca. Uno era annoiato -per il non far nulla, un altro perchè sentiva di -non esser amato. E Gontciarof era convinto -che quella sfera offriva all’artista un’infinita -varietà di soggetti. Quanti non la pensano -come lui! Quanti credono, come lui, che la -vita dei lavoratori sia povera di soggetti artistici, -e quella di noi oziosi ne sia riboccante! -La vita del lavoratore coll’infinita varietà -delle forme di lavoro e del pericolo che -le accompagna, le migrazioni dell’operaio -stesso, i suoi rapporti verso i padroni, i sorveglianti, -i compagni, verso uomini d’altre -religioni e d’altre nazioni, le sue lotte contro -la natura e gli animali, le sue occupazioni -nella selva, nella steppa, nei campi, nei giardini, -i suoi rapporti colla moglie e coi figli, -i suoi piaceri e i suoi dolori, tutto questo ci -sembra monotono a petto delle piccole gioie -e delle cure meschine della nostra vita, che -non è vita di lavoro e di produzione, ma di -consumo e di distruzione di quanto altri ha -prodotto per noi. -</p> - -<p> -Noi c’imaginiamo che i sentimenti provati -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -dalle persone della nostra classe e del nostro -tempo siano molto importanti e svariati; ma -in realtà è vero l’opposto, e si può ben dire -che tutti i sentimenti della nostra classe si -riducono a tre categorie semplici e mediocri: -1.º il sentimento della vanità, al quale si rannodano -l’ambizione e il dispregio per gli altri; -2.º il sentimento del desiderio sessuale, -rivelantesi in forme diverse, partendo dalla -galanteria divinizzata dai poeti per giungere -alla sensualità più grossolana e più ignobile; -3.º il sentimento di tedio per la vita. Questi -tre sentimenti, e i loro derivati, formano all’incirca -l’unica materia dell’arte per le classi -agiate. -</p> - -<p> -Subito al primo separarsi di quest’arte -nuova dedicata al piacere dall’arte del popolo, -vediamo predominare nel nuovo genere -il sentimento della vanità, dell’ambizione e -del disprezzo per gli altri. Nel Rinascimento, -e per molto tempo appresso, soggetto principale -delle opere d’arte è l’elogio dei potenti, -papi, re e duchi; si scrivono odi e madrigali -in loro onore, essi vengono celebrati nei cori -e negl’inni, sono riprodotti sulle tele e nei -marmi. -</p> - -<p> -In seguito cominciò a penetrare sempre -più nell’arte l’elemento del desiderio sessuale; -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -ed esso oramai, salvo rare eccezioni, costituisce -il nocciolo dei prodotti d’arte destinati -alle classi ricche, particolarmente dei -romanzi. Dal Boccaccio a Marcello Prévost, -i romanzi, i racconti, le poesie esprimono -il sentimento dell’amore sessuale nelle varie -sue forme. L’adulterio è il tema favorito, -per non dire l’unico, di tutti i romanzi. Ogni -spettacolo di teatro soggiace alla condizione -indispensabile che, con un pretesto qualunque, -compaiano sulla scena delle donne col -petto e le gambe denudate. Le opere e le -canzonette sono consacrate a idealizzare la -lussuria. La maggior parte dei quadri francesi -rappresenta il nudo femminile. Nella recente -letteratura francese è molto se s’incontra -una pagina, in cui non ricorra l’aggettivo -“nudo„. -</p> - -<p> -Un certo Rémy de Gourmont trova chi lo -stampa, e passa per autore d’ingegno; per formarmi -un concetto di questi recentissimi scrittori, -lessi il suo romanzo <i>les chevaux de Diomède</i>. -È un rendiconto particolareggiato delle -relazioni sessuali di alcuni signori con alcune -signore. Lo stesso si dica dell’<i>Aphrodite</i> di -Pierre Louys, che ha avuto un successo enorme. -Evidentemente questi autori sono persuasi -che, come essi passano la vita a imaginare -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -diverse abbominazioni sessuali, così -il mondo intiero non debba far altro che imaginarne -esso pure. E costoro trovano infiniti -imitatori tra tutti gli artisti d’Europa e d’America. -</p> - -<p> -Il terzo dei grandi sentimenti espressi dall’arte -dei ricchi, quello del malcontento universale, -manifestatosi più tardi che non gli -altri due, non assunse tutta la sua importanza -che nel nostro secolo, e trovò i suoi rappresentanti -più efficaci nel Byron e nel Leopardi, -e dipoi nell’Heine. Oggi s’è fatto generale, -e lo si ravvisa ripetuto nelle varie opere -d’arte, ma sovrattutto nelle poesie. Gli uomini -vivono di una vita sciocca e cattiva, e ne -danno la colpa all’ordine dell’universo. Ecco -del resto con quanta verità il critico francese -Doumic tratteggia il carattere delle opere della -nuova scuola: “È la stanchezza della vita, -il disprezzo dell’età presente, il rimpianto di -altri tempi, intravisti attraverso il prisma -dell’arte, l’amore del paradossale, il bisogno -di mostrarsi originali, uno spasimare di raffinati -verso il semplice, l’adorazione puerile -del maraviglioso, la seduzione morbosa del -fantasticare, l’alterazione dei nervi, — sovrattutto -lo stimolo furibondo della sensualità.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -</p> - -<p> -A questo modo la miscredenza delle classi -ricche e la loro vita eccezionale produssero -il primo effetto d’immiserire la materia dell’arte -loro propria, che s’è abbassata a non -esprimere più altro se non i tre sentimenti -della vanità, dello stimolo sessuale, e del tedio -per la vita. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -</p> - -<h2 id="cap9"><span class="smcap">Capitolo IX.</span> -<span class="smaller">Gli effetti dell’arte pervertita; -la ricerca dell’oscurità.</span></h2> -</div> - -<p> -Il primo effetto della mancanza di fede -nelle classi più elevate fu per l’arte loro l’impoverimento -della materia. Un secondo malanno -fu questo, che codesta arte, facendosi -sempre più esclusiva, veniva diventando di -pari passo più artificiosa, più inceppata e più -oscura. -</p> - -<p> -Nelle età di arte universale un artista, per -esempio uno scultore greco o un profeta -ebreo, nelle sue creazioni si sforzava naturalmente -di dire ciò che voleva in modo tale che -tutti potessero capire l’opera sua. Allorchè invece -gli artisti non lavorarono più che per un -numero ristretto di persone favorite da condizioni -eccezionali, vale a dire per papi, cardinali, -re, duchi, o, non foss’altro, per le ganze -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -dei principi, naturalmente s’ingegnavano solo -di far colpo su quelle persone delle quali conoscevano -bene i costumi e il gusto. E quel -genere di lavoro essendo più facile, l’artista -si trovava adescato senza saperlo a esprimersi -con allusioni, chiare per gl’iniziati, ma -oscure per tutti gli altri. A quel modo era -facile amplificare; e poi anche agl’iniziati il -vago e l’indefinito presentava una cotale attrattiva. -Siffatta tendenza, che si rivelava -nelle allusioni mitologiche e storiche e negli -eufemismi, proseguì ad accentuarsi fino all’età -presente, nella quale pare abbia toccato -il suo limite estremo coll’arte dei moderni -decadenti. In ultima analisi essa è giunta a -segno, che nelle opere artistiche non solo furono -elevate a pregi, — anzi a condizioni di -poesia, — l’affettazione, la confusione, l’oscurità, -il sottrarsi all’intelligenza della moltitudine, -ma sono avviate a diventare meriti artistici -anche le scorrezioni, le incertezze, le -mende tecniche d’ogni guisa. -</p> - -<p> -Teofilo Gautier, nella sua prefazione al celebre -libro del Baudelaire <i>Fleurs du mal</i>, dice -che il Baudelaire sbandiva più che potesse -dalla poesia “l’eleganza, la passione, e la -verità riprodotta con troppa esattezza„. -</p> - -<p> -Il poeta Verlaine venuto dopo il Baudelaire, -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -e riputato anch’esso uno dei grandi, lasciò -un’<i>Arte poetica</i> in cui raccomanda di scrivere -così: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">De la musique avant toute chose,</p> -<p class="i01">Et, pour cela, préfère l’Impair,</p> -<p class="i01">Plus vague et plus soluble dans l’air,</p> -<p class="i01">Sans rien en lui qui pèse ou qui pose.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Il faut aussi que tu n’ailles point</p> -<p class="i01">Choisir tes mots sans quelque méprise,</p> -<p class="i01">Rien de plus cher que la chanson grise;</p> -<p class="i01">Où l’Indécis au Précis se joint.</p> -<p class="i01 dotted">. . . . . . . . . . . . . . . . . .</p> -</div></div> - -<p> -E più sotto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">De la musique encor et toujours!</p> -<p class="i01">Que ton vers soit la chose envolée</p> -<p class="i01">Qu’on sent qui fuit d’une âme en allée</p> -<p class="i01">Vers d’autres cieux à d’autres amours!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Que ton vers soit la bonne aventure</p> -<p class="i01">Éparse au vent crispé du matin,</p> -<p class="i01">Qui va fleurant la menthe et le thym....</p> -<p class="i01">Et tout le reste est littérature.</p> -</div></div> - -<p> -Il poeta Mallarmé che, dopo i due predetti, -è ritenuto dai giovani come il più ragguardevole, -dichiara apertamente che l’attrattiva -della poesia sta nel doverne indovinare il -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -significato, e che ogni composizione poetica -deve sempre contenere un enigma: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p> -“Io penso che occorre non ci sia altro che allusione. La -contemplazione degli oggetti, l’imagine liberantesi dalle -fantasticherie suscitate per essi, sono il canto. I Parnassiani, -loro, prendono la cosa intieramente, e la mostrano; -con ciò, essi mancano di mistero; tolgono alle -menti quella gioia deliziosa che proviene dal credere di -creare. Nominare un oggetto è sopprimere i tre quarti -del godimento della poesia, che è fatta della felicità -d’indovinare a poco a poco; suggerirlo, ecco l’ideale. È -il perfetto uso di questo mistero che costituisce il simbolo; -evocare a poco a poco un oggetto per palesare uno -stato d’anima, o, a rovescio, scegliere un oggetto e svilupparne -uno stato d’anima con una serie d’interpretazioni.... -Se un essere d’intelligenza media e d’una preparazione -letteraria insufficiente apre a caso un libro -così fatto, e pretende di poterne godere, c’è malinteso, -bisogna dissiparlo. Nella poesia ci deve sempre -essere dell’enigma; ed il fine della letteratura, l’unico, -è quello di evocare gli oggetti.„ (Risposta di <span class="smcap">Mallarmé</span> -a <span class="smcap">J. Huret</span> nell’<i>Enquête sur l’évolution littéraire</i>). -</p> -</div> - -<p> -Come vede ognuno, si tratta dell’oscurità -eretta a dogma artistico. E il critico francese -Doumic, al quale codesto dogma non va ancora -a sangue, dice con ragione: “Sarebbe -ora di farla finita con questa famosa dottrina -dell’oscurità, che la nuova scuola ha realmente -elevata all’altezza d’un dogma„. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -</p> - -<p> -A pensare così non sono soltanto i giovani -artisti francesi. Dappertutto i poeti pensano -e fanno il medesimo, in Germania, nella -Scandinavia, in Italia, in Russia, in Inghilterra. -Gli stessi principii ritornano pure fra -i cultori di altre ramificazioni dell’arte, fra i -pittori, gli scultori, i musicisti. Appoggiandosi -alle dottrine del Nietzsche e all’esempio del -Wagner gli artisti delle nuove generazioni -credono inutile per loro di farsi intendere -dalla moltitudine; si contentano di evocare -il sentimento poetico in una schiera eletta di -raffinati. -</p> - -<p> -Affinchè non si creda che le mie affermazioni -sieno esagerate, citerò alcuni passi dei -poeti francesi che si posero alla testa del movimento -decadente. Questi poeti si chiamano -legione. Se poi cito soltanto dei Francesi, egli -è perchè ora sono essi i corifei del nuovo -movimento artistico, mentre il resto d’Europa -si contenta d’imitarli. Oltre a quelli già ritenuti -celebri, come il Baudelaire e il Verlaine, -eccovi i nomi di alcuni altri: Jean Moréas, -Charles Morice, Henri de Régnier, Charles -Vignier, Adrien Remacle, René Ghil, Maurice -Maeterlinck, Rémy de Goumont, Saint-Pol-Roux-le-Magnifique, -Georges Rodenbach, il -conte Robert de Montesquiou-Fezenzac. Questi -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -sono i <i>simbolisti</i> e i <i>decadenti</i>; ma ci sono -altresì i <i>magi</i>: il Sâr Peladan, Paul Adam, -Jules Bois, Papus, e altri. E potreste leggere -altri cento quarantun nomi, mentovati dal -Doumic nel suo libro <i>Les jeunes</i>. -</p> - -<p> -Ecco pertanto alcuni saggi di coloro che -sono ritenuti fra i migliori, cominciando da -quel celebre Baudelaire, che fu giudicato degno -dell’onore d’una statua. Udite questa poesia -appartenente ai suoi <i>Fleurs du mal</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Je t’adore à l’egal de la voûte nocturne,</p> -<p class="i01">O vase de tristesse, ô grande taciturne,</p> -<p class="i01">Et t’aime d’autant plus, belle, que tu me fuis,</p> -<p class="i01">Et que tu me parais, ornement de mes nuits,</p> -<p class="i01">Plus ironiquement accumuler les lieues</p> -<p class="i01">Qui séparent mes bras des immensités bleues.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Je m’avance à l’attaque, et je grimpe aux assauts,</p> -<p class="i01">Comme après un cadavre un chœur de vermisseaux,</p> -<p class="i01">Et je chéris, ô bête implacable et cruelle,</p> -<p class="i01">Jusqu’à cette froideur par où tu m’es plus belle!</p> -</div></div> - -<p> -Trascriviamo un sonetto dello stesso autore: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i06">DUELLUM.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Deux guerriers ont couru l’un sur l’autre; leurs armes</p> -<p class="i01">Ont éclaboussé l’air de lueurs et de sang.</p> -<p class="i01">Ces jeux, ces cliquetis du fer, sont les vacarmes</p> -<p class="i01">D’une jeunesse en proie à l’amour vagissant.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Les glaives sont brisés! comme notre jeunesse,</p> -<p class="i01">Ma chère! Mais les dents, les ongles acérés</p> -<p class="i01">Vengent bientôt l’épée et la dague traîtresse;</p> -<p class="i01">O fureur des cœurs mûrs par l’amours ulcérés!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Dans le ravin hanté des chats-pards et des onces</p> -<p class="i01">Nos héros, s’étreignant méchamment, ont roulé,</p> -<p class="i01">Et leur peau fleurira l’aridité des ronces.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ce gouffre, c’est l’enfer, de nos amis peuplé!</p> -<p class="i01">Roulons-y sans remords, amazone inhumaine,</p> -<p class="i01">Afin d’éterniser l’ardeur de notre haine!</p> -</div></div> - -<p> -Per la sincerità debbo aggiungere che nella -raccolta citata (<i>Fleurs du mal</i>) ci sono altresì -delle poesie meno difficili a capirsi, ma nessuna -è così semplice che si possa intendere -senza sforzo; e di solito lo sforzo non è compensato, -poichè i sentimenti espressi dal poeta -non sono belli, e in genere appartengono a un -ordine assai basso. Inoltre sono esposti a bello -studio con eccentricità, e senza alcun riguardo -per il buon senso. La ricerca dell’oscurità riesce -ancora più evidente nella sua prosa, in -cui, se volesse, gli sarebbe più facile parlar -chiaramente. Eccovi, tradotto letteralmente, il -primo numero dei suoi <i>Petits poèmes en prose</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i06">LO STRANIERO.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Chi ami di più, uomo enigmatico, dimmi, tuo padre, tua madre, tua sorella, o tuo fratello?</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span></p> -<p class="i01">Non ho nè padre, nè madre, nè sorella, nè fratello.</p> -<p class="i01">I tuoi amici?</p> -<p class="i01">Voi vi servite d’una parola il senso della quale m’è rimasto ignoto sino a oggi.</p> -<p class="i01">La tua patria?</p> -<p class="i01">Ignoro sotto che latitudine si trovi.</p> -<p class="i01">La bellezza?</p> -<p class="i01">L’amerei volontieri, dea e immortale.</p> -<p class="i01">L’oro?</p> -<p class="i01">Lo detesto, come voi detestate Dio.</p> -<p class="i01">Che cos’ami allora, singolarissimo straniero?</p> -<p class="i01">Amo le nubi.... le nubi che passano.... laggiù.... le nubi meravigliose!</p> -</div></div> - -<p> -La composizione intitolata <i>La Soupe et les -Nuages</i>, secondo ogni apparenza fu fatta per -dimostrare che il poeta sa restare incomprensibile -persino alla donna amata. Eccola: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p> -La mia cara pazzerella mi dava da desinare, e, attraverso -la finestra spalancata della sala da pranzo, io contemplavo -le mobili architetture che Dio fabbrica coi vapori, -le costruzioni meravigliose dell’impalpabile. E dicevo -a me stesso durante la mia contemplazione: “Tutte -queste fantasmagorie sono belle quasi come gli occhi della -mia bella dama, la pazzerella mostruosa dagli occhi verdi.„ -</p> - -<p> -A un tratto ricevetti un forte pugno nella schiena e -udii una voce roca e graziosa, una voce isterica e come -velata per l’acquavite, la voce della mia cara piccola -adorata, che mi diceva: “Volete o non volete mangiare -la minestra, sudic.... d’un mercante di nuvoli?„ -</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -</p> - -<p> -Per quanto sia ricercato lo stile di questo -frammento con un po’ di buona volontà si -può ancora indovinare ciò che volle esprimere -l’autore; ma ve n’ha di quelli che sono -assolutamente incomprensibili, almeno per -me. Adduco per esempio il <i>Galant tireur</i>, del -quale mi sfugge affatto il senso: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p> -Mentre la carrozza traversava il bosco, egli la fece fermare -presso a un tiro a segno, dicendo che aveva gusto -di tirare qualche palla per ammazzare il tempo. -</p> - -<p> -Ammazzare quel mostro, non è forse l’occupazione più -comune e più legittima di ciascuno? E da buon cavaliere -offerse la mano alla sua cara, deliziosa, esecrabile moglie, -alla quale è debitore di tanti piaceri, di tanti dolori -e fors’anco d’una gran parte del suo talento. -</p> - -<p> -Parecchie palle fallirono il segno; anzi una andò a -ficcarsi nel soffitto; e poichè quella graziosa creatura -rideva pazzamente dell’incapacità di suo marito, questi -si voltò bruscamente verso di lei, e le disse: “Guardate -laggiù a destra quella bambola che ha il naso per aria, -e una cera così orgogliosa. Ebbene, angelo caro, mi figuro -che siate voi„. E chiuse gli occhi, e fece scattare -il grilletto. La bambola fu decapitata di netto. -</p> - -<p> -Allora egli facendo un inchino alla sua cara, deliziosa, -esecrabile moglie, alla sua Musa inevitabile e inesorabile, -e baciandole rispettosamente la mano, soggiunse: “Angelo -caro, quanto vi ringrazio della mia abilità!„ -</p> -</div> - -<p> -I parti poetici dell’altro (grande poeta), il -Verlaine, non sono meno affettati e incomprensibili. -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -Udite la prima poesia della raccolta -intitolata <i>Ariettes oubliées</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">C’est l’extase langoureuse,</p> -<p class="i01">C’est la fatigue amoureuse,</p> -<p class="i01">C’est tous les frissons des bois</p> -<p class="i01">Parmi l’étreinte des brises,</p> -<p class="i01">C’est, vers les ramures grises,</p> -<p class="i01">Le chœur des petites voix.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">O le frêle ot frais murmure!</p> -<p class="i01">Cela gazouille et susurre,</p> -<p class="i01">Cela ressemble au cri doux</p> -<p class="i01">Que l’herbe agitée expire....</p> -<p class="i01">Tu dirais, sous l’eau qui vire,</p> -<p class="i01">Le roulis sourd des cailloux.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Cette âme qui se lamente</p> -<p class="i01">En cette plainte dormante</p> -<p class="i01">C’est la nôtre, n’est-ce pas?</p> -<p class="i01">La mienne, dis, et la tienne,</p> -<p class="i01">Dont s’exhale l’humble antienne</p> -<p class="i01">Par ce tiède soir, tout bas?</p> -</div></div> - -<p> -Che cosa sia codesto <i>chœur des petites voix, -e quel cri doux que l’herbe agitée expire</i>, e che -voglia dire tutta la poesia, confesso che non -sono riuscito a capirlo. Eccovi un’altra ariette: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Dans l’interminable</p> -<p class="i01">Ennui de la plaine,</p> -<p class="i01">La neige incertaine</p> -<p class="i01">Luit comme du sable.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Le ciel est de cuivre,</p> -<p class="i01">Sans lueur aucune</p> -<p class="i01">On croirait voir vivre</p> -<p class="i01">Et mourir la lune.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Comme des nuées,</p> -<p class="i01">Flottent gris les chênes</p> -<p class="i01">Des forêts prochaines</p> -<p class="i01">Parmi les buées.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Le ciel est de cuivre,</p> -<p class="i01">Sans lueur aucune.</p> -<p class="i01">On croirait voir vivre</p> -<p class="i01">Et mourir la lune.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Corneille poussive,</p> -<p class="i01">Et vous, les loups maigres,</p> -<p class="i01">Par ces bises aigres</p> -<p class="i01">Quoi donc vous arrive?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Dans l’interminable</p> -<p class="i01">Ennui de la plaine,</p> -<p class="i01">La neige incertaine</p> -<p class="i01">Luit comme du sable.</p> -</div></div> - -<p> -Come mai può sembrare che la luna viva -e muoia in un <i>ciel de cuivre, sans lueur aucune</i>? -E come mai la neve può <i>luire comme -du sable</i>? Tutto ciò non è soltanto incomprensibile, -ma colla scusa della suggestione -d’impressioni, è un tessuto di metafore scorrette -e di parole senza senso. Del resto nel -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -Verlaine come nel Baudelaire insieme a codeste -poesie ricercate e incomprensibili, ce -ne sono delle altre facili a capirsi; ma in cambio -mi paiono misere di sostanza e di forma. -Per esempio, le poesie che formano la raccolta -intitolata <i>Sagesse</i>, sono dedicate principalmente -all’espressione mediocrissima dei -più volgari sentimenti cattolici e patriottici. -Vi s’incontrano delle strofe come la seguente; -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Je ne veux plus penser qu’à ma mère Marie,</p> -<p class="i01">Siège de la sagesse et source de pardons,</p> -<p class="i01">Mère de France aussi, de qui nous attendons</p> -<p class="i01">Inébranlablement l’honneur de la patrie.</p> -</div></div> - -<p> -Prima di addurre dei saggi di altri poeti, -non posso trattenermi dall’insistere sulla gloria -straordinaria di questi due autori, Baudelaire -e Verlaine, oggi riconosciuti in tutta -l’Europa come i più grandi ingegni della poesia -moderna. Perchè mai i Francesi, che ebbero -Chénier, Lamartine, Musset, e soprattutto -Vittor Hugo, che recentemente ancora -hanno avuti i Parnassiani, Lecomte de Lisle, -Sully Prudhomme, perchè mai hanno potuto -dare un’importanza così smisurata e decretare -una gloria così alta a questi due poeti, -così imperfetti di forma, e così volgari e bassi -nella sostanza degli argomenti? Il concetto -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -che il Baudelaire aveva della vita consisteva -nell’erigere in teoria l’egoismo più grossolano, -e nel sostituire alla moralità un ideale -discretamente nebuloso della bellezza, e d’una -bellezza affatto artificiale. Il Baudelaire sosteneva -di preferire un viso di donna imbellettato -al medesimo viso col colorito naturale; -gli alberi metallici e l’imitazione dell’acqua -sulla scena gli piacevano di più che non i veri -alberi e la vera acqua. La filosofia dell’altro -poeta, del Verlaine, consisteva nella più abbietta -dissolutezza, nel confessare la propria -impotenza morale, e nella più grossolana idolatria -cattolica presa come antidoto di quella -impotenza. Avevano poi entrambi in comune -la mancanza assoluta di sincerità, di freschezza -e di semplicità, ed erano pieni d’affettazione, -di pretensioni e di smania per l’eccentricità. -Nei loro scritti migliori troviamo -sempre il signor Baudelaire o il signor Verlaine -piuttostochè l’argomento di cui sembrano -occuparsi. E dire che quei due cattivi -poeti hanno fatto scuola, e si trascinano dietro -delle centinaia d’imitatori! È un fatto veramente -strano: e non ne vedo altra spiegazione -che questa: cioè che l’arte di quella società -nella quale nascono produzioni simili, -non è cosa seria, importante per la vita, ma -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -un semplice spasso. Ora ogni spasso troppo -ripetuto finisce coll’annoiare. Quindi per rendere -di nuovo sopportabile un passatempo -che ci annoia, occorre rinfrescarlo. -</p> - -<p> -Quando si è sazi del <i>boston</i>, si gioca a -<i>whist</i>; se il <i>whist</i> ci ha ristucchi, ci volgiamo -al <i>picchetto</i>, e dopo questo all’<i>écarté</i>, e via dicendo. -La sostanza del trastullo rimane la -stessa; cambia soltanto la forma. Così avviene -per codest’arte; la materia che le appartiene -s’è ristretta a segno, che oramai agli artisti -delle classi superiori sembra che tutto sia rifritto, -e non ci sia più nulla da dire. Quindi -il bisogno di cercar sempre delle forme nuove -per rinfrescare l’arte loro. -</p> - -<p> -Il Baudelaire e il Verlaine inventarono per -l’appunto delle forme nuove, le condirono di -particolari pornografici ai quali prima di loro -nessuno s’era degnato di abbassarsi; tanto -bastò perchè fossero salutati grandi scrittori -dai critici e dal pubblico delle classi colte. -</p> - -<p> -Il successo non solo del Baudelaire e del -Verlaine, ma di tutta la scuola decadente, -non si spiega altrimenti. Ci sono in particolar -modo delle poesie del Mallarmé e del Maeterlinck -che, a leggerle, sono prive di senso, -e nonostante questa graziosa loro proprietà, -anzi forse per questa, si stampano a decine -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -d’edizioni, e vengono inserite nelle antologie -delle migliori produzioni appartenenti ai giovani -poeti. Si legga per esempio questo sonetto -del Mallarmé: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">A la nue accablante tu,</p> -<p class="i01">Basse de basalte et de laves,</p> -<p class="i01">A même les échos esclaves,</p> -<p class="i01">Par une trompe sans vertu,</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Quel sépulcral naufrage (tu</p> -<p class="i01">Le sais, écume, mais y baves),</p> -<p class="i01">Suprême une entre les épaves,</p> -<p class="i01">Abolit le mât dévêtu;</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ou cela que furibond faute</p> -<p class="i01">De quelque perdition haute</p> -<p class="i01">Tout l’abîme vain éployé</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Dans le si blanc cheveu qui traîne</p> -<p class="i01">Avarement aura noyé</p> -<p class="i01">Le flanc enfant d’une sirène.</p> -</div></div> - -<p> -Questa poesia non è più incomprensibile -di altri scritti, anche di prosa, dello stesso -autore. Citiamo per esempio: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p class="center"> -IL FENOMENO FUTURO. -</p> - -<p> -Un cielo pallido, sul mondo che basisce di decrepitezza, -pare voglia farla finita in un colle nuvole; i brandelli -della porpora logora dei tramonti si stingono in un -fiume, che dorme all’orizzonte sommerso nei raggi e nell’acqua. -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -Gli alberi s’annoiano, e sotto il loro fogliame imbiancato -(più dalla polvere del tempo, che non da quella -della strada) s’innalza la casa di tela del Mostratore -delle Cose Passate. Molti fanali attendono il crepuscolo -e ravvivano i visi d’una folla disgraziata, vinta dalla -malattia immortale e dal peccato dei secoli; d’uomini -accanto alle loro gracili complici, incinte dei frutti -miserabili coi quali perirà la terra. Nel silenzio inquieto -di tutti gli occhi supplicanti laggiù il sole, che, sott’acqua, -si sprofonda colla disperazione d’un grido, ecco -il semplice avviso: “Nessuna insegna vi fa dono dello -spettacolo interiore, poichè ora non c’è alcun pittore capace -di darne un’ombra triste. Io vi reco viva (e conservata -attraverso gli anni dalla scienza sovrana) una -Donna d’altri tempi. Una certa follia, originale e ingenua, -un’estasi d’oro — non so che! — detta da essa la sua -capigliatura, si piega col garbo delle stoffe intorno a un -viso illuminato dalla nudità sanguigna delle sue labbra. -Invece del vestito vano ella ha un corpo; e gli occhi — simili -alle pietre preziose! non offuscano lo sguardo che -esce dalla sua carne felice; le mammelle alzate, come -se fossero piene d’un latte perpetuo, la punta verso il -cielo, le gambe liscie che conservano il sale del mare -primitivo.