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-The Project Gutenberg eBook of Il libro dei miraggi, by Maria
-Majocchi Plattis
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: Il libro dei miraggi
-
-Author: Maria Majocchi Plattis
-
-Release Date: March 4, 2022 [eBook #67559]
-
-Language: Italian
-
-Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team
- at http://www.pgdp.net (This file was produced from images
- made available by The Internet Archive)
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO DEI MIRAGGI ***
-
-
- JOLANDA
-
-
- Il Libro
-
- DEI MIRAGGI
-
-
-
- ROCCA S. CASCIANO
- LICINIO CAPPELLI EDITORE
- 1894
-
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- Proprietà letteraria
-
- Rocca S. Casciano Stab. Tip. Cappelli.
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- _Al principe Aprile_
- _la Dama d’Autunno_
-
- _Dal Regno delle favole, 1894._
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-Forte come l’Amore
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-Clotilde entrò un poco sbadatamente, cantando, nel salotto terreno
-della villetta dove accanto alla nonna che raccomodava il bucato, suo
-fratello declamava con molto fervore, leggendo. C’era anche il loro
-vicino, l’avvocato Dardanelli.
-
-— Ssss! — le fece questi con un’energia così brusca che la inchiodò
-sulla soglia, muta, sorpresa. Ma Roberto aveva già lasciato ricascare
-sulle ginocchia le mani, che reggevano il manoscritto, in atto di
-scoraggiamento.
-
-— Quella sgarbataggine... — cominciò a rimproverare seccamente la
-nonna, levando la testa piccina e ossuta dall’enorme lenzuolo che la
-seppelliva ammonticchiandosi su una sedia di contro. E dopo un momento
-di silenzio generale disse a Roberto, guardandolo attraverso gli
-occhiali amorosamente: — Continua.
-
-— No, è inutile, — mormorò il giovane con languore annoiato; — già a me
-quella spensieratezza ignorante mi fa sempre l’effetto di una secchia
-d’acqua sul capo. — E corrugò le sopracciglia, passandosi una mano
-fra i capelli biondi e fluenti, come se la secchia lo avesse inaffiato
-davvero. — Io son fatto così, che vuole? — riprese sorridendo a fior
-di labbra all’avvocato e alla nonna che lo guardavano costernati; —
-un nonnulla, in certi momenti di emozione artistica intensa, basta a
-smontarmi, a prostrarmi per chi sa quanto... — E dopo un guizzo nervoso
-piegò il manoscritto dispettosamente e si levò.
-
-— Questi poeti moderni sono pile di Volta, — osservò blandendo
-l’avvocato, mentre la nonna continuava a fissar Roberto con un po’
-d’inquietudine.
-
-— Se avessi immaginato, — entrò a dire la ragazza punto intimidita, —
-non sarei certo comparsa e, se volete, me ne vado...
-
-Roberto fece una mossaccia ed uscì.
-
-— Ci siamo! — sbuffò la vecchina. — Tu, cara Clotilde, fai e dici
-sempre delle sciocchezze. Mi pare che oramai dovresti conoscere tuo
-fratello. Già, non c’è rimedio, ci vogliono dei riguardi... Quella
-gente là non è come noi, è fatta ad un altro modo, vive in tutt’altro
-mondo. Con tutte quelle idee nel cervello, sfido io! E pur troppo in
-ogni tempo e in ogni luogo ci fu e c’è qualcuno che li disconosce,
-che li deride... Pare impossibile! Roberto, che, per buona sorte, è
-cresciuto in un ambiente dove tutti lo apprezzano e lo ammirano, deve
-aver per sorella quella monellaccia là che non capisce niente....
-
-Clotilde non sorrise e continuò a tagliarsi le unghie con le forbici
-della nonna, ritta in faccia a lei, contro lo stipite della porta
-che s’apriva sul giardino, più seccata dalla presenza e dagli sguardi
-dell’avvocato, che dalla ramanzina della signora Rita. Gli occhi di
-Dardanelli, tondi, piccoli, bruni, maliziosi nel faccione paffuto,
-quegli occhi impuri che parevano denudarle corpo e anima, la urtavano
-terribilmente. Quindi con bel garbo gli voltò le spalle, borbottando
-più per disimpegno che per altro: — Roberto _posa_, nonna mia...
-
-— Sentite chi parla di _pose_! — esclamò la nonna con un atto di
-desolata meraviglia. — Chi parla di _pose_! L’ha intesa, avvocato? Lei
-che fa la donna emancipata a quel modo! Lei che ha suscitato un mezzo
-scandalo con la fissazione di quegli studii... Zitta, zitta per carità!
-
-Clotilde sorrise, questa volta, continuando a rimaner voltata in là
-a capo chino. Intanto l’avvocato mangiava cogli occhi quelle spalle
-svelte, quella vita sottile, tutto quel bel corpo giovanile e fiorente
-costretto nell’abito nero da cui usciva libero e nudo il collo fresco,
-velato di capelli biondicci sfuggenti al voluminoso nodo fissato con
-uno spillo d’argento sulla sommità del capo.
-
-— Va là col tuo tanfo d’acido fenico — brontolò la nonna con disgusto.
-— Non mi ci avvezzerò mai.
-
-Clotilde scese il gradino di pietra e fece qualche passo nel giardino
-verde, fiorito, odoroso. Era un tramonto di primavera, roseo, diffuso,
-come un’aurora. Ma la nonna la richiamò quasi subito, ed ella dovè
-voltarsi, tornare indietro. L’avvocato la guardava avvicinarsi lenta,
-a capo chino, occupata sempre delle sue unghie, spiccando nettamente
-nella limpidità dell’aria; un ultimo raggio d’oro rosso le ravvivava il
-biondo scuro dei capelli. Si fermò a piè dello scalino senza sollevare
-il viso nè gli occhi; era assai pallida, sbattuta, e le lentiggini
-della sua pelle fina apparivano tutte su su fino nella fronte, che i
-capelli rialzati alla giapponese lasciavano scoperta.
-
-— Signora medichessa, faccia il piacere di terminare quest’orlo intanto
-— disse più ironica che scherzosa la nonna cedendole il suo posto
-accanto alla finestra, e uscì.
-
-La ragazza sedette un tantino soprapensieri e si tirò metà del lenzuolo
-sulle ginocchia. Poi si avvide di esser troppo vicina all’avvocato e
-con un moto quasi di ripugnanza ritrasse la scranna fin sull’estremo
-dello scalino di pietra.
-
-— Perchè s’allontana? — le chiese Dardanelli con la sua voce fessa e
-nasale che aveva una intonazione di dolcezza.
-
-— Cerco la luce, non lo sa che sono miope? — e il volto di Clotilde si
-colorì leggermente, fuggevolmente.
-
-— Non sarebbe una qualità per una medichessa, — seguitò l’avvocato,
-accostando ancora la sua sedia a quella di lei.
-
-— Non mi chiami così, la prego! — Ell’era quasi supplichevole. — Peno
-abbastanza a sopportare tutti i giorni le canzonature stizzose della
-nonna e le smorfie sprezzanti di Roberto, senza contare tutta la
-buona gente che scandalizzo e che mi regala le sue meraviglie, le sue
-disapprovazioni, i suoi consigli... Come se non sapessi ancora ciò che
-faccio, come se fosse peccato... — La sua voce oscillava. — E anche sua
-moglie, sa, anche lei...
-
-— Oh lasci stare mia moglie; è una grulla — s’affrettò a dire
-Dardanelli, che le alitava il suo fiato caldo sul viso. — La nonna
-è una vecchina all’antica. Roberto è tanto nelle nuvole... A me
-invece piace che le donne, quando sono belle come lei, s’emancipino
-così. Se ci saranno molte medichesse come lei, vedremo i medici in
-liquidazione... e gli ammalati maschi in aumento — finì sorridendo.
-
-Clotilde sentì l’offesa e fece spalluccie. Dardanelli le sfiorava la
-persona col suo corpo obeso. — Io ammalerò di certo... Se ammalerò
-verrà a curarmi? — le chiese ancora con la sua vocetta che si
-stemperava nella tenerezza.
-
-— Io no. Mi dedico alle malattie delle donne e dei bambini, lo sa
-pure... — cominciò lei, ruvida; ma s’interruppe con un sussulto. Il
-braccio di Dardanelli le allacciava la vita.
-
-— Impazzisce? — gridò Clotilde indignata, ribellandosi; — impazzisce?
-— E siccome l’avvocato la stringeva più forte, essa con l’ago gli punse
-la mano, violentemente.
-
-Dardanelli si ritirò subito con un moto frettoloso e grottesco,
-soffocando un’esclamazione di dolore. — Quanto male mi ha fatto!... —
-mormorò poi, occupandosi della puntura con quell’importanza esagerata e
-quell’inquietudine propria del sesso forte per le ferite di questa arma
-esclusivamente femminile, un’arma da silfo, fatta d’un minuzzolo di
-raggio siderale: — Guardi quanto sangue! lei che doveva guarirmi...
-
-— Ho imparato che si guarisce anche facendo del male, — ribattè la
-ragazza, rude, andandosene. — Si badi; — è un saggio.
-
-Ella non sapeva d’esser tanto indovina dicendo queste parole.
-
- *
- * *
-
-A notte alta, Clotilde, vegliava sola nella sua camera. La lucernina
-a petrolio, velata d’un bianco perlaceo, pioveva una luce chiara
-e tranquilla sulla giovine testa bionda china sul libro, e si
-diffondeva mite a lambire le pareti grigie a mazzi di rose. Nel
-fondo biancheggiava un letto stretto, monacale, su cui era un gran
-quadro di cui si vedeva soltanto rilucere la cornice. Un altro quadro
-stava appeso nell’angolo dov’era il tavolino di Clotilde, tra le due
-finestre: il ritratto a olio d’una donna giovine vestita di velluto
-nero con un piccolo collare di trina.
-
-All’abito austero, alla posa rigida e convenzionale faceva contrasto
-il volto quasi infantile, dall’espressione dolcissima e dallo sguardo
-amoroso rivolto verso la fanciulla con quel non so che di mesto, di
-stanco, di assorto, che hanno i ritratti dei morti non dimenticati. E
-sulla fanciulla, che studiava assidua, protetta da quello sguardo, fra
-i cortinaggi di velo delle finestre, alti e candidi come ali, nella
-solitudine feconda di quelle pareti gaie e silenti, parevano scendere
-benedizioni.
-
-Sul tavolino, fra l’aridità dei libri di scienza, dei trattati
-di patologia e di farmacologia, dei cartolari, delle boccette
-d’inchiostro, la nota delicata, femminile: un mazzolino di viole e un
-ramo di biancospino in un bicchiere.
-
-Clotilde leggeva, segnando in margine qualche periodo o qualche
-parola colla matita che si picchiettava poi sui denti stretti con un
-movimentino che pareva distrazione, ma che in lei caratterizzava il
-massimo dell’occupazione del pensiero in qualche cosa. Le viole e il
-biancospino odoravano forte sotto il calore del lume che li avvizziva;
-in lontananza, nella campagna, un cane abbaiava con insistenza noiosa
-e s’udiva fioco e continuo il gracidare delle rane. A lungo la testa
-bionda giovanile rimase china sui libri e sui quaderni di appunti; a
-lungo la lucernina diffuse luce e tepore nel silenzio che, inoltrando
-la notte, pare addensarsi sempre più come un velario invisibile e
-isolatore, intorno a chi veglia nelle case addormentate; Clotilde non
-ebbe uno sbadiglio nè un atto di stanchezza. Quando guardò l’orologio
-nascosto nella cintura, fece un atto incredulo di stupore. Erano le
-tre.
-
-Possibile! le tre? quasi cinque ore di studio continuo sfumate in un
-baleno! Era proprio una vera passione la sua, oh si! tanto forte da
-raccogliervi intorno tutta la sua giovinezza rigogliosa, fiorita di
-sogni. Sogni strani, d’una purezza immacolata, un po’ livida, un po’
-mesta, un po’ fredda, come ogni grandiosità: imprese, uomini, cose.
-_Pace summa tenent_ era il motto che aveva scelto: pace, ma non quella
-di morte! La morte essa l’avrebbe combattuta, accanitamente, con tutte
-le forze del suo ingegno e della sua vita, l’avrebbe vinta, incatenata,
-fugata sventolando il vessillo della scienza in cui credeva con la fede
-ardente e cieca di una neofita; a cui benediva come ad un ideale di
-verità e di bellezza; a cui tendeva le braccia come alla felicità.
-
-Forse l’avrebbe trovata, lei, la felicità. L’avrebbe trovata in quel
-romitaggio splendido e austero dove sono così pochi gli eletti, così
-pochi quelli che vi ascendono, molto amando! La gloria, una posizione
-rispettabile, l’interesse materiale, ecco, — pensava Clotilde, —
-l’esca di quasi tutti i giovani studenti di medicina; ed anche quelli
-che hanno la vocazione vera, viva, sincera, sfrondano così presto i
-loro begli entusiasmi! perdono così presto la loro fede gioconda! —
-Ebbene, lei no: lo sentiva. Aveva un tesoro di volontà tenace e di
-amorevolezza; queste doti eminentemente muliebri, che fanno le eroine.
-Poi, la pietà. La pietà, la nota fondamentale del suo carattere,
-affinantesi qualche volta morbosamente. Da bambina era svenuta vedendo
-dei monelli tormentare un cagnolino cucciolo; e quando la nonna
-portava, implacabile, al gatto la trappola che conteneva il topolino
-smarrito e umiliato, c’era ogni volta una scena di singhiozzi e di
-preghiere che lasciavano la bimba nervosa per tutta la giornata. Si
-ricordava anche di aver vuotato tutto il contenuto del suo salvadenaro
-nel grembiule di un manovale, per riscattare un passerotto intirizzito,
-ed anche, lei, così mite e tranquilla, d’aver amministrato una buona
-dose di scapaccioni al fratellino che strappava le ali a una farfalla
-viva. Quando cominciò a frequentare la scuola e a formarsi la sua
-piccola esperienza intorno alle ingiustizie e alle miserie della
-vita, le generosità spontanee, le delicate abnegazioni divennero per
-lei un’abitudine, una necessità. Compagne scusate e protette, merende
-divise, compiti fatti di nascosto per qualche bambina poco intelligente
-e volonterosa, regalucci, elemosine, e con tal frequenza che la nonna
-aveva dovuto avvertir la maestra, poichè le bimbe più astute, con un
-po’ di commedia, la svaligiavano. Una sera, in principio d’inverno, era
-tornata a casa coi piedi nudi negli stivalini perchè aveva dato le sue
-calze nuove di lana a una bambina che piangeva dal freddo ai piedi.
-I suoi giocattoli, specialmente le bambole, andavano tutte, una dopo
-l’altra, a consolare qualche dolore infantile, a rallegrare qualche
-malatina, a far dimenticare qualche digiuno... pronta a pigliarsi poi
-con filosofica rassegnazione i rabuffi della nonna ed anche qualche
-correzione più spiccia dispensata dalle mani della vecchietta, niente
-affatto entusiasta di quel lusso di filantropia.
-
-A nove anni suo padre la mise in collegio, e ne uscì a quindici con
-tutti i primi premi per gli studi e per la buona condotta; lasciando
-edificate dietro di sè maestre e compagne per la sua intelligenza viva,
-la sua persistenza tenace nell’operosità, la dignità serena delle sue
-maniere che le attiravano intorno una deferenza che pareva rispetto.
-Una sol volta fu punita severamente, e fu per aver trasgredito l’ordine
-assoluto di non salire a certe camerette dell’ultimo piano, dove stava
-rinchiusa da anni una monaca pazza, «pazza per amore» bisbigliavano fra
-loro in segreto le educande. Clotilde era salita da lei una volta, poi
-due, poi dieci, poi aveva finito per visitarla regolarmente ogni giorno
-in un momento o nell’altro, quando poteva sfuggire alla sorveglianza,
-mettendo tutta la sua diplomazia e tutta la sua fredda volontà
-in quella disobbedienza, dopo che si era accorta d’un lievissimo
-miglioramento dell’infelice accarezzata dalle sue cure. Poi un bel
-giorno costei le si era avvinghiata al collo, tempestandola di baci con
-una furia così selvaggia, che la guardiana se ne spaventò e a scanso di
-responsabilità avvertì la Direttrice. Clotilde non potè veder la pazza
-mai più. Qualche tempo dopo, la monaca moriva.
-
-Rientrata in famiglia, fra sua nonna, suo padre, un militare in
-ritiro, e suo fratello, la giovinetta andava dicendo di volersi far
-suora di Carità. Ma la nonna, che odiava le romanticherie, fu la
-prima ad opporsi con una risolutezza che le accendeva il desiderio
-continuamente, più forse delle elette e spirituali figurine che vedeva
-passare nei discorsi di suo padre, quando evocava con lei i suoi
-ricordi di campo e di ospedale. L’attraeva il mistero gentile delle
-bende, quel mistero in cui non raggia che un viso e un nome: un viso
-sempre dolce, un nome soave che le fa migrare attraverso il mondo
-invisibili e sconosciute come una falange di angeli custodi scendenti
-dalle regioni in cui non c’è patria nè personalità. L’attraeva quella
-gran pace attiva nell’oblìo e nel riposo e nell’ignoranza d’ogni
-cosa, come se una blanda riviera letèa avesse dilagato sulle passioni
-e sui ricordi della vecchia vita naufragata; l’attraeva sopratutto
-l’abnegazione efficace, la carità feconda, la castità austera di quelle
-esistenze. Ella, che sognava di avere le braccia della Provvidenza per
-attirare e consolare tutti gl’infelici e i dolenti della terra, avrebbe
-potuto finalmente profondere quel tesoro d’affetto e di pietà che le
-si accumulava nel cuore. Oh esser utile e benefica! ardente e pia! Il
-miraggio tranquillo di quella vita turbava i suoi sonni di vergine come
-un desiderio d’amore.
-
-A deviare quella corrente che minacciava di portare serie burrasche in
-famiglia, venne un vecchio medico, amico di casa, una simpatica figura
-di patriota e di cavaliere, volta a volta brusco e cortese, un po’
-strambo anche, ma sempre ameno e arguto come un monello.
-
-— Ebbene, — aveva risposto alla ragazza che gli confidava i suoi
-crucci; — ebbene, studia medicina. È press’a poco la stessa cosa, sai.
-È un apostolato filantropico e consolatore come l’altro e d’una carità
-più militante. Una donna vi può far miracoli. Prova.
-
-Ed avendo lei addotto timidamente la difficoltà degli studi, del
-tirocinio, egli le rispose con uno sguardo ironico e una scrollata
-di spalle: — Dell’ingegno e della volontà ne hai da dare a me; di
-freddezza e di una certa disinvoltura spregiudicata e dignitosa non
-devi difettare, se ti sentivi pronta a peregrinare per il mondo sola,
-pronta ad assistere a tutte le miserie degli ospedali e dei tuguri. Fa
-la medichessa.
-
-Questa volta Clotilde non aveva risposto nulla ed era rimasta un po’
-di tempo a guardar diritto dinanzi a sè co’ suoi occhi larghi e neri
-che la miopia rendeva misteriosi. Forse si sarebbe limitata a pensarci
-su, se un incidente non l’avesse decisa. Furono i pettegolezzi di
-una vecchia serva. Essendo un giorno rimasta in casa sola con lei,
-la donnicciuola incominciò non richiesta a narrarle molti particolari
-della malattia che aveva spinto nel sepolcro la madre di Clotilde nel
-fiore della giovinezza. Clotilde, a cui avevano lasciato credere che
-il tifo l’avesse uccisa, seppe così che la mamma era morta dopo aver
-sofferto lungamente, eroicamente, di un male interno, cancrenoso, che
-nascondeva a tutti come una vergogna per non farsi curare da un uomo.
-Quando se ne accorsero era già tardi e ancora nessuno potè vincere
-quella ripugnanza invincibile, selvaggia. E il pudore la uccise.
-
-Clotilde a questa rivelazione rimase scossa rudemente, profondamente,
-intensamente, e tutta la pietà del suo cuore si sollevò come di fronte
-ad un’enorme ingiustizia. Una cosa orribile, inumana, il lento suicidio
-pieno di spasimi di quella madre che voleva vivere, in lotta con la
-donna che si lasciava morire avvolgendosi nell’ultimo velo della sua
-castità. L’anima delicata della fanciulla vibrò dolorosamente, senza
-che le lagrime o le convulsioni di compassione della sua infanzia
-sensibile si rinnovassero in questa grande amarezza, nella più grande
-compassione della sua vita.
-
-Rimase tre, quattro ore in camera, sola, in ginocchio dinanzi al
-ritratto della sua morta senza pregare nè piangere, muta, intontita,
-come se l’avessero appena portata al cimitero; rimase là con un un
-gran peso sul cuore, e nel cervello una fissazione sottile, acuta,
-insopportabile. Sua madre avrebbe potuto non morire dunque! Bastavano
-due mani bianche e una dolce voce femminile sul suo letto di dolore,
-nient’altro... E il mal di cuore non tormenterebbe il babbo incanutito
-innanzi tempo, e lei avrebbe veduto vivi, animati, per la casa quel
-sorriso e quello sguardo che erano un compendio di tenerezze e che
-oramai non ricordava che immobili così...
-
-Quando si risollevò, la sua decisione era presa. Studierebbe medicina.
-La mamma, Dio, glielo suggerivano, glielo imponevano come un dovere,
-come una missione. Era una specie di rivendicazione del suo cordoglio,
-una vendetta spirituale contro la morte, cui avrebbe tolto cento altre
-madri se le aveva rapita la sua. Il babbo la appoggiò e la nonna non
-osava opporsi troppo, pensando forse che era meno male medichessa
-che suora di Carità, o meglio, sperando che la via lunga e ardua la
-stancherebbe. Ma ciò non fu. Tutta la forte volontà, la prontezza
-dell’ingegno, la memoria viva, l’elasticità della fibra, tutta la
-ricchezza dei suoi quindici anni la fanciulla donò alla sua idea. Lo
-studio divenne la sua distrazione, il suo rifugio, il suo conforto,
-la sua dolcezza. Quando il babbo, che languiva, si spense, dopo le
-prime giornate di desolazione, Clotilde si rimise allo studio con più
-ardore, domandandogli l’oblìo come ad un’ebbrezza; e sovente, nelle
-ore che le ravvivavano il ricordo della sventura sofferta, le accadeva
-di reclinare la fronte con un lieve singhiozzare su qualche grosso
-trattato di Patologia che rimaneva aperto sotto quella testa bionda
-come per accogliere il suo dolore.
-
-Così fece tutti i corsi insieme agli studenti, ed ogni esame era
-per lei un trionfo. Riservata, semplice, modesta, i professori la
-preferivano francamente, e nessuno dei suoi compagni pensava a serbarle
-rancore, anzi pareva che cercassero anche loro di favorirla; forse
-per quel tal sentimento quasi di protezione cavalleresca che nasce
-dall’affratellarsi dei due sessi nella medesima scuola. Le altre
-studentesse erano meno indulgenti; ma poi Clotilde non si poteva dir
-bella e si vestiva e si pettinava così dimessamente che pareva lo
-facesse apposta per non dar nell’occhio, quindi in grazia di ciò, molto
-del suo talento le veniva perdonato.
-
-Entrata all’Università, le opposizioni della nonna ricominciarono.
-Clotilde, che non poteva contare sull’unico appoggio rimastole,
-quello del fratello, un egoista inutile, assorto sempre nelle sue
-visioni di gloria, si limitò a tener sodo senza difendersi; e questa
-resistenza silente e tenace irritava la vecchietta già inasprita dalla
-sventura. Se avesse usato un pizzico di diplomazia, l’urto sarebbe
-stato attenuato; ma la fanciulla era troppo franca, troppo fiera per
-fingere o anche solamente esagerare una sommessione affettuosa che
-avrebbe rasentato l’ipocrisia. Tutte le tenerezze della nonna erano
-per Roberto, ella lo sapeva bene, nè se ne lagnava per una gran dose
-d’alterezza e di filosofia, forse anche per un fondo d’indifferenza
-ch’era nel suo carattere. E non le aveva mancato di rispetto mai: nè
-con un atto, nè con una parola.
-
-Eppure la nonna, con quella minuta e fredda crudeltà che hanno talora
-i vecchi, non lasciava di stuzzicarla e di mettere a prova la sua
-fermezza, affidandole mille faccenduole da sbrigare, o noiosi lavori
-d’ago che le rubavano quasi tutte le sue ore di riposo ed anche
-qualcuna di studio. Clotilde tranquillamente si rifaceva vegliando.
-E la signora Rita, che non sapeva come fare a pigliarsela, si sfogava
-coi vicini, atteggiandosi a vittima di quella stramba ragazza che si
-impuntava a correr su e giù in tram dall’Università alla villetta e
-viceversa, mentre avrebbe potuto viver agiata e tranquilla fra il suo
-telaio di ricamo e i suoi fiori aspettando un marito, qualche buon
-giovine assennato e danaroso che certo non le sarebbe mancato. Ma
-così! chi doveva aver coraggio di avvicinarla? Una ragazza che studia
-medicina! che deve veder tutto e saper tutto... Uno scandalo, uno spino
-continuo, il cruccio della sua vecchiaia. E i vicini compiangevano in
-coro.
-
-Clotilde si spogliava nell’intimità della sua camera. Aveva spento la
-lucerna e acceso la candela sul tavolino da notte; la sua ombra sulla
-parete volteggiava lieve ed enorme. Che giornata faticosa! E quelle
-ore, là al teatro anatomico con quell’odore... E poi alla clinica
-quel bambino che urlava e quella madre così pallida e il professore
-che non finiva più di dimostrare, di spiegare... Ebbe ancora un
-brivido, ripensando quella scena che aveva scosso così rudemente,
-così dolorosamente la sua sensibilità femminile; e un vago sgomento le
-stringeva il cuore, pensando alla lunga serie di miserie, di strazi,
-a cui avrebbe dovuto ancora passar in mezzo, ancora e sempre, tutta
-la vita, come in una corsia infinita d’ospedale; cloroformizzandosi
-spiritualmente per non turbare con le sue sensazioni l’opera della
-scienza; scacciando le emozioni come un egoismo, la compassione come
-una crudeltà.
-
-Era rimasta con la sottanina breve di flanella a righe azzurre e
-bianche e con la sottovita di maglia grigia. Si spettinava, e così
-con le braccia levate in un atteggiamento grazioso di sirena o di
-dea, tutte le forme opulente del suo bel corpo sbocciavano. Il nodo
-dei suoi capelli era fermato da uno spillo d’argento, una specie di
-pugnaletto donatole da suo fratello che vi aveva fatto incidere su un
-motto cavalleresco: «_Non ti fidar di me se il cor ti manca._» Levato
-lo spillo, il torciglione si allentò mollemente ed ella con una mossa
-del capo lo fece ricascare sulle spalle allargandolo con le dita,
-sciorinandolo prima di farsi la treccia per la notte. I suoi capelli
-non erano lunghi, ma fini, abbondanti, ondulati e d’un bel castano che
-al sole s’indorava.
-
-..... Oh le povere piccole membra contratte dallo spasimo...! oh il
-martirio intimo, muto di quella madre, e la voce del professore così
-calma...! e le sue dita così rapide e sicure quando avevano guidato il
-piccolo bisturi....! Quella visione d’angoscia non le si levava dalla
-mente. Anche la Ginoli, l’altra studentessa, era assai pallida: gli
-assistenti si affollavano, come se la curiosità vincesse la pietà. Ma
-non era curiosità soltanto, lo sapeva... Qualche profilo caratteristico
-o amico le si delineò nella mente: Santarelli biondo e scialbo col suo
-collo d’oca; il testone d’Embrici così timido e goffo, martire dello
-studio e dei compagni; Altarini, un saccentuzzo dalla voce stridula
-che soverchiava sempre; il bel Raimondi, che faceva perder la testa
-alla Ginoli; Serralta, detto il gobbino per la sua imperfezione che
-gli valeva qualche riguardo dai compagni, i motteggi della Ginoli e
-la compassione di Clotilde che si sapeva adorata in segreto da lui.
-Un viso da scimmia quello di Serralta, dai lineamenti continuamente
-in moto per una specie di tic nervoso, dagli occhietti maligni che si
-illanguidivano incontrando quelli della fanciulla, che col suo contegno
-severo non aveva mai incoraggiato quell’amore.
-
-Finì di spogliarsi in fretta e si cacciò fra le lenzuola candide e
-ruvide del suo letto duro. Ma non aveva sonno. La stanchezza e la
-veglia, che per solito la facevano cader giù addormentata come un
-masso, quella notte la tenevano desta in una lieve eccitazione di nervi
-tormentosa e dolce. Le pareva che una forza invincibile la obbligasse
-a tener gli occhi sbarrati e la fantasia in azione. Tutte le sue fibre
-vibravano, e nella sua mente era una ridda faticosissima d’immagini,
-di pensieri, di formule, di nomi tecnici, di visioni... Quel piccolo
-paziente e quella madre...! Clotilde non sapeva spiegarsi come mai
-quell’episodio le fosse rimasto impresso così vivamente nel cervello,
-mentre non ne aveva risentito sul momento una scossa esagerata. Non
-sapeva come mai quel quadro penoso, sopito nel resto del giorno,
-giganteggiasse ora nella solitudine della sua stanza così paurosamente
-da diventare un incubo.
-
-Seduta sul letto, con le braccia in croce contro il largo scollo della
-camicia che le scivolava dalle spalle, vagava con gli occhi spalancati
-negli angoli bui e cheti della sua stanza dove tutto pareva dormire: i
-libri ammassati sul tavolino, i mobili ordinati, la lucernina spenta,
-i suoi abiti ricascanti su una sedia in atteggiamento di abbandono,
-perfino uno de’ suoi stivalini rovesciato per terra. E le bianche
-tende, lievi e alte come ali, scendevano come per proteggere il sonno
-di tutta quella cameretta innocente. Ma lei no, non dormiva; e la
-candela accesa sul tavolino da notte, che dava delle luminosità auree
-alla treccia molle e cadente de’ suoi capelli, delle morbidezze alla
-nudità delle sue braccia e del suo collo torniti, dei candori languidi
-alle coltri e ai guanciali, pareva vegliare anche lei, maliziosamente.
-
-Poi, Clotilde lasciò ricascare la testa e le braccia sulle ginocchia
-piegate e si mise a piangere silenziosamente, senza perchè, senza
-motivo, così, per tristezza, per la gran tristezza arida della sua
-vita che minacciava di atrofizzare il suo cuore; per le scene lugubri
-che riempivano quelle ridenti giornate primaverili, giovani come lei;
-per quell’atmosfera sinistra d’ospedale e di morte, da cui si sentiva
-penetrare ogni giorno più, paurosamente. Intanto quelle lagrime le
-rilasciavano i nervi, le facevano bene, ed essa lo sapeva e ne provava
-un sollievo sempre più dolce, poichè attraverso alle lagrime che
-empivano le sue palpebre chiuse, su quel fondo di malinconia stanca,
-una figura virile andava delineandosi, nascondendo gradatamente orrori
-e tristezze, fondendo la sua angoscia lugubre in una soavità delicata
-e tranquilla che era quasi una gioia. Come l’aveva guardata quella
-mattina!...... Strano quello sguardo, che pareva una impertinenza
-ed era un’ingenuità. E quel sorriso muto, quando le aveva nascosto
-tra un libro il ramoscello di biancospino... E quell’atto sgarbato
-accompagnato da una parola che pareva una carezza... e quel saluto
-lungo, esitante, scorato; e quella voce armoniosa piena d’impazienze
-e di tenerezze. Quanti tesori da contare quel giorno e quanti forse
-anche per il giorno dopo, ancora e sempre, tutti i giorni, fino alla
-morte, fino all’eternità. Tutti i giorni così, una o due ore con lui,
-liberi, tranquilli, senza desiderare di più, senza sperare di più.
-Sorrise da sè col capo nascosto, poi si lasciò andare all’indietro
-sui cuscini, coll’anima alleggerita, la mente riposata in quell’unico
-pensiero blando. Il biancospino e le mammole, invisibili nell’ombra,
-dal loro vasetto sul tavolino effondevano una fragranza lieve nella
-camera chiusa. Clotilde la sentiva aleggiare su lei, come se tutti
-gli spiriti della primavera avessero invaso la sua camera per calmare
-i suoi tumulti e cullare il suo sonno con l’emanazione di tutti gli
-amori della natura. E si addormentò, con la candela accesa, la testa
-rovesciata da un lato, le dita intrecciate al cordoncino d’oro che le
-scendeva dal collo fra le pieghe della camicia. S’addormentò, ed ebbe
-un sogno d’amore tutto fiorito di mammole.
-
- *
- * *
-
-Contro il solito, Roberto scese quella mattina prima di Clotilde e uscì
-in giardino a passi lenti, cogli occhi stretti in aria meditabonda,
-la sigaretta fra le labbra, il ciuffo biondo de’ suoi bei capelli
-più scompigliato che mai. Andò a sedersi sul sedile di ferro fra il
-gruppo dei sicomori ancora sfrondati, ma già tutti ricchi di gemme e
-di bocciuoli. Ogni immobilità rigida e muta dell’aria, delle piante,
-della materia, pareva animarsi all’alito della primavera come al fiato
-di Dio. La nova stagione sorrideva tra timida e ardita, tutta grazie
-selvaggie, gentili sorprese, contraddizioni e stonature adorabili:
-come un adolescente. Dai rami secchi della siepe, ancora stecchita
-nel sonno invernale, sbocciavano fitti ed innocenti i fiori di
-biancospino; sotto il seccume antico dell’autunno odoravano invisibili
-e tepide le mammole; i grappoli della glicine ricascavano sul muro
-nudo della villetta fra le due ramificazioni spoglie e nodose. Roberto
-fissava, con la mente lontana, una finestra spalancata, che la glicine
-inghirlandava e in cui si gonfiavano alla brezza, come vele, le tende
-bianche, leggiere.
-
-Clotilde apparve sulla soglia della saletta d’ingresso con un libro
-sotto l’ascella, abbottonandosi un guanto. Ma Roberto non la vide, o
-finse di non vederla, se non quando gli passò vicino.
-
-— Che miracolo... — disse lei.
-
-— Miracoli della primavera, — rispose Roberto con un accento ispirato;
-ed essendogli caduto ai piedi il lapis di Clotilde, lo raccolse e
-glielo rese. — C’è da sperare che ne faccia un altro, — aggiunse dopo
-un’occhiata esaminatrice; — quello di farti smettere quel cencio di
-vestito che fa orrore.
-
-Ella si guardò, indifferente, una manica: — È poi così orribile? Io
-non me ne accorgo; non ci sono macchie, quindi..... Povero Roberto!
-— continuò sorridendo. — E dire che ti piacerebbe avere una sorella
-elegante che sfoggiasse abiti ogni settimana...
-
-— Dallo sfoggio alla miseria c’è tutta una sfumatura, — riprese lui,
-piccato. — Questa tua fissazione del nero, con quelle pieghe diritte
-come quelle delle monache, con quell’eterna cintura di nastro; quel
-cappellino che vorrebbe aver un’aria maschile, quella giacchetta che ti
-vedo da tre anni... andranno benissimo, non lo nego, per affermare le
-tue idee d’emancipazione, ma danno anche il diritto di deplorarle e la
-forza di bandire una crociata contro di voi, rinnegatrici d’ogni grazia
-e d’ogni gentilezza, refrattarie a ogni seduzione... profanatrici
-dell’eterno femminino...
-
-Clotilde lo affisò, incerta se scherzasse o se parlasse sul serio; ma
-Roberto non sorrideva, non scherzava. Gli era rimasto, solo, sul volto
-un’ombra dell’intima compiacenza per aver trovato quelle belle frasi
-d’oratore. Però seguì su un tono meno aspro:
-
-— Voi donne possedete sole il segreto delle raffinatezze delicate,
-delle sfumature indefinibili, delle armonìe indistinte, di tutte le
-finezze, di tutte le fragranze sottili, di tutte le cose immateriali
-e colorite e luminose che adornano il mondo. È come una grande
-volatilizzazione della bellezza che le donne fanno fluttuare su di noi,
-inafferabile, divina, inebriante, di cui esultiamo ignoranti e felici
-come i fanciulli che non sanno il perchè delle cose. Se rinunziate o
-sdegnate questa vostra missione stupenda, chi vi sostituirà? Che sarà
-del mondo? che sarà di noi? che sarà di voi, che perderete tutto il
-vostro fascino di delicatezza e di leggiadria, senza poter uguagliarci
-mai in quella forza, che a torto o a ragione ci rende alteri?
-
-Clotilde non amava le discussioni. Le scansava. Con suo fratello sapeva
-poi che non poteva ingolfarvisi senza che uno dei due ne uscisse ferito
-sul serio. Egli era troppo innamorato di parvenze, lei della verità.
-
-Rimase a capo chino, guardando il libro nell’attitudine d’una
-colpevole. Roberto aveva rimesso tra le labbra la sigaretta e mandava
-fuori in silenzio le nuvolette di fumo: — Via, — aggiunse sempre più
-dolcemente, — un po’ di rosa, un po’ di viola, un po’ di fiori, un po’
-di primavera su quel vestito!
-
-Clotilde posò il libro sul sedile e s’inginocchiò per terra. — Ecco,
-— mormorò affondando la mano nel muschio umido e tepido fra cui
-spuntavano mammole, — ecco la primavera! — E si infilò le violette in
-quell’eterna cintura di nastro nero che si vedeva fra la giacchettina
-aperta.
-
-Un trotto cadenzato sulla via maestra la fece balzare. — Il _tram_, —
-disse, — bisogna spicciarsi; se no rischio di rimanere a piedi; addio!
-— E si mise a correre col suo libro verso il cancello nel lume biondo
-del sole mattutino, pronta e gaia al principio della sua giornata
-faticosa, mentre Roberto sul sedile, avvolto nella frescura profumata,
-vagava con la fantasia intorno a visioni di bellezza e a rime d’amore.
-
- *
- * *
-
-Si salutarono con un sorriso e cogli occhi radiosi per la gioia dolce
-sempre rinnovellata di quel primo vedersi. Egli, al solito, le prese il
-libro, la aiutò a salire sul _tram_, le fece posto accanto a sè sulla
-panchina in silenzio. Pareva ormai una cosa convenuta, e per una specie
-di tacito accordo o di complicità indulgente, quel posto rimaneva
-vuoto finchè ella saliva, oppure chi lo occupava se ne ritraeva subito
-premurosamente. E Clotilde non ne rimaneva imbarazzata e lui neppure,
-tanta schiettezza mettevano in quel sentimento che li avvinceva; un
-po’ più dell’amicizia, un po’ meno dell’amore. Da un anno continuavano
-a incontrarsi così tutti i giorni, i giovani, in quella breve gita
-mattutina, da quando lui era andato ad abitare una casetta fuori di
-porta per consiglio dei medici, che avevano raccomandato a sua madre
-l’aria libera della campagna per quel figliuolo, l’ultimo dei cinque
-che la tisi aveva spazzato via.
-
-Aroldo dava lezioni di musica; quindi ogni mattina era obbligato a
-scendere in città come Clotilde. Questa abitudine comune li aveva
-affratellati, poi era divenuta un sollievo per entrambi, poi una festa.
-Aroldo saliva alla stazione del _tram_, che era a due passi da casa
-sua, e dopo un mezzo chilometro saliva anche la fanciulla che attendeva
-il passaggio del carrozzone fuori dal cancello bianco del piccolo
-giardino. Quei due chilometri all’aria viva e fresca su quella panchina
-di tram, fra un chiacchiericcio animato, le risa, le discussioni gaie,
-le canzonature, sfumavano in un baleno; pure essi ne attingevano una
-forza insperata per le fatiche della loro giornata operosa: una specie
-di elasticità gioconda, che alleggeriva a lui la monotonia triste
-delle lezioni, a lei l’oppressione cupa dell’ospedale. Qualche volta
-i loro bisticci erano così ameni e le loro risate così spontanee che
-gli altri si voltavano a guardarli e sorridevano. Del resto, non erano
-numerosi i loro compagni di viaggio e sempre gli stessi: la serva del
-parroco col cesto delle spese; due scolaretti di ginnasio; una ragazza
-pallida e melanconica collo scialletto tirato sugli occhi, che andava a
-lavorare a giornata; il portalettere, un magrolino che aveva l’argento
-vivo addosso; un vecchione sonnacchioso; una lattivendola. Tutta gente
-che parlava poco, meno il portalettere che sfogava la sua parlantina
-toscana coi conduttori del _tram_. Entrati in città, al primo
-crocicchio, Clotilde e Aroldo facevano fermare e si lasciavano quasi
-senza salutarsi, in un’ultima risata, scendendo uno di qua l’altro di
-là, come se scappassero e senza voltarsi indietro. Lei svoltava subito
-nel vicolo che fiancheggiava l’Università; lui infilava i portici ampi,
-lucenti di marmi e di vetrine.
-
-— Come stanno i suoi malati? chiese Aroldo, appena Clotilde si fu
-seduta, colorita e palpitante ancora per la corsa.
-
-— Non mi faccia arrabbiare; oggi non ne ho voglia....
-
-— Come me, dunque! Queste prime giornate di primavera mi mettono
-un’uggia addosso, inesplicabile; le lezioni mi diventano un
-supplizio... Se sapesse quante volte al giorno mando al diavolo
-scolari, musica, compositori, istrumenti, perfino Guido d’Arezzo...
-anzi, prima di tutti lui...
-
-Clotilde rise.
-
-— Sì; è una miseria, — disse poi, — questa svogliatezza e questa
-tentazione di vagabondaggio in primavera. Almeno piovesse; i nervi sono
-più tranquilli....
-
-— I nervi? — ripetè ironicamente Aroldo; — lei non ha diritto
-di parlare di nervi sensibili.... con quei suoi bei studi....
-ricostituenti....
-
-— Già, — ribattè Clotilde con flemma incrociando le braccia; — ha
-ragione.
-
-— Meno male! I nervi? oh! come una damina fragile, lei che deve essere
-corazzata contro tutte le debolezze....
-
-— Ha ragione.
-
-— Lei che adesso con tutta disinvoltura va ad analizzare freddamente
-tante sofferenze.... a dar dei nomi tecnici al dolore.... ad insozzarsi
-in un carnaio....
-
-— No, il rispetto almeno! — interruppe lei, seria, posandogli una mano
-sul braccio. — È il mio pudore, la mia sensibilità....
-
-Aroldo si tirò il cappello sugli occhi e seguitò a guardare contro il
-sole che gli coloriva il volto sbiancato. Le siepi che fiancheggiavano
-la strada luccicavano di rugiada e in un orto al di là era tutta una
-fioritura bianca e rosea, tenue, ridente sulla sfumatura cerulea
-del mattino come un bosco incantato, come un fantasioso sogno di
-redenzione.
-
-— Ma sa che lei è un miracolo? — esclamò a bruciapelo lui, rimandandosi
-indietro il cappello sino a metà del capo. E siccome Clotilde lo
-guardava tranquillamente coi suoi occhi miopi, velati, sibillini, senza
-parlare, egli proseguì brutalmente: — Un miracolo.... un mistero....
-non so.... qualche cosa di strano insomma. Alle volte lei è di
-ghiaccio, altre volte ha certe risposte che ammutoliscono.... E tutto
-ciò senza una parola inutile, con un laconismo terribile e, scusi, non
-femminile.... Dopo tanto tempo che ci troviamo insieme ogni giorno, non
-so ancora nulla di lei, io.... di lei non ho colto nè un’impressione,
-nè un sentimento, nè un’emozione.... Vuol che le dica che questa
-freddezza feroce... romana.... mi fa quasi paura?
-
-— Mi onora troppo, — balbettò Clotilde arrossendo e celiando con un
-po’ d’imbarazzo. E cacciò le mani nelle tasche della giacchettina
-nervosamente, mentre ripigliava guardando dritta innanzi a sè nella
-strada bianca fra il verde tenero, rado, della vegetazione novella.
-— Ma chi le prova che io sia... quello che mi crede?.... Non mi
-piace parlare di me, ecco tutto, nè con lei, nè con nessuno. Tengo
-a rimpicciolire la mia personalità più che posso, per tentare di
-convincere le persone che amo, della verità, della serietà, sopratutto,
-della mia vocazione....
-
-Aroldo corrugò le sopracciglia con un’espressione di dolore e fece un
-gesto come per parlare. Ma lei non gliene lasciò il tempo:
-
-— Ci sono dei ragazzi forti, dei giovinotti spregiudicati, perfino
-dei vecchi medici, che soffrono di tutta quella miseria; non ne
-dovrei soffrir io, donna? Sarebbe una mostruosità. Oh se ho sofferto!
-orribilmente, atrocemente... tanto più che erano obbligata a
-nascondere i miei terrori che avrebbero dato ragione a quelli che mi
-contrariavano... Quante notti senza dormire, tutte piene di incubi
-sanguinosi...! Quante giornate piene di nausea, di tetraggine...! Ma la
-notte sopratutto, oh la notte era orribile... E qualche volta ancora...
-sebbene siano due anni che vado al teatro anatomico... Ma non mi ci
-avvezzerò mai, temo...
-
-Aroldo si lisciava la barba breve, biondiccia, ricciuta, fissandosi
-le punte dei piedi. Clotilde parlava sommessa e con uno sforzo palese,
-arrossendo e impallidendo. Qualcuno de’ loro compagni di viaggio s’era
-voltato a guardarli, con una certa aria meravigliata per la apparente
-serietà dei loro discorsi di quella mattina. Negli occhi della
-ragazza malinconica passava qualche lampo d’invidia, e la serva e la
-lattivendola avevano scambiato una parola all’orecchio e un sorriso.
-
-— Eppure ho sempre vinto ogni ripugnanza, ogni debolezza... Ah, quando
-si vuole proprio! Neanche uno svenimento, sa? La Ginoli ha durato
-otto giorni a svenire... le bastava vedere la tavola di marmo... E gli
-studenti anche non scherzano... Ogni volta bisogna accompagnarne fuori
-uno. Ma io mai. Pure mi venivano i sudori freddi...
-
-Aroldo, immobile, a occhi bassi, taceva.
-
-— Gli è che, — continuò Clotilde, — a me accade una cosa strana.
-Quando risento un’impressione violenta, non è mai sul momento che mi
-accorgo di provarla, è sempre, dopo. Sul momento una forza insperata
-m’irrigidisce; ma il contraccolpo mi accascia. Durante le prime lezioni
-clinico-chirurgiche o le sezioni, mi serbavo fredda e tranquilla; alla
-notte battevo i denti dal terrore e ne avevo la febbre...
-
-Aroldo appoggiò le mani e la fronte al pomo del suo bastoncino d’ebano.
-
-— E la prova più rude, chi lo crederebbe?, non è per me l’anfiteatro.
-È la visita che faccio nella infermeria dei bambini. Tutti quei poveri
-corpicini travagliati, addolorati, straziati, quegli occhietti che
-supplicano un sollievo, che non sempre possiamo dare, quelle vocine che
-non sanno esprimere, se non piangendo le loro sofferenze e che sembrano
-ribellarsi al loro male come ad una crudeltà, a un’ingiustizia...
-che non vedono nel medico che un nemico barbaro e nei rimedi che un
-tormento... mi fanno l’anima così triste ed oppressa che qualche volta
-mi par d’impazzire d’ipocondria... Eppure è per loro che lotto... per
-loro che voglio vincere... a loro che sacrifico senza esitare tutti i
-sorrisi della vita... e non ho che ventiquattro anni....
-
-Aroldo le afferrò il polso così improvvisamente e così forte da farla
-trasalire. I suoi occhi lampeggiavano; i suoi occhi belli e strani che
-avevano languori e tempeste inattesi.
-
-— No! no! — esclamò sottovoce, concitato:
-
-— No! — E la fissò negli occhi senza lasciarla, con un’espressione di
-sfida, che ella sostenne arditamente, ancora tutta rosea nel volto del
-suo entusiasmo di carità.
-
-La ragazza malinconica si voltò un poco sgomenta e il vecchione
-sonnacchioso, che dondolava il capo sul petto, aperse due occhietti
-imbambolati. Aroldo le lasciò il braccio per nascondersi il volto.
-
-— Non mi parli più di queste cose — pregò prostrato, vinto.
-
-Il sole all’Est li colpiva in pieno corpo e intiepidiva i loro
-abiti. Le violette, alla cintura di Clotilde, odorando acutamente,
-s’appassivano.
-
- *
- * *
-
-Il giorno dopo, lei affettò un po’ di sussiego, lui una disinvoltura
-esagerata. Aveva una parlantina facile, briosa, un’aria birichina e
-tanta comicità nei suoi atti, che Clotilde dovette finire per riderne
-schiettamente. Aroldo contraffaceva una sua scolara, la contessina
-sentimentale che da tre mesi rodeva un notturno di Chopin senza
-riuscire a far capire che cosa suonasse, neanche approssimativamente.
-
-— ..... allora si dispera, — continuava imitandone le pose languide.
-«Ah, professore..... non lo imparerò mai questo notturno indiavolato...
-e dire che lo _sento_ tanto.....» Ed io: «Coraggio... studî...
-riuscirà...» Ma questa è la risposta delle giornate buone. Quando poi
-ho la luna di traverso le rispondo brusco brusco: «Signorina bisogna
-decidersi, o avanti o indietro; lei non riuscirà che a farmi odiare
-Chopin a questo modo...» Proprio così, sa?
-
-— E quella povera signorina allora?
-
-— La signorina piange invariabilmente. E alla prossima lezione, trovo
-invariabilmente la contessa madre in salotto, sola, con una cera tra
-il gendarme e la vittima, che mi prega di mettere un po’ di zucchero
-nelle mie correzioni, perchè Maria è d’una sensibilità così eccessiva,
-così nervosa, che finirebbe per ammalarsi davvero... Uh, quelle
-mamme...! Sono il mio spauracchio le mamme, lo crede?... Vi appostano,
-vi assaltano, vi circondano per farvi subire interrogatorî senza fine,
-e domande suggestive e cortesie insidiose, e tutti i loro pettegolezzi
-e i loro apprezzamenti e le loro confidenze; vi mischiano ai loro
-puntigli, alle loro gelosiole, alle loro vendette... vi compromettono,
-vi tirano in ballo con un accanimento e una ferocia così sbalorditoia
-che non c’è forza umana capace di resistere... Altro che sabba
-Romantico!...
-
-Clotilde rideva col gomito sul ginocchio e il mento nella mano. Gli
-scolaretti, che avevano udito, volgevano altrove la faccia per ridere
-anche loro. Aroldo li fece osservare alla fanciulla.
-
-— Lei finirà per compromettersi coi suoi sfoghi, — gli disse Clotilde
-ridivenuta seria. Egli fece un moto di noncuranza.
-
-— Già, un giorno o l’altro ho fede di smettere questa vitaccia da
-cani... Potessi solamente trovare il modo di far rappresentare la mia
-opera... ah! — E giunse le mani lanciando in un sospiro quel desiderio
-e quella speranza che erano l’aspirazione della sua vita.
-
-— Io ci credo; ci creda anche lei, — sussurrò Clotilde con quella
-intonazione franca e sicura della sua voce che, unita allo sguardo
-velato de’ suoi occhi, faceva delle cose ch’essa diceva una specie
-d’oracolo: — La fede smuove le montagne....
-
-— Sì, ma gli impresarî e gli editori sono peggio delle montagne! —
-ribattè lui con una serietà comica e desolata. — Intanto lavoro —
-aggiunge dopo un momento; — lavoro con un accanimento che dispera
-la mamma. Ma come fare?... ho tanta roba qui..... in testa, che mi
-opprime; che mi canta, che mi assorda, che frulla per sprigionarsi, per
-pigliare il volo..... Ed io m’affretto, m’affretto come se avessi paura
-di non arrivare in tempo a cantar tutti i canti che mi fluiscono dal
-cervello. L’ora fugge... bisogna spicciarsi a raccogliere la mèsse...
-perchè l’avvenire è lungo... è breve... chi sà...?
-
-Clotilde ebbe un brivido sottile, doloroso. Aroldo teneva le mani senza
-guanti aperte sulle ginocchia, due mani scarne, giallastre, uh po’
-adunche. Ella ne vedeva tutti i giorni di quelle mani all’ospedale...
-
-— Forse è un avvertimento, — continuò lui, quasi serenamente. — I
-miei fratelli, quattro, sono morti tisici come il povero babbo. Il più
-giovine aveva diciotto anni, il maggiore è vissuto fino a trenta. Io
-ora ne ho ventisei. Ancora quattro anni, forse...
-
-— Ma non dica così! — esclamò Clotilde con la voce tremante. — Non sa
-che questo pensiero solo basta ad uccidere?
-
-Aroldo la fissò con rapida intensità; e negli occhi, parlando di morte,
-gli raggiò la vita poichè l’anima della fanciulla in quell’attimo era
-riflessa dal volto. La pietà l’aveva tradita...
-
- *
- * *
-
-Erano tutti in giardino dopo il desinare. Tutti, anche la famigliuola
-dell’avvocato Dardanelli, che veniva spesso, da buon vicino, a bere
-il caffè con la signora Rita. La vecchina seduta sul sedile di ferro
-fra i sicomori oramai tutti in fiore, metteva la quarta pallottola
-di zucchero nella sua tazza con le piccole mani scarne e tremolanti
-ascoltando la moglie dell’avvocato, la bella signora Giulia, che
-le parlava in fretta con la sua voce grossa e sgradevole. Roberto
-passeggiava fumando nel viale più appartato; Dardanelli, al solito,
-guardava avidamente Clotilde che chiassava coi bambini.
-
-— E lei non viene a prendere il caffè? — le chiese, andandole incontro
-col viso rosso e gli occhi lustri, sbuffante ed eccitato dalla
-digestione.
-
-— Sì, sì, — gli rispose la ragazza soffermandosi ridente, gaia, a
-braccia alzate per rafforzarsi il nodo de’ capelli con lo spillo
-d’argento, mentre i fanciulli le davano ancora delle strappatine
-provocanti al vestito, scappando.
-
-— Fermi, monelli! — urlò l’avvocato facendo gli occhiacci e
-accostandosi sempre più a lei. Clotilde fioriva in quella tinta strana
-e calda d’un tramonto nubiloso. I suoi capelli scompigliati, sfuggenti,
-parevano oro fulvo; il volto quasi sempre sbiancato era tutto roseo,
-gli occhi ancora tutti pieni del riso di quell’ora di spensieratezza
-obliosa.
-
-— Che cos’ha? un pugnale fra i capelli? — E le mani di Dardanelli la
-sfioravano.
-
-— Sì, — rispose Clotilde, secca, scansandosi.
-
-— Serve anche quello per i suoi studi di medicina? — chiese ancora
-l’avvocato, ridendo scioccamente.
-
-— Potrebbe guarire anche questo... — ribattè pronta la giovinetta con
-la sua voce sicura e il suo sguardo misterioso.
-
-Sedette su uno sgabello rustico vicino alla signora Dardanelli, che
-le sorrise. Ella aveva molta simpatia per la fanciulla e non si era
-mai accorta delle intenzioni poco oneste di suo marito, che credeva
-volesse bene a Clotilde come ad una figliuola. La signora Giulia
-fra i lillà fioriti pareva una Flora, una di quelle Flore formose e
-grossolane che servono qualche volta per ornamento dei giardini. Aveva
-i lineamenti regolari, la bocca ombrata da una lanugine bruna, gli
-occhi neri di taglio perfetto, ma sempre spalancati in un’espressione
-di meraviglia sotto l’arruffio di riccioli neri sfuggenti di sotto
-al _foulard_ rosso, annodato elegantemente sul capo come una cuffia.
-Quel fazzoletto, i cerchiellini d’oro alle orecchie e l’abito bianco
-s’addicevano assai al suo genere di bellezza forte, meridionale.
-
-Clotilde aveva appena appressato la tazza alle labbra, che la Rachelina
-le irruppe addosso strillando perchè era inseguita dal fratellino.
-Ell’ebbe appena il tempo di salvare la tazza dal naufragio e accolse la
-bimba sulle ginocchia.
-
-— Lascialo venire, ci difenderemo! E si difesero infatti con molta
-agilità e molta gaiezza dagli assalti bruschi di Nello, che si vendicò
-della sua disfatta contro un formicaio.
-
-La fanciulla teneva la testa della bambina appoggiata contro il
-seno rigoglioso, amorosamente, e Rachelina si abbandonava tutta, con
-quell’aria di riposo fidente che prendono i bambini fra le braccia di
-chi li ama assai.
-
-— Sei proprio nata per i ragazzi tu, — osservò la signora Giulia.
-
-— Per quelli degli altri... — aggiunse pungente la nonna.
-
-— Ci sono tanti bambini senza mamma, ci sarà una mamma senza figliuoli,
-— rispose subito Clotilde, dolce, risoluta.
-
-La signora Dardanelli, vedendo che la nonna faceva il viso arcigno,
-credette di sviare la tempesta chiedendo alla ragazza se non le pareva
-che Rachelina avesse l’aria abbattuta da qualche tempo. Clotilde rialzò
-il viso della bambina e le esaminò gli occhi, le gengive, le labbra.
-
-— È anemìa incipiente — rispose. — Bisogna consultare il medico per
-qualche ricostituente.
-
-La vecchietta si sfogò con una risatina ironica.
