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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Il libro dei miraggi - -Author: Maria Majocchi Plattis - -Release Date: March 4, 2022 [eBook #67559] - -Language: Italian - -Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team - at http://www.pgdp.net (This file was produced from images - made available by The Internet Archive) - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO DEI MIRAGGI *** - - - JOLANDA - - - Il Libro - - DEI MIRAGGI - - - - ROCCA S. CASCIANO - LICINIO CAPPELLI EDITORE - 1894 - - - - - Proprietà letteraria - - Rocca S. Casciano Stab. Tip. Cappelli. - - - - - _Al principe Aprile_ - _la Dama d’Autunno_ - - _Dal Regno delle favole, 1894._ - - - - -Forte come l’Amore - - -Clotilde entrò un poco sbadatamente, cantando, nel salotto terreno -della villetta dove accanto alla nonna che raccomodava il bucato, suo -fratello declamava con molto fervore, leggendo. C’era anche il loro -vicino, l’avvocato Dardanelli. - -— Ssss! — le fece questi con un’energia così brusca che la inchiodò -sulla soglia, muta, sorpresa. Ma Roberto aveva già lasciato ricascare -sulle ginocchia le mani, che reggevano il manoscritto, in atto di -scoraggiamento. - -— Quella sgarbataggine... — cominciò a rimproverare seccamente la -nonna, levando la testa piccina e ossuta dall’enorme lenzuolo che la -seppelliva ammonticchiandosi su una sedia di contro. E dopo un momento -di silenzio generale disse a Roberto, guardandolo attraverso gli -occhiali amorosamente: — Continua. - -— No, è inutile, — mormorò il giovane con languore annoiato; — già a me -quella spensieratezza ignorante mi fa sempre l’effetto di una secchia -d’acqua sul capo. — E corrugò le sopracciglia, passandosi una mano -fra i capelli biondi e fluenti, come se la secchia lo avesse inaffiato -davvero. — Io son fatto così, che vuole? — riprese sorridendo a fior -di labbra all’avvocato e alla nonna che lo guardavano costernati; — -un nonnulla, in certi momenti di emozione artistica intensa, basta a -smontarmi, a prostrarmi per chi sa quanto... — E dopo un guizzo nervoso -piegò il manoscritto dispettosamente e si levò. - -— Questi poeti moderni sono pile di Volta, — osservò blandendo -l’avvocato, mentre la nonna continuava a fissar Roberto con un po’ -d’inquietudine. - -— Se avessi immaginato, — entrò a dire la ragazza punto intimidita, — -non sarei certo comparsa e, se volete, me ne vado... - -Roberto fece una mossaccia ed uscì. - -— Ci siamo! — sbuffò la vecchina. — Tu, cara Clotilde, fai e dici -sempre delle sciocchezze. Mi pare che oramai dovresti conoscere tuo -fratello. Già, non c’è rimedio, ci vogliono dei riguardi... Quella -gente là non è come noi, è fatta ad un altro modo, vive in tutt’altro -mondo. Con tutte quelle idee nel cervello, sfido io! E pur troppo in -ogni tempo e in ogni luogo ci fu e c’è qualcuno che li disconosce, -che li deride... Pare impossibile! Roberto, che, per buona sorte, è -cresciuto in un ambiente dove tutti lo apprezzano e lo ammirano, deve -aver per sorella quella monellaccia là che non capisce niente.... - -Clotilde non sorrise e continuò a tagliarsi le unghie con le forbici -della nonna, ritta in faccia a lei, contro lo stipite della porta -che s’apriva sul giardino, più seccata dalla presenza e dagli sguardi -dell’avvocato, che dalla ramanzina della signora Rita. Gli occhi di -Dardanelli, tondi, piccoli, bruni, maliziosi nel faccione paffuto, -quegli occhi impuri che parevano denudarle corpo e anima, la urtavano -terribilmente. Quindi con bel garbo gli voltò le spalle, borbottando -più per disimpegno che per altro: — Roberto _posa_, nonna mia... - -— Sentite chi parla di _pose_! — esclamò la nonna con un atto di -desolata meraviglia. — Chi parla di _pose_! L’ha intesa, avvocato? Lei -che fa la donna emancipata a quel modo! Lei che ha suscitato un mezzo -scandalo con la fissazione di quegli studii... Zitta, zitta per carità! - -Clotilde sorrise, questa volta, continuando a rimaner voltata in là -a capo chino. Intanto l’avvocato mangiava cogli occhi quelle spalle -svelte, quella vita sottile, tutto quel bel corpo giovanile e fiorente -costretto nell’abito nero da cui usciva libero e nudo il collo fresco, -velato di capelli biondicci sfuggenti al voluminoso nodo fissato con -uno spillo d’argento sulla sommità del capo. - -— Va là col tuo tanfo d’acido fenico — brontolò la nonna con disgusto. -— Non mi ci avvezzerò mai. - -Clotilde scese il gradino di pietra e fece qualche passo nel giardino -verde, fiorito, odoroso. Era un tramonto di primavera, roseo, diffuso, -come un’aurora. Ma la nonna la richiamò quasi subito, ed ella dovè -voltarsi, tornare indietro. L’avvocato la guardava avvicinarsi lenta, -a capo chino, occupata sempre delle sue unghie, spiccando nettamente -nella limpidità dell’aria; un ultimo raggio d’oro rosso le ravvivava il -biondo scuro dei capelli. Si fermò a piè dello scalino senza sollevare -il viso nè gli occhi; era assai pallida, sbattuta, e le lentiggini -della sua pelle fina apparivano tutte su su fino nella fronte, che i -capelli rialzati alla giapponese lasciavano scoperta. - -— Signora medichessa, faccia il piacere di terminare quest’orlo intanto -— disse più ironica che scherzosa la nonna cedendole il suo posto -accanto alla finestra, e uscì. - -La ragazza sedette un tantino soprapensieri e si tirò metà del lenzuolo -sulle ginocchia. Poi si avvide di esser troppo vicina all’avvocato e -con un moto quasi di ripugnanza ritrasse la scranna fin sull’estremo -dello scalino di pietra. - -— Perchè s’allontana? — le chiese Dardanelli con la sua voce fessa e -nasale che aveva una intonazione di dolcezza. - -— Cerco la luce, non lo sa che sono miope? — e il volto di Clotilde si -colorì leggermente, fuggevolmente. - -— Non sarebbe una qualità per una medichessa, — seguitò l’avvocato, -accostando ancora la sua sedia a quella di lei. - -— Non mi chiami così, la prego! — Ell’era quasi supplichevole. — Peno -abbastanza a sopportare tutti i giorni le canzonature stizzose della -nonna e le smorfie sprezzanti di Roberto, senza contare tutta la -buona gente che scandalizzo e che mi regala le sue meraviglie, le sue -disapprovazioni, i suoi consigli... Come se non sapessi ancora ciò che -faccio, come se fosse peccato... — La sua voce oscillava. — E anche sua -moglie, sa, anche lei... - -— Oh lasci stare mia moglie; è una grulla — s’affrettò a dire -Dardanelli, che le alitava il suo fiato caldo sul viso. — La nonna -è una vecchina all’antica. Roberto è tanto nelle nuvole... A me -invece piace che le donne, quando sono belle come lei, s’emancipino -così. Se ci saranno molte medichesse come lei, vedremo i medici in -liquidazione... e gli ammalati maschi in aumento — finì sorridendo. - -Clotilde sentì l’offesa e fece spalluccie. Dardanelli le sfiorava la -persona col suo corpo obeso. — Io ammalerò di certo... Se ammalerò -verrà a curarmi? — le chiese ancora con la sua vocetta che si -stemperava nella tenerezza. - -— Io no. Mi dedico alle malattie delle donne e dei bambini, lo sa -pure... — cominciò lei, ruvida; ma s’interruppe con un sussulto. Il -braccio di Dardanelli le allacciava la vita. - -— Impazzisce? — gridò Clotilde indignata, ribellandosi; — impazzisce? -— E siccome l’avvocato la stringeva più forte, essa con l’ago gli punse -la mano, violentemente. - -Dardanelli si ritirò subito con un moto frettoloso e grottesco, -soffocando un’esclamazione di dolore. — Quanto male mi ha fatto!... — -mormorò poi, occupandosi della puntura con quell’importanza esagerata e -quell’inquietudine propria del sesso forte per le ferite di questa arma -esclusivamente femminile, un’arma da silfo, fatta d’un minuzzolo di -raggio siderale: — Guardi quanto sangue! lei che doveva guarirmi... - -— Ho imparato che si guarisce anche facendo del male, — ribattè la -ragazza, rude, andandosene. — Si badi; — è un saggio. - -Ella non sapeva d’esser tanto indovina dicendo queste parole. - - * - * * - -A notte alta, Clotilde, vegliava sola nella sua camera. La lucernina -a petrolio, velata d’un bianco perlaceo, pioveva una luce chiara -e tranquilla sulla giovine testa bionda china sul libro, e si -diffondeva mite a lambire le pareti grigie a mazzi di rose. Nel -fondo biancheggiava un letto stretto, monacale, su cui era un gran -quadro di cui si vedeva soltanto rilucere la cornice. Un altro quadro -stava appeso nell’angolo dov’era il tavolino di Clotilde, tra le due -finestre: il ritratto a olio d’una donna giovine vestita di velluto -nero con un piccolo collare di trina. - -All’abito austero, alla posa rigida e convenzionale faceva contrasto -il volto quasi infantile, dall’espressione dolcissima e dallo sguardo -amoroso rivolto verso la fanciulla con quel non so che di mesto, di -stanco, di assorto, che hanno i ritratti dei morti non dimenticati. E -sulla fanciulla, che studiava assidua, protetta da quello sguardo, fra -i cortinaggi di velo delle finestre, alti e candidi come ali, nella -solitudine feconda di quelle pareti gaie e silenti, parevano scendere -benedizioni. - -Sul tavolino, fra l’aridità dei libri di scienza, dei trattati -di patologia e di farmacologia, dei cartolari, delle boccette -d’inchiostro, la nota delicata, femminile: un mazzolino di viole e un -ramo di biancospino in un bicchiere. - -Clotilde leggeva, segnando in margine qualche periodo o qualche -parola colla matita che si picchiettava poi sui denti stretti con un -movimentino che pareva distrazione, ma che in lei caratterizzava il -massimo dell’occupazione del pensiero in qualche cosa. Le viole e il -biancospino odoravano forte sotto il calore del lume che li avvizziva; -in lontananza, nella campagna, un cane abbaiava con insistenza noiosa -e s’udiva fioco e continuo il gracidare delle rane. A lungo la testa -bionda giovanile rimase china sui libri e sui quaderni di appunti; a -lungo la lucernina diffuse luce e tepore nel silenzio che, inoltrando -la notte, pare addensarsi sempre più come un velario invisibile e -isolatore, intorno a chi veglia nelle case addormentate; Clotilde non -ebbe uno sbadiglio nè un atto di stanchezza. Quando guardò l’orologio -nascosto nella cintura, fece un atto incredulo di stupore. Erano le -tre. - -Possibile! le tre? quasi cinque ore di studio continuo sfumate in un -baleno! Era proprio una vera passione la sua, oh si! tanto forte da -raccogliervi intorno tutta la sua giovinezza rigogliosa, fiorita di -sogni. Sogni strani, d’una purezza immacolata, un po’ livida, un po’ -mesta, un po’ fredda, come ogni grandiosità: imprese, uomini, cose. -_Pace summa tenent_ era il motto che aveva scelto: pace, ma non quella -di morte! La morte essa l’avrebbe combattuta, accanitamente, con tutte -le forze del suo ingegno e della sua vita, l’avrebbe vinta, incatenata, -fugata sventolando il vessillo della scienza in cui credeva con la fede -ardente e cieca di una neofita; a cui benediva come ad un ideale di -verità e di bellezza; a cui tendeva le braccia come alla felicità. - -Forse l’avrebbe trovata, lei, la felicità. L’avrebbe trovata in quel -romitaggio splendido e austero dove sono così pochi gli eletti, così -pochi quelli che vi ascendono, molto amando! La gloria, una posizione -rispettabile, l’interesse materiale, ecco, — pensava Clotilde, — -l’esca di quasi tutti i giovani studenti di medicina; ed anche quelli -che hanno la vocazione vera, viva, sincera, sfrondano così presto i -loro begli entusiasmi! perdono così presto la loro fede gioconda! — -Ebbene, lei no: lo sentiva. Aveva un tesoro di volontà tenace e di -amorevolezza; queste doti eminentemente muliebri, che fanno le eroine. -Poi, la pietà. La pietà, la nota fondamentale del suo carattere, -affinantesi qualche volta morbosamente. Da bambina era svenuta vedendo -dei monelli tormentare un cagnolino cucciolo; e quando la nonna -portava, implacabile, al gatto la trappola che conteneva il topolino -smarrito e umiliato, c’era ogni volta una scena di singhiozzi e di -preghiere che lasciavano la bimba nervosa per tutta la giornata. Si -ricordava anche di aver vuotato tutto il contenuto del suo salvadenaro -nel grembiule di un manovale, per riscattare un passerotto intirizzito, -ed anche, lei, così mite e tranquilla, d’aver amministrato una buona -dose di scapaccioni al fratellino che strappava le ali a una farfalla -viva. Quando cominciò a frequentare la scuola e a formarsi la sua -piccola esperienza intorno alle ingiustizie e alle miserie della -vita, le generosità spontanee, le delicate abnegazioni divennero per -lei un’abitudine, una necessità. Compagne scusate e protette, merende -divise, compiti fatti di nascosto per qualche bambina poco intelligente -e volonterosa, regalucci, elemosine, e con tal frequenza che la nonna -aveva dovuto avvertir la maestra, poichè le bimbe più astute, con un -po’ di commedia, la svaligiavano. Una sera, in principio d’inverno, era -tornata a casa coi piedi nudi negli stivalini perchè aveva dato le sue -calze nuove di lana a una bambina che piangeva dal freddo ai piedi. -I suoi giocattoli, specialmente le bambole, andavano tutte, una dopo -l’altra, a consolare qualche dolore infantile, a rallegrare qualche -malatina, a far dimenticare qualche digiuno... pronta a pigliarsi poi -con filosofica rassegnazione i rabuffi della nonna ed anche qualche -correzione più spiccia dispensata dalle mani della vecchietta, niente -affatto entusiasta di quel lusso di filantropia. - -A nove anni suo padre la mise in collegio, e ne uscì a quindici con -tutti i primi premi per gli studi e per la buona condotta; lasciando -edificate dietro di sè maestre e compagne per la sua intelligenza viva, -la sua persistenza tenace nell’operosità, la dignità serena delle sue -maniere che le attiravano intorno una deferenza che pareva rispetto. -Una sol volta fu punita severamente, e fu per aver trasgredito l’ordine -assoluto di non salire a certe camerette dell’ultimo piano, dove stava -rinchiusa da anni una monaca pazza, «pazza per amore» bisbigliavano fra -loro in segreto le educande. Clotilde era salita da lei una volta, poi -due, poi dieci, poi aveva finito per visitarla regolarmente ogni giorno -in un momento o nell’altro, quando poteva sfuggire alla sorveglianza, -mettendo tutta la sua diplomazia e tutta la sua fredda volontà -in quella disobbedienza, dopo che si era accorta d’un lievissimo -miglioramento dell’infelice accarezzata dalle sue cure. Poi un bel -giorno costei le si era avvinghiata al collo, tempestandola di baci con -una furia così selvaggia, che la guardiana se ne spaventò e a scanso di -responsabilità avvertì la Direttrice. Clotilde non potè veder la pazza -mai più. Qualche tempo dopo, la monaca moriva. - -Rientrata in famiglia, fra sua nonna, suo padre, un militare in -ritiro, e suo fratello, la giovinetta andava dicendo di volersi far -suora di Carità. Ma la nonna, che odiava le romanticherie, fu la -prima ad opporsi con una risolutezza che le accendeva il desiderio -continuamente, più forse delle elette e spirituali figurine che vedeva -passare nei discorsi di suo padre, quando evocava con lei i suoi -ricordi di campo e di ospedale. L’attraeva il mistero gentile delle -bende, quel mistero in cui non raggia che un viso e un nome: un viso -sempre dolce, un nome soave che le fa migrare attraverso il mondo -invisibili e sconosciute come una falange di angeli custodi scendenti -dalle regioni in cui non c’è patria nè personalità. L’attraeva quella -gran pace attiva nell’oblìo e nel riposo e nell’ignoranza d’ogni -cosa, come se una blanda riviera letèa avesse dilagato sulle passioni -e sui ricordi della vecchia vita naufragata; l’attraeva sopratutto -l’abnegazione efficace, la carità feconda, la castità austera di quelle -esistenze. Ella, che sognava di avere le braccia della Provvidenza per -attirare e consolare tutti gl’infelici e i dolenti della terra, avrebbe -potuto finalmente profondere quel tesoro d’affetto e di pietà che le -si accumulava nel cuore. Oh esser utile e benefica! ardente e pia! Il -miraggio tranquillo di quella vita turbava i suoi sonni di vergine come -un desiderio d’amore. - -A deviare quella corrente che minacciava di portare serie burrasche in -famiglia, venne un vecchio medico, amico di casa, una simpatica figura -di patriota e di cavaliere, volta a volta brusco e cortese, un po’ -strambo anche, ma sempre ameno e arguto come un monello. - -— Ebbene, — aveva risposto alla ragazza che gli confidava i suoi -crucci; — ebbene, studia medicina. È press’a poco la stessa cosa, sai. -È un apostolato filantropico e consolatore come l’altro e d’una carità -più militante. Una donna vi può far miracoli. Prova. - -Ed avendo lei addotto timidamente la difficoltà degli studi, del -tirocinio, egli le rispose con uno sguardo ironico e una scrollata -di spalle: — Dell’ingegno e della volontà ne hai da dare a me; di -freddezza e di una certa disinvoltura spregiudicata e dignitosa non -devi difettare, se ti sentivi pronta a peregrinare per il mondo sola, -pronta ad assistere a tutte le miserie degli ospedali e dei tuguri. Fa -la medichessa. - -Questa volta Clotilde non aveva risposto nulla ed era rimasta un po’ -di tempo a guardar diritto dinanzi a sè co’ suoi occhi larghi e neri -che la miopia rendeva misteriosi. Forse si sarebbe limitata a pensarci -su, se un incidente non l’avesse decisa. Furono i pettegolezzi di -una vecchia serva. Essendo un giorno rimasta in casa sola con lei, -la donnicciuola incominciò non richiesta a narrarle molti particolari -della malattia che aveva spinto nel sepolcro la madre di Clotilde nel -fiore della giovinezza. Clotilde, a cui avevano lasciato credere che -il tifo l’avesse uccisa, seppe così che la mamma era morta dopo aver -sofferto lungamente, eroicamente, di un male interno, cancrenoso, che -nascondeva a tutti come una vergogna per non farsi curare da un uomo. -Quando se ne accorsero era già tardi e ancora nessuno potè vincere -quella ripugnanza invincibile, selvaggia. E il pudore la uccise. - -Clotilde a questa rivelazione rimase scossa rudemente, profondamente, -intensamente, e tutta la pietà del suo cuore si sollevò come di fronte -ad un’enorme ingiustizia. Una cosa orribile, inumana, il lento suicidio -pieno di spasimi di quella madre che voleva vivere, in lotta con la -donna che si lasciava morire avvolgendosi nell’ultimo velo della sua -castità. L’anima delicata della fanciulla vibrò dolorosamente, senza -che le lagrime o le convulsioni di compassione della sua infanzia -sensibile si rinnovassero in questa grande amarezza, nella più grande -compassione della sua vita. - -Rimase tre, quattro ore in camera, sola, in ginocchio dinanzi al -ritratto della sua morta senza pregare nè piangere, muta, intontita, -come se l’avessero appena portata al cimitero; rimase là con un un -gran peso sul cuore, e nel cervello una fissazione sottile, acuta, -insopportabile. Sua madre avrebbe potuto non morire dunque! Bastavano -due mani bianche e una dolce voce femminile sul suo letto di dolore, -nient’altro... E il mal di cuore non tormenterebbe il babbo incanutito -innanzi tempo, e lei avrebbe veduto vivi, animati, per la casa quel -sorriso e quello sguardo che erano un compendio di tenerezze e che -oramai non ricordava che immobili così... - -Quando si risollevò, la sua decisione era presa. Studierebbe medicina. -La mamma, Dio, glielo suggerivano, glielo imponevano come un dovere, -come una missione. Era una specie di rivendicazione del suo cordoglio, -una vendetta spirituale contro la morte, cui avrebbe tolto cento altre -madri se le aveva rapita la sua. Il babbo la appoggiò e la nonna non -osava opporsi troppo, pensando forse che era meno male medichessa -che suora di Carità, o meglio, sperando che la via lunga e ardua la -stancherebbe. Ma ciò non fu. Tutta la forte volontà, la prontezza -dell’ingegno, la memoria viva, l’elasticità della fibra, tutta la -ricchezza dei suoi quindici anni la fanciulla donò alla sua idea. Lo -studio divenne la sua distrazione, il suo rifugio, il suo conforto, -la sua dolcezza. Quando il babbo, che languiva, si spense, dopo le -prime giornate di desolazione, Clotilde si rimise allo studio con più -ardore, domandandogli l’oblìo come ad un’ebbrezza; e sovente, nelle -ore che le ravvivavano il ricordo della sventura sofferta, le accadeva -di reclinare la fronte con un lieve singhiozzare su qualche grosso -trattato di Patologia che rimaneva aperto sotto quella testa bionda -come per accogliere il suo dolore. - -Così fece tutti i corsi insieme agli studenti, ed ogni esame era -per lei un trionfo. Riservata, semplice, modesta, i professori la -preferivano francamente, e nessuno dei suoi compagni pensava a serbarle -rancore, anzi pareva che cercassero anche loro di favorirla; forse -per quel tal sentimento quasi di protezione cavalleresca che nasce -dall’affratellarsi dei due sessi nella medesima scuola. Le altre -studentesse erano meno indulgenti; ma poi Clotilde non si poteva dir -bella e si vestiva e si pettinava così dimessamente che pareva lo -facesse apposta per non dar nell’occhio, quindi in grazia di ciò, molto -del suo talento le veniva perdonato. - -Entrata all’Università, le opposizioni della nonna ricominciarono. -Clotilde, che non poteva contare sull’unico appoggio rimastole, -quello del fratello, un egoista inutile, assorto sempre nelle sue -visioni di gloria, si limitò a tener sodo senza difendersi; e questa -resistenza silente e tenace irritava la vecchietta già inasprita dalla -sventura. Se avesse usato un pizzico di diplomazia, l’urto sarebbe -stato attenuato; ma la fanciulla era troppo franca, troppo fiera per -fingere o anche solamente esagerare una sommessione affettuosa che -avrebbe rasentato l’ipocrisia. Tutte le tenerezze della nonna erano -per Roberto, ella lo sapeva bene, nè se ne lagnava per una gran dose -d’alterezza e di filosofia, forse anche per un fondo d’indifferenza -ch’era nel suo carattere. E non le aveva mancato di rispetto mai: nè -con un atto, nè con una parola. - -Eppure la nonna, con quella minuta e fredda crudeltà che hanno talora -i vecchi, non lasciava di stuzzicarla e di mettere a prova la sua -fermezza, affidandole mille faccenduole da sbrigare, o noiosi lavori -d’ago che le rubavano quasi tutte le sue ore di riposo ed anche -qualcuna di studio. Clotilde tranquillamente si rifaceva vegliando. -E la signora Rita, che non sapeva come fare a pigliarsela, si sfogava -coi vicini, atteggiandosi a vittima di quella stramba ragazza che si -impuntava a correr su e giù in tram dall’Università alla villetta e -viceversa, mentre avrebbe potuto viver agiata e tranquilla fra il suo -telaio di ricamo e i suoi fiori aspettando un marito, qualche buon -giovine assennato e danaroso che certo non le sarebbe mancato. Ma -così! chi doveva aver coraggio di avvicinarla? Una ragazza che studia -medicina! che deve veder tutto e saper tutto... Uno scandalo, uno spino -continuo, il cruccio della sua vecchiaia. E i vicini compiangevano in -coro. - -Clotilde si spogliava nell’intimità della sua camera. Aveva spento la -lucerna e acceso la candela sul tavolino da notte; la sua ombra sulla -parete volteggiava lieve ed enorme. Che giornata faticosa! E quelle -ore, là al teatro anatomico con quell’odore... E poi alla clinica -quel bambino che urlava e quella madre così pallida e il professore -che non finiva più di dimostrare, di spiegare... Ebbe ancora un -brivido, ripensando quella scena che aveva scosso così rudemente, -così dolorosamente la sua sensibilità femminile; e un vago sgomento le -stringeva il cuore, pensando alla lunga serie di miserie, di strazi, -a cui avrebbe dovuto ancora passar in mezzo, ancora e sempre, tutta -la vita, come in una corsia infinita d’ospedale; cloroformizzandosi -spiritualmente per non turbare con le sue sensazioni l’opera della -scienza; scacciando le emozioni come un egoismo, la compassione come -una crudeltà. - -Era rimasta con la sottanina breve di flanella a righe azzurre e -bianche e con la sottovita di maglia grigia. Si spettinava, e così -con le braccia levate in un atteggiamento grazioso di sirena o di -dea, tutte le forme opulente del suo bel corpo sbocciavano. Il nodo -dei suoi capelli era fermato da uno spillo d’argento, una specie di -pugnaletto donatole da suo fratello che vi aveva fatto incidere su un -motto cavalleresco: «_Non ti fidar di me se il cor ti manca._» Levato -lo spillo, il torciglione si allentò mollemente ed ella con una mossa -del capo lo fece ricascare sulle spalle allargandolo con le dita, -sciorinandolo prima di farsi la treccia per la notte. I suoi capelli -non erano lunghi, ma fini, abbondanti, ondulati e d’un bel castano che -al sole s’indorava. - -..... Oh le povere piccole membra contratte dallo spasimo...! oh il -martirio intimo, muto di quella madre, e la voce del professore così -calma...! e le sue dita così rapide e sicure quando avevano guidato il -piccolo bisturi....! Quella visione d’angoscia non le si levava dalla -mente. Anche la Ginoli, l’altra studentessa, era assai pallida: gli -assistenti si affollavano, come se la curiosità vincesse la pietà. Ma -non era curiosità soltanto, lo sapeva... Qualche profilo caratteristico -o amico le si delineò nella mente: Santarelli biondo e scialbo col suo -collo d’oca; il testone d’Embrici così timido e goffo, martire dello -studio e dei compagni; Altarini, un saccentuzzo dalla voce stridula -che soverchiava sempre; il bel Raimondi, che faceva perder la testa -alla Ginoli; Serralta, detto il gobbino per la sua imperfezione che -gli valeva qualche riguardo dai compagni, i motteggi della Ginoli e -la compassione di Clotilde che si sapeva adorata in segreto da lui. -Un viso da scimmia quello di Serralta, dai lineamenti continuamente -in moto per una specie di tic nervoso, dagli occhietti maligni che si -illanguidivano incontrando quelli della fanciulla, che col suo contegno -severo non aveva mai incoraggiato quell’amore. - -Finì di spogliarsi in fretta e si cacciò fra le lenzuola candide e -ruvide del suo letto duro. Ma non aveva sonno. La stanchezza e la -veglia, che per solito la facevano cader giù addormentata come un -masso, quella notte la tenevano desta in una lieve eccitazione di nervi -tormentosa e dolce. Le pareva che una forza invincibile la obbligasse -a tener gli occhi sbarrati e la fantasia in azione. Tutte le sue fibre -vibravano, e nella sua mente era una ridda faticosissima d’immagini, -di pensieri, di formule, di nomi tecnici, di visioni... Quel piccolo -paziente e quella madre...! Clotilde non sapeva spiegarsi come mai -quell’episodio le fosse rimasto impresso così vivamente nel cervello, -mentre non ne aveva risentito sul momento una scossa esagerata. Non -sapeva come mai quel quadro penoso, sopito nel resto del giorno, -giganteggiasse ora nella solitudine della sua stanza così paurosamente -da diventare un incubo. - -Seduta sul letto, con le braccia in croce contro il largo scollo della -camicia che le scivolava dalle spalle, vagava con gli occhi spalancati -negli angoli bui e cheti della sua stanza dove tutto pareva dormire: i -libri ammassati sul tavolino, i mobili ordinati, la lucernina spenta, -i suoi abiti ricascanti su una sedia in atteggiamento di abbandono, -perfino uno de’ suoi stivalini rovesciato per terra. E le bianche -tende, lievi e alte come ali, scendevano come per proteggere il sonno -di tutta quella cameretta innocente. Ma lei no, non dormiva; e la -candela accesa sul tavolino da notte, che dava delle luminosità auree -alla treccia molle e cadente de’ suoi capelli, delle morbidezze alla -nudità delle sue braccia e del suo collo torniti, dei candori languidi -alle coltri e ai guanciali, pareva vegliare anche lei, maliziosamente. - -Poi, Clotilde lasciò ricascare la testa e le braccia sulle ginocchia -piegate e si mise a piangere silenziosamente, senza perchè, senza -motivo, così, per tristezza, per la gran tristezza arida della sua -vita che minacciava di atrofizzare il suo cuore; per le scene lugubri -che riempivano quelle ridenti giornate primaverili, giovani come lei; -per quell’atmosfera sinistra d’ospedale e di morte, da cui si sentiva -penetrare ogni giorno più, paurosamente. Intanto quelle lagrime le -rilasciavano i nervi, le facevano bene, ed essa lo sapeva e ne provava -un sollievo sempre più dolce, poichè attraverso alle lagrime che -empivano le sue palpebre chiuse, su quel fondo di malinconia stanca, -una figura virile andava delineandosi, nascondendo gradatamente orrori -e tristezze, fondendo la sua angoscia lugubre in una soavità delicata -e tranquilla che era quasi una gioia. Come l’aveva guardata quella -mattina!...... Strano quello sguardo, che pareva una impertinenza -ed era un’ingenuità. E quel sorriso muto, quando le aveva nascosto -tra un libro il ramoscello di biancospino... E quell’atto sgarbato -accompagnato da una parola che pareva una carezza... e quel saluto -lungo, esitante, scorato; e quella voce armoniosa piena d’impazienze -e di tenerezze. Quanti tesori da contare quel giorno e quanti forse -anche per il giorno dopo, ancora e sempre, tutti i giorni, fino alla -morte, fino all’eternità. Tutti i giorni così, una o due ore con lui, -liberi, tranquilli, senza desiderare di più, senza sperare di più. -Sorrise da sè col capo nascosto, poi si lasciò andare all’indietro -sui cuscini, coll’anima alleggerita, la mente riposata in quell’unico -pensiero blando. Il biancospino e le mammole, invisibili nell’ombra, -dal loro vasetto sul tavolino effondevano una fragranza lieve nella -camera chiusa. Clotilde la sentiva aleggiare su lei, come se tutti -gli spiriti della primavera avessero invaso la sua camera per calmare -i suoi tumulti e cullare il suo sonno con l’emanazione di tutti gli -amori della natura. E si addormentò, con la candela accesa, la testa -rovesciata da un lato, le dita intrecciate al cordoncino d’oro che le -scendeva dal collo fra le pieghe della camicia. S’addormentò, ed ebbe -un sogno d’amore tutto fiorito di mammole. - - * - * * - -Contro il solito, Roberto scese quella mattina prima di Clotilde e uscì -in giardino a passi lenti, cogli occhi stretti in aria meditabonda, -la sigaretta fra le labbra, il ciuffo biondo de’ suoi bei capelli -più scompigliato che mai. Andò a sedersi sul sedile di ferro fra il -gruppo dei sicomori ancora sfrondati, ma già tutti ricchi di gemme e -di bocciuoli. Ogni immobilità rigida e muta dell’aria, delle piante, -della materia, pareva animarsi all’alito della primavera come al fiato -di Dio. La nova stagione sorrideva tra timida e ardita, tutta grazie -selvaggie, gentili sorprese, contraddizioni e stonature adorabili: -come un adolescente. Dai rami secchi della siepe, ancora stecchita -nel sonno invernale, sbocciavano fitti ed innocenti i fiori di -biancospino; sotto il seccume antico dell’autunno odoravano invisibili -e tepide le mammole; i grappoli della glicine ricascavano sul muro -nudo della villetta fra le due ramificazioni spoglie e nodose. Roberto -fissava, con la mente lontana, una finestra spalancata, che la glicine -inghirlandava e in cui si gonfiavano alla brezza, come vele, le tende -bianche, leggiere. - -Clotilde apparve sulla soglia della saletta d’ingresso con un libro -sotto l’ascella, abbottonandosi un guanto. Ma Roberto non la vide, o -finse di non vederla, se non quando gli passò vicino. - -— Che miracolo... — disse lei. - -— Miracoli della primavera, — rispose Roberto con un accento ispirato; -ed essendogli caduto ai piedi il lapis di Clotilde, lo raccolse e -glielo rese. — C’è da sperare che ne faccia un altro, — aggiunse dopo -un’occhiata esaminatrice; — quello di farti smettere quel cencio di -vestito che fa orrore. - -Ella si guardò, indifferente, una manica: — È poi così orribile? Io -non me ne accorgo; non ci sono macchie, quindi..... Povero Roberto! -— continuò sorridendo. — E dire che ti piacerebbe avere una sorella -elegante che sfoggiasse abiti ogni settimana... - -— Dallo sfoggio alla miseria c’è tutta una sfumatura, — riprese lui, -piccato. — Questa tua fissazione del nero, con quelle pieghe diritte -come quelle delle monache, con quell’eterna cintura di nastro; quel -cappellino che vorrebbe aver un’aria maschile, quella giacchetta che ti -vedo da tre anni... andranno benissimo, non lo nego, per affermare le -tue idee d’emancipazione, ma danno anche il diritto di deplorarle e la -forza di bandire una crociata contro di voi, rinnegatrici d’ogni grazia -e d’ogni gentilezza, refrattarie a ogni seduzione... profanatrici -dell’eterno femminino... - -Clotilde lo affisò, incerta se scherzasse o se parlasse sul serio; ma -Roberto non sorrideva, non scherzava. Gli era rimasto, solo, sul volto -un’ombra dell’intima compiacenza per aver trovato quelle belle frasi -d’oratore. Però seguì su un tono meno aspro: - -— Voi donne possedete sole il segreto delle raffinatezze delicate, -delle sfumature indefinibili, delle armonìe indistinte, di tutte le -finezze, di tutte le fragranze sottili, di tutte le cose immateriali -e colorite e luminose che adornano il mondo. È come una grande -volatilizzazione della bellezza che le donne fanno fluttuare su di noi, -inafferabile, divina, inebriante, di cui esultiamo ignoranti e felici -come i fanciulli che non sanno il perchè delle cose. Se rinunziate o -sdegnate questa vostra missione stupenda, chi vi sostituirà? Che sarà -del mondo? che sarà di noi? che sarà di voi, che perderete tutto il -vostro fascino di delicatezza e di leggiadria, senza poter uguagliarci -mai in quella forza, che a torto o a ragione ci rende alteri? - -Clotilde non amava le discussioni. Le scansava. Con suo fratello sapeva -poi che non poteva ingolfarvisi senza che uno dei due ne uscisse ferito -sul serio. Egli era troppo innamorato di parvenze, lei della verità. - -Rimase a capo chino, guardando il libro nell’attitudine d’una -colpevole. Roberto aveva rimesso tra le labbra la sigaretta e mandava -fuori in silenzio le nuvolette di fumo: — Via, — aggiunse sempre più -dolcemente, — un po’ di rosa, un po’ di viola, un po’ di fiori, un po’ -di primavera su quel vestito! - -Clotilde posò il libro sul sedile e s’inginocchiò per terra. — Ecco, -— mormorò affondando la mano nel muschio umido e tepido fra cui -spuntavano mammole, — ecco la primavera! — E si infilò le violette in -quell’eterna cintura di nastro nero che si vedeva fra la giacchettina -aperta. - -Un trotto cadenzato sulla via maestra la fece balzare. — Il _tram_, — -disse, — bisogna spicciarsi; se no rischio di rimanere a piedi; addio! -— E si mise a correre col suo libro verso il cancello nel lume biondo -del sole mattutino, pronta e gaia al principio della sua giornata -faticosa, mentre Roberto sul sedile, avvolto nella frescura profumata, -vagava con la fantasia intorno a visioni di bellezza e a rime d’amore. - - * - * * - -Si salutarono con un sorriso e cogli occhi radiosi per la gioia dolce -sempre rinnovellata di quel primo vedersi. Egli, al solito, le prese il -libro, la aiutò a salire sul _tram_, le fece posto accanto a sè sulla -panchina in silenzio. Pareva ormai una cosa convenuta, e per una specie -di tacito accordo o di complicità indulgente, quel posto rimaneva -vuoto finchè ella saliva, oppure chi lo occupava se ne ritraeva subito -premurosamente. E Clotilde non ne rimaneva imbarazzata e lui neppure, -tanta schiettezza mettevano in quel sentimento che li avvinceva; un -po’ più dell’amicizia, un po’ meno dell’amore. Da un anno continuavano -a incontrarsi così tutti i giorni, i giovani, in quella breve gita -mattutina, da quando lui era andato ad abitare una casetta fuori di -porta per consiglio dei medici, che avevano raccomandato a sua madre -l’aria libera della campagna per quel figliuolo, l’ultimo dei cinque -che la tisi aveva spazzato via. - -Aroldo dava lezioni di musica; quindi ogni mattina era obbligato a -scendere in città come Clotilde. Questa abitudine comune li aveva -affratellati, poi era divenuta un sollievo per entrambi, poi una festa. -Aroldo saliva alla stazione del _tram_, che era a due passi da casa -sua, e dopo un mezzo chilometro saliva anche la fanciulla che attendeva -il passaggio del carrozzone fuori dal cancello bianco del piccolo -giardino. Quei due chilometri all’aria viva e fresca su quella panchina -di tram, fra un chiacchiericcio animato, le risa, le discussioni gaie, -le canzonature, sfumavano in un baleno; pure essi ne attingevano una -forza insperata per le fatiche della loro giornata operosa: una specie -di elasticità gioconda, che alleggeriva a lui la monotonia triste -delle lezioni, a lei l’oppressione cupa dell’ospedale. Qualche volta -i loro bisticci erano così ameni e le loro risate così spontanee che -gli altri si voltavano a guardarli e sorridevano. Del resto, non erano -numerosi i loro compagni di viaggio e sempre gli stessi: la serva del -parroco col cesto delle spese; due scolaretti di ginnasio; una ragazza -pallida e melanconica collo scialletto tirato sugli occhi, che andava a -lavorare a giornata; il portalettere, un magrolino che aveva l’argento -vivo addosso; un vecchione sonnacchioso; una lattivendola. Tutta gente -che parlava poco, meno il portalettere che sfogava la sua parlantina -toscana coi conduttori del _tram_. Entrati in città, al primo -crocicchio, Clotilde e Aroldo facevano fermare e si lasciavano quasi -senza salutarsi, in un’ultima risata, scendendo uno di qua l’altro di -là, come se scappassero e senza voltarsi indietro. Lei svoltava subito -nel vicolo che fiancheggiava l’Università; lui infilava i portici ampi, -lucenti di marmi e di vetrine. - -— Come stanno i suoi malati? chiese Aroldo, appena Clotilde si fu -seduta, colorita e palpitante ancora per la corsa. - -— Non mi faccia arrabbiare; oggi non ne ho voglia.... - -— Come me, dunque! Queste prime giornate di primavera mi mettono -un’uggia addosso, inesplicabile; le lezioni mi diventano un -supplizio... Se sapesse quante volte al giorno mando al diavolo -scolari, musica, compositori, istrumenti, perfino Guido d’Arezzo... -anzi, prima di tutti lui... - -Clotilde rise. - -— Sì; è una miseria, — disse poi, — questa svogliatezza e questa -tentazione di vagabondaggio in primavera. Almeno piovesse; i nervi sono -più tranquilli.... - -— I nervi? — ripetè ironicamente Aroldo; — lei non ha diritto -di parlare di nervi sensibili.... con quei suoi bei studi.... -ricostituenti.... - -— Già, — ribattè Clotilde con flemma incrociando le braccia; — ha -ragione. - -— Meno male! I nervi? oh! come una damina fragile, lei che deve essere -corazzata contro tutte le debolezze.... - -— Ha ragione. - -— Lei che adesso con tutta disinvoltura va ad analizzare freddamente -tante sofferenze.... a dar dei nomi tecnici al dolore.... ad insozzarsi -in un carnaio.... - -— No, il rispetto almeno! — interruppe lei, seria, posandogli una mano -sul braccio. — È il mio pudore, la mia sensibilità.... - -Aroldo si tirò il cappello sugli occhi e seguitò a guardare contro il -sole che gli coloriva il volto sbiancato. Le siepi che fiancheggiavano -la strada luccicavano di rugiada e in un orto al di là era tutta una -fioritura bianca e rosea, tenue, ridente sulla sfumatura cerulea -del mattino come un bosco incantato, come un fantasioso sogno di -redenzione. - -— Ma sa che lei è un miracolo? — esclamò a bruciapelo lui, rimandandosi -indietro il cappello sino a metà del capo. E siccome Clotilde lo -guardava tranquillamente coi suoi occhi miopi, velati, sibillini, senza -parlare, egli proseguì brutalmente: — Un miracolo.... un mistero.... -non so.... qualche cosa di strano insomma. Alle volte lei è di -ghiaccio, altre volte ha certe risposte che ammutoliscono.... E tutto -ciò senza una parola inutile, con un laconismo terribile e, scusi, non -femminile.... Dopo tanto tempo che ci troviamo insieme ogni giorno, non -so ancora nulla di lei, io.... di lei non ho colto nè un’impressione, -nè un sentimento, nè un’emozione.... Vuol che le dica che questa -freddezza feroce... romana.... mi fa quasi paura? - -— Mi onora troppo, — balbettò Clotilde arrossendo e celiando con un -po’ d’imbarazzo. E cacciò le mani nelle tasche della giacchettina -nervosamente, mentre ripigliava guardando dritta innanzi a sè nella -strada bianca fra il verde tenero, rado, della vegetazione novella. -— Ma chi le prova che io sia... quello che mi crede?.... Non mi -piace parlare di me, ecco tutto, nè con lei, nè con nessuno. Tengo -a rimpicciolire la mia personalità più che posso, per tentare di -convincere le persone che amo, della verità, della serietà, sopratutto, -della mia vocazione.... - -Aroldo corrugò le sopracciglia con un’espressione di dolore e fece un -gesto come per parlare. Ma lei non gliene lasciò il tempo: - -— Ci sono dei ragazzi forti, dei giovinotti spregiudicati, perfino -dei vecchi medici, che soffrono di tutta quella miseria; non ne -dovrei soffrir io, donna? Sarebbe una mostruosità. Oh se ho sofferto! -orribilmente, atrocemente... tanto più che erano obbligata a -nascondere i miei terrori che avrebbero dato ragione a quelli che mi -contrariavano... Quante notti senza dormire, tutte piene di incubi -sanguinosi...! Quante giornate piene di nausea, di tetraggine...! Ma la -notte sopratutto, oh la notte era orribile... E qualche volta ancora... -sebbene siano due anni che vado al teatro anatomico... Ma non mi ci -avvezzerò mai, temo... - -Aroldo si lisciava la barba breve, biondiccia, ricciuta, fissandosi -le punte dei piedi. Clotilde parlava sommessa e con uno sforzo palese, -arrossendo e impallidendo. Qualcuno de’ loro compagni di viaggio s’era -voltato a guardarli, con una certa aria meravigliata per la apparente -serietà dei loro discorsi di quella mattina. Negli occhi della -ragazza malinconica passava qualche lampo d’invidia, e la serva e la -lattivendola avevano scambiato una parola all’orecchio e un sorriso. - -— Eppure ho sempre vinto ogni ripugnanza, ogni debolezza... Ah, quando -si vuole proprio! Neanche uno svenimento, sa? La Ginoli ha durato -otto giorni a svenire... le bastava vedere la tavola di marmo... E gli -studenti anche non scherzano... Ogni volta bisogna accompagnarne fuori -uno. Ma io mai. Pure mi venivano i sudori freddi... - -Aroldo, immobile, a occhi bassi, taceva. - -— Gli è che, — continuò Clotilde, — a me accade una cosa strana. -Quando risento un’impressione violenta, non è mai sul momento che mi -accorgo di provarla, è sempre, dopo. Sul momento una forza insperata -m’irrigidisce; ma il contraccolpo mi accascia. Durante le prime lezioni -clinico-chirurgiche o le sezioni, mi serbavo fredda e tranquilla; alla -notte battevo i denti dal terrore e ne avevo la febbre... - -Aroldo appoggiò le mani e la fronte al pomo del suo bastoncino d’ebano. - -— E la prova più rude, chi lo crederebbe?, non è per me l’anfiteatro. -È la visita che faccio nella infermeria dei bambini. Tutti quei poveri -corpicini travagliati, addolorati, straziati, quegli occhietti che -supplicano un sollievo, che non sempre possiamo dare, quelle vocine che -non sanno esprimere, se non piangendo le loro sofferenze e che sembrano -ribellarsi al loro male come ad una crudeltà, a un’ingiustizia... -che non vedono nel medico che un nemico barbaro e nei rimedi che un -tormento... mi fanno l’anima così triste ed oppressa che qualche volta -mi par d’impazzire d’ipocondria... Eppure è per loro che lotto... per -loro che voglio vincere... a loro che sacrifico senza esitare tutti i -sorrisi della vita... e non ho che ventiquattro anni.... - -Aroldo le afferrò il polso così improvvisamente e così forte da farla -trasalire. I suoi occhi lampeggiavano; i suoi occhi belli e strani che -avevano languori e tempeste inattesi. - -— No! no! — esclamò sottovoce, concitato: - -— No! — E la fissò negli occhi senza lasciarla, con un’espressione di -sfida, che ella sostenne arditamente, ancora tutta rosea nel volto del -suo entusiasmo di carità. - -La ragazza malinconica si voltò un poco sgomenta e il vecchione -sonnacchioso, che dondolava il capo sul petto, aperse due occhietti -imbambolati. Aroldo le lasciò il braccio per nascondersi il volto. - -— Non mi parli più di queste cose — pregò prostrato, vinto. - -Il sole all’Est li colpiva in pieno corpo e intiepidiva i loro -abiti. Le violette, alla cintura di Clotilde, odorando acutamente, -s’appassivano. - - * - * * - -Il giorno dopo, lei affettò un po’ di sussiego, lui una disinvoltura -esagerata. Aveva una parlantina facile, briosa, un’aria birichina e -tanta comicità nei suoi atti, che Clotilde dovette finire per riderne -schiettamente. Aroldo contraffaceva una sua scolara, la contessina -sentimentale che da tre mesi rodeva un notturno di Chopin senza -riuscire a far capire che cosa suonasse, neanche approssimativamente. - -— ..... allora si dispera, — continuava imitandone le pose languide. -«Ah, professore..... non lo imparerò mai questo notturno indiavolato... -e dire che lo _sento_ tanto.....» Ed io: «Coraggio... studî... -riuscirà...» Ma questa è la risposta delle giornate buone. Quando poi -ho la luna di traverso le rispondo brusco brusco: «Signorina bisogna -decidersi, o avanti o indietro; lei non riuscirà che a farmi odiare -Chopin a questo modo...» Proprio così, sa? - -— E quella povera signorina allora? - -— La signorina piange invariabilmente. E alla prossima lezione, trovo -invariabilmente la contessa madre in salotto, sola, con una cera tra -il gendarme e la vittima, che mi prega di mettere un po’ di zucchero -nelle mie correzioni, perchè Maria è d’una sensibilità così eccessiva, -così nervosa, che finirebbe per ammalarsi davvero... Uh, quelle -mamme...! Sono il mio spauracchio le mamme, lo crede?... Vi appostano, -vi assaltano, vi circondano per farvi subire interrogatorî senza fine, -e domande suggestive e cortesie insidiose, e tutti i loro pettegolezzi -e i loro apprezzamenti e le loro confidenze; vi mischiano ai loro -puntigli, alle loro gelosiole, alle loro vendette... vi compromettono, -vi tirano in ballo con un accanimento e una ferocia così sbalorditoia -che non c’è forza umana capace di resistere... Altro che sabba -Romantico!... - -Clotilde rideva col gomito sul ginocchio e il mento nella mano. Gli -scolaretti, che avevano udito, volgevano altrove la faccia per ridere -anche loro. Aroldo li fece osservare alla fanciulla. - -— Lei finirà per compromettersi coi suoi sfoghi, — gli disse Clotilde -ridivenuta seria. Egli fece un moto di noncuranza. - -— Già, un giorno o l’altro ho fede di smettere questa vitaccia da -cani... Potessi solamente trovare il modo di far rappresentare la mia -opera... ah! — E giunse le mani lanciando in un sospiro quel desiderio -e quella speranza che erano l’aspirazione della sua vita. - -— Io ci credo; ci creda anche lei, — sussurrò Clotilde con quella -intonazione franca e sicura della sua voce che, unita allo sguardo -velato de’ suoi occhi, faceva delle cose ch’essa diceva una specie -d’oracolo: — La fede smuove le montagne.... - -— Sì, ma gli impresarî e gli editori sono peggio delle montagne! — -ribattè lui con una serietà comica e desolata. — Intanto lavoro — -aggiunge dopo un momento; — lavoro con un accanimento che dispera -la mamma. Ma come fare?... ho tanta roba qui..... in testa, che mi -opprime; che mi canta, che mi assorda, che frulla per sprigionarsi, per -pigliare il volo..... Ed io m’affretto, m’affretto come se avessi paura -di non arrivare in tempo a cantar tutti i canti che mi fluiscono dal -cervello. L’ora fugge... bisogna spicciarsi a raccogliere la mèsse... -perchè l’avvenire è lungo... è breve... chi sà...? - -Clotilde ebbe un brivido sottile, doloroso. Aroldo teneva le mani senza -guanti aperte sulle ginocchia, due mani scarne, giallastre, uh po’ -adunche. Ella ne vedeva tutti i giorni di quelle mani all’ospedale... - -— Forse è un avvertimento, — continuò lui, quasi serenamente. — I -miei fratelli, quattro, sono morti tisici come il povero babbo. Il più -giovine aveva diciotto anni, il maggiore è vissuto fino a trenta. Io -ora ne ho ventisei. Ancora quattro anni, forse... - -— Ma non dica così! — esclamò Clotilde con la voce tremante. — Non sa -che questo pensiero solo basta ad uccidere? - -Aroldo la fissò con rapida intensità; e negli occhi, parlando di morte, -gli raggiò la vita poichè l’anima della fanciulla in quell’attimo era -riflessa dal volto. La pietà l’aveva tradita... - - * - * * - -Erano tutti in giardino dopo il desinare. Tutti, anche la famigliuola -dell’avvocato Dardanelli, che veniva spesso, da buon vicino, a bere -il caffè con la signora Rita. La vecchina seduta sul sedile di ferro -fra i sicomori oramai tutti in fiore, metteva la quarta pallottola -di zucchero nella sua tazza con le piccole mani scarne e tremolanti -ascoltando la moglie dell’avvocato, la bella signora Giulia, che -le parlava in fretta con la sua voce grossa e sgradevole. Roberto -passeggiava fumando nel viale più appartato; Dardanelli, al solito, -guardava avidamente Clotilde che chiassava coi bambini. - -— E lei non viene a prendere il caffè? — le chiese, andandole incontro -col viso rosso e gli occhi lustri, sbuffante ed eccitato dalla -digestione. - -— Sì, sì, — gli rispose la ragazza soffermandosi ridente, gaia, a -braccia alzate per rafforzarsi il nodo de’ capelli con lo spillo -d’argento, mentre i fanciulli le davano ancora delle strappatine -provocanti al vestito, scappando. - -— Fermi, monelli! — urlò l’avvocato facendo gli occhiacci e -accostandosi sempre più a lei. Clotilde fioriva in quella tinta strana -e calda d’un tramonto nubiloso. I suoi capelli scompigliati, sfuggenti, -parevano oro fulvo; il volto quasi sempre sbiancato era tutto roseo, -gli occhi ancora tutti pieni del riso di quell’ora di spensieratezza -obliosa. - -— Che cos’ha? un pugnale fra i capelli? — E le mani di Dardanelli la -sfioravano. - -— Sì, — rispose Clotilde, secca, scansandosi. - -— Serve anche quello per i suoi studi di medicina? — chiese ancora -l’avvocato, ridendo scioccamente. - -— Potrebbe guarire anche questo... — ribattè pronta la giovinetta con -la sua voce sicura e il suo sguardo misterioso. - -Sedette su uno sgabello rustico vicino alla signora Dardanelli, che -le sorrise. Ella aveva molta simpatia per la fanciulla e non si era -mai accorta delle intenzioni poco oneste di suo marito, che credeva -volesse bene a Clotilde come ad una figliuola. La signora Giulia -fra i lillà fioriti pareva una Flora, una di quelle Flore formose e -grossolane che servono qualche volta per ornamento dei giardini. Aveva -i lineamenti regolari, la bocca ombrata da una lanugine bruna, gli -occhi neri di taglio perfetto, ma sempre spalancati in un’espressione -di meraviglia sotto l’arruffio di riccioli neri sfuggenti di sotto -al _foulard_ rosso, annodato elegantemente sul capo come una cuffia. -Quel fazzoletto, i cerchiellini d’oro alle orecchie e l’abito bianco -s’addicevano assai al suo genere di bellezza forte, meridionale. - -Clotilde aveva appena appressato la tazza alle labbra, che la Rachelina -le irruppe addosso strillando perchè era inseguita dal fratellino. -Ell’ebbe appena il tempo di salvare la tazza dal naufragio e accolse la -bimba sulle ginocchia. - -— Lascialo venire, ci difenderemo! E si difesero infatti con molta -agilità e molta gaiezza dagli assalti bruschi di Nello, che si vendicò -della sua disfatta contro un formicaio. - -La fanciulla teneva la testa della bambina appoggiata contro il -seno rigoglioso, amorosamente, e Rachelina si abbandonava tutta, con -quell’aria di riposo fidente che prendono i bambini fra le braccia di -chi li ama assai. - -— Sei proprio nata per i ragazzi tu, — osservò la signora Giulia. - -— Per quelli degli altri... — aggiunse pungente la nonna. - -— Ci sono tanti bambini senza mamma, ci sarà una mamma senza figliuoli, -— rispose subito Clotilde, dolce, risoluta. - -La signora Dardanelli, vedendo che la nonna faceva il viso arcigno, -credette di sviare la tempesta chiedendo alla ragazza se non le pareva -che Rachelina avesse l’aria abbattuta da qualche tempo. Clotilde rialzò -il viso della bambina e le esaminò gli occhi, le gengive, le labbra. - -— È anemìa incipiente — rispose. — Bisogna consultare il medico per -qualche ricostituente. - -La vecchietta si sfogò con una risatina ironica. - -— Ma e tu che sei una medichessa? Fa dunque una ricetta, da brava! Dì -dunque qualche altra bella parolona.... _Anemìa_.... _incipiente_.... -somiglia a un arnese di cucina.... Saranno vermi, dia retta a me, -Giulia, un po’ di santonina o di calomelano e la bimba è bell’e -guarita.... - -— No, no, — ribattè Clotilde con forza; — sarebbe una scimunitaggine. - -— Che? — gridò la signora Rita; — scimunita a me? Vergogna! Come -vuoi che faccia a stimare la tua scienza se non t’insegna neanche a -rispettare i vecchi? Già tu non hai un briciolo di cuore, nè per i -tuoi, nè per nessuno... sei una saccentuzza arrogante, un’egoista di -prima riga... — Clotilde pigliò in collo la bimba e fece per andarsene. - -— Va, va a stuzzicare anche tuo fratello ora! — le strillò dietro la -vecchietta in collera, vedendola avviarsi verso il viale che Roberto -misurava in su e in giù, fumando. — Almeno lui lascia in pace! rispetta -almeno quel povero martire che si scervella per qualche cosa di bello e -di buono.... - -La ragazza sorrise sarcasticamente e si diresse verso il cancello -d’uscita, perseguitata dalla voce stizzosa della nonna, che finiva il -suo sfogo con la signora Giulia. Sedette sul muricciuolo di pietra, -al di fuori, stringendosi sempre alla bambina, ricacciando con sforzi -inauditi le lagrime che le empivano gli occhi accecandola. Ecco -la giustizia del mondo! Lei era una creatura indegna, senza cuore, -una saccente boriosa, disutile e infingarda; e Roberto un martire -glorioso, lui, che trascinava le giornate intere fra il fumo delle -sigarette e le fantasticherie per concludere con qualche sguaiato verso -d’amore, o qualche veemente tirata contro tutto e contro tutti, senza -che si sapesse troppo bene il perchè, senza che lo sapesse neanche -lui.... Roberto, che con la scusa d’esser poeta si faceva perdonare -ogni stravaganza, ogni birbonata, ogni indelicatezza; e comandava -e s’imponeva come un essere superiore, arbitro di tutto e degno di -adorazione. La nonna lo giudicava una cima senza capir molto dei suoi -versi e meno delle sue prose, condannate tutte, prima di nascere, al -cestino delle redazioni. Roberto, a sentir lei, era un grand’ingegno, -un talento disconosciuto; già, i grandi uomini hanno cominciato -tutti così, poveretti, purtroppo; e qui la nonna non mancava mai di -tirare in ballo Colombo e Galileo, senza che ci avessero troppo a -che fare, veramente; ma lei non ne conosceva altri: e concludeva che -se le creazioni di Roberto non erano accettate, voleva dire che i -giornalisti erano ciuchi o invidiosi di lui che li metteva in sacco -tutti quanti. I versi, oh i versi poi erano destinati senza dubbio a -mettere a soqquadro il mondo...., solamente mancava l’editore.... E -così a furia di batter questo tasto, Roberto, che non era un cretino, -cominciava a diventarlo, convincendosi che lui solo aveva ragione e gli -altri tutti torto, e tirava via a regalare qua e là ai giornali le sue -sgrammaticate invettive o le sue insipide pornografie, che ognuno si -guardava dal mettere alla luce, e s’atteggiava di più in più a genio -incompreso. - -Ingiustizie! Clotilde baciava sui riccioli la bambina, piangendo. Ella, -così forte, così padrona di sè, aveva di queste debolezze improvvise -quando le tristezze le venivano da chi avrebbe dovuto raddolcirle -la via già così scabrosa, già così triste. Era dunque una colpa -consacrarsi ai dolenti? Una colpa seguire quel interno impulso, che -la sospingeva ogni giorno più, riverente, ammirata, verso la scienza, -l’iddia severa e bella che non abbaglia con promesse vane, che conquide -lenta, sicura, formidabile?... Una colpa rinunziare per il trionfo -d’un’idea, forse alla felicità, certo alla pace serena e ridente della -vita? L’arte, oh! un’egoistica magnificenza che fa molti disgraziati; -la scienza, una gran carità distribuita a tutti gli umani per farli -meno poveri, meno infelici! Ed era ancora la pietà che le traboccava -dal cuore. - -Roberto veniva verso il cancello: ella s’asciugò gli occhi in fretta, -furtivamente, e si mise subito a parlare alla bambina sorridendo. Il -giovine senza curarsi di lei venne a sedersi sul muricciuolo di fronte -stiracchiandosi i baffetti con lo sguardo vago. Il sole, laggiù, -all’estrema plaga serena, pareva stemperarsi in una fulgidezza aurea, -incandescente. La nuvolaglia bigia si accavallava più in alto, come una -rovina strana ed enorme di qualche costruzione ciclopica; si andava -diradando verso levante in chiazze dense, fumose, in diafani lembi -d’un velario fantastico stracciato dal vento, in una linea sinuosa e -allungata, come di una costa lontana, avvolta nelle brume e nel mistero -d’un paese di leggende e di sogni, popolato di larve. Tutto un altro -mondo pieno di laghi, di terre, di edifici, di mostri, di forme tenui -e gentili, veduto in miraggio come una gran promessa di purezza, di -pace, di silenzio, come la visione apocalittica d’una patria diafana, -destinata ad accogliere le anime che volano via dalla terra. - -Nella bianca strada battuta, e di là dalla siepe di biancospino, di -là dal filare dei pioppi, su tutta la pianura vasta che verdeggiava -appena, il vespro calava così, con una delicatezza muta, soave e -triste, opprimendo. La primavera ha di questi silenzi eloquenti in -cui par di sentire il germoglio interno di tutta la vita della natura, -come si ascolta col volto indifferente il fermento di tutte le passioni -latenti nell’anima. Clotilde calma, quasi sorridente, spasimava. - -La Rachelina le scivolò dalle ginocchia e scappò. Roberto e lei -rimasero soli, muti, assorti; seduti, e appoggiati con le spalle ai -pilastri del cancello. Roberto anzi si era steso sul muricciuolo come -in un letto, con una gamba allungata e l’altra piegata, il sigaro in -bocca; Clotilde seduta un po’ di traverso, con le braccia cadenti, -senza atteggiamento alcuno. - -Improvvisamente le prime note d’un coro agreste si diffusero sonore. -Le parole si perdevano così allungate nelle note tenute, lente, nelle -parti divergenti e fuse in un’armonia melanconica e dolce, piena di -maestà. Erano contadini che tornavano dal lavoro: le donne tenevano gli -acuti, gli uomini i bassi, e le parti s’allontavano adagio, digradando -melodiose, per riunirsi e risolvere diversamente, come una fuga. Un -classicismo ingenuo, misto a un non so che di languido, di carezzevole; -solenne ed umano. - -Roberto si rizzò e tese il braccio accennando a sua sorella -d’ascoltare. E Clotilde ascoltava, immobile. - -La frotta dei contadini passò dinanzi a loro, a piedi nudi, sollevando -un po’ di polvere. Prime schierate in fila, coi rastrelli sulla -spalla, le donne, che scorgendo i due giovani ammutolirono ridendo -e motteggiando fra loro un po’ vergognose; poi gli uomini, che -continuarono a fare i bassi, impassibilmente, levando il capo, -scamiciati, con la giacca sull’omero. I più vecchi invece di cantare -dialogavano: qualcuno rimasto indietro per accender la pipa, -raggiungeva correndo i compagni. A venti passi dopo il cancello -ripresero tutti il coro; Roberto ricadde con gli occhi socchiusi, -fumando, nella sua posa pigra di sognatore — Clotilde si levò -adagio per seguire ancora i contadini con lo sguardo. Repente una -soddisfazione, viva come una gioia, le aveva alleggerito il cuore. Era -la coscienza di sentirsi anche lei, come quei suoi fratelli, degna del -riposo..... - - * - * * - -Il tram si fermò come al solito al cenno di Clotilde che aspettava -sul cancello, tutta fresca nella freschezza stillante del mattino. Ma -Aroldo non c’era, dovette salire senza che nessuno l’aiutasse e sedersi -accanto alla ragazza malinconica che indovinando qualche tristezza -le rivolse un’occhiata di simpatia. Il carrozzone si mosse fra il -cicaleccio della lattivendola e della serva del parroco, che pareva un -papavero, con la sua blusa nuova di mussola rossa a mezze lune gialle. -Uno dei scolaretti riprese col portalettere la discussione un momento -interrotta sulle collezioni di francobolli; e il vecchio sonnacchioso, -vedendo Clotilde sola, non pensava più a richiudere gli occhi. - -La fanciulla sorpresa, ferita, si richiudeva tutta, lei, -nell’inquietudine amara che le gravava sul cuore. Il suo amico non -l’aveva abituata a queste assenze, ed ella si trovava a dolersene -come d’un convegno svanito: e mille dubbi la travagliavano. Ammalato? -partito? in collera? una tortura intima, inesprimibile, nel buio, -nell’ignoto, a cui si aggiungeva un senso doloroso di meraviglia come -per un inganno immeritato e beffardo. E a poco a poco, continuando -quella pena opprimente, da quello stupore ne nasceva un altro, pauroso -e dolce, al quale tutte le sue fibre rispondevano con una spontaneità -ribelle che la sgomentava profondamente. Era l’amore dunque? Ma l’amore -poteva cogliere così all’improvviso, insidiosamente, fra un bisticcio -e una risata? Oh no, no, non era ancora l’amore! Un’amicizia viva, un -fascino, una consuetudine soave, nient’altro. Oh l’amore no! E pareva -implorare. - -Il sole le raggiava in volto, mitemente, si diffondeva ambrato -nell’aria limpida, sulla doppia giovinezza della primavera e del -mattino, chiara, cristallina, odorosa. Clotilde seguiva coll’occhio -abbagliato il binario che si allungava sulla strada bianca, al sole, -luccicando. Giammai quella gita le era parsa più lunga, più monotona, -più triste; giammai aveva sentito come in quell’ora l’aridità lugubre -dei suoi studi, la solitudine della sua vita. Un principio di rivolta -fermentava in lei e germogliava e minacciava sbocciare nella luminosa -complicità gaia di quel tripudio d’Aprile. Tutto intorno a lei le -cantava la vita ed essa andava a chiudersi nel melanconico asilo -della miseria e della morte. Un brivido le corse il corpo alla visione -delle corsìe bianche, nude, silenziose, che l’aspettavano, popolate di -sofferenze e di severità; al pensiero di andare a respirar quell’aura -fredda di chiostro che raccoglieva l’ultimo soffio dalla bocca dei -moribondi, che passava carica di lamenti, di spasimi, di sospiri, di -imprecazioni....... al pensiero di tutte le fragilità e le miserie -della mirabile macchina umana che si disfaceva ogni giorno sotto i suoi -occhi, che si ricomponeva così a fatica, che si rivelava ognora più -sotto la sua mano, sozza e divina. Membri sanguinolenti, faccie livide, -muscoli contratti, rossori febbrili e pallori di morte passavano in -una lucida fantasmagoria, come in sogno, ed ella si sentiva debole e -ripugnante come il primo giorno che si recò all’ospedale. Un momento la -visione si fece così intensa e inesorabile che Clotilde presa da una -specie di terrore dovè superare con uno sforzo di volontà l’istinto -di levarsi, di scendere, di fuggire attraverso i campi, di immergersi -nel verde, nella fragranza, d’inebriarsene, per dimenticare. E ancora -tornava l’immagine di lui. Che bel sogno andarsene così, soli, liberi, -lungo qualche viottola romita, appena chiazzata d’ombra dalle fronde -novelle, una viottola dai margini fioriti di viole e di margheritine, -una viottola sconosciuta, tortuosa, interminabile, da riempir tutta -di dolcezze e di sorrisi, che resterebbero dietro di loro come se -sfogliassero canestri di rose per una ridente seminagione di petali. -Il viso d’Aroldo radioso e gaio come nei bei momenti di spensieratezza, -in quell’attimo le balenò così evidente ch’ella ne ebbe un palpito e un -sorriso. - -In capo alla strada si profilava, con le sue cupole e le sue torri, -la città, rossastra, che acquistava una strana tenuità nei vapori -del mattino. Di là dalle siepi gli orti sfiorivano, invasi già -da l’uniformità del verde. Un capinero nascosto vicino alla siepe -gorgheggiava forte, melodiosamente. La ragazza malinconica raccolse -pensosa un fior di pesco che il vento le aveva portato in grembo. - -Clotilde non reggeva più. L’agitazione nervosa la invadeva così -violenta ch’ella temeva di tradirsi. Alla barriera fece fermare e -scese bruscamente, lasciandosi dietro i commenti delle due donne, -i sorrisi del portalettere e la curiosità del vecchione che si -scomodò per seguirla con lo sguardo. Entrò sotto i portici dì quella -via deserta e si mise a camminar lesta per dominarsi, ma giunta al -primo palazzo dovè fermarsi, impedita da un crocchio di curiosi che -facevano ala al portone. Una folla signorile usciva, le signore a -braccio dei cavalieri, frettolose, pallide, scomposte, nelle sciarpe -e nelle pelliccie gettate sull’abito da ballo. Molti equipaggi in fila -aspettavano, e le carrozze si movevano subito dopo il colpo secco degli -sportelli richiusi fra i complimenti, le celie, i saluti, lanciati a -voce alta con l’audacia e l’eccitazione, che durava ancora, di quella -nottata di veglia. E le voci rauche e stonate si soverchiavano, qualche -fiore volava: un bel giovane bruno, senza soprabito e senza cappello, -con la marsina coperta di decorazioni da _cotillon_, corse per un -tratto di strada con la mano attaccata allo sportello d’un coupé da -cui pareva non si sapesse staccare; poi rientrando, scherzoso, rubò -il boa ad una signorina che indugiava sulla soglia per raccogliere un -lembo strappato del suo abito di velo. «È il conte Villi!» si mormorava -intorno al portone, nel pubblico composto in massima parte di serve e -di bottegai. Ma Clotilde, che non voleva e non poteva mischiarsi al -crocchio, cercò di farsi largo, e attraversò proprio nel momento in -cui l’ultimo sciame delle signorine si sparpagliava, chiacchierino, -gaio, in una varietà di veli, di trine, di sciarpe tramate d’oro. -Ella, passando col suo abito nero, severo, chinò il capo come vinta da -quel tripudio giovanile, da quella stanchezza folle, da quella fatuità -brillante che le doveva rimanere ignorata sempre. Pure era un’eroina e -una martire che passava. - - * - * * - -... Andavano soli, liberi, lungo la viottola romita, dai margini -fioriti di viole e di margheritine, appena chiazzata d’ombra dalla -frondosità novella; una viottola sconosciuta, tortuosa, interminabile, -che Clotilde aveva veduto, non si ricordava dove, forse in sogno. Il -mattino era tanto puro, ed essi così solleciti, che Aroldo le aveva -proposto di scendere in città a piedi invece d’aspettare il tram; e -dopo un bisticcio sulla scelta della strada, si erano rappacificati -e venivano innanzi riuniti, egli col braccio sotto quello di lei, -confidenzialmente, come due sposi. L’anima di Clotilde traboccava -d’una dolcezza languida, penosa; egli appariva nervosamente vivace, -e ciarlava esageratamente; pareva che il silenzio o un pensiero gli -facesse paura. - -— ...... Dicevamo dunque?... ah, che ieri sera, stanotte anzi, ho -terminato il Minuetto. Sono così contento... Sa che mi metterò subito -a scrivere una Giga?.. Voglio provarmi nella musica antica; è una -semplicità che riposa da tutto quel Wagnerianismo invadente... Dopo -scriverò una Gavotta, poi forse un tema con variazioni, e mi piacerebbe -anche un coro a sole voci rincorrentesi come un canone perpetuo. Vorrei -poi comporre qualchecosa di sacro: un Offertorio, un’Ave Maria... - -— Troppa carne al fuoco, troppa.... osservò lei tranquilla, seria, -crollando il capo. Ed egli fece una risatina di fanciullo, stringendole -il braccio furtivamente: - -— Vedrà, vedrà, sentirà anzi.... Ma già, dimenticavo che lei odia la -musica. — Che orrore! — E si sciolse sdegnosamente. - -Clotilde lo guardò un po’ sorpresa e si curvò a cogliere due violette -bianche sul margine del fosso. Due o tre raganelle, spaventate, -balzarono dall’erba nel filo d’acqua luccicante. - -— Fa orrore perfino alle rane.... — osservò Aroldo battendosi i piedi -con un vincastro. Ma Clotilde non era in vena di scherzare e si fermò -le mammole sul petto, tutta accesa nel volto, quasi vergognosa e ferita -dall’atto e dalle parole d’un momento prima, più di quello che egli -potesse credere. - -— Io amo i waltzer suonati dagli organetti, lo sa, disse poi, -levandogli in volto gli occhi con uno sforzo di sincerità che si -tradiva dal rossore insistente. — L’altra musica non la capisco tanto; -poi ho così rare occasioni di udirne.... I waltzer suonati dagli -organetti mi piacciono per quel non so che.... quella specie di cascata -a intervalli regolari.... come spiegarmi?.... - -— Il ritmo, dica il ritmo.... - -— Sì, dev’esser così; il ritmo, dunque, che insiste, avvolge, folle -e mesto ad un tempo, come una tentazione e una preghiera trascinate -insieme in un’onda di passione; carezzevole e perfido, insidioso e -vano come tutte le ebbrezze che vi fanno riddare fino al cielo e vi -abbandonano in un cerchio di spuma. - -— E che ne sa lei di ebbrezze? interruppe Aroldo con uno de’ suoi -scatti quasi brutali dopo aver ascoltato quella fanciulla parlare così, -con crescente meraviglia. — Lei non ha diritto di parlare di queste -cose... - -— È vero — rispose subito Clotilde francamente, ingenuamente; — ma mi -pare che debba esser così, come ho detto io. - -Aroldo con la sua verga dava delle scudisciate alla siepe; i petali del -biancospino piovevano lievi, odorosi. - -— ...... Però ho avuto torto a parlarne, — insistè lei arrestandosi, — -ho avuto torto come sempre quando parlo di me. Volevo dire solamente -che i waltzer mi