„ Rammentando le loro povere spose, calve, -frolle, e piene d’orrore, i mariti s’accalcano; anch’esse -per curiosità, malinconiche, vogliono vedere. -</p> - -<p> -Quando tutti avranno contemplata la nobile creatura, -vestigio di qualche epoca già maledetta, gli uni indifferenti -perchè non avranno avuto la forza di capire; ma -altri, angosciati e le palpebre umide di lacrime rassegnate, -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -si guarderanno; mentre i poeti di questi tempi, -sentendosi ravvivare gli occhi spenti, s’avvieranno verso -la loro lampada, col cervello ebbro per un istante d’una -gloria confusa, assediati dal Ritmo, e dimentichi d’esistere -in un’età che sopravvive alla bellezza. -</p> -</div> - -<p> -Ed ecco una canzone di Maeterlinck, altro -scrittore celebre della giornata: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">“Quand il est sorti</p> -<p class="i01">(J’entendis la porte)</p> -<p class="i01">Quand il est sorti</p> -<p class="i01">Elle avait souri....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Mais quand il entra</p> -<p class="i01">(J’entendis la lampe)</p> -<p class="i01">Mais quand il entra</p> -<p class="i01">Un autre était là....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Et j’ai vu la mort</p> -<p class="i01">(J’entendis son âme)</p> -<p class="i01">Et j’ai vu la mort</p> -<p class="i01">Qui l’attend encore....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“On est venu dire</p> -<p class="i01">(Mon enfant, j’ai peur)</p> -<p class="i01">On est venu dire</p> -<p class="i01">Qu’il allait partir....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Ma lampe allumée</p> -<p class="i01">(Mon enfant, j’ai peur)</p> -<p class="i01">Ma lampe allumée</p> -<p class="i01">Me suis approchée....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“A la première porte</p> -<p class="i01">(Mon enfant, j’ai peur)</p> -<p class="i01">A la première porte</p> -<p class="i01">La flamme a tremblé....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“A la seconde porte</p> -<p class="i01">(Mon enfant, j’ai peur)</p> -<p class="i01">A la seconde porte</p> -<p class="i01">La flamme a parlé....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“A la troisième porte</p> -<p class="i01">(Mon enfant, j’ai peur)</p> -<p class="i01">A la troisième porte</p> -<p class="i01">La lumière est morte....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Et s’il venait un jour</p> -<p class="i01">Que faut-il lui dire?</p> -<p class="i01">— Dites-lui qu’on l’attendit</p> -<p class="i01">Jusqu’à s’en mourir....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Et s’il demande où vous êtes</p> -<p class="i01">Que faut-il répondre?</p> -<p class="i01">— Donnez-lui mon anneau d’or</p> -<p class="i01">Sans rien lui répondre....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Et s’il m’interroge alors</p> -<p class="i01">Sur la dernière heure?</p> -<p class="i01">Dites-lui que j’ai souri</p> -<p class="i01">De peur qu’il ne pleure....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Et s’il m’interroge encore</p> -<p class="i01">Sans me reconnaître?</p> -<p class="i01">— Parlez-lui comme une sœur,</p> -<p class="i01">Il souffre peut-être....</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Et s’il veut savoir pourquoi</p> -<p class="i01">La salle est déserte?</p> -<p class="i01">— Montrez-lui la lampe éteinte</p> -<p class="i01">Et la porte ouverte....„</p> -</div></div> - -<p> -Chi “è uscito?„ Chi “entrò?„ Chi “parla?„ -Chi “ha sorriso?„ -</p> - -<p> -Per evitare il rimprovero di aver scelto -i versi più cattivi, ho copiato, in ciascun volume, -la poesia che si trova alla pagina 28. -Gli altri versi di questi poeti non sono più -comprensibili; qualche volta si riesce, dopo -un grande sforzo, a capirne qualche cosa. -</p> - -<p> -In Francia Si contano a centinaia i poeti -che producono delle opere congeneri. E delle -altre consimili si stampano in Germania, -nella Svezia, in Italia, e da noi in Russia. E -per comporre, stampare, impaginare, e rilegare -opere siffatte si spendono milioni e milioni -di giornate laboriose; tante almeno -quante ce ne vollero per innalzare la Piramide -maggiore. -</p> - -<p> -Lo stesso poi accade in tutte le altri arti, -nella pittura, nella musica, nella drammatica; -si sciupa un lavoro infinito per rendere possibile -la produzione di opere del pari enigmatiche. -</p> - -<p> -La pittura, per esempio, in codesta via va -ancora più oltre della poesia. Presento qui -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -alcune linee estratte dal taccuino d’un amatore -di pittura, che si trovava a Parigi nel 1894: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p> -Oggi sono stato a tre esposizioni; dei simbolisti, degli -impressionisti, e dei neo impressionisti. Ho contemplato -con accuratezza e coscienza tutti i quadri, e tutti mi -hanno cagionato lo stesso stupore. La più intelligibile -delle tre esposizioni mi è parsa quella degl’impressionisti. -Pure ci ho veduti i lavori d’un certo Camillo Pissaro, così -confusi nel disegno che non riuscivo a capire da che -parte fosse voltata una testa, oppure una mano. Gli argomenti -erano di solito “effetti„: <i>Effetto di nebbia, Effetto -di sera, Tramonto del sole</i>. Nei colori predominavano l’azzurro -e il verde stridente. Ogni quadro aveva il suo colore -speciale, di cui era in certo modo tutto inondato. -Per esempio nella <i>Guardiana delle oche</i> il colore particolare -era il verdegrigio, e si avvertivano, sparse un po’ -dappertutto, delle chiazze di codesto colore sul volto -della figura, sui capelli, sulle mani, sulle vesti. Nella -stessa galleria c’erano altri dipinti di Puvis de Chavannes, -Manet, Monet, Renoir, Sisley, tutti impressionisti. -Uno di essi, che aveva un nome sul fare di <i>Redon</i>, aveva -dipinto di profilo una faccia interamente turchina. Ho -pur veduto un acquerello del Pissaro tutto fatto di -puntolini di diversi colori. Impossibile distinguere il colore -generale, tanto avvicinandosi al quadro quanto scostandosene. -</p> - -<p> -Di poi sono passato ai simbolisti. Dapprima mi sono -sforzato di esaminare i loro lavori senza chiedere spiegazioni -a nessuno, desiderando di comprenderne il senso -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -da me; ma quei lavori sfidano ogni acume d’intelligenza. -Il mio sguardo fu subito attratto da un altorilievo intagliato -nel legno, eseguito con una grossolanità inconcepibile, -e rappresentante una donna nuda, che, premendolo -colle mani, si faceva uscire dal seno un fiotto di -sangue. Il sangue scorreva e diventava a poco a poco -del colore delle glicinie. I capelli prima scendevano, poi -risalivano e si trasformavano in un albero. La figura -era tutta colorita di giallo, eccetto i capelli, che erano -neri. -</p> - -<p> -Lì vicino c’era un quadro; un mare giallo sul quale -nuotava un certo arnese che s’assomigliava parte a un -battello e parte a un cuore; all’orizzonte s’elevava un -profilo con un’aureola e certi capelli gialli, che si andavano -a confondere col mare. Alcuni degli espositori -stemperano sulla tela uno strato così spesso di colore -che l’effetto dei loro lavori tramezza tra la pittura e la -scultura. Altro quadro, ancora più strano; un profilo -d’uomo con una fiamma davanti, e dei raggi neri — rappresentanti, -a quanto mi si disse di poi, delle sanguisughe. -Alla fine ho dovuto chiedere a uno dei presenti -il significato di quegl’indovinelli. Mi chiarì che l’altorilievo -era simbolico, e rappresentava la <i>Terra</i>. Il cuore -che navigava sul mar giallo era l’<i>Illusione</i>, e l’uomo -delle sanguisughe raffigurava il <i>Male</i>. -</p> -</div> - -<p> -Ciò si faceva nel 1894. Codesta tendenza s’accentuò -dipoi sempre maggiormente. Adesso -in pittura primeggiano Boecklin, Stuck, Klinger -e altrettali. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -</p> - -<p> -Lo stesso succede nel dramma. Gli scrittori -teatrali ora ci presentano un architetto -che per qualche motivo misterioso, non ha -effettuato i suoi disegni primitivi e sublimi, -e perciò s’arrampica sul tetto d’una casa costrutta -da lui, e si precipita abbasso a capofitto.<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a> -Ora sarà una vecchia enigmatica, dedita -al mestiere di sterminare i topi, che, -senza alcun motivo concepibile, conduce un -ragazzetto al mare, e ve lo annega. Oppure saranno -dei ciechi i quali, sedendo sulla riva dell’acqua, -ripetono all’infinito le stesse parole.<a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a> -Oppure una campana che si slancia in un -lago, e là sotto comincia a scampanare.<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a> -</p> - -<p> -Lo stesso fenomeno riscontrasi nella musica, -in un’arte che pareva dovesse rimanere costantemente -accessibile a tutti. Qualcuno dei -musicisti riputati siede al pianoforte in vostra -presenza ed eseguisce ciò che egli dirà essere -una composizione nuova, o sua, o di qualche -altro musicista moderno. Lo udite produrre -dei suoni strani e rumorosi, ammirate la -ginnastica delle sue dita, e per dippiù capite -che egli vuol farvi credere che i suoni così -ottenuti esprimono varj sentimenti poetici -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -dell’anima. La sua intenzione è chiara; ma -in noi non si trasfonde altro sentimento che -non sia quello d’una noia mortale. L’esecuzione -dura a lungo, o almeno a voi pare così, -in quanto non riuscite a ricevere alcuna nettezza -d’impressioni. E v’imaginate che forse -tutto quell’armeggìo non è che una mistificazione, -che forse l’artista vuol mettervi alla -prova e getta a caso le dita sui tasti, sperando -di cogliervi, e di potervi poi dar la -baia. Tutt’altro. Quando il pezzo di musica è -finito, e il musicista, scalmanato e sudato, -s’alza dal piano, aspettandosi manifestamente -le vostre lodi, dovete riconoscere che egli faceva -da senno. E ciò avviene in tutti i concerti -nei quali si suonano dei pezzi di Liszt, -Wagner, Berlioz, Brahms, Riccardo Strauss -e dei compositori innumerevoli appartenenti -alla scuola nuova. -</p> - -<p> -La medesima tendenza ha invaso il dominio -dei romanzi e dei racconti, dove parrebbe -impossibile che altri non si voglia far capire. -Leggete <i>Laggiù!</i> del Huysmans, o qualche novella -di Kipling, o l’<i>Annonciateur</i> del Villiers -de l’Isle-Adam; tali lavori vi parranno non soltanto -<i>abscons</i> (reconditi), per servirci d’un termine -della nuova scuola, ma pressochè incomprensibili, -sia per la forma, sia per la sostanza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -</p> - -<p> -Nello stesso caso è un romanzo di E. Morel, -uscito testè nella <i>Revue Blanche</i>, come -la maggior parte dei nuovi romanzi. Lo stile -vi è sommamente enfatico, i sentimenti paiono -arcielevati; ma è impossibile decifrare che -cosa avvenga, dove avvenga, e a chi avvenga. -</p> - -<p> -E tale è tutta l’arte della gioventù dei nostri -tempi. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Gli uomini della prima metà del nostro secolo, -ammiratori del Goethe, dello Schiller, -del Musset, dell’Hugo, del Dickens, del Beethoven, -dello Chopin, di Raffaello, di Leonardo, -di Michelangelo, del Delaroche, non intendendo -nulla dell’arte nuova, s’adattano di -buon grado a considerarla come una mera -follìa, o come uno scherzo di cattivo gusto, -e si volgono via da essa scrollando le spalle. -Ma codesto è un atteggiamento ingiusto rispetto -a quest’arte; perchè in primo luogo -essa è avviata a estendersi sempre più, e s’è -già conquistato nel mondo un posto uguale -a quello che vi occupava il romanticismo -nel 1830; e poi, perchè se condanniamo le -opere dell’arte decadente solo perchè non le -comprendiamo, dobbiamo pur pensare che -c’è un gran numero di persone, tutti i lavoratori, -e anche una gran parte delle classi -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -più elevate, che non comprendono meglio le -opere d’arte ritenute da noi le più belle, cioè -le poesie del Goethe, dello Schiller, dell’Hugo, -i romanzi del Dickens, la musica del Beethoven -e dello Chopin, i quadri di Raffaello -e di Leonardo da Vinci, le statue di Michelangelo, -ecc. -</p> - -<p> -Se ho il diritto di credere che la gran -maggioranza degli uomini non capisce nè -gusta codeste opere, per me così perfette, a -cagione di scarso sviluppo intellettuale, non -ho poi il diritto di negare che io possa non -intendere e non gustare i prodotti dell’arte -nuova unicamente a cagione della mia cultura -insufficiente. Se io ho il diritto di dire -che la mia impossibilità a comprendere le -opere delle nuove scuole proviene dal non -esservi nulla di comprensibile, altri potrà -dire con lo stesso diritto, che tutto ciò che io -considero capolavori dell’arte, non è che arte -cattiva, e incomprensibile, perchè l’enorme -massa del popolo non è in grado di comprenderci -nulla. -</p> - -<p> -Mi sono un giorno capacitato di quanto -v’è d’ingiusto in questo mondo di condannare -l’arte delle nuove scuole. E fu un giorno che -udii un poeta, autore di versi incomprensibili, -tempestare di sarcasmi la musica incomprensibile; -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -e subito dopo incontrai un musicista, -autore di sinfonie incomprensibili, che non rifiniva -di sbeffeggiare i poeti incomprensibili. -Non è giusto che condanniamo l’arte nuova fondandoci -sul fatto che noi, uomini della prima -metà del secolo, non l’intendiamo. Abbiamo -solo diritto di dire che quest’arte è incomprensibile -per noi. L’unica superiorità dell’arte -che noi ammiriamo sull’arte dei decadenti -sta in questo, che l’arte caldeggiata da -noi è accessibile a un maggior numero di -persone che non sia l’arte d’oggidì. -</p> - -<p> -Da questo fatto che io mi trovo nell’impossibilità -di comprendere un genere d’arte, -perchè sono avvezzo a un altro genere, non -ho alcun diritto di conchiudere che il genere -ammirato da me sia il solo vero, e che quello -che io non intendo, sia falso e pervertito. -</p> - -<p> -Da un fatto simile, solo questo io posso -argomentare: che l’arte, facendosi sempre -più esclusiva, è diventata sempre meno accessibile, -e nel suo cammino verso l’inintelligibile, -ha oltrepassato quel punto in cui mi -trovavo io stesso. -</p> - -<p> -Dacchè l’arte delle classi superiori s’è -staccata dall’arte popolare, sorse il convincimento -che l’arte potesse restare sempre arte -senza essere più intesa dalla moltitudine. E -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -una volta ammesso quel principio, era prevedibile -che a poco a poco l’arte non sarebbe -più stata accessibile che a una piccola cerchia -d’iniziati, e da ultimo solo a due o tre -persone, anzi a una sola, all’artista creatore. -E così parlano per l’appunto gli artisti moderni: -“Io creo, e intendo me stesso; se -qualcuno è inetto a capirmi, peggio per lui.„ -</p> - -<p> -Ma questa affermazione che l’arte può essere -vera, e rimanere inaccessibile a un gran -numero di persone, è perfettamente assurda, -e le sue conseguenze sono disastrose per -l’arte stessa; tuttavia è così comune e predominante -tra di noi, che non s’insisterà -mai di troppo sulla sua assurdità. -</p> - -<p> -Il dire che un’opera d’arte è buona e cionondimeno -incomprensibile alla maggior -parte degli uomini, equivale a dire che un qualche -alimento sia buono, ma che i più non -possono mangiarlo. La maggior parte degli -uomini può rifuggire dal cacio putrido, o -dalla selvaggina verminosa, che sono leccornìe -per la gente di gusto pervertito, ma -il pane e le frutta non sono buoni, se non -quando piacciono alla maggioranza. In arte -è la stessa cosa. L’arte pervertita può non -piacere alla maggioranza, ma l’arte buona -deve piacere di necessità a tutti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -</p> - -<p> -Dicono che per intendere le più eccelse -opere d’arte occorra una preparazione speciale. -Ebbene, se non si possono intendere -naturalmente, ci saranno delle cognizioni -atte a render l’uomo capace d’intenderle, suscettibili -d’essere insegnate e spiegate. Ma -in realtà non c’è nessuna cognizione di -tal sorta, e ognuno sa che il valore delle -opere d’arte non si può spiegare. Ci si ricanta -bensì che per intendere quei capolavori -occorre rileggerli, rivederli, riudirli senza -stancarsi. Ma ciò non è spiegare, è solamente -avvezzare. E gli uomini s’avvezzano -a tutto, anche alle cose peggiori. Se sanno -abituarsi alla carne putrida, all’acquavite, al -tabacco, all’oppio, possono parimente abituarsi -all’arte guasta; ed è quello che per -l’appunto succede. -</p> - -<p> -D’altra parte non si può affermare che la -maggioranza degli uomini non abbia il gusto -necessario per comprendere le manifestazioni -più elevate dell’arte. La moltitudine ha sempre -inteso, e continua a intendere ciò che -anche noi riconosciamo per ottimo, per es., -l’epopea della Genesi, le parabole del Vangelo, -i racconti delle fate, le leggende e le -canzoni popolari. Perchè dunque la moltitudine -avrebbe perduto a un tratto questa attitudine -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -naturale, e non saprebbe più intendere -l’arte del tempo nostro? -</p> - -<p> -Trattandosi d’una parlata, anche stupenda, -possiamo ammettere che sia incomprensibile -per quelli che ignorano la lingua in cui essa -è pronunziata. Un discorso in cinese potrà -essere splendido; ma se non conosco il cinese, -non lo capirò di certo. Per contro un’opera -d’arte si distingue da tutte le altre manifestazioni -dello spirito in quanto il suo linguaggio -è inteso da tutti, e tocca tutti indistintamente. -Le lacrime e il riso d’un Cinese -mi commuovono nè più nè meno che il pianto -e il ridere d’un Russo; lo stesso vale per la -pittura, per la musica, per la poesia, purchè -quest’ultima sia tradotta in una lingua per -me comprensibile. I canti d’un Kirghiso o -d’un Giapponese faranno minore impressione -su di me che non sopra un Kirghiso o un -Giapponese, ma a ogni modo mi commuovono. -Son tocco parimente dalla pittura giapponese, -dall’architettura indiana, dalle novelle -arabe. E se mi trovo meno sensibile -d’un Giapponese o d’un Cinese alle loro canzoni -e ai loro romanzi, ciò avviene non già -perchè io non capisca l’arte loro, come troppo -eccelsa, ma perchè conosco delle altre forme -d’arte più elevate. I capolavori artistici non -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -sono tali se non perchè sono intelligibili a -ciascuno. La storia di Giuseppe voltata in cinese, -commuove i Cinesi. Così noi siamo tocchi -dal racconto della vita di Sakya-Muni. -Perciò si conchiude che, se una forma d’arte -non riesce a commuovere, ciò si deve imputare -non a mancanza di gusto o d’intelletto -nella gente, ma piuttosto al non essere quella -arte vera, arte buona. -</p> - -<p> -L’arte differisce dalle altre forme dell’attività -mentale in questo: che può agire sugli -uomini indipendentemente dal loro stato di -sviluppo e di cultura, adescandoli con l’incanto -dei colori, dei suoni, delle imagini. Anzi, -ufficio essenziale dell’arte è di far sentire e -capire ciò che sotto forma di ragionamento -resterebbe inaccessibile ai più. Chi riceve una -vera impressione artistica s’imagina d’aver -già saputo quanto l’arte gli rivela, pur essendo -incapace ad esprimerlo. -</p> - -<p> -E tale fu sempre l’indole dell’arte buona -e vera. L’Iliade, l’Odissea, le storie d’Isacco, -di Giacobbe, di Giuseppe, i canti dei profeti -ebrei, i Salmi, le parabole del Vangelo, la vita -di Sakya-Muni (Budda), gl’inni vedici, esprimono -sentimenti elevati, e ci sono pur tuttavia -intelligibili, come lo furono molti secoli -addietro a uomini meno civili ancora dei nostri -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -contadini. Le chiese, e le imagini ch’esse -contengono, non sono mai state incomprese -da nessuno. L’ostacolo a capire i sentimenti -più alti non risiede nella deficienza di svolgimento -o di sapere, ma ben piuttosto in un -falso progresso, e una scienza falsa. Un’opera -d’arte buona ed elevata può riuscire anch’essa -incomprensibile, ma non per il contadino, -semplice e non ancora pervertito; -quella sorta di persone intende tutto ciò che -v’è di più alto; rischierà piuttosto di non -essere intesa dalle menti che si pretendono -affinate, e io dico pervertite, cioè prive d’ogni -concetto serio della vita. Conosco delle -persone che si credono coltissime, e dicono -di non intendere la poesia della carità, o dell’abnegazione, -o della castità. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Pertanto se l’arte del nostro tempo non è -intesa dalla moltitudine non è già perchè sia -troppo elevata, secondo l’affermazione prediletta -degli artisti odierni. Diremo più a ragione -che non è intesa perchè è arte cattiva, -o non è arte affatto. -</p> - -<p> -Attesochè il fine della opera d’arte sia -quello d’esprimere dei sentimenti, chi può -parlare in tal caso d’incomprensibilità? Un -popolano, mettiamo, legge un libro, guarda -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -un quadro, attende ad ascoltare un dramma -o una sinfonia, e non prova nessun commovimento. -Gli si dice che egli non può capire. -Gli si promette uno spettacolo; egli entra e -non vede nulla che valga. E allora gli si -spiega che la sua vista non è ancora educata -per gli spettacoli di quella fatta. Ma il -nostro popolano sa di vederci molto bene; e -se non vede quello che gli hanno promesso -di mostrargli, argomenta con ragione che la -promessa che gli fu fatta, non è stata mantenuta. -</p> - -<p> -E il dire che un’arte determinata non produce -alcun effetto sulle persone, perchè -sono troppo ottuse, oltre a essere un grave -eccesso di vanità, è un invertimento di parti, -come se un malato invitasse un sano a mettersi -a letto. -</p> - -<p> -Voltaire diceva: “Sono buoni tutti i generi, -eccetto il genere noioso.„ Più a ragione -noi possiamo dire: “Sono buoni tutti i generi, -eccetto quelli che non si capiscono, e non -agiscono sul nostro animo.„ Infatti che cosa -mai può valere una cosa che fallisce nel -generare quell’effetto per il quale fu prodotta? -</p> - -<p> -Badate bene: se ammettete che l’arte possa -esser arte e riuscire incomprensibile a uomini -sani di mente, dovrete pure ammettere -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -che nulla impedisce a un’accolta di persone -pervertite di comporre delle opere esprimenti -il loro sentire depravato, e intelligibili a loro -soli, e di chiamarle arte, come fanno ora gli -artisti decadenti. -</p> - -<p> -L’evoluzione dell’arte nei tempi moderni si -può paragonare a quello che avviene quando -sopra un primo cerchio collocate dei cerchietti -sempre più piccoli sinchè ne risulta -un cono, la cui cima non è più un cerchio. Il -paragone calza perfettamente all’arte moderna. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -</p> - -<h2 id="cap10"><span class="smcap">Capitolo X.</span> -<span class="smaller">Le conseguenze della perversione nell’arte; -la contraffazione dell’arte.</span></h2> -</div> - -<p> -Per il progressivo impoverirsi della sostanza, -e il crescere dall’oscurità nella forma, -l’arte delle classi superiori è giunta a spogliarsi -dei caratteri elementari dell’arte, e a -non essere più che una contraffazione o falsificazione -dell’arte. -</p> - -<p> -Era una conseguenza facile a prevedersi. -L’arte universale sorge soltanto allorchè un -uomo, tocco da una forte emozione, sente il -bisogno di trasmetterla agli altri. Ora l’arte -professionale delle classi superiori non sorge -da un intimo impulso dell’artista; nasce sovrattutto -perchè le classi agiate vogliono dei -divertimenti e li pagano a dovere. Esse non -domandano altro all’arte che di eccitare in -loro dei sentimenti piacevoli, e gli artisti s’ingegnano -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -di rispondere a tale richiesta. Ma -non è cosa tanto facile, poichè i ricchi che -trascorrono la vita nell’ozio e nel lusso, pretendono -dei divertimenti sempre rinnovellati; -e l’arte, anche del genere inferiore, non si -produce a piacere, ma richiede l’ispirazione. -Quindi gli artisti si trovarono forzati d’inventare -metodi particolari per ottenere certe imitazioni -o contraffazioni dell’arte, e così soddisfare -indefinitamente alle esigenze delle classi -sociali che davan loro di che campare. -</p> - -<p> -I metodi escogitati a quell’intento si riducono -a quattro: 1.º gl’imprestiti; 2.º gli ornamenti; -3.º gli effetti (drastici, o energici); -4.º l’eccitamento della curiosità. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Il primo metodo consiste nel prender a -prestito dalle opere d’arte anteriori o argomenti -intieri, o elementi riconosciuti poetici, -e a rimaneggiarli con qualche aggiunta in -guisa da farli parer nuovi. Siffatti prodotti -ridestano nell’animo d’una certa classe di -persone la reminiscenza di sentimenti artistici -già provati, vi lasciano un’impressione -che s’assomiglia a quella dell’arte, e per poco -che corrispondano ad alcune altre condizioni -sono presi in buona fede per arte da coloro -che nell’arte cercano soltanto il piacere. I -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -soggetti presi a prestanza dalle opere antecedenti -si chiamano, in generale, soggetti -poetici. I personaggi e le cose così riprodotte -son detti pure personaggi e cose poetiche. -Tali sarebbero, ad esempio, leggende, saghe, -antiche tradizioni d’ogni guisa. Nell’elenco dell’arsenale -poetico sogliamo inchiudere le giovinette, -i guerrieri, i pastori, i romiti, gli angeli, -i diavoli, il chiaro di luna, il tuono, i -monti, il mare, i burroni, i fiumi, le chiome -lunghe, i leoni, gli agnelli, le colombe, gli usignoli. -In termini generali si considera poetico -ciò che fu rimestato più di spesso dagli -artisti delle generazioni precedenti. -</p> - -<p> -Mi rammento che una quarantina d’anni fa -una signora, che non è più al mondo, la quale -era di mente molto ristretta, ma di grande -cultura e <i>ayant beaucoup d’acquis</i>, mi pregò -d’ascoltare la lettura d’un romanzo che essa -aveva scritto. Il romanzo cominciava colla -descrizione d’un’eroina, che, vestita poeticamente -di bianco, sciolta poeticamente le lunghe -chiome, leggeva dei versi presso una -sorgente, in una foresta poetica. La scena era -in Russia; ma ecco che all’improvviso di -dietro i cespugli sbucava fuori l’eroe, adorno -d’un cappello piumato alla Guglielmo Tell -(secondo i precisi particolari del libro) e accompagnato -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -da due cani bianchi, non meno -poetico. Quella signora pensava d’aver trovato -un motivo sommamente poetico; e in -realtà quelle pagine potevano passare per il -modello del genere se subito dopo l’eroe non -avesse dovuto appiccar discorso con l’eroina. -Appena il giovane col suo cappello alla Guglielmo -Tell si fu messo a parlare colla giovine -biancovestita, io intesi chiaramente che -l’autrice non aveva nulla da far loro dire, che -essa medesima non aveva nulla da dire, e -che, tocca dalla reminiscenza poetica d’altre -opere, s’era imaginata che bastasse cucire insieme -alcuni brandelli di quelle opere per suscitare -nel lettore un’impressione artistica. -Ora in noi non può nascere alcuna impressione -artistica, se non quando l’autore abbia -provato egli stesso in un modo suo particolare -i sentimenti che ci comunica, e non si -contenti di rifriggerci i sentimenti che egli -abbia accattato da altri. Questa sorta d’imprestiti -non ci commuove come opera d’arte; al -più serve a simularla, e anche solo per coloro -che siano di gusto pervertito. La signora, di -cui ho detto, essendo scioccherella e senza abilità, -si capiva subito di che farina fosse la sua -pasta; ma quando questo metodo è adoperato -da artisti colti, e d’ingegno, e versati nella tecnica -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -dell’arte loro, ci vengon fuori quelle ricopiature -dal greco, dal classico in genere, dal -cristianesimo, dalla mitologia, che ora sono -così frequenti e dal pubblico sono ingenuamente -riputate opera d’arte. Un esempio specifico -di siffatte contraffazioni, di tali plagi -artistici, vi sarà offerto in poesia dalla <i>Princesse -Lointaine</i> del Rostand, lavoro tutto rubacchiato, -dove non c’è la minima particella -d’arte o di poesia, cosa che non gl’impedisce -di sembrar molto poetico a un mondo di gente, -e forse all’autore stesso. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Il secondo metodo adoperato a dar l’aspetto -dell’arte a quello che non è arte consiste in -ciò che si chiama ornamentazione. Esso si -propone di ubbriacare i lettori, gli spettatori -e gli uditori colle impressioni più gradevoli -ingannandoli sul conto dell’arte. In letteratura, -se si tratta di poesia il metodo sta -nell’adoperare i ritmi più cadenzati, le rime -più sonore e le espressioni più eleganti; se si -tratta di prosa, risulta dall’aggiungere spicco -alle descrizioni. Nelle produzioni teatrali vuole -che si eccitino i sensi degli spettatori collo -sfoggio degli attori, e sopratutto colla bellezza -delle attrici, vestite di abiti ricchissimi, -e collo splendore delle decorazioni di scena. -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -In pittura, importa la scelta di modelli atti a -eccitare i sensi, e l’esagerazione del colore. -Nella musica il metodo consiste nel moltiplicare -i <i>passaggi di tono</i>, e le <i>fioriture</i>, e -le modulazioni, e nell’introdurre strumenti -nell’orchestra, ecc. Tutti codesti ornamenti -hanno raggiunto al presente un tal grado -di perfezione, che le classi superiori sono -arrivate a prenderli per l’arte stessa, aiutate -in ciò anche dalla dottrina corrente che -considera la bellezza come fine dell’arte. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Un terzo metodo sta nell’agire sulla nostra -sensibilità, di sovente con procedimenti affatto -materiali fisici. In tal caso si dice che le -opere d’arte sono <i>saisissantes</i>, o <i>pleines d’effet</i>. -Gli effetti che esse producono in tutte le arti -sono quasi unicamente di contrasto, in quanto -si associa il terribile e il tenero, il brutto e il -bello, la dolcezza e la forza, la luce e l’ombra, -il comune e lo straordinario. Inoltre nella -letteratura agli effetti d’antitesi se ne aggiungono -degli altri ricavati dal descrivere cose -non mai prima descritte. Saranno di solito -dei particolari pornografici atti a stimolare -l’istinto sessuale, o ragguagli minuziosi di -sofferenze e di agonie rivolti a farci innorridire; -per esempio, mentre si descrive un -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -assassinio, ci si presenterà una vera perizia -medica intorno ai tessuti lacerati, all’odore, -alla quantità e al colore del sangue. -</p> - -<p> -Nella pittura e nella scultura un contrasto -ora assai pregiato sta nel finire con gran cura -qualche particolare, lasciando al resto l’aspetto -sommario d’un abbozzo; senza contare -l’abuso che si fa del chiaroscuro. In -teatro, non vediamo quasi più che quadri -di pazzia, d’omicidio, di morte; e non muore -un personaggio senza che ci si faccia assistere -a tutte le fasi della sua agonia. In musica, -gli effetti più in voga sono: un <i>crescendo</i> -repentino per cui si passa dai suoni -più leggeri ai più violenti; una ripetizione -delle medesime note <i>arpeggiate</i> in tutte le -ottave e dai diversi strumenti; oppure anche -una fuga d’armonie, di toni e di ritmi diversi -affatto da quelli che dovrebbero naturalmente -scaturire dall’idea musicale, e tali -da colpirci colla sorpresa. Per giunta la musica -moderna abusa di quell’effetto puramente -fisico che consiste nel far sempre maggior -fracasso di quanto abbisogni. -</p> - -<p> -Alla stessa categoria appartiene pure un -altro effetto, oggi comune a tutte le arti; e -sta nel voler forzare un’arte a esprimere -quanto spetta a un’altra. Per esempio, si pretende -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -(come vorrebbe fare la musica <i>descrittiva</i> -del Wagner e dei suoi successori) che -la musica ci descriva azioni e anche <i>paesaggi</i>. -Oppure, secondo la maniera dei decadenti, si -costringono la pittura, il dramma, la poesia -a evocare in noi per <i>suggestione</i> certi pensieri. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Il quarto metodo infine consiste nell’eccitare -la curiosità sì da impedire alla nostra -mente di accorgersi della mancanza dell’arte -vera. Una volta si ricorreva per questo all’<i>intreccio</i> -ben complicato; ora codesto artifizio -va fuori di moda, ed è sostituito dalla <i>documentazione</i>, -cioè dalla pittura particolareggiata -d’un periodo storico, o d’un ramo della -vita contemporanea. Così per assorbire l’attenzione -del lettore i romanzieri gli descrivono -da cima a fondo la vita degli Egiziani -o dei Romani, la vita dei minatori oppure -dei commessi d’un gran magazzino. La curiosità -si può solleticare anche solo colla -scelta delle espressioni, e codesto mezzo -acquista sempre più pregio. Versi e prose, -drammi, quadri, sinfonie, tutto ciò è disposto -in guisa che se ne debba indovinare il -senso come nelle sciarade; il pubblico si -scuote, cerca d’indovinare, si distrae, e prova -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -l’illusione d’aver ricevuto un’impressione artistica. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -E voi udirete spesso ripetere che un’opera -d’arte è eccellente, perchè è poetica, o bella, -o sorprendente, o interessante; ma in realtà -nessuno di quei quattro attributi serve a -misurare l’eccellenza d’un’opera d’arte, e nemmeno -ha da far nulla coll’arte vera. -</p> - -<p> -Il dire che un’opera è poetica equivale a dire -ch’è presa a prestito. Tutti i prestiti ridestano -nel pubblico vaghe reminiscenze d’impressioni -artistiche prodotte da opere anteriori; ma non -ci possono mai trasmettere i sentimenti dell’artista -medesimo. Un’opera fondata sui prestiti, -per esempio il <i>Fausto</i> del Goethe, può -essere bene eseguita, piena di brio e anche -veramente bella; ma non può produrre una -schietta impressione artistica, mancando -essa del carattere principale d’un’opera -d’arte, cioè dell’unità, di quell’armonia intima -tra la forma e la sostanza che vale a trasmettere -i sentimenti provati dall’artista. L’opera -di seconda mano non fa che ridestare -il sentimento infuso in essa dall’opera iniziale; -perciò ogni imprestito di soggetti, di -scene, di situazioni, di descrizioni non è -che il riflesso dell’arte, la sua contraffazione, -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -ma non l’arte. Pretendere che un’opera -d’arte di questo genere sia buona perchè è -poetica è come pretendere che una moneta -di piombo sia buona solo perchè si assomiglia -a una d’argento. -</p> - -<p> -Nemmeno gli ornamenti, vantati dai nostri -estetici sotto il nome di bellezza, possono -servire di misura per l’eccellenza d’un’opera -d’arte. Infatti il carattere essenziale dell’arte -consiste nel trasmettere agli altri la commozione -provata dall’artista; e la commozione -artistica non solo non coincide sempre colla -bellezza, ma spesso le è in opposizione. La -vista delle sofferenze più ributtanti ci può -commuovere con un forte sentimento di compassione, -di tenerezza e d’ammirazione per -l’anima grande di chi soffre; come d’altro -lato ci accade di non sentir nulla dinanzi a -una statua di cera anche bellissima. Giudicare -d’un’opera d’arte secondo la bellezza è -assurdo quanto il fare stima della fecondità -d’un terreno fondandosi sulla sua graziosa -giacitura. -</p> - -<p> -Il terzo metodo di contraffazione consiste -nell’accumulare gli effetti gagliardi, ed è anche -esso estraneo all’arte vera; poichè l’effetto, -sia esso poi di novità o di contrasto o -d’orrore, non è mai l’espressione d’un sentimento, -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -ma semplicemente un’azione sui nostri -nervi. Quando un pittore rappresenta con esattezza -perfetta una ferita che sanguina, la vista -della ferita mi colpisce, ma non è arte. Una -nota tenuta a lungo sopra un organo ci produce -l’impressione di stringere il cuore e -può giungere fino a farci piangere; ma in -quel fatto non c’è musica, perchè non c’è -l’espressione di alcun sentimento. Tuttavia -tali effetti fisiologici vengono ogni giorno -presi per dell’arte dalle persone della nostra -società, e ciò non soltanto nella musica, ma -nella poesia, nella pittura, nel dramma. Non -c’è in verità nessuna facezia più amara di -quella che consiste nel dire che l’arte del nostro -tempo si “raffina.„ Al contrario l’arte non -ha mai seguito tanto l’effettaccio volgare, non -è mai stata più grossolana. L’Europa intera -ammira e acclama un nuovo dramma, com’è -per esempio la <i>Hannele</i> di Gh. Hauptmann, -in cui l’autore s’è proposto d’intenerirci a -proposito d’una ragazza perseguitata. Per eccitare -in noi questo sentimento col mezzo -dell’arte, poteva o incaricare uno de’ suoi -personaggi d’esprimere la sua pietà per la -ragazza in un modo che ci commovesse, o -descrivere con verità i sentimenti della ragazza. -Invece egli, non potendo o non volendo -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -servirsi di questo mezzo, ne ha scelto -un altro più difficile per chi deve mettere -in scena il lavoro, ma infinitamente più facile -per l’autore. Ci ha fatto vedere la ragazza -morente sulla scena; e per accentuar -meglio l’effetto fisiologico di questa agonia -sui nostri nervi, ha fatto spegnere l’illuminazione -della sala, lasciando l’uditorio nelle -tenebre. Tra le note d’una musica sinistra, -ci ha fatto vedere la ragazza perseguitata -e battuta dal padre ubbriacone. La fanciulla -si lascia cadere, geme, sospira e muore. Compaiono -degli angeli che la conducono via. E -gli uditori, che durante tutta questa faccenda -non hanno potuto far a meno di provare -un certo eccitamento, se ne vanno convinti -d’aver provato un vero sentimento artistico. -Ora non c’è nulla d’artistico in un eccitamento -di questo genere, ma solo il miscuglio -d’una vaga pietà per altri, e del piacere di -pensare che non s’ha noi stessi a soffrire di -dolori simili. L’effetto che ci producono delle -opere di questo genere è della stessa natura -di quello che ci produce la vista d’un’esecuzione -capitale, o di quello che producevano -sui Romani i supplizi del circo. -</p> - -<p> -La sostituzione dell’<i>effetto</i> ai sentimenti artistici -si riconosce oggigiorno particolarmente -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -nella musica, avendo quest’arte per la propria -natura un’azione fisiologica immediata -sui nervi. In luogo d’esprimere per mezzo di -una melodia, rivestita d’armonie appropriate, -i sentimenti che ha provato, il compositore -della nuova scuola accumula e complica le -sonorità; ora rinforzandole, ora di nuovo attenuandole; -produce sull’uditorio un effetto -particolare, d’eccitazione nervosa. E il pubblico -prende quest’effetto fisiologico per un -effetto artistico. -</p> - -<p> -Il quarto metodo, quello della curiosità, è -pure di solito confuso coll’arte. Quante volte -non udiamo noi dire non solo d’un poema, -d’un romanzo, d’un quadro, ma anche d’un’opera -musicale, che essa è “interessante?„ -E ciò che cosa può significare? Dire che -un’opera d’arte è interessante, è dire o che -essa ci offre del nuovo, o che noi non ne indoviniamo -il senso che a poco a poco, e che -ci divertiamo a dover indovinare. Ora, nè in -un caso nè nell’altro l’interesse ha nulla di -comune coll’impressione artistica. -</p> - -<p> -L’oggetto dell’arte è di farci provare dei -sentimenti provati dall’artista; ma lo sforzo -d’intelligenza di cui abbisogniamo per assimilarci -la nuova informazione che ci reca -un lavoro, o per indovinare gli enigmi che -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -esso contiene, questo sforzo distraendo la -nostra mente dall’emozione espressa, c’impedisce -di provarla; talchè non solo il fatto -d’essere “interessante„ non contribuisce per -nulla al valore artistico d’un’opera d’arte, -ma anzi è piuttosto un ostacolo alla vera impressione -artistica. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Parecchie condizioni debbono convergere -perchè un uomo possa produrre una vera -opera d’arte. Quest’uomo deve, in primo -luogo, trovarsi al livello dei più alti concetti -religiosi del suo tempo; inoltre deve provare -dei sentimenti e avere il desiderio e la capacità -di trasmetterli ad altri; e deve finalmente -avere, per una delle diverse forme -dell’arte, quella capacità speciale che si -chiama il talento. Ora è molto raro che un -uomo riunisca in sè tutte queste condizioni. -Ma per produrre senza posa quelle contraffazioni -dell’arte, che passano al presente per -arte vera e la produzione delle quali è pagata -così bene, occorre semplicemente aver -talento, cosa corrente e senza alcun valore. -Intendo per “talento„ l’abilità; in letteratura, -l’abilità a esprimer facilmente i propri pensieri -e le proprie sensazioni, a notare e a -ricordare i particolari tipici; in pittura, a discernere -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -e a ricordare le linee, le forme e i -colori; in musica a distinguere gl’intervalli, -a capire e a ricordare la successione dei suoni. -</p> - -<p> -E basta che un uomo possegga oggi siffatto -talento, e sappia scegliere qualche specialità, -perchè con l’aiuto dei metodi di contraffazione -che ho detti, possa indefinitamente -fabbricare delle opere destinate a soddisfare -al bisogno di divertimento delle nostre -classi superiori. In tutti i rami dell’arte esistono -delle regole o ricette definite che permettono -di produrre delle opere di questo genere -senza provare nessun sentimento. E così -l’uomo di talento, essendosi assimilate le regole -del suo mestiere, può ad ogni istante -produrre a freddo delle opere che passeranno -poi come arte. -</p> - -<p> -E oggi si produce una quantità così immensa -di codeste opere, che si trovano degli -uomini che conoscono centinaia e migliaia -d’opere così dette artistiche, e non hanno mai -veduta una sola opera d’arte vera, e non -sanno neppure da che cosa si riconosca questa -vera arte. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -</p> - -<h2 id="cap11"><span class="smcap">Capitolo XI.</span> -<span class="smaller">L’arte professionale, la critica, -l’insegnamento artistico: -loro influenza sulla contraffazione dell’arte.</span></h2> -</div> - -<p> -Questa enorme e crescente diffusione delle -contraffazioni dell’arte nella nostra società, -è dovuta al concorso di tre condizioni, cioè: -1.º il profitto materiale che queste contraffazioni -procurano agli artisti; 2.º la critica; -3.º l’insegnamento artistico. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Quando l’arte era ancora universale, e soltanto -l’arte religiosa era pregiata e compensata, -non c’erano contraffazioni, o, se ce n’erano, -non tardavano a scomparire, essendo -esposte alla critica della nazione intiera. Ma -tostochè si fu prodotta la distinzione fra l’arte -aristocratica e l’arte del popolo, tostochè le -classi superiori presero ad acclamare ogni -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -forma d’arte, purchè procurasse loro del piacere, -tostochè finalmente queste classi cominciarono -a rimunerare la loro pretesa arte assai -più che ogni altra attività sociale, subito -un gran numero d’uomini si dedicarono a -questo genere d’attività, e l’arte prese un carattere -nuovo, e diventò una professione. -</p> - -<p> -E come ciò ebbe luogo, la qualità principale -e più preziosa dell’arte, la sincerità, si -trovò grandemente indebolita, e condannata -in prevenzione a sparire prontamente. All’arte -vera fu sostituita la contraffazione dell’arte. -</p> - -<p> -Infatti l’artista di professione è costretto -a vivere dell’arte sua, cosa che l’obbliga -a inventare indefinitamente, per le sue opere, -numerosi soggetti. Vedete, per esempio, che -differenza corre tra le opere prodotte, da -uomini come i profeti ebrei, gli autori dei -<i>Salmi</i>, Francesco d’Assisi, Fra Angelico, gli -autori dell’<i>Iliade</i> e dell’<i>Odissea</i>, quelli delle -leggende e delle canzoni popolari, tutti codesti -uomini d’altri tempi che non solo non -erano pagati per le loro opere, ma nemmeno -si curavano di unirvi il loro nome; e d’altra -parte le opere prodotte dai poeti di corte, dai -pittori o dai musici colmati d’onori e di denari! -Ma ancora più grande è la differenza tra -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -l’opera dei veri artisti, e quella dei professionisti -dell’arte che ora empiono il mondo, vivendo -tutti del loro commercio, vale a dire -del denaro che ricevono dai direttori di giornali, -editori, impresari e altri intermediarii -incaricati di mettere gli artisti in rapporto coi -consumatori d’arte. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Il <i>professionismo</i> è la prima causa della -diffusione che ebbero tra di noi le contraffazioni -dell’arte. -</p> - -<p> -La seconda causa è il nascimento, affatto -recente, e lo sviluppo della critica, cioè della -stima dell’arte fatta non più da tutti, non più -da uomini semplici e sinceri, ma da eruditi, -da esseri pervertiti di mente e pieni a un -tempo di confidenza in sè stessi. -</p> - -<p> -Discorrendo del rapporto dei critici rispetto -agli artisti, un mio amico diceva un po’ per -burla: “I critici sono gli sciocchi che discutono -i savi„. Quella era una definizione inesatta, -ingiusta, e d’una durezza eccessiva; ma -non manca di contenere una parte di verità; -e in ogni caso è incomparabilmente più giusta -di quella che considera i critici come aventi -il diritto e i mezzi di spiegare le opere d’arte. -</p> - -<p> -Spiegare! Che cosa spiegano essi mai? L’artista, -se è un vero artista, coll’opera sua ha -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -trasmesso agli altri uomini i sentimenti che -egli provava. E, in siffatte condizioni, che cosa -resta da spiegare? -</p> - -<p> -Se un’opera è buona in quanto sia arte, il -sentimento espresso dall’artista, morale o immorale, -si trasmette da sè agli altri uomini. -Se si trasmette loro, essi lo sentono, e tutte -le spiegazioni sono superflue. Se non si trasmette -loro, non ci rimedierà nessuna spiegazione. -L’opera d’un artista non può essere -spiegata. Se l’artista avesse potuto spiegare -a parole ciò che desiderava di trasfondere in -noi, si sarebbe espresso a parole. Se egli s’è -espresso per la via dell’arte, è precisamente -perchè le emozioni non potevano esserci trasmesse -per un’altra via. Che si può dire intorno -al riso o al pianto, che ci aiuti, anche menomamente, -a provarne qualche commozione? -Quando un uomo cerca d’interpretare delle -opere d’arte con dei discorsi, ciò prova solo -che è incapace egli stesso di sentire l’emozione -artistica. E tale è il caso per l’appunto. -Per quanto possa parere strano, i critici sono -sempre stati degli uomini meno accessibili -al contagio dell’arte che il resto degli uomini. -Sono, per la maggior parte, degli scrittori capaci, -istruiti e intelligenti, ma tali che in essi -l’attitudine a essere commossi dall’arte è affatto -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -pervertita o atrofizzata. E da ciò deriva -che i loro scritti hanno sempre contribuito -largamente e contribuiscono tuttora a pervertire -il gusto del pubblico che li legge, e si -fida di loro. -</p> - -<p> -La critica non esisteva, non poteva esistere, -nelle società in cui l’arte s’indirizzava a tutti, -e per conseguenza esprimeva un concetto -religioso della vita, comune a un popolo intiero. -Essa non s’è prodotta, non si poteva -produrre che intorno all’arte delle classi superiori, -la quale non aveva per base la coscienza -religiosa del suo tempo. -</p> - -<p> -L’arte universale ha un criterio interno definito -e indubitabile: la coscienza religiosa. -L’arte delle classi superiori manca di questo -criterio, ed è perciò che coloro che vogliono -valutare quest’arte sono forzati ad aggrapparsi -a qualche criterio esteriore. E tale criterio, -lo trovano nei giudizî dell’<i>élite</i>, cioè -nell’autorità d’uomini considerati come più -istruiti degli altri, e non solo nella loro autorità, -ma anche nella tradizione formata da un -complesso d’autorità di questo genere. Ma -questa tradizione è estremamente fallace, sia -perchè l’<i>élite</i> s’inganna molto di spesso, sia -pure perchè certi giudizî che ebbero valore -al loro tempo cessano d’averne in un altro -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -tempo. Ora i critici mancando di base solida -per i loro giudizî, s’aggrappano ostinatamente -alle loro tradizioni. Le tragedie classiche un -tempo furono considerate come buone; la critica -continua a considerarle per tali. Dante è -stato ritenuto un gran poeta, Raffaello un -gran pittore, Bach un gran musicista; e i nostri -critici, in mancanza d’un mezzo per distinguere -l’arte buona dalla cattiva, proseguono -non solo a ritenere grandi questi artisti ma -giudicano per di più tutte le opere loro come -ammirevoli e degne d’essere imitate. Nulla -ha contribuito, o contribuisce tanto al pervertimento -dell’arte quanto le autorità messe innanzi -dalla critica. -</p> - -<p> -Un uomo produce un’opera d’arte in cui, -da vero artista, esprime a modo suo un sentimento -che egli ha provato. Il suo sentimento -si trasmette ad altri uomini, e la sua opera -attira l’attenzione. Ma allora la critica, impadronendosene, -dichiara che, senza essere cattiva, -non è tuttavia l’opera nè d’un Dante, nè -d’un Shakespeare, nè d’un Goethe, nè d’un -Raffaello, nè d’un Beethoven. E il giovine artista -si rimette al lavoro per copiare i maestri -che gli si consiglia d’imitare; e produce -delle opere non solo deboli, ma false, delle -contraffazioni dell’arte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -</p> - -<p> -Così, per esempio, il nostro Puschkin scrive -dei poemetti, il suo <i>Oneghine</i> o il suo <i>Zingaro</i>, -opere d’un valore molto disuguale, ma che -sono pur sempre tutte opere d’arte vera. Ma -ecco, che sotto l’influenza d’una critica mendace -che esalta Shakespeare, lo stesso Puschkin -scrive il suo <i>Boris Godunof</i>, opera -artificiosa e fredda; ed ecco che i critici esaltano -codesta opera e la propongono a modello; -ed ecco che la imitano tutti, Ostrowski -nel suo <i>Minine</i>, Alexis Tolstoi nel suo <i>Tsar -Boris</i>, ecc. Queste imitazioni d’imitazioni ingombrano -tutte le letterature d’opere mediocri -e assolutamente inutili. E questo è il male -maggiore che fanno i critici; mancando essi -stessi della capacità d’esser commossi dall’arte -(e ne mancano per forza, poichè altrimenti -non tenterebbero l’impossibile, cioè di -interpretare le opere d’arte) non possono -dare importanza o concedere delle lodi che -ad opere artificiose e prodotte a sangue -freddo. Gli è per questo che esaltano con -tanta prosopopea, nelle lettere i tragici greci, -Dante, Tasso, Milton, Goethe, e tra gli autori -più recenti, Zola e Ibsen; nella musica il -Beethoven dell’ultima maniera, e Wagner. -Per giustificare l’elogio entusiasta che fanno -di questi grandi uomini, essi costruiscono -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -infaticabilmente delle vaste teorie; e così vediamo -degli uomini d’ingegno occuparsi a -comporre delle opere in conformità di quelle -teorie; e spesso anche dei veri artisti far violenza -al loro genio e sottomettersi ad esse. -</p> - -<p> -Ogni opera d’arte falsa che è levata a cielo -dai critici costituisce come una porta attraverso -la quale si precipitano le mediocrità. -</p> - -<p> -Se gl’Ibsen, i Maeterlinck, i Verlaine, i -Mallarmè, i Puvis de Chavannes, i Klinger, i -Boecklin, gli Stuck, i Liszt, i Berlioz, i Wagner, -i Brahms, i Riccardo Strauss, ecc., sono -divenuti possibili ai nostri giorni, del pari che -la folla immensa dei mediocri imitatori di -questi imitatori, lo dobbiamo sovrattutto ai -nostri critici, che continuano ancora oggidì -a lodare ciecamente le opere rudimentali, e -spesso vuote di senso dei Greci antichi: Sofocle, -Euripide, Aristofane, e così pure tutta -l’opera di Dante, del Tasso, del Milton, dello -Shakespeare, tutta l’opera di Michelangelo -compreso il suo assurdo <i>Giudizio universale</i>, -tutta l’opera di Bach, tutta l’opera di Beethoven, -compreso il suo ultimo periodo. -</p> - -<p> -Nulla di più tipico, per questo rispetto, del -caso di Beethoven. Tra le sue numerose produzioni -si trovano, a dispetto d’una forma -sempre artificiale, delle opere di arte vera. -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -Ma egli diventa sordo, non può più sentir -nulla, e comincia a scrivere delle opere bizzarre, -morbose, il senso delle quali di sovente -rimane oscuro. So che i musicisti possono -imaginare dei suoni e che è loro quasi possibile -udire ciò che leggono; ma dei suoni -imaginari non potrebbero mai prendere il -posto dei suoni reali, e un musicista deve -udire le sue opere per dar loro una forma -perfetta. Ora il Beethoven non poteva udir più -nulla, e perciò era nell’impossibilità di condurre -le sue opere alla perfezione. Ma la critica, -avendo riconosciuto in lui un gran compositore, -s’è per l’appunto impossessata delle -sue opere imperfette e spesso anormali per -rintracciarvi a ogni costo delle bellezze straordinarie. -E per giustificare questi elogi, pervertendo -il vero senso dell’arte musicale, attribuì -alla musica la proprietà di dipingere -ciò che essa non può dipingere. E subito -comparvero degl’imitatori, una falange innumerevole -d’imitatori, che si sono messi a -copiare quelle opere morbose e incomplete, -quelle opere che il Beethoven non potè finire -a sufficienza per dar loro un pieno valore -artistico. -</p> - -<p> -E tra di loro sorse il Wagner. Cominciò -dal connettere, nei suoi scritti di critica, le -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -ultime opere del Beethoven alla teoria mistica -dello Schopenhauer, che faceva della -musica l’espressione dell’essenza stessa della -Volontà. In appresso si diede a comporre della -musica ancora più strana, fondandosi su questa -teoria, e sopra un sistema d’unione di -tutte le arti. E dal Wagner è uscita una nuova -schiera d’imitatori, che si scostano vieppiù -ancora dall’arte vera. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tali sono i risultati della critica. Non meno -disastrosa è la terza causa che contribuisce -a pervertire l’arte del nostro tempo, voglio -dire l’insegnamento artistico. -</p> - -<p> -Dal giorno in cui l’arte, cessando di rivolgersi -a un popolo intiero, non si rivolse più -che a una classe di ricchi, è divenuta una -professione; dacchè è divenuta una professione, -si sono inventati dei metodi per insegnarla; -le persone che sceglievano codesta -professione dell’arte si misero a imparare -codesti metodi, e così si sono formate le -scuole professionali: corsi di retorica o di -lettere nelle scuole pubbliche, accademie di -pittura, conservatorj di musica e d’arte drammatica. -Queste scuole hanno per oggetto l’insegnamento -dell’arte. Ma l’arte è la trasmissione -ad altri uomini d’un sentimento personale -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -provato da un artista. Come si potrebbe -insegnare tal cosa nelle scuole? -</p> - -<p> -Non c’è scuola che possa provocare in un -uomo il sentimento, e, tanto meno insegnargli -come possa esprimere i suoi sentimenti nel -modo particolare che gli è naturale. Eppure -egli è in queste due cose, che risiede l’essenza -dell’arte! -</p> - -<p> -Tutto ciò che le scuole possono insegnare -è il modo d’esprimere dei sentimenti provati -da altri artisti nella guisa in cui gli altri artisti -li hanno espressi. Ed è precisamente -quello che insegnano le scuole professionali; -e il loro insegnamento, ben lungi dal contribuire -a diffondere l’arte vera, contribuisce al -contrario a moltiplicare le contraffazioni dell’arte, -facendo così più di tutto il resto per -distruggere negli uomini l’intelletto artistico. -</p> - -<p> -In letteratura s’insegna ai giovani come, -senza aver nulla da dire, possono scrivere -una composizione di più o meno pagine intorno -a un argomento al quale non hanno -mai pensato, e scriverla di tal maniera che -rassomigli agli scritti di autori di fama riconosciuta. -</p> - -<p> -In pittura, s’insegna loro principalmente -a disegnare e a dipingere seguendo delle copie -e dei modelli, e a disegnare e a dipingere -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -come hanno disegnato e dipinto i maestri precedenti, -e a rappresentare il nudo, cioè quello -che si vede meno nella realtà e che l’uomo -occupato della realtà ha meno occasione di dipingere. -Quanto alla composizione, la s’insegna -ai giovani proponendo loro dei soggetti -uguali a quelli che sono già stati trattati da -maestri celebri. -</p> - -<p> -Parimenti nelle scuole d’arte drammatica -s’insegna agli alunni a recitare dei monologhi -esattamente come li recitavano gli attori -famosi. -</p> - -<p> -Lo stesso si fa nella musica. Tutta la teoria -della musica non è che una semplice ripetizione -dei metodi, dei quali si sono valsi -i musicisti celebri. Quanto all’esecuzione musicale, -essa diventa sempre più meccanica, -e pari a quella d’un automa. -</p> - -<p> -Un giorno il pittore russo Brulof, correggendo -uno studio d’un suo allievo, vi fece un -paio di ritocchi, e subito lo studio mediocre -assunse l’espressione della vita. — “Come! -ci avete appena dato un tocco, ed eccolo cambiato -per intiero! — Egli è che l’arte comincia -dove comincia questo tocco„, rispose -Brulof. -</p> - -<p> -Nessun’arte dà tanto rilievo alla giustezza -di questa idea quanto l’esecuzione musicale. -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -Perchè siffatta esecuzione sia artistica, vale -a dire ci trasmetta l’emozione dell’autore, si -richiedono tre condizioni principali, per non -parlare delle altre. L’esecuzione musicale non -è artistica se non quando la nota è giusta, e -dura esattamente il tempo richiesto, e rende -esattamente l’intensità del suono richiesto. La -più piccola alterazione della nota, il più piccolo -mutamento nel ritmo, il più piccolo rinforzo -o indebolimento del suono, distruggono -la perfezione dell’opera, e perciò la sua facoltà -di commuoverci. La trasmissione dell’emozione -musicale che sembra una cosa -tanto semplice e facile a ottenersi, è in realtà -una cosa che s’ottiene solamente quando l’esecutore -trova la sfumatura impercettibile che -è necessaria alla perfezione. Ed è lo stesso -in tutte le arti. Un uomo non può scoprire -queste sfumature, che sentendo l’opera e mettendosi -in diretto contatto con essa. -</p> - -<p> -Nessuna macchina può fare ciò che fa un -buon ballerino che regola i suoi movimenti sul -ritmo della musica, nessun organo a vapore -può fare ciò che fa un pastorello che canti -bene, nessun fotografo ciò che fa un pittore; -nessun retore troverà la parola o la disposizione -di parole che trova senza sforzo chi -esprime quello che sente. Quindi le scuole -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -possono ben insegnare ciò che occorra per -produrre alcunchè di analogo all’arte, ma non -insegneranno mai ciò che occorre a produrre -l’arte stessa. -</p> - -<p> -L’insegnamento delle scuole s’arresta dove -comincia il <i>tocco</i>, cioè dove comincia l’arte. -</p> - -<p> -E avvezzare gli uomini a qualche cosa di -analogo all’arte equivale a disvezzarli dal -comprendere l’arte vera. Così si spiega come -non ci siano degli artisti peggiori di quelli -che sono passati per le scuole e vi riportarono -dei successi. Le scuole professionali producono -un’ipocrisia dell’arte esattamente analoga -all’ipocrisia della religione che producono -i seminarii, le scuole di teologia, ecc. -Come è impossibile in una scuola fare d’un -uomo un educatore religioso, così è impossibile -insegnargli a diventare artista. -</p> - -<p> -Le scuole d’arte esercitano un’influenza doppiamente -funesta. In primo luogo distruggono -la capacità di produrre dell’arte vera in quelli -che hanno avuto la disgrazia d’entrarvi e di -perdervi sette, otto o dieci anni della loro -vita. In secondo luogo producono enormi -quantità di quelle contraffazioni dell’arte che -pervertiscono il gusto delle masse, e sono avviate -a invadere tutto il mondo. -</p> - -<p> -Io non pretendo che i giovani d’ingegno -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -non debbano conoscere i metodi delle varie -arti, quali furono elaborati dai grandi artisti -prima di loro. Ma per insegnarli loro, basterebbe -che in tutte le scuole elementari si creassero -dei corsi di disegno e di musica, uscendo -dai quali i giovani di buona vocazione potrebbero -perfezionarsi con piena indipendenza -nella pratica della loro arte. -</p> - -<p> -E non resta meno assodato che queste tre -cose: il <i>professionismo</i> degli artisti, la critica, -e l’insegnamento delle arti ebbero per risultato -di rendere oramai la maggior parte degli -uomini incapaci persino di capire che cosa -sia l’arte, e li prepararono così ad accettare -come arte le contraffazioni più grossolane. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -</p> - -<h2 id="cap12"><span class="smcap">Capitolo XII.</span> -<span class="smaller">L’opera di Wagner, -modello perfetto della contraffazione dell’arte.</span></h2> -</div> - -<p> -Se vogliamo vedere fino a che punto gli -uomini del nostro tempo e della nostra società -abbiano perduto la facoltà di sentire -l’arte vera e si siano abituati ad accettare -come arte cose che non hanno nulla da vedere -coll’arte, nessun esempio potrà mostrarcelo -meglio che l’opera di Riccardo Wagner, -in cui non solo la Germania, ma eziandio -la Francia e l’Inghilterra pretendono oggi di -scoprire l’arte più elevata e la più ricca di -nuovi orizzonti. -</p> - -<p> -Il pensiero fondamentale di Wagner fu questo, -come tutti sanno, che la musica deve -far corpo colla poesia, esprimere tutte le sfumature -d’un’opera poetica. È un’idea, che egli -ha pure sempre esagerato, ma che anche nel -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -suo principio è assolutamente falsa, poichè -ciascuna delle arti ha il suo territorio determinato, -distinto dal territorio delle altre arti; -e se la manifestazione di due arti differenti si -trova riunita in un solo lavoro, come è il -caso per l’opera in musica, una delle due -deve di necessità essere sacrificata all’altra. -</p> - -<p> -L’unione del dramma e della musica, inventata -nel secolo XVI da Italiani che pensavano -di richiamar in vita l’antico dramma -greco, non ha mai attecchito se non presso -le classi superiori, e anche solo quando qualche -musicista di talento, Mozart, Weber, Rossini, -prendendo le mosse da un soggetto -drammatico, s’abbandonò tuttavia liberamente -alla sua inspirazione, e subordinò il -testo alla musica. Nelle opere di questi maestri, -la sola cosa importante per l’uditore era -la musica scritta sopra un certo testo, non -già il testo stesso; questo poteva spingersi -fino all’assurdo, come, ad esempio, nel <i>Flauto -magico</i>, senza impedire alla musica di produrre -un’impressione artistica. -</p> - -<p> -È questo appunto che il Wagner sognò di -correggere, unendo più intimamente la musica -e la poesia. Ma l’arte musicale non -saprebbe sottomettersi all’arte drammatica -senza perdere il suo significato proprio, poichè -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -ogni opera d’arte, se è buona, è l’espressione -del sentimento intimo dell’artista, d’un -sentimento affatto eccezionale, e che non -trova la sua espressione se non in una forma -speciale; dimodochè pretendere che una produzione -d’una certa arte faccia corpo colla -produzione d’un’altra è pretendere l’impossibile. -Infatti è domandare che due opere di dominii -artistici differenti siano, da un lato, eccezionali, -senza rassomiglianza con chicchessia, -e che ciononostante coincidano e possano -unirsi a formare un tutto. -</p> - -<p> -Ciò è tanto impossibile, quanto è di trovare -due uomini, o anche due foglie sopra un albero, -che si rassomiglino perfettamente. E se -due opere artistiche coincidono rispettivamente, -egli avviene o perchè l’una è un’opera -d’arte vera e l’altra una contraffazione, o -perchè tutte e due sono contraffazioni. Due -foglie naturali non possono essere esattamente -simili, ma possono esser tali due foglie -artificiali. Lo stesso è delle opere d’arte. -</p> - -<p> -Se la poesia e la musica possono trovarsi -accoppiate, come avviene per gl’inni e le canzoni, -il loro accoppiamento non è mai un’unione -vera, e il centro di gravità si trova sempre -nell’una delle due, talchè è soltanto l’una -o l’altra che produce l’impressione artistica. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -</p> - -<p> -Ma c’è di più. Una delle condizioni essenziali -della creazione artistica è la libertà assoluta -dell’artista, la sua indipendenza da -ogni vincolo esteriore. E la necessità d’adattare -un lavoro musicale a un lavoro d’un’altra -arte costituisce un vincolo esteriore di -tal fatta, bastante a sopprimere ogni possibilità -di creazione artistica. -</p> - -<p> -In realtà è ciò che accade nella musica di -Wagner. E la prova di ciò sta in questo, che -la musica di Wagner manca del carattere essenziale -d’ogni opera d’arte vera, cioè di quella -unità e di quella <i>integralità</i> per le quali avviene -che il più piccolo cambiamento di forma -basta ad alterare il significato dell’insieme. In -un’opera di vera arte, poema, quadro, canto o -sinfonia, è impossibile toglier via o mutar di -posto una linea, una figura, una battuta, senza -che ne sia compromesso il senso dell’opera -intiera, come è impossibile, senza compromettere -la vita d’un essere organizzato, mutar -di posto un solo de’ suoi organi. Ma nelle -ultime opere di Wagner, eccettuate alcune -parti meno importanti che hanno un senso -musicale indipendente, è possibile fare ogni -sorta di trasposizioni, mettere davanti quello -che era di dietro e viceversa, senza che ne -sia modificato il significato musicale. E la -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -ragione del fatto è questa, che nella musica -di Wagner il senso sta nelle parole e non -nella musica. -</p> - -<p> -La parte musicale di questi drammi di -Wagner mi fa pensare al caso d’uno di que’ -versificatori abili e vuoti, come ora n’abbiamo -in abbondanza, che concepisse il progetto -d’illustrare coi suoi versi una sinfonia o una -sonata del Beethoven, o una ballata dello -Chopin. Sulle prime battute, improntate d’un -carattere speciale, egli scriverebbe dei versi -corrispondenti, secondo lui, al carattere di -quelle battute. Sulle battute seguenti di carattere -diverso scriverebbe degli altri versi -corrispondenti a queste. E codesta nuova serie -di versi non avrebbe alcun intimo rapporto -colla prima, e, inoltre, tutti i versi non -avrebbero nè ritmo nè rime. Ora supponete -che un poeta simile reciti, senza la musica, -i versi così composti, avrete un’imagine esatta -di ciò che è la musica delle opere di Wagner, -allorchè la si ascolta senza le parole. -</p> - -<p> -Ma il Wagner non è solamente musicista, -è anche poeta. Dunque, per giudicarlo, bisogna -conoscere anche la sua poesia, quella -poesia a cui egli pretende di subordinare la -musica. Il principale dei suoi lavori poetici -è <i>L’anello dei Nibelunghi</i>. Ho letto colla massima -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -attenzione i quattro libretti che contengono -questa creazione poetica, e vi raccomando -di leggerli se volete avere un’idea d’un -lavoro veramente <i>straordinario</i>; poichè è un -modello della pseudo-poesia più grossolana -e che tocca davvero il grottesco. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ma si dice che è impossibile giudicare le -opere di Wagner se non le si vedono sulla -scena. La seconda <i>giornata</i> della <i>Tetralogia</i> -fu per l’appunto rappresentata a Mosca l’inverno -scorso. Avendo sentito che è la parte -migliore di tutto il lavoro, mi sono recato a -vederla; ed ecco ciò che ho veduto. -</p> - -<p> -Quando giunsi, l’enorme sala era già affollata -dal loggione sino alla platea. C’erano -dei granduchi e tutto il fiore della nobiltà, -del commercio, della scienza, dell’amministrazione -e della media borghesia. La maggior -parte degli uditori avevano in mano il -libretto e si sforzavano di decifrarne il senso. -Vidi pure molti musicisti — alcuni già vecchi, -coi capelli grigi — che seguivano la -musica sopra una partitura. Evidentemente -quella rappresentazione costituiva un vero -avvenimento. -</p> - -<p> -Arrivai un po’ in ritardo; ma mi si accertò -che il breve preludio d’introduzione all’opera -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -era poco importante e che non avevo perduto -molto a non sentirlo. Comunque, allorchè -fui entrato, un attore era seduto sulla -scena in una decorazione destinata a rappresentare -una grotta, e che, secondo il -consueto, produceva tanto minore illusione, -quanto più abilmente era architettata. L’attore -era in maglia, con una pelle a bisdosso, -una parrucca e una barba finta; e con certe -mani bianche e fine, che rivelavano il commediante, -martellava una spada inverisimile -con un martello impossibile, d’una foggia -quale non ebbe mai nessun martello maneggiato -da uomini; e nello stesso tempo, sgangherando -la bocca in un modo non meno -strano, cantava qualche cosa d’incomprensibile. -Intanto l’orchestra intiera si scalmanava -ad accompagnare i suoni bizzarri che -uscivano dalla bocca di lui. -</p> - -<p> -Il libretto mi fe’ sapere che quest’attore doveva -rappresentare un gnomo potente, che -viveva in una caverna e fabbricava una spada -per Siegfried, il giovinetto che egli aveva allevato. -E appunto avevo indovinato che esso -rappresentava un gnomo, perchè, camminando, -non mancava mai di piegar le ginocchia -per rimpicciolirsi. Il gnomo, spalancando -sempre la bocca nella medesima guisa stravagante, -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -continuò per un pezzo a cantare, o -a vociare. La musica per parte sua seguiva -un andamento singolare; si otteneva l’impressione -di principii che non continuavano, -nè finivano. Il libretto mi chiarì che il gnomo -raccontava a sè stesso la storia d’un anello, -di cui un gigante s’era impossessato, e che -il gnomo desiderava di procacciarsi coll’aiuto -di Siegfried; ed ecco perchè gli foggiava una -spada. -</p> - -<p> -Dopochè questo monologo fu durato un bel -pezzo, intesi all’orchestra degli altri suoni affatto -diversi dai primi; salvochè essi pure mi -produssero l’impressione di cominciamenti -che non finivano punto. E infatti non tardò -a presentarsi un altro attore, che portava -un corno sulla spalla ed era accompagnato -da un uomo camuffato da orso, e che correva -a quattro zampe. Quest’uomo si slanciava -sul gnomo, che scappava, sempre piegando -le gambe. L’attore che portava il -corno rappresentava Siegfried, l’eroe del -dramma. I suoni emessi dall’orchestra, prima -del suo comparire, erano destinati a rappresentare -il suo carattere. Sono detti il <i>leit-motiv</i> -di Siegfried; e vengono ripetuti ogni volta -che Siegfried si presenta. C’è precisamente -una combinazione fissa di suoni, o <i>leit-motiv</i>, -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -per ciascuno dei personaggi; e ogni volta che -il personaggio così designato entra in scena, -l’orchestra ripete il suo <i>leit-motiv</i>, e ogni volta -che si fa allusione a qualcuno dei personaggi, -l’orchestra ripete il <i>leit-motiv</i> di questo personaggio. -Tutti gli oggetti hanno anch’essi -il loro <i>leit-motiv</i>. -</p> - -<p> -C’è il <i>motivo dell’anello</i>, il <i>motivo dell’elmo</i>, -il <i>motivo del fuoco</i>, della <i>lancia</i>, della <i>spada</i>, -dell’<i>acqua</i>, ecc; e l’orchestra ripete codesti -motivi non appena si fa menzione di questi -diversi oggetti. Ma ritorno al racconto della -rappresentazione. -</p> - -<p> -L’attore munito del corno apre la bocca in -modo non più naturale di quello che facesse -il gnomo, e continua per un pezzo, con -una specie di canto, a gridare certe parole, -e <i>Mime</i>, il gnomo, gli risponde nello stesso -modo. Il senso di questa conversazione non -si può indovinare che leggendo il libretto; -vi apprendo che Siegfried è stato allevato dal -gnomo, per la qual cosa egli lo detesta e -cerca sempre d’accopparlo. Il gnomo ha fabbricato -una spada per Siegfried, ma questi -non ne è soddisfatto. Il dialogo dura una -buona mezz’ora e occupa dieci pagine del libretto. -Ci fa sapere che la madre di Siegfried -lo ha messo al mondo in un bosco, che suo -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -padre aveva una spada, quella di cui Mime -tenta di ricomporre i pezzi, e che Mime vuol -impedire al giovine di uscir dal bosco. Aggiungerò -che, durante questa conversazione, -al minimo cenno che si faccia del padre, -della spada, ecc., la musica non manca mai -di far sentire il <i>leit-motiv</i> di queste persone -e di questi oggetti. -</p> - -<p> -Finalmente il dialogo s’arresta; si sente una -musica affatto differente — il <i>leit-motiv</i> del dio -Wotan; e comparisce un viaggiatore. Questo -viaggiatore è il dio Wotan. Fornito anch’esso -di parrucca e di maglia, il dio, ritto in una -posa stupida con una lancia in mano, prende -a raccontare una lunga storia, che Mime doveva -di certo già conoscere a fondo, ma che -l’autore ha creduto necessario di far conoscere -ai suoi uditori. E si badi, che egli non -racconta questa storia semplicemente, ma -bensì sotto forma di enigmi ch’egli si fa rivolgere, -assoggettandosi a perder la vita se mai -non indovinasse la risposta. E tutte le volte -che batte il suolo colla lancia, se ne vede uscir -del fuoco, e nell’orchestra si sente il <i>leit-motiv</i> -della lancia e del fuoco. Del resto l’orchestra -accompagna il dialogo con una musica in cui -sono sempre abilmente frammischiati i <i>leit-motiv</i> -delle persone di cui si parla. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -</p> - -<p> -Questi enigmi hanno il solo fine di farci -sapere che cosa sono i gnomi, che cosa -sono i giganti, che cosa sono gli déi, e ciò -che è accaduto nelle opere precedenti. Per -completare la spiegazione, Wotan propone -alla sua volta tre enigmi; poscia se ne va, -e ritorna Siegfried, e si trattiene di nuovo -con Mime per tredici altre pagine del libretto. -In tutto questo tempo non si sente -una sola melodia svolta per intiero; non si -sente che un intreccio perpetuo dei <i>leit-motiv</i> -delle persone e delle cose di cui si parla. -Mime dice che vuole insegnare a Siegfried -la paura, e Siegfried risponde che non sa -che cosa sia la paura. Alla fine terminate -le tredici pagine, Siegfried afferra uno dei -pezzi di ciò che deve rappresentare la spada -infranta, la pone sull’affare che deve rappresentare -l’incudine, lo batte, e canta “Heaho, -heaho, hoho! Hoho, hoho, hoho, hoho! Hoheo, -haho, haheo, hoho!„ E il primo atto è -finito. -</p> - -<p> -Tutta questa roba era così irritante per -me, che stentavo a tenermi fermo, e, non -appena fu terminato l’atto, volli andarmene. -Ma gli amici che m’accompagnavano mi pregarono -di restare. Mi dissero che era impossibile -giudicare dell’opera dal solo primo atto, -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -e che il secondo, indubbiamente, mi sarebbe -piaciuto di più. -</p> - -<p> -Tuttavia non avevo più nulla da imparare -intorno alla questione per cui ero venuto in -teatro. Quanto al valore artistico del dramma -del Wagner ero oramai così sicuro del mio -parere come ero stato rispetto al pregio del -romanzo di quella signora, quando essa mi -aveva letto la scena tra la donzella dalle -chiome ondeggianti, e il cavaliere col cappello -piumato alla Guglielmo Teli. Da un autore -capace di comporre scene di quel genere, che -offendono tutti i sentimenti estetici, non c’era -da sperar nulla: si poteva esser certi, senza -sentir altro, che qualunque cosa quell’autore -avesse scritto, sarebbe stata arte cattiva, poi -chè evidentemente egli non sapeva che cosa -fosse una vera opera d’arte. Ma intorno a me -notavo un’ammirazione, un’estasi generale; -e per scoprire la causa di codesta estasi, risolvetti -di sentir ancora il secondo atto. -</p> - -<p> -Atto II. — Notte; poi l’alba. Del resto in generale -tutta la produzione è decorata di lampi, -nubi, chiaro di luna, tenebre, fuochi di bengala, -schianti di tuono, ecc. La scena rappresenta -un bosco, e in fondo si scorge una -caverna. All’ingresso della caverna è seduto -un altro attore in maglia, che rappresenta -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -un altro gnomo. Entra il dio Wotan, sempre -colla sua lancia, e in abito di viandante. Di -nuovo l’orchestra fa sentire il suo motivo, -questa volta insieme con un altro motivo di -tono più basso che sia possibile. Questo motivo -di basso profondo designa il dragone. -Wotan sveglia il dragone, gli stessi suoni -bassi si ripetono ancora più profondi. Il dragone -comincia a dire che vuol dormire; ma -poi si decide a mostrarsi sulla soglia della -caverna. Questo dragone è rappresentato da -due uomini. È vestito d’una pelle verde, squamosa; -da un capo dimena una gran coda di -serpente, dall’altro spalanca una bocca di -coccodrillo, nella quale guizzano delle fiamme. -E questo dragone — che senza dubbio si -volle rendere terribile, e che in realtà potrebbe -spaventare dei bambini di cinque anni — per -parlare ha una voce d’una profondità -terribile. Tuttociò è così stupido, così simile -a quello che si fa vedere nelle trabacche -della fiera, che vien da domandare come mai -delle persone che abbiano più di cinque anni -possano assistervi con tutta serietà; cionondimeno -migliaia di persone che si pretendono -colte, ci assistono e guardano e ascoltano -tutta la faccenda con una pia attenzione, e -ammattiscono dal piacere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -</p> - -<p> -Si vede ricomparire Siegfried col suo corno, -e anche Mime. L’orchestra naturalmente accenna -i <i>leit-motiv</i> che li riguardano; ed essi -intanto si mettono a discutere su questo -punto, se Siegfried sa o non sa che cosa sia -la paura. Poi Mime se ne va, e comincia una -scena che ha l’intenzione d’essere eminentemente -poetica. Siegfried, sempre in maglia, -si sdraia in una posa destinata a sembrarci -bella; e alternativamente tace o parla con sè -stesso. Egli fantastica, ascolta il canto degli -uccelli, desidera imitarli. A quel fine taglia -colla spada una cannuccia e se ne fa un -flauto. L’alba divien più chiara, gli uccelli -cantano; Siegfried tenta d’imitare gli uccelli. E -la musica dell’orchestra imita il canto degli -uccelli, ma non trascurando di farci udire i -<i>leit-motiv</i> delle persone e degli oggetti di cui -si parla. E Siegfried, non riuscendo a sonar -bene il flauto, si decide a sonare di preferenza -il suo corno. -</p> - -<p> -Tutta questa scena è insoffribile. Di musica, -cioè d’un’arte che ci trasmetta un sentimento -provato dall’autore, in tuttociò non c’è la -menoma traccia. E aggiungo che non s’è mai -imaginato nulla di più antimusicale. Par di -sentire, indefinitamente, una speranza di musica -sempre seguita da una delusione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -</p> - -<p> -Centinaia di volte comincia alcunchè di -musicale; ma questi cominciamenti sono così -brevi, così ingombri di complicazioni d’armonia -e di metallo, così carichi d’effetti di -contrasto, così oscuri e troncati tanto bruscamente, -e ciò che accade sulla scena è -d’una falsità così inverosimile, che si stenta -a percepire codesti embrioni musicali, e tanto -meno a sentirsene commossi. E sopra tutto, -dal principio alla fine, in ogni nota, è così, -direi, palpabile l’intenzione dell’autore che -non vediamo o udiamo nè Siegfried nè gli -uccelli, ma solamente un tedesco dalle idee -ristrette, un tedesco privo di gusto e di stile, -che, essendosi formato un concetto grossolano -della poesia, s’adopera a trasmetterci -il suo concetto coi mezzi più grossolani e -più primitivi. -</p> - -<p> -Si sa che sentimento di diffidenza e di resistenza -soglia destarsi in presenza d’un lavoro -che riveli con troppa evidenza un partito -preso dall’autore. Basta che un novelliere -ci dica prima: “preparatevi a piangere o a -ridere!„ perchè siamo certi di non piangere -e di non ridere. Ma quando vediamo che un -autore ci impone di commuoverci per cosa -che non è punto commovente, ma anzi ridicola -o ripugnante, e quando vediamo per -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -giunta che questo autore è pienamente convinto -d’averci conquistati, proviamo una sensazione -penosa analoga a quella che susciterebbe -in noi una vecchia in abito da ballo, -che facesse la civettuola con noi. -</p> - -<p> -Tale fu l’impressione che io provai durante -quella scena, mentre vedevo intorno a me -una folla di tremila persone, che non solo -assistevano a quelle assurdità senza lagnarsi, -ma che si credevano in dovere di esserne -entusiaste. -</p> - -<p> -A ogni modo mi rassegnai ancora alla scena -seguente, in cui compare il mostro, coll’accompagnamento -delle sue note profonde mescolate -col <i>leit-motiv</i> di Siegfried; ma dopo -il combattimento col mostro, e i muggiti, le -vampe, i colpi di spada, ecc. non potei più -resistere, e scappai dal teatro con un sentimento -di ripugnanza, che anche adesso non -posso dimenticare. -</p> - -<p> -E pensavo involontariamente a un contadino -savio, istruito, rispettabile, uno di quegli -uomini veramente religiosi che conosco tra i -nostri contadini, mi raffiguravo la perplessità -terribile che proverebbe un uomo siffatto se -dovesse assistere allo spettacolo che io avevo -veduto. Che direbbe venendo a sapere quanto -lavoro s’era speso per quella rappresentazione, -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -e vedendo quell’uditorio, vedendo quei -grandi della terra — uomini attempati, calvi, -dalla barba grigia, uomini che egli era avvezzo -a rispettare — vedendoli sedere immobili -a guardare e ad ascoltare, per sei ore -di seguito, quel mucchio di assurdità? -</p> - -<p> -Eppure un uditorio enorme, il fiore delle -classi colte, assiste per sei ore di seguito a -codesta rappresentazione assurda: e tutta -questa gente se ne va a casa colla convinzione -che col rendere un tributo a quelle stravaganze -s’è acquisito un nuovo diritto di credersi -“illuminata„ e “progredita„. -</p> - -<p> -Io parlo del pubblico di Mosca, ma questo -pubblico non è che una minima parte di quello -che considerandosi come il fiore intellettuale -del mondo, si fa un merito d’aver tanto smarrita -la facoltà d’ogni emozione artistica da -poter assistere senza ribellarsi a codesta stupida -farsa, anzi prendervi un piacere estremo. -A Bayreuth, dove si rappresentò per la prima -volta quel lavoro, delle persone che si consideravano -come la quintessenza del genere -umano accorsero dai quattro punti cardinali, e -spesero ciascuna delle migliaia di rubli per veder -rappresentate delle cose simili; e quattro -giorni di seguito, per sei ore al giorno hanno -contemplato e ascoltato questa stupida farsa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -</p> - -<p> -Ma perchè queste persone si sono recate a -Bayreuth, e perchè si continua ad andar a -vedere queste opere, e perchè le si ammirano? -È un quesito che s’impone fatalmente. -Come si spiega il successo delle opere del -Wagner? -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -La spiegazione è molto semplice. Grazie a -una condizione eccezionale, potendo disporre -dei mezzi d’un re, il Wagner si trovò in grado -di concentrare tutti i metodi inventati prima -di lui per contraffare l’arte; e maneggiando -tutti questi metodi con estrema abilità, produsse -un modello perfetto della contraffazione -dell’arte. Ed è appunto per questo che ho parlato -così a lungo dell’opera sua; nessun’altra -che io conosca mi fa vedere combinati con -tanta accortezza ed efficacia tutti i metodi -che valgono a contraffare l’arte, cioè i prestiti, -i fronzoli, gli effetti, e l’appello alla curiosità. -Cominciando dal soggetto, ricavato -dalle vecchie leggende, per venire alle nubi, -al sorgere del sole e della luna, il Wagner -s’è valso di tutto ciò che è considerato come -poetico. Nella sua opera troviamo la bella -addormentata in mezzo al bosco, e le ninfe -e i fuochi sotterranei, e i gnomi, e le battaglie, -e le spade, e l’amore, e l’incesto, e -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -un mostro, e degli uccelli canori; l’arsenale -del <i>poetico</i> ci si trova su tutta la linea. -</p> - -<p> -Aggiungete che lì dentro tutto è bello. Sono -belle le scene, e le vesti, e le ninfe, e la valkiria. -Anche i suoni sono belli. Poichè Wagner, -che era tutt’altro che privo d’ingegno, ha -inventato — alla lettera, inventato — per accompagnare -il suo testo delle combinazioni di -suoni belle non meno d’armonia che di metallo. -Tutta codesta bellezza è d’un ordine piuttosto -basso e d’un gusto deplorevole, come -sono le belle donne che si vedono dipinte -sugli affissi, o come dei begli ufficiali in -grande uniforme; ma tutto ciò è incontestabilmente -bello. -</p> - -<p> -In terzo luogo tutto vi è sbalorditivo in -sommo grado e di grande effetto: i mostri, -le fiamme miracolose, le scene che avvengono -nell’acqua, l’oscurità della sala, l’orchestra -invisibile, e poi delle combinazioni -armoniche nuove, e perciò sorprendenti. -</p> - -<p> -Infine tutto è “interessante„. L’interesse -non istà solo nella questione di sapere chi -ammazzerà e chi sarà ammazzato, chi si -sposerà, e ciò che avverrà in seguito; l’interesse -risiede altresì nel rapporto tra la musica -e il testo. Il moto delle onde del Reno; -come lo renderà la musica? Compare sulla -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -scena un gnomo sensuale; come mai la musica -potrà esprimere un gnomo; come potrà -colorire la sua sensualità? Come saranno rappresentati -musicalmente il coraggio, o il fuoco, -o un anello? Come farà l’autore a intrecciare -il leit-motiv delle persone che parlano con -quello delle persone e delle cose di cui egli -parla? E l’interesse delle opere del Wagner -non si ferma lì. La musica, anche di per sè -è un appello costante alla nostra curiosità. -S’allontana da tutte le leggi ammesse prima -di essa e produce le modulazioni più inaspettate, -delle modulazioni affatto nuove (cosa -non solo possibile, ma anche facile a una musica -che s’è liberata da ogni legge organica). -Le dissonanze sono nuove e sono risolute in -un modo affatto nuovo. Tuttociò è pure molto -interessante. -</p> - -<p> -E sono questi elementi, l’apparato poetico, -la bellezza, l’effetto, e l’interesse, che, grazie -alle singolarità dell’ingegno del Wagner e -a quello della sua condizione, si trovano nelle -opere di lui portate al sommo della perfezione: -di modo che ipnotizzano lo spettatore, come -sareste ipnotizzati se ascoltaste per parecchie -ore le divagazioni d’un pazzo declamate con -grande potenza rettorica. -</p> - -<p> -Mi si dice: “Non potete giudicare di tutto -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -ciò senza aver veduto le opere del Wagner -a Bayreuth, nella sala oscura, coll’orchestra -nascosta del tutto e un’esecuzione inappuntabile!