-
-— Ma e tu che sei una medichessa? Fa dunque una ricetta, da brava! Dì
-dunque qualche altra bella parolona.... _Anemìa_.... _incipiente_....
-somiglia a un arnese di cucina.... Saranno vermi, dia retta a me,
-Giulia, un po’ di santonina o di calomelano e la bimba è bell’e
-guarita....
-
-— No, no, — ribattè Clotilde con forza; — sarebbe una scimunitaggine.
-
-— Che? — gridò la signora Rita; — scimunita a me? Vergogna! Come
-vuoi che faccia a stimare la tua scienza se non t’insegna neanche a
-rispettare i vecchi? Già tu non hai un briciolo di cuore, nè per i
-tuoi, nè per nessuno... sei una saccentuzza arrogante, un’egoista di
-prima riga... — Clotilde pigliò in collo la bimba e fece per andarsene.
-
-— Va, va a stuzzicare anche tuo fratello ora! — le strillò dietro la
-vecchietta in collera, vedendola avviarsi verso il viale che Roberto
-misurava in su e in giù, fumando. — Almeno lui lascia in pace! rispetta
-almeno quel povero martire che si scervella per qualche cosa di bello e
-di buono....
-
-La ragazza sorrise sarcasticamente e si diresse verso il cancello
-d’uscita, perseguitata dalla voce stizzosa della nonna, che finiva il
-suo sfogo con la signora Giulia. Sedette sul muricciuolo di pietra,
-al di fuori, stringendosi sempre alla bambina, ricacciando con sforzi
-inauditi le lagrime che le empivano gli occhi accecandola. Ecco
-la giustizia del mondo! Lei era una creatura indegna, senza cuore,
-una saccente boriosa, disutile e infingarda; e Roberto un martire
-glorioso, lui, che trascinava le giornate intere fra il fumo delle
-sigarette e le fantasticherie per concludere con qualche sguaiato verso
-d’amore, o qualche veemente tirata contro tutto e contro tutti, senza
-che si sapesse troppo bene il perchè, senza che lo sapesse neanche
-lui.... Roberto, che con la scusa d’esser poeta si faceva perdonare
-ogni stravaganza, ogni birbonata, ogni indelicatezza; e comandava
-e s’imponeva come un essere superiore, arbitro di tutto e degno di
-adorazione. La nonna lo giudicava una cima senza capir molto dei suoi
-versi e meno delle sue prose, condannate tutte, prima di nascere, al
-cestino delle redazioni. Roberto, a sentir lei, era un grand’ingegno,
-un talento disconosciuto; già, i grandi uomini hanno cominciato
-tutti così, poveretti, purtroppo; e qui la nonna non mancava mai di
-tirare in ballo Colombo e Galileo, senza che ci avessero troppo a
-che fare, veramente; ma lei non ne conosceva altri: e concludeva che
-se le creazioni di Roberto non erano accettate, voleva dire che i
-giornalisti erano ciuchi o invidiosi di lui che li metteva in sacco
-tutti quanti. I versi, oh i versi poi erano destinati senza dubbio a
-mettere a soqquadro il mondo...., solamente mancava l’editore.... E
-così a furia di batter questo tasto, Roberto, che non era un cretino,
-cominciava a diventarlo, convincendosi che lui solo aveva ragione e gli
-altri tutti torto, e tirava via a regalare qua e là ai giornali le sue
-sgrammaticate invettive o le sue insipide pornografie, che ognuno si
-guardava dal mettere alla luce, e s’atteggiava di più in più a genio
-incompreso.
-
-Ingiustizie! Clotilde baciava sui riccioli la bambina, piangendo. Ella,
-così forte, così padrona di sè, aveva di queste debolezze improvvise
-quando le tristezze le venivano da chi avrebbe dovuto raddolcirle
-la via già così scabrosa, già così triste. Era dunque una colpa
-consacrarsi ai dolenti? Una colpa seguire quel interno impulso, che
-la sospingeva ogni giorno più, riverente, ammirata, verso la scienza,
-l’iddia severa e bella che non abbaglia con promesse vane, che conquide
-lenta, sicura, formidabile?... Una colpa rinunziare per il trionfo
-d’un’idea, forse alla felicità, certo alla pace serena e ridente della
-vita? L’arte, oh! un’egoistica magnificenza che fa molti disgraziati;
-la scienza, una gran carità distribuita a tutti gli umani per farli
-meno poveri, meno infelici! Ed era ancora la pietà che le traboccava
-dal cuore.
-
-Roberto veniva verso il cancello: ella s’asciugò gli occhi in fretta,
-furtivamente, e si mise subito a parlare alla bambina sorridendo. Il
-giovine senza curarsi di lei venne a sedersi sul muricciuolo di fronte
-stiracchiandosi i baffetti con lo sguardo vago. Il sole, laggiù,
-all’estrema plaga serena, pareva stemperarsi in una fulgidezza aurea,
-incandescente. La nuvolaglia bigia si accavallava più in alto, come una
-rovina strana ed enorme di qualche costruzione ciclopica; si andava
-diradando verso levante in chiazze dense, fumose, in diafani lembi
-d’un velario fantastico stracciato dal vento, in una linea sinuosa e
-allungata, come di una costa lontana, avvolta nelle brume e nel mistero
-d’un paese di leggende e di sogni, popolato di larve. Tutto un altro
-mondo pieno di laghi, di terre, di edifici, di mostri, di forme tenui
-e gentili, veduto in miraggio come una gran promessa di purezza, di
-pace, di silenzio, come la visione apocalittica d’una patria diafana,
-destinata ad accogliere le anime che volano via dalla terra.
-
-Nella bianca strada battuta, e di là dalla siepe di biancospino, di
-là dal filare dei pioppi, su tutta la pianura vasta che verdeggiava
-appena, il vespro calava così, con una delicatezza muta, soave e
-triste, opprimendo. La primavera ha di questi silenzi eloquenti in
-cui par di sentire il germoglio interno di tutta la vita della natura,
-come si ascolta col volto indifferente il fermento di tutte le passioni
-latenti nell’anima. Clotilde calma, quasi sorridente, spasimava.
-
-La Rachelina le scivolò dalle ginocchia e scappò. Roberto e lei
-rimasero soli, muti, assorti; seduti, e appoggiati con le spalle ai
-pilastri del cancello. Roberto anzi si era steso sul muricciuolo come
-in un letto, con una gamba allungata e l’altra piegata, il sigaro in
-bocca; Clotilde seduta un po’ di traverso, con le braccia cadenti,
-senza atteggiamento alcuno.
-
-Improvvisamente le prime note d’un coro agreste si diffusero sonore.
-Le parole si perdevano così allungate nelle note tenute, lente, nelle
-parti divergenti e fuse in un’armonia melanconica e dolce, piena di
-maestà. Erano contadini che tornavano dal lavoro: le donne tenevano gli
-acuti, gli uomini i bassi, e le parti s’allontavano adagio, digradando
-melodiose, per riunirsi e risolvere diversamente, come una fuga. Un
-classicismo ingenuo, misto a un non so che di languido, di carezzevole;
-solenne ed umano.
-
-Roberto si rizzò e tese il braccio accennando a sua sorella
-d’ascoltare. E Clotilde ascoltava, immobile.
-
-La frotta dei contadini passò dinanzi a loro, a piedi nudi, sollevando
-un po’ di polvere. Prime schierate in fila, coi rastrelli sulla
-spalla, le donne, che scorgendo i due giovani ammutolirono ridendo
-e motteggiando fra loro un po’ vergognose; poi gli uomini, che
-continuarono a fare i bassi, impassibilmente, levando il capo,
-scamiciati, con la giacca sull’omero. I più vecchi invece di cantare
-dialogavano: qualcuno rimasto indietro per accender la pipa,
-raggiungeva correndo i compagni. A venti passi dopo il cancello
-ripresero tutti il coro; Roberto ricadde con gli occhi socchiusi,
-fumando, nella sua posa pigra di sognatore — Clotilde si levò
-adagio per seguire ancora i contadini con lo sguardo. Repente una
-soddisfazione, viva come una gioia, le aveva alleggerito il cuore. Era
-la coscienza di sentirsi anche lei, come quei suoi fratelli, degna del
-riposo.....
-
- *
- * *
-
-Il tram si fermò come al solito al cenno di Clotilde che aspettava
-sul cancello, tutta fresca nella freschezza stillante del mattino. Ma
-Aroldo non c’era, dovette salire senza che nessuno l’aiutasse e sedersi
-accanto alla ragazza malinconica che indovinando qualche tristezza
-le rivolse un’occhiata di simpatia. Il carrozzone si mosse fra il
-cicaleccio della lattivendola e della serva del parroco, che pareva un
-papavero, con la sua blusa nuova di mussola rossa a mezze lune gialle.
-Uno dei scolaretti riprese col portalettere la discussione un momento
-interrotta sulle collezioni di francobolli; e il vecchio sonnacchioso,
-vedendo Clotilde sola, non pensava più a richiudere gli occhi.
-
-La fanciulla sorpresa, ferita, si richiudeva tutta, lei,
-nell’inquietudine amara che le gravava sul cuore. Il suo amico non
-l’aveva abituata a queste assenze, ed ella si trovava a dolersene
-come d’un convegno svanito: e mille dubbi la travagliavano. Ammalato?
-partito? in collera? una tortura intima, inesprimibile, nel buio,
-nell’ignoto, a cui si aggiungeva un senso doloroso di meraviglia come
-per un inganno immeritato e beffardo. E a poco a poco, continuando
-quella pena opprimente, da quello stupore ne nasceva un altro, pauroso
-e dolce, al quale tutte le sue fibre rispondevano con una spontaneità
-ribelle che la sgomentava profondamente. Era l’amore dunque? Ma l’amore
-poteva cogliere così all’improvviso, insidiosamente, fra un bisticcio
-e una risata? Oh no, no, non era ancora l’amore! Un’amicizia viva, un
-fascino, una consuetudine soave, nient’altro. Oh l’amore no! E pareva
-implorare.
-
-Il sole le raggiava in volto, mitemente, si diffondeva ambrato
-nell’aria limpida, sulla doppia giovinezza della primavera e del
-mattino, chiara, cristallina, odorosa. Clotilde seguiva coll’occhio
-abbagliato il binario che si allungava sulla strada bianca, al sole,
-luccicando. Giammai quella gita le era parsa più lunga, più monotona,
-più triste; giammai aveva sentito come in quell’ora l’aridità lugubre
-dei suoi studi, la solitudine della sua vita. Un principio di rivolta
-fermentava in lei e germogliava e minacciava sbocciare nella luminosa
-complicità gaia di quel tripudio d’Aprile. Tutto intorno a lei le
-cantava la vita ed essa andava a chiudersi nel melanconico asilo
-della miseria e della morte. Un brivido le corse il corpo alla visione
-delle corsìe bianche, nude, silenziose, che l’aspettavano, popolate di
-sofferenze e di severità; al pensiero di andare a respirar quell’aura
-fredda di chiostro che raccoglieva l’ultimo soffio dalla bocca dei
-moribondi, che passava carica di lamenti, di spasimi, di sospiri, di
-imprecazioni....... al pensiero di tutte le fragilità e le miserie
-della mirabile macchina umana che si disfaceva ogni giorno sotto i suoi
-occhi, che si ricomponeva così a fatica, che si rivelava ognora più
-sotto la sua mano, sozza e divina. Membri sanguinolenti, faccie livide,
-muscoli contratti, rossori febbrili e pallori di morte passavano in
-una lucida fantasmagoria, come in sogno, ed ella si sentiva debole e
-ripugnante come il primo giorno che si recò all’ospedale. Un momento la
-visione si fece così intensa e inesorabile che Clotilde presa da una
-specie di terrore dovè superare con uno sforzo di volontà l’istinto
-di levarsi, di scendere, di fuggire attraverso i campi, di immergersi
-nel verde, nella fragranza, d’inebriarsene, per dimenticare. E ancora
-tornava l’immagine di lui. Che bel sogno andarsene così, soli, liberi,
-lungo qualche viottola romita, appena chiazzata d’ombra dalle fronde
-novelle, una viottola dai margini fioriti di viole e di margheritine,
-una viottola sconosciuta, tortuosa, interminabile, da riempir tutta
-di dolcezze e di sorrisi, che resterebbero dietro di loro come se
-sfogliassero canestri di rose per una ridente seminagione di petali.
-Il viso d’Aroldo radioso e gaio come nei bei momenti di spensieratezza,
-in quell’attimo le balenò così evidente ch’ella ne ebbe un palpito e un
-sorriso.
-
-In capo alla strada si profilava, con le sue cupole e le sue torri,
-la città, rossastra, che acquistava una strana tenuità nei vapori
-del mattino. Di là dalle siepi gli orti sfiorivano, invasi già
-da l’uniformità del verde. Un capinero nascosto vicino alla siepe
-gorgheggiava forte, melodiosamente. La ragazza malinconica raccolse
-pensosa un fior di pesco che il vento le aveva portato in grembo.
-
-Clotilde non reggeva più. L’agitazione nervosa la invadeva così
-violenta ch’ella temeva di tradirsi. Alla barriera fece fermare e
-scese bruscamente, lasciandosi dietro i commenti delle due donne,
-i sorrisi del portalettere e la curiosità del vecchione che si
-scomodò per seguirla con lo sguardo. Entrò sotto i portici dì quella
-via deserta e si mise a camminar lesta per dominarsi, ma giunta al
-primo palazzo dovè fermarsi, impedita da un crocchio di curiosi che
-facevano ala al portone. Una folla signorile usciva, le signore a
-braccio dei cavalieri, frettolose, pallide, scomposte, nelle sciarpe
-e nelle pelliccie gettate sull’abito da ballo. Molti equipaggi in fila
-aspettavano, e le carrozze si movevano subito dopo il colpo secco degli
-sportelli richiusi fra i complimenti, le celie, i saluti, lanciati a
-voce alta con l’audacia e l’eccitazione, che durava ancora, di quella
-nottata di veglia. E le voci rauche e stonate si soverchiavano, qualche
-fiore volava: un bel giovane bruno, senza soprabito e senza cappello,
-con la marsina coperta di decorazioni da _cotillon_, corse per un
-tratto di strada con la mano attaccata allo sportello d’un coupé da
-cui pareva non si sapesse staccare; poi rientrando, scherzoso, rubò
-il boa ad una signorina che indugiava sulla soglia per raccogliere un
-lembo strappato del suo abito di velo. «È il conte Villi!» si mormorava
-intorno al portone, nel pubblico composto in massima parte di serve e
-di bottegai. Ma Clotilde, che non voleva e non poteva mischiarsi al
-crocchio, cercò di farsi largo, e attraversò proprio nel momento in
-cui l’ultimo sciame delle signorine si sparpagliava, chiacchierino,
-gaio, in una varietà di veli, di trine, di sciarpe tramate d’oro.
-Ella, passando col suo abito nero, severo, chinò il capo come vinta da
-quel tripudio giovanile, da quella stanchezza folle, da quella fatuità
-brillante che le doveva rimanere ignorata sempre. Pure era un’eroina e
-una martire che passava.
-
- *
- * *
-
-... Andavano soli, liberi, lungo la viottola romita, dai margini
-fioriti di viole e di margheritine, appena chiazzata d’ombra dalla
-frondosità novella; una viottola sconosciuta, tortuosa, interminabile,
-che Clotilde aveva veduto, non si ricordava dove, forse in sogno. Il
-mattino era tanto puro, ed essi così solleciti, che Aroldo le aveva
-proposto di scendere in città a piedi invece d’aspettare il tram; e
-dopo un bisticcio sulla scelta della strada, si erano rappacificati
-e venivano innanzi riuniti, egli col braccio sotto quello di lei,
-confidenzialmente, come due sposi. L’anima di Clotilde traboccava
-d’una dolcezza languida, penosa; egli appariva nervosamente vivace,
-e ciarlava esageratamente; pareva che il silenzio o un pensiero gli
-facesse paura.
-
-— ...... Dicevamo dunque?... ah, che ieri sera, stanotte anzi, ho
-terminato il Minuetto. Sono così contento... Sa che mi metterò subito
-a scrivere una Giga?.. Voglio provarmi nella musica antica; è una
-semplicità che riposa da tutto quel Wagnerianismo invadente... Dopo
-scriverò una Gavotta, poi forse un tema con variazioni, e mi piacerebbe
-anche un coro a sole voci rincorrentesi come un canone perpetuo. Vorrei
-poi comporre qualchecosa di sacro: un Offertorio, un’Ave Maria...
-
-— Troppa carne al fuoco, troppa.... osservò lei tranquilla, seria,
-crollando il capo. Ed egli fece una risatina di fanciullo, stringendole
-il braccio furtivamente:
-
-— Vedrà, vedrà, sentirà anzi.... Ma già, dimenticavo che lei odia la
-musica. — Che orrore! — E si sciolse sdegnosamente.
-
-Clotilde lo guardò un po’ sorpresa e si curvò a cogliere due violette
-bianche sul margine del fosso. Due o tre raganelle, spaventate,
-balzarono dall’erba nel filo d’acqua luccicante.
-
-— Fa orrore perfino alle rane.... — osservò Aroldo battendosi i piedi
-con un vincastro. Ma Clotilde non era in vena di scherzare e si fermò
-le mammole sul petto, tutta accesa nel volto, quasi vergognosa e ferita
-dall’atto e dalle parole d’un momento prima, più di quello che egli
-potesse credere.
-
-— Io amo i waltzer suonati dagli organetti, lo sa, disse poi,
-levandogli in volto gli occhi con uno sforzo di sincerità che si
-tradiva dal rossore insistente. — L’altra musica non la capisco tanto;
-poi ho così rare occasioni di udirne.... I waltzer suonati dagli
-organetti mi piacciono per quel non so che.... quella specie di cascata
-a intervalli regolari.... come spiegarmi?....
-
-— Il ritmo, dica il ritmo....
-
-— Sì, dev’esser così; il ritmo, dunque, che insiste, avvolge, folle
-e mesto ad un tempo, come una tentazione e una preghiera trascinate
-insieme in un’onda di passione; carezzevole e perfido, insidioso e
-vano come tutte le ebbrezze che vi fanno riddare fino al cielo e vi
-abbandonano in un cerchio di spuma.
-
-— E che ne sa lei di ebbrezze? interruppe Aroldo con uno de’ suoi
-scatti quasi brutali dopo aver ascoltato quella fanciulla parlare così,
-con crescente meraviglia. — Lei non ha diritto di parlare di queste
-cose...
-
-— È vero — rispose subito Clotilde francamente, ingenuamente; — ma mi
-pare che debba esser così, come ho detto io.
-
-Aroldo con la sua verga dava delle scudisciate alla siepe; i petali del
-biancospino piovevano lievi, odorosi.
-
-— ...... Però ho avuto torto a parlarne, — insistè lei arrestandosi, —
-ho avuto torto come sempre quando parlo di me. Volevo dire solamente
-che i waltzer mi piacciono.... perchè mi parlano un linguaggio tutto
-nuovo che m’affascina e m’impaura.... È come uno spiraglio da cui mi
-balena la vita... Oh Dio! — esclamò con tutta semplicità; — e avevo
-detto di non parlare di me!
-
-— Oh ne parli invece, ogni espressione è una meraviglia — soggiunse
-lui con una passione dolce, improvvisa. E abbandonandosi all’impulso di
-quel momento le allacciò la vita e la baciò sul viso, naturalmente.
-
-L’atto era stato così pronto e delicato che Clotilde non aveva potuto
-sottrarsi. Dopo chinò il capo e si velò la faccia con umiltà, come una
-colpevole, senza un atto, senza una parola. Aroldo aveva ancora passato
-il braccio sotto quello di lei e le parlava sommesso, dolce, come se
-fossero già amanti.
-
-— Voglio scrivere dei waltzer ora, per te, tutti pieni di passione e
-di languore e di carezze... come quelli di Strauss... Poi cercherò dei
-versi malinconici e ardenti e li dirò su quella musica, li dirò fin
-che ti abbiano vinta, finchè ti diano l’ali per slanciarti da quello
-spiraglio nella vita. La vita è bella, sai? ed è breve; tanto breve,
-che non c’è tempo di dormire.... E tu, che vuoi ostinarti nel sonno,
-sei colpevole, Clotilde....
-
-Ella fece un movimento per sciogliersi da lui, ma Aroldo la strinse più
-forte: — Sei colpevole, sì! le gridò rudemente. — L’amore è la luce,
-è l’aria, è la bellezza, è l’anima dell’universo, è la parola di Dio
-e tu neghi tutto questo e tu ti seppellisci viva fra l’aridità della
-scienza che atrofizza la tua gioventù, la tua bellezza, il tuo cuore,
-che in cambio del tuo olocausto, ti lascierà il vuoto e la tristezza
-dell’imperscrutabile o ti spezzerà l’esistenza così, senza amore...
-Oh vivere senza amore, ma non si può, Clotilde, è vano: non senti che
-è vano, tu che parlando del ballo, dianzi, avevi senza volerlo, senza
-saperlo, gli accenti della passione?
-
-Clotilde camminava a occhi bassi, tanto pallida che pareva livida su
-quell’abito nero: con una ruga verticale sulla fronte, profondissima,
-che la invecchiava. Non trovava parole per rispondere e non rispondeva
-— poi le pareva che qualche cosa le gemesse nel cuore sotto quel
-gran giubilo che la staccava dalla terra, e la faceva inoltrare
-macchinalmente, come, abbagliata da una gran luce, che le nascondesse
-tutte le cose intorno e le affievolisse stranamente anche il suono
-delle parole che le giungevano solamente come una voce, come una
-melodia che l’avviluppava. Oh la dolcezza dolorosa di quell’ora,
-confusa, lieve, fluttuante, piena di profumi e di ebbrezze indefinite
-e inafferrabili come quelli di un sogno! Il nuovo perchè della vita
-che la avvolgeva nelle sue spire iridescenti! Le nuove speranze e i
-nuovi orizzonti mai conosciuti, eppure non incogniti, che ridevano da
-ogni lato fra i lembi della sua esistenza vera che si stracciavano, si
-sbandavano, si dileguavano come la nebbia ad una mite irradiazione di
-sole! La nuova maraviglia che la assaliva — una maraviglia soffusa di
-riverenza come dinanzi a un prodigio, come se fosse stata trasportata
-per incantamento in un pianeta splendido e ignoto, destinato per la sua
-patria, per la patria di tutti i felici.....
-
-I due giovani inoltravano per la viottola fresca, tortuosa,
-affondata fra gli alti margini dei campi bordati di alberi, come
-una stradicciuola di montagna. Il verde chiaro e lucente delle
-biade novelle, dell’erba, delle fronde che s’intrecciavano, quasi,
-sul loro capo e frastagliavano la via d’ombra e di sole, mettevano
-nella fulgidezza del mattino una velatura di smeraldo, mite, un
-po’ malinconica ma soave, come una luce di Purgatorio Dantesco. Il
-rigagnolo scorreva sotto l’erbe, luccicando tra il verde e tra i fiori,
-a pause — un rosignolo gorgheggiava forte, gioiosamente, trionfando
-sul pispiglio e sui cinguettii sommessi, lontani e vicini di centinaia
-di uccelli che celebravano il maggio. Aroldo continuava a versarle sul
-cuore parole, senza tregua, senza pietà, teneramente.
-
-— Se tu sapessi da quanto tempo immaginavo, sognavo di parlarti così!
-Ma come farlo nella volgarità di quel carrozzone di tram?..... Che
-conoscenza strana la nostra, non è vero? C’è tanta poesia e tanto
-mistero...! Io non so nulla della tua famiglia, tu nulla della mia; due
-veri pellegrini che s’incontrano e si riposano insieme... ma che non si
-lascieranno più... — finì sottovoce, guardandola amorosamente sul viso.
-
-Clotilde a capo chino taceva.
-
-— Debbo dirti una cosa — riprese dopo un momento Aroldo con una delle
-sue ruvidezze improvvise. — Io presto, presto, parto, vado lontano....
-in America.... sì, fra due o tre mesi. Ho un cugino giornalista,
-laggiù, che guadagna a cappellate e non fa che invitarmi; mi dà
-speranza di metter in scena la mia opera, e mi ha già trovato degli
-scolari che mi pagheranno assai meglio di questi. Ho titubato un poco,
-poi mi sono deciso. O il viaggio e il clima mi uccideranno, e allora
-sarà una cosa spiccia; o mi fortificherò....
-
-Clotilde, sempre in silenzio, con una mossa lenta di subita stanchezza,
-reclinò il capo sulla spalla di lui.
-
-— La libertà.... l’amore.... la felicità, — disse Aroldo attirandola a
-sè. Le parole esalate nell’abbondanza del cuore sbocciavano in quella
-solitudine, nell’orezzo verde, come fiori spirituali. — Sarà un amore
-divino il nostro, laggiù, e, non aver paura, non muoio io.... Finchè
-sarai con me, tu, così forte, così bella, così buona, non morirò.....
-
-Ella piangeva silenziosamente; piangeva, finalmente! col capo
-appoggiato alla spalla di Aroldo, già scheletrita; ed egli la baciava
-sul viso, sul collo, sui capelli, sulle mani, mani fredde, inerti.
-
-— Verrai, verrai.... Non è vero che verrai? Sì, lo so, ma dimmelo,
-voglio sentirmelo dire... Clotilde... è una parola così breve... è una
-parola sola....
-
-Aroldo implorava così, ed ella rimaneva nelle sue braccia, sotto i suoi
-baci, senza forze, senza parole, con un gran schianto interno, come se
-il cuore le si torcesse; una sofferenza quasi fisica, orribile, contro
-la quale si dibatteva come se qualcuno glie l’infliggesse. Eppure era
-un lieve sforzo che l’avrebbe liberata, un lieve sforzo di volontà,
-tenue, dolce, oh così dolce! verso cui le pareva che tutta la sua vita
-interna s’inchinasse come verso una valle fiorita e odorosa veduta
-giù, all’imo, da una sommità brulla e cocente. La sua volontà piegava
-fino a spezzarsi, ma Clotilde sapeva che non si spezzerebbe, che si
-risolleverebbe come una molla, scattando. Intanto fra i tormenti di
-quel minuto d’agonia della durata d’un’eternità e della brevità d’un
-sogno, nell’innocente voluttà di quell’abbandono lagrimoso, di quei
-baci fraterni, di quella parvenza d’amore, ella assaporò tutta la sua
-parte di gaudio e di vita. Quando si riscosse sarebbe stata pronta a
-morire.
-
-— Addio — gli disse — non mi domandar nulla, io non mi appartengo più.
-
-Le mani d’Aroldo la ghermirono ai polsi come una morsa — ed al contatto
-di quelle dita gracili e nervose ella agghiacciò come se uno spettro
-l’avesse ghermita. Chiuse gli occhi, ma aveva già veduto passare in
-quelli di Aroldo, spalancati, stupiti, una luce di follìa.
-
-— No? — no? — no? — Fra lo smarrimento di tutto il suo essere, questa
-parola breve, soffocata, le piombava ad intervalli nel cervello, nel
-cuore, come i colpi di una mazza destinati ad ucciderla. Non aveva più
-lena. Le dita d’Aroldo si rilasciarono dopo un silenzio pauroso.
-
-— Ebbene vattene, — le disse con la voce che tremava. — Non dirò
-una parola di preghiera; non la meriti, non hai cuore, sei già una
-scienziata egoista e fredda, incapace d’uno slancio, d’un sentimento.
-Vattene.... addio.... ma bada: se violenti te stessa, se respingi
-l’amore che Dio comanda, offendi Dio e la natura: il fuoco sacro non si
-lascia spegnere senza sacrilegio, bada!
-
-Clotilde si strinse la testa fra le mani colpita da una sola parola:
-Non ho cuore, non ho cuore... — mormorò quasi inconsciamente. — Oh Dio,
-anche lui... Sarà vero dunque?... Non so amare... non ho cuore... — E
-si mise a correre, a correre come una pazza, giù per la viottola verde
-e romita. Dietro di sè udiva confusamente la voce di Aroldo che diceva
-ancora qualche cosa, poi uno scoppio di tosse, ed ella correva sempre e
-quella tosse dietro di lei s’affievoliva, ma continuava, continuava....
-
- *
- * *
-
-Clotilde si trovò, quasi senza accorgersene, sotto il loggiato che
-girava intorno al cortile interno dell’ospedale, spazioso, freddo, in
-cui mormorava una fontana fra un gruppo di pini. Due uomini, reggenti
-una barella coperta, sparivano per una porticina; i carri mortuari,
-sempre pronti, attendevano. Apparirono una suora e un infermiere
-con le braccia cariche di biancheria; la suora, passando oltre in
-fretta, salutò la fanciulla. Dallo scalone di marmo intanto scendeva
-gente chiacchierando: erano il professore e gli studenti che venivano
-nell’anfiteatro per la lezione. Ella si riunì ad essi entrando; la
-Ginoli le sorrise con un cenno; Serralta, il gobbino, le si accostò
-annunziandole sottovoce che finalmente avevano un bel caso di
-_ipertrofia_.
-
-Ma gli infermieri avevano appena recato il letticciuolo su cui posava
-l’ammalato, che Clotilde svenne.
-
- *
- * *
-
-..... Finalmente la sera, finalmente sola! Ella si richiuse nella sua
-cameretta con una specie di esultanza triste, di voluttà dolorosa,
-sperando un conforto dalla solitudine, nell’ombra. Andò a sedersi
-automaticamente, per consuetudine, dinanzi al suo tavolino di studio
-tra le due finestre, e rimase così, con le mani inerti in grembo e
-gli occhi chiusi. Ma il conforto non veniva. Anzi il suo pensiero, più
-libero in quel vuoto, s’indugiava più a lungo e più profondamente sugli
-avvenimenti della giornata. La viottola verde, certi effetti di luce,
-i profumi, i cinguettii, le tornavano in mente con un’evidenza così
-lucida e acuta da farla trasalire; e la voce di lui, udita a lungo in
-quella quiete dirle cose sì insolitamente dolci e paurose, le risuonava
-dentro stranamente, come se con le sue parole avesse bevuto il suo
-spirito, e lo tenesse, ora, imprigionato nel cuore, di dove continuasse
-a parlarle soavemente o rudemente, spossandola. Si sentiva ancora
-tentata di domandare pietà.
-
-Nella pace delle cose, tutt’intorno, le giungeva continuo e monotono
-il gracidar delle rane dagli stagni, laggiù; poi il festoso schioccar
-della frusta di qualche carrettiere lontano; poi il rosignolo che
-lanciò qualche nota nell’ombra e tacque subito, come se qualcuno
-l’avesse interrotto. Clotilde sentiva accrescersi sull’anima l’affanno
-opprimente, quasi sinistro: e non poteva scuotersi, nè piangere che
-qualche lagrima, rada, dagli occhi ardenti. Pure dentro di sè gemeva,
-piangeva, si ribellava a quell’amarezza invadente che si addensava come
-se la seppellisse giù nel buio d’una tomba. Si sciolse gli abiti e andò
-a sedersi a piè del letto, appoggiando la fronte sulle coltri fresche e
-bianche da cui le venne un vago senso di sollievo, e la memoria confusa
-d’una notte insonne per la vibrazione dei nervi troppo eccitati dal
-lavoro e da visioni dolorose. Quella notte, si ricordava, l’immagine
-di lui le aveva blandito i terrori, calmato i tumulti, le aveva dato
-il sonno e un fragrante sogno d’amore. Ora quella figura s’ergeva
-minacciosa, terribile, nella sua forza di malato, di moribondo, di cui
-lei accelerava la fine, che aveva forse già ucciso, là, sull’erba, fra
-due colpi di tosse e uno sbocco di sangue.... Un gelo la paralizzò e
-s’aggrappò alle coltri come presa dalle vertigini. Senza cuore! senza
-cuore dunque! Eppure tutta la sua vita non era che abnegazione e pietà.
-E si uccideva, e uccideva....
-
-La disperazione le diede una forza quasi selvaggia. Ebbene, sì, avanti
-ancora, ad ogni costo — malgrado la tortura, malgrado la morte. Non
-si vince senza lotta, e non si diserta senza vigliaccheria. Seguendo
-il suo impulso di compassione verso quell’uno, ella seguiva l’amore,
-ella sostava in un’oasi refrigerante e queta, mentre un popolo di
-sofferenti errava nel deserto ardente, lei aspettando. No, essa non si
-apparteneva più, non poteva più disporre del suo cuore; il suo cuore
-era di tutti gl’infelici, di tutti i malati, di tutti i dolenti; non
-poteva defraudar tutti a vantaggio di quell’uno...... La melanconica
-pace dell’invincibile aleggiò infine sull’animo suo. Il dolore andava
-spegnendosi dalla forte volontà, dalla grandiosità del suo bel sogno
-umanitario; rimaneva il rammarico, luttuoso, profondo, dell’infelicità
-altrui; la tristezza di questo accumularsi di crucci intorno a sè,
-proveniente da lei, involontariamente, inevitabilmente, come per
-un’influenza maligna; rimaneva la titubanza e il desiderio ardente del
-neofita nell’ultima lotta che precede il martirio.
-
-In questo rilasciarsi delle sofferenze e dei dubbi che l’avevano
-travagliata, visioni tenui, antiche, della sua vita di studiosa le
-balenarono alla mente e si dilatarono come ripigliando il loro posto
-in lei, come immigrando da paesi lontani in cui fossero state esiliate
-da un usurpatore, ingiustamente. Rientravano a stuoli, le visioni
-antiche, buone, a ripopolare il suo cuore dopo l’uragano. Era la parola
-d’un maestro venerato e prediletto che aveva schiuso nuovi orizzonti;
-era il ricordo d’una difficoltà vinta, d’uno studio finito, d’un
-progresso, d’un trionfo dell’intelletto, d’una vittoria della scienza,
-d’una fratellanza simpatica e gaia e gentile; poi la falange delle
-speranze baldanzose, sante di pietà amorosa, che alleviavano la grave
-fatica e precedevano sicure quella gioventù nella lizza severa. E i
-bambini, tutti i bambini che aveva veduto languire malati o correre
-sani; tutti i bambini che conosceva e che immaginava; il suo minuscolo
-popolo di clienti avvenire, a cui lei avrebbe ridonato il vigore e
-la vita, si affollò nella sua mente inondandola di purezza, di pace;
-un mare di piccole teste, una selva di piccoli mani tese verso di
-lei, imploranti, fidenti, accennanti; e lei, simile alla buona Fata,
-inoltrava beneficando fra le giovani vite che sbocciavano come asfodeli
-al suo passaggio, mentre le madri da lungi mandavano un’armonia di
-benedizioni.
-
-... Clotilde, affranta, si addormentò così, sulla sponda del suo letto,
-ninnata da tutta l’infanzia del mondo, come dagli angeli.
-
- *
- * *
-
-Era il luglio, afoso. Clotilde da quel giorno memorando aveva deciso
-di non riveder Aroldo mai più; e per non incontrarsi con lui, scendeva
-in città col primo tram e aspettava l’ora della lezione in casa
-della Ginoli. Infatti non si erano più trovati; ella lo aveva però
-riveduto un giorno, di lontano, sulla porta d’una birreria fra un
-gruppo d’amici. Rideva forte, chiassando. Clotilde ne aveva provato
-un’amarezza somma; poi, mano mano che quel giorno si allontanava, un
-sollievo sempre crescente, come se le avessero tolto un rimorso. Oramai
-era in pace. Le pareva che qualchecosa finalmente si fosse addormentato
-in lei, forse per sempre, e ne risentiva un riposo mesto, infinito.
-
-Dopo gli esami aveva continuato a studiare assiduamente nella
-tranquillità ombrosa della villetta, tanto più che la nonna le
-lasciava, insolitamente, un po’ di tregua. Al riaprirsi dei corsi,
-sarebbe entrata in quinto anno, nel penultimo anno di studi. Sarebbe
-ammessa alla Clinica regolarmente, avrebbe potuto formare le diagnosi,
-eseguire qualche operazione elementare e le varie medicazioni negli
-Ambulatorii; le avrebbero affidato qualche malato, le avrebbero
-lasciata più libertà d’andare, di studiare; avrebbe così cominciato a
-sentire la responsabilità, le soddisfazioni del suo ministero; avrebbe
-potuto agire, cimentarsi, misurare le forze del suo ingegno, dei suoi
-studi, della sua volontà; cominciare ad occuparsi specialmente del
-suo ramo di medicina prescelto: la cura delle malattie delle donne e
-dei bambini, per i quali sfogliava già da tempo dei grossi volumi di
-Pediatria. E qui la realtà sfumava nel sogno. Se fosse stata ricca a
-milioni avrebbe voluto inaugurare un grandioso ospedale per i bambini e
-per le loro madri, un ospedale tutto bianco di marmi e di cortinaggi,
-luminoso di sole, ridente di fiori: tutto scale, terrazze, fontane
-e giardini, sontuoso e romito come un’antica villa papale. Ma ahimè,
-non era ricca, e aveva dovuto ridurre il suo sogno a proporzioni più
-modeste per sperare di vederlo avverato. Lei, la Ginoli e Serralta,
-il gobbino, pensavano già sul serio a comperare qualche casamento del
-sobborgo, isolato e non discosto dalla città, per ridurlo ad ospedale
-infantile. Essi ne avrebbero la direzione, terminati i loro studi,
-e gli darebbero un indirizzo eminentemente moderno, occupandosi più
-dell’igiene che della cura, più dei preservativi che dei rimedi.
-Ci sarebbe anche una sezione per le donne, in un angolo appartato
-e tranquillo, dove tanta femminilità timida e sofferente potrebbe
-nascondersi fiduciosa e serena di sapersi affidata a mani sorelle.
-Tutto un rinascere di speranze, un germogliare di forze, un trionfo
-della vita fra gli effluvi dei fiori e delle benedizioni. Oh il bel
-sogno! Clotilde non poteva più passare una volta dinanzi al casamento
-adocchiato senza risentire un certo palpito, un certo rispetto per
-quel futuro santuario della scienza, in cui sapeva che rassicurerebbe
-tante madri nient’altro che con un sorriso e un bacio sui capelli delle
-loro creature; sorriso e bacio provenienti da un cuor di donna, in cui
-vigila la tenerezza materna, anche quando dorme la maternità.
-
-Ancora due anni di tirocinio penoso, poi la libertà di beneficare,
-di amare, di profondere i suoi tesori di carità. Clotilde ci pensava
-quella notte buia, affannosa; appoggiata ad una finestra spalancata
-della sua camera mentre la nonna dormiva. Non l’avrebbe abbandonata, la
-nonna, oh no: e se Roberto non ne avesse voluto sapere, avrebbe presa
-con sè la povera vecchina in una bella camera allegra del suo ospedale
-a raccontar le fiabe ai bambini.
-
-Pensò un momento a suo fratello che viaggiava: in cerca di un
-editore, diceva lui, e affermava la nonna. Ma Clotilde sapeva bene
-che si dimenticherebbe dell’editore alla prima stazione balneare. Non
-sarebbe la prima volta, e la nonna continuava a illudersi e Roberto a
-sbizzarrirsi, scusato, protetto. Pure non lo invidiava e non avrebbe
-dato, per un mese di quegli ozî gaudenti, neanche una delle sue
-giornate laboriose, così rapide, così feconde; che malgrado la sua
-naturale semplicità la facevano avvedere d’acquistare una superiorità
-sempre crescente, un’indulgenza sempre più serena.
-
-Clotilde leggeva un articolo in un giornale letterario che le aveva
-prestato Serralta. I suoi studi faticosi le facevano ricercare la
-cultura del bello come un riposo. Leggeva accanto alla finestra,
-alla luce della lucernina posata sul tavolino. La notte era scura,
-opprimente, greve; neanche uno spiro d’aria; la fanciulla soffocava
-anche così, un po’ discinta nella sua blusa di mussolina blu, tutta
-increspata, che lasciava indovinare solamente le forme bellissime del
-suo corpo; il nodo dei suoi capelli, fermati dal pugnaletto d’argento,
-si allentava; tutta la sua persona aveva quell’aspetto di languore
-molle che danno le sere d’estate molto calde, tutte piene d’insidie
-e di viltà. Clotilde s’era appoggiata al davanzale. Il giardinetto
-s’addensava nell’ombra; all’orizzonte i baleni si seguivano a pause
-come guizzi convulsi, le rane gracidavano forte, alla distesa,
-implacabilmente. La ragazza aguzzava lo sguardo per penetrare l’ombra,
-laggiù, poichè le era parso che qualcuno o qualcosa vagolasse nel
-giardino. Ma la sua miopia le nascondeva ogni cosa e quelle rane
-assordanti le impedivano di ascoltare. Sporgendosi con un movimento
-brusco le scivolò giù il giornale.
-
-«Benissimo,» pensò; «almeno ci fosse qualcuno davvero per rendermelo».
-E rimase ancora qualche tempo, spiando attenta, immobile. Ma non
-intravide più nulla. «Saranno le ombre dei miei occhi,» concluse. E
-si dispose a scendere per raccattare il giornale, poichè ell’era molto
-gelosa della roba che non le apparteneva.
-
-Accese la candela, traversò la stanza che divideva la sua dalla camera
-di suo fratello, ora vuota; scese le scale adagio, chetamente. Le
-faceva impressione di errare a quell’ora nella casa buia e silenziosa;
-e, coi nervi e la fantasia eccitati dal lavoro intellettuale,
-s’immaginò un momento di recarsi a un convegno furtivo. Allora il cuore
-le battè come se fosse vero, e ne sorrise, da sè, nell’ombra. Poi,
-una tristezza improvvisa le piombò sull’anima e l’immagine di Aroldo,
-in quell’attimo di spontaneità che non ebbe il tempo di domare, le
-apparve con un rimpianto. Inoltrò, sgomenta, come le accadeva sempre
-ogni volta che i sensi la soverchiavano all’improvviso — posò il lume
-per terra nella saletta d’ingresso e aperse l’uscio che metteva in
-giardino, chiuso diligentemente dalla nonna nella sua ultima ronda. Era
-agitata, nervosa; intuiva vagamente un pericolo — non sapeva quale, nè
-perchè. Scese lo scalino di pietra con precauzione poichè non ci vedeva
-affatto, e fece qualche passo verso la finestra della sua camera. Di
-colpo si sentì ghermire da due braccia robuste e un fiato ansante le
-alitò sul viso.
-
-— Ah, lo sapevo! — mormorò lei col cuore tumultuante per l’emozione
-inattesa e pur preveduta; — Aroldo!
-
-Ma poi dopo quel momento di silenzio rabbrividì. Aveva indovinato, più
-che intraveduto, l’avvocato Dardanelli.
-
-— Clotilde.... Clotilde.... — mormorava la sua voce che a quell’ora
-e nel buio assumeva un’intonazione strana; — non ne posso più,
-Clotilde... da due ore sono qui a misurare quella finestra... volevo
-salire.... io sono pazzo, Clotilde....
-
-La fanciulla istintivamente cercò di svincolarsi, ma quelle braccia
-erano di ferro; ella ebbe allora la rapida percezione che lo
-smarrimento e la paura l’avrebbero perduta. Con un atto della sua forte
-volontà rispose calma, irrigidendosi: — Via mi lasci, è un cattivo
-scherzo... M’ha fatto avere uno spavento terribile; mi lasci, mi fa
-male a stringermi così...
-
-Ma egli la serrava più forte, inebriato di quella giovinezza opulenta
-che sentiva contro il suo corpo.
-
-— Mi lasci, — disse ancora Clotilde irata, puntellando le mani contro
-le spalle di lui e arrovesciandosi per allontanarsi da quel viso, per
-sottrarsi a quei baci; — mi lasci o grido!
-
-La sua calma fittizia era sparita: oramai non si dominava più, si
-dibatteva furiosamente, disperatamente, mentre egli la trascinava
-stringendola come fra una morsa, mormorando incoerenti parole di
-tenerezza.
-
-— Grido, grido.... — minacciava lei, con la voce strozzata
-dall’angoscia, quasi piangendo.
-
-E l’uomo cercava di farla tacere, di calmarla coi suoi baci impuri, e
-continuava a stringerla, a trascinarla... Clotilde non aveva più forze
-per lottare, ma la sua ira cresceva dalla sua debolezza.
-
-— Vile!... infame!... — esclamò, e gli sputò sul viso. Poi esasperata
-si strappò il pugnaletto dai capelli e glielo conficcò a più riprese in
-un braccio finchè le braccia si allentarono.
-
-Un lamento, un rantolo di rabbia, d’agonìa, chissà? la seguirono
-nella sua corsa rapida verso la casa dove giunse ed entrò e richiuse
-l’uscio, proprio mentre Dardanelli che la rincorreva, vi appoggiava le
-braccia nerborute per forzarlo, per ripigliarla ancora. Clotilde lo udì
-tempestare di pugni la fragile barriera, bestemmiando, con una voce che
-non aveva più nulla d’umano.
-
-Ella si lasciò cadere su una sedia semisvenuta, atterrita, esausta.
-Un rombare di tuono che crebbe e scoppiò in un fragore di fulmine
-soverchiò ogni rumore. Il temporale s’annunziava.
-
- *
- * *
-
-— Signora dottoressa, — disse il giorno dopo la nonna a Clotilde quando
-furono sedute a tavola, — c’è un ferito da curare. Cerchi di guarirlo
-bene, le faranno poi i sonetti...
-
-Ma siccome la ragazza, un po’ pallida, s’affrettava a inghiottire una
-dopo l’altra le cucchiaiate della minestra scottante, per evitare
-di rispondere, la signora Rita smise quel tono sardonico e disse
-naturalmente:
-
-— Davvero, sai, l’avvocato Dardanelli s’è ferito a un braccio. Me lo
-ha detto la Giulia poco fa. Stamattina s’era levato molto presto per
-lavorare in giardino, e nel rialzare i rami del gelsomino è caduto
-dalla scala a piuoli e s’è stracciato manica e carne contro i chiodi
-del muro. Sua moglie era tutta nervosa pensando al pericolo.... Se si
-fosse trovata presente, quella cadeva in convulsioni....
-
-Clotilde respinse la scodella vuota e disse ad occhi bassi:
-
-— Spero che l’avvocato non mi aspetterà per curarsi....
-
-— Pare di sì, — continuò la nonna, — giacchè non ha voluto chiamare il
-dottore. Fra lui e sua moglie hanno fasciato il braccio.... Dardanelli
-seguita a dire che è una cosa da nulla... Però gli è venuta la febbre.
-
-Clotilde era stata assalita da un dubbio repente, angoscioso. Dov’era
-il suo pugnaletto d’argento? se lo avessero trovato in giardino,
-insanguinato.... Lo aveva gettato via o no? Non se ne rammentava.
-
-— Non ci mancava che questa, povera gente; continuò la signora Rita
-trinciando il lesso. — Ce n’era d’avanzo della bambina malata... ha un
-febbrone, povera creatura.... ma già quando l’incomincia a dar dietro
-non si finisce più. Poi, già, la civetta s’è fermata due notti, due
-notti in fila, capisci? a cantare sulla finestra... me lo raccontava la
-Giulia.... S’ha un bel dire che sono scempiaggini, ma poi i fatti....
-E tu hai sentito che temporale, stanotte? Che tuoni e che lampi....
-Gesummaria, pareva il finimondo... Poi ha durato tutta notte a
-piovere... Bada qui, Clotilde, ohi a che pensi? è un ora che ti stendo
-il piatto....
-
-La ragazza si scosse arrossendo; levò i tondi, ne rimise, si prese
-il lesso, ma non potè mangiare. Quel pensiero la torturava. E dovette
-rimanersene cheta fino al termine del desinare, ascoltando le ciarle
-della nonna che di quando in quando la pungeva col sarcasmo o col
-dispetto. Allorchè le fu possibile d’uscire, barcollava.
-
-Trovò il pugnaletto sotto i rami spezzati d’un geranio. Il vento e
-la pioggia avevano pestato le aiuole a segno che non era possibile
-scorgervi traccia di passaggio o di lotta; pure ella si sentì mancare
-scorgendo luccicare il suo gingillo fra la terra umida, in quel
-luogo. E come le accadeva sempre, il contraccolpo dell’emozione la
-terrorizzava. Lo raccolse con uno sforzo della sua volontà avvezza
-a superare le ripugnanze insuperabili, ma sentiva che se vi avesse
-trovato traccia di sangue non sarebbe più stata padrona di se. Nulla,
-invece. La tenue arma lavata dalla pioggia era forbita, riscintillante
-al sole. Clotilde salì in fretta nella sua camera e lo gettò sul
-cassettone come se le scottasse le mani, poi si abbandonò sul letto,
-bocconi, con le tempie, il cuore, le arterie tutte che le pulsavano
-violentemente.
-
-Si rialzò soltanto quando udì qualcuno bussare all’uscio e chiamarla
-angosciosamente. Andò ad aprire intontita, come balzata dal sonno. Vide
-la signora Giulia piangente, pallida, scarmigliata, senza lena.
-
-— La mia bambina muore! Clotilde, presto, aiuto, oh Dio, la mia bambina
-muore, aiuto!...
-
-Fu come il bicchier d’acqua che dissipa i fumi dell’ebbrezza. Clotilde
-si riprese in un attimo — Andiamo, andiamo — rispose energica, pronta,
-risoluta; e si mise a correre tenendo per mano la signora Giulia che si
-lasciava trascinare, spiegandosi fra i singhiozzi, a stento:
-
-— Il dottore non si trova... al solito... e la bambina si soffoca...
-Eppure ieri pareva nulla, ti ricordi? un po’ di febbre.... ma ora
-sta male... oh male... Ah, Vergine Maria, ascoltatemi, voi che siete
-madre...
-
-Clotilde traversò il giardino sempre correndo e trascinando sempre
-l’altra ansante, lagrimosa. Traversarono così anche la strada maestra
-e giunsero quasi subito al casinetto dei Dardanelli, a due passi.
-Solamente varcando la soglia ella si risovvenne del padre, ma il
-pensiero che le attraversò la mente non la fece esitare. Entrò, salì le
-scale e in un baleno fu nella camera dove la bambina rantolava.
-
-Dardanelli era là, presso la culla, tutto sbiancato. Essa agghiacciò
-scorgendolo. La signora Giulia si abbandonò sul petto di suo marito: —
-Enrico, coraggio.... c’è qui la Clotilde.... ce la salverà, lei....
-
-Clotilde aveva spalancato la finestra e rialzato i cortinaggi della
-culla. Al solo vedere i lineamenti contratti della piccina capì. — Ah!
-la difterite... — disse dolorosamente nella sua inesperienza morale
-di neo-medichessa, e si strinse le mani alle tempie concentrando il
-pensiero con uno sforzo inaudito, in quel tumulto di sensazioni in
-cui pareva che il suo cervello riddasse. Poi la fermezza vinse. Volle
-ricordarsi.... si ricordava di una lezione del professore... della
-narrazione d’un caso consimile.... dell’eroismo d’un giovine medico,
-come lei ardente di carità....
-
-— Presto, presto, una cànnula, — comandò; — una piccola cànnula
-purchessia, vuota, resistente... ma presto! — E mentre gli altri si
-affrettavano per la camera in disordine e per la casa, ella prese
-la bambina, la portò davanti ad una finestra, l’arrovesciò sulle sue
-ginocchia, le aperse la bocca.... Le membrane bianche si dilatavano
-sulla gola, maligne, tremende....
-
-— Ah, ma presto — ella gridava ancora, ansiosa, quando la signora
-Giulia le tendeva già una piccola canna che serviva per le loro bibite
-in gelo, l’estate. E Clotilde, semplicemente, eroicamente, mentre
-gli altri tenevano la povera creatura che si dibatteva, le applicò la
-cànnula in gola aspirando forte con la bocca, a parecchie riprese e
-sputando mano mano delle chiazze bianche sul pavimento; ricominciando
-finchè la bambina potè respirare e piangere.
-
-— Ecco, — disse dopo, livida come una moribonda, — mentre si stringeva
-al seno la bambina e l’avvocato e sua moglie non potevano che piangere
-— la Rachelina per questa volta è salvata. Però non bisogna indugiare a
-chiamare il medico per il resto della cura... io non posso assumerne la
-responsabilità. Chiamate De Carli; è uno specialista.
-
-La signora Giulia scivolò per terra in deliquio baciandole le mani.
-Dardanelli rimasto immobile, ginocchioni sul tappeto, piangeva sempre,
-senza ritegno, silenziosamente, senza più curarsi di celare la sua
-debolezza. Clotilde pallidissima ma sicura e calma rimise in letto la
-Rachelina, le prestò ancora alcune cure suggerendo nel medesimo tempo
-alla serva smarrita i soccorsi per la sua padrona. E quando la signora
-Giulia inerte, fu adagiata sul largo letto matrimoniale e la serva fu
-uscita in cerca di qualche cosa, Dardanelli si trascinò in ginocchio
-vicino a Clotilde curva sulla culla; ella voltandosi lo vide così, ai
-suoi piedi, gemente, umiliato, implorante.
-
-— Mi perdona? balbettava: Clotilde, mi perdona? lei è una santa, oh
-mi perdoni!.... in nome di quell’innocente che le deve la vita mi
-perdoni!....
-
-Ma Clotilde si scostò con ribrezzo, raccogliendo le vesti perchè non
-la toccasse. — No, — proruppe brusca, altera, — mi ha fatto troppo
-soffrire; non posso, se ne vada....
-
-E siccome lui continuava a supplicare, a invocare, ella lo respinse
-adirata: — Vada!, — esclamò vada piuttosto a cercare un medico per la
-sua bambina... S’alzi, vada... vada! — ripetè con la voce smorzata,
-in un impeto di collera che nell’agitazione di tutto il suo essere fra
-tante diverse emozioni, minacciava di crescere fino al parossismo, fino
-alla follìa....
-
-.... E invece la sua eccitazione si rilasciò subitamente, come la vela
-sgonfiata da una tregua di vento. Una strana stanchezza la invase,
-un’indifferenza somma per tutte le cose.
-
-— Ebbene sì, le perdono... — sussurrò pallida, debole, vinta — le
-perdono...
-
-Ella sapeva che non uscirebbe di là che per porsi in letto e morire.
-
- *
- * *
-
-Le imposte erano spalancate al vespro tranquillo, aurato. Un raggio del
-sole occiduo entrava dalla finestra di ponente, lumeggiava un angolo
-del tavolino ingombro di libri e lambiva la parete dirimpetto, grigia a
-mazzi di rose. Il letto, nel fondo, era vuoto, senza guanciali e senza
-coltri, con le materasse abballinate come dopo una partenza; nell’aria
-vagava ancora un odor d’etere misto ad incenso, soverchiati ambedue
-dall’odor acre dei disinfettanti. Sul tavolino da notte era rimasto
-un bicchier d’acqua, un piccolo termometro misuratore della febbre, e
-uno strumento chirurgico che aveva servito per la tracheotomìa. Sul
-cassettone due o tre forcelline di tartaruga, lo stiletto d’argento
-col motto cavalleresco: «_Non ti fidar di me se il cor ti manca_», e la
-cintura di nastro nero: appesa all’attaccapanni la blusa di mussola blu
-che serbava tuttora l’impronta molle d’un corpo. Dalle finestre aperte
-veniva un gracidare di rane e lo stridere dei grilli, poi le tende alte
-e lievi come ali, gonfiate da un soffio improvviso di brezza uscirono
-fra le persiane e palpitarono, in alto, come se volassero via.
-
-In quel punto se n’andava dal giardino una bara infiorata fra il
-biancheggiar delle cappe e le fiammelle rosse, irrequiete, dei ceri.
-Siccome i preti non avevano ancora incominciato a salmodiare, s’udiva
-lontanamente sulla via maestra un organetto suonare un waltzer.
-
-
-
-
-Romanze senza parole
-
-
-RESURREZIONE
-
-Quand’egli non annunziato, non aspettato, sollevò adagio, da sè,
-l’arazzo che nascondeva la porta del bizzarro salotto, ella era
-seduta nella solita poltrona sotto la finestra e leggeva. L’altissimo
-schienale della sedia rivolto contro l’uscio l’avrebbe tutta nascosta,
-s’essa non avesse tenuto la persona inclinata un po’ a destra, verso
-il bracciuolo, a cui appoggiava il gomito reggendosi la testa con la
-mano, nell’atteggiamento antico della meditazione e del sogno. Era
-vestita come sempre di bianco, e di lei non emergeva che l’estremità
-dell’òmero, il braccio piegato, lo squisito contorno della testa bionda
-acconciata con una treccia scendente, piegata a metà e ricondotta
-sulla nuca. La sala tutta parata di vecchio damasco bruno, dai mobili
-di querce angolosi, artistici, colossali, nello stile del trecento,
-era in un’ombra fresca e severa di chiesa, mantenuta dalle vetrate
-di piccoli cristalli ottangolari legati di piombo, che chiudevano
-due delle grandi finestre ogivali; la terza finestra, a cui ella
-leggeva, lasciava entrare dallo spiraglio delle vetrate socchiuse un
-filo di luce più viva che le sfiorava i capelli, faceva sorridere un
-ramoscello di biancospino nell’anfora poco discosto e animava un grande
-affresco di Giotto sotto il quale stava un organo da sala. Da un anno
-nulla era mutato nel vasto salotto. Pareva che tutto quel tempo non
-fosse passato; che l’estate non lo avesse infiammato del suo soffio
-di passione, che l’autunno non lo avesse desolato col suo pianto,
-che l’inverno non lo avesse intirizzito col suo gelo. Eternamente
-l’incipiente primavera; eternamente i biancospini e le mammole
-profumavano l’ombra refrigerante, misticamente obliosa; eternamente
-lei, bianca e mite al solito posto, leggendo.