piacciono.... perchè mi parlano un linguaggio tutto -nuovo che m’affascina e m’impaura.... È come uno spiraglio da cui mi -balena la vita... Oh Dio! — esclamò con tutta semplicità; — e avevo -detto di non parlare di me! - -— Oh ne parli invece, ogni espressione è una meraviglia — soggiunse -lui con una passione dolce, improvvisa. E abbandonandosi all’impulso di -quel momento le allacciò la vita e la baciò sul viso, naturalmente. - -L’atto era stato così pronto e delicato che Clotilde non aveva potuto -sottrarsi. Dopo chinò il capo e si velò la faccia con umiltà, come una -colpevole, senza un atto, senza una parola. Aroldo aveva ancora passato -il braccio sotto quello di lei e le parlava sommesso, dolce, come se -fossero già amanti. - -— Voglio scrivere dei waltzer ora, per te, tutti pieni di passione e -di languore e di carezze... come quelli di Strauss... Poi cercherò dei -versi malinconici e ardenti e li dirò su quella musica, li dirò fin -che ti abbiano vinta, finchè ti diano l’ali per slanciarti da quello -spiraglio nella vita. La vita è bella, sai? ed è breve; tanto breve, -che non c’è tempo di dormire.... E tu, che vuoi ostinarti nel sonno, -sei colpevole, Clotilde.... - -Ella fece un movimento per sciogliersi da lui, ma Aroldo la strinse più -forte: — Sei colpevole, sì! le gridò rudemente. — L’amore è la luce, -è l’aria, è la bellezza, è l’anima dell’universo, è la parola di Dio -e tu neghi tutto questo e tu ti seppellisci viva fra l’aridità della -scienza che atrofizza la tua gioventù, la tua bellezza, il tuo cuore, -che in cambio del tuo olocausto, ti lascierà il vuoto e la tristezza -dell’imperscrutabile o ti spezzerà l’esistenza così, senza amore... -Oh vivere senza amore, ma non si può, Clotilde, è vano: non senti che -è vano, tu che parlando del ballo, dianzi, avevi senza volerlo, senza -saperlo, gli accenti della passione? - -Clotilde camminava a occhi bassi, tanto pallida che pareva livida su -quell’abito nero: con una ruga verticale sulla fronte, profondissima, -che la invecchiava. Non trovava parole per rispondere e non rispondeva -— poi le pareva che qualche cosa le gemesse nel cuore sotto quel -gran giubilo che la staccava dalla terra, e la faceva inoltrare -macchinalmente, come, abbagliata da una gran luce, che le nascondesse -tutte le cose intorno e le affievolisse stranamente anche il suono -delle parole che le giungevano solamente come una voce, come una -melodia che l’avviluppava. Oh la dolcezza dolorosa di quell’ora, -confusa, lieve, fluttuante, piena di profumi e di ebbrezze indefinite -e inafferrabili come quelli di un sogno! Il nuovo perchè della vita -che la avvolgeva nelle sue spire iridescenti! Le nuove speranze e i -nuovi orizzonti mai conosciuti, eppure non incogniti, che ridevano da -ogni lato fra i lembi della sua esistenza vera che si stracciavano, si -sbandavano, si dileguavano come la nebbia ad una mite irradiazione di -sole! La nuova maraviglia che la assaliva — una maraviglia soffusa di -riverenza come dinanzi a un prodigio, come se fosse stata trasportata -per incantamento in un pianeta splendido e ignoto, destinato per la sua -patria, per la patria di tutti i felici..... - -I due giovani inoltravano per la viottola fresca, tortuosa, -affondata fra gli alti margini dei campi bordati di alberi, come -una stradicciuola di montagna. Il verde chiaro e lucente delle -biade novelle, dell’erba, delle fronde che s’intrecciavano, quasi, -sul loro capo e frastagliavano la via d’ombra e di sole, mettevano -nella fulgidezza del mattino una velatura di smeraldo, mite, un -po’ malinconica ma soave, come una luce di Purgatorio Dantesco. Il -rigagnolo scorreva sotto l’erbe, luccicando tra il verde e tra i fiori, -a pause — un rosignolo gorgheggiava forte, gioiosamente, trionfando -sul pispiglio e sui cinguettii sommessi, lontani e vicini di centinaia -di uccelli che celebravano il maggio. Aroldo continuava a versarle sul -cuore parole, senza tregua, senza pietà, teneramente. - -— Se tu sapessi da quanto tempo immaginavo, sognavo di parlarti così! -Ma come farlo nella volgarità di quel carrozzone di tram?..... Che -conoscenza strana la nostra, non è vero? C’è tanta poesia e tanto -mistero...! Io non so nulla della tua famiglia, tu nulla della mia; due -veri pellegrini che s’incontrano e si riposano insieme... ma che non si -lascieranno più... — finì sottovoce, guardandola amorosamente sul viso. - -Clotilde a capo chino taceva. - -— Debbo dirti una cosa — riprese dopo un momento Aroldo con una delle -sue ruvidezze improvvise. — Io presto, presto, parto, vado lontano.... -in America.... sì, fra due o tre mesi. Ho un cugino giornalista, -laggiù, che guadagna a cappellate e non fa che invitarmi; mi dà -speranza di metter in scena la mia opera, e mi ha già trovato degli -scolari che mi pagheranno assai meglio di questi. Ho titubato un poco, -poi mi sono deciso. O il viaggio e il clima mi uccideranno, e allora -sarà una cosa spiccia; o mi fortificherò.... - -Clotilde, sempre in silenzio, con una mossa lenta di subita stanchezza, -reclinò il capo sulla spalla di lui. - -— La libertà.... l’amore.... la felicità, — disse Aroldo attirandola a -sè. Le parole esalate nell’abbondanza del cuore sbocciavano in quella -solitudine, nell’orezzo verde, come fiori spirituali. — Sarà un amore -divino il nostro, laggiù, e, non aver paura, non muoio io.... Finchè -sarai con me, tu, così forte, così bella, così buona, non morirò..... - -Ella piangeva silenziosamente; piangeva, finalmente! col capo -appoggiato alla spalla di Aroldo, già scheletrita; ed egli la baciava -sul viso, sul collo, sui capelli, sulle mani, mani fredde, inerti. - -— Verrai, verrai.... Non è vero che verrai? Sì, lo so, ma dimmelo, -voglio sentirmelo dire... Clotilde... è una parola così breve... è una -parola sola.... - -Aroldo implorava così, ed ella rimaneva nelle sue braccia, sotto i suoi -baci, senza forze, senza parole, con un gran schianto interno, come se -il cuore le si torcesse; una sofferenza quasi fisica, orribile, contro -la quale si dibatteva come se qualcuno glie l’infliggesse. Eppure era -un lieve sforzo che l’avrebbe liberata, un lieve sforzo di volontà, -tenue, dolce, oh così dolce! verso cui le pareva che tutta la sua vita -interna s’inchinasse come verso una valle fiorita e odorosa veduta -giù, all’imo, da una sommità brulla e cocente. La sua volontà piegava -fino a spezzarsi, ma Clotilde sapeva che non si spezzerebbe, che si -risolleverebbe come una molla, scattando. Intanto fra i tormenti di -quel minuto d’agonia della durata d’un’eternità e della brevità d’un -sogno, nell’innocente voluttà di quell’abbandono lagrimoso, di quei -baci fraterni, di quella parvenza d’amore, ella assaporò tutta la sua -parte di gaudio e di vita. Quando si riscosse sarebbe stata pronta a -morire. - -— Addio — gli disse — non mi domandar nulla, io non mi appartengo più. - -Le mani d’Aroldo la ghermirono ai polsi come una morsa — ed al contatto -di quelle dita gracili e nervose ella agghiacciò come se uno spettro -l’avesse ghermita. Chiuse gli occhi, ma aveva già veduto passare in -quelli di Aroldo, spalancati, stupiti, una luce di follìa. - -— No? — no? — no? — Fra lo smarrimento di tutto il suo essere, questa -parola breve, soffocata, le piombava ad intervalli nel cervello, nel -cuore, come i colpi di una mazza destinati ad ucciderla. Non aveva più -lena. Le dita d’Aroldo si rilasciarono dopo un silenzio pauroso. - -— Ebbene vattene, — le disse con la voce che tremava. — Non dirò -una parola di preghiera; non la meriti, non hai cuore, sei già una -scienziata egoista e fredda, incapace d’uno slancio, d’un sentimento. -Vattene.... addio.... ma bada: se violenti te stessa, se respingi -l’amore che Dio comanda, offendi Dio e la natura: il fuoco sacro non si -lascia spegnere senza sacrilegio, bada! - -Clotilde si strinse la testa fra le mani colpita da una sola parola: -Non ho cuore, non ho cuore... — mormorò quasi inconsciamente. — Oh Dio, -anche lui... Sarà vero dunque?... Non so amare... non ho cuore... — E -si mise a correre, a correre come una pazza, giù per la viottola verde -e romita. Dietro di sè udiva confusamente la voce di Aroldo che diceva -ancora qualche cosa, poi uno scoppio di tosse, ed ella correva sempre e -quella tosse dietro di lei s’affievoliva, ma continuava, continuava.... - - * - * * - -Clotilde si trovò, quasi senza accorgersene, sotto il loggiato che -girava intorno al cortile interno dell’ospedale, spazioso, freddo, in -cui mormorava una fontana fra un gruppo di pini. Due uomini, reggenti -una barella coperta, sparivano per una porticina; i carri mortuari, -sempre pronti, attendevano. Apparirono una suora e un infermiere -con le braccia cariche di biancheria; la suora, passando oltre in -fretta, salutò la fanciulla. Dallo scalone di marmo intanto scendeva -gente chiacchierando: erano il professore e gli studenti che venivano -nell’anfiteatro per la lezione. Ella si riunì ad essi entrando; la -Ginoli le sorrise con un cenno; Serralta, il gobbino, le si accostò -annunziandole sottovoce che finalmente avevano un bel caso di -_ipertrofia_. - -Ma gli infermieri avevano appena recato il letticciuolo su cui posava -l’ammalato, che Clotilde svenne. - - * - * * - -..... Finalmente la sera, finalmente sola! Ella si richiuse nella sua -cameretta con una specie di esultanza triste, di voluttà dolorosa, -sperando un conforto dalla solitudine, nell’ombra. Andò a sedersi -automaticamente, per consuetudine, dinanzi al suo tavolino di studio -tra le due finestre, e rimase così, con le mani inerti in grembo e -gli occhi chiusi. Ma il conforto non veniva. Anzi il suo pensiero, più -libero in quel vuoto, s’indugiava più a lungo e più profondamente sugli -avvenimenti della giornata. La viottola verde, certi effetti di luce, -i profumi, i cinguettii, le tornavano in mente con un’evidenza così -lucida e acuta da farla trasalire; e la voce di lui, udita a lungo in -quella quiete dirle cose sì insolitamente dolci e paurose, le risuonava -dentro stranamente, come se con le sue parole avesse bevuto il suo -spirito, e lo tenesse, ora, imprigionato nel cuore, di dove continuasse -a parlarle soavemente o rudemente, spossandola. Si sentiva ancora -tentata di domandare pietà. - -Nella pace delle cose, tutt’intorno, le giungeva continuo e monotono -il gracidar delle rane dagli stagni, laggiù; poi il festoso schioccar -della frusta di qualche carrettiere lontano; poi il rosignolo che -lanciò qualche nota nell’ombra e tacque subito, come se qualcuno -l’avesse interrotto. Clotilde sentiva accrescersi sull’anima l’affanno -opprimente, quasi sinistro: e non poteva scuotersi, nè piangere che -qualche lagrima, rada, dagli occhi ardenti. Pure dentro di sè gemeva, -piangeva, si ribellava a quell’amarezza invadente che si addensava come -se la seppellisse giù nel buio d’una tomba. Si sciolse gli abiti e andò -a sedersi a piè del letto, appoggiando la fronte sulle coltri fresche e -bianche da cui le venne un vago senso di sollievo, e la memoria confusa -d’una notte insonne per la vibrazione dei nervi troppo eccitati dal -lavoro e da visioni dolorose. Quella notte, si ricordava, l’immagine -di lui le aveva blandito i terrori, calmato i tumulti, le aveva dato -il sonno e un fragrante sogno d’amore. Ora quella figura s’ergeva -minacciosa, terribile, nella sua forza di malato, di moribondo, di cui -lei accelerava la fine, che aveva forse già ucciso, là, sull’erba, fra -due colpi di tosse e uno sbocco di sangue.... Un gelo la paralizzò e -s’aggrappò alle coltri come presa dalle vertigini. Senza cuore! senza -cuore dunque! Eppure tutta la sua vita non era che abnegazione e pietà. -E si uccideva, e uccideva.... - -La disperazione le diede una forza quasi selvaggia. Ebbene, sì, avanti -ancora, ad ogni costo — malgrado la tortura, malgrado la morte. Non -si vince senza lotta, e non si diserta senza vigliaccheria. Seguendo -il suo impulso di compassione verso quell’uno, ella seguiva l’amore, -ella sostava in un’oasi refrigerante e queta, mentre un popolo di -sofferenti errava nel deserto ardente, lei aspettando. No, essa non si -apparteneva più, non poteva più disporre del suo cuore; il suo cuore -era di tutti gl’infelici, di tutti i malati, di tutti i dolenti; non -poteva defraudar tutti a vantaggio di quell’uno...... La melanconica -pace dell’invincibile aleggiò infine sull’animo suo. Il dolore andava -spegnendosi dalla forte volontà, dalla grandiosità del suo bel sogno -umanitario; rimaneva il rammarico, luttuoso, profondo, dell’infelicità -altrui; la tristezza di questo accumularsi di crucci intorno a sè, -proveniente da lei, involontariamente, inevitabilmente, come per -un’influenza maligna; rimaneva la titubanza e il desiderio ardente del -neofita nell’ultima lotta che precede il martirio. - -In questo rilasciarsi delle sofferenze e dei dubbi che l’avevano -travagliata, visioni tenui, antiche, della sua vita di studiosa le -balenarono alla mente e si dilatarono come ripigliando il loro posto -in lei, come immigrando da paesi lontani in cui fossero state esiliate -da un usurpatore, ingiustamente. Rientravano a stuoli, le visioni -antiche, buone, a ripopolare il suo cuore dopo l’uragano. Era la parola -d’un maestro venerato e prediletto che aveva schiuso nuovi orizzonti; -era il ricordo d’una difficoltà vinta, d’uno studio finito, d’un -progresso, d’un trionfo dell’intelletto, d’una vittoria della scienza, -d’una fratellanza simpatica e gaia e gentile; poi la falange delle -speranze baldanzose, sante di pietà amorosa, che alleviavano la grave -fatica e precedevano sicure quella gioventù nella lizza severa. E i -bambini, tutti i bambini che aveva veduto languire malati o correre -sani; tutti i bambini che conosceva e che immaginava; il suo minuscolo -popolo di clienti avvenire, a cui lei avrebbe ridonato il vigore e -la vita, si affollò nella sua mente inondandola di purezza, di pace; -un mare di piccole teste, una selva di piccoli mani tese verso di -lei, imploranti, fidenti, accennanti; e lei, simile alla buona Fata, -inoltrava beneficando fra le giovani vite che sbocciavano come asfodeli -al suo passaggio, mentre le madri da lungi mandavano un’armonia di -benedizioni. - -... Clotilde, affranta, si addormentò così, sulla sponda del suo letto, -ninnata da tutta l’infanzia del mondo, come dagli angeli. - - * - * * - -Era il luglio, afoso. Clotilde da quel giorno memorando aveva deciso -di non riveder Aroldo mai più; e per non incontrarsi con lui, scendeva -in città col primo tram e aspettava l’ora della lezione in casa -della Ginoli. Infatti non si erano più trovati; ella lo aveva però -riveduto un giorno, di lontano, sulla porta d’una birreria fra un -gruppo d’amici. Rideva forte, chiassando. Clotilde ne aveva provato -un’amarezza somma; poi, mano mano che quel giorno si allontanava, un -sollievo sempre crescente, come se le avessero tolto un rimorso. Oramai -era in pace. Le pareva che qualchecosa finalmente si fosse addormentato -in lei, forse per sempre, e ne risentiva un riposo mesto, infinito. - -Dopo gli esami aveva continuato a studiare assiduamente nella -tranquillità ombrosa della villetta, tanto più che la nonna le -lasciava, insolitamente, un po’ di tregua. Al riaprirsi dei corsi, -sarebbe entrata in quinto anno, nel penultimo anno di studi. Sarebbe -ammessa alla Clinica regolarmente, avrebbe potuto formare le diagnosi, -eseguire qualche operazione elementare e le varie medicazioni negli -Ambulatorii; le avrebbero affidato qualche malato, le avrebbero -lasciata più libertà d’andare, di studiare; avrebbe così cominciato a -sentire la responsabilità, le soddisfazioni del suo ministero; avrebbe -potuto agire, cimentarsi, misurare le forze del suo ingegno, dei suoi -studi, della sua volontà; cominciare ad occuparsi specialmente del -suo ramo di medicina prescelto: la cura delle malattie delle donne e -dei bambini, per i quali sfogliava già da tempo dei grossi volumi di -Pediatria. E qui la realtà sfumava nel sogno. Se fosse stata ricca a -milioni avrebbe voluto inaugurare un grandioso ospedale per i bambini e -per le loro madri, un ospedale tutto bianco di marmi e di cortinaggi, -luminoso di sole, ridente di fiori: tutto scale, terrazze, fontane -e giardini, sontuoso e romito come un’antica villa papale. Ma ahimè, -non era ricca, e aveva dovuto ridurre il suo sogno a proporzioni più -modeste per sperare di vederlo avverato. Lei, la Ginoli e Serralta, -il gobbino, pensavano già sul serio a comperare qualche casamento del -sobborgo, isolato e non discosto dalla città, per ridurlo ad ospedale -infantile. Essi ne avrebbero la direzione, terminati i loro studi, -e gli darebbero un indirizzo eminentemente moderno, occupandosi più -dell’igiene che della cura, più dei preservativi che dei rimedi. -Ci sarebbe anche una sezione per le donne, in un angolo appartato -e tranquillo, dove tanta femminilità timida e sofferente potrebbe -nascondersi fiduciosa e serena di sapersi affidata a mani sorelle. -Tutto un rinascere di speranze, un germogliare di forze, un trionfo -della vita fra gli effluvi dei fiori e delle benedizioni. Oh il bel -sogno! Clotilde non poteva più passare una volta dinanzi al casamento -adocchiato senza risentire un certo palpito, un certo rispetto per -quel futuro santuario della scienza, in cui sapeva che rassicurerebbe -tante madri nient’altro che con un sorriso e un bacio sui capelli delle -loro creature; sorriso e bacio provenienti da un cuor di donna, in cui -vigila la tenerezza materna, anche quando dorme la maternità. - -Ancora due anni di tirocinio penoso, poi la libertà di beneficare, -di amare, di profondere i suoi tesori di carità. Clotilde ci pensava -quella notte buia, affannosa; appoggiata ad una finestra spalancata -della sua camera mentre la nonna dormiva. Non l’avrebbe abbandonata, la -nonna, oh no: e se Roberto non ne avesse voluto sapere, avrebbe presa -con sè la povera vecchina in una bella camera allegra del suo ospedale -a raccontar le fiabe ai bambini. - -Pensò un momento a suo fratello che viaggiava: in cerca di un -editore, diceva lui, e affermava la nonna. Ma Clotilde sapeva bene -che si dimenticherebbe dell’editore alla prima stazione balneare. Non -sarebbe la prima volta, e la nonna continuava a illudersi e Roberto a -sbizzarrirsi, scusato, protetto. Pure non lo invidiava e non avrebbe -dato, per un mese di quegli ozî gaudenti, neanche una delle sue -giornate laboriose, così rapide, così feconde; che malgrado la sua -naturale semplicità la facevano avvedere d’acquistare una superiorità -sempre crescente, un’indulgenza sempre più serena. - -Clotilde leggeva un articolo in un giornale letterario che le aveva -prestato Serralta. I suoi studi faticosi le facevano ricercare la -cultura del bello come un riposo. Leggeva accanto alla finestra, -alla luce della lucernina posata sul tavolino. La notte era scura, -opprimente, greve; neanche uno spiro d’aria; la fanciulla soffocava -anche così, un po’ discinta nella sua blusa di mussolina blu, tutta -increspata, che lasciava indovinare solamente le forme bellissime del -suo corpo; il nodo dei suoi capelli, fermati dal pugnaletto d’argento, -si allentava; tutta la sua persona aveva quell’aspetto di languore -molle che danno le sere d’estate molto calde, tutte piene d’insidie -e di viltà. Clotilde s’era appoggiata al davanzale. Il giardinetto -s’addensava nell’ombra; all’orizzonte i baleni si seguivano a pause -come guizzi convulsi, le rane gracidavano forte, alla distesa, -implacabilmente. La ragazza aguzzava lo sguardo per penetrare l’ombra, -laggiù, poichè le era parso che qualcuno o qualcosa vagolasse nel -giardino. Ma la sua miopia le nascondeva ogni cosa e quelle rane -assordanti le impedivano di ascoltare. Sporgendosi con un movimento -brusco le scivolò giù il giornale. - -«Benissimo,» pensò; «almeno ci fosse qualcuno davvero per rendermelo». -E rimase ancora qualche tempo, spiando attenta, immobile. Ma non -intravide più nulla. «Saranno le ombre dei miei occhi,» concluse. E -si dispose a scendere per raccattare il giornale, poichè ell’era molto -gelosa della roba che non le apparteneva. - -Accese la candela, traversò la stanza che divideva la sua dalla camera -di suo fratello, ora vuota; scese le scale adagio, chetamente. Le -faceva impressione di errare a quell’ora nella casa buia e silenziosa; -e, coi nervi e la fantasia eccitati dal lavoro intellettuale, -s’immaginò un momento di recarsi a un convegno furtivo. Allora il cuore -le battè come se fosse vero, e ne sorrise, da sè, nell’ombra. Poi, -una tristezza improvvisa le piombò sull’anima e l’immagine di Aroldo, -in quell’attimo di spontaneità che non ebbe il tempo di domare, le -apparve con un rimpianto. Inoltrò, sgomenta, come le accadeva sempre -ogni volta che i sensi la soverchiavano all’improvviso — posò il lume -per terra nella saletta d’ingresso e aperse l’uscio che metteva in -giardino, chiuso diligentemente dalla nonna nella sua ultima ronda. Era -agitata, nervosa; intuiva vagamente un pericolo — non sapeva quale, nè -perchè. Scese lo scalino di pietra con precauzione poichè non ci vedeva -affatto, e fece qualche passo verso la finestra della sua camera. Di -colpo si sentì ghermire da due braccia robuste e un fiato ansante le -alitò sul viso. - -— Ah, lo sapevo! — mormorò lei col cuore tumultuante per l’emozione -inattesa e pur preveduta; — Aroldo! - -Ma poi dopo quel momento di silenzio rabbrividì. Aveva indovinato, più -che intraveduto, l’avvocato Dardanelli. - -— Clotilde.... Clotilde.... — mormorava la sua voce che a quell’ora -e nel buio assumeva un’intonazione strana; — non ne posso più, -Clotilde... da due ore sono qui a misurare quella finestra... volevo -salire.... io sono pazzo, Clotilde.... - -La fanciulla istintivamente cercò di svincolarsi, ma quelle braccia -erano di ferro; ella ebbe allora la rapida percezione che lo -smarrimento e la paura l’avrebbero perduta. Con un atto della sua forte -volontà rispose calma, irrigidendosi: — Via mi lasci, è un cattivo -scherzo... M’ha fatto avere uno spavento terribile; mi lasci, mi fa -male a stringermi così... - -Ma egli la serrava più forte, inebriato di quella giovinezza opulenta -che sentiva contro il suo corpo. - -— Mi lasci, — disse ancora Clotilde irata, puntellando le mani contro -le spalle di lui e arrovesciandosi per allontanarsi da quel viso, per -sottrarsi a quei baci; — mi lasci o grido! - -La sua calma fittizia era sparita: oramai non si dominava più, si -dibatteva furiosamente, disperatamente, mentre egli la trascinava -stringendola come fra una morsa, mormorando incoerenti parole di -tenerezza. - -— Grido, grido.... — minacciava lei, con la voce strozzata -dall’angoscia, quasi piangendo. - -E l’uomo cercava di farla tacere, di calmarla coi suoi baci impuri, e -continuava a stringerla, a trascinarla... Clotilde non aveva più forze -per lottare, ma la sua ira cresceva dalla sua debolezza. - -— Vile!... infame!... — esclamò, e gli sputò sul viso. Poi esasperata -si strappò il pugnaletto dai capelli e glielo conficcò a più riprese in -un braccio finchè le braccia si allentarono. - -Un lamento, un rantolo di rabbia, d’agonìa, chissà? la seguirono -nella sua corsa rapida verso la casa dove giunse ed entrò e richiuse -l’uscio, proprio mentre Dardanelli che la rincorreva, vi appoggiava le -braccia nerborute per forzarlo, per ripigliarla ancora. Clotilde lo udì -tempestare di pugni la fragile barriera, bestemmiando, con una voce che -non aveva più nulla d’umano. - -Ella si lasciò cadere su una sedia semisvenuta, atterrita, esausta. -Un rombare di tuono che crebbe e scoppiò in un fragore di fulmine -soverchiò ogni rumore. Il temporale s’annunziava. - - * - * * - -— Signora dottoressa, — disse il giorno dopo la nonna a Clotilde quando -furono sedute a tavola, — c’è un ferito da curare. Cerchi di guarirlo -bene, le faranno poi i sonetti... - -Ma siccome la ragazza, un po’ pallida, s’affrettava a inghiottire una -dopo l’altra le cucchiaiate della minestra scottante, per evitare -di rispondere, la signora Rita smise quel tono sardonico e disse -naturalmente: - -— Davvero, sai, l’avvocato Dardanelli s’è ferito a un braccio. Me lo -ha detto la Giulia poco fa. Stamattina s’era levato molto presto per -lavorare in giardino, e nel rialzare i rami del gelsomino è caduto -dalla scala a piuoli e s’è stracciato manica e carne contro i chiodi -del muro. Sua moglie era tutta nervosa pensando al pericolo.... Se si -fosse trovata presente, quella cadeva in convulsioni.... - -Clotilde respinse la scodella vuota e disse ad occhi bassi: - -— Spero che l’avvocato non mi aspetterà per curarsi.... - -— Pare di sì, — continuò la nonna, — giacchè non ha voluto chiamare il -dottore. Fra lui e sua moglie hanno fasciato il braccio.... Dardanelli -seguita a dire che è una cosa da nulla... Però gli è venuta la febbre. - -Clotilde era stata assalita da un dubbio repente, angoscioso. Dov’era -il suo pugnaletto d’argento? se lo avessero trovato in giardino, -insanguinato.... Lo aveva gettato via o no? Non se ne rammentava. - -— Non ci mancava che questa, povera gente; continuò la signora Rita -trinciando il lesso. — Ce n’era d’avanzo della bambina malata... ha un -febbrone, povera creatura.... ma già quando l’incomincia a dar dietro -non si finisce più. Poi, già, la civetta s’è fermata due notti, due -notti in fila, capisci? a cantare sulla finestra... me lo raccontava la -Giulia.... S’ha un bel dire che sono scempiaggini, ma poi i fatti.... -E tu hai sentito che temporale, stanotte? Che tuoni e che lampi.... -Gesummaria, pareva il finimondo... Poi ha durato tutta notte a -piovere... Bada qui, Clotilde, ohi a che pensi? è un ora che ti stendo -il piatto.... - -La ragazza si scosse arrossendo; levò i tondi, ne rimise, si prese -il lesso, ma non potè mangiare. Quel pensiero la torturava. E dovette -rimanersene cheta fino al termine del desinare, ascoltando le ciarle -della nonna che di quando in quando la pungeva col sarcasmo o col -dispetto. Allorchè le fu possibile d’uscire, barcollava. - -Trovò il pugnaletto sotto i rami spezzati d’un geranio. Il vento e -la pioggia avevano pestato le aiuole a segno che non era possibile -scorgervi traccia di passaggio o di lotta; pure ella si sentì mancare -scorgendo luccicare il suo gingillo fra la terra umida, in quel -luogo. E come le accadeva sempre, il contraccolpo dell’emozione la -terrorizzava. Lo raccolse con uno sforzo della sua volontà avvezza -a superare le ripugnanze insuperabili, ma sentiva che se vi avesse -trovato traccia di sangue non sarebbe più stata padrona di se. Nulla, -invece. La tenue arma lavata dalla pioggia era forbita, riscintillante -al sole. Clotilde salì in fretta nella sua camera e lo gettò sul -cassettone come se le scottasse le mani, poi si abbandonò sul letto, -bocconi, con le tempie, il cuore, le arterie tutte che le pulsavano -violentemente. - -Si rialzò soltanto quando udì qualcuno bussare all’uscio e chiamarla -angosciosamente. Andò ad aprire intontita, come balzata dal sonno. Vide -la signora Giulia piangente, pallida, scarmigliata, senza lena. - -— La mia bambina muore! Clotilde, presto, aiuto, oh Dio, la mia bambina -muore, aiuto!... - -Fu come il bicchier d’acqua che dissipa i fumi dell’ebbrezza. Clotilde -si riprese in un attimo — Andiamo, andiamo — rispose energica, pronta, -risoluta; e si mise a correre tenendo per mano la signora Giulia che si -lasciava trascinare, spiegandosi fra i singhiozzi, a stento: - -— Il dottore non si trova... al solito... e la bambina si soffoca... -Eppure ieri pareva nulla, ti ricordi? un po’ di febbre.... ma ora -sta male... oh male... Ah, Vergine Maria, ascoltatemi, voi che siete -madre... - -Clotilde traversò il giardino sempre correndo e trascinando sempre -l’altra ansante, lagrimosa. Traversarono così anche la strada maestra -e giunsero quasi subito al casinetto dei Dardanelli, a due passi. -Solamente varcando la soglia ella si risovvenne del padre, ma il -pensiero che le attraversò la mente non la fece esitare. Entrò, salì le -scale e in un baleno fu nella camera dove la bambina rantolava. - -Dardanelli era là, presso la culla, tutto sbiancato. Essa agghiacciò -scorgendolo. La signora Giulia si abbandonò sul petto di suo marito: — -Enrico, coraggio.... c’è qui la Clotilde.... ce la salverà, lei.... - -Clotilde aveva spalancato la finestra e rialzato i cortinaggi della -culla. Al solo vedere i lineamenti contratti della piccina capì. — Ah! -la difterite... — disse dolorosamente nella sua inesperienza morale -di neo-medichessa, e si strinse le mani alle tempie concentrando il -pensiero con uno sforzo inaudito, in quel tumulto di sensazioni in -cui pareva che il suo cervello riddasse. Poi la fermezza vinse. Volle -ricordarsi.... si ricordava di una lezione del professore... della -narrazione d’un caso consimile.... dell’eroismo d’un giovine medico, -come lei ardente di carità.... - -— Presto, presto, una cànnula, — comandò; — una piccola cànnula -purchessia, vuota, resistente... ma presto! — E mentre gli altri si -affrettavano per la camera in disordine e per la casa, ella prese -la bambina, la portò davanti ad una finestra, l’arrovesciò sulle sue -ginocchia, le aperse la bocca.... Le membrane bianche si dilatavano -sulla gola, maligne, tremende.... - -— Ah, ma presto — ella gridava ancora, ansiosa, quando la signora -Giulia le tendeva già una piccola canna che serviva per le loro bibite -in gelo, l’estate. E Clotilde, semplicemente, eroicamente, mentre -gli altri tenevano la povera creatura che si dibatteva, le applicò la -cànnula in gola aspirando forte con la bocca, a parecchie riprese e -sputando mano mano delle chiazze bianche sul pavimento; ricominciando -finchè la bambina potè respirare e piangere. - -— Ecco, — disse dopo, livida come una moribonda, — mentre si stringeva -al seno la bambina e l’avvocato e sua moglie non potevano che piangere -— la Rachelina per questa volta è salvata. Però non bisogna indugiare a -chiamare il medico per il resto della cura... io non posso assumerne la -responsabilità. Chiamate De Carli; è uno specialista. - -La signora Giulia scivolò per terra in deliquio baciandole le mani. -Dardanelli rimasto immobile, ginocchioni sul tappeto, piangeva sempre, -senza ritegno, silenziosamente, senza più curarsi di celare la sua -debolezza. Clotilde pallidissima ma sicura e calma rimise in letto la -Rachelina, le prestò ancora alcune cure suggerendo nel medesimo tempo -alla serva smarrita i soccorsi per la sua padrona. E quando la signora -Giulia inerte, fu adagiata sul largo letto matrimoniale e la serva fu -uscita in cerca di qualche cosa, Dardanelli si trascinò in ginocchio -vicino a Clotilde curva sulla culla; ella voltandosi lo vide così, ai -suoi piedi, gemente, umiliato, implorante. - -— Mi perdona? balbettava: Clotilde, mi perdona? lei è una santa, oh -mi perdoni!.... in nome di quell’innocente che le deve la vita mi -perdoni!.... - -Ma Clotilde si scostò con ribrezzo, raccogliendo le vesti perchè non -la toccasse. — No, — proruppe brusca, altera, — mi ha fatto troppo -soffrire; non posso, se ne vada.... - -E siccome lui continuava a supplicare, a invocare, ella lo respinse -adirata: — Vada!, — esclamò vada piuttosto a cercare un medico per la -sua bambina... S’alzi, vada... vada! — ripetè con la voce smorzata, -in un impeto di collera che nell’agitazione di tutto il suo essere fra -tante diverse emozioni, minacciava di crescere fino al parossismo, fino -alla follìa.... - -.... E invece la sua eccitazione si rilasciò subitamente, come la vela -sgonfiata da una tregua di vento. Una strana stanchezza la invase, -un’indifferenza somma per tutte le cose. - -— Ebbene sì, le perdono... — sussurrò pallida, debole, vinta — le -perdono... - -Ella sapeva che non uscirebbe di là che per porsi in letto e morire. - - * - * * - -Le imposte erano spalancate al vespro tranquillo, aurato. Un raggio del -sole occiduo entrava dalla finestra di ponente, lumeggiava un angolo -del tavolino ingombro di libri e lambiva la parete dirimpetto, grigia a -mazzi di rose. Il letto, nel fondo, era vuoto, senza guanciali e senza -coltri, con le materasse abballinate come dopo una partenza; nell’aria -vagava ancora un odor d’etere misto ad incenso, soverchiati ambedue -dall’odor acre dei disinfettanti. Sul tavolino da notte era rimasto -un bicchier d’acqua, un piccolo termometro misuratore della febbre, e -uno strumento chirurgico che aveva servito per la tracheotomìa. Sul -cassettone due o tre forcelline di tartaruga, lo stiletto d’argento -col motto cavalleresco: «_Non ti fidar di me se il cor ti manca_», e la -cintura di nastro nero: appesa all’attaccapanni la blusa di mussola blu -che serbava tuttora l’impronta molle d’un corpo. Dalle finestre aperte -veniva un gracidare di rane e lo stridere dei grilli, poi le tende alte -e lievi come ali, gonfiate da un soffio improvviso di brezza uscirono -fra le persiane e palpitarono, in alto, come se volassero via. - -In quel punto se n’andava dal giardino una bara infiorata fra il -biancheggiar delle cappe e le fiammelle rosse, irrequiete, dei ceri. -Siccome i preti non avevano ancora incominciato a salmodiare, s’udiva -lontanamente sulla via maestra un organetto suonare un waltzer. - - - - -Romanze senza parole - - -RESURREZIONE - -Quand’egli non annunziato, non aspettato, sollevò adagio, da sè, -l’arazzo che nascondeva la porta del bizzarro salotto, ella era -seduta nella solita poltrona sotto la finestra e leggeva. L’altissimo -schienale della sedia rivolto contro l’uscio l’avrebbe tutta nascosta, -s’essa non avesse tenuto la persona inclinata un po’ a destra, verso -il bracciuolo, a cui appoggiava il gomito reggendosi la testa con la -mano, nell’atteggiamento antico della meditazione e del sogno. Era -vestita come sempre di bianco, e di lei non emergeva che l’estremità -dell’òmero, il braccio piegato, lo squisito contorno della testa bionda -acconciata con una treccia scendente, piegata a metà e ricondotta -sulla nuca. La sala tutta parata di vecchio damasco bruno, dai mobili -di querce angolosi, artistici, colossali, nello stile del trecento, -era in un’ombra fresca e severa di chiesa, mantenuta dalle vetrate -di piccoli cristalli ottangolari legati di piombo, che chiudevano -due delle grandi finestre ogivali; la terza finestra, a cui ella -leggeva, lasciava entrare dallo spiraglio delle vetrate socchiuse un -filo di luce più viva che le sfiorava i capelli, faceva sorridere un -ramoscello di biancospino nell’anfora poco discosto e animava un grande -affresco di Giotto sotto il quale stava un organo da sala. Da un anno -nulla era mutato nel vasto salotto. Pareva che tutto quel tempo non -fosse passato; che l’estate non lo avesse infiammato del suo soffio -di passione, che l’autunno non lo avesse desolato col suo pianto, -che l’inverno non lo avesse intirizzito col suo gelo. Eternamente -l’incipiente primavera; eternamente i biancospini e le mammole -profumavano l’ombra refrigerante, misticamente obliosa; eternamente -lei, bianca e mite al solito posto, leggendo. - -Era immobile e vaghissima come una figura dipinta. Quanto tempo -resterebbe così? come sussulterebbe, come volgerebbe il capo, -che direbbe udendo la nota voce mormorare il suo nome dolcemente, -semplicemente, dietro l’alta poltrona? Allora il libro le cadrebbe -ai piedi; ma un altro volume si riaprirebbe alla pagina dove fu -abbandonato... ahimè all’ultima pagina: quella che non ha che una -parola: Fine. - -Rileggerlo dunque... E che avrebbe potuto dir loro di più soave -di quello che aveva già detto? Che avrebbe cantato di più folle di -quello che aveva già cantato? Che avrebbe lagrimato di più doloroso -di quelle lagrime già piante? Tutto si rinnovella, anche l’amore; -ma nulla rinasce, neanche l’amore. I fiori di questa primavera non -sono più quelli dell’altra primavera morta; le farfalle che ripetono -sulle ali velate i medesimi geroglifici come una lingua perduta nei -secoli che nessuno più intende, non sono più le stesse farfalle; -l’onda che è giunta affannosamente a baciare la spiaggia prima di -svanire, non la ribacia una seconda volta, in tutta l’eternità. Però -le cose belle e fragili che non potevano durare, che non hanno durato, -che raggiarono e disparvero, non precipitano nel cieco infinito, ma -salgono, salgono, salgono a rivivere più fulgidamente, più durevolmente -nell’esistenza spirituale del sogno; mentre le altre, quelle che si -poterono afferrare, quelle che rimasero, si corrompono e si sfasciano -miserevolmente per vecchiezza. Nella vita o nel sogno. Egli aveva -un’anima di poeta e disse: Nel sogno. - -Ella stava immobile sempre come una figura dipinta. Immota e tranquilla -e ignara dell’attimo solenne che passava; nessun presentimento, nessuna -voce, nulla. Forse il suo spirito s’era involato e non rimaneva che -il delicato involucro candido in quella oscura severità. Egli prese -lentamente le due rose gemelle che s’inaridivano sul suo petto e le -gettò ai piedi di lei come su una tomba. Poi fuggì. - - - - -Natale Romantico - - -Nella chiesetta del convento si celebravano le tre Messe di Natale. -L’altar maggiore si ergeva nel fondo fra i rossi panneggiamenti di -velluto, i veli cerulei e i galloni d’argento, illuminato dai ceri -digradanti in una triplice schiera di fiammelle, coperto di lini e -di merletti su cui scintillavano gli arredi sacri tra le palme di -rose. Sulla gradinata nascosta dal tappeto, i sacerdoti s’inchinavano -nelle gialle stole gemmate: fra la nebulosa profumata dell’incenso: -una visione magnifica, che lasciava ancor più buia e nuda e povera la -piccola chiesa in cui i soggoli e le bende delle monache impallidivano -lontane, confusamente, come una coorte di larve. Giù per le navate -solitarie interdette ai profani, l’organo versava torrenti sonori di -melodie; ora formidabili come il clamore delle trombe d’una legione -d’arcangeli giustizieri; ora dolcissimi, mormoranti appena, come in un -sogno celestiale; ora appassionati e numerosi come mille e mille voci -assurgenti e rincorrentesi nel delirio di un’estasi divina. - -Un poco in disparte, sotto la lampada accesa all’altare semibuio di -Michele arcangelo, era prostrata suor Raffaella — la povera monachina -malata e bizzarra, a cui si perdonava tutto, ora che doveva morire. La -mattina stessa aveva sputato sangue di nuovo, e tutto il giorno era -rimasta a letto per obbedienza — ma la sera non le avevano impedito -di levarsi e scendere in chiesa per assistere alle tre messe della -mezzanotte, le tre messe del Natale. - -Stava prostrata immobilmente sul duro inginocchiatoio di legno, con -la faccia tra le mani gialle e scheletrite. E non aveva pregato, -nè meditato, nè pianto. Aspettava con l’anima sospesa, l’invocato, -dolcissimo prodigio. Oh Dio non l’avrebbe lasciata morire così, -senza concederle di rivedere una volta il suo amore! poichè ella -non domandava che di rivederlo un attimo, chinargli il capo sul -petto e morire. Chi sà, chi sà! Forse non era caduto a Dogali, -forse s’erano ingannati scrivendo il suo nome nel lugubre elenco, e -bisognava cercarlo ancora, cercarlo invece fra i prigionieri delle -tribù selvaggie, in qualche recesso ignoto della maligna terra dalle -paurose leggende. Oh non poteva esser morto, lui! così ardito, così -giovane, così forte, amato così!... E se era proprio morto, ebbene, lo -rivedrebbe per miracolo; credeva piuttosto a questo che alla certezza -di non ritrovarlo mai più. - -Erano anni che aspettava quel momento; anni! - -Da principio l’attesa placida, sicura, olimpica, coll’anima stemperata -quasi in un immenso _nirvâna_; poi un periodo inquieto, dubitante, -angoscioso, tremendo, a cui aveva seguito quell’attesa febbrile, -inverosimile, ostinata, di ogni ora, di ogni minuto del giorno e -della notte; un’attesa così intensa, nel fervido desiderare, che la -sua vitalità vi si struggeva come in un crogiuolo ardente.... ed era -la morte: essa lo sapeva, lo sentiva, pur non tentando di lottare: -abbandonandosi anzi, quasi lieta di morire. - -Però quella notte uno spiro novo e fresco di speranza la vivificava. -Era la notte di Natale, la notte santa delle mistiche corrispondenze -tra la terra ed il cielo. Gli angeli, quella notte, in infinite e -diafane spire allacciano i mondi, osannando al Messia nell’immensità -che si riempie di parvenze radiose e di musica. Forse Iddio aveva -scelto quella notte luminosa per compiere il miracolo, per renderle il -suo amore. - -La seconda messa giunse a metà. Da piè dell’altare evaporò più densa e -più odorosa la nube d’incenso; le campane in alto dindondavano solenni -e gaiamente pie; dall’organo si effondeva sommessamente la cantilena -agreste delle zampogne, la pastorale, semplice e sublime serenata della -notte meravigliosa. E quella nenia ripetuta, ripetuta, ripetuta, nel -ritmo ingenuo e amoroso di una ninna-nanna, blandiva i suoi tumulti, la -cullava, la addormentava. Non aveva più senso di nulla. - -Ma quando sentì toccarsi lievemente sull’omero, scattò. No... non era -ancora lui; era suor’Rosalia, la buona giovine novizia, impensierita -della sua immobilità. - -— Si sente male, suor’Raffaella? - -Ella la fissò con gli occhi spalancati e non rispose. L’altra, appagata -di saperla ancor viva, si rimise a pregare. - -Suor’Raffaella volse lentamente il viso aguzzo, che aveva una strana -espressione di stupore, verso l’immagine dell’Arcangelo Michele che -cacciava con la spada fiammeggiante gli angeli decaduti; e i suoi -occhi neri e ardenti s’affisarono lungamente sull’immagine sacra che la -lampadina faceva appena emerger dall’ombra. - -— Suor’Raffaella è devota di san Michele — dicevano le suore. Infatti -era sempre là che s’inginocchiava, là che pregava e piangeva, quando -poteva ancora piangere e pregare. La gentile e balda figura del biondo -spirito cavaliere le ricordava il suo amore, fior di gentilezza -e tempra d’eroe; così lo prediligeva e si prostrava a’ suoi piedi -umilmente anche ora, quasi soggiogata da quell’energìa celeste.... o -vinta dalla languida dolcezza d’un sogno. - -Questa volta lo affisò a lungo, intensamente, come se avesse dovuto -stare un pezzo prima di rivederlo: poi reclinò ancora il capo fra -le palme, esausta. Sentiva mancarsi il respiro e la vita; le voci -dell’organo le ululavano confusamente negli orecchi, come il frastuono -di un uragano; quelle campane alte e lontane le davano le vertigini; i -vapori dell’incenso la soffocavano. Credette di morire, e la prese un -folle desiderio d’aria, di libertà, di vita. Quelle campane insistenti, -festose nell’altezza fredda e pura, le parlavano, la chiamavano, -la volevano, l’attraevano irresistibilmente, la suggestionavano. -Smemorata, quasi folle, staccò il rosario dal fianco, il rosario che -sapeva le strette convulse delle esili dita che lo afferravano di notte -sotto il capezzale o lo avvoltolavano con una monotonìa disperata nelle -lunghe ore delle giornate vuote e silenti, e lo depose sugli scalini -dell’altare; poi si alzò lieve e quasi incorporea, come un’ombra, e -dileguò dalla porticina accanto all’altare, che conduceva al corridoio. -Di là si saliva pure al campanile; l’uscio era aperto ed ella salì. Le -campane con le loro vibrazioni sonore la volevano; lassù era l’aria, -l’esultanza, la vita. Suor’Raffaella cominciò a salire la stretta -scala a spirale reggendosi al muro, al buio, a tentoni, faticosamente; -il respiro le diveniva ancor più difficile; la scala tortuosa e -ripida le esauriva le ultime forze. Un’oppressione vaga incombeva su -lei, un’oppressione che avanzando divenne un incubo, un terrore per -quelle tenebre ignote e continue addensate nell’angusto spazio. La -scala seguiva non mai interrotta, e nessun spiraglio, nessun lume; -un’oscurità pesante di tomba. E ancora scalini e scalini ascendenti in -una spira diabolica, interminabile. La testa le riddava vorticosamente, -il suo respiro era un rantolo. Saliva, incontrando sempre nuovi -gradini sotto il piede, incespicando, cadendo, rialzandosi, delirando, -immaginandosi di uscire da un abisso sterminatamente profondo, di -esser condannata a roteare così, innalzandosi nel buio, per l’eternità; -sbarrando gli occhi, avidi d’un punto luminoso; spalancando la bocca, -anelante di un soffio d’aria viva. Infine sostò, incapace di proseguire -o di retrocedere, e s’abbandonò sugli scalini, sospesa in quel foro -nero, fra due abissi.... - -Ma le campane la chiamavano, la volevano, le campane rimbombanti sonore -e vicine, alle cui vibrazioni quel fragile edifizio pareva oscillare. E -suor’Raffaella si levò, galvanizzata, e cominciò l’orribile ascensione -brancicando nelle tenebre, oramai inconscia di sè, cieca, pazza, -morente... - -Improvvisamente, a uno svolto, un rettangolo di blanda luce argentina -le s’aprì dinanzi ed essa si slanciò. Era l’uscio che dava sulla -stretta terrazza circolare, a pochi metri dalle campane. L’aria -pungente e mossa l’avvolse tosto in una gelida carezza che la rimescolò -bruscamente. Le parve di svegliarsi da un sogno atroce; battè le -palpebre e sorrise. Era l’aria, la libertà, la vita. Laggiù, laggiù, -tutto intorno la pianura immensa, morbidamente bianca di neve sotto il -vasto plenilunio. Alberi, case, strade, apparivano vaghi e indistinti a -quell’altezza: non rimaneva che la pianura giù, all’imo, candidissima, -e sul suo capo l’etere terso, profondo, gemmato, in cui le pareva -d’essere librata meravigliosamente. Libera, sola, sullo stretto spazio -di quel pinnacolo eccelso, penetrata dalla magica nebulosa d’argento -fluttuante nello spazio, si sentiva ingigantire smisuratamente e -sprigionare dal suo involucro materiale, per trasformarsi in una -parvenza luminosa e fantastica, dileguantesi nell’infinito con le -vibrazioni di quelle campane rombanti accanto a lei che si slanciavano -nel vuoto, gioiosamente. - -Finalmente non si ricordava più! non viveva più! non soffriva più! -Era guarita. S’era immersa nell’altezza serena e fredda, come in un -queto Lète dolcissimo e oblioso. L’immagine fascinatrice, abbarbicata -da tanti anni al suo cuore con una tenacità così ardente da assorbirne -la vita, l’immagine che l’inseguiva traverso le ore dell’occupazione, -della preghiera, della meditazione, del riposo; nella veglia, traverso -le lunghe notti invernali; nei sogni, in cui guizzava come uno sguardo, -come una voce, come una parola; l’inebriante e fallace parvenza che -la uccideva di desiderio cocente, l’aveva lasciata; era svanita; aveva -dilagato nell’estasi di quell’ora vaga, fantastica, divina. - -Poi il candore vastissimo, lo spazio infinito l’assorbirono -interamente; si sentiva già pronta a librarsi, lieve e immateriale -e vaporosa come un’angelica forma; si sapeva coronata di stelle -rifulgenti; sorrise. Sorrise alle campane che continuavano a slanciarsi -folli, sonanti, mentre lei si puntellava al parapetto, salendovi -faticosamente in ginocchio, rimanendovi un attimo, per slanciarsi anche -lei nel vuoto bianco e luminoso e profondo, nel plenilunio sacro. - - - - -Natale classico - - -Alle due estremità della tavola, che era tutta un candore rilucente -di cristalli e di argenteria, sedevano i padroni di casa. Lui, un -vecchio generale in ritiro, un po’ arrustichito dalla sordità; con un -torace di Ercole e due occhietti chiari e placidi, affondati fra la -rubiconda grassezza del viso e le folte sopraciglia: Lei, che della sua -altera bellezza, quasi celebre, serbava ancora la figura giovanilmente -snella e una certa espressione di superiorità, che il profilo dantesco -e la durezza dello sguardo accentuavano. Pareva nata per agire e per -comandare; infatti, per il prestigio della sua bellezza, e più per una -tenacità di volere logica e calcolatrice, aveva sempre menato tutti per -il naso, cominciando dal generale che si credeva un tiranno. - -Povero generale! una buonissima pasta d’uomo e, malgrado i suoi -settant’anni (anzi forse per questo), innamorato dell’ideale come -uno scolaretto. La sua soddisfazione per quel pranzo di famiglia, -a Natale, era profonda, sincera. Certe consuetudini tradizionali, -certe solennità, le osservava e le rispettava come i suoi obblighi -di cittadino e di soldato, ma con una dose maggiore d’entusiasmo -e di convinzione, che le coloriva e le innalzava al grado di veri -avvenimenti desiderati. I natalizî, gli onomastici, l’anniversario -del suo matrimonio, Pasqua, Capo d’anno, Natale, costituivano per -lui tante piccole oasi in cui pigliava fiato prima di rimettersi in -via, scacciando, dimenticando, allontanando olimpicamente in quei -giorni ogni preoccupazione molesta, ogni pensiero cruccioso. Ma il -Natale era la solennità che preferiva, la solennità classica per -eccellenza, che ogni anno gli faceva rovistare nel bagagliume delle -memorie per arrivare a concludere con la narrazione di qualche episodio -tragi-comico avvenuto proprio a lui e proprio per la sua ferma volontà -di venirsene a Natale nel suo paese per mangiarvi, da buon ambrosiano, -il tacchino e il panettone, e scaldarsi al ceppo tradizionale che -doveva rimanere acceso fino alla mattina. - -Sua moglie, donna Laura, da persona intelligente, aveva sempre -rispettato quei gusti e quelle consuetudini, senza rinunziare però a -discorrerne con quella cert’aria di compatimento che doveva mantenerla -sul suo piedestallo. Per lei il Natale non era che un pretesto per -affermare solennemente, almeno una volta all’anno, la sua autocrazia -che non cedeva nè ai tempi, nè ai costumi. Se non era più possibile -la famiglia patriarcale come ella aveva vagheggiato per alimentare -le sue aspirazioni feudali, rimanesse almeno l’obbligo di quel pranzo -di Natale che raccoglieva tutti intorno a lei come un tacito omaggio -alla sua autorità. Ciò che sarebbe riuscito ad ogni altra naturale -e gradito, costituiva per lei, quasi unicamente, una soddisfazione -d’orgoglio. C’erano tutti intorno alla mensa: suo figlio, lo stimato -e noto giornalista dai capelli già grigi, coi bimbi e la governante -inglese; la nuora, una bruna vivace e astuta dagli occhietti di -cingallegra; sua figlia Marta, una creatura bizzarra, un po’ esile, -fumatrice arrabbiata di sigarette, e suo genero, alto e grosso e brutto -come l’Orco; infine l’altra figliuola giovinetta, sgusciata appena -dalle mani dell’istitutrice. Poi i parenti più lontani, quelli che -formavano il maggior ornamento al carro di donna Laura: una cugina -vedova che veniva ogni anno da Firenze, splendida figura di Giunone, -dai movimenti bruschi, ridanciana, provocante; un nipote ufficiale -arrivato da Massaua, la vigilia, per quel famoso pranzo di Natale, e -il figliuolo di un’amica morta, considerato oramai come un parente: il -conte Silvestri, uno scavezzacollo e poeta per giunta. - -Donna Laura, naturalmente, dirigeva la conversazione anche a pranzo, -intavolava i discorsi, lasciava cadere quelli che non le garbavano, -ne troncava anche certi altri, risolutamente, qualche volta con un -sol gesto o con uno sguardo insistente de’ suoi freddi occhi grigi. -Quella sera però le sue armi cominciavano a spuntarsi contro quelle -dell’ufficialetto, che tirava via a dialogare sotto voce colla sua -bella vicina, la vedova, il cui florido busto si torceva per le risate -frequenti, mentre gli occhi di lui luccicavano, fissi su quella nuca -fresca e bianca che l’abito un po’ scollato scopriva. Il generale, -col tovagliolo al collo, parlava poco e mangiava assai, occhieggiando -spesso e volentieri verso la formosa vedovella e sorridendo del suo -riso senza capir nulla; gli altri non badavano a loro. Ma, oltre gli -occhi severi di donna Laura e quelli avidi del generale, altri due -occhi spiavano, invidi e penetranti, quelli di Alda, un po’ troppo -fredda e distratta alla mensa di Natale. - -— Si può sapere a che pensi, Alda? — ammonì con la sua consueta -terribile freddezza donna Laura, vedendo che dimenticava perfino di -incrociar le posate sul tondo; e la fanciulla arrossì voltando il viso -verso il Baby, occupandosi -di lui per disimpegno. Un viso intelligente -e simpatico, un tranquillo viso di donnina che un neo sulla guancia -abbelliva. - -— .... sapete che cosa mi ha risposto? — continuava la voce aspra di -Marta che si tagliava un’altra fetta di panettone: — «padronissima -di andare; a una commedia di quel genere io non vengo!» E gli altri -ridevano tutti, meno sua madre. - -— Ah! proprio così? — fece il conte-poeta stiracchiandosi i baffetti -biondi un po’ soprapensieri. - -— Precise parole, ve lo assicuro. — Marta scrollava le briciole di -panettone dall’elegante abito a ricami di passamanteria che le vestiva -la figura svelta, nascondendole il collo troppo lungo. — Precise -parole. E un’aria scandalizzata!... Credo che mi leverà il saluto... - -— È una cretina, — dichiarò placidamente l’Orco. - -— Oh, no, è furba! — corresse la brunetta con un movimento affermativo -del capo e quello sguardo artificiosamente candido che la rendeva così -graziosa. - -— Oh infine poi, — entrò a dire donna Laura con calma, autorevole, -— ognuno è padrone di condursi come meglio crede; rispettiamo le -opinioni. Se quella commedia urtava le sue convinzioni religiose -o morali, ha fatto bene a non intervenirvi. Aggiungete poi che con -questa sconfinata libertà, che ora informa l’arte e la vita, nulla -di più facile che passare dalla leggerezza alla sconvenienza... — -finì voltando il viso aggrinzito e incorniciato dai capelli grigi, -arricciati, verso la vedova e l’ufficiale che non se ne davano per -inteso. - -— Non lo credete? non lo credete? — mormorava sottovoce lui, -infervorato, col viso acceso. — Gabriella!... scettica... cattiva... - -— Baie... — rispondeva lei col suo spiccato accento fiorentino, -scrollando, le spalle opulente e chinando il capo per osservare -con gli occhi miopi le cifre del tovagliolo; — baie, caro mio... -— E la signorina Alda daccapo a guardare fissamente, lungamente, -con una costanza e un ardire quasi disperato, il cugino ufficiale. -Baby, trovandosi trascurato, la scotè violentemente per un braccio, -rovesciando nell’atto un bicchiere di vino. - -— Ma quei bambini... sono d’un’indisciplinatezza... — cominciò donna -Laura, rivolta a sua nuora, che fulminò con un’occhiata la governante, -la quale a sua volta, col viso di fuoco, rimproverò in inglese il -bambino. - -La governante era una ragazza florida e bionda, nè brutta nè bella, -impassibile e muta sempre, persino negli occhi, che pareva non avessero -pensiero. Eppure il malestro di Baby l’aveva richiamata alla realtà -di lungi, oh di lungi assai, dalle nebbie nordiche fra cui intravedeva -un ramo di pino inghirlandato di lampioncini rossi, e molti visi noti -e cari, e un bisbiglio di voci, nel linguaggio della sua infanzia, -ripetere con un buon sorriso: _A happy Christmas, my dear!_ - -— Uh! se potessi andarmene prima di mezzanotte senza che mamma se ne -offendesse.... — pensava il figlio giornalista, mettendo un chicco di -zucchero nella sua tazzina di caffè, in aria meditabonda. - -— Come lo chiamate questo profumo? — grugnì il generale, annusando -l’aria verso la vedova che lo guardò un momento senza rispondere e -poi disse: — Eliotropio! — voltandosi ad ammonire il suo turbolento -compagno che le bisbigliava qualche cosa all’orecchio. - -— Non sarà sempre Natale... — rifletteva fra sè per consolarsi, -Alda, col cuore stretto da uno sconforto senza fine. Poi pensava che -passato Natale anche lui se ne sarebbe andato, e il buio e il silenzio -avrebbero soffocato il suo bel sogno. Allora si contentava di soffrire. - -Mentre donna Laura dava dei consigli a sua nuora sul mezzo migliore per -conservar fragrante il thè, il generale aveva trovato modo d’attaccare -col conte Silvestri il suo discorso favorito: - -— Un natale senza neve! ma che vuoi? non mi pare neanche Natale... Ci -vuol la neve alta mezzo metro... allora si gode il ceppo. Mi ricordo -che nel sessantadue... Ma a proposito. — ripigliò come chi non vuol -differire una questione importante, — a proposito, Laura, chi sta di -guardia stanotte al ceppo? hai stabilito? - -— Ma chi vorrà! — rispose donna Laura un po’ seccata d’essere -interrotta nei suoi ammaestramenti domestici; e se nessuno vorrà, il -servitore.... - -— Ci sto io! — vociò con energia l’ufficialetto e, chi sà perchè? gli -occhi gli brillarono come se avesse trovato la soluzione di qualche -difficile problema. - -— Ebbene, ci starai tu, — replicò tranquilla la padrona di casa, che -riprese a sua nuora il discorso dianzi interrotto. Gli altri guardarono -tutti, discretamente meravigliati, dalla parte dell’ufficiale: -il giornalista ebbe un sorriso maligno che trattenne subito. Alda -impallidì. - -— Bravo, bravo, — approvò il generale. — Pare che il ceppo di casa -Arnaldi sia destinato ad avere un servizio d’onore in tutte le regole. -Fino a tre anni fa non ho ceduto a nessuno questo incarico... ed ora -son contento che mi sostituisca un altro figlio dell’esercito. Anche -l’anno scorso, mi pare... - -— No, l’anno scorso toccò a Silvestri; non è vero, Silvestri? — chiese -Marta, accendendo la seconda sigaretta. - -— Chi? io? che cosa? — interrogò costui, cadendo dalle nuvole. - -— Ma questi poeti! — esclamò allargando le braccia il generale, -sfiduciatamente. — Che cosa maturavi, si può sapere? un sonetto o -un’ode barbara? - -— Un’elegìa, — mormorò quel monello di Silvestri, scambiando sottocchi -uno sguardo d’intelligenza coll’Orco che sorrise. - -— Un elegìa?... — ripetè il generale che non aveva capito niente, e -tornò a centellinare il suo caffè. - -La bella vedova pareva finalmente decisa a finirla col suo vicino, -discorreva con l’uno o con l’altro animatamente: l’ufficialino intanto -fumava con un’aria ingiustificabilmente radiosa. Gabriella parlava a -donna Laura e alla brunetta di un abito, con quel suo fare risoluto, -quei movimenti bruschi che facevano scricchiare il suo corsetto -attilato di seta. - -— È inutile; non mi va, non mi va... con un personale come il mio, un -colore simile... - -— _Fraise écrasée_... — disse in tono conciliativo l’elegante brunetta, -che negli atti misurati, nella voce gentile, nella figura svelta dalle -molli curve, era tutta l’essenza della femminilità. - -— Ma convinciti, Gabriella, che non si può lasciar pieni poteri alle -sarte, — sentenziò donna Laura, seguendo coll’occhio indagatore Alda -che, dopo averne chiesto il permesso, si era accostata al caminetto. - -Un camino all’antica, di pietra, che dava sempre un’impressione gelida -con la sua impellicciatura di marmo bianco che non si riscaldava mai. -Il ceppo fiammeggiava e crepitava gaiamente. Alda, col visetto serio, -lumeggiato dai riflessi rossi, osservava gli ondeggiamenti leggieri -delle vampe sul fondo fuligginoso. Presto donna Laura si alzò e gli -altri la imitarono. Vennero tutti intorno al fuoco, meno il generale -che sonnecchiava col tovagliolo al collo, dondolando il capo. - -— Ora si farà il _grand bézigue_, e alle undici il _thè_, — annunziò -donna Laura, mentre la governante si ritirava coi bambini. E il -giornalista, che aveva azzardato una sbirciatina all’orologio, se lo -lasciò quasi sfuggir di mano. - -— Uff quella cambiale! che incubo... — pensava intanto Silvestri, -ricaduto nelle sue meditazioni. — E Wera che si ostinava ad -aspettarmi... Certo non la passerò liscia... Maledetto pranzo...! - -— .... Eppure in queste circostanze fa piacere offrire una famiglia -a chi non l’ha, — osservò soddisfatta la padrona di casa, parlando di -Silvestri con sua cugina. — La riconoscenza rassoda l’amicizia.... - - * - * * - -La sala da pranzo era deserta da più di un’ora. Suonò il tocco. -L’ufficiale aveva abbassato il gas e si era adagiato nella poltrona -dello zio accanto al camino. Lo confortava la compagnia di qualche -eccellente bottiglia e di un’appetitosa cenetta, messa là dal generale -per alimentare la sua veglia. Nella penombra, con la gran tavola -coperta dell’oscuro tappeto, la stanza appariva più vasta e più triste: -il ceppo scoppiettava languidamente, proiettando bagliori purpurei -e oscillanti sulle gambe di una sedia poco discosta e sul lembo -cenerognolo dei calzoni dell’ufficiale. Le tende degli usci e delle -finestre, tutte abbassate, ricascavano in fitte pieghe mantenendo un -gradito tepore e il gran silenzio della casa addormentata. Il giovine, -affondato nell’ampia poltrona che aveva la spalliera contro la porta, -era pallido e nervoso, e pareva rimuginare un pensiero con ostinata -intensità, mentre fissava, senza vederle, le maioliche biancheggianti -in una rastrelliera che occupava tutta la parete di contro. - -Rimase così a lungo, trasalendo però ad ogni menomo rumore, andando -perfino a sollevare adagio la portiera dell’uscio di anticamera.... Si -avrebbe scommesso che aspettava qualcuno. - -— Grullo a chi ci crede, — concluse poi dopo un ultimo giro di -ricognizione, ricascando nella poltrona; e con un breve gesto -dispettoso strappò una nappina. - -In quel punto avvertì dietro di se un lieve fruscio e un sottile -profumo di Eliotropio... - - - - -Il poema dei bambini - - -FANTASIA. - -Il libro è aperto e attende. Un gran libro niveo dalle pagine orlate -di raggi. Ma chi lo scriverà il poema immacolato? Qual mano sarà -così lieve e qual fantasia così alata per fissarlo in tutta la sua -indeterminatezza misteriosa e divina?... La mano di un angelo, forse, -e la fantasia d’una fata; le due figure vaporose fra cui si snoda -l’innocente spira delle piccole anime che ingentiliscono il mondo. -L’angelo, che veglia alto e fulgente a capo d’ogni culla, come sulla -prora della navicella dantesca, potrebbe cantarci, forse, dei paesi -dove vagano gli spiriti dei bambini addormentati sotto le cupole di -trina o sotto gli scialli sdrusciti; ci dipingerebbe il paradiso che -sognano, pieno di testine alate e di bambini morti che hanno portato -fra le nuvole le loro bambole e i loro burattini, e danzano intorno -ad un eterno Albero di Natale, e giocano con un Dio bambino come -loro. Potrebbe rivelarci che cosa pensano quando esultano ad uno -splendore o piangono ad una musica; quando rimangono assorti nella -contemplazione d’un fiore e d’un viso; che avvertimenti ci danno quando -la loro piccola mano ci avvince e ci trae; quando ci domandano una -carezza e ci negano un bacio. L’angelo, forse, ci direbbe chi insegna -loro a consolar così bene senza parlare, a persuadere, a riunire, a -redimere, solo con la freschezza delle loro bocche, con l’espressione -inconscia del loro sguardo, col profumo de’ loro riccioli, con la pace -del loro respiro. Ci direbbe, l’angelo, come sanno certe parole così -efficaci, così immaginose, così solenni, così tremende... ci narrerebbe -le tristezze dei piccoli infermi, le malinconie degli abbandonati, -le tentazioni dei vagabondi, gli odî degli oppressi, i rancori dei -posposti: tutte le loro lotte, le loro vittorie, i loro martirii, i -loro spaventi, i loro dolori, i loro palpiti, tutta la loro vita intima -così pura, così vergine, su cui aleggia ancora l’alito di Dio! la -loro vita che qualche volta non è che una breve sosta fra due voli — e -l’angelo dalle grandi ali lo sa, egli che veglia sulle culle ridenti, -sulle bare ornate come trionfi, sulle tombe infiorate e incise di nomi -brevi che non hanno passato. - -E la fata, la bella fata dall’abito di broccato e dalla corona di -regina verso cui salgono le invocazioni, i sospiri, i desiderî di tutta -l’umanità minuscola che s’agita nei palazzi e nei tugurî, sa bene, -lei, gl’ideali infantili! A lei, la loro Musa, i bambini confidano i -sogni di gloria e di felicità; lei aspettano centinaia e centinaia di -scarpette fra gli alari di bronzo dorato, sotto le cappe gigantesche -dei vecchi camini, nel povero focolare, accanto agli sportelli delle -stufe, vicino alle bocche dei caloriferi, ad ogni varco del labirinto -buio e misterioso e fantastico per cui sanno che Ella peregrina la -notte dell’Epifania. Lei sperano i piccoli cenciosi rannicchiati, -intirizziti e digiuni; i duchini, che hanno sorpresa la mamma a -piangere fra i cuscini di raso; le bambine timide e sensibili, che -si nascondono per pregare ginocchioni e affratellano la sua immagine -all’immagine di Maria. La bella fata potrebbe ridirci gli sgomenti -paurosi, i terrori di tante testine cacciate sotto le coltri per non -veder giganteggiare l’Orco o il Lupo Manaro nell’ombra; i desiderî -fervidi di galoppare sui cavalli di legno verso le plaghe incantate -dai castelli di diamante e dalle arancie d’oro, le visioni di paesi -della cuccagna, dalle case di confetti e dai mobili di cioccolata, dove -i bambini non studiano, dove le mamme non sgridano; dove Cappuccetto -rosso, Puccettino, Cenerentola, la Bella, si rincorrono in un gran -prato fra tutti i giocattoli del mondo. E additandoci il suo gaio -corteggio di gnomi, di burattini, di spauracchi, di falconieri, di -geni, ci spiegherebbe, lei, perchè i bambini sono così adorabilmente -grotteschi qualche volta, così comici, così iperbolici, così eleganti, -così sovrumani. Ci direbbe, lei, il segreto della fantasia infantile, -ingegnosa, gentile, che alimenta qualche volta il primo germoglio d’un -fiore divino. - -All’angelo e alla fata dunque, ad essi che sanno, il tracciare -l’immacolato poema. E nei margini alluminati con le sfumature più -ridenti, con le luminosità più gioconde, le figurine infantili lo -ravviveranno. Tutti i bambini: dalle testoline idealmente bionde dei -_baby_ nordici, ai musetti sudici degli spazzacamini, dai piccoli -chinesi tutti goffaggine, giù giù sino ai corpicini agili e nudi dei -bronzei marmocchi africani; tutti i bambini, di tutte le classi, di -tutte le età, di tutti i tipi, di tutti i paesi: una fantasmagoria, una -piccola moltitudine varia, innocente, primaverile. - -E sera e mattina, dal poema immacolato fra la vivente ghirlanda, -s’effonderà un effluvio refrigerante, poichè le piccole anime si -schiudono nei crepuscoli, e gli affetti e le preghiere evaporano sino -al cielo, avvolgendo il mondo d’un incenso ideale, purificatore; -significante agli scettici, ai dolenti, che sulla terra c’è ancora -qualche cosa di puro, di bello, di vero, poichè ci sono loro... - - _Natale 1891._ - - - - -Treccia bionda. - - -Max, il giovane compositore di musica, finiva d’abbottonarsi l’abito, -ritto dinanzi al grande specchio nel tepore, nella luce blanda, nel -disordine della sua elegante camera di scapolo. Voleva esser calmo, -ma le mani avevano movimenti bruscamente nervosi; ma sul viso pallido -e serio si diffondeva un’ombra cupa, forse il riflesso di un’interna -lotta. Nient’altro che un’ombra; eppure era già troppo per lui giovane -e ardente di passione per la donna che lo aspettava ad un convegno -d’amore.... Quell’ombra pareva un tedio ed era rimorso; giacchè egli -non era un seduttore volgare, e gli si affacciava spesso in tutta la -sua reale crudezza il pensiero tormentoso di tradire quell’uomo... il -compagno della sua giovinezza, dei suoi studi, delle sue speranze, dei -suoi disinganni: l’uomo generoso che lottava con lui e per lui, per -assicurargli i trionfi, l’avvenire, la gloria, nella carriera difficile -e ardimentosa; l’amico che lo aveva sempre consolato e moderato, con -la calma benevola di un padre amoroso, negli scoraggiamenti o nelle -ebbrezze della sua impetuosa natura. Max doveva tanto a quell’uomo -e lo tradiva; gli doveva la rigogliosa vitalità dell’ingegno che -lo rendeva ricco e felice, e gli toglieva la sua ricchezza, la sua -felicità. Quando gli si figgeva questo pensiero nel cervello Max si -sentiva vile e miserabile; ma il dualismo gli tumultuava nel cuore, -ed era una strana passione quella che gli paralizzava l’anima e gli -accendeva i sensi, prestandogli mansuetudini e timidezze di fanciullo, -ribellioni titaniche, gelosie feroci. Inoltre con tutta la sua fervida -fantasia d’artista, continuamente eccitata dalla creazione musicale, -credeva al fato, al fato dell’arabo, al fato del medioevo, e vi si -abbandonava, e si saturava di quelle teorìe che lo spogliavano d’ogni -responsabilità, che gli facevano compiere gli atti più importanti -della sua vita dietro una causa futile e comune per ogni altro, ma in -cui egli vedeva maravigliose predestinazioni. Se qualche ostacolo gli -avesse attraversata dapprima quella via d’amore così facile, e così -piana, forse la sua esagerata dignità sarebbe rimasta spaurita dalle -finzioni volgari, e quel suo misticismo superstizioso lo avrebbe fatto -trionfare nella lotta. Ma pareva invece che un destino dolce e tremendo -avvincesse la sua alla vita di Giselda con un delizioso laberinto -di fila segrete che si serravano ogni giorno di più. Nulla gliela -contendeva oramai: nè la vigilanza del marito assurdamente fiducioso, -nè apparente scrupolo in lei addormentata in un fascino profondo, nè -circostanze difficili, nè contrattempi, nulla; Giselda era sua, egli lo -sapeva. Vinta dal suo sguardo, dalla sua voce, dalle sue melodie, ella -non si difendeva, non tergiversava, non lottava: si abbandonava anche -lei a occhi chiusi, incrociando le braccia, alla corrente fatale. Non -sapeva che tremare e impallidire; come la prima volta sulla terrazza -deserta, quando gli abbandonò le mani e il capo sul petto, — nell’aria -molle, nel profumo, nell’incanto di quella notte di primavera... -Guardò l’orologio. Ancora un’ora, un’eternità.... Si buttò sul divano -facendosi vento col fazzoletto, poi