„ -Sono pronto ad ammetterlo; ma questo -prova precisamente che non si tratta -d’arte, ma d’ipnotismo. È appunto nello stesso -modo che parlano gli spiriti. Per convincerci -della realtà delle loro apparizioni, ci dicono -infallibilmente: “Non potete giudicare a casa -vostra, venite alle nostre sedute„. In altri termini: -“Venite, e rimarrete seduti, per parecchie -ore di seguito, al buio, con altre persone -mezze matte, ripetete questa esperienza una -decina di volte, e vedrete quello che vediamo -noi„. E perchè non lo vedrei? Mettetevi solamente -in siffatte condizioni, e vedrete tutto -quello che volete vedere, sebbene possiate -giungere più facilmente allo stesso risultato -ubriacandovi di vino o d’oppio. Lo stesso -avviene per l’audizione delle opere del Wagner. -Rituffatevi per quattro giorni di seguito -nell’oscurità in compagnia di persone che si -trovano in uno stato di mente anormale, e -per il veicolo dei vostri nervi acustici sottomettete -il vostro cervello all’azione potente -dei suoni fatti apposta per eccitarlo; dovrete -per forza trovarvi in condizioni anormali sicchè -le assurdità peggiori vi faranno piacere. -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -Ma per arrivare a tanto non vi occorrono -neppure quattro giorni; bastano le sei ore -che dura la rappresentazione d’una delle -giornate. Che dico mai? Un’ora basta per -delle persone che non hanno alcuna idea -chiara di quello che dovrebbe essere l’arte, e -che hanno anticipatamente deciso che quanto -vanno a vedere è eccellente, e sanno che mostrarsi -indifferenti o malcontenti dinanzi a -codesta opera sarebbe imputato loro come -una prova d’inferiorità e di scarsa cultura. -</p> - -<p> -Ho osservato a Mosca l’uditorio del Siegfried. -C’erano delle persone che dirigevano -gli altri e davano loro l’imbeccata; ce n’erano -di quelle che avevano già subito altre volte -l’azione ipnotica del Wagner, e vi si abbandonavano -di nuovo, essendovisi abituate. Coloro, -trovandosi in uno stato anormale di -mente, provavano un’estasi perfetta. Accanto -ad essi c’erano i critici d’arte, uomini assolutamente -privi della facoltà di provar commozione -per l’arte, e che quindi sono sempre -pronti a lodare delle opere come quelle del -Wagner, in cui ogni cosa è affare d’intelligenza; -perciò non mancavano di sfoggiare -tutta la loro profondità nel lodare un’opera -che forniva loro così ampia materia di raziocinii. -Dietro a questi due gruppi camminava -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -la turba dei cittadini, uomini indifferenti -all’arte, o tali che la capacità d’esserne -tocchi era in essi pervertita e in parte atrofizzata; -e costoro si schieravano servilmente -coll’opinione dei principi, dei caporioni della -finanza e altri dilettanti, che alla loro volta -abbracciano sempre le idee di coloro che -esprimono il loro parere più forte e con maggior -baldanza. — “Oh! che poesia! che meraviglia! -principalmente gli uccelli! Ah sì! -m’arrendo!„ Così esclama tutta quella folla -ripetendo a gara ciò che ha or ora udito affermare -dagli uomini di autorità riconosciuta. -</p> - -<p> -Ciononostante forse ci sono delle persone -che si sentono urtate dall’assurdità e dalla -volgarità di questa così detta arte nuova; -ma tacciono timidamente, come un uomo digiuno -rimane silenzioso e timido quando si -vede circondato da ubbriachi. -</p> - -<p> -E così avviene che, grazie alla maestria -prodigiosa con cui contraffà l’arte senza aver -nulla di comune con essa, un’opera grossolana, -bassa e vuota di senso si trova ammessa -dal mondo intiero, costa per la rappresentazione -migliaia di rubli, e contribuisce -sempre più a pervertire il gusto delle classi -superiori, allontanandole sempre più dall’arte -vera. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -</p> - -<h2 id="cap13"><span class="smcap">Capitolo XIII.</span> -<span class="smaller">Difficoltà di distinguere l’arte vera -dalla sua contraffazione.</span></h2> -</div> - -<p> -So che la maggior parte degli uomini, anche -i più intelligenti, stentano a riconoscere -la verità anche più semplice e più evidente, -se questa verità li costringe a ritener false -delle idee che si son formati forse a fatica, -delle idee di cui sono fieri, che hanno insegnate -a degli altri, e sulle quali hanno fondato -la loro vita. Quindi non ho molta speranza -che quanto io dico intorno al pervertimento -dell’arte e del gusto nella nostra società abbia -ad essere ammesso dai miei lettori, o neppur -preso seriamente in considerazione. Tuttavia -non mi so trattenere dall’enunciare francamente -la conclusione a cui inevitabilmente -m’hanno condotto le mie ricerche intorno al -problema dell’arte. Questa conclusione è che -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -quanto la maggior parte della nostra società -considera come arte, come arte buona, come -essenza dell’arte, non è che una contraffazione -dell’arte vera. Questa conclusione, lo so bene, -sembrerà strana e paradossale; ma purchè -ammettiamo che l’arte è un’attività umana -per mezzo della quale certi uomini trasmettono -i loro sentimenti a certi altri (e non già -un culto della Bellezza, nè una manifestazione -dell’Idea, nè nulla di simile), saremo -costretti inevitabilmente ad ammettere questa -conclusione come conseguenza naturale. -</p> - -<p> -Se l’arte è un’attività colla quale un uomo -trasmette i suoi sentimenti ad altri uomini, -dobbiamo confessare che di tutto ciò che chiamiamo -arte nella nostra società, di tutti questi -romanzi, racconti, drammi, quadri, opere, -balli, ecc., è dir molto se la centomillesima -parte procede da un’emozione sentita dall’autore, -tutto il resto riducendosi a contraffazioni -dell’arte, in cui gli imprestiti, gli ornamenti, -gli effetti e l’interesse sostituiscono il contagio -del sentimento. Ho letto, non so dove, che -solo a Parigi il numero dei pittori oltrepassa -i ventimila; probabilmente ce ne saranno altrettanti -in Inghilterra, altrettanti in Germania, -altrettanti negli altri paesi d’Europa. -Quindi in Europa ci saranno circa centomila -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -pittori, e senza dubbio vi si troveranno pure -centomila musicisti e centomila letterati. Se -codesti trecentomila individui producono ciascuno -tre opere all’anno, si può calcolare ogni -anno sopra un milione circa di così dette -opere d’arte. Ora quanti sono gl’intenditori -d’arte che siano colpiti da codesto milione di -lavori? Per non parlare delle classi lavoratrici, -che non hanno alcuna idea di quelle -produzioni, sarà molto se anche gli uomini -delle classi superiori conoscono una su mille -di quelle opere, e possono ricordarne una su -diecimila. Quindi possiamo dire che tutte queste -opere non sono che simulacri d’arte, non -producono che l’impressione d’un passatempo -per la turba degli oziosi e dei ricchi, e sono -destinate a scomparire non appena sono prodotte. -</p> - -<p> -La condizione d’un uomo della nostra società -che voglia scoprire un’opera di arte -vera nel gran numero delle opere che pretendono -di essere arte, s’assomiglia a quella -d’un uomo che fosse condotto per miglia e -miglia lungo una strada lastricata d’un mosaico -di pietre artificiali, e volesse riconoscere -l’unico diamante o rubino o topazio vero -che supponesse trovarsi in mezzo a quel milione -d’imitazioni. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -</p> - -<p> -Anzi la difficoltà dì distinguere le opere -dell’arte vera oggigiorno si trova accresciuta -dal fatto che la qualità esteriore del lavoro -nelle false opere d’arte non solo non è peggiore, -ma spesso è anche migliore che nelle -vere; poichè la contraffazione produce spesso -più effetto che l’arte vera, e i suoi soggetti -sono più interessanti. Come riconoscere dunque -l’arte vera dalla falsa? Come distinguere -da un milione d’opere fatte apposta per imitare -un’opera che non se ne distingue per la -forma esteriore? -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Per un uomo il gusto del quale non fosse -pervertito ciò sarebbe facile, come per un -animale il cui olfatto non è pervertito è facile -il seguire la traccia che segue in mezzo a -cento altre nel bosco. L’animale trova infallibilmente -la sua traccia. E l’uomo farebbe -lo stesso se le sue qualità naturali non fossero -state pervertite. Troverebbe infallibilmente, -in mezzo a migliaia d’oggetti, la sola -opera d’un’arte vera, cioè quella che gli comunica -dei sentimenti particolari e nuovi. -Ma ciò non vale per coloro il cui gusto è -stato pervertito dall’educazione e dal genere -di vita. In uomini siffatti il potere naturale -d’essere commosso da un’opera d’arte è -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -atrofizzato, e nel valore che danno alle opere -d’arte sono costretti a lasciarsi guidare dalla -discussione e dallo studio, che finiscono entrambi -per fuorviarli. E così accade che la -maggior parte degli uomini nella nostra società -sono assolutamente incapaci di distinguere -un’opera d’arte dalla sua contraffazione -più grossolana. Costoro si condannano -a rimaner seduti per delle ore intiere -nei teatri a sentire i lavori di Ibsen, -di Maeterlinck, di Hauptmann o di Wagner; -si credono in dovere di leggere dalla prima -riga all’ultima i romanzi dello Zola, del Huysmans, -del Bourget o del Kipling, di guardar -dei quadri rappresentanti o delle cose incomprensibili, -o delle cose che possono vedere -assai meglio nella vita reale; e sopratutto -considerano come loro obbligo d’andar in -estasi per tutta quella roba, pensando che sia -dell’arte, mentre nel medesimo istante delle -opere d’arte vera ispireranno loro un profondo -disprezzo, perchè nei loro circoli quelle -opere non sono messe sulla lista delle opere -d’arte. -</p> - -<p> -E così, per quanto ciò possa parere strano, -io sostengo che tra gli uomini della nostra -società, alcuni dei quali scrivono dei versi, -dei romanzi, delle opere, delle sinfonie, dipingono -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -dei quadri e scolpiscono delle statue, e -discutono, condannano, esaltano le loro produzioni -a vicenda, sostengo che tra tutti costoro -ce n’è appena uno su cento che conosca -il sentimento prodotto da un’opera d’arte e -distingua questo sentimento dalle diverse -forme del divertimento e dell’eccitazione nervosa -che ai nostri tempi passano per forme -dell’arte. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -</p> - -<h2 id="cap14"><span class="smcap">Capitolo XIV.</span> -<span class="smaller">Il contagio artistico, criterio dell’arte vera.</span></h2> -</div> - -<p> -Eppure c’è un segno certo e infallibile per -distinguere l’arte vera dalle sue contraffazioni; -ed è ciò che io chiamo il contagio -artistico. Se un uomo senza alcun sforzo da -parte sua dinanzi all’opera d’un altro uomo, -prova un’emozione che lo unisce a questo -e ad altri ancora ricevendo contemporaneamente -la stessa impressione, ciò significa che -l’opera dinanzi a cui si trova è un’opera d’arte. -E un’opera può essere quanto vuole bella, -poetica, ricca d’effetti e interessante, ma non è -un’opera d’arte se non desta in noi quell’emozione -tutta particolare, la gioia di sentirci in -comunione d’arte coll’autore e cogli altri uomini -in compagnia dei quali noi leggiamo, -vediamo, sentiamo l’opera in questione. -</p> - -<p> -Certamente questo è un segno affatto interiore; -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -e certamente le persone che non hanno -mai provato l’impressione prodotta da un’opera -d’arte potranno imaginarsi che il divertimento -e l’eccitazione nervosa provocati in -loro dalle contraffazioni dell’arte costituiscano -delle impressioni artistiche. Ma queste persone -sono come gli affetti da daltonismo, ai quali -nulla può far credere che il verde non è il -rosso. E all’infuori di esse per ogni persona -che non sia di gusto pervertito e atrofizzato, -il segno che ho detto conserva il suo pieno -valore e permette di distinguere nettamente -l’impressione artistica da tutte le altre. La -particolarità principale di questa impressione -sta in ciò, che l’uomo che la riceve si trova -per così dire confuso coll’artista. Gli pare che -i sentimenti che gli sono trasmessi non provengano -da un’altra persona, ma da sè stesso, -e che tutto ciò che l’artista esprime, egli stesso -avrebbe voluto esprimerlo da un pezzo. La -vera opera d’arte ha per effetto di sopprimere -la distinzione tra la persona a cui è indirizzata -e l’artista, come pure tra questa persona -e tutte le altre a cui è indirizzata la stessa -opera d’arte. Ed è appunto in questa soppressione -d’ogni barriera tra gli uomini, in questa -unione del pubblico coll’artista che sta la virtù -principale dell’arte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -</p> - -<p> -Proviamo noi codesto sentimento in presenza -d’un’opera? Vuol dire che l’opera è vera -arte. Non lo proviamo, e non ci sentiamo -uniti coll’autore e cogli altri uomini a cui -l’opera è indirizzata? Vuol dire che in quest’opera -non c’è arte. E non solo il potere del -contagio è il segno infallibile dell’arte, ma il -grado di questo contagio è l’unica misura -dell’eccellenza artistica. Più è forte il contagio, -e più l’arte è vera, in quanto sia arte, indipendentemente -dal contenuto, cioè dal valore -dei sentimenti che ci trasmette. -</p> - -<p> -E il grado del contagio dell’arte dipende da -tre condizioni: 1.º dalla maggiore o minore -singolarità, originalità e novità dei sentimenti -espressi; 2.º dalla maggiore o minor chiarezza -con cui sono espressi; 3.º finalmente -dalla sincerità dell’artista, cioè dall’intensità -più o meno grande colla quale prova egli -stesso i sentimenti che esprime. -</p> - -<p> -Quanto più i sentimenti sono singolari e -nuovi, tanto più agiscono su colui al quale -si trasmettono. Costui riceve un’impressione -tanto più viva, quanto è più singolare e nuovo -lo stato d’animo in cui si trova trasportato. -</p> - -<p> -La chiarezza colla quale sono espressi i -sentimenti determina in secondo luogo il contagio -perchè nella nostra impressione d’essere -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -uniti coll’autore, la nostra soddisfazione -è tanto maggiore quanto sono espressi più -chiaramente quei sentimenti, che ci sembra -di provare già da un pezzo e di essere finalmente -riusciti a esprimere. -</p> - -<p> -Ma sopra tutto è il grado di sincerità dell’artista -che determina il grado del contagio -artistico. Quando lo spettatore, l’uditore, il -lettore indovinano che l’artista è commosso -egli stesso dalla sua opera, che scrive, dipinge -e suona per sè stesso, s’assimilano -subito i sentimenti dell’artista; e al contrario -quando lo spettatore, l’uditore, il lettore -capiscono che l’autore non produce la -sua opera per sè stesso, e non prova egli -stesso ciò che vuole esprimere, tosto nasce -in loro un desiderio di resistenza; in tal caso -nè la novità del sentimento nè la semplicità -dell’espressione riescono a dar loro l’emozione -voluta. -</p> - -<p> -Io discorro di tre condizioni del contagio -artistico; ma in realtà si riducono tutte e -tre all’ultima che esige che l’artista provi per -proprio conto i sentimenti che esprime. In -fatti questa condizione implica la prima, poichè, -se l’artista è sincero, esprimerà il suo -sentimento come l’ha provato; e attesochè -ognuno differisce dagli altri, i sentimenti -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -dell’artista saranno tanto più nuovi per gli -altri uomini quanto più profondamente li -avrà attinti in sè stesso. E del pari quanto -più l’artista è sincero, riesce a esprimere con -tanta maggior chiarezza il sentimento che -gli preme. -</p> - -<p> -Quindi la sincerità è la condizione essenziale -dell’arte. Questa condizione è sempre -presente nell’arte popolare, mentre è quasi -del tutto assente nell’arte delle nostre classi -superiori, in cui l’artista ha sempre dinanzi -a sè delle considerazioni di guadagno, di convenienza -o d’amor proprio personale. -</p> - -<p> -Ecco dunque per quale indizio certo si può -distinguere l’arte vera dalla sua contraffazione -e inoltre misurare il grado d’eccellenza -dell’arte in quanto è arte, indipendentemente -dal suo contenuto, cioè dalla questione di sapere -se esprime dei sentimenti buoni o cattivi. -Ma ora si presenta un altro problema: -da qual segno si distinguerà nel contenuto -dell’arte, ciò che è buono da ciò che è cattivo? -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -</p> - -<h2 id="cap15"><span class="smcap">Capitolo XV.</span> -<span class="smaller">L’arte buona e l’arte cattiva.</span></h2> -</div> - -<p> -L’arte è, insieme colla parola, uno degli -stromenti dell’unione degli uomini e perciò -del progresso, ovverosia dell’avanzare del genere -umano verso la felicità. La parola concede -agli uomini delle nuove generazioni di -conoscere tuttociò che per mezzo dell’esperienza -e della riflessione hanno imparato le -generazioni precedenti, e i più sapienti tra i -contemporanei; l’arte concede agli uomini -delle nuove generazioni di provare tutti i -sentimenti che hanno provato le generazioni -anteriori, come pure i migliori dei contemporanei. -E a quella guisa che procede l’evoluzione -delle cognizioni, per la quale delle -cognizioni più reali e più utili si sostituiscono -sempre ad altre meno reali e meno utili, del -pari procede l’evoluzione dei sentimenti per -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -mezzo dell’arte. Ai sentimenti inferiori, meno -buoni e meno utili per la felicità dell’uomo, -si sostituiscono senza posa dei sentimenti migliori, -più utili a questa felicità. Tale è la funzione -dell’arte. In conseguenza l’arte, rispetto -al suo contenuto, è tanto migliore, quanto -meglio adempie questa funzione, ed è meno -buona, se meno bene vi soddisfa. -</p> - -<p> -Ora la stima dei sentimenti, cioè la distinzione -tra quelli che sono buoni da quelli -meno buoni considerati rispetto alla felicità -dell’uomo, codesta stima, ripeto, si fonda sulla -coscienza religiosa d’un’età. -</p> - -<p> -In tutte le età storiche, e in tutte le società -esiste un concetto superiore del significato -della vita, proprio di ciascuna età; ed è esso -appunto che determina l’ideale della felicità -verso cui tendono quell’epoca e quella società. -Questo concetto costituisce la coscienza -religiosa. E tale coscienza si trova sempre -espressa chiaramente da alcuni uomini eletti, -mentre il resto dei loro contemporanei la -sente con forza maggiore o minore. Talvolta -ci pare che questa coscienza manchi in certe -società; ma realmente non è già che essa -manchi, siamo noi che non vogliamo vederla, -sovratutto perchè non va d’accordo -col nostro modo di vivere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -</p> - -<p> -In una società la coscienza religiosa è -come la corrente d’un fiume. Se il fiume scorre -gli è perchè c’è l’avviamento della corrente. -E se la società vive gli è che c’è una coscienza -religiosa la quale determina la corrente -che seguono, più o meno a loro insaputa, -gli uomini di questa società. -</p> - -<p> -Pertanto in ogni società c’è sempre stata e -ci sarà sempre una coscienza religiosa. Ed è -in conformità di questa coscienza religiosa -che si sono sempre valutati i sentimenti -espressi dall’arte. È solo sul fondamento di -questa coscienza religiosa del tempo loro che -gli uomini hanno potuto distinguere, nella -varietà infinita del dominio dell’arte, i soggetti -capaci di produrre dei sentimenti conformi -all’ideale religioso del loro tempo. E -l’arte che esprimesse tali sentimenti fu sempre -grandemente stimata; mentre quella che -traduceva dei sentimenti sgorganti dalla coscienza -religiosa di epoche anteriori, dei sentimenti -logori e vieti, fu sempre sdegnata e -abbandonata. E quanto a tutta quell’arte che -esprimeva la varietà infinita degli altri sentimenti -d’ogni specie, quella non era ammessa -e incoraggiata se non in quanto i sentimenti -che essa esprimeva non fossero contrari alla -coscienza religiosa. Così per esempio presso -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -i Greci si distingueva, s’approvava e s’incoraggiava -l’arte che esprimeva i sentimenti -della bellezza, della forza, della virilità (Esiodo, -Omero, Fidia), mentre si condannava e si -sprezzava l’arte che traduceva dei sentimenti -di sensualità grossolana, d’abbiezione, e di -tristezza. Presso gli Ebrei si ammetteva e -s’incoraggiava l’arte che esprimeva dei sentimenti -di sommissione verso il Dio degli Ebrei, -mentre si condannava e si disprezzava l’arte -che esprimeva dei sentimenti d’idolatria; e -tutto il resto dell’arte, racconti, canti, ornamenti -delle case, vasellame, vesti, purchè -non cozzasse colla coscienza religiosa, non -era nè condannato nè incoraggiato. Così l’arte, -sempre e dappertutto, era stimata secondo -il suo contenuto; e così dovrebbe sempre essere -stimata, poichè questo modo di considerar -l’arte defluisce dall’essenza stessa della -natura umana, e questa essenza è sempre -invariabile. -</p> - -<p> -Non ignoro che secondo un’opinione ai nostri -tempi diffusa, la religione è un pregiudizio -di cui l’umanità s’è finalmente liberata; -e da ciò risulterebbe che nel tempo nostro -non c’è coscienza religiosa comune a tutti gli -uomini, la quale quindi possa servir di base -a una valutazione dell’arte. E so pure che -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -questa opinione è ritenuta quella delle classi -più colte della nostra società. Degli uomini, -che non volendo riconoscere il vero senso -del Cristianesimo, inventano ogni sorta di -dottrine filosofiche ed estetiche per nascondere -ai propri occhi l’irragionevolezza e la -bassezza della loro vita, tali uomini non -possono avere altra opinione. Sinceramente -o no essi confondono l’idea d’un culto religioso -con quella d’una coscienza religiosa; e -respingendo il culto, s’imaginano di respingere -colla medesima mossa la coscienza religiosa. -Ma tutti questi assalti contro la religione, -e questi tentativi di stabilire una filosofia -contraria alla coscienza religiosa del nostro -tempo, tuttociò prova abbastanza chiaramente -che questa coscienza esiste, e che essa accusa -la vita degli uomini che l’attaccano, e -la contraddice. -</p> - -<p> -Se nell’umanità c’è un progresso, cioè un -cammino per cui s’avanza, dev’esserci necessariamente -qualche cosa che designi agli uomini -la direzione da seguire in questo cammino. -Ora questo è sempre stato il cómpito -delle religioni. Tutta la storia ci mostra che -il progresso dell’umanità è sempre avvenuto -sotto la guida d’una religione. E poichè il progresso -non s’arresta, poichè in conseguenza -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -deve aver luogo anche nel nostro tempo, se -ne conchiude che anche il nostro tempo ha -una religione propria. E se la nostra età, come -tutte le altre, ha la sua religione, egli è sul -fondamento di questa religione che deve essere -stimata l’arte nostra, e debbono essere -stimate e incoraggiate quelle sole opere d’arte -che sgorgano dalla religione del nostro tempo -mentre tutte le opere contrarie a questa religione -devono essere condannate, e tutto il -resto dell’arte dev’essere trattato con indifferenza. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Ora, la coscienza religiosa del nostro tempo -in termini generali, consiste nel riconoscere -che la nostra felicità materiale e spirituale, -individuale e collettiva, momentanea e permanente, -risiede nella fraternità di tutti gli -uomini, nella nostra unione per una vita comune. -Questa coscienza non solo si trova -affermata sotto le forme più diverse, dagli -uomini del nostro tempo, ma è dessa che -serve di filo conduttore a tutto il lavoro dell’umanità, -lavoro che ha per oggetto da una -parte la soppressione di tutte le barriere fisiche -e morali, che s’oppongono all’unione degli -uomini, e dall’altra l’assodamento di principii -comuni a tutti gli uomini che possano -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -unirli tutti in una stessa fraternità universale. Egli -è pertanto sul fondamento di questa -coscienza religiosa che dobbiamo valutare -tutte le manifestazioni della nostra vita, -e tra queste, l’arte nostra; distinguendo tra -tutto il resto nei prodotti di quest’arte quelli -che esprimono dei sentimenti in accordo con -questa coscienza religiosa, e respingendo e -condannando tutti quelli che sono contrarii -a questa coscienza. -</p> - -<p> -L’errore principale che commisero le classi -superiori della società al tempo del così detto -Rinascimento e che noi continuiamo a commettere -dopo d’allora, non risiede tanto nell’aver -l’uomo cessato di pregiare il senso dell’arte -religiosa, quanto piuttosto nell’avere -stabilito al posto dell’arte religiosa scomparsa -un’arte indifferente che non ha per fine che -il semplice divertimento e non merita punto -d’essere tanto stimata e incoraggiata. -</p> - -<p> -Uno dei Padri della Chiesa diceva che la -peggior disgrazia per gli uomini non è quella -di non conoscere Dio ma di aver messo al -posto di Dio ciò che non è Dio. Per l’arte -siamo nello stesso caso. La peggior disgrazia -delle classi superiori del nostro tempo non è -il mancare d’un’arte religiosa, ma che al posto -elevato dove non meritava d’essere collocata -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -che questa sola arte, sola importante e -degna d’essere incoraggiata, hanno innalzato -un’arte indifferente, o anche più di sovente -funesta, che obbedisce al fine di divertire -alcuni uomini, ed è per ciò stesso contraria al -principio cristiano dell’unione universale, che -forma il fondo della coscienza religiosa del -nostro tempo. -</p> - -<p> -Senza dubbio, l’arte che soddisferebbe alle -aspirazioni religiose del nostro tempo non -potrebbe aver nulla di comune colle qualità -d’arte delle età passate; ma questa differenza -non toglie che l’ideale dell’arte religiosa del -nostro tempo sia perfettamente chiaro e definito -per chiunque riflette e non s’allontana -di proposito dalla verità. Nelle età anteriori, -quando la coscienza religiosa non univa ancora -che un gruppo solo d’uomini — i cittadini -ebrei, ateniesi, o romani — i sentimenti -espressi dall’arte di quei tempi scaturivano -dal desiderio di potenza, di grandezza, di -gloria propria di ciascuno di quei gruppi, e -l’arte poteva anche assumere come eroi degli -uomini che adoperavano per il bene del loro -gruppo la violenza o l’astuzia (Ulisse, Ercole, -e in generale gli eroi antichi). Al contrario -la coscienza religiosa del nostro tempo non -ammette dei gruppi separati tra gli uomini, -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -ma esige l’unione di tutti gli uomini senza -eccezione, e sopra tutte le altre virtù colloca -l’amor fraterno dell’umanità intiera; perciò i -sentimenti che deve esprimere l’arte del nostro -tempo non solo non possono coincidere -con quelli delle arti anteriori, ma si trovano -per forza in opposizione con quelli. -</p> - -<p> -E se finora un’arte cristiana, ma veramente -cristiana, non s’è mai potuta stabilire, ciò dipende -per l’appunto da questo: che il concetto -religioso cristiano non è stato uno di quei -piccoli passi avanti, quali ne fa di continuo -il genere umano, ma bensì una rivoluzione -enorme, destinata a modificare da cima a -fondo, presto o tardi, il modo di vivere degli -uomini e i loro sentimenti. Il concetto -cristiano ha dato una direzione differente -e nuova a tutti i sentimenti dell’umanità; -quindi doveva pure di necessità modificare -totalmente la materia e il significato dell’arte. -Ai Greci fu possibile trar partito dall’arte -dei Persiani, e ai Romani da quella dei -Greci, come pure agli Ebrei da quella degli -Egiziani, essendo identica la base dei loro -ideali. Infatti l’ideale dei Persiani era la grandezza -e la prosperità dei Persiani; quello dei -Greci la grandezza e la prosperità dei Greci. -Così una stessa arte si poteva trasportare in -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -un nuovo ambiente e adattarsi ad altre nazioni. -Ma l’ideale cristiano al contrario ha -modificato, anzi rovesciato tutti gli altri di -modo che come si dice nel Vangelo: “Ciò che -era grande nel cospetto degli uomini, è diventato -piccolo nel cospetto di Dio.