-
-Era immobile e vaghissima come una figura dipinta. Quanto tempo
-resterebbe così? come sussulterebbe, come volgerebbe il capo,
-che direbbe udendo la nota voce mormorare il suo nome dolcemente,
-semplicemente, dietro l’alta poltrona? Allora il libro le cadrebbe
-ai piedi; ma un altro volume si riaprirebbe alla pagina dove fu
-abbandonato... ahimè all’ultima pagina: quella che non ha che una
-parola: Fine.
-
-Rileggerlo dunque... E che avrebbe potuto dir loro di più soave
-di quello che aveva già detto? Che avrebbe cantato di più folle di
-quello che aveva già cantato? Che avrebbe lagrimato di più doloroso
-di quelle lagrime già piante? Tutto si rinnovella, anche l’amore;
-ma nulla rinasce, neanche l’amore. I fiori di questa primavera non
-sono più quelli dell’altra primavera morta; le farfalle che ripetono
-sulle ali velate i medesimi geroglifici come una lingua perduta nei
-secoli che nessuno più intende, non sono più le stesse farfalle;
-l’onda che è giunta affannosamente a baciare la spiaggia prima di
-svanire, non la ribacia una seconda volta, in tutta l’eternità. Però
-le cose belle e fragili che non potevano durare, che non hanno durato,
-che raggiarono e disparvero, non precipitano nel cieco infinito, ma
-salgono, salgono, salgono a rivivere più fulgidamente, più durevolmente
-nell’esistenza spirituale del sogno; mentre le altre, quelle che si
-poterono afferrare, quelle che rimasero, si corrompono e si sfasciano
-miserevolmente per vecchiezza. Nella vita o nel sogno. Egli aveva
-un’anima di poeta e disse: Nel sogno.
-
-Ella stava immobile sempre come una figura dipinta. Immota e tranquilla
-e ignara dell’attimo solenne che passava; nessun presentimento, nessuna
-voce, nulla. Forse il suo spirito s’era involato e non rimaneva che
-il delicato involucro candido in quella oscura severità. Egli prese
-lentamente le due rose gemelle che s’inaridivano sul suo petto e le
-gettò ai piedi di lei come su una tomba. Poi fuggì.
-
-
-
-
-Natale Romantico
-
-
-Nella chiesetta del convento si celebravano le tre Messe di Natale.
-L’altar maggiore si ergeva nel fondo fra i rossi panneggiamenti di
-velluto, i veli cerulei e i galloni d’argento, illuminato dai ceri
-digradanti in una triplice schiera di fiammelle, coperto di lini e
-di merletti su cui scintillavano gli arredi sacri tra le palme di
-rose. Sulla gradinata nascosta dal tappeto, i sacerdoti s’inchinavano
-nelle gialle stole gemmate: fra la nebulosa profumata dell’incenso:
-una visione magnifica, che lasciava ancor più buia e nuda e povera la
-piccola chiesa in cui i soggoli e le bende delle monache impallidivano
-lontane, confusamente, come una coorte di larve. Giù per le navate
-solitarie interdette ai profani, l’organo versava torrenti sonori di
-melodie; ora formidabili come il clamore delle trombe d’una legione
-d’arcangeli giustizieri; ora dolcissimi, mormoranti appena, come in un
-sogno celestiale; ora appassionati e numerosi come mille e mille voci
-assurgenti e rincorrentesi nel delirio di un’estasi divina.
-
-Un poco in disparte, sotto la lampada accesa all’altare semibuio di
-Michele arcangelo, era prostrata suor Raffaella — la povera monachina
-malata e bizzarra, a cui si perdonava tutto, ora che doveva morire. La
-mattina stessa aveva sputato sangue di nuovo, e tutto il giorno era
-rimasta a letto per obbedienza — ma la sera non le avevano impedito
-di levarsi e scendere in chiesa per assistere alle tre messe della
-mezzanotte, le tre messe del Natale.
-
-Stava prostrata immobilmente sul duro inginocchiatoio di legno, con
-la faccia tra le mani gialle e scheletrite. E non aveva pregato,
-nè meditato, nè pianto. Aspettava con l’anima sospesa, l’invocato,
-dolcissimo prodigio. Oh Dio non l’avrebbe lasciata morire così,
-senza concederle di rivedere una volta il suo amore! poichè ella
-non domandava che di rivederlo un attimo, chinargli il capo sul
-petto e morire. Chi sà, chi sà! Forse non era caduto a Dogali,
-forse s’erano ingannati scrivendo il suo nome nel lugubre elenco, e
-bisognava cercarlo ancora, cercarlo invece fra i prigionieri delle
-tribù selvaggie, in qualche recesso ignoto della maligna terra dalle
-paurose leggende. Oh non poteva esser morto, lui! così ardito, così
-giovane, così forte, amato così!... E se era proprio morto, ebbene, lo
-rivedrebbe per miracolo; credeva piuttosto a questo che alla certezza
-di non ritrovarlo mai più.
-
-Erano anni che aspettava quel momento; anni!
-
-Da principio l’attesa placida, sicura, olimpica, coll’anima stemperata
-quasi in un immenso _nirvâna_; poi un periodo inquieto, dubitante,
-angoscioso, tremendo, a cui aveva seguito quell’attesa febbrile,
-inverosimile, ostinata, di ogni ora, di ogni minuto del giorno e
-della notte; un’attesa così intensa, nel fervido desiderare, che la
-sua vitalità vi si struggeva come in un crogiuolo ardente.... ed era
-la morte: essa lo sapeva, lo sentiva, pur non tentando di lottare:
-abbandonandosi anzi, quasi lieta di morire.
-
-Però quella notte uno spiro novo e fresco di speranza la vivificava.
-Era la notte di Natale, la notte santa delle mistiche corrispondenze
-tra la terra ed il cielo. Gli angeli, quella notte, in infinite e
-diafane spire allacciano i mondi, osannando al Messia nell’immensità
-che si riempie di parvenze radiose e di musica. Forse Iddio aveva
-scelto quella notte luminosa per compiere il miracolo, per renderle il
-suo amore.
-
-La seconda messa giunse a metà. Da piè dell’altare evaporò più densa e
-più odorosa la nube d’incenso; le campane in alto dindondavano solenni
-e gaiamente pie; dall’organo si effondeva sommessamente la cantilena
-agreste delle zampogne, la pastorale, semplice e sublime serenata della
-notte meravigliosa. E quella nenia ripetuta, ripetuta, ripetuta, nel
-ritmo ingenuo e amoroso di una ninna-nanna, blandiva i suoi tumulti, la
-cullava, la addormentava. Non aveva più senso di nulla.
-
-Ma quando sentì toccarsi lievemente sull’omero, scattò. No... non era
-ancora lui; era suor’Rosalia, la buona giovine novizia, impensierita
-della sua immobilità.
-
-— Si sente male, suor’Raffaella?
-
-Ella la fissò con gli occhi spalancati e non rispose. L’altra, appagata
-di saperla ancor viva, si rimise a pregare.
-
-Suor’Raffaella volse lentamente il viso aguzzo, che aveva una strana
-espressione di stupore, verso l’immagine dell’Arcangelo Michele che
-cacciava con la spada fiammeggiante gli angeli decaduti; e i suoi
-occhi neri e ardenti s’affisarono lungamente sull’immagine sacra che la
-lampadina faceva appena emerger dall’ombra.
-
-— Suor’Raffaella è devota di san Michele — dicevano le suore. Infatti
-era sempre là che s’inginocchiava, là che pregava e piangeva, quando
-poteva ancora piangere e pregare. La gentile e balda figura del biondo
-spirito cavaliere le ricordava il suo amore, fior di gentilezza
-e tempra d’eroe; così lo prediligeva e si prostrava a’ suoi piedi
-umilmente anche ora, quasi soggiogata da quell’energìa celeste.... o
-vinta dalla languida dolcezza d’un sogno.
-
-Questa volta lo affisò a lungo, intensamente, come se avesse dovuto
-stare un pezzo prima di rivederlo: poi reclinò ancora il capo fra
-le palme, esausta. Sentiva mancarsi il respiro e la vita; le voci
-dell’organo le ululavano confusamente negli orecchi, come il frastuono
-di un uragano; quelle campane alte e lontane le davano le vertigini; i
-vapori dell’incenso la soffocavano. Credette di morire, e la prese un
-folle desiderio d’aria, di libertà, di vita. Quelle campane insistenti,
-festose nell’altezza fredda e pura, le parlavano, la chiamavano,
-la volevano, l’attraevano irresistibilmente, la suggestionavano.
-Smemorata, quasi folle, staccò il rosario dal fianco, il rosario che
-sapeva le strette convulse delle esili dita che lo afferravano di notte
-sotto il capezzale o lo avvoltolavano con una monotonìa disperata nelle
-lunghe ore delle giornate vuote e silenti, e lo depose sugli scalini
-dell’altare; poi si alzò lieve e quasi incorporea, come un’ombra, e
-dileguò dalla porticina accanto all’altare, che conduceva al corridoio.
-Di là si saliva pure al campanile; l’uscio era aperto ed ella salì. Le
-campane con le loro vibrazioni sonore la volevano; lassù era l’aria,
-l’esultanza, la vita. Suor’Raffaella cominciò a salire la stretta
-scala a spirale reggendosi al muro, al buio, a tentoni, faticosamente;
-il respiro le diveniva ancor più difficile; la scala tortuosa e
-ripida le esauriva le ultime forze. Un’oppressione vaga incombeva su
-lei, un’oppressione che avanzando divenne un incubo, un terrore per
-quelle tenebre ignote e continue addensate nell’angusto spazio. La
-scala seguiva non mai interrotta, e nessun spiraglio, nessun lume;
-un’oscurità pesante di tomba. E ancora scalini e scalini ascendenti in
-una spira diabolica, interminabile. La testa le riddava vorticosamente,
-il suo respiro era un rantolo. Saliva, incontrando sempre nuovi
-gradini sotto il piede, incespicando, cadendo, rialzandosi, delirando,
-immaginandosi di uscire da un abisso sterminatamente profondo, di
-esser condannata a roteare così, innalzandosi nel buio, per l’eternità;
-sbarrando gli occhi, avidi d’un punto luminoso; spalancando la bocca,
-anelante di un soffio d’aria viva. Infine sostò, incapace di proseguire
-o di retrocedere, e s’abbandonò sugli scalini, sospesa in quel foro
-nero, fra due abissi....
-
-Ma le campane la chiamavano, la volevano, le campane rimbombanti sonore
-e vicine, alle cui vibrazioni quel fragile edifizio pareva oscillare. E
-suor’Raffaella si levò, galvanizzata, e cominciò l’orribile ascensione
-brancicando nelle tenebre, oramai inconscia di sè, cieca, pazza,
-morente...
-
-Improvvisamente, a uno svolto, un rettangolo di blanda luce argentina
-le s’aprì dinanzi ed essa si slanciò. Era l’uscio che dava sulla
-stretta terrazza circolare, a pochi metri dalle campane. L’aria
-pungente e mossa l’avvolse tosto in una gelida carezza che la rimescolò
-bruscamente. Le parve di svegliarsi da un sogno atroce; battè le
-palpebre e sorrise. Era l’aria, la libertà, la vita. Laggiù, laggiù,
-tutto intorno la pianura immensa, morbidamente bianca di neve sotto il
-vasto plenilunio. Alberi, case, strade, apparivano vaghi e indistinti a
-quell’altezza: non rimaneva che la pianura giù, all’imo, candidissima,
-e sul suo capo l’etere terso, profondo, gemmato, in cui le pareva
-d’essere librata meravigliosamente. Libera, sola, sullo stretto spazio
-di quel pinnacolo eccelso, penetrata dalla magica nebulosa d’argento
-fluttuante nello spazio, si sentiva ingigantire smisuratamente e
-sprigionare dal suo involucro materiale, per trasformarsi in una
-parvenza luminosa e fantastica, dileguantesi nell’infinito con le
-vibrazioni di quelle campane rombanti accanto a lei che si slanciavano
-nel vuoto, gioiosamente.
-
-Finalmente non si ricordava più! non viveva più! non soffriva più!
-Era guarita. S’era immersa nell’altezza serena e fredda, come in un
-queto Lète dolcissimo e oblioso. L’immagine fascinatrice, abbarbicata
-da tanti anni al suo cuore con una tenacità così ardente da assorbirne
-la vita, l’immagine che l’inseguiva traverso le ore dell’occupazione,
-della preghiera, della meditazione, del riposo; nella veglia, traverso
-le lunghe notti invernali; nei sogni, in cui guizzava come uno sguardo,
-come una voce, come una parola; l’inebriante e fallace parvenza che
-la uccideva di desiderio cocente, l’aveva lasciata; era svanita; aveva
-dilagato nell’estasi di quell’ora vaga, fantastica, divina.
-
-Poi il candore vastissimo, lo spazio infinito l’assorbirono
-interamente; si sentiva già pronta a librarsi, lieve e immateriale
-e vaporosa come un’angelica forma; si sapeva coronata di stelle
-rifulgenti; sorrise. Sorrise alle campane che continuavano a slanciarsi
-folli, sonanti, mentre lei si puntellava al parapetto, salendovi
-faticosamente in ginocchio, rimanendovi un attimo, per slanciarsi anche
-lei nel vuoto bianco e luminoso e profondo, nel plenilunio sacro.
-
-
-
-
-Natale classico
-
-
-Alle due estremità della tavola, che era tutta un candore rilucente
-di cristalli e di argenteria, sedevano i padroni di casa. Lui, un
-vecchio generale in ritiro, un po’ arrustichito dalla sordità; con un
-torace di Ercole e due occhietti chiari e placidi, affondati fra la
-rubiconda grassezza del viso e le folte sopraciglia: Lei, che della sua
-altera bellezza, quasi celebre, serbava ancora la figura giovanilmente
-snella e una certa espressione di superiorità, che il profilo dantesco
-e la durezza dello sguardo accentuavano. Pareva nata per agire e per
-comandare; infatti, per il prestigio della sua bellezza, e più per una
-tenacità di volere logica e calcolatrice, aveva sempre menato tutti per
-il naso, cominciando dal generale che si credeva un tiranno.
-
-Povero generale! una buonissima pasta d’uomo e, malgrado i suoi
-settant’anni (anzi forse per questo), innamorato dell’ideale come
-uno scolaretto. La sua soddisfazione per quel pranzo di famiglia,
-a Natale, era profonda, sincera. Certe consuetudini tradizionali,
-certe solennità, le osservava e le rispettava come i suoi obblighi
-di cittadino e di soldato, ma con una dose maggiore d’entusiasmo
-e di convinzione, che le coloriva e le innalzava al grado di veri
-avvenimenti desiderati. I natalizî, gli onomastici, l’anniversario
-del suo matrimonio, Pasqua, Capo d’anno, Natale, costituivano per
-lui tante piccole oasi in cui pigliava fiato prima di rimettersi in
-via, scacciando, dimenticando, allontanando olimpicamente in quei
-giorni ogni preoccupazione molesta, ogni pensiero cruccioso. Ma il
-Natale era la solennità che preferiva, la solennità classica per
-eccellenza, che ogni anno gli faceva rovistare nel bagagliume delle
-memorie per arrivare a concludere con la narrazione di qualche episodio
-tragi-comico avvenuto proprio a lui e proprio per la sua ferma volontà
-di venirsene a Natale nel suo paese per mangiarvi, da buon ambrosiano,
-il tacchino e il panettone, e scaldarsi al ceppo tradizionale che
-doveva rimanere acceso fino alla mattina.
-
-Sua moglie, donna Laura, da persona intelligente, aveva sempre
-rispettato quei gusti e quelle consuetudini, senza rinunziare però a
-discorrerne con quella cert’aria di compatimento che doveva mantenerla
-sul suo piedestallo. Per lei il Natale non era che un pretesto per
-affermare solennemente, almeno una volta all’anno, la sua autocrazia
-che non cedeva nè ai tempi, nè ai costumi. Se non era più possibile
-la famiglia patriarcale come ella aveva vagheggiato per alimentare
-le sue aspirazioni feudali, rimanesse almeno l’obbligo di quel pranzo
-di Natale che raccoglieva tutti intorno a lei come un tacito omaggio
-alla sua autorità. Ciò che sarebbe riuscito ad ogni altra naturale
-e gradito, costituiva per lei, quasi unicamente, una soddisfazione
-d’orgoglio. C’erano tutti intorno alla mensa: suo figlio, lo stimato
-e noto giornalista dai capelli già grigi, coi bimbi e la governante
-inglese; la nuora, una bruna vivace e astuta dagli occhietti di
-cingallegra; sua figlia Marta, una creatura bizzarra, un po’ esile,
-fumatrice arrabbiata di sigarette, e suo genero, alto e grosso e brutto
-come l’Orco; infine l’altra figliuola giovinetta, sgusciata appena
-dalle mani dell’istitutrice. Poi i parenti più lontani, quelli che
-formavano il maggior ornamento al carro di donna Laura: una cugina
-vedova che veniva ogni anno da Firenze, splendida figura di Giunone,
-dai movimenti bruschi, ridanciana, provocante; un nipote ufficiale
-arrivato da Massaua, la vigilia, per quel famoso pranzo di Natale, e
-il figliuolo di un’amica morta, considerato oramai come un parente: il
-conte Silvestri, uno scavezzacollo e poeta per giunta.
-
-Donna Laura, naturalmente, dirigeva la conversazione anche a pranzo,
-intavolava i discorsi, lasciava cadere quelli che non le garbavano,
-ne troncava anche certi altri, risolutamente, qualche volta con un
-sol gesto o con uno sguardo insistente de’ suoi freddi occhi grigi.
-Quella sera però le sue armi cominciavano a spuntarsi contro quelle
-dell’ufficialetto, che tirava via a dialogare sotto voce colla sua
-bella vicina, la vedova, il cui florido busto si torceva per le risate
-frequenti, mentre gli occhi di lui luccicavano, fissi su quella nuca
-fresca e bianca che l’abito un po’ scollato scopriva. Il generale,
-col tovagliolo al collo, parlava poco e mangiava assai, occhieggiando
-spesso e volentieri verso la formosa vedovella e sorridendo del suo
-riso senza capir nulla; gli altri non badavano a loro. Ma, oltre gli
-occhi severi di donna Laura e quelli avidi del generale, altri due
-occhi spiavano, invidi e penetranti, quelli di Alda, un po’ troppo
-fredda e distratta alla mensa di Natale.
-
-— Si può sapere a che pensi, Alda? — ammonì con la sua consueta
-terribile freddezza donna Laura, vedendo che dimenticava perfino di
-incrociar le posate sul tondo; e la fanciulla arrossì voltando il viso
-verso il Baby, occupandosi -di lui per disimpegno. Un viso intelligente
-e simpatico, un tranquillo viso di donnina che un neo sulla guancia
-abbelliva.
-
-— .... sapete che cosa mi ha risposto? — continuava la voce aspra di
-Marta che si tagliava un’altra fetta di panettone: — «padronissima
-di andare; a una commedia di quel genere io non vengo!» E gli altri
-ridevano tutti, meno sua madre.
-
-— Ah! proprio così? — fece il conte-poeta stiracchiandosi i baffetti
-biondi un po’ soprapensieri.
-
-— Precise parole, ve lo assicuro. — Marta scrollava le briciole di
-panettone dall’elegante abito a ricami di passamanteria che le vestiva
-la figura svelta, nascondendole il collo troppo lungo. — Precise
-parole. E un’aria scandalizzata!... Credo che mi leverà il saluto...
-
-— È una cretina, — dichiarò placidamente l’Orco.
-
-— Oh, no, è furba! — corresse la brunetta con un movimento affermativo
-del capo e quello sguardo artificiosamente candido che la rendeva così
-graziosa.
-
-— Oh infine poi, — entrò a dire donna Laura con calma, autorevole,
-— ognuno è padrone di condursi come meglio crede; rispettiamo le
-opinioni. Se quella commedia urtava le sue convinzioni religiose
-o morali, ha fatto bene a non intervenirvi. Aggiungete poi che con
-questa sconfinata libertà, che ora informa l’arte e la vita, nulla
-di più facile che passare dalla leggerezza alla sconvenienza... —
-finì voltando il viso aggrinzito e incorniciato dai capelli grigi,
-arricciati, verso la vedova e l’ufficiale che non se ne davano per
-inteso.
-
-— Non lo credete? non lo credete? — mormorava sottovoce lui,
-infervorato, col viso acceso. — Gabriella!... scettica... cattiva...
-
-— Baie... — rispondeva lei col suo spiccato accento fiorentino,
-scrollando, le spalle opulente e chinando il capo per osservare
-con gli occhi miopi le cifre del tovagliolo; — baie, caro mio...
-— E la signorina Alda daccapo a guardare fissamente, lungamente,
-con una costanza e un ardire quasi disperato, il cugino ufficiale.
-Baby, trovandosi trascurato, la scotè violentemente per un braccio,
-rovesciando nell’atto un bicchiere di vino.
-
-— Ma quei bambini... sono d’un’indisciplinatezza... — cominciò donna
-Laura, rivolta a sua nuora, che fulminò con un’occhiata la governante,
-la quale a sua volta, col viso di fuoco, rimproverò in inglese il
-bambino.
-
-La governante era una ragazza florida e bionda, nè brutta nè bella,
-impassibile e muta sempre, persino negli occhi, che pareva non avessero
-pensiero. Eppure il malestro di Baby l’aveva richiamata alla realtà
-di lungi, oh di lungi assai, dalle nebbie nordiche fra cui intravedeva
-un ramo di pino inghirlandato di lampioncini rossi, e molti visi noti
-e cari, e un bisbiglio di voci, nel linguaggio della sua infanzia,
-ripetere con un buon sorriso: _A happy Christmas, my dear!_
-
-— Uh! se potessi andarmene prima di mezzanotte senza che mamma se ne
-offendesse.... — pensava il figlio giornalista, mettendo un chicco di
-zucchero nella sua tazzina di caffè, in aria meditabonda.
-
-— Come lo chiamate questo profumo? — grugnì il generale, annusando
-l’aria verso la vedova che lo guardò un momento senza rispondere e
-poi disse: — Eliotropio! — voltandosi ad ammonire il suo turbolento
-compagno che le bisbigliava qualche cosa all’orecchio.
-
-— Non sarà sempre Natale... — rifletteva fra sè per consolarsi,
-Alda, col cuore stretto da uno sconforto senza fine. Poi pensava che
-passato Natale anche lui se ne sarebbe andato, e il buio e il silenzio
-avrebbero soffocato il suo bel sogno. Allora si contentava di soffrire.
-
-Mentre donna Laura dava dei consigli a sua nuora sul mezzo migliore per
-conservar fragrante il thè, il generale aveva trovato modo d’attaccare
-col conte Silvestri il suo discorso favorito:
-
-— Un natale senza neve! ma che vuoi? non mi pare neanche Natale... Ci
-vuol la neve alta mezzo metro... allora si gode il ceppo. Mi ricordo
-che nel sessantadue... Ma a proposito. — ripigliò come chi non vuol
-differire una questione importante, — a proposito, Laura, chi sta di
-guardia stanotte al ceppo? hai stabilito?
-
-— Ma chi vorrà! — rispose donna Laura un po’ seccata d’essere
-interrotta nei suoi ammaestramenti domestici; e se nessuno vorrà, il
-servitore....
-
-— Ci sto io! — vociò con energia l’ufficialetto e, chi sà perchè? gli
-occhi gli brillarono come se avesse trovato la soluzione di qualche
-difficile problema.
-
-— Ebbene, ci starai tu, — replicò tranquilla la padrona di casa, che
-riprese a sua nuora il discorso dianzi interrotto. Gli altri guardarono
-tutti, discretamente meravigliati, dalla parte dell’ufficiale:
-il giornalista ebbe un sorriso maligno che trattenne subito. Alda
-impallidì.
-
-— Bravo, bravo, — approvò il generale. — Pare che il ceppo di casa
-Arnaldi sia destinato ad avere un servizio d’onore in tutte le regole.
-Fino a tre anni fa non ho ceduto a nessuno questo incarico... ed ora
-son contento che mi sostituisca un altro figlio dell’esercito. Anche
-l’anno scorso, mi pare...
-
-— No, l’anno scorso toccò a Silvestri; non è vero, Silvestri? — chiese
-Marta, accendendo la seconda sigaretta.
-
-— Chi? io? che cosa? — interrogò costui, cadendo dalle nuvole.
-
-— Ma questi poeti! — esclamò allargando le braccia il generale,
-sfiduciatamente. — Che cosa maturavi, si può sapere? un sonetto o
-un’ode barbara?
-
-— Un’elegìa, — mormorò quel monello di Silvestri, scambiando sottocchi
-uno sguardo d’intelligenza coll’Orco che sorrise.
-
-— Un elegìa?... — ripetè il generale che non aveva capito niente, e
-tornò a centellinare il suo caffè.
-
-La bella vedova pareva finalmente decisa a finirla col suo vicino,
-discorreva con l’uno o con l’altro animatamente: l’ufficialino intanto
-fumava con un’aria ingiustificabilmente radiosa. Gabriella parlava a
-donna Laura e alla brunetta di un abito, con quel suo fare risoluto,
-quei movimenti bruschi che facevano scricchiare il suo corsetto
-attilato di seta.
-
-— È inutile; non mi va, non mi va... con un personale come il mio, un
-colore simile...
-
-— _Fraise écrasée_... — disse in tono conciliativo l’elegante brunetta,
-che negli atti misurati, nella voce gentile, nella figura svelta dalle
-molli curve, era tutta l’essenza della femminilità.
-
-— Ma convinciti, Gabriella, che non si può lasciar pieni poteri alle
-sarte, — sentenziò donna Laura, seguendo coll’occhio indagatore Alda
-che, dopo averne chiesto il permesso, si era accostata al caminetto.
-
-Un camino all’antica, di pietra, che dava sempre un’impressione gelida
-con la sua impellicciatura di marmo bianco che non si riscaldava mai.
-Il ceppo fiammeggiava e crepitava gaiamente. Alda, col visetto serio,
-lumeggiato dai riflessi rossi, osservava gli ondeggiamenti leggieri
-delle vampe sul fondo fuligginoso. Presto donna Laura si alzò e gli
-altri la imitarono. Vennero tutti intorno al fuoco, meno il generale
-che sonnecchiava col tovagliolo al collo, dondolando il capo.
-
-— Ora si farà il _grand bézigue_, e alle undici il _thè_, — annunziò
-donna Laura, mentre la governante si ritirava coi bambini. E il
-giornalista, che aveva azzardato una sbirciatina all’orologio, se lo
-lasciò quasi sfuggir di mano.
-
-— Uff quella cambiale! che incubo... — pensava intanto Silvestri,
-ricaduto nelle sue meditazioni. — E Wera che si ostinava ad
-aspettarmi... Certo non la passerò liscia... Maledetto pranzo...!
-
-— .... Eppure in queste circostanze fa piacere offrire una famiglia
-a chi non l’ha, — osservò soddisfatta la padrona di casa, parlando di
-Silvestri con sua cugina. — La riconoscenza rassoda l’amicizia....
-
- *
- * *
-
-La sala da pranzo era deserta da più di un’ora. Suonò il tocco.
-L’ufficiale aveva abbassato il gas e si era adagiato nella poltrona
-dello zio accanto al camino. Lo confortava la compagnia di qualche
-eccellente bottiglia e di un’appetitosa cenetta, messa là dal generale
-per alimentare la sua veglia. Nella penombra, con la gran tavola
-coperta dell’oscuro tappeto, la stanza appariva più vasta e più triste:
-il ceppo scoppiettava languidamente, proiettando bagliori purpurei
-e oscillanti sulle gambe di una sedia poco discosta e sul lembo
-cenerognolo dei calzoni dell’ufficiale. Le tende degli usci e delle
-finestre, tutte abbassate, ricascavano in fitte pieghe mantenendo un
-gradito tepore e il gran silenzio della casa addormentata. Il giovine,
-affondato nell’ampia poltrona che aveva la spalliera contro la porta,
-era pallido e nervoso, e pareva rimuginare un pensiero con ostinata
-intensità, mentre fissava, senza vederle, le maioliche biancheggianti
-in una rastrelliera che occupava tutta la parete di contro.
-
-Rimase così a lungo, trasalendo però ad ogni menomo rumore, andando
-perfino a sollevare adagio la portiera dell’uscio di anticamera.... Si
-avrebbe scommesso che aspettava qualcuno.
-
-— Grullo a chi ci crede, — concluse poi dopo un ultimo giro di
-ricognizione, ricascando nella poltrona; e con un breve gesto
-dispettoso strappò una nappina.
-
-In quel punto avvertì dietro di se un lieve fruscio e un sottile
-profumo di Eliotropio...
-
-
-
-
-Il poema dei bambini
-
-
-FANTASIA.
-
-Il libro è aperto e attende. Un gran libro niveo dalle pagine orlate
-di raggi. Ma chi lo scriverà il poema immacolato? Qual mano sarà
-così lieve e qual fantasia così alata per fissarlo in tutta la sua
-indeterminatezza misteriosa e divina?... La mano di un angelo, forse,
-e la fantasia d’una fata; le due figure vaporose fra cui si snoda
-l’innocente spira delle piccole anime che ingentiliscono il mondo.
-L’angelo, che veglia alto e fulgente a capo d’ogni culla, come sulla
-prora della navicella dantesca, potrebbe cantarci, forse, dei paesi
-dove vagano gli spiriti dei bambini addormentati sotto le cupole di
-trina o sotto gli scialli sdrusciti; ci dipingerebbe il paradiso che
-sognano, pieno di testine alate e di bambini morti che hanno portato
-fra le nuvole le loro bambole e i loro burattini, e danzano intorno
-ad un eterno Albero di Natale, e giocano con un Dio bambino come
-loro. Potrebbe rivelarci che cosa pensano quando esultano ad uno
-splendore o piangono ad una musica; quando rimangono assorti nella
-contemplazione d’un fiore e d’un viso; che avvertimenti ci danno quando
-la loro piccola mano ci avvince e ci trae; quando ci domandano una
-carezza e ci negano un bacio. L’angelo, forse, ci direbbe chi insegna
-loro a consolar così bene senza parlare, a persuadere, a riunire, a
-redimere, solo con la freschezza delle loro bocche, con l’espressione
-inconscia del loro sguardo, col profumo de’ loro riccioli, con la pace
-del loro respiro. Ci direbbe, l’angelo, come sanno certe parole così
-efficaci, così immaginose, così solenni, così tremende... ci narrerebbe
-le tristezze dei piccoli infermi, le malinconie degli abbandonati,
-le tentazioni dei vagabondi, gli odî degli oppressi, i rancori dei
-posposti: tutte le loro lotte, le loro vittorie, i loro martirii, i
-loro spaventi, i loro dolori, i loro palpiti, tutta la loro vita intima
-così pura, così vergine, su cui aleggia ancora l’alito di Dio! la
-loro vita che qualche volta non è che una breve sosta fra due voli — e
-l’angelo dalle grandi ali lo sa, egli che veglia sulle culle ridenti,
-sulle bare ornate come trionfi, sulle tombe infiorate e incise di nomi
-brevi che non hanno passato.
-
-E la fata, la bella fata dall’abito di broccato e dalla corona di
-regina verso cui salgono le invocazioni, i sospiri, i desiderî di tutta
-l’umanità minuscola che s’agita nei palazzi e nei tugurî, sa bene,
-lei, gl’ideali infantili! A lei, la loro Musa, i bambini confidano i
-sogni di gloria e di felicità; lei aspettano centinaia e centinaia di
-scarpette fra gli alari di bronzo dorato, sotto le cappe gigantesche
-dei vecchi camini, nel povero focolare, accanto agli sportelli delle
-stufe, vicino alle bocche dei caloriferi, ad ogni varco del labirinto
-buio e misterioso e fantastico per cui sanno che Ella peregrina la
-notte dell’Epifania. Lei sperano i piccoli cenciosi rannicchiati,
-intirizziti e digiuni; i duchini, che hanno sorpresa la mamma a
-piangere fra i cuscini di raso; le bambine timide e sensibili, che
-si nascondono per pregare ginocchioni e affratellano la sua immagine
-all’immagine di Maria. La bella fata potrebbe ridirci gli sgomenti
-paurosi, i terrori di tante testine cacciate sotto le coltri per non
-veder giganteggiare l’Orco o il Lupo Manaro nell’ombra; i desiderî
-fervidi di galoppare sui cavalli di legno verso le plaghe incantate
-dai castelli di diamante e dalle arancie d’oro, le visioni di paesi
-della cuccagna, dalle case di confetti e dai mobili di cioccolata, dove
-i bambini non studiano, dove le mamme non sgridano; dove Cappuccetto
-rosso, Puccettino, Cenerentola, la Bella, si rincorrono in un gran
-prato fra tutti i giocattoli del mondo. E additandoci il suo gaio
-corteggio di gnomi, di burattini, di spauracchi, di falconieri, di
-geni, ci spiegherebbe, lei, perchè i bambini sono così adorabilmente
-grotteschi qualche volta, così comici, così iperbolici, così eleganti,
-così sovrumani. Ci direbbe, lei, il segreto della fantasia infantile,
-ingegnosa, gentile, che alimenta qualche volta il primo germoglio d’un
-fiore divino.
-
-All’angelo e alla fata dunque, ad essi che sanno, il tracciare
-l’immacolato poema. E nei margini alluminati con le sfumature più
-ridenti, con le luminosità più gioconde, le figurine infantili lo
-ravviveranno. Tutti i bambini: dalle testoline idealmente bionde dei
-_baby_ nordici, ai musetti sudici degli spazzacamini, dai piccoli
-chinesi tutti goffaggine, giù giù sino ai corpicini agili e nudi dei
-bronzei marmocchi africani; tutti i bambini, di tutte le classi, di
-tutte le età, di tutti i tipi, di tutti i paesi: una fantasmagoria, una
-piccola moltitudine varia, innocente, primaverile.
-
-E sera e mattina, dal poema immacolato fra la vivente ghirlanda,
-s’effonderà un effluvio refrigerante, poichè le piccole anime si
-schiudono nei crepuscoli, e gli affetti e le preghiere evaporano sino
-al cielo, avvolgendo il mondo d’un incenso ideale, purificatore;
-significante agli scettici, ai dolenti, che sulla terra c’è ancora
-qualche cosa di puro, di bello, di vero, poichè ci sono loro...
-
- _Natale 1891._
-
-
-
-
-Treccia bionda.
-
-
-Max, il giovane compositore di musica, finiva d’abbottonarsi l’abito,
-ritto dinanzi al grande specchio nel tepore, nella luce blanda, nel
-disordine della sua elegante camera di scapolo. Voleva esser calmo,
-ma le mani avevano movimenti bruscamente nervosi; ma sul viso pallido
-e serio si diffondeva un’ombra cupa, forse il riflesso di un’interna
-lotta. Nient’altro che un’ombra; eppure era già troppo per lui giovane
-e ardente di passione per la donna che lo aspettava ad un convegno
-d’amore.... Quell’ombra pareva un tedio ed era rimorso; giacchè egli
-non era un seduttore volgare, e gli si affacciava spesso in tutta la
-sua reale crudezza il pensiero tormentoso di tradire quell’uomo... il
-compagno della sua giovinezza, dei suoi studi, delle sue speranze, dei
-suoi disinganni: l’uomo generoso che lottava con lui e per lui, per
-assicurargli i trionfi, l’avvenire, la gloria, nella carriera difficile
-e ardimentosa; l’amico che lo aveva sempre consolato e moderato, con
-la calma benevola di un padre amoroso, negli scoraggiamenti o nelle
-ebbrezze della sua impetuosa natura. Max doveva tanto a quell’uomo
-e lo tradiva; gli doveva la rigogliosa vitalità dell’ingegno che
-lo rendeva ricco e felice, e gli toglieva la sua ricchezza, la sua
-felicità. Quando gli si figgeva questo pensiero nel cervello Max si
-sentiva vile e miserabile; ma il dualismo gli tumultuava nel cuore,
-ed era una strana passione quella che gli paralizzava l’anima e gli
-accendeva i sensi, prestandogli mansuetudini e timidezze di fanciullo,
-ribellioni titaniche, gelosie feroci. Inoltre con tutta la sua fervida
-fantasia d’artista, continuamente eccitata dalla creazione musicale,
-credeva al fato, al fato dell’arabo, al fato del medioevo, e vi si
-abbandonava, e si saturava di quelle teorìe che lo spogliavano d’ogni
-responsabilità, che gli facevano compiere gli atti più importanti
-della sua vita dietro una causa futile e comune per ogni altro, ma in
-cui egli vedeva maravigliose predestinazioni. Se qualche ostacolo gli
-avesse attraversata dapprima quella via d’amore così facile, e così
-piana, forse la sua esagerata dignità sarebbe rimasta spaurita dalle
-finzioni volgari, e quel suo misticismo superstizioso lo avrebbe fatto
-trionfare nella lotta. Ma pareva invece che un destino dolce e tremendo
-avvincesse la sua alla vita di Giselda con un delizioso laberinto
-di fila segrete che si serravano ogni giorno di più. Nulla gliela
-contendeva oramai: nè la vigilanza del marito assurdamente fiducioso,
-nè apparente scrupolo in lei addormentata in un fascino profondo, nè
-circostanze difficili, nè contrattempi, nulla; Giselda era sua, egli lo
-sapeva. Vinta dal suo sguardo, dalla sua voce, dalle sue melodie, ella
-non si difendeva, non tergiversava, non lottava: si abbandonava anche
-lei a occhi chiusi, incrociando le braccia, alla corrente fatale. Non
-sapeva che tremare e impallidire; come la prima volta sulla terrazza
-deserta, quando gli abbandonò le mani e il capo sul petto, — nell’aria
-molle, nel profumo, nell’incanto di quella notte di primavera...
-Guardò l’orologio. Ancora un’ora, un’eternità.... Si buttò sul divano
-facendosi vento col fazzoletto, poi terse qualche stilla di sudore
-sulle tempie. E s’ella si fosse scossa infine? se le voci della dignità
-e del dovere l’avessero svegliata dal sogno oblioso e fiorito? se
-fosse partita come minacciava, come implorava, quasi, dalla sua stessa
-volontà?
-
-S’alzò, si mise a passeggiare per la camera intorno ai mobili artistici
-di un gusto severo, passandosi le mani sugli occhi, ricacciandosi
-indietro i capelli convulsamente: il tappeto ammorzava i suoi passi;
-pareva un’ombra errante con l’alta statura, il viso smorto, l’abito
-nero. Passò davanti al balcone che si schiudeva sul Canal grande, ed
-ebbe appena uno sguardo indifferente, lui artista ed entusiasta della
-sua Venezia, per la lunga schiera incantata dei palazzi dirimpetto,
-sorgenti fra l’acqua e il cielo nel vasto silenzio e nella placida
-luce d’opale e di madreperla che solo i crepuscoli veneziani hanno.
-— «È meglio che mi levi di qui, — concluse; — almeno mi toglierò
-dall’inferno dell’attesa in questa solitudine...». — E s’avviò a
-pigliare i guanti sulla mensola, nell’angolo, ingombra di cofanetti
-e di gingilli: poi con lo sguardo vago, la mente assorta negli occhi
-neri, nel profumo, nel fascino di lei, pigiò macchinalmente il dito
-sulla molla di uno fra quei piccoli scrigni, lo aperse, vi cacciò
-la mano sbadatamente.... ma la ritrasse tosto con un brivido che lo
-agghiacciò, anima e corpo. Invece della liscia ed unita superficie
-del guanto, aveva sentito sotto le sue dita delle filamenta morbide e
-sottili come d’una matassa di seta.
-
-— Ah, che sacrilegio! — esclamò con vero ribrezzo; poi tentò di
-superarsi e volle richiudere il cofano frettolosamente. Ma la treccia
-bionda della morta ricascava fuori dallo scrigno, sollevando il
-coperchio, ricusando di togliersi alla sua vista, di rientrare nella
-sua tomba — imponendosi....
-
-Max era rimasto immobile, con gli occhi fissi, la fantasia, sàtura
-di fatalismo, paurosamente colpita. Per la prima volta gli accadeva
-di aprire storditamente quel reliquiario che conteneva la memoria
-più soave, più mesta, più santa della sua vita; memoria da lui
-custodita con tutta la venerazione segreta di cui era capace la sua
-natura dolorosamente sensibile e trascendentale. Povera Maria! che
-profanazione! Egli s’assise là, nell’ombra di quel cantuccio sommerso
-nel crepuscolo, levò adagio, con le mani un po’ tremanti, la lunga
-treccia voluminosa a cui era avvinto strettamente un piccolo gruppo
-di seccume — fiori in un tempo lontano — e la lunga treccia gli
-scivolò sulle ginocchia in un molle abbandono di cosa morta, spiccando
-opacamente bionda sull’abito nero.
-
-Intanto, all’aprirsi del breve reliquiario, usciva lo sciame dei
-ricordi, e la memoria evocava fedele l’immagine della giovinetta: la
-delineava, come sempre, bianca, mite, gentile, sul balconcino gotico
-del vecchio palazzo tetro; nella gondola nera e slanciata fra la
-luminosità della laguna rispecchiantesi nei grandi occhi sereni di lei
-in tutte le sue misteriose e profonde trasparenze; nella vasta piazza
-marmorea sotto un cielo di cobalto, innanzi a San Marco scintillante
-di colori e d’oro, come un gioiello, nella calda fulgidezza del sole
-meridiano; mentre una frotta di colombi scendeva serrata, attorniava
-lei, bionda e ridente, poi si levava a volo sparpagliandosi con un
-brusco frullo d’ala. Rivedeva la sua fanciulla passare nelle tortuose,
-umide calli, benefica e soave come una buona fata; la rivedeva
-scendere e salire i ponti, lesta, leggiera, colla testa alta, il
-viso colorito, inebriata di gioventù, d’aria, di luce; la ritrovava
-prostrata sotto il lumicino rosso di una lampada moresca che faceva
-rilucere i mosaici nell’ombra della cattedrale bizantina; la ripensava
-come una sera estiva, ai Giardini, nel bianco lume lunare, appoggiata
-alla balaustra di marmo sulla laguna che si stendeva luccicante di
-riflessi d’acciaio; ricordava il lungo silenzio e il turbamento che li
-aveva colti all’improvviso in quella gran pace; ricordava il movimento
-quasi inconscio della manina sottile che sfogliava un fiore: persino
-le piccole fosforescenze dell’anellino di brillanti ricordava; e
-sopratutto di non averla veduta mai tanto idealmente bella come in
-quella sera, tutta irraggiata come una candida parvenza che dovesse
-svanire nelle ombre del Giardino, o nella serenità fredda del vasto
-plenilunio.
-
-Erano cresciuti assieme; si volevano bene come fratello e sorella;
-si vedevano tutti i giorni, a tutte le ore. Max non trovava ricordo
-dolce o triste della sua prima giovinezza che non fosse confuso alle
-risatine fresche, allo sguardo sereno, alle lagrime silenti, alla
-voce soave di Maria. Quante volte ella aveva spianato con le bianche
-dita una ruga precoce del volto, dileguato con gli occhi azzurri una
-nebbia uggiosa dal cuore del suo compagno! Quanti consigli miti, quante
-parole ragionevoli, quanta logica semplice adoperava per persuaderlo,
-per frenarlo, per animarlo, per fargli mutare un cattivo proposito di
-svogliatezza o di vendetta! Ed era cosa rara la sconfitta di Maria,
-giacchè anche lui allora era giovane, buono, impressionabile, pieno
-di entusiasmi e di fede. — Povera fanciulla! Come era leggiadra
-quell’ultima sera al suo primo ballo! come era lieta, spensierata e
-bella nell’abito bianco vaporoso, senza gioielli e senza fiori, lei,
-fiore e gioiello vivente con la carnagione d’una freschezza rosea e
-vellutata di petalo, le lunghe treccie di fili d’oro! Max ritrovava
-il fremito di delizioso sgomento che lo aveva assalito quella sera al
-contatto delle morbide treccie voluminose, quando volle puntarle un
-mazzolino in testa, proprio fra le ondulature delle trecce di fili
-d’oro. Rammentava il loro respiro ancora ansante dopo quel valtzer
-vertiginoso, il viso acceso, l’espressione ingenuamente maliziosa degli
-occhi color del mare, i movimenti della testolina irrequieta di Maria
-che si divertiva della goffaggine di lui, delle sue mani tremanti, del
-suo riso imbarazzato e nervoso. «Ora sei proprio bella!» le aveva detto
-poi, ed ella si era ammirata ad uno specchio, mormorando scherzosa:
-«Ebbene non lo leverò più!» E non lo aveva più levato, povera bambina!
-Si era ammalata l’indomani e la morte l’aveva portata via col mazzolino
-nelle treccie bionde... Ed ecco finalmente la tetra, la mestissima,
-l’incancellabile visione... il lettino bianco nella camera a colori
-ridenti, dove egli entrava per la prima volta e perchè ella moriva.
-Ecco il volto affilato, livido, in cui parevano sinistramente belli
-gli occhi color del mare; il sorriso buono; le piccole mani che gli
-si allacciavano al collo, la voce soave, fioca, all’orecchio: «Max,
-ho ancora il tuo mazzolino nelle treccie, vedi?... Quando non ci sarò
-più, riprendilo... ma pigliati pure la treccia, una delle mie treccie
-bionde che ti piacevano tanto: così il mazzolino non ne verrà separato
-e ti resterà qualchecosa di me...» Egli adolescente, innamorato, con
-la testa piena di romanticismo, nello strazio di quell’ora vagheggiò
-il suicidio; ed ella lo stringeva più forte con le piccole mani,
-persuadendolo, come quando faceva desistere da un cattivo proposito
-lo scolaro ribelle. «No, vivi, Max; vivi per i tuoi genitori, per mia
-madre... per la tua bell’arte vivi, lotta, studia, diventa artista,
-diventa celebre.... ma non ti dimenticare....» Ed egli aveva sentito
-sulle gote le lagrime di quella povera giovinezza morente — la sua
-ultima ribellione — il suo ultimo rimpianto alla vita.
-
-..... Una fredda esistenza, un’esistenza di tumulti, un vuoto,
-un’aridità erano venuti dopo la morte della sua fanciulla... Uno
-sfrondamento di illusioni, di entusiasmi, di speranze... Un brulicame
-di basse passioni, di piccole menzogne... E quanto arrabattarsi per
-la felicità, per l’amore, per la gloria, veduti sempre all’orizzonte
-e sfumati sempre come splendidi miraggi! Oh se Maria non fosse morta,
-sarebbe la sua sposa, la sua difesa, il suo angelo custode, la pace e
-il riposo dell’esistenza sua. Ma la bionda visione era cancellata per
-sempre... Max, in quel cantuccio sommerso nell’ombra, con lo sguardo
-sulla treccia, viveva così nel passato senza più nozione del tempo e
-della realtà....
-
-..... — Signorino, non mi comanda di accendere i lumi? — disse la
-voce tremula e discreta del vecchio servo dalla soglia della camera
-elegante.
-
-Max diede un balzo e guardò l’orologio. L’ora del convegno era passata
-da quaranta minuti; l’ora attesa febbrilmente e sognata ardentemente
-aveva potuto dunque dileguarsi così? Egli non battè ciglio, non si
-mosse, ma qualche cosa moriva dentro di lui in tutti gli strazî di
-un’agonia disperata e tremenda. «Tu non lo vuoi, dunque, Maria; tu non
-lo vuoi! — » ripeteva il suo pensiero fra il tumulto de’ suoi sensi,
-fra quell’ultima lotta. E la bionda treccia, nel suo abbandono molle,
-pareva rispondergli, trattenendolo, tenue e possente come il braccio
-di un bambino che gli si fosse addormentato in grembo. Max chinò il
-capo come piegando ad una forza superiore. Una lenta stanchezza lo
-invase; uno scoramento, un languore indicibili; un senso di debolezza,
-d’impotenza a lottare col destino che gli si rivelava all’improvviso
-tremendo; un desiderio latente di finirla col dualismo che gli tendeva
-i nervi, gli assopiva le facoltà della mente, gli velava l’alta
-serenità fulgida dell’arte, in cui l’anima sua era solita a librarsi,
-a spaziare, a cercare le migliori compiacenze, le consolazioni più
-pure e più efficaci della sua vita tempestosa. Poi Maria era in lui;
-Maria, la bionda morta evocata: ed il basso brulichio delle passioni
-e dei desiderî sensuali non reggeva a quel confronto e fuggiva e si
-sperdeva da tutti i lati come le tenebre al raggio trionfale del sole.
-Le sue ebbrezze, il suo amore, la sua dissimulazione, tutta la miseria
-infine della sua condotta passata, lo disgustarono, lo umiliarono, lo
-nausearono come il ricordo d’un sogno oscenamente bugiardo....
-
-Ebbene, no; non avrebbe da rimproverarsi una simile viltà: la viltà di
-prendere una povera donna debole e onesta; la viltà di tradire l’uomo
-che lo aveva beneficato. No, non avrebbe una macchia simile sulla sua
-coscienza d’uomo leale, sulla sua vita elevata dall’arte. Rialzò il
-capo alteramente, più calmo, poichè la sua immaginosa e mistica natura
-era già allettata dalla poesia del sacrifizio che gli aleggiava nel
-cuore sperdendo i resti di quell’ardente soffio di passione.
-
-Uscì sul balcone e rimase là finchè la notte scese sul Canal Grande
-e nel cielo palpitarono rilucenti le stelle. Nessun lume nelle enormi
-masse nere dei palazzi dirimpetto; qualche gondola appariva e spariva
-col rosso lumicino riflettentesi in striscia purpurea, verticale e
-tremolante nell’acqua bruna. Un bisbiglio di voci, un tonfo di remo,
-un breve, mite sciaguattìo; poi il silenzio, ancora il silenzio delle
-notti veneziane pieno di misteri, di dolcezze, di malinconie.
-
-Quando Max ebbe l’anima penetrata di quel silenzio e di quell’incanto;
-quando ebbe ascoltato tutto ciò che gli dicevano la notte stellata e
-i ricordi già lontani del suo grande amore domo dalla bionda morta
-innocente, passò nel suo salotto di studio ornato di opere d’arte
-antica e moderna, s’assise al pianoforte nascosto da vecchi arazzi e
-suonò. Suonò l’intera notte, nella sala semibuia, e cantò tutti i canti
-che gli fluivano dal cuore. Fu in quella notte che cominciò a comporre
-il capolavoro che gli diede la rinomanza e la gloria.
-
-
-
-
-Romanze senza parole
-
-
-I.
-
-FUTURO
-
-..... Nel salotto non c’era nessuno. Il salotto sontuoso,
-artisticamente ingombro, pareva riposare nella penombra, avvolto nella
-sua stessa morbidezza voluttuosa, infingarda, fatta di cuscini, di
-tappeti, di panneggiamenti, fra cui scendevano specchi, luccicavano
-trofei, si disegnavano fogliami esotici e mobilucci, strani come
-mostri, o severi, di classica antichità. Si udiva scoppiettare nel
-camino la fiamma velata fantasiosamente dal parafuoco di piccoli vetri
-policromi, fatto d’un’invetriata di chiesa; da ogni anfora, da ogni
-vaso, da ogni coppa, emergevano mazzi enormi di fiori di serra, stretti
-fra i cartocci di trina da un giardiniere sapiente; sul divano largo,
-di damasco, giacevano astucci, libri, cofanetti, gingilli, i doni di
-Capodanno ancora a metà involti nella carta di seta; dalla spalliera
-una magnifica sciarpa di vecchia blonda ricascava flosciamente, e
-due pantofoline minuscole di felpa avorio, ricamate d’oro, posavano
-sul tappeto, tutte piene di viole fresche: leggiadri cornucopia di
-felicità. Accanto al fuoco, intorno ad una poltrona, un angolo più
-abitato, una nicchia prediletta fra una giardiniera tutta verde,
-un’alta arpa dorata, un tavolinetto a due piani con su fotografie,
-un portafogli di raso contenente un fazzoletto di trina — la novità
-elegante — un volumetto di versi intonso — un libriccino per gli
-appunti dalle pagine candide, dalla copertina d’avorio, sulla quale si
-delineavano luminosamente in argento le cifre di quell’anno novello.
-Poi, nel piano inferiore, una cestellina da lavoro piena di colori
-ridenti e minuzzoli d’oro, bomboniere, giocattoli, inezie. Tutto un
-sonnecchiare infantilmente placido delle cose; un abbandono vergine,
-fidente, pieno di freschezza; un’ignoranza piena di pace. Ma accanto
-alla finestra, su un cavalletto di pittore, una tela bianca, vuota, e
-sulla scrivanìa molti foglietti lucidi, bianchi, parevano minacciare
-muti, aspettando...
-
-
-II.
-
-PRESENTE
-
-..... Ancora nessuno nel salotto. Ma vaga tuttavia un profumo sottile,
-indefinibile, fatto di tutte le essenze e di nessuna. Il fuoco è
-spento, e dalla finestra spalancata il sole entra in un’ondata d’oro,
-abbagliando mobili, stoffe, cose, che rivivono folli e gioconde nella
-luce logorante. Sulla lastra d’uno specchio sono state incise due
-iniziali col diamante, e dalle anfore, dai vasi, dalle coppe, tutt’una
-fioritura d’un sol fiore: di rosa thea; una delle quali giace vizza
-sul divano largo, di damasco, insieme a un piccolo pettine di tartaruga
-ambrata. Accanto all’arpa, un violino, e un foglio di musica: un canto
-mesto, largo, ma d’una passione quasi trionfale; accanto alla poltrona
-prediletta, sul tavolino, non c’è più che una sola fotografia in cui
-sorridono accostate due giovani teste: l’una virile, bruna; bionda
-l’altra, e della femminilità più soave. Fra il volumetto di versi è
-rimasto dimenticato un fiore; dalla cestellina esce un nastro azzurro
-in cui si sta ricamando una data, un numero: prosa volgare o poesia
-sublime; — nel libriccino di appunti si legge un verso di De Musset
-scritto due volte da mano diversa:
-
- «Comment vis-tu toi qui n’as pas d’amour?»
-
-E la testa bruna, virile, si delinea sulla tela del cavalletto, e sulla
-scrivanìa fra i foglietti lucidi, bianchi, fa capolino una lettera di
-cui non si leggono che due ultime parole: Ora e sempre.
-
-Tutt’un tripudio, un’ebbrezza delle cose in quel lieve disordine,
-nell’onda di sole che irrompe gloriosa, pennelleggiando, raddoppiando
-la vita, consumando come una fiamma...
-
-
-III.
-
-PASSATO
-
-.... Il salotto è abbandonato, deserto. Dalla finestra aperta il
-plenilunio piove raggi nel buio come in una tomba violata; le cose
-tutte paiono dormire il sonno eterno nell’ombra densa intorno alle
-pareti, e rivivere in sogno nell’irradiazione spettrale di quel
-rettangolo di luce. Nei vasi, nelle anfore, nelle coppe, appassiscono
-tristi e foschi i crisantemi; dall’arpa alta, dorata, pendono rotte
-due corde, sul tavolino la fotografia è rovesciata come la pietra
-d’un altare distrutto da mano sacrilega; il volumetto di versi
-trascina lacerato a brani; la cestellina da lavoro è chiusa, negletta;
-sull’ultima pagina del libriccino di appunti, un altro verso di De
-Musset, vergato con calligrafia femminile:
-
- .... «Elle songe une année a qui lui pense un jour.»
-
-Sulla tela del cavalletto scende un velo di crespo; sul divano largo,
-di damasco, un fazzoletto di trina intriso di lagrime; sulla scrivanìa,
-accanto ai pètali fossilizzati d’una rosa thea, in un foglietto bianco,
-una sola parola:
-
-«Addio.»
-
-
-
-
-Pasqua triste
-
-
-A destra del ponte che ricongiunge il villaggio diviso dal piccolo
-fiume, sulla spianata erbosa, dietro il circo in cui si accendevano
-i primi lumi, era il carrettone dei saltimbanchi: una minuscola casa
-mobile, verniciata di rosso, con le persiane verdi alle finestrette in
-cui non mancavano neppure le tendine di trina. Veduta di fuori faceva
-quasi invidia. Dentro era un laidume; cenci ammucchiati, suppellettili
-sudicie, arnesi logori d’ogni genere, qualche sedia sfondata. Era
-tutto. No... c’era anche un saccone sul quale stava accoccolata una
-donna a guardia d’un bambino lattante addormentato, supino, fra uno
-scialle scuro, con la faccetta terrea rivolta alla luce del vespro che
-pioveva dalla angusta finestra soprastante.
-
-Di là si udiva il brusìo continuo e confuso della rustica folla sul
-piazzale, il vociare dei venditori, delle risa, qualche fischio,
-qualche suono rauco e stonato d’un gingillo infantile. Tutta la
-manifestazione dell’ozio gaudente d’una sera solenne aspettata un anno.
-Era Pasqua di Resurrezione.
-
-La donna teneva il volto chino fra le mani che alla luce incerta
-parevano bianche. Ascoltava l’anima sua dolorare.