terse qualche stilla di sudore -sulle tempie. E s’ella si fosse scossa infine? se le voci della dignità -e del dovere l’avessero svegliata dal sogno oblioso e fiorito? se -fosse partita come minacciava, come implorava, quasi, dalla sua stessa -volontà? - -S’alzò, si mise a passeggiare per la camera intorno ai mobili artistici -di un gusto severo, passandosi le mani sugli occhi, ricacciandosi -indietro i capelli convulsamente: il tappeto ammorzava i suoi passi; -pareva un’ombra errante con l’alta statura, il viso smorto, l’abito -nero. Passò davanti al balcone che si schiudeva sul Canal grande, ed -ebbe appena uno sguardo indifferente, lui artista ed entusiasta della -sua Venezia, per la lunga schiera incantata dei palazzi dirimpetto, -sorgenti fra l’acqua e il cielo nel vasto silenzio e nella placida -luce d’opale e di madreperla che solo i crepuscoli veneziani hanno. -— «È meglio che mi levi di qui, — concluse; — almeno mi toglierò -dall’inferno dell’attesa in questa solitudine...». — E s’avviò a -pigliare i guanti sulla mensola, nell’angolo, ingombra di cofanetti -e di gingilli: poi con lo sguardo vago, la mente assorta negli occhi -neri, nel profumo, nel fascino di lei, pigiò macchinalmente il dito -sulla molla di uno fra quei piccoli scrigni, lo aperse, vi cacciò -la mano sbadatamente.... ma la ritrasse tosto con un brivido che lo -agghiacciò, anima e corpo. Invece della liscia ed unita superficie -del guanto, aveva sentito sotto le sue dita delle filamenta morbide e -sottili come d’una matassa di seta. - -— Ah, che sacrilegio! — esclamò con vero ribrezzo; poi tentò di -superarsi e volle richiudere il cofano frettolosamente. Ma la treccia -bionda della morta ricascava fuori dallo scrigno, sollevando il -coperchio, ricusando di togliersi alla sua vista, di rientrare nella -sua tomba — imponendosi.... - -Max era rimasto immobile, con gli occhi fissi, la fantasia, sàtura -di fatalismo, paurosamente colpita. Per la prima volta gli accadeva -di aprire storditamente quel reliquiario che conteneva la memoria -più soave, più mesta, più santa della sua vita; memoria da lui -custodita con tutta la venerazione segreta di cui era capace la sua -natura dolorosamente sensibile e trascendentale. Povera Maria! che -profanazione! Egli s’assise là, nell’ombra di quel cantuccio sommerso -nel crepuscolo, levò adagio, con le mani un po’ tremanti, la lunga -treccia voluminosa a cui era avvinto strettamente un piccolo gruppo -di seccume — fiori in un tempo lontano — e la lunga treccia gli -scivolò sulle ginocchia in un molle abbandono di cosa morta, spiccando -opacamente bionda sull’abito nero. - -Intanto, all’aprirsi del breve reliquiario, usciva lo sciame dei -ricordi, e la memoria evocava fedele l’immagine della giovinetta: la -delineava, come sempre, bianca, mite, gentile, sul balconcino gotico -del vecchio palazzo tetro; nella gondola nera e slanciata fra la -luminosità della laguna rispecchiantesi nei grandi occhi sereni di lei -in tutte le sue misteriose e profonde trasparenze; nella vasta piazza -marmorea sotto un cielo di cobalto, innanzi a San Marco scintillante -di colori e d’oro, come un gioiello, nella calda fulgidezza del sole -meridiano; mentre una frotta di colombi scendeva serrata, attorniava -lei, bionda e ridente, poi si levava a volo sparpagliandosi con un -brusco frullo d’ala. Rivedeva la sua fanciulla passare nelle tortuose, -umide calli, benefica e soave come una buona fata; la rivedeva -scendere e salire i ponti, lesta, leggiera, colla testa alta, il -viso colorito, inebriata di gioventù, d’aria, di luce; la ritrovava -prostrata sotto il lumicino rosso di una lampada moresca che faceva -rilucere i mosaici nell’ombra della cattedrale bizantina; la ripensava -come una sera estiva, ai Giardini, nel bianco lume lunare, appoggiata -alla balaustra di marmo sulla laguna che si stendeva luccicante di -riflessi d’acciaio; ricordava il lungo silenzio e il turbamento che li -aveva colti all’improvviso in quella gran pace; ricordava il movimento -quasi inconscio della manina sottile che sfogliava un fiore: persino -le piccole fosforescenze dell’anellino di brillanti ricordava; e -sopratutto di non averla veduta mai tanto idealmente bella come in -quella sera, tutta irraggiata come una candida parvenza che dovesse -svanire nelle ombre del Giardino, o nella serenità fredda del vasto -plenilunio. - -Erano cresciuti assieme; si volevano bene come fratello e sorella; -si vedevano tutti i giorni, a tutte le ore. Max non trovava ricordo -dolce o triste della sua prima giovinezza che non fosse confuso alle -risatine fresche, allo sguardo sereno, alle lagrime silenti, alla -voce soave di Maria. Quante volte ella aveva spianato con le bianche -dita una ruga precoce del volto, dileguato con gli occhi azzurri una -nebbia uggiosa dal cuore del suo compagno! Quanti consigli miti, quante -parole ragionevoli, quanta logica semplice adoperava per persuaderlo, -per frenarlo, per animarlo, per fargli mutare un cattivo proposito di -svogliatezza o di vendetta! Ed era cosa rara la sconfitta di Maria, -giacchè anche lui allora era giovane, buono, impressionabile, pieno -di entusiasmi e di fede. — Povera fanciulla! Come era leggiadra -quell’ultima sera al suo primo ballo! come era lieta, spensierata e -bella nell’abito bianco vaporoso, senza gioielli e senza fiori, lei, -fiore e gioiello vivente con la carnagione d’una freschezza rosea e -vellutata di petalo, le lunghe treccie di fili d’oro! Max ritrovava -il fremito di delizioso sgomento che lo aveva assalito quella sera al -contatto delle morbide treccie voluminose, quando volle puntarle un -mazzolino in testa, proprio fra le ondulature delle trecce di fili -d’oro. Rammentava il loro respiro ancora ansante dopo quel valtzer -vertiginoso, il viso acceso, l’espressione ingenuamente maliziosa degli -occhi color del mare, i movimenti della testolina irrequieta di Maria -che si divertiva della goffaggine di lui, delle sue mani tremanti, del -suo riso imbarazzato e nervoso. «Ora sei proprio bella!» le aveva detto -poi, ed ella si era ammirata ad uno specchio, mormorando scherzosa: -«Ebbene non lo leverò più!» E non lo aveva più levato, povera bambina! -Si era ammalata l’indomani e la morte l’aveva portata via col mazzolino -nelle treccie bionde... Ed ecco finalmente la tetra, la mestissima, -l’incancellabile visione... il lettino bianco nella camera a colori -ridenti, dove egli entrava per la prima volta e perchè ella moriva. -Ecco il volto affilato, livido, in cui parevano sinistramente belli -gli occhi color del mare; il sorriso buono; le piccole mani che gli -si allacciavano al collo, la voce soave, fioca, all’orecchio: «Max, -ho ancora il tuo mazzolino nelle treccie, vedi?... Quando non ci sarò -più, riprendilo... ma pigliati pure la treccia, una delle mie treccie -bionde che ti piacevano tanto: così il mazzolino non ne verrà separato -e ti resterà qualchecosa di me...» Egli adolescente, innamorato, con -la testa piena di romanticismo, nello strazio di quell’ora vagheggiò -il suicidio; ed ella lo stringeva più forte con le piccole mani, -persuadendolo, come quando faceva desistere da un cattivo proposito -lo scolaro ribelle. «No, vivi, Max; vivi per i tuoi genitori, per mia -madre... per la tua bell’arte vivi, lotta, studia, diventa artista, -diventa celebre.... ma non ti dimenticare....» Ed egli aveva sentito -sulle gote le lagrime di quella povera giovinezza morente — la sua -ultima ribellione — il suo ultimo rimpianto alla vita. - -..... Una fredda esistenza, un’esistenza di tumulti, un vuoto, -un’aridità erano venuti dopo la morte della sua fanciulla... Uno -sfrondamento di illusioni, di entusiasmi, di speranze... Un brulicame -di basse passioni, di piccole menzogne... E quanto arrabattarsi per -la felicità, per l’amore, per la gloria, veduti sempre all’orizzonte -e sfumati sempre come splendidi miraggi! Oh se Maria non fosse morta, -sarebbe la sua sposa, la sua difesa, il suo angelo custode, la pace e -il riposo dell’esistenza sua. Ma la bionda visione era cancellata per -sempre... Max, in quel cantuccio sommerso nell’ombra, con lo sguardo -sulla treccia, viveva così nel passato senza più nozione del tempo e -della realtà.... - -..... — Signorino, non mi comanda di accendere i lumi? — disse la -voce tremula e discreta del vecchio servo dalla soglia della camera -elegante. - -Max diede un balzo e guardò l’orologio. L’ora del convegno era passata -da quaranta minuti; l’ora attesa febbrilmente e sognata ardentemente -aveva potuto dunque dileguarsi così? Egli non battè ciglio, non si -mosse, ma qualche cosa moriva dentro di lui in tutti gli strazî di -un’agonia disperata e tremenda. «Tu non lo vuoi, dunque, Maria; tu non -lo vuoi! — » ripeteva il suo pensiero fra il tumulto de’ suoi sensi, -fra quell’ultima lotta. E la bionda treccia, nel suo abbandono molle, -pareva rispondergli, trattenendolo, tenue e possente come il braccio -di un bambino che gli si fosse addormentato in grembo. Max chinò il -capo come piegando ad una forza superiore. Una lenta stanchezza lo -invase; uno scoramento, un languore indicibili; un senso di debolezza, -d’impotenza a lottare col destino che gli si rivelava all’improvviso -tremendo; un desiderio latente di finirla col dualismo che gli tendeva -i nervi, gli assopiva le facoltà della mente, gli velava l’alta -serenità fulgida dell’arte, in cui l’anima sua era solita a librarsi, -a spaziare, a cercare le migliori compiacenze, le consolazioni più -pure e più efficaci della sua vita tempestosa. Poi Maria era in lui; -Maria, la bionda morta evocata: ed il basso brulichio delle passioni -e dei desiderî sensuali non reggeva a quel confronto e fuggiva e si -sperdeva da tutti i lati come le tenebre al raggio trionfale del sole. -Le sue ebbrezze, il suo amore, la sua dissimulazione, tutta la miseria -infine della sua condotta passata, lo disgustarono, lo umiliarono, lo -nausearono come il ricordo d’un sogno oscenamente bugiardo.... - -Ebbene, no; non avrebbe da rimproverarsi una simile viltà: la viltà di -prendere una povera donna debole e onesta; la viltà di tradire l’uomo -che lo aveva beneficato. No, non avrebbe una macchia simile sulla sua -coscienza d’uomo leale, sulla sua vita elevata dall’arte. Rialzò il -capo alteramente, più calmo, poichè la sua immaginosa e mistica natura -era già allettata dalla poesia del sacrifizio che gli aleggiava nel -cuore sperdendo i resti di quell’ardente soffio di passione. - -Uscì sul balcone e rimase là finchè la notte scese sul Canal Grande -e nel cielo palpitarono rilucenti le stelle. Nessun lume nelle enormi -masse nere dei palazzi dirimpetto; qualche gondola appariva e spariva -col rosso lumicino riflettentesi in striscia purpurea, verticale e -tremolante nell’acqua bruna. Un bisbiglio di voci, un tonfo di remo, -un breve, mite sciaguattìo; poi il silenzio, ancora il silenzio delle -notti veneziane pieno di misteri, di dolcezze, di malinconie. - -Quando Max ebbe l’anima penetrata di quel silenzio e di quell’incanto; -quando ebbe ascoltato tutto ciò che gli dicevano la notte stellata e -i ricordi già lontani del suo grande amore domo dalla bionda morta -innocente, passò nel suo salotto di studio ornato di opere d’arte -antica e moderna, s’assise al pianoforte nascosto da vecchi arazzi e -suonò. Suonò l’intera notte, nella sala semibuia, e cantò tutti i canti -che gli fluivano dal cuore. Fu in quella notte che cominciò a comporre -il capolavoro che gli diede la rinomanza e la gloria. - - - - -Romanze senza parole - - -I. - -FUTURO - -..... Nel salotto non c’era nessuno. Il salotto sontuoso, -artisticamente ingombro, pareva riposare nella penombra, avvolto nella -sua stessa morbidezza voluttuosa, infingarda, fatta di cuscini, di -tappeti, di panneggiamenti, fra cui scendevano specchi, luccicavano -trofei, si disegnavano fogliami esotici e mobilucci, strani come -mostri, o severi, di classica antichità. Si udiva scoppiettare nel -camino la fiamma velata fantasiosamente dal parafuoco di piccoli vetri -policromi, fatto d’un’invetriata di chiesa; da ogni anfora, da ogni -vaso, da ogni coppa, emergevano mazzi enormi di fiori di serra, stretti -fra i cartocci di trina da un giardiniere sapiente; sul divano largo, -di damasco, giacevano astucci, libri, cofanetti, gingilli, i doni di -Capodanno ancora a metà involti nella carta di seta; dalla spalliera -una magnifica sciarpa di vecchia blonda ricascava flosciamente, e -due pantofoline minuscole di felpa avorio, ricamate d’oro, posavano -sul tappeto, tutte piene di viole fresche: leggiadri cornucopia di -felicità. Accanto al fuoco, intorno ad una poltrona, un angolo più -abitato, una nicchia prediletta fra una giardiniera tutta verde, -un’alta arpa dorata, un tavolinetto a due piani con su fotografie, -un portafogli di raso contenente un fazzoletto di trina — la novità -elegante — un volumetto di versi intonso — un libriccino per gli -appunti dalle pagine candide, dalla copertina d’avorio, sulla quale si -delineavano luminosamente in argento le cifre di quell’anno novello. -Poi, nel piano inferiore, una cestellina da lavoro piena di colori -ridenti e minuzzoli d’oro, bomboniere, giocattoli, inezie. Tutto un -sonnecchiare infantilmente placido delle cose; un abbandono vergine, -fidente, pieno di freschezza; un’ignoranza piena di pace. Ma accanto -alla finestra, su un cavalletto di pittore, una tela bianca, vuota, e -sulla scrivanìa molti foglietti lucidi, bianchi, parevano minacciare -muti, aspettando... - - -II. - -PRESENTE - -..... Ancora nessuno nel salotto. Ma vaga tuttavia un profumo sottile, -indefinibile, fatto di tutte le essenze e di nessuna. Il fuoco è -spento, e dalla finestra spalancata il sole entra in un’ondata d’oro, -abbagliando mobili, stoffe, cose, che rivivono folli e gioconde nella -luce logorante. Sulla lastra d’uno specchio sono state incise due -iniziali col diamante, e dalle anfore, dai vasi, dalle coppe, tutt’una -fioritura d’un sol fiore: di rosa thea; una delle quali giace vizza -sul divano largo, di damasco, insieme a un piccolo pettine di tartaruga -ambrata. Accanto all’arpa, un violino, e un foglio di musica: un canto -mesto, largo, ma d’una passione quasi trionfale; accanto alla poltrona -prediletta, sul tavolino, non c’è più che una sola fotografia in cui -sorridono accostate due giovani teste: l’una virile, bruna; bionda -l’altra, e della femminilità più soave. Fra il volumetto di versi è -rimasto dimenticato un fiore; dalla cestellina esce un nastro azzurro -in cui si sta ricamando una data, un numero: prosa volgare o poesia -sublime; — nel libriccino di appunti si legge un verso di De Musset -scritto due volte da mano diversa: - - «Comment vis-tu toi qui n’as pas d’amour?» - -E la testa bruna, virile, si delinea sulla tela del cavalletto, e sulla -scrivanìa fra i foglietti lucidi, bianchi, fa capolino una lettera di -cui non si leggono che due ultime parole: Ora e sempre. - -Tutt’un tripudio, un’ebbrezza delle cose in quel lieve disordine, -nell’onda di sole che irrompe gloriosa, pennelleggiando, raddoppiando -la vita, consumando come una fiamma... - - -III. - -PASSATO - -.... Il salotto è abbandonato, deserto. Dalla finestra aperta il -plenilunio piove raggi nel buio come in una tomba violata; le cose -tutte paiono dormire il sonno eterno nell’ombra densa intorno alle -pareti, e rivivere in sogno nell’irradiazione spettrale di quel -rettangolo di luce. Nei vasi, nelle anfore, nelle coppe, appassiscono -tristi e foschi i crisantemi; dall’arpa alta, dorata, pendono rotte -due corde, sul tavolino la fotografia è rovesciata come la pietra -d’un altare distrutto da mano sacrilega; il volumetto di versi -trascina lacerato a brani; la cestellina da lavoro è chiusa, negletta; -sull’ultima pagina del libriccino di appunti, un altro verso di De -Musset, vergato con calligrafia femminile: - - .... «Elle songe une année a qui lui pense un jour.» - -Sulla tela del cavalletto scende un velo di crespo; sul divano largo, -di damasco, un fazzoletto di trina intriso di lagrime; sulla scrivanìa, -accanto ai pètali fossilizzati d’una rosa thea, in un foglietto bianco, -una sola parola: - -«Addio.» - - - - -Pasqua triste - - -A destra del ponte che ricongiunge il villaggio diviso dal piccolo -fiume, sulla spianata erbosa, dietro il circo in cui si accendevano -i primi lumi, era il carrettone dei saltimbanchi: una minuscola casa -mobile, verniciata di rosso, con le persiane verdi alle finestrette in -cui non mancavano neppure le tendine di trina. Veduta di fuori faceva -quasi invidia. Dentro era un laidume; cenci ammucchiati, suppellettili -sudicie, arnesi logori d’ogni genere, qualche sedia sfondata. Era -tutto. No... c’era anche un saccone sul quale stava accoccolata una -donna a guardia d’un bambino lattante addormentato, supino, fra uno -scialle scuro, con la faccetta terrea rivolta alla luce del vespro che -pioveva dalla angusta finestra soprastante. - -Di là si udiva il brusìo continuo e confuso della rustica folla sul -piazzale, il vociare dei venditori, delle risa, qualche fischio, -qualche suono rauco e stonato d’un gingillo infantile. Tutta la -manifestazione dell’ozio gaudente d’una sera solenne aspettata un anno. -Era Pasqua di Resurrezione. - -La donna teneva il volto chino fra le mani che alla luce incerta -parevano bianche. Ascoltava l’anima sua dolorare. - -Gemeva l’anima: — ... dodici anni... un attimo, un secolo.... dodici -anni che non respiro quest’aria, che non vedo questo cielo, che lasciai -la mia casa fuggendo di notte, come una ladra, con lui che mi aveva -sconvolto il sangue e la ragione... Un saltimbanco... quante me ne -dissero per dissuadermi, quante! «È un demonio che ti tenta» diceva -la nonna. «È un Arcangelo,» rispondeva io. Era così bello con quella -maglia azzurra, luccicante, che gli disegnava la persona agile e -vigorosa, con quella testa ricciuta, lo sguardo altero! Lo chiamavano -il _Principe_. Aveva una destrezza, una forza, un coraggio... Gli altri -uomini al suo confronto mi parevano pigmei... Aveva un certo modo di -affisare che soggiogava... un modo di pronunziare il mio nome, di dirmi -che ero bella, che m’illanguidiva di dolcezza... Non potevo pensare -che a lui, vivevo di lui... Egli era padrone di tutta me stessa, mi -aveva incantata. Così, quando partirono dal paese e il Principe mi -disse «Vieni» io andai. Dodici anni sono passati... Il babbo, la nonna, -riposano accanto alla mamma, laggiù.... sotto l’erba... i miei fratelli -si sono ammogliati lontano... hanno venduto il podere e la casa... non -resta più nulla... perchè rimango io? Perchè non sono morta prima di -ricomparire come un’ombra fra queste rovine?... Di qui so che si vede -la finestra della mia camera... Io non la guarderò, ma sento che lei mi -guarda... Ci sarà ancora il gelsomino che la inghirlandava, o si sarà -inaridito?... Era là che ricamavo al mio telaio, là nel vano di quella -finestra... ricamavo sulla battista per ore e ore... alla domenica -leggevo, e ogni tanto sentivo passare sulla mia testolina la mano -della nonna in una carezza frettolosa... s’affaccendava sempre, lei... -Verso sera m’appoggiavo al davanzale senza far nulla: la luce scemava, -il sole andava sotto, rosso, dietro i monti; io guardava i campi -rigogliosi e tranquilli, da cui saliva un senso di frescura, e coglievo -i gelsomini con la mente piena di fantasticherie... Una sera, ricordo, -passò un giovane e raccolse una ciocca che mi era caduta; io ne risi: -la seconda sera egli ripassò, io non risi più: la terza, invece, gli -sorrisi e gli buttai un’altra ciocca di gelsomini. Era un giovane -onesto, serio, intelligente e mi adorava; la nonna era così contenta -ed io felice... Poi la fatalità mise sulla mia strada quell’uomo che -travolse tutto, come un turbine sradica e schianta... Chi sa se Andrea -vive, chi sa se vive fra i vincitori o fra i vinti, chi sa se è qui... -Dio, se fosse qui e che volesse... Oh non mi riconoscerebbe certo -più. Eppure mi sarebbe dolce in ogni modo riudire la sua voce, senza -vederci, così, traverso la parete, la sua voce insinuante e buona, -che mi ridonerebbe nella realtà un’ora del mio passato. Vorrei che gli -fosse rimasto di me solamente un ricordo di pietà, come di una morta -che si è veduta lungamente soffrire. E anche il giovane innamorato -dovrebbe esser morto; resterebbe l’amico per intendermi e compiangermi, -l’uomo ritemprato dalle lotte e dal dolore. Io gli direi della mia -immensa miseria presente, dei rimorsi che mi mordono al cuore appena -oso rivolgere lo sguardo al passato, della mia espiazione di dodici -anni per un momento di aberrazione; gli direi che ero pazza, e se -egli ha amato, certo sa di che si può esser capaci quando l’ebbrezza -d’una passione sconvolge la mente... Eppure non oserei scolparmi, fui -un’indegna... Ma se ne ha versate, lui, delle lagrime sul nostro amore -spezzato, ne ho versate tante anch’io, e giorno, e notte, e sempre, -sulle mie pazze illusioni dileguate, sulle mie creature morte di -fatiche e di stenti, sulla mia logora esistenza che non ho coraggio di -troncare!... Ne ho versate di gelosia, d’umiliazione, d’odio per quei -miserabili istrioni che mi circondano; d’impotenza per un amore che -non si spegne, che non mi strapperò dal cuore se non con la vita... -Ne ho versate tante!... Ora non piango più... non ho pianto neanche -stamattina quando ho veduto di lungi il campanile del mio paese... Sono -muta, impietrita come una statua, ma non divengo insensibile... È una -tortura di cui nessuno può immaginare la raffinatezza...» - -Un solenne e gioioso intervenir di campane fra la gaiezza oramai -monotona dei rumori, mise in fuga da quell’anima indolorita gli amari -ricordi e le visioni gentili. Le mani ricascarono, la donna rialzò il -capo verso la finestrina dirimpetto, che inquadrava un lembo di cielo -rosato ancora, la punta d’un pioppo e una stella. Le vecchie campane -esultavano tentando di fondere la loro letizia bonaria e monacale alla -trivialità umana. Fu dapprima uno sbadato preludio, poi un giocondo -incalzare di suoni, ripetuto, insistente, una gazzarra di tutte le voci -delle campane che parevano rifarsi delle ore di raccoglimento. Erano -sempre le stesse, le loquaci e sapienti campane! quelle che la voce già -tremula della nonna seguiva canterellando per rallegrare loro bambini, -nelle lunghe e placide domeniche, seduta nell’orticello, mentre il loro -padre fumava nella pipa, in silenzio, seduto un po’ più in là sulla -sedia alquanto arrovesciata all’indietro, contro il muro... Di tutto, -di tutto si ricordava; tutto si svegliava nel suo cuore al cicaleccio -pio che riempiva le solitudini azzurre: e certi effetti di luce su -certe pareti, e l’odor dei fiori che sfogliavano per le processioni; -una coppia di tortorelle, e un quadro antico della Vergine, e delle -ghirlande di crisantemi intrecciate insieme alla nonna in qualche -vespro piovigginoso, già freddo... Ma sopratutto della dolce Pasqua -casalinga che lasciava nella umile, queta dimora un cestellino di ova -colorite in rosso, un ramoscello d’olivo, e una serenità più limpida, -come dopo una buona pioggia. Dalle finestre spalancate al nuovo sole -s’udivano le campane, così, nel pomeriggio, mentre il babbo trinciava -l’agnello per la sua nidiata. Però le campane suonavano più raccolte, -più gravi, allora; che si fossero dimenticate di suonare così?... - -Ah no, eccolo, eccolo! Le campane infine scioglievano il classico -doppio, il saluto di più solenne esultanza, l’onore magno, reso -alla giornata regale che dileguava dopo aver dato il segnale della -resurrezione, lasciando sulle sue traccie la primavera. - -E la dolce pasqua casalinga, la pasqua che rinnovella i cuori come i -giardini, la pasqua dell’olivo e dell’acqua lustrale e del perdono, -passava memore e intangibile e vana su quell’anima sola, nell’ultimo -e largo saluto di gloria che si effondeva dall’austerità del rustico -campanile. Ma salutari lagrime scorrevano... - - - - -La scarpina di Cenerentola - - — _Honny soit_... — - - -All’udire suo marito che ordinava la carrozza per mezzanotte, Mimì si -rizzò un poco dalla poltrona lunga dov’era stesa accanto al caminetto, -fra le pelliccie e i cuscini, freddolosamente. - -— Dunque ci vai proprio? — gli chiese, appena scomparso il servo. -Ed aveva la voce stonata per la penosa emozione che le toglieva ogni -rimasuglio di speranza. - -— Ma sì, proprio, — rispose tranquillamente il crudele, senza levar -gli occhi dal giornale scelto a caso fra quelli che ingombravano il -tavolino. - -— E me lo dici così!?... — Mimì lo fissò ostinatamente coi begli occhi -larghi, infantili, pieni di lacrime, stiracchiando nervosa una nappina -del guanciale di felpa in cui affondava le spalle delicate. - -— Come dovrei dirtelo? Non lo sapevi già? se ne è parlato fin -troppo.... e anche un po’ vivacemente, mi pare. C’è bisogno che ti -ripeta, tesoro, che nelle piccole, come nelle grandi cose, quando ho -deciso, nessuno mi smuove dal mio proposito? È una dote o un difetto -essenziale del mio carattere.... - -La piccola Mimì sentì salirsi alle labbra una ressa di parole amare -e sprezzanti, ma non ne lasciò uscire neanche una. Si contentò di -coprirsi gli occhi con la mano. Dunque tutta la sua fine diplomazia -femminile, di cui aveva fatto spreco quella sera per trattenerlo, -era stata inutile! Dunque le sue carezze, le sue ingenue civetterie, -i suoi immaginosi pretesti, i discorsi piacevoli, i frizzi arguti, -le discussioni sull’arte, sostenute con tanto stento per un unico -fine, tutto era stato vano; tutto dileguava innanzi alla fermezza -incrollabile di quell’uomo che aveva fissato di darle un dispiacere, -che temeva di perdere un briciolo della sua autorità facendole il -sacrifizio di una sera di carnevale, mostrandosi compiacente almeno -una volta con lei, povera donnina debole e amorosa, che non aveva -da rimproverarsi se non di amarlo sempre come nel giorno delle loro -nozze...! Era una crudeltà, una durezza, una barbarie inaudita! Tutta -la sua anima semplice e buona si ribellava, riboccante di amarezza e di -sconforto. Frattanto la piccola mano tornita che nascondeva gli occhi -tremava, la testa e le spalle avevano lievi guizzi convulsi, le lagrime -cascavano silenti una dopo l’altra fra i cuscini e le pelliccie. - -Egli la osservava ogni tanto, levando gli occhi dal giornale, con un -misto d’inquietudine e di noia; la osservava brevemente, lisciandosi la -barba bionda e fluente, nascondendo qualche impertinente sbadiglio. Gli -dispiaceva un poco di vederla piangere, povera piccina. Una vera bimba, -Mimì, piccola, mingherlina, rosea, ricciuta e... irragionevole. Non si -ritrovava la donna che nelle movenze aggraziate, in qualche intonazione -di voce triste e dolce, in qualche lampo dello sguardo. Egli l’aveva -amata così, la amava tuttora; ma a modo suo: senza sacrificarle -nessuna delle sue tendenze, delle sue abitudini, non curandosi di -approvarla o di disapprovarla, di pensare un momento se ciò ch’ella -gli chiedeva fosse giusto o meno. L’amava come una cosina leggiadra -e fragile; sorrideva dei suoi entusiasmi, delle sue esultanze, delle -sue allegrie chiassose; le donava un gingillo quando la vedeva triste; -la ammoniva freddamente delle sue inesperienze, severamente de’ suoi -capricci, come questo, per esempio, di scongiurarlo a rinunziare al -veglione. Silvio continuava a difendersi fra sè; a pensare che non -doveva lasciarsi imporre; che se avesse ceduto una volta era finita: -Mimì ne approfitterebbe subito per ritentare la prova fin che sarebbe -diventata la sua tiranna. Le donne sono così invadenti! Si provi a -conceder loro un palmo di terreno, esigono dei chilometri! Precisamente -come quell’astuto dio della mitologia indiana, che si rimpicciolì -per ottenere tre passi di regno; poi, a grazia fatta, divenne così -smisurato che in tre passi abbracciò terra e cielo e inferno.... Uh, -niente, niente: aveva fatto benissimo a mostrarsi incrollabile anche -per una cosa che a lui non importava affatto. Anzi, siccome ella -piangeva, ora, col fazzoletto agli occhi e pareva far pompa delle -sue lagrime, Silvio si alzò per andarsene. Non che temesse d’essere -intenerito da quelle lagrime, oh no; Silvio era un uomo forte; voleva -solamente levarsi da quella posizione ridicola e imbarazzante. Però -non volendo neanche parere un tiranno le si avvicinò e scherzosamente -le prese i polsi per forzarla a scoprire il viso; ma Mimì lo respinse -sdegnosa, singhiozzando addirittura. - -— Perchè non vieni anche tu? — disse allora lui in fretta, a scanso di -rimorsi. - -Inutile: Mimì scrollò le spalle e gli gridò dietro con la voce piena di -stizza e di lagrime: - -— Dimentica d’avere una moglie stasera... è il meglio che tu possa -fare... - -Silvio richiuse l’uscio dietro di sè con bel garbo; poichè non era -neppure un villano. Ma Mimì avrebbe preferito una sfuriata a quella -superiorità noncurante che la umiliava e la desolava. Doveva essere -trattata proprio sempre come una bimba? come un piccolo essere -inconcludente la cui volontà non merita neanche dr essere discussa? -come una scema? Che tristezza! che infamia! Si strinse la testa, tutta -a riccioli brevi e scomposti, fra i cuscini soffici, nel silenzio vuoto -che era rimasto dopo il tenue colpo dell’uscio che si richiudeva; -un silenzio vuoto, freddo, indifferente, malinconico, in cui le si -addentrava di più quella spina nel cuore. - -«Perchè non vieni?» le aveva chiesto Silvio. Ma perchè non dirglielo -prima? E perchè ripeterle invece tutta la giornata che le signore per -bene non vanno al veglione? Certo era per questo che Silvio ci teneva -tanto!... Ah, povera Mimì! - -Anche i gingilli e i mobilucci, che conoscevano le sue manine sapienti -e lievi, parevano compiangerla e avvilupparla d’un’intima tenerezza, -nella luce tranquilla della lampada dal paralume color di rosa. Ma ella -con gli occhi foschi, rigida, covava il suo rancore. - -Ah se avesse osato!... Nei romanzi e nelle novelle si trovano le -mogli che sguizzano al veglione per sorprendere i mariti infedeli; ma -nella vita è un altro paio di maniche. Come procurarsi un abito e un -cavaliere a quell’ora?... E il coraggio per pigliare una risoluzione -così ardita?.... - -Pure, che sollievo, che acre voluttà misurare l’estensione della -propria sciagura e drizzarsi davanti all’indegno come una apparizione -di dolore, e atterrirlo, e annientarlo, e svergognarlo, e lapidarlo -di rimproveri, e ridurlo nell’incapacità di scolparsi e di difendersi, -e vederlo rodersi di rabbia e... di rimorso! Invece, nulla! Conveniva -invece che lei si rodesse d’impotenza e di dubbio, accanto al fuoco, -sola, come una Cenerentola.... - -.... Belle fantasie gemmate, colorite e luminose affollate di fate -e di principi! Fosse venuta anche da lei la fata-madrina a farle una -carrozza dorata di una zucca, e sei cavalli grigio-rasati di sei topi, -e due paggi di due lucertoline; a renderla incognita e splendida! Come -l’avrebbe ringraziata la piccola Mimì!.... - -Ma la fata non veniva, ed ella rimaneva accanto al fuoco, dolente; e -si sentiva ben più mesta e povera della bella ignorante fanciulla che -rigovernava le stoviglie fra la cenere del focolare: più mesta e più -misera di Cenerentola, malgrado le pelliccie, e i cuscini di seta, e -gli orecchini di brillanti; poichè il suo Principe innamorato le era -appena apparso che lo perdeva per sempre. - -Pensando così alla fiaba, Mimì si guardava malinconicamente i piedini -giacenti fra le pelliccie della poltrona lunga, i piedini arcuati, -sottili, minuscoli nelle calze di seta nera e così ben calzati dalle -scarpette scollate a fibbia severa: stile Luigi XVI. Erano il suo vanto -quei piccoli piedi che avevano una tradizione gloriosa d’ammirazioni, -d’invidie, e di.... baci, un tempo! Ma quel tempo era passato, era già -lontano, svaniva già nella nebulosa dei ricordi. E dire che era appena -scoccato il primo anniversario delle loro nozze! Che sgomento! - -Intanto per le contrazioni nervose dei piedini mèmori, una scarpa -elegante era sfuggita sul tappeto del pavimento. Mimì la guardò -appena, così affranta come era, e immerse il piede libero fra la folta -pelliccia, asciugandosi per l’ultima volta gli occhi col fazzoletto -ch’era divenuto una spugna. Non li poteva tener più aperti gli occhi; -le bruciavano tanto! aveva tanto pianto! Anche la testa ora le ardeva -e le doleva un poco, e tutti i suoi nervi, a lungo tesi ed eccitati, -si rilasciavano gradatamente, abbandonandola ad una prostrazione quasi -dolce. Si aggiustò meglio fra i cuscini di felpa con un movimento -amoroso e inconsciamente civettuolo, un movimento di micio o di bimbo -che vuol essere carezzato. Anche lei pareva domandare una carezza a -quei cuscini morbidi e un rifugio a quel tepore molle di nido. - - * - * * - -Come le era venuto tutto il coraggio per la grande impresa?.... Dove -aveva trovato quell’ampio domino nero, che la nascondeva così bene? -E chi l’accompagnava?... Se ne ricordava forse, Mimì? Poteva pensarci -nello strazio in cui si dibatteva l’anima sua in quell’orribile notte -infernale? Che confusione, che caldo, che frastuono, che volgarità! -quel caos di gente e di colori, che le si stringeva addosso soffocando -la sua personcina, la spauriva; quella ridda vorticosa, urlante, le -dava vertigini dolorose. Serrandosi al suo compagno per sottrarsi agli -urti, agli scherzi, alle mani di quella folla ubriaca, non distoglieva -lo sguardo da un palco dove suo marito, il suo Silvio, beveva -sciampagna accanto ad una procace «Follìa» dai biondi capelli disciolti -sulle spalle nude. Che orrendo martirio!.... Aveva singhiozzato e -riso sotto la maschera, aveva invocato Dio, inveito... ella, così -mite e buona! E il suo strano compagno rimaneva muto, impassibile, -misterioso, senza pensare a calmarla, a darle un po’ di coraggio o di -rassegnazione. Un contegno inesplicabile che la esasperava di più.... - -.... Poi s’era messa a cercare quel palco affannosamente, inutilmente; -aveva errato lungo i corridoi interminabili, involuti e semibui come -catacombe; aveva raccolto tutte le sue forze per chiamarlo — una -pazzia! — per gridare quel nome, e nessun suono usciva dalle sue labbra -aride — una strana impotenza di voce che la strozzava.... - -.... Ah, finalmente, eccolo! eccolo con lei, l’indegno! lo spergiuro! -Finalmente ella potè sciogliere l’orribile groppo, sollevare il -suo cuoricino ferito con quel torrente caldo, vivo, abbondante, -inestinguibile, furioso, di parole amare e ardenti che fluivano -spontanee, alimentate dalla disperazione e dall’amore. Ed ora fuggire -lontano, per sempre, non vederlo mai più. - -.... Correva addirittura, trascinando il suo muto cavaliere, lungo i -corridoi, lungo le scale, attraverso l’atrio, correva zoppicando poichè -aveva perso una scarpina.... Che freddo al piede.... Ma che importa? -L’essenziale era di fuggire, di fuggire, di fuggire.... - - * - * * - -Silvio tornò a casa dopo un’ora. Gli era bastato compier l’atto -d’autorità libera e assoluta presso sua moglie e sentirsi sempre capace -di quell’incrollabilità di propositi che era la sua gloria. S’era -molto seccato a quel veglione più stupido degli altri; ed entrando nel -salotto gaio, luminoso e tranquillo, nel tepore dopo il freddo aspro -della via, provò una sensazione di piacere, quasi di sollievo. Mimì -dormiva nella poltrona-lunga, fra le pelliccie, accanto al fuoco quasi -spento. Proprio come una bimba bizzosa! La contemplò un poco alla luce -mite della lampada velata di rosa. Era pallida, scarmigliata; aveva -le palpebre livide e le sopracciglia ancora lievemente aggrottate. -Sul tappeto del pavimento biancheggiava il fazzoletto di lei; Silvio -lo raccolse, era umido di lagrime. Intanto vide anche una delle -eleganti scarpette alla Luigi XVI giacere abbandonata... Un vero campo -di battaglia. Qualche crisi nervosa, forse.... Sentì un tantino di -rimorso... cioè rimorso, no, non sarebbe il caso! dì rammarico, via; -poichè non era proprio un tiranno, sebbene quella grullina con le sue -scene tragiche tentasse di farlo credere. - -Non l’aveva mai veduta così desolata... che follìa!... Se avesse -a soffrirne poi? Era così piccina, così fragile... Le toccò il -piedino scalzo; — lo sentì di ghiaccio e lo ricoperse con un lembo di -pelliccia, accuratamente. Certo non c’era un’altra donna al mondo con -un paio di piedini uguali... Quante dolci pazzie gli avevano fatto -commettere! Quella scarpetta pareva quella d’una bimba, d’una fata, di -Cenerentola; proprio: la scarpina di Cenerentola. Invogliava di empirla -di confetti, di fiori, di baci... - -Mimì mormorava parole inintelligibili, si agitò con inquietudine e finì -per rizzarsi di scatto, seduta, con gli occhi spalancati, non ancora -ben desta. - -— Sei tu, Silvio! — balbettò, poi, vedendogli la sua scarpetta fra le -mani, continuò smarrita: — Ma dunque era vero... l’ho persa proprio al -veglione.... - -— Sì, — disse Silvio ridendo, indovinando. Sei stata al veglione nella -carrozza della fata Mab.... - -E s’inginocchiò cavallerescamente a’ suoi piedi. - -— Ti ricordi la fiaba di Cenerentola? - -«.... La signorina dimenticò ciò che la madrina le aveva raccomandato, -di guisa che udì battere il primo tocco di mezzanotte, quando credeva -che non fossero ancora le undici. - -«Si alzò e scappò via come una gazzella; il principe la seguì e non -potè raggiungerla, ma essa lasciò cadere una scarpettina di vetro che -il principe innamorato raccolse e serbò. - -«Era una scarpina così piccola, — seguitò Silvio quasi ridente, in un -tono affettuosamente tenero, — così microscopica, che non andava bene -a nessuna donna. Finalmente vennero a provarla a Cenerentola che stava -sola accanto al fuoco.» - -Cenerentola-Mimì si prestava male a quel gioco, così impermalita come -era. Pure allungò a Silvio il piccolo piede che aspettava d’essere -calzato. Ma il Principe-amante, questa volta, invece di mettere una -scarpetta tolse anche l’altra, e in quell’attitudine d’amore e di -penitenza le coprì i piedini di baci. - - - - -Romanze senza parole. - - _List! Spirits speak!_ - - -I. - -MATTUTINO. - -La camera è piccola, bianca, tutta bianca; velata di bianco al letto, -alle finestre socchiuse da cui entra il pallore dell’alba. Pochi -mobili, fragili, leggieri, sgombri. Su una pelle d’ermellino a piè -del letto langue un mazzetto di viole; nel letto riposa un piccolo -essere: una bimba, un fanciullo, una giovinetta: un viso roseo, una -testa bionda; l’espressione è cancellata dall’abbandono del sonno, -le palpebre velano l’anima. Nell’angolo più oscuro qualche cosa di -massiccio, di cupo, di enorme si determina in quella tenuità; qualche -cosa che s’agita, che vive in quel mistero blando. Sono due gattini che -ruzzano su un antico seggiolone di cuoio. Due gattini color di nebbia, -dagli occhi di turchese che si provocano, s’assaliscono, si rincorrono, -si guatano con delle mosse inconsulte, grottesche; ignoranti la loro -stessa volontà; comici nella leggiadra del nastro rosso troppo largo -di cui hanno ornato il collo e che all’uno di essi è passato sotto -il mento come una cravatta in caricatura; piccoli e deboli nell’ampio -seggiolone austero che parla di forza e di grandezza. - -L’alba inoltra una luce incolore nella stanza; quella giovinezza bionda -respira placidamente, ritmicamente nell’incoscienza della vita. Uno -dei gattini, nella vivacità irreflessiva delle mosse, è caduto dentro -una scarpetta abbandonata ai piedi della poltrona e di là incrocia lo -sguardo con l’avversario, che sosta sul limite del sedile guardando in -giù con commiserazione profonda. Gioco, riposo, raccoglimento, candore, -gracilità nella piccola stanza che pare un’oasi d’avvenire, dove il -passato veglia in un canto, nell’ombra, solo come una sicurezza, un -augurio. - -L’aurora rosata è imminente nella camera bianca, tutta bianca. Fuor -dei vetri pispigliano gli augelli su un ramo di mandorlo in fiore e -tintinna il mattutino. - -L’uno dei gattini mordicchia il nastro della scarpetta con una specie -di voluttà; l’altro è sceso dal seggiolone, e coi movimenti snelli -e feroci di una giovane tigre, si balocca con le viole morte fra -l’ermellino.... - - -II. - -MERIGGIO. - -Sulla stesa aromatica, molle, di fieno falciato, la giovine sposa ha -dimenticato o gettato il suo ombrellino purpureo, tutto aperto come -un calice sotto il sollione, tutto fiammeggiante come un’ara accesa. -Una sciarpa di seta morbida e profumata e un piccolo volume di versi -d’amore paiono ardere dentro l’ombrellino come in olocausto, e nella -breve ombra serica, al di fuori, giacciono cuori dorati di margherite -spirate in un’ultima parola di passione. - -La giovine sposa non era sola. Una canna d’èbano è confitta lì -accanto, vigile e altera, simile ad una piccola antenna; il manico -d’argento fino sfavilla al sole. Così il gentile trofeo glorioso vive -e s’infiamma nella calda luce meridiana, mentre tutte le campane si -ripetono festosamente il saluto dell’ora feconda, mentre l’animuccia -fragrante di mille fiori falciati s’invola dalle invisibili bocche -moribonde nell’umido tepore della terra, e più innanzi un campo di -grano, già raso e ancora biondo, sorregge i fasci della pingue messe, -e una nidiata novella cinguetta fra i rami frondosi d’un olmo, e due -farfalle tardive, dalle tinte calde, si rincorrono per distruggersi in -un baleno d’amore. - -Poi, all’improvviso, una folata di vento del Sud; una nube nera, la -voce del tuono come un comando del destino; ed ecco il libro svolgere -le pagine affannosamente e non quetarsi che a un canto di morte; -ecco la fragile antenna oscillare, ecco la sciarpa candida sospinta -irreparabilmente verso una siepe di spine; ecco una mandra di puledri -inebriati, folli, passare sul gentile trofeo, lacerando, schiantando. - - -III. - -VESPRO. - -Dall’alto pendono grappoli d’uva di un fosco e tranquillo color di -rubino. La vite, l’antica vite, riveste tutto il pergolato che si apre -ad archi sull’orticello regolare, solitario. Ai lati dell’estremo lembo -di sentiero che conduce dritto al pergolato, due aiuole di radicchio -furono sacrificate e coltivate a fiori, i buoni ed ignoranti fiori -degli orti, dalle tinte cariche passate di moda, dal profumo sgarbato o -sgradevole. - -Qualche rosaio piantato qua e là simmetricamente, ancora fiorito di -alcune rose che non corrotte dalla soverchia civiltà hanno a gloria -di non aggiungere titoli al loro nome e al loro colore che ha un -patrimonio secolare di madrigali e di canzoni — ai loro piedi si stende -il basilico aromatico che sa i drammi delle povere stanze, e la lavanda -misteriosa che sa i segreti della notte di San Giovanni, e la minuscola -maggiorana, eternamente infantile. Più oltre, cespi di garofano plebeo -paiono raccontare gli idillî grossolani della scorsa estate, e due -piante di gigli pensano al fiore assente, appassito fra le mani ceree -di una monaca morta o fra i lumi di un altare consacrato a Maria; -mentre i girasoli privi dell’ansiosa pupilla d’oro sembrano averla -chiusa finalmente in una stanca rassegnazione. - -Un’aura mista di verità e di favola spira nell’orticello solitario; -una giovialità antica e innocente di epigrammi e di allegorie; mentre -sulle nubi fioccose intinte nel tramonto, par di veder passar adagiata -qualche deità dell’Olimpo migrante verso dolci nozze. - -Sotto il pergolato c’è una sedia a bracciuoli dalle curve d’una -arretrata eleganza, e un tavolino dai bordi rialzati tutt’intorno, -previdentemente, come una tenue arginatura. Il queto recesso verde è -deserto per poco: sul tavolino Ella ha posato, senza piegarla, la calza -incominciata coi ferri irti, provocanti e insidiosi come un piccolo -arnese di guerra montato per un assalto; il gomitolo è ruzzolato in un -angolo e sarebbe caduto senza la provvida sponda; il libro ascetico, -in cui ella leggeva placide meditazioni, è rimasto aperto sotto i suoi -occhiali levati in fretta; la bellissima tabacchiera dalla miniatura -inghirlandata di diamanti, ch’essa nasconde sempre come una vergogna, -è pure dimenticata sul tavolino, ed anche una delle sue manopole -di lana nera. Sulla spalliera della seggiola è rigettato lo scialle -bigio. S’ella lo vedesse lambire il terreno umidiccio! Qualchecosa di -estremamente dolce o di estremamente triste l’ha chiamata. - -Il sole scende pomposo dietro i pioppi in una atmosfera di polvere -d’oro, accompagnato dagli addii dei bronzi di un vecchio campanile, non -mesti, ma gloriosi, come dopo una bella e buona opera coraggiosamente -compiuta. Nella lor bonaria esultanza le antiche campane giungono -perfino a ricordare ritmi e arie di danze perdute che udirono nella -loro gioventù. Così non si affliggono della fine dell’oggi, poichè -entrano nell’ombra celebrando la vigilia dell’indomani. - -Un’allodola invisibile canta un epitalamio nelle regioni radiose. Una -schifosa lumaca tenta il passaggio della tabacchiera. - - -IV. - -CREPUSCOLO. - -L’ombra della angusta cappella è rotta appena dalle due lampade -veneziane di ferro, a vetri rossi, appese dinanzi all’altare. Fuori, -la neve turbina nell’aquilone diaccio e si ammonticchia sul davanzale -dell’alta finestra contro i piccoli vetri rotondi, imbiancando la -luce come un’alba; il vento ulula, sbatte e flagella, ma nell’interno -regnano supremi il silenzio e l’immobilità. L’altare verdeggia -cupamente di semprevivi, ma dai gradini sale e si effonde un’acuta -fragranza di giacinti e di viole da un indistinto cespite. - -Una forma si agita sull’inginocchiatoio e si queta. - -Subito una folata violenta si ingolfa e spalanca i vetri dell’antica -finestra, come per dar adito a qualche cosa di spirtale. Le lampade -oscillano — i semprevivi rabbrividiscono; un rosario penzolante -dall’inginocchiatoio ondeggia: si discerne ora nel nuovo chiarore una -gran ghirlanda di giacinti e di viole a piè dell’altare e una forma -umana raccolta in una pelliccia, prostrata, col volto nascosto fra le -braccia immobilmente. La neve entra dalla finestra e fiocca lenta e -lieve sul pavimento; il vento spegne le lampade, arriccia i merletti -dell’altare, sbatacchia rabbiosamente il rosario contro il legno -dell’inginocchiatoio, disperde il profumo dei fiori, intirizzisce. - -Tutto si lamenta o si ribella, eccetto la forma umana prostrata -sull’inginocchiatoio, eccetto una lastra di marmo, dirimpetto alla -finestra, che sta pallida e forte sotto il flagello della bufera. Nel -chiarore nivale si legge su quella lastra: _Pax_. - - - - -Crisantèmi - - -Il giardiniere entrò senza troppi riguardi nella stanzaccia di sgombero -che non aveva divani nè tappeti; ma appena vide che c’era la signorina, -si fermò impacciato e confuso d’essersi arrischiato fin là con gli -scarponi motosi e la giacca di bordato. Credeva di non trovare nessuno, -tutt’al piú la cameriera. Si scusò. - -— Chè, chè, vieni pure, Cencio! — disse allegra la signorina, da quella -buona figliuola che era. — M’hai portato i fiori, eh? bravo! — E gli -levò di mano senza tanti complimenti il gran paniere di vimini, dove -s’affastellavano malinconici e stillanti i crisantemi. E il giardiniere -non aveva ancora richiuso l’uscio dietro di sè, che le sue mani -impazienti li avevano già sparpagliati sulla tavola quadrata, nel vano -della finestra, in una tepida ondata di sole. - -— Così — mormorò, arrampicandosi più che sedendosi sull’enorme -seggiolone di cuoio usato, da cui scappavano bioccoli di crine; e cercò -le forbici e il gomitolo sotto i fiori. - -Quel seggiolone rococò e la tavola quadrata a bordi rialzati, intorno -a cui correva una laminetta d’ottone arrugginita, avevano appartenuto -alla nonna; poi, lei morta, erano stati relegati fra i vecchiumi -nella stanzaccia di sgombero nuda e bianca, sempre inondata di sole; -dove la signorina sgusciava spesso per frugare nei cassettoni zoppi o -nei ripostigli dell’armadietto dalle tendine verdi, in cui scopriva -sempre nuove bricciche curiose. Aveva trovato un vecchio almanacco -che conteneva qualche sonetto del nonno; un passaporto ingiallito, -dov’erano i connotati della nonna giovine; un pettine istoriato, -qualche centimetro di trina antica, qualche ritaglio di damasco per -i suoi lavorucci; perfino un ricamo a fiamme sbiadito, di cui aveva -rivestito la cartella della sua scrivania. Intanto nella stanzaccia -poteva cantare a pieni polmoni, e non quelle stucchevoli romanze a cui -la condannava la mamma; cantare come piaceva a lei; musica e parole -di sua fantasia, secondo le salivano dall’anima alle labbra; melodie -e pensieri appassionati o gioiosi in una limpida e bizzarra vena -inesauribile di rosignuolo. Anche, perchè negarlo? ci veniva volontieri -per la ragione che dalla grande finestra, spalancata sempre all’aria e -al sole, si scorgeva benissimo il lembo verde d’un giardino signorile, -dove, a certe ore del giorno, si vedevano eseguire esercizi ginnastici -sulle sbarre o sull’altalena due o tre monellucci snelli e agili come -funamboli. Erano i cugini della signorina. - -Però in quel momento il lembo di giardino rimaneva deserto col suo -gruppo di semprevivi cupi che dondolavano le vette nella mitezza del -sole autunnale, come vecchioni crogiolantisi a un tepore di stufa -semispenta; nè la signorina pareva curarsene menomamente, intenta come -era a raggruppare i crisantemi, non sollevando mai il capo, se non -per lanciare qualche occhiata fuggevole contro la parete dirimpetto, -dove fra due o tre gabbie rotte, un paravento, uno scaffale e una -vecchia bandiera c’era una seggiola sfondata e su quella un ritratto -a olio della nonna, che la guardava, voltando un poco il capo, col -suo sorriso tranquillo e indulgente di vecchietta buona. La fanciulla -proseguiva lesta l’opera gentile in quell’onda calda, abbagliante, -di sole, che pareva insultare alla rovina austera del suo seggiolone -rococò e stemperare nella fulgidezza aurea la personcina di lei, così -tenue e delicata, quasi diafana, col visino e le mani trasparenti di -biancore anemico, i capelli luminosamente biondi, le ciglia d’oro, -come raggi sottili, intorno all’azzurro intenso dei suoi occhi in cui -vagava sempre e solamente un riso gaio ed inconscio di giovinezza. -I crisantemi smorti, i tristi figli della vecchia stagione vizza e -stanca, rifiorivano sotto la carezza del sole, sotto le agili dita che -li avvincevano sapientemente. E i piccoli mazzi s’allineavano lungo i -bordi rialzati della vecchia tavola; il bianco dominava, ma un bianco -gialliccio e senza profumo, che faceva pensare a una zitellona in veste -di sposa. Accanto al bianco il rosso, cupo, vellutato, un rosso arcigno -di tappezzeria; poi i crisantemi gialli, fiore e colore giapponese, -alla cui vista balena alla mente un _Mikado_ grottesco, adorato come -un dio fra gli splendori del paese più fantasioso del mondo. Infine i -crisantemi rosa, i più piccini e i più graziosi; il rosa d’un bottone -di margheritina, il rosa antico dell’abito della fanciulla nascosto dal -grembiule di batista che s’allacciava sulle spalle sotto due voluminose -coccarde di nastro e di trina, fra cui sortiva esile il suo collo nudo -e bianco di adolescente. - -Il saliscendi della vecchia porta, sollevato con un colpo secco, -smorzò uno stornello in gola alla signorina, che ebbe paura di vedersi -comparire la mamma o l’istitutrice, e trasalì. - -Invece comparì uno dei suoi cuginetti, i ginnastici. - -— Miracolo che ti si scova qui, Noemi! — esclamò con un gesto largo -il giovinetto, mingherlino e biondo come lei. — Dovresti addirittura -battezzarla per tuo salotto questa stanzaccia... Se i topi non ti -facessero la concorrenza, quasi, quasi... eh? - -Noemi sorrise tutta accesa, nel volto; nel collo e persino nelle mani, -da una vampata di sangue. - -— ... Si può sapere che cosa fai in quel seggiolone, dinanzi a quei -brutti fiori? Mi sembri una maga che distilli qualche filtro per le sue -stregherie... - -La signorina gli diede un buffetto sulle mani, che si stendevano -minacciose verso i crisantemi. - -— Sarebbe meglio che tu m’aiutassi, Aldo... - -— Che onore! E a far che? - -— È una ghirlanda per la povera nonna, — disse Noemi a mezza voce, -come gli confidasse un segreto; ma il cuginetto la guardò con le -sopracciglia inarcate in comica sorpresa. - -— Che vuoi che se ne faccia la nonna della tua brutta ghirlanda? La sua -tomba è piena di fiori! Stamattina le nostre mamme ne hanno mandato al -Camposanto una carrozza piena... - -— Fiori comperati, — osservò Noemi. — Non è la stessa cosa. Voglio che -la buona nonnetta abbia i fiori del suo vecchio giardino, intrecciati -da me. E glieli porterò io con miss Annie domattina... Sono tanto -brutti poi? Ti ricordi? la nonna amava i crisantemi... - -Aldo non rideva più. Prese un fiore e lo lasciò; poi un mazzetto, -e odorandolo guardò lei in un certo modo che la fece ammutolire. Ed -ella si vendicò di quella confusione e di quel nuovo rossore con una -spallucciata, come se Aldo la canzonasse. Intanto non finiva più di -avvoltolare il filo sugli steli riuniti d’un gruppo di crisantemi. - -— Dunque? — chiese il giovinetto con la voce tutta mutata e raddolcita -improvvisamente; — posso aiutarti? - -— Ma... sì! — rispose la signorina alzando gli occhi un po’ sorpresa. — -Cercati una seggiola... - -— Non è facile, non è facile... — canticchiò Aldo, girandosi da tutti -i lati. Intanto, ritto, sulla sedia sfondata, scorse il ritratto della -nonna, che guardava anche lui. - -— Ve’, ve’... chi ha messo là quel ritratto della nonna? - -— L’ho posato io là, ma per un momento. Scenderà nella mia camera. Era -in quel canterano carico di polvere e di ragnatele... - -— Somiglia poco... — osservò il cuginetto che s’affaticava a sbarazzare -uno sgabello da una cassetta di vecchi ferramenti e di utensili da -cucina fuori d’uso. — Ecco, guarda, Noemi... Ora tu sei la castellana, -io il tuo paggio, — le disse accomodandosi sull’alto sgabello di legno -scolpito, che aveva nettato alla meglio col fazzoletto. - -Erano una graziosa cosa quei due fanciulli nel sole che inondava libero -metà della cameraccia ingombra di vecchiumi, lei piccina e sottile, una -figurina a toni delicati che occupava poco spazio nel gran seggiolone -severo di cuoio; lui esile, aristocratico, sull’alto sgabello, con la -testa bionda, ondulata, curva sui fiori: lo stesso colore dei capelli -di lei, meno leggieri e più lucenti, la stessa tinta di carnagione -diafana, la stessa magrezza gentile delle membra adolescenti. Parevano -fratello e sorella. - -— _Dites, la jeune belle, — Où voulez vous aller?_... — cominciò a -cantare Aldo per rompere il silenzio. - -— Se ti figuri d’avere una bella voce... — mormorò la signorina, dando -una forbiciata agli steli troppo lunghi. - -Aldo riunì due fiori: — Così? — chiese umilmente; — va bene, così? - -— Copia quelli e non mi seccare! — rispose Noemi additandogli i -mazzetti allineati; — non sciupare tanto cotone e non tagliare i gambi -troppo corti... - -Ancora quello sguardo intenso, strano, quasi furtivo di lui, ed -ella riavvampò chinando il capo sui crisantemi. Poi, ad un rumore di -carrozza giù nella strada, Noemi balzò alla finestra. - -— Chi è, Noemi? - -— La contessa Sangiorgi.... Quante visite ha oggi la mamma! - -Aldo schiuse le labbra. Voleva dire: — Meglio! — ma si trattenne. - -— Com’è che non ti chiama in salotto? - -— L’ho pregata di lasciarmi in pace oggi, perchè dovevo fare la lezione -inglese di due giorni. - -— Ah! — Aldo le lanciò un’occhiata di sottecchi, sorridendo -maliziosamente con una dolcezza segreta, come se quella bugia li -riunisse in una complicità ch’egli vagheggiò satura dei romanzeschi -misteri d’un convegno d’amore. - -Noemi tornò al suo posto sul seggiolone respirando con un — ah! — -prolungato, il sole e la luce. - -— .... perchè, se la mamma sapesse che sono qui, — continuò come -scusandosi del suo sotterfugio, — mi sgriderebbe di perdere il tempo, -di tenere spalancata la finestra, di stare al sole.... io che l’adoro -il sole! Vediamo che fai.... Sì, non c’è male, non credevo.... Ora -continua tu a fare i mazzi, io comincerò a riunirli in ghirlanda. - -Aldo continuò a fare i mazzi senza parlare. Sentiva il cuore -traboccargli di soavità, e quella soavità scorrergli per tutte le -fibre in una vita nuova che gli donava slanci, aspirazioni, desiderii -indefiniti, ma alti e grandiosi. Nulla gli pareva impossibile -o difficile nella mite ebbrezza di quell’ora; rinveniva in sè -l’entusiasmo d’un apostolo e la stoffa d’un eroe, e non gli riusciva di -spiegarsi perchè. Noemi canterellava o lo stuzzicava motteggiandolo. Ma -anche lei quel giorno aveva certi turbamenti strani negli atti e nella -voce, e molti rossori importuni. Poi, nel suo intimo, un eccitamento -insolito, come quando si aspetta una felicità promessa e desiderata; un -lieve eccitamento ricascante ad intervalli in una specie di melanconia -che le dava voglia di piangere. Soffriva; pure non avrebbe rinunziato -al diletto segreto di quella sofferenza, che le rivelava vagamente e -nebulosamente il perchè della vita. - -Presto i mazzolini furono tutti pronti e la ghirlanda arrivò a metà -fra le sue dita destre; Aldo, rimasto in ozio, si mise a incidere colla -punta delle forbici una iniziale sul tavolino. - -— Ma che passatempi da monello! — sgridò Noemi debolmente, poichè aveva -indovinato e veduto quel bell’_enne_ che si sviluppava. Egli sorridendo -imperterrito lo compì e vi intrecciò bizzarramente un _A_. La signorina -seguitò zitta e mogia la sua ghirlanda, ascoltando i battiti violenti -del suo piccolo cuore. - -— È la tavola vecchia della nonna, questa tavola, dì.... Noemi?.... - -— .... Sì. — Aveva tardato a rispondergli, perchè le si dilagava ancora -nel cuoricino palpitante la dolcezza inattesa che le aveva procurato il -suo nome profferito da lui. - -— Me ne ricordo.... — sospirò Aldo continuando sempre nella sua -artistica barbarie, che ora gli ispirava un cuore passato da un dardo. -— Quante volte, da piccoli, vi abbiamo ruzzolato su i gomitoli, te -ne ricordi, Noemi? La nonna ci lasciava fare, poichè i gomitoli non -cadevano, imprigionati fra i bordi rialzati. A noi pareva una tavola dà -bigliardo. - -— .... Sì — disse ancora dolcemente lei. Poi esitando gli domandò -le forbici, che Aldo le presentò con un atto cavalleresco, un riso -luminoso ed eloquente negli occhi e sulle labbra schiuse. — Aspetta, -aspetta, son qua per aiutarti, — soggiunse con un’adorabile inflessione -di protezione affettuosa nella voce, vedendo che le proporzioni della -ghirlanda incominciavano ad impicciarla sul serio. E ne sollevò un -lembo reggendolo. — Quasi, ti soffoca, — mormorò col medesimo sorriso e -sullo stesso tono. - -— Grazie, — aveva detto Noemi. — È quasi finita, — aggiunse ora, -malinconica; ed Aldo trasse un sospirone che le carezzò tepidamente -il viso. Non parlavano quasi più, assorti nella loro vita interna -tutta di sensazioni così rapide e nuove e intense, ch’era divenuta -una pena. Egli stava rubando furtivamente alla ghirlanda un crisantemo -rosa, piccino, dal cuore giallo come una margherita, poi con un atto -riguardoso e delicato passò il fiore fra le trine del grembiule di lei. - -A Noemi ricascarono le mani in grembo. Seria, muta, tremante, ella -seguì con lo sguardo le dita di Aldo, e negli azzurri occhi, non più -ridenti, vagava una soave tristezza come se l’anima sua fosse conscia -di sprigionarsi dall’ombra della queta notte senza sogni, e per sempre. -Nel silenzio affannoso, pieno di palpiti, ella alla sua volta trasse -dalla ghirlanda un altro crisantemo rosa, per lui. Ma mentre le sue -manine un po’ tremanti tentavano di fissarlo al colletto dell’abito -del suo compagno, Aldo le prese i polsi, la attirò, e un bacio -innocentemente ardente riunì i loro capelli biondi su quei fiori dei -morti, nella tepida ondata di sole. - -La nonna li guardava dal ritratto sorridendo. - - - - -Dietro le scene. - - -— Che? te ne vai, Carmelita? — disse col rammarico negli occhi e nella -voce donna Luisa alla contessa, trattenendola per le mani; — te ne -vai proprio all’ora del mio «_five o’ clock tea_?» Bada, sarei capace -d’impermalirmi come Turiddu quando compar Alfio si rifiutò di bere -il suo vino! — aggiunse in tono leggero di scherzo, poichè avevano -chiacchierato sino allora nel salotto della Cavalleria Rusticana. - -— Mi rincrescerebbe, tanto più che a me è interdetto quel famoso «_a -piacer vostro_» che fa sempre tanto effetto, — ribattè la contessa -Carmela, sorridendo tranquilla, mentre seguiva lo scherzo con la sua -voce fievole. — Non posso mettermi a tua disposizione dacchè parto -domani.... - -— È per domani irrevocabilmente, contessa? — deplorò il galante -capitano Olimene. - -— Sì, — disse solamente lei, che appariva alta e pallida nel suo abito -nero. - -— E.... non tornerai tanto presto, forse? — chiese con un’ansia non -benissimo dissimulata, la voce melodiosa di donna Luisa. - -— Non si torna tanto presto dall’Oriente, — rispose la contessa con la -più perfetta naturalezza. — Quando poi s’ha a compagno di viaggio un -viaggiatore esperto e spietato come mio zio che è capace di non farmi -grazia nè d’un minareto nè d’una moschea... - -— Perchè mai la contessa Sanlorenzo veste sempre di nero da un mese -in qua? — chiedeva ingenuamente dal suo cantuccio la nipotina del -commendatore alla sua vicina. — È forse in lutto? - -— Forse, — rispose l’altra, a cui scintillavano due occhietti -maliziosi; poi, vedendosi osservata dal marchese Arturi, soffocò uno -scoppio di tosse nel fazzoletto, arrossendo un poco. - -— Il nero le sta molto bene, la ringiovanisce, — seguitò l’altra -ammirando coi suoi placidi occhi chiari la figura svelta della contessa -Carmela che si disegnava severamente sullo sfondo artistico d’un arazzo -luccicante di fili d’oro, e il viso pallido, ancor più pallido e fine -sotto la tesa del gran cappello a penne di struzzo fra cui scintillava -un fermaglio di vecchi diamanti. - -— Ah... quando è così poi... non ho coraggio di trattenerti, — diceva -ora donna Luisa perfidamente bella, piegando il capo di Ebe giovinetta, -con quel movimento civettuolo che faceva perder la testa ai suoi -adoratori; — trattandosi di un pranzo scientifico-letterario, e un -pranzo d’addio, poi... Una cosa commovente.... Già mi ruberai qualche -amico stasera, il professor Lapi, Modesti, Farigliano, non è vero? Cino -De Romei... — continuò disinvolta, figgendo gli occhi ingenui in quelli -dell’amica con raffinata crudeltà. - -— Cino De Romei replicò la contessa tranquillamente, senza che la -menoma contrazione del volto tradisse le sue sensazioni. Per essere -ammessi a questa categoria dei miei pranzi bisogna avere l’età come per -essere eletti senatori.... - -— Ma i suoi amici sono davvero _eletti_, — mormorò Olimene; — beati -loro... - -— Oh, non li invidii troppo, capitano. Sono i privilegi dell’autunno, -della stagione dei frutti.... - -— Proibiti, — mormorò un freddurista ostinato che si nascondeva fra un -vaso del Giappone e una giardiniera di rose. - -— Addio, dunque, bella. Portami un paio di pantofoline dal tuo Oriente, -— concluse allegra donna Luisa; e le due signore si baciarono, mentre -la signorina dagli occhi maliziosi canticchiava sottovoce guardandosi -la punta delle scarpette: - -«Compar Turiddu, avete morso a buono... c’intenderemo bene; a quel che -pare!...» - -La contessa Carmela Sanlorenzo si congedava dagli altri con una -graziosa parola e un sorriso per ognuno. Si era animata; pareva -intimamente soddisfatta del suo viaggio in oriente; ma un momento in -cui il sorriso cessò, i suoi occhi ebbero un lampo di luce sinistra e -il suo volto un’espressione di odio e di dolore. Non fu che un attimo: -prima d’uscire mostrò ancora in un ultimo saluto leggiadro e dignitoso -il suo sorriso sereno, come sempre. - -Il servo la seguì per la fila dei salotti, nell’anticamera, e -incominciò a scendere dopo di lei, da un lato del largo scalone ornato -di cactus e di palmizî. Ella prese a scendere lentamente, con pena, -gli scalini nascosti dallo spesso tappeto. Il sorriso era sparito; -tornava l’espressione dolorosa del volto, la luce fosca negli occhi -grandi e neri cerchiati d’ombra, a cui s’aggiungeva un abbandono -stanco della persona che la invecchiava, ora, di dieci anni. Scendeva; -gli abiti scivolavano giù dagli scalini dietro la sua persona con un -lieve fruscìo; il suo piccolo piede si posava quasi incerto sul liscio -tappeto, la mano stringeva convulsamente il manico dell’ombrellino -finamente intarsiato d’argento. Scendeva. Allo svoltare della scala, -sul pianerottolo, dietro un gruppo di camelie, s’incontrò faccia a -faccia con un uomo che saliva. Era Cino De Romei. - -Si salutarono: ella col suo semplice e grazioso cenno del capo, egli -mettendosi in disparte, per lasciarla passare, con un inchino e una -premura alquanto esagerati. Fu tutto; nè l’uno nè l’altra udirono -il suono delle loro voci: egli continuò a salire a testa alta; ella -a discendere a capo chino, serrando come in una morsa il manico -dell’ombrellino intarsiato d’argento. - -La contessa Carmela Sanlorenzo continuò a scendere e pensava: — Ecco -così, — pensava — ci siamo incontrati a uno svolto del cammino; così. -Io discendevo già la vita col mio fardello di amarezze; lui saliva con -la speranza che gli dava le ali. Abbiamo sostato un momento; poi lui -ha ripreso a salire, io a discendere come prima, più stanca di prima, -poichè neanche l’amicizia sua mi conforta più, divenuta impossibile, -oramai, come una vergognosa transazione o come un’ipocrisia... Dunque -più nulla: dunque dimenticare. Dimenticare tutto, dalle ore più -soavi in cui l’amore non era ancora che un benessere affascinante, -dolcissimo e ignoto, che avviluppava entrambi e che dava un’intonazione -lieta ai discorsi e alle cose più futili; alle ore tempestose del -desiderio e della passione...: dimenticare le buone serate che abbiamo -passate nel mio salottino di studio, serate di lavoro coscienzioso -che credevamo di prendere tutti due sul serio... Egli mi leggeva i -suoi versi bellissimi, io i miei, molto mediocri, ma in cui diceva di -trovare una finezza e una percezione profonda... Pure, siamo giusti: -avevo incominciato in buona fede, la mia parte di amica saggia, -di consiglierà, di mamma... Non fui io la prima a cambiar scena. -Animandolo a venire da me a correggere i suoi lavori e a farsi aiutare -a riordinare quel caos di foglietti volanti, pensavo proprio solamente -di rendergli un servizio da amica vera, di offrirgli il mezzo che -cercava per sottrarsi alle mille distrazioni oziose che lo tentavano, -che lo attiravano suo malgrado e gli vuotavano il cervello e gli -inaridivano il cuore. Era una dolcezza accogliere le sue confidenze, -le sue confessioni, le sue speranze: sgridarlo, consigliarlo, -animarlo... una dolcezza sempre più viva, sempre più profonda, sempre -più invadente, finchè l’anima mia ne divenne satura e non vissi più che -per lui... Quando non mi rimase più forza per fargli intendere ragione, -si sommerse la rigida barriera dei quindici anni che ci separano, e -invece del giovine poeta e della signora matura, si trovarono faccia -a faccia due innamorati... ecco tutto. Ma la commedia è finita; io -riprendo la mia parte di madre-nobile, egli recita da amoroso con una -nuova attrice, veramente giovine questa volta. Non mi resta dunque che -benedirli e andarmene a recitare altrove, e con più coerenza, un’altra -parte di madre-nobile. - -— Come è cangiata Carmelita; — pensava Cino De’ Romei continuando a -salire le scale a testa alta con una luminosità di trionfo negli occhi: -— oggi ha tutto l’aspetto di una signora matura. Fui il gran pazzo... -Meritava proprio di bruciarsi il sangue di passione per un anno, -di commettere tante follie, di gettare alla morte e all’infinito la -sfida audace della felicità e dell’amore per arrivare, incontrandoci, -a salutarci appena, come due estranei... Peccato! una bella amicizia -guastata così scioccamente... e un’amica come Carmelita, un’amica -schietta, spregiudicata, saggia, intelligente e buona così, non è -facile da surrogare... Forse, quando parecchi anni saranno passati, -ella mi permetterà di riannodare un’intimità innocente... Ed io, -divenuto illustre e serio, anderò ancora da lei a correggere i miei -versi... che non saranno più pericolosi... perchè allora sarà il tempo -di comporre i madrigali ingenui e di celebrare in sestine l’amore -ideale. Oggi la giovinezza mi tumultua nel cuore e mi inebria dei suoi -inni, e una formosa Dea m’attrae con tutti i suoi fascini... Oh, donna -Luisa! bellissima realtà, oggi la poesia, la gloria, l’arte sei tu!... - -Cino De Romei giunse al sommo della scala. «Salve!» gli disse il -cuore, dilatato dall’orgoglio e dalla felicità, mentre passava sotto la -portiera di damasco dell’anticamera. - -— Addio, — mormorava la contessa Carmela indugiando un ultimo momento -sulla soglia, addoloratamente. - - - - -Mammole - - _Douce est la mort qui vient_ - _en bien aimant!