„ Quest’ideale -non fu più riposto nella potenza, come era -quello degli Egiziani, e nemmeno nella ricchezza, -come quello dei Fenici, o nella bellezza, -come quello dei Greci, ma nell’umiltà, -nella rassegnazione, nell’amore. L’eroe, oramai, -non fu più il ricco, ma Lazzaro il mendicante. -Maria l’Egiziaca parve degna d’essere -ammirata non all’epoca della sua bellezza, -ma in quella del suo pentimento. Non si celebrò -come virtù l’ammassare ricchezze, ma -il rinunciare ad esse. E l’oggetto supremo -dell’arte non fu più la glorificazione della riuscita, -ma la rappresentazione d’un’anima -umana, così riboccante d’amore che rendeva -possibile al martire di compiangere e d’amare -i suoi persecutori. -</p> - -<p> -E così si spiega perchè il mondo cristiano -duri tanta fatica a svincolarsi dall’arte pagana -a cui s’è avvezzo. Il contenuto dell’arte -religiosa cristiana è per gli uomini cosa tanto -nuova, tanto differente dal contenuto dell’arte -anteriore, che essi provano di leggeri l’impressione -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -che codest’arte cristiana sia la negazione -dell’arte, e s’aggrappano disperatamente -al loro antico ideale artistico. Ma d’altro -lato codesto concetto critico, oramai non derivando -più dalla nostra coscienza religiosa, -ha perduto per noi ogni significato, talchè, per -amore o per forza, siamo costretti a staccarcene. -</p> - -<p> -L’essenza della coscienza cristiana sta in -ciò che ogni uomo riconosce la sua discendenza -divina, e come corollario di questa discendenza -l’unione di tutti gli uomini con Dio -e tra di loro, secondochè è scritto nel Vangelo -(S. Giov., XVII, 21), e ne risulta che la sola vera -materia dell’arte cristiana debbono essere -tutti i sentimenti atti a effettuare l’unione -degli uomini con Dio e tra di loro. -</p> - -<p> -Queste parole <i>l’unione degli uomini con Dio -e tra di loro</i>, per quanto possano sembrare -oscure a menti offuscate da preconcetti, hanno -un senso perfettamente chiaro. Significano -che l’unione cristiana, contrariamente alla -unione parziale e esclusiva di alcuni uomini, -unisce tra di loro tutti gli uomini senza eccezione. -Ora è proprietà essenziale dell’arte, -di ogni arte, quella d’unire gli uomini tra loro. -Ogni arte ha per effetto che gli uomini che -ricevono il sentimento trasmesso dall’artista -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -si trovano per questo fatto uniti, prima coll’artista -stesso, e poi con tutti gli altri uomini -che ricevono la medesima impressione. Ma -l’arte non cristiana unendo tra di loro alcuni -uomini, per ciò appunto isola codesti uomini -dal resto dell’umanità, di modo che questa -unione parziale è spesso causa d’allontanamento -rispetto ad altri uomini. L’arte cristiana -al contrario è quella che unisce tutti gli uomini -senza eccezione. E può ottenere questo -fine in due modi: o evocando in tutti gli -uomini la coscienza della loro parentela con -Dio e tra di loro; oppure anche evocando in -tutti gli uomini uno stesso sentimento, per -semplice che sia, purchè non sia contrario -al Cristianesimo e possa estendersi a tutti gli -uomini senza eccezioni. Solo questi due ordini -di sentimenti possono formare al nostro -tempo la materia dell’arte <i>buona</i>, quanto al -contenuto. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Pertanto oggigiorno ci possono essere due -specie d’arte cristiana: 1.º l’arte che esprime -dei sentimenti derivati dal nostro concetto -religioso, cioè dal concetto della nostra parentela -con Dio e cogli altri uomini; 2.º l’arte -che esprime dei sentimenti accessibili a tutti -gli uomini del mondo intero. La prima di -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -queste due forme è quella dell’arte <i>religiosa</i> -nel senso stretto del vocabolo: la seconda -quella dell’arte <i>universale</i>. -</p> - -<p> -L’arte religiosa poi si può dividere in due -specie: un’arte superiore e un’arte inferiore. -L’arte religiosa superiore è quella che esprime -direttamente e immediatamente dei sentimenti -derivati dall’amor di Dio e dall’amor del -prossimo; l’arte religiosa inferiore è quella -che esprime dei sentimenti di malcontento, -di delusione, di disprezzo per tutto ciò che è -contrario all’amor di Dio e del prossimo. -</p> - -<p> -E l’arte universale alla sua volta si può dividere -in arte superiore accessibile a tutti gli -uomini sempre e dappertutto, e in arte inferiore -accessibile solamente a tutti gli uomini -d’una certa nazione e d’una certa epoca. -</p> - -<p> -La prima delle due grandi forme dell’arte, -quella dell’arte religiosa, superiore o inferiore, -si manifesta sopratutto nelle lettere, e talvolta -pure nella pittura e nella scultura; la seconda -forma, quella dell’arte universale, esprimente -sentimenti accessibili a tutti, può concretarsi -nelle lettere, nella pittura, nella scultura, nella -danza, nell’architettura, ma particolarmente -nella musica. -</p> - -<p> -Chè se ora mi chiedeste di designare nell’arte -moderna dei modelli di ciascuna di -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -queste forme dell’arte, e in primo luogo dei -modelli dell’arte religiosa, sia superiore sia -inferiore, indicherò di preferenza tra i contemporanei -Vittore Hugo coi suoi <i>Miserables</i> -e <i>Pauvres gens</i>; indicherò ancora tutti i romanzi -e tutte le novelle di Carlo Dickens, le -<i>Due Città</i>, le <i>Campane del Natale</i>, ecc.; indicherò -la <i>Capanna dello zio Tom</i>, e le opere -del Dostojevsky, sovratutto la sua <i>Casa dei -morti</i>, e <i>Adam Bede</i> di Giorgio Eliot. -</p> - -<p> -Nella pittura contemporanea, strano a dirsi, -esistono appena opere d’arte di questa fatta, -che rendano il sentimento cristiano dell’amor -di Dio e del prossimo; o quelle che se ne -trovano, appartengono in genere a pittori -mediocri. Ci sono bensì in gran quantità dei -quadri di scene del Vangelo; ma non sono -che rappresentazioni storiche, ricostituite con -più o meno di particolari; nessuna esprime, -nè potrebbe esprimere, il sentimento religioso -che manca ai loro autori. C’è pure -un buon dato di quadri che rendono i sentimenti -personali di certi pittori. Ma dei quadri -che esaltino la rinunzia a sè stessi e la carità -cristiana non ne conosco. È molto che di -quando in quando si trovi nell’opera di qualche -pittore secondario, un quadro che esprima -sentimenti di bontà e di compassione. Altri -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -quadri, d’un genere prossimo, ci rappresentano -con simpatia e rispetto la vita dei lavoratori. -Così per esempio l’<i>Angelus</i> del Millet, -o il suo <i>Homme à la houe</i>; tali ancora certi -dipinti di Jules Breton, del Lhermitte, del -Defregger, ecc. Potrei pure citare qualche -quadro appartenente fino a un certo segno -all’arte religiosa inferiore, vale a dire eccitante -in noi l’odio per ciò che è contrario -all’amor di Dio e del prossimo; per esempio -il <i>Tribunale</i> del pittore Gay. Ma anche questi -quadri sono rarissimi. La cura della tecnica -e della bellezza il più delle volte offusca nei -pittori il sentimento. Per esempio il celebre -quadro del Gérôme, <i>Pollice verso</i>, non esprime -punto l’orrore del soggetto che rappresenta, -ma piuttosto il piacere provato dall’artista -nel dipingere un bello spettacolo. -</p> - -<p> -Ma stenterei ancora di più a designare -nell’arte contemporanea dei modelli della seconda -forma dell’arte, quella che esprime dei -sentimenti accessibili a tutti gli uomini, o -anche solo a un popolo intiero. Si trovano -bene delle opere che, per la natura degli argomenti, -potrebbero essere classificate in -questa categoria: per esempio il <i>Don Chisciotte</i>, -le commedie di Molière, il <i>Pickwick -Club</i> del Dickens, i racconti di Gogol, di -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -Puschkin, alcuni del Maupassant, ed anche -i romanzi di Dumas padre; ma tutte queste -opere esprimono dei sentimenti così individuali, -e lasciano tanto posto alle particolarità -dei tempi e dei luoghi, e sopratutto hanno -un fondo così povero, che non sono accessibili -se non agli uomini d’un’epoca molto -ristretta, e non possono sostenere il confronto -coi capolavori dell’arte universale d’una volta. -Prendete, per esempio, la storia di Giuseppe, -figlio di Giacobbe. Dei fratelli di Giuseppe che -lo vendono a mercatanti per gelosia del favore -che egli gode presso il padre; la moglie -di Putiphar che vuol sedurre Giuseppe; -questi che perdona i fratelli e il resto: eccovi -dei sentimenti accessibili al contadino russo, -al chinese, all’africano, al bambino e al vegliardo, -al letterato e all’illetterato; e tutto -ciò è scritto con tanta sobrietà, senza particolari -inutili, che potete trasportare il racconto -in qualunque altro ambiente senza che -perda nulla della sua chiarezza e del suo -patetico. Come sono diversi i sentimenti di -Don Chisciotte, o degli eroi di Molière, benchè -Molière sia l’artista più universale, e perciò -il più grande dell’arte moderna! E quanto -sono ancora più diversi i sentimenti di Pickwic -o degli eroi di Gogol! Essi sono d’uno -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -stampo così speciale, che per dar loro tutto -il risalto, gli autori dovettero sopraccaricarli -di particolari di tempo e di luogo. E questa -sovrabbondanza di particolari li rende inaccessibili -a tutti coloro che vivono in un ambiente -diverso da quello descritto dall’autore. -</p> - -<p> -L’autore della storia di Giuseppe non ha -creduto necessario descriverci minutamente, -come si farebbe ora, la veste insanguinata di -Giuseppe, o il vestire di Giacobbe e la casa -che egli abitava, o l’acconciatura della moglie -di Putiphar. I sentimenti espressi in -questo racconto sono così forti, che tutti i -particolari di quel genere sembrerebbero superflui -e nocerebbero alla loro espressione. -L’autore non ha conservato che i tratti indispensabili, -come per esempio quando ci dice -che Giuseppe, trovando i suoi fratelli, andò -in una camera vicina per piangere. Ed è in -virtù di quest’assenza di particolari inutili -che il racconto è accessibile a tutti gli uomini, -che commuove gli uomini di tutte le -nazioni, di tutte le età, di tutte le condizioni, -che è giunto sino a noi attraverso ai secoli -e sopravviverà a noi delle migliaia d’anni. -Provatevi al contrario a spogliare dei particolari -accessorii i migliori romanzi del nostro -tempo e vedrete quello che ne resterà! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -</p> - -<p> -Insomma nella letteratura moderna non è -quasi possibile trovare qualche opera che -soddisfi pienamente alle condizioni dell’universalità. -E le poche opere che, per il loro -contenuto, potrebbero soddisfare a questa -condizione, per lo più sono guaste da quello -che si chiama il <i>realismo</i>, e che si potrebbe -piuttosto chiamare il <i>provincialismo</i> dell’arte. -</p> - -<p> -Lo stesso avviene nella musica e per le -stesse ragioni. In seguito all’impoverimento -del fondo, cioè dei sentimenti, le melodie dei -musicisti moderni presentano un vuoto desolante. -Per rinforzare l’impressione di siffatte -melodie così vuote, i musicisti s’ingegnano -di sopraccaricarle con un mondo d’armonie -e di modulazioni complicate, che sono intelligibili -solo a una piccola cerchia d’iniziati, a -una certa scuola musicale. La melodia, ogni -melodia, è libera e può essere intesa da tutti; -ma quando si trova vincolata con una certa -armonia, non è più accessibile che agli uomini -famigliarizzati con questa armonia; essa diventa -estranea non solo agli uomini delle -altre nazioni, ma anche a tutti quelli fra i -compaesani dell’autore che non sono avvezzi -come lui a certe forme dello svolgimento musicale. -</p> - -<p> -All’infuori delle marcie e delle danze, che -<span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span> -esprimono dei sentimenti inferiori, ma veramente -comuni alla massa degli uomini, il -numero delle opere rispondenti alla nostra -definizione dell’arte universale è grandemente -ristretto. Citerò, per esempio, la celebre <i>Aria</i> -di Bach, il <i>Notturno in mi bemolle maggiore</i> -di Chopin, e una decina di passi scelti nelle -opere di Haydn, di Mozart, di Weber, di -Beethoven, e di Chopin.<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a> -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -</p> - -<p> -Anche nella pittura si offre il medesimo -fenomeno, e al pari dei letterati e dei musicisti, -i pittori suppliscono alla povertà del -sentimento colla profusione degli accessorii, -restringendo così il significato delle loro opere. -Tuttavia è molto maggiore nella pittura che -nelle altre arti il numero delle opere che soddisfanno -alle condizioni dell’universalità, cioè -che esprimono dei sentimenti comuni a tutti -gli uomini. Ritratti, paesaggi, pittura di genere, -potrei addurre una quantità d’opere di pittori -moderni, e anche contemporanei, che esprimono -dei sentimenti tali che tutti gli uomini -sono in grado di capirli. -</p> - -<p> -Riassumendo, non ci sono che due sorta -d’arte cristiana, cioè d’arte che oggi si debba -considerare come buona; e tutto il resto, tutte -le opere che non entrano in queste due categorie, -devono essere considerate come arte -cattiva che non solo non merita d’essere incoraggiata, -ma merita al contrario d’essere -condannata e disprezzata, avendo per effetto -non già di unire, ma di separare gli uomini. -Nelle lettere questo è il caso dei drammi, dei -romanzi, delle poesie che esprimono dei sentimenti -esclusivi, proprii alla sola classe dei -ricchi e degli oziosi, dei sentimenti d’onore -aristocratico, di pessimismo, di corruzione e -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -di pervertimento dell’anima risultante dall’amore -sessuale. In pittura si dovrebbero tener -per cattive tutte le opere che rappresentano -i piaceri e i divertimenti della vita ricca e -oziosa, e anche tutte le opere simboliste, nelle -quali il significato del simbolo non è accessibile -che a un piccolo numero di persone, e -sovrattutto le opere rappresentanti dei soggetti -voluttuosi, tutte quelle nudità scandalose -che oggidì riempiono i musei e le esposizioni. -E alla stessa categoria d’opere cattive -e condannabili appartiene tutta la musica del -nostro tempo, musica che non esprime se -non dei sentimenti esclusivi, e non è accessibile -che ad uomini di gusto depravato. Tutta -la nostra musica d’opera e di camera, cominciando -da Beethoven, la musica di Schumann, -di Berlioz, di Liszt, di Wagner, tutta -intesa a esprimere dei sentimenti che non -possono capire se non quelli che coltivarono -in sè stessi una sensibilità nervosa di genere -morboso, tutta questa musica, salvo rare eccezioni, -partecipa dell’arte che si deve considerare -come cattiva. -</p> - -<p> -— Come!, si griderà, la nona sinfonia entra -nella categoria dell’arte cattiva? -</p> - -<p> -— Certamente! risponderò io. Tutto ciò che -ho scritto e che s’è finito di leggere, l’ho -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -scritto solo per giungere a stabilire un criterio -chiaro e ragionevole, che ci concedesse -di giudicare il valore delle opere d’arte. E -ora questo criterio mi prova nel modo più -lampante che la nona sinfonia del Beethoven -non è una buona opera d’arte. D’altro lato -intendo che ciò paia strano e sorprendente -ad uomini allevati nell’adorazione di certe -opere e dei loro autori. Ma non dovrei io -perciò inchinarmi alla verità, quale me l’indica -la mia ragione? -</p> - -<p> -La nona sinfonia del Beethoven è riputata -una delle più grandi opere d’arte. Per rendermi -conto del come stia la cosa, mi propongo -prima di tutto il seguente quesito: -quest’opera esprime essa un sentimento religioso -d’ordine superiore? E rispondo subito -con una denegazione, perchè in nessun -caso la musica saprebbe esprimere dei sentimenti -simili. Mi domando di nuovo: quest’opera -se non può appartenere alla categoria -superiore dell’arte religiosa, possiede almeno -la seconda qualità dell’arte vera del nostro -tempo, cioè quella d’unire tutti gli uomini in -un medesimo sentimento? E anche questa -volta non posso rispondere che negativamente; -perchè in primo luogo non vedo che -i sentimenti espressi da questa sinfonia possano -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -in alcuna guisa unire gli uomini che -non siano stati specialmente educati e preparati -a subire quell’<i>ipnotizzazione</i> artificiale; -e poi non giungo a rappresentarmi una folla -d’uomini normalmente costituiti che possa -capire qualche cosa in quest’opera enorme -e complicata, salvo dei brevi passi annegati -in un oceano d’incomprensibilità. E così, per -amore o per forza, debbo conchiudere che -questo lavoro appartiene a ciò che è per -me l’arte cattiva. Per un caso singolare, la -poesia dello Schiller introdotta nell’ultima -parte della sinfonia, enuncia, se non chiaramente, -almeno espressamente questo pensiero: -che il sentimento (Schiller veramente -non parla che del sentimento della gioia) -unisce tutti gli uomini e genera in essi l’amore. -Ma oltrechè questi versi non sono cantati -che alla fine della sinfonia, la musica -della sinfonia intiera non corrisponde affatto -al pensiero espresso dallo Schiller, poichè è -una musica affatto particolarista, che non -contenta tutti gli uomini, ma solo alcuni -uomini cui essa contribuisce così a isolare -dal resto dell’umanità. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tale è, a mio giudizio, il modo in cui si -deve procedere per sapere se un’opera che -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -è creduta opera d’arte è veramente un’opera -d’arte oppure ne è la semplice contraffazione; -e per sapere in seguito se un’opera d’arte -vera è buona o cattiva, quanto al suo contenuto, -cioè merita d’essere incoraggiata, o non -merita che d’essere disprezzata. Ed è solo -procedendo così che avremo la possibilità di -discernere, per entro la massa delle pretese -opere d’arte del nostro tempo, le poche opere -che costituiscono realmente per l’anima un -alimento reale, importante, necessario, mentre -tutto il resto non è che arte inutile o nociva, -o anche una semplice contraffazione -dell’arte. È solo procedendo così che saremo -in grado di evitare le conseguenze perniciose -dell’arte cattiva, e di godere di quegli effetti -benefici, indispensabili per la nostra vita spirituale, -che risultano dall’arte vera e buona -e che costituiscono il suo fine. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span> -</p> - -<h2 id="cap16"><span class="smcap">Capitolo XVI.</span> -<span class="smaller">Le conseguenze -del cattivo funzionamento dell’arte.</span></h2> -</div> - -<p> -L’arte è uno dei due organi del progresso -umano. Per mezzo della parola l’uomo scambia -il suo pensiero, per mezzo dell’arte scambia -i suoi sentimenti con tutti gli uomini non -solo del suo tempo, ma pure delle generazioni -passate e future. Ed è nella natura dell’uomo -di servirsi di questi due organi, talchè -il pervertimento dell’uno dei due non può -mancare di recar con sè delle conseguenze -funeste per la società in cui avviene. -</p> - -<p> -Le conseguenze di questo pervertimento -possono essere di due sorta: cioè dapprima -l’incapacità della società a compiere gli atti -che si dovevano compiere per mezzo dell’organo -pervertito; secondo, un cattivo funzionamento -dell’organo pervertito. Ora entrambe -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -queste conseguenze si sono prodotte nella -nostra società. Essendo pervertito l’organo -dell’arte, la società delle classi superiori fu -privata di tutte le operazioni che quest’organo -doveva compiere. Diffondendosi tra di noi in -proporzioni enormi delle contraffazioni dell’arte -destinate unicamente a divertire e a distrarre -gli uomini, e insieme con esse, delle -opere più artistiche, ma di un’arte particolare, -esclusiva, inutile o nociva, — esse hanno -atrofizzato o snaturato nella maggior parte -degli uomini della nostra società la facoltà -di sentire il contagio delle vere opere d’arte; -e per conseguenza la nostra società s’è trovata -impedita di provare quei sentimenti superiori, -verso i quali sempre tendeva l’umanità, -e che sola l’arte poteva trasmettere agli -uomini. -</p> - -<p> -Tutto ciò che s’è fatto di buono nell’arte, -tutto ciò resta estraneo a una società privata -del mezzo di essere commossa dall’arte; e -in luogo di ciò questa società ammira delle -contraffazioni menzognere, oppure un’arte -inutile e vana, che essa si compiace di credere -molto importante. Gli uomini del nostro -tempo e della nostra società ammirano nella -poesia i Baudelaire, i Verlaine, i Moréas, gli -Ibsen e i Maeterlinck; nella pittura i Manet, -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -i Monet, i Puvis de Chavannes, i Burne-Jones, -i Boecklin e gli Stück; nella musica i Wagner, -i Liszt e i Riccardo Strauss; ma l’arte -vera, non dico la più elevata, ma persino la -più semplice, essi sono assolutamente incapaci -di capirla. -</p> - -<p> -E ne risulta che nelle nostre classi superiori, -private così della facoltà di subire il -contagio delle opere d’arte, gli uomini crescono, -sono allevati e vivono senza subire -l’azione dell’arte atta a raddolcire e migliorare; -e da ciò viene quest’altro risultato fatale -che non solo essi non si avviano verso -il bene e verso la perfezione, ma al contrario, -con tutto lo sviluppo della loro pretesa -civiltà, diventano sempre più selvaggi, più -grossolani e più induriti di cuore. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tale è la conseguenza del mancare nella -nostra società quella funzione che deve esser -compiuta dall’arte, come organo indispensabile. -Ma le conseguenze che derivano dal cattivo -funzionare di quest’organo sono ancora -più funeste; e sono molte. -</p> - -<p> -La prima di codeste conseguenze salta agli -occhi. È l’enorme consumo di lavoro umano -per opere non solo inutili, ma spesso anche -dannose, un consumo di lavoro e di vite senza -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -alcun vantaggio che lo compensi. Si freme -al pensiero di tutte le fatiche e di tutte le -privazioni che sopportano milioni d’uomini -al solo scopo di stampare per dodici e anche -quattordici ore al giorno dei libri così detti -artistici, che non servono ad altro che a diffondere -la depravazione tra gli uomini, o ancora -allo scopo di diffondere codesta depravazione -per mezzo dei teatri, dei concerti, -delle esposizioni. Ma ciò che è ancora più -spaventevole è di pensare che dei bambini -belli, pieni di vita, dotati per il bene, sono -sacrificati all’uscir dalla culla gli uni a sonare -delle scale per sei, otto, dieci ore al -giorno, gli altri a ballare in punta di piedi, -altri a solfeggiare, altri a disegnare sull’antico, -sul nudo, oppure a scrivere delle frasi -vuote di senso secondo le regole d’una certa -rettorica. D’anno in anno i disgraziati vanno -perdendo, per questi esercizi funesti, tutte le -loro forze fisiche e intellettuali, tutta la loro -attitudine a intendere la vita. Si parla molto -dell’orribile e lamentevole spettacolo che consiste -nel vedere dei piccoli acrobati che si -fanno passare le gambe dietro la nuca; ma non -è uno spettacolo ancora più sinistro quello di -vedere dei bambini di dieci anni che dànno dei -concerti, e sopratutto di vedere dei collegiali di -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -dieci anni che sanno a memoria le eccezioni -della grammatica latina? In ciò essi perdono -le loro forze fisiche e intellettuali e ad un -tempo si depravano in ordine alla morale, -diventano incapaci di qualunque opera utile -per gli uomini. Assumendo nella società la -parte di giocolieri dei ricchi, perdono ogni -sentimento della dignità umana. Il bisogno -di lodi si sviluppa in essi a un grado così -mostruoso che soffrono per tutta la vita a cagione -di questo eccesso e spendono tutto il -loro essere morale nel voler saziare un bisogno -insaziabile. E c’è una cosa ancora più -tragica; ed è che questi uomini che sacrificano -tutta la loro vita all’arte, che sono perduti -per sempre per la vita vera a cagione -dell’amore dell’arte, nonchè recare alcun vantaggio -a codesta arte, le cagionano un danno -immenso. Poichè nelle accademie, nei collegi, -nei conservatorj imparano il modo di contraffare -l’arte, e una volta che l’hanno appresa, -ne sono tanto pervertiti, che diventano -incapaci per sempre di concepire l’arte vera, -e sono essi che contribuiscono a diffondere -quest’arte contraffatta o snaturata di cui è -pieno il mondo. -</p> - -<p> -Un’altra conseguenza non meno funesta del -cattivo funzionare dell’arte è, che, producendo -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -essa, in condizioni così spaventevoli, l’esercito -degli artisti di professione, procura ai -ricchi la possibilità di condurre la vita che -conducono, e che non solo non è buona, ma -è altresì contraria ai principî che professano. -Vivere come vivono delle persone ricche e -oziose del tempo nostro, sovratutto le donne, -lontane dalla vita, in condizioni artificiali, coi -muscoli atrofizzati o sformati dalla ginnastica, -coll’energia vitale incurabilmente affievolita, -ciò non sarebbe possibile senza quello -che chiamano l’arte. Solo questa pretesa arte -fornisce il divertimento e la distrazione che -distolgono i nostri occhi dall’assurdità della -nostra vita, e ci salvano dalla noia che risulta -da una vita simile. Togliete ai ricchi -oziosi i teatri, i concerti, le esposizioni, il -pianoforte, i romanzi, di cui si occupano nella -certezza che queste sono occupazioni raffinate -ed estetiche; togliete ai mecenati che -comprano i quadri, che incoraggiano i musicisti, -che dànno pane ai letterati, togliete -loro la possibilità di proteggere quest’arte che -credono così importante; e — non saranno -più in grado di continuare nella loro vita, e -morranno tutti di tristezza e di noia, e tutti -riconosceranno l’assurdità e l’immoralità del -loro modo di vivere. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span> -</p> - -<p> -Una terza conseguenza del cattivo funzionamento -dell’arte, è la confusione e lo scompiglio -che questo cattivo funzionamento genera -nella mente dei ragazzi e dei popolani. -Negli uomini che non sono stati pervertiti -dalle teorie menzognere della nostra società, -negli artigiani e nei ragazzi, la natura ha -posto un concetto ben definito di ciò che -merita d’essere biasimato o lodato. Secondo -l’istinto del popolo e dei ragazzi la lode non -compete di diritto che o alla forza fisica (Ercole, -gli eroi, i conquistatori) o alla forza morale -(Sakya Muni che rinuncia alla bellezza -e al potere per salvare gli uomini, Cristo che -muore sulla croce per il nostro bene, i santi, -i martiri, ecc.). Queste sono nozioni d’una -perfetta chiarezza. Le anime semplici e rette -capiscono che è impossibile non rispettare -la forza fisica, perchè s’impone da sè stessa -al rispetto; e neppure possono far a meno -di rispettare la forza morale dell’uomo che -lavora per il bene sentendosi attratti verso -di essa da tutto il loro essere interno. Ed -ecco che queste anime semplici s’accorgono -che oltre agli uomini rispettati per la loro -forza fisica e morale, ce ne sono degli altri -più rispettati, più ammirati, più ricompensati -di tutti gli eroi della forza e del bene, -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -e ciò semplicemente perchè sanno cantare, -ballare, o scrivere dei versi. Esse vedono -che i cantanti, i ballerini, i pittori, i letterati -guadagnano dei milioni, che sono riveriti -meglio dei santi; e queste anime semplici — i -ragazzi e i popolani — sentono crescere -in sè stessi la confusione delle idee. -</p> - -<p> -Quando, cinquant’anni dopo la morte di -Puschkin, le sue opere furono divulgate tra -il popolo, e gli s’innalzò una statua a Mosca, -ricevetti più di dieci lettere di contadini che -mi chiedevano perchè si esaltava codesto -Puschkin. Pochi giorni fa un piccolo borghese -di Saratof — del resto persona istruita — è -venuto a Mosca per rimproverare il -clero d’aver approvato l’innalzamento d’una -statua al signor Puschkin. -</p> - -<p> -Infatti imaginiamoci solo lo stato mentale -d’un popolano che legga nel suo giornale, o -senta dire che il clero, il governo, tutti gli -uomini migliori della Russia innalzano con -entusiasmo un monumento a un grand’uomo, -a un benefattore, a una gloria nazionale, -Puschkin, di cui sin’allora non ha mai inteso -parlare. Da ogni parte gli si discorre di -Puschkin; ed egli suppone che, se si rendono -tali omaggi a quest’uomo, bisogna che -abbia fatto qualche cosa di straordinario, di -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -molto forte, o dl molto buono. Procura perciò -di sapere chi fosse Puschkin; e venendo a -sapere che Puschkin non era un eroe, e -nemmeno un generale d’armata, ma semplicemente -uno scrittore, ne conchiude che certo -Puschkin dovette essere un sant’uomo, un -educatore benefico. Quindi s’affretta a leggere -o a farsi leggere la sua vita e le sue opere. -Imaginiamoci ora il suo sbalordimento quando -scopre che il Puschkin fu un uomo di costumi -più che leggeri, che morì in duello, cioè -mentre tentava d’uccidere un altr’uomo e, che -tutto il suo merito consiste nell’avere scritto -dei versi intorno all’amore! -</p> - -<p> -Che gli eroi, che Alessandro il Grande, o -Gengiskhan, o Napoleone siano stati uomini -grandi, egli lo capisce perchè sente che tutti -costoro avrebbero potuto annientarlo, lui e -migliaia di suoi simili. Capisce pure che -Budda, Socrate e Cristo siano stati grandi, -perchè sente e sa che egli stesso e tutti gli -uomini dovrebbero rassomigliare a quelli là. -Ma come un uomo possa essere grande per -aver scritto dei versi intorno all’amore delle -donne, è cosa che egli non può assolutamente -intendere. -</p> - -<p> -E lo stesso turbamento si deve produrre -nel cervello d’un contadino bretone o provenzale, -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -allorchè ode che si vuol innalzare -un monumento, una statua, come se ne innalzano -alla Vergine, e che s’innalzerà al -Baudelaire, l’autore delle <i>Fleurs du mal</i>, o -al Verlaine, uno scapestrato che scrisse dei -versi incomprensibili. E che scompiglio deve -nascere nel cervello dei popolani quando -odono che la Patti o la Taglioni ricevono -cento mila lire per una stagione, e che ci -sono degli autori di romanzi che guadagnano -la stessa somma perchè sanno descrivere -delle scene d’amore! -</p> - -<p> -Lo stesso fenomeno si manifesta nel cervello -dei ragazzi. Mi ricordo d’avere, in altri -tempi, provato io stesso questo stupore e -questo turbamento. È una conseguenza fatale -del cattivo funzionamento dell’arte nella nostra -società. -</p> - -<p> -Una quarta conseguenza del quale, sta -in ciò che gli uomini delle classi superiori, -vedendo riprodursi sempre più di spesso il -contrasto tra la bellezza e il bene, giungono -a considerare l’ideale della bellezza come il -più elevato dei due e si svincolano così dai -doveri della morale. Invertendo le parti, costoro, -invece di riconoscere che l’arte ammirata -da loro è una cosa inferiore, pretendono -che per contro precisamente la moralità sia -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -una cosa inferiore e spoglia di significato per -esseri giunti al grado di sviluppo al quale -pensano d’esser giunti essi stessi. -</p> - -<p> -Questa conseguenza del pervertimento dell’arte -s’era già fatta sentire da un pezzo nella -nostra società; ma al presente ha preso uno -sviluppo straordinario, grazie agli scritti del -celebre Nietzsche e ai paradossi dei decadenti -e degli esteti inglesi, che, seguendo -Oscar Wilde, prendono volontieri ad argomento -dei loro scritti la sovversione d’ogni -morale e l’apoteosi della perversità. -</p> - -<p> -Questo concetto dell’arte ha trovato il suo -contraccolpo nell’insegnamento filosofico. Ho -ricevuto ultimamente dall’America un libro -intitolato <i>La Sopravvivenza del più adatto, o -la Filosofia della Forza</i>, per Ragnar Redbeard -(Chicago, 1897). L’idea fondamentale -di questo libro, espressa fin dalla prefazione, -è questa, che è assurdo valutare più oltre il -bene secondo la filosofia mendace dei profeti -ebrei e dei “messia lagrimosi„. Il diritto, -per codesto autore, non si fonda che sulla -forza. Tutte le leggi, tutti i precetti che c’insegnano -a non fare agli altri quello che non -vorremmo si facesse a noi, tutto ciò, per sè -stesso, non ha senso, e non serve a dirigere -gli uomini se non per il suo accompagnamento -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -di bastonate, di sciabolate e di prigione. -L’uomo veramente libero non deve obbedire -ad alcuna legge, umana nè divina; ogni -obbligo è indizio di degenerazione; la mancanza -d’obblighi è il distintivo degli eroi. Gli -uomini devono cessare di credersi vincolati -da errori imaginati per nuocer loro. L’universo -intiero non è che un campo di battaglia. -La giustizia ideale sta in questo: che i vinti -siano sfruttati, torturati, disprezzati. L’uomo -libero e audace può conquistare il mondo. E, -come conseguenza, gli uomini devono essere -eternamente in guerra, per la vita, per il -suolo, per l’amore, per la donna, per il potere, -per l’oro. Tutta la terra coi suoi frutti, è “la -preda del più ardito„. -</p> - -<p> -A vederle esposte così, sotto forma scientifica, -queste idee non possono a meno di -scandalizzare. Ma in realtà si trovano fatalmente -e implicitamente contenute nei concetti -che assegnano all’arte la bellezza per -oggetto. È l’arte delle nostre classi superiori -che ha prodotto e svolto in certi uomini questo -ideale del <i>superuomo</i> quantunque codesto -ideale sia già stato quello di Nerone, di Stenka-Razine, -di Gengiskhan, di Napoleone, di -tutti i loro pari, avventurieri e sorti dal nulla. -E c’è da sgomentarsi a pensare che cosa avverrebbe -<span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span> -se un ideale simile, e l’arte che lo -genera, si diffondessero nella massa del popolo. -Ma per l’appunto cominciano a diffondersi -anche là. -</p> - -<p> -Finalmente il cattivo funzionamento dell’arte -adduce questa quinta conseguenza, che -l’arte cattiva che fiorisce tra le nostre classi -superiori le pervertisce direttamente col suo -potere di contagio artistico, e rafforza in essa -i sentimenti più detestabili per la felicità degli -uomini, quelli della superstizione, del patriottismo, -e della sensualità. -</p> - -<p> -È l’arte che, nel nostro tempo, contribuisce -di più a pervertire gli uomini in ciò che riguarda -la questione più importante della loro -vita sociale, voglio dire la questione dei rapporti -sessuali. Sappiamo tutti e da noi stessi e -per i parenti, a quali terribili sofferenze morali -e fisiche, a quale inutile sperpero di forze, -s’espongono gli uomini per il solo eccesso del -desiderio sessuale. Dacchè mondo è mondo, -dai tempi della guerra di Troia, cagionata -dalla passione sessuale, sino ai suicidii e ai -delitti passionali di cui sono zeppe le nostre -gazzette tutti i giorni, tutto ci prova l’azione -nefasta di questa passione, che è senza fallo -la sorgente principale delle disgrazie umane. -</p> - -<p> -Cionondimeno che cosa vediamo? Vediamo -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -tutta l’arte, sia contraffatta, sia genuina, salvo -rare eccezioni, consacrata unicamente a descrivere, -a rappresentare, a stimolare le diverse -forme dell’amore sessuale. Ci basti rammentare -tutti i romanzi lussuriosi di cui è -piena la nostra letteratura, tutti i quadri e -tutte le statue in cui si mostra nudo il corpo -della donna, e tutte le imagini oscene che -s’incollano sui muri come affissi, e quella -quantità innumerevole d’opere, d’operette, di -canzoni, di romanze, da cui siamo circondati! -L’arte contemporanea non ha davvero che -un solo oggetto definito: eccitare e diffondere, -più che si possa, la depravazione. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Tali sono, se non tutte, almeno le più gravi -conseguenze di questo pervertimento dell’arte -che s’è compiuto nella nostra società. E così, -ciò che ora chiamiamo arte, non solo non -contribuisce al progresso del genere umano, -ma piuttosto ha per effetto, più che tutto il -resto, di distruggere la possibilità del bene -nella nostra vita. -</p> - -<p> -E così la questione che s’offre fatalmente -all’intelletto d’ognuno che pensi, quella che -mi sono proposta al principio del mio libro, -la questione di sapere se è giusto sacrificare -a ciò che vien detto arte, il lavoro e la vita -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -di milioni d’uomini, tale questione riceve una -risposta formale; no, ciò non è giusto, ciò -non dovrebbe essere. Questa è ad un tempo, -la risposta della sana ragione e del senso -morale non pervertito. E se si proponesse la -questione di decidere se valga di più per il -nostro mondo cristiano perdere tutto ciò che -oggi si chiama arte, falsa e vera che sia, o -perdere tutto il bene che esiste al mondo, -credo che l’uomo ragionevole e morale non -potrebbe far a meno di rispondere a questa -questione, come vi rispose Platone nella sua -<i>Repubblica</i>, e come vi risposero tutti gli educatori -religiosi dell’umanità, cristiani e maomettani, -cioè di proclamare che è meglio rinunziare -a tutte le arti, che mantenere l’arte -o la contraffazione dell’arte oggi esistente, la -quale ha per effetto di depravare gli uomini. -Del resto questa per fortuna è una questione -superflua, perchè l’arte vera non ha da far -nulla colla pretesa arte d’oggigiorno. Ma ciò -che possiamo e dobbiamo fare noi che ci lusinghiamo -d’essere uomini colti, noi che per -la nostra condizione possiamo intendere il -senso delle diverse manifestazioni della nostra -vita, è di riconoscere l’errore in cui ci -troviamo e di non soggiacervi, ma di cercare -il mezzo di liberarcene. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -</p> - -<h2 id="cap17"><span class="smcap">Capitolo XVII.</span> -<span class="smaller">Possibilità d’un rinnovamento artistico.</span></h2> -</div> - -<p> -Lo stato di menzogna, in cui è caduta l’arte -della nostra società, deriva da questo: che gli -uomini delle classi superiori si sono messi -a vivere senza alcuna fede, sforzandosi di -sostituire alla fede mancante, gli uni l’ipocrisia, -al punto da dichiarare che credono -ancora alle forme della loro religione, gli altri -un’audace professione della loro incredulità, -altri ancora uno scetticismo raffinato, altri -un ritorno all’adorazione dei Greci per la -bellezza. Ma con qualunque mezzo questi -uomini si sforzino di mantenere e di giustificare -i loro privilegi, cioè la separazione della -loro classe delle altre, sono costretti per amore -o per forza di riconoscere che da tutte le -parti intorno a loro, consciamente e inconsciamente, -la verità si fa strada, quella verità -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -cristiana che consiste a non concepire -la felicità degli uomini che nell’unione e nella -fratellanza. -</p> - -<p> -Inconsciamente, questa verità si fa strada -coll’aprirsi di nuove vie di comunicazione, -il telegrafo, il telefono, la stampa, tutte invenzioni -che tendono sempre più a stringere -tra di loro tutti gli uomini; coscientemente, -si manifesta collo scomparire delle superstizioni -che separavano gli uomini, coll’espressione -della fratellanza ideale, e anche con le -poche opere d’arte del nostro tempo che sono -buone e vere. -</p> - -<p> -L’arte è un organo morale della vita umana, -e, come tale, non può essere intieramente distrutta. -Quindi, nonostante tutti gli sforzi degli -uomini delle classi superiori per nasconderci -l’ideale religioso di cui vive l’umanità, questo -ideale si fa sempre più chiaro per gli uomini, -e trova sempre più spesso l’occasione d’esprimersi, -anche in mezzo alla nostra società -pervertita, tanto nella scienza quanto -nell’arte. Infatti l’arte stessa comincia a distinguere -il vero ideale del nostro tempo -e a dirigersi verso di esso. Da una parte, le -opere migliori degli artisti contemporanei -esprimono dei sentimenti d’unione e di fraternità -fra gli uomini (per esempio gli scritti -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -di Carlo Dickens, di Vittor Hugo, di Dostoievsky, -i quadri dei Millet, di Bastien-Lepage, di -Jules Breton e di altri); d’altra parte ci sono -oggidì degli artisti che cercano d’esprimere -dei sentimenti più generali, più universali -che sia possibile. Il numero di questi artisti -è ancora ristretto, ma sembra che si cominci -a intendere la loro utilità. Debbo aggiungere -che, in questi ultimi tempi, si sono moltiplicati -i tentativi d’imprese artistiche popolari, -edizioni di libri, concerti, teatri, musei, ecc. -Tutto ciò è ancora molto lontano da quello -che dovrebbe essere; ma si può già discernere -la direzione che prenderà l’arte per rimettersi -nella via che le appartiene. -</p> - -<p> -La coscienza religiosa del nostro tempo s’è -notevolmente rischiarata; e oramai basterebbe -agli uomini ripudiare la falsa teoria -della bellezza, che ravvisa nel piacere il solo -oggetto dell’arte, perchè tosto questa coscienza -religiosa possa prendere liberamente -in mano la condotta dell’arte. -</p> - -<p> -E il giorno in cui la coscienza religiosa, -che già comincia a dirigere inconsciamente -la vita degli uomini, sarà riconosciuta da -essi con tutta consapevolezza, si vedrà subito -scomparire spontaneamente la separazione -dell’arte in arte delle classi inferiori e -<span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span> -delle classi superiori. Allora non ci sarà più -che un’arte sola comune a tutti, fraterna, universale. -E il giorno in cui l’arte sarà universale, — cessando -d’essere ciò che è stata -in questi ultimi tempi, un mezzo di abbrutimento -e di depravazione per gli uomini, — diventerà -ciò che era da principio, e ciò che -dovrebbe essere sempre: un mezzo di perfezionamento -per l’umanità, che l’aiuterà a effettuare -nel mondo l’amore, l’unione e la felicità. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -</p> - -<h2 id="cap18"><span class="smcap">Capitolo XVIII.</span> -<span class="smaller">Che cosa dovrà essere l’arte dell’avvenire.</span></h2> -</div> - -<p> -Si parla volontieri dell’arte dell’avvenire, e -s’intende rappresentare con queste parole -un’arte nuova, eminentemente raffinata, e -derivante dall’arte attuale delle classi superiori -della nostra società. Ma una siffatta -arte dell’avvenire non nascerà mai, nè potrebbe -nascere. L’arte delle nostre classi superiori -è fin d’ora giunta a una stretta insuperabile. -Sulla via per cui s’è messa non le -riuscirà di fare un passo di più. Quest’arte, -dal giorno in cui s’è separata dal fondamento -principale dell’arte vera, dal giorno in cui -ha cessato d’ispirarsi alla coscienza religiosa, -è diventata sempre più speciale, sempre più -pervertita; ed ora eccola ridotta al nulla. -Perciò l’arte dell’avvenire — la vera, quella -che vivrà veramente nell’avvenire — non -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -sarà il prolungamento della nostra arte presente, -ma scaturirà da principii affatto diversi, -e non aventi nulla in comune con quelli a -cui ora s’ispira l’arte delle nostre classi superiori. -</p> - -<p> -L’arte dell’avvenire, destinata a diffondersi -tra tutti gli uomini, non avrà più il -fine di esprimere dei sentimenti accessibili -solo ad alcuni ricchi; avrà il fine di manifestare -la più alta coscienza religiosa delle generazioni -future. Nel futuro non si considererà -come arte se non quella che esprimerà -dei sentimenti che spingano gli uomini all’unione -fraterna, o anche dei sentimenti così -universali da poter essere provati dalla massa -degli uomini. Solo quest’arte sarà segnalata -fra il resto, ammessa, incoraggiata, diffusa. -E tutto il resto dell’arte, tutto ciò che non è -accessibile che ad alcuni, sarà considerato -come cosa senza importanza e lasciato da -parte. E l’arte non sarà più pregiata, come -oggidì, solo da una piccola classe di persone -ricche; sarà stimata dalla massa degli -uomini. -</p> - -<p> -E gli artisti, nell’avvenire, non saranno più, -come ora, presi esclusivamente in una piccola -classe della nazione; saranno artisti tutti -coloro che a qualunque classe appartengano, -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -si mostreranno capaci di creazione artistica. -Allora tutti potranno diventare artisti; perchè, -in primo luogo, non s’esigerà più dall’arte -una tecnica complicata e artificiosa, che richiede -per essere imparata una perdita infinita -di tempo; non le si domanderà altro che -la chiarezza, la semplicità e la sobrietà; tutte -cose che non s’acquistano con una preparazione -meccanica, ma coll’educazione del gusto. -In secondo luogo tutti potranno diventare -artisti, perchè invece delle nostre scuole professionali, -accessibili solamente a pochi, tutti -potranno imparare la musica e il disegno fin -dalla scuola primaria, insieme colle altre nozioni -elementari, talchè ogni persona che si -sentirà una disposizione per un’arte, potrà -esercitarla ed esprimere con essa i suoi sentimenti -personali. -</p> - -<p> -Mi si obbietterà che colla soppressione delle -scuole artistiche speciali, la tecnica dell’arte -sarà indebolita. Sì, certamente, sarà indebolita, -se s’intende per tecnica l’insieme dei vani -artifizi che oggi si designano con questo -nome; ma se per tecnica s’intende soltanto -la chiarezza, la semplicità e la sobrietà, non -solo quella tecnica non ne sarà tocca, come -lo prova abbastanza tutta l’arte popolare, ma -si troverà invece innalzata a un grado superiore. -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -Poichè tutti gli artisti di genio finora -nascosti tra il popolo potranno partecipare -all’arte e fornire dei modelli di perfezione che -saranno la migliore scuola di tecnica per gli -artisti del loro tempo e dei tempi a venire. -Anche oggidì non è nella scuola che s’istruisce -il vero artista, è nella vita, studiando l’esempio -dei grandi maestri; ma allora, quando -parteciperanno all’arte gli uomini di maggior -ingegno del popolo intiero, il numero dei modelli -da studiare sarà più grande, e questi -modelli saranno più accessibili; e la mancanza -d’un insegnamento professionale sarà -cento volte compensata, per il vero artista, -dal giusto concetto che si farà del fine e dei -metodi dell’arte. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Questa sarà una delle differenze dell’arte -futura dalla nostra arte presente. Un’altra -differenza sarà che l’arte dell’avvenire non -verrà più esercitata da artisti professionali -pagati per l’arte loro, e occupati solo in essa. -L’arte dell’avvenire sarà esercitata da tutti -gli uomini che ne sentiranno il desiderio, e -anche questi non se n’occuperanno che nel -momento in cui ne sentiranno il desiderio. -</p> - -<p> -Si crede facilmente, nella nostra società, che -l’artista lavora tanto meglio e più efficacemente, -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -quanto più assicurata è la sua condizione -materiale. Questa opinione basterebbe -a provare una volta di più, se fosse necessario, -che ciò che oggidì si prende per arte, -non ne è che la contraffazione. Infatti è vero -che per produrre delle scarpe o del pane la -divisione del lavoro offre grandi vantaggi; il -calzolaio o il fornaio che non è costretto a -cucinarsi il suo pasto o a spaccarsi la legna, -può fare una maggior quantità di scarpe o -di pagnotte. Ma l’arte non è un mestiere; è -la trasmissione che si fa agli altri d’un sentimento -provato dall’artista. E questo sentimento -non può nascere in un uomo se non -quando esso viva intieramente della vita naturale -e vera degli uomini. Pertanto, assicurare -all’artista la soddisfazione di tutti i suoi -bisogni materiali, è nuocere alla sua capacità -di produrre l’arte, poichè liberando l’artista -dalle condizioni — comuni a tutti gli uomini — della -lotta contro la natura per la conservazione -della propria vita e di quella degli -altri, lo si priva dell’occasione e della possibilità -d’imparare a conoscere i sentimenti -più importanti e più naturali degli uomini. -Non c’è condizione più detestabile per la -facoltà creatrice d’un artista che quella sicurezza -assoluta e quel lusso, che oggi sono -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -ritenuti la condizione indispensabile perchè -l’arte funzioni bene. -</p> - -<p> -L’artista dell’avvenire vivrà della vita ordinaria -degli uomini, guadagnandosi il pane -con un mestiere qualunque. Ed essendo così -educato a conoscere il lato serio della vita -si sforzerà di trasmettere al più gran numero -possibile d’uomini il dono superiore che la -natura gli avrà accordato; tale trasmissione -sarà la sua gioia e la sua ricompensa. -</p> - -<p> -Fintantochè non si saranno cacciati i mercatanti -dal tempio, il tempio dell’arte non sarà -un tempio. Ma la prima cura dell’arte dell’avvenire -sarà quella di cacciarneli. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Finalmente il contenuto dell’arte dell’avvenire, -come io me la raffiguro, differirà totalmente -da quello della nostra arte presente. -Consisterà nell’espressione di sentimenti non -già esclusivi, come l’ambizione, il pessimismo, -il disgusto, e la sensualità, ma di sentimenti -provati dall’uomo che vive della vita comune -di tutti gli uomini, e fondati sulla coscienza -religiosa del nostro tempo, di sentimenti accessibili -a tutti gli uomini senza eccezione. -</p> - -<p> -Ecco, si dirà, un contenuto molto scarso! -Che cosa si può esprimere di nuovo nel terreno -dei sentimenti cristiani d’amor del prossimo? -<span class="pagenum" id="Page_242">[242]</span> -E che ci può essere di più mediocre -e di più monotono che dei sentimenti accessibili -a tutti gli uomini? -</p> - -<p> -Eppure non è meno certo che i soli sentimenti -nuovi che oggidì possano esser provati, -sono dei sentimenti religiosi, cristiani, e dei -sentimenti accessibili a tutti. I sentimenti che -provengono dalla coscienza religiosa del nostro -tempo sono infinitamente nuovi e varii; -ma non consistono solo, come talora si crede, -a rappresentare Cristo nei diversi episodi del -Vangelo, o a ripetere sotto nuova forma le -verità cristiane dell’unione, della fratellanza, -dell’uguaglianza e dell’amore. I sentimenti cristiani -sono nuovi e varii all’infinito, perchè, -quando l’uomo considera le cose sotto il punto -di vista cristiano, i soggetti più vecchi, più -comuni, quelli che si ritengono più logori, -destano in lui i sentimenti più nuovi, più -impreveduti, più patetici. Che cosa ci può essere -di più vecchio dei rapporti tra il marito -e la moglie, tra i figli e i genitori, tra uomini -di paesi diversi? Ora, basta che alcuno consideri -questi rapporti dal punto di vista cristiano -perchè tosto nascano in lui dei sentimenti -infinitamente varii, dei sentimenti nuovi, -profondi, patetici. -</p> - -<p> -Il vero è che il contenuto dell’arte dell’avvenire -<span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span> -non sarà punto immiserito, ma allargato, -quando quest’arte avrà per oggetto di -trasmettere i sentimenti vitali, i più generali -fra tutti, i più semplici, i più universali. Nella -nostra arte d’ora non si considerano come -degni d’essere espressi dall’arte che i sentimenti -particolari d’uomini in una certa -situazione eccezionale, e si esige per giunta -che siano espressi in un modo raffinatissimo, -inaccessibile alla maggioranza degli -uomini. E si ritiene indegno di fornir materia -all’arte tutto l’immenso dominio dell’arte -popolare e infantile: i proverbi, le canzoni, -i giuochi, le imitazioni, ecc. Ma l’artista -dell’avvenire capirà che produrre una favola, -una canzone, purchè commovano, produrre -una farsa, purchè diverta, disegnare una figura -che rallegri delle migliaia di bambini e -di adulti, che tutto ciò è molto più fecondo -e più importante che produrre un romanzo, -o una sinfonia, o un quadro, che divertiranno -per qualche tempo un piccolo numero di -ricchi, e poi si sprofonderanno per sempre -nella dimenticanza. Ora il territorio di questa -arte dei sentimenti semplici, accessibili a tutti, -è immenso, e si può dire non sia mai stato -toccato. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -</p> - -<p> -Così l’arte dell’avvenire non sarà più povera -della nostra, ma all’opposto infinitamente -più ricca. E la forma dell’arte dell’avvenire, -anch’essa non sarà inferiore alla forma presente -dell’arte, ma le sarà incomparabilmente -superiore, e ciò non nel senso d’una tecnica -raffinata e artificiosa, ma nel senso d’una -espressione breve, semplice, chiara, libera di -ogni sopraccarico inutile. -</p> - -<p> -Mi ricordo che una volta, dopo d’aver inteso -da un astronomo eminente una conferenza -pubblica intorno all’analisi spettrale -delle stelle della via lattea, domandai a quell’astronomo -se non avrebbe acconsentito a -tenerci semplicemente una conferenza sul -movimento della terra, attesochè tra i suoi -uditori c’era senza dubbio un bel numero di -persone che non sapevano con precisione -che cosa producesse il giorno e la notte, -l’estate e l’inverno. E l’astronomo mi rispose -sorridendo: “Sì, sarebbe un bell’argomento, -ma troppo difficile. Mi riesce infinitamente -più facile parlare dell’analisi spettrale della -via lattea„. -</p> - -<p> -Avviene lo stesso dell’arte. Scrivere un -poema sopra un soggetto dei tempi di Cleopatra, -dipingere Nerone che appicca il fuoco -a Roma, comporre una sinfonia nella maniera -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -di Brahms e di Riccardo Strauss, o un’opera -come quelle di Wagner, è infinitamente più -facile che raccontare una semplice storia -senza nulla d’eccezionale, beninteso raccontandola -in modo che trasmetta il sentimento -di chi la racconta, o anche disegnare col lapis -un’imagine che commuova o che rallegri chi -la vede, o scrivere quattro battute d’una melodia -senza accompagnamento, ma tale da -tradurre un certo stato dell’anima. -</p> - -<p> -— Ma colla nostra civiltà, ci riesce impossibile -ritornare alle forme primitive! — diranno -gli artisti. Ci è impossibile di scrivere -oggi dei racconti come la storia di -Giuseppe, o come l’Odissea, di comporre della -musica come quella delle canzoni popolari! -</p> - -<p> -Ciò è realmente impossibile agli artisti del -nostro tempo; ma non lo sarà all’artista dell’avvenire, -che non avrà più la testa ingombra -d’un arsenale di formule tecniche, e che -non essendo più un professionista dell’arte, -non essendo più pagato per i suoi prodotti, -non produrrà dell’arte se non quando ci si -sentirà trascinato da un irresistibile bisogno -interiore. -</p> - -<p> -Pertanto la differenza sarà completa, sotto -il rispetto sì della forma che della sostanza, -tra l’arte dell’avvenire, e ciò che oggigiorno -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -riteniamo per arte. Il fondo dell’arte dell’avvenire -sarà costituito da sentimenti incoraggianti -gli uomini a unirsi, o tali da unirli effettivamente; -la forma di siffatta arte sarà -tale da poter essere accessibile alla massa -degli uomini. Perciò l’ideale della perfezione, -nel futuro, non sarà più il grado di particolarità -dei sentimenti, ma al contrario il loro -grado di generalità. L’artista non cercherà -più come ora, d’essere oscuro, complicato ed -enfatico, ma al contrario di essere breve, -chiaro, e semplice. E solo quando l’arte avrà -assunto questo carattere, essa non servirà -più unicamente a distrarre è a divertire una -classe d’oziosi, come fa ora, ma comincierà -a compiere il suo vero ufficio, vale a dire a -trasportare un concetto religioso dal dominio -della ragione nel dominio del sentimento, a -guidare così gli uomini verso la felicità, verso -la vita, verso quell’unione e quella perfezione -che loro raccomanda la loro coscienza religiosa. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span> -</p> - -<h2 id="concl">CONCLUSIONE.</h2> -</div> - -<p> -Ho fatto del mio meglio per riassumere -in questo libro i miei pensieri sopra un soggetto -che da quindici anni non ha cessato -d’occuparmi. Con questo non voglio dire, s’intende, -che io abbia cominciato quindici anni -fa a scrivere questo studio: ma sono di certo -almeno quindici anni che ho cominciato a -scrivere uno studio sull’arte, dicendo a me -stesso, che una volta avviato in questo soggetto, -sarei andato sino alla fine senza fermarmi. -Cionondimeno le mie idee intorno a -tale soggetto si trovarono essere così poco -chiare, che non potei esprimerle in forma -soddisfacente. E dopo d’allora non ho mai -cessato di riflettere intorno a questo argomento, -e sei o sette volte mi sono rimesso -a scrivere uno studio in proposito; ma ogni -volta, dopo d’avere scritto un certo numero -di pagine, non mi sono più sentito in grado -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -di condurre il mio lavoro sino alla fine. Ora -finalmente sono riuscito a terminarlo; e per -cattivo che esso sia, spero almeno di non -essermi ingannato nel pensiero che ne forma -la base e che consiste a considerare l’arte -del nostro tempo come incamminata per una -falsa strada. Possa dunque il mio lavoro non -rimanere senza frutto! Ma affinchè l’arte -riesca a uscire dalla falsa strada e a ritornare -al suo uffizio naturale, occorre che un -altro ramo non meno importante dell’attività -intellettuale degli uomini, cioè la scienza, -colla quale l’arte si trova sempre in rapporto -di stretta dipendenza, occorre che anch’essa -abbandoni la strada falsa nella quale si trova. -</p> - -<p> -L’arte e la scienza stanno tra di loro in un -rapporto tanto stretto quanto è quello dei -polmoni e del cuore; e se uno dei due organi -è alterato, l’altro non può più funzionare normalmente. -La vera scienza insegna agli uomini -le cognizioni che debbono avere per essi -la maggiore importanza e dirigere la loro -vita. L’arte trasporta codeste cognizioni dal -dominio della ragione in quello del sentimento. -Perciò se il cammino seguito dalla -scienza è cattivo, il cammino seguito dall’arte -sarà pure cattivo. L’arte e la scienza -s’assomigliano a quei battelli che vanno a -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -due a due sui fiumi, l’uno fornito di macchina, -e fatto per rimorchiar l’altro. Se il -primo prende una direzione falsa, anche il -secondo è costretto a seguirlo in essa. -</p> - -<p> -E come l’arte, in termini generali, è la -trasmissione di tutti i sentimenti possibili, ma -tuttavia, nel senso più ristretto del vocabolo, -non è arte seria se non quella che trasmette -agli uomini dei sentimenti importanti per essi, -così la scienza, in termini generali, è l’espressione -di tutte le cognizioni possibili, ma non -è per noi scienza seria se non quella che -esprime delle cognizioni importanti per noi. -</p> - -<p> -Ora, ciò che determina il grado d’importanza -sia dei sentimenti che delle cognizioni -è la coscienza religiosa d’una società e d’una -epoca data, cioè il concetto comune che si -formano del senso della vita gli uomini di -quell’epoca e di quella società. Ciò che più -contribuisce a tradurre in realtà quest’ideale -della vita, è ciò che si deve insegnare maggiormente: -ciò che vi contribuisce meno, -dev’essere insegnato meno; e ciò che non -contribuisce in nessun modo a realizzare il -destino della vita umana non deve essere -insegnato affatto, o, se lo s’insegna, non deve -essere almeno considerato come cosa che -abbia alcuna importanza. Così fu sempre in -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -passato per la scienza, e così dovrebbe essere -ancora, perchè così esige la natura stessa -del pensiero e della vita dell’uomo. Eppure -la scienza delle nostre classi superiori non -solo non riconosce come base alcuna religione, -ma anzi reputa superstizioni tutte le -religioni. -</p> - -<p> -In conseguenza gli uomini del nostro tempo -affermano che imparano indistintamente <i>tutto</i>. -Ma poichè <i>tutto</i> è un po’ troppo, essendo infiniti -gli oggetti della conoscenza, e poichè è -impossibile imparare tutto indistintamente, -quella non è che un’affermazione puramente -teorica. Nella realtà, gli uomini non imparano -<i>tutto</i>, e non avviene indifferentemente che -imparino quello che imparano. Nella realtà, -gli uomini non imparano che ciò che è molto -utile, o molto gradevole a coloro che s’occupano -della scienza. E appartenendo costoro -alle classi superiori della società, ciò che -torna loro più utile è di mantenere l’ordine -sociale che permette alle loro classi di godere -dei loro privilegi; e ciò che torna loro più -gradevole è di soddisfare vane curiosità che -non esigono da essi uno sforzo di mente -troppo considerevole. -</p> - -<p> -Da ciò proviene che una delle sezioni della -scienza più in onore è quella delle scienze -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -che, come la storia e l’economia politica, s’occupano -sopratutto di stabilire che l’ordine -presente della vita sociale è appunto quello -che è sempre esistito e che deve esister sempre, -di modo che ogni tentativo di modificarlo -ci si mostri illegittimo e vano. Un’altra -sezione è quella delle scienze sperimentali, -che abbracciano la fisica, la chimica, la botanica; -queste scienze non s’occupano che di -ciò che non ha alcun rapporto diretto colla -vita, di ciò che è materia di pura curiosità, -o anche di ciò che può contribuire a rendere -più comoda l’esistenza delle classi superiori -della società. Ed è per giustificare -questa scelta arbitraria e mostruosa, fatta tra -le diverse materie della conoscenza, che i -nostri scienziati hanno inventato una teoria -corrispondente appuntino a quella dell’<i>arte -per l’arte</i>, la teoria della <i>scienza per la -scienza</i>. -</p> - -<p> -La teoria dell’arte per l’arte sostiene che -l’arte consiste nell’occuparsi di tutti i soggetti -che fanno piacere; la teoria della scienza per -la scienza sostiene che la scienza consiste -nell’insegnare tutti i soggetti interessanti. -</p> - -<p> -E così accade che, delle due sezioni della -scienza che s’insegnano agli uomini, l’una -invece d’insegnare come gli uomini dovrebbero -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -vivere per effettuare il loro destino, predica -la legittimità e l’immutabilità d’un modo -di vita menzognero e funesto, mentre l’altra -sezione, quella delle scienze sperimentali, s’occupa -di quistioni di pura curiosità, o anche di -piccole invenzioni pratiche. -</p> - -<p> -E di queste due sezioni della scienza contemporanea, -la prima è cattiva non solo perchè -intorbida la mente degli uomini e dà loro -delle idee false; è pur cattiva per il fatto solo -della sua esistenza, e perchè occupa il posto -che dovrebbe occupare la scienza vera. E la -seconda sezione, quella appunto di cui oggi -la scienza insuperbisce, è cattiva, perchè svia -l’attenzione degli uomini dagli obbiettivi veramente -importanti, volgendola verso ricerche -inutili; ed è anche cattiva perchè nell’organismo -sociale che è legittimato e sostenuto -dalle scienze della prima sezione, la -maggior parte delle invenzioni tecniche della -scienza sperimentale servono non già alla -felicità, ma all’infelicità degli uomini. -</p> - -<p> -Soltanto gli uomini che hanno dedicato la -loro vita a questi studi inutili, possono continuare -a credere che le scoperte e le invenzioni -che si compiono nel dominio delle -scienze sperimentali siano cosa veramente -importante e profittevole. E se costoro lo -<span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span> -credono, egli è perchè non guardano dintorno -a sè, e non vedono ciò che è veramente importante. -Basterebbe che alzassero il capo -dal loro microscopio, attraverso il quale osservano -tutte le materie che studiano; basterebbe -che volgessero gli sguardi intorno -a sè per vedere quanto siano vane tutte -quelle cognizioni da cui ricavano una vanità -così ingenua, in confronto di quelle altre -cognizioni alle quali abbiamo rinunziato per -rimetterle nelle mani dei professori di giurisprudenza, -di finanza, d’economia politica, ecc. -Basterebbe che volgessero un’occhiata intorno -a sè per vedere che l’oggetto importante -e proprio della scienza umana non dovrebbe -essere d’imparare ciò che, per caso, -è interessante, ma d’imparare in che senso -deve essere diretta la vita dell’uomo, d’imparare -quelle verità religiose, morali, sociali -senza di cui tutta la nostra così detta conoscenza -della natura non può esserci che inutile -o funesta. -</p> - -<p> -Noi siamo contentissimi e fierissimi che la -nostra scienza ci offra la possibilità di trar -partito dalla forza del vapore a profitto dell’industria, -o, se volete, che ci conceda di -scavare delle gallerie nel fianco dei monti. -Ma come non pensiamo che codesta forza -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -del vapore non l’adoperiamo per il benessere -degli uomini, ma solo per arricchire un piccolo -numero di capitalisti? Questa stessa dinamite, -che ci serve ad aprire i tunnel, -come mai non pensiamo che non è impiegata -principalmente a scavar delle gallerie, ma -bensì a procurare la distruzione delle vite -umane, come stromento terribile per quelle -guerre che ci ostiniamo a considerare come -indispensabili, e alle quali non cessiamo di -prepararci? -</p> - -<p> -E se anche è vero — cosa che resta ancora -da dimostrare — che la scienza ora sia -giunta a impedire la difterite, a spianare le -gibbosità, a guarire la sifilide, a compiere -delle operazioni straordinarie, ecc., nemmeno -in ciò possiamo trovare di che inorgoglirci -per poco che vogliamo pensare alla vera -funzione della scienza. Se la decima parte -delle forze che si spendono ora a studiare -argomenti di pura curiosità o piccole invenzioni -pratiche, fosse impiegata nella vera -scienza, che ha per oggetto la felicità degli -uomini, vedremmo sparire almeno la metà -di quelle malattie che oggidì ingombrano le -cliniche e gli ospedali; non vedremmo, come -ora, dei ragazzini condannati all’etisia e al rachitismo -dal regime delle fabbriche, non vedremmo -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -la mortalità dei bambini superare, -come ora, il cinquanta per cento, non vedremmo -delle generazioni intiere immolate -alle malattie, non vedremmo la prostituzione, -non la sifilide, non le guerre, che sono l’eccidio -di milioni d’uomini, non vedremmo tutte -le mostruosità di sciocchezze e di patimenti -che la scienza contemporanea osa ritenere -come condizioni inevitabili della vita umana! -</p> - -<p> -Ma il nostro concetto della scienza è pervertito -a tal segno che gli uomini del nostro -tempo troveranno strano che si parli loro di -scienze capaci di diminuire la mortalità dei -bambini, di sopprimere la prostituzione, la -sifilide, la degenerazione, la guerra. Siamo -giunti ad imaginarci che non c’è scienza se -non quando un uomo, in un laboratorio, versa -un liquido da un provino in un altro, guarda -attraverso a un prisma, tortura delle rane o -dei conigli, oppure anche svolge da una cattedra -una matassa di frasi sonanti e stupide — che -del resto non cerca di capire nemmeno -egli stesso — sui luoghi comuni della -filosofia, della storia, del diritto, dell’economia -politica, e tutto ciò per il solo fine di -provare che quello che è deve essere sempre. -</p> - -<p> -Eppure la scienza, la vera scienza, la sola -che meriterebbe la considerazione concessa -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -oggigiorno alla sua contraffazione, la vera -scienza consisterebbe nel riconoscere a che -cosa dobbiamo credere e a che cosa non dobbiamo -credere, come dobbiamo e come non -dobbiamo condurre la nostra vita, come fa -d’uopo allevare i figli, come possiamo trar -partito dai beni della terra senza schiacciare -per ciò delle altre vite umane, e quale deve -essere la nostra condotta riguardo agli animali, -senza contare molte altre questioni -ugualmente importanti per la vita degli uomini. -</p> - -<p> -Tale è sempre stata la vera scienza; e tale -dev’essere. Ed è questa scienza che sola corrisponde -alla coscienza religiosa del nostro -tempo; ma essa si trova, da un lato, negata -e combattuta da tutti gli scienziati che lavorano -a mantenere l’ordine sociale presente, -e dall’altro è ritenuta vana, sterile, antiscientifica -dagli infelici la cui intelligenza s’è -atrofizzata nello studio delle scienze sperimentali. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -La scienza essendo intesa come è intesa -oggi, quali sentimenti può mai destare che -l’arte alla sua volta possa trasmetterci? La -prima sezione di questa scienza provoca dei -sentimenti retrivi, antiquati, fuori d’uso, e -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -cattivi per il nostro tempo. E l’altra sezione -tutta consacrata allo studio di soggetti che -non hanno rapporto colla vita degli uomini, -è di sua natura incapace di fornire materia -all’arte. E così avviene che l’arte del nostro -tempo, per essere arte vera, deve aprirsi la -via da sè, a dispetto della scienza, oppure mettere -a profitto gl’insegnamenti d’una scienza -che il nostro mondo non ammette, d’una -scienza rinnegata e respinta dalla parte ortodossa -della scienza. È a questo partito che -l’arte si trova ridotta, quando si dà pensiero -di compiere la sua funzione. -</p> - -<p> -Almeno conviene sperare che un lavoro simile -a questo che io ho tentato per l’arte sarà -intrapreso, un giorno o l’altro, rispetto alla -scienza; un lavoro che proverà agli uomini la -falsità della teoria della scienza per la scienza, -che mostrerà loro la necessità di riconoscere -la dottrina cristiana nel suo vero senso, e che -appoggiandosi su questa dottrina, insegnerà -loro a valutare in un modo nuovo l’importanza -delle cognizioni di cui ora siamo fieri -in modo così ridicolo. Possano allora gli -uomini riconoscere quanto sono secondarie -e insignificanti le cognizioni sperimentali, e -quanto essenziali e importanti le cognizioni -religiose, morali, e sociali! Possano capire che -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -queste cognizioni primordiali non devono essere -lasciate, come lo sono ora, sotto la tutela -e alla discrezione delle classi ricche, ma -che devono al contrario essere rimesse nelle -mani di tutti gli uomini liberi e amanti della -verità, i quali, spesso in contraddizione colle -classi ricche, cercano il destino reale della -vita! Possano le scienze matematiche, astronomiche, -fisiche, chimiche e biologiche, come -pure la scienza applicata alla medicina, non -essere più insegnate che nella misura in cui -contribuiranno ad affrancare gli uomini dagli -errori religiosi, giuridici e sociali, nella misura -in cui serviranno al bene di tutti gli -uomini, e non più d’una sola classe privilegiata! -</p> - -<p> -Solo allora la scienza cesserà d’essere ciò -che è ora, cioè da una parte un sistema di -sofismi destinati a mantenere un organismo -sociale decrepito, dall’altra un ammasso informe -di cognizioni, in gran parte poco utili -o anche assolutamente inutili. Solo allora essa -diventerà ciò che deve essere, un tutto organico, -avente uno scopo determinato e comprensibile -per tutti gli uomini, cioè d’introdurre -nella coscienza umana le verità che -derivano dall’idea religiosa d’un’epoca. -</p> - -<p> -E soltanto allora l’arte, sempre dipendente -<span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span> -dalla scienza, ridiventerà ciò che può e deve -essere, un organo imparentato con quello -della scienza, ugualmente importante per la -vita e per il progresso degli uomini. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -L’arte non è un godimento, un piacere, nè -un divertimento; l’arte è una grande cosa. È -un organo vitale dell’umanità, che trasporta i -concetti della ragione nel dominio del sentimento. -Nel tempo nostro il concetto religioso -degli uomini ha per centro la fratellanza -universale e la felicità nell’unione. La -vera scienza deve dunque insegnarci le diverse -applicazioni di questo concetto alla -vita; e l’arte deve trasportare questo concetto -nel dominio dei nostri sentimenti. -</p> - -<p> -Così l’arte ha dinanzi a sè un cómpito immenso: -coll’aiuto della scienza e sotto la guida -della religione deve fare in modo che quell’unione -pacifica degli uomini, che ora non -s’ottiene che con mezzi esteriori, tribunali, -polizia, ispezioni, ecc., possa effettuarsi per -il libero e gioioso consenso di tutti. L’arte deve -sopprimere nel mondo il regno della violenza -e della coercizione. -</p> - -<p> -Ed è un cómpito a cui essa sola può soddisfare. -</p> - -<p> -Essa sola può ottenere che i sentimenti -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -d’amore e di fratellanza, oggi solamente accessibili -agli uomini migliori della nostra società, -diventino sentimenti costanti, universali, -istintivi in tutti gli uomini. Eccitando in -noi, coll’aiuto di creazioni imaginarie, i sentimenti -della fratellanza e dell’amore, può avvezzarci -a provare gli stessi sentimenti nella -realtà, può assestare nell’anima umana delle -rotaie, sulle quali oramai scorrerà la vita, -sotto la guida della scienza e della religione. -E unendo gli uomini più diversi in comunanza -di sentimenti, sopprimendo le distinzioni -tra di loro, l’arte universale può preparare -gli uomini all’unione definitiva, può -dimostrar loro, non col ragionamento, ma per -mezzo della vita stessa, la gioia dell’unione -universale, al di là delle barriere imposte -dalla vita. -</p> - -<p> -L’uffizio dell’arte nel tempo nostro è di trasportare -dal dominio della ragione in quello -del sentimento questa verità: che la felicità -degli uomini sta nella loro unione. È l’arte -sola che potrà fondare sulle rovine del nostro -regime presente di violenza e di coercizione, -quel regno di Dio che si presenta -a noi tutti come il termine più alto della vita -umana. -</p> - -<p> -Ed è ben possibile che nell’avvenire la -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -scienza somministri all’arte un altro ideale, -e che l’arte abbia allora il cómpito di tradurlo -in atto; ma nel nostro tempo la funzione -dell’arte è chiara e precisa. Il cómpito -dell’arte vera, dell’arte cristiana, è oggidì -quello di effettuare l’unione fraterna degli -uomini. -</p> - -<p class="pad2 center large"> -<span class="smcap">Fine</span>. -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE.</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td><span class="smcap">Tolstoi e Manzoni nell’idea morale dell’arte</span>, di <i>Enrico Panzacchi</i></td> <td class="pag"><a href="#saggio">Pag. <span class="smcap lowercase">V</span> a <span class="smcap lowercase">XLVII</span></a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>Introduzione dell’autore</i></td> <td class="pag"><a href="#intro">Pag. 3</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>I. Il problema dell’arte</td> <td class="pag"><a href="#cap1">15</a></td> - </tr> - <tr> - <td>II. La bellezza</td> <td class="pag"><a href="#cap2">27</a></td> - </tr> - <tr> - <td>III. Distinzione tra l’arte e la bellezza</td> <td class="pag"><a href="#cap3">44</a></td> - </tr> - <tr> - <td>IV. La funzione dell’arte</td> <td class="pag"><a href="#cap4">54</a></td> - </tr> - <tr> - <td>V. L’arte vera</td> <td class="pag"><a href="#cap5">64</a></td> - </tr> - <tr> - <td>VI. L’arte falsa</td> <td class="pag"><a href="#cap6">73</a></td> - </tr> - <tr> - <td>VII. L’arte degli eletti</td> <td class="pag"><a href="#cap7">80</a></td> - </tr> - <tr> - <td>VIII. Gli effetti dell’arte pervertita; l’impoverimento della materia artistica</td> <td class="pag"><a href="#cap8">87</a></td> - </tr> - <tr> - <td>IX. Gli effetti dell’arte pervertita; la ricerca dell’oscurità</td> <td class="pag"><a href="#cap9">96</a></td> - </tr> - <tr> - <td>X. Le conseguenze della perversione nell’arte; la contraffazione dell’arte</td> <td class="pag"><a href="#cap10">129</a></td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span></td> - </tr> - <tr> - <td>XI. L’arte professionale, la critica, l’insegnamento artistico: loro influenza sulla contraffazione dell’arte</td> <td class="pag"><a href="#cap11">144</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XII. L’opera di Wagner, modello perfetto della contraffazione dell’arte</td> <td class="pag"><a href="#cap12">159</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XIII. Difficoltà di distinguere l’arte vera dalla sua contraffazione</td> <td class="pag"><a href="#cap13">182</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XIV. Il contagio artistico, criterio dell’arte vera</td> <td class="pag"><a href="#cap14">188</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XV. L’arte buona e l’arte cattiva</td> <td class="pag"><a href="#cap15">193</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XVI. Le conseguenze del cattivo funzionamento dell’arte</td> <td class="pag"><a href="#cap16">217</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XVII. Possibilità d’un rinnovamento artistico</td> <td class="pag"><a href="#cap17">232</a></td> - </tr> - <tr> - <td>XVIII. Che cosa dovrà essere l’arte dell’avvenire</td> <td class="pag"><a href="#cap18">236</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>Conclusione</i></td> <td class="pag"><a href="#concl">247</a></td> - </tr> -</table> -<hr /> -</div> - -<div class="opere"> -<p class="center"> -OPERE DI LEONE TOLSTOI -</p> - -<p class="center"> -<i>Edizioni Treves</i> -</p> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td><i>Anna Karenine</i>. 2 volumi preceduti da uno studio di D. Ciàmpoli sui romanzi russi. 9.ª edizione.</td> <td class="pag">L. 2 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>La guerra e la pace</i>. 4 volumi. 8.ª edizione.</td> <td class="pag">4 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>I Cosacchi</i>. 5.ª edizione</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>La sonata a Kreutzer</i>. 8.ª edizione</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Ultime novelle; Piaceri viziosi</i>. 5.ª edizione</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td>La morte di Ivan Iliitch. — Il romanzo d’un cavallo. — Un povero diavolo. — L’alcool e il tabacco. — L’ubbriachezza nelle classi dirigenti. — Delle relazioni fra i sessi.</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Padrone e servitore</i>, racconto. 9.ª edizione</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Resurrezione</i>, romanzo. 3 volumi. 5.ª edizione</td> <td class="pag">5 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Memorie.</i> 6.ª edizione</td> <td class="pag">3 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>Che cosa è l’arte?</i> (con prefazione di <span class="smcap">Enrico Panzacchi</span>). 5.ª edizione</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>La vera vita</i>, preceduto da un saggio critico di <span class="smcap">Nino De Sanctis</span></td> <td class="pag">3 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>La potenza delle tenebre</i>, dramma. 2.ª edizione</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td><i>I frutti dell’istruzione</i>, commedia</td> <td class="pag">1 —</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td><i>Dottrine Religiose e Sociali del Conte L. N. Tolstoi</i>, di <span class="smcap">Bassano Gabba</span></td> <td class="pag">1 50</td> - </tr> -</table> -<hr /> - -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>. </span>Come introduzione all’opera di Tolstoi, abbiamo il -piacere di presentare i due articoli che le dedicò Enrico -Panzacchi nei fascicoli della <i>Nuova Antologia</i> del 16 giugno -e del 16 dicembre 1898. Dobbiamo ringraziare l’autore -e il direttore dell’<i>Antologia</i> del permesso accordatoci, — e -ne saranno del pari grati i lettori. (<i>Nota degli Editori</i>).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>. </span><span class="smcap">René Doumic</span>, <i>Les jeunes</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note3"> -<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>. </span>Prefazione alla tragedia <i>Il conte di Carmagnola</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note4"> -<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>. </span><i>Opere varie.</i> Edizione Rechiedei, pag. 796.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note5"> -<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>. </span><i>Opere varie.</i> Ediz. cit., pag. 783.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note6"> -<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>. </span>Ib., pagg. 465 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note7"> -<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>. </span><i>Discorsi.</i> “Una opinione di Alessandro Manzoni„. -Edizione Cogliati. Milano, 1898.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note8"> -<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>. </span><i>Zola, Dumas, Guy de Maupassant</i>, pag. 153 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note9"> -<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>. </span><i>Prémières poésies.</i> “Don Paez„.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note10"> -<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>. </span>Vedi di lui <i>Science et Religion</i>, pag. 229 e seg.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note11"> -<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>. </span><i>Pro Archia poeta.</i></p> -</div> - -<div class="footnote" id="note12"> -<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>. </span>Mario Pilo è un professore italiano. L’A. ha avuto -sott’occhi la traduzione francese del suo volume. (<i>N. d. T.</i>).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note13"> -<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>. </span><i>Solness il costruttore</i>, di Ibsen.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note14"> -<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>. </span><i>I ciechi</i>, di Maeterlinck.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note15"> -<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>. </span><i>La campana sommersa</i>, di Hauptmann (<i>N. d. T.</i>).</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note16"> -<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>. </span>Adducendo questi titoli delle opere d’arte che ritengo -le migliori tra le moderne, sono lontano dal pretendere -di dare un giudizio definitivo di queste opere; -poichè non solo non ho l’esperienza occorrente per valutare -tutte le produzioni artistiche, ma per giunta appartengo -io stesso a quella specie d’uomini che ebbero -per tempo depravato il gusto da una cattiva educazione. -Quindi è possibilissimo che colle mie vecchie abitudini -connaturate con me io m’inganni su parecchi punti, attribuendo -un valore artistico superiore ad impressioni famigliari -a me sino dall’infanzia. Ma se enumero così -certe opere di diverse categorie, lo faccio solo per ispiegar -meglio il mio pensiero, e per dimostrar meglio come ora -io intenda la perfezione nell’arte. E debbo aggiungere -ancora che schiero nella classe dell’<i>arte cattiva</i> tutte le -mie proprie opere artistiche, eccettuato il racconto <i>Dio -vede la Verità</i> col quale volli fare un’opera d’arte religiosa, -e quell’altra mia narrazione <i>Nel Caucaso</i>, che mi -sembra appartenere alla seconda delle categorie che ritengo -accettabili.</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>CHE COSA È L'ARTE?</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin:0.83em 0; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE<br /> -<span style='font-size:smaller'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE<br /> -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</span> -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. 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Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> -</div> -</body> -</html> diff --git a/old/67556-h/images/cover.jpg b/old/67556-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 0e2e5f2..0000000 --- a/old/67556-h/images/cover.jpg +++ /dev/null |