-
-Gemeva l’anima: — ... dodici anni... un attimo, un secolo.... dodici
-anni che non respiro quest’aria, che non vedo questo cielo, che lasciai
-la mia casa fuggendo di notte, come una ladra, con lui che mi aveva
-sconvolto il sangue e la ragione... Un saltimbanco... quante me ne
-dissero per dissuadermi, quante! «È un demonio che ti tenta» diceva
-la nonna. «È un Arcangelo,» rispondeva io. Era così bello con quella
-maglia azzurra, luccicante, che gli disegnava la persona agile e
-vigorosa, con quella testa ricciuta, lo sguardo altero! Lo chiamavano
-il _Principe_. Aveva una destrezza, una forza, un coraggio... Gli altri
-uomini al suo confronto mi parevano pigmei... Aveva un certo modo di
-affisare che soggiogava... un modo di pronunziare il mio nome, di dirmi
-che ero bella, che m’illanguidiva di dolcezza... Non potevo pensare
-che a lui, vivevo di lui... Egli era padrone di tutta me stessa, mi
-aveva incantata. Così, quando partirono dal paese e il Principe mi
-disse «Vieni» io andai. Dodici anni sono passati... Il babbo, la nonna,
-riposano accanto alla mamma, laggiù.... sotto l’erba... i miei fratelli
-si sono ammogliati lontano... hanno venduto il podere e la casa... non
-resta più nulla... perchè rimango io? Perchè non sono morta prima di
-ricomparire come un’ombra fra queste rovine?... Di qui so che si vede
-la finestra della mia camera... Io non la guarderò, ma sento che lei mi
-guarda... Ci sarà ancora il gelsomino che la inghirlandava, o si sarà
-inaridito?... Era là che ricamavo al mio telaio, là nel vano di quella
-finestra... ricamavo sulla battista per ore e ore... alla domenica
-leggevo, e ogni tanto sentivo passare sulla mia testolina la mano
-della nonna in una carezza frettolosa... s’affaccendava sempre, lei...
-Verso sera m’appoggiavo al davanzale senza far nulla: la luce scemava,
-il sole andava sotto, rosso, dietro i monti; io guardava i campi
-rigogliosi e tranquilli, da cui saliva un senso di frescura, e coglievo
-i gelsomini con la mente piena di fantasticherie... Una sera, ricordo,
-passò un giovane e raccolse una ciocca che mi era caduta; io ne risi:
-la seconda sera egli ripassò, io non risi più: la terza, invece, gli
-sorrisi e gli buttai un’altra ciocca di gelsomini. Era un giovane
-onesto, serio, intelligente e mi adorava; la nonna era così contenta
-ed io felice... Poi la fatalità mise sulla mia strada quell’uomo che
-travolse tutto, come un turbine sradica e schianta... Chi sa se Andrea
-vive, chi sa se vive fra i vincitori o fra i vinti, chi sa se è qui...
-Dio, se fosse qui e che volesse... Oh non mi riconoscerebbe certo
-più. Eppure mi sarebbe dolce in ogni modo riudire la sua voce, senza
-vederci, così, traverso la parete, la sua voce insinuante e buona,
-che mi ridonerebbe nella realtà un’ora del mio passato. Vorrei che gli
-fosse rimasto di me solamente un ricordo di pietà, come di una morta
-che si è veduta lungamente soffrire. E anche il giovane innamorato
-dovrebbe esser morto; resterebbe l’amico per intendermi e compiangermi,
-l’uomo ritemprato dalle lotte e dal dolore. Io gli direi della mia
-immensa miseria presente, dei rimorsi che mi mordono al cuore appena
-oso rivolgere lo sguardo al passato, della mia espiazione di dodici
-anni per un momento di aberrazione; gli direi che ero pazza, e se
-egli ha amato, certo sa di che si può esser capaci quando l’ebbrezza
-d’una passione sconvolge la mente... Eppure non oserei scolparmi, fui
-un’indegna... Ma se ne ha versate, lui, delle lagrime sul nostro amore
-spezzato, ne ho versate tante anch’io, e giorno, e notte, e sempre,
-sulle mie pazze illusioni dileguate, sulle mie creature morte di
-fatiche e di stenti, sulla mia logora esistenza che non ho coraggio di
-troncare!... Ne ho versate di gelosia, d’umiliazione, d’odio per quei
-miserabili istrioni che mi circondano; d’impotenza per un amore che
-non si spegne, che non mi strapperò dal cuore se non con la vita...
-Ne ho versate tante!... Ora non piango più... non ho pianto neanche
-stamattina quando ho veduto di lungi il campanile del mio paese... Sono
-muta, impietrita come una statua, ma non divengo insensibile... È una
-tortura di cui nessuno può immaginare la raffinatezza...»
-
-Un solenne e gioioso intervenir di campane fra la gaiezza oramai
-monotona dei rumori, mise in fuga da quell’anima indolorita gli amari
-ricordi e le visioni gentili. Le mani ricascarono, la donna rialzò il
-capo verso la finestrina dirimpetto, che inquadrava un lembo di cielo
-rosato ancora, la punta d’un pioppo e una stella. Le vecchie campane
-esultavano tentando di fondere la loro letizia bonaria e monacale alla
-trivialità umana. Fu dapprima uno sbadato preludio, poi un giocondo
-incalzare di suoni, ripetuto, insistente, una gazzarra di tutte le voci
-delle campane che parevano rifarsi delle ore di raccoglimento. Erano
-sempre le stesse, le loquaci e sapienti campane! quelle che la voce già
-tremula della nonna seguiva canterellando per rallegrare loro bambini,
-nelle lunghe e placide domeniche, seduta nell’orticello, mentre il loro
-padre fumava nella pipa, in silenzio, seduto un po’ più in là sulla
-sedia alquanto arrovesciata all’indietro, contro il muro... Di tutto,
-di tutto si ricordava; tutto si svegliava nel suo cuore al cicaleccio
-pio che riempiva le solitudini azzurre: e certi effetti di luce su
-certe pareti, e l’odor dei fiori che sfogliavano per le processioni;
-una coppia di tortorelle, e un quadro antico della Vergine, e delle
-ghirlande di crisantemi intrecciate insieme alla nonna in qualche
-vespro piovigginoso, già freddo... Ma sopratutto della dolce Pasqua
-casalinga che lasciava nella umile, queta dimora un cestellino di ova
-colorite in rosso, un ramoscello d’olivo, e una serenità più limpida,
-come dopo una buona pioggia. Dalle finestre spalancate al nuovo sole
-s’udivano le campane, così, nel pomeriggio, mentre il babbo trinciava
-l’agnello per la sua nidiata. Però le campane suonavano più raccolte,
-più gravi, allora; che si fossero dimenticate di suonare così?...
-
-Ah no, eccolo, eccolo! Le campane infine scioglievano il classico
-doppio, il saluto di più solenne esultanza, l’onore magno, reso
-alla giornata regale che dileguava dopo aver dato il segnale della
-resurrezione, lasciando sulle sue traccie la primavera.
-
-E la dolce pasqua casalinga, la pasqua che rinnovella i cuori come i
-giardini, la pasqua dell’olivo e dell’acqua lustrale e del perdono,
-passava memore e intangibile e vana su quell’anima sola, nell’ultimo
-e largo saluto di gloria che si effondeva dall’austerità del rustico
-campanile. Ma salutari lagrime scorrevano...
-
-
-
-
-La scarpina di Cenerentola
-
- — _Honny soit_... —
-
-
-All’udire suo marito che ordinava la carrozza per mezzanotte, Mimì si
-rizzò un poco dalla poltrona lunga dov’era stesa accanto al caminetto,
-fra le pelliccie e i cuscini, freddolosamente.
-
-— Dunque ci vai proprio? — gli chiese, appena scomparso il servo.
-Ed aveva la voce stonata per la penosa emozione che le toglieva ogni
-rimasuglio di speranza.
-
-— Ma sì, proprio, — rispose tranquillamente il crudele, senza levar
-gli occhi dal giornale scelto a caso fra quelli che ingombravano il
-tavolino.
-
-— E me lo dici così!?... — Mimì lo fissò ostinatamente coi begli occhi
-larghi, infantili, pieni di lacrime, stiracchiando nervosa una nappina
-del guanciale di felpa in cui affondava le spalle delicate.
-
-— Come dovrei dirtelo? Non lo sapevi già? se ne è parlato fin
-troppo.... e anche un po’ vivacemente, mi pare. C’è bisogno che ti
-ripeta, tesoro, che nelle piccole, come nelle grandi cose, quando ho
-deciso, nessuno mi smuove dal mio proposito? È una dote o un difetto
-essenziale del mio carattere....
-
-La piccola Mimì sentì salirsi alle labbra una ressa di parole amare
-e sprezzanti, ma non ne lasciò uscire neanche una. Si contentò di
-coprirsi gli occhi con la mano. Dunque tutta la sua fine diplomazia
-femminile, di cui aveva fatto spreco quella sera per trattenerlo,
-era stata inutile! Dunque le sue carezze, le sue ingenue civetterie,
-i suoi immaginosi pretesti, i discorsi piacevoli, i frizzi arguti,
-le discussioni sull’arte, sostenute con tanto stento per un unico
-fine, tutto era stato vano; tutto dileguava innanzi alla fermezza
-incrollabile di quell’uomo che aveva fissato di darle un dispiacere,
-che temeva di perdere un briciolo della sua autorità facendole il
-sacrifizio di una sera di carnevale, mostrandosi compiacente almeno
-una volta con lei, povera donnina debole e amorosa, che non aveva
-da rimproverarsi se non di amarlo sempre come nel giorno delle loro
-nozze...! Era una crudeltà, una durezza, una barbarie inaudita! Tutta
-la sua anima semplice e buona si ribellava, riboccante di amarezza e di
-sconforto. Frattanto la piccola mano tornita che nascondeva gli occhi
-tremava, la testa e le spalle avevano lievi guizzi convulsi, le lagrime
-cascavano silenti una dopo l’altra fra i cuscini e le pelliccie.
-
-Egli la osservava ogni tanto, levando gli occhi dal giornale, con un
-misto d’inquietudine e di noia; la osservava brevemente, lisciandosi la
-barba bionda e fluente, nascondendo qualche impertinente sbadiglio. Gli
-dispiaceva un poco di vederla piangere, povera piccina. Una vera bimba,
-Mimì, piccola, mingherlina, rosea, ricciuta e... irragionevole. Non si
-ritrovava la donna che nelle movenze aggraziate, in qualche intonazione
-di voce triste e dolce, in qualche lampo dello sguardo. Egli l’aveva
-amata così, la amava tuttora; ma a modo suo: senza sacrificarle
-nessuna delle sue tendenze, delle sue abitudini, non curandosi di
-approvarla o di disapprovarla, di pensare un momento se ciò ch’ella
-gli chiedeva fosse giusto o meno. L’amava come una cosina leggiadra
-e fragile; sorrideva dei suoi entusiasmi, delle sue esultanze, delle
-sue allegrie chiassose; le donava un gingillo quando la vedeva triste;
-la ammoniva freddamente delle sue inesperienze, severamente de’ suoi
-capricci, come questo, per esempio, di scongiurarlo a rinunziare al
-veglione. Silvio continuava a difendersi fra sè; a pensare che non
-doveva lasciarsi imporre; che se avesse ceduto una volta era finita:
-Mimì ne approfitterebbe subito per ritentare la prova fin che sarebbe
-diventata la sua tiranna. Le donne sono così invadenti! Si provi a
-conceder loro un palmo di terreno, esigono dei chilometri! Precisamente
-come quell’astuto dio della mitologia indiana, che si rimpicciolì
-per ottenere tre passi di regno; poi, a grazia fatta, divenne così
-smisurato che in tre passi abbracciò terra e cielo e inferno.... Uh,
-niente, niente: aveva fatto benissimo a mostrarsi incrollabile anche
-per una cosa che a lui non importava affatto. Anzi, siccome ella
-piangeva, ora, col fazzoletto agli occhi e pareva far pompa delle
-sue lagrime, Silvio si alzò per andarsene. Non che temesse d’essere
-intenerito da quelle lagrime, oh no; Silvio era un uomo forte; voleva
-solamente levarsi da quella posizione ridicola e imbarazzante. Però
-non volendo neanche parere un tiranno le si avvicinò e scherzosamente
-le prese i polsi per forzarla a scoprire il viso; ma Mimì lo respinse
-sdegnosa, singhiozzando addirittura.
-
-— Perchè non vieni anche tu? — disse allora lui in fretta, a scanso di
-rimorsi.
-
-Inutile: Mimì scrollò le spalle e gli gridò dietro con la voce piena di
-stizza e di lagrime:
-
-— Dimentica d’avere una moglie stasera... è il meglio che tu possa
-fare...
-
-Silvio richiuse l’uscio dietro di sè con bel garbo; poichè non era
-neppure un villano. Ma Mimì avrebbe preferito una sfuriata a quella
-superiorità noncurante che la umiliava e la desolava. Doveva essere
-trattata proprio sempre come una bimba? come un piccolo essere
-inconcludente la cui volontà non merita neanche dr essere discussa?
-come una scema? Che tristezza! che infamia! Si strinse la testa, tutta
-a riccioli brevi e scomposti, fra i cuscini soffici, nel silenzio vuoto
-che era rimasto dopo il tenue colpo dell’uscio che si richiudeva;
-un silenzio vuoto, freddo, indifferente, malinconico, in cui le si
-addentrava di più quella spina nel cuore.
-
-«Perchè non vieni?» le aveva chiesto Silvio. Ma perchè non dirglielo
-prima? E perchè ripeterle invece tutta la giornata che le signore per
-bene non vanno al veglione? Certo era per questo che Silvio ci teneva
-tanto!... Ah, povera Mimì!
-
-Anche i gingilli e i mobilucci, che conoscevano le sue manine sapienti
-e lievi, parevano compiangerla e avvilupparla d’un’intima tenerezza,
-nella luce tranquilla della lampada dal paralume color di rosa. Ma ella
-con gli occhi foschi, rigida, covava il suo rancore.
-
-Ah se avesse osato!... Nei romanzi e nelle novelle si trovano le
-mogli che sguizzano al veglione per sorprendere i mariti infedeli; ma
-nella vita è un altro paio di maniche. Come procurarsi un abito e un
-cavaliere a quell’ora?... E il coraggio per pigliare una risoluzione
-così ardita?....
-
-Pure, che sollievo, che acre voluttà misurare l’estensione della
-propria sciagura e drizzarsi davanti all’indegno come una apparizione
-di dolore, e atterrirlo, e annientarlo, e svergognarlo, e lapidarlo
-di rimproveri, e ridurlo nell’incapacità di scolparsi e di difendersi,
-e vederlo rodersi di rabbia e... di rimorso! Invece, nulla! Conveniva
-invece che lei si rodesse d’impotenza e di dubbio, accanto al fuoco,
-sola, come una Cenerentola....
-
-.... Belle fantasie gemmate, colorite e luminose affollate di fate
-e di principi! Fosse venuta anche da lei la fata-madrina a farle una
-carrozza dorata di una zucca, e sei cavalli grigio-rasati di sei topi,
-e due paggi di due lucertoline; a renderla incognita e splendida! Come
-l’avrebbe ringraziata la piccola Mimì!....
-
-Ma la fata non veniva, ed ella rimaneva accanto al fuoco, dolente; e
-si sentiva ben più mesta e povera della bella ignorante fanciulla che
-rigovernava le stoviglie fra la cenere del focolare: più mesta e più
-misera di Cenerentola, malgrado le pelliccie, e i cuscini di seta, e
-gli orecchini di brillanti; poichè il suo Principe innamorato le era
-appena apparso che lo perdeva per sempre.
-
-Pensando così alla fiaba, Mimì si guardava malinconicamente i piedini
-giacenti fra le pelliccie della poltrona lunga, i piedini arcuati,
-sottili, minuscoli nelle calze di seta nera e così ben calzati dalle
-scarpette scollate a fibbia severa: stile Luigi XVI. Erano il suo vanto
-quei piccoli piedi che avevano una tradizione gloriosa d’ammirazioni,
-d’invidie, e di.... baci, un tempo! Ma quel tempo era passato, era già
-lontano, svaniva già nella nebulosa dei ricordi. E dire che era appena
-scoccato il primo anniversario delle loro nozze! Che sgomento!
-
-Intanto per le contrazioni nervose dei piedini mèmori, una scarpa
-elegante era sfuggita sul tappeto del pavimento. Mimì la guardò
-appena, così affranta come era, e immerse il piede libero fra la folta
-pelliccia, asciugandosi per l’ultima volta gli occhi col fazzoletto
-ch’era divenuto una spugna. Non li poteva tener più aperti gli occhi;
-le bruciavano tanto! aveva tanto pianto! Anche la testa ora le ardeva
-e le doleva un poco, e tutti i suoi nervi, a lungo tesi ed eccitati,
-si rilasciavano gradatamente, abbandonandola ad una prostrazione quasi
-dolce. Si aggiustò meglio fra i cuscini di felpa con un movimento
-amoroso e inconsciamente civettuolo, un movimento di micio o di bimbo
-che vuol essere carezzato. Anche lei pareva domandare una carezza a
-quei cuscini morbidi e un rifugio a quel tepore molle di nido.
-
- *
- * *
-
-Come le era venuto tutto il coraggio per la grande impresa?.... Dove
-aveva trovato quell’ampio domino nero, che la nascondeva così bene?
-E chi l’accompagnava?... Se ne ricordava forse, Mimì? Poteva pensarci
-nello strazio in cui si dibatteva l’anima sua in quell’orribile notte
-infernale? Che confusione, che caldo, che frastuono, che volgarità!
-quel caos di gente e di colori, che le si stringeva addosso soffocando
-la sua personcina, la spauriva; quella ridda vorticosa, urlante, le
-dava vertigini dolorose. Serrandosi al suo compagno per sottrarsi agli
-urti, agli scherzi, alle mani di quella folla ubriaca, non distoglieva
-lo sguardo da un palco dove suo marito, il suo Silvio, beveva
-sciampagna accanto ad una procace «Follìa» dai biondi capelli disciolti
-sulle spalle nude. Che orrendo martirio!.... Aveva singhiozzato e
-riso sotto la maschera, aveva invocato Dio, inveito... ella, così
-mite e buona! E il suo strano compagno rimaneva muto, impassibile,
-misterioso, senza pensare a calmarla, a darle un po’ di coraggio o di
-rassegnazione. Un contegno inesplicabile che la esasperava di più....
-
-.... Poi s’era messa a cercare quel palco affannosamente, inutilmente;
-aveva errato lungo i corridoi interminabili, involuti e semibui come
-catacombe; aveva raccolto tutte le sue forze per chiamarlo — una
-pazzia! — per gridare quel nome, e nessun suono usciva dalle sue labbra
-aride — una strana impotenza di voce che la strozzava....
-
-.... Ah, finalmente, eccolo! eccolo con lei, l’indegno! lo spergiuro!
-Finalmente ella potè sciogliere l’orribile groppo, sollevare il
-suo cuoricino ferito con quel torrente caldo, vivo, abbondante,
-inestinguibile, furioso, di parole amare e ardenti che fluivano
-spontanee, alimentate dalla disperazione e dall’amore. Ed ora fuggire
-lontano, per sempre, non vederlo mai più.
-
-.... Correva addirittura, trascinando il suo muto cavaliere, lungo i
-corridoi, lungo le scale, attraverso l’atrio, correva zoppicando poichè
-aveva perso una scarpina.... Che freddo al piede.... Ma che importa?
-L’essenziale era di fuggire, di fuggire, di fuggire....
-
- *
- * *
-
-Silvio tornò a casa dopo un’ora. Gli era bastato compier l’atto
-d’autorità libera e assoluta presso sua moglie e sentirsi sempre capace
-di quell’incrollabilità di propositi che era la sua gloria. S’era
-molto seccato a quel veglione più stupido degli altri; ed entrando nel
-salotto gaio, luminoso e tranquillo, nel tepore dopo il freddo aspro
-della via, provò una sensazione di piacere, quasi di sollievo. Mimì
-dormiva nella poltrona-lunga, fra le pelliccie, accanto al fuoco quasi
-spento. Proprio come una bimba bizzosa! La contemplò un poco alla luce
-mite della lampada velata di rosa. Era pallida, scarmigliata; aveva
-le palpebre livide e le sopracciglia ancora lievemente aggrottate.
-Sul tappeto del pavimento biancheggiava il fazzoletto di lei; Silvio
-lo raccolse, era umido di lagrime. Intanto vide anche una delle
-eleganti scarpette alla Luigi XVI giacere abbandonata... Un vero campo
-di battaglia. Qualche crisi nervosa, forse.... Sentì un tantino di
-rimorso... cioè rimorso, no, non sarebbe il caso! dì rammarico, via;
-poichè non era proprio un tiranno, sebbene quella grullina con le sue
-scene tragiche tentasse di farlo credere.
-
-Non l’aveva mai veduta così desolata... che follìa!... Se avesse
-a soffrirne poi? Era così piccina, così fragile... Le toccò il
-piedino scalzo; — lo sentì di ghiaccio e lo ricoperse con un lembo di
-pelliccia, accuratamente. Certo non c’era un’altra donna al mondo con
-un paio di piedini uguali... Quante dolci pazzie gli avevano fatto
-commettere! Quella scarpetta pareva quella d’una bimba, d’una fata, di
-Cenerentola; proprio: la scarpina di Cenerentola. Invogliava di empirla
-di confetti, di fiori, di baci...
-
-Mimì mormorava parole inintelligibili, si agitò con inquietudine e finì
-per rizzarsi di scatto, seduta, con gli occhi spalancati, non ancora
-ben desta.
-
-— Sei tu, Silvio! — balbettò, poi, vedendogli la sua scarpetta fra le
-mani, continuò smarrita: — Ma dunque era vero... l’ho persa proprio al
-veglione....
-
-— Sì, — disse Silvio ridendo, indovinando. Sei stata al veglione nella
-carrozza della fata Mab....
-
-E s’inginocchiò cavallerescamente a’ suoi piedi.
-
-— Ti ricordi la fiaba di Cenerentola?
-
-«.... La signorina dimenticò ciò che la madrina le aveva raccomandato,
-di guisa che udì battere il primo tocco di mezzanotte, quando credeva
-che non fossero ancora le undici.
-
-«Si alzò e scappò via come una gazzella; il principe la seguì e non
-potè raggiungerla, ma essa lasciò cadere una scarpettina di vetro che
-il principe innamorato raccolse e serbò.
-
-«Era una scarpina così piccola, — seguitò Silvio quasi ridente, in un
-tono affettuosamente tenero, — così microscopica, che non andava bene
-a nessuna donna. Finalmente vennero a provarla a Cenerentola che stava
-sola accanto al fuoco.»
-
-Cenerentola-Mimì si prestava male a quel gioco, così impermalita come
-era. Pure allungò a Silvio il piccolo piede che aspettava d’essere
-calzato. Ma il Principe-amante, questa volta, invece di mettere una
-scarpetta tolse anche l’altra, e in quell’attitudine d’amore e di
-penitenza le coprì i piedini di baci.
-
-
-
-
-Romanze senza parole.
-
- _List! Spirits speak!_
-
-
-I.
-
-MATTUTINO.
-
-La camera è piccola, bianca, tutta bianca; velata di bianco al letto,
-alle finestre socchiuse da cui entra il pallore dell’alba. Pochi
-mobili, fragili, leggieri, sgombri. Su una pelle d’ermellino a piè
-del letto langue un mazzetto di viole; nel letto riposa un piccolo
-essere: una bimba, un fanciullo, una giovinetta: un viso roseo, una
-testa bionda; l’espressione è cancellata dall’abbandono del sonno,
-le palpebre velano l’anima. Nell’angolo più oscuro qualche cosa di
-massiccio, di cupo, di enorme si determina in quella tenuità; qualche
-cosa che s’agita, che vive in quel mistero blando. Sono due gattini che
-ruzzano su un antico seggiolone di cuoio. Due gattini color di nebbia,
-dagli occhi di turchese che si provocano, s’assaliscono, si rincorrono,
-si guatano con delle mosse inconsulte, grottesche; ignoranti la loro
-stessa volontà; comici nella leggiadra del nastro rosso troppo largo
-di cui hanno ornato il collo e che all’uno di essi è passato sotto
-il mento come una cravatta in caricatura; piccoli e deboli nell’ampio
-seggiolone austero che parla di forza e di grandezza.
-
-L’alba inoltra una luce incolore nella stanza; quella giovinezza bionda
-respira placidamente, ritmicamente nell’incoscienza della vita. Uno
-dei gattini, nella vivacità irreflessiva delle mosse, è caduto dentro
-una scarpetta abbandonata ai piedi della poltrona e di là incrocia lo
-sguardo con l’avversario, che sosta sul limite del sedile guardando in
-giù con commiserazione profonda. Gioco, riposo, raccoglimento, candore,
-gracilità nella piccola stanza che pare un’oasi d’avvenire, dove il
-passato veglia in un canto, nell’ombra, solo come una sicurezza, un
-augurio.
-
-L’aurora rosata è imminente nella camera bianca, tutta bianca. Fuor
-dei vetri pispigliano gli augelli su un ramo di mandorlo in fiore e
-tintinna il mattutino.
-
-L’uno dei gattini mordicchia il nastro della scarpetta con una specie
-di voluttà; l’altro è sceso dal seggiolone, e coi movimenti snelli
-e feroci di una giovane tigre, si balocca con le viole morte fra
-l’ermellino....
-
-
-II.
-
-MERIGGIO.
-
-Sulla stesa aromatica, molle, di fieno falciato, la giovine sposa ha
-dimenticato o gettato il suo ombrellino purpureo, tutto aperto come
-un calice sotto il sollione, tutto fiammeggiante come un’ara accesa.
-Una sciarpa di seta morbida e profumata e un piccolo volume di versi
-d’amore paiono ardere dentro l’ombrellino come in olocausto, e nella
-breve ombra serica, al di fuori, giacciono cuori dorati di margherite
-spirate in un’ultima parola di passione.
-
-La giovine sposa non era sola. Una canna d’èbano è confitta lì
-accanto, vigile e altera, simile ad una piccola antenna; il manico
-d’argento fino sfavilla al sole. Così il gentile trofeo glorioso vive
-e s’infiamma nella calda luce meridiana, mentre tutte le campane si
-ripetono festosamente il saluto dell’ora feconda, mentre l’animuccia
-fragrante di mille fiori falciati s’invola dalle invisibili bocche
-moribonde nell’umido tepore della terra, e più innanzi un campo di
-grano, già raso e ancora biondo, sorregge i fasci della pingue messe,
-e una nidiata novella cinguetta fra i rami frondosi d’un olmo, e due
-farfalle tardive, dalle tinte calde, si rincorrono per distruggersi in
-un baleno d’amore.
-
-Poi, all’improvviso, una folata di vento del Sud; una nube nera, la
-voce del tuono come un comando del destino; ed ecco il libro svolgere
-le pagine affannosamente e non quetarsi che a un canto di morte;
-ecco la fragile antenna oscillare, ecco la sciarpa candida sospinta
-irreparabilmente verso una siepe di spine; ecco una mandra di puledri
-inebriati, folli, passare sul gentile trofeo, lacerando, schiantando.
-
-
-III.
-
-VESPRO.
-
-Dall’alto pendono grappoli d’uva di un fosco e tranquillo color di
-rubino. La vite, l’antica vite, riveste tutto il pergolato che si apre
-ad archi sull’orticello regolare, solitario. Ai lati dell’estremo lembo
-di sentiero che conduce dritto al pergolato, due aiuole di radicchio
-furono sacrificate e coltivate a fiori, i buoni ed ignoranti fiori
-degli orti, dalle tinte cariche passate di moda, dal profumo sgarbato o
-sgradevole.
-
-Qualche rosaio piantato qua e là simmetricamente, ancora fiorito di
-alcune rose che non corrotte dalla soverchia civiltà hanno a gloria
-di non aggiungere titoli al loro nome e al loro colore che ha un
-patrimonio secolare di madrigali e di canzoni — ai loro piedi si stende
-il basilico aromatico che sa i drammi delle povere stanze, e la lavanda
-misteriosa che sa i segreti della notte di San Giovanni, e la minuscola
-maggiorana, eternamente infantile. Più oltre, cespi di garofano plebeo
-paiono raccontare gli idillî grossolani della scorsa estate, e due
-piante di gigli pensano al fiore assente, appassito fra le mani ceree
-di una monaca morta o fra i lumi di un altare consacrato a Maria;
-mentre i girasoli privi dell’ansiosa pupilla d’oro sembrano averla
-chiusa finalmente in una stanca rassegnazione.
-
-Un’aura mista di verità e di favola spira nell’orticello solitario;
-una giovialità antica e innocente di epigrammi e di allegorie; mentre
-sulle nubi fioccose intinte nel tramonto, par di veder passar adagiata
-qualche deità dell’Olimpo migrante verso dolci nozze.
-
-Sotto il pergolato c’è una sedia a bracciuoli dalle curve d’una
-arretrata eleganza, e un tavolino dai bordi rialzati tutt’intorno,
-previdentemente, come una tenue arginatura. Il queto recesso verde è
-deserto per poco: sul tavolino Ella ha posato, senza piegarla, la calza
-incominciata coi ferri irti, provocanti e insidiosi come un piccolo
-arnese di guerra montato per un assalto; il gomitolo è ruzzolato in un
-angolo e sarebbe caduto senza la provvida sponda; il libro ascetico,
-in cui ella leggeva placide meditazioni, è rimasto aperto sotto i suoi
-occhiali levati in fretta; la bellissima tabacchiera dalla miniatura
-inghirlandata di diamanti, ch’essa nasconde sempre come una vergogna,
-è pure dimenticata sul tavolino, ed anche una delle sue manopole
-di lana nera. Sulla spalliera della seggiola è rigettato lo scialle
-bigio. S’ella lo vedesse lambire il terreno umidiccio! Qualchecosa di
-estremamente dolce o di estremamente triste l’ha chiamata.
-
-Il sole scende pomposo dietro i pioppi in una atmosfera di polvere
-d’oro, accompagnato dagli addii dei bronzi di un vecchio campanile, non
-mesti, ma gloriosi, come dopo una bella e buona opera coraggiosamente
-compiuta. Nella lor bonaria esultanza le antiche campane giungono
-perfino a ricordare ritmi e arie di danze perdute che udirono nella
-loro gioventù. Così non si affliggono della fine dell’oggi, poichè
-entrano nell’ombra celebrando la vigilia dell’indomani.
-
-Un’allodola invisibile canta un epitalamio nelle regioni radiose. Una
-schifosa lumaca tenta il passaggio della tabacchiera.
-
-
-IV.
-
-CREPUSCOLO.
-
-L’ombra della angusta cappella è rotta appena dalle due lampade
-veneziane di ferro, a vetri rossi, appese dinanzi all’altare. Fuori,
-la neve turbina nell’aquilone diaccio e si ammonticchia sul davanzale
-dell’alta finestra contro i piccoli vetri rotondi, imbiancando la
-luce come un’alba; il vento ulula, sbatte e flagella, ma nell’interno
-regnano supremi il silenzio e l’immobilità. L’altare verdeggia
-cupamente di semprevivi, ma dai gradini sale e si effonde un’acuta
-fragranza di giacinti e di viole da un indistinto cespite.
-
-Una forma si agita sull’inginocchiatoio e si queta.
-
-Subito una folata violenta si ingolfa e spalanca i vetri dell’antica
-finestra, come per dar adito a qualche cosa di spirtale. Le lampade
-oscillano — i semprevivi rabbrividiscono; un rosario penzolante
-dall’inginocchiatoio ondeggia: si discerne ora nel nuovo chiarore una
-gran ghirlanda di giacinti e di viole a piè dell’altare e una forma
-umana raccolta in una pelliccia, prostrata, col volto nascosto fra le
-braccia immobilmente. La neve entra dalla finestra e fiocca lenta e
-lieve sul pavimento; il vento spegne le lampade, arriccia i merletti
-dell’altare, sbatacchia rabbiosamente il rosario contro il legno
-dell’inginocchiatoio, disperde il profumo dei fiori, intirizzisce.
-
-Tutto si lamenta o si ribella, eccetto la forma umana prostrata
-sull’inginocchiatoio, eccetto una lastra di marmo, dirimpetto alla
-finestra, che sta pallida e forte sotto il flagello della bufera. Nel
-chiarore nivale si legge su quella lastra: _Pax_.
-
-
-
-
-Crisantèmi
-
-
-Il giardiniere entrò senza troppi riguardi nella stanzaccia di sgombero
-che non aveva divani nè tappeti; ma appena vide che c’era la signorina,
-si fermò impacciato e confuso d’essersi arrischiato fin là con gli
-scarponi motosi e la giacca di bordato. Credeva di non trovare nessuno,
-tutt’al piú la cameriera. Si scusò.
-
-— Chè, chè, vieni pure, Cencio! — disse allegra la signorina, da quella
-buona figliuola che era. — M’hai portato i fiori, eh? bravo! — E gli
-levò di mano senza tanti complimenti il gran paniere di vimini, dove
-s’affastellavano malinconici e stillanti i crisantemi. E il giardiniere
-non aveva ancora richiuso l’uscio dietro di sè, che le sue mani
-impazienti li avevano già sparpagliati sulla tavola quadrata, nel vano
-della finestra, in una tepida ondata di sole.
-
-— Così — mormorò, arrampicandosi più che sedendosi sull’enorme
-seggiolone di cuoio usato, da cui scappavano bioccoli di crine; e cercò
-le forbici e il gomitolo sotto i fiori.
-
-Quel seggiolone rococò e la tavola quadrata a bordi rialzati, intorno
-a cui correva una laminetta d’ottone arrugginita, avevano appartenuto
-alla nonna; poi, lei morta, erano stati relegati fra i vecchiumi
-nella stanzaccia di sgombero nuda e bianca, sempre inondata di sole;
-dove la signorina sgusciava spesso per frugare nei cassettoni zoppi o
-nei ripostigli dell’armadietto dalle tendine verdi, in cui scopriva
-sempre nuove bricciche curiose. Aveva trovato un vecchio almanacco
-che conteneva qualche sonetto del nonno; un passaporto ingiallito,
-dov’erano i connotati della nonna giovine; un pettine istoriato,
-qualche centimetro di trina antica, qualche ritaglio di damasco per
-i suoi lavorucci; perfino un ricamo a fiamme sbiadito, di cui aveva
-rivestito la cartella della sua scrivania. Intanto nella stanzaccia
-poteva cantare a pieni polmoni, e non quelle stucchevoli romanze a cui
-la condannava la mamma; cantare come piaceva a lei; musica e parole
-di sua fantasia, secondo le salivano dall’anima alle labbra; melodie
-e pensieri appassionati o gioiosi in una limpida e bizzarra vena
-inesauribile di rosignuolo. Anche, perchè negarlo? ci veniva volontieri
-per la ragione che dalla grande finestra, spalancata sempre all’aria e
-al sole, si scorgeva benissimo il lembo verde d’un giardino signorile,
-dove, a certe ore del giorno, si vedevano eseguire esercizi ginnastici
-sulle sbarre o sull’altalena due o tre monellucci snelli e agili come
-funamboli. Erano i cugini della signorina.
-
-Però in quel momento il lembo di giardino rimaneva deserto col suo
-gruppo di semprevivi cupi che dondolavano le vette nella mitezza del
-sole autunnale, come vecchioni crogiolantisi a un tepore di stufa
-semispenta; nè la signorina pareva curarsene menomamente, intenta come
-era a raggruppare i crisantemi, non sollevando mai il capo, se non
-per lanciare qualche occhiata fuggevole contro la parete dirimpetto,
-dove fra due o tre gabbie rotte, un paravento, uno scaffale e una
-vecchia bandiera c’era una seggiola sfondata e su quella un ritratto
-a olio della nonna, che la guardava, voltando un poco il capo, col
-suo sorriso tranquillo e indulgente di vecchietta buona. La fanciulla
-proseguiva lesta l’opera gentile in quell’onda calda, abbagliante,
-di sole, che pareva insultare alla rovina austera del suo seggiolone
-rococò e stemperare nella fulgidezza aurea la personcina di lei, così
-tenue e delicata, quasi diafana, col visino e le mani trasparenti di
-biancore anemico, i capelli luminosamente biondi, le ciglia d’oro,
-come raggi sottili, intorno all’azzurro intenso dei suoi occhi in cui
-vagava sempre e solamente un riso gaio ed inconscio di giovinezza.
-I crisantemi smorti, i tristi figli della vecchia stagione vizza e
-stanca, rifiorivano sotto la carezza del sole, sotto le agili dita che
-li avvincevano sapientemente. E i piccoli mazzi s’allineavano lungo i
-bordi rialzati della vecchia tavola; il bianco dominava, ma un bianco
-gialliccio e senza profumo, che faceva pensare a una zitellona in veste
-di sposa. Accanto al bianco il rosso, cupo, vellutato, un rosso arcigno
-di tappezzeria; poi i crisantemi gialli, fiore e colore giapponese,
-alla cui vista balena alla mente un _Mikado_ grottesco, adorato come
-un dio fra gli splendori del paese più fantasioso del mondo. Infine i
-crisantemi rosa, i più piccini e i più graziosi; il rosa d’un bottone
-di margheritina, il rosa antico dell’abito della fanciulla nascosto dal
-grembiule di batista che s’allacciava sulle spalle sotto due voluminose
-coccarde di nastro e di trina, fra cui sortiva esile il suo collo nudo
-e bianco di adolescente.
-
-Il saliscendi della vecchia porta, sollevato con un colpo secco,
-smorzò uno stornello in gola alla signorina, che ebbe paura di vedersi
-comparire la mamma o l’istitutrice, e trasalì.
-
-Invece comparì uno dei suoi cuginetti, i ginnastici.
-
-— Miracolo che ti si scova qui, Noemi! — esclamò con un gesto largo
-il giovinetto, mingherlino e biondo come lei. — Dovresti addirittura
-battezzarla per tuo salotto questa stanzaccia... Se i topi non ti
-facessero la concorrenza, quasi, quasi... eh?
-
-Noemi sorrise tutta accesa, nel volto; nel collo e persino nelle mani,
-da una vampata di sangue.
-
-— ... Si può sapere che cosa fai in quel seggiolone, dinanzi a quei
-brutti fiori? Mi sembri una maga che distilli qualche filtro per le sue
-stregherie...
-
-La signorina gli diede un buffetto sulle mani, che si stendevano
-minacciose verso i crisantemi.
-
-— Sarebbe meglio che tu m’aiutassi, Aldo...
-
-— Che onore! E a far che?
-
-— È una ghirlanda per la povera nonna, — disse Noemi a mezza voce,
-come gli confidasse un segreto; ma il cuginetto la guardò con le
-sopracciglia inarcate in comica sorpresa.
-
-— Che vuoi che se ne faccia la nonna della tua brutta ghirlanda? La sua
-tomba è piena di fiori! Stamattina le nostre mamme ne hanno mandato al
-Camposanto una carrozza piena...
-
-— Fiori comperati, — osservò Noemi. — Non è la stessa cosa. Voglio che
-la buona nonnetta abbia i fiori del suo vecchio giardino, intrecciati
-da me. E glieli porterò io con miss Annie domattina... Sono tanto
-brutti poi? Ti ricordi? la nonna amava i crisantemi...
-
-Aldo non rideva più. Prese un fiore e lo lasciò; poi un mazzetto,
-e odorandolo guardò lei in un certo modo che la fece ammutolire. Ed
-ella si vendicò di quella confusione e di quel nuovo rossore con una
-spallucciata, come se Aldo la canzonasse. Intanto non finiva più di
-avvoltolare il filo sugli steli riuniti d’un gruppo di crisantemi.
-
-— Dunque? — chiese il giovinetto con la voce tutta mutata e raddolcita
-improvvisamente; — posso aiutarti?
-
-— Ma... sì! — rispose la signorina alzando gli occhi un po’ sorpresa. —
-Cercati una seggiola...
-
-— Non è facile, non è facile... — canticchiò Aldo, girandosi da tutti
-i lati. Intanto, ritto, sulla sedia sfondata, scorse il ritratto della
-nonna, che guardava anche lui.
-
-— Ve’, ve’... chi ha messo là quel ritratto della nonna?
-
-— L’ho posato io là, ma per un momento. Scenderà nella mia camera. Era
-in quel canterano carico di polvere e di ragnatele...
-
-— Somiglia poco... — osservò il cuginetto che s’affaticava a sbarazzare
-uno sgabello da una cassetta di vecchi ferramenti e di utensili da
-cucina fuori d’uso. — Ecco, guarda, Noemi... Ora tu sei la castellana,
-io il tuo paggio, — le disse accomodandosi sull’alto sgabello di legno
-scolpito, che aveva nettato alla meglio col fazzoletto.
-
-Erano una graziosa cosa quei due fanciulli nel sole che inondava libero
-metà della cameraccia ingombra di vecchiumi, lei piccina e sottile, una
-figurina a toni delicati che occupava poco spazio nel gran seggiolone
-severo di cuoio; lui esile, aristocratico, sull’alto sgabello, con la
-testa bionda, ondulata, curva sui fiori: lo stesso colore dei capelli
-di lei, meno leggieri e più lucenti, la stessa tinta di carnagione
-diafana, la stessa magrezza gentile delle membra adolescenti. Parevano
-fratello e sorella.
-
-— _Dites, la jeune belle, — Où voulez vous aller?_... — cominciò a
-cantare Aldo per rompere il silenzio.
-
-— Se ti figuri d’avere una bella voce... — mormorò la signorina, dando
-una forbiciata agli steli troppo lunghi.
-
-Aldo riunì due fiori: — Così? — chiese umilmente; — va bene, così?
-
-— Copia quelli e non mi seccare! — rispose Noemi additandogli i
-mazzetti allineati; — non sciupare tanto cotone e non tagliare i gambi
-troppo corti...
-
-Ancora quello sguardo intenso, strano, quasi furtivo di lui, ed
-ella riavvampò chinando il capo sui crisantemi. Poi, ad un rumore di
-carrozza giù nella strada, Noemi balzò alla finestra.
-
-— Chi è, Noemi?
-
-— La contessa Sangiorgi.... Quante visite ha oggi la mamma!
-
-Aldo schiuse le labbra. Voleva dire: — Meglio! — ma si trattenne.
-
-— Com’è che non ti chiama in salotto?
-
-— L’ho pregata di lasciarmi in pace oggi, perchè dovevo fare la lezione
-inglese di due giorni.
-
-— Ah! — Aldo le lanciò un’occhiata di sottecchi, sorridendo
-maliziosamente con una dolcezza segreta, come se quella bugia li
-riunisse in una complicità ch’egli vagheggiò satura dei romanzeschi
-misteri d’un convegno d’amore.
-
-Noemi tornò al suo posto sul seggiolone respirando con un — ah! —
-prolungato, il sole e la luce.
-
-— .... perchè, se la mamma sapesse che sono qui, — continuò come
-scusandosi del suo sotterfugio, — mi sgriderebbe di perdere il tempo,
-di tenere spalancata la finestra, di stare al sole.... io che l’adoro
-il sole! Vediamo che fai.... Sì, non c’è male, non credevo.... Ora
-continua tu a fare i mazzi, io comincerò a riunirli in ghirlanda.
-
-Aldo continuò a fare i mazzi senza parlare. Sentiva il cuore
-traboccargli di soavità, e quella soavità scorrergli per tutte le
-fibre in una vita nuova che gli donava slanci, aspirazioni, desiderii
-indefiniti, ma alti e grandiosi. Nulla gli pareva impossibile
-o difficile nella mite ebbrezza di quell’ora; rinveniva in sè
-l’entusiasmo d’un apostolo e la stoffa d’un eroe, e non gli riusciva di
-spiegarsi perchè. Noemi canterellava o lo stuzzicava motteggiandolo. Ma
-anche lei quel giorno aveva certi turbamenti strani negli atti e nella
-voce, e molti rossori importuni. Poi, nel suo intimo, un eccitamento
-insolito, come quando si aspetta una felicità promessa e desiderata; un
-lieve eccitamento ricascante ad intervalli in una specie di melanconia
-che le dava voglia di piangere. Soffriva; pure non avrebbe rinunziato
-al diletto segreto di quella sofferenza, che le rivelava vagamente e
-nebulosamente il perchè della vita.
-
-Presto i mazzolini furono tutti pronti e la ghirlanda arrivò a metà
-fra le sue dita destre; Aldo, rimasto in ozio, si mise a incidere colla
-punta delle forbici una iniziale sul tavolino.
-
-— Ma che passatempi da monello! — sgridò Noemi debolmente, poichè aveva
-indovinato e veduto quel bell’_enne_ che si sviluppava. Egli sorridendo
-imperterrito lo compì e vi intrecciò bizzarramente un _A_. La signorina
-seguitò zitta e mogia la sua ghirlanda, ascoltando i battiti violenti
-del suo piccolo cuore.
-
-— È la tavola vecchia della nonna, questa tavola, dì.... Noemi?....
-
-— .... Sì. — Aveva tardato a rispondergli, perchè le si dilagava ancora
-nel cuoricino palpitante la dolcezza inattesa che le aveva procurato il
-suo nome profferito da lui.
-
-— Me ne ricordo.... — sospirò Aldo continuando sempre nella sua
-artistica barbarie, che ora gli ispirava un cuore passato da un dardo.
-— Quante volte, da piccoli, vi abbiamo ruzzolato su i gomitoli, te
-ne ricordi, Noemi? La nonna ci lasciava fare, poichè i gomitoli non
-cadevano, imprigionati fra i bordi rialzati. A noi pareva una tavola dà
-bigliardo.
-
-— .... Sì — disse ancora dolcemente lei. Poi esitando gli domandò
-le forbici, che Aldo le presentò con un atto cavalleresco, un riso
-luminoso ed eloquente negli occhi e sulle labbra schiuse. — Aspetta,
-aspetta, son qua per aiutarti, — soggiunse con un’adorabile inflessione
-di protezione affettuosa nella voce, vedendo che le proporzioni della
-ghirlanda incominciavano ad impicciarla sul serio. E ne sollevò un
-lembo reggendolo. — Quasi, ti soffoca, — mormorò col medesimo sorriso e
-sullo stesso tono.
-
-— Grazie, — aveva detto Noemi. — È quasi finita, — aggiunse ora,
-malinconica; ed Aldo trasse un sospirone che le carezzò tepidamente
-il viso. Non parlavano quasi più, assorti nella loro vita interna
-tutta di sensazioni così rapide e nuove e intense, ch’era divenuta
-una pena. Egli stava rubando furtivamente alla ghirlanda un crisantemo
-rosa, piccino, dal cuore giallo come una margherita, poi con un atto
-riguardoso e delicato passò il fiore fra le trine del grembiule di lei.
-
-A Noemi ricascarono le mani in grembo. Seria, muta, tremante, ella
-seguì con lo sguardo le dita di Aldo, e negli azzurri occhi, non più
-ridenti, vagava una soave tristezza come se l’anima sua fosse conscia
-di sprigionarsi dall’ombra della queta notte senza sogni, e per sempre.
-Nel silenzio affannoso, pieno di palpiti, ella alla sua volta trasse
-dalla ghirlanda un altro crisantemo rosa, per lui. Ma mentre le sue
-manine un po’ tremanti tentavano di fissarlo al colletto dell’abito
-del suo compagno, Aldo le prese i polsi, la attirò, e un bacio
-innocentemente ardente riunì i loro capelli biondi su quei fiori dei
-morti, nella tepida ondata di sole.
-
-La nonna li guardava dal ritratto sorridendo.
-
-
-
-
-Dietro le scene.
-
-
-— Che? te ne vai, Carmelita? — disse col rammarico negli occhi e nella
-voce donna Luisa alla contessa, trattenendola per le mani; — te ne
-vai proprio all’ora del mio «_five o’ clock tea_?» Bada, sarei capace
-d’impermalirmi come Turiddu quando compar Alfio si rifiutò di bere
-il suo vino! — aggiunse in tono leggero di scherzo, poichè avevano
-chiacchierato sino allora nel salotto della Cavalleria Rusticana.
-
-— Mi rincrescerebbe, tanto più che a me è interdetto quel famoso «_a
-piacer vostro_» che fa sempre tanto effetto, — ribattè la contessa
-Carmela, sorridendo tranquilla, mentre seguiva lo scherzo con la sua
-voce fievole. — Non posso mettermi a tua disposizione dacchè parto
-domani....
-
-— È per domani irrevocabilmente, contessa? — deplorò il galante
-capitano Olimene.
-
-— Sì, — disse solamente lei, che appariva alta e pallida nel suo abito
-nero.
-
-— E.... non tornerai tanto presto, forse? — chiese con un’ansia non
-benissimo dissimulata, la voce melodiosa di donna Luisa.
-
-— Non si torna tanto presto dall’Oriente, — rispose la contessa con la
-più perfetta naturalezza. — Quando poi s’ha a compagno di viaggio un
-viaggiatore esperto e spietato come mio zio che è capace di non farmi
-grazia nè d’un minareto nè d’una moschea...
-
-— Perchè mai la contessa Sanlorenzo veste sempre di nero da un mese
-in qua? — chiedeva ingenuamente dal suo cantuccio la nipotina del
-commendatore alla sua vicina. — È forse in lutto?
-
-— Forse, — rispose l’altra, a cui scintillavano due occhietti
-maliziosi; poi, vedendosi osservata dal marchese Arturi, soffocò uno
-scoppio di tosse nel fazzoletto, arrossendo un poco.
-
-— Il nero le sta molto bene, la ringiovanisce, — seguitò l’altra
-ammirando coi suoi placidi occhi chiari la figura svelta della contessa
-Carmela che si disegnava severamente sullo sfondo artistico d’un arazzo
-luccicante di fili d’oro, e il viso pallido, ancor più pallido e fine
-sotto la tesa del gran cappello a penne di struzzo fra cui scintillava
-un fermaglio di vecchi diamanti.
-
-— Ah... quando è così poi... non ho coraggio di trattenerti, — diceva
-ora donna Luisa perfidamente bella, piegando il capo di Ebe giovinetta,
-con quel movimento civettuolo che faceva perder la testa ai suoi
-adoratori; — trattandosi di un pranzo scientifico-letterario, e un
-pranzo d’addio, poi... Una cosa commovente.... Già mi ruberai qualche
-amico stasera, il professor Lapi, Modesti, Farigliano, non è vero? Cino
-De Romei... — continuò disinvolta, figgendo gli occhi ingenui in quelli
-dell’amica con raffinata crudeltà.
-
-— Cino De Romei replicò la contessa tranquillamente, senza che la
-menoma contrazione del volto tradisse le sue sensazioni. Per essere
-ammessi a questa categoria dei miei pranzi bisogna avere l’età come per
-essere eletti senatori....
-
-— Ma i suoi amici sono davvero _eletti_, — mormorò Olimene; — beati
-loro...
-
-— Oh, non li invidii troppo, capitano. Sono i privilegi dell’autunno,
-della stagione dei frutti....
-
-— Proibiti, — mormorò un freddurista ostinato che si nascondeva fra un
-vaso del Giappone e una giardiniera di rose.
-
-— Addio, dunque, bella. Portami un paio di pantofoline dal tuo Oriente,
-— concluse allegra donna Luisa; e le due signore si baciarono, mentre
-la signorina dagli occhi maliziosi canticchiava sottovoce guardandosi
-la punta delle scarpette:
-
-«Compar Turiddu, avete morso a buono... c’intenderemo bene; a quel che
-pare!...»
-
-La contessa Carmela Sanlorenzo si congedava dagli altri con una
-graziosa parola e un sorriso per ognuno. Si era animata; pareva
-intimamente soddisfatta del suo viaggio in oriente; ma un momento in
-cui il sorriso cessò, i suoi occhi ebbero un lampo di luce sinistra e
-il suo volto un’espressione di odio e di dolore. Non fu che un attimo:
-prima d’uscire mostrò ancora in un ultimo saluto leggiadro e dignitoso
-il suo sorriso sereno, come sempre.
-
-Il servo la seguì per la fila dei salotti, nell’anticamera, e
-incominciò a scendere dopo di lei, da un lato del largo scalone ornato
-di cactus e di palmizî. Ella prese a scendere lentamente, con pena,
-gli scalini nascosti dallo spesso tappeto. Il sorriso era sparito;
-tornava l’espressione dolorosa del volto, la luce fosca negli occhi
-grandi e neri cerchiati d’ombra, a cui s’aggiungeva un abbandono
-stanco della persona che la invecchiava, ora, di dieci anni. Scendeva;
-gli abiti scivolavano giù dagli scalini dietro la sua persona con un
-lieve fruscìo; il suo piccolo piede si posava quasi incerto sul liscio
-tappeto, la mano stringeva convulsamente il manico dell’ombrellino
-finamente intarsiato d’argento. Scendeva. Allo svoltare della scala,
-sul pianerottolo, dietro un gruppo di camelie, s’incontrò faccia a
-faccia con un uomo che saliva. Era Cino De Romei.
-
-Si salutarono: ella col suo semplice e grazioso cenno del capo, egli
-mettendosi in disparte, per lasciarla passare, con un inchino e una
-premura alquanto esagerati. Fu tutto; nè l’uno nè l’altra udirono
-il suono delle loro voci: egli continuò a salire a testa alta; ella
-a discendere a capo chino, serrando come in una morsa il manico
-dell’ombrellino intarsiato d’argento.
-
-La contessa Carmela Sanlorenzo continuò a scendere e pensava: — Ecco
-così, — pensava — ci siamo incontrati a uno svolto del cammino; così.
-Io discendevo già la vita col mio fardello di amarezze; lui saliva con
-la speranza che gli dava le ali. Abbiamo sostato un momento; poi lui
-ha ripreso a salire, io a discendere come prima, più stanca di prima,
-poichè neanche l’amicizia sua mi conforta più, divenuta impossibile,
-oramai, come una vergognosa transazione o come un’ipocrisia... Dunque
-più nulla: dunque dimenticare. Dimenticare tutto, dalle ore più
-soavi in cui l’amore non era ancora che un benessere affascinante,
-dolcissimo e ignoto, che avviluppava entrambi e che dava un’intonazione
-lieta ai discorsi e alle cose più futili; alle ore tempestose del
-desiderio e della passione...: dimenticare le buone serate che abbiamo
-passate nel mio salottino di studio, serate di lavoro coscienzioso
-che credevamo di prendere tutti due sul serio... Egli mi leggeva i
-suoi versi bellissimi, io i miei, molto mediocri, ma in cui diceva di
-trovare una finezza e una percezione profonda... Pure, siamo giusti:
-avevo incominciato in buona fede, la mia parte di amica saggia,
-di consiglierà, di mamma... Non fui io la prima a cambiar scena.
-Animandolo a venire da me a correggere i suoi lavori e a farsi aiutare
-a riordinare quel caos di foglietti volanti, pensavo proprio solamente
-di rendergli un servizio da amica vera, di offrirgli il mezzo che
-cercava per sottrarsi alle mille distrazioni oziose che lo tentavano,
-che lo attiravano suo malgrado e gli vuotavano il cervello e gli
-inaridivano il cuore. Era una dolcezza accogliere le sue confidenze,
-le sue confessioni, le sue speranze: sgridarlo, consigliarlo,
-animarlo... una dolcezza sempre più viva, sempre più profonda, sempre
-più invadente, finchè l’anima mia ne divenne satura e non vissi più che
-per lui... Quando non mi rimase più forza per fargli intendere ragione,
-si sommerse la rigida barriera dei quindici anni che ci separano, e
-invece del giovine poeta e della signora matura, si trovarono faccia
-a faccia due innamorati... ecco tutto. Ma la commedia è finita; io
-riprendo la mia parte di madre-nobile, egli recita da amoroso con una
-nuova attrice, veramente giovine questa volta. Non mi resta dunque che
-benedirli e andarmene a recitare altrove, e con più coerenza, un’altra
-parte di madre-nobile.
-
-— Come è cangiata Carmelita; — pensava Cino De’ Romei continuando a
-salire le scale a testa alta con una luminosità di trionfo negli occhi:
-— oggi ha tutto l’aspetto di una signora matura. Fui il gran pazzo...
-Meritava proprio di bruciarsi il sangue di passione per un anno,
-di commettere tante follie, di gettare alla morte e all’infinito la
-sfida audace della felicità e dell’amore per arrivare, incontrandoci,
-a salutarci appena, come due estranei... Peccato! una bella amicizia
-guastata così scioccamente... e un’amica come Carmelita, un’amica
-schietta, spregiudicata, saggia, intelligente e buona così, non è
-facile da surrogare... Forse, quando parecchi anni saranno passati,
-ella mi permetterà di riannodare un’intimità innocente... Ed io,
-divenuto illustre e serio, anderò ancora da lei a correggere i miei
-versi... che non saranno più pericolosi... perchè allora sarà il tempo
-di comporre i madrigali ingenui e di celebrare in sestine l’amore
-ideale. Oggi la giovinezza mi tumultua nel cuore e mi inebria dei suoi
-inni, e una formosa Dea m’attrae con tutti i suoi fascini... Oh, donna
-Luisa! bellissima realtà, oggi la poesia, la gloria, l’arte sei tu!...