_ - - -La strada s’allungava a perdita d’occhio, bianca e diritta fra il -verde, ed essi tornavano al villino lentamente, avvinti, col viso -colorito dai riflessi del sole occidentale. Lei aveva appoggiato -alla spalla del suo compagno la testa avvolta nella sciarpa a maglia -di seta fine, e qualche momento chiudeva gli occhi languidamente, -abbandonandosi tutta alla pace soavissima di quel memorabile vespro; -godendo di ricercare nelle più intime fibre dell’anima esuberante -d’amore, la vibrazione dell’eterno inno primaverile gioioso. E -quando un bacio lieve su le palpebre la riscoteva, ella riaprendo gli -occhi stupendi incontrava di nuovo quello sguardo continuo, amoroso -ed ardente che la spossava di dolcezza... Parlavano poco, a lunghe -pause, giacchè erano intensamente felici; e quella felicità negata -e contrastata per tanto tempo, pareva loro così inverosimile ancora, -che tremavano di affermarla, di rallegrarsene, per timore che al suono -delle loro voci dileguasse, come un sogno. Finalmente egli le domandò -sommesso, semplicemente, se aveva freddo, e le serrò più forte la vita -col braccio, rimettendole intorno al collo un lembo indocile della -sciarpa, mormorandole ancora qualchecosa che il vento si portava via; -lei sorrideva senza rispondere, con gli occhi socchiusi nella vasta -limpidezza lucente del cielo. Intorno a loro, nel verde tenero, c’era -un senso gentile di frescura, e lontano, su in alto, s’udiva il trillo -d’un’allodola invisibile. - -— Ti ricordi, Arrigo, di quel primo giorno? Fu in un pomeriggio come -questo... - -Questa volta fu lui che assentì sorridendo in silenzio. - -— Ti ricordi di quelle povere violette bianche? - -Il giovane sostò, la sciolse dall’abbraccio e trasse da una tasca -interna la serica busticina elegante, dove riposavano i fiorellini -ingialliti. - -Lei rimase muta, appoggiata all’ombrellino chiuso e gli occhi le -brillarono: — Ancora con te? — mormorò poi, ma lo sapeva bene che -c’erano ancora, che ci starebbero sempre. - -— Anche dopo morte, — diss’egli; e baciò i fiori. - -Laggiù all’orizzonte in quella festa di colori sfolgoreggianti fra i -tronchi, in quel saettare di raggi aurei che sprizzavano tra le fronde, -qualchecosa d’indistinto pareva muovere ed avanzare lentamente; ma essi -non vedevano nulla, abbacinati dallo splendore, assorti nell’estasi del -loro idillio. - -— Avevo sedici anni quel pomeriggio, lontano, — continuò lei -appoggiando la manina inguantata sulla spalla del giovine, — quel -pomeriggio lontano in cui mi sorprendesti a strappare ferocemente le -mammole che tu raccogliesti poi con tanta religione, ed ero ancora una -monelluccia stordita che non si accorgeva di essere ammirata, nè se -ne curava... Eppure in quell’odoroso giorno d’aprile, fra tutti quei -trilli e quell’azzurro, piansi per la prima volta di tristezza, poichè -mi rinvenni nell’anima un abisso in cui era un silenzio sconsolato... - -— Eri sulla soglia del tempio d’un dio ignoto... — soggiunse lui -piegando carezzevolmente il capo sulla morbida mano inguantata, -abbandonata sulla sua spalla. - -— Oh come sentivo la vicinanza di quel dio, come mi turbava -quell’attesa solenne!... — esclamò essa, commossa; — poi, senti Arrigo, -la divinazione venne improvvisamente... Capii che solamente amando -sarebbero scesi nella mia anima, a colmarne il vuoto, quei trilli, -quella luce, quei profumi che mi facevano piangere d’una strana -malinconia: ascoltai il mormorio di voci che s’era levato intorno a me -e compresi che le cose tutte parlavano, inneggiavano, deridevano la mia -ignoranza.... Allora strappai le violette... - -Egli le prese delicatamente fra le mani la testa, e la baciò senza -parlare, con un sorriso intenerito. - -— .... dopo salii nella mia camera, m’inginocchiai e in quell’ardore -di fede che mi dava la tristezza chiesi a Dio ingenuamente di amare -anch’io, di amare molto, con tutte le facoltà del cuore, della mente, -dell’anima; con tutto lo slancio e la forza della mia giovinezza, e di -essere riamata così... - -— Dio ti ascoltò quel giorno... — cominciò lui con impeto, ma la -piccola mano gli chiuse la bocca. - -— Ascolta: fu un olocausto; chiesi a Dio di respirare tutto il profumo, -di godere tutta l’ebbrezza infinita di questo amore sovrumano, non -fosse che per un giorno; e gli offersi in cambio... la mia vita... - -— Taci! — proruppe lui con un brivido; — perchè dir questo oggi, un -giorno di nozze? perchè l’hai detta quella parola? perchè? — E la -baciò a lungo sulle labbra come per cancellare quella parola funebre. -Ella rideva, rideva, con la bocca schiusa, fresca come un fiore, gli -occhi pieni di sereno; rideva sfidando il destino, forte di gioventù, -d’amore. - -E laggiù, tra gli alberi, la massa confusa veniva innanzi, -insensibilmente, misteriosamente sulla bianca strada. La signora -aspirava intanto nell’aria con delizia un odor acuto di mammole, e -cercava sulla sponda erbosa del fossato, scostando le fogliuzze con -l’ombrellino. - -— Oh, delle mammole! — esclamò lieta; — delle violette bianche come -quelle, Arrigo! Ecco un bell’augurio, vedi?... — E fece per slanciarsi -dalla breve sponda; egli la trattenne facendole gli occhiacci, per -usare subito della sua novella autorità di marito. — È così che ci si -fa male, bambina! un minuto di pazienza e avrai le violette. — E scese -destramente. Ella gli additava, con l’ombrellino, violette invisibili. - -— Ma no, Arrigo... dalla parte opposta... laggiù sotto la siepe... -bisogna passare attraverso la siepe, — concluse ritentando di scendere -la sponda sdrucciolevole. Egli la prese risolutamente alla vita e la -posò giù, accanto a lui. - -— Vieni dunque, — disse aprendole un varco fra i rami di biancospino e -staccando con tutta delicatezza un lembo della sciarpa fine impigliato -nei rovi. — Non è una impresa facile; ti sfido... - -— Davvero? Allora vedremo chi ne coglierà di più, — rispose lei -gettando l’ombrellino, e levandosi un guanto in fretta. Intorno, la -solitudine completa: e quello splendido tramonto fiammeggiante soltanto -per essi sulla rigogliosa pianura. Ella si affrettava, ridendo a brevi -trilli sommessi sotto la frondosa siepe fiorita, affondando la mano -bianchissima nell’erba; lui non aveva mai colto mammole con tanto -ardore. ma nonostante i suoi sforzi si trovava spesso a rallentare -la foga di quel gioco, distratto dalla vista della breve mano agile, -dell’errare di un ricciolino scompigliato dalla brezza, da una molle -curva che si accentuava, da un tratto di calza di seta che disegnava -l’attaccatura del piede, fine e nervosa. Così lei potè cantare vittoria -risalendo sulla strada; aveva delle mammole nelle tasche, lungo la -scollatura a risvolti del soprabito, negli occhielli, nelle pieghe -della sciarpa, nell’ombrellino. Ne era imbarazzata, ed egli per -vendicarsi le riempì anche le mani dei bianchi fiorellini odorosi...... -La giovine signora vi immerse il viso respirando avidamente; poi -reclinò ancora la testa sulla spalla di lui esausta dal tumulto di -emozioni, di sentimenti, di ricordi, che le si levava in cuore al -sottile profumo. - -— Come sono felice!... Come siamo felici, Arrigo! — esclamò finalmente, -non resistendo al bisogno di gettare quel grido alle piante, -all’azzurro infinito... - -Ma il suo compagno pareva preoccupato e intento a discernere sulla -strada un convoglio che si avanzava lento, che era già a pochi metri da -loro, socchiudendo gli occhi contro la fusione fulgida di tinte calde -che lo abbarbagliava. Poi si fece riparo agli occhi con la mano e vide, -e provò un rapido senso di gelo al cuore. - -Il povero feretro veniva innanzi portato da due robuste campagnuole -vestite di mussola bianca, scortato dal chierichetto che inalberava -gagliardamente sull’asta la piccola croce; un prete a fianco -borbottava le preghiere col libro aperto e altre due ragazze in abito -bianco seguivano per dare il cambio. Nient’altro; non un fiore sulla -lugubre coperta nera che dissimulava appena la bara; non un salmodio -diffondentesi sonoro e poetico nella pace vespertina; non un parente, -non un amico, non un senso di tristezza o di pietà: si leggeva la noia -nei volti rubicondi delle ragazze, sull’emaciato volto del prete, -sul viso infantile del chierichetto roseo; solamente la noia e il -desiderio di sbarazzarsi al più presto di quell’incomodo. Chi era steso -la dentro? Un bimbo? una fanciulla? una giovane sposa? la conclusione -tragica d’un rustico romanzo d’amore, o una prima pagina candida su cui -il destino aveva scritto «fine»?... Essi non lo domandarono, ammutoliti -in un superstizioso sgomento... Ma poi quella povera bara d’un essere -sconosciuto che passava fredda e nera nella campagna verde, piena di -vita, di palpiti, di profumi sotto il cielo soffuso dell’ultima luce -fiammante; attirò la pietà dei due felici rimasti immobili e stretti -l’uno all’altro... Quando il feretro passò, rasentandoli quasi, il -prete lanciò verso di loro una rapida occhiata, e la signora con un -atto gentile ma pronto come uno scongiuro, gittò sulla bara tutte -le sue violette. I fiorellini piovvero costellando lievi il rozzo -panno nero: qualcuno cadde, altri il vento disperse, e il rustico -corteo inoltrò misterioso e silente. Presto scomparve nella nebbia -che già nascondeva la strada a settentrione, mentre i giovani sposi, -strettamente abbracciati, ripresero la via, adagio, verso il sole. - - - - -Romanze senza parole. - - -ORME. - -Sull’orlo estremo del lido sabbioso, soffice, umido, incrostato -di conchiglie, si mescono e si seguono orme di passi umani -interminabilmente: l’ombra d’un filo di vita svolto fra la solitudine -sterile e una moltitudine invisibile, — fra la sosta immemore d’un -limbo che tutto cancella e un’azzurra eternità. Gli umani sono passati -in lunga teoria sullo stretto sentiero, avidi d’oblìo, di speranze, di -sogni. Le orme narrano: alcuni ritornarono dopo breve cammino delusi; -non poterono dimenticare, nè chiedere, nè illudersi: altri proseguirono -per lungo tratto insieme, come sfidando con balda audacia la vicenda -delle cose perchè riuniti; poi uno ritorna, è stanco, sfiduciato; -un altro si smarrisce nella sabbia fine, asciutta, infida; un terzo -si scosta ed erra finchè la spuma delle onde lambe e rode le traccie -del suo passaggio; l’ultimo inoltra solo, accanto al solco leggiero -e continuo d’un bastone. Poi anche il solco cessa, e l’uomo inoltra -ancora senza appoggio, ancora, ostinatamente..... Infine le alghe -brune e muschiate si dilatano, tutto nascondendo. Orme d’un piedino -minuscolo, spesse, irregolari, seguite da orme larghe, sicure: i primi -passi. Altre orme irregolari con un seguito di piccole buche: gli -ultimi. Le orme dei ricchi, tenui, dai tacchi che scavano fossette; le -orme dei giovani, lievi, discoste; quelle dei felici, attraversate ogni -tanto da un’iniziale, da un zig-zag; e, finalmente, orme di piedi veri, -ignudi, grossolani, a una distanza tanto regolare da parer calcolata -con una precisione matematica: il passo della gente che sa cosa vuole -e dove va. Dinanzi a quelle orme le altre si scansano. Sono le orme -faticate del lavoro. - -Gli umani sono passati così fra la solitudine e l’eternità. Domani -un soffio di brezza solleverà forse le grigie sabbie volubili che -ne cancelleranno ogni traccia; ma nella loro evoluzione le onde -affaccendate si dilateranno per raccoglierne nel grembo azzurro, -maternamente, l’ultima memoria. - - -VENDETTA. - -L’ultima finestra della casa, al primo piano, verso ponente, s’apriva -fra le rame flessibili del gelsomino. Una mano delicata le dirigeva, le -domava, le dissetava, le intrecciava in riposo, le avvinceva in catene -fraterne. Quando le piccole costellazioni bianche si staccavano, erano -raccolte con tanta sollecitudine che non una veniva contaminata dal -fango del terreno o dalla bava dei ragni, che anelavano a quel candore. - -Ma nell’ombra fresca dai riflessi di smeraldo serpeggiava un -soffio vivo, indomabile, che si sfogava in cento insidie piccine, -malignamente. Gli olezzi diffondevano la più eloquente delle serenate; -qualche tralcio ribelle dava ogni dì la scalata e s’insinuava a spiare -nella stanza, avido: le ciocche fiorite si protendevano, offrivano i -mazzetti naturali, desiderosi di avvizzire su un seno ardente; alla -brezza, che le carezzava, le foglioline rispondevano acconsentendo con -un fremito novo; al vento che passava fischiando, i rami si dibattevano -desolatamente. - -La finestra s’apriva di buon mattino e l’alito verginale che ne usciva, -blandiva il soffio maligno, stornava le insidie, mitigava le ebbrezze. -Quando un fior di cardenia apparve sul davanzale. - -Quel fior di cardenia venne disputato alla distruzione a lungo, -tenacemente. Tutta la notte l’anforina di cristallo rosa che reggeva -la corolla rimaneva sul parapetto, fuor dell’imposte chiuse, assistendo -al colloquio della cardenia con la luna piena; candida e sola come lei. -Il gelsomino fu negletto; le rame crebbero vagabonde e selvagge fino a -ricascare su loro stesse stanche del vano errare; le stelline bianche -emigrarono liberamente, ma per posar presto in un molle strato odoroso -sul terreno, come un sudario mistico; qualcuna s’indugiava, si smarriva -nei meandri verdi, s’impigliava fra le ragnatele lievi, iridate, -luminose, in fondo a cui il ragno attendeva. - -Infine il fior di cardenia ingiallì del tutto e fu portato via. -Ma venne poi una gabbiuzza popolata di colibri, poi un pappagallo -fiammante, poi una scimmietta freddolosa, poi un virgulto di rose, -poi una coppa riscintillante di pesciolini d’oro. Inutile; la morte -spazzava tutto via. Qualche cosa dava il malocchio a quella finestra -che s’apriva fra le rame di gelsomino. - -Nell’inverno la camera fu rimessa a nuovo: cortine azzurre, lievi, -scesero lungo le doppie vetrate dov’era una fioritura di mammole, e una -lampada ardeva tutta notte, velata e misteriosa, come in un santuario. -I viandanti che passavano intirizziti levavano lo sguardo sorridenti o -sospirosi e bisbigliavano: «Là regna Amore...» - -Ma il gelsomino non udiva; era atrofizzato dal gelo, e ignudo, inerme, -dormiva. Quando il bacio pietoso della Primavera lo destò, ahimè! -si vide mutilato e inceppato vigorosamente contro il muro! Invano si -ribellò, invano i mazzetti implorarono sotto il davanzale il rifugio -tepido, consueto; invano la fragranza dispersa nell’aria si diffuse -in elegie amorosamente, e le stelline erranti si posarono fra le -stecche delle persiane come per esplorare, e i tralci più arditi si -svincolarono e bussarono stimolati dal vento; la finestra dalle cortine -azzurre irrideva, soave, al loro dolore. Così trascorse l’estate, una -lunga estate. - -In ottobre, mentre le prime pioggie scendono a risvegliare -inesorabilmente dal sogno di una tornante primavera, nella lotta fra le -illusioni che evaporano con gli ultimi profumi di tutti i fiori della -terra, e le gelide realtà che piovono con le fredde lagrime del cielo, -— la finestra rimase chiusa, triste, e i rami ingigantiti infransero i -loro ceppi, e la flagellarono sera e mattina ululando ferocemente. - -Dopo molti giorni la finestra si riaprì, in un vespro d’oro, -nell’assenza degli olezzi e nell’immobilità delle fronde che -oscillarono estatiche, quasi spaurite della conseguita vittoria. La -finestra rimase vuota e aperta fino all’alba, con le cortine calate -e le imposte che gemevano sui cardini in uno sconsolato abbandono. -Nell’alba nebulosa, livida, fredda, le cortine azzurre tremolarono, -uscirono e palpitarono in alto, come due aluccie impazienti di volar -via. Allora pel varco libero, simile a un piccolo stuolo vittorioso e -invadente, entrò nella camera della morta uno sciame di gelsomini. - - - - -Ultimi bagliori. - - -Il conte Alberto Farigliano di Roccamare rientrava intirizzito dal -nevischio pungente d’un uggioso pomeriggio di Febbraio. Gettati al -servo pelliccia e cappello biancheggianti di diaccioli, traversò -lesto l’appartamento in cui il calorifero diffondeva un tepore più -che primaverile e giunse al remoto salottino di sua moglie. Era -sicuro di trovarla laggiù. La contessa infatti pareva addormentata -nell’ampia poltrona di broccato nero, quasi bocconi, col volto -nascosto in un piccolo guanciale morbidissimo posato sul bracciolo. -In quell’atteggiamento, coll’abito sciolto e lucente di felpa bianca -dai riflessi madreperlacei, nella luce azzurreggiata dalle tendine -abbassate, diede ad Alberto l’idea d’una perla nella sua nicchia. Egli -inoltrò chetamente: nel ricco salotto ondeggiava un acuto profumo di -cardenia. Non si vedeva nulla del volto di lei; solo l’ammasso dei suoi -capelli fini, castani, allentati con un po’ di disordine, e le sottili -mani aggrappate al cuscino. Alberto la contemplò lungamente. Poi si -mosse per andarsene, ma nel movimento un po’ brusco urtò una sedia -leggiera, fuori di posto, e la signora sussultò forte, levando il viso -sbiancato e fissandolo sbigottita, come se nel primo momento non lo -riconoscesse. - -— Dormivi? - -— Sì, forse... da quanto tempo sei qui, Alberto? — chiese alla sua -volta lei, che abbozzò un sorriso, subito dileguato come un ombra sulle -sue labbra tremolanti, e le bianche mani passarono e ripassarono sugli -occhi. — Ho un po’ di emicrania oggi; — aggiunse con un fil di voce. - -— Tieni troppo caldo e troppi fiori intorno a te, mia cara. Or’ora -stavo per farne un fascio. Tu finirai per asfissiarti, esagerando così. - -Essa stava immobile, con le mani serrate alle tempie, gli occhi fissi -sui meandri del tappeto. Poi, risolutamente, si alzò e venne fin presso -la scrivania d’un squisito stile del Rinascimento, sulla quale si mise -a frugare senza scopo. - -Nella penombra, fra i larghi fogliami esotici e i mobili artistici, -quell’alta figurina bianca pareva svanire come una parvenza. Suo marito -le cinse la vita con un braccio e l’attirò a sè, dolcemente. - -— Sai, Letizia, ho una cattiva notizia da darti. Mi tocca partire.... - -La contessa trasalì ancora, lo guardò rapidamente coi bellissimi occhi, -e si sciolse dall’abbraccio. - -— Dove vai? - -— A Berlino... Sono incaricato di una missione di qualche importanza -dal ministero e, capirai, col ministero non si scherza. Parto lunedì. - -— .... Starai lontano molto tempo? - -— Temo di sì. L’affare per cui vado non è da sbrigarsi in poche ore... -Tre, quattro, cinque mesi.... ma poi vedremo.... Non ne so nulla -insomma. - -La contessa Letizia rimase a capo chino e fra loro vi fu un prolungato -silenzio. Eppure era lo stesso impulso che lottava nei loro cuori con -degli ostacoli suscitati dalla loro diversa debolezza: era lo stesso -sottile sgomento pauroso per una parola ch’egli avrebbe voluto sentirsi -dire da lei che rimaneva muta, per una parola che Letizia aveva terrore -di sentirsi dire, in quel giorno, in quell’ora... - -— Pensavo che tu potresti.... — la contessa ebbe un piccolo moto di -altera meraviglia — tu potresti passar questo tempo dalla zia Fanny o -pregarla di venirti a tenere compagnia. Per rispetto alle convenienze -non sarebbe bene che tu rimanessi sola.... - -Letizia continuava a guardarlo come se pensasse a tutt’altro. — Sì, — -mormorò poi; — riflettevo anch’io a questo. - -— ..... allora siamo perfettamente d’accordo, — concluse Alberto con la -sua freddezza solita. Ed uscì. - -— Come sono vile, ah come sono vile! — disse in cuor suo la giovine -contessa; e si lasciò andare sulla seggiolina della scrivania, tutta -pallida, a occhi chiusi; mentre due grosse lagrime le rigarono le -guancie e caddero in bollicine sulla sua cartella dalle cifre d’oro. -Ma ecco che dinanzi alle palpebre abbassate, come se un velario fosse -calato dinanzi alla realtà della sua vita per lasciarla vivere più -intensamente nel sogno, le ricomparve repente la balda e bionda figura -d’uomo, di un uomo che non era suo marito, fissa come l’aveva avuta -inesorabilmente in tutta quella penosa giornata, ed essa, questa volta -per cacciarla spietatamente, aperse gli occhi. - -Fu un rimedio vano. Se la visione svanì, i suoi pensieri seguirono -fluenti il loro corso, come l’onda del ruscello gira intorno ad un -debole ostacolo messo per arrestarla.... - -Lo aveva riveduto dopo quattro anni, improvvisamente, quel giorno -stesso, nell’uscire dal salotto d’un’amica, mentre egli vi entrava. E -nello scoprirsi il capo biondo, cedendole il passo, l’aveva misurata -con lo sguardo sàturo d’una tal curiosità volgare e galante che -Letizia aveva arrossito. Ma aveva arrossito meno per l’indignazione -che per il colpo di trovarselo lì dinanzi quando meno ci pensava, -e con lo stesso fàscino irresistibile ch’era stato il tormento e il -sorriso dei suoi sedici anni. Un vanesio, del resto, quel tenentino di -cavalleria! Non aveva il capo che a far la corte alle signore eleganti, -mentre le signorine gli sospiravano dietro: ella lo sapeva; lo aveva -già giudicato col suo nascente senno di giovinetta, da quel contegno -irragionevolmente mutevole con lei, innamorata di lui da morirne, -sempre. - -Era così spigliato, così attraente, così carino! Una volta, l’ultima -volta che si erano incontrati le aveva giurato che se il padre di lui -non desisteva dall’opporsi al loro matrimonio, si sarebbe ucciso... Uno -spavento, un supplizio... una dolce e tremenda e insistente tentazione -di fuggirsene davvero attraverso l’Europa, com’egli le proponeva.... Ma -aveva troppo pensato al dolore dei suoi; le era mancato il coraggio. -Poi quell’amore tempestoso, a pause, nutrito di stranezze che non -capiva e di audacie che la rimescolavano, le faceva paura..... Era così -ingenua e così giovine! Dopo, non si erano più riveduti, ma essa sapeva -che non era morto, che viveva come prima, più di prima. - -A diciotto anni aveva sposato, senza entusiasmo, ma con affezione -profonda, il giovane diplomatico che suo padre le presentava. -Quell’amore gentile, rispettoso, cavalleresco, quasi tutto fiori e -delicatezze, le era parso un refrigerio, e la sua anima ancora un po’ -malata e la sua gracile fibra di damina spirituale, vi avevano trovato -una soavità infinita. Meno qualche vampata di quando in quando che le -portava un palpito e un malessere d’un minuto, al tenente biondo non -pensava più. - -...... L’oscurità aveva invaso il bel salotto profumato di cardenie, -quand’ella, levandosi svogliatamente, si avvicinò alla finestra e -rialzò le tendine. A Roma la neve non dura; non se ne vedeva più -traccia: pioveva. Pioveva monotonamente, tranquillamente. Letizia -rimase con la fronte che bruciava, appoggiata ai cristalli, lo -sguardo smarrito. Ancora una lotta. Anderebbe o no al _Bal-en-rose_ -dell’ambasciata di Francia, quella sera? Da un lato l’aspirazione alla -pace, all’oblio, il presentimento vago di un pericolo....; dall’altro -il desiderio stesso di questo pericolo, il fascino d’un’emozione -nuova, il piacere acre di riaprirsi una ferita nel cuore per sentirlo -palpitare più forte..... - -— Il pranzo è servito, — annunziò la voce indifferente del domestico -dalla soglia. - -La contessa si scosse. Erano soli, suo marito e lei, quella sera a -mensa. Dio! una lunga, penosa dissimulazione..... Si ravviò alla meglio -i capelli, al buio, per non chiamare la cameriera e s’avviò, lenta, per -le stanze illuminate verso la sala da pranzo. - - * - * * - -Si fecero servire il caffè accanto al fuoco nella sala da pranzo vasta -e severa. Letizia, seduta un po’ di traverso sul seggiolone dall’alta -spalliera, appoggiava sul paracenere i piedi, piccoli, calzati di -raso color madreperla, come l’abito a cui la fiamma prestava strani -bagliori; Alberto, vestito come sempre, correttamente di nero, nella -sedia di fronte centellinava il caffè fumante, odoroso. Erano soli, -silenziosi; un’atmosfera di noia e di tristezza gravava. Durante -il pranzo, fra il via vai dei servi, avevano scambiato qualche -osservazione, qualche frase insipida; ma ora non si pigliavano neanche -più la briga di fingere e la loro tormentosa preoccupazione rispuntava -evidente. - -— Riuscirà molto bene a quel che pare il _bal-en-rose_ dell’Ambasciata -francese, — uscì a dire finalmente Alberto, posando il tazzino; — le -sale sono addobbate con buon gusto ed hanno trasformato la grande -terrazza in una grotta fantastica dove sarà bello riposare. Tu ci -vieni? — seguì col tono più naturale del mondo, ma che alla contessa -Letizia, per la disposizione d’animo in cui era, parve un abile quesito -indagatore. La lotta che ancora era in lei, cessò bruscamente. - -— Sì, vengo, — rispose con alterigia senza alzare gli occhi. - -— Hai dato gli ordini in proposito? — chiese il marito senza scomporsi. - -— Sì... Ma perchè mi chiedi se vengo? Ti dispiace forse? — ribattè -la signora sollevandosi un poco e ritirando i piedi dal paracenere, i -piedini nervosi che s’agitavano continuamente, mentre negli occhi neri -e grandi era una cattiva espressione di sfida. - -— Perchè dovrebbe dispiacermi, Letizia? Te lo chiedo, ricordandomi -d’averti sentito parlare di emicrania poco fa, e notando in te infatti -un aspetto un po’ sofferente..... - -Quella compostezza, quel tono di voce tranquilla le fecero dare -una strappata ai cordoni del bell’abito dai riflessi di madreperla, -irritata, impaziente. Sentiva dentro di sè un fermento di rivolta, un -incalzante desiderio di ricatto, senza saper bene perchè. - -— Invece io sto benissimo... — la sua voce risuonò stonata nell’ampia -sala; — ti prego di credere che sto benissimo e che non ho punto -bisogno di riposo.... - -— Quando è così, mia cara, — fece lui guardando l’orologio, — mi -pare che faresti bene ad allestirti. Le signore ci mettono un po’ di -tempo... — finì sorridendo. - -La contessa si levò, gli passò davanti senza guardarlo, e quella vaga -figurina bianca scomparve, come una visione luminosa, sotto l’arco -dell’alta porta, dalla camera vasta e severa. - -Alberto affisava il fuoco, immobile. - - * - * * - -— ...... ebbene, contessa, si va all’assalto di cotesta grotta ideale? -— le chiese con allegra baldanza il tenentino biondo, che non si era -più scostato da lei dopo quella fine di valtzer ballata intensamente, -in silenzio. - -— Avanti, _en marche_! — rispose Letizia scherzosa, balzando in piedi. - -Traversarono la gran sala da ballo, splendente, gaia d’abbigliamenti -in tutte le gradazioni di rosa come un gran roseto vivente, ella al -braccio di lui, animata, ridanciana, con uno scintillio negli occhi -neri. Non era più la languida signora che qualche ora prima nascondeva -la testa nei guanciali in atteggiamento sofferente; nel suo incedere, -nei movimenti, nelle parole aveva un’insolita vivacità. Eppure, una -delle mani sottili e bianche, nascosta ora dal lunghissimo guanto -profumato, brancicava nervosamente fra le pieghe dell’abito e sgualciva -alquanto l’ideale vaporosità della garza appena soffusa di color roseo, -come un’aurora. - -Quel monello di tenente non smetteva intanto di susurrare tante -paroline belle col capo chino su lei fino a sfiorarle i riccioli, -paroline belle e spiritose, forse, giacchè ella ne rideva di cuore, -crollando la testa vezzosa e distribuendo saluti e sorrisi alle amiche -e ai conoscenti che incontrava e che la osservavano con una punta di -malizia negli occhi. - -— Eccoci nel «regno delle favole» — canterellò sull’aria del -_Mefistofele_ il tenente De’ Falchi, entrando con la sua compagna, dopo -un giro abbastanza lungo attraverso l’infilata di sale, sulla terrazza -dove non c’era quasi nessuno. - -Una ridente illusione. Una grotta scavata in qualche blocco enorme -di cristallo rosa. La luce viva, diffusa, dietro le pareti, ne -faceva spiccare il colore e la velata trasparenza. Rosai fioriti -s’arrampicavano qua e là fra i sedili di pietra nera, e i fili -d’argento delle fontane luccicavano misteriosi nei cespugli verdi, -ricascando con un sommesso mormorio nelle vasche seminascoste dalle -larghe e strane foglie di molli piante aquatiche. In terra uno spesso -tappeto bianco, vellutato, che in vari punti i pètali delle rose -sfogliate ricoprivano. - -Quella luce opacamente rosea, dopo tanto sfolgorio di arazzi e di -festoni, riposava l’occhio e faceva pensare ad un paese misterioso di -sogni e di pace. Eppure Letizia non si sentì più tanto padrona di sè -come laggiù nelle sale rumorose, dove aveva risposto coi frizzi e col -sarcasmo brillante alle galanterie del giovane ufficiale. Le parve -che in quel silenzio tutta la sicurezza, di cui s’era compiaciuta in -segreto, vacillasse, e ne fu seccata. Ma non volle farlo supporre e si -soffermò ammirando. - -— Il regno delle favole...! E la regina? — diss’ella senza nessuna -intenzione, ingenuamente, non dubitando di parer lei davvero -l’incarnazione della bellezza, della gioventù, della poesia, così -graziosa, bianca, delicata nell’abito vaporoso, stellato di brillanti. -De’ Falchi non si lasciò sfuggire l’occasione per dirglielo e lo fece -con parole così blande e così dolci che parevano carezze. La contessa -con piccole mosse comiche d’esagerata modestia si velava il volto col -ventaglio di trina. Poi, rannuvolandosi in un subito fra il gioco, ebbe -un sospiro. - -Anche lui era bello, bello come un giovine Nume! Anche lui pareva un -eroe degli antichi tempi con la divisa luccicante, la bionda testa -irrequieta, gli occhi vivi, il personale slanciato. Come era bello -così! più bello nel suo meriggio di giovinezza, che quando, ancora -adolescente, quasi, le aveva parlato d’amore. - -La musica che si udiva lontanamente, come un’eco, aveva ripreso. Un -crocchio di persone che conversavano laggiù si sciolse. La principessa -Montegaudio, passando accanto ai due, ebbe un’occhiata severa, ma il -vecchio generale ch’era con lei quasi sorrise. Letizia e De’ Falchi -rimanevano soli. - -— Ce ne andiamo? — diss’ella con un tono indolente simulato: e lo -trasse con delicatezza dietro gli altri. Ma il tenentino fece due -passi, poi s’arrestò. - -— Guardate prima nel _carnet_, vi prego! — disse come se domandasse la -proroga d’una sentenza crudele. - -Guardarono insieme, mentre nella fretta del cercare le loro mani si -sfioravano. Non c’era nessun nome. Egli ebbe un profondo respiro di -sollievo. - -— Non importa, non importa, — soggiunse Letizia, che pareva -contrariata. — Andiamo in un altro luogo. - -— Dove trovare un luogo più bello per la vostra bellezza?.... per la -mia ammirazione?..... Io passerei la vita, qui, con voi.... - -— Prima di tutto le ho proibito assolutamente di darmi del _voi_! — e -Letizia gli battè il ventaglio sulle dita, — damerino incorreggibile... - -— Pardon, Contessa! — disse subito De’ Falchi con una lievissima -intonazione ironica. — Ogni tanto mi dimentico che sei anni sono -passati.... Ho la memoria un po’ logora, vedete..... in certi casi. E -trovandoci insieme ancora, in questo luogo di sogno io sogno d’avervi -ancora accanto libera, amante, mia.... - -Letizia, già presso alla soglia, si fermò ancora, tornò indietro. -No, così non andava proprio. Darle del _voi_ e rievocare il passato! -Erano le condizioni del loro trattato di pace, queste? Un ufficiale -dell’esercito mancare di parola così! Vergogna, cento volte vergogna! - -Ma De’ Falchi s’impadronì della terribile manina e la imprigionò sotto -il suo braccio senza staccarne la sua mano. - -— Contessa Letizia Farigliano di Roccamare, — cominciò con quel suo -fare tra ardente e sentimentale e scherzoso, irresistibile per lei, — -mi dica dunque che cosa debbo fare per ottenere perdono...... Vuole -tutte queste rose in omaggio? Vuole che le dica dei versi, dei bei -versi? Una volta le piacevano e mi sgridava perchè non li sapevo mai... -Ora ne so. - -La signora ebbe ancora un moto di ribellione, di sdegno, ma non resistè -al suo compagno che l’allontanava dalla porta d’uscita, stringendole -più forte la mano. - -— Senta, — continuò de’ Falchi, — sono versi che sembrano scritti -apposta per lei e sembrano scritti da me, per dirli adesso. — Poi seguì -a voce un po’ bassa, con appassionata dolcezza: - - Sul viso il tuo respiro caldo m’aleggierà - Come un profumo; e come una soave musica - La tua voce divina mi darà pace all’anima - Accanto a te seduto, ne’ tuoi capelli biondi - Immergerò la mano, e dei dolci misteri - Del core io parlerò coi tuoi grand’occhi neri.... - -Lei lo lasciò dire, giocherellando col ventaglio e facendo un po’ la -distratta e un po’ la disinvolta; in realtà sommergendosi nella melodia -di quei versi, di quella voce, che le avevano messo nel cuore un -palpito violento, stranamente delizioso. - -— Di chi sono? — chiese poi, tanto per non star zitta, già smarrita. - -— Sono d’un giovane poeta e appartengono a un poemetto, intitolato -«La leggenda del cuore». Vede, anche là nella leggenda sono soli -l’innamorato e la Diva, è in una specie di paradiso terrestre come -questo... Solamente quella diva era più buona di questa.... si lasciava -anche dare del _tu_. - -La signora levò il capo e non rispose. Era seria, soffriva. Qualche -cosa di estremamente violento, come un incantesimo, la teneva ora là, -muta, ascoltando, mentre il seno seminascosto dai veli si sollevava -frequentemente nel respiro breve, e la collana di brillanti nel tenue -e ritmico movimento aveva un abbagliante saettio di raggi e di colori. -Passando accanto a un rosaio ne strappò un fiore e fece per gettarlo -nel bacino d’acqua accanto, ma De’ Falchi le impedì l’atto. - -— Vede se è cattiva? — disse con una brusca tenerezza. — Che male le ha -fatto, per esempio, quella povera rosa? Lei fa così di tutto, di fiori, -di uomini... - -— Io no; è il destino che sfoglia tutto intorno a me... — mormorò lei -quasi piangente. E sedette sul sedile di pietra nera, l’ultimo sedile, -appartato, nel fondo del poetico ambiente. Era come in una nicchia di -rose: a’ suoi piedi la fontana; tutto intorno molto verde messo là per -ragione di prospettiva, li isolava. Potevano credersi in un pianeta -ideale. - -De’ Falchi le sedette accanto e le cinse la vita con un braccio. - -— Il destino siamo noi, — le disse dolce, insinuante; — e noi ci -ameremo tanto, tanto; ci ameremo per tutte le ore perdute, per tutte -le ore che mi hai rubato, che mi hai tradito. Sono io il tuo sposo, e -tu sei mia. Nessuno dei due ha dimenticato, vedi? Nè tu nella pace, nè -io nella tempesta dove cercavo di sommergere l’immagine tua. Sei stata -la rovina della mia vita, tu, Letizia; non m’hai amato abbastanza... -ma ora, quand’anche questo amore dovesse passare come un turbine sulle -nostre esistenze, noi non ci separeremo più.... - -Letizia udì confusamente le ultime parole. Quell’accento di passione, -quello sguardo che la bruciava, quel soffio che usciva dalle labbra -del giovine a carezzarle la fronte, quel luogo fantasiosamente bello, -tutto, tutto finiva di paralizzarla, di perderla... - -Svincolò dolcemente le mani e si velò il volto impallidito: «Oh -amore dei miei giovani anni... Oh mio ideale!» gemette l’anima sua, -ed appoggiò esausta la testa fra le rose. Ma la voce insinuante la -perseguitava, le rispondeva all’orecchio: «Oh, i fini capelli odorosi, -la delizia e il delirio della mia giovinezza.... il mio tesoro rubato -io lo riprenderò!» — E fra le rose, fra il profumo, ella sentì il -suo bacio fra i capelli.... ma a quel contatto scattò, si riprese -improvvisamente, mentre una nevata di petali rosati cadeva dai rami -bruscamente scossi sul sedile di pietra nera. - -— Oh no, Carlo è troppo tardi, — disse dolorosamente. E con -un’improvvisa energìa si diresse sola, frettolosa, verso la porta. La -musica cessava allora. - - * - * * - -Rientrata in casa non si coricò. Si richiuse nelle sue stanze -congedando la cameriera. Ritta, nella luce chiara e diffusa del -piccolo spogliatoio parato a colori ridenti, dinanzi allo specchio -alto e stretto che la rifletteva bianca e bella, così senza gioielli -e senza guanti, ella si scioglieva il vestito lentamente, lasciando -errare gli occhi pensosi fra gli accessorî del suo abbigliamento -gettati qua e là alla rinfusa. E gli occhi neri, profondamente cupi, -si posavano, senza sguardo, dal ventaglio prezioso di merletto al -fazzolettino di Malines, dal carnet d’argento ossidato ai lunghi guanti -che serbavano ancora l’impronta delle sue braccia scultorie, della -sua tenue mano; dalla sciarpa di blonda profumata di violetta che le -avvolgeva il collo, uscendo, all’iridescente splendore dei brillanti -che si ammucchiavano nel cofanetto aperto. Mentre le scivolava ai -piedi l’abito in una densità gentile di colori, come un nebuloso -piedestallo, Letizia ne trattenne bruscamente un lembo accendendosi -in viso. Nascosto e protetto da una piega, aveva trovato un petalo -di rosa, fragile avanzo che tenne lungamente fra le dita convulse, -immersa nel ricordo di quel momento di sgomento e di amore. Poi infilò -una veste da camera, passò nel suo salottino, s’accertò se gli usci -erano ben chiusi e sedette alla scrivania. Scrisse due pagine, senza -interrompersi, alla luce oscillante di un candelabro; ma incontrando -cogli occhi un ritratto, si gettò indietro nella seggiolina, col -respiro mozzo, le tempie umide di sudore gelato. Cacciò il ritratto -in un cassetto e si rimise a scrivere, poi rallentò, posò la penna, e -mise il volto nelle mani. Perchè le venivano quelle idee adesso? Suo -marito dormiva inconscio....... forse non aveva neanche osservato Carlo -De’ Falchi fra la folla; certo non lo conosceva, ed ignorava l’idillio -fuggitivo della sua primavera..... Riprese la penna; lo stianto d’un -mobile la fece balzare in piedi nascondendo il foglio vivacemente..... -poi si rassicurò dandosi della grulla. Gli usci erano chiusi, la -casa addormentata in un fitto silenzio. Chi poteva immaginare ch’essa -vegliava scrivendo delle lettere d’amore? - -.... E _lui_? Che faceva _lui_ a quell’ora? Sognava la sua diva dai -fini capelli odorosi?.... Ah, se avessero detto alla poveretta dove e -come _lui_ finiva la notte..... - -«Ancora pochi giorni, scriveva, poi saremo liberi di vederci quando -ne abbiamo voglia, senza timori, senza sorveglianze.... Il mondo? Che -importa a noi del mondo? Ci amiamo, il mondo siamo noi! Era destinato -così....» E ripensando a quelle parole ardenti, s’interrompeva fremendo -ancora d’emozione. Nessuno le aveva parlato mai così appassionatamente, -con quella veemenza pazza ed inebriante; nessuno! Alberto? Oh, Alberto -così freddo, così severo, così compassato, preoccupato solamente delle -convenienze, semplicemente deferente e cortese con lei, senza scatti, -senza entusiasmi per la sua bellezza, Alberto che la riguardava come -un oggettino d’arte raro e fragile di sua proprietà — bisognava pur -dirlo — non sapeva amare! O forse non l’amava, non l’aveva mai amata! -«Forse anche m’inganna, forse ha un’amante», concluse Letizia; e -nell’eccitamento di nervi in cui si trovava, si ripetè che allora -essa poteva ben riamare chi l’adorava; che era nel suo diritto!.... Ma -queste teorie che volevano pur convincerla ondeggiavano confusamente -nella sua povera mente smarrita e non acquetavano le piccole serpi che -la mordevano al cuore.... - - * - * * - -— Letizia, — disse suo marito entrando il pomeriggio seguente nel -salottino profumato, — ti porto una vecchia conoscenza. Il marchese -Carlo De’ Falchi che mi dice di averti conosciuta da signorina e che -ieri sera mi si rivelò come il fratello di un mio carissimo amico di -collegio, morto. Ecco due titoli che gli danno diritto alla nostra -amicizia. - -De’ Falchi, che seguiva Alberto, si inchinò ossequiosamente alla -contessa; ed ella, sollevandosi un poco, tutta bianca nel viso, gli -tese la mano senza parlare. Aveva un abito di raso nero molto semplice, -un gioiello antico al collo, una rosa alla cintura; abbigliamento -severo che le dava una grazia tranquilla e dignitosa. Egli però la -preferiva come la sera prima, con le spalle e le braccia nude, rosate, -fra la sfumata trasparenza dei veli; ma si guardò bene dal lasciarlo -apparire in quello sguardo balenante che le gettò attraverso il viso -come un bacio rovente. - -La giovane contessa era sul punto di tradirsi: nascose le mani -tremanti; ma il sangue le pulsava violentemente al cuore, le ronzava -negli orecchi. Cinque minuti prima avrebbe dato dieci anni di vita -per rivederlo, ma non così, non in presenza di suo marito, non terzo -nella loro intimità. Perchè non aveva aspettato, benedetto ragazzo? -Ma era possibile che avesse tanto impero su se stesso da non svelare -mai, nè con uno sguardo, nè con una parola imprudente, il loro segreto? -Non doveva sentirsi ribollire il sangue alla vista di quell’uomo -che la possedeva? Non doveva avvampare di sdegno, di gelosia, di -amore, udendolo parlarle famigliarmente — entrando nella casa in cui -vivevano in comune — dove _doveva_ sentire l’eco dei loro baci?.... -E come queste passioni tumultuanti non lo avrebbero perduto? E allora -cosa accadrebbe tra quei due uomini?... Questo l’ingenua contessa si -chiese angosciosamente. Ma De’ Falchi fino dalle prime frasi mostrò -una disinvoltura, una calma, una naturalezza invidiabili. Fu cordiale -ed espansivo verso Alberto; gentile e rispettoso con lei, e non un -momento lasciò languire il dialogo. Fece con arguzia la rassegna della -festa; parlò d’un romanzo francese che faceva il giro dei salotti, -dell’equipaggio nuovo del duca d’Arce, di un ritratto all’antica -fatto dal celebre ed estroso Fides alla principessa Montegaudio, di un -matrimonio dell’aristocrazia, di una acconciatura della Regina. - -Letizia lo guardava fissamente ascoltando, e taceva. Quella -disinvoltura dileguava le sue paurose fantasticherie, sì, ma vi -lasciava un fondo di tristezza e di dolore. Taceva. - -De’ Falchi chiese a un punto se la signora contessa fosse sofferente. - -— Sì, — diss’ella bruscamente, — soffro... — Ma la voce le morì -nell’incontrare gli occhi di suo marito che le parve volessero -scrutarle nell’anima. - -— Soffri? È naturale, — osservò Alberto con perfetta calma. — Anche -ieri non ti sentivi punto bene. Dovevi prevedere le conseguenze di un -ballo nelle tue condizioni di debolezza e di squilibrio nervoso. - -La contessa si arrovesciò lentamente nella poltrona abbassando gli -occhi a passarsi in rivista le unghie opaline. Uno sgomento strano le -aveva stretto il cuore a quelle parole, di cui credette afferrare un -secondo significato noto a lei sola. Si sentiva morire. - -— Sarebbe un quadro antico questo? — chiese improvvisamente l’ufficiale -levandosi a osservare un ritratto fiammingo appeso alla parete. - -— Si, un _Van Dick_, — rispose il conte alzando alquanto le tendine -della finestra. La luce chiara battè loro sul viso e li circonfuse. -Alberto, alto, bello, nobile, con le mosse e l’aspetto principeschi; -De’ Falchi molto meno attraente della sera innanzi, al chiarore del -giorno che gli metteva in evidenza le rughe precoci sul volto scialbo -ed avvizzito; le occhiaie livide che gli cerchiavano gli occhi gonfi, -senza splendore. La giovine signora lesse in pochi minuti su quel -viso tutta la storia d’una bassa vita corrotta, poichè un senso di -fredda ragionevolezza le era filtrato nel cuore. Perchè? da quando? -Lo ignorava; ma in quei pochi minuti sentì che si risvegliava dal -suo splendido sogno, senza scosse, senza spavento; ma si risvegliava, -irreparabilmente. - -— Eccellente, eccellente, e conservato, poi! - -Nell’ammirare, de’ Falchi colse un momento favorevole per sussurrare -a Letizia: Scrivetemi! Poi si congedò, inchinandosi e salutandola -militarmente con gli occhi ridenti che lo tradivano. La contessa ebbe -appena la forza di fare un cenno col capo, e quando furono usciti, -suo marito e lui, s’abbandonò ad un pianto convulso tutto scosse -e sussulti, un pianto lungamente represso che prorompeva disperato -e violento. Era l’addio ad una larva del passato, era rimorso del -sogno, era vergogna di quella realtà prosaica piena d’ipocrisia e di -viltà. Oh! il suo vaneggiare di quei due giorni! il vaneggiare dolce -e doloroso! la lotta per difendere l’invasione del proprio cuore! il -turbamento sfumato in languore soave nel sentirlo cedere a poco a poco -a quell’onda di passione rinascente che le offuscava la ragione.... -quella pagina d’amore fra le rose, la lunga lettera folle, scritta e -non inviata, i rimorsi soffocati dal ricordo di quella stretta e di -quel bacio, la fisima di un amore purificatore, sublime, che dovrebbe -redimere l’amato e fargli ricominciare la vita per lei.... che rimaneva -di questo?... - -Il prisma scintillante e variopinto era ridivenuto un vetro volgare. -Ella sarebbe divenuta l’amante di quell’ufficiale di cavalleria -che conquistava con un astuto opportunismo il cuore di suo marito -per poterla corteggiare a suo comodo: sarebbe vissuta dividendosi -prosaicamente fra quei due uomini, menando una triste vita di finzioni, -di lotte, di rodimenti, di bassezze; tormentata dalla memoria de’ suoi -anni di vita illibata e serena per guadagnarsi infine lo sprezzo e -l’abbandono dell’uomo al quale faceva il sacrifizio della sua dignità. -Tale fu la tetra visione che la sua anima onesta e candida intravide -in un lampo di cruda luce e dalla quale rifuggì inorridita e salva. Era -guarita, lasciando brani di sè al ferro e al fuoco; ma che importa? Era -guarita. - - * - * * - -Dovette mettersi in letto, affranta. La sua delicata fibra di donna fu -la sola parte di lei sconfitta nella terribile prova. Ebbe una lunga -e acuta crisi di nervi, poi nel meriggio seguente migliorò e volle -alzarsi. Ma era ancora così debole che fu obbligata a lasciarsi andar -subito sulla _chaise-longue_ per appoggiare la testa indolenzita. Di -là guardava intorno tranquillamente coi grand’occhi cerchiati di nero, -occhi innocenti e mesti di bimba malata, come se rivedesse dopo un -lungo e pericoloso viaggio quelle pareti del suo santuario d’affetti -e di ricordi. Frattanto una gran pace, una dolce pace succedeva alla -dilaniante agitazione di poche ore prima; una pace feconda di buoni -propositi che si lasciavano dietro un profumo di fiori che sbocciano -sotto un sole caldo e luminoso. E carezzava tutto intorno con lo -sguardo quel nido tepido di raso e trine; accarezzava la poltroncina -dove Alberto era solito sedersi, dove lo aveva veduto anche in -quelle dodici ore di strazio, con la faccia pallida, senza respiro, -senza movimento se non per accostarsele a farle odorar l’etere, o -rinnovarle il ghiaccio, o darle qualche sorso di cognac, carezzando -con la bella mano aristocratica quelle di lei brancicanti fra le -coltri.... Vedeva il cofano scolpito, custode dei suoi gentili ricordi -di infanzia e di adolescenza, dello spensierato tempo lontano che -raggiava mitemente in una luce rosata e nebulosa, a cui ella volgeva -l’occhio sempre intenerito. Aveva conservato un ricordo di tutto: dei -giorni di palpiti, di speranze, d’angoscie, di lutto, di solitudine, -di esultanza; poi le giornate gioiose piene di canti e di fiori della -fidanzata, lieto poema terminato da un giorno di smarrimento che era -passato lasciando nello stipo un fascio di fiori d’arancio e un lungo -velo bianco. Poi venivano i mobili e le pareti ingombre di gingilli -ognuno dei quali le rammentava un’attenzione delicata del suo compagno, -una frase affettuosa, un bacio, un anniversario dolce, tutta la storia -del presente ricco d’amore, d’amore vero, refrigerante e sicuro, ch’era -idolatria e protezione ad un tempo. E là, dirimpetto, i grandi ritratti -de’ suoi morti che la guardavano fiso, cogli occhi animati da una così -strana luce di tenerezza e di malinconia che le fece mormorare cento -volte: Perdono, perdono, perdono.... - -Infine si levò, risoluta, calma, seria, come se stesse per compiere un -dovere od obbedisse ad una ispirazione superiore; e scrisse poche righe -su un cartoncino liscio, con la sua elegante calligrafia di signora: - -«Credete a me, Carlo, è meglio che non ci rivediamo mai più. Ho dei -gusti borghesi, compatitemi! preferisco rimanere semplicemente una -donna onesta che diventare la Diva di qualche leggenda. Addio. — -Letizia. - -Chiuse il cartoncino in una busta con l’indirizzo e la fece impostare -subito dalla cameriera. Poi tornò a fissar gli occhi de’ suoi morti. - -Quando si riscosse, il sole sul tramonto lambiva le trine del soave -nido serico e una nota voce risuonava nell’anticamera. La contessa si -avvicinò allo specchio e si ricompose i capelli. - -Suo marito entrò soffermandosi sulla soglia. - -— Già levata? brava! ti senti dunque meglio? — e mosse verso di lei -premuroso, un po’ triste. - -— Guarita, Alberto, guarita! — Letizia ebbe un impercettibile sorriso -sibillino. Poi gli mise lentamente le braccia al collo e gli nascose la -testa sul petto, contro il cuore. - -— Dì, Alberto, — susurrò, — mi perdoni le mie bizze, la mia musoneria? -hai veduto? non stavo bene, erano i nervi... - -— Già i nervi, quei benedetti nervi... — Alberto le carezzava adagio i -capelli, ninnandola come una bimba. - -Erano nella spera di sole che traversava obliquamente la stanza e -s’insinuava nel letto, fra le cortine: Letizia rialzando la leggiadra -testa la ebbe tutta intrisa d’un oro ardente. - -— Dimmi, Alberto, quando parti? — gli chiese con risolutezza. - -Egli esitò un istante. - -— Ma... dissi lunedì, e lunedì è dopodomani. Avresti qualche cosa in -contrario? Mi dispiacerebbe perchè non posso differire... - -— .... io no, anzi... — rispose lei tutta rossa e palpitante; — gli è -che.... volevo saperlo.... te l’ho domandato, — aggiunse rapidamente — -perchè vorrei venir con te! Oh, Alberto, portami via con te! - -Gli ricadde sul cuore tutta commossa. Alberto rimase un minuto in -silenzio, immobile; poi il signore serio, rigido, sempre dignitoso -e corretto la strinse fra le braccia con uno slancio di giovane -innamorato ripetendo a voce bassissima: - -— Sii benedetta; grazie, grazie.... - -Ma, di colpo, le prese tutte due le mani, obbligandola a rimanere là -dritta dinanzi a lui come dinanzi a un giudice. I suoi lineamenti -avevano assunto adesso un’espressione autorevole, severa, quasi di -durezza. - -— Hai scelto dunque? — le disse lentamente, fissandola negli occhi. — -Non te ne pentirai? - -— Ah, Alberto! — Era un grido di dolore, ma Letizia sostenne quello -sguardo risoluta, orgogliosa. - -— No? — continuò lui scosso più che non lo volesse parere; — no, -proprio? Ebbene, sono contento, Letizia, perchè è quello che mi -aspettava da te. Poichè, vedi, — seguitò freddamente, — avendo la -coscienza di valere di più, ho voluto che tu ci vedessi accanto, per -paragonare, per sce... - -— Oh no, per pietà, Alberto, non la ridire l’orrenda parola! — gridò -lei svincolando le mani per posargliele sulla bocca. — Mi crederai -se ti dico che fu un sogno? solamente un sogno della mente malata? un -breve sogno di cui ho rimorso, ma di cui non debbo arrossire? Che sono -ancora degna di te, della tua stima, del tuo amore, del tuo nome.... Mi -credi? - -Alberto la guardò negli occhi neri che raggiavano. - -— Ti credo, — disse semplicemente. - - - - -La gloria dell’ago. - - Quasi vil donna che ’l cor d’ozio ha vago - E sol adopri la conocchia e l’ago. - TASSO, _Rinaldo_. - - -Uscite dall’ombra, o aghi umili, buoni. Uscite senza ritrosia; è il -quarto d’ora della riabilitazione, il quarto d’ora del trionfo. - -Ecco, giungono. I primi adescati sono i meno modesti: gli aghi -aristocratici che luccicano come minuzzoli di raggi siderali sulla -felpa degli astucci, sul raso delle cestelline adorne, in cui -trascinano le giornate, oziando, col loro strascico di fili di seta -multicolore, sospinti di quando in quando da un ditale d’avorio o -d’argento, fra la severità d’un artistico ricamo che palpita alla -brezza marina, o ride ai riflessi del sole che s’infiltra tra il verde -d’un ramo, o s’immalinconisce nella penombra d’un salotto, stiracchiato -da una mano fine, nervosa, durante una visita importuna. Poi arriva -la gran moltitudine degli aghi borghesi: aghi solidi, utili, infilati -semplicemente di bianco o di nero, gli aghi più attivi, affacendati -sempre, sempre pronti ad ogni sorta di lavoro, un esercito di carità -che veglia e provvede dalle vedette d’avorio, di legno, di metallo, in -cui li relegano, a gruppi, mani frettolose e sapienti. Questi sono gli -aghi d’esperienza, poichè della vita conoscono le lotte, i trionfi, le -gioie, gli sconforti, i palpiti, i sogni, le miserie, le follie. Quante -cose hanno da raccontarsi, quando si trovano in crocchio a vegliare -negli agorai! Uno è passato fra le trine d’una bianca veste di sposa, -un altro fra il crespo d’un abito di lutto, un terzo in una cuffietta -di neonato, un quarto è andato a rischio di spezzarsi tra la paglia -del cappellino d’una signorina capricciosa, un quinto ha svegliato con -una puntura la giovine cucitrice, stanca e illanguidita, un sesto ha -fatto la spola cento volte fra un tovagliolo logoro d’una vecchietta -avara; il suo vicino invece è ancora indolenzito a furia di rattoppar -calzine d’ogni dimensione. Un altro ancora s’è bagnato delle lacrime -d’una sposina negletta, un altro non ha fatto che..... disfar punti -sbagliati fra dita abbandonate a loro stesse dalla mente assorta in -una fantasticheria, o intenta a sugger parole dolci da una voce virile, -armoniosa....... Oh, aghi, anche galeotti, dunque, qualche volta siete -voi?!... - -Vengono, robusti, giganti, gli aghi rustici che rappezzano i sacchi e -le camicie dell’alpigiana e scendono con lei in città, quando diventa -balia in qualche bel palazzo, a ricordarle quell’ultima sera dei suoi -monti, allorchè agucchiava cogli occhi velati e il cuore gonfio accanto -alla culla del suo figliuolino; o quell’altro giorno ancor più lontano, -quando un ago simile si spezzò al bacio improvviso d’un giovane -coscritto a lungo aspettato. Sono aghi ingenui, inoffensivi, che hanno -in sè una poesia fresca e sana e tutta la purezza dell’infanzia che li -predilige, tutta l’ignoranza beatamente grottesca delle bambole e dei -burattini. - -Ecco gli aghi scolastici in una minuziosa scala di proporzioni; aghi -silenziosi, discreti, affaticati, qualche volta crudeli, disamorati -sempre, poichè, meno qualche onorevole eccezione, si nascondono, -sfuggono, si spezzano anche volentieri, pur di sfuggire alla tirannia -di quelle ore fisse di ginnastica educatica. Ecco, accanto, gli aghi -del chiostro, muti, eterni, suffusi di luccicori lustrali, e la scarsa -falange degli aghi maschili dai movimenti bruschi, ineleganti, gli -aghi dei tappezzieri e dei soldati, e gli aghi degli ospedali, aghi -malinconici, addolorati, benefici, riparatori, «_Prima di trista e -poi di buona mancia_,» come la lancia del divo Achille, poichè oltre -ciò, voi, aghi, sapete anche punire una mano temeraria e puntare -all’occhiello un fiore desiderato.... Oh, aghi, aghi, chi vi canterà -degnamente? Come rendere tutto il germogliare di sensazioni, il -disegnarsi di miraggi che si levano, al pensiero di voi, nel mio cuore? -Aghi buoni, umili, filosofici, saggi compagni e testimoni eloquenti -della vita muliebre, consiglieri di pace, confidenti di tanti nostri -sogni ingenui, folli, mesti, a cui parete rispondere con una parola di -ritmo pacato, pieno di senno, balenando assidui tra la piega dell’orlo, -o coi ridenti rabeschi che si tramano sul canovaccio come rispecchiando -in un lago tranquillo le chimère splendide e vane dei poveri cervelli -femminili. Aghi, aghi, che sapete tante cose che gli altri non sanno, -tanti palpiti repressi, tante angoscie velate sotto una calma fittizia, -tante fissazioni opprimenti del pensiero assorto da un punto luminoso -di faro, tanti dubbi tremendi, tante supposizioni false che dànno -la voluttà del martirio, tante ore d’attesa, oh quante! le lunghe, -pazienti, logoranti attese femminili a cui è compagno il lavoro, ore -d’un supplizio minuto, crudele, continuato, che l’uomo non sa. - -Oh, aghi snelli, rilucenti, dai miti riflessi di luna, antichi maestri -di pazienza, quanto meglio sarebbe ascoltar voi qualche volta, quando -pacificamente incrociati sul lavoro che attende, pare ci consigliate di -non legger quei versi, di non scrivere quella lettera, di non uscire -a quella passeggiata; quando con la soddisfazione intima e schietta -che viene da voi, ci adescate alle dolcezze dei semplici, dei felici -che non conoscono il faticoso errare nei campi stellati e dolorosi -dell’arte, del pensiero! Meglio, si, meglio l’umile agucchiare che -il soave e velenoso intenerirsi ai casi di Lancillotto; meglio l’ago, -che la penna. E noi torneremo all’antico; agucchieremo. Là è un regno -tutto nostro di pace feconda, come la terra beata dell’ultimo sogno di -Faust; là, finora, nessuno ci giudica, nessuno ci motteggia, nessuno -ci sferza. L’ago pesa meno della penna alle nostre mani delicate e.... -conclude di più. - -_Ave_, dunque, ago, fortezza, difesa, e gloria nostra! - - - FINE. - - - - -INDICE - - - Forte come l’Amore Pag. 1 - Romanze senza parole » 75 - Natale Romantico » 78 - Natale Classico » 86 - Il poema dei bambini » 97 - Treccia bionda » 101 - Romanze senza parole » 112 - Pasqua triste » 116 - La scarpina di Cenerentola » 122 - Romanze senza parole » 182 - Crisantèmi » 140 - Dietro le scene » 150 - Mammole » 157 - Romanze senza parole » 165 - Ultimi bagliori » 170 - La gloria dell’ago » 197 - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO DEI MIRAGGI *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. - -Most people start at our website which has the main PG search -facility: www.gutenberg.org - -This website includes information about Project Gutenberg-tm, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. diff --git a/old/67559-0.zip b/old/67559-0.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index fed0204..0000000 --- a/old/67559-0.zip +++ /dev/null diff --git a/old/67559-h.zip b/old/67559-h.zip Binary files differdeleted file mode 100644 index f0e77f1..0000000 --- a/old/67559-h.zip +++ /dev/null diff --git a/old/67559-h/67559-h.htm b/old/67559-h/67559-h.htm deleted file mode 100644 index 196c788..0000000 --- a/old/67559-h/67559-h.htm +++ /dev/null @@ -1,8723 +0,0 @@ -<!DOCTYPE html PUBLIC "-//W3C//DTD XHTML 1.1//EN" -"http://www.w3.org/TR/xhtml11/DTD/xhtml11.dtd"> - -<html xmlns="http://www.w3.org/1999/xhtml" xml:lang="it"> -<head> - <meta http-equiv="content-type" content="text/html; 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CASCIANO</span><br /> -<span class="small"><b>LICINIO CAPPELLI EDITORE</b></span><br /> -—<br /> -1894 -</p> -</div> - -<div class="verso"> -<hr class="mid" /> -<p> -Proprietà letteraria -</p> - -<p> -Rocca S. Casciano Stab. Tip. Cappelli. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<div class="poem-container"> -<div class="poem inl"><div class="stanza"> -<p class="i01 large"><i>Al principe Aprile</i></p> -<p class="i05 large"> <i>la Dama d’Autunno</i></p> -</div></div> -</div> - -<p class="center small"> -<i>Dal Regno delle favole, 1894.</i> -</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span> -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-001"></a> - <img src="images/ill-001.jpg" alt="" /> -</div> - -<h2 id="forte">Forte come l’Amore</h2> -</div> - -<p> -Clotilde entrò un poco sbadatamente, cantando, -nel salotto terreno della villetta dove -accanto alla nonna che raccomodava il bucato, -suo fratello declamava con molto fervore, leggendo. -C’era anche il loro vicino, l’avvocato -Dardanelli. -</p> - -<p> -— Ssss! — le fece questi con un’energia -così brusca che la inchiodò sulla soglia, muta, -sorpresa. Ma Roberto aveva già lasciato ricascare -sulle ginocchia le mani, che reggevano il -manoscritto, in atto di scoraggiamento. -</p> - -<p> -— Quella sgarbataggine... — cominciò a rimproverare -seccamente la nonna, levando la testa -piccina e ossuta dall’enorme lenzuolo che -la seppelliva ammonticchiandosi su una sedia -di contro. E dopo un momento di silenzio generale -<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span> -disse a Roberto, guardandolo attraverso -gli occhiali amorosamente: — Continua. -</p> - -<p> -— No, è inutile, — mormorò il giovane con -languore annoiato; — già a me quella spensieratezza -ignorante mi fa sempre l’effetto di una -secchia d’acqua sul capo. — E corrugò le sopracciglia, -passandosi una mano fra i capelli biondi -e fluenti, come se la secchia lo avesse inaffiato -davvero. — Io son fatto così, che vuole? — riprese -sorridendo a fior di labbra all’avvocato -e alla nonna che lo guardavano costernati; — un -nonnulla, in certi momenti di emozione -artistica intensa, basta a smontarmi, a prostrarmi -per chi sa quanto... — E dopo un guizzo nervoso -piegò il manoscritto dispettosamente e si levò. -</p> - -<p> -— Questi poeti moderni sono pile di Volta, — osservò -blandendo l’avvocato, mentre la nonna -continuava a fissar Roberto con un po’ d’inquietudine. -</p> - -<p> -— Se avessi immaginato, — entrò a dire la -ragazza punto intimidita, — non sarei certo comparsa -e, se volete, me ne vado... -</p> - -<p> -Roberto fece una mossaccia ed uscì. -</p> - -<p> -— Ci siamo! — sbuffò la vecchina. — Tu, cara -Clotilde, fai e dici sempre delle sciocchezze. -Mi pare che oramai dovresti conoscere tuo fratello. -Già, non c’è rimedio, ci vogliono dei riguardi... -Quella gente là non è come noi, è -fatta ad un altro modo, vive in tutt’altro mondo. -Con tutte quelle idee nel cervello, sfido io! E -pur troppo in ogni tempo e in ogni luogo ci -<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span> -fu e c’è qualcuno che li disconosce, che li deride... -Pare impossibile! Roberto, che, per buona -sorte, è cresciuto in un ambiente dove tutti lo -apprezzano e lo ammirano, deve aver per sorella -quella monellaccia là che non capisce niente.... -</p> - -<p> -Clotilde non sorrise e continuò a tagliarsi le -unghie con le forbici della nonna, ritta in faccia -a lei, contro lo stipite della porta che s’apriva -sul giardino, più seccata dalla presenza e dagli -sguardi dell’avvocato, che dalla ramanzina -della signora Rita. Gli occhi di Dardanelli, tondi, -piccoli, bruni, maliziosi nel faccione paffuto, -quegli occhi impuri che parevano denudarle -corpo e anima, la urtavano terribilmente. Quindi -con bel garbo gli voltò le spalle, borbottando -più per disimpegno che per altro: — Roberto -<i>posa</i>, nonna mia... -</p> - -<p> -— Sentite chi parla di <i>pose</i>! — esclamò la -nonna con un atto di desolata meraviglia. — Chi -parla di <i>pose</i>! L’ha intesa, avvocato? Lei che fa -la donna emancipata a quel modo! Lei che ha -suscitato un mezzo scandalo con la fissazione -di quegli studii... Zitta, zitta per carità! -</p> - -<p> -Clotilde sorrise, questa volta, continuando a -rimaner voltata in là a capo chino. Intanto l’avvocato -mangiava cogli occhi quelle spalle svelte, -quella vita sottile, tutto quel bel corpo giovanile -e fiorente costretto nell’abito nero da cui usciva -libero e nudo il collo fresco, velato di capelli -biondicci sfuggenti al voluminoso nodo fissato -con uno spillo d’argento sulla sommità del capo. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span> -</p> - -<p> -— Va là col tuo tanfo d’acido fenico — brontolò -la nonna con disgusto. — Non mi ci avvezzerò -mai. -</p> - -<p> -Clotilde scese il gradino di pietra e fece -qualche passo nel giardino verde, fiorito, odoroso. -Era un tramonto di primavera, roseo, -diffuso, come un’aurora. Ma la nonna la richiamò -quasi subito, ed ella dovè voltarsi, tornare indietro. -L’avvocato la guardava avvicinarsi lenta, -a capo chino, occupata sempre delle sue unghie, -spiccando nettamente nella limpidità dell’aria; -un ultimo raggio d’oro rosso le ravvivava il -biondo scuro dei capelli. Si fermò a piè dello -scalino senza sollevare il viso nè gli occhi; -era assai pallida, sbattuta, e le lentiggini della -sua pelle fina apparivano tutte su su fino nella -fronte, che i capelli rialzati alla giapponese lasciavano -scoperta. -</p> - -<p> -— Signora medichessa, faccia il piacere di -terminare quest’orlo intanto — disse più ironica -che scherzosa la nonna cedendole il suo posto -accanto alla finestra, e uscì. -</p> - -<p> -La ragazza sedette un tantino soprapensieri -e si tirò metà del lenzuolo sulle ginocchia. Poi -si avvide di esser troppo vicina all’avvocato e -con un moto quasi di ripugnanza ritrasse la -scranna fin sull’estremo dello scalino di pietra. -</p> - -<p> -— Perchè s’allontana? — le chiese Dardanelli -con la sua voce fessa e nasale che aveva una -intonazione di dolcezza. -</p> - -<p> -— Cerco la luce, non lo sa che sono miope? — e -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -il volto di Clotilde si colorì leggermente, -fuggevolmente. -</p> - -<p> -— Non sarebbe una qualità per una medichessa, — seguitò -l’avvocato, accostando ancora -la sua sedia a quella di lei. -</p> - -<p> -— Non mi chiami così, la prego! — Ell’era -quasi supplichevole. — Peno abbastanza a sopportare -tutti i giorni le canzonature stizzose -della nonna e le smorfie sprezzanti di Roberto, -senza contare tutta la buona gente che scandalizzo -e che mi regala le sue meraviglie, le -sue disapprovazioni, i suoi consigli... Come se -non sapessi ancora ciò che faccio, come se fosse -peccato... — La sua voce oscillava. — E anche -sua moglie, sa, anche lei... -</p> - -<p> -— Oh lasci stare mia moglie; è una grulla — s’affrettò -a dire Dardanelli, che le alitava il suo -fiato caldo sul viso. — La nonna è una vecchina -all’antica. Roberto è tanto nelle nuvole... A -me invece piace che le donne, quando sono -belle come lei, s’emancipino così. Se ci saranno -molte medichesse come lei, vedremo i medici in -liquidazione... e gli ammalati maschi in aumento — finì -sorridendo. -</p> - -<p> -Clotilde sentì l’offesa e fece spalluccie. Dardanelli -le sfiorava la persona col suo corpo obeso. — Io -ammalerò di certo... Se ammalerò verrà a -curarmi? — le chiese ancora con la sua vocetta -che si stemperava nella tenerezza. -</p> - -<p> -— Io no. Mi dedico alle malattie delle donne -e dei bambini, lo sa pure... — cominciò lei, ruvida; -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -ma s’interruppe con un sussulto. Il braccio -di Dardanelli le allacciava la vita. -</p> - -<p> -— Impazzisce? — gridò Clotilde indignata, ribellandosi; — impazzisce? — E -siccome l’avvocato -la stringeva più forte, essa con l’ago gli -punse la mano, violentemente. -</p> - -<p> -Dardanelli si ritirò subito con un moto frettoloso -e grottesco, soffocando un’esclamazione -di dolore. — Quanto male mi ha fatto!... — mormorò -poi, occupandosi della puntura con quell’importanza -esagerata e quell’inquietudine propria -del sesso forte per le ferite di questa arma -esclusivamente femminile, un’arma da silfo, fatta -d’un minuzzolo di raggio siderale: — Guardi -quanto sangue! lei che doveva guarirmi... -</p> - -<p> -— Ho imparato che si guarisce anche facendo -del male, — ribattè la ragazza, rude, andandosene. — Si -badi; — è un saggio. -</p> - -<p> -Ella non sapeva d’esser tanto indovina dicendo -queste parole. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -A notte alta, Clotilde, vegliava sola nella sua -camera. La lucernina a petrolio, velata d’un -bianco perlaceo, pioveva una luce chiara e tranquilla -sulla giovine testa bionda china sul libro, -e si diffondeva mite a lambire le pareti grigie -a mazzi di rose. Nel fondo biancheggiava un -letto stretto, monacale, su cui era un gran quadro -di cui si vedeva soltanto rilucere la cornice. -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -Un altro quadro stava appeso nell’angolo dov’era -il tavolino di Clotilde, tra le due finestre: il -ritratto a olio d’una donna giovine vestita di -velluto nero con un piccolo collare di trina. -</p> - -<p> -All’abito austero, alla posa rigida e convenzionale -faceva contrasto il volto quasi infantile, -dall’espressione dolcissima e dallo sguardo -amoroso rivolto verso la fanciulla con quel non -so che di mesto, di stanco, di assorto, che hanno -i ritratti dei morti non dimenticati. E sulla -fanciulla, che studiava assidua, protetta da -quello sguardo, fra i cortinaggi di velo delle -finestre, alti e candidi come ali, nella solitudine -feconda di quelle pareti gaie e silenti, parevano -scendere benedizioni. -</p> - -<p> -Sul tavolino, fra l’aridità dei libri di scienza, -dei trattati di patologia e di farmacologia, dei -cartolari, delle boccette d’inchiostro, la nota -delicata, femminile: un mazzolino di viole e un -ramo di biancospino in un bicchiere. -</p> - -<p> -Clotilde leggeva, segnando in margine qualche -periodo o qualche parola colla matita che -si picchiettava poi sui denti stretti con un movimentino -che pareva distrazione, ma che in lei -caratterizzava il massimo dell’occupazione del -pensiero in qualche cosa. Le viole e il biancospino -odoravano forte sotto il calore del lume -che li avvizziva; in lontananza, nella campagna, -un cane abbaiava con insistenza noiosa -e s’udiva fioco e continuo il gracidare delle -rane. A lungo la testa bionda giovanile rimase -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -china sui libri e sui quaderni di appunti; a lungo -la lucernina diffuse luce e tepore nel silenzio -che, inoltrando la notte, pare addensarsi -sempre più come un velario invisibile e isolatore, -intorno a chi veglia nelle case addormentate; -Clotilde non ebbe uno sbadiglio nè un atto di -stanchezza. Quando guardò l’orologio nascosto -nella cintura, fece un atto incredulo di stupore. -Erano le tre. -</p> - -<p> -Possibile! le tre? quasi cinque ore di studio -continuo sfumate in un baleno! Era proprio -una vera passione la sua, oh si! tanto forte -da raccogliervi intorno tutta la sua giovinezza -rigogliosa, fiorita di sogni. Sogni strani, d’una -purezza immacolata, un po’ livida, un po’ mesta, -un po’ fredda, come ogni grandiosità: imprese, -uomini, cose. <i>Pace summa tenent</i> era il motto -che aveva scelto: pace, ma non quella di morte! -La morte essa l’avrebbe combattuta, accanitamente, -con tutte le forze del suo ingegno e della -sua vita, l’avrebbe vinta, incatenata, fugata -sventolando il vessillo della scienza in cui credeva -con la fede ardente e cieca di una neofita; -a cui benediva come ad un ideale di verità e -di bellezza; a cui tendeva le braccia come alla -felicità. -</p> - -<p> -Forse l’avrebbe trovata, lei, la felicità. L’avrebbe -trovata in quel romitaggio splendido e -austero dove sono così pochi gli eletti, così pochi -quelli che vi ascendono, molto amando! La gloria, -una posizione rispettabile, l’interesse materiale, -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -ecco, — pensava Clotilde, — l’esca di quasi tutti -i giovani studenti di medicina; ed anche quelli -che hanno la vocazione vera, viva, sincera, -sfrondano così presto i loro begli entusiasmi! -perdono così presto la loro fede gioconda! — Ebbene, -lei no: lo sentiva. Aveva un tesoro -di volontà tenace e di amorevolezza; queste -doti eminentemente muliebri, che fanno le eroine. -Poi, la pietà. La pietà, la nota fondamentale -del suo carattere, affinantesi qualche volta morbosamente. -Da bambina era svenuta vedendo -dei monelli tormentare un cagnolino cucciolo; -e quando la nonna portava, implacabile, al -gatto la trappola che conteneva il topolino -smarrito e umiliato, c’era ogni volta una scena -di singhiozzi e di preghiere che lasciavano la -bimba nervosa per tutta la giornata. Si ricordava -anche di aver vuotato tutto il contenuto del suo -salvadenaro nel grembiule di un manovale, -per riscattare un passerotto intirizzito, ed anche, -lei, così mite e tranquilla, d’aver amministrato -una buona dose di scapaccioni al -fratellino che strappava le ali a una farfalla -viva. Quando cominciò a frequentare la -scuola e a formarsi la sua piccola esperienza -intorno alle ingiustizie e alle miserie della vita, -le generosità spontanee, le delicate abnegazioni -divennero per lei un’abitudine, una necessità. -Compagne scusate e protette, merende divise, -compiti fatti di nascosto per qualche bambina -poco intelligente e volonterosa, regalucci, -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -elemosine, e con tal frequenza che la nonna -aveva dovuto avvertir la maestra, poichè le -bimbe più astute, con un po’ di commedia, la -svaligiavano. Una sera, in principio d’inverno, -era tornata a casa coi piedi nudi negli stivalini -perchè aveva dato le sue calze nuove di lana -a una bambina che piangeva dal freddo ai piedi. -I suoi giocattoli, specialmente le bambole, andavano -tutte, una dopo l’altra, a consolare -qualche dolore infantile, a rallegrare qualche -malatina, a far dimenticare qualche digiuno... -pronta a pigliarsi poi con filosofica rassegnazione -i rabuffi della nonna ed anche qualche correzione -più spiccia dispensata dalle mani della -vecchietta, niente affatto entusiasta di quel lusso -di filantropia. -</p> - -<p> -A nove anni suo padre la mise in collegio, -e ne uscì a quindici con tutti i primi premi -per gli studi e per la buona condotta; lasciando -edificate dietro di sè maestre e compagne per -la sua intelligenza viva, la sua persistenza -tenace nell’operosità, la dignità serena delle -sue maniere che le attiravano intorno una deferenza -che pareva rispetto. Una sol volta fu -punita severamente, e fu per aver trasgredito -l’ordine assoluto di non salire a certe camerette -dell’ultimo piano, dove stava rinchiusa da anni -una monaca pazza, «pazza per amore» bisbigliavano -fra loro in segreto le educande. -Clotilde era salita da lei una volta, poi due, -poi dieci, poi aveva finito per visitarla regolarmente -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -ogni giorno in un momento o nell’altro, -quando poteva sfuggire alla sorveglianza, -mettendo tutta la sua diplomazia e tutta la sua -fredda volontà in quella disobbedienza, dopo -che si era accorta d’un lievissimo miglioramento -dell’infelice accarezzata dalle sue cure. Poi un -bel giorno costei le si era avvinghiata al collo, -tempestandola di baci con una furia così selvaggia, -che la guardiana se ne spaventò e a -scanso di responsabilità avvertì la Direttrice. -Clotilde non potè veder la pazza mai più. Qualche -tempo dopo, la monaca moriva. -</p> - -<p> -Rientrata in famiglia, fra sua nonna, suo -padre, un militare in ritiro, e suo fratello, la -giovinetta andava dicendo di volersi far suora -di Carità. Ma la nonna, che odiava le romanticherie, -fu la prima ad opporsi con una -risolutezza che le accendeva il desiderio continuamente, -più forse delle elette e spirituali -figurine che vedeva passare nei discorsi di suo -padre, quando evocava con lei i suoi ricordi di -campo e di ospedale. L’attraeva il mistero gentile -delle bende, quel mistero in cui non raggia -che un viso e un nome: un viso sempre dolce, -un nome soave che le fa migrare attraverso -il mondo invisibili e sconosciute come una falange -di angeli custodi scendenti dalle regioni in cui -non c’è patria nè personalità. L’attraeva quella -gran pace attiva nell’oblìo e nel riposo e nell’ignoranza -d’ogni cosa, come se una blanda -riviera letèa avesse dilagato sulle passioni e -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -sui ricordi della vecchia vita naufragata; l’attraeva -sopratutto l’abnegazione efficace, la carità -feconda, la castità austera di quelle esistenze. -Ella, che sognava di avere le braccia della -Provvidenza per attirare e consolare tutti gl’infelici -e i dolenti della terra, avrebbe potuto -finalmente profondere quel tesoro d’affetto e di -pietà che le si accumulava nel cuore. Oh esser -utile e benefica! ardente e pia! Il miraggio -tranquillo di quella vita turbava i suoi sonni -di vergine come un desiderio d’amore. -</p> - -<p> -A deviare quella corrente che minacciava di -portare serie burrasche in famiglia, venne un -vecchio medico, amico di casa, una simpatica -figura di patriota e di cavaliere, volta a volta -brusco e cortese, un po’ strambo anche, ma -sempre ameno e arguto come un monello. -</p> - -<p> -— Ebbene, — aveva risposto alla ragazza che -gli confidava i suoi crucci; — ebbene, studia -medicina. È press’a poco la stessa cosa, sai. È -un apostolato filantropico e consolatore come -l’altro e d’una carità più militante. Una donna -vi può far miracoli. Prova. -</p> - -<p> -Ed avendo lei addotto timidamente la difficoltà -degli studi, del tirocinio, egli le rispose -con uno sguardo ironico e una scrollata di spalle: — Dell’ingegno -e della volontà ne hai da -dare a me; di freddezza e di una certa disinvoltura -spregiudicata e dignitosa non devi -difettare, se ti sentivi pronta a peregrinare per -il mondo sola, pronta ad assistere a tutte le -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -miserie degli ospedali e dei tuguri. Fa la medichessa. -</p> - -<p> -Questa volta Clotilde non aveva risposto -nulla ed era rimasta un po’ di tempo a guardar -diritto dinanzi a sè co’ suoi occhi larghi e neri -che la miopia rendeva misteriosi. Forse si sarebbe -limitata a pensarci su, se un incidente -non l’avesse decisa. Furono i pettegolezzi di -una vecchia serva. Essendo un giorno rimasta -in casa sola con lei, la donnicciuola incominciò -non richiesta a narrarle molti particolari della -malattia che aveva spinto nel sepolcro la madre -di Clotilde nel fiore della giovinezza. Clotilde, -a cui avevano lasciato credere che il tifo l’avesse -uccisa, seppe così che la mamma era morta -dopo aver sofferto lungamente, eroicamente, di -un male interno, cancrenoso, che nascondeva a -tutti come una vergogna per non farsi curare -da un uomo. Quando se ne accorsero era già -tardi e ancora nessuno potè vincere quella ripugnanza -invincibile, selvaggia. E il pudore la -uccise. -</p> - -<p> -Clotilde a questa rivelazione rimase scossa -rudemente, profondamente, intensamente, e tutta -la pietà del suo cuore si sollevò come di fronte -ad un’enorme ingiustizia. Una cosa orribile, -inumana, il lento suicidio pieno di spasimi di -quella madre che voleva vivere, in lotta con -la donna che si lasciava morire avvolgendosi -nell’ultimo velo della sua castità. L’anima delicata -della fanciulla vibrò dolorosamente, senza -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -che le lagrime o le convulsioni di compassione -della sua infanzia sensibile si rinnovassero in -questa grande amarezza, nella più grande compassione -della sua vita. -</p> - -<p> -Rimase tre, quattro ore in camera, sola, in -ginocchio dinanzi al ritratto della sua morta -senza pregare nè piangere, muta, intontita, come -se l’avessero appena portata al cimitero; -rimase là con un un gran peso sul cuore, e -nel cervello una fissazione sottile, acuta, insopportabile. -Sua madre avrebbe potuto non -morire dunque! Bastavano due mani bianche -e una dolce voce femminile sul suo letto di -dolore, nient’altro... E il mal di cuore non tormenterebbe -il babbo incanutito innanzi tempo, -e lei avrebbe veduto vivi, animati, per la casa -quel sorriso e quello sguardo che erano un -compendio di tenerezze e che oramai non ricordava -che immobili così... -</p> - -<p> -Quando si risollevò, la sua decisione era -presa. Studierebbe medicina. La mamma, Dio, -glielo suggerivano, glielo imponevano come un -dovere, come una missione. Era una specie di -rivendicazione del suo cordoglio, una vendetta -spirituale contro la morte, cui avrebbe tolto -cento altre madri se le aveva rapita la sua. Il -babbo la appoggiò e la nonna non osava opporsi -troppo, pensando forse che era meno male medichessa -che suora di Carità, o meglio, sperando -che la via lunga e ardua la stancherebbe. Ma -ciò non fu. Tutta la forte volontà, la prontezza -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -dell’ingegno, la memoria viva, l’elasticità della -fibra, tutta la ricchezza dei suoi quindici anni -la fanciulla donò alla sua idea. Lo studio divenne -la sua distrazione, il suo rifugio, il suo -conforto, la sua dolcezza. Quando il babbo, che -languiva, si spense, dopo le prime giornate di -desolazione, Clotilde si rimise allo studio con -più ardore, domandandogli l’oblìo come ad un’ebbrezza; -e sovente, nelle ore che le ravvivavano -il ricordo della sventura sofferta, le accadeva di -reclinare la fronte con un lieve singhiozzare -su qualche grosso trattato di Patologia che rimaneva -aperto sotto quella testa bionda come -per accogliere il suo dolore. -</p> - -<p> -Così fece tutti i corsi insieme agli studenti, -ed ogni esame era per lei un trionfo. Riservata, -semplice, modesta, i professori la preferivano -francamente, e nessuno dei suoi compagni -pensava a serbarle rancore, anzi pareva che -cercassero anche loro di favorirla; forse per -quel tal sentimento quasi di protezione cavalleresca -che nasce dall’affratellarsi dei due sessi -nella medesima scuola. Le altre studentesse -erano meno indulgenti; ma poi Clotilde non si -poteva dir bella e si vestiva e si pettinava così -dimessamente che pareva lo facesse apposta per -non dar nell’occhio, quindi in grazia di ciò, -molto del suo talento le veniva perdonato. -</p> - -<p> -Entrata all’Università, le opposizioni della -nonna ricominciarono. Clotilde, che non poteva -contare sull’unico appoggio rimastole, quello -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -del fratello, un egoista inutile, assorto sempre -nelle sue visioni di gloria, si limitò a tener -sodo senza difendersi; e questa resistenza silente -e tenace irritava la vecchietta già inasprita -dalla sventura. Se avesse usato un pizzico di -diplomazia, l’urto sarebbe stato attenuato; ma -la fanciulla era troppo franca, troppo fiera per -fingere o anche solamente esagerare una sommessione -affettuosa che avrebbe rasentato l’ipocrisia. -Tutte le tenerezze della nonna erano per -Roberto, ella lo sapeva bene, nè se ne lagnava -per una gran dose d’alterezza e di filosofia, -forse anche per un fondo d’indifferenza ch’era -nel suo carattere. E non le aveva mancato di -rispetto mai: nè con un atto, nè con una parola. -</p> - -<p> -Eppure la nonna, con quella minuta e fredda -crudeltà che hanno talora i vecchi, non lasciava -di stuzzicarla e di mettere a prova la sua fermezza, -affidandole mille faccenduole da sbrigare, -o noiosi lavori d’ago che le rubavano quasi -tutte le sue ore di riposo ed anche qualcuna -di studio. Clotilde tranquillamente si rifaceva -vegliando. E la signora Rita, che non sapeva -come fare a pigliarsela, si sfogava coi vicini, -atteggiandosi a vittima di quella stramba ragazza -che si impuntava a correr su e giù in -tram dall’Università alla villetta e viceversa, -mentre avrebbe potuto viver agiata e tranquilla -fra il suo telaio di ricamo e i suoi fiori -aspettando un marito, qualche buon giovine assennato -e danaroso che certo non le sarebbe -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -mancato. Ma così! chi doveva aver coraggio -di avvicinarla? Una ragazza che studia medicina! -che deve veder tutto e saper tutto... Uno -scandalo, uno spino continuo, il cruccio della -sua vecchiaia. E i vicini compiangevano in coro. -</p> - -<p> -Clotilde si spogliava nell’intimità della sua -camera. Aveva spento la lucerna e acceso la -candela sul tavolino da notte; la sua ombra -sulla parete volteggiava lieve ed enorme. Che -giornata faticosa! E quelle ore, là al teatro anatomico -con quell’odore... E poi alla clinica quel -bambino che urlava e quella madre così pallida -e il professore che non finiva più di dimostrare, -di spiegare... Ebbe ancora un brivido, ripensando -quella scena che aveva scosso così rudemente, -così dolorosamente la sua sensibilità femminile; -e un vago sgomento le stringeva il cuore, -pensando alla lunga serie di miserie, di strazi, -a cui avrebbe dovuto ancora passar in mezzo, -ancora e sempre, tutta la vita, come in una corsia -infinita d’ospedale; cloroformizzandosi spiritualmente -per non turbare con le sue sensazioni -l’opera della scienza; scacciando le emozioni -come un egoismo, la compassione come -una crudeltà. -</p> - -<p> -Era rimasta con la sottanina breve di flanella -a righe azzurre e bianche e con la sottovita di -maglia grigia. Si spettinava, e così con le braccia -levate in un atteggiamento grazioso di sirena -o di dea, tutte le forme opulente del suo bel -corpo sbocciavano. Il nodo dei suoi capelli era -<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span> -fermato da uno spillo d’argento, una specie di -pugnaletto donatole da suo fratello che vi aveva -fatto incidere su un motto cavalleresco: -«<i>Non ti fidar di me se il cor ti manca.</i>» Levato -lo spillo, il torciglione si allentò mollemente -ed ella con una mossa del capo lo fece ricascare -sulle spalle allargandolo con le dita, sciorinandolo -prima di farsi la treccia per la notte. I -suoi capelli non erano lunghi, ma fini, abbondanti, -ondulati e d’un bel castano che al sole -s’indorava. -</p> - -<p> -..... Oh le povere piccole membra contratte -dallo spasimo...! oh il martirio intimo, muto di -quella madre, e la voce del professore così -calma...! e le sue dita così rapide e sicure quando -avevano guidato il piccolo bisturi....! Quella -visione d’angoscia non le si levava dalla mente. -Anche la Ginoli, l’altra studentessa, era assai -pallida: gli assistenti si affollavano, come se -la curiosità vincesse la pietà. Ma non era curiosità -soltanto, lo sapeva... Qualche profilo -caratteristico o amico le si delineò nella mente: -Santarelli biondo e scialbo col suo collo d’oca; -il testone d’Embrici così timido e goffo, martire -dello studio e dei compagni; Altarini, un -saccentuzzo dalla voce stridula che soverchiava -sempre; il bel Raimondi, che faceva perder -la testa alla Ginoli; Serralta, detto il gobbino -per la sua imperfezione che gli valeva qualche -riguardo dai compagni, i motteggi della -Ginoli e la compassione di Clotilde che si sapeva -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -adorata in segreto da lui. Un viso da -scimmia quello di Serralta, dai lineamenti continuamente -in moto per una specie di tic nervoso, -dagli occhietti maligni che si illanguidivano -incontrando quelli della fanciulla, che -col suo contegno severo non aveva mai incoraggiato -quell’amore. -</p> - -<p> -Finì di spogliarsi in fretta e si cacciò fra -le lenzuola candide e ruvide del suo letto duro. -Ma non aveva sonno. La stanchezza e la veglia, -che per solito la facevano cader giù addormentata -come un masso, quella notte la tenevano -desta in una lieve eccitazione di nervi tormentosa -e dolce. Le pareva che una forza invincibile -la obbligasse a tener gli occhi sbarrati e la -fantasia in azione. Tutte le sue fibre vibravano, -e nella sua mente era una ridda faticosissima -d’immagini, di pensieri, di formule, di nomi -tecnici, di visioni... Quel piccolo paziente e -quella madre...! Clotilde non sapeva spiegarsi -come mai quell’episodio le fosse rimasto impresso -così vivamente nel cervello, mentre non ne -aveva risentito sul momento una scossa esagerata. -Non sapeva come mai quel quadro penoso, -sopito nel resto del giorno, giganteggiasse ora -nella solitudine della sua stanza così paurosamente -da diventare un incubo. -</p> - -<p> -Seduta sul letto, con le braccia in croce contro -il largo scollo della camicia che le scivolava -dalle spalle, vagava con gli occhi spalancati -negli angoli bui e cheti della sua stanza dove -<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span> -tutto pareva dormire: i libri ammassati sul tavolino, -i mobili ordinati, la lucernina spenta, -i suoi abiti ricascanti su una sedia in atteggiamento -di abbandono, perfino uno de’ suoi -stivalini rovesciato per terra. E le bianche tende, -lievi e alte come ali, scendevano come per proteggere -il sonno di tutta quella cameretta innocente. -Ma lei no, non dormiva; e la candela -accesa sul tavolino da notte, che dava delle luminosità -auree alla treccia molle e cadente de’ -suoi capelli, delle morbidezze alla nudità delle -sue braccia e del suo collo torniti, dei candori -languidi alle coltri e ai guanciali, pareva vegliare -anche lei, maliziosamente. -</p> - -<p> -Poi, Clotilde lasciò ricascare la testa e le -braccia sulle ginocchia piegate e si mise a piangere -silenziosamente, senza perchè, senza motivo, -così, per tristezza, per la gran tristezza arida -della sua vita che minacciava di atrofizzare il -suo cuore; per le scene lugubri che riempivano -quelle ridenti giornate primaverili, giovani -come lei; per quell’atmosfera sinistra d’ospedale -e di morte, da cui si sentiva penetrare ogni -giorno più, paurosamente. Intanto quelle lagrime -le rilasciavano i nervi, le facevano bene, -ed essa lo sapeva e ne provava un sollievo -sempre più dolce, poichè attraverso alle lagrime -che empivano le sue palpebre chiuse, su quel -fondo di malinconia stanca, una figura virile -andava delineandosi, nascondendo gradatamente -orrori e tristezze, fondendo la sua angoscia -<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span> -lugubre in una soavità delicata e tranquilla che -era quasi una gioia. Come l’aveva guardata quella -mattina!...... Strano quello sguardo, che pareva -una impertinenza ed era un’ingenuità. E quel -sorriso muto, quando le aveva nascosto tra un -libro il ramoscello di biancospino... E quell’atto -sgarbato accompagnato da una parola che pareva -una carezza... e quel saluto lungo, esitante, -scorato; e quella voce armoniosa piena d’impazienze -e di tenerezze. Quanti tesori da contare -quel giorno e quanti forse anche per il giorno -dopo, ancora e sempre, tutti i giorni, fino alla -morte, fino all’eternità. Tutti i giorni così, una -o due ore con lui, liberi, tranquilli, senza desiderare -di più, senza sperare di più. Sorrise -da sè col capo nascosto, poi si lasciò andare -all’indietro sui cuscini, coll’anima alleggerita, -la mente riposata in quell’unico pensiero blando. -Il biancospino e le mammole, invisibili nell’ombra, -dal loro vasetto sul tavolino effondevano -una fragranza lieve nella camera chiusa. Clotilde -la sentiva aleggiare su lei, come se tutti gli spiriti -della primavera avessero invaso la sua camera -per calmare i suoi tumulti e cullare il -suo sonno con l’emanazione di tutti gli amori -della natura. E si addormentò, con la candela -accesa, la testa rovesciata da un lato, le dita -intrecciate al cordoncino d’oro che le scendeva -dal collo fra le pieghe della camicia. S’addormentò, -ed ebbe un sogno d’amore tutto fiorito -di mammole. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Contro il solito, Roberto scese quella mattina -prima di Clotilde e uscì in giardino a passi -lenti, cogli occhi stretti in aria meditabonda, -la sigaretta fra le labbra, il ciuffo biondo de’ -suoi bei capelli più scompigliato che mai. Andò -a sedersi sul sedile di ferro fra il gruppo dei -sicomori ancora sfrondati, ma già tutti ricchi -di gemme e di bocciuoli. Ogni immobilità rigida -e muta dell’aria, delle piante, della materia, -pareva animarsi all’alito della primavera -come al fiato di Dio. La nova stagione sorrideva -tra timida e ardita, tutta grazie selvaggie, -gentili sorprese, contraddizioni e stonature adorabili: -come un adolescente. Dai rami secchi -della siepe, ancora stecchita nel sonno invernale, -sbocciavano fitti ed innocenti i fiori di -biancospino; sotto il seccume antico dell’autunno -odoravano invisibili e tepide le mammole; -i grappoli della glicine ricascavano sul muro -nudo della villetta fra le due ramificazioni spoglie -e nodose. Roberto fissava, con la mente -lontana, una finestra spalancata, che la glicine -inghirlandava e in cui si gonfiavano alla brezza, -come vele, le tende bianche, leggiere. -</p> - -<p> -Clotilde apparve sulla soglia della saletta -d’ingresso con un libro sotto l’ascella, abbottonandosi -un guanto. Ma Roberto non la vide, -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -o finse di non vederla, se non quando gli passò -vicino. -</p> - -<p> -— Che miracolo... — disse lei. -</p> - -<p> -— Miracoli della primavera, — rispose Roberto -con un accento ispirato; ed essendogli -caduto ai piedi il lapis di Clotilde, lo raccolse -e glielo rese. — C’è da sperare che ne faccia un -altro, — aggiunse dopo un’occhiata esaminatrice; — quello -di farti smettere quel cencio di vestito -che fa orrore. -</p> - -<p> -Ella si guardò, indifferente, una manica: — È -poi così orribile? Io non me ne accorgo; non -ci sono macchie, quindi..... Povero Roberto! — continuò -sorridendo. — E dire che ti piacerebbe -avere una sorella elegante che sfoggiasse abiti -ogni settimana... -</p> - -<p> -— Dallo sfoggio alla miseria c’è tutta una -sfumatura, — riprese lui, piccato. — Questa tua -fissazione del nero, con quelle pieghe diritte -come quelle delle monache, con quell’eterna -cintura di nastro; quel cappellino che vorrebbe -aver un’aria maschile, quella giacchetta che ti -vedo da tre anni... andranno benissimo, non lo -nego, per affermare le tue idee d’emancipazione, -ma danno anche il diritto di deplorarle e la -forza di bandire una crociata contro di voi, rinnegatrici -d’ogni grazia e d’ogni gentilezza, refrattarie -a ogni seduzione... profanatrici dell’eterno -femminino... -</p> - -<p> -Clotilde lo affisò, incerta se scherzasse o se -parlasse sul serio; ma Roberto non sorrideva, -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -non scherzava. Gli era rimasto, solo, sul volto -un’ombra dell’intima compiacenza per aver trovato -quelle belle frasi d’oratore. Però seguì su -un tono meno aspro: -</p> - -<p> -— Voi donne possedete sole il segreto delle -raffinatezze delicate, delle sfumature indefinibili, -delle armonìe indistinte, di tutte le finezze, -di tutte le fragranze sottili, di tutte le cose -immateriali e colorite e luminose che adornano -il mondo. È come una grande volatilizzazione -della bellezza che le donne fanno fluttuare su -di noi, inafferabile, divina, inebriante, di cui -esultiamo ignoranti e felici come i fanciulli che -non sanno il perchè delle cose. Se rinunziate -o sdegnate questa vostra missione stupenda, -chi vi sostituirà? Che sarà del mondo? che -sarà di noi? che sarà di voi, che perderete tutto -il vostro fascino di delicatezza e di leggiadria, -senza poter uguagliarci mai in quella forza, che -a torto o a ragione ci rende alteri? -</p> - -<p> -Clotilde non amava le discussioni. Le scansava. -Con suo fratello sapeva poi che non poteva -ingolfarvisi senza che uno dei due ne uscisse -ferito sul serio. Egli era troppo innamorato di -parvenze, lei della verità. -</p> - -<p> -Rimase a capo chino, guardando il libro nell’attitudine -d’una colpevole. Roberto aveva rimesso -tra le labbra la sigaretta e mandava fuori -in silenzio le nuvolette di fumo: — Via, — aggiunse -sempre più dolcemente, — un po’ di -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -rosa, un po’ di viola, un po’ di fiori, un po’ di -primavera su quel vestito! -</p> - -<p> -Clotilde posò il libro sul sedile e s’inginocchiò -per terra. — Ecco, — mormorò affondando la -mano nel muschio umido e tepido fra cui spuntavano -mammole, — ecco la primavera! — E -si infilò le violette in quell’eterna cintura di -nastro nero che si vedeva fra la giacchettina -aperta. -</p> - -<p> -Un trotto cadenzato sulla via maestra la fece -balzare. — Il <i>tram</i>, — disse, — bisogna spicciarsi; -se no rischio di rimanere a piedi; addio! — E -si mise a correre col suo libro verso il cancello -nel lume biondo del sole mattutino, pronta e -gaia al principio della sua giornata faticosa, -mentre Roberto sul sedile, avvolto nella frescura -profumata, vagava con la fantasia intorno a visioni -di bellezza e a rime d’amore. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Si salutarono con un sorriso e cogli occhi -radiosi per la gioia dolce sempre rinnovellata -di quel primo vedersi. Egli, al solito, le prese -il libro, la aiutò a salire sul <i>tram</i>, le fece posto -accanto a sè sulla panchina in silenzio. -Pareva ormai una cosa convenuta, e per una -specie di tacito accordo o di complicità indulgente, -quel posto rimaneva vuoto finchè ella -saliva, oppure chi lo occupava se ne ritraeva -subito premurosamente. E Clotilde non ne rimaneva -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -imbarazzata e lui neppure, tanta schiettezza -mettevano in quel sentimento che li -avvinceva; un po’ più dell’amicizia, un po’ meno -dell’amore. Da un anno continuavano a incontrarsi -così tutti i giorni, i giovani, in quella -breve gita mattutina, da quando lui era andato -ad abitare una casetta fuori di porta per -consiglio dei medici, che avevano raccomandato -a sua madre l’aria libera della campagna per -quel figliuolo, l’ultimo dei cinque che la tisi -aveva spazzato via. -</p> - -<p> -Aroldo dava lezioni di musica; quindi ogni -mattina era obbligato a scendere in città come -Clotilde. Questa abitudine comune li aveva -affratellati, poi era divenuta un sollievo per -entrambi, poi una festa. Aroldo saliva alla -stazione del <i>tram</i>, che era a due passi da casa -sua, e dopo un mezzo chilometro saliva anche -la fanciulla che attendeva il passaggio del -carrozzone fuori dal cancello bianco del piccolo -giardino. Quei due chilometri all’aria viva -e fresca su quella panchina di tram, fra un -chiacchiericcio animato, le risa, le discussioni -gaie, le canzonature, sfumavano in un baleno; -pure essi ne attingevano una forza insperata -per le fatiche della loro giornata operosa: una -specie di elasticità gioconda, che alleggeriva -a lui la monotonia triste delle lezioni, a lei -l’oppressione cupa dell’ospedale. Qualche volta -i loro bisticci erano così ameni e le loro risate -così spontanee che gli altri si voltavano -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -a guardarli e sorridevano. Del resto, non erano -numerosi i loro compagni di viaggio e sempre -gli stessi: la serva del parroco col cesto delle -spese; due scolaretti di ginnasio; una ragazza -pallida e melanconica collo scialletto tirato sugli -occhi, che andava a lavorare a giornata; -il portalettere, un magrolino che aveva l’argento -vivo addosso; un vecchione sonnacchioso; una -lattivendola. Tutta gente che parlava poco, -meno il portalettere che sfogava la sua parlantina -toscana coi conduttori del <i>tram</i>. Entrati in -città, al primo crocicchio, Clotilde e Aroldo facevano -fermare e si lasciavano quasi senza salutarsi, -in un’ultima risata, scendendo uno di -qua l’altro di là, come se scappassero e senza -voltarsi indietro. Lei svoltava subito nel vicolo -che fiancheggiava l’Università; lui infilava i -portici ampi, lucenti di marmi e di vetrine. -</p> - -<p> -— Come stanno i suoi malati? chiese Aroldo, -appena Clotilde si fu seduta, colorita e palpitante -ancora per la corsa. -</p> - -<p> -— Non mi faccia arrabbiare; oggi non ne -ho voglia.... -</p> - -<p> -— Come me, dunque! Queste prime giornate -di primavera mi mettono un’uggia addosso, -inesplicabile; le lezioni mi diventano un supplizio... -Se sapesse quante volte al giorno mando -al diavolo scolari, musica, compositori, istrumenti, -perfino Guido d’Arezzo... anzi, prima di -tutti lui... -</p> - -<p> -Clotilde rise. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -</p> - -<p> -— Sì; è una miseria, — disse poi, — questa -svogliatezza e questa tentazione di vagabondaggio -in primavera. Almeno piovesse; i nervi sono -più tranquilli.... -</p> - -<p> -— I nervi? — ripetè ironicamente Aroldo; — lei -non ha diritto di parlare di nervi sensibili.... -con quei suoi bei studi.... ricostituenti.... -</p> - -<p> -— Già, — ribattè Clotilde con flemma incrociando -le braccia; — ha ragione. -</p> - -<p> -— Meno male! I nervi? oh! come una damina -fragile, lei che deve essere corazzata contro -tutte le debolezze.... -</p> - -<p> -— Ha ragione. -</p> - -<p> -— Lei che adesso con tutta disinvoltura va -ad analizzare freddamente tante sofferenze.... -a dar dei nomi tecnici al dolore.... ad insozzarsi -in un carnaio.... -</p> - -<p> -— No, il rispetto almeno! — interruppe lei, -seria, posandogli una mano sul braccio. — È il -mio pudore, la mia sensibilità.... -</p> - -<p> -Aroldo si tirò il cappello sugli occhi e seguitò -a guardare contro il sole che gli coloriva -il volto sbiancato. Le siepi che fiancheggiavano -la strada luccicavano di rugiada e in un orto -al di là era tutta una fioritura bianca e rosea, -tenue, ridente sulla sfumatura cerulea del mattino -come un bosco incantato, come un fantasioso -sogno di redenzione. -</p> - -<p> -— Ma sa che lei è un miracolo? — esclamò -a bruciapelo lui, rimandandosi indietro il cappello -sino a metà del capo. E siccome Clotilde -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -lo guardava tranquillamente coi suoi occhi -miopi, velati, sibillini, senza parlare, egli proseguì -brutalmente: — Un miracolo.... un mistero.... -non so.... qualche cosa di strano insomma. -Alle volte lei è di ghiaccio, altre volte ha -certe risposte che ammutoliscono.... E tutto ciò -senza una parola inutile, con un laconismo -terribile e, scusi, non femminile.... Dopo tanto -tempo che ci troviamo insieme ogni giorno, -non so ancora nulla di lei, io.... di lei non ho -colto nè un’impressione, nè un sentimento, nè -un’emozione.... Vuol che le dica che questa -freddezza feroce... romana.... mi fa quasi paura? -</p> - -<p> -— Mi onora troppo, — balbettò Clotilde arrossendo -e celiando con un po’ d’imbarazzo. E -cacciò le mani nelle tasche della giacchettina -nervosamente, mentre ripigliava guardando dritta -innanzi a sè nella strada bianca fra il verde -tenero, rado, della vegetazione novella. — Ma -chi le prova che io sia... quello che mi crede?.... -Non mi piace parlare di me, ecco tutto, nè con -lei, nè con nessuno. Tengo a rimpicciolire la -mia personalità più che posso, per tentare di -convincere le persone che amo, della verità, -della serietà, sopratutto, della mia vocazione.... -</p> - -<p> -Aroldo corrugò le sopracciglia con un’espressione -di dolore e fece un gesto come per parlare. -Ma lei non gliene lasciò il tempo: -</p> - -<p> -— Ci sono dei ragazzi forti, dei giovinotti -spregiudicati, perfino dei vecchi medici, che soffrono -di tutta quella miseria; non ne dovrei -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -soffrir io, donna? Sarebbe una mostruosità. Oh -se ho sofferto! orribilmente, atrocemente... tanto -più che erano obbligata a nascondere i miei terrori -che avrebbero dato ragione a quelli che -mi contrariavano... Quante notti senza dormire, -tutte piene di incubi sanguinosi...! Quante giornate -piene di nausea, di tetraggine...! Ma la -notte sopratutto, oh la notte era orribile... E -qualche volta ancora... sebbene siano due anni -che vado al teatro anatomico... Ma non mi ci -avvezzerò mai, temo... -</p> - -<p> -Aroldo si lisciava la barba breve, biondiccia, -ricciuta, fissandosi le punte dei piedi. Clotilde -parlava sommessa e con uno sforzo palese, arrossendo -e impallidendo. Qualcuno de’ loro compagni -di viaggio s’era voltato a guardarli, con -una certa aria meravigliata per la apparente -serietà dei loro discorsi di quella mattina. Negli -occhi della ragazza malinconica passava -qualche lampo d’invidia, e la serva e la lattivendola -avevano scambiato una parola all’orecchio -e un sorriso. -</p> - -<p> -— Eppure ho sempre vinto ogni ripugnanza, -ogni debolezza... Ah, quando si vuole proprio! -Neanche uno svenimento, sa? La Ginoli ha -durato otto giorni a svenire... le bastava vedere -la tavola di marmo... E gli studenti anche non -scherzano... Ogni volta bisogna accompagnarne -fuori uno. Ma io mai. Pure mi venivano i sudori -freddi... -</p> - -<p> -Aroldo, immobile, a occhi bassi, taceva. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -</p> - -<p> -— Gli è che, — continuò Clotilde, — a me -accade una cosa strana. Quando risento un’impressione -violenta, non è mai sul momento che -mi accorgo di provarla, è sempre, dopo. Sul momento -una forza insperata m’irrigidisce; ma il -contraccolpo mi accascia. Durante le prime lezioni -clinico-chirurgiche o le sezioni, mi serbavo -fredda e tranquilla; alla notte battevo i denti dal -terrore e ne avevo la febbre... -</p> - -<p> -Aroldo appoggiò le mani e la fronte al pomo -del suo bastoncino d’ebano. -</p> - -<p> -— E la prova più rude, chi lo crederebbe?, -non è per me l’anfiteatro. È la visita che faccio -nella infermeria dei bambini. Tutti quei poveri -corpicini travagliati, addolorati, straziati, -quegli occhietti che supplicano un sollievo, che -non sempre possiamo dare, quelle vocine che -non sanno esprimere, se non piangendo le loro -sofferenze e che sembrano ribellarsi al loro male -come ad una crudeltà, a un’ingiustizia... che non -vedono nel medico che un nemico barbaro e -nei rimedi che un tormento... mi fanno l’anima -così triste ed oppressa che qualche volta mi -par d’impazzire d’ipocondria... Eppure è per -loro che lotto... per loro che voglio vincere... a -loro che sacrifico senza esitare tutti i sorrisi -della vita... e non ho che ventiquattro anni.... -</p> - -<p> -Aroldo le afferrò il polso così improvvisamente -e così forte da farla trasalire. I suoi -occhi lampeggiavano; i suoi occhi belli e strani -che avevano languori e tempeste inattesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -</p> - -<p> -— No! no! — esclamò sottovoce, concitato: -</p> - -<p> -— No! — E la fissò negli occhi senza lasciarla, -con un’espressione di sfida, che ella sostenne -arditamente, ancora tutta rosea nel volto -del suo entusiasmo di carità. -</p> - -<p> -La ragazza malinconica si voltò un poco sgomenta -e il vecchione sonnacchioso, che dondolava -il capo sul petto, aperse due occhietti imbambolati. -Aroldo le lasciò il braccio per nascondersi -il volto. -</p> - -<p> -— Non mi parli più di queste cose — pregò -prostrato, vinto. -</p> - -<p> -Il sole all’Est li colpiva in pieno corpo e -intiepidiva i loro abiti. Le violette, alla cintura -di Clotilde, odorando acutamente, s’appassivano. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il giorno dopo, lei affettò un po’ di sussiego, -lui una disinvoltura esagerata. Aveva una parlantina -facile, briosa, un’aria birichina e tanta -comicità nei suoi atti, che Clotilde dovette finire -per riderne schiettamente. Aroldo contraffaceva -una sua scolara, la contessina sentimentale -che da tre mesi rodeva un notturno di -Chopin senza riuscire a far capire che cosa suonasse, -neanche approssimativamente. -</p> - -<p> -— ..... allora si dispera, — continuava imitandone -le pose languide. «Ah, professore..... -non lo imparerò mai questo notturno indiavolato... -e dire che lo <i>sento</i> tanto.....» Ed io: -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -«Coraggio... studî... riuscirà...» Ma questa è -la risposta delle giornate buone. Quando poi -ho la luna di traverso le rispondo brusco brusco: -«Signorina bisogna decidersi, o avanti o -indietro; lei non riuscirà che a farmi odiare -Chopin a questo modo...» Proprio così, sa? -</p> - -<p> -— E quella povera signorina allora? -</p> - -<p> -— La signorina piange invariabilmente. E -alla prossima lezione, trovo invariabilmente la -contessa madre in salotto, sola, con una cera -tra il gendarme e la vittima, che mi prega di -mettere un po’ di zucchero nelle mie correzioni, -perchè Maria è d’una sensibilità così eccessiva, -così nervosa, che finirebbe per ammalarsi davvero... -Uh, quelle mamme...! Sono il mio spauracchio -le mamme, lo crede?... Vi appostano, -vi assaltano, vi circondano per farvi subire interrogatorî -senza fine, e domande suggestive e -cortesie insidiose, e tutti i loro pettegolezzi e -i loro apprezzamenti e le loro confidenze; vi -mischiano ai loro puntigli, alle loro gelosiole, -alle loro vendette... vi compromettono, vi tirano -in ballo con un accanimento e una ferocia così -sbalorditoia che non c’è forza umana capace -di resistere... Altro che sabba Romantico!... -</p> - -<p> -Clotilde rideva col gomito sul ginocchio e il -mento nella mano. Gli scolaretti, che avevano -udito, volgevano altrove la faccia per ridere -anche loro. Aroldo li fece osservare alla fanciulla. -</p> - -<p> -— Lei finirà per compromettersi coi suoi -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -sfoghi, — gli disse Clotilde ridivenuta seria. -Egli fece un moto di noncuranza. -</p> - -<p> -— Già, un giorno o l’altro ho fede di smettere -questa vitaccia da cani... Potessi solamente -trovare il modo di far rappresentare la mia -opera... ah! — E giunse le mani lanciando in -un sospiro quel desiderio e quella speranza che -erano l’aspirazione della sua vita. -</p> - -<p> -— Io ci credo; ci creda anche lei, — sussurrò -Clotilde con quella intonazione franca e sicura -della sua voce che, unita allo sguardo velato -de’ suoi occhi, faceva delle cose ch’essa diceva -una specie d’oracolo: — La fede smuove le montagne.... -</p> - -<p> -— Sì, ma gli impresarî e gli editori sono -peggio delle montagne! — ribattè lui con una serietà -comica e desolata. — Intanto lavoro — aggiunge -dopo un momento; — lavoro con un accanimento -che dispera la mamma. Ma come -fare?... ho tanta roba qui..... in testa, che mi -opprime; che mi canta, che mi assorda, che -frulla per sprigionarsi, per pigliare il volo..... -Ed io m’affretto, m’affretto come se avessi paura -di non arrivare in tempo a cantar tutti i canti -che mi fluiscono dal cervello. L’ora fugge... bisogna -spicciarsi a raccogliere la mèsse... perchè -l’avvenire è lungo... è breve... chi sà...? -</p> - -<p> -Clotilde ebbe un brivido sottile, doloroso. -Aroldo teneva le mani senza guanti aperte sulle -ginocchia, due mani scarne, giallastre, uh po’ -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -adunche. Ella ne vedeva tutti i giorni di quelle -mani all’ospedale... -</p> - -<p> -— Forse è un avvertimento, — continuò lui, -quasi serenamente. — I miei fratelli, quattro, -sono morti tisici come il povero babbo. Il più -giovine aveva diciotto anni, il maggiore è vissuto -fino a trenta. Io ora ne ho ventisei. Ancora -quattro anni, forse... -</p> - -<p> -— Ma non dica così! — esclamò Clotilde con -la voce tremante. — Non sa che questo pensiero -solo basta ad uccidere? -</p> - -<p> -Aroldo la fissò con rapida intensità; e negli -occhi, parlando di morte, gli raggiò la vita -poichè l’anima della fanciulla in quell’attimo -era riflessa dal volto. La pietà l’aveva tradita... -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Erano tutti in giardino dopo il desinare. -Tutti, anche la famigliuola dell’avvocato Dardanelli, -che veniva spesso, da buon vicino, a -bere il caffè con la signora Rita. La vecchina -seduta sul sedile di ferro fra i sicomori oramai -tutti in fiore, metteva la quarta pallottola di -zucchero nella sua tazza con le piccole mani -scarne e tremolanti ascoltando la moglie dell’avvocato, -la bella signora Giulia, che le parlava -in fretta con la sua voce grossa e sgradevole. -Roberto passeggiava fumando nel viale -più appartato; Dardanelli, al solito, guardava -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -avidamente Clotilde che chiassava coi bambini. -</p> - -<p> -— E lei non viene a prendere il caffè? — le -chiese, andandole incontro col viso rosso e gli -occhi lustri, sbuffante ed eccitato dalla digestione. -</p> - -<p> -— Sì, sì, — gli rispose la ragazza soffermandosi -ridente, gaia, a braccia alzate per rafforzarsi -il nodo de’ capelli con lo spillo d’argento, -mentre i fanciulli le davano ancora delle strappatine -provocanti al vestito, scappando. -</p> - -<p> -— Fermi, monelli! — urlò l’avvocato facendo -gli occhiacci e accostandosi sempre più a lei. -Clotilde fioriva in quella tinta strana e calda -d’un tramonto nubiloso. I suoi capelli scompigliati, -sfuggenti, parevano oro fulvo; il volto -quasi sempre sbiancato era tutto roseo, gli occhi -ancora tutti pieni del riso di quell’ora di -spensieratezza obliosa. -</p> - -<p> -— Che cos’ha? un pugnale fra i capelli? — E -le mani di Dardanelli la sfioravano. -</p> - -<p> -— Sì, — rispose Clotilde, secca, scansandosi. -</p> - -<p> -— Serve anche quello per i suoi studi di -medicina? — chiese ancora l’avvocato, ridendo -scioccamente. -</p> - -<p> -— Potrebbe guarire anche questo... — ribattè -pronta la giovinetta con la sua voce sicura e -il suo sguardo misterioso. -</p> - -<p> -Sedette su uno sgabello rustico vicino alla -signora Dardanelli, che le sorrise. Ella aveva -molta simpatia per la fanciulla e non si era -mai accorta delle intenzioni poco oneste di suo -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -marito, che credeva volesse bene a Clotilde come -ad una figliuola. La signora Giulia fra i lillà -fioriti pareva una Flora, una di quelle Flore -formose e grossolane che servono qualche volta -per ornamento dei giardini. Aveva i lineamenti -regolari, la bocca ombrata da una lanugine -bruna, gli occhi neri di taglio perfetto, ma sempre -spalancati in un’espressione di meraviglia -sotto l’arruffio di riccioli neri sfuggenti di sotto -al <i>foulard</i> rosso, annodato elegantemente sul capo -come una cuffia. Quel fazzoletto, i cerchiellini -d’oro alle orecchie e l’abito bianco s’addicevano -assai al suo genere di bellezza forte, meridionale. -</p> - -<p> -Clotilde aveva appena appressato la tazza -alle labbra, che la Rachelina le irruppe addosso -strillando perchè era inseguita dal fratellino. -Ell’ebbe appena il tempo di salvare la tazza -dal naufragio e accolse la bimba sulle ginocchia. -</p> - -<p> -— Lascialo venire, ci difenderemo! E si difesero -infatti con molta agilità e molta gaiezza -dagli assalti bruschi di Nello, che si vendicò -della sua disfatta contro un formicaio. -</p> - -<p> -La fanciulla teneva la testa della bambina -appoggiata contro il seno rigoglioso, amorosamente, -e Rachelina si abbandonava tutta, con -quell’aria di riposo fidente che prendono i bambini -fra le braccia di chi li ama assai. -</p> - -<p> -— Sei proprio nata per i ragazzi tu, — osservò -la signora Giulia. -</p> - -<p> -— Per quelli degli altri... — aggiunse pungente -la nonna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -</p> - -<p> -— Ci sono tanti bambini senza mamma, ci -sarà una mamma senza figliuoli, — rispose subito -Clotilde, dolce, risoluta. -</p> - -<p> -La signora Dardanelli, vedendo che la nonna -faceva il viso arcigno, credette di sviare la tempesta -chiedendo alla ragazza se non le pareva -che Rachelina avesse l’aria abbattuta da qualche -tempo. Clotilde rialzò il viso della bambina -e le esaminò gli occhi, le gengive, le labbra. -</p> - -<p> -— È anemìa incipiente — rispose. — Bisogna -consultare il medico per qualche ricostituente. -</p> - -<p> -La vecchietta si sfogò con una risatina ironica. -</p> - -<p> -— Ma e tu che sei una medichessa? Fa -dunque una ricetta, da brava! Dì dunque qualche -altra bella parolona.... <i>Anemìa</i>.... <i>incipiente</i>.... -somiglia a un arnese di cucina.... Saranno vermi, -dia retta a me, Giulia, un po’ di santonina -o di calomelano e la bimba è bell’e guarita.... -</p> - -<p> -— No, no, — ribattè Clotilde con forza; — sarebbe -una scimunitaggine. -</p> - -<p> -— Che? — gridò la signora Rita; — scimunita -a me? Vergogna! Come vuoi che faccia a stimare -la tua scienza se non t’insegna neanche -a rispettare i vecchi? Già tu non hai un briciolo -di cuore, nè per i tuoi, nè per nessuno... -sei una saccentuzza arrogante, un’egoista di -prima riga... — Clotilde pigliò in collo la bimba -e fece per andarsene. -</p> - -<p> -— Va, va a stuzzicare anche tuo fratello -ora! — le strillò dietro la vecchietta in collera, -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -vedendola avviarsi verso il viale che Roberto -misurava in su e in giù, fumando. — Almeno -lui lascia in pace! rispetta almeno quel povero -martire che si scervella per qualche cosa di -bello e di buono.... -</p> - -<p> -La ragazza sorrise sarcasticamente e si diresse -verso il cancello d’uscita, perseguitata dalla -voce stizzosa della nonna, che finiva il suo sfogo -con la signora Giulia. Sedette sul muricciuolo -di pietra, al di fuori, stringendosi sempre alla -bambina, ricacciando con sforzi inauditi le lagrime -che le empivano gli occhi accecandola. -Ecco la giustizia del mondo! Lei era una creatura -indegna, senza cuore, una saccente boriosa, -disutile e infingarda; e Roberto un martire -glorioso, lui, che trascinava le giornate intere -fra il fumo delle sigarette e le fantasticherie -per concludere con qualche sguaiato verso d’amore, -o qualche veemente tirata contro tutto e -contro tutti, senza che si sapesse troppo bene -il perchè, senza che lo sapesse neanche lui.... -Roberto, che con la scusa d’esser poeta si faceva -perdonare ogni stravaganza, ogni birbonata, -ogni indelicatezza; e comandava e s’imponeva -come un essere superiore, arbitro di tutto e degno -di adorazione. La nonna lo giudicava una -cima senza capir molto dei suoi versi e meno -delle sue prose, condannate tutte, prima di nascere, -al cestino delle redazioni. Roberto, a sentir -lei, era un grand’ingegno, un talento disconosciuto; -già, i grandi uomini hanno cominciato -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -tutti così, poveretti, purtroppo; e qui la -nonna non mancava mai di tirare in ballo Colombo -e Galileo, senza che ci avessero troppo -a che fare, veramente; ma lei non ne conosceva -altri: e concludeva che se le creazioni di Roberto -non erano accettate, voleva dire che i -giornalisti erano ciuchi o invidiosi di lui che -li metteva in sacco tutti quanti. I versi, oh i -versi poi erano destinati senza dubbio a mettere -a soqquadro il mondo...., solamente mancava -l’editore.... E così a furia di batter questo -tasto, Roberto, che non era un cretino, cominciava -a diventarlo, convincendosi che lui solo -aveva ragione e gli altri tutti torto, e tirava -via a regalare qua e là ai giornali le sue sgrammaticate -invettive o le sue insipide pornografie, -che ognuno si guardava dal mettere alla luce, -e s’atteggiava di più in più a genio incompreso. -</p> - -<p> -Ingiustizie! Clotilde baciava sui riccioli la -bambina, piangendo. Ella, così forte, così padrona -di sè, aveva di queste debolezze improvvise -quando le tristezze le venivano da chi avrebbe -dovuto raddolcirle la via già così scabrosa, già -così triste. Era dunque una colpa consacrarsi -ai dolenti? Una colpa seguire quel interno impulso, -che la sospingeva ogni giorno più, riverente, -ammirata, verso la scienza, l’iddia severa -e bella che non abbaglia con promesse vane, -che conquide lenta, sicura, formidabile?... Una -colpa rinunziare per il trionfo d’un’idea, forse -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -alla felicità, certo alla pace serena e ridente -della vita? L’arte, oh! un’egoistica magnificenza -che fa molti disgraziati; la scienza, una gran -carità distribuita a tutti gli umani per farli -meno poveri, meno infelici! Ed era ancora la -pietà che le traboccava dal cuore. -</p> - -<p> -Roberto veniva verso il cancello: ella s’asciugò -gli occhi in fretta, furtivamente, e si -mise subito a parlare alla bambina sorridendo. -Il giovine senza curarsi di lei venne a sedersi -sul muricciuolo di fronte stiracchiandosi i baffetti -con lo sguardo vago. Il sole, laggiù, all’estrema -plaga serena, pareva stemperarsi in una -fulgidezza aurea, incandescente. La nuvolaglia -bigia si accavallava più in alto, come una rovina -strana ed enorme di qualche costruzione -ciclopica; si andava diradando verso levante -in chiazze dense, fumose, in diafani lembi d’un -velario fantastico stracciato dal vento, in una -linea sinuosa e allungata, come di una costa -lontana, avvolta nelle brume e nel mistero d’un -paese di leggende e di sogni, popolato di larve. -Tutto un altro mondo pieno di laghi, di terre, -di edifici, di mostri, di forme tenui e gentili, -veduto in miraggio come una gran promessa di -purezza, di pace, di silenzio, come la visione apocalittica -d’una patria diafana, destinata ad accogliere -le anime che volano via dalla terra. -</p> - -<p> -Nella bianca strada battuta, e di là dalla -siepe di biancospino, di là dal filare dei pioppi, -su tutta la pianura vasta che verdeggiava appena, -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -il vespro calava così, con una delicatezza -muta, soave e triste, opprimendo. La primavera -ha di questi silenzi eloquenti in cui par -di sentire il germoglio interno di tutta la vita -della natura, come si ascolta col volto indifferente -il fermento di tutte le passioni latenti -nell’anima. Clotilde calma, quasi sorridente, -spasimava. -</p> - -<p> -La Rachelina le scivolò dalle ginocchia e -scappò. Roberto e lei rimasero soli, muti, assorti; -seduti, e appoggiati con le spalle ai pilastri -del cancello. Roberto anzi si era steso -sul muricciuolo come in un letto, con una -gamba allungata e l’altra piegata, il sigaro in -bocca; Clotilde seduta un po’ di traverso, con -le braccia cadenti, senza atteggiamento alcuno. -</p> - -<p> -Improvvisamente le prime note d’un coro -agreste si diffusero sonore. Le parole si perdevano -così allungate nelle note tenute, lente, -nelle parti divergenti e fuse in un’armonia -melanconica e dolce, piena di maestà. Erano -contadini che tornavano dal lavoro: le donne -tenevano gli acuti, gli uomini i bassi, e le parti -s’allontavano adagio, digradando melodiose, per -riunirsi e risolvere diversamente, come una fuga. -Un classicismo ingenuo, misto a un non so che -di languido, di carezzevole; solenne ed umano. -</p> - -<p> -Roberto si rizzò e tese il braccio accennando -a sua sorella d’ascoltare. E Clotilde ascoltava, -immobile. -</p> - -<p> -La frotta dei contadini passò dinanzi a loro, -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -a piedi nudi, sollevando un po’ di polvere. -Prime schierate in fila, coi rastrelli sulla spalla, -le donne, che scorgendo i due giovani ammutolirono -ridendo e motteggiando fra loro un -po’ vergognose; poi gli uomini, che continuarono -a fare i bassi, impassibilmente, levando -il capo, scamiciati, con la giacca sull’omero. I -più vecchi invece di cantare dialogavano: qualcuno -rimasto indietro per accender la pipa, -raggiungeva correndo i compagni. A venti passi -dopo il cancello ripresero tutti il coro; Roberto -ricadde con gli occhi socchiusi, fumando, nella -sua posa pigra di sognatore — Clotilde si levò -adagio per seguire ancora i contadini con lo -sguardo. Repente una soddisfazione, viva come -una gioia, le aveva alleggerito il cuore. Era la -coscienza di sentirsi anche lei, come quei suoi -fratelli, degna del riposo..... -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Il tram si fermò come al solito al cenno di -Clotilde che aspettava sul cancello, tutta fresca -nella freschezza stillante del mattino. Ma Aroldo -non c’era, dovette salire senza che nessuno -l’aiutasse e sedersi accanto alla ragazza malinconica -che indovinando qualche tristezza le rivolse -un’occhiata di simpatia. Il carrozzone si -mosse fra il cicaleccio della lattivendola e della -serva del parroco, che pareva un papavero, con -la sua blusa nuova di mussola rossa a mezze -<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span> -lune gialle. Uno dei scolaretti riprese col portalettere -la discussione un momento interrotta -sulle collezioni di francobolli; e il vecchio sonnacchioso, -vedendo Clotilde sola, non pensava -più a richiudere gli occhi. -</p> - -<p> -La fanciulla sorpresa, ferita, si richiudeva -tutta, lei, nell’inquietudine amara che le gravava -sul cuore. Il suo amico non l’aveva abituata -a queste assenze, ed ella si trovava a dolersene -come d’un convegno svanito: e mille -dubbi la travagliavano. Ammalato? partito? in -collera? una tortura intima, inesprimibile, nel -buio, nell’ignoto, a cui si aggiungeva un senso -doloroso di meraviglia come per un inganno -immeritato e beffardo. E a poco a poco, continuando -quella pena opprimente, da quello stupore -ne nasceva un altro, pauroso e dolce, al -quale tutte le sue fibre rispondevano con una -spontaneità ribelle che la sgomentava profondamente. -Era l’amore dunque? Ma l’amore poteva -cogliere così all’improvviso, insidiosamente, fra -un bisticcio e una risata? Oh no, no, non era -ancora l’amore! Un’amicizia viva, un fascino, -una consuetudine soave, nient’altro. Oh l’amore -no! E pareva implorare. -</p> - -<p> -Il sole le raggiava in volto, mitemente, si -diffondeva ambrato nell’aria limpida, sulla doppia -giovinezza della primavera e del mattino, -chiara, cristallina, odorosa. Clotilde seguiva -coll’occhio abbagliato il binario che si allungava -sulla strada bianca, al sole, luccicando. Giammai -<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span> -quella gita le era parsa più lunga, più monotona, -più triste; giammai aveva sentito come in quell’ora -l’aridità lugubre dei suoi studi, la solitudine -della sua vita. Un principio di rivolta fermentava -in lei e germogliava e minacciava sbocciare -nella luminosa complicità gaia di quel tripudio -d’Aprile. Tutto intorno a lei le cantava la -vita ed essa andava a chiudersi nel melanconico -asilo della miseria e della morte. Un brivido le -corse il corpo alla visione delle corsìe bianche, -nude, silenziose, che l’aspettavano, popolate di -sofferenze e di severità; al pensiero di andare a -respirar quell’aura fredda di chiostro che raccoglieva -l’ultimo soffio dalla bocca dei moribondi, -che passava carica di lamenti, di spasimi, -di sospiri, di imprecazioni....... al pensiero -di tutte le fragilità e le miserie della mirabile -macchina umana che si disfaceva ogni giorno -sotto i suoi occhi, che si ricomponeva così a -fatica, che si rivelava ognora più sotto la sua -mano, sozza e divina. Membri sanguinolenti, -faccie livide, muscoli contratti, rossori febbrili -e pallori di morte passavano in una lucida fantasmagoria, -come in sogno, ed ella si sentiva -debole e ripugnante come il primo giorno che -si recò all’ospedale. Un momento la visione si -fece così intensa e inesorabile che Clotilde -presa da una specie di terrore dovè superare -con uno sforzo di volontà l’istinto di levarsi, -di scendere, di fuggire attraverso i campi, di -immergersi nel verde, nella fragranza, d’inebriarsene, -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -per dimenticare. E ancora tornava -l’immagine di lui. Che bel sogno andarsene -così, soli, liberi, lungo qualche viottola romita, -appena chiazzata d’ombra dalle fronde novelle, -una viottola dai margini fioriti di viole -e di margheritine, una viottola sconosciuta, tortuosa, -interminabile, da riempir tutta di dolcezze -e di sorrisi, che resterebbero dietro di -loro come se sfogliassero canestri di rose per -una ridente seminagione di petali. Il viso d’Aroldo -radioso e gaio come nei bei momenti di -spensieratezza, in quell’attimo le balenò così -evidente ch’ella ne ebbe un palpito e un sorriso. -</p> - -<p> -In capo alla strada si profilava, con le sue -cupole e le sue torri, la città, rossastra, che -acquistava una strana tenuità nei vapori del -mattino. Di là dalle siepi gli orti sfiorivano, -invasi già da l’uniformità del verde. Un capinero -nascosto vicino alla siepe gorgheggiava -forte, melodiosamente. La ragazza malinconica -raccolse pensosa un fior di pesco che il vento -le aveva portato in grembo. -</p> - -<p> -Clotilde non reggeva più. L’agitazione nervosa -la invadeva così violenta ch’ella temeva -di tradirsi. Alla barriera fece fermare e scese -bruscamente, lasciandosi dietro i commenti delle -due donne, i sorrisi del portalettere e la curiosità -del vecchione che si scomodò per seguirla -con lo sguardo. Entrò sotto i portici dì quella -via deserta e si mise a camminar lesta per dominarsi, -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -ma giunta al primo palazzo dovè fermarsi, -impedita da un crocchio di curiosi che -facevano ala al portone. Una folla signorile -usciva, le signore a braccio dei cavalieri, frettolose, -pallide, scomposte, nelle sciarpe e nelle -pelliccie gettate sull’abito da ballo. Molti equipaggi -in fila aspettavano, e le carrozze si movevano -subito dopo il colpo secco degli sportelli -richiusi fra i complimenti, le celie, i saluti, -lanciati a voce alta con l’audacia e l’eccitazione, -che durava ancora, di quella nottata di veglia. -E le voci rauche e stonate si soverchiavano, -qualche fiore volava: un bel giovane bruno, -senza soprabito e senza cappello, con la marsina -coperta di decorazioni da <i>cotillon</i>, corse per un -tratto di strada con la mano attaccata allo -sportello d’un coupé da cui pareva non si sapesse -staccare; poi rientrando, scherzoso, rubò -il boa ad una signorina che indugiava sulla -soglia per raccogliere un lembo strappato del -suo abito di velo. «È il conte Villi!» si mormorava -intorno al portone, nel pubblico composto -in massima parte di serve e di bottegai. Ma -Clotilde, che non voleva e non poteva mischiarsi -al crocchio, cercò di farsi largo, e attraversò -proprio nel momento in cui l’ultimo sciame delle -signorine si sparpagliava, chiacchierino, gaio, -in una varietà di veli, di trine, di sciarpe -tramate d’oro. Ella, passando col suo abito nero, -severo, chinò il capo come vinta da quel tripudio -giovanile, da quella stanchezza folle, da -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -quella fatuità brillante che le doveva rimanere -ignorata sempre. Pure era un’eroina e una -martire che passava. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -... Andavano soli, liberi, lungo la viottola -romita, dai margini fioriti di viole e di margheritine, -appena chiazzata d’ombra dalla frondosità -novella; una viottola sconosciuta, tortuosa, -interminabile, che Clotilde aveva veduto, non -si ricordava dove, forse in sogno. Il mattino -era tanto puro, ed essi così solleciti, che Aroldo -le aveva proposto di scendere in città a piedi -invece d’aspettare il tram; e dopo un bisticcio -sulla scelta della strada, si erano rappacificati e -venivano innanzi riuniti, egli col braccio sotto -quello di lei, confidenzialmente, come due sposi. -L’anima di Clotilde traboccava d’una dolcezza -languida, penosa; egli appariva nervosamente -vivace, e ciarlava esageratamente; pareva che -il silenzio o un pensiero gli facesse paura. -</p> - -<p> -— ...... Dicevamo dunque?... ah, che ieri sera, -stanotte anzi, ho terminato il Minuetto. Sono -così contento... Sa che mi metterò subito a scrivere -una Giga?.. Voglio provarmi nella musica -antica; è una semplicità che riposa da tutto -quel Wagnerianismo invadente... Dopo scriverò -una Gavotta, poi forse un tema con variazioni, -e mi piacerebbe anche un coro a sole voci rincorrentesi -come un canone perpetuo. Vorrei poi -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -comporre qualchecosa di sacro: un Offertorio, -un’Ave Maria... -</p> - -<p> -— Troppa carne al fuoco, troppa.... osservò -lei tranquilla, seria, crollando il capo. Ed egli -fece una risatina di fanciullo, stringendole il -braccio furtivamente: -</p> - -<p> -— Vedrà, vedrà, sentirà anzi.... Ma già, dimenticavo -che lei odia la musica. — Che orrore! — E -si sciolse sdegnosamente. -</p> - -<p> -Clotilde lo guardò un po’ sorpresa e si curvò -a cogliere due violette bianche sul margine del -fosso. Due o tre raganelle, spaventate, balzarono -dall’erba nel filo d’acqua luccicante. -</p> - -<p> -— Fa orrore perfino alle rane.... — osservò -Aroldo battendosi i piedi con un vincastro. Ma -Clotilde non era in vena di scherzare e si fermò -le mammole sul petto, tutta accesa nel volto, -quasi vergognosa e ferita dall’atto e dalle parole -d’un momento prima, più di quello che -egli potesse credere. -</p> - -<p> -— Io amo i waltzer suonati dagli organetti, -lo sa, disse poi, levandogli in volto gli occhi -con uno sforzo di sincerità che si tradiva dal -rossore insistente. — L’altra musica non la -capisco tanto; poi ho così rare occasioni di udirne.... -I waltzer suonati dagli organetti mi -piacciono per quel non so che.... quella specie di -cascata a intervalli regolari.... come spiegarmi?.... -</p> - -<p> -— Il ritmo, dica il ritmo.... -</p> - -<p> -— Sì, dev’esser così; il ritmo, dunque, che -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -insiste, avvolge, folle e mesto ad un tempo, -come una tentazione e una preghiera trascinate -insieme in un’onda di passione; carezzevole e -perfido, insidioso e vano come tutte le ebbrezze -che vi fanno riddare fino al cielo e vi abbandonano -in un cerchio di spuma. -</p> - -<p> -— E che ne sa lei di ebbrezze? interruppe -Aroldo con uno de’ suoi scatti quasi brutali -dopo aver ascoltato quella fanciulla parlare così, -con crescente meraviglia. — Lei non ha diritto -di parlare di queste cose... -</p> - -<p> -— È vero — rispose subito Clotilde francamente, -ingenuamente; — ma mi pare che debba -esser così, come ho detto io. -</p> - -<p> -Aroldo con la sua verga dava delle scudisciate -alla siepe; i petali del biancospino piovevano -lievi, odorosi. -</p> - -<p> -— ...... Però ho avuto torto a parlarne, — insistè -lei arrestandosi, — ho avuto torto come -sempre quando parlo di me. Volevo dire solamente -che i waltzer mi piacciono.... perchè mi -parlano un linguaggio tutto nuovo che m’affascina -e m’impaura.... È come uno spiraglio da -cui mi balena la vita... Oh Dio! — esclamò con -tutta semplicità; — e avevo detto di non parlare -di me! -</p> - -<p> -— Oh ne parli invece, ogni espressione è -una meraviglia — soggiunse lui con una passione -dolce, improvvisa. E abbandonandosi all’impulso -di quel momento le allacciò la vita -e la baciò sul viso, naturalmente. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -</p> - -<p> -L’atto era stato così pronto e delicato che -Clotilde non aveva potuto sottrarsi. Dopo chinò -il capo e si velò la faccia con umiltà, come -una colpevole, senza un atto, senza una -parola. Aroldo aveva ancora passato il braccio -sotto quello di lei e le parlava sommesso, dolce, -come se fossero già amanti. -</p> - -<p> -— Voglio scrivere dei waltzer ora, per te, -tutti pieni di passione e di languore e di carezze... -come quelli di Strauss... Poi cercherò -dei versi malinconici e ardenti e li dirò su -quella musica, li dirò fin che ti abbiano vinta, -finchè ti diano l’ali per slanciarti da quello -spiraglio nella vita. La vita è bella, sai? ed è -breve; tanto breve, che non c’è tempo di dormire.... -E tu, che vuoi ostinarti nel sonno, sei -colpevole, Clotilde.... -</p> - -<p> -Ella fece un movimento per sciogliersi da -lui, ma Aroldo la strinse più forte: — Sei colpevole, -sì! le gridò rudemente. — L’amore è la -luce, è l’aria, è la bellezza, è l’anima dell’universo, -è la parola di Dio e tu neghi tutto questo -e tu ti seppellisci viva fra l’aridità della scienza -che atrofizza la tua gioventù, la tua bellezza, -il tuo cuore, che in cambio del tuo olocausto, -ti lascierà il vuoto e la tristezza dell’imperscrutabile -o ti spezzerà l’esistenza così, senza amore... -Oh vivere senza amore, ma non si può, -Clotilde, è vano: non senti che è vano, tu che -parlando del ballo, dianzi, avevi senza volerlo, -senza saperlo, gli accenti della passione? -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -</p> - -<p> -Clotilde camminava a occhi bassi, tanto pallida -che pareva livida su quell’abito nero: con -una ruga verticale sulla fronte, profondissima, -che la invecchiava. Non trovava parole per rispondere -e non rispondeva — poi le pareva -che qualche cosa le gemesse nel cuore sotto -quel gran giubilo che la staccava dalla terra, -e la faceva inoltrare macchinalmente, come, abbagliata -da una gran luce, che le nascondesse -tutte le cose intorno e le affievolisse stranamente -anche il suono delle parole che le giungevano -solamente come una voce, come una melodia -che l’avviluppava. Oh la dolcezza dolorosa di -quell’ora, confusa, lieve, fluttuante, piena di -profumi e di ebbrezze indefinite e inafferrabili -come quelli di un sogno! Il nuovo perchè -della vita che la avvolgeva nelle sue spire iridescenti! -Le nuove speranze e i nuovi orizzonti -mai conosciuti, eppure non incogniti, che ridevano -da ogni lato fra i lembi della sua esistenza -vera che si stracciavano, si sbandavano, si dileguavano -come la nebbia ad una mite irradiazione -di sole! La nuova maraviglia che la assaliva — una -maraviglia soffusa di riverenza -come dinanzi a un prodigio, come se fosse stata -trasportata per incantamento in un pianeta -splendido e ignoto, destinato per la sua patria, -per la patria di tutti i felici..... -</p> - -<p> -I due giovani inoltravano per la viottola -fresca, tortuosa, affondata fra gli alti margini -dei campi bordati di alberi, come una stradicciuola -<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span> -di montagna. Il verde chiaro e lucente -delle biade novelle, dell’erba, delle fronde che -s’intrecciavano, quasi, sul loro capo e frastagliavano -la via d’ombra e di sole, mettevano -nella fulgidezza del mattino una velatura di -smeraldo, mite, un po’ malinconica ma soave, -come una luce di Purgatorio Dantesco. Il rigagnolo -scorreva sotto l’erbe, luccicando tra il -verde e tra i fiori, a pause — un rosignolo -gorgheggiava forte, gioiosamente, trionfando -sul pispiglio e sui cinguettii sommessi, lontani -e vicini di centinaia di uccelli che celebravano -il maggio. Aroldo continuava a versarle sul -cuore parole, senza tregua, senza pietà, teneramente. -</p> - -<p> -— Se tu sapessi da quanto tempo immaginavo, -sognavo di parlarti così! Ma come farlo -nella volgarità di quel carrozzone di tram?..... -Che conoscenza strana la nostra, non è vero? -C’è tanta poesia e tanto mistero...! Io non so -nulla della tua famiglia, tu nulla della mia; -due veri pellegrini che s’incontrano e si riposano -insieme... ma che non si lascieranno più... — finì -sottovoce, guardandola amorosamente sul -viso. -</p> - -<p> -Clotilde a capo chino taceva. -</p> - -<p> -— Debbo dirti una cosa — riprese dopo un -momento Aroldo con una delle sue ruvidezze -improvvise. — Io presto, presto, parto, vado lontano.... -in America.... sì, fra due o tre mesi. Ho -un cugino giornalista, laggiù, che guadagna a -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -cappellate e non fa che invitarmi; mi dà speranza -di metter in scena la mia opera, e mi -ha già trovato degli scolari che mi pagheranno -assai meglio di questi. Ho titubato un poco, poi -mi sono deciso. O il viaggio e il clima mi uccideranno, -e allora sarà una cosa spiccia; o mi -fortificherò.... -</p> - -<p> -Clotilde, sempre in silenzio, con una mossa -lenta di subita stanchezza, reclinò il capo sulla -spalla di lui. -</p> - -<p> -— La libertà.... l’amore.... la felicità, — disse -Aroldo attirandola a sè. Le parole esalate nell’abbondanza -del cuore sbocciavano in quella -solitudine, nell’orezzo verde, come fiori spirituali. — Sarà -un amore divino il nostro, laggiù, -e, non aver paura, non muoio io.... Finchè sarai -con me, tu, così forte, così bella, così buona, -non morirò..... -</p> - -<p> -Ella piangeva silenziosamente; piangeva, finalmente! -col capo appoggiato alla spalla di -Aroldo, già scheletrita; ed egli la baciava sul -viso, sul collo, sui capelli, sulle mani, mani -fredde, inerti. -</p> - -<p> -— Verrai, verrai.... Non è vero che verrai? -Sì, lo so, ma dimmelo, voglio sentirmelo dire... -Clotilde... è una parola così breve... è una parola -sola.... -</p> - -<p> -Aroldo implorava così, ed ella rimaneva -nelle sue braccia, sotto i suoi baci, senza forze, -senza parole, con un gran schianto interno, -come se il cuore le si torcesse; una sofferenza -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -quasi fisica, orribile, contro la quale si dibatteva -come se qualcuno glie l’infliggesse. Eppure -era un lieve sforzo che l’avrebbe liberata, un -lieve sforzo di volontà, tenue, dolce, oh così -dolce! verso cui le pareva che tutta la sua vita -interna s’inchinasse come verso una valle fiorita -e odorosa veduta giù, all’imo, da una sommità -brulla e cocente. La sua volontà piegava -fino a spezzarsi, ma Clotilde sapeva che non si -spezzerebbe, che si risolleverebbe come una -molla, scattando. Intanto fra i tormenti di quel -minuto d’agonia della durata d’un’eternità e -della brevità d’un sogno, nell’innocente voluttà -di quell’abbandono lagrimoso, di quei baci -fraterni, di quella parvenza d’amore, ella assaporò -tutta la sua parte di gaudio e di vita. -Quando si riscosse sarebbe stata pronta a morire. -</p> - -<p> -— Addio — gli disse — non mi domandar -nulla, io non mi appartengo più. -</p> - -<p> -Le mani d’Aroldo la ghermirono ai polsi -come una morsa — ed al contatto di quelle -dita gracili e nervose ella agghiacciò come se -uno spettro l’avesse ghermita. Chiuse gli occhi, -ma aveva già veduto passare in quelli di Aroldo, -spalancati, stupiti, una luce di follìa. -</p> - -<p> -— No? — no? — no? — Fra lo smarrimento -di tutto il suo essere, questa parola breve, soffocata, -le piombava ad intervalli nel cervello, -nel cuore, come i colpi di una mazza destinati -ad ucciderla. Non aveva più lena. Le dita -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -d’Aroldo si rilasciarono dopo un silenzio pauroso. -</p> - -<p> -— Ebbene vattene, — le disse con la voce -che tremava. — Non dirò una parola di preghiera; -non la meriti, non hai cuore, sei già una -scienziata egoista e fredda, incapace d’uno slancio, -d’un sentimento. Vattene.... addio.... ma -bada: se violenti te stessa, se respingi l’amore -che Dio comanda, offendi Dio e la natura: il -fuoco sacro non si lascia spegnere senza sacrilegio, -bada! -</p> - -<p> -Clotilde si strinse la testa fra le mani colpita -da una sola parola: Non ho cuore, non ho -cuore... — mormorò quasi inconsciamente. — Oh -Dio, anche lui... Sarà vero dunque?... Non so -amare... non ho cuore... — E si mise a correre, -a correre come una pazza, giù per la viottola -verde e romita. Dietro di sè udiva confusamente -la voce di Aroldo che diceva ancora qualche -cosa, poi uno scoppio di tosse, ed ella correva -sempre e quella tosse dietro di lei s’affievoliva, -ma continuava, continuava.... -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Clotilde si trovò, quasi senza accorgersene, -sotto il loggiato che girava intorno al cortile -interno dell’ospedale, spazioso, freddo, in cui -mormorava una fontana fra un gruppo di pini. -Due uomini, reggenti una barella coperta, sparivano -per una porticina; i carri mortuari, -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -sempre pronti, attendevano. Apparirono una -suora e un infermiere con le braccia cariche di -biancheria; la suora, passando oltre in fretta, -salutò la fanciulla. Dallo scalone di marmo -intanto scendeva gente chiacchierando: erano il -professore e gli studenti che venivano nell’anfiteatro -per la lezione. Ella si riunì ad essi -entrando; la Ginoli le sorrise con un cenno; -Serralta, il gobbino, le si accostò annunziandole -sottovoce che finalmente avevano un bel -caso di <i>ipertrofia</i>. -</p> - -<p> -Ma gli infermieri avevano appena recato il -letticciuolo su cui posava l’ammalato, che Clotilde -svenne. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -..... Finalmente la sera, finalmente sola! Ella -si richiuse nella sua cameretta con una specie -di esultanza triste, di voluttà dolorosa, sperando -un conforto dalla solitudine, nell’ombra. Andò -a sedersi automaticamente, per consuetudine, -dinanzi al suo tavolino di studio tra le due -finestre, e rimase così, con le mani inerti in -grembo e gli occhi chiusi. Ma il conforto non -veniva. Anzi il suo pensiero, più libero in quel -vuoto, s’indugiava più a lungo e più profondamente -sugli avvenimenti della giornata. La -viottola verde, certi effetti di luce, i profumi, -i cinguettii, le tornavano in mente con un’evidenza -così lucida e acuta da farla trasalire; e -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -la voce di lui, udita a lungo in quella quiete -dirle cose sì insolitamente dolci e paurose, le -risuonava dentro stranamente, come se con le -sue parole avesse bevuto il suo spirito, e lo tenesse, -ora, imprigionato nel cuore, di dove continuasse -a parlarle soavemente o rudemente, -spossandola. Si sentiva ancora tentata di domandare -pietà. -</p> - -<p> -Nella pace delle cose, tutt’intorno, le giungeva -continuo e monotono il gracidar delle rane -dagli stagni, laggiù; poi il festoso schioccar -della frusta di qualche carrettiere lontano; poi -il rosignolo che lanciò qualche nota nell’ombra -e tacque subito, come se qualcuno l’avesse interrotto. -Clotilde sentiva accrescersi sull’anima -l’affanno opprimente, quasi sinistro: e non poteva -scuotersi, nè piangere che qualche lagrima, -rada, dagli occhi ardenti. Pure dentro di sè -gemeva, piangeva, si ribellava a quell’amarezza -invadente che si addensava come se la seppellisse -giù nel buio d’una tomba. Si sciolse gli -abiti e andò a sedersi a piè del letto, appoggiando -la fronte sulle coltri fresche e bianche -da cui le venne un vago senso di sollievo, e la -memoria confusa d’una notte insonne per la -vibrazione dei nervi troppo eccitati dal lavoro -e da visioni dolorose. Quella notte, si ricordava, -l’immagine di lui le aveva blandito i terrori, -calmato i tumulti, le aveva dato il sonno e un -fragrante sogno d’amore. Ora quella figura -s’ergeva minacciosa, terribile, nella sua forza -<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span> -di malato, di moribondo, di cui lei accelerava -la fine, che aveva forse già ucciso, là, sull’erba, -fra due colpi di tosse e uno sbocco di sangue.... -Un gelo la paralizzò e s’aggrappò alle -coltri come presa dalle vertigini. Senza cuore! -senza cuore dunque! Eppure tutta la sua vita -non era che abnegazione e pietà. E si uccideva, -e uccideva.... -</p> - -<p> -La disperazione le diede una forza quasi -selvaggia. Ebbene, sì, avanti ancora, ad ogni -costo — malgrado la tortura, malgrado la morte. -Non si vince senza lotta, e non si diserta -senza vigliaccheria. Seguendo il suo impulso -di compassione verso quell’uno, ella seguiva -l’amore, ella sostava in un’oasi refrigerante e -queta, mentre un popolo di sofferenti errava nel -deserto ardente, lei aspettando. No, essa non si -apparteneva più, non poteva più disporre del -suo cuore; il suo cuore era di tutti gl’infelici, -di tutti i malati, di tutti i dolenti; non poteva -defraudar tutti a vantaggio di quell’uno...... La -melanconica pace dell’invincibile aleggiò infine -sull’animo suo. Il dolore andava spegnendosi -dalla forte volontà, dalla grandiosità del suo -bel sogno umanitario; rimaneva il rammarico, -luttuoso, profondo, dell’infelicità altrui; la tristezza -di questo accumularsi di crucci intorno -a sè, proveniente da lei, involontariamente, inevitabilmente, -come per un’influenza maligna; -rimaneva la titubanza e il desiderio ardente del -neofita nell’ultima lotta che precede il martirio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -</p> - -<p> -In questo rilasciarsi delle sofferenze e dei -dubbi che l’avevano travagliata, visioni tenui, -antiche, della sua vita di studiosa le balenarono -alla mente e si dilatarono come ripigliando il -loro posto in lei, come immigrando da paesi -lontani in cui fossero state esiliate da un usurpatore, -ingiustamente. Rientravano a stuoli, le -visioni antiche, buone, a ripopolare il suo cuore -dopo l’uragano. Era la parola d’un maestro venerato -e prediletto che aveva schiuso nuovi -orizzonti; era il ricordo d’una difficoltà vinta, -d’uno studio finito, d’un progresso, d’un -trionfo dell’intelletto, d’una vittoria della scienza, -d’una fratellanza simpatica e gaia e gentile; -poi la falange delle speranze baldanzose, sante -di pietà amorosa, che alleviavano la grave fatica -e precedevano sicure quella gioventù nella lizza -severa. E i bambini, tutti i bambini che aveva -veduto languire malati o correre sani; tutti -i bambini che conosceva e che immaginava; -il suo minuscolo popolo di clienti avvenire, a -cui lei avrebbe ridonato il vigore e la vita, si -affollò nella sua mente inondandola di purezza, -di pace; un mare di piccole teste, una selva di -piccoli mani tese verso di lei, imploranti, fidenti, -accennanti; e lei, simile alla buona Fata, inoltrava -beneficando fra le giovani vite che sbocciavano -come asfodeli al suo passaggio, mentre -le madri da lungi mandavano un’armonia di -benedizioni. -</p> - -<p> -... Clotilde, affranta, si addormentò così, sulla -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -sponda del suo letto, ninnata da tutta l’infanzia -del mondo, come dagli angeli. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Era il luglio, afoso. Clotilde da quel giorno -memorando aveva deciso di non riveder Aroldo -mai più; e per non incontrarsi con lui, scendeva -in città col primo tram e aspettava l’ora della -lezione in casa della Ginoli. Infatti non si erano -più trovati; ella lo aveva però riveduto un -giorno, di lontano, sulla porta d’una birreria fra -un gruppo d’amici. Rideva forte, chiassando. -Clotilde ne aveva provato un’amarezza somma; -poi, mano mano che quel giorno si allontanava, -un sollievo sempre crescente, come se le avessero -tolto un rimorso. Oramai era in pace. Le -pareva che qualchecosa finalmente si fosse addormentato -in lei, forse per sempre, e ne risentiva -un riposo mesto, infinito. -</p> - -<p> -Dopo gli esami aveva continuato a studiare -assiduamente nella tranquillità ombrosa della -villetta, tanto più che la nonna le lasciava, insolitamente, -un po’ di tregua. Al riaprirsi dei -corsi, sarebbe entrata in quinto anno, nel penultimo -anno di studi. Sarebbe ammessa alla -Clinica regolarmente, avrebbe potuto formare -le diagnosi, eseguire qualche operazione elementare -e le varie medicazioni negli Ambulatorii; -le avrebbero affidato qualche malato, le -avrebbero lasciata più libertà d’andare, di studiare; -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -avrebbe così cominciato a sentire la responsabilità, -le soddisfazioni del suo ministero; -avrebbe potuto agire, cimentarsi, misurare -le forze del suo ingegno, dei suoi studi, della -sua volontà; cominciare ad occuparsi specialmente -del suo ramo di medicina prescelto: la -cura delle malattie delle donne e dei bambini, -per i quali sfogliava già da tempo dei grossi -volumi di Pediatria. E qui la realtà sfumava -nel sogno. Se fosse stata ricca a milioni avrebbe -voluto inaugurare un grandioso ospedale per -i bambini e per le loro madri, un ospedale -tutto bianco di marmi e di cortinaggi, luminoso -di sole, ridente di fiori: tutto scale, terrazze, -fontane e giardini, sontuoso e romito come -un’antica villa papale. Ma ahimè, non era -ricca, e aveva dovuto ridurre il suo sogno a -proporzioni più modeste per sperare di vederlo -avverato. Lei, la Ginoli e Serralta, il gobbino, -pensavano già sul serio a comperare qualche -casamento del sobborgo, isolato e non discosto -dalla città, per ridurlo ad ospedale infantile. -Essi ne avrebbero la direzione, terminati i loro -studi, e gli darebbero un indirizzo eminentemente -moderno, occupandosi più dell’igiene -che della cura, più dei preservativi che dei rimedi. -Ci sarebbe anche una sezione per le -donne, in un angolo appartato e tranquillo, dove -tanta femminilità timida e sofferente potrebbe -nascondersi fiduciosa e serena di sapersi affidata -a mani sorelle. Tutto un rinascere di speranze, -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -un germogliare di forze, un trionfo della vita -fra gli effluvi dei fiori e delle benedizioni. Oh -il bel sogno! Clotilde non poteva più passare -una volta dinanzi al casamento adocchiato senza -risentire un certo palpito, un certo rispetto -per quel futuro santuario della scienza, in cui -sapeva che rassicurerebbe tante madri nient’altro -che con un sorriso e un bacio sui capelli -delle loro creature; sorriso e bacio provenienti -da un cuor di donna, in cui vigila la tenerezza -materna, anche quando dorme la maternità. -</p> - -<p> -Ancora due anni di tirocinio penoso, poi la -libertà di beneficare, di amare, di profondere i -suoi tesori di carità. Clotilde ci pensava quella -notte buia, affannosa; appoggiata ad una finestra -spalancata della sua camera mentre la nonna -dormiva. Non l’avrebbe abbandonata, la nonna, -oh no: e se Roberto non ne avesse voluto sapere, -avrebbe presa con sè la povera vecchina -in una bella camera allegra del suo ospedale a -raccontar le fiabe ai bambini. -</p> - -<p> -Pensò un momento a suo fratello che viaggiava: -in cerca di un editore, diceva lui, e affermava -la nonna. Ma Clotilde sapeva bene che -si dimenticherebbe dell’editore alla prima stazione -balneare. Non sarebbe la prima volta, e -la nonna continuava a illudersi e Roberto a -sbizzarrirsi, scusato, protetto. Pure non lo invidiava -e non avrebbe dato, per un mese di -quegli ozî gaudenti, neanche una delle sue giornate -laboriose, così rapide, così feconde; che -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -malgrado la sua naturale semplicità la facevano -avvedere d’acquistare una superiorità sempre -crescente, un’indulgenza sempre più serena. -</p> - -<p> -Clotilde leggeva un articolo in un giornale -letterario che le aveva prestato Serralta. I suoi -studi faticosi le facevano ricercare la cultura del -bello come un riposo. Leggeva accanto alla finestra, -alla luce della lucernina posata sul tavolino. -La notte era scura, opprimente, greve; -neanche uno spiro d’aria; la fanciulla soffocava -anche così, un po’ discinta nella sua blusa -di mussolina blu, tutta increspata, che lasciava -indovinare solamente le forme bellissime del -suo corpo; il nodo dei suoi capelli, fermati dal -pugnaletto d’argento, si allentava; tutta la -sua persona aveva quell’aspetto di languore -molle che danno le sere d’estate molto calde, -tutte piene d’insidie e di viltà. Clotilde s’era -appoggiata al davanzale. Il giardinetto s’addensava -nell’ombra; all’orizzonte i baleni si seguivano -a pause come guizzi convulsi, le rane -gracidavano forte, alla distesa, implacabilmente. -La ragazza aguzzava lo sguardo per -penetrare l’ombra, laggiù, poichè le era parso -che qualcuno o qualcosa vagolasse nel giardino. -Ma la sua miopia le nascondeva ogni cosa e -quelle rane assordanti le impedivano di ascoltare. -Sporgendosi con un movimento brusco le -scivolò giù il giornale. -</p> - -<p> -«Benissimo,» pensò; «almeno ci fosse -qualcuno davvero per rendermelo». E rimase -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -ancora qualche tempo, spiando attenta, immobile. -Ma non intravide più nulla. «Saranno le -ombre dei miei occhi,» concluse. E si dispose -a scendere per raccattare il giornale, poichè -ell’era molto gelosa della roba che non le apparteneva. -</p> - -<p> -Accese la candela, traversò la stanza che -divideva la sua dalla camera di suo fratello, -ora vuota; scese le scale adagio, chetamente. Le -faceva impressione di errare a quell’ora nella -casa buia e silenziosa; e, coi nervi e la fantasia -eccitati dal lavoro intellettuale, s’immaginò -un momento di recarsi a un convegno furtivo. -Allora il cuore le battè come se fosse vero, e -ne sorrise, da sè, nell’ombra. Poi, una tristezza -improvvisa le piombò sull’anima e l’immagine -di Aroldo, in quell’attimo di spontaneità che -non ebbe il tempo di domare, le apparve con -un rimpianto. Inoltrò, sgomenta, come le accadeva -sempre ogni volta che i sensi la soverchiavano -all’improvviso — posò il lume per -terra nella saletta d’ingresso e aperse l’uscio -che metteva in giardino, chiuso diligentemente -dalla nonna nella sua ultima ronda. Era agitata, -nervosa; intuiva vagamente un pericolo — non -sapeva quale, nè perchè. Scese lo scalino di -pietra con precauzione poichè non ci vedeva -affatto, e fece qualche passo verso la finestra -della sua camera. Di colpo si sentì ghermire -da due braccia robuste e un fiato ansante le -alitò sul viso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span> -</p> - -<p> -— Ah, lo sapevo! — mormorò lei col cuore -tumultuante per l’emozione inattesa e pur preveduta; — Aroldo! -</p> - -<p> -Ma poi dopo quel momento di silenzio rabbrividì. -Aveva indovinato, più che intraveduto, -l’avvocato Dardanelli. -</p> - -<p> -— Clotilde.... Clotilde.... — mormorava la sua -voce che a quell’ora e nel buio assumeva un’intonazione -strana; — non ne posso più, Clotilde... -da due ore sono qui a misurare quella finestra... -volevo salire.... io sono pazzo, Clotilde.... -</p> - -<p> -La fanciulla istintivamente cercò di svincolarsi, -ma quelle braccia erano di ferro; ella -ebbe allora la rapida percezione che lo smarrimento -e la paura l’avrebbero perduta. Con un -atto della sua forte volontà rispose calma, irrigidendosi: — Via -mi lasci, è un cattivo scherzo... -M’ha fatto avere uno spavento terribile; -mi lasci, mi fa male a stringermi così... -</p> - -<p> -Ma egli la serrava più forte, inebriato di -quella giovinezza opulenta che sentiva contro -il suo corpo. -</p> - -<p> -— Mi lasci, — disse ancora Clotilde irata, -puntellando le mani contro le spalle di lui e -arrovesciandosi per allontanarsi da quel viso, -per sottrarsi a quei baci; — mi lasci o grido! -</p> - -<p> -La sua calma fittizia era sparita: oramai -non si dominava più, si dibatteva furiosamente, -disperatamente, mentre egli la trascinava -stringendola come fra una morsa, mormorando -incoerenti parole di tenerezza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span> -</p> - -<p> -— Grido, grido.... — minacciava lei, con la -voce strozzata dall’angoscia, quasi piangendo. -</p> - -<p> -E l’uomo cercava di farla tacere, di calmarla -coi suoi baci impuri, e continuava a stringerla, -a trascinarla... Clotilde non aveva più forze per -lottare, ma la sua ira cresceva dalla sua debolezza. -</p> - -<p> -— Vile!... infame!... — esclamò, e gli sputò -sul viso. Poi esasperata si strappò il pugnaletto -dai capelli e glielo conficcò a più riprese in un -braccio finchè le braccia si allentarono. -</p> - -<p> -Un lamento, un rantolo di rabbia, d’agonìa, -chissà? la seguirono nella sua corsa rapida -verso la casa dove giunse ed entrò e richiuse -l’uscio, proprio mentre Dardanelli che la rincorreva, -vi appoggiava le braccia nerborute per -forzarlo, per ripigliarla ancora. Clotilde lo udì -tempestare di pugni la fragile barriera, bestemmiando, -con una voce che non aveva più nulla -d’umano. -</p> - -<p> -Ella si lasciò cadere su una sedia semisvenuta, -atterrita, esausta. Un rombare di tuono -che crebbe e scoppiò in un fragore di fulmine -soverchiò ogni rumore. Il temporale s’annunziava. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -— Signora dottoressa, — disse il giorno dopo -la nonna a Clotilde quando furono sedute a tavola, — c’è -un ferito da curare. Cerchi di guarirlo -bene, le faranno poi i sonetti... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -</p> - -<p> -Ma siccome la ragazza, un po’ pallida, s’affrettava -a inghiottire una dopo l’altra le cucchiaiate -della minestra scottante, per evitare di rispondere, -la signora Rita smise quel tono sardonico -e disse naturalmente: -</p> - -<p> -— Davvero, sai, l’avvocato Dardanelli s’è -ferito a un braccio. Me lo ha detto la Giulia -poco fa. Stamattina s’era levato molto presto -per lavorare in giardino, e nel rialzare i rami -del gelsomino è caduto dalla scala a piuoli e -s’è stracciato manica e carne contro i chiodi -del muro. Sua moglie era tutta nervosa pensando -al pericolo.... Se si fosse trovata presente, -quella cadeva in convulsioni.... -</p> - -<p> -Clotilde respinse la scodella vuota e disse -ad occhi bassi: -</p> - -<p> -— Spero che l’avvocato non mi aspetterà -per curarsi.... -</p> - -<p> -— Pare di sì, — continuò la nonna, — giacchè -non ha voluto chiamare il dottore. Fra lui -e sua moglie hanno fasciato il braccio.... Dardanelli -seguita a dire che è una cosa da nulla... -Però gli è venuta la febbre. -</p> - -<p> -Clotilde era stata assalita da un dubbio repente, -angoscioso. Dov’era il suo pugnaletto -d’argento? se lo avessero trovato in giardino, -insanguinato.... Lo aveva gettato via o no? Non -se ne rammentava. -</p> - -<p> -— Non ci mancava che questa, povera gente; -continuò la signora Rita trinciando il lesso. — Ce -n’era d’avanzo della bambina malata... ha -<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span> -un febbrone, povera creatura.... ma già quando -l’incomincia a dar dietro non si finisce più. -Poi, già, la civetta s’è fermata due notti, due -notti in fila, capisci? a cantare sulla finestra... -me lo raccontava la Giulia.... S’ha un bel dire -che sono scempiaggini, ma poi i fatti.... E tu -hai sentito che temporale, stanotte? Che tuoni -e che lampi.... Gesummaria, pareva il finimondo... -Poi ha durato tutta notte a piovere... Bada -qui, Clotilde, ohi a che pensi? è un ora che ti -stendo il piatto.... -</p> - -<p> -La ragazza si scosse arrossendo; levò i tondi, -ne rimise, si prese il lesso, ma non potè -mangiare. Quel pensiero la torturava. E dovette -rimanersene cheta fino al termine del desinare, -ascoltando le ciarle della nonna che di quando -in quando la pungeva col sarcasmo o col dispetto. -Allorchè le fu possibile d’uscire, barcollava. -</p> - -<p> -Trovò il pugnaletto sotto i rami spezzati -d’un geranio. Il vento e la pioggia avevano -pestato le aiuole a segno che non era possibile -scorgervi traccia di passaggio o di lotta; pure -ella si sentì mancare scorgendo luccicare il suo -gingillo fra la terra umida, in quel luogo. E -come le accadeva sempre, il contraccolpo dell’emozione -la terrorizzava. Lo raccolse con uno -sforzo della sua volontà avvezza a superare le -ripugnanze insuperabili, ma sentiva che se -vi avesse trovato traccia di sangue non sarebbe -più stata padrona di se. Nulla, invece. La tenue -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -arma lavata dalla pioggia era forbita, riscintillante -al sole. Clotilde salì in fretta nella -sua camera e lo gettò sul cassettone come se le -scottasse le mani, poi si abbandonò sul letto, -bocconi, con le tempie, il cuore, le arterie tutte -che le pulsavano violentemente. -</p> - -<p> -Si rialzò soltanto quando udì qualcuno bussare -all’uscio e chiamarla angosciosamente. Andò -ad aprire intontita, come balzata dal sonno. -Vide la signora Giulia piangente, pallida, scarmigliata, -senza lena. -</p> - -<p> -— La mia bambina muore! Clotilde, presto, -aiuto, oh Dio, la mia bambina muore, aiuto!... -</p> - -<p> -Fu come il bicchier d’acqua che dissipa i -fumi dell’ebbrezza. Clotilde si riprese in un -attimo — Andiamo, andiamo — rispose energica, -pronta, risoluta; e si mise a correre tenendo -per mano la signora Giulia che si lasciava trascinare, -spiegandosi fra i singhiozzi, a stento: -</p> - -<p> -— Il dottore non si trova... al solito... e la -bambina si soffoca... Eppure ieri pareva nulla, -ti ricordi? un po’ di febbre.... ma ora sta male... -oh male... Ah, Vergine Maria, ascoltatemi, -voi che siete madre... -</p> - -<p> -Clotilde traversò il giardino sempre correndo -e trascinando sempre l’altra ansante, lagrimosa. -Traversarono così anche la strada maestra -e giunsero quasi subito al casinetto dei -Dardanelli, a due passi. Solamente varcando la -soglia ella si risovvenne del padre, ma il pensiero -che le attraversò la mente non la fece -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -esitare. Entrò, salì le scale e in un baleno fu -nella camera dove la bambina rantolava. -</p> - -<p> -Dardanelli era là, presso la culla, tutto sbiancato. -Essa agghiacciò scorgendolo. La signora -Giulia si abbandonò sul petto di suo marito: — Enrico, -coraggio.... c’è qui la Clotilde.... ce -la salverà, lei.... -</p> - -<p> -Clotilde aveva spalancato la finestra e rialzato -i cortinaggi della culla. Al solo vedere -i lineamenti contratti della piccina capì. — Ah! -la difterite... — disse dolorosamente nella sua -inesperienza morale di neo-medichessa, e si -strinse le mani alle tempie concentrando il pensiero -con uno sforzo inaudito, in quel tumulto -di sensazioni in cui pareva che il suo cervello -riddasse. Poi la fermezza vinse. Volle ricordarsi.... -si ricordava di una lezione del professore... -della narrazione d’un caso consimile.... -dell’eroismo d’un giovine medico, come lei ardente -di carità.... -</p> - -<p> -— Presto, presto, una cànnula, — comandò; — una -piccola cànnula purchessia, vuota, resistente... -ma presto! — E mentre gli altri si affrettavano -per la camera in disordine e per la -casa, ella prese la bambina, la portò davanti ad -una finestra, l’arrovesciò sulle sue ginocchia, -le aperse la bocca.... Le membrane bianche si -dilatavano sulla gola, maligne, tremende.... -</p> - -<p> -— Ah, ma presto — ella gridava ancora, ansiosa, -quando la signora Giulia le tendeva già una -piccola canna che serviva per le loro bibite in -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -gelo, l’estate. E Clotilde, semplicemente, eroicamente, -mentre gli altri tenevano la povera -creatura che si dibatteva, le applicò la cànnula -in gola aspirando forte con la bocca, a parecchie -riprese e sputando mano mano delle chiazze -bianche sul pavimento; ricominciando finchè -la bambina potè respirare e piangere. -</p> - -<p> -— Ecco, — disse dopo, livida come una moribonda, — mentre -si stringeva al seno la bambina -e l’avvocato e sua moglie non potevano -che piangere — la Rachelina per questa volta -è salvata. Però non bisogna indugiare a chiamare -il medico per il resto della cura... io non -posso assumerne la responsabilità. Chiamate De -Carli; è uno specialista. -</p> - -<p> -La signora Giulia scivolò per terra in deliquio -baciandole le mani. Dardanelli rimasto immobile, -ginocchioni sul tappeto, piangeva sempre, -senza ritegno, silenziosamente, senza più -curarsi di celare la sua debolezza. Clotilde pallidissima -ma sicura e calma rimise in letto la -Rachelina, le prestò ancora alcune cure suggerendo -nel medesimo tempo alla serva smarrita -i soccorsi per la sua padrona. E quando la signora -Giulia inerte, fu adagiata sul largo letto -matrimoniale e la serva fu uscita in cerca di -qualche cosa, Dardanelli si trascinò in ginocchio -vicino a Clotilde curva sulla culla; ella -voltandosi lo vide così, ai suoi piedi, gemente, -umiliato, implorante. -</p> - -<p> -— Mi perdona? balbettava: Clotilde, mi perdona? -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -lei è una santa, oh mi perdoni!.... in -nome di quell’innocente che le deve la vita -mi perdoni!.... -</p> - -<p> -Ma Clotilde si scostò con ribrezzo, raccogliendo -le vesti perchè non la toccasse. — No, — proruppe -brusca, altera, — mi ha fatto troppo -soffrire; non posso, se ne vada.... -</p> - -<p> -E siccome lui continuava a supplicare, a invocare, -ella lo respinse adirata: — Vada!, — esclamò -vada piuttosto a cercare un medico per la -sua bambina... S’alzi, vada... vada! — ripetè con -la voce smorzata, in un impeto di collera che -nell’agitazione di tutto il suo essere fra tante -diverse emozioni, minacciava di crescere fino al -parossismo, fino alla follìa.... -</p> - -<p> -.... E invece la sua eccitazione si rilasciò subitamente, -come la vela sgonfiata da una tregua -di vento. Una strana stanchezza la invase, un’indifferenza -somma per tutte le cose. -</p> - -<p> -— Ebbene sì, le perdono... — sussurrò pallida, -debole, vinta — le perdono... -</p> - -<p> -Ella sapeva che non uscirebbe di là che per -porsi in letto e morire. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Le imposte erano spalancate al vespro tranquillo, -aurato. Un raggio del sole occiduo entrava -dalla finestra di ponente, lumeggiava un -angolo del tavolino ingombro di libri e lambiva -la parete dirimpetto, grigia a mazzi di rose. Il -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -letto, nel fondo, era vuoto, senza guanciali e -senza coltri, con le materasse abballinate come -dopo una partenza; nell’aria vagava ancora -un odor d’etere misto ad incenso, soverchiati -ambedue dall’odor acre dei disinfettanti. Sul -tavolino da notte era rimasto un bicchier d’acqua, -un piccolo termometro misuratore della -febbre, e uno strumento chirurgico che aveva -servito per la tracheotomìa. Sul cassettone due -o tre forcelline di tartaruga, lo stiletto d’argento -col motto cavalleresco: «<i>Non ti fidar di me se -il cor ti manca</i>», e la cintura di nastro nero: -appesa all’attaccapanni la blusa di mussola blu -che serbava tuttora l’impronta molle d’un corpo. -Dalle finestre aperte veniva un gracidare -di rane e lo stridere dei grilli, poi le tende -alte e lievi come ali, gonfiate da un soffio improvviso -di brezza uscirono fra le persiane e -palpitarono, in alto, come se volassero via. -</p> - -<p> -In quel punto se n’andava dal giardino una -bara infiorata fra il biancheggiar delle cappe e -le fiammelle rosse, irrequiete, dei ceri. Siccome -i preti non avevano ancora incominciato a salmodiare, -s’udiva lontanamente sulla via maestra -un organetto suonare un waltzer. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -</p> - -<h2 id="romanze">Romanze senza parole</h2> -</div> - -<h3>RESURREZIONE</h3> - -<p> -Quand’egli non annunziato, non aspettato, -sollevò adagio, da sè, l’arazzo che nascondeva -la porta del bizzarro salotto, ella era seduta -nella solita poltrona sotto la finestra e leggeva. -L’altissimo schienale della sedia rivolto contro -l’uscio l’avrebbe tutta nascosta, s’essa non -avesse tenuto la persona inclinata un po’ a destra, -verso il bracciuolo, a cui appoggiava il -gomito reggendosi la testa con la mano, nell’atteggiamento -antico della meditazione e del -sogno. Era vestita come sempre di bianco, e -di lei non emergeva che l’estremità dell’òmero, -il braccio piegato, lo squisito contorno della -testa bionda acconciata con una treccia scendente, -piegata a metà e ricondotta sulla nuca. -La sala tutta parata di vecchio damasco bruno, -dai mobili di querce angolosi, artistici, colossali, -nello stile del trecento, era in un’ombra -fresca e severa di chiesa, mantenuta dalle vetrate -di piccoli cristalli ottangolari legati di -piombo, che chiudevano due delle grandi finestre -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -ogivali; la terza finestra, a cui ella leggeva, -lasciava entrare dallo spiraglio delle vetrate -socchiuse un filo di luce più viva che le -sfiorava i capelli, faceva sorridere un ramoscello -di biancospino nell’anfora poco discosto -e animava un grande affresco di Giotto sotto -il quale stava un organo da sala. Da un anno -nulla era mutato nel vasto salotto. Pareva che -tutto quel tempo non fosse passato; che l’estate -non lo avesse infiammato del suo soffio di -passione, che l’autunno non lo avesse desolato -col suo pianto, che l’inverno non lo avesse -intirizzito col suo gelo. Eternamente l’incipiente -primavera; eternamente i biancospini e -le mammole profumavano l’ombra refrigerante, -misticamente obliosa; eternamente lei, bianca -e mite al solito posto, leggendo. -</p> - -<p> -Era immobile e vaghissima come una figura -dipinta. Quanto tempo resterebbe così? come -sussulterebbe, come volgerebbe il capo, che direbbe -udendo la nota voce mormorare il suo -nome dolcemente, semplicemente, dietro l’alta -poltrona? Allora il libro le cadrebbe ai piedi; -ma un altro volume si riaprirebbe alla pagina -dove fu abbandonato... ahimè all’ultima pagina: -quella che non ha che una parola: Fine. -</p> - -<p> -Rileggerlo dunque... E che avrebbe potuto -dir loro di più soave di quello che aveva già -detto? Che avrebbe cantato di più folle di -quello che aveva già cantato? Che avrebbe lagrimato -di più doloroso di quelle lagrime già -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -piante? Tutto si rinnovella, anche l’amore; -ma nulla rinasce, neanche l’amore. I fiori -di questa primavera non sono più quelli dell’altra -primavera morta; le farfalle che ripetono -sulle ali velate i medesimi geroglifici -come una lingua perduta nei secoli che nessuno -più intende, non sono più le stesse farfalle; -l’onda che è giunta affannosamente a -baciare la spiaggia prima di svanire, non la -ribacia una seconda volta, in tutta l’eternità. -Però le cose belle e fragili che non potevano -durare, che non hanno durato, che raggiarono -e disparvero, non precipitano nel cieco infinito, -ma salgono, salgono, salgono a rivivere più -fulgidamente, più durevolmente nell’esistenza -spirituale del sogno; mentre le altre, quelle -che si poterono afferrare, quelle che rimasero, -si corrompono e si sfasciano miserevolmente -per vecchiezza. Nella vita o nel sogno. Egli -aveva un’anima di poeta e disse: Nel sogno. -</p> - -<p> -Ella stava immobile sempre come una figura -dipinta. Immota e tranquilla e ignara dell’attimo -solenne che passava; nessun presentimento, -nessuna voce, nulla. Forse il suo spirito -s’era involato e non rimaneva che il delicato -involucro candido in quella oscura severità. -Egli prese lentamente le due rose gemelle che -s’inaridivano sul suo petto e le gettò ai piedi -di lei come su una tomba. Poi fuggì. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -</p> - -<h2 id="natale">Natale Romantico</h2> -</div> - -<p> -Nella chiesetta del convento si celebravano -le tre Messe di Natale. L’altar maggiore si -ergeva nel fondo fra i rossi panneggiamenti di -velluto, i veli cerulei e i galloni d’argento, illuminato -dai ceri digradanti in una triplice -schiera di fiammelle, coperto di lini e di merletti -su cui scintillavano gli arredi sacri tra le -palme di rose. Sulla gradinata nascosta dal tappeto, -i sacerdoti s’inchinavano nelle gialle stole -gemmate: fra la nebulosa profumata dell’incenso: -una visione magnifica, che lasciava ancor -più buia e nuda e povera la piccola chiesa -in cui i soggoli e le bende delle monache impallidivano -lontane, confusamente, come una -coorte di larve. Giù per le navate solitarie interdette -ai profani, l’organo versava torrenti -sonori di melodie; ora formidabili come il clamore -delle trombe d’una legione d’arcangeli -giustizieri; ora dolcissimi, mormoranti appena, -come in un sogno celestiale; ora appassionati -e numerosi come mille e mille voci assurgenti -e rincorrentesi nel delirio di un’estasi divina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -</p> - -<p> -Un poco in disparte, sotto la lampada accesa -all’altare semibuio di Michele arcangelo, -era prostrata suor Raffaella — la povera monachina -malata e bizzarra, a cui si perdonava -tutto, ora che doveva morire. La mattina stessa -aveva sputato sangue di nuovo, e tutto il -giorno era rimasta a letto per obbedienza — ma -la sera non le avevano impedito di levarsi -e scendere in chiesa per assistere alle tre messe -della mezzanotte, le tre messe del Natale. -</p> - -<p> -Stava prostrata immobilmente sul duro inginocchiatoio -di legno, con la faccia tra le mani -gialle e scheletrite. E non aveva pregato, nè -meditato, nè pianto. Aspettava con l’anima sospesa, -l’invocato, dolcissimo prodigio. Oh Dio -non l’avrebbe lasciata morire così, senza concederle -di rivedere una volta il suo amore! poichè -ella non domandava che di rivederlo un -attimo, chinargli il capo sul petto e morire. -Chi sà, chi sà! Forse non era caduto a Dogali, -forse s’erano ingannati scrivendo il suo nome -nel lugubre elenco, e bisognava cercarlo ancora, -cercarlo invece fra i prigionieri delle tribù selvaggie, -in qualche recesso ignoto della maligna -terra dalle paurose leggende. Oh non poteva -esser morto, lui! così ardito, così giovane, così -forte, amato così!... E se era proprio morto, ebbene, -lo rivedrebbe per miracolo; credeva piuttosto -a questo che alla certezza di non ritrovarlo -mai più. -</p> - -<p> -Erano anni che aspettava quel momento; anni! -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -</p> - -<p> -Da principio l’attesa placida, sicura, olimpica, -coll’anima stemperata quasi in un immenso -<i>nirvâna</i>; poi un periodo inquieto, dubitante, -angoscioso, tremendo, a cui aveva seguito -quell’attesa febbrile, inverosimile, ostinata, -di ogni ora, di ogni minuto del giorno e -della notte; un’attesa così intensa, nel fervido -desiderare, che la sua vitalità vi si struggeva -come in un crogiuolo ardente.... ed era la -morte: essa lo sapeva, lo sentiva, pur non tentando -di lottare: abbandonandosi anzi, quasi -lieta di morire. -</p> - -<p> -Però quella notte uno spiro novo e fresco -di speranza la vivificava. Era la notte di Natale, -la notte santa delle mistiche corrispondenze -tra la terra ed il cielo. Gli angeli, quella -notte, in infinite e diafane spire allacciano -i mondi, osannando al Messia nell’immensità -che si riempie di parvenze radiose e di musica. -Forse Iddio aveva scelto quella notte luminosa -per compiere il miracolo, per renderle il suo -amore. -</p> - -<p> -La seconda messa giunse a metà. Da piè -dell’altare evaporò più densa e più odorosa la -nube d’incenso; le campane in alto dindondavano -solenni e gaiamente pie; dall’organo si -effondeva sommessamente la cantilena agreste -delle zampogne, la pastorale, semplice e sublime -serenata della notte meravigliosa. E quella -nenia ripetuta, ripetuta, ripetuta, nel ritmo ingenuo -e amoroso di una ninna-nanna, blandiva -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -i suoi tumulti, la cullava, la addormentava. -Non aveva più senso di nulla. -</p> - -<p> -Ma quando sentì toccarsi lievemente sull’omero, -scattò. No... non era ancora lui; era -suor’Rosalia, la buona giovine novizia, impensierita -della sua immobilità. -</p> - -<p> -— Si sente male, suor’Raffaella? -</p> - -<p> -Ella la fissò con gli occhi spalancati e non -rispose. L’altra, appagata di saperla ancor viva, -si rimise a pregare. -</p> - -<p> -Suor’Raffaella volse lentamente il viso aguzzo, -che aveva una strana espressione di stupore, -verso l’immagine dell’Arcangelo Michele -che cacciava con la spada fiammeggiante gli -angeli decaduti; e i suoi occhi neri e ardenti -s’affisarono lungamente sull’immagine sacra -che la lampadina faceva appena emerger -dall’ombra. -</p> - -<p> -— Suor’Raffaella è devota di san Michele — dicevano -le suore. Infatti era sempre là -che s’inginocchiava, là che pregava e piangeva, -quando poteva ancora piangere e pregare. -La gentile e balda figura del biondo spirito -cavaliere le ricordava il suo amore, fior di gentilezza -e tempra d’eroe; così lo prediligeva e -si prostrava a’ suoi piedi umilmente anche ora, -quasi soggiogata da quell’energìa celeste.... -o vinta dalla languida dolcezza d’un sogno. -</p> - -<p> -Questa volta lo affisò a lungo, intensamente, -come se avesse dovuto stare un pezzo prima -di rivederlo: poi reclinò ancora il capo fra le -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -palme, esausta. Sentiva mancarsi il respiro e la -vita; le voci dell’organo le ululavano confusamente -negli orecchi, come il frastuono di un -uragano; quelle campane alte e lontane le davano -le vertigini; i vapori dell’incenso la -soffocavano. Credette di morire, e la prese un -folle desiderio d’aria, di libertà, di vita. Quelle -campane insistenti, festose nell’altezza fredda -e pura, le parlavano, la chiamavano, la volevano, -l’attraevano irresistibilmente, la suggestionavano. -Smemorata, quasi folle, staccò il rosario dal -fianco, il rosario che sapeva le strette convulse -delle esili dita che lo afferravano di notte sotto il -capezzale o lo avvoltolavano con una monotonìa -disperata nelle lunghe ore delle giornate vuote e -silenti, e lo depose sugli scalini dell’altare; poi si -alzò lieve e quasi incorporea, come un’ombra, e -dileguò dalla porticina accanto all’altare, che -conduceva al corridoio. Di là si saliva pure -al campanile; l’uscio era aperto ed ella salì. -Le campane con le loro vibrazioni sonore la volevano; -lassù era l’aria, l’esultanza, la vita. -Suor’Raffaella cominciò a salire la stretta scala -a spirale reggendosi al muro, al buio, a tentoni, -faticosamente; il respiro le diveniva ancor -più difficile; la scala tortuosa e ripida le esauriva -le ultime forze. Un’oppressione vaga incombeva -su lei, un’oppressione che avanzando -divenne un incubo, un terrore per quelle -tenebre ignote e continue addensate nell’angusto -spazio. La scala seguiva non mai interrotta, -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -e nessun spiraglio, nessun lume; un’oscurità -pesante di tomba. E ancora scalini e scalini -ascendenti in una spira diabolica, interminabile. -La testa le riddava vorticosamente, il -suo respiro era un rantolo. Saliva, incontrando -sempre nuovi gradini sotto il piede, incespicando, -cadendo, rialzandosi, delirando, immaginandosi -di uscire da un abisso sterminatamente -profondo, di esser condannata a roteare -così, innalzandosi nel buio, per l’eternità; -sbarrando gli occhi, avidi d’un punto luminoso; -spalancando la bocca, anelante di un soffio -d’aria viva. Infine sostò, incapace di proseguire -o di retrocedere, e s’abbandonò sugli scalini, -sospesa in quel foro nero, fra due abissi.... -</p> - -<p> -Ma le campane la chiamavano, la volevano, -le campane rimbombanti sonore e vicine, -alle cui vibrazioni quel fragile edifizio pareva -oscillare. E suor’Raffaella si levò, galvanizzata, -e cominciò l’orribile ascensione brancicando -nelle tenebre, oramai inconscia di sè, cieca, pazza, -morente... -</p> - -<p> -Improvvisamente, a uno svolto, un rettangolo -di blanda luce argentina le s’aprì dinanzi ed -essa si slanciò. Era l’uscio che dava sulla stretta -terrazza circolare, a pochi metri dalle campane. -L’aria pungente e mossa l’avvolse tosto -in una gelida carezza che la rimescolò bruscamente. -Le parve di svegliarsi da un sogno atroce; -battè le palpebre e sorrise. Era l’aria, -la libertà, la vita. Laggiù, laggiù, tutto intorno -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -la pianura immensa, morbidamente bianca di neve -sotto il vasto plenilunio. Alberi, case, strade, -apparivano vaghi e indistinti a quell’altezza: -non rimaneva che la pianura giù, all’imo, -candidissima, e sul suo capo l’etere terso, profondo, -gemmato, in cui le pareva d’essere librata -meravigliosamente. Libera, sola, sullo -stretto spazio di quel pinnacolo eccelso, penetrata -dalla magica nebulosa d’argento fluttuante -nello spazio, si sentiva ingigantire smisuratamente -e sprigionare dal suo involucro materiale, -per trasformarsi in una parvenza luminosa -e fantastica, dileguantesi nell’infinito con le -vibrazioni di quelle campane rombanti accanto -a lei che si slanciavano nel vuoto, gioiosamente. -</p> - -<p> -Finalmente non si ricordava più! non viveva -più! non soffriva più! Era guarita. S’era -immersa nell’altezza serena e fredda, come in -un queto Lète dolcissimo e oblioso. L’immagine -fascinatrice, abbarbicata da tanti anni al -suo cuore con una tenacità così ardente da assorbirne -la vita, l’immagine che l’inseguiva -traverso le ore dell’occupazione, della preghiera, -della meditazione, del riposo; nella veglia, -traverso le lunghe notti invernali; nei sogni, -in cui guizzava come uno sguardo, come una -voce, come una parola; l’inebriante e fallace -parvenza che la uccideva di desiderio cocente, -l’aveva lasciata; era svanita; aveva dilagato -nell’estasi di quell’ora vaga, fantastica, -divina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -</p> - -<p> -Poi il candore vastissimo, lo spazio infinito -l’assorbirono interamente; si sentiva già -pronta a librarsi, lieve e immateriale e vaporosa -come un’angelica forma; si sapeva coronata -di stelle rifulgenti; sorrise. Sorrise alle -campane che continuavano a slanciarsi folli, -sonanti, mentre lei si puntellava al parapetto, -salendovi faticosamente in ginocchio, rimanendovi -un attimo, per slanciarsi anche -lei nel vuoto bianco e luminoso e profondo, -nel plenilunio sacro. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<h2 id="classico">Natale classico</h2> -</div> - -<p> -Alle due estremità della tavola, che era tutta -un candore rilucente di cristalli e di argenteria, -sedevano i padroni di casa. Lui, un vecchio -generale in ritiro, un po’ arrustichito dalla sordità; -con un torace di Ercole e due occhietti -chiari e placidi, affondati fra la rubiconda grassezza -del viso e le folte sopraciglia: Lei, che -della sua altera bellezza, quasi celebre, serbava -ancora la figura giovanilmente snella e una certa -espressione di superiorità, che il profilo dantesco -e la durezza dello sguardo accentuavano. -Pareva nata per agire e per comandare; infatti, -per il prestigio della sua bellezza, e più per una -tenacità di volere logica e calcolatrice, aveva -sempre menato tutti per il naso, cominciando -dal generale che si credeva un tiranno. -</p> - -<p> -Povero generale! una buonissima pasta d’uomo -e, malgrado i suoi settant’anni (anzi forse -per questo), innamorato dell’ideale come uno -scolaretto. La sua soddisfazione per quel pranzo -di famiglia, a Natale, era profonda, sincera. Certe -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -consuetudini tradizionali, certe solennità, le osservava -e le rispettava come i suoi obblighi di -cittadino e di soldato, ma con una dose maggiore -d’entusiasmo e di convinzione, che le coloriva -e le innalzava al grado di veri avvenimenti -desiderati. I natalizî, gli onomastici, l’anniversario -del suo matrimonio, Pasqua, Capo -d’anno, Natale, costituivano per lui tante piccole -oasi in cui pigliava fiato prima di rimettersi -in via, scacciando, dimenticando, allontanando -olimpicamente in quei giorni ogni preoccupazione -molesta, ogni pensiero cruccioso. Ma -il Natale era la solennità che preferiva, la solennità -classica per eccellenza, che ogni anno -gli faceva rovistare nel bagagliume delle memorie -per arrivare a concludere con la narrazione -di qualche episodio tragi-comico avvenuto -proprio a lui e proprio per la sua ferma volontà -di venirsene a Natale nel suo paese per mangiarvi, -da buon ambrosiano, il tacchino e il panettone, -e scaldarsi al ceppo tradizionale che -doveva rimanere acceso fino alla mattina. -</p> - -<p> -Sua moglie, donna Laura, da persona intelligente, -aveva sempre rispettato quei gusti e -quelle consuetudini, senza rinunziare però a discorrerne -con quella cert’aria di compatimento -che doveva mantenerla sul suo piedestallo. Per -lei il Natale non era che un pretesto per affermare -solennemente, almeno una volta all’anno, -la sua autocrazia che non cedeva nè ai tempi, -nè ai costumi. Se non era più possibile la famiglia -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -patriarcale come ella aveva vagheggiato -per alimentare le sue aspirazioni feudali, rimanesse -almeno l’obbligo di quel pranzo di Natale -che raccoglieva tutti intorno a lei come un -tacito omaggio alla sua autorità. Ciò che sarebbe -riuscito ad ogni altra naturale e gradito, -costituiva per lei, quasi unicamente, una soddisfazione -d’orgoglio. C’erano tutti intorno alla -mensa: suo figlio, lo stimato e noto giornalista -dai capelli già grigi, coi bimbi e la governante -inglese; la nuora, una bruna vivace e -astuta dagli occhietti di cingallegra; sua figlia -Marta, una creatura bizzarra, un po’ esile, fumatrice -arrabbiata di sigarette, e suo genero, -alto e grosso e brutto come l’Orco; infine l’altra -figliuola giovinetta, sgusciata appena dalle -mani dell’istitutrice. Poi i parenti più lontani, -quelli che formavano il maggior ornamento al -carro di donna Laura: una cugina vedova che -veniva ogni anno da Firenze, splendida figura -di Giunone, dai movimenti bruschi, ridanciana, -provocante; un nipote ufficiale arrivato da Massaua, -la vigilia, per quel famoso pranzo di Natale, -e il figliuolo di un’amica morta, considerato -oramai come un parente: il conte Silvestri, -uno scavezzacollo e poeta per giunta. -</p> - -<p> -Donna Laura, naturalmente, dirigeva la conversazione -anche a pranzo, intavolava i discorsi, -lasciava cadere quelli che non le garbavano, -ne troncava anche certi altri, risolutamente, qualche -volta con un sol gesto o con uno sguardo -<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span> -insistente de’ suoi freddi occhi grigi. Quella -sera però le sue armi cominciavano a spuntarsi -contro quelle dell’ufficialetto, che tirava via a -dialogare sotto voce colla sua bella vicina, la -vedova, il cui florido busto si torceva per le -risate frequenti, mentre gli occhi di lui luccicavano, -fissi su quella nuca fresca e bianca che -l’abito un po’ scollato scopriva. Il generale, col -tovagliolo al collo, parlava poco e mangiava assai, -occhieggiando spesso e volentieri verso la -formosa vedovella e sorridendo del suo riso -senza capir nulla; gli altri non badavano a loro. -Ma, oltre gli occhi severi di donna Laura e quelli -avidi del generale, altri due occhi spiavano, invidi -e penetranti, quelli di Alda, un po’ troppo -fredda e distratta alla mensa di Natale. -</p> - -<p> -— Si può sapere a che pensi, Alda? — ammonì -con la sua consueta terribile freddezza -donna Laura, vedendo che dimenticava perfino -di incrociar le posate sul tondo; e la fanciulla -arrossì voltando il viso verso il Baby, occupandosi --di lui per disimpegno. Un viso intelligente -e simpatico, un tranquillo viso di donnina che -un neo sulla guancia abbelliva. -</p> - -<p> -— .... sapete che cosa mi ha risposto? — continuava -la voce aspra di Marta che si tagliava -un’altra fetta di panettone: — «padronissima -di andare; a una commedia di quel genere io -non vengo!» E gli altri ridevano tutti, meno -sua madre. -</p> - -<p> -— Ah! proprio così? — fece il conte-poeta -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -stiracchiandosi i baffetti biondi un po’ soprapensieri. -</p> - -<p> -— Precise parole, ve lo assicuro. — Marta -scrollava le briciole di panettone dall’elegante -abito a ricami di passamanteria che le vestiva -la figura svelta, nascondendole il collo troppo -lungo. — Precise parole. E un’aria scandalizzata!... -Credo che mi leverà il saluto... -</p> - -<p> -— È una cretina, — dichiarò placidamente -l’Orco. -</p> - -<p> -— Oh, no, è furba! — corresse la brunetta con -un movimento affermativo del capo e quello -sguardo artificiosamente candido che la rendeva -così graziosa. -</p> - -<p> -— Oh infine poi, — entrò a dire donna Laura -con calma, autorevole, — ognuno è padrone -di condursi come meglio crede; rispettiamo le -opinioni. Se quella commedia urtava le sue convinzioni -religiose o morali, ha fatto bene a non -intervenirvi. Aggiungete poi che con questa -sconfinata libertà, che ora informa l’arte e la -vita, nulla di più facile che passare dalla leggerezza -alla sconvenienza... — finì voltando il -viso aggrinzito e incorniciato dai capelli grigi, -arricciati, verso la vedova e l’ufficiale che non -se ne davano per inteso. -</p> - -<p> -— Non lo credete? non lo credete? — mormorava -sottovoce lui, infervorato, col viso acceso. — Gabriella!... -scettica... cattiva... -</p> - -<p> -— Baie... — rispondeva lei col suo spiccato -accento fiorentino, scrollando, le spalle opulente -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -e chinando il capo per osservare con gli occhi -miopi le cifre del tovagliolo; — baie, caro mio... — E -la signorina Alda daccapo a guardare fissamente, -lungamente, con una costanza e un -ardire quasi disperato, il cugino ufficiale. Baby, -trovandosi trascurato, la scotè violentemente per -un braccio, rovesciando nell’atto un bicchiere -di vino. -</p> - -<p> -— Ma quei bambini... sono d’un’indisciplinatezza... — cominciò -donna Laura, rivolta a sua -nuora, che fulminò con un’occhiata la governante, -la quale a sua volta, col viso di fuoco, -rimproverò in inglese il bambino. -</p> - -<p> -La governante era una ragazza florida e -bionda, nè brutta nè bella, impassibile e muta -sempre, persino negli occhi, che pareva non avessero -pensiero. Eppure il malestro di Baby -l’aveva richiamata alla realtà di lungi, oh di -lungi assai, dalle nebbie nordiche fra cui intravedeva -un ramo di pino inghirlandato di -lampioncini rossi, e molti visi noti e cari, e un -bisbiglio di voci, nel linguaggio della sua infanzia, -ripetere con un buon sorriso: <i>A happy -Christmas, my dear!</i> -</p> - -<p> -— Uh! se potessi andarmene prima di mezzanotte -senza che mamma se ne offendesse.... — pensava -il figlio giornalista, mettendo un -chicco di zucchero nella sua tazzina di caffè, in -aria meditabonda. -</p> - -<p> -— Come lo chiamate questo profumo? — grugnì -il generale, annusando l’aria verso la -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -vedova che lo guardò un momento senza rispondere -e poi disse: — Eliotropio! — voltandosi -ad ammonire il suo turbolento compagno -che le bisbigliava qualche cosa all’orecchio. -</p> - -<p> -— Non sarà sempre Natale... — rifletteva -fra sè per consolarsi, Alda, col cuore stretto da -uno sconforto senza fine. Poi pensava che passato -Natale anche lui se ne sarebbe andato, e -il buio e il silenzio avrebbero soffocato il suo -bel sogno. Allora si contentava di soffrire. -</p> - -<p> -Mentre donna Laura dava dei consigli a sua -nuora sul mezzo migliore per conservar fragrante -il thè, il generale aveva trovato modo d’attaccare -col conte Silvestri il suo discorso favorito: -</p> - -<p> -— Un natale senza neve! ma che vuoi? non -mi pare neanche Natale... Ci vuol la neve alta -mezzo metro... allora si gode il ceppo. Mi ricordo -che nel sessantadue... Ma a proposito. — ripigliò -come chi non vuol differire una questione -importante, — a proposito, Laura, chi sta -di guardia stanotte al ceppo? hai stabilito? -</p> - -<p> -— Ma chi vorrà! — rispose donna Laura -un po’ seccata d’essere interrotta nei suoi ammaestramenti -domestici; e se nessuno vorrà, -il servitore.... -</p> - -<p> -— Ci sto io! — vociò con energia l’ufficialetto -e, chi sà perchè? gli occhi gli brillarono -come se avesse trovato la soluzione di qualche -difficile problema. -</p> - -<p> -— Ebbene, ci starai tu, — replicò tranquilla -la padrona di casa, che riprese a sua nuora il -<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span> -discorso dianzi interrotto. Gli altri guardarono -tutti, discretamente meravigliati, dalla parte -dell’ufficiale: il giornalista ebbe un sorriso maligno -che trattenne subito. Alda impallidì. -</p> - -<p> -— Bravo, bravo, — approvò il generale. — Pare -che il ceppo di casa Arnaldi sia destinato -ad avere un servizio d’onore in tutte le regole. -Fino a tre anni fa non ho ceduto a nessuno -questo incarico... ed ora son contento che mi -sostituisca un altro figlio dell’esercito. Anche -l’anno scorso, mi pare... -</p> - -<p> -— No, l’anno scorso toccò a Silvestri; non -è vero, Silvestri? — chiese Marta, accendendo -la seconda sigaretta. -</p> - -<p> -— Chi? io? che cosa? — interrogò costui, -cadendo dalle nuvole. -</p> - -<p> -— Ma questi poeti! — esclamò allargando -le braccia il generale, sfiduciatamente. — Che -cosa maturavi, si può sapere? un sonetto o un’ode -barbara? -</p> - -<p> -— Un’elegìa, — mormorò quel monello di -Silvestri, scambiando sottocchi uno sguardo d’intelligenza -coll’Orco che sorrise. -</p> - -<p> -— Un elegìa?... — ripetè il generale che non -aveva capito niente, e tornò a centellinare il -suo caffè. -</p> - -<p> -La bella vedova pareva finalmente decisa a -finirla col suo vicino, discorreva con l’uno o -con l’altro animatamente: l’ufficialino intanto -fumava con un’aria ingiustificabilmente radiosa. -Gabriella parlava a donna Laura e alla brunetta -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -di un abito, con quel suo fare risoluto, quei movimenti -bruschi che facevano scricchiare il -suo corsetto attilato di seta. -</p> - -<p> -— È inutile; non mi va, non mi va... con un -personale come il mio, un colore simile... -</p> - -<p> -— <i>Fraise écrasée</i>... — disse in tono conciliativo -l’elegante brunetta, che negli atti misurati, -nella voce gentile, nella figura svelta dalle -molli curve, era tutta l’essenza della femminilità. -</p> - -<p> -— Ma convinciti, Gabriella, che non si può -lasciar pieni poteri alle sarte, — sentenziò donna -Laura, seguendo coll’occhio indagatore Alda -che, dopo averne chiesto il permesso, si era accostata -al caminetto. -</p> - -<p> -Un camino all’antica, di pietra, che dava -sempre un’impressione gelida con la sua impellicciatura -di marmo bianco che non si riscaldava -mai. Il ceppo fiammeggiava e crepitava -gaiamente. Alda, col visetto serio, lumeggiato -dai riflessi rossi, osservava gli ondeggiamenti -leggieri delle vampe sul fondo fuligginoso. -Presto donna Laura si alzò e gli altri la -imitarono. Vennero tutti intorno al fuoco, meno -il generale che sonnecchiava col tovagliolo -al collo, dondolando il capo. -</p> - -<p> -— Ora si farà il <i>grand bézigue</i>, e alle undici -il <i>thè</i>, — annunziò donna Laura, mentre la governante -si ritirava coi bambini. E il giornalista, -che aveva azzardato una sbirciatina all’orologio, -se lo lasciò quasi sfuggir di mano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -</p> - -<p> -— Uff quella cambiale! che incubo... — pensava -intanto Silvestri, ricaduto nelle sue meditazioni. — E -Wera che si ostinava ad aspettarmi... -Certo non la passerò liscia... Maledetto -pranzo...! -</p> - -<p> -— .... Eppure in queste circostanze fa piacere -offrire una famiglia a chi non l’ha, — osservò -soddisfatta la padrona di casa, parlando di Silvestri -con sua cugina. — La riconoscenza rassoda -l’amicizia.... -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -La sala da pranzo era deserta da più di -un’ora. Suonò il tocco. L’ufficiale aveva abbassato -il gas e si era adagiato nella poltrona -dello zio accanto al camino. Lo confortava la -compagnia di qualche eccellente bottiglia e di -un’appetitosa cenetta, messa là dal generale per -alimentare la sua veglia. Nella penombra, con -la gran tavola coperta dell’oscuro tappeto, la -stanza appariva più vasta e più triste: il ceppo -scoppiettava languidamente, proiettando bagliori -purpurei e oscillanti sulle gambe di una sedia -poco discosta e sul lembo cenerognolo dei calzoni -dell’ufficiale. Le tende degli usci e delle -finestre, tutte abbassate, ricascavano in fitte pieghe -mantenendo un gradito tepore e il gran -silenzio della casa addormentata. Il giovine, affondato -nell’ampia poltrona che aveva la spalliera -contro la porta, era pallido e nervoso, e -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -pareva rimuginare un pensiero con ostinata intensità, -mentre fissava, senza vederle, le maioliche -biancheggianti in una rastrelliera che occupava -tutta la parete di contro. -</p> - -<p> -Rimase così a lungo, trasalendo però ad ogni -menomo rumore, andando perfino a sollevare -adagio la portiera dell’uscio di anticamera.... -Si avrebbe scommesso che aspettava qualcuno. -</p> - -<p> -— Grullo a chi ci crede, — concluse poi -dopo un ultimo giro di ricognizione, ricascando -nella poltrona; e con un breve gesto dispettoso -strappò una nappina. -</p> - -<p> -In quel punto avvertì dietro di se un lieve -fruscio e un sottile profumo di Eliotropio... -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -</p> - -<h2 id="bambini">Il poema dei bambini</h2> -</div> - -<h3>FANTASIA.</h3> - -<p> -Il libro è aperto e attende. Un gran libro -niveo dalle pagine orlate di raggi. Ma chi lo -scriverà il poema immacolato? Qual mano sarà -così lieve e qual fantasia così alata per fissarlo -in tutta la sua indeterminatezza misteriosa e -divina?... La mano di un angelo, forse, e la -fantasia d’una fata; le due figure vaporose fra -cui si snoda l’innocente spira delle piccole -anime che ingentiliscono il mondo. L’angelo, -che veglia alto e fulgente a capo d’ogni culla, -come sulla prora della navicella dantesca, potrebbe -cantarci, forse, dei paesi dove vagano -gli spiriti dei bambini addormentati sotto le -cupole di trina o sotto gli scialli sdrusciti; ci -dipingerebbe il paradiso che sognano, pieno di -testine alate e di bambini morti che hanno -portato fra le nuvole le loro bambole e i loro -burattini, e danzano intorno ad un eterno Albero -di Natale, e giocano con un Dio bambino -come loro. Potrebbe rivelarci che cosa pensano -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -quando esultano ad uno splendore o piangono -ad una musica; quando rimangono assorti -nella contemplazione d’un fiore e d’un viso; -che avvertimenti ci danno quando la loro piccola -mano ci avvince e ci trae; quando ci domandano -una carezza e ci negano un bacio. -L’angelo, forse, ci direbbe chi insegna loro a -consolar così bene senza parlare, a persuadere, -a riunire, a redimere, solo con la freschezza -delle loro bocche, con l’espressione inconscia -del loro sguardo, col profumo de’ loro riccioli, -con la pace del loro respiro. Ci direbbe, l’angelo, -come sanno certe parole così efficaci, così -immaginose, così solenni, così tremende... ci -narrerebbe le tristezze dei piccoli infermi, le -malinconie degli abbandonati, le tentazioni dei -vagabondi, gli odî degli oppressi, i rancori dei -posposti: tutte le loro lotte, le loro vittorie, i -loro martirii, i loro spaventi, i loro dolori, i -loro palpiti, tutta la loro vita intima così pura, -così vergine, su cui aleggia ancora l’alito di -Dio! la loro vita che qualche volta non è che -una breve sosta fra due voli — e l’angelo -dalle grandi ali lo sa, egli che veglia sulle -culle ridenti, sulle bare ornate come trionfi, -sulle tombe infiorate e incise di nomi brevi -che non hanno passato. -</p> - -<p> -E la fata, la bella fata dall’abito di broccato -e dalla corona di regina verso cui salgono -le invocazioni, i sospiri, i desiderî di tutta l’umanità -minuscola che s’agita nei palazzi e nei -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -tugurî, sa bene, lei, gl’ideali infantili! A lei, -la loro Musa, i bambini confidano i sogni di gloria -e di felicità; lei aspettano centinaia e centinaia -di scarpette fra gli alari di bronzo dorato, -sotto le cappe gigantesche dei vecchi -camini, nel povero focolare, accanto agli sportelli -delle stufe, vicino alle bocche dei caloriferi, -ad ogni varco del labirinto buio e misterioso -e fantastico per cui sanno che Ella peregrina -la notte dell’Epifania. Lei sperano i -piccoli cenciosi rannicchiati, intirizziti e digiuni; -i duchini, che hanno sorpresa la mamma -a piangere fra i cuscini di raso; le bambine -timide e sensibili, che si nascondono per pregare -ginocchioni e affratellano la sua immagine -all’immagine di Maria. La bella fata potrebbe -ridirci gli sgomenti paurosi, i terrori di tante -testine cacciate sotto le coltri per non veder -giganteggiare l’Orco o il Lupo Manaro nell’ombra; -i desiderî fervidi di galoppare sui cavalli -di legno verso le plaghe incantate dai castelli -di diamante e dalle arancie d’oro, le visioni -di paesi della cuccagna, dalle case di confetti -e dai mobili di cioccolata, dove i bambini non -studiano, dove le mamme non sgridano; dove -Cappuccetto rosso, Puccettino, Cenerentola, la -Bella, si rincorrono in un gran prato fra tutti -i giocattoli del mondo. E additandoci il -suo gaio corteggio di gnomi, di burattini, di -spauracchi, di falconieri, di geni, ci spiegherebbe, -lei, perchè i bambini sono così adorabilmente -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -grotteschi qualche volta, così comici, -così iperbolici, così eleganti, così sovrumani. -Ci direbbe, lei, il segreto della fantasia infantile, -ingegnosa, gentile, che alimenta qualche -volta il primo germoglio d’un fiore divino. -</p> - -<p> -All’angelo e alla fata dunque, ad essi che -sanno, il tracciare l’immacolato poema. E nei -margini alluminati con le sfumature più ridenti, -con le luminosità più gioconde, le figurine infantili -lo ravviveranno. Tutti i bambini: dalle -testoline idealmente bionde dei <i>baby</i> nordici, -ai musetti sudici degli spazzacamini, dai piccoli -chinesi tutti goffaggine, giù giù sino ai -corpicini agili e nudi dei bronzei marmocchi -africani; tutti i bambini, di tutte le classi, -di tutte le età, di tutti i tipi, di tutti i paesi: -una fantasmagoria, una piccola moltitudine varia, -innocente, primaverile. -</p> - -<p> -E sera e mattina, dal poema immacolato fra -la vivente ghirlanda, s’effonderà un effluvio -refrigerante, poichè le piccole anime si schiudono -nei crepuscoli, e gli affetti e le preghiere -evaporano sino al cielo, avvolgendo il mondo -d’un incenso ideale, purificatore; significante -agli scettici, ai dolenti, che sulla terra c’è ancora -qualche cosa di puro, di bello, di vero, -poichè ci sono loro... -</p> - -<p class="indl"> -<i>Natale 1891.</i> -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -</p> - -<h2 id="treccia">Treccia bionda.