-
-Cino De Romei giunse al sommo della scala. «Salve!» gli disse il
-cuore, dilatato dall’orgoglio e dalla felicità, mentre passava sotto la
-portiera di damasco dell’anticamera.
-
-— Addio, — mormorava la contessa Carmela indugiando un ultimo momento
-sulla soglia, addoloratamente.
-
-
-
-
-Mammole
-
- _Douce est la mort qui vient_
- _en bien aimant!_
-
-
-La strada s’allungava a perdita d’occhio, bianca e diritta fra il
-verde, ed essi tornavano al villino lentamente, avvinti, col viso
-colorito dai riflessi del sole occidentale. Lei aveva appoggiato
-alla spalla del suo compagno la testa avvolta nella sciarpa a maglia
-di seta fine, e qualche momento chiudeva gli occhi languidamente,
-abbandonandosi tutta alla pace soavissima di quel memorabile vespro;
-godendo di ricercare nelle più intime fibre dell’anima esuberante
-d’amore, la vibrazione dell’eterno inno primaverile gioioso. E
-quando un bacio lieve su le palpebre la riscoteva, ella riaprendo gli
-occhi stupendi incontrava di nuovo quello sguardo continuo, amoroso
-ed ardente che la spossava di dolcezza... Parlavano poco, a lunghe
-pause, giacchè erano intensamente felici; e quella felicità negata
-e contrastata per tanto tempo, pareva loro così inverosimile ancora,
-che tremavano di affermarla, di rallegrarsene, per timore che al suono
-delle loro voci dileguasse, come un sogno. Finalmente egli le domandò
-sommesso, semplicemente, se aveva freddo, e le serrò più forte la vita
-col braccio, rimettendole intorno al collo un lembo indocile della
-sciarpa, mormorandole ancora qualchecosa che il vento si portava via;
-lei sorrideva senza rispondere, con gli occhi socchiusi nella vasta
-limpidezza lucente del cielo. Intorno a loro, nel verde tenero, c’era
-un senso gentile di frescura, e lontano, su in alto, s’udiva il trillo
-d’un’allodola invisibile.
-
-— Ti ricordi, Arrigo, di quel primo giorno? Fu in un pomeriggio come
-questo...
-
-Questa volta fu lui che assentì sorridendo in silenzio.
-
-— Ti ricordi di quelle povere violette bianche?
-
-Il giovane sostò, la sciolse dall’abbraccio e trasse da una tasca
-interna la serica busticina elegante, dove riposavano i fiorellini
-ingialliti.
-
-Lei rimase muta, appoggiata all’ombrellino chiuso e gli occhi le
-brillarono: — Ancora con te? — mormorò poi, ma lo sapeva bene che
-c’erano ancora, che ci starebbero sempre.
-
-— Anche dopo morte, — diss’egli; e baciò i fiori.
-
-Laggiù all’orizzonte in quella festa di colori sfolgoreggianti fra i
-tronchi, in quel saettare di raggi aurei che sprizzavano tra le fronde,
-qualchecosa d’indistinto pareva muovere ed avanzare lentamente; ma essi
-non vedevano nulla, abbacinati dallo splendore, assorti nell’estasi del
-loro idillio.
-
-— Avevo sedici anni quel pomeriggio, lontano, — continuò lei
-appoggiando la manina inguantata sulla spalla del giovine, — quel
-pomeriggio lontano in cui mi sorprendesti a strappare ferocemente le
-mammole che tu raccogliesti poi con tanta religione, ed ero ancora una
-monelluccia stordita che non si accorgeva di essere ammirata, nè se
-ne curava... Eppure in quell’odoroso giorno d’aprile, fra tutti quei
-trilli e quell’azzurro, piansi per la prima volta di tristezza, poichè
-mi rinvenni nell’anima un abisso in cui era un silenzio sconsolato...
-
-— Eri sulla soglia del tempio d’un dio ignoto... — soggiunse lui
-piegando carezzevolmente il capo sulla morbida mano inguantata,
-abbandonata sulla sua spalla.
-
-— Oh come sentivo la vicinanza di quel dio, come mi turbava
-quell’attesa solenne!... — esclamò essa, commossa; — poi, senti Arrigo,
-la divinazione venne improvvisamente... Capii che solamente amando
-sarebbero scesi nella mia anima, a colmarne il vuoto, quei trilli,
-quella luce, quei profumi che mi facevano piangere d’una strana
-malinconia: ascoltai il mormorio di voci che s’era levato intorno a me
-e compresi che le cose tutte parlavano, inneggiavano, deridevano la mia
-ignoranza.... Allora strappai le violette...
-
-Egli le prese delicatamente fra le mani la testa, e la baciò senza
-parlare, con un sorriso intenerito.
-
-— .... dopo salii nella mia camera, m’inginocchiai e in quell’ardore
-di fede che mi dava la tristezza chiesi a Dio ingenuamente di amare
-anch’io, di amare molto, con tutte le facoltà del cuore, della mente,
-dell’anima; con tutto lo slancio e la forza della mia giovinezza, e di
-essere riamata così...
-
-— Dio ti ascoltò quel giorno... — cominciò lui con impeto, ma la
-piccola mano gli chiuse la bocca.
-
-— Ascolta: fu un olocausto; chiesi a Dio di respirare tutto il profumo,
-di godere tutta l’ebbrezza infinita di questo amore sovrumano, non
-fosse che per un giorno; e gli offersi in cambio... la mia vita...
-
-— Taci! — proruppe lui con un brivido; — perchè dir questo oggi, un
-giorno di nozze? perchè l’hai detta quella parola? perchè? — E la
-baciò a lungo sulle labbra come per cancellare quella parola funebre.
-Ella rideva, rideva, con la bocca schiusa, fresca come un fiore, gli
-occhi pieni di sereno; rideva sfidando il destino, forte di gioventù,
-d’amore.
-
-E laggiù, tra gli alberi, la massa confusa veniva innanzi,
-insensibilmente, misteriosamente sulla bianca strada. La signora
-aspirava intanto nell’aria con delizia un odor acuto di mammole, e
-cercava sulla sponda erbosa del fossato, scostando le fogliuzze con
-l’ombrellino.
-
-— Oh, delle mammole! — esclamò lieta; — delle violette bianche come
-quelle, Arrigo! Ecco un bell’augurio, vedi?... — E fece per slanciarsi
-dalla breve sponda; egli la trattenne facendole gli occhiacci, per
-usare subito della sua novella autorità di marito. — È così che ci si
-fa male, bambina! un minuto di pazienza e avrai le violette. — E scese
-destramente. Ella gli additava, con l’ombrellino, violette invisibili.
-
-— Ma no, Arrigo... dalla parte opposta... laggiù sotto la siepe...
-bisogna passare attraverso la siepe, — concluse ritentando di scendere
-la sponda sdrucciolevole. Egli la prese risolutamente alla vita e la
-posò giù, accanto a lui.
-
-— Vieni dunque, — disse aprendole un varco fra i rami di biancospino e
-staccando con tutta delicatezza un lembo della sciarpa fine impigliato
-nei rovi. — Non è una impresa facile; ti sfido...
-
-— Davvero? Allora vedremo chi ne coglierà di più, — rispose lei
-gettando l’ombrellino, e levandosi un guanto in fretta. Intorno, la
-solitudine completa: e quello splendido tramonto fiammeggiante soltanto
-per essi sulla rigogliosa pianura. Ella si affrettava, ridendo a brevi
-trilli sommessi sotto la frondosa siepe fiorita, affondando la mano
-bianchissima nell’erba; lui non aveva mai colto mammole con tanto
-ardore. ma nonostante i suoi sforzi si trovava spesso a rallentare
-la foga di quel gioco, distratto dalla vista della breve mano agile,
-dell’errare di un ricciolino scompigliato dalla brezza, da una molle
-curva che si accentuava, da un tratto di calza di seta che disegnava
-l’attaccatura del piede, fine e nervosa. Così lei potè cantare vittoria
-risalendo sulla strada; aveva delle mammole nelle tasche, lungo la
-scollatura a risvolti del soprabito, negli occhielli, nelle pieghe
-della sciarpa, nell’ombrellino. Ne era imbarazzata, ed egli per
-vendicarsi le riempì anche le mani dei bianchi fiorellini odorosi......
-La giovine signora vi immerse il viso respirando avidamente; poi
-reclinò ancora la testa sulla spalla di lui esausta dal tumulto di
-emozioni, di sentimenti, di ricordi, che le si levava in cuore al
-sottile profumo.
-
-— Come sono felice!... Come siamo felici, Arrigo! — esclamò finalmente,
-non resistendo al bisogno di gettare quel grido alle piante,
-all’azzurro infinito...
-
-Ma il suo compagno pareva preoccupato e intento a discernere sulla
-strada un convoglio che si avanzava lento, che era già a pochi metri da
-loro, socchiudendo gli occhi contro la fusione fulgida di tinte calde
-che lo abbarbagliava. Poi si fece riparo agli occhi con la mano e vide,
-e provò un rapido senso di gelo al cuore.
-
-Il povero feretro veniva innanzi portato da due robuste campagnuole
-vestite di mussola bianca, scortato dal chierichetto che inalberava
-gagliardamente sull’asta la piccola croce; un prete a fianco
-borbottava le preghiere col libro aperto e altre due ragazze in abito
-bianco seguivano per dare il cambio. Nient’altro; non un fiore sulla
-lugubre coperta nera che dissimulava appena la bara; non un salmodio
-diffondentesi sonoro e poetico nella pace vespertina; non un parente,
-non un amico, non un senso di tristezza o di pietà: si leggeva la noia
-nei volti rubicondi delle ragazze, sull’emaciato volto del prete,
-sul viso infantile del chierichetto roseo; solamente la noia e il
-desiderio di sbarazzarsi al più presto di quell’incomodo. Chi era steso
-la dentro? Un bimbo? una fanciulla? una giovane sposa? la conclusione
-tragica d’un rustico romanzo d’amore, o una prima pagina candida su cui
-il destino aveva scritto «fine»?... Essi non lo domandarono, ammutoliti
-in un superstizioso sgomento... Ma poi quella povera bara d’un essere
-sconosciuto che passava fredda e nera nella campagna verde, piena di
-vita, di palpiti, di profumi sotto il cielo soffuso dell’ultima luce
-fiammante; attirò la pietà dei due felici rimasti immobili e stretti
-l’uno all’altro... Quando il feretro passò, rasentandoli quasi, il
-prete lanciò verso di loro una rapida occhiata, e la signora con un
-atto gentile ma pronto come uno scongiuro, gittò sulla bara tutte
-le sue violette. I fiorellini piovvero costellando lievi il rozzo
-panno nero: qualcuno cadde, altri il vento disperse, e il rustico
-corteo inoltrò misterioso e silente. Presto scomparve nella nebbia
-che già nascondeva la strada a settentrione, mentre i giovani sposi,
-strettamente abbracciati, ripresero la via, adagio, verso il sole.
-
-
-
-
-Romanze senza parole.
-
-
-ORME.
-
-Sull’orlo estremo del lido sabbioso, soffice, umido, incrostato
-di conchiglie, si mescono e si seguono orme di passi umani
-interminabilmente: l’ombra d’un filo di vita svolto fra la solitudine
-sterile e una moltitudine invisibile, — fra la sosta immemore d’un
-limbo che tutto cancella e un’azzurra eternità. Gli umani sono passati
-in lunga teoria sullo stretto sentiero, avidi d’oblìo, di speranze, di
-sogni. Le orme narrano: alcuni ritornarono dopo breve cammino delusi;
-non poterono dimenticare, nè chiedere, nè illudersi: altri proseguirono
-per lungo tratto insieme, come sfidando con balda audacia la vicenda
-delle cose perchè riuniti; poi uno ritorna, è stanco, sfiduciato;
-un altro si smarrisce nella sabbia fine, asciutta, infida; un terzo
-si scosta ed erra finchè la spuma delle onde lambe e rode le traccie
-del suo passaggio; l’ultimo inoltra solo, accanto al solco leggiero
-e continuo d’un bastone. Poi anche il solco cessa, e l’uomo inoltra
-ancora senza appoggio, ancora, ostinatamente..... Infine le alghe
-brune e muschiate si dilatano, tutto nascondendo. Orme d’un piedino
-minuscolo, spesse, irregolari, seguite da orme larghe, sicure: i primi
-passi. Altre orme irregolari con un seguito di piccole buche: gli
-ultimi. Le orme dei ricchi, tenui, dai tacchi che scavano fossette; le
-orme dei giovani, lievi, discoste; quelle dei felici, attraversate ogni
-tanto da un’iniziale, da un zig-zag; e, finalmente, orme di piedi veri,
-ignudi, grossolani, a una distanza tanto regolare da parer calcolata
-con una precisione matematica: il passo della gente che sa cosa vuole
-e dove va. Dinanzi a quelle orme le altre si scansano. Sono le orme
-faticate del lavoro.
-
-Gli umani sono passati così fra la solitudine e l’eternità. Domani
-un soffio di brezza solleverà forse le grigie sabbie volubili che
-ne cancelleranno ogni traccia; ma nella loro evoluzione le onde
-affaccendate si dilateranno per raccoglierne nel grembo azzurro,
-maternamente, l’ultima memoria.
-
-
-VENDETTA.
-
-L’ultima finestra della casa, al primo piano, verso ponente, s’apriva
-fra le rame flessibili del gelsomino. Una mano delicata le dirigeva, le
-domava, le dissetava, le intrecciava in riposo, le avvinceva in catene
-fraterne. Quando le piccole costellazioni bianche si staccavano, erano
-raccolte con tanta sollecitudine che non una veniva contaminata dal
-fango del terreno o dalla bava dei ragni, che anelavano a quel candore.
-
-Ma nell’ombra fresca dai riflessi di smeraldo serpeggiava un
-soffio vivo, indomabile, che si sfogava in cento insidie piccine,
-malignamente. Gli olezzi diffondevano la più eloquente delle serenate;
-qualche tralcio ribelle dava ogni dì la scalata e s’insinuava a spiare
-nella stanza, avido: le ciocche fiorite si protendevano, offrivano i
-mazzetti naturali, desiderosi di avvizzire su un seno ardente; alla
-brezza, che le carezzava, le foglioline rispondevano acconsentendo con
-un fremito novo; al vento che passava fischiando, i rami si dibattevano
-desolatamente.
-
-La finestra s’apriva di buon mattino e l’alito verginale che ne usciva,
-blandiva il soffio maligno, stornava le insidie, mitigava le ebbrezze.
-Quando un fior di cardenia apparve sul davanzale.
-
-Quel fior di cardenia venne disputato alla distruzione a lungo,
-tenacemente. Tutta la notte l’anforina di cristallo rosa che reggeva
-la corolla rimaneva sul parapetto, fuor dell’imposte chiuse, assistendo
-al colloquio della cardenia con la luna piena; candida e sola come lei.
-Il gelsomino fu negletto; le rame crebbero vagabonde e selvagge fino a
-ricascare su loro stesse stanche del vano errare; le stelline bianche
-emigrarono liberamente, ma per posar presto in un molle strato odoroso
-sul terreno, come un sudario mistico; qualcuna s’indugiava, si smarriva
-nei meandri verdi, s’impigliava fra le ragnatele lievi, iridate,
-luminose, in fondo a cui il ragno attendeva.
-
-Infine il fior di cardenia ingiallì del tutto e fu portato via.
-Ma venne poi una gabbiuzza popolata di colibri, poi un pappagallo
-fiammante, poi una scimmietta freddolosa, poi un virgulto di rose,
-poi una coppa riscintillante di pesciolini d’oro. Inutile; la morte
-spazzava tutto via. Qualche cosa dava il malocchio a quella finestra
-che s’apriva fra le rame di gelsomino.
-
-Nell’inverno la camera fu rimessa a nuovo: cortine azzurre, lievi,
-scesero lungo le doppie vetrate dov’era una fioritura di mammole, e una
-lampada ardeva tutta notte, velata e misteriosa, come in un santuario.
-I viandanti che passavano intirizziti levavano lo sguardo sorridenti o
-sospirosi e bisbigliavano: «Là regna Amore...»
-
-Ma il gelsomino non udiva; era atrofizzato dal gelo, e ignudo, inerme,
-dormiva. Quando il bacio pietoso della Primavera lo destò, ahimè!
-si vide mutilato e inceppato vigorosamente contro il muro! Invano si
-ribellò, invano i mazzetti implorarono sotto il davanzale il rifugio
-tepido, consueto; invano la fragranza dispersa nell’aria si diffuse
-in elegie amorosamente, e le stelline erranti si posarono fra le
-stecche delle persiane come per esplorare, e i tralci più arditi si
-svincolarono e bussarono stimolati dal vento; la finestra dalle cortine
-azzurre irrideva, soave, al loro dolore. Così trascorse l’estate, una
-lunga estate.
-
-In ottobre, mentre le prime pioggie scendono a risvegliare
-inesorabilmente dal sogno di una tornante primavera, nella lotta fra le
-illusioni che evaporano con gli ultimi profumi di tutti i fiori della
-terra, e le gelide realtà che piovono con le fredde lagrime del cielo,
-— la finestra rimase chiusa, triste, e i rami ingigantiti infransero i
-loro ceppi, e la flagellarono sera e mattina ululando ferocemente.
-
-Dopo molti giorni la finestra si riaprì, in un vespro d’oro,
-nell’assenza degli olezzi e nell’immobilità delle fronde che
-oscillarono estatiche, quasi spaurite della conseguita vittoria. La
-finestra rimase vuota e aperta fino all’alba, con le cortine calate
-e le imposte che gemevano sui cardini in uno sconsolato abbandono.
-Nell’alba nebulosa, livida, fredda, le cortine azzurre tremolarono,
-uscirono e palpitarono in alto, come due aluccie impazienti di volar
-via. Allora pel varco libero, simile a un piccolo stuolo vittorioso e
-invadente, entrò nella camera della morta uno sciame di gelsomini.
-
-
-
-
-Ultimi bagliori.
-
-
-Il conte Alberto Farigliano di Roccamare rientrava intirizzito dal
-nevischio pungente d’un uggioso pomeriggio di Febbraio. Gettati al
-servo pelliccia e cappello biancheggianti di diaccioli, traversò
-lesto l’appartamento in cui il calorifero diffondeva un tepore più
-che primaverile e giunse al remoto salottino di sua moglie. Era
-sicuro di trovarla laggiù. La contessa infatti pareva addormentata
-nell’ampia poltrona di broccato nero, quasi bocconi, col volto
-nascosto in un piccolo guanciale morbidissimo posato sul bracciolo.
-In quell’atteggiamento, coll’abito sciolto e lucente di felpa bianca
-dai riflessi madreperlacei, nella luce azzurreggiata dalle tendine
-abbassate, diede ad Alberto l’idea d’una perla nella sua nicchia. Egli
-inoltrò chetamente: nel ricco salotto ondeggiava un acuto profumo di
-cardenia. Non si vedeva nulla del volto di lei; solo l’ammasso dei suoi
-capelli fini, castani, allentati con un po’ di disordine, e le sottili
-mani aggrappate al cuscino. Alberto la contemplò lungamente. Poi si
-mosse per andarsene, ma nel movimento un po’ brusco urtò una sedia
-leggiera, fuori di posto, e la signora sussultò forte, levando il viso
-sbiancato e fissandolo sbigottita, come se nel primo momento non lo
-riconoscesse.
-
-— Dormivi?
-
-— Sì, forse... da quanto tempo sei qui, Alberto? — chiese alla sua
-volta lei, che abbozzò un sorriso, subito dileguato come un ombra sulle
-sue labbra tremolanti, e le bianche mani passarono e ripassarono sugli
-occhi. — Ho un po’ di emicrania oggi; — aggiunse con un fil di voce.
-
-— Tieni troppo caldo e troppi fiori intorno a te, mia cara. Or’ora
-stavo per farne un fascio. Tu finirai per asfissiarti, esagerando così.
-
-Essa stava immobile, con le mani serrate alle tempie, gli occhi fissi
-sui meandri del tappeto. Poi, risolutamente, si alzò e venne fin presso
-la scrivania d’un squisito stile del Rinascimento, sulla quale si mise
-a frugare senza scopo.
-
-Nella penombra, fra i larghi fogliami esotici e i mobili artistici,
-quell’alta figurina bianca pareva svanire come una parvenza. Suo marito
-le cinse la vita con un braccio e l’attirò a sè, dolcemente.
-
-— Sai, Letizia, ho una cattiva notizia da darti. Mi tocca partire....
-
-La contessa trasalì ancora, lo guardò rapidamente coi bellissimi occhi,
-e si sciolse dall’abbraccio.
-
-— Dove vai?
-
-— A Berlino... Sono incaricato di una missione di qualche importanza
-dal ministero e, capirai, col ministero non si scherza. Parto lunedì.
-
-— .... Starai lontano molto tempo?
-
-— Temo di sì. L’affare per cui vado non è da sbrigarsi in poche ore...
-Tre, quattro, cinque mesi.... ma poi vedremo.... Non ne so nulla
-insomma.
-
-La contessa Letizia rimase a capo chino e fra loro vi fu un prolungato
-silenzio. Eppure era lo stesso impulso che lottava nei loro cuori con
-degli ostacoli suscitati dalla loro diversa debolezza: era lo stesso
-sottile sgomento pauroso per una parola ch’egli avrebbe voluto sentirsi
-dire da lei che rimaneva muta, per una parola che Letizia aveva terrore
-di sentirsi dire, in quel giorno, in quell’ora...
-
-— Pensavo che tu potresti.... — la contessa ebbe un piccolo moto di
-altera meraviglia — tu potresti passar questo tempo dalla zia Fanny o
-pregarla di venirti a tenere compagnia. Per rispetto alle convenienze
-non sarebbe bene che tu rimanessi sola....
-
-Letizia continuava a guardarlo come se pensasse a tutt’altro. — Sì, —
-mormorò poi; — riflettevo anch’io a questo.
-
-— ..... allora siamo perfettamente d’accordo, — concluse Alberto con la
-sua freddezza solita. Ed uscì.
-
-— Come sono vile, ah come sono vile! — disse in cuor suo la giovine
-contessa; e si lasciò andare sulla seggiolina della scrivania, tutta
-pallida, a occhi chiusi; mentre due grosse lagrime le rigarono le
-guancie e caddero in bollicine sulla sua cartella dalle cifre d’oro.
-Ma ecco che dinanzi alle palpebre abbassate, come se un velario fosse
-calato dinanzi alla realtà della sua vita per lasciarla vivere più
-intensamente nel sogno, le ricomparve repente la balda e bionda figura
-d’uomo, di un uomo che non era suo marito, fissa come l’aveva avuta
-inesorabilmente in tutta quella penosa giornata, ed essa, questa volta
-per cacciarla spietatamente, aperse gli occhi.
-
-Fu un rimedio vano. Se la visione svanì, i suoi pensieri seguirono
-fluenti il loro corso, come l’onda del ruscello gira intorno ad un
-debole ostacolo messo per arrestarla....
-
-Lo aveva riveduto dopo quattro anni, improvvisamente, quel giorno
-stesso, nell’uscire dal salotto d’un’amica, mentre egli vi entrava. E
-nello scoprirsi il capo biondo, cedendole il passo, l’aveva misurata
-con lo sguardo sàturo d’una tal curiosità volgare e galante che
-Letizia aveva arrossito. Ma aveva arrossito meno per l’indignazione
-che per il colpo di trovarselo lì dinanzi quando meno ci pensava,
-e con lo stesso fàscino irresistibile ch’era stato il tormento e il
-sorriso dei suoi sedici anni. Un vanesio, del resto, quel tenentino di
-cavalleria! Non aveva il capo che a far la corte alle signore eleganti,
-mentre le signorine gli sospiravano dietro: ella lo sapeva; lo aveva
-già giudicato col suo nascente senno di giovinetta, da quel contegno
-irragionevolmente mutevole con lei, innamorata di lui da morirne,
-sempre.
-
-Era così spigliato, così attraente, così carino! Una volta, l’ultima
-volta che si erano incontrati le aveva giurato che se il padre di lui
-non desisteva dall’opporsi al loro matrimonio, si sarebbe ucciso... Uno
-spavento, un supplizio... una dolce e tremenda e insistente tentazione
-di fuggirsene davvero attraverso l’Europa, com’egli le proponeva.... Ma
-aveva troppo pensato al dolore dei suoi; le era mancato il coraggio.
-Poi quell’amore tempestoso, a pause, nutrito di stranezze che non
-capiva e di audacie che la rimescolavano, le faceva paura..... Era così
-ingenua e così giovine! Dopo, non si erano più riveduti, ma essa sapeva
-che non era morto, che viveva come prima, più di prima.
-
-A diciotto anni aveva sposato, senza entusiasmo, ma con affezione
-profonda, il giovane diplomatico che suo padre le presentava.
-Quell’amore gentile, rispettoso, cavalleresco, quasi tutto fiori e
-delicatezze, le era parso un refrigerio, e la sua anima ancora un po’
-malata e la sua gracile fibra di damina spirituale, vi avevano trovato
-una soavità infinita. Meno qualche vampata di quando in quando che le
-portava un palpito e un malessere d’un minuto, al tenente biondo non
-pensava più.
-
-...... L’oscurità aveva invaso il bel salotto profumato di cardenie,
-quand’ella, levandosi svogliatamente, si avvicinò alla finestra e
-rialzò le tendine. A Roma la neve non dura; non se ne vedeva più
-traccia: pioveva. Pioveva monotonamente, tranquillamente. Letizia
-rimase con la fronte che bruciava, appoggiata ai cristalli, lo
-sguardo smarrito. Ancora una lotta. Anderebbe o no al _Bal-en-rose_
-dell’ambasciata di Francia, quella sera? Da un lato l’aspirazione alla
-pace, all’oblio, il presentimento vago di un pericolo....; dall’altro
-il desiderio stesso di questo pericolo, il fascino d’un’emozione
-nuova, il piacere acre di riaprirsi una ferita nel cuore per sentirlo
-palpitare più forte.....
-
-— Il pranzo è servito, — annunziò la voce indifferente del domestico
-dalla soglia.
-
-La contessa si scosse. Erano soli, suo marito e lei, quella sera a
-mensa. Dio! una lunga, penosa dissimulazione..... Si ravviò alla meglio
-i capelli, al buio, per non chiamare la cameriera e s’avviò, lenta, per
-le stanze illuminate verso la sala da pranzo.
-
- *
- * *
-
-Si fecero servire il caffè accanto al fuoco nella sala da pranzo vasta
-e severa. Letizia, seduta un po’ di traverso sul seggiolone dall’alta
-spalliera, appoggiava sul paracenere i piedi, piccoli, calzati di
-raso color madreperla, come l’abito a cui la fiamma prestava strani
-bagliori; Alberto, vestito come sempre, correttamente di nero, nella
-sedia di fronte centellinava il caffè fumante, odoroso. Erano soli,
-silenziosi; un’atmosfera di noia e di tristezza gravava. Durante
-il pranzo, fra il via vai dei servi, avevano scambiato qualche
-osservazione, qualche frase insipida; ma ora non si pigliavano neanche
-più la briga di fingere e la loro tormentosa preoccupazione rispuntava
-evidente.
-
-— Riuscirà molto bene a quel che pare il _bal-en-rose_ dell’Ambasciata
-francese, — uscì a dire finalmente Alberto, posando il tazzino; — le
-sale sono addobbate con buon gusto ed hanno trasformato la grande
-terrazza in una grotta fantastica dove sarà bello riposare. Tu ci
-vieni? — seguì col tono più naturale del mondo, ma che alla contessa
-Letizia, per la disposizione d’animo in cui era, parve un abile quesito
-indagatore. La lotta che ancora era in lei, cessò bruscamente.
-
-— Sì, vengo, — rispose con alterigia senza alzare gli occhi.
-
-— Hai dato gli ordini in proposito? — chiese il marito senza scomporsi.
-
-— Sì... Ma perchè mi chiedi se vengo? Ti dispiace forse? — ribattè
-la signora sollevandosi un poco e ritirando i piedi dal paracenere, i
-piedini nervosi che s’agitavano continuamente, mentre negli occhi neri
-e grandi era una cattiva espressione di sfida.
-
-— Perchè dovrebbe dispiacermi, Letizia? Te lo chiedo, ricordandomi
-d’averti sentito parlare di emicrania poco fa, e notando in te infatti
-un aspetto un po’ sofferente.....
-
-Quella compostezza, quel tono di voce tranquilla le fecero dare
-una strappata ai cordoni del bell’abito dai riflessi di madreperla,
-irritata, impaziente. Sentiva dentro di sè un fermento di rivolta, un
-incalzante desiderio di ricatto, senza saper bene perchè.
-
-— Invece io sto benissimo... — la sua voce risuonò stonata nell’ampia
-sala; — ti prego di credere che sto benissimo e che non ho punto
-bisogno di riposo....
-
-— Quando è così, mia cara, — fece lui guardando l’orologio, — mi
-pare che faresti bene ad allestirti. Le signore ci mettono un po’ di
-tempo... — finì sorridendo.
-
-La contessa si levò, gli passò davanti senza guardarlo, e quella vaga
-figurina bianca scomparve, come una visione luminosa, sotto l’arco
-dell’alta porta, dalla camera vasta e severa.
-
-Alberto affisava il fuoco, immobile.
-
- *
- * *
-
-— ...... ebbene, contessa, si va all’assalto di cotesta grotta ideale?
-— le chiese con allegra baldanza il tenentino biondo, che non si era
-più scostato da lei dopo quella fine di valtzer ballata intensamente,
-in silenzio.
-
-— Avanti, _en marche_! — rispose Letizia scherzosa, balzando in piedi.
-
-Traversarono la gran sala da ballo, splendente, gaia d’abbigliamenti
-in tutte le gradazioni di rosa come un gran roseto vivente, ella al
-braccio di lui, animata, ridanciana, con uno scintillio negli occhi
-neri. Non era più la languida signora che qualche ora prima nascondeva
-la testa nei guanciali in atteggiamento sofferente; nel suo incedere,
-nei movimenti, nelle parole aveva un’insolita vivacità. Eppure, una
-delle mani sottili e bianche, nascosta ora dal lunghissimo guanto
-profumato, brancicava nervosamente fra le pieghe dell’abito e sgualciva
-alquanto l’ideale vaporosità della garza appena soffusa di color roseo,
-come un’aurora.
-
-Quel monello di tenente non smetteva intanto di susurrare tante
-paroline belle col capo chino su lei fino a sfiorarle i riccioli,
-paroline belle e spiritose, forse, giacchè ella ne rideva di cuore,
-crollando la testa vezzosa e distribuendo saluti e sorrisi alle amiche
-e ai conoscenti che incontrava e che la osservavano con una punta di
-malizia negli occhi.
-
-— Eccoci nel «regno delle favole» — canterellò sull’aria del
-_Mefistofele_ il tenente De’ Falchi, entrando con la sua compagna, dopo
-un giro abbastanza lungo attraverso l’infilata di sale, sulla terrazza
-dove non c’era quasi nessuno.
-
-Una ridente illusione. Una grotta scavata in qualche blocco enorme
-di cristallo rosa. La luce viva, diffusa, dietro le pareti, ne
-faceva spiccare il colore e la velata trasparenza. Rosai fioriti
-s’arrampicavano qua e là fra i sedili di pietra nera, e i fili
-d’argento delle fontane luccicavano misteriosi nei cespugli verdi,
-ricascando con un sommesso mormorio nelle vasche seminascoste dalle
-larghe e strane foglie di molli piante aquatiche. In terra uno spesso
-tappeto bianco, vellutato, che in vari punti i pètali delle rose
-sfogliate ricoprivano.
-
-Quella luce opacamente rosea, dopo tanto sfolgorio di arazzi e di
-festoni, riposava l’occhio e faceva pensare ad un paese misterioso di
-sogni e di pace. Eppure Letizia non si sentì più tanto padrona di sè
-come laggiù nelle sale rumorose, dove aveva risposto coi frizzi e col
-sarcasmo brillante alle galanterie del giovane ufficiale. Le parve
-che in quel silenzio tutta la sicurezza, di cui s’era compiaciuta in
-segreto, vacillasse, e ne fu seccata. Ma non volle farlo supporre e si
-soffermò ammirando.
-
-— Il regno delle favole...! E la regina? — diss’ella senza nessuna
-intenzione, ingenuamente, non dubitando di parer lei davvero
-l’incarnazione della bellezza, della gioventù, della poesia, così
-graziosa, bianca, delicata nell’abito vaporoso, stellato di brillanti.
-De’ Falchi non si lasciò sfuggire l’occasione per dirglielo e lo fece
-con parole così blande e così dolci che parevano carezze. La contessa
-con piccole mosse comiche d’esagerata modestia si velava il volto col
-ventaglio di trina. Poi, rannuvolandosi in un subito fra il gioco, ebbe
-un sospiro.
-
-Anche lui era bello, bello come un giovine Nume! Anche lui pareva un
-eroe degli antichi tempi con la divisa luccicante, la bionda testa
-irrequieta, gli occhi vivi, il personale slanciato. Come era bello
-così! più bello nel suo meriggio di giovinezza, che quando, ancora
-adolescente, quasi, le aveva parlato d’amore.
-
-La musica che si udiva lontanamente, come un’eco, aveva ripreso. Un
-crocchio di persone che conversavano laggiù si sciolse. La principessa
-Montegaudio, passando accanto ai due, ebbe un’occhiata severa, ma il
-vecchio generale ch’era con lei quasi sorrise. Letizia e De’ Falchi
-rimanevano soli.
-
-— Ce ne andiamo? — diss’ella con un tono indolente simulato: e lo
-trasse con delicatezza dietro gli altri. Ma il tenentino fece due
-passi, poi s’arrestò.
-
-— Guardate prima nel _carnet_, vi prego! — disse come se domandasse la
-proroga d’una sentenza crudele.
-
-Guardarono insieme, mentre nella fretta del cercare le loro mani si
-sfioravano. Non c’era nessun nome. Egli ebbe un profondo respiro di
-sollievo.
-
-— Non importa, non importa, — soggiunse Letizia, che pareva
-contrariata. — Andiamo in un altro luogo.
-
-— Dove trovare un luogo più bello per la vostra bellezza?.... per la
-mia ammirazione?..... Io passerei la vita, qui, con voi....
-
-— Prima di tutto le ho proibito assolutamente di darmi del _voi_! — e
-Letizia gli battè il ventaglio sulle dita, — damerino incorreggibile...
-
-— Pardon, Contessa! — disse subito De’ Falchi con una lievissima
-intonazione ironica. — Ogni tanto mi dimentico che sei anni sono
-passati.... Ho la memoria un po’ logora, vedete..... in certi casi. E
-trovandoci insieme ancora, in questo luogo di sogno io sogno d’avervi
-ancora accanto libera, amante, mia....
-
-Letizia, già presso alla soglia, si fermò ancora, tornò indietro.
-No, così non andava proprio. Darle del _voi_ e rievocare il passato!
-Erano le condizioni del loro trattato di pace, queste? Un ufficiale
-dell’esercito mancare di parola così! Vergogna, cento volte vergogna!
-
-Ma De’ Falchi s’impadronì della terribile manina e la imprigionò sotto
-il suo braccio senza staccarne la sua mano.
-
-— Contessa Letizia Farigliano di Roccamare, — cominciò con quel suo
-fare tra ardente e sentimentale e scherzoso, irresistibile per lei, —
-mi dica dunque che cosa debbo fare per ottenere perdono...... Vuole
-tutte queste rose in omaggio? Vuole che le dica dei versi, dei bei
-versi? Una volta le piacevano e mi sgridava perchè non li sapevo mai...
-Ora ne so.
-
-La signora ebbe ancora un moto di ribellione, di sdegno, ma non resistè
-al suo compagno che l’allontanava dalla porta d’uscita, stringendole
-più forte la mano.
-
-— Senta, — continuò de’ Falchi, — sono versi che sembrano scritti
-apposta per lei e sembrano scritti da me, per dirli adesso. — Poi seguì
-a voce un po’ bassa, con appassionata dolcezza:
-
- Sul viso il tuo respiro caldo m’aleggierà
- Come un profumo; e come una soave musica
- La tua voce divina mi darà pace all’anima
- Accanto a te seduto, ne’ tuoi capelli biondi
- Immergerò la mano, e dei dolci misteri
- Del core io parlerò coi tuoi grand’occhi neri....
-
-Lei lo lasciò dire, giocherellando col ventaglio e facendo un po’ la
-distratta e un po’ la disinvolta; in realtà sommergendosi nella melodia
-di quei versi, di quella voce, che le avevano messo nel cuore un
-palpito violento, stranamente delizioso.
-
-— Di chi sono? — chiese poi, tanto per non star zitta, già smarrita.
-
-— Sono d’un giovane poeta e appartengono a un poemetto, intitolato
-«La leggenda del cuore». Vede, anche là nella leggenda sono soli
-l’innamorato e la Diva, è in una specie di paradiso terrestre come
-questo... Solamente quella diva era più buona di questa.... si lasciava
-anche dare del _tu_.
-
-La signora levò il capo e non rispose. Era seria, soffriva. Qualche
-cosa di estremamente violento, come un incantesimo, la teneva ora là,
-muta, ascoltando, mentre il seno seminascosto dai veli si sollevava
-frequentemente nel respiro breve, e la collana di brillanti nel tenue
-e ritmico movimento aveva un abbagliante saettio di raggi e di colori.
-Passando accanto a un rosaio ne strappò un fiore e fece per gettarlo
-nel bacino d’acqua accanto, ma De’ Falchi le impedì l’atto.
-
-— Vede se è cattiva? — disse con una brusca tenerezza. — Che male le ha
-fatto, per esempio, quella povera rosa? Lei fa così di tutto, di fiori,
-di uomini...
-
-— Io no; è il destino che sfoglia tutto intorno a me... — mormorò lei
-quasi piangente. E sedette sul sedile di pietra nera, l’ultimo sedile,
-appartato, nel fondo del poetico ambiente. Era come in una nicchia di
-rose: a’ suoi piedi la fontana; tutto intorno molto verde messo là per
-ragione di prospettiva, li isolava. Potevano credersi in un pianeta
-ideale.
-
-De’ Falchi le sedette accanto e le cinse la vita con un braccio.
-
-— Il destino siamo noi, — le disse dolce, insinuante; — e noi ci
-ameremo tanto, tanto; ci ameremo per tutte le ore perdute, per tutte
-le ore che mi hai rubato, che mi hai tradito. Sono io il tuo sposo, e
-tu sei mia. Nessuno dei due ha dimenticato, vedi? Nè tu nella pace, nè
-io nella tempesta dove cercavo di sommergere l’immagine tua. Sei stata
-la rovina della mia vita, tu, Letizia; non m’hai amato abbastanza...
-ma ora, quand’anche questo amore dovesse passare come un turbine sulle
-nostre esistenze, noi non ci separeremo più....
-
-Letizia udì confusamente le ultime parole. Quell’accento di passione,
-quello sguardo che la bruciava, quel soffio che usciva dalle labbra
-del giovine a carezzarle la fronte, quel luogo fantasiosamente bello,
-tutto, tutto finiva di paralizzarla, di perderla...
-
-Svincolò dolcemente le mani e si velò il volto impallidito: «Oh
-amore dei miei giovani anni... Oh mio ideale!» gemette l’anima sua,
-ed appoggiò esausta la testa fra le rose. Ma la voce insinuante la
-perseguitava, le rispondeva all’orecchio: «Oh, i fini capelli odorosi,
-la delizia e il delirio della mia giovinezza.... il mio tesoro rubato
-io lo riprenderò!» — E fra le rose, fra il profumo, ella sentì il
-suo bacio fra i capelli.... ma a quel contatto scattò, si riprese
-improvvisamente, mentre una nevata di petali rosati cadeva dai rami
-bruscamente scossi sul sedile di pietra nera.
-
-— Oh no, Carlo è troppo tardi, — disse dolorosamente. E con
-un’improvvisa energìa si diresse sola, frettolosa, verso la porta. La
-musica cessava allora.
-
- *
- * *
-
-Rientrata in casa non si coricò. Si richiuse nelle sue stanze
-congedando la cameriera. Ritta, nella luce chiara e diffusa del
-piccolo spogliatoio parato a colori ridenti, dinanzi allo specchio
-alto e stretto che la rifletteva bianca e bella, così senza gioielli
-e senza guanti, ella si scioglieva il vestito lentamente, lasciando
-errare gli occhi pensosi fra gli accessorî del suo abbigliamento
-gettati qua e là alla rinfusa. E gli occhi neri, profondamente cupi,
-si posavano, senza sguardo, dal ventaglio prezioso di merletto al
-fazzolettino di Malines, dal carnet d’argento ossidato ai lunghi guanti
-che serbavano ancora l’impronta delle sue braccia scultorie, della
-sua tenue mano; dalla sciarpa di blonda profumata di violetta che le
-avvolgeva il collo, uscendo, all’iridescente splendore dei brillanti
-che si ammucchiavano nel cofanetto aperto. Mentre le scivolava ai
-piedi l’abito in una densità gentile di colori, come un nebuloso
-piedestallo, Letizia ne trattenne bruscamente un lembo accendendosi
-in viso. Nascosto e protetto da una piega, aveva trovato un petalo
-di rosa, fragile avanzo che tenne lungamente fra le dita convulse,
-immersa nel ricordo di quel momento di sgomento e di amore. Poi infilò
-una veste da camera, passò nel suo salottino, s’accertò se gli usci
-erano ben chiusi e sedette alla scrivania. Scrisse due pagine, senza
-interrompersi, alla luce oscillante di un candelabro; ma incontrando
-cogli occhi un ritratto, si gettò indietro nella seggiolina, col
-respiro mozzo, le tempie umide di sudore gelato. Cacciò il ritratto
-in un cassetto e si rimise a scrivere, poi rallentò, posò la penna, e
-mise il volto nelle mani. Perchè le venivano quelle idee adesso? Suo
-marito dormiva inconscio....... forse non aveva neanche osservato Carlo
-De’ Falchi fra la folla; certo non lo conosceva, ed ignorava l’idillio
-fuggitivo della sua primavera..... Riprese la penna; lo stianto d’un
-mobile la fece balzare in piedi nascondendo il foglio vivacemente.....
-poi si rassicurò dandosi della grulla. Gli usci erano chiusi, la
-casa addormentata in un fitto silenzio. Chi poteva immaginare ch’essa
-vegliava scrivendo delle lettere d’amore?
-
-.... E _lui_? Che faceva _lui_ a quell’ora? Sognava la sua diva dai
-fini capelli odorosi?.... Ah, se avessero detto alla poveretta dove e
-come _lui_ finiva la notte.....
-
-«Ancora pochi giorni, scriveva, poi saremo liberi di vederci quando
-ne abbiamo voglia, senza timori, senza sorveglianze.... Il mondo? Che
-importa a noi del mondo? Ci amiamo, il mondo siamo noi! Era destinato
-così....» E ripensando a quelle parole ardenti, s’interrompeva fremendo
-ancora d’emozione. Nessuno le aveva parlato mai così appassionatamente,
-con quella veemenza pazza ed inebriante; nessuno! Alberto? Oh, Alberto
-così freddo, così severo, così compassato, preoccupato solamente delle
-convenienze, semplicemente deferente e cortese con lei, senza scatti,
-senza entusiasmi per la sua bellezza, Alberto che la riguardava come
-un oggettino d’arte raro e fragile di sua proprietà — bisognava pur
-dirlo — non sapeva amare! O forse non l’amava, non l’aveva mai amata!
-«Forse anche m’inganna, forse ha un’amante», concluse Letizia; e
-nell’eccitamento di nervi in cui si trovava, si ripetè che allora
-essa poteva ben riamare chi l’adorava; che era nel suo diritto!.... Ma
-queste teorie che volevano pur convincerla ondeggiavano confusamente
-nella sua povera mente smarrita e non acquetavano le piccole serpi che
-la mordevano al cuore....
-
- *
- * *
-
-— Letizia, — disse suo marito entrando il pomeriggio seguente nel
-salottino profumato, — ti porto una vecchia conoscenza. Il marchese
-Carlo De’ Falchi che mi dice di averti conosciuta da signorina e che
-ieri sera mi si rivelò come il fratello di un mio carissimo amico di
-collegio, morto. Ecco due titoli che gli danno diritto alla nostra
-amicizia.
-
-De’ Falchi, che seguiva Alberto, si inchinò ossequiosamente alla
-contessa; ed ella, sollevandosi un poco, tutta bianca nel viso, gli
-tese la mano senza parlare. Aveva un abito di raso nero molto semplice,
-un gioiello antico al collo, una rosa alla cintura; abbigliamento
-severo che le dava una grazia tranquilla e dignitosa. Egli però la
-preferiva come la sera prima, con le spalle e le braccia nude, rosate,
-fra la sfumata trasparenza dei veli; ma si guardò bene dal lasciarlo
-apparire in quello sguardo balenante che le gettò attraverso il viso
-come un bacio rovente.
-
-La giovane contessa era sul punto di tradirsi: nascose le mani
-tremanti; ma il sangue le pulsava violentemente al cuore, le ronzava
-negli orecchi. Cinque minuti prima avrebbe dato dieci anni di vita
-per rivederlo, ma non così, non in presenza di suo marito, non terzo
-nella loro intimità. Perchè non aveva aspettato, benedetto ragazzo?
-Ma era possibile che avesse tanto impero su se stesso da non svelare
-mai, nè con uno sguardo, nè con una parola imprudente, il loro segreto?
-Non doveva sentirsi ribollire il sangue alla vista di quell’uomo
-che la possedeva? Non doveva avvampare di sdegno, di gelosia, di
-amore, udendolo parlarle famigliarmente — entrando nella casa in cui
-vivevano in comune — dove _doveva_ sentire l’eco dei loro baci?....
-E come queste passioni tumultuanti non lo avrebbero perduto? E allora
-cosa accadrebbe tra quei due uomini?... Questo l’ingenua contessa si
-chiese angosciosamente. Ma De’ Falchi fino dalle prime frasi mostrò
-una disinvoltura, una calma, una naturalezza invidiabili. Fu cordiale
-ed espansivo verso Alberto; gentile e rispettoso con lei, e non un
-momento lasciò languire il dialogo. Fece con arguzia la rassegna della
-festa; parlò d’un romanzo francese che faceva il giro dei salotti,
-dell’equipaggio nuovo del duca d’Arce, di un ritratto all’antica
-fatto dal celebre ed estroso Fides alla principessa Montegaudio, di un
-matrimonio dell’aristocrazia, di una acconciatura della Regina.
-
-Letizia lo guardava fissamente ascoltando, e taceva. Quella
-disinvoltura dileguava le sue paurose fantasticherie, sì, ma vi
-lasciava un fondo di tristezza e di dolore. Taceva.
-
-De’ Falchi chiese a un punto se la signora contessa fosse sofferente.
-
-— Sì, — diss’ella bruscamente, — soffro... — Ma la voce le morì
-nell’incontrare gli occhi di suo marito che le parve volessero
-scrutarle nell’anima.
-
-— Soffri? È naturale, — osservò Alberto con perfetta calma. — Anche
-ieri non ti sentivi punto bene. Dovevi prevedere le conseguenze di un
-ballo nelle tue condizioni di debolezza e di squilibrio nervoso.
-
-La contessa si arrovesciò lentamente nella poltrona abbassando gli
-occhi a passarsi in rivista le unghie opaline. Uno sgomento strano le
-aveva stretto il cuore a quelle parole, di cui credette afferrare un
-secondo significato noto a lei sola. Si sentiva morire.
-
-— Sarebbe un quadro antico questo? — chiese improvvisamente l’ufficiale
-levandosi a osservare un ritratto fiammingo appeso alla parete.
-
-— Si, un _Van Dick_, — rispose il conte alzando alquanto le tendine
-della finestra. La luce chiara battè loro sul viso e li circonfuse.
-Alberto, alto, bello, nobile, con le mosse e l’aspetto principeschi;
-De’ Falchi molto meno attraente della sera innanzi, al chiarore del
-giorno che gli metteva in evidenza le rughe precoci sul volto scialbo
-ed avvizzito; le occhiaie livide che gli cerchiavano gli occhi gonfi,
-senza splendore. La giovine signora lesse in pochi minuti su quel
-viso tutta la storia d’una bassa vita corrotta, poichè un senso di
-fredda ragionevolezza le era filtrato nel cuore. Perchè? da quando?
-Lo ignorava; ma in quei pochi minuti sentì che si risvegliava dal
-suo splendido sogno, senza scosse, senza spavento; ma si risvegliava,
-irreparabilmente.
-
-— Eccellente, eccellente, e conservato, poi!
-
-Nell’ammirare, de’ Falchi colse un momento favorevole per sussurrare
-a Letizia: Scrivetemi! Poi si congedò, inchinandosi e salutandola
-militarmente con gli occhi ridenti che lo tradivano. La contessa ebbe
-appena la forza di fare un cenno col capo, e quando furono usciti,
-suo marito e lui, s’abbandonò ad un pianto convulso tutto scosse
-e sussulti, un pianto lungamente represso che prorompeva disperato
-e violento. Era l’addio ad una larva del passato, era rimorso del
-sogno, era vergogna di quella realtà prosaica piena d’ipocrisia e di
-viltà. Oh! il suo vaneggiare di quei due giorni! il vaneggiare dolce
-e doloroso! la lotta per difendere l’invasione del proprio cuore! il
-turbamento sfumato in languore soave nel sentirlo cedere a poco a poco
-a quell’onda di passione rinascente che le offuscava la ragione....
-quella pagina d’amore fra le rose, la lunga lettera folle, scritta e
-non inviata, i rimorsi soffocati dal ricordo di quella stretta e di
-quel bacio, la fisima di un amore purificatore, sublime, che dovrebbe
-redimere l’amato e fargli ricominciare la vita per lei.... che rimaneva
-di questo?...
-
-Il prisma scintillante e variopinto era ridivenuto un vetro volgare.
-Ella sarebbe divenuta l’amante di quell’ufficiale di cavalleria
-che conquistava con un astuto opportunismo il cuore di suo marito
-per poterla corteggiare a suo comodo: sarebbe vissuta dividendosi
-prosaicamente fra quei due uomini, menando una triste vita di finzioni,
-di lotte, di rodimenti, di bassezze; tormentata dalla memoria de’ suoi
-anni di vita illibata e serena per guadagnarsi infine lo sprezzo e
-l’abbandono dell’uomo al quale faceva il sacrifizio della sua dignità.
-Tale fu la tetra visione che la sua anima onesta e candida intravide
-in un lampo di cruda luce e dalla quale rifuggì inorridita e salva. Era
-guarita, lasciando brani di sè al ferro e al fuoco; ma che importa? Era
-guarita.
-
- *
- * *
-
-Dovette mettersi in letto, affranta. La sua delicata fibra di donna fu
-la sola parte di lei sconfitta nella terribile prova. Ebbe una lunga
-e acuta crisi di nervi, poi nel meriggio seguente migliorò e volle
-alzarsi. Ma era ancora così debole che fu obbligata a lasciarsi andar
-subito sulla _chaise-longue_ per appoggiare la testa indolenzita. Di
-là guardava intorno tranquillamente coi grand’occhi cerchiati di nero,
-occhi innocenti e mesti di bimba malata, come se rivedesse dopo un
-lungo e pericoloso viaggio quelle pareti del suo santuario d’affetti
-e di ricordi. Frattanto una gran pace, una dolce pace succedeva alla
-dilaniante agitazione di poche ore prima; una pace feconda di buoni
-propositi che si lasciavano dietro un profumo di fiori che sbocciano
-sotto un sole caldo e luminoso. E carezzava tutto intorno con lo
-sguardo quel nido tepido di raso e trine; accarezzava la poltroncina
-dove Alberto era solito sedersi, dove lo aveva veduto anche in
-quelle dodici ore di strazio, con la faccia pallida, senza respiro,
-senza movimento se non per accostarsele a farle odorar l’etere, o
-rinnovarle il ghiaccio, o darle qualche sorso di cognac, carezzando
-con la bella mano aristocratica quelle di lei brancicanti fra le
-coltri.... Vedeva il cofano scolpito, custode dei suoi gentili ricordi
-di infanzia e di adolescenza, dello spensierato tempo lontano che
-raggiava mitemente in una luce rosata e nebulosa, a cui ella volgeva
-l’occhio sempre intenerito. Aveva conservato un ricordo di tutto: dei
-giorni di palpiti, di speranze, d’angoscie, di lutto, di solitudine,
-di esultanza; poi le giornate gioiose piene di canti e di fiori della
-fidanzata, lieto poema terminato da un giorno di smarrimento che era
-passato lasciando nello stipo un fascio di fiori d’arancio e un lungo
-velo bianco. Poi venivano i mobili e le pareti ingombre di gingilli
-ognuno dei quali le rammentava un’attenzione delicata del suo compagno,
-una frase affettuosa, un bacio, un anniversario dolce, tutta la storia
-del presente ricco d’amore, d’amore vero, refrigerante e sicuro, ch’era
-idolatria e protezione ad un tempo. E là, dirimpetto, i grandi ritratti
-de’ suoi morti che la guardavano fiso, cogli occhi animati da una così
-strana luce di tenerezza e di malinconia che le fece mormorare cento
-volte: Perdono, perdono, perdono....
-
-Infine si levò, risoluta, calma, seria, come se stesse per compiere un
-dovere od obbedisse ad una ispirazione superiore; e scrisse poche righe
-su un cartoncino liscio, con la sua elegante calligrafia di signora:
-
-«Credete a me, Carlo, è meglio che non ci rivediamo mai più. Ho dei
-gusti borghesi, compatitemi! preferisco rimanere semplicemente una
-donna onesta che diventare la Diva di qualche leggenda. Addio. —
-Letizia.
-
-Chiuse il cartoncino in una busta con l’indirizzo e la fece impostare
-subito dalla cameriera. Poi tornò a fissar gli occhi de’ suoi morti.
-
-Quando si riscosse, il sole sul tramonto lambiva le trine del soave
-nido serico e una nota voce risuonava nell’anticamera. La contessa si
-avvicinò allo specchio e si ricompose i capelli.
-
-Suo marito entrò soffermandosi sulla soglia.
-
-— Già levata? brava! ti senti dunque meglio? — e mosse verso di lei
-premuroso, un po’ triste.
-
-— Guarita, Alberto, guarita! — Letizia ebbe un impercettibile sorriso
-sibillino. Poi gli mise lentamente le braccia al collo e gli nascose la
-testa sul petto, contro il cuore.
-
-— Dì, Alberto, — susurrò, — mi perdoni le mie bizze, la mia musoneria?
-hai veduto? non stavo bene, erano i nervi...
-
-— Già i nervi, quei benedetti nervi... — Alberto le carezzava adagio i
-capelli, ninnandola come una bimba.
-
-Erano nella spera di sole che traversava obliquamente la stanza e
-s’insinuava nel letto, fra le cortine: Letizia rialzando la leggiadra
-testa la ebbe tutta intrisa d’un oro ardente.
-
-— Dimmi, Alberto, quando parti? — gli chiese con risolutezza.
-
-Egli esitò un istante.
-
-— Ma... dissi lunedì, e lunedì è dopodomani. Avresti qualche cosa in
-contrario? Mi dispiacerebbe perchè non posso differire...
-
-— .... io no, anzi... — rispose lei tutta rossa e palpitante; — gli è
-che.... volevo saperlo.... te l’ho domandato, — aggiunse rapidamente —
-perchè vorrei venir con te! Oh, Alberto, portami via con te!
-
-Gli ricadde sul cuore tutta commossa. Alberto rimase un minuto in
-silenzio, immobile; poi il signore serio, rigido, sempre dignitoso
-e corretto la strinse fra le braccia con uno slancio di giovane
-innamorato ripetendo a voce bassissima:
-
-— Sii benedetta; grazie, grazie....
-
-Ma, di colpo, le prese tutte due le mani, obbligandola a rimanere là
-dritta dinanzi a lui come dinanzi a un giudice. I suoi lineamenti
-avevano assunto adesso un’espressione autorevole, severa, quasi di
-durezza.
-
-— Hai scelto dunque? — le disse lentamente, fissandola negli occhi. —
-Non te ne pentirai?
-
-— Ah, Alberto! — Era un grido di dolore, ma Letizia sostenne quello
-sguardo risoluta, orgogliosa.
-
-— No? — continuò lui scosso più che non lo volesse parere; — no,
-proprio? Ebbene, sono contento, Letizia, perchè è quello che mi
-aspettava da te. Poichè, vedi, — seguitò freddamente, — avendo la
-coscienza di valere di più, ho voluto che tu ci vedessi accanto, per
-paragonare, per sce...
-
-— Oh no, per pietà, Alberto, non la ridire l’orrenda parola! — gridò
-lei svincolando le mani per posargliele sulla bocca. — Mi crederai
-se ti dico che fu un sogno? solamente un sogno della mente malata? un
-breve sogno di cui ho rimorso, ma di cui non debbo arrossire? Che sono
-ancora degna di te, della tua stima, del tuo amore, del tuo nome.... Mi
-credi?
-
-Alberto la guardò negli occhi neri che raggiavano.
-
-— Ti credo, — disse semplicemente.
-
-
-
-
-La gloria dell’ago.
-
- Quasi vil donna che ’l cor d’ozio ha vago
- E sol adopri la conocchia e l’ago.
- TASSO, _Rinaldo_.
-
-
-Uscite dall’ombra, o aghi umili, buoni. Uscite senza ritrosia; è il
-quarto d’ora della riabilitazione, il quarto d’ora del trionfo.
-
-Ecco, giungono. I primi adescati sono i meno modesti: gli aghi
-aristocratici che luccicano come minuzzoli di raggi siderali sulla
-felpa degli astucci, sul raso delle cestelline adorne, in cui
-trascinano le giornate, oziando, col loro strascico di fili di seta
-multicolore, sospinti di quando in quando da un ditale d’avorio o
-d’argento, fra la severità d’un artistico ricamo che palpita alla
-brezza marina, o ride ai riflessi del sole che s’infiltra tra il verde
-d’un ramo, o s’immalinconisce nella penombra d’un salotto, stiracchiato
-da una mano fine, nervosa, durante una visita importuna. Poi arriva
-la gran moltitudine degli aghi borghesi: aghi solidi, utili, infilati
-semplicemente di bianco o di nero, gli aghi più attivi, affacendati
-sempre, sempre pronti ad ogni sorta di lavoro, un esercito di carità
-che veglia e provvede dalle vedette d’avorio, di legno, di metallo, in
-cui li relegano, a gruppi, mani frettolose e sapienti. Questi sono gli
-aghi d’esperienza, poichè della vita conoscono le lotte, i trionfi, le
-gioie, gli sconforti, i palpiti, i sogni, le miserie, le follie. Quante
-cose hanno da raccontarsi, quando si trovano in crocchio a vegliare
-negli agorai! Uno è passato fra le trine d’una bianca veste di sposa,
-un altro fra il crespo d’un abito di lutto, un terzo in una cuffietta
-di neonato, un quarto è andato a rischio di spezzarsi tra la paglia
-del cappellino d’una signorina capricciosa, un quinto ha svegliato con
-una puntura la giovine cucitrice, stanca e illanguidita, un sesto ha
-fatto la spola cento volte fra un tovagliolo logoro d’una vecchietta
-avara; il suo vicino invece è ancora indolenzito a furia di rattoppar
-calzine d’ogni dimensione. Un altro ancora s’è bagnato delle lacrime
-d’una sposina negletta, un altro non ha fatto che..... disfar punti
-sbagliati fra dita abbandonate a loro stesse dalla mente assorta in
-una fantasticheria, o intenta a sugger parole dolci da una voce virile,
-armoniosa....... Oh, aghi, anche galeotti, dunque, qualche volta siete
-voi?!...
-
-Vengono, robusti, giganti, gli aghi rustici che rappezzano i sacchi e
-le camicie dell’alpigiana e scendono con lei in città, quando diventa
-balia in qualche bel palazzo, a ricordarle quell’ultima sera dei suoi
-monti, allorchè agucchiava cogli occhi velati e il cuore gonfio accanto
-alla culla del suo figliuolino; o quell’altro giorno ancor più lontano,
-quando un ago simile si spezzò al bacio improvviso d’un giovane
-coscritto a lungo aspettato. Sono aghi ingenui, inoffensivi, che hanno
-in sè una poesia fresca e sana e tutta la purezza dell’infanzia che li
-predilige, tutta l’ignoranza beatamente grottesca delle bambole e dei
-burattini.
-
-Ecco gli aghi scolastici in una minuziosa scala di proporzioni; aghi
-silenziosi, discreti, affaticati, qualche volta crudeli, disamorati
-sempre, poichè, meno qualche onorevole eccezione, si nascondono,
-sfuggono, si spezzano anche volentieri, pur di sfuggire alla tirannia
-di quelle ore fisse di ginnastica educatica. Ecco, accanto, gli aghi
-del chiostro, muti, eterni, suffusi di luccicori lustrali, e la scarsa
-falange degli aghi maschili dai movimenti bruschi, ineleganti, gli
-aghi dei tappezzieri e dei soldati, e gli aghi degli ospedali, aghi
-malinconici, addolorati, benefici, riparatori, «_Prima di trista e
-poi di buona mancia_,» come la lancia del divo Achille, poichè oltre
-ciò, voi, aghi, sapete anche punire una mano temeraria e puntare
-all’occhiello un fiore desiderato.... Oh, aghi, aghi, chi vi canterà
-degnamente? Come rendere tutto il germogliare di sensazioni, il
-disegnarsi di miraggi che si levano, al pensiero di voi, nel mio cuore?
-Aghi buoni, umili, filosofici, saggi compagni e testimoni eloquenti
-della vita muliebre, consiglieri di pace, confidenti di tanti nostri
-sogni ingenui, folli, mesti, a cui parete rispondere con una parola di
-ritmo pacato, pieno di senno, balenando assidui tra la piega dell’orlo,
-o coi ridenti rabeschi che si tramano sul canovaccio come rispecchiando
-in un lago tranquillo le chimère splendide e vane dei poveri cervelli
-femminili. Aghi, aghi, che sapete tante cose che gli altri non sanno,
-tanti palpiti repressi, tante angoscie velate sotto una calma fittizia,
-tante fissazioni opprimenti del pensiero assorto da un punto luminoso
-di faro, tanti dubbi tremendi, tante supposizioni false che dànno
-la voluttà del martirio, tante ore d’attesa, oh quante! le lunghe,
-pazienti, logoranti attese femminili a cui è compagno il lavoro, ore
-d’un supplizio minuto, crudele, continuato, che l’uomo non sa.
-
-Oh, aghi snelli, rilucenti, dai miti riflessi di luna, antichi maestri
-di pazienza, quanto meglio sarebbe ascoltar voi qualche volta, quando
-pacificamente incrociati sul lavoro che attende, pare ci consigliate di
-non legger quei versi, di non scrivere quella lettera, di non uscire
-a quella passeggiata; quando con la soddisfazione intima e schietta
-che viene da voi, ci adescate alle dolcezze dei semplici, dei felici
-che non conoscono il faticoso errare nei campi stellati e dolorosi
-dell’arte, del pensiero! Meglio, si, meglio l’umile agucchiare che
-il soave e velenoso intenerirsi ai casi di Lancillotto; meglio l’ago,
-che la penna. E noi torneremo all’antico; agucchieremo. Là è un regno
-tutto nostro di pace feconda, come la terra beata dell’ultimo sogno di
-Faust; là, finora, nessuno ci giudica, nessuno ci motteggia, nessuno
-ci sferza. L’ago pesa meno della penna alle nostre mani delicate e....
-conclude di più.
-
-_Ave_, dunque, ago, fortezza, difesa, e gloria nostra!
-
-
- FINE.
-
-
-
-
-INDICE
-
-
- Forte come l’Amore Pag. 1
- Romanze senza parole » 75
- Natale Romantico » 78
- Natale Classico » 86
- Il poema dei bambini » 97
- Treccia bionda » 101
- Romanze senza parole » 112
- Pasqua triste » 116
- La scarpina di Cenerentola » 122
- Romanze senza parole » 182
- Crisantèmi » 140
- Dietro le scene » 150
- Mammole » 157
- Romanze senza parole » 165
- Ultimi bagliori » 170
- La gloria dell’ago » 197
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
-*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LIBRO DEI MIRAGGI ***
-
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-electronic works. See paragraph 1.E below.
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- Il libro dei miraggi, di Jolanda
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-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<p style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of <span lang='it' xml:lang='it'>Il libro dei miraggi</span>, by Maria Majocchi Plattis</p>
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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-</div>
-</div>
-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: <span lang='it' xml:lang='it'>Il libro dei miraggi</span></p>
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Maria Majocchi Plattis</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Release Date: March 4, 2022 [eBook #67559]</p>
-<p style='display:block; text-indent:0; margin:1em 0'>Language: Italian</p>
- <p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em; text-align:left'>Produced by: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)</p>
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>IL LIBRO DEI MIRAGGI</span> ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-IL LIBRO DEI MIRAGGI
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="pad2 x-large">
-JOLANDA
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-Il Libro<br />
-DEI MIRAGGI
-</p>
-
-<p class="pad6">
-<span class="large">ROCCA S. CASCIANO</span><br />
-<span class="small"><b>LICINIO CAPPELLI EDITORE</b></span><br />
-—<br />
-1894
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-Proprietà letteraria
-</p>
-
-<p>
-Rocca S. Casciano Stab. Tip. Cappelli.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<div class="poem-container">
-<div class="poem inl"><div class="stanza">
-<p class="i01 large"><i>Al principe Aprile</i></p>
-<p class="i05 large"> <i>la Dama d’Autunno</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<p class="center small">
-<i>Dal Regno delle favole, 1894.</i>
-</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_1">[1]</span>
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-001"></a>
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-</div>
-
-<h2 id="forte">Forte come l’Amore</h2>
-</div>
-
-<p>
-Clotilde entrò un poco sbadatamente, cantando,
-nel salotto terreno della villetta dove
-accanto alla nonna che raccomodava il bucato,
-suo fratello declamava con molto fervore, leggendo.
-C’era anche il loro vicino, l’avvocato
-Dardanelli.
-</p>
-
-<p>
-— Ssss! — le fece questi con un’energia
-così brusca che la inchiodò sulla soglia, muta,
-sorpresa. Ma Roberto aveva già lasciato ricascare
-sulle ginocchia le mani, che reggevano il
-manoscritto, in atto di scoraggiamento.
-</p>
-
-<p>
-— Quella sgarbataggine... — cominciò a rimproverare
-seccamente la nonna, levando la testa
-piccina e ossuta dall’enorme lenzuolo che
-la seppelliva ammonticchiandosi su una sedia
-di contro. E dopo un momento di silenzio generale
-<span class="pagenum" id="Page_2">[2]</span>
-disse a Roberto, guardandolo attraverso
-gli occhiali amorosamente: — Continua.
-</p>
-
-<p>
-— No, è inutile, — mormorò il giovane con
-languore annoiato; — già a me quella spensieratezza
-ignorante mi fa sempre l’effetto di una
-secchia d’acqua sul capo. — E corrugò le sopracciglia,
-passandosi una mano fra i capelli biondi
-e fluenti, come se la secchia lo avesse inaffiato
-davvero. — Io son fatto così, che vuole? — riprese
-sorridendo a fior di labbra all’avvocato
-e alla nonna che lo guardavano costernati; — un
-nonnulla, in certi momenti di emozione
-artistica intensa, basta a smontarmi, a prostrarmi
-per chi sa quanto... — E dopo un guizzo nervoso
-piegò il manoscritto dispettosamente e si levò.
-</p>
-
-<p>
-— Questi poeti moderni sono pile di Volta, — osservò
-blandendo l’avvocato, mentre la nonna
-continuava a fissar Roberto con un po’ d’inquietudine.
-</p>
-
-<p>
-— Se avessi immaginato, — entrò a dire la
-ragazza punto intimidita, — non sarei certo comparsa
-e, se volete, me ne vado...
-</p>
-
-<p>
-Roberto fece una mossaccia ed uscì.
-</p>
-
-<p>
-— Ci siamo! — sbuffò la vecchina. — Tu, cara
-Clotilde, fai e dici sempre delle sciocchezze.
-Mi pare che oramai dovresti conoscere tuo fratello.
-Già, non c’è rimedio, ci vogliono dei riguardi...
-Quella gente là non è come noi, è
-fatta ad un altro modo, vive in tutt’altro mondo.
-Con tutte quelle idee nel cervello, sfido io! E
-pur troppo in ogni tempo e in ogni luogo ci
-<span class="pagenum" id="Page_3">[3]</span>
-fu e c’è qualcuno che li disconosce, che li deride...
-Pare impossibile! Roberto, che, per buona
-sorte, è cresciuto in un ambiente dove tutti lo
-apprezzano e lo ammirano, deve aver per sorella
-quella monellaccia là che non capisce niente....
-</p>
-
-<p>
-Clotilde non sorrise e continuò a tagliarsi le
-unghie con le forbici della nonna, ritta in faccia
-a lei, contro lo stipite della porta che s’apriva
-sul giardino, più seccata dalla presenza e dagli
-sguardi dell’avvocato, che dalla ramanzina
-della signora Rita. Gli occhi di Dardanelli, tondi,
-piccoli, bruni, maliziosi nel faccione paffuto,
-quegli occhi impuri che parevano denudarle
-corpo e anima, la urtavano terribilmente. Quindi
-con bel garbo gli voltò le spalle, borbottando
-più per disimpegno che per altro: — Roberto
-<i>posa</i>, nonna mia...
-</p>
-
-<p>
-— Sentite chi parla di <i>pose</i>! — esclamò la
-nonna con un atto di desolata meraviglia. — Chi
-parla di <i>pose</i>! L’ha intesa, avvocato? Lei che fa
-la donna emancipata a quel modo! Lei che ha
-suscitato un mezzo scandalo con la fissazione
-di quegli studii... Zitta, zitta per carità!
-</p>
-
-<p>
-Clotilde sorrise, questa volta, continuando a
-rimaner voltata in là a capo chino. Intanto l’avvocato
-mangiava cogli occhi quelle spalle svelte,
-quella vita sottile, tutto quel bel corpo giovanile
-e fiorente costretto nell’abito nero da cui usciva
-libero e nudo il collo fresco, velato di capelli
-biondicci sfuggenti al voluminoso nodo fissato
-con uno spillo d’argento sulla sommità del capo.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_4">[4]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Va là col tuo tanfo d’acido fenico — brontolò
-la nonna con disgusto. — Non mi ci avvezzerò
-mai.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde scese il gradino di pietra e fece
-qualche passo nel giardino verde, fiorito, odoroso.
-Era un tramonto di primavera, roseo,
-diffuso, come un’aurora. Ma la nonna la richiamò
-quasi subito, ed ella dovè voltarsi, tornare indietro.
-L’avvocato la guardava avvicinarsi lenta,
-a capo chino, occupata sempre delle sue unghie,
-spiccando nettamente nella limpidità dell’aria;
-un ultimo raggio d’oro rosso le ravvivava il
-biondo scuro dei capelli. Si fermò a piè dello
-scalino senza sollevare il viso nè gli occhi;
-era assai pallida, sbattuta, e le lentiggini della
-sua pelle fina apparivano tutte su su fino nella
-fronte, che i capelli rialzati alla giapponese lasciavano
-scoperta.
-</p>
-
-<p>
-— Signora medichessa, faccia il piacere di
-terminare quest’orlo intanto — disse più ironica
-che scherzosa la nonna cedendole il suo posto
-accanto alla finestra, e uscì.
-</p>
-
-<p>
-La ragazza sedette un tantino soprapensieri
-e si tirò metà del lenzuolo sulle ginocchia. Poi
-si avvide di esser troppo vicina all’avvocato e
-con un moto quasi di ripugnanza ritrasse la
-scranna fin sull’estremo dello scalino di pietra.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè s’allontana? — le chiese Dardanelli
-con la sua voce fessa e nasale che aveva una
-intonazione di dolcezza.
-</p>
-
-<p>
-— Cerco la luce, non lo sa che sono miope? — e
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-il volto di Clotilde si colorì leggermente,
-fuggevolmente.
-</p>
-
-<p>
-— Non sarebbe una qualità per una medichessa, — seguitò
-l’avvocato, accostando ancora
-la sua sedia a quella di lei.
-</p>
-
-<p>
-— Non mi chiami così, la prego! — Ell’era
-quasi supplichevole. — Peno abbastanza a sopportare
-tutti i giorni le canzonature stizzose
-della nonna e le smorfie sprezzanti di Roberto,
-senza contare tutta la buona gente che scandalizzo
-e che mi regala le sue meraviglie, le
-sue disapprovazioni, i suoi consigli... Come se
-non sapessi ancora ciò che faccio, come se fosse
-peccato... — La sua voce oscillava. — E anche
-sua moglie, sa, anche lei...
-</p>
-
-<p>
-— Oh lasci stare mia moglie; è una grulla — s’affrettò
-a dire Dardanelli, che le alitava il suo
-fiato caldo sul viso. — La nonna è una vecchina
-all’antica. Roberto è tanto nelle nuvole... A
-me invece piace che le donne, quando sono
-belle come lei, s’emancipino così. Se ci saranno
-molte medichesse come lei, vedremo i medici in
-liquidazione... e gli ammalati maschi in aumento — finì
-sorridendo.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde sentì l’offesa e fece spalluccie. Dardanelli
-le sfiorava la persona col suo corpo obeso. — Io
-ammalerò di certo... Se ammalerò verrà a
-curarmi? — le chiese ancora con la sua vocetta
-che si stemperava nella tenerezza.
-</p>
-
-<p>
-— Io no. Mi dedico alle malattie delle donne
-e dei bambini, lo sa pure... — cominciò lei, ruvida;
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-ma s’interruppe con un sussulto. Il braccio
-di Dardanelli le allacciava la vita.
-</p>
-
-<p>
-— Impazzisce? — gridò Clotilde indignata, ribellandosi; — impazzisce? — E
-siccome l’avvocato
-la stringeva più forte, essa con l’ago gli
-punse la mano, violentemente.
-</p>
-
-<p>
-Dardanelli si ritirò subito con un moto frettoloso
-e grottesco, soffocando un’esclamazione
-di dolore. — Quanto male mi ha fatto!... — mormorò
-poi, occupandosi della puntura con quell’importanza
-esagerata e quell’inquietudine propria
-del sesso forte per le ferite di questa arma
-esclusivamente femminile, un’arma da silfo, fatta
-d’un minuzzolo di raggio siderale: — Guardi
-quanto sangue! lei che doveva guarirmi...
-</p>
-
-<p>
-— Ho imparato che si guarisce anche facendo
-del male, — ribattè la ragazza, rude, andandosene. — Si
-badi; — è un saggio.
-</p>
-
-<p>
-Ella non sapeva d’esser tanto indovina dicendo
-queste parole.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-A notte alta, Clotilde, vegliava sola nella sua
-camera. La lucernina a petrolio, velata d’un
-bianco perlaceo, pioveva una luce chiara e tranquilla
-sulla giovine testa bionda china sul libro,
-e si diffondeva mite a lambire le pareti grigie
-a mazzi di rose. Nel fondo biancheggiava un
-letto stretto, monacale, su cui era un gran quadro
-di cui si vedeva soltanto rilucere la cornice.
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-Un altro quadro stava appeso nell’angolo dov’era
-il tavolino di Clotilde, tra le due finestre: il
-ritratto a olio d’una donna giovine vestita di
-velluto nero con un piccolo collare di trina.
-</p>
-
-<p>
-All’abito austero, alla posa rigida e convenzionale
-faceva contrasto il volto quasi infantile,
-dall’espressione dolcissima e dallo sguardo
-amoroso rivolto verso la fanciulla con quel non
-so che di mesto, di stanco, di assorto, che hanno
-i ritratti dei morti non dimenticati. E sulla
-fanciulla, che studiava assidua, protetta da
-quello sguardo, fra i cortinaggi di velo delle
-finestre, alti e candidi come ali, nella solitudine
-feconda di quelle pareti gaie e silenti, parevano
-scendere benedizioni.
-</p>
-
-<p>
-Sul tavolino, fra l’aridità dei libri di scienza,
-dei trattati di patologia e di farmacologia, dei
-cartolari, delle boccette d’inchiostro, la nota
-delicata, femminile: un mazzolino di viole e un
-ramo di biancospino in un bicchiere.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde leggeva, segnando in margine qualche
-periodo o qualche parola colla matita che
-si picchiettava poi sui denti stretti con un movimentino
-che pareva distrazione, ma che in lei
-caratterizzava il massimo dell’occupazione del
-pensiero in qualche cosa. Le viole e il biancospino
-odoravano forte sotto il calore del lume
-che li avvizziva; in lontananza, nella campagna,
-un cane abbaiava con insistenza noiosa
-e s’udiva fioco e continuo il gracidare delle
-rane. A lungo la testa bionda giovanile rimase
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-china sui libri e sui quaderni di appunti; a lungo
-la lucernina diffuse luce e tepore nel silenzio
-che, inoltrando la notte, pare addensarsi
-sempre più come un velario invisibile e isolatore,
-intorno a chi veglia nelle case addormentate;
-Clotilde non ebbe uno sbadiglio nè un atto di
-stanchezza. Quando guardò l’orologio nascosto
-nella cintura, fece un atto incredulo di stupore.
-Erano le tre.
-</p>
-
-<p>
-Possibile! le tre? quasi cinque ore di studio
-continuo sfumate in un baleno! Era proprio
-una vera passione la sua, oh si! tanto forte
-da raccogliervi intorno tutta la sua giovinezza
-rigogliosa, fiorita di sogni. Sogni strani, d’una
-purezza immacolata, un po’ livida, un po’ mesta,
-un po’ fredda, come ogni grandiosità: imprese,
-uomini, cose. <i>Pace summa tenent</i> era il motto
-che aveva scelto: pace, ma non quella di morte!
-La morte essa l’avrebbe combattuta, accanitamente,
-con tutte le forze del suo ingegno e della
-sua vita, l’avrebbe vinta, incatenata, fugata
-sventolando il vessillo della scienza in cui credeva
-con la fede ardente e cieca di una neofita;
-a cui benediva come ad un ideale di verità e
-di bellezza; a cui tendeva le braccia come alla
-felicità.
-</p>
-
-<p>
-Forse l’avrebbe trovata, lei, la felicità. L’avrebbe
-trovata in quel romitaggio splendido e
-austero dove sono così pochi gli eletti, così pochi
-quelli che vi ascendono, molto amando! La gloria,
-una posizione rispettabile, l’interesse materiale,
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-ecco, — pensava Clotilde, — l’esca di quasi tutti
-i giovani studenti di medicina; ed anche quelli
-che hanno la vocazione vera, viva, sincera,
-sfrondano così presto i loro begli entusiasmi!
-perdono così presto la loro fede gioconda! — Ebbene,
-lei no: lo sentiva. Aveva un tesoro
-di volontà tenace e di amorevolezza; queste
-doti eminentemente muliebri, che fanno le eroine.
-Poi, la pietà. La pietà, la nota fondamentale
-del suo carattere, affinantesi qualche volta morbosamente.
-Da bambina era svenuta vedendo
-dei monelli tormentare un cagnolino cucciolo;
-e quando la nonna portava, implacabile, al
-gatto la trappola che conteneva il topolino
-smarrito e umiliato, c’era ogni volta una scena
-di singhiozzi e di preghiere che lasciavano la
-bimba nervosa per tutta la giornata. Si ricordava
-anche di aver vuotato tutto il contenuto del suo
-salvadenaro nel grembiule di un manovale,
-per riscattare un passerotto intirizzito, ed anche,
-lei, così mite e tranquilla, d’aver amministrato
-una buona dose di scapaccioni al
-fratellino che strappava le ali a una farfalla
-viva. Quando cominciò a frequentare la
-scuola e a formarsi la sua piccola esperienza
-intorno alle ingiustizie e alle miserie della vita,
-le generosità spontanee, le delicate abnegazioni
-divennero per lei un’abitudine, una necessità.
-Compagne scusate e protette, merende divise,
-compiti fatti di nascosto per qualche bambina
-poco intelligente e volonterosa, regalucci,
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-elemosine, e con tal frequenza che la nonna
-aveva dovuto avvertir la maestra, poichè le
-bimbe più astute, con un po’ di commedia, la
-svaligiavano. Una sera, in principio d’inverno,
-era tornata a casa coi piedi nudi negli stivalini
-perchè aveva dato le sue calze nuove di lana
-a una bambina che piangeva dal freddo ai piedi.
-I suoi giocattoli, specialmente le bambole, andavano
-tutte, una dopo l’altra, a consolare
-qualche dolore infantile, a rallegrare qualche
-malatina, a far dimenticare qualche digiuno...
-pronta a pigliarsi poi con filosofica rassegnazione
-i rabuffi della nonna ed anche qualche correzione
-più spiccia dispensata dalle mani della
-vecchietta, niente affatto entusiasta di quel lusso
-di filantropia.
-</p>
-
-<p>
-A nove anni suo padre la mise in collegio,
-e ne uscì a quindici con tutti i primi premi
-per gli studi e per la buona condotta; lasciando
-edificate dietro di sè maestre e compagne per
-la sua intelligenza viva, la sua persistenza
-tenace nell’operosità, la dignità serena delle
-sue maniere che le attiravano intorno una deferenza
-che pareva rispetto. Una sol volta fu
-punita severamente, e fu per aver trasgredito
-l’ordine assoluto di non salire a certe camerette
-dell’ultimo piano, dove stava rinchiusa da anni
-una monaca pazza, «pazza per amore» bisbigliavano
-fra loro in segreto le educande.
-Clotilde era salita da lei una volta, poi due,
-poi dieci, poi aveva finito per visitarla regolarmente
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-ogni giorno in un momento o nell’altro,
-quando poteva sfuggire alla sorveglianza,
-mettendo tutta la sua diplomazia e tutta la sua
-fredda volontà in quella disobbedienza, dopo
-che si era accorta d’un lievissimo miglioramento
-dell’infelice accarezzata dalle sue cure. Poi un
-bel giorno costei le si era avvinghiata al collo,
-tempestandola di baci con una furia così selvaggia,
-che la guardiana se ne spaventò e a
-scanso di responsabilità avvertì la Direttrice.
-Clotilde non potè veder la pazza mai più. Qualche
-tempo dopo, la monaca moriva.
-</p>
-
-<p>
-Rientrata in famiglia, fra sua nonna, suo
-padre, un militare in ritiro, e suo fratello, la
-giovinetta andava dicendo di volersi far suora
-di Carità. Ma la nonna, che odiava le romanticherie,
-fu la prima ad opporsi con una
-risolutezza che le accendeva il desiderio continuamente,
-più forse delle elette e spirituali
-figurine che vedeva passare nei discorsi di suo
-padre, quando evocava con lei i suoi ricordi di
-campo e di ospedale. L’attraeva il mistero gentile
-delle bende, quel mistero in cui non raggia
-che un viso e un nome: un viso sempre dolce,
-un nome soave che le fa migrare attraverso
-il mondo invisibili e sconosciute come una falange
-di angeli custodi scendenti dalle regioni in cui
-non c’è patria nè personalità. L’attraeva quella
-gran pace attiva nell’oblìo e nel riposo e nell’ignoranza
-d’ogni cosa, come se una blanda
-riviera letèa avesse dilagato sulle passioni e
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-sui ricordi della vecchia vita naufragata; l’attraeva
-sopratutto l’abnegazione efficace, la carità
-feconda, la castità austera di quelle esistenze.
-Ella, che sognava di avere le braccia della
-Provvidenza per attirare e consolare tutti gl’infelici
-e i dolenti della terra, avrebbe potuto
-finalmente profondere quel tesoro d’affetto e di
-pietà che le si accumulava nel cuore. Oh esser
-utile e benefica! ardente e pia! Il miraggio
-tranquillo di quella vita turbava i suoi sonni
-di vergine come un desiderio d’amore.
-</p>
-
-<p>
-A deviare quella corrente che minacciava di
-portare serie burrasche in famiglia, venne un
-vecchio medico, amico di casa, una simpatica
-figura di patriota e di cavaliere, volta a volta
-brusco e cortese, un po’ strambo anche, ma
-sempre ameno e arguto come un monello.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene, — aveva risposto alla ragazza che
-gli confidava i suoi crucci; — ebbene, studia
-medicina. È press’a poco la stessa cosa, sai. È
-un apostolato filantropico e consolatore come
-l’altro e d’una carità più militante. Una donna
-vi può far miracoli. Prova.
-</p>
-
-<p>
-Ed avendo lei addotto timidamente la difficoltà
-degli studi, del tirocinio, egli le rispose
-con uno sguardo ironico e una scrollata di spalle: — Dell’ingegno
-e della volontà ne hai da
-dare a me; di freddezza e di una certa disinvoltura
-spregiudicata e dignitosa non devi
-difettare, se ti sentivi pronta a peregrinare per
-il mondo sola, pronta ad assistere a tutte le
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-miserie degli ospedali e dei tuguri. Fa la medichessa.
-</p>
-
-<p>
-Questa volta Clotilde non aveva risposto
-nulla ed era rimasta un po’ di tempo a guardar
-diritto dinanzi a sè co’ suoi occhi larghi e neri
-che la miopia rendeva misteriosi. Forse si sarebbe
-limitata a pensarci su, se un incidente
-non l’avesse decisa. Furono i pettegolezzi di
-una vecchia serva. Essendo un giorno rimasta
-in casa sola con lei, la donnicciuola incominciò
-non richiesta a narrarle molti particolari della
-malattia che aveva spinto nel sepolcro la madre
-di Clotilde nel fiore della giovinezza. Clotilde,
-a cui avevano lasciato credere che il tifo l’avesse
-uccisa, seppe così che la mamma era morta
-dopo aver sofferto lungamente, eroicamente, di
-un male interno, cancrenoso, che nascondeva a
-tutti come una vergogna per non farsi curare
-da un uomo. Quando se ne accorsero era già
-tardi e ancora nessuno potè vincere quella ripugnanza
-invincibile, selvaggia. E il pudore la
-uccise.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde a questa rivelazione rimase scossa
-rudemente, profondamente, intensamente, e tutta
-la pietà del suo cuore si sollevò come di fronte
-ad un’enorme ingiustizia. Una cosa orribile,
-inumana, il lento suicidio pieno di spasimi di
-quella madre che voleva vivere, in lotta con
-la donna che si lasciava morire avvolgendosi
-nell’ultimo velo della sua castità. L’anima delicata
-della fanciulla vibrò dolorosamente, senza
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-che le lagrime o le convulsioni di compassione
-della sua infanzia sensibile si rinnovassero in
-questa grande amarezza, nella più grande compassione
-della sua vita.
-</p>
-
-<p>
-Rimase tre, quattro ore in camera, sola, in
-ginocchio dinanzi al ritratto della sua morta
-senza pregare nè piangere, muta, intontita, come
-se l’avessero appena portata al cimitero;
-rimase là con un un gran peso sul cuore, e
-nel cervello una fissazione sottile, acuta, insopportabile.
-Sua madre avrebbe potuto non
-morire dunque! Bastavano due mani bianche
-e una dolce voce femminile sul suo letto di
-dolore, nient’altro... E il mal di cuore non tormenterebbe
-il babbo incanutito innanzi tempo,
-e lei avrebbe veduto vivi, animati, per la casa
-quel sorriso e quello sguardo che erano un
-compendio di tenerezze e che oramai non ricordava
-che immobili così...
-</p>
-
-<p>
-Quando si risollevò, la sua decisione era
-presa. Studierebbe medicina. La mamma, Dio,
-glielo suggerivano, glielo imponevano come un
-dovere, come una missione. Era una specie di
-rivendicazione del suo cordoglio, una vendetta
-spirituale contro la morte, cui avrebbe tolto
-cento altre madri se le aveva rapita la sua. Il
-babbo la appoggiò e la nonna non osava opporsi
-troppo, pensando forse che era meno male medichessa
-che suora di Carità, o meglio, sperando
-che la via lunga e ardua la stancherebbe. Ma
-ciò non fu. Tutta la forte volontà, la prontezza
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-dell’ingegno, la memoria viva, l’elasticità della
-fibra, tutta la ricchezza dei suoi quindici anni
-la fanciulla donò alla sua idea. Lo studio divenne
-la sua distrazione, il suo rifugio, il suo
-conforto, la sua dolcezza. Quando il babbo, che
-languiva, si spense, dopo le prime giornate di
-desolazione, Clotilde si rimise allo studio con
-più ardore, domandandogli l’oblìo come ad un’ebbrezza;
-e sovente, nelle ore che le ravvivavano
-il ricordo della sventura sofferta, le accadeva di
-reclinare la fronte con un lieve singhiozzare
-su qualche grosso trattato di Patologia che rimaneva
-aperto sotto quella testa bionda come
-per accogliere il suo dolore.
-</p>
-
-<p>
-Così fece tutti i corsi insieme agli studenti,
-ed ogni esame era per lei un trionfo. Riservata,
-semplice, modesta, i professori la preferivano
-francamente, e nessuno dei suoi compagni
-pensava a serbarle rancore, anzi pareva che
-cercassero anche loro di favorirla; forse per
-quel tal sentimento quasi di protezione cavalleresca
-che nasce dall’affratellarsi dei due sessi
-nella medesima scuola. Le altre studentesse
-erano meno indulgenti; ma poi Clotilde non si
-poteva dir bella e si vestiva e si pettinava così
-dimessamente che pareva lo facesse apposta per
-non dar nell’occhio, quindi in grazia di ciò,
-molto del suo talento le veniva perdonato.
-</p>
-
-<p>
-Entrata all’Università, le opposizioni della
-nonna ricominciarono. Clotilde, che non poteva
-contare sull’unico appoggio rimastole, quello
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-del fratello, un egoista inutile, assorto sempre
-nelle sue visioni di gloria, si limitò a tener
-sodo senza difendersi; e questa resistenza silente
-e tenace irritava la vecchietta già inasprita
-dalla sventura. Se avesse usato un pizzico di
-diplomazia, l’urto sarebbe stato attenuato; ma
-la fanciulla era troppo franca, troppo fiera per
-fingere o anche solamente esagerare una sommessione
-affettuosa che avrebbe rasentato l’ipocrisia.
-Tutte le tenerezze della nonna erano per
-Roberto, ella lo sapeva bene, nè se ne lagnava
-per una gran dose d’alterezza e di filosofia,
-forse anche per un fondo d’indifferenza ch’era
-nel suo carattere. E non le aveva mancato di
-rispetto mai: nè con un atto, nè con una parola.
-</p>
-
-<p>
-Eppure la nonna, con quella minuta e fredda
-crudeltà che hanno talora i vecchi, non lasciava
-di stuzzicarla e di mettere a prova la sua fermezza,
-affidandole mille faccenduole da sbrigare,
-o noiosi lavori d’ago che le rubavano quasi
-tutte le sue ore di riposo ed anche qualcuna
-di studio. Clotilde tranquillamente si rifaceva
-vegliando. E la signora Rita, che non sapeva
-come fare a pigliarsela, si sfogava coi vicini,
-atteggiandosi a vittima di quella stramba ragazza
-che si impuntava a correr su e giù in
-tram dall’Università alla villetta e viceversa,
-mentre avrebbe potuto viver agiata e tranquilla
-fra il suo telaio di ricamo e i suoi fiori
-aspettando un marito, qualche buon giovine assennato
-e danaroso che certo non le sarebbe
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-mancato. Ma così! chi doveva aver coraggio
-di avvicinarla? Una ragazza che studia medicina!
-che deve veder tutto e saper tutto... Uno
-scandalo, uno spino continuo, il cruccio della
-sua vecchiaia. E i vicini compiangevano in coro.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde si spogliava nell’intimità della sua
-camera. Aveva spento la lucerna e acceso la
-candela sul tavolino da notte; la sua ombra
-sulla parete volteggiava lieve ed enorme. Che
-giornata faticosa! E quelle ore, là al teatro anatomico
-con quell’odore... E poi alla clinica quel
-bambino che urlava e quella madre così pallida
-e il professore che non finiva più di dimostrare,
-di spiegare... Ebbe ancora un brivido, ripensando
-quella scena che aveva scosso così rudemente,
-così dolorosamente la sua sensibilità femminile;
-e un vago sgomento le stringeva il cuore,
-pensando alla lunga serie di miserie, di strazi,
-a cui avrebbe dovuto ancora passar in mezzo,
-ancora e sempre, tutta la vita, come in una corsia
-infinita d’ospedale; cloroformizzandosi spiritualmente
-per non turbare con le sue sensazioni
-l’opera della scienza; scacciando le emozioni
-come un egoismo, la compassione come
-una crudeltà.
-</p>
-
-<p>
-Era rimasta con la sottanina breve di flanella
-a righe azzurre e bianche e con la sottovita di
-maglia grigia. Si spettinava, e così con le braccia
-levate in un atteggiamento grazioso di sirena
-o di dea, tutte le forme opulente del suo bel
-corpo sbocciavano. Il nodo dei suoi capelli era
-<span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span>
-fermato da uno spillo d’argento, una specie di
-pugnaletto donatole da suo fratello che vi aveva
-fatto incidere su un motto cavalleresco:
-«<i>Non ti fidar di me se il cor ti manca.</i>» Levato
-lo spillo, il torciglione si allentò mollemente
-ed ella con una mossa del capo lo fece ricascare
-sulle spalle allargandolo con le dita, sciorinandolo
-prima di farsi la treccia per la notte. I
-suoi capelli non erano lunghi, ma fini, abbondanti,
-ondulati e d’un bel castano che al sole
-s’indorava.
-</p>
-
-<p>
-..... Oh le povere piccole membra contratte
-dallo spasimo...! oh il martirio intimo, muto di
-quella madre, e la voce del professore così
-calma...! e le sue dita così rapide e sicure quando
-avevano guidato il piccolo bisturi....! Quella
-visione d’angoscia non le si levava dalla mente.
-Anche la Ginoli, l’altra studentessa, era assai
-pallida: gli assistenti si affollavano, come se
-la curiosità vincesse la pietà. Ma non era curiosità
-soltanto, lo sapeva... Qualche profilo
-caratteristico o amico le si delineò nella mente:
-Santarelli biondo e scialbo col suo collo d’oca;
-il testone d’Embrici così timido e goffo, martire
-dello studio e dei compagni; Altarini, un
-saccentuzzo dalla voce stridula che soverchiava
-sempre; il bel Raimondi, che faceva perder
-la testa alla Ginoli; Serralta, detto il gobbino
-per la sua imperfezione che gli valeva qualche
-riguardo dai compagni, i motteggi della
-Ginoli e la compassione di Clotilde che si sapeva
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-adorata in segreto da lui. Un viso da
-scimmia quello di Serralta, dai lineamenti continuamente
-in moto per una specie di tic nervoso,
-dagli occhietti maligni che si illanguidivano
-incontrando quelli della fanciulla, che
-col suo contegno severo non aveva mai incoraggiato
-quell’amore.
-</p>
-
-<p>
-Finì di spogliarsi in fretta e si cacciò fra
-le lenzuola candide e ruvide del suo letto duro.
-Ma non aveva sonno. La stanchezza e la veglia,
-che per solito la facevano cader giù addormentata
-come un masso, quella notte la tenevano
-desta in una lieve eccitazione di nervi tormentosa
-e dolce. Le pareva che una forza invincibile
-la obbligasse a tener gli occhi sbarrati e la
-fantasia in azione. Tutte le sue fibre vibravano,
-e nella sua mente era una ridda faticosissima
-d’immagini, di pensieri, di formule, di nomi
-tecnici, di visioni... Quel piccolo paziente e
-quella madre...! Clotilde non sapeva spiegarsi
-come mai quell’episodio le fosse rimasto impresso
-così vivamente nel cervello, mentre non ne
-aveva risentito sul momento una scossa esagerata.
-Non sapeva come mai quel quadro penoso,
-sopito nel resto del giorno, giganteggiasse ora
-nella solitudine della sua stanza così paurosamente
-da diventare un incubo.
-</p>
-
-<p>
-Seduta sul letto, con le braccia in croce contro
-il largo scollo della camicia che le scivolava
-dalle spalle, vagava con gli occhi spalancati
-negli angoli bui e cheti della sua stanza dove
-<span class="pagenum" id="Page_20">[20]</span>
-tutto pareva dormire: i libri ammassati sul tavolino,
-i mobili ordinati, la lucernina spenta,
-i suoi abiti ricascanti su una sedia in atteggiamento
-di abbandono, perfino uno de’ suoi
-stivalini rovesciato per terra. E le bianche tende,
-lievi e alte come ali, scendevano come per proteggere
-il sonno di tutta quella cameretta innocente.
-Ma lei no, non dormiva; e la candela
-accesa sul tavolino da notte, che dava delle luminosità
-auree alla treccia molle e cadente de’
-suoi capelli, delle morbidezze alla nudità delle
-sue braccia e del suo collo torniti, dei candori
-languidi alle coltri e ai guanciali, pareva vegliare
-anche lei, maliziosamente.
-</p>
-
-<p>
-Poi, Clotilde lasciò ricascare la testa e le
-braccia sulle ginocchia piegate e si mise a piangere
-silenziosamente, senza perchè, senza motivo,
-così, per tristezza, per la gran tristezza arida
-della sua vita che minacciava di atrofizzare il
-suo cuore; per le scene lugubri che riempivano
-quelle ridenti giornate primaverili, giovani
-come lei; per quell’atmosfera sinistra d’ospedale
-e di morte, da cui si sentiva penetrare ogni
-giorno più, paurosamente. Intanto quelle lagrime
-le rilasciavano i nervi, le facevano bene,
-ed essa lo sapeva e ne provava un sollievo
-sempre più dolce, poichè attraverso alle lagrime
-che empivano le sue palpebre chiuse, su quel
-fondo di malinconia stanca, una figura virile
-andava delineandosi, nascondendo gradatamente
-orrori e tristezze, fondendo la sua angoscia
-<span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span>
-lugubre in una soavità delicata e tranquilla che
-era quasi una gioia. Come l’aveva guardata quella
-mattina!...... Strano quello sguardo, che pareva
-una impertinenza ed era un’ingenuità. E quel
-sorriso muto, quando le aveva nascosto tra un
-libro il ramoscello di biancospino... E quell’atto
-sgarbato accompagnato da una parola che pareva
-una carezza... e quel saluto lungo, esitante,
-scorato; e quella voce armoniosa piena d’impazienze
-e di tenerezze. Quanti tesori da contare
-quel giorno e quanti forse anche per il giorno
-dopo, ancora e sempre, tutti i giorni, fino alla
-morte, fino all’eternità. Tutti i giorni così, una
-o due ore con lui, liberi, tranquilli, senza desiderare
-di più, senza sperare di più. Sorrise
-da sè col capo nascosto, poi si lasciò andare
-all’indietro sui cuscini, coll’anima alleggerita,
-la mente riposata in quell’unico pensiero blando.
-Il biancospino e le mammole, invisibili nell’ombra,
-dal loro vasetto sul tavolino effondevano
-una fragranza lieve nella camera chiusa. Clotilde
-la sentiva aleggiare su lei, come se tutti gli spiriti
-della primavera avessero invaso la sua camera
-per calmare i suoi tumulti e cullare il
-suo sonno con l’emanazione di tutti gli amori
-della natura. E si addormentò, con la candela
-accesa, la testa rovesciata da un lato, le dita
-intrecciate al cordoncino d’oro che le scendeva
-dal collo fra le pieghe della camicia. S’addormentò,
-ed ebbe un sogno d’amore tutto fiorito
-di mammole.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Contro il solito, Roberto scese quella mattina
-prima di Clotilde e uscì in giardino a passi
-lenti, cogli occhi stretti in aria meditabonda,
-la sigaretta fra le labbra, il ciuffo biondo de’
-suoi bei capelli più scompigliato che mai. Andò
-a sedersi sul sedile di ferro fra il gruppo dei
-sicomori ancora sfrondati, ma già tutti ricchi
-di gemme e di bocciuoli. Ogni immobilità rigida
-e muta dell’aria, delle piante, della materia,
-pareva animarsi all’alito della primavera
-come al fiato di Dio. La nova stagione sorrideva
-tra timida e ardita, tutta grazie selvaggie,
-gentili sorprese, contraddizioni e stonature adorabili:
-come un adolescente. Dai rami secchi
-della siepe, ancora stecchita nel sonno invernale,
-sbocciavano fitti ed innocenti i fiori di
-biancospino; sotto il seccume antico dell’autunno
-odoravano invisibili e tepide le mammole;
-i grappoli della glicine ricascavano sul muro
-nudo della villetta fra le due ramificazioni spoglie
-e nodose. Roberto fissava, con la mente
-lontana, una finestra spalancata, che la glicine
-inghirlandava e in cui si gonfiavano alla brezza,
-come vele, le tende bianche, leggiere.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde apparve sulla soglia della saletta
-d’ingresso con un libro sotto l’ascella, abbottonandosi
-un guanto. Ma Roberto non la vide,
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-o finse di non vederla, se non quando gli passò
-vicino.
-</p>
-
-<p>
-— Che miracolo... — disse lei.
-</p>
-
-<p>
-— Miracoli della primavera, — rispose Roberto
-con un accento ispirato; ed essendogli
-caduto ai piedi il lapis di Clotilde, lo raccolse
-e glielo rese. — C’è da sperare che ne faccia un
-altro, — aggiunse dopo un’occhiata esaminatrice; — quello
-di farti smettere quel cencio di vestito
-che fa orrore.
-</p>
-
-<p>
-Ella si guardò, indifferente, una manica: — È
-poi così orribile? Io non me ne accorgo; non
-ci sono macchie, quindi..... Povero Roberto! — continuò
-sorridendo. — E dire che ti piacerebbe
-avere una sorella elegante che sfoggiasse abiti
-ogni settimana...
-</p>
-
-<p>
-— Dallo sfoggio alla miseria c’è tutta una
-sfumatura, — riprese lui, piccato. — Questa tua
-fissazione del nero, con quelle pieghe diritte
-come quelle delle monache, con quell’eterna
-cintura di nastro; quel cappellino che vorrebbe
-aver un’aria maschile, quella giacchetta che ti
-vedo da tre anni... andranno benissimo, non lo
-nego, per affermare le tue idee d’emancipazione,
-ma danno anche il diritto di deplorarle e la
-forza di bandire una crociata contro di voi, rinnegatrici
-d’ogni grazia e d’ogni gentilezza, refrattarie
-a ogni seduzione... profanatrici dell’eterno
-femminino...
-</p>
-
-<p>
-Clotilde lo affisò, incerta se scherzasse o se
-parlasse sul serio; ma Roberto non sorrideva,
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-non scherzava. Gli era rimasto, solo, sul volto
-un’ombra dell’intima compiacenza per aver trovato
-quelle belle frasi d’oratore. Però seguì su
-un tono meno aspro:
-</p>
-
-<p>
-— Voi donne possedete sole il segreto delle
-raffinatezze delicate, delle sfumature indefinibili,
-delle armonìe indistinte, di tutte le finezze,
-di tutte le fragranze sottili, di tutte le cose
-immateriali e colorite e luminose che adornano
-il mondo. È come una grande volatilizzazione
-della bellezza che le donne fanno fluttuare su
-di noi, inafferabile, divina, inebriante, di cui
-esultiamo ignoranti e felici come i fanciulli che
-non sanno il perchè delle cose. Se rinunziate
-o sdegnate questa vostra missione stupenda,
-chi vi sostituirà? Che sarà del mondo? che
-sarà di noi? che sarà di voi, che perderete tutto
-il vostro fascino di delicatezza e di leggiadria,
-senza poter uguagliarci mai in quella forza, che
-a torto o a ragione ci rende alteri?
-</p>
-
-<p>
-Clotilde non amava le discussioni. Le scansava.
-Con suo fratello sapeva poi che non poteva
-ingolfarvisi senza che uno dei due ne uscisse
-ferito sul serio. Egli era troppo innamorato di
-parvenze, lei della verità.
-</p>
-
-<p>
-Rimase a capo chino, guardando il libro nell’attitudine
-d’una colpevole. Roberto aveva rimesso
-tra le labbra la sigaretta e mandava fuori
-in silenzio le nuvolette di fumo: — Via, — aggiunse
-sempre più dolcemente, — un po’ di
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-rosa, un po’ di viola, un po’ di fiori, un po’ di
-primavera su quel vestito!
-</p>
-
-<p>
-Clotilde posò il libro sul sedile e s’inginocchiò
-per terra. — Ecco, — mormorò affondando la
-mano nel muschio umido e tepido fra cui spuntavano
-mammole, — ecco la primavera! — E
-si infilò le violette in quell’eterna cintura di
-nastro nero che si vedeva fra la giacchettina
-aperta.
-</p>
-
-<p>
-Un trotto cadenzato sulla via maestra la fece
-balzare. — Il <i>tram</i>, — disse, — bisogna spicciarsi;
-se no rischio di rimanere a piedi; addio! — E
-si mise a correre col suo libro verso il cancello
-nel lume biondo del sole mattutino, pronta e
-gaia al principio della sua giornata faticosa,
-mentre Roberto sul sedile, avvolto nella frescura
-profumata, vagava con la fantasia intorno a visioni
-di bellezza e a rime d’amore.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Si salutarono con un sorriso e cogli occhi
-radiosi per la gioia dolce sempre rinnovellata
-di quel primo vedersi. Egli, al solito, le prese
-il libro, la aiutò a salire sul <i>tram</i>, le fece posto
-accanto a sè sulla panchina in silenzio.
-Pareva ormai una cosa convenuta, e per una
-specie di tacito accordo o di complicità indulgente,
-quel posto rimaneva vuoto finchè ella
-saliva, oppure chi lo occupava se ne ritraeva
-subito premurosamente. E Clotilde non ne rimaneva
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-imbarazzata e lui neppure, tanta schiettezza
-mettevano in quel sentimento che li
-avvinceva; un po’ più dell’amicizia, un po’ meno
-dell’amore. Da un anno continuavano a incontrarsi
-così tutti i giorni, i giovani, in quella
-breve gita mattutina, da quando lui era andato
-ad abitare una casetta fuori di porta per
-consiglio dei medici, che avevano raccomandato
-a sua madre l’aria libera della campagna per
-quel figliuolo, l’ultimo dei cinque che la tisi
-aveva spazzato via.
-</p>
-
-<p>
-Aroldo dava lezioni di musica; quindi ogni
-mattina era obbligato a scendere in città come
-Clotilde. Questa abitudine comune li aveva
-affratellati, poi era divenuta un sollievo per
-entrambi, poi una festa. Aroldo saliva alla
-stazione del <i>tram</i>, che era a due passi da casa
-sua, e dopo un mezzo chilometro saliva anche
-la fanciulla che attendeva il passaggio del
-carrozzone fuori dal cancello bianco del piccolo
-giardino. Quei due chilometri all’aria viva
-e fresca su quella panchina di tram, fra un
-chiacchiericcio animato, le risa, le discussioni
-gaie, le canzonature, sfumavano in un baleno;
-pure essi ne attingevano una forza insperata
-per le fatiche della loro giornata operosa: una
-specie di elasticità gioconda, che alleggeriva
-a lui la monotonia triste delle lezioni, a lei
-l’oppressione cupa dell’ospedale. Qualche volta
-i loro bisticci erano così ameni e le loro risate
-così spontanee che gli altri si voltavano
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-a guardarli e sorridevano. Del resto, non erano
-numerosi i loro compagni di viaggio e sempre
-gli stessi: la serva del parroco col cesto delle
-spese; due scolaretti di ginnasio; una ragazza
-pallida e melanconica collo scialletto tirato sugli
-occhi, che andava a lavorare a giornata;
-il portalettere, un magrolino che aveva l’argento
-vivo addosso; un vecchione sonnacchioso; una
-lattivendola. Tutta gente che parlava poco,
-meno il portalettere che sfogava la sua parlantina
-toscana coi conduttori del <i>tram</i>. Entrati in
-città, al primo crocicchio, Clotilde e Aroldo facevano
-fermare e si lasciavano quasi senza salutarsi,
-in un’ultima risata, scendendo uno di
-qua l’altro di là, come se scappassero e senza
-voltarsi indietro. Lei svoltava subito nel vicolo
-che fiancheggiava l’Università; lui infilava i
-portici ampi, lucenti di marmi e di vetrine.
-</p>
-
-<p>
-— Come stanno i suoi malati? chiese Aroldo,
-appena Clotilde si fu seduta, colorita e palpitante
-ancora per la corsa.
-</p>
-
-<p>
-— Non mi faccia arrabbiare; oggi non ne
-ho voglia....
-</p>
-
-<p>
-— Come me, dunque! Queste prime giornate
-di primavera mi mettono un’uggia addosso,
-inesplicabile; le lezioni mi diventano un supplizio...
-Se sapesse quante volte al giorno mando
-al diavolo scolari, musica, compositori, istrumenti,
-perfino Guido d’Arezzo... anzi, prima di
-tutti lui...
-</p>
-
-<p>
-Clotilde rise.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sì; è una miseria, — disse poi, — questa
-svogliatezza e questa tentazione di vagabondaggio
-in primavera. Almeno piovesse; i nervi sono
-più tranquilli....
-</p>
-
-<p>
-— I nervi? — ripetè ironicamente Aroldo; — lei
-non ha diritto di parlare di nervi sensibili....
-con quei suoi bei studi.... ricostituenti....
-</p>
-
-<p>
-— Già, — ribattè Clotilde con flemma incrociando
-le braccia; — ha ragione.
-</p>
-
-<p>
-— Meno male! I nervi? oh! come una damina
-fragile, lei che deve essere corazzata contro
-tutte le debolezze....
-</p>
-
-<p>
-— Ha ragione.
-</p>
-
-<p>
-— Lei che adesso con tutta disinvoltura va
-ad analizzare freddamente tante sofferenze....
-a dar dei nomi tecnici al dolore.... ad insozzarsi
-in un carnaio....
-</p>
-
-<p>
-— No, il rispetto almeno! — interruppe lei,
-seria, posandogli una mano sul braccio. — È il
-mio pudore, la mia sensibilità....
-</p>
-
-<p>
-Aroldo si tirò il cappello sugli occhi e seguitò
-a guardare contro il sole che gli coloriva
-il volto sbiancato. Le siepi che fiancheggiavano
-la strada luccicavano di rugiada e in un orto
-al di là era tutta una fioritura bianca e rosea,
-tenue, ridente sulla sfumatura cerulea del mattino
-come un bosco incantato, come un fantasioso
-sogno di redenzione.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sa che lei è un miracolo? — esclamò
-a bruciapelo lui, rimandandosi indietro il cappello
-sino a metà del capo. E siccome Clotilde
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-lo guardava tranquillamente coi suoi occhi
-miopi, velati, sibillini, senza parlare, egli proseguì
-brutalmente: — Un miracolo.... un mistero....
-non so.... qualche cosa di strano insomma.
-Alle volte lei è di ghiaccio, altre volte ha
-certe risposte che ammutoliscono.... E tutto ciò
-senza una parola inutile, con un laconismo
-terribile e, scusi, non femminile.... Dopo tanto
-tempo che ci troviamo insieme ogni giorno,
-non so ancora nulla di lei, io.... di lei non ho
-colto nè un’impressione, nè un sentimento, nè
-un’emozione.... Vuol che le dica che questa
-freddezza feroce... romana.... mi fa quasi paura?
-</p>
-
-<p>
-— Mi onora troppo, — balbettò Clotilde arrossendo
-e celiando con un po’ d’imbarazzo. E
-cacciò le mani nelle tasche della giacchettina
-nervosamente, mentre ripigliava guardando dritta
-innanzi a sè nella strada bianca fra il verde
-tenero, rado, della vegetazione novella. — Ma
-chi le prova che io sia... quello che mi crede?....
-Non mi piace parlare di me, ecco tutto, nè con
-lei, nè con nessuno. Tengo a rimpicciolire la
-mia personalità più che posso, per tentare di
-convincere le persone che amo, della verità,
-della serietà, sopratutto, della mia vocazione....
-</p>
-
-<p>
-Aroldo corrugò le sopracciglia con un’espressione
-di dolore e fece un gesto come per parlare.
-Ma lei non gliene lasciò il tempo:
-</p>
-
-<p>
-— Ci sono dei ragazzi forti, dei giovinotti
-spregiudicati, perfino dei vecchi medici, che soffrono
-di tutta quella miseria; non ne dovrei
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-soffrir io, donna? Sarebbe una mostruosità. Oh
-se ho sofferto! orribilmente, atrocemente... tanto
-più che erano obbligata a nascondere i miei terrori
-che avrebbero dato ragione a quelli che
-mi contrariavano... Quante notti senza dormire,
-tutte piene di incubi sanguinosi...! Quante giornate
-piene di nausea, di tetraggine...! Ma la
-notte sopratutto, oh la notte era orribile... E
-qualche volta ancora... sebbene siano due anni
-che vado al teatro anatomico... Ma non mi ci
-avvezzerò mai, temo...
-</p>
-
-<p>
-Aroldo si lisciava la barba breve, biondiccia,
-ricciuta, fissandosi le punte dei piedi. Clotilde
-parlava sommessa e con uno sforzo palese, arrossendo
-e impallidendo. Qualcuno de’ loro compagni
-di viaggio s’era voltato a guardarli, con
-una certa aria meravigliata per la apparente
-serietà dei loro discorsi di quella mattina. Negli
-occhi della ragazza malinconica passava
-qualche lampo d’invidia, e la serva e la lattivendola
-avevano scambiato una parola all’orecchio
-e un sorriso.
-</p>
-
-<p>
-— Eppure ho sempre vinto ogni ripugnanza,
-ogni debolezza... Ah, quando si vuole proprio!
-Neanche uno svenimento, sa? La Ginoli ha
-durato otto giorni a svenire... le bastava vedere
-la tavola di marmo... E gli studenti anche non
-scherzano... Ogni volta bisogna accompagnarne
-fuori uno. Ma io mai. Pure mi venivano i sudori
-freddi...
-</p>
-
-<p>
-Aroldo, immobile, a occhi bassi, taceva.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Gli è che, — continuò Clotilde, — a me
-accade una cosa strana. Quando risento un’impressione
-violenta, non è mai sul momento che
-mi accorgo di provarla, è sempre, dopo. Sul momento
-una forza insperata m’irrigidisce; ma il
-contraccolpo mi accascia. Durante le prime lezioni
-clinico-chirurgiche o le sezioni, mi serbavo
-fredda e tranquilla; alla notte battevo i denti dal
-terrore e ne avevo la febbre...