</h2> -</div> - -<p> -Max, il giovane compositore di musica, finiva -d’abbottonarsi l’abito, ritto dinanzi al grande -specchio nel tepore, nella luce blanda, -nel disordine della sua elegante camera di scapolo. -Voleva esser calmo, ma le mani avevano -movimenti bruscamente nervosi; ma sul viso -pallido e serio si diffondeva un’ombra cupa, -forse il riflesso di un’interna lotta. Nient’altro -che un’ombra; eppure era già troppo per lui -giovane e ardente di passione per la donna che -lo aspettava ad un convegno d’amore.... Quell’ombra -pareva un tedio ed era rimorso; giacchè -egli non era un seduttore volgare, e gli si -affacciava spesso in tutta la sua reale crudezza -il pensiero tormentoso di tradire quell’uomo... -il compagno della sua giovinezza, dei suoi studi, -delle sue speranze, dei suoi disinganni: l’uomo -generoso che lottava con lui e per lui, per -assicurargli i trionfi, l’avvenire, la gloria, nella -carriera difficile e ardimentosa; l’amico che lo -aveva sempre consolato e moderato, con la calma -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -benevola di un padre amoroso, negli scoraggiamenti -o nelle ebbrezze della sua impetuosa -natura. Max doveva tanto a quell’uomo -e lo tradiva; gli doveva la rigogliosa vitalità -dell’ingegno che lo rendeva ricco e felice, e gli -toglieva la sua ricchezza, la sua felicità. Quando -gli si figgeva questo pensiero nel cervello -Max si sentiva vile e miserabile; ma il dualismo -gli tumultuava nel cuore, ed era una -strana passione quella che gli paralizzava l’anima -e gli accendeva i sensi, prestandogli -mansuetudini e timidezze di fanciullo, ribellioni -titaniche, gelosie feroci. Inoltre con tutta -la sua fervida fantasia d’artista, continuamente -eccitata dalla creazione musicale, credeva al -fato, al fato dell’arabo, al fato del medioevo, -e vi si abbandonava, e si saturava di quelle -teorìe che lo spogliavano d’ogni responsabilità, -che gli facevano compiere gli atti più importanti -della sua vita dietro una causa futile e -comune per ogni altro, ma in cui egli vedeva -maravigliose predestinazioni. Se qualche ostacolo -gli avesse attraversata dapprima quella via -d’amore così facile, e così piana, forse la sua -esagerata dignità sarebbe rimasta spaurita dalle -finzioni volgari, e quel suo misticismo superstizioso -lo avrebbe fatto trionfare nella lotta. -Ma pareva invece che un destino dolce e tremendo -avvincesse la sua alla vita di Giselda -con un delizioso laberinto di fila segrete che -si serravano ogni giorno di più. Nulla gliela -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -contendeva oramai: nè la vigilanza del marito -assurdamente fiducioso, nè apparente scrupolo -in lei addormentata in un fascino profondo, nè -circostanze difficili, nè contrattempi, nulla; Giselda -era sua, egli lo sapeva. Vinta dal suo -sguardo, dalla sua voce, dalle sue melodie, ella -non si difendeva, non tergiversava, non lottava: -si abbandonava anche lei a occhi chiusi, -incrociando le braccia, alla corrente fatale. Non -sapeva che tremare e impallidire; come la prima -volta sulla terrazza deserta, quando gli abbandonò -le mani e il capo sul petto, — nell’aria -molle, nel profumo, nell’incanto di quella -notte di primavera... Guardò l’orologio. Ancora -un’ora, un’eternità.... Si buttò sul divano facendosi -vento col fazzoletto, poi terse qualche -stilla di sudore sulle tempie. E s’ella si -fosse scossa infine? se le voci della dignità e -del dovere l’avessero svegliata dal sogno oblioso -e fiorito? se fosse partita come minacciava, -come implorava, quasi, dalla sua stessa volontà? -</p> - -<p> -S’alzò, si mise a passeggiare per la camera -intorno ai mobili artistici di un gusto severo, -passandosi le mani sugli occhi, ricacciandosi -indietro i capelli convulsamente: il tappeto ammorzava -i suoi passi; pareva un’ombra errante -con l’alta statura, il viso smorto, l’abito nero. -Passò davanti al balcone che si schiudeva sul Canal -grande, ed ebbe appena uno sguardo indifferente, -lui artista ed entusiasta della sua Venezia, -per la lunga schiera incantata dei palazzi -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -dirimpetto, sorgenti fra l’acqua e il cielo -nel vasto silenzio e nella placida luce d’opale -e di madreperla che solo i crepuscoli veneziani -hanno. — «È meglio che mi levi di qui, — concluse; — almeno -mi toglierò dall’inferno dell’attesa -in questa solitudine...». — E s’avviò a -pigliare i guanti sulla mensola, nell’angolo, -ingombra di cofanetti e di gingilli: poi con lo -sguardo vago, la mente assorta negli occhi neri, -nel profumo, nel fascino di lei, pigiò macchinalmente -il dito sulla molla di uno fra quei -piccoli scrigni, lo aperse, vi cacciò la mano sbadatamente.... -ma la ritrasse tosto con un brivido -che lo agghiacciò, anima e corpo. Invece -della liscia ed unita superficie del guanto, aveva -sentito sotto le sue dita delle filamenta morbide -e sottili come d’una matassa di seta. -</p> - -<p> -— Ah, che sacrilegio! — esclamò con vero ribrezzo; -poi tentò di superarsi e volle richiudere -il cofano frettolosamente. Ma la treccia -bionda della morta ricascava fuori dallo scrigno, -sollevando il coperchio, ricusando di togliersi -alla sua vista, di rientrare nella sua -tomba — imponendosi.... -</p> - -<p> -Max era rimasto immobile, con gli occhi -fissi, la fantasia, sàtura di fatalismo, paurosamente -colpita. Per la prima volta gli accadeva -di aprire storditamente quel reliquiario che conteneva -la memoria più soave, più mesta, più -santa della sua vita; memoria da lui custodita -con tutta la venerazione segreta di cui era capace -<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span> -la sua natura dolorosamente sensibile e -trascendentale. Povera Maria! che profanazione! -Egli s’assise là, nell’ombra di quel cantuccio -sommerso nel crepuscolo, levò adagio, con -le mani un po’ tremanti, la lunga treccia voluminosa -a cui era avvinto strettamente un piccolo -gruppo di seccume — fiori in un tempo -lontano — e la lunga treccia gli scivolò sulle -ginocchia in un molle abbandono di cosa morta, -spiccando opacamente bionda sull’abito nero. -</p> - -<p> -Intanto, all’aprirsi del breve reliquiario, usciva -lo sciame dei ricordi, e la memoria evocava -fedele l’immagine della giovinetta: la delineava, -come sempre, bianca, mite, gentile, sul -balconcino gotico del vecchio palazzo tetro; -nella gondola nera e slanciata fra la luminosità -della laguna rispecchiantesi nei grandi occhi sereni -di lei in tutte le sue misteriose e profonde -trasparenze; nella vasta piazza marmorea sotto -un cielo di cobalto, innanzi a San Marco scintillante -di colori e d’oro, come un gioiello, nella -calda fulgidezza del sole meridiano; mentre una -frotta di colombi scendeva serrata, attorniava -lei, bionda e ridente, poi si levava a volo sparpagliandosi -con un brusco frullo d’ala. Rivedeva -la sua fanciulla passare nelle tortuose, umide -calli, benefica e soave come una buona fata; -la rivedeva scendere e salire i ponti, lesta, leggiera, -colla testa alta, il viso colorito, inebriata -di gioventù, d’aria, di luce; la ritrovava prostrata -sotto il lumicino rosso di una lampada -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -moresca che faceva rilucere i mosaici nell’ombra -della cattedrale bizantina; la ripensava -come una sera estiva, ai Giardini, nel bianco -lume lunare, appoggiata alla balaustra di marmo -sulla laguna che si stendeva luccicante di -riflessi d’acciaio; ricordava il lungo silenzio e -il turbamento che li aveva colti all’improvviso -in quella gran pace; ricordava il movimento -quasi inconscio della manina sottile che sfogliava -un fiore: persino le piccole fosforescenze -dell’anellino di brillanti ricordava; e sopratutto -di non averla veduta mai tanto idealmente -bella come in quella sera, tutta irraggiata come -una candida parvenza che dovesse svanire nelle -ombre del Giardino, o nella serenità fredda del -vasto plenilunio. -</p> - -<p> -Erano cresciuti assieme; si volevano bene -come fratello e sorella; si vedevano tutti i -giorni, a tutte le ore. Max non trovava ricordo -dolce o triste della sua prima giovinezza che -non fosse confuso alle risatine fresche, allo -sguardo sereno, alle lagrime silenti, alla voce -soave di Maria. Quante volte ella aveva spianato -con le bianche dita una ruga precoce del -volto, dileguato con gli occhi azzurri una -nebbia uggiosa dal cuore del suo compagno! -Quanti consigli miti, quante parole ragionevoli, -quanta logica semplice adoperava per -persuaderlo, per frenarlo, per animarlo, per fargli -mutare un cattivo proposito di svogliatezza -o di vendetta! Ed era cosa rara la sconfitta di -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -Maria, giacchè anche lui allora era giovane, -buono, impressionabile, pieno di entusiasmi e -di fede. — Povera fanciulla! Come era leggiadra -quell’ultima sera al suo primo ballo! come -era lieta, spensierata e bella nell’abito bianco -vaporoso, senza gioielli e senza fiori, lei, fiore -e gioiello vivente con la carnagione d’una freschezza -rosea e vellutata di petalo, le lunghe -treccie di fili d’oro! Max ritrovava il fremito -di delizioso sgomento che lo aveva assalito -quella sera al contatto delle morbide treccie -voluminose, quando volle puntarle un mazzolino -in testa, proprio fra le ondulature delle -trecce di fili d’oro. Rammentava il loro respiro -ancora ansante dopo quel valtzer vertiginoso, -il viso acceso, l’espressione ingenuamente maliziosa -degli occhi color del mare, i movimenti -della testolina irrequieta di Maria che si divertiva -della goffaggine di lui, delle sue mani -tremanti, del suo riso imbarazzato e nervoso. -«Ora sei proprio bella!» le aveva detto -poi, ed ella si era ammirata ad uno specchio, -mormorando scherzosa: «Ebbene non lo leverò -più!» E non lo aveva più levato, povera -bambina! Si era ammalata l’indomani e la -morte l’aveva portata via col mazzolino nelle -treccie bionde... Ed ecco finalmente la tetra, la -mestissima, l’incancellabile visione... il lettino -bianco nella camera a colori ridenti, dove egli -entrava per la prima volta e perchè ella moriva. -Ecco il volto affilato, livido, in cui parevano -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -sinistramente belli gli occhi color del -mare; il sorriso buono; le piccole mani che -gli si allacciavano al collo, la voce soave, -fioca, all’orecchio: «Max, ho ancora il tuo -mazzolino nelle treccie, vedi?... Quando non ci -sarò più, riprendilo... ma pigliati pure la treccia, -una delle mie treccie bionde che ti piacevano -tanto: così il mazzolino non ne verrà separato -e ti resterà qualchecosa di me...» Egli -adolescente, innamorato, con la testa piena -di romanticismo, nello strazio di quell’ora vagheggiò -il suicidio; ed ella lo stringeva più -forte con le piccole mani, persuadendolo, come -quando faceva desistere da un cattivo proposito -lo scolaro ribelle. «No, vivi, Max; vivi per i -tuoi genitori, per mia madre... per la tua bell’arte -vivi, lotta, studia, diventa artista, diventa -celebre.... ma non ti dimenticare....» Ed egli -aveva sentito sulle gote le lagrime di quella -povera giovinezza morente — la sua ultima -ribellione — il suo ultimo rimpianto alla vita. -</p> - -<p> -..... Una fredda esistenza, un’esistenza di -tumulti, un vuoto, un’aridità erano venuti -dopo la morte della sua fanciulla... Uno sfrondamento -di illusioni, di entusiasmi, di speranze... -Un brulicame di basse passioni, di piccole menzogne... -E quanto arrabattarsi per la felicità, per -l’amore, per la gloria, veduti sempre all’orizzonte -e sfumati sempre come splendidi miraggi! -Oh se Maria non fosse morta, sarebbe la -sua sposa, la sua difesa, il suo angelo custode, -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -la pace e il riposo dell’esistenza sua. Ma la -bionda visione era cancellata per sempre... Max, -in quel cantuccio sommerso nell’ombra, con lo -sguardo sulla treccia, viveva così nel passato -senza più nozione del tempo e della realtà.... -</p> - -<p> -..... — Signorino, non mi comanda di accendere -i lumi? — disse la voce tremula e discreta -del vecchio servo dalla soglia della camera -elegante. -</p> - -<p> -Max diede un balzo e guardò l’orologio. -L’ora del convegno era passata da quaranta minuti; -l’ora attesa febbrilmente e sognata ardentemente -aveva potuto dunque dileguarsi così? -Egli non battè ciglio, non si mosse, ma qualche -cosa moriva dentro di lui in tutti gli strazî -di un’agonia disperata e tremenda. «Tu non -lo vuoi, dunque, Maria; tu non lo vuoi! — » -ripeteva il suo pensiero fra il tumulto de’ suoi -sensi, fra quell’ultima lotta. E la bionda treccia, -nel suo abbandono molle, pareva rispondergli, -trattenendolo, tenue e possente come il braccio -di un bambino che gli si fosse addormentato -in grembo. Max chinò il capo come piegando -ad una forza superiore. Una lenta stanchezza -lo invase; uno scoramento, un languore -indicibili; un senso di debolezza, d’impotenza -a lottare col destino che gli si rivelava all’improvviso -tremendo; un desiderio latente -di finirla col dualismo che gli tendeva i nervi, -gli assopiva le facoltà della mente, gli velava -l’alta serenità fulgida dell’arte, in cui l’anima -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -sua era solita a librarsi, a spaziare, a cercare -le migliori compiacenze, le consolazioni più pure -e più efficaci della sua vita tempestosa. Poi -Maria era in lui; Maria, la bionda morta evocata: -ed il basso brulichio delle passioni e dei -desiderî sensuali non reggeva a quel confronto -e fuggiva e si sperdeva da tutti i lati come le -tenebre al raggio trionfale del sole. Le sue ebbrezze, -il suo amore, la sua dissimulazione, tutta -la miseria infine della sua condotta passata, lo -disgustarono, lo umiliarono, lo nausearono come -il ricordo d’un sogno oscenamente bugiardo.... -</p> - -<p> -Ebbene, no; non avrebbe da rimproverarsi -una simile viltà: la viltà di prendere una povera -donna debole e onesta; la viltà di tradire -l’uomo che lo aveva beneficato. No, non -avrebbe una macchia simile sulla sua coscienza -d’uomo leale, sulla sua vita elevata dall’arte. -Rialzò il capo alteramente, più calmo, poichè -la sua immaginosa e mistica natura era già allettata -dalla poesia del sacrifizio che gli aleggiava -nel cuore sperdendo i resti di quell’ardente -soffio di passione. -</p> - -<p> -Uscì sul balcone e rimase là finchè la notte -scese sul Canal Grande e nel cielo palpitarono -rilucenti le stelle. Nessun lume nelle enormi -masse nere dei palazzi dirimpetto; qualche -gondola appariva e spariva col rosso lumicino -riflettentesi in striscia purpurea, verticale e tremolante -nell’acqua bruna. Un bisbiglio di voci, -un tonfo di remo, un breve, mite sciaguattìo; -<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span> -poi il silenzio, ancora il silenzio delle notti -veneziane pieno di misteri, di dolcezze, di malinconie. -</p> - -<p> -Quando Max ebbe l’anima penetrata di quel -silenzio e di quell’incanto; quando ebbe ascoltato -tutto ciò che gli dicevano la notte stellata -e i ricordi già lontani del suo grande amore -domo dalla bionda morta innocente, passò nel -suo salotto di studio ornato di opere d’arte antica -e moderna, s’assise al pianoforte nascosto -da vecchi arazzi e suonò. Suonò l’intera notte, -nella sala semibuia, e cantò tutti i canti che gli -fluivano dal cuore. Fu in quella notte che cominciò -a comporre il capolavoro che gli diede -la rinomanza e la gloria. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -</p> - -<h2 id="senzap">Romanze senza parole</h2> -</div> - -<h3>I. -<span class="smaller">FUTURO</span></h3> - -<p> -..... Nel salotto non c’era nessuno. -Il salotto sontuoso, artisticamente ingombro, pareva -riposare nella penombra, avvolto nella sua -stessa morbidezza voluttuosa, infingarda, fatta -di cuscini, di tappeti, di panneggiamenti, fra -cui scendevano specchi, luccicavano trofei, si -disegnavano fogliami esotici e mobilucci, strani -come mostri, o severi, di classica antichità. Si -udiva scoppiettare nel camino la fiamma velata -fantasiosamente dal parafuoco di piccoli vetri -policromi, fatto d’un’invetriata di chiesa; da -ogni anfora, da ogni vaso, da ogni coppa, emergevano -mazzi enormi di fiori di serra, stretti -fra i cartocci di trina da un giardiniere sapiente; -sul divano largo, di damasco, giacevano astucci, -libri, cofanetti, gingilli, i doni di Capodanno -ancora a metà involti nella carta di -seta; dalla spalliera una magnifica sciarpa di -vecchia blonda ricascava flosciamente, e due -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -pantofoline minuscole di felpa avorio, ricamate -d’oro, posavano sul tappeto, tutte piene di viole -fresche: leggiadri cornucopia di felicità. Accanto -al fuoco, intorno ad una poltrona, un angolo -più abitato, una nicchia prediletta fra una -giardiniera tutta verde, un’alta arpa dorata, un -tavolinetto a due piani con su fotografie, un -portafogli di raso contenente un fazzoletto di -trina — la novità elegante — un volumetto di -versi intonso — un libriccino per gli appunti -dalle pagine candide, dalla copertina d’avorio, -sulla quale si delineavano luminosamente in -argento le cifre di quell’anno novello. Poi, nel -piano inferiore, una cestellina da lavoro piena -di colori ridenti e minuzzoli d’oro, bomboniere, -giocattoli, inezie. Tutto un sonnecchiare -infantilmente placido delle cose; un abbandono -vergine, fidente, pieno di freschezza; -un’ignoranza piena di pace. Ma accanto alla -finestra, su un cavalletto di pittore, una tela -bianca, vuota, e sulla scrivanìa molti foglietti -lucidi, bianchi, parevano minacciare muti, aspettando... -</p> - -<h3>II. -<span class="smaller">PRESENTE</span></h3> - -<p> -..... Ancora nessuno nel salotto. Ma -vaga tuttavia un profumo sottile, indefinibile, -fatto di tutte le essenze e di nessuna. Il fuoco è -spento, e dalla finestra spalancata il sole entra in -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -un’ondata d’oro, abbagliando mobili, stoffe, cose, -che rivivono folli e gioconde nella luce logorante. -Sulla lastra d’uno specchio sono state incise -due iniziali col diamante, e dalle anfore, dai -vasi, dalle coppe, tutt’una fioritura d’un sol -fiore: di rosa thea; una delle quali giace vizza -sul divano largo, di damasco, insieme a un piccolo -pettine di tartaruga ambrata. Accanto all’arpa, -un violino, e un foglio di musica: un -canto mesto, largo, ma d’una passione quasi -trionfale; accanto alla poltrona prediletta, sul -tavolino, non c’è più che una sola fotografia -in cui sorridono accostate due giovani teste: -l’una virile, bruna; bionda l’altra, e della -femminilità più soave. Fra il volumetto di versi -è rimasto dimenticato un fiore; dalla cestellina -esce un nastro azzurro in cui si sta ricamando -una data, un numero: prosa volgare o poesia -sublime; — nel libriccino di appunti si legge -un verso di De Musset scritto due volte da mano -diversa: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">«Comment vis-tu toi qui n’as pas d’amour?»</p> -</div></div> - -<p> -E la testa bruna, virile, si delinea sulla tela -del cavalletto, e sulla scrivanìa fra i foglietti -lucidi, bianchi, fa capolino una lettera di cui non -si leggono che due ultime parole: Ora e sempre. -</p> - -<p> -Tutt’un tripudio, un’ebbrezza delle cose -in quel lieve disordine, nell’onda di sole che -irrompe gloriosa, pennelleggiando, raddoppiando -la vita, consumando come una fiamma... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -</p> - -<h3>III. -<span class="smaller">PASSATO</span></h3> - -<p> -.... Il salotto è abbandonato, deserto. -Dalla finestra aperta il plenilunio piove raggi -nel buio come in una tomba violata; le cose -tutte paiono dormire il sonno eterno nell’ombra -densa intorno alle pareti, e rivivere in sogno -nell’irradiazione spettrale di quel rettangolo -di luce. Nei vasi, nelle anfore, nelle coppe, -appassiscono tristi e foschi i crisantemi; -dall’arpa alta, dorata, pendono rotte due corde, -sul tavolino la fotografia è rovesciata come -la pietra d’un altare distrutto da mano sacrilega; -il volumetto di versi trascina lacerato -a brani; la cestellina da lavoro è chiusa, negletta; -sull’ultima pagina del libriccino di appunti, -un altro verso di De Musset, vergato -con calligrafia femminile: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">.... «Elle songe une année a qui lui pense un jour.»</p> -</div></div> - -<p> -Sulla tela del cavalletto scende un velo di -crespo; sul divano largo, di damasco, un fazzoletto -di trina intriso di lagrime; sulla scrivanìa, -accanto ai pètali fossilizzati d’una rosa -thea, in un foglietto bianco, una sola parola: -</p> - -<p> -«Addio.» -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -</p> - -<h2 id="pasqua">Pasqua triste</h2> -</div> - -<p> -A destra del ponte che ricongiunge il -villaggio diviso dal piccolo fiume, sulla spianata -erbosa, dietro il circo in cui si accendevano -i primi lumi, era il carrettone dei saltimbanchi: -una minuscola casa mobile, verniciata -di rosso, con le persiane verdi alle finestrette -in cui non mancavano neppure le tendine di -trina. Veduta di fuori faceva quasi invidia. -Dentro era un laidume; cenci ammucchiati, -suppellettili sudicie, arnesi logori d’ogni genere, -qualche sedia sfondata. Era tutto. No... -c’era anche un saccone sul quale stava accoccolata -una donna a guardia d’un bambino lattante -addormentato, supino, fra uno scialle -scuro, con la faccetta terrea rivolta alla luce -del vespro che pioveva dalla angusta finestra -soprastante. -</p> - -<p> -Di là si udiva il brusìo continuo e confuso -della rustica folla sul piazzale, il vociare dei -venditori, delle risa, qualche fischio, qualche -suono rauco e stonato d’un gingillo infantile. -Tutta la manifestazione dell’ozio gaudente d’una -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -sera solenne aspettata un anno. Era Pasqua di -Resurrezione. -</p> - -<p> -La donna teneva il volto chino fra le mani -che alla luce incerta parevano bianche. Ascoltava -l’anima sua dolorare. -</p> - -<p> -Gemeva l’anima: — ... dodici anni... un -attimo, un secolo.... dodici anni che non respiro -quest’aria, che non vedo questo cielo, -che lasciai la mia casa fuggendo di notte, come -una ladra, con lui che mi aveva sconvolto -il sangue e la ragione... Un saltimbanco... quante -me ne dissero per dissuadermi, quante! «È -un demonio che ti tenta» diceva la nonna. -«È un Arcangelo,» rispondeva io. Era così -bello con quella maglia azzurra, luccicante, -che gli disegnava la persona agile e vigorosa, -con quella testa ricciuta, lo sguardo altero! Lo -chiamavano il <i>Principe</i>. Aveva una destrezza, -una forza, un coraggio... Gli altri uomini al -suo confronto mi parevano pigmei... Aveva un -certo modo di affisare che soggiogava... un modo -di pronunziare il mio nome, di dirmi che -ero bella, che m’illanguidiva di dolcezza... Non -potevo pensare che a lui, vivevo di lui... Egli -era padrone di tutta me stessa, mi aveva incantata. -Così, quando partirono dal paese e il -Principe mi disse «Vieni» io andai. Dodici -anni sono passati... Il babbo, la nonna, riposano -accanto alla mamma, laggiù.... sotto l’erba... i -miei fratelli si sono ammogliati lontano... hanno -venduto il podere e la casa... non resta più -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -nulla... perchè rimango io? Perchè non sono morta -prima di ricomparire come un’ombra fra queste -rovine?... Di qui so che si vede la finestra -della mia camera... Io non la guarderò, ma sento -che lei mi guarda... Ci sarà ancora il gelsomino -che la inghirlandava, o si sarà inaridito?... -Era là che ricamavo al mio telaio, là nel -vano di quella finestra... ricamavo sulla battista -per ore e ore... alla domenica leggevo, e ogni -tanto sentivo passare sulla mia testolina la -mano della nonna in una carezza frettolosa... -s’affaccendava sempre, lei... Verso sera m’appoggiavo -al davanzale senza far nulla: la luce -scemava, il sole andava sotto, rosso, dietro i -monti; io guardava i campi rigogliosi e tranquilli, -da cui saliva un senso di frescura, e coglievo -i gelsomini con la mente piena di fantasticherie... -Una sera, ricordo, passò un giovane -e raccolse una ciocca che mi era caduta; -io ne risi: la seconda sera egli ripassò, io -non risi più: la terza, invece, gli sorrisi e gli -buttai un’altra ciocca di gelsomini. Era un -giovane onesto, serio, intelligente e mi adorava; -la nonna era così contenta ed io felice... Poi -la fatalità mise sulla mia strada quell’uomo -che travolse tutto, come un turbine sradica e -schianta... Chi sa se Andrea vive, chi sa se vive fra -i vincitori o fra i vinti, chi sa se è qui... Dio, -se fosse qui e che volesse... Oh non mi riconoscerebbe -certo più. Eppure mi sarebbe dolce in ogni -modo riudire la sua voce, senza vederci, così, traverso -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -la parete, la sua voce insinuante e buona, -che mi ridonerebbe nella realtà un’ora del mio -passato. Vorrei che gli fosse rimasto di me -solamente un ricordo di pietà, come di una -morta che si è veduta lungamente soffrire. E -anche il giovane innamorato dovrebbe esser -morto; resterebbe l’amico per intendermi e compiangermi, -l’uomo ritemprato dalle lotte e dal -dolore. Io gli direi della mia immensa miseria -presente, dei rimorsi che mi mordono al cuore -appena oso rivolgere lo sguardo al passato, della -mia espiazione di dodici anni per un momento -di aberrazione; gli direi che ero pazza, e se -egli ha amato, certo sa di che si può esser capaci -quando l’ebbrezza d’una passione sconvolge -la mente... Eppure non oserei scolparmi, -fui un’indegna... Ma se ne ha versate, lui, delle -lagrime sul nostro amore spezzato, ne ho versate -tante anch’io, e giorno, e notte, e sempre, -sulle mie pazze illusioni dileguate, sulle mie -creature morte di fatiche e di stenti, sulla mia -logora esistenza che non ho coraggio di troncare!... -Ne ho versate di gelosia, d’umiliazione, -d’odio per quei miserabili istrioni che mi circondano; -d’impotenza per un amore che non -si spegne, che non mi strapperò dal cuore se -non con la vita... Ne ho versate tante!... Ora non -piango più... non ho pianto neanche stamattina -quando ho veduto di lungi il campanile del -mio paese... Sono muta, impietrita come una -statua, ma non divengo insensibile... È una tortura -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -di cui nessuno può immaginare la raffinatezza...» -</p> - -<p> -Un solenne e gioioso intervenir di campane -fra la gaiezza oramai monotona dei rumori, mise -in fuga da quell’anima indolorita gli amari -ricordi e le visioni gentili. Le mani ricascarono, -la donna rialzò il capo verso la finestrina -dirimpetto, che inquadrava un lembo di cielo -rosato ancora, la punta d’un pioppo e una -stella. Le vecchie campane esultavano tentando -di fondere la loro letizia bonaria e monacale -alla trivialità umana. Fu dapprima uno sbadato -preludio, poi un giocondo incalzare di -suoni, ripetuto, insistente, una gazzarra di tutte -le voci delle campane che parevano rifarsi -delle ore di raccoglimento. Erano sempre le -stesse, le loquaci e sapienti campane! quelle -che la voce già tremula della nonna seguiva -canterellando per rallegrare loro bambini, nelle -lunghe e placide domeniche, seduta nell’orticello, -mentre il loro padre fumava nella pipa, -in silenzio, seduto un po’ più in là sulla sedia -alquanto arrovesciata all’indietro, contro il muro... -Di tutto, di tutto si ricordava; tutto si -svegliava nel suo cuore al cicaleccio pio che -riempiva le solitudini azzurre: e certi effetti -di luce su certe pareti, e l’odor dei fiori -che sfogliavano per le processioni; una coppia -di tortorelle, e un quadro antico della Vergine, -e delle ghirlande di crisantemi intrecciate -insieme alla nonna in qualche vespro -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -piovigginoso, già freddo... Ma sopratutto della -dolce Pasqua casalinga che lasciava nella umile, -queta dimora un cestellino di ova colorite -in rosso, un ramoscello d’olivo, e una -serenità più limpida, come dopo una buona -pioggia. Dalle finestre spalancate al nuovo sole -s’udivano le campane, così, nel pomeriggio, -mentre il babbo trinciava l’agnello per la sua -nidiata. Però le campane suonavano più raccolte, -più gravi, allora; che si fossero dimenticate -di suonare così?... -</p> - -<p> -Ah no, eccolo, eccolo! Le campane infine scioglievano -il classico doppio, il saluto di più solenne -esultanza, l’onore magno, reso alla giornata -regale che dileguava dopo aver dato il -segnale della resurrezione, lasciando sulle sue -traccie la primavera. -</p> - -<p> -E la dolce pasqua casalinga, la pasqua che -rinnovella i cuori come i giardini, la pasqua -dell’olivo e dell’acqua lustrale e del perdono, -passava memore e intangibile e vana su quell’anima -sola, nell’ultimo e largo saluto di gloria -che si effondeva dall’austerità del rustico -campanile. Ma salutari lagrime scorrevano... -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span> -</p> - -<h2 id="cenerentola">La scarpina di Cenerentola</h2> -</div> - -<p class="indr"> -— <i>Honny soit</i>... — -</p> - -<p> -All’udire suo marito che ordinava la carrozza -per mezzanotte, Mimì si rizzò un poco -dalla poltrona lunga dov’era stesa accanto al -caminetto, fra le pelliccie e i cuscini, freddolosamente. -</p> - -<p> -— Dunque ci vai proprio? — gli chiese, appena -scomparso il servo. Ed aveva la voce stonata -per la penosa emozione che le toglieva ogni -rimasuglio di speranza. -</p> - -<p> -— Ma sì, proprio, — rispose tranquillamente -il crudele, senza levar gli occhi dal giornale -scelto a caso fra quelli che ingombravano il tavolino. -</p> - -<p> -— E me lo dici così!?... — Mimì lo fissò ostinatamente -coi begli occhi larghi, infantili, -pieni di lacrime, stiracchiando nervosa una nappina -del guanciale di felpa in cui affondava le -spalle delicate. -</p> - -<p> -— Come dovrei dirtelo? Non lo sapevi già? -se ne è parlato fin troppo.... e anche un po’ vivacemente, -<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span> -mi pare. C’è bisogno che ti ripeta, -tesoro, che nelle piccole, come nelle grandi cose, -quando ho deciso, nessuno mi smuove dal -mio proposito? È una dote o un difetto essenziale -del mio carattere.... -</p> - -<p> -La piccola Mimì sentì salirsi alle labbra una -ressa di parole amare e sprezzanti, ma non ne -lasciò uscire neanche una. Si contentò di coprirsi -gli occhi con la mano. Dunque tutta la -sua fine diplomazia femminile, di cui aveva fatto -spreco quella sera per trattenerlo, era stata inutile! -Dunque le sue carezze, le sue ingenue -civetterie, i suoi immaginosi pretesti, i discorsi -piacevoli, i frizzi arguti, le discussioni sull’arte, -sostenute con tanto stento per un unico fine, -tutto era stato vano; tutto dileguava innanzi -alla fermezza incrollabile di quell’uomo che aveva -fissato di darle un dispiacere, che temeva -di perdere un briciolo della sua autorità facendole -il sacrifizio di una sera di carnevale, -mostrandosi compiacente almeno una volta con -lei, povera donnina debole e amorosa, che non -aveva da rimproverarsi se non di amarlo sempre -come nel giorno delle loro nozze...! Era una -crudeltà, una durezza, una barbarie inaudita! -Tutta la sua anima semplice e buona si ribellava, -riboccante di amarezza e di sconforto. -Frattanto la piccola mano tornita che nascondeva -gli occhi tremava, la testa e le spalle avevano -lievi guizzi convulsi, le lagrime cascavano silenti -una dopo l’altra fra i cuscini e le pelliccie. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -</p> - -<p> -Egli la osservava ogni tanto, levando gli occhi -dal giornale, con un misto d’inquietudine -e di noia; la osservava brevemente, lisciandosi -la barba bionda e fluente, nascondendo -qualche impertinente sbadiglio. Gli dispiaceva -un poco di vederla piangere, povera piccina. -Una vera bimba, Mimì, piccola, mingherlina, -rosea, ricciuta e... irragionevole. Non si ritrovava -la donna che nelle movenze aggraziate, in -qualche intonazione di voce triste e dolce, in -qualche lampo dello sguardo. Egli l’aveva amata -così, la amava tuttora; ma a modo suo: -senza sacrificarle nessuna delle sue tendenze, -delle sue abitudini, non curandosi di approvarla -o di disapprovarla, di pensare un momento se -ciò ch’ella gli chiedeva fosse giusto o meno. -L’amava come una cosina leggiadra e fragile; -sorrideva dei suoi entusiasmi, delle sue esultanze, -delle sue allegrie chiassose; le donava -un gingillo quando la vedeva triste; la ammoniva -freddamente delle sue inesperienze, severamente -de’ suoi capricci, come questo, per -esempio, di scongiurarlo a rinunziare al veglione. -Silvio continuava a difendersi fra sè; a -pensare che non doveva lasciarsi imporre; che -se avesse ceduto una volta era finita: Mimì ne -approfitterebbe subito per ritentare la prova -fin che sarebbe diventata la sua tiranna. Le -donne sono così invadenti! Si provi a conceder -loro un palmo di terreno, esigono dei chilometri! -Precisamente come quell’astuto dio della -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -mitologia indiana, che si rimpicciolì per ottenere -tre passi di regno; poi, a grazia fatta, divenne -così smisurato che in tre passi abbracciò -terra e cielo e inferno.... Uh, niente, niente: -aveva fatto benissimo a mostrarsi incrollabile -anche per una cosa che a lui non importava -affatto. Anzi, siccome ella piangeva, ora, col -fazzoletto agli occhi e pareva far pompa delle -sue lagrime, Silvio si alzò per andarsene. Non -che temesse d’essere intenerito da quelle lagrime, -oh no; Silvio era un uomo forte; voleva -solamente levarsi da quella posizione ridicola -e imbarazzante. Però non volendo neanche -parere un tiranno le si avvicinò e scherzosamente -le prese i polsi per forzarla a scoprire -il viso; ma Mimì lo respinse sdegnosa, singhiozzando -addirittura. -</p> - -<p> -— Perchè non vieni anche tu? — disse allora -lui in fretta, a scanso di rimorsi. -</p> - -<p> -Inutile: Mimì scrollò le spalle e gli gridò -dietro con la voce piena di stizza e di lagrime: -</p> - -<p> -— Dimentica d’avere una moglie stasera... -è il meglio che tu possa fare... -</p> - -<p> -Silvio richiuse l’uscio dietro di sè con bel -garbo; poichè non era neppure un villano. Ma -Mimì avrebbe preferito una sfuriata a quella -superiorità noncurante che la umiliava e la desolava. -Doveva essere trattata proprio sempre -come una bimba? come un piccolo essere inconcludente -la cui volontà non merita neanche -dr essere discussa? come una scema? Che tristezza! -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -che infamia! Si strinse la testa, tutta -a riccioli brevi e scomposti, fra i cuscini soffici, -nel silenzio vuoto che era rimasto dopo il tenue -colpo dell’uscio che si richiudeva; un -silenzio vuoto, freddo, indifferente, malinconico, -in cui le si addentrava di più quella spina nel -cuore. -</p> - -<p> -«Perchè non vieni?» le aveva chiesto -Silvio. Ma perchè non dirglielo prima? E perchè -ripeterle invece tutta la giornata che le -signore per bene non vanno al veglione? Certo -era per questo che Silvio ci teneva tanto!... Ah, -povera Mimì! -</p> - -<p> -Anche i gingilli e i mobilucci, che conoscevano -le sue manine sapienti e lievi, parevano -compiangerla e avvilupparla d’un’intima tenerezza, -nella luce tranquilla della lampada dal -paralume color di rosa. Ma ella con gli occhi -foschi, rigida, covava il suo rancore. -</p> - -<p> -Ah se avesse osato!... Nei romanzi e nelle -novelle si trovano le mogli che sguizzano al -veglione per sorprendere i mariti infedeli; ma -nella vita è un altro paio di maniche. Come -procurarsi un abito e un cavaliere a quell’ora?... -E il coraggio per pigliare una risoluzione così -ardita?.... -</p> - -<p> -Pure, che sollievo, che acre voluttà misurare -l’estensione della propria sciagura e drizzarsi -davanti all’indegno come una apparizione di -dolore, e atterrirlo, e annientarlo, e svergognarlo, -e lapidarlo di rimproveri, e ridurlo nell’incapacità -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -di scolparsi e di difendersi, e vederlo -rodersi di rabbia e... di rimorso! Invece, nulla! -Conveniva invece che lei si rodesse d’impotenza -e di dubbio, accanto al fuoco, sola, come una -Cenerentola.... -</p> - -<p> -.... Belle fantasie gemmate, colorite e luminose -affollate di fate e di principi! Fosse venuta -anche da lei la fata-madrina a farle una -carrozza dorata di una zucca, e sei cavalli grigio-rasati -di sei topi, e due paggi di due lucertoline; -a renderla incognita e splendida! Come -l’avrebbe ringraziata la piccola Mimì!.... -</p> - -<p> -Ma la fata non veniva, ed ella rimaneva accanto -al fuoco, dolente; e si sentiva ben più -mesta e povera della bella ignorante fanciulla -che rigovernava le stoviglie fra la cenere del -focolare: più mesta e più misera di Cenerentola, -malgrado le pelliccie, e i cuscini di seta, e gli -orecchini di brillanti; poichè il suo Principe -innamorato le era appena apparso che lo perdeva -per sempre. -</p> - -<p> -Pensando così alla fiaba, Mimì si guardava -malinconicamente i piedini giacenti fra le pelliccie -della poltrona lunga, i piedini arcuati, -sottili, minuscoli nelle calze di seta nera e così -ben calzati dalle scarpette scollate a fibbia severa: -stile Luigi XVI. Erano il suo vanto quei -piccoli piedi che avevano una tradizione gloriosa -d’ammirazioni, d’invidie, e di.... baci, un -tempo! Ma quel tempo era passato, era già lontano, -svaniva già nella nebulosa dei ricordi. E -<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span> -dire che era appena scoccato il primo anniversario -delle loro nozze! Che sgomento! -</p> - -<p> -Intanto per le contrazioni nervose dei piedini -mèmori, una scarpa elegante era sfuggita -sul tappeto del pavimento. Mimì la guardò appena, -così affranta come era, e immerse il piede -libero fra la folta pelliccia, asciugandosi per -l’ultima volta gli occhi col fazzoletto ch’era -divenuto una spugna. Non li poteva tener più -aperti gli occhi; le bruciavano tanto! aveva -tanto pianto! Anche la testa ora le ardeva e -le doleva un poco, e tutti i suoi nervi, a lungo -tesi ed eccitati, si rilasciavano gradatamente, -abbandonandola ad una prostrazione quasi dolce. -Si aggiustò meglio fra i cuscini di felpa con -un movimento amoroso e inconsciamente civettuolo, -un movimento di micio o di bimbo -che vuol essere carezzato. Anche lei pareva domandare -una carezza a quei cuscini morbidi e -un rifugio a quel tepore molle di nido. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Come le era venuto tutto il coraggio per la -grande impresa?.... Dove aveva trovato quell’ampio -domino nero, che la nascondeva così -bene? E chi l’accompagnava?... Se ne ricordava -forse, Mimì? Poteva pensarci nello strazio in -cui si dibatteva l’anima sua in quell’orribile -notte infernale? Che confusione, che caldo, che -frastuono, che volgarità! quel caos di gente e -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -di colori, che le si stringeva addosso soffocando -la sua personcina, la spauriva; quella ridda -vorticosa, urlante, le dava vertigini dolorose. -Serrandosi al suo compagno per sottrarsi agli -urti, agli scherzi, alle mani di quella folla ubriaca, -non distoglieva lo sguardo da un palco -dove suo marito, il suo Silvio, beveva sciampagna -accanto ad una procace «Follìa» dai -biondi capelli disciolti sulle spalle nude. Che -orrendo martirio!.... Aveva singhiozzato e riso -sotto la maschera, aveva invocato Dio, inveito... -ella, così mite e buona! E il suo strano compagno -rimaneva muto, impassibile, misterioso, -senza pensare a calmarla, a darle un po’ di -coraggio o di rassegnazione. Un contegno inesplicabile -che la esasperava di più.... -</p> - -<p> -.... Poi s’era messa a cercare quel palco affannosamente, -inutilmente; aveva errato lungo -i corridoi interminabili, involuti e semibui -come catacombe; aveva raccolto tutte le sue -forze per chiamarlo — una pazzia! — per gridare -quel nome, e nessun suono usciva dalle -sue labbra aride — una strana impotenza di -voce che la strozzava.... -</p> - -<p> -.... Ah, finalmente, eccolo! eccolo con lei, -l’indegno! lo spergiuro! Finalmente ella potè -sciogliere l’orribile groppo, sollevare il suo cuoricino -ferito con quel torrente caldo, vivo, abbondante, -inestinguibile, furioso, di parole amare -e ardenti che fluivano spontanee, alimentate -dalla disperazione e dall’amore. Ed ora -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -fuggire lontano, per sempre, non vederlo -mai più. -</p> - -<p> -.... Correva addirittura, trascinando il suo -muto cavaliere, lungo i corridoi, lungo le scale, -attraverso l’atrio, correva zoppicando poichè -aveva perso una scarpina.... Che freddo al piede.... -Ma che importa? L’essenziale era di fuggire, -di fuggire, di fuggire.... -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Silvio tornò a casa dopo un’ora. Gli era -bastato compier l’atto d’autorità libera e assoluta -presso sua moglie e sentirsi sempre capace -di quell’incrollabilità di propositi che era la -sua gloria. S’era molto seccato a quel veglione -più stupido degli altri; ed entrando nel salotto -gaio, luminoso e tranquillo, nel tepore dopo il -freddo aspro della via, provò una sensazione di -piacere, quasi di sollievo. Mimì dormiva nella -poltrona-lunga, fra le pelliccie, accanto al fuoco -quasi spento. Proprio come una bimba bizzosa! -La contemplò un poco alla luce mite della lampada -velata di rosa. Era pallida, scarmigliata; -aveva le palpebre livide e le sopracciglia ancora -lievemente aggrottate. Sul tappeto del pavimento -biancheggiava il fazzoletto di lei; Silvio -lo raccolse, era umido di lagrime. Intanto -vide anche una delle eleganti scarpette alla -Luigi XVI giacere abbandonata... Un vero campo -di battaglia. Qualche crisi nervosa, forse.... -<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span> -Sentì un tantino di rimorso... cioè rimorso, no, -non sarebbe il caso! dì rammarico, via; poichè -non era proprio un tiranno, sebbene quella -grullina con le sue scene tragiche tentasse di -farlo credere. -</p> - -<p> -Non l’aveva mai veduta così desolata... che -follìa!... Se avesse a soffrirne poi? Era così piccina, -così fragile... Le toccò il piedino scalzo; — lo -sentì di ghiaccio e lo ricoperse con un -lembo di pelliccia, accuratamente. Certo non -c’era un’altra donna al mondo con un paio di -piedini uguali... Quante dolci pazzie gli avevano -fatto commettere! Quella scarpetta pareva -quella d’una bimba, d’una fata, di Cenerentola; -proprio: la scarpina di Cenerentola. Invogliava -di empirla di confetti, di fiori, di baci... -</p> - -<p> -Mimì mormorava parole inintelligibili, si agitò -con inquietudine e finì per rizzarsi di scatto, -seduta, con gli occhi spalancati, non ancora -ben desta. -</p> - -<p> -— Sei tu, Silvio! — balbettò, poi, vedendogli -la sua scarpetta fra le mani, continuò smarrita: — Ma -dunque era vero... l’ho persa proprio -al veglione.... -</p> - -<p> -— Sì, — disse Silvio ridendo, indovinando. -Sei stata al veglione nella carrozza della fata -Mab.... -</p> - -<p> -E s’inginocchiò cavallerescamente a’ suoi piedi. -</p> - -<p> -— Ti ricordi la fiaba di Cenerentola? -</p> - -<p> -«.... La signorina dimenticò ciò che la madrina -le aveva raccomandato, di guisa che udì -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -battere il primo tocco di mezzanotte, quando -credeva che non fossero ancora le undici. -</p> - -<p> -«Si alzò e scappò via come una gazzella; -il principe la seguì e non potè raggiungerla, -ma essa lasciò cadere una scarpettina di vetro -che il principe innamorato raccolse e serbò. -</p> - -<p> -«Era una scarpina così piccola, — seguitò -Silvio quasi ridente, in un tono affettuosamente -tenero, — così microscopica, che non andava -bene a nessuna donna. Finalmente vennero a -provarla a Cenerentola che stava sola accanto -al fuoco.» -</p> - -<p> -Cenerentola-Mimì si prestava male a quel -gioco, così impermalita come era. Pure allungò -a Silvio il piccolo piede che aspettava d’essere -calzato. Ma il Principe-amante, questa volta, invece -di mettere una scarpetta tolse anche l’altra, -e in quell’attitudine d’amore e di penitenza -le coprì i piedini di baci. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -</p> - -<h2 id="parole">Romanze senza parole.</h2> -</div> - -<p class="indr"> -<i>List! Spirits speak!</i> -</p> - -<h3>I. -<span class="smaller"><span class="smcap">Mattutino.</span></span></h3> - -<p> -La camera è piccola, bianca, tutta bianca; -velata di bianco al letto, alle finestre socchiuse -da cui entra il pallore dell’alba. Pochi mobili, -fragili, leggieri, sgombri. Su una pelle d’ermellino -a piè del letto langue un mazzetto di viole; -nel letto riposa un piccolo essere: una bimba, -un fanciullo, una giovinetta: un viso roseo, -una testa bionda; l’espressione è cancellata -dall’abbandono del sonno, le palpebre velano -l’anima. Nell’angolo più oscuro qualche cosa di -massiccio, di cupo, di enorme si determina in -quella tenuità; qualche cosa che s’agita, che -vive in quel mistero blando. Sono due gattini -che ruzzano su un antico seggiolone di cuoio. -Due gattini color di nebbia, dagli occhi di turchese -che si provocano, s’assaliscono, si rincorrono, -si guatano con delle mosse inconsulte, -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -grottesche; ignoranti la loro stessa volontà; comici -nella leggiadra del nastro rosso troppo -largo di cui hanno ornato il collo e che all’uno -di essi è passato sotto il mento come una cravatta -in caricatura; piccoli e deboli nell’ampio -seggiolone austero che parla di forza e di grandezza. -</p> - -<p> -L’alba inoltra una luce incolore nella stanza; -quella giovinezza bionda respira placidamente, -ritmicamente nell’incoscienza della vita. -Uno dei gattini, nella vivacità irreflessiva delle -mosse, è caduto dentro una scarpetta abbandonata -ai piedi della poltrona e di là incrocia lo -sguardo con l’avversario, che sosta sul limite -del sedile guardando in giù con commiserazione -profonda. Gioco, riposo, raccoglimento, candore, -gracilità nella piccola stanza che pare -un’oasi d’avvenire, dove il passato veglia in -un canto, nell’ombra, solo come una sicurezza, -un augurio. -</p> - -<p> -L’aurora rosata è imminente nella camera -bianca, tutta bianca. Fuor dei vetri pispigliano -gli augelli su un ramo di mandorlo in fiore e -tintinna il mattutino. -</p> - -<p> -L’uno dei gattini mordicchia il nastro della -scarpetta con una specie di voluttà; l’altro è -sceso dal seggiolone, e coi movimenti snelli e -feroci di una giovane tigre, si balocca con le -viole morte fra l’ermellino.... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -</p> - -<h3>II. -<span class="smaller"><span class="smcap">Meriggio.</span></span></h3> - -<p> -Sulla stesa aromatica, molle, di fieno falciato, -la giovine sposa ha dimenticato o gettato -il suo ombrellino purpureo, tutto aperto come -un calice sotto il sollione, tutto fiammeggiante -come un’ara accesa. Una sciarpa di seta morbida -e profumata e un piccolo volume di versi -d’amore paiono ardere dentro l’ombrellino come -in olocausto, e nella breve ombra serica, al di -fuori, giacciono cuori dorati di margherite spirate -in un’ultima parola di passione. -</p> - -<p> -La giovine sposa non era sola. Una canna -d’èbano è confitta lì accanto, vigile e altera, simile -ad una piccola antenna; il manico d’argento -fino sfavilla al sole. Così il gentile trofeo -glorioso vive e s’infiamma nella calda luce meridiana, -mentre tutte le campane si ripetono festosamente -il saluto dell’ora feconda, mentre -l’animuccia fragrante di mille fiori falciati s’invola -dalle invisibili bocche moribonde nell’umido -tepore della terra, e più innanzi un campo -di grano, già raso e ancora biondo, sorregge -i fasci della pingue messe, e una nidiata novella -cinguetta fra i rami frondosi d’un olmo, e due -farfalle tardive, dalle tinte calde, si rincorrono -per distruggersi in un baleno d’amore. -</p> - -<p> -Poi, all’improvviso, una folata di vento del -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -Sud; una nube nera, la voce del tuono come un -comando del destino; ed ecco il libro svolgere -le pagine affannosamente e non quetarsi -che a un canto di morte; ecco la fragile antenna -oscillare, ecco la sciarpa candida sospinta -irreparabilmente verso una siepe di spine; ecco -una mandra di puledri inebriati, folli, passare -sul gentile trofeo, lacerando, schiantando. -</p> - -<h3>III. -<span class="smaller"><span class="smcap">Vespro.</span></span></h3> - -<p> -Dall’alto pendono grappoli d’uva di un fosco -e tranquillo color di rubino. La vite, l’antica -vite, riveste tutto il pergolato che si apre -ad archi sull’orticello regolare, solitario. Ai lati -dell’estremo lembo di sentiero che conduce -dritto al pergolato, due aiuole di radicchio furono -sacrificate e coltivate a fiori, i buoni ed -ignoranti fiori degli orti, dalle tinte cariche passate -di moda, dal profumo sgarbato o sgradevole. -</p> - -<p> -Qualche rosaio piantato qua e là simmetricamente, -ancora fiorito di alcune rose che non -corrotte dalla soverchia civiltà hanno a gloria -di non aggiungere titoli al loro nome e al loro -colore che ha un patrimonio secolare di madrigali -e di canzoni — ai loro piedi si stende -il basilico aromatico che sa i drammi delle povere -stanze, e la lavanda misteriosa che sa i -segreti della notte di San Giovanni, e la minuscola -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -maggiorana, eternamente infantile. Più -oltre, cespi di garofano plebeo paiono raccontare -gli idillî grossolani della scorsa estate, e -due piante di gigli pensano al fiore assente, appassito -fra le mani ceree di una monaca morta -o fra i lumi di un altare consacrato a Maria; -mentre i girasoli privi dell’ansiosa pupilla d’oro -sembrano averla chiusa finalmente in una stanca -rassegnazione. -</p> - -<p> -Un’aura mista di verità e di favola spira -nell’orticello solitario; una giovialità antica -e innocente di epigrammi e di allegorie; mentre -sulle nubi fioccose intinte nel tramonto, par -di veder passar adagiata qualche deità dell’Olimpo -migrante verso dolci nozze. -</p> - -<p> -Sotto il pergolato c’è una sedia a bracciuoli -dalle curve d’una arretrata eleganza, e un tavolino -dai bordi rialzati tutt’intorno, previdentemente, -come una tenue arginatura. Il queto -recesso verde è deserto per poco: sul tavolino -Ella ha posato, senza piegarla, la calza incominciata -coi ferri irti, provocanti e insidiosi -come un piccolo arnese di guerra montato per -un assalto; il gomitolo è ruzzolato in un angolo -e sarebbe caduto senza la provvida sponda; -il libro ascetico, in cui ella leggeva placide -meditazioni, è rimasto aperto sotto i suoi occhiali -levati in fretta; la bellissima tabacchiera -dalla miniatura inghirlandata di diamanti, -ch’essa nasconde sempre come una vergogna, è -pure dimenticata sul tavolino, ed anche una -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -delle sue manopole di lana nera. Sulla spalliera -della seggiola è rigettato lo scialle bigio. -S’ella lo vedesse lambire il terreno umidiccio! -Qualchecosa di estremamente dolce o di estremamente -triste l’ha chiamata. -</p> - -<p> -Il sole scende pomposo dietro i pioppi in -una atmosfera di polvere d’oro, accompagnato -dagli addii dei bronzi di un vecchio campanile, -non mesti, ma gloriosi, come dopo una bella e -buona opera coraggiosamente compiuta. Nella -lor bonaria esultanza le antiche campane giungono -perfino a ricordare ritmi e arie di danze -perdute che udirono nella loro gioventù. Così -non si affliggono della fine dell’oggi, poichè entrano -nell’ombra celebrando la vigilia dell’indomani. -</p> - -<p> -Un’allodola invisibile canta un epitalamio -nelle regioni radiose. Una schifosa lumaca tenta -il passaggio della tabacchiera. -</p> - -<h3>IV. -<span class="smaller"><span class="smcap">Crepuscolo.</span></span></h3> - -<p> -L’ombra della angusta cappella è rotta appena -dalle due lampade veneziane di ferro, a -vetri rossi, appese dinanzi all’altare. Fuori, la -neve turbina nell’aquilone diaccio e si ammonticchia -sul davanzale dell’alta finestra contro i -piccoli vetri rotondi, imbiancando la luce come -un’alba; il vento ulula, sbatte e flagella, ma -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -nell’interno regnano supremi il silenzio e l’immobilità. -L’altare verdeggia cupamente di semprevivi, -ma dai gradini sale e si effonde un’acuta -fragranza di giacinti e di viole da un indistinto -cespite. -</p> - -<p> -Una forma si agita sull’inginocchiatoio e si -queta. -</p> - -<p> -Subito una folata violenta si ingolfa e spalanca -i vetri dell’antica finestra, come per dar -adito a qualche cosa di spirtale. Le lampade -oscillano — i semprevivi rabbrividiscono; un -rosario penzolante dall’inginocchiatoio ondeggia: -si discerne ora nel nuovo chiarore una gran -ghirlanda di giacinti e di viole a piè dell’altare -e una forma umana raccolta in una pelliccia, -prostrata, col volto nascosto fra le braccia -immobilmente. La neve entra dalla finestra e -fiocca lenta e lieve sul pavimento; il vento -spegne le lampade, arriccia i merletti dell’altare, -sbatacchia rabbiosamente il rosario contro -il legno dell’inginocchiatoio, disperde il profumo -dei fiori, intirizzisce. -</p> - -<p> -Tutto si lamenta o si ribella, eccetto la forma -umana prostrata sull’inginocchiatoio, eccetto -una lastra di marmo, dirimpetto alla finestra, -che sta pallida e forte sotto il flagello -della bufera. Nel chiarore nivale si legge su -quella lastra: <i>Pax</i>. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -</p> - -<h2 id="crisantemi">Crisantèmi</h2> -</div> - -<p> -Il giardiniere entrò senza troppi riguardi -nella stanzaccia di sgombero che non aveva -divani nè tappeti; ma appena vide che c’era -la signorina, si fermò impacciato e confuso d’essersi -arrischiato fin là con gli scarponi motosi -e la giacca di bordato. Credeva di non trovare -nessuno, tutt’al piú la cameriera. Si scusò. -</p> - -<p> -— Chè, chè, vieni pure, Cencio! — disse allegra -la signorina, da quella buona figliuola che -era. — M’hai portato i fiori, eh? bravo! — E gli -levò di mano senza tanti complimenti il gran -paniere di vimini, dove s’affastellavano malinconici -e stillanti i crisantemi. E il giardiniere -non aveva ancora richiuso l’uscio dietro di sè, -che le sue mani impazienti li avevano già sparpagliati -sulla tavola quadrata, nel vano della -finestra, in una tepida ondata di sole. -</p> - -<p> -— Così — mormorò, arrampicandosi più che -sedendosi sull’enorme seggiolone di cuoio usato, -da cui scappavano bioccoli di crine; e cercò -le forbici e il gomitolo sotto i fiori. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -</p> - -<p> -Quel seggiolone rococò e la tavola quadrata -a bordi rialzati, intorno a cui correva -una laminetta d’ottone arrugginita, avevano -appartenuto alla nonna; poi, lei morta, erano -stati relegati fra i vecchiumi nella stanzaccia -di sgombero nuda e bianca, sempre inondata -di sole; dove la signorina sgusciava spesso per -frugare nei cassettoni zoppi o nei ripostigli -dell’armadietto dalle tendine verdi, in cui scopriva -sempre nuove bricciche curiose. Aveva -trovato un vecchio almanacco che conteneva -qualche sonetto del nonno; un passaporto ingiallito, -dov’erano i connotati della nonna giovine; -un pettine istoriato, qualche centimetro -di trina antica, qualche ritaglio di damasco per -i suoi lavorucci; perfino un ricamo a fiamme -sbiadito, di cui aveva rivestito la cartella della -sua scrivania. Intanto nella stanzaccia poteva -cantare a pieni polmoni, e non quelle stucchevoli -romanze a cui la condannava la mamma; -cantare come piaceva a lei; musica e parole di -sua fantasia, secondo le salivano dall’anima -alle labbra; melodie e pensieri appassionati o -gioiosi in una limpida e bizzarra vena inesauribile -di rosignuolo. Anche, perchè negarlo? ci -veniva volontieri per la ragione che dalla grande -finestra, spalancata sempre all’aria e al sole, -si scorgeva benissimo il lembo verde d’un giardino -signorile, dove, a certe ore del giorno, si -vedevano eseguire esercizi ginnastici sulle sbarre -o sull’altalena due o tre monellucci snelli -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -e agili come funamboli. Erano i cugini della -signorina. -</p> - -<p> -Però in quel momento il lembo di giardino -rimaneva deserto col suo gruppo di semprevivi -cupi che dondolavano le vette nella mitezza -del sole autunnale, come vecchioni crogiolantisi -a un tepore di stufa semispenta; nè la signorina -pareva curarsene menomamente, intenta -come era a raggruppare i crisantemi, non sollevando -mai il capo, se non per lanciare qualche -occhiata fuggevole contro la parete dirimpetto, -dove fra due o tre gabbie rotte, un paravento, -uno scaffale e una vecchia bandiera -c’era una seggiola sfondata e su quella un ritratto -a olio della nonna, che la guardava, voltando -un poco il capo, col suo sorriso tranquillo -e indulgente di vecchietta buona. La fanciulla -proseguiva lesta l’opera gentile in quell’onda -calda, abbagliante, di sole, che pareva insultare -alla rovina austera del suo seggiolone rococò -e stemperare nella fulgidezza aurea la personcina -di lei, così tenue e delicata, quasi diafana, -col visino e le mani trasparenti di biancore -anemico, i capelli luminosamente biondi, le -ciglia d’oro, come raggi sottili, intorno all’azzurro -intenso dei suoi occhi in cui vagava sempre -e solamente un riso gaio ed inconscio di -giovinezza. I crisantemi smorti, i tristi figli -della vecchia stagione vizza e stanca, rifiorivano -sotto la carezza del sole, sotto le agili -dita che li avvincevano sapientemente. E i piccoli -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -mazzi s’allineavano lungo i bordi rialzati -della vecchia tavola; il bianco dominava, ma -un bianco gialliccio e senza profumo, che faceva -pensare a una zitellona in veste di sposa. Accanto -al bianco il rosso, cupo, vellutato, un -rosso arcigno di tappezzeria; poi i crisantemi -gialli, fiore e colore giapponese, alla cui vista -balena alla mente un <i>Mikado</i> grottesco, adorato -come un dio fra gli splendori del paese -più fantasioso del mondo. Infine i crisantemi -rosa, i più piccini e i più graziosi; il rosa d’un -bottone di margheritina, il rosa antico dell’abito -della fanciulla nascosto dal grembiule di batista -che s’allacciava sulle spalle sotto due voluminose -coccarde di nastro e di trina, fra cui sortiva -esile il suo collo nudo e bianco di adolescente. -</p> - -<p> -Il saliscendi della vecchia porta, sollevato -con un colpo secco, smorzò uno stornello in -gola alla signorina, che ebbe paura di vedersi -comparire la mamma o l’istitutrice, e trasalì. -</p> - -<p> -Invece comparì uno dei suoi cuginetti, i -ginnastici. -</p> - -<p> -— Miracolo che ti si scova qui, Noemi! — esclamò -con un gesto largo il giovinetto, mingherlino -e biondo come lei. — Dovresti addirittura -battezzarla per tuo salotto questa stanzaccia... -Se i topi non ti facessero la concorrenza, -quasi, quasi... eh? -</p> - -<p> -Noemi sorrise tutta accesa, nel volto; nel collo -e persino nelle mani, da una vampata di sangue. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -</p> - -<p> -— ... Si può sapere che cosa fai in quel -seggiolone, dinanzi a quei brutti fiori? Mi sembri -una maga che distilli qualche filtro per le -sue stregherie... -</p> - -<p> -La signorina gli diede un buffetto sulle -mani, che si stendevano minacciose verso i -crisantemi. -</p> - -<p> -— Sarebbe meglio che tu m’aiutassi, Aldo... -</p> - -<p> -— Che onore! E a far che? -</p> - -<p> -— È una ghirlanda per la povera nonna, — disse -Noemi a mezza voce, come gli confidasse -un segreto; ma il cuginetto la guardò con le -sopracciglia inarcate in comica sorpresa. -</p> - -<p> -— Che vuoi che se ne faccia la nonna della -tua brutta ghirlanda? La sua tomba è piena -di fiori! Stamattina le nostre mamme ne hanno -mandato al Camposanto una carrozza piena... -</p> - -<p> -— Fiori comperati, — osservò Noemi. — Non -è la stessa cosa. Voglio che la buona nonnetta -abbia i fiori del suo vecchio giardino, intrecciati -da me. E glieli porterò io con miss Annie -domattina... Sono tanto brutti poi? Ti ricordi? -la nonna amava i crisantemi... -</p> - -<p> -Aldo non rideva più. Prese un fiore e lo -lasciò; poi un mazzetto, e odorandolo guardò -lei in un certo modo che la fece ammutolire. -Ed ella si vendicò di quella confusione e di -quel nuovo rossore con una spallucciata, come -se Aldo la canzonasse. Intanto non finiva più -di avvoltolare il filo sugli steli riuniti d’un -gruppo di crisantemi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -</p> - -<p> -— Dunque? — chiese il giovinetto con la voce -tutta mutata e raddolcita improvvisamente; — posso -aiutarti? -</p> - -<p> -— Ma... sì! — rispose la signorina alzando gli -occhi un po’ sorpresa. — Cercati una seggiola... -</p> - -<p> -— Non è facile, non è facile... — canticchiò -Aldo, girandosi da tutti i lati. Intanto, -ritto, sulla sedia sfondata, scorse il ritratto -della nonna, che guardava anche lui. -</p> - -<p> -— Ve’, ve’... chi ha messo là quel ritratto -della nonna? -</p> - -<p> -— L’ho posato io là, ma per un momento. -Scenderà nella mia camera. Era in quel canterano -carico di polvere e di ragnatele... -</p> - -<p> -— Somiglia poco... — osservò il cuginetto che -s’affaticava a sbarazzare uno sgabello da una -cassetta di vecchi ferramenti e di utensili da -cucina fuori d’uso. — Ecco, guarda, Noemi... Ora -tu sei la castellana, io il tuo paggio, — le disse -accomodandosi sull’alto sgabello di legno scolpito, -che aveva nettato alla meglio col fazzoletto. -</p> - -<p> -Erano una graziosa cosa quei due fanciulli -nel sole che inondava libero metà della cameraccia -ingombra di vecchiumi, lei piccina e -sottile, una figurina a toni delicati che occupava -poco spazio nel gran seggiolone severo -di cuoio; lui esile, aristocratico, sull’alto sgabello, -con la testa bionda, ondulata, curva sui -fiori: lo stesso colore dei capelli di lei, meno -leggieri e più lucenti, la stessa tinta di carnagione -diafana, la stessa magrezza gentile delle -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -membra adolescenti. Parevano fratello e sorella. -</p> - -<p> -— <i>Dites, la jeune belle, — Où voulez vous -aller?</i>... — cominciò a cantare Aldo per rompere -il silenzio. -</p> - -<p> -— Se ti figuri d’avere una bella voce... — mormorò -la signorina, dando una forbiciata agli -steli troppo lunghi. -</p> - -<p> -Aldo riunì due fiori: — Così? — chiese umilmente; — va -bene, così? -</p> - -<p> -— Copia quelli e non mi seccare! — rispose -Noemi additandogli i mazzetti allineati; — non -sciupare tanto cotone e non tagliare i gambi -troppo corti... -</p> - -<p> -Ancora quello sguardo intenso, strano, quasi -furtivo di lui, ed ella riavvampò chinando il -capo sui crisantemi. Poi, ad un rumore di carrozza -giù nella strada, Noemi balzò alla finestra. -</p> - -<p> -— Chi è, Noemi? -</p> - -<p> -— La contessa Sangiorgi.... Quante visite ha -oggi la mamma! -</p> - -<p> -Aldo schiuse le labbra. Voleva dire: — Meglio! — ma -si trattenne. -</p> - -<p> -— Com’è che non ti chiama in salotto? -</p> - -<p> -— L’ho pregata di lasciarmi in pace oggi, -perchè dovevo fare la lezione inglese di due -giorni. -</p> - -<p> -— Ah! — Aldo le lanciò un’occhiata di sottecchi, -sorridendo maliziosamente con una dolcezza -segreta, come se quella bugia li riunisse -in una complicità ch’egli vagheggiò satura dei -romanzeschi misteri d’un convegno d’amore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -</p> - -<p> -Noemi tornò al suo posto sul seggiolone respirando -con un — ah! — prolungato, il sole -e la luce. -</p> - -<p> -— .... perchè, se la mamma sapesse che sono -qui, — continuò come scusandosi del suo sotterfugio, — mi -sgriderebbe di perdere il tempo, di -tenere spalancata la finestra, di stare al sole.... -io che l’adoro il sole! Vediamo che fai.... Sì, -non c’è male, non credevo.... Ora continua tu -a fare i mazzi, io comincerò a riunirli in ghirlanda. -</p> - -<p> -Aldo continuò a fare i mazzi senza parlare. -Sentiva il cuore traboccargli di soavità, e quella -soavità scorrergli per tutte le fibre in una vita -nuova che gli donava slanci, aspirazioni, desiderii -indefiniti, ma alti e grandiosi. Nulla gli -pareva impossibile o difficile nella mite ebbrezza -di quell’ora; rinveniva in sè l’entusiasmo -d’un apostolo e la stoffa d’un eroe, e non -gli riusciva di spiegarsi perchè. Noemi canterellava -o lo stuzzicava motteggiandolo. Ma anche -lei quel giorno aveva certi turbamenti strani -negli atti e nella voce, e molti rossori importuni. -Poi, nel suo intimo, un eccitamento -insolito, come quando si aspetta una felicità -promessa e desiderata; un lieve eccitamento ricascante -ad intervalli in una specie di melanconia -che le dava voglia di piangere. Soffriva; -pure non avrebbe rinunziato al diletto segreto -di quella sofferenza, che le rivelava vagamente -e nebulosamente il perchè della vita. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -</p> - -<p> -Presto i mazzolini furono tutti pronti e la -ghirlanda arrivò a metà fra le sue dita destre; -Aldo, rimasto in ozio, si mise a incidere colla -punta delle forbici una iniziale sul tavolino. -</p> - -<p> -— Ma che passatempi da monello! — sgridò -Noemi debolmente, poichè aveva indovinato -e veduto quel bell’<i>enne</i> che si sviluppava. Egli -sorridendo imperterrito lo compì e vi intrecciò -bizzarramente un <i>A</i>. La signorina seguitò zitta -e mogia la sua ghirlanda, ascoltando i battiti -violenti del suo piccolo cuore. -</p> - -<p> -— È la tavola vecchia della nonna, questa -tavola, dì.... Noemi?.... -</p> - -<p> -— .... Sì. — Aveva tardato a rispondergli, -perchè le si dilagava ancora nel cuoricino palpitante -la dolcezza inattesa che le aveva procurato -il suo nome profferito da lui. -</p> - -<p> -— Me ne ricordo.... — sospirò Aldo continuando -sempre nella sua artistica barbarie, che -ora gli ispirava un cuore passato da un dardo. — Quante -volte, da piccoli, vi abbiamo ruzzolato -su i gomitoli, te ne ricordi, Noemi? La -nonna ci lasciava fare, poichè i gomitoli non -cadevano, imprigionati fra i bordi rialzati. A -noi pareva una tavola dà bigliardo. -</p> - -<p> -— .... Sì — disse ancora dolcemente lei. Poi -esitando gli domandò le forbici, che Aldo le -presentò con un atto cavalleresco, un riso luminoso -ed eloquente negli occhi e sulle labbra -schiuse. — Aspetta, aspetta, son qua per aiutarti, — soggiunse -con un’adorabile inflessione -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -di protezione affettuosa nella voce, vedendo che -le proporzioni della ghirlanda incominciavano -ad impicciarla sul serio. E ne sollevò un lembo -reggendolo. — Quasi, ti soffoca, — mormorò col -medesimo sorriso e sullo stesso tono. -</p> - -<p> -— Grazie, — aveva detto Noemi. — È quasi -finita, — aggiunse ora, malinconica; ed Aldo -trasse un sospirone che le carezzò tepidamente -il viso. Non parlavano quasi più, assorti nella -loro vita interna tutta di sensazioni così rapide -e nuove e intense, ch’era divenuta una pena. -Egli stava rubando furtivamente alla ghirlanda -un crisantemo rosa, piccino, dal cuore -giallo come una margherita, poi con un atto -riguardoso e delicato passò il fiore fra le trine -del grembiule di lei. -</p> - -<p> -A Noemi ricascarono le mani in grembo. -Seria, muta, tremante, ella seguì con lo sguardo -le dita di Aldo, e negli azzurri occhi, non -più ridenti, vagava una soave tristezza come se -l’anima sua fosse conscia di sprigionarsi dall’ombra -della queta notte senza sogni, e per sempre. -Nel silenzio affannoso, pieno di palpiti, ella -alla sua volta trasse dalla ghirlanda un altro -crisantemo rosa, per lui. Ma mentre le sue manine -un po’ tremanti tentavano di fissarlo al -colletto dell’abito del suo compagno, Aldo le -prese i polsi, la attirò, e un bacio innocentemente -ardente riunì i loro capelli biondi su -quei fiori dei morti, nella tepida ondata di sole. -</p> - -<p> -La nonna li guardava dal ritratto sorridendo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -</p> - -<h2 id="scene">Dietro le scene.</h2> -</div> - -<p> -— Che? te ne vai, Carmelita? — disse col -rammarico negli occhi e nella voce donna Luisa -alla contessa, trattenendola per le mani; — te -ne vai proprio all’ora del mio «<i>five o’ clock -tea</i>?» Bada, sarei capace d’impermalirmi come -Turiddu quando compar Alfio si rifiutò di bere -il suo vino! — aggiunse in tono leggero di scherzo, -poichè avevano chiacchierato sino allora nel -salotto della Cavalleria Rusticana. -</p> - -<p> -— Mi rincrescerebbe, tanto più che a me è -interdetto quel famoso «<i>a piacer vostro</i>» che -fa sempre tanto effetto, — ribattè la contessa -Carmela, sorridendo tranquilla, mentre seguiva -lo scherzo con la sua voce fievole. — Non posso -mettermi a tua disposizione dacchè parto domani.... -</p> - -<p> -— È per domani irrevocabilmente, contessa? — deplorò -il galante capitano Olimene. -</p> - -<p> -— Sì, — disse solamente lei, che appariva -alta e pallida nel suo abito nero. -</p> - -<p> -— E.... non tornerai tanto presto, forse? — chiese -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -con un’ansia non benissimo dissimulata, -la voce melodiosa di donna Luisa. -</p> - -<p> -— Non si torna tanto presto dall’Oriente, — rispose -la contessa con la più perfetta naturalezza. — Quando -poi s’ha a compagno di viaggio -un viaggiatore esperto e spietato come mio zio -che è capace di non farmi grazia nè d’un minareto -nè d’una moschea... -</p> - -<p> -— Perchè mai la contessa Sanlorenzo veste -sempre di nero da un mese in qua? — chiedeva -ingenuamente dal suo cantuccio la nipotina del -commendatore alla sua vicina. — È forse in lutto? -</p> - -<p> -— Forse, — rispose l’altra, a cui scintillavano -due occhietti maliziosi; poi, vedendosi -osservata dal marchese Arturi, soffocò uno scoppio -di tosse nel fazzoletto, arrossendo un poco. -</p> - -<p> -— Il nero le sta molto bene, la ringiovanisce, — seguitò -l’altra ammirando coi suoi placidi -occhi chiari la figura svelta della contessa Carmela -che si disegnava severamente sullo sfondo -artistico d’un arazzo luccicante di fili d’oro, e -il viso pallido, ancor più pallido e fine sotto -la tesa del gran cappello a penne di struzzo -fra cui scintillava un fermaglio di vecchi diamanti. -</p> - -<p> -— Ah... quando è così poi... non ho coraggio -di trattenerti, — diceva ora donna Luisa -perfidamente bella, piegando il capo di Ebe giovinetta, -con quel movimento civettuolo che faceva -perder la testa ai suoi adoratori; — trattandosi -di un pranzo scientifico-letterario, e un -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -pranzo d’addio, poi... Una cosa commovente.... -Già mi ruberai qualche amico stasera, il professor -Lapi, Modesti, Farigliano, non è vero? -Cino De Romei... — continuò disinvolta, figgendo -gli occhi ingenui in quelli dell’amica con raffinata -crudeltà. -</p> - -<p> -— Cino De Romei replicò la contessa tranquillamente, -senza che la menoma contrazione -del volto tradisse le sue sensazioni. Per -essere ammessi a questa categoria dei miei -pranzi bisogna avere l’età come per essere -eletti senatori.... -</p> - -<p> -— Ma i suoi amici sono davvero <i>eletti</i>, — mormorò -Olimene; — beati loro... -</p> - -<p> -— Oh, non li invidii troppo, capitano. Sono -i privilegi dell’autunno, della stagione dei -frutti.... -</p> - -<p> -— Proibiti, — mormorò un freddurista ostinato -che si nascondeva fra un vaso del Giappone -e una giardiniera di rose. -</p> - -<p> -— Addio, dunque, bella. Portami un paio di -pantofoline dal tuo Oriente, — concluse allegra -donna Luisa; e le due signore si baciarono, mentre -la signorina dagli occhi maliziosi canticchiava -sottovoce guardandosi la punta delle -scarpette: -</p> - -<p> -«Compar Turiddu, avete morso a buono... -c’intenderemo bene; a quel che pare!...» -</p> - -<p> -La contessa Carmela Sanlorenzo si congedava -dagli altri con una graziosa parola e un sorriso -per ognuno. Si era animata; pareva intimamente -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -soddisfatta del suo viaggio in oriente; -ma un momento in cui il sorriso cessò, i -suoi occhi ebbero un lampo di luce sinistra e -il suo volto un’espressione di odio e di dolore. -Non fu che un attimo: prima d’uscire mostrò -ancora in un ultimo saluto leggiadro e dignitoso -il suo sorriso sereno, come sempre. -</p> - -<p> -Il servo la seguì per la fila dei salotti, nell’anticamera, -e incominciò a scendere dopo di -lei, da un lato del largo scalone ornato di cactus -e di palmizî. Ella prese a scendere lentamente, -con pena, gli scalini nascosti dallo spesso -tappeto. Il sorriso era sparito; tornava l’espressione -dolorosa del volto, la luce fosca negli -occhi grandi e neri cerchiati d’ombra, a cui -s’aggiungeva un abbandono stanco della persona -che la invecchiava, ora, di dieci anni. Scendeva; -gli abiti scivolavano giù dagli scalini -dietro la sua persona con un lieve fruscìo; il -suo piccolo piede si posava quasi incerto sul -liscio tappeto, la mano stringeva convulsamente -il manico dell’ombrellino finamente intarsiato -d’argento. Scendeva. Allo svoltare della scala, -sul pianerottolo, dietro un gruppo di camelie, -s’incontrò faccia a faccia con un uomo che saliva. -Era Cino De Romei. -</p> - -<p> -Si salutarono: ella col suo semplice e grazioso -cenno del capo, egli mettendosi in disparte, -per lasciarla passare, con un inchino e -una premura alquanto esagerati. Fu tutto; nè -l’uno nè l’altra udirono il suono delle loro -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -voci: egli continuò a salire a testa alta; ella -a discendere a capo chino, serrando come in una -morsa il manico dell’ombrellino intarsiato d’argento. -</p> - -<p> -La contessa Carmela Sanlorenzo continuò a -scendere e pensava: — Ecco così, — pensava — ci -siamo incontrati a uno svolto del cammino; -così. Io discendevo già la vita col mio -fardello di amarezze; lui saliva con la speranza -che gli dava le ali. Abbiamo sostato un -momento; poi lui ha ripreso a salire, io a discendere -come prima, più stanca di prima, poichè -neanche l’amicizia sua mi conforta più, divenuta -impossibile, oramai, come una vergognosa -transazione o come un’ipocrisia... Dunque più -nulla: dunque dimenticare. Dimenticare tutto, -dalle ore più soavi in cui l’amore non era ancora -che un benessere affascinante, dolcissimo e ignoto, -che avviluppava entrambi e che dava un’intonazione -lieta ai discorsi e alle cose più futili; -alle ore tempestose del desiderio e della -passione...: dimenticare le buone serate che -abbiamo passate nel mio salottino di studio, -serate di lavoro coscienzioso che credevamo di -prendere tutti due sul serio... Egli mi leggeva -i suoi versi bellissimi, io i miei, molto mediocri, -ma in cui diceva di trovare una finezza -e una percezione profonda... Pure, siamo -giusti: avevo incominciato in buona fede, la -mia parte di amica saggia, di consiglierà, di -mamma... Non fui io la prima a cambiar scena. -<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span> -Animandolo a venire da me a correggere i suoi -lavori e a farsi aiutare a riordinare quel caos -di foglietti volanti, pensavo proprio solamente -di rendergli un servizio da amica vera, di offrirgli -il mezzo che cercava per sottrarsi alle -mille distrazioni oziose che lo tentavano, che -lo attiravano suo malgrado e gli vuotavano il -cervello e gli inaridivano il cuore. Era una dolcezza -accogliere le sue confidenze, le sue confessioni, -le sue speranze: sgridarlo, consigliarlo, -animarlo... una dolcezza sempre più viva, sempre -più profonda, sempre più invadente, finchè -l’anima mia ne divenne satura e non vissi più che -per lui... Quando non mi rimase più forza per fargli -intendere ragione, si sommerse la rigida barriera -dei quindici anni che ci separano, e invece -del giovine poeta e della signora matura, si -trovarono faccia a faccia due innamorati... ecco -tutto. Ma la commedia è finita; io riprendo -la mia parte di madre-nobile, egli recita da -amoroso con una nuova attrice, veramente giovine -questa volta. Non mi resta dunque che benedirli -e andarmene a recitare altrove, e con -più coerenza, un’altra parte di madre-nobile. -</p> - -<p> -— Come è cangiata Carmelita; — pensava Cino -De’ Romei continuando a salire le scale a testa -alta con una luminosità di trionfo negli occhi: — oggi -ha tutto l’aspetto di una signora matura. -Fui il gran pazzo... Meritava proprio di -bruciarsi il sangue di passione per un anno, di -commettere tante follie, di gettare alla morte -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -e all’infinito la sfida audace della felicità e -dell’amore per arrivare, incontrandoci, a salutarci -appena, come due estranei... Peccato! una -bella amicizia guastata così scioccamente... e -un’amica come Carmelita, un’amica schietta, -spregiudicata, saggia, intelligente e buona così, -non è facile da surrogare... Forse, quando parecchi -anni saranno passati, ella mi permetterà -di riannodare un’intimità innocente... Ed io, -divenuto illustre e serio, anderò ancora da lei a -correggere i miei versi... che non saranno più -pericolosi... perchè allora sarà il tempo di comporre -i madrigali ingenui e di celebrare in sestine -l’amore ideale. Oggi la giovinezza mi tumultua -nel cuore e mi inebria dei suoi inni, -e una formosa Dea m’attrae con tutti i suoi -fascini... Oh, donna Luisa! bellissima realtà, oggi -la poesia, la gloria, l’arte sei tu!... -</p> - -<p> -Cino De Romei giunse al sommo della scala. -«Salve!» gli disse il cuore, dilatato dall’orgoglio -e dalla felicità, mentre passava sotto la -portiera di damasco dell’anticamera. -</p> - -<p> -— Addio, — mormorava la contessa Carmela -indugiando un ultimo momento sulla soglia, -addoloratamente. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -</p> - -<h2 id="mammole">Mammole</h2> -</div> - -<div class="poem-container-right"> -<div class="poem inl"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Douce est la mort qui vient</i></p> -<p class="i02"> <i>en bien aimant!</i></p> -</div></div> -</div> - -<p> -La strada s’allungava a perdita d’occhio, -bianca e diritta fra il verde, ed essi tornavano -al villino lentamente, avvinti, col viso colorito -dai riflessi del sole occidentale. Lei aveva -appoggiato alla spalla del suo compagno -la testa avvolta nella sciarpa a maglia di -seta fine, e qualche momento chiudeva gli occhi -languidamente, abbandonandosi tutta alla -pace soavissima di quel memorabile vespro; -godendo di ricercare nelle più intime fibre dell’anima -esuberante d’amore, la vibrazione dell’eterno -inno primaverile gioioso. E quando un -bacio lieve su le palpebre la riscoteva, ella riaprendo -gli occhi stupendi incontrava di nuovo -quello sguardo continuo, amoroso ed ardente -che la spossava di dolcezza... Parlavano poco, -a lunghe pause, giacchè erano intensamente -felici; e quella felicità negata e contrastata -per tanto tempo, pareva loro così inverosimile -ancora, che tremavano di affermarla, di -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -rallegrarsene, per timore che al suono delle -loro voci dileguasse, come un sogno. Finalmente -egli le domandò sommesso, semplicemente, se -aveva freddo, e le serrò più forte la vita col -braccio, rimettendole intorno al collo un lembo -indocile della sciarpa, mormorandole ancora -qualchecosa che il vento si portava via; lei -sorrideva senza rispondere, con gli occhi socchiusi -nella vasta limpidezza lucente del cielo. -Intorno a loro, nel verde tenero, c’era un senso -gentile di frescura, e lontano, su in alto, s’udiva -il trillo d’un’allodola invisibile. -</p> - -<p> -— Ti ricordi, Arrigo, di quel primo giorno? -Fu in un pomeriggio come questo... -</p> - -<p> -Questa volta fu lui che assentì sorridendo -in silenzio. -</p> - -<p> -— Ti ricordi di quelle povere violette bianche? -</p> - -<p> -Il giovane sostò, la sciolse dall’abbraccio e -trasse da una tasca interna la serica busticina -elegante, dove riposavano i fiorellini ingialliti. -</p> - -<p> -Lei rimase muta, appoggiata all’ombrellino -chiuso e gli occhi le brillarono: — Ancora con -te? — mormorò poi, ma lo sapeva bene che -c’erano ancora, che ci starebbero sempre. -</p> - -<p> -— Anche dopo morte, — diss’egli; e baciò -i fiori. -</p> - -<p> -Laggiù all’orizzonte in quella festa di colori -sfolgoreggianti fra i tronchi, in quel saettare -di raggi aurei che sprizzavano tra le fronde, -qualchecosa d’indistinto pareva muovere ed avanzare -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -lentamente; ma essi non vedevano nulla, -abbacinati dallo splendore, assorti nell’estasi -del loro idillio. -</p> - -<p> -— Avevo sedici anni quel pomeriggio, lontano, — continuò -lei appoggiando la manina -inguantata sulla spalla del giovine, — quel pomeriggio -lontano in cui mi sorprendesti a strappare -ferocemente le mammole che tu raccogliesti -poi con tanta religione, ed ero ancora una -monelluccia stordita che non si accorgeva di -essere ammirata, nè se ne curava... Eppure in -quell’odoroso giorno d’aprile, fra tutti quei -trilli e quell’azzurro, piansi per la prima volta -di tristezza, poichè mi rinvenni nell’anima un -abisso in cui era un silenzio sconsolato... -</p> - -<p> -— Eri sulla soglia del tempio d’un dio -ignoto... — soggiunse lui piegando carezzevolmente -il capo sulla morbida mano inguantata, -abbandonata sulla sua spalla. -</p> - -<p> -— Oh come sentivo la vicinanza di quel -dio, come mi turbava quell’attesa solenne!... — esclamò -essa, commossa; — poi, senti Arrigo, -la divinazione venne improvvisamente... Capii -che solamente amando sarebbero scesi nella -mia anima, a colmarne il vuoto, quei trilli, -quella luce, quei profumi che mi facevano piangere -d’una strana malinconia: ascoltai il mormorio -di voci che s’era levato intorno a me e -compresi che le cose tutte parlavano, inneggiavano, -deridevano la mia ignoranza.... Allora -strappai le violette... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -</p> - -<p> -Egli le prese delicatamente fra le mani la -testa, e la baciò senza parlare, con un sorriso -intenerito. -</p> - -<p> -— .... dopo salii nella mia camera, m’inginocchiai -e in quell’ardore di fede che mi -dava la tristezza chiesi a Dio ingenuamente -di amare anch’io, di amare molto, con tutte le -facoltà del cuore, della mente, dell’anima; con -tutto lo slancio e la forza della mia giovinezza, -e di essere riamata così... -</p> - -<p> -— Dio ti ascoltò quel giorno... — cominciò -lui con impeto, ma la piccola mano gli chiuse -la bocca. -</p> - -<p> -— Ascolta: fu un olocausto; chiesi a Dio -di respirare tutto il profumo, di godere tutta -l’ebbrezza infinita di questo amore sovrumano, -non fosse che per un giorno; e gli offersi in -cambio... la mia vita... -</p> - -<p> -— Taci! — proruppe lui con un brivido; — perchè -dir questo oggi, un giorno di nozze? -perchè l’hai detta quella parola? perchè? — E -la baciò a lungo sulle labbra come per cancellare -quella parola funebre. Ella rideva, rideva, -con la bocca schiusa, fresca come un fiore, gli -occhi pieni di sereno; rideva sfidando il destino, -forte di gioventù, d’amore. -</p> - -<p> -E laggiù, tra gli alberi, la massa confusa veniva -innanzi, insensibilmente, misteriosamente -sulla bianca strada. La signora aspirava intanto -nell’aria con delizia un odor acuto di -mammole, e cercava sulla sponda erbosa del -<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span> -fossato, scostando le fogliuzze con l’ombrellino. -</p> - -<p> -— Oh, delle mammole! — esclamò lieta; — delle -violette bianche come quelle, Arrigo! Ecco -un bell’augurio, vedi?... — E fece per slanciarsi -dalla breve sponda; egli la trattenne facendole -gli occhiacci, per usare subito della sua -novella autorità di marito. — È così che ci si -fa male, bambina! un minuto di pazienza e -avrai le violette. — E scese destramente. Ella -gli additava, con l’ombrellino, violette invisibili. -</p> - -<p> -— Ma no, Arrigo... dalla parte opposta... -laggiù sotto la siepe... bisogna passare attraverso -la siepe, — concluse ritentando di scendere -la sponda sdrucciolevole. Egli la prese -risolutamente alla vita e la posò giù, accanto -a lui. -</p> - -<p> -— Vieni dunque, — disse aprendole un varco -fra i rami di biancospino e staccando con -tutta delicatezza un lembo della sciarpa fine -impigliato nei rovi. — Non è una impresa facile; -ti sfido... -</p> - -<p> -— Davvero? Allora vedremo chi ne coglierà -di più, — rispose lei gettando l’ombrellino, e -levandosi un guanto in fretta. Intorno, la solitudine -completa: e quello splendido tramonto -fiammeggiante soltanto per essi sulla rigogliosa -pianura. Ella si affrettava, ridendo a brevi trilli -sommessi sotto la frondosa siepe fiorita, affondando -la mano bianchissima nell’erba; lui -non aveva mai colto mammole con tanto ardore. -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -ma nonostante i suoi sforzi si trovava spesso -a rallentare la foga di quel gioco, distratto -dalla vista della breve mano agile, dell’errare -di un ricciolino scompigliato dalla brezza, da -una molle curva che si accentuava, da un -tratto di calza di seta che disegnava l’attaccatura -del piede, fine e nervosa. Così lei potè -cantare vittoria risalendo sulla strada; aveva -delle mammole nelle tasche, lungo la scollatura -a risvolti del soprabito, negli occhielli, -nelle pieghe della sciarpa, nell’ombrellino. Ne -era imbarazzata, ed egli per vendicarsi le riempì -anche le mani dei bianchi fiorellini odorosi...... -La giovine signora vi immerse il viso respirando -avidamente; poi reclinò ancora la testa sulla -spalla di lui esausta dal tumulto di emozioni, -di sentimenti, di ricordi, che le si levava in -cuore al sottile profumo. -</p> - -<p> -— Come sono felice!... Come siamo felici, -Arrigo! — esclamò finalmente, non resistendo -al bisogno di gettare quel grido alle piante, -all’azzurro infinito... -</p> - -<p> -Ma il suo compagno pareva preoccupato e -intento a discernere sulla strada un convoglio -che si avanzava lento, che era già a pochi metri -da loro, socchiudendo gli occhi contro la fusione -fulgida di tinte calde che lo abbarbagliava. -Poi si fece riparo agli occhi con la mano -e vide, e provò un rapido senso di gelo al cuore. -</p> - -<p> -Il povero feretro veniva innanzi portato da -due robuste campagnuole vestite di mussola -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -bianca, scortato dal chierichetto che inalberava -gagliardamente sull’asta la piccola croce; un -prete a fianco borbottava le preghiere col libro -aperto e altre due ragazze in abito bianco seguivano -per dare il cambio. Nient’altro; non -un fiore sulla lugubre coperta nera che dissimulava -appena la bara; non un salmodio diffondentesi -sonoro e poetico nella pace vespertina; -non un parente, non un amico, non un -senso di tristezza o di pietà: si leggeva la noia -nei volti rubicondi delle ragazze, sull’emaciato -volto del prete, sul viso infantile del chierichetto -roseo; solamente la noia e il desiderio -di sbarazzarsi al più presto di quell’incomodo. -Chi era steso la dentro? Un bimbo? una -fanciulla? una giovane sposa? la conclusione -tragica d’un rustico romanzo d’amore, o una -prima pagina candida su cui il destino aveva -scritto «fine»?... Essi non lo domandarono, -ammutoliti in un superstizioso sgomento... Ma -poi quella povera bara d’un essere sconosciuto -che passava fredda e nera nella campagna verde, -piena di vita, di palpiti, di profumi sotto -il cielo soffuso dell’ultima luce fiammante; -attirò la pietà dei due felici rimasti immobili -e stretti l’uno all’altro... Quando il feretro -passò, rasentandoli quasi, il prete lanciò -verso di loro una rapida occhiata, e la signora -con un atto gentile ma pronto come uno scongiuro, -gittò sulla bara tutte le sue violette. I -fiorellini piovvero costellando lievi il rozzo panno -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -nero: qualcuno cadde, altri il vento disperse, -e il rustico corteo inoltrò misterioso e silente. -Presto scomparve nella nebbia che già nascondeva -la strada a settentrione, mentre i giovani -sposi, strettamente abbracciati, ripresero la via, -adagio, verso il sole. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -</p> - -<h2 id="romze">Romanze senza parole.</h2> -</div> - -<h3><span class="smcap">Orme.</span></h3> - -<p> -Sull’orlo estremo del lido sabbioso, soffice, -umido, incrostato di conchiglie, si mescono e -si seguono orme di passi umani interminabilmente: -l’ombra d’un filo di vita svolto fra la -solitudine sterile e una moltitudine invisibile, — fra -la sosta immemore d’un limbo che tutto -cancella e un’azzurra eternità. Gli umani sono -passati in lunga teoria sullo stretto sentiero, -avidi d’oblìo, di speranze, di sogni. Le -orme narrano: alcuni ritornarono dopo breve -cammino delusi; non poterono dimenticare, -nè chiedere, nè illudersi: altri proseguirono -per lungo tratto insieme, come sfidando con -balda audacia la vicenda delle cose perchè riuniti; -poi uno ritorna, è stanco, sfiduciato; un -altro si smarrisce nella sabbia fine, asciutta, -infida; un terzo si scosta ed erra finchè la spuma -delle onde lambe e rode le traccie del suo -passaggio; l’ultimo inoltra solo, accanto al -solco leggiero e continuo d’un bastone. Poi anche -il solco cessa, e l’uomo inoltra ancora senza -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -appoggio, ancora, ostinatamente..... Infine le -alghe brune e muschiate si dilatano, tutto nascondendo. -Orme d’un piedino minuscolo, spesse, -irregolari, seguite da orme larghe, sicure: i -primi passi. Altre orme irregolari con un seguito -di piccole buche: gli ultimi. Le orme dei -ricchi, tenui, dai tacchi che scavano fossette; -le orme dei giovani, lievi, discoste; quelle -dei felici, attraversate ogni tanto da un’iniziale, -da un zig-zag; e, finalmente, orme di -piedi veri, ignudi, grossolani, a una distanza -tanto regolare da parer calcolata con una precisione -matematica: il passo della gente che sa -cosa vuole e dove va. Dinanzi a quelle orme le -altre si scansano. Sono le orme faticate del lavoro. -</p> - -<p> -Gli umani sono passati così fra la solitudine -e l’eternità. Domani un soffio di brezza solleverà -forse le grigie sabbie volubili che ne cancelleranno -ogni traccia; ma nella loro evoluzione -le onde affaccendate si dilateranno per raccoglierne -nel grembo azzurro, maternamente, l’ultima -memoria. -</p> - -<h3><span class="smcap">Vendetta.</span></h3> - -<p> -L’ultima finestra della casa, al primo piano, -verso ponente, s’apriva fra le rame flessibili del -gelsomino. Una mano delicata le dirigeva, le -domava, le dissetava, le intrecciava in riposo, -le avvinceva in catene fraterne. Quando -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -le piccole costellazioni bianche si staccavano, -erano raccolte con tanta sollecitudine che non -una veniva contaminata dal fango del terreno -o dalla bava dei ragni, che anelavano a quel -candore. -</p> - -<p> -Ma nell’ombra fresca dai riflessi di smeraldo -serpeggiava un soffio vivo, indomabile, che si -sfogava in cento insidie piccine, malignamente. -Gli olezzi diffondevano la più eloquente delle -serenate; qualche tralcio ribelle dava ogni dì -la scalata e s’insinuava a spiare nella stanza, -avido: le ciocche fiorite si protendevano, offrivano -i mazzetti naturali, desiderosi di avvizzire -su un seno ardente; alla brezza, che le carezzava, -le foglioline rispondevano acconsentendo -con un fremito novo; al vento che passava -fischiando, i rami si dibattevano desolatamente. -</p> - -<p> -La finestra s’apriva di buon mattino e l’alito -verginale che ne usciva, blandiva il soffio -maligno, stornava le insidie, mitigava le ebbrezze. -Quando un fior di cardenia apparve -sul davanzale. -</p> - -<p> -Quel fior di cardenia venne disputato alla -distruzione a lungo, tenacemente. Tutta la notte -l’anforina di cristallo rosa che reggeva la corolla -rimaneva sul parapetto, fuor dell’imposte -chiuse, assistendo al colloquio della cardenia con -la luna piena; candida e sola come lei. Il gelsomino -fu negletto; le rame crebbero vagabonde -e selvagge fino a ricascare su loro stesse -stanche del vano errare; le stelline bianche -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -emigrarono liberamente, ma per posar presto in -un molle strato odoroso sul terreno, come un -sudario mistico; qualcuna s’indugiava, si smarriva -nei meandri verdi, s’impigliava fra le ragnatele -lievi, iridate, luminose, in fondo a cui -il ragno attendeva. -</p> - -<p> -Infine il fior di cardenia ingiallì del tutto -e fu portato via. Ma venne poi una gabbiuzza -popolata di colibri, poi un pappagallo fiammante, -poi una scimmietta freddolosa, poi un -virgulto di rose, poi una coppa riscintillante di -pesciolini d’oro. Inutile; la morte spazzava tutto -via. Qualche cosa dava il malocchio a quella finestra -che s’apriva fra le rame di gelsomino. -</p> - -<p> -Nell’inverno la camera fu rimessa a nuovo: -cortine azzurre, lievi, scesero lungo le doppie -vetrate dov’era una fioritura di mammole, e -una lampada ardeva tutta notte, velata e misteriosa, -come in un santuario. I viandanti che passavano -intirizziti levavano lo sguardo sorridenti -o sospirosi e bisbigliavano: «Là regna Amore...» -</p> - -<p> -Ma il gelsomino non udiva; era atrofizzato -dal gelo, e ignudo, inerme, dormiva. Quando -il bacio pietoso della Primavera lo destò, -ahimè! si vide mutilato e inceppato vigorosamente -contro il muro! Invano si ribellò, invano -i mazzetti implorarono sotto il davanzale il -rifugio tepido, consueto; invano la fragranza -dispersa nell’aria si diffuse in elegie amorosamente, -e le stelline erranti si posarono fra le -stecche delle persiane come per esplorare, e i -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -tralci più arditi si svincolarono e bussarono -stimolati dal vento; la finestra dalle cortine azzurre -irrideva, soave, al loro dolore. Così trascorse -l’estate, una lunga estate. -</p> - -<p> -In ottobre, mentre le prime pioggie scendono -a risvegliare inesorabilmente dal sogno di -una tornante primavera, nella lotta fra le illusioni -che evaporano con gli ultimi profumi -di tutti i fiori della terra, e le gelide realtà che -piovono con le fredde lagrime del cielo, — la -finestra rimase chiusa, triste, e i rami ingigantiti -infransero i loro ceppi, e la flagellarono sera -e mattina ululando ferocemente. -</p> - -<p> -Dopo molti giorni la finestra si riaprì, in -un vespro d’oro, nell’assenza degli olezzi e nell’immobilità -delle fronde che oscillarono estatiche, -quasi spaurite della conseguita vittoria. -La finestra rimase vuota e aperta fino all’alba, -con le cortine calate e le imposte che gemevano -sui cardini in uno sconsolato abbandono. -Nell’alba nebulosa, livida, fredda, le cortine azzurre -tremolarono, uscirono e palpitarono in -alto, come due aluccie impazienti di volar via. -Allora pel varco libero, simile a un piccolo -stuolo vittorioso e invadente, entrò nella camera -della morta uno sciame di gelsomini. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -</p> - -<h2 id="bagliori">Ultimi bagliori.</h2> -</div> - -<p> -Il conte Alberto Farigliano di Roccamare -rientrava intirizzito dal nevischio pungente d’un -uggioso pomeriggio di Febbraio. Gettati al servo -pelliccia e cappello biancheggianti di diaccioli, -traversò lesto l’appartamento in cui il calorifero -diffondeva un tepore più che primaverile -e giunse al remoto salottino di sua moglie. -Era sicuro di trovarla laggiù. La contessa infatti -pareva addormentata nell’ampia poltrona di -broccato nero, quasi bocconi, col volto nascosto -in un piccolo guanciale morbidissimo posato sul -bracciolo. In quell’atteggiamento, coll’abito -sciolto e lucente di felpa bianca dai riflessi madreperlacei, -nella luce azzurreggiata dalle tendine -abbassate, diede ad Alberto l’idea d’una -perla nella sua nicchia. Egli inoltrò chetamente: -nel ricco salotto ondeggiava un acuto profumo -di cardenia. Non si vedeva nulla del volto -di lei; solo l’ammasso dei suoi capelli fini, castani, -allentati con un po’ di disordine, e le -sottili mani aggrappate al cuscino. Alberto la -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -contemplò lungamente. Poi si mosse per andarsene, -ma nel movimento un po’ brusco urtò una -sedia leggiera, fuori di posto, e la signora sussultò -forte, levando il viso sbiancato e fissandolo -sbigottita, come se nel primo momento non lo -riconoscesse. -</p> - -<p> -— Dormivi? -</p> - -<p> -— Sì, forse... da quanto tempo sei qui, Alberto? — chiese -alla sua volta lei, che abbozzò -un sorriso, subito dileguato come un ombra sulle -sue labbra tremolanti, e le bianche mani passarono -e ripassarono sugli occhi. — Ho un po’ di -emicrania oggi; — aggiunse con un fil di voce. -</p> - -<p> -— Tieni troppo caldo e troppi fiori intorno -a te, mia cara. Or’ora stavo per farne un fascio. -Tu finirai per asfissiarti, esagerando così. -</p> - -<p> -Essa stava immobile, con le mani serrate alle -tempie, gli occhi fissi sui meandri del tappeto. -Poi, risolutamente, si alzò e venne fin presso -la scrivania d’un squisito stile del Rinascimento, -sulla quale si mise a frugare senza scopo. -</p> - -<p> -Nella penombra, fra i larghi fogliami esotici -e i mobili artistici, quell’alta figurina bianca -pareva svanire come una parvenza. Suo marito -le cinse la vita con un braccio e l’attirò a sè, -dolcemente. -</p> - -<p> -— Sai, Letizia, ho una cattiva notizia da -darti. Mi tocca partire.... -</p> - -<p> -La contessa trasalì ancora, lo guardò rapidamente -coi bellissimi occhi, e si sciolse dall’abbraccio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -</p> - -<p> -— Dove vai? -</p> - -<p> -— A Berlino... Sono incaricato di una missione -di qualche importanza dal ministero e, -capirai, col ministero non si scherza. Parto lunedì. -</p> - -<p> -— .... Starai lontano molto tempo? -</p> - -<p> -— Temo di sì. L’affare per cui vado non è -da sbrigarsi in poche ore... Tre, quattro, cinque -mesi.... ma poi vedremo.... Non ne so nulla insomma. -</p> - -<p> -La contessa Letizia rimase a capo chino e -fra loro vi fu un prolungato silenzio. Eppure -era lo stesso impulso che lottava nei loro cuori -con degli ostacoli suscitati dalla loro diversa -debolezza: era lo stesso sottile sgomento pauroso -per una parola ch’egli avrebbe voluto sentirsi -dire da lei che rimaneva muta, per una -parola che Letizia aveva terrore di sentirsi dire, -in quel giorno, in quell’ora... -</p> - -<p> -— Pensavo che tu potresti.... — la contessa -ebbe un piccolo moto di altera meraviglia — tu -potresti passar questo tempo dalla zia Fanny -o pregarla di venirti a tenere compagnia. -Per rispetto alle convenienze non sarebbe bene -che tu rimanessi sola.... -</p> - -<p> -Letizia continuava a guardarlo come se pensasse -a tutt’altro. — Sì, — mormorò poi; — riflettevo -anch’io a questo. -</p> - -<p> -— ..... allora siamo perfettamente d’accordo, — concluse -Alberto con la sua freddezza solita. -Ed uscì. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -</p> - -<p> -— Come sono vile, ah come sono vile! — disse -in cuor suo la giovine contessa; e si lasciò -andare sulla seggiolina della scrivania, tutta -pallida, a occhi chiusi; mentre due grosse lagrime -le rigarono le guancie e caddero in -bollicine sulla sua cartella dalle cifre d’oro. -Ma ecco che dinanzi alle palpebre abbassate, -come se un velario fosse calato dinanzi alla -realtà della sua vita per lasciarla vivere più -intensamente nel sogno, le ricomparve repente -la balda e bionda figura d’uomo, di un uomo -che non era suo marito, fissa come l’aveva -avuta inesorabilmente in tutta quella penosa -giornata, ed essa, questa volta per cacciarla -spietatamente, aperse gli occhi. -</p> - -<p> -Fu un rimedio vano. Se la visione svanì, i -suoi pensieri seguirono fluenti il loro corso, -come l’onda del ruscello gira intorno ad un debole -ostacolo messo per arrestarla.... -</p> - -<p> -Lo aveva riveduto dopo quattro anni, improvvisamente, -quel giorno stesso, nell’uscire -dal salotto d’un’amica, mentre egli vi entrava. -E nello scoprirsi il capo biondo, cedendole il -passo, l’aveva misurata con lo sguardo sàturo -d’una tal curiosità volgare e galante che Letizia -aveva arrossito. Ma aveva arrossito meno -per l’indignazione che per il colpo di trovarselo -lì dinanzi quando meno ci pensava, e con -lo stesso fàscino irresistibile ch’era stato il tormento -e il sorriso dei suoi sedici anni. Un vanesio, -del resto, quel tenentino di cavalleria! -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -Non aveva il capo che a far la corte alle signore -eleganti, mentre le signorine gli sospiravano dietro: -ella lo sapeva; lo aveva già giudicato -col suo nascente senno di giovinetta, da quel -contegno irragionevolmente mutevole con lei, -innamorata di lui da morirne, sempre. -</p> - -<p> -Era così spigliato, così attraente, così carino! -Una volta, l’ultima volta che si erano incontrati -le aveva giurato che se il padre di lui non desisteva -dall’opporsi al loro matrimonio, si sarebbe -ucciso... Uno spavento, un supplizio... una dolce -e tremenda e insistente tentazione di fuggirsene -davvero attraverso l’Europa, com’egli le proponeva.... -Ma aveva troppo pensato al dolore dei -suoi; le era mancato il coraggio. Poi quell’amore -tempestoso, a pause, nutrito di stranezze -che non capiva e di audacie che la rimescolavano, -le faceva paura..... Era così ingenua e -così giovine! Dopo, non si erano più riveduti, -ma essa sapeva che non era morto, che viveva -come prima, più di prima. -</p> - -<p> -A diciotto anni aveva sposato, senza entusiasmo, -ma con affezione profonda, il giovane diplomatico -che suo padre le presentava. Quell’amore -gentile, rispettoso, cavalleresco, quasi -tutto fiori e delicatezze, le era parso un refrigerio, -e la sua anima ancora un po’ malata e -la sua gracile fibra di damina spirituale, vi avevano -trovato una soavità infinita. Meno qualche -vampata di quando in quando che le portava -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -un palpito e un malessere d’un minuto, -al tenente biondo non pensava più. -</p> - -<p> -...... L’oscurità aveva invaso il bel salotto -profumato di cardenie, quand’ella, levandosi -svogliatamente, si avvicinò alla finestra e rialzò -le tendine. A Roma la neve non dura; non -se ne vedeva più traccia: pioveva. Pioveva monotonamente, -tranquillamente. Letizia rimase con -la fronte che bruciava, appoggiata ai cristalli, -lo sguardo smarrito. Ancora una lotta. Anderebbe -o no al <i>Bal-en-rose</i> dell’ambasciata di Francia, -quella sera? Da un lato l’aspirazione -alla pace, all’oblio, il presentimento vago di un -pericolo....; dall’altro il desiderio stesso di questo -pericolo, il fascino d’un’emozione nuova, il -piacere acre di riaprirsi una ferita nel cuore -per sentirlo palpitare più forte..... -</p> - -<p> -— Il pranzo è servito, — annunziò la voce -indifferente del domestico dalla soglia. -</p> - -<p> -La contessa si scosse. Erano soli, suo marito -e lei, quella sera a mensa. Dio! una lunga, penosa -dissimulazione..... Si ravviò alla meglio i -capelli, al buio, per non chiamare la cameriera -e s’avviò, lenta, per le stanze illuminate verso -la sala da pranzo. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Si fecero servire il caffè accanto al fuoco -nella sala da pranzo vasta e severa. Letizia, seduta -un po’ di traverso sul seggiolone dall’alta -<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span> -spalliera, appoggiava sul paracenere i piedi, piccoli, -calzati di raso color madreperla, come l’abito -a cui la fiamma prestava strani bagliori; -Alberto, vestito come sempre, correttamente -di nero, nella sedia di fronte centellinava il -caffè fumante, odoroso. Erano soli, silenziosi; -un’atmosfera di noia e di tristezza gravava. -Durante il pranzo, fra il via vai dei servi, avevano -scambiato qualche osservazione, qualche -frase insipida; ma ora non si pigliavano -neanche più la briga di fingere e la loro tormentosa -preoccupazione rispuntava evidente. -</p> - -<p> -— Riuscirà molto bene a quel che pare il -<i>bal-en-rose</i> dell’Ambasciata francese, — uscì a -dire finalmente Alberto, posando il tazzino; — le -sale sono addobbate con buon gusto ed hanno -trasformato la grande terrazza in una grotta -fantastica dove sarà bello riposare. Tu ci vieni? — seguì -col tono più naturale del mondo, ma -che alla contessa Letizia, per la disposizione -d’animo in cui era, parve un abile quesito indagatore. -La lotta che ancora era in lei, cessò -bruscamente. -</p> - -<p> -— Sì, vengo, — rispose con alterigia senza -alzare gli occhi. -</p> - -<p> -— Hai dato gli ordini in proposito? — chiese -il marito senza scomporsi. -</p> - -<p> -— Sì... Ma perchè mi chiedi se vengo? -Ti dispiace forse? — ribattè la signora sollevandosi -un poco e ritirando i piedi dal paracenere, -i piedini nervosi che s’agitavano continuamente, -<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span> -mentre negli occhi neri e grandi -era una cattiva espressione di sfida. -</p> - -<p> -— Perchè dovrebbe dispiacermi, Letizia? -Te lo chiedo, ricordandomi d’averti sentito parlare -di emicrania poco fa, e notando in te infatti -un aspetto un po’ sofferente..... -</p> - -<p> -Quella compostezza, quel tono di voce tranquilla -le fecero dare una strappata ai cordoni -del bell’abito dai riflessi di madreperla, irritata, -impaziente. Sentiva dentro di sè un fermento -di rivolta, un incalzante desiderio di ricatto, -senza saper bene perchè. -</p> - -<p> -— Invece io sto benissimo... — la sua voce -risuonò stonata nell’ampia sala; — ti prego di -credere che sto benissimo e che non ho punto -bisogno di riposo.... -</p> - -<p> -— Quando è così, mia cara, — fece lui guardando -l’orologio, — mi pare che faresti bene ad -allestirti. Le signore ci mettono un po’ di tempo... — finì -sorridendo. -</p> - -<p> -La contessa si levò, gli passò davanti senza -guardarlo, e quella vaga figurina bianca scomparve, -come una visione luminosa, sotto l’arco -dell’alta porta, dalla camera vasta e severa. -</p> - -<p> -Alberto affisava il fuoco, immobile. -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -— ...... ebbene, contessa, si va all’assalto di -cotesta grotta ideale? — le chiese con allegra -baldanza il tenentino biondo, che non si era più -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -scostato da lei dopo quella fine di valtzer ballata -intensamente, in silenzio. -</p> - -<p> -— Avanti, <i>en marche</i>! — rispose Letizia -scherzosa, balzando in piedi. -</p> - -<p> -Traversarono la gran sala da ballo, splendente, -gaia d’abbigliamenti in tutte le gradazioni -di rosa come un gran roseto vivente, -ella al braccio di lui, animata, ridanciana, con -uno scintillio negli occhi neri. Non era più -la languida signora che qualche ora prima nascondeva -la testa nei guanciali in atteggiamento -sofferente; nel suo incedere, nei movimenti, nelle -parole aveva un’insolita vivacità. Eppure, una -delle mani sottili e bianche, nascosta ora dal -lunghissimo guanto profumato, brancicava nervosamente -fra le pieghe dell’abito e sgualciva -alquanto l’ideale vaporosità della garza appena -soffusa di color roseo, come un’aurora. -</p> - -<p> -Quel monello di tenente non smetteva intanto -di susurrare tante paroline belle col capo -chino su lei fino a sfiorarle i riccioli, paroline -belle e spiritose, forse, giacchè ella ne rideva -di cuore, crollando la testa vezzosa e distribuendo -saluti e sorrisi alle amiche e ai conoscenti -che incontrava e che la osservavano -con una punta di malizia negli occhi. -</p> - -<p> -— Eccoci nel «regno delle favole» — canterellò -sull’aria del <i>Mefistofele</i> il tenente De’ Falchi, -entrando con la sua compagna, dopo un giro -abbastanza lungo attraverso l’infilata di sale, -sulla terrazza dove non c’era quasi nessuno. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -</p> - -<p> -Una ridente illusione. Una grotta scavata in -qualche blocco enorme di cristallo rosa. La luce -viva, diffusa, dietro le pareti, ne faceva spiccare -il colore e la velata trasparenza. Rosai fioriti -s’arrampicavano qua e là fra i sedili di pietra -nera, e i fili d’argento delle fontane luccicavano -misteriosi nei cespugli verdi, ricascando -con un sommesso mormorio nelle vasche seminascoste -dalle larghe e strane foglie di molli -piante aquatiche. In terra uno spesso tappeto -bianco, vellutato, che in vari punti i pètali -delle rose sfogliate ricoprivano. -</p> - -<p> -Quella luce opacamente rosea, dopo tanto -sfolgorio di arazzi e di festoni, riposava l’occhio -e faceva pensare ad un paese misterioso -di sogni e di pace. Eppure Letizia non si sentì -più tanto padrona di sè come laggiù nelle -sale rumorose, dove aveva risposto coi frizzi e -col sarcasmo brillante alle galanterie del giovane -ufficiale. Le parve che in quel silenzio -tutta la sicurezza, di cui s’era compiaciuta in -segreto, vacillasse, e ne fu seccata. Ma non volle -farlo supporre e si soffermò ammirando. -</p> - -<p> -— Il regno delle favole...! E la regina? — diss’ella -senza nessuna intenzione, ingenuamente, -non dubitando di parer lei davvero l’incarnazione -della bellezza, della gioventù, della poesia, -così graziosa, bianca, delicata nell’abito vaporoso, -stellato di brillanti. De’ Falchi non si lasciò -sfuggire l’occasione per dirglielo e lo fece -con parole così blande e così dolci che parevano -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -carezze. La contessa con piccole mosse comiche -d’esagerata modestia si velava il volto -col ventaglio di trina. Poi, rannuvolandosi in un -subito fra il gioco, ebbe un sospiro. -</p> - -<p> -Anche lui era bello, bello come un giovine -Nume! Anche lui pareva un eroe degli -antichi tempi con la divisa luccicante, la -bionda testa irrequieta, gli occhi vivi, il personale -slanciato. Come era bello così! più bello -nel suo meriggio di giovinezza, che quando, -ancora adolescente, quasi, le aveva parlato d’amore. -</p> - -<p> -La musica che si udiva lontanamente, come -un’eco, aveva ripreso. Un crocchio di persone -che conversavano laggiù si sciolse. La principessa -Montegaudio, passando accanto ai due, ebbe -un’occhiata severa, ma il vecchio generale -ch’era con lei quasi sorrise. Letizia e De’ Falchi -rimanevano soli. -</p> - -<p> -— Ce ne andiamo? — diss’ella con un tono -indolente simulato: e lo trasse con delicatezza -dietro gli altri. Ma il tenentino fece due passi, -poi s’arrestò. -</p> - -<p> -— Guardate prima nel <i>carnet</i>, vi prego! — disse -come se domandasse la proroga d’una sentenza -crudele. -</p> - -<p> -Guardarono insieme, mentre nella fretta del -cercare le loro mani si sfioravano. Non c’era -nessun nome. Egli ebbe un profondo respiro di -sollievo. -</p> - -<p> -— Non importa, non importa, — soggiunse -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -Letizia, che pareva contrariata. — Andiamo in -un altro luogo. -</p> - -<p> -— Dove trovare un luogo più bello per la -vostra bellezza?.... per la mia ammirazione?..... -Io passerei la vita, qui, con voi.... -</p> - -<p> -— Prima di tutto le ho proibito assolutamente -di darmi del <i>voi</i>! — e Letizia gli battè il -ventaglio sulle dita, — damerino incorreggibile... -</p> - -<p> -— Pardon, Contessa! — disse subito De’ Falchi -con una lievissima intonazione ironica. — Ogni -tanto mi dimentico che sei anni sono passati.... -Ho la memoria un po’ logora, vedete..... -in certi casi. E trovandoci insieme ancora, in -questo luogo di sogno io sogno d’avervi ancora -accanto libera, amante, mia.... -</p> - -<p> -Letizia, già presso alla soglia, si fermò ancora, -tornò indietro. No, così non andava proprio. -Darle del <i>voi</i> e rievocare il passato! Erano le -condizioni del loro trattato di pace, queste? Un -ufficiale dell’esercito mancare di parola così! -Vergogna, cento volte vergogna! -</p> - -<p> -Ma De’ Falchi s’impadronì della terribile -manina e la imprigionò sotto il suo braccio -senza staccarne la sua mano. -</p> - -<p> -— Contessa Letizia Farigliano di Roccamare, — cominciò -con quel suo fare tra ardente -e sentimentale e scherzoso, irresistibile per lei, — mi -dica dunque che cosa debbo fare per ottenere -perdono...... Vuole tutte queste rose in -omaggio? Vuole che le dica dei versi, dei bei -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -versi? Una volta le piacevano e mi sgridava -perchè non li sapevo mai... Ora ne so. -</p> - -<p> -La signora ebbe ancora un moto di ribellione, -di sdegno, ma non resistè al suo compagno -che l’allontanava dalla porta d’uscita, stringendole -più forte la mano. -</p> - -<p> -— Senta, — continuò de’ Falchi, — sono versi che -sembrano scritti apposta per lei e sembrano -scritti da me, per dirli adesso. — Poi seguì a -voce un po’ bassa, con appassionata dolcezza: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i02"> Sul viso il tuo respiro caldo m’aleggierà</p> -<p class="i01">Come un profumo; e come una soave musica</p> -<p class="i01">La tua voce divina mi darà pace all’anima</p> -<p class="i01">Accanto a te seduto, ne’ tuoi capelli biondi</p> -<p class="i01">Immergerò la mano, e dei dolci misteri</p> -<p class="i01">Del core io parlerò coi tuoi grand’occhi neri....</p> -</div></div> - -<p> -Lei lo lasciò dire, giocherellando col ventaglio -e facendo un po’ la distratta e un po’ la -disinvolta; in realtà sommergendosi nella melodia -di quei versi, di quella voce, che le avevano -messo nel cuore un palpito violento, stranamente -delizioso. -</p> - -<p> -— Di chi sono? — chiese poi, tanto per non -star zitta, già smarrita. -</p> - -<p> -— Sono d’un giovane poeta e appartengono -a un poemetto, intitolato «La leggenda del -cuore». Vede, anche là nella leggenda sono -soli l’innamorato e la Diva, è in una specie di -paradiso terrestre come questo... Solamente quella -diva era più buona di questa.... si lasciava -anche dare del <i>tu</i>. -</p> - -<p> -La signora levò il capo e non rispose. Era -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -seria, soffriva. Qualche cosa di estremamente violento, -come un incantesimo, la teneva ora là, -muta, ascoltando, mentre il seno seminascosto -dai veli si sollevava frequentemente nel respiro -breve, e la collana di brillanti nel tenue -e ritmico movimento aveva un abbagliante saettio -di raggi e di colori. Passando accanto a un -rosaio ne strappò un fiore e fece per gettarlo -nel bacino d’acqua accanto, ma De’ Falchi le -impedì l’atto. -</p> - -<p> -— Vede se è cattiva? — disse con una brusca -tenerezza. — Che male le ha fatto, per esempio, -quella povera rosa? Lei fa così di tutto, di fiori, -di uomini... -</p> - -<p> -— Io no; è il destino che sfoglia tutto intorno -a me... — mormorò lei quasi piangente. E -sedette sul sedile di pietra nera, l’ultimo sedile, -appartato, nel fondo del poetico ambiente. Era -come in una nicchia di rose: a’ suoi piedi la -fontana; tutto intorno molto verde messo là per -ragione di prospettiva, li isolava. Potevano credersi -in un pianeta ideale. -</p> - -<p> -De’ Falchi le sedette accanto e le cinse la -vita con un braccio. -</p> - -<p> -— Il destino siamo noi, — le disse dolce, -insinuante; — e noi ci ameremo tanto, tanto; -ci ameremo per tutte le ore perdute, per tutte -le ore che mi hai rubato, che mi hai tradito. -Sono io il tuo sposo, e tu sei mia. Nessuno dei -due ha dimenticato, vedi? Nè tu nella pace, nè -io nella tempesta dove cercavo di sommergere -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -l’immagine tua. Sei stata la rovina della mia -vita, tu, Letizia; non m’hai amato abbastanza... -ma ora, quand’anche questo amore dovesse passare -come un turbine sulle nostre esistenze, noi -non ci separeremo più.... -</p> - -<p> -Letizia udì confusamente le ultime parole. -Quell’accento di passione, quello sguardo che -la bruciava, quel soffio che usciva dalle labbra -del giovine a carezzarle la fronte, quel luogo -fantasiosamente bello, tutto, tutto finiva di paralizzarla, -di perderla... -</p> - -<p> -Svincolò dolcemente le mani e si velò il -volto impallidito: «Oh amore dei miei giovani -anni... Oh mio ideale!» gemette l’anima sua, ed -appoggiò esausta la testa fra le rose. Ma la voce -insinuante la perseguitava, le rispondeva all’orecchio: -«Oh, i fini capelli odorosi, la delizia -e il delirio della mia giovinezza.... il mio -tesoro rubato io lo riprenderò!» — E fra le rose, -fra il profumo, ella sentì il suo bacio fra i capelli.... -ma a quel contatto scattò, si riprese improvvisamente, -mentre una nevata di petali rosati -cadeva dai rami bruscamente scossi sul sedile -di pietra nera. -</p> - -<p> -— Oh no, Carlo è troppo tardi, — disse dolorosamente. E -con un’improvvisa energìa si -diresse sola, frettolosa, verso la porta. La musica -cessava allora. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Rientrata in casa non si coricò. Si richiuse -nelle sue stanze congedando la cameriera. Ritta, -nella luce chiara e diffusa del piccolo spogliatoio -parato a colori ridenti, dinanzi allo -specchio alto e stretto che la rifletteva bianca -e bella, così senza gioielli e senza guanti, ella -si scioglieva il vestito lentamente, lasciando errare -gli occhi pensosi fra gli accessorî del suo -abbigliamento gettati qua e là alla rinfusa. E -gli occhi neri, profondamente cupi, si posavano, -senza sguardo, dal ventaglio prezioso di merletto -al fazzolettino di Malines, dal carnet -d’argento ossidato ai lunghi guanti che serbavano -ancora l’impronta delle sue braccia scultorie, -della sua tenue mano; dalla sciarpa di -blonda profumata di violetta che le avvolgeva -il collo, uscendo, all’iridescente splendore dei -brillanti che si ammucchiavano nel cofanetto aperto. -Mentre le scivolava ai piedi l’abito in -una densità gentile di colori, come un nebuloso -piedestallo, Letizia ne trattenne bruscamente -un lembo accendendosi in viso. Nascosto e protetto -da una piega, aveva trovato un petalo di -rosa, fragile avanzo che tenne lungamente -fra le dita convulse, immersa nel ricordo di quel -momento di sgomento e di amore. Poi infilò -una veste da camera, passò nel suo salottino, -s’accertò se gli usci erano ben chiusi e sedette -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -alla scrivania. Scrisse due pagine, senza -interrompersi, alla luce oscillante di un candelabro; -ma incontrando cogli occhi un ritratto, -si gettò indietro nella seggiolina, col respiro -mozzo, le tempie umide di sudore gelato. -Cacciò il ritratto in un cassetto e si rimise a -scrivere, poi rallentò, posò la penna, e mise il -volto nelle mani. Perchè le venivano quelle -idee adesso? Suo marito dormiva inconscio....... -forse non aveva neanche osservato Carlo De’ -Falchi fra la folla; certo non lo conosceva, -ed ignorava l’idillio fuggitivo della sua primavera..... -Riprese la penna; lo stianto d’un mobile -la fece balzare in piedi nascondendo il foglio -vivacemente..... poi si rassicurò dandosi -della grulla. Gli usci erano chiusi, la casa addormentata -in un fitto silenzio. Chi poteva immaginare -ch’essa vegliava scrivendo delle lettere -d’amore? -</p> - -<p> -.... E <i>lui</i>? Che faceva <i>lui</i> a quell’ora? Sognava -la sua diva dai fini capelli odorosi?.... -Ah, se avessero detto alla poveretta dove e come -<i>lui</i> finiva la notte..... -</p> - -<p> -«Ancora pochi giorni, scriveva, poi saremo -liberi di vederci quando ne abbiamo voglia, senza -timori, senza sorveglianze.... Il mondo? Che importa -a noi del mondo? Ci amiamo, il mondo -siamo noi! Era destinato così....» E ripensando -a quelle parole ardenti, s’interrompeva fremendo -ancora d’emozione. Nessuno le aveva parlato -mai così appassionatamente, con quella -<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span> -veemenza pazza ed inebriante; nessuno! Alberto? -Oh, Alberto così freddo, così severo, così -compassato, preoccupato solamente delle convenienze, -semplicemente deferente e cortese con -lei, senza scatti, senza entusiasmi per la sua bellezza, -Alberto che la riguardava come un oggettino -d’arte raro e fragile di sua proprietà — bisognava -pur dirlo — non sapeva amare! O -forse non l’amava, non l’aveva mai amata! -«Forse anche m’inganna, forse ha un’amante», -concluse Letizia; e nell’eccitamento di nervi -in cui si trovava, si ripetè che allora essa poteva -ben riamare chi l’adorava; che era nel suo -diritto!.... Ma queste teorie che volevano pur -convincerla ondeggiavano confusamente nella -sua povera mente smarrita e non acquetavano -le piccole serpi che la mordevano al cuore.... -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -— Letizia, — disse suo marito entrando il -pomeriggio seguente nel salottino profumato, — ti -porto una vecchia conoscenza. Il marchese -Carlo De’ Falchi che mi dice di averti conosciuta -da signorina e che ieri sera mi si rivelò -come il fratello di un mio carissimo amico di -collegio, morto. Ecco due titoli che gli danno -diritto alla nostra amicizia. -</p> - -<p> -De’ Falchi, che seguiva Alberto, si inchinò -ossequiosamente alla contessa; ed ella, sollevandosi -un poco, tutta bianca nel viso, gli tese la -<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span> -mano senza parlare. Aveva un abito di raso -nero molto semplice, un gioiello antico al collo, -una rosa alla cintura; abbigliamento severo che -le dava una grazia tranquilla e dignitosa. Egli -però la preferiva come la sera prima, con le -spalle e le braccia nude, rosate, fra la sfumata -trasparenza dei veli; ma si guardò bene dal -lasciarlo apparire in quello sguardo balenante -che le gettò attraverso il viso come un bacio -rovente. -</p> - -<p> -La giovane contessa era sul punto di tradirsi: -nascose le mani tremanti; ma il sangue -le pulsava violentemente al cuore, le ronzava -negli orecchi. Cinque minuti prima avrebbe -dato dieci anni di vita per rivederlo, -ma non così, non in presenza di suo marito, -non terzo nella loro intimità. Perchè non aveva -aspettato, benedetto ragazzo? Ma era possibile -che avesse tanto impero su se stesso da non -svelare mai, nè con uno sguardo, nè con una -parola imprudente, il loro segreto? Non doveva -sentirsi ribollire il sangue alla vista di quell’uomo -che la possedeva? Non doveva avvampare -di sdegno, di gelosia, di amore, udendolo -parlarle famigliarmente — entrando nella casa -in cui vivevano in comune — dove <i>doveva</i> sentire -l’eco dei loro baci?.... E come queste passioni -tumultuanti non lo avrebbero perduto? -E allora cosa accadrebbe tra quei due uomini?... -Questo l’ingenua contessa si chiese angosciosamente. -Ma De’ Falchi fino dalle prime frasi mostrò -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -una disinvoltura, una calma, una naturalezza -invidiabili. Fu cordiale ed espansivo verso Alberto; -gentile e rispettoso con lei, e non un momento -lasciò languire il dialogo. Fece con arguzia la -rassegna della festa; parlò d’un romanzo francese -che faceva il giro dei salotti, dell’equipaggio -nuovo del duca d’Arce, di un ritratto all’antica -fatto dal celebre ed estroso Fides alla principessa -Montegaudio, di un matrimonio dell’aristocrazia, -di una acconciatura della Regina. -</p> - -<p> -Letizia lo guardava fissamente ascoltando, e -taceva. Quella disinvoltura dileguava le sue paurose -fantasticherie, sì, ma vi lasciava un fondo -di tristezza e di dolore. Taceva. -</p> - -<p> -De’ Falchi chiese a un punto se la signora -contessa fosse sofferente. -</p> - -<p> -— Sì, — diss’ella bruscamente, — soffro... — Ma -la voce le morì nell’incontrare gli occhi di -suo marito che le parve volessero scrutarle nell’anima. -</p> - -<p> -— Soffri? È naturale, — osservò Alberto con -perfetta calma. — Anche ieri non ti sentivi punto -bene. Dovevi prevedere le conseguenze di un -ballo nelle tue condizioni di debolezza e di -squilibrio nervoso. -</p> - -<p> -La contessa si arrovesciò lentamente nella -poltrona abbassando gli occhi a passarsi in rivista -le unghie opaline. Uno sgomento strano -le aveva stretto il cuore a quelle parole, di cui -credette afferrare un secondo significato noto -a lei sola. Si sentiva morire. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -</p> - -<p> -— Sarebbe un quadro antico questo? — chiese -improvvisamente l’ufficiale levandosi a -osservare un ritratto fiammingo appeso alla parete. -</p> - -<p> -— Si, un <i>Van Dick</i>, — rispose il conte -alzando alquanto le tendine della finestra. La -luce chiara battè loro sul viso e li circonfuse. -Alberto, alto, bello, nobile, con le mosse e l’aspetto -principeschi; De’ Falchi molto meno -attraente della sera innanzi, al chiarore del giorno -che gli metteva in evidenza le rughe precoci -sul volto scialbo ed avvizzito; le occhiaie -livide che gli cerchiavano gli occhi gonfi, senza -splendore. La giovine signora lesse in pochi -minuti su quel viso tutta la storia d’una bassa -vita corrotta, poichè un senso di fredda ragionevolezza -le era filtrato nel cuore. Perchè? da -quando? Lo ignorava; ma in quei pochi minuti -sentì che si risvegliava dal suo splendido sogno, -senza scosse, senza spavento; ma si risvegliava, -irreparabilmente. -</p> - -<p> -— Eccellente, eccellente, e conservato, poi! -</p> - -<p> -Nell’ammirare, de’ Falchi colse un momento -favorevole per sussurrare a Letizia: Scrivetemi! -Poi si congedò, inchinandosi e salutandola militarmente -con gli occhi ridenti che lo tradivano. -La contessa ebbe appena la forza di fare -un cenno col capo, e quando furono usciti, suo -marito e lui, s’abbandonò ad un pianto convulso -tutto scosse e sussulti, un pianto lungamente -represso che prorompeva disperato e -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -violento. Era l’addio ad una larva del passato, -era rimorso del sogno, era vergogna di quella -realtà prosaica piena d’ipocrisia e di viltà. Oh! -il suo vaneggiare di quei due giorni! il vaneggiare -dolce e doloroso! la lotta per difendere -l’invasione del proprio cuore! il turbamento -sfumato in languore soave nel sentirlo cedere -a poco a poco a quell’onda di passione rinascente -che le offuscava la ragione.... quella pagina -d’amore fra le rose, la lunga lettera folle, -scritta e non inviata, i rimorsi soffocati dal ricordo -di quella stretta e di quel bacio, la fisima -di un amore purificatore, sublime, che dovrebbe -redimere l’amato e fargli ricominciare -la vita per lei.... che rimaneva di questo?... -</p> - -<p> -Il prisma scintillante e variopinto era ridivenuto -un vetro volgare. Ella sarebbe divenuta -l’amante di quell’ufficiale di cavalleria che conquistava -con un astuto opportunismo il cuore -di suo marito per poterla corteggiare a suo comodo: -sarebbe vissuta dividendosi prosaicamente -fra quei due uomini, menando una triste vita -di finzioni, di lotte, di rodimenti, di bassezze; -tormentata dalla memoria de’ suoi anni di vita -illibata e serena per guadagnarsi infine lo sprezzo -e l’abbandono dell’uomo al quale faceva il -sacrifizio della sua dignità. Tale fu la tetra visione -che la sua anima onesta e candida intravide -in un lampo di cruda luce e dalla quale -rifuggì inorridita e salva. Era guarita, lasciando -brani di sè al ferro e al fuoco; ma che importa? -Era guarita. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -</p> - -<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p> - -<p> -Dovette mettersi in letto, affranta. La sua -delicata fibra di donna fu la sola parte di lei -sconfitta nella terribile prova. Ebbe una lunga -e acuta crisi di nervi, poi nel meriggio seguente -migliorò e volle alzarsi. Ma era ancora così debole -che fu obbligata a lasciarsi andar subito -sulla <i>chaise-longue</i> per appoggiare la testa indolenzita. -Di là guardava intorno tranquillamente -coi grand’occhi cerchiati di nero, occhi innocenti -e mesti di bimba malata, come se -rivedesse dopo un lungo e pericoloso viaggio -quelle pareti del suo santuario d’affetti e di ricordi. -Frattanto una gran pace, una dolce pace -succedeva alla dilaniante agitazione di poche -ore prima; una pace feconda di buoni propositi -che si lasciavano dietro un profumo di -fiori che sbocciano sotto un sole caldo e luminoso. -E carezzava tutto intorno con lo sguardo -quel nido tepido di raso e trine; accarezzava -la poltroncina dove Alberto era solito sedersi, -dove lo aveva veduto anche in quelle dodici ore -di strazio, con la faccia pallida, senza respiro, -senza movimento se non per accostarsele a farle -odorar l’etere, o rinnovarle il ghiaccio, o darle -qualche sorso di cognac, carezzando con la bella -mano aristocratica quelle di lei brancicanti fra -le coltri.... Vedeva il cofano scolpito, custode -dei suoi gentili ricordi di infanzia e di adolescenza, -<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span> -dello spensierato tempo lontano che raggiava -mitemente in una luce rosata e nebulosa, -a cui ella volgeva l’occhio sempre intenerito. -Aveva conservato un ricordo di tutto: -dei giorni di palpiti, di speranze, d’angoscie, -di lutto, di solitudine, di esultanza; poi le giornate -gioiose piene di canti e di fiori della fidanzata, -lieto poema terminato da un giorno -di smarrimento che era passato lasciando nello -stipo un fascio di fiori d’arancio e un lungo -velo bianco. Poi venivano i mobili e le pareti -ingombre di gingilli ognuno dei quali le rammentava -un’attenzione delicata del suo compagno, -una frase affettuosa, un bacio, un anniversario -dolce, tutta la storia del presente -ricco d’amore, d’amore vero, refrigerante e sicuro, -ch’era idolatria e protezione ad un tempo. -E là, dirimpetto, i grandi ritratti de’ suoi -morti che la guardavano fiso, cogli occhi animati -da una così strana luce di tenerezza e di -malinconia che le fece mormorare cento volte: -Perdono, perdono, perdono.... -</p> - -<p> -Infine si levò, risoluta, calma, seria, come -se stesse per compiere un dovere od obbedisse -ad una ispirazione superiore; e scrisse poche -righe su un cartoncino liscio, con la sua elegante -calligrafia di signora: -</p> - -<p> -«Credete a me, Carlo, è meglio che non -ci rivediamo mai più. Ho dei gusti borghesi, -compatitemi! preferisco rimanere semplicemente -una donna onesta che diventare la -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -Diva di qualche leggenda. Addio. — Letizia. -</p> - -<p> -Chiuse il cartoncino in una busta con l’indirizzo -e la fece impostare subito dalla cameriera. -Poi tornò a fissar gli occhi de’ suoi morti. -</p> - -<p> -Quando si riscosse, il sole sul tramonto lambiva -le trine del soave nido serico e una nota -voce risuonava nell’anticamera. La contessa si -avvicinò allo specchio e si ricompose i capelli. -</p> - -<p> -Suo marito entrò soffermandosi sulla soglia. -</p> - -<p> -— Già levata? brava! ti senti dunque meglio? — e -mosse verso di lei premuroso, un po’ triste. -</p> - -<p> -— Guarita, Alberto, guarita! — Letizia ebbe -un impercettibile sorriso sibillino. Poi gli -mise lentamente le braccia al collo e gli nascose -la testa sul petto, contro il cuore. -</p> - -<p> -— Dì, Alberto, — susurrò, — mi perdoni le -mie bizze, la mia musoneria? hai veduto? non -stavo bene, erano i nervi... -</p> - -<p> -— Già i nervi, quei benedetti nervi... — Alberto -le carezzava adagio i capelli, ninnandola -come una bimba. -</p> - -<p> -Erano nella spera di sole che traversava obliquamente -la stanza e s’insinuava nel letto, -fra le cortine: Letizia rialzando la leggiadra -testa la ebbe tutta intrisa d’un oro ardente. -</p> - -<p> -— Dimmi, Alberto, quando parti? — gli -chiese con risolutezza. -</p> - -<p> -Egli esitò un istante. -</p> - -<p> -— Ma... dissi lunedì, e lunedì è dopodomani. -Avresti qualche cosa in contrario? Mi dispiacerebbe -perchè non posso differire... -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -</p> - -<p> -— .... io no, anzi... — rispose lei tutta rossa e -palpitante; — gli è che.... volevo saperlo.... te -l’ho domandato, — aggiunse rapidamente — perchè -vorrei venir con te! Oh, Alberto, portami -via con te! -</p> - -<p> -Gli ricadde sul cuore tutta commossa. Alberto -rimase un minuto in silenzio, immobile; -poi il signore serio, rigido, sempre dignitoso e -corretto la strinse fra le braccia con uno slancio -di giovane innamorato ripetendo a voce -bassissima: -</p> - -<p> -— Sii benedetta; grazie, grazie.... -</p> - -<p> -Ma, di colpo, le prese tutte due le mani, obbligandola -a rimanere là dritta dinanzi a lui -come dinanzi a un giudice. I suoi lineamenti -avevano assunto adesso un’espressione autorevole, -severa, quasi di durezza. -</p> - -<p> -— Hai scelto dunque? — le disse lentamente, -fissandola negli occhi. — Non te ne pentirai? -</p> - -<p> -— Ah, Alberto! — Era un grido di dolore, -ma Letizia sostenne quello sguardo risoluta, orgogliosa. -</p> - -<p> -— No? — continuò lui scosso più che non -lo volesse parere; — no, proprio? Ebbene, sono -contento, Letizia, perchè è quello che mi aspettava -da te. Poichè, vedi, — seguitò freddamente, — avendo -la coscienza di valere di più, -ho voluto che tu ci vedessi accanto, per paragonare, -per sce... -</p> - -<p> -— Oh no, per pietà, Alberto, non la ridire -l’orrenda parola! — gridò lei svincolando le mani -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -per posargliele sulla bocca. — Mi crederai se ti -dico che fu un sogno? solamente un sogno della -mente malata? un breve sogno di cui ho rimorso, -ma di cui non debbo arrossire? Che sono -ancora degna di te, della tua stima, del tuo -amore, del tuo nome.... Mi credi? -</p> - -<p> -Alberto la guardò negli occhi neri che raggiavano. -</p> - -<p> -— Ti credo, — disse semplicemente. -</p> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -</p> - -<h2 id="dellago">La gloria dell’ago.</h2> -</div> - -<div class="poem-container-right"> -<div class="poem inl"><div class="stanza"> -<p class="i01">Quasi vil donna che ’l cor d’ozio ha vago</p> -<p class="i02"> E sol adopri la conocchia e l’ago.</p> -<p class="i09"> <span class="smcap">Tasso</span>, <i>Rinaldo</i>.</p> -</div></div> -</div> - -<p> -Uscite dall’ombra, o aghi umili, buoni. Uscite -senza ritrosia; è il quarto d’ora della riabilitazione, -il quarto d’ora del trionfo. -</p> - -<p> -Ecco, giungono. I primi adescati sono i meno -modesti: gli aghi aristocratici che luccicano -come minuzzoli di raggi siderali sulla felpa degli -astucci, sul raso delle cestelline adorne, in -cui trascinano le giornate, oziando, col loro strascico -di fili di seta multicolore, sospinti di -quando in quando da un ditale d’avorio o d’argento, -fra la severità d’un artistico ricamo che -palpita alla brezza marina, o ride ai riflessi del -sole che s’infiltra tra il verde d’un ramo, o -s’immalinconisce nella penombra d’un salotto, -stiracchiato da una mano fine, nervosa, durante -una visita importuna. Poi arriva la -gran moltitudine degli aghi borghesi: aghi solidi, -utili, infilati semplicemente di bianco o di -nero, gli aghi più attivi, affacendati sempre, -sempre pronti ad ogni sorta di lavoro, un esercito -<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span> -di carità che veglia e provvede dalle -vedette d’avorio, di legno, di metallo, in cui -li relegano, a gruppi, mani frettolose e sapienti. -Questi sono gli aghi d’esperienza, poichè della -vita conoscono le lotte, i trionfi, le gioie, gli -sconforti, i palpiti, i sogni, le miserie, le follie. -Quante cose hanno da raccontarsi, quando si -trovano in crocchio a vegliare negli agorai! Uno -è passato fra le trine d’una bianca veste di -sposa, un altro fra il crespo d’un abito di lutto, -un terzo in una cuffietta di neonato, un quarto -è andato a rischio di spezzarsi tra la paglia del -cappellino d’una signorina capricciosa, un quinto -ha svegliato con una puntura la giovine cucitrice, -stanca e illanguidita, un sesto ha fatto -la spola cento volte fra un tovagliolo logoro -d’una vecchietta avara; il suo vicino invece è -ancora indolenzito a furia di rattoppar calzine -d’ogni dimensione. Un altro ancora s’è bagnato -delle lacrime d’una sposina negletta, un altro -non ha fatto che..... disfar punti sbagliati fra -dita abbandonate a loro stesse dalla mente assorta -in una fantasticheria, o intenta a sugger -parole dolci da una voce virile, armoniosa....... -Oh, aghi, anche galeotti, dunque, qualche volta -siete voi?!... -</p> - -<p> -Vengono, robusti, giganti, gli aghi rustici -che rappezzano i sacchi e le camicie dell’alpigiana -e scendono con lei in città, quando diventa -balia in qualche bel palazzo, a ricordarle -quell’ultima sera dei suoi monti, allorchè agucchiava -<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span> -cogli occhi velati e il cuore gonfio accanto -alla culla del suo figliuolino; o quell’altro -giorno ancor più lontano, quando un ago -simile si spezzò al bacio improvviso d’un giovane -coscritto a lungo aspettato. Sono aghi ingenui, -inoffensivi, che hanno in sè una poesia -fresca e sana e tutta la purezza dell’infanzia -che li predilige, tutta l’ignoranza beatamente -grottesca delle bambole e dei burattini. -</p> - -<p> -Ecco gli aghi scolastici in una minuziosa -scala di proporzioni; aghi silenziosi, discreti, -affaticati, qualche volta crudeli, disamorati sempre, -poichè, meno qualche onorevole eccezione, -si nascondono, sfuggono, si spezzano anche volentieri, -pur di sfuggire alla tirannia di quelle -ore fisse di ginnastica educatica. Ecco, accanto, -gli aghi del chiostro, muti, eterni, suffusi di -luccicori lustrali, e la scarsa falange degli aghi -maschili dai movimenti bruschi, ineleganti, -gli aghi dei tappezzieri e dei soldati, e gli aghi -degli ospedali, aghi malinconici, addolorati, -benefici, riparatori, «<i>Prima di trista e poi -di buona mancia</i>,» come la lancia del divo Achille, -poichè oltre ciò, voi, aghi, sapete anche -punire una mano temeraria e puntare all’occhiello -un fiore desiderato.... Oh, aghi, aghi, -chi vi canterà degnamente? Come rendere tutto -il germogliare di sensazioni, il disegnarsi di -miraggi che si levano, al pensiero di voi, nel -mio cuore? Aghi buoni, umili, filosofici, saggi -compagni e testimoni eloquenti della vita muliebre, -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -consiglieri di pace, confidenti di tanti -nostri sogni ingenui, folli, mesti, a cui parete -rispondere con una parola di ritmo pacato, pieno -di senno, balenando assidui tra la piega dell’orlo, -o coi ridenti rabeschi che si tramano sul -canovaccio come rispecchiando in un lago tranquillo -le chimère splendide e vane dei poveri -cervelli femminili. Aghi, aghi, che sapete tante -cose che gli altri non sanno, tanti palpiti repressi, -tante angoscie velate sotto una calma -fittizia, tante fissazioni opprimenti del pensiero -assorto da un punto luminoso di faro, tanti dubbi -tremendi, tante supposizioni false che dànno la -voluttà del martirio, tante ore d’attesa, oh quante! -le lunghe, pazienti, logoranti attese femminili -a cui è compagno il lavoro, ore d’un supplizio -minuto, crudele, continuato, che l’uomo -non sa. -</p> - -<p> -Oh, aghi snelli, rilucenti, dai miti riflessi -di luna, antichi maestri di pazienza, quanto meglio -sarebbe ascoltar voi qualche volta, quando -pacificamente incrociati sul lavoro che attende, -pare ci consigliate di non legger quei versi, di -non scrivere quella lettera, di non uscire a -quella passeggiata; quando con la soddisfazione -intima e schietta che viene da voi, ci adescate -alle dolcezze dei semplici, dei felici che non -conoscono il faticoso errare nei campi stellati -e dolorosi dell’arte, del pensiero! Meglio, si, meglio -l’umile agucchiare che il soave e velenoso -intenerirsi ai casi di Lancillotto; meglio l’ago, -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -che la penna. E noi torneremo all’antico; agucchieremo. -Là è un regno tutto nostro di -pace feconda, come la terra beata dell’ultimo -sogno di Faust; là, finora, nessuno ci giudica, -nessuno ci motteggia, nessuno ci sferza. L’ago -pesa meno della penna alle nostre mani delicate -e.... conclude di più. -</p> - -<p> -<i>Ave</i>, dunque, ago, fortezza, difesa, e gloria -nostra! -</p> - -<p class="pad2 center large"> -<span class="smcap">Fine.</span> -</p> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td>Forte come l’Amore</td> <td class="pag"><a href="#forte">Pag. 1</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#romanze">75</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Natale Romantico</td> <td class="pag"><a href="#natale">78</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Natale Classico</td> <td class="pag"><a href="#classico">86</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Il poema dei bambini</td> <td class="pag"><a href="#bambini">97</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Treccia bionda</td> <td class="pag"><a href="#treccia">101</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#senzap">112</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Pasqua triste</td> <td class="pag"><a href="#pasqua">116</a></td> - </tr> - <tr> - <td>La scarpina di Cenerentola</td> <td class="pag"><a href="#cenerentola">122</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#parole">182</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Crisantèmi</td> <td class="pag"><a href="#crisantemi">140</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Dietro le scene</td> <td class="pag"><a href="#scene">150</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Mammole</td> <td class="pag"><a href="#mammole">157</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#romze">165</a></td> - </tr> - <tr> - <td>Ultimi bagliori</td> <td class="pag"><a href="#bagliori">170</a></td> - </tr> - <tr> - <td>La gloria dell’ago</td> <td class="pag"><a href="#dellago">197</a></td> - </tr> -</table> -<hr /> - -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div lang='en' xml:lang='en'> -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>IL LIBRO DEI MIRAGGI</span> ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin:0.83em 0; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE<br /> -<span style='font-size:smaller'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE<br /> -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</span> -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. 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If any disclaimer or limitation set forth in this agreement -violates the law of the state applicable to this agreement, the -agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or -limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or -unenforceability of any provision of this agreement shall not void the -remaining provisions. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.F.6. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. 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Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. 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