-</p>
-
-<p>
-Aroldo appoggiò le mani e la fronte al pomo
-del suo bastoncino d’ebano.
-</p>
-
-<p>
-— E la prova più rude, chi lo crederebbe?,
-non è per me l’anfiteatro. È la visita che faccio
-nella infermeria dei bambini. Tutti quei poveri
-corpicini travagliati, addolorati, straziati,
-quegli occhietti che supplicano un sollievo, che
-non sempre possiamo dare, quelle vocine che
-non sanno esprimere, se non piangendo le loro
-sofferenze e che sembrano ribellarsi al loro male
-come ad una crudeltà, a un’ingiustizia... che non
-vedono nel medico che un nemico barbaro e
-nei rimedi che un tormento... mi fanno l’anima
-così triste ed oppressa che qualche volta mi
-par d’impazzire d’ipocondria... Eppure è per
-loro che lotto... per loro che voglio vincere... a
-loro che sacrifico senza esitare tutti i sorrisi
-della vita... e non ho che ventiquattro anni....
-</p>
-
-<p>
-Aroldo le afferrò il polso così improvvisamente
-e così forte da farla trasalire. I suoi
-occhi lampeggiavano; i suoi occhi belli e strani
-che avevano languori e tempeste inattesi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-</p>
-
-<p>
-— No! no! — esclamò sottovoce, concitato:
-</p>
-
-<p>
-— No! — E la fissò negli occhi senza lasciarla,
-con un’espressione di sfida, che ella sostenne
-arditamente, ancora tutta rosea nel volto
-del suo entusiasmo di carità.
-</p>
-
-<p>
-La ragazza malinconica si voltò un poco sgomenta
-e il vecchione sonnacchioso, che dondolava
-il capo sul petto, aperse due occhietti imbambolati.
-Aroldo le lasciò il braccio per nascondersi
-il volto.
-</p>
-
-<p>
-— Non mi parli più di queste cose — pregò
-prostrato, vinto.
-</p>
-
-<p>
-Il sole all’Est li colpiva in pieno corpo e
-intiepidiva i loro abiti. Le violette, alla cintura
-di Clotilde, odorando acutamente, s’appassivano.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il giorno dopo, lei affettò un po’ di sussiego,
-lui una disinvoltura esagerata. Aveva una parlantina
-facile, briosa, un’aria birichina e tanta
-comicità nei suoi atti, che Clotilde dovette finire
-per riderne schiettamente. Aroldo contraffaceva
-una sua scolara, la contessina sentimentale
-che da tre mesi rodeva un notturno di
-Chopin senza riuscire a far capire che cosa suonasse,
-neanche approssimativamente.
-</p>
-
-<p>
-— ..... allora si dispera, — continuava imitandone
-le pose languide. «Ah, professore.....
-non lo imparerò mai questo notturno indiavolato...
-e dire che lo <i>sento</i> tanto.....» Ed io:
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-«Coraggio... studî... riuscirà...» Ma questa è
-la risposta delle giornate buone. Quando poi
-ho la luna di traverso le rispondo brusco brusco:
-«Signorina bisogna decidersi, o avanti o
-indietro; lei non riuscirà che a farmi odiare
-Chopin a questo modo...» Proprio così, sa?
-</p>
-
-<p>
-— E quella povera signorina allora?
-</p>
-
-<p>
-— La signorina piange invariabilmente. E
-alla prossima lezione, trovo invariabilmente la
-contessa madre in salotto, sola, con una cera
-tra il gendarme e la vittima, che mi prega di
-mettere un po’ di zucchero nelle mie correzioni,
-perchè Maria è d’una sensibilità così eccessiva,
-così nervosa, che finirebbe per ammalarsi davvero...
-Uh, quelle mamme...! Sono il mio spauracchio
-le mamme, lo crede?... Vi appostano,
-vi assaltano, vi circondano per farvi subire interrogatorî
-senza fine, e domande suggestive e
-cortesie insidiose, e tutti i loro pettegolezzi e
-i loro apprezzamenti e le loro confidenze; vi
-mischiano ai loro puntigli, alle loro gelosiole,
-alle loro vendette... vi compromettono, vi tirano
-in ballo con un accanimento e una ferocia così
-sbalorditoia che non c’è forza umana capace
-di resistere... Altro che sabba Romantico!...
-</p>
-
-<p>
-Clotilde rideva col gomito sul ginocchio e il
-mento nella mano. Gli scolaretti, che avevano
-udito, volgevano altrove la faccia per ridere
-anche loro. Aroldo li fece osservare alla fanciulla.
-</p>
-
-<p>
-— Lei finirà per compromettersi coi suoi
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-sfoghi, — gli disse Clotilde ridivenuta seria.
-Egli fece un moto di noncuranza.
-</p>
-
-<p>
-— Già, un giorno o l’altro ho fede di smettere
-questa vitaccia da cani... Potessi solamente
-trovare il modo di far rappresentare la mia
-opera... ah! — E giunse le mani lanciando in
-un sospiro quel desiderio e quella speranza che
-erano l’aspirazione della sua vita.
-</p>
-
-<p>
-— Io ci credo; ci creda anche lei, — sussurrò
-Clotilde con quella intonazione franca e sicura
-della sua voce che, unita allo sguardo velato
-de’ suoi occhi, faceva delle cose ch’essa diceva
-una specie d’oracolo: — La fede smuove le montagne....
-</p>
-
-<p>
-— Sì, ma gli impresarî e gli editori sono
-peggio delle montagne! — ribattè lui con una serietà
-comica e desolata. — Intanto lavoro — aggiunge
-dopo un momento; — lavoro con un accanimento
-che dispera la mamma. Ma come
-fare?... ho tanta roba qui..... in testa, che mi
-opprime; che mi canta, che mi assorda, che
-frulla per sprigionarsi, per pigliare il volo.....
-Ed io m’affretto, m’affretto come se avessi paura
-di non arrivare in tempo a cantar tutti i canti
-che mi fluiscono dal cervello. L’ora fugge... bisogna
-spicciarsi a raccogliere la mèsse... perchè
-l’avvenire è lungo... è breve... chi sà...?
-</p>
-
-<p>
-Clotilde ebbe un brivido sottile, doloroso.
-Aroldo teneva le mani senza guanti aperte sulle
-ginocchia, due mani scarne, giallastre, uh po’
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-adunche. Ella ne vedeva tutti i giorni di quelle
-mani all’ospedale...
-</p>
-
-<p>
-— Forse è un avvertimento, — continuò lui,
-quasi serenamente. — I miei fratelli, quattro,
-sono morti tisici come il povero babbo. Il più
-giovine aveva diciotto anni, il maggiore è vissuto
-fino a trenta. Io ora ne ho ventisei. Ancora
-quattro anni, forse...
-</p>
-
-<p>
-— Ma non dica così! — esclamò Clotilde con
-la voce tremante. — Non sa che questo pensiero
-solo basta ad uccidere?
-</p>
-
-<p>
-Aroldo la fissò con rapida intensità; e negli
-occhi, parlando di morte, gli raggiò la vita
-poichè l’anima della fanciulla in quell’attimo
-era riflessa dal volto. La pietà l’aveva tradita...
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Erano tutti in giardino dopo il desinare.
-Tutti, anche la famigliuola dell’avvocato Dardanelli,
-che veniva spesso, da buon vicino, a
-bere il caffè con la signora Rita. La vecchina
-seduta sul sedile di ferro fra i sicomori oramai
-tutti in fiore, metteva la quarta pallottola di
-zucchero nella sua tazza con le piccole mani
-scarne e tremolanti ascoltando la moglie dell’avvocato,
-la bella signora Giulia, che le parlava
-in fretta con la sua voce grossa e sgradevole.
-Roberto passeggiava fumando nel viale
-più appartato; Dardanelli, al solito, guardava
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-avidamente Clotilde che chiassava coi bambini.
-</p>
-
-<p>
-— E lei non viene a prendere il caffè? — le
-chiese, andandole incontro col viso rosso e gli
-occhi lustri, sbuffante ed eccitato dalla digestione.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì, — gli rispose la ragazza soffermandosi
-ridente, gaia, a braccia alzate per rafforzarsi
-il nodo de’ capelli con lo spillo d’argento,
-mentre i fanciulli le davano ancora delle strappatine
-provocanti al vestito, scappando.
-</p>
-
-<p>
-— Fermi, monelli! — urlò l’avvocato facendo
-gli occhiacci e accostandosi sempre più a lei.
-Clotilde fioriva in quella tinta strana e calda
-d’un tramonto nubiloso. I suoi capelli scompigliati,
-sfuggenti, parevano oro fulvo; il volto
-quasi sempre sbiancato era tutto roseo, gli occhi
-ancora tutti pieni del riso di quell’ora di
-spensieratezza obliosa.
-</p>
-
-<p>
-— Che cos’ha? un pugnale fra i capelli? — E
-le mani di Dardanelli la sfioravano.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, — rispose Clotilde, secca, scansandosi.
-</p>
-
-<p>
-— Serve anche quello per i suoi studi di
-medicina? — chiese ancora l’avvocato, ridendo
-scioccamente.
-</p>
-
-<p>
-— Potrebbe guarire anche questo... — ribattè
-pronta la giovinetta con la sua voce sicura e
-il suo sguardo misterioso.
-</p>
-
-<p>
-Sedette su uno sgabello rustico vicino alla
-signora Dardanelli, che le sorrise. Ella aveva
-molta simpatia per la fanciulla e non si era
-mai accorta delle intenzioni poco oneste di suo
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-marito, che credeva volesse bene a Clotilde come
-ad una figliuola. La signora Giulia fra i lillà
-fioriti pareva una Flora, una di quelle Flore
-formose e grossolane che servono qualche volta
-per ornamento dei giardini. Aveva i lineamenti
-regolari, la bocca ombrata da una lanugine
-bruna, gli occhi neri di taglio perfetto, ma sempre
-spalancati in un’espressione di meraviglia
-sotto l’arruffio di riccioli neri sfuggenti di sotto
-al <i>foulard</i> rosso, annodato elegantemente sul capo
-come una cuffia. Quel fazzoletto, i cerchiellini
-d’oro alle orecchie e l’abito bianco s’addicevano
-assai al suo genere di bellezza forte, meridionale.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde aveva appena appressato la tazza
-alle labbra, che la Rachelina le irruppe addosso
-strillando perchè era inseguita dal fratellino.
-Ell’ebbe appena il tempo di salvare la tazza
-dal naufragio e accolse la bimba sulle ginocchia.
-</p>
-
-<p>
-— Lascialo venire, ci difenderemo! E si difesero
-infatti con molta agilità e molta gaiezza
-dagli assalti bruschi di Nello, che si vendicò
-della sua disfatta contro un formicaio.
-</p>
-
-<p>
-La fanciulla teneva la testa della bambina
-appoggiata contro il seno rigoglioso, amorosamente,
-e Rachelina si abbandonava tutta, con
-quell’aria di riposo fidente che prendono i bambini
-fra le braccia di chi li ama assai.
-</p>
-
-<p>
-— Sei proprio nata per i ragazzi tu, — osservò
-la signora Giulia.
-</p>
-
-<p>
-— Per quelli degli altri... — aggiunse pungente
-la nonna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ci sono tanti bambini senza mamma, ci
-sarà una mamma senza figliuoli, — rispose subito
-Clotilde, dolce, risoluta.
-</p>
-
-<p>
-La signora Dardanelli, vedendo che la nonna
-faceva il viso arcigno, credette di sviare la tempesta
-chiedendo alla ragazza se non le pareva
-che Rachelina avesse l’aria abbattuta da qualche
-tempo. Clotilde rialzò il viso della bambina
-e le esaminò gli occhi, le gengive, le labbra.
-</p>
-
-<p>
-— È anemìa incipiente — rispose. — Bisogna
-consultare il medico per qualche ricostituente.
-</p>
-
-<p>
-La vecchietta si sfogò con una risatina ironica.
-</p>
-
-<p>
-— Ma e tu che sei una medichessa? Fa
-dunque una ricetta, da brava! Dì dunque qualche
-altra bella parolona.... <i>Anemìa</i>.... <i>incipiente</i>....
-somiglia a un arnese di cucina.... Saranno vermi,
-dia retta a me, Giulia, un po’ di santonina
-o di calomelano e la bimba è bell’e guarita....
-</p>
-
-<p>
-— No, no, — ribattè Clotilde con forza; — sarebbe
-una scimunitaggine.
-</p>
-
-<p>
-— Che? — gridò la signora Rita; — scimunita
-a me? Vergogna! Come vuoi che faccia a stimare
-la tua scienza se non t’insegna neanche
-a rispettare i vecchi? Già tu non hai un briciolo
-di cuore, nè per i tuoi, nè per nessuno...
-sei una saccentuzza arrogante, un’egoista di
-prima riga... — Clotilde pigliò in collo la bimba
-e fece per andarsene.
-</p>
-
-<p>
-— Va, va a stuzzicare anche tuo fratello
-ora! — le strillò dietro la vecchietta in collera,
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-vedendola avviarsi verso il viale che Roberto
-misurava in su e in giù, fumando. — Almeno
-lui lascia in pace! rispetta almeno quel povero
-martire che si scervella per qualche cosa di
-bello e di buono....
-</p>
-
-<p>
-La ragazza sorrise sarcasticamente e si diresse
-verso il cancello d’uscita, perseguitata dalla
-voce stizzosa della nonna, che finiva il suo sfogo
-con la signora Giulia. Sedette sul muricciuolo
-di pietra, al di fuori, stringendosi sempre alla
-bambina, ricacciando con sforzi inauditi le lagrime
-che le empivano gli occhi accecandola.
-Ecco la giustizia del mondo! Lei era una creatura
-indegna, senza cuore, una saccente boriosa,
-disutile e infingarda; e Roberto un martire
-glorioso, lui, che trascinava le giornate intere
-fra il fumo delle sigarette e le fantasticherie
-per concludere con qualche sguaiato verso d’amore,
-o qualche veemente tirata contro tutto e
-contro tutti, senza che si sapesse troppo bene
-il perchè, senza che lo sapesse neanche lui....
-Roberto, che con la scusa d’esser poeta si faceva
-perdonare ogni stravaganza, ogni birbonata,
-ogni indelicatezza; e comandava e s’imponeva
-come un essere superiore, arbitro di tutto e degno
-di adorazione. La nonna lo giudicava una
-cima senza capir molto dei suoi versi e meno
-delle sue prose, condannate tutte, prima di nascere,
-al cestino delle redazioni. Roberto, a sentir
-lei, era un grand’ingegno, un talento disconosciuto;
-già, i grandi uomini hanno cominciato
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-tutti così, poveretti, purtroppo; e qui la
-nonna non mancava mai di tirare in ballo Colombo
-e Galileo, senza che ci avessero troppo
-a che fare, veramente; ma lei non ne conosceva
-altri: e concludeva che se le creazioni di Roberto
-non erano accettate, voleva dire che i
-giornalisti erano ciuchi o invidiosi di lui che
-li metteva in sacco tutti quanti. I versi, oh i
-versi poi erano destinati senza dubbio a mettere
-a soqquadro il mondo...., solamente mancava
-l’editore.... E così a furia di batter questo
-tasto, Roberto, che non era un cretino, cominciava
-a diventarlo, convincendosi che lui solo
-aveva ragione e gli altri tutti torto, e tirava
-via a regalare qua e là ai giornali le sue sgrammaticate
-invettive o le sue insipide pornografie,
-che ognuno si guardava dal mettere alla luce,
-e s’atteggiava di più in più a genio incompreso.
-</p>
-
-<p>
-Ingiustizie! Clotilde baciava sui riccioli la
-bambina, piangendo. Ella, così forte, così padrona
-di sè, aveva di queste debolezze improvvise
-quando le tristezze le venivano da chi avrebbe
-dovuto raddolcirle la via già così scabrosa, già
-così triste. Era dunque una colpa consacrarsi
-ai dolenti? Una colpa seguire quel interno impulso,
-che la sospingeva ogni giorno più, riverente,
-ammirata, verso la scienza, l’iddia severa
-e bella che non abbaglia con promesse vane,
-che conquide lenta, sicura, formidabile?... Una
-colpa rinunziare per il trionfo d’un’idea, forse
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-alla felicità, certo alla pace serena e ridente
-della vita? L’arte, oh! un’egoistica magnificenza
-che fa molti disgraziati; la scienza, una gran
-carità distribuita a tutti gli umani per farli
-meno poveri, meno infelici! Ed era ancora la
-pietà che le traboccava dal cuore.
-</p>
-
-<p>
-Roberto veniva verso il cancello: ella s’asciugò
-gli occhi in fretta, furtivamente, e si
-mise subito a parlare alla bambina sorridendo.
-Il giovine senza curarsi di lei venne a sedersi
-sul muricciuolo di fronte stiracchiandosi i baffetti
-con lo sguardo vago. Il sole, laggiù, all’estrema
-plaga serena, pareva stemperarsi in una
-fulgidezza aurea, incandescente. La nuvolaglia
-bigia si accavallava più in alto, come una rovina
-strana ed enorme di qualche costruzione
-ciclopica; si andava diradando verso levante
-in chiazze dense, fumose, in diafani lembi d’un
-velario fantastico stracciato dal vento, in una
-linea sinuosa e allungata, come di una costa
-lontana, avvolta nelle brume e nel mistero d’un
-paese di leggende e di sogni, popolato di larve.
-Tutto un altro mondo pieno di laghi, di terre,
-di edifici, di mostri, di forme tenui e gentili,
-veduto in miraggio come una gran promessa di
-purezza, di pace, di silenzio, come la visione apocalittica
-d’una patria diafana, destinata ad accogliere
-le anime che volano via dalla terra.
-</p>
-
-<p>
-Nella bianca strada battuta, e di là dalla
-siepe di biancospino, di là dal filare dei pioppi,
-su tutta la pianura vasta che verdeggiava appena,
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-il vespro calava così, con una delicatezza
-muta, soave e triste, opprimendo. La primavera
-ha di questi silenzi eloquenti in cui par
-di sentire il germoglio interno di tutta la vita
-della natura, come si ascolta col volto indifferente
-il fermento di tutte le passioni latenti
-nell’anima. Clotilde calma, quasi sorridente,
-spasimava.
-</p>
-
-<p>
-La Rachelina le scivolò dalle ginocchia e
-scappò. Roberto e lei rimasero soli, muti, assorti;
-seduti, e appoggiati con le spalle ai pilastri
-del cancello. Roberto anzi si era steso
-sul muricciuolo come in un letto, con una
-gamba allungata e l’altra piegata, il sigaro in
-bocca; Clotilde seduta un po’ di traverso, con
-le braccia cadenti, senza atteggiamento alcuno.
-</p>
-
-<p>
-Improvvisamente le prime note d’un coro
-agreste si diffusero sonore. Le parole si perdevano
-così allungate nelle note tenute, lente,
-nelle parti divergenti e fuse in un’armonia
-melanconica e dolce, piena di maestà. Erano
-contadini che tornavano dal lavoro: le donne
-tenevano gli acuti, gli uomini i bassi, e le parti
-s’allontavano adagio, digradando melodiose, per
-riunirsi e risolvere diversamente, come una fuga.
-Un classicismo ingenuo, misto a un non so che
-di languido, di carezzevole; solenne ed umano.
-</p>
-
-<p>
-Roberto si rizzò e tese il braccio accennando
-a sua sorella d’ascoltare. E Clotilde ascoltava,
-immobile.
-</p>
-
-<p>
-La frotta dei contadini passò dinanzi a loro,
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-a piedi nudi, sollevando un po’ di polvere.
-Prime schierate in fila, coi rastrelli sulla spalla,
-le donne, che scorgendo i due giovani ammutolirono
-ridendo e motteggiando fra loro un
-po’ vergognose; poi gli uomini, che continuarono
-a fare i bassi, impassibilmente, levando
-il capo, scamiciati, con la giacca sull’omero. I
-più vecchi invece di cantare dialogavano: qualcuno
-rimasto indietro per accender la pipa,
-raggiungeva correndo i compagni. A venti passi
-dopo il cancello ripresero tutti il coro; Roberto
-ricadde con gli occhi socchiusi, fumando, nella
-sua posa pigra di sognatore — Clotilde si levò
-adagio per seguire ancora i contadini con lo
-sguardo. Repente una soddisfazione, viva come
-una gioia, le aveva alleggerito il cuore. Era la
-coscienza di sentirsi anche lei, come quei suoi
-fratelli, degna del riposo.....
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Il tram si fermò come al solito al cenno di
-Clotilde che aspettava sul cancello, tutta fresca
-nella freschezza stillante del mattino. Ma Aroldo
-non c’era, dovette salire senza che nessuno
-l’aiutasse e sedersi accanto alla ragazza malinconica
-che indovinando qualche tristezza le rivolse
-un’occhiata di simpatia. Il carrozzone si
-mosse fra il cicaleccio della lattivendola e della
-serva del parroco, che pareva un papavero, con
-la sua blusa nuova di mussola rossa a mezze
-<span class="pagenum" id="Page_44">[44]</span>
-lune gialle. Uno dei scolaretti riprese col portalettere
-la discussione un momento interrotta
-sulle collezioni di francobolli; e il vecchio sonnacchioso,
-vedendo Clotilde sola, non pensava
-più a richiudere gli occhi.
-</p>
-
-<p>
-La fanciulla sorpresa, ferita, si richiudeva
-tutta, lei, nell’inquietudine amara che le gravava
-sul cuore. Il suo amico non l’aveva abituata
-a queste assenze, ed ella si trovava a dolersene
-come d’un convegno svanito: e mille
-dubbi la travagliavano. Ammalato? partito? in
-collera? una tortura intima, inesprimibile, nel
-buio, nell’ignoto, a cui si aggiungeva un senso
-doloroso di meraviglia come per un inganno
-immeritato e beffardo. E a poco a poco, continuando
-quella pena opprimente, da quello stupore
-ne nasceva un altro, pauroso e dolce, al
-quale tutte le sue fibre rispondevano con una
-spontaneità ribelle che la sgomentava profondamente.
-Era l’amore dunque? Ma l’amore poteva
-cogliere così all’improvviso, insidiosamente, fra
-un bisticcio e una risata? Oh no, no, non era
-ancora l’amore! Un’amicizia viva, un fascino,
-una consuetudine soave, nient’altro. Oh l’amore
-no! E pareva implorare.
-</p>
-
-<p>
-Il sole le raggiava in volto, mitemente, si
-diffondeva ambrato nell’aria limpida, sulla doppia
-giovinezza della primavera e del mattino,
-chiara, cristallina, odorosa. Clotilde seguiva
-coll’occhio abbagliato il binario che si allungava
-sulla strada bianca, al sole, luccicando. Giammai
-<span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span>
-quella gita le era parsa più lunga, più monotona,
-più triste; giammai aveva sentito come in quell’ora
-l’aridità lugubre dei suoi studi, la solitudine
-della sua vita. Un principio di rivolta fermentava
-in lei e germogliava e minacciava sbocciare
-nella luminosa complicità gaia di quel tripudio
-d’Aprile. Tutto intorno a lei le cantava la
-vita ed essa andava a chiudersi nel melanconico
-asilo della miseria e della morte. Un brivido le
-corse il corpo alla visione delle corsìe bianche,
-nude, silenziose, che l’aspettavano, popolate di
-sofferenze e di severità; al pensiero di andare a
-respirar quell’aura fredda di chiostro che raccoglieva
-l’ultimo soffio dalla bocca dei moribondi,
-che passava carica di lamenti, di spasimi,
-di sospiri, di imprecazioni....... al pensiero
-di tutte le fragilità e le miserie della mirabile
-macchina umana che si disfaceva ogni giorno
-sotto i suoi occhi, che si ricomponeva così a
-fatica, che si rivelava ognora più sotto la sua
-mano, sozza e divina. Membri sanguinolenti,
-faccie livide, muscoli contratti, rossori febbrili
-e pallori di morte passavano in una lucida fantasmagoria,
-come in sogno, ed ella si sentiva
-debole e ripugnante come il primo giorno che
-si recò all’ospedale. Un momento la visione si
-fece così intensa e inesorabile che Clotilde
-presa da una specie di terrore dovè superare
-con uno sforzo di volontà l’istinto di levarsi,
-di scendere, di fuggire attraverso i campi, di
-immergersi nel verde, nella fragranza, d’inebriarsene,
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-per dimenticare. E ancora tornava
-l’immagine di lui. Che bel sogno andarsene
-così, soli, liberi, lungo qualche viottola romita,
-appena chiazzata d’ombra dalle fronde novelle,
-una viottola dai margini fioriti di viole
-e di margheritine, una viottola sconosciuta, tortuosa,
-interminabile, da riempir tutta di dolcezze
-e di sorrisi, che resterebbero dietro di
-loro come se sfogliassero canestri di rose per
-una ridente seminagione di petali. Il viso d’Aroldo
-radioso e gaio come nei bei momenti di
-spensieratezza, in quell’attimo le balenò così
-evidente ch’ella ne ebbe un palpito e un sorriso.
-</p>
-
-<p>
-In capo alla strada si profilava, con le sue
-cupole e le sue torri, la città, rossastra, che
-acquistava una strana tenuità nei vapori del
-mattino. Di là dalle siepi gli orti sfiorivano,
-invasi già da l’uniformità del verde. Un capinero
-nascosto vicino alla siepe gorgheggiava
-forte, melodiosamente. La ragazza malinconica
-raccolse pensosa un fior di pesco che il vento
-le aveva portato in grembo.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde non reggeva più. L’agitazione nervosa
-la invadeva così violenta ch’ella temeva
-di tradirsi. Alla barriera fece fermare e scese
-bruscamente, lasciandosi dietro i commenti delle
-due donne, i sorrisi del portalettere e la curiosità
-del vecchione che si scomodò per seguirla
-con lo sguardo. Entrò sotto i portici dì quella
-via deserta e si mise a camminar lesta per dominarsi,
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-ma giunta al primo palazzo dovè fermarsi,
-impedita da un crocchio di curiosi che
-facevano ala al portone. Una folla signorile
-usciva, le signore a braccio dei cavalieri, frettolose,
-pallide, scomposte, nelle sciarpe e nelle
-pelliccie gettate sull’abito da ballo. Molti equipaggi
-in fila aspettavano, e le carrozze si movevano
-subito dopo il colpo secco degli sportelli
-richiusi fra i complimenti, le celie, i saluti,
-lanciati a voce alta con l’audacia e l’eccitazione,
-che durava ancora, di quella nottata di veglia.
-E le voci rauche e stonate si soverchiavano,
-qualche fiore volava: un bel giovane bruno,
-senza soprabito e senza cappello, con la marsina
-coperta di decorazioni da <i>cotillon</i>, corse per un
-tratto di strada con la mano attaccata allo
-sportello d’un coupé da cui pareva non si sapesse
-staccare; poi rientrando, scherzoso, rubò
-il boa ad una signorina che indugiava sulla
-soglia per raccogliere un lembo strappato del
-suo abito di velo. «È il conte Villi!» si mormorava
-intorno al portone, nel pubblico composto
-in massima parte di serve e di bottegai. Ma
-Clotilde, che non voleva e non poteva mischiarsi
-al crocchio, cercò di farsi largo, e attraversò
-proprio nel momento in cui l’ultimo sciame delle
-signorine si sparpagliava, chiacchierino, gaio,
-in una varietà di veli, di trine, di sciarpe
-tramate d’oro. Ella, passando col suo abito nero,
-severo, chinò il capo come vinta da quel tripudio
-giovanile, da quella stanchezza folle, da
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-quella fatuità brillante che le doveva rimanere
-ignorata sempre. Pure era un’eroina e una
-martire che passava.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-... Andavano soli, liberi, lungo la viottola
-romita, dai margini fioriti di viole e di margheritine,
-appena chiazzata d’ombra dalla frondosità
-novella; una viottola sconosciuta, tortuosa,
-interminabile, che Clotilde aveva veduto, non
-si ricordava dove, forse in sogno. Il mattino
-era tanto puro, ed essi così solleciti, che Aroldo
-le aveva proposto di scendere in città a piedi
-invece d’aspettare il tram; e dopo un bisticcio
-sulla scelta della strada, si erano rappacificati e
-venivano innanzi riuniti, egli col braccio sotto
-quello di lei, confidenzialmente, come due sposi.
-L’anima di Clotilde traboccava d’una dolcezza
-languida, penosa; egli appariva nervosamente
-vivace, e ciarlava esageratamente; pareva che
-il silenzio o un pensiero gli facesse paura.
-</p>
-
-<p>
-— ...... Dicevamo dunque?... ah, che ieri sera,
-stanotte anzi, ho terminato il Minuetto. Sono
-così contento... Sa che mi metterò subito a scrivere
-una Giga?.. Voglio provarmi nella musica
-antica; è una semplicità che riposa da tutto
-quel Wagnerianismo invadente... Dopo scriverò
-una Gavotta, poi forse un tema con variazioni,
-e mi piacerebbe anche un coro a sole voci rincorrentesi
-come un canone perpetuo. Vorrei poi
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-comporre qualchecosa di sacro: un Offertorio,
-un’Ave Maria...
-</p>
-
-<p>
-— Troppa carne al fuoco, troppa.... osservò
-lei tranquilla, seria, crollando il capo. Ed egli
-fece una risatina di fanciullo, stringendole il
-braccio furtivamente:
-</p>
-
-<p>
-— Vedrà, vedrà, sentirà anzi.... Ma già, dimenticavo
-che lei odia la musica. — Che orrore! — E
-si sciolse sdegnosamente.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde lo guardò un po’ sorpresa e si curvò
-a cogliere due violette bianche sul margine del
-fosso. Due o tre raganelle, spaventate, balzarono
-dall’erba nel filo d’acqua luccicante.
-</p>
-
-<p>
-— Fa orrore perfino alle rane.... — osservò
-Aroldo battendosi i piedi con un vincastro. Ma
-Clotilde non era in vena di scherzare e si fermò
-le mammole sul petto, tutta accesa nel volto,
-quasi vergognosa e ferita dall’atto e dalle parole
-d’un momento prima, più di quello che
-egli potesse credere.
-</p>
-
-<p>
-— Io amo i waltzer suonati dagli organetti,
-lo sa, disse poi, levandogli in volto gli occhi
-con uno sforzo di sincerità che si tradiva dal
-rossore insistente. — L’altra musica non la
-capisco tanto; poi ho così rare occasioni di udirne....
-I waltzer suonati dagli organetti mi
-piacciono per quel non so che.... quella specie di
-cascata a intervalli regolari.... come spiegarmi?....
-</p>
-
-<p>
-— Il ritmo, dica il ritmo....
-</p>
-
-<p>
-— Sì, dev’esser così; il ritmo, dunque, che
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-insiste, avvolge, folle e mesto ad un tempo,
-come una tentazione e una preghiera trascinate
-insieme in un’onda di passione; carezzevole e
-perfido, insidioso e vano come tutte le ebbrezze
-che vi fanno riddare fino al cielo e vi abbandonano
-in un cerchio di spuma.
-</p>
-
-<p>
-— E che ne sa lei di ebbrezze? interruppe
-Aroldo con uno de’ suoi scatti quasi brutali
-dopo aver ascoltato quella fanciulla parlare così,
-con crescente meraviglia. — Lei non ha diritto
-di parlare di queste cose...
-</p>
-
-<p>
-— È vero — rispose subito Clotilde francamente,
-ingenuamente; — ma mi pare che debba
-esser così, come ho detto io.
-</p>
-
-<p>
-Aroldo con la sua verga dava delle scudisciate
-alla siepe; i petali del biancospino piovevano
-lievi, odorosi.
-</p>
-
-<p>
-— ...... Però ho avuto torto a parlarne, — insistè
-lei arrestandosi, — ho avuto torto come
-sempre quando parlo di me. Volevo dire solamente
-che i waltzer mi piacciono.... perchè mi
-parlano un linguaggio tutto nuovo che m’affascina
-e m’impaura.... È come uno spiraglio da
-cui mi balena la vita... Oh Dio! — esclamò con
-tutta semplicità; — e avevo detto di non parlare
-di me!
-</p>
-
-<p>
-— Oh ne parli invece, ogni espressione è
-una meraviglia — soggiunse lui con una passione
-dolce, improvvisa. E abbandonandosi all’impulso
-di quel momento le allacciò la vita
-e la baciò sul viso, naturalmente.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’atto era stato così pronto e delicato che
-Clotilde non aveva potuto sottrarsi. Dopo chinò
-il capo e si velò la faccia con umiltà, come
-una colpevole, senza un atto, senza una
-parola. Aroldo aveva ancora passato il braccio
-sotto quello di lei e le parlava sommesso, dolce,
-come se fossero già amanti.
-</p>
-
-<p>
-— Voglio scrivere dei waltzer ora, per te,
-tutti pieni di passione e di languore e di carezze...
-come quelli di Strauss... Poi cercherò
-dei versi malinconici e ardenti e li dirò su
-quella musica, li dirò fin che ti abbiano vinta,
-finchè ti diano l’ali per slanciarti da quello
-spiraglio nella vita. La vita è bella, sai? ed è
-breve; tanto breve, che non c’è tempo di dormire....
-E tu, che vuoi ostinarti nel sonno, sei
-colpevole, Clotilde....
-</p>
-
-<p>
-Ella fece un movimento per sciogliersi da
-lui, ma Aroldo la strinse più forte: — Sei colpevole,
-sì! le gridò rudemente. — L’amore è la
-luce, è l’aria, è la bellezza, è l’anima dell’universo,
-è la parola di Dio e tu neghi tutto questo
-e tu ti seppellisci viva fra l’aridità della scienza
-che atrofizza la tua gioventù, la tua bellezza,
-il tuo cuore, che in cambio del tuo olocausto,
-ti lascierà il vuoto e la tristezza dell’imperscrutabile
-o ti spezzerà l’esistenza così, senza amore...
-Oh vivere senza amore, ma non si può,
-Clotilde, è vano: non senti che è vano, tu che
-parlando del ballo, dianzi, avevi senza volerlo,
-senza saperlo, gli accenti della passione?
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-</p>
-
-<p>
-Clotilde camminava a occhi bassi, tanto pallida
-che pareva livida su quell’abito nero: con
-una ruga verticale sulla fronte, profondissima,
-che la invecchiava. Non trovava parole per rispondere
-e non rispondeva — poi le pareva
-che qualche cosa le gemesse nel cuore sotto
-quel gran giubilo che la staccava dalla terra,
-e la faceva inoltrare macchinalmente, come, abbagliata
-da una gran luce, che le nascondesse
-tutte le cose intorno e le affievolisse stranamente
-anche il suono delle parole che le giungevano
-solamente come una voce, come una melodia
-che l’avviluppava. Oh la dolcezza dolorosa di
-quell’ora, confusa, lieve, fluttuante, piena di
-profumi e di ebbrezze indefinite e inafferrabili
-come quelli di un sogno! Il nuovo perchè
-della vita che la avvolgeva nelle sue spire iridescenti!
-Le nuove speranze e i nuovi orizzonti
-mai conosciuti, eppure non incogniti, che ridevano
-da ogni lato fra i lembi della sua esistenza
-vera che si stracciavano, si sbandavano, si dileguavano
-come la nebbia ad una mite irradiazione
-di sole! La nuova maraviglia che la assaliva — una
-maraviglia soffusa di riverenza
-come dinanzi a un prodigio, come se fosse stata
-trasportata per incantamento in un pianeta
-splendido e ignoto, destinato per la sua patria,
-per la patria di tutti i felici.....
-</p>
-
-<p>
-I due giovani inoltravano per la viottola
-fresca, tortuosa, affondata fra gli alti margini
-dei campi bordati di alberi, come una stradicciuola
-<span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span>
-di montagna. Il verde chiaro e lucente
-delle biade novelle, dell’erba, delle fronde che
-s’intrecciavano, quasi, sul loro capo e frastagliavano
-la via d’ombra e di sole, mettevano
-nella fulgidezza del mattino una velatura di
-smeraldo, mite, un po’ malinconica ma soave,
-come una luce di Purgatorio Dantesco. Il rigagnolo
-scorreva sotto l’erbe, luccicando tra il
-verde e tra i fiori, a pause — un rosignolo
-gorgheggiava forte, gioiosamente, trionfando
-sul pispiglio e sui cinguettii sommessi, lontani
-e vicini di centinaia di uccelli che celebravano
-il maggio. Aroldo continuava a versarle sul
-cuore parole, senza tregua, senza pietà, teneramente.
-</p>
-
-<p>
-— Se tu sapessi da quanto tempo immaginavo,
-sognavo di parlarti così! Ma come farlo
-nella volgarità di quel carrozzone di tram?.....
-Che conoscenza strana la nostra, non è vero?
-C’è tanta poesia e tanto mistero...! Io non so
-nulla della tua famiglia, tu nulla della mia;
-due veri pellegrini che s’incontrano e si riposano
-insieme... ma che non si lascieranno più... — finì
-sottovoce, guardandola amorosamente sul
-viso.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde a capo chino taceva.
-</p>
-
-<p>
-— Debbo dirti una cosa — riprese dopo un
-momento Aroldo con una delle sue ruvidezze
-improvvise. — Io presto, presto, parto, vado lontano....
-in America.... sì, fra due o tre mesi. Ho
-un cugino giornalista, laggiù, che guadagna a
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-cappellate e non fa che invitarmi; mi dà speranza
-di metter in scena la mia opera, e mi
-ha già trovato degli scolari che mi pagheranno
-assai meglio di questi. Ho titubato un poco, poi
-mi sono deciso. O il viaggio e il clima mi uccideranno,
-e allora sarà una cosa spiccia; o mi
-fortificherò....
-</p>
-
-<p>
-Clotilde, sempre in silenzio, con una mossa
-lenta di subita stanchezza, reclinò il capo sulla
-spalla di lui.
-</p>
-
-<p>
-— La libertà.... l’amore.... la felicità, — disse
-Aroldo attirandola a sè. Le parole esalate nell’abbondanza
-del cuore sbocciavano in quella
-solitudine, nell’orezzo verde, come fiori spirituali. — Sarà
-un amore divino il nostro, laggiù,
-e, non aver paura, non muoio io.... Finchè sarai
-con me, tu, così forte, così bella, così buona,
-non morirò.....
-</p>
-
-<p>
-Ella piangeva silenziosamente; piangeva, finalmente!
-col capo appoggiato alla spalla di
-Aroldo, già scheletrita; ed egli la baciava sul
-viso, sul collo, sui capelli, sulle mani, mani
-fredde, inerti.
-</p>
-
-<p>
-— Verrai, verrai.... Non è vero che verrai?
-Sì, lo so, ma dimmelo, voglio sentirmelo dire...
-Clotilde... è una parola così breve... è una parola
-sola....
-</p>
-
-<p>
-Aroldo implorava così, ed ella rimaneva
-nelle sue braccia, sotto i suoi baci, senza forze,
-senza parole, con un gran schianto interno,
-come se il cuore le si torcesse; una sofferenza
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-quasi fisica, orribile, contro la quale si dibatteva
-come se qualcuno glie l’infliggesse. Eppure
-era un lieve sforzo che l’avrebbe liberata, un
-lieve sforzo di volontà, tenue, dolce, oh così
-dolce! verso cui le pareva che tutta la sua vita
-interna s’inchinasse come verso una valle fiorita
-e odorosa veduta giù, all’imo, da una sommità
-brulla e cocente. La sua volontà piegava
-fino a spezzarsi, ma Clotilde sapeva che non si
-spezzerebbe, che si risolleverebbe come una
-molla, scattando. Intanto fra i tormenti di quel
-minuto d’agonia della durata d’un’eternità e
-della brevità d’un sogno, nell’innocente voluttà
-di quell’abbandono lagrimoso, di quei baci
-fraterni, di quella parvenza d’amore, ella assaporò
-tutta la sua parte di gaudio e di vita.
-Quando si riscosse sarebbe stata pronta a morire.
-</p>
-
-<p>
-— Addio — gli disse — non mi domandar
-nulla, io non mi appartengo più.
-</p>
-
-<p>
-Le mani d’Aroldo la ghermirono ai polsi
-come una morsa — ed al contatto di quelle
-dita gracili e nervose ella agghiacciò come se
-uno spettro l’avesse ghermita. Chiuse gli occhi,
-ma aveva già veduto passare in quelli di Aroldo,
-spalancati, stupiti, una luce di follìa.
-</p>
-
-<p>
-— No? — no? — no? — Fra lo smarrimento
-di tutto il suo essere, questa parola breve, soffocata,
-le piombava ad intervalli nel cervello,
-nel cuore, come i colpi di una mazza destinati
-ad ucciderla. Non aveva più lena. Le dita
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-d’Aroldo si rilasciarono dopo un silenzio pauroso.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene vattene, — le disse con la voce
-che tremava. — Non dirò una parola di preghiera;
-non la meriti, non hai cuore, sei già una
-scienziata egoista e fredda, incapace d’uno slancio,
-d’un sentimento. Vattene.... addio.... ma
-bada: se violenti te stessa, se respingi l’amore
-che Dio comanda, offendi Dio e la natura: il
-fuoco sacro non si lascia spegnere senza sacrilegio,
-bada!
-</p>
-
-<p>
-Clotilde si strinse la testa fra le mani colpita
-da una sola parola: Non ho cuore, non ho
-cuore... — mormorò quasi inconsciamente. — Oh
-Dio, anche lui... Sarà vero dunque?... Non so
-amare... non ho cuore... — E si mise a correre,
-a correre come una pazza, giù per la viottola
-verde e romita. Dietro di sè udiva confusamente
-la voce di Aroldo che diceva ancora qualche
-cosa, poi uno scoppio di tosse, ed ella correva
-sempre e quella tosse dietro di lei s’affievoliva,
-ma continuava, continuava....
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Clotilde si trovò, quasi senza accorgersene,
-sotto il loggiato che girava intorno al cortile
-interno dell’ospedale, spazioso, freddo, in cui
-mormorava una fontana fra un gruppo di pini.
-Due uomini, reggenti una barella coperta, sparivano
-per una porticina; i carri mortuari,
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-sempre pronti, attendevano. Apparirono una
-suora e un infermiere con le braccia cariche di
-biancheria; la suora, passando oltre in fretta,
-salutò la fanciulla. Dallo scalone di marmo
-intanto scendeva gente chiacchierando: erano il
-professore e gli studenti che venivano nell’anfiteatro
-per la lezione. Ella si riunì ad essi
-entrando; la Ginoli le sorrise con un cenno;
-Serralta, il gobbino, le si accostò annunziandole
-sottovoce che finalmente avevano un bel
-caso di <i>ipertrofia</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ma gli infermieri avevano appena recato il
-letticciuolo su cui posava l’ammalato, che Clotilde
-svenne.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-..... Finalmente la sera, finalmente sola! Ella
-si richiuse nella sua cameretta con una specie
-di esultanza triste, di voluttà dolorosa, sperando
-un conforto dalla solitudine, nell’ombra. Andò
-a sedersi automaticamente, per consuetudine,
-dinanzi al suo tavolino di studio tra le due
-finestre, e rimase così, con le mani inerti in
-grembo e gli occhi chiusi. Ma il conforto non
-veniva. Anzi il suo pensiero, più libero in quel
-vuoto, s’indugiava più a lungo e più profondamente
-sugli avvenimenti della giornata. La
-viottola verde, certi effetti di luce, i profumi,
-i cinguettii, le tornavano in mente con un’evidenza
-così lucida e acuta da farla trasalire; e
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-la voce di lui, udita a lungo in quella quiete
-dirle cose sì insolitamente dolci e paurose, le
-risuonava dentro stranamente, come se con le
-sue parole avesse bevuto il suo spirito, e lo tenesse,
-ora, imprigionato nel cuore, di dove continuasse
-a parlarle soavemente o rudemente,
-spossandola. Si sentiva ancora tentata di domandare
-pietà.
-</p>
-
-<p>
-Nella pace delle cose, tutt’intorno, le giungeva
-continuo e monotono il gracidar delle rane
-dagli stagni, laggiù; poi il festoso schioccar
-della frusta di qualche carrettiere lontano; poi
-il rosignolo che lanciò qualche nota nell’ombra
-e tacque subito, come se qualcuno l’avesse interrotto.
-Clotilde sentiva accrescersi sull’anima
-l’affanno opprimente, quasi sinistro: e non poteva
-scuotersi, nè piangere che qualche lagrima,
-rada, dagli occhi ardenti. Pure dentro di sè
-gemeva, piangeva, si ribellava a quell’amarezza
-invadente che si addensava come se la seppellisse
-giù nel buio d’una tomba. Si sciolse gli
-abiti e andò a sedersi a piè del letto, appoggiando
-la fronte sulle coltri fresche e bianche
-da cui le venne un vago senso di sollievo, e la
-memoria confusa d’una notte insonne per la
-vibrazione dei nervi troppo eccitati dal lavoro
-e da visioni dolorose. Quella notte, si ricordava,
-l’immagine di lui le aveva blandito i terrori,
-calmato i tumulti, le aveva dato il sonno e un
-fragrante sogno d’amore. Ora quella figura
-s’ergeva minacciosa, terribile, nella sua forza
-<span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span>
-di malato, di moribondo, di cui lei accelerava
-la fine, che aveva forse già ucciso, là, sull’erba,
-fra due colpi di tosse e uno sbocco di sangue....
-Un gelo la paralizzò e s’aggrappò alle
-coltri come presa dalle vertigini. Senza cuore!
-senza cuore dunque! Eppure tutta la sua vita
-non era che abnegazione e pietà. E si uccideva,
-e uccideva....
-</p>
-
-<p>
-La disperazione le diede una forza quasi
-selvaggia. Ebbene, sì, avanti ancora, ad ogni
-costo — malgrado la tortura, malgrado la morte.
-Non si vince senza lotta, e non si diserta
-senza vigliaccheria. Seguendo il suo impulso
-di compassione verso quell’uno, ella seguiva
-l’amore, ella sostava in un’oasi refrigerante e
-queta, mentre un popolo di sofferenti errava nel
-deserto ardente, lei aspettando. No, essa non si
-apparteneva più, non poteva più disporre del
-suo cuore; il suo cuore era di tutti gl’infelici,
-di tutti i malati, di tutti i dolenti; non poteva
-defraudar tutti a vantaggio di quell’uno...... La
-melanconica pace dell’invincibile aleggiò infine
-sull’animo suo. Il dolore andava spegnendosi
-dalla forte volontà, dalla grandiosità del suo
-bel sogno umanitario; rimaneva il rammarico,
-luttuoso, profondo, dell’infelicità altrui; la tristezza
-di questo accumularsi di crucci intorno
-a sè, proveniente da lei, involontariamente, inevitabilmente,
-come per un’influenza maligna;
-rimaneva la titubanza e il desiderio ardente del
-neofita nell’ultima lotta che precede il martirio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-</p>
-
-<p>
-In questo rilasciarsi delle sofferenze e dei
-dubbi che l’avevano travagliata, visioni tenui,
-antiche, della sua vita di studiosa le balenarono
-alla mente e si dilatarono come ripigliando il
-loro posto in lei, come immigrando da paesi
-lontani in cui fossero state esiliate da un usurpatore,
-ingiustamente. Rientravano a stuoli, le
-visioni antiche, buone, a ripopolare il suo cuore
-dopo l’uragano. Era la parola d’un maestro venerato
-e prediletto che aveva schiuso nuovi
-orizzonti; era il ricordo d’una difficoltà vinta,
-d’uno studio finito, d’un progresso, d’un
-trionfo dell’intelletto, d’una vittoria della scienza,
-d’una fratellanza simpatica e gaia e gentile;
-poi la falange delle speranze baldanzose, sante
-di pietà amorosa, che alleviavano la grave fatica
-e precedevano sicure quella gioventù nella lizza
-severa. E i bambini, tutti i bambini che aveva
-veduto languire malati o correre sani; tutti
-i bambini che conosceva e che immaginava;
-il suo minuscolo popolo di clienti avvenire, a
-cui lei avrebbe ridonato il vigore e la vita, si
-affollò nella sua mente inondandola di purezza,
-di pace; un mare di piccole teste, una selva di
-piccoli mani tese verso di lei, imploranti, fidenti,
-accennanti; e lei, simile alla buona Fata, inoltrava
-beneficando fra le giovani vite che sbocciavano
-come asfodeli al suo passaggio, mentre
-le madri da lungi mandavano un’armonia di
-benedizioni.
-</p>
-
-<p>
-... Clotilde, affranta, si addormentò così, sulla
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-sponda del suo letto, ninnata da tutta l’infanzia
-del mondo, come dagli angeli.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Era il luglio, afoso. Clotilde da quel giorno
-memorando aveva deciso di non riveder Aroldo
-mai più; e per non incontrarsi con lui, scendeva
-in città col primo tram e aspettava l’ora della
-lezione in casa della Ginoli. Infatti non si erano
-più trovati; ella lo aveva però riveduto un
-giorno, di lontano, sulla porta d’una birreria fra
-un gruppo d’amici. Rideva forte, chiassando.
-Clotilde ne aveva provato un’amarezza somma;
-poi, mano mano che quel giorno si allontanava,
-un sollievo sempre crescente, come se le avessero
-tolto un rimorso. Oramai era in pace. Le
-pareva che qualchecosa finalmente si fosse addormentato
-in lei, forse per sempre, e ne risentiva
-un riposo mesto, infinito.
-</p>
-
-<p>
-Dopo gli esami aveva continuato a studiare
-assiduamente nella tranquillità ombrosa della
-villetta, tanto più che la nonna le lasciava, insolitamente,
-un po’ di tregua. Al riaprirsi dei
-corsi, sarebbe entrata in quinto anno, nel penultimo
-anno di studi. Sarebbe ammessa alla
-Clinica regolarmente, avrebbe potuto formare
-le diagnosi, eseguire qualche operazione elementare
-e le varie medicazioni negli Ambulatorii;
-le avrebbero affidato qualche malato, le
-avrebbero lasciata più libertà d’andare, di studiare;
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-avrebbe così cominciato a sentire la responsabilità,
-le soddisfazioni del suo ministero;
-avrebbe potuto agire, cimentarsi, misurare
-le forze del suo ingegno, dei suoi studi, della
-sua volontà; cominciare ad occuparsi specialmente
-del suo ramo di medicina prescelto: la
-cura delle malattie delle donne e dei bambini,
-per i quali sfogliava già da tempo dei grossi
-volumi di Pediatria. E qui la realtà sfumava
-nel sogno. Se fosse stata ricca a milioni avrebbe
-voluto inaugurare un grandioso ospedale per
-i bambini e per le loro madri, un ospedale
-tutto bianco di marmi e di cortinaggi, luminoso
-di sole, ridente di fiori: tutto scale, terrazze,
-fontane e giardini, sontuoso e romito come
-un’antica villa papale. Ma ahimè, non era
-ricca, e aveva dovuto ridurre il suo sogno a
-proporzioni più modeste per sperare di vederlo
-avverato. Lei, la Ginoli e Serralta, il gobbino,
-pensavano già sul serio a comperare qualche
-casamento del sobborgo, isolato e non discosto
-dalla città, per ridurlo ad ospedale infantile.
-Essi ne avrebbero la direzione, terminati i loro
-studi, e gli darebbero un indirizzo eminentemente
-moderno, occupandosi più dell’igiene
-che della cura, più dei preservativi che dei rimedi.
-Ci sarebbe anche una sezione per le
-donne, in un angolo appartato e tranquillo, dove
-tanta femminilità timida e sofferente potrebbe
-nascondersi fiduciosa e serena di sapersi affidata
-a mani sorelle. Tutto un rinascere di speranze,
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-un germogliare di forze, un trionfo della vita
-fra gli effluvi dei fiori e delle benedizioni. Oh
-il bel sogno! Clotilde non poteva più passare
-una volta dinanzi al casamento adocchiato senza
-risentire un certo palpito, un certo rispetto
-per quel futuro santuario della scienza, in cui
-sapeva che rassicurerebbe tante madri nient’altro
-che con un sorriso e un bacio sui capelli
-delle loro creature; sorriso e bacio provenienti
-da un cuor di donna, in cui vigila la tenerezza
-materna, anche quando dorme la maternità.
-</p>
-
-<p>
-Ancora due anni di tirocinio penoso, poi la
-libertà di beneficare, di amare, di profondere i
-suoi tesori di carità. Clotilde ci pensava quella
-notte buia, affannosa; appoggiata ad una finestra
-spalancata della sua camera mentre la nonna
-dormiva. Non l’avrebbe abbandonata, la nonna,
-oh no: e se Roberto non ne avesse voluto sapere,
-avrebbe presa con sè la povera vecchina
-in una bella camera allegra del suo ospedale a
-raccontar le fiabe ai bambini.
-</p>
-
-<p>
-Pensò un momento a suo fratello che viaggiava:
-in cerca di un editore, diceva lui, e affermava
-la nonna. Ma Clotilde sapeva bene che
-si dimenticherebbe dell’editore alla prima stazione
-balneare. Non sarebbe la prima volta, e
-la nonna continuava a illudersi e Roberto a
-sbizzarrirsi, scusato, protetto. Pure non lo invidiava
-e non avrebbe dato, per un mese di
-quegli ozî gaudenti, neanche una delle sue giornate
-laboriose, così rapide, così feconde; che
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-malgrado la sua naturale semplicità la facevano
-avvedere d’acquistare una superiorità sempre
-crescente, un’indulgenza sempre più serena.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde leggeva un articolo in un giornale
-letterario che le aveva prestato Serralta. I suoi
-studi faticosi le facevano ricercare la cultura del
-bello come un riposo. Leggeva accanto alla finestra,
-alla luce della lucernina posata sul tavolino.
-La notte era scura, opprimente, greve;
-neanche uno spiro d’aria; la fanciulla soffocava
-anche così, un po’ discinta nella sua blusa
-di mussolina blu, tutta increspata, che lasciava
-indovinare solamente le forme bellissime del
-suo corpo; il nodo dei suoi capelli, fermati dal
-pugnaletto d’argento, si allentava; tutta la
-sua persona aveva quell’aspetto di languore
-molle che danno le sere d’estate molto calde,
-tutte piene d’insidie e di viltà. Clotilde s’era
-appoggiata al davanzale. Il giardinetto s’addensava
-nell’ombra; all’orizzonte i baleni si seguivano
-a pause come guizzi convulsi, le rane
-gracidavano forte, alla distesa, implacabilmente.
-La ragazza aguzzava lo sguardo per
-penetrare l’ombra, laggiù, poichè le era parso
-che qualcuno o qualcosa vagolasse nel giardino.
-Ma la sua miopia le nascondeva ogni cosa e
-quelle rane assordanti le impedivano di ascoltare.
-Sporgendosi con un movimento brusco le
-scivolò giù il giornale.
-</p>
-
-<p>
-«Benissimo,» pensò; «almeno ci fosse
-qualcuno davvero per rendermelo». E rimase
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-ancora qualche tempo, spiando attenta, immobile.
-Ma non intravide più nulla. «Saranno le
-ombre dei miei occhi,» concluse. E si dispose
-a scendere per raccattare il giornale, poichè
-ell’era molto gelosa della roba che non le apparteneva.
-</p>
-
-<p>
-Accese la candela, traversò la stanza che
-divideva la sua dalla camera di suo fratello,
-ora vuota; scese le scale adagio, chetamente. Le
-faceva impressione di errare a quell’ora nella
-casa buia e silenziosa; e, coi nervi e la fantasia
-eccitati dal lavoro intellettuale, s’immaginò
-un momento di recarsi a un convegno furtivo.
-Allora il cuore le battè come se fosse vero, e
-ne sorrise, da sè, nell’ombra. Poi, una tristezza
-improvvisa le piombò sull’anima e l’immagine
-di Aroldo, in quell’attimo di spontaneità che
-non ebbe il tempo di domare, le apparve con
-un rimpianto. Inoltrò, sgomenta, come le accadeva
-sempre ogni volta che i sensi la soverchiavano
-all’improvviso — posò il lume per
-terra nella saletta d’ingresso e aperse l’uscio
-che metteva in giardino, chiuso diligentemente
-dalla nonna nella sua ultima ronda. Era agitata,
-nervosa; intuiva vagamente un pericolo — non
-sapeva quale, nè perchè. Scese lo scalino di
-pietra con precauzione poichè non ci vedeva
-affatto, e fece qualche passo verso la finestra
-della sua camera. Di colpo si sentì ghermire
-da due braccia robuste e un fiato ansante le
-alitò sul viso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Ah, lo sapevo! — mormorò lei col cuore
-tumultuante per l’emozione inattesa e pur preveduta; — Aroldo!
-</p>
-
-<p>
-Ma poi dopo quel momento di silenzio rabbrividì.
-Aveva indovinato, più che intraveduto,
-l’avvocato Dardanelli.
-</p>
-
-<p>
-— Clotilde.... Clotilde.... — mormorava la sua
-voce che a quell’ora e nel buio assumeva un’intonazione
-strana; — non ne posso più, Clotilde...
-da due ore sono qui a misurare quella finestra...
-volevo salire.... io sono pazzo, Clotilde....
-</p>
-
-<p>
-La fanciulla istintivamente cercò di svincolarsi,
-ma quelle braccia erano di ferro; ella
-ebbe allora la rapida percezione che lo smarrimento
-e la paura l’avrebbero perduta. Con un
-atto della sua forte volontà rispose calma, irrigidendosi: — Via
-mi lasci, è un cattivo scherzo...
-M’ha fatto avere uno spavento terribile;
-mi lasci, mi fa male a stringermi così...
-</p>
-
-<p>
-Ma egli la serrava più forte, inebriato di
-quella giovinezza opulenta che sentiva contro
-il suo corpo.
-</p>
-
-<p>
-— Mi lasci, — disse ancora Clotilde irata,
-puntellando le mani contro le spalle di lui e
-arrovesciandosi per allontanarsi da quel viso,
-per sottrarsi a quei baci; — mi lasci o grido!
-</p>
-
-<p>
-La sua calma fittizia era sparita: oramai
-non si dominava più, si dibatteva furiosamente,
-disperatamente, mentre egli la trascinava
-stringendola come fra una morsa, mormorando
-incoerenti parole di tenerezza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Grido, grido.... — minacciava lei, con la
-voce strozzata dall’angoscia, quasi piangendo.
-</p>
-
-<p>
-E l’uomo cercava di farla tacere, di calmarla
-coi suoi baci impuri, e continuava a stringerla,
-a trascinarla... Clotilde non aveva più forze per
-lottare, ma la sua ira cresceva dalla sua debolezza.
-</p>
-
-<p>
-— Vile!... infame!... — esclamò, e gli sputò
-sul viso. Poi esasperata si strappò il pugnaletto
-dai capelli e glielo conficcò a più riprese in un
-braccio finchè le braccia si allentarono.
-</p>
-
-<p>
-Un lamento, un rantolo di rabbia, d’agonìa,
-chissà? la seguirono nella sua corsa rapida
-verso la casa dove giunse ed entrò e richiuse
-l’uscio, proprio mentre Dardanelli che la rincorreva,
-vi appoggiava le braccia nerborute per
-forzarlo, per ripigliarla ancora. Clotilde lo udì
-tempestare di pugni la fragile barriera, bestemmiando,
-con una voce che non aveva più nulla
-d’umano.
-</p>
-
-<p>
-Ella si lasciò cadere su una sedia semisvenuta,
-atterrita, esausta. Un rombare di tuono
-che crebbe e scoppiò in un fragore di fulmine
-soverchiò ogni rumore. Il temporale s’annunziava.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-— Signora dottoressa, — disse il giorno dopo
-la nonna a Clotilde quando furono sedute a tavola, — c’è
-un ferito da curare. Cerchi di guarirlo
-bene, le faranno poi i sonetti...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma siccome la ragazza, un po’ pallida, s’affrettava
-a inghiottire una dopo l’altra le cucchiaiate
-della minestra scottante, per evitare di rispondere,
-la signora Rita smise quel tono sardonico
-e disse naturalmente:
-</p>
-
-<p>
-— Davvero, sai, l’avvocato Dardanelli s’è
-ferito a un braccio. Me lo ha detto la Giulia
-poco fa. Stamattina s’era levato molto presto
-per lavorare in giardino, e nel rialzare i rami
-del gelsomino è caduto dalla scala a piuoli e
-s’è stracciato manica e carne contro i chiodi
-del muro. Sua moglie era tutta nervosa pensando
-al pericolo.... Se si fosse trovata presente,
-quella cadeva in convulsioni....
-</p>
-
-<p>
-Clotilde respinse la scodella vuota e disse
-ad occhi bassi:
-</p>
-
-<p>
-— Spero che l’avvocato non mi aspetterà
-per curarsi....
-</p>
-
-<p>
-— Pare di sì, — continuò la nonna, — giacchè
-non ha voluto chiamare il dottore. Fra lui
-e sua moglie hanno fasciato il braccio.... Dardanelli
-seguita a dire che è una cosa da nulla...
-Però gli è venuta la febbre.
-</p>
-
-<p>
-Clotilde era stata assalita da un dubbio repente,
-angoscioso. Dov’era il suo pugnaletto
-d’argento? se lo avessero trovato in giardino,
-insanguinato.... Lo aveva gettato via o no? Non
-se ne rammentava.
-</p>
-
-<p>
-— Non ci mancava che questa, povera gente;
-continuò la signora Rita trinciando il lesso. — Ce
-n’era d’avanzo della bambina malata... ha
-<span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span>
-un febbrone, povera creatura.... ma già quando
-l’incomincia a dar dietro non si finisce più.
-Poi, già, la civetta s’è fermata due notti, due
-notti in fila, capisci? a cantare sulla finestra...
-me lo raccontava la Giulia.... S’ha un bel dire
-che sono scempiaggini, ma poi i fatti.... E tu
-hai sentito che temporale, stanotte? Che tuoni
-e che lampi.... Gesummaria, pareva il finimondo...
-Poi ha durato tutta notte a piovere... Bada
-qui, Clotilde, ohi a che pensi? è un ora che ti
-stendo il piatto....
-</p>
-
-<p>
-La ragazza si scosse arrossendo; levò i tondi,
-ne rimise, si prese il lesso, ma non potè
-mangiare. Quel pensiero la torturava. E dovette
-rimanersene cheta fino al termine del desinare,
-ascoltando le ciarle della nonna che di quando
-in quando la pungeva col sarcasmo o col dispetto.
-Allorchè le fu possibile d’uscire, barcollava.
-</p>
-
-<p>
-Trovò il pugnaletto sotto i rami spezzati
-d’un geranio. Il vento e la pioggia avevano
-pestato le aiuole a segno che non era possibile
-scorgervi traccia di passaggio o di lotta; pure
-ella si sentì mancare scorgendo luccicare il suo
-gingillo fra la terra umida, in quel luogo. E
-come le accadeva sempre, il contraccolpo dell’emozione
-la terrorizzava. Lo raccolse con uno
-sforzo della sua volontà avvezza a superare le
-ripugnanze insuperabili, ma sentiva che se
-vi avesse trovato traccia di sangue non sarebbe
-più stata padrona di se. Nulla, invece. La tenue
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-arma lavata dalla pioggia era forbita, riscintillante
-al sole. Clotilde salì in fretta nella
-sua camera e lo gettò sul cassettone come se le
-scottasse le mani, poi si abbandonò sul letto,
-bocconi, con le tempie, il cuore, le arterie tutte
-che le pulsavano violentemente.
-</p>
-
-<p>
-Si rialzò soltanto quando udì qualcuno bussare
-all’uscio e chiamarla angosciosamente. Andò
-ad aprire intontita, come balzata dal sonno.
-Vide la signora Giulia piangente, pallida, scarmigliata,
-senza lena.
-</p>
-
-<p>
-— La mia bambina muore! Clotilde, presto,
-aiuto, oh Dio, la mia bambina muore, aiuto!...
-</p>
-
-<p>
-Fu come il bicchier d’acqua che dissipa i
-fumi dell’ebbrezza. Clotilde si riprese in un
-attimo — Andiamo, andiamo — rispose energica,
-pronta, risoluta; e si mise a correre tenendo
-per mano la signora Giulia che si lasciava trascinare,
-spiegandosi fra i singhiozzi, a stento:
-</p>
-
-<p>
-— Il dottore non si trova... al solito... e la
-bambina si soffoca... Eppure ieri pareva nulla,
-ti ricordi? un po’ di febbre.... ma ora sta male...
-oh male... Ah, Vergine Maria, ascoltatemi,
-voi che siete madre...
-</p>
-
-<p>
-Clotilde traversò il giardino sempre correndo
-e trascinando sempre l’altra ansante, lagrimosa.
-Traversarono così anche la strada maestra
-e giunsero quasi subito al casinetto dei
-Dardanelli, a due passi. Solamente varcando la
-soglia ella si risovvenne del padre, ma il pensiero
-che le attraversò la mente non la fece
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-esitare. Entrò, salì le scale e in un baleno fu
-nella camera dove la bambina rantolava.
-</p>
-
-<p>
-Dardanelli era là, presso la culla, tutto sbiancato.
-Essa agghiacciò scorgendolo. La signora
-Giulia si abbandonò sul petto di suo marito: — Enrico,
-coraggio.... c’è qui la Clotilde.... ce
-la salverà, lei....
-</p>
-
-<p>
-Clotilde aveva spalancato la finestra e rialzato
-i cortinaggi della culla. Al solo vedere
-i lineamenti contratti della piccina capì. — Ah!
-la difterite... — disse dolorosamente nella sua
-inesperienza morale di neo-medichessa, e si
-strinse le mani alle tempie concentrando il pensiero
-con uno sforzo inaudito, in quel tumulto
-di sensazioni in cui pareva che il suo cervello
-riddasse. Poi la fermezza vinse. Volle ricordarsi....
-si ricordava di una lezione del professore...
-della narrazione d’un caso consimile....
-dell’eroismo d’un giovine medico, come lei ardente
-di carità....
-</p>
-
-<p>
-— Presto, presto, una cànnula, — comandò; — una
-piccola cànnula purchessia, vuota, resistente...
-ma presto! — E mentre gli altri si affrettavano
-per la camera in disordine e per la
-casa, ella prese la bambina, la portò davanti ad
-una finestra, l’arrovesciò sulle sue ginocchia,
-le aperse la bocca.... Le membrane bianche si
-dilatavano sulla gola, maligne, tremende....
-</p>
-
-<p>
-— Ah, ma presto — ella gridava ancora, ansiosa,
-quando la signora Giulia le tendeva già una
-piccola canna che serviva per le loro bibite in
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-gelo, l’estate. E Clotilde, semplicemente, eroicamente,
-mentre gli altri tenevano la povera
-creatura che si dibatteva, le applicò la cànnula
-in gola aspirando forte con la bocca, a parecchie
-riprese e sputando mano mano delle chiazze
-bianche sul pavimento; ricominciando finchè
-la bambina potè respirare e piangere.
-</p>
-
-<p>
-— Ecco, — disse dopo, livida come una moribonda, — mentre
-si stringeva al seno la bambina
-e l’avvocato e sua moglie non potevano
-che piangere — la Rachelina per questa volta
-è salvata. Però non bisogna indugiare a chiamare
-il medico per il resto della cura... io non
-posso assumerne la responsabilità. Chiamate De
-Carli; è uno specialista.
-</p>
-
-<p>
-La signora Giulia scivolò per terra in deliquio
-baciandole le mani. Dardanelli rimasto immobile,
-ginocchioni sul tappeto, piangeva sempre,
-senza ritegno, silenziosamente, senza più
-curarsi di celare la sua debolezza. Clotilde pallidissima
-ma sicura e calma rimise in letto la
-Rachelina, le prestò ancora alcune cure suggerendo
-nel medesimo tempo alla serva smarrita
-i soccorsi per la sua padrona. E quando la signora
-Giulia inerte, fu adagiata sul largo letto
-matrimoniale e la serva fu uscita in cerca di
-qualche cosa, Dardanelli si trascinò in ginocchio
-vicino a Clotilde curva sulla culla; ella
-voltandosi lo vide così, ai suoi piedi, gemente,
-umiliato, implorante.
-</p>
-
-<p>
-— Mi perdona? balbettava: Clotilde, mi perdona?
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-lei è una santa, oh mi perdoni!.... in
-nome di quell’innocente che le deve la vita
-mi perdoni!....
-</p>
-
-<p>
-Ma Clotilde si scostò con ribrezzo, raccogliendo
-le vesti perchè non la toccasse. — No, — proruppe
-brusca, altera, — mi ha fatto troppo
-soffrire; non posso, se ne vada....
-</p>
-
-<p>
-E siccome lui continuava a supplicare, a invocare,
-ella lo respinse adirata: — Vada!, — esclamò
-vada piuttosto a cercare un medico per la
-sua bambina... S’alzi, vada... vada! — ripetè con
-la voce smorzata, in un impeto di collera che
-nell’agitazione di tutto il suo essere fra tante
-diverse emozioni, minacciava di crescere fino al
-parossismo, fino alla follìa....
-</p>
-
-<p>
-.... E invece la sua eccitazione si rilasciò subitamente,
-come la vela sgonfiata da una tregua
-di vento. Una strana stanchezza la invase, un’indifferenza
-somma per tutte le cose.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene sì, le perdono... — sussurrò pallida,
-debole, vinta — le perdono...
-</p>
-
-<p>
-Ella sapeva che non uscirebbe di là che per
-porsi in letto e morire.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Le imposte erano spalancate al vespro tranquillo,
-aurato. Un raggio del sole occiduo entrava
-dalla finestra di ponente, lumeggiava un
-angolo del tavolino ingombro di libri e lambiva
-la parete dirimpetto, grigia a mazzi di rose. Il
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-letto, nel fondo, era vuoto, senza guanciali e
-senza coltri, con le materasse abballinate come
-dopo una partenza; nell’aria vagava ancora
-un odor d’etere misto ad incenso, soverchiati
-ambedue dall’odor acre dei disinfettanti. Sul
-tavolino da notte era rimasto un bicchier d’acqua,
-un piccolo termometro misuratore della
-febbre, e uno strumento chirurgico che aveva
-servito per la tracheotomìa. Sul cassettone due
-o tre forcelline di tartaruga, lo stiletto d’argento
-col motto cavalleresco: «<i>Non ti fidar di me se
-il cor ti manca</i>», e la cintura di nastro nero:
-appesa all’attaccapanni la blusa di mussola blu
-che serbava tuttora l’impronta molle d’un corpo.
-Dalle finestre aperte veniva un gracidare
-di rane e lo stridere dei grilli, poi le tende
-alte e lievi come ali, gonfiate da un soffio improvviso
-di brezza uscirono fra le persiane e
-palpitarono, in alto, come se volassero via.
-</p>
-
-<p>
-In quel punto se n’andava dal giardino una
-bara infiorata fra il biancheggiar delle cappe e
-le fiammelle rosse, irrequiete, dei ceri. Siccome
-i preti non avevano ancora incominciato a salmodiare,
-s’udiva lontanamente sulla via maestra
-un organetto suonare un waltzer.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-</p>
-
-<h2 id="romanze">Romanze senza parole</h2>
-</div>
-
-<h3>RESURREZIONE</h3>
-
-<p>
-Quand’egli non annunziato, non aspettato,
-sollevò adagio, da sè, l’arazzo che nascondeva
-la porta del bizzarro salotto, ella era seduta
-nella solita poltrona sotto la finestra e leggeva.
-L’altissimo schienale della sedia rivolto contro
-l’uscio l’avrebbe tutta nascosta, s’essa non
-avesse tenuto la persona inclinata un po’ a destra,
-verso il bracciuolo, a cui appoggiava il
-gomito reggendosi la testa con la mano, nell’atteggiamento
-antico della meditazione e del
-sogno. Era vestita come sempre di bianco, e
-di lei non emergeva che l’estremità dell’òmero,
-il braccio piegato, lo squisito contorno della
-testa bionda acconciata con una treccia scendente,
-piegata a metà e ricondotta sulla nuca.
-La sala tutta parata di vecchio damasco bruno,
-dai mobili di querce angolosi, artistici, colossali,
-nello stile del trecento, era in un’ombra
-fresca e severa di chiesa, mantenuta dalle vetrate
-di piccoli cristalli ottangolari legati di
-piombo, che chiudevano due delle grandi finestre
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-ogivali; la terza finestra, a cui ella leggeva,
-lasciava entrare dallo spiraglio delle vetrate
-socchiuse un filo di luce più viva che le
-sfiorava i capelli, faceva sorridere un ramoscello
-di biancospino nell’anfora poco discosto
-e animava un grande affresco di Giotto sotto
-il quale stava un organo da sala. Da un anno
-nulla era mutato nel vasto salotto. Pareva che
-tutto quel tempo non fosse passato; che l’estate
-non lo avesse infiammato del suo soffio di
-passione, che l’autunno non lo avesse desolato
-col suo pianto, che l’inverno non lo avesse
-intirizzito col suo gelo. Eternamente l’incipiente
-primavera; eternamente i biancospini e
-le mammole profumavano l’ombra refrigerante,
-misticamente obliosa; eternamente lei, bianca
-e mite al solito posto, leggendo.
-</p>
-
-<p>
-Era immobile e vaghissima come una figura
-dipinta. Quanto tempo resterebbe così? come
-sussulterebbe, come volgerebbe il capo, che direbbe
-udendo la nota voce mormorare il suo
-nome dolcemente, semplicemente, dietro l’alta
-poltrona? Allora il libro le cadrebbe ai piedi;
-ma un altro volume si riaprirebbe alla pagina
-dove fu abbandonato... ahimè all’ultima pagina:
-quella che non ha che una parola: Fine.
-</p>
-
-<p>
-Rileggerlo dunque... E che avrebbe potuto
-dir loro di più soave di quello che aveva già
-detto? Che avrebbe cantato di più folle di
-quello che aveva già cantato? Che avrebbe lagrimato
-di più doloroso di quelle lagrime già
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-piante? Tutto si rinnovella, anche l’amore;
-ma nulla rinasce, neanche l’amore. I fiori
-di questa primavera non sono più quelli dell’altra
-primavera morta; le farfalle che ripetono
-sulle ali velate i medesimi geroglifici
-come una lingua perduta nei secoli che nessuno
-più intende, non sono più le stesse farfalle;
-l’onda che è giunta affannosamente a
-baciare la spiaggia prima di svanire, non la
-ribacia una seconda volta, in tutta l’eternità.
-Però le cose belle e fragili che non potevano
-durare, che non hanno durato, che raggiarono
-e disparvero, non precipitano nel cieco infinito,
-ma salgono, salgono, salgono a rivivere più
-fulgidamente, più durevolmente nell’esistenza
-spirituale del sogno; mentre le altre, quelle
-che si poterono afferrare, quelle che rimasero,
-si corrompono e si sfasciano miserevolmente
-per vecchiezza. Nella vita o nel sogno. Egli
-aveva un’anima di poeta e disse: Nel sogno.
-</p>
-
-<p>
-Ella stava immobile sempre come una figura
-dipinta. Immota e tranquilla e ignara dell’attimo
-solenne che passava; nessun presentimento,
-nessuna voce, nulla. Forse il suo spirito
-s’era involato e non rimaneva che il delicato
-involucro candido in quella oscura severità.
-Egli prese lentamente le due rose gemelle che
-s’inaridivano sul suo petto e le gettò ai piedi
-di lei come su una tomba. Poi fuggì.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-</p>
-
-<h2 id="natale">Natale Romantico</h2>
-</div>
-
-<p>
-Nella chiesetta del convento si celebravano
-le tre Messe di Natale. L’altar maggiore si
-ergeva nel fondo fra i rossi panneggiamenti di
-velluto, i veli cerulei e i galloni d’argento, illuminato
-dai ceri digradanti in una triplice
-schiera di fiammelle, coperto di lini e di merletti
-su cui scintillavano gli arredi sacri tra le
-palme di rose. Sulla gradinata nascosta dal tappeto,
-i sacerdoti s’inchinavano nelle gialle stole
-gemmate: fra la nebulosa profumata dell’incenso:
-una visione magnifica, che lasciava ancor
-più buia e nuda e povera la piccola chiesa
-in cui i soggoli e le bende delle monache impallidivano
-lontane, confusamente, come una
-coorte di larve. Giù per le navate solitarie interdette
-ai profani, l’organo versava torrenti
-sonori di melodie; ora formidabili come il clamore
-delle trombe d’una legione d’arcangeli
-giustizieri; ora dolcissimi, mormoranti appena,
-come in un sogno celestiale; ora appassionati
-e numerosi come mille e mille voci assurgenti
-e rincorrentesi nel delirio di un’estasi divina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-</p>
-
-<p>
-Un poco in disparte, sotto la lampada accesa
-all’altare semibuio di Michele arcangelo,
-era prostrata suor Raffaella — la povera monachina
-malata e bizzarra, a cui si perdonava
-tutto, ora che doveva morire. La mattina stessa
-aveva sputato sangue di nuovo, e tutto il
-giorno era rimasta a letto per obbedienza — ma
-la sera non le avevano impedito di levarsi
-e scendere in chiesa per assistere alle tre messe
-della mezzanotte, le tre messe del Natale.
-</p>
-
-<p>
-Stava prostrata immobilmente sul duro inginocchiatoio
-di legno, con la faccia tra le mani
-gialle e scheletrite. E non aveva pregato, nè
-meditato, nè pianto. Aspettava con l’anima sospesa,
-l’invocato, dolcissimo prodigio. Oh Dio
-non l’avrebbe lasciata morire così, senza concederle
-di rivedere una volta il suo amore! poichè
-ella non domandava che di rivederlo un
-attimo, chinargli il capo sul petto e morire.
-Chi sà, chi sà! Forse non era caduto a Dogali,
-forse s’erano ingannati scrivendo il suo nome
-nel lugubre elenco, e bisognava cercarlo ancora,
-cercarlo invece fra i prigionieri delle tribù selvaggie,
-in qualche recesso ignoto della maligna
-terra dalle paurose leggende. Oh non poteva
-esser morto, lui! così ardito, così giovane, così
-forte, amato così!... E se era proprio morto, ebbene,
-lo rivedrebbe per miracolo; credeva piuttosto
-a questo che alla certezza di non ritrovarlo
-mai più.
-</p>
-
-<p>
-Erano anni che aspettava quel momento; anni!
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-</p>
-
-<p>
-Da principio l’attesa placida, sicura, olimpica,
-coll’anima stemperata quasi in un immenso
-<i>nirvâna</i>; poi un periodo inquieto, dubitante,
-angoscioso, tremendo, a cui aveva seguito
-quell’attesa febbrile, inverosimile, ostinata,
-di ogni ora, di ogni minuto del giorno e
-della notte; un’attesa così intensa, nel fervido
-desiderare, che la sua vitalità vi si struggeva
-come in un crogiuolo ardente.... ed era la
-morte: essa lo sapeva, lo sentiva, pur non tentando
-di lottare: abbandonandosi anzi, quasi
-lieta di morire.
-</p>
-
-<p>
-Però quella notte uno spiro novo e fresco
-di speranza la vivificava. Era la notte di Natale,
-la notte santa delle mistiche corrispondenze
-tra la terra ed il cielo. Gli angeli, quella
-notte, in infinite e diafane spire allacciano
-i mondi, osannando al Messia nell’immensità
-che si riempie di parvenze radiose e di musica.
-Forse Iddio aveva scelto quella notte luminosa
-per compiere il miracolo, per renderle il suo
-amore.
-</p>
-
-<p>
-La seconda messa giunse a metà. Da piè
-dell’altare evaporò più densa e più odorosa la
-nube d’incenso; le campane in alto dindondavano
-solenni e gaiamente pie; dall’organo si
-effondeva sommessamente la cantilena agreste
-delle zampogne, la pastorale, semplice e sublime
-serenata della notte meravigliosa. E quella
-nenia ripetuta, ripetuta, ripetuta, nel ritmo ingenuo
-e amoroso di una ninna-nanna, blandiva
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-i suoi tumulti, la cullava, la addormentava.
-Non aveva più senso di nulla.
-</p>
-
-<p>
-Ma quando sentì toccarsi lievemente sull’omero,
-scattò. No... non era ancora lui; era
-suor’Rosalia, la buona giovine novizia, impensierita
-della sua immobilità.
-</p>
-
-<p>
-— Si sente male, suor’Raffaella?
-</p>
-
-<p>
-Ella la fissò con gli occhi spalancati e non
-rispose. L’altra, appagata di saperla ancor viva,
-si rimise a pregare.
-</p>
-
-<p>
-Suor’Raffaella volse lentamente il viso aguzzo,
-che aveva una strana espressione di stupore,
-verso l’immagine dell’Arcangelo Michele
-che cacciava con la spada fiammeggiante gli
-angeli decaduti; e i suoi occhi neri e ardenti
-s’affisarono lungamente sull’immagine sacra
-che la lampadina faceva appena emerger
-dall’ombra.
-</p>
-
-<p>
-— Suor’Raffaella è devota di san Michele — dicevano
-le suore. Infatti era sempre là
-che s’inginocchiava, là che pregava e piangeva,
-quando poteva ancora piangere e pregare.
-La gentile e balda figura del biondo spirito
-cavaliere le ricordava il suo amore, fior di gentilezza
-e tempra d’eroe; così lo prediligeva e
-si prostrava a’ suoi piedi umilmente anche ora,
-quasi soggiogata da quell’energìa celeste....
-o vinta dalla languida dolcezza d’un sogno.
-</p>
-
-<p>
-Questa volta lo affisò a lungo, intensamente,
-come se avesse dovuto stare un pezzo prima
-di rivederlo: poi reclinò ancora il capo fra le
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-palme, esausta. Sentiva mancarsi il respiro e la
-vita; le voci dell’organo le ululavano confusamente
-negli orecchi, come il frastuono di un
-uragano; quelle campane alte e lontane le davano
-le vertigini; i vapori dell’incenso la
-soffocavano. Credette di morire, e la prese un
-folle desiderio d’aria, di libertà, di vita. Quelle
-campane insistenti, festose nell’altezza fredda
-e pura, le parlavano, la chiamavano, la volevano,
-l’attraevano irresistibilmente, la suggestionavano.
-Smemorata, quasi folle, staccò il rosario dal
-fianco, il rosario che sapeva le strette convulse
-delle esili dita che lo afferravano di notte sotto il
-capezzale o lo avvoltolavano con una monotonìa
-disperata nelle lunghe ore delle giornate vuote e
-silenti, e lo depose sugli scalini dell’altare; poi si
-alzò lieve e quasi incorporea, come un’ombra, e
-dileguò dalla porticina accanto all’altare, che
-conduceva al corridoio. Di là si saliva pure
-al campanile; l’uscio era aperto ed ella salì.
-Le campane con le loro vibrazioni sonore la volevano;
-lassù era l’aria, l’esultanza, la vita.
-Suor’Raffaella cominciò a salire la stretta scala
-a spirale reggendosi al muro, al buio, a tentoni,
-faticosamente; il respiro le diveniva ancor
-più difficile; la scala tortuosa e ripida le esauriva
-le ultime forze. Un’oppressione vaga incombeva
-su lei, un’oppressione che avanzando
-divenne un incubo, un terrore per quelle
-tenebre ignote e continue addensate nell’angusto
-spazio. La scala seguiva non mai interrotta,
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-e nessun spiraglio, nessun lume; un’oscurità
-pesante di tomba. E ancora scalini e scalini
-ascendenti in una spira diabolica, interminabile.
-La testa le riddava vorticosamente, il
-suo respiro era un rantolo. Saliva, incontrando
-sempre nuovi gradini sotto il piede, incespicando,
-cadendo, rialzandosi, delirando, immaginandosi
-di uscire da un abisso sterminatamente
-profondo, di esser condannata a roteare
-così, innalzandosi nel buio, per l’eternità;
-sbarrando gli occhi, avidi d’un punto luminoso;
-spalancando la bocca, anelante di un soffio
-d’aria viva. Infine sostò, incapace di proseguire
-o di retrocedere, e s’abbandonò sugli scalini,
-sospesa in quel foro nero, fra due abissi....
-</p>
-
-<p>
-Ma le campane la chiamavano, la volevano,
-le campane rimbombanti sonore e vicine,
-alle cui vibrazioni quel fragile edifizio pareva
-oscillare. E suor’Raffaella si levò, galvanizzata,
-e cominciò l’orribile ascensione brancicando
-nelle tenebre, oramai inconscia di sè, cieca, pazza,
-morente...
-</p>
-
-<p>
-Improvvisamente, a uno svolto, un rettangolo
-di blanda luce argentina le s’aprì dinanzi ed
-essa si slanciò. Era l’uscio che dava sulla stretta
-terrazza circolare, a pochi metri dalle campane.
-L’aria pungente e mossa l’avvolse tosto
-in una gelida carezza che la rimescolò bruscamente.
-Le parve di svegliarsi da un sogno atroce;
-battè le palpebre e sorrise. Era l’aria,
-la libertà, la vita. Laggiù, laggiù, tutto intorno
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-la pianura immensa, morbidamente bianca di neve
-sotto il vasto plenilunio. Alberi, case, strade,
-apparivano vaghi e indistinti a quell’altezza:
-non rimaneva che la pianura giù, all’imo,
-candidissima, e sul suo capo l’etere terso, profondo,
-gemmato, in cui le pareva d’essere librata
-meravigliosamente. Libera, sola, sullo
-stretto spazio di quel pinnacolo eccelso, penetrata
-dalla magica nebulosa d’argento fluttuante
-nello spazio, si sentiva ingigantire smisuratamente
-e sprigionare dal suo involucro materiale,
-per trasformarsi in una parvenza luminosa
-e fantastica, dileguantesi nell’infinito con le
-vibrazioni di quelle campane rombanti accanto
-a lei che si slanciavano nel vuoto, gioiosamente.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente non si ricordava più! non viveva
-più! non soffriva più! Era guarita. S’era
-immersa nell’altezza serena e fredda, come in
-un queto Lète dolcissimo e oblioso. L’immagine
-fascinatrice, abbarbicata da tanti anni al
-suo cuore con una tenacità così ardente da assorbirne
-la vita, l’immagine che l’inseguiva
-traverso le ore dell’occupazione, della preghiera,
-della meditazione, del riposo; nella veglia,
-traverso le lunghe notti invernali; nei sogni,
-in cui guizzava come uno sguardo, come una
-voce, come una parola; l’inebriante e fallace
-parvenza che la uccideva di desiderio cocente,
-l’aveva lasciata; era svanita; aveva dilagato
-nell’estasi di quell’ora vaga, fantastica,
-divina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-</p>
-
-<p>
-Poi il candore vastissimo, lo spazio infinito
-l’assorbirono interamente; si sentiva già
-pronta a librarsi, lieve e immateriale e vaporosa
-come un’angelica forma; si sapeva coronata
-di stelle rifulgenti; sorrise. Sorrise alle
-campane che continuavano a slanciarsi folli,
-sonanti, mentre lei si puntellava al parapetto,
-salendovi faticosamente in ginocchio, rimanendovi
-un attimo, per slanciarsi anche
-lei nel vuoto bianco e luminoso e profondo,
-nel plenilunio sacro.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-</p>
-
-<h2 id="classico">Natale classico</h2>
-</div>
-
-<p>
-Alle due estremità della tavola, che era tutta
-un candore rilucente di cristalli e di argenteria,
-sedevano i padroni di casa. Lui, un vecchio
-generale in ritiro, un po’ arrustichito dalla sordità;
-con un torace di Ercole e due occhietti
-chiari e placidi, affondati fra la rubiconda grassezza
-del viso e le folte sopraciglia: Lei, che
-della sua altera bellezza, quasi celebre, serbava
-ancora la figura giovanilmente snella e una certa
-espressione di superiorità, che il profilo dantesco
-e la durezza dello sguardo accentuavano.
-Pareva nata per agire e per comandare; infatti,
-per il prestigio della sua bellezza, e più per una
-tenacità di volere logica e calcolatrice, aveva
-sempre menato tutti per il naso, cominciando
-dal generale che si credeva un tiranno.
-</p>
-
-<p>
-Povero generale! una buonissima pasta d’uomo
-e, malgrado i suoi settant’anni (anzi forse
-per questo), innamorato dell’ideale come uno
-scolaretto. La sua soddisfazione per quel pranzo
-di famiglia, a Natale, era profonda, sincera. Certe
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-consuetudini tradizionali, certe solennità, le osservava
-e le rispettava come i suoi obblighi di
-cittadino e di soldato, ma con una dose maggiore
-d’entusiasmo e di convinzione, che le coloriva
-e le innalzava al grado di veri avvenimenti
-desiderati. I natalizî, gli onomastici, l’anniversario
-del suo matrimonio, Pasqua, Capo
-d’anno, Natale, costituivano per lui tante piccole
-oasi in cui pigliava fiato prima di rimettersi
-in via, scacciando, dimenticando, allontanando
-olimpicamente in quei giorni ogni preoccupazione
-molesta, ogni pensiero cruccioso. Ma
-il Natale era la solennità che preferiva, la solennità
-classica per eccellenza, che ogni anno
-gli faceva rovistare nel bagagliume delle memorie
-per arrivare a concludere con la narrazione
-di qualche episodio tragi-comico avvenuto
-proprio a lui e proprio per la sua ferma volontà
-di venirsene a Natale nel suo paese per mangiarvi,
-da buon ambrosiano, il tacchino e il panettone,
-e scaldarsi al ceppo tradizionale che
-doveva rimanere acceso fino alla mattina.
-</p>
-
-<p>
-Sua moglie, donna Laura, da persona intelligente,
-aveva sempre rispettato quei gusti e
-quelle consuetudini, senza rinunziare però a discorrerne
-con quella cert’aria di compatimento
-che doveva mantenerla sul suo piedestallo. Per
-lei il Natale non era che un pretesto per affermare
-solennemente, almeno una volta all’anno,
-la sua autocrazia che non cedeva nè ai tempi,
-nè ai costumi. Se non era più possibile la famiglia
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-patriarcale come ella aveva vagheggiato
-per alimentare le sue aspirazioni feudali, rimanesse
-almeno l’obbligo di quel pranzo di Natale
-che raccoglieva tutti intorno a lei come un
-tacito omaggio alla sua autorità. Ciò che sarebbe
-riuscito ad ogni altra naturale e gradito,
-costituiva per lei, quasi unicamente, una soddisfazione
-d’orgoglio. C’erano tutti intorno alla
-mensa: suo figlio, lo stimato e noto giornalista
-dai capelli già grigi, coi bimbi e la governante
-inglese; la nuora, una bruna vivace e
-astuta dagli occhietti di cingallegra; sua figlia
-Marta, una creatura bizzarra, un po’ esile, fumatrice
-arrabbiata di sigarette, e suo genero,
-alto e grosso e brutto come l’Orco; infine l’altra
-figliuola giovinetta, sgusciata appena dalle
-mani dell’istitutrice. Poi i parenti più lontani,
-quelli che formavano il maggior ornamento al
-carro di donna Laura: una cugina vedova che
-veniva ogni anno da Firenze, splendida figura
-di Giunone, dai movimenti bruschi, ridanciana,
-provocante; un nipote ufficiale arrivato da Massaua,
-la vigilia, per quel famoso pranzo di Natale,
-e il figliuolo di un’amica morta, considerato
-oramai come un parente: il conte Silvestri,
-uno scavezzacollo e poeta per giunta.
-</p>
-
-<p>
-Donna Laura, naturalmente, dirigeva la conversazione
-anche a pranzo, intavolava i discorsi,
-lasciava cadere quelli che non le garbavano,
-ne troncava anche certi altri, risolutamente, qualche
-volta con un sol gesto o con uno sguardo
-<span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span>
-insistente de’ suoi freddi occhi grigi. Quella
-sera però le sue armi cominciavano a spuntarsi
-contro quelle dell’ufficialetto, che tirava via a
-dialogare sotto voce colla sua bella vicina, la
-vedova, il cui florido busto si torceva per le
-risate frequenti, mentre gli occhi di lui luccicavano,
-fissi su quella nuca fresca e bianca che
-l’abito un po’ scollato scopriva. Il generale, col
-tovagliolo al collo, parlava poco e mangiava assai,
-occhieggiando spesso e volentieri verso la
-formosa vedovella e sorridendo del suo riso
-senza capir nulla; gli altri non badavano a loro.
-Ma, oltre gli occhi severi di donna Laura e quelli
-avidi del generale, altri due occhi spiavano, invidi
-e penetranti, quelli di Alda, un po’ troppo
-fredda e distratta alla mensa di Natale.
-</p>
-
-<p>
-— Si può sapere a che pensi, Alda? — ammonì
-con la sua consueta terribile freddezza
-donna Laura, vedendo che dimenticava perfino
-di incrociar le posate sul tondo; e la fanciulla
-arrossì voltando il viso verso il Baby, occupandosi
--di lui per disimpegno. Un viso intelligente
-e simpatico, un tranquillo viso di donnina che
-un neo sulla guancia abbelliva.
-</p>
-
-<p>
-— .... sapete che cosa mi ha risposto? — continuava
-la voce aspra di Marta che si tagliava
-un’altra fetta di panettone: — «padronissima
-di andare; a una commedia di quel genere io
-non vengo!» E gli altri ridevano tutti, meno
-sua madre.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! proprio così? — fece il conte-poeta
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-stiracchiandosi i baffetti biondi un po’ soprapensieri.
-</p>
-
-<p>
-— Precise parole, ve lo assicuro. — Marta
-scrollava le briciole di panettone dall’elegante
-abito a ricami di passamanteria che le vestiva
-la figura svelta, nascondendole il collo troppo
-lungo. — Precise parole. E un’aria scandalizzata!...
-Credo che mi leverà il saluto...
-</p>
-
-<p>
-— È una cretina, — dichiarò placidamente
-l’Orco.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, no, è furba! — corresse la brunetta con
-un movimento affermativo del capo e quello
-sguardo artificiosamente candido che la rendeva
-così graziosa.
-</p>
-
-<p>
-— Oh infine poi, — entrò a dire donna Laura
-con calma, autorevole, — ognuno è padrone
-di condursi come meglio crede; rispettiamo le
-opinioni. Se quella commedia urtava le sue convinzioni
-religiose o morali, ha fatto bene a non
-intervenirvi. Aggiungete poi che con questa
-sconfinata libertà, che ora informa l’arte e la
-vita, nulla di più facile che passare dalla leggerezza
-alla sconvenienza... — finì voltando il
-viso aggrinzito e incorniciato dai capelli grigi,
-arricciati, verso la vedova e l’ufficiale che non
-se ne davano per inteso.
-</p>
-
-<p>
-— Non lo credete? non lo credete? — mormorava
-sottovoce lui, infervorato, col viso acceso. — Gabriella!...
-scettica... cattiva...
-</p>
-
-<p>
-— Baie... — rispondeva lei col suo spiccato
-accento fiorentino, scrollando, le spalle opulente
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-e chinando il capo per osservare con gli occhi
-miopi le cifre del tovagliolo; — baie, caro mio... — E
-la signorina Alda daccapo a guardare fissamente,
-lungamente, con una costanza e un
-ardire quasi disperato, il cugino ufficiale. Baby,
-trovandosi trascurato, la scotè violentemente per
-un braccio, rovesciando nell’atto un bicchiere
-di vino.
-</p>
-
-<p>
-— Ma quei bambini... sono d’un’indisciplinatezza... — cominciò
-donna Laura, rivolta a sua
-nuora, che fulminò con un’occhiata la governante,
-la quale a sua volta, col viso di fuoco,
-rimproverò in inglese il bambino.
-</p>
-
-<p>
-La governante era una ragazza florida e
-bionda, nè brutta nè bella, impassibile e muta
-sempre, persino negli occhi, che pareva non avessero
-pensiero. Eppure il malestro di Baby
-l’aveva richiamata alla realtà di lungi, oh di
-lungi assai, dalle nebbie nordiche fra cui intravedeva
-un ramo di pino inghirlandato di
-lampioncini rossi, e molti visi noti e cari, e un
-bisbiglio di voci, nel linguaggio della sua infanzia,
-ripetere con un buon sorriso: <i>A happy
-Christmas, my dear!</i>
-</p>
-
-<p>
-— Uh! se potessi andarmene prima di mezzanotte
-senza che mamma se ne offendesse.... — pensava
-il figlio giornalista, mettendo un
-chicco di zucchero nella sua tazzina di caffè, in
-aria meditabonda.
-</p>
-
-<p>
-— Come lo chiamate questo profumo? — grugnì
-il generale, annusando l’aria verso la
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-vedova che lo guardò un momento senza rispondere
-e poi disse: — Eliotropio! — voltandosi
-ad ammonire il suo turbolento compagno
-che le bisbigliava qualche cosa all’orecchio.
-</p>
-
-<p>
-— Non sarà sempre Natale... — rifletteva
-fra sè per consolarsi, Alda, col cuore stretto da
-uno sconforto senza fine. Poi pensava che passato
-Natale anche lui se ne sarebbe andato, e
-il buio e il silenzio avrebbero soffocato il suo
-bel sogno. Allora si contentava di soffrire.
-</p>
-
-<p>
-Mentre donna Laura dava dei consigli a sua
-nuora sul mezzo migliore per conservar fragrante
-il thè, il generale aveva trovato modo d’attaccare
-col conte Silvestri il suo discorso favorito:
-</p>
-
-<p>
-— Un natale senza neve! ma che vuoi? non
-mi pare neanche Natale... Ci vuol la neve alta
-mezzo metro... allora si gode il ceppo. Mi ricordo
-che nel sessantadue... Ma a proposito. — ripigliò
-come chi non vuol differire una questione
-importante, — a proposito, Laura, chi sta
-di guardia stanotte al ceppo? hai stabilito?
-</p>
-
-<p>
-— Ma chi vorrà! — rispose donna Laura
-un po’ seccata d’essere interrotta nei suoi ammaestramenti
-domestici; e se nessuno vorrà,
-il servitore....
-</p>
-
-<p>
-— Ci sto io! — vociò con energia l’ufficialetto
-e, chi sà perchè? gli occhi gli brillarono
-come se avesse trovato la soluzione di qualche
-difficile problema.
-</p>
-
-<p>
-— Ebbene, ci starai tu, — replicò tranquilla
-la padrona di casa, che riprese a sua nuora il
-<span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span>
-discorso dianzi interrotto. Gli altri guardarono
-tutti, discretamente meravigliati, dalla parte
-dell’ufficiale: il giornalista ebbe un sorriso maligno
-che trattenne subito. Alda impallidì.
-</p>
-
-<p>
-— Bravo, bravo, — approvò il generale. — Pare
-che il ceppo di casa Arnaldi sia destinato
-ad avere un servizio d’onore in tutte le regole.
-Fino a tre anni fa non ho ceduto a nessuno
-questo incarico... ed ora son contento che mi
-sostituisca un altro figlio dell’esercito. Anche
-l’anno scorso, mi pare...
-</p>
-
-<p>
-— No, l’anno scorso toccò a Silvestri; non
-è vero, Silvestri? — chiese Marta, accendendo
-la seconda sigaretta.
-</p>
-
-<p>
-— Chi? io? che cosa? — interrogò costui,
-cadendo dalle nuvole.
-</p>
-
-<p>
-— Ma questi poeti! — esclamò allargando
-le braccia il generale, sfiduciatamente. — Che
-cosa maturavi, si può sapere? un sonetto o un’ode
-barbara?
-</p>
-
-<p>
-— Un’elegìa, — mormorò quel monello di
-Silvestri, scambiando sottocchi uno sguardo d’intelligenza
-coll’Orco che sorrise.
-</p>
-
-<p>
-— Un elegìa?... — ripetè il generale che non
-aveva capito niente, e tornò a centellinare il
-suo caffè.
-</p>
-
-<p>
-La bella vedova pareva finalmente decisa a
-finirla col suo vicino, discorreva con l’uno o
-con l’altro animatamente: l’ufficialino intanto
-fumava con un’aria ingiustificabilmente radiosa.
-Gabriella parlava a donna Laura e alla brunetta
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-di un abito, con quel suo fare risoluto, quei movimenti
-bruschi che facevano scricchiare il
-suo corsetto attilato di seta.
-</p>
-
-<p>
-— È inutile; non mi va, non mi va... con un
-personale come il mio, un colore simile...
-</p>
-
-<p>
-— <i>Fraise écrasée</i>... — disse in tono conciliativo
-l’elegante brunetta, che negli atti misurati,
-nella voce gentile, nella figura svelta dalle
-molli curve, era tutta l’essenza della femminilità.
-</p>
-
-<p>
-— Ma convinciti, Gabriella, che non si può
-lasciar pieni poteri alle sarte, — sentenziò donna
-Laura, seguendo coll’occhio indagatore Alda
-che, dopo averne chiesto il permesso, si era accostata
-al caminetto.
-</p>
-
-<p>
-Un camino all’antica, di pietra, che dava
-sempre un’impressione gelida con la sua impellicciatura
-di marmo bianco che non si riscaldava
-mai. Il ceppo fiammeggiava e crepitava
-gaiamente. Alda, col visetto serio, lumeggiato
-dai riflessi rossi, osservava gli ondeggiamenti
-leggieri delle vampe sul fondo fuligginoso.
-Presto donna Laura si alzò e gli altri la
-imitarono. Vennero tutti intorno al fuoco, meno
-il generale che sonnecchiava col tovagliolo
-al collo, dondolando il capo.
-</p>
-
-<p>
-— Ora si farà il <i>grand bézigue</i>, e alle undici
-il <i>thè</i>, — annunziò donna Laura, mentre la governante
-si ritirava coi bambini. E il giornalista,
-che aveva azzardato una sbirciatina all’orologio,
-se lo lasciò quasi sfuggir di mano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Uff quella cambiale! che incubo... — pensava
-intanto Silvestri, ricaduto nelle sue meditazioni. — E
-Wera che si ostinava ad aspettarmi...
-Certo non la passerò liscia... Maledetto
-pranzo...!
-</p>
-
-<p>
-— .... Eppure in queste circostanze fa piacere
-offrire una famiglia a chi non l’ha, — osservò
-soddisfatta la padrona di casa, parlando di Silvestri
-con sua cugina. — La riconoscenza rassoda
-l’amicizia....
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-La sala da pranzo era deserta da più di
-un’ora. Suonò il tocco. L’ufficiale aveva abbassato
-il gas e si era adagiato nella poltrona
-dello zio accanto al camino. Lo confortava la
-compagnia di qualche eccellente bottiglia e di
-un’appetitosa cenetta, messa là dal generale per
-alimentare la sua veglia. Nella penombra, con
-la gran tavola coperta dell’oscuro tappeto, la
-stanza appariva più vasta e più triste: il ceppo
-scoppiettava languidamente, proiettando bagliori
-purpurei e oscillanti sulle gambe di una sedia
-poco discosta e sul lembo cenerognolo dei calzoni
-dell’ufficiale. Le tende degli usci e delle
-finestre, tutte abbassate, ricascavano in fitte pieghe
-mantenendo un gradito tepore e il gran
-silenzio della casa addormentata. Il giovine, affondato
-nell’ampia poltrona che aveva la spalliera
-contro la porta, era pallido e nervoso, e
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-pareva rimuginare un pensiero con ostinata intensità,
-mentre fissava, senza vederle, le maioliche
-biancheggianti in una rastrelliera che occupava
-tutta la parete di contro.
-</p>
-
-<p>
-Rimase così a lungo, trasalendo però ad ogni
-menomo rumore, andando perfino a sollevare
-adagio la portiera dell’uscio di anticamera....
-Si avrebbe scommesso che aspettava qualcuno.
-</p>
-
-<p>
-— Grullo a chi ci crede, — concluse poi
-dopo un ultimo giro di ricognizione, ricascando
-nella poltrona; e con un breve gesto dispettoso
-strappò una nappina.
-</p>
-
-<p>
-In quel punto avvertì dietro di se un lieve
-fruscio e un sottile profumo di Eliotropio...
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-</p>
-
-<h2 id="bambini">Il poema dei bambini</h2>
-</div>
-
-<h3>FANTASIA.</h3>
-
-<p>
-Il libro è aperto e attende. Un gran libro
-niveo dalle pagine orlate di raggi. Ma chi lo
-scriverà il poema immacolato? Qual mano sarà
-così lieve e qual fantasia così alata per fissarlo
-in tutta la sua indeterminatezza misteriosa e
-divina?... La mano di un angelo, forse, e la
-fantasia d’una fata; le due figure vaporose fra
-cui si snoda l’innocente spira delle piccole
-anime che ingentiliscono il mondo. L’angelo,
-che veglia alto e fulgente a capo d’ogni culla,
-come sulla prora della navicella dantesca, potrebbe
-cantarci, forse, dei paesi dove vagano
-gli spiriti dei bambini addormentati sotto le
-cupole di trina o sotto gli scialli sdrusciti; ci
-dipingerebbe il paradiso che sognano, pieno di
-testine alate e di bambini morti che hanno
-portato fra le nuvole le loro bambole e i loro
-burattini, e danzano intorno ad un eterno Albero
-di Natale, e giocano con un Dio bambino
-come loro. Potrebbe rivelarci che cosa pensano
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-quando esultano ad uno splendore o piangono
-ad una musica; quando rimangono assorti
-nella contemplazione d’un fiore e d’un viso;
-che avvertimenti ci danno quando la loro piccola
-mano ci avvince e ci trae; quando ci domandano
-una carezza e ci negano un bacio.
-L’angelo, forse, ci direbbe chi insegna loro a
-consolar così bene senza parlare, a persuadere,
-a riunire, a redimere, solo con la freschezza
-delle loro bocche, con l’espressione inconscia
-del loro sguardo, col profumo de’ loro riccioli,
-con la pace del loro respiro. Ci direbbe, l’angelo,
-come sanno certe parole così efficaci, così
-immaginose, così solenni, così tremende... ci
-narrerebbe le tristezze dei piccoli infermi, le
-malinconie degli abbandonati, le tentazioni dei
-vagabondi, gli odî degli oppressi, i rancori dei
-posposti: tutte le loro lotte, le loro vittorie, i
-loro martirii, i loro spaventi, i loro dolori, i
-loro palpiti, tutta la loro vita intima così pura,
-così vergine, su cui aleggia ancora l’alito di
-Dio! la loro vita che qualche volta non è che
-una breve sosta fra due voli — e l’angelo
-dalle grandi ali lo sa, egli che veglia sulle
-culle ridenti, sulle bare ornate come trionfi,
-sulle tombe infiorate e incise di nomi brevi
-che non hanno passato.
-</p>
-
-<p>
-E la fata, la bella fata dall’abito di broccato
-e dalla corona di regina verso cui salgono
-le invocazioni, i sospiri, i desiderî di tutta l’umanità
-minuscola che s’agita nei palazzi e nei
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-tugurî, sa bene, lei, gl’ideali infantili! A lei,
-la loro Musa, i bambini confidano i sogni di gloria
-e di felicità; lei aspettano centinaia e centinaia
-di scarpette fra gli alari di bronzo dorato,
-sotto le cappe gigantesche dei vecchi
-camini, nel povero focolare, accanto agli sportelli
-delle stufe, vicino alle bocche dei caloriferi,
-ad ogni varco del labirinto buio e misterioso
-e fantastico per cui sanno che Ella peregrina
-la notte dell’Epifania. Lei sperano i
-piccoli cenciosi rannicchiati, intirizziti e digiuni;
-i duchini, che hanno sorpresa la mamma
-a piangere fra i cuscini di raso; le bambine
-timide e sensibili, che si nascondono per pregare
-ginocchioni e affratellano la sua immagine
-all’immagine di Maria. La bella fata potrebbe
-ridirci gli sgomenti paurosi, i terrori di tante
-testine cacciate sotto le coltri per non veder
-giganteggiare l’Orco o il Lupo Manaro nell’ombra;
-i desiderî fervidi di galoppare sui cavalli
-di legno verso le plaghe incantate dai castelli
-di diamante e dalle arancie d’oro, le visioni
-di paesi della cuccagna, dalle case di confetti
-e dai mobili di cioccolata, dove i bambini non
-studiano, dove le mamme non sgridano; dove
-Cappuccetto rosso, Puccettino, Cenerentola, la
-Bella, si rincorrono in un gran prato fra tutti
-i giocattoli del mondo. E additandoci il
-suo gaio corteggio di gnomi, di burattini, di
-spauracchi, di falconieri, di geni, ci spiegherebbe,
-lei, perchè i bambini sono così adorabilmente
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-grotteschi qualche volta, così comici,
-così iperbolici, così eleganti, così sovrumani.
-Ci direbbe, lei, il segreto della fantasia infantile,
-ingegnosa, gentile, che alimenta qualche
-volta il primo germoglio d’un fiore divino.
-</p>
-
-<p>
-All’angelo e alla fata dunque, ad essi che
-sanno, il tracciare l’immacolato poema. E nei
-margini alluminati con le sfumature più ridenti,
-con le luminosità più gioconde, le figurine infantili
-lo ravviveranno. Tutti i bambini: dalle
-testoline idealmente bionde dei <i>baby</i> nordici,
-ai musetti sudici degli spazzacamini, dai piccoli
-chinesi tutti goffaggine, giù giù sino ai
-corpicini agili e nudi dei bronzei marmocchi
-africani; tutti i bambini, di tutte le classi,
-di tutte le età, di tutti i tipi, di tutti i paesi:
-una fantasmagoria, una piccola moltitudine varia,
-innocente, primaverile.
-</p>
-
-<p>
-E sera e mattina, dal poema immacolato fra
-la vivente ghirlanda, s’effonderà un effluvio
-refrigerante, poichè le piccole anime si schiudono
-nei crepuscoli, e gli affetti e le preghiere
-evaporano sino al cielo, avvolgendo il mondo
-d’un incenso ideale, purificatore; significante
-agli scettici, ai dolenti, che sulla terra c’è ancora
-qualche cosa di puro, di bello, di vero,
-poichè ci sono loro...
-</p>
-
-<p class="indl">
-<i>Natale 1891.</i>
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-</p>
-
-<h2 id="treccia">Treccia bionda.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Max, il giovane compositore di musica, finiva
-d’abbottonarsi l’abito, ritto dinanzi al grande
-specchio nel tepore, nella luce blanda,
-nel disordine della sua elegante camera di scapolo.
-Voleva esser calmo, ma le mani avevano
-movimenti bruscamente nervosi; ma sul viso
-pallido e serio si diffondeva un’ombra cupa,
-forse il riflesso di un’interna lotta. Nient’altro
-che un’ombra; eppure era già troppo per lui
-giovane e ardente di passione per la donna che
-lo aspettava ad un convegno d’amore.... Quell’ombra
-pareva un tedio ed era rimorso; giacchè
-egli non era un seduttore volgare, e gli si
-affacciava spesso in tutta la sua reale crudezza
-il pensiero tormentoso di tradire quell’uomo...
-il compagno della sua giovinezza, dei suoi studi,
-delle sue speranze, dei suoi disinganni: l’uomo
-generoso che lottava con lui e per lui, per
-assicurargli i trionfi, l’avvenire, la gloria, nella
-carriera difficile e ardimentosa; l’amico che lo
-aveva sempre consolato e moderato, con la calma
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-benevola di un padre amoroso, negli scoraggiamenti
-o nelle ebbrezze della sua impetuosa
-natura. Max doveva tanto a quell’uomo
-e lo tradiva; gli doveva la rigogliosa vitalità
-dell’ingegno che lo rendeva ricco e felice, e gli
-toglieva la sua ricchezza, la sua felicità. Quando
-gli si figgeva questo pensiero nel cervello
-Max si sentiva vile e miserabile; ma il dualismo
-gli tumultuava nel cuore, ed era una
-strana passione quella che gli paralizzava l’anima
-e gli accendeva i sensi, prestandogli
-mansuetudini e timidezze di fanciullo, ribellioni
-titaniche, gelosie feroci. Inoltre con tutta
-la sua fervida fantasia d’artista, continuamente
-eccitata dalla creazione musicale, credeva al
-fato, al fato dell’arabo, al fato del medioevo,
-e vi si abbandonava, e si saturava di quelle
-teorìe che lo spogliavano d’ogni responsabilità,
-che gli facevano compiere gli atti più importanti
-della sua vita dietro una causa futile e
-comune per ogni altro, ma in cui egli vedeva
-maravigliose predestinazioni. Se qualche ostacolo
-gli avesse attraversata dapprima quella via
-d’amore così facile, e così piana, forse la sua
-esagerata dignità sarebbe rimasta spaurita dalle
-finzioni volgari, e quel suo misticismo superstizioso
-lo avrebbe fatto trionfare nella lotta.
-Ma pareva invece che un destino dolce e tremendo
-avvincesse la sua alla vita di Giselda
-con un delizioso laberinto di fila segrete che
-si serravano ogni giorno di più. Nulla gliela
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-contendeva oramai: nè la vigilanza del marito
-assurdamente fiducioso, nè apparente scrupolo
-in lei addormentata in un fascino profondo, nè
-circostanze difficili, nè contrattempi, nulla; Giselda
-era sua, egli lo sapeva. Vinta dal suo
-sguardo, dalla sua voce, dalle sue melodie, ella
-non si difendeva, non tergiversava, non lottava:
-si abbandonava anche lei a occhi chiusi,
-incrociando le braccia, alla corrente fatale. Non
-sapeva che tremare e impallidire; come la prima
-volta sulla terrazza deserta, quando gli abbandonò
-le mani e il capo sul petto, — nell’aria
-molle, nel profumo, nell’incanto di quella
-notte di primavera... Guardò l’orologio. Ancora
-un’ora, un’eternità.... Si buttò sul divano facendosi
-vento col fazzoletto, poi terse qualche
-stilla di sudore sulle tempie. E s’ella si
-fosse scossa infine? se le voci della dignità e
-del dovere l’avessero svegliata dal sogno oblioso
-e fiorito? se fosse partita come minacciava,
-come implorava, quasi, dalla sua stessa volontà?
-</p>
-
-<p>
-S’alzò, si mise a passeggiare per la camera
-intorno ai mobili artistici di un gusto severo,
-passandosi le mani sugli occhi, ricacciandosi
-indietro i capelli convulsamente: il tappeto ammorzava
-i suoi passi; pareva un’ombra errante
-con l’alta statura, il viso smorto, l’abito nero.
-Passò davanti al balcone che si schiudeva sul Canal
-grande, ed ebbe appena uno sguardo indifferente,
-lui artista ed entusiasta della sua Venezia,
-per la lunga schiera incantata dei palazzi
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-dirimpetto, sorgenti fra l’acqua e il cielo
-nel vasto silenzio e nella placida luce d’opale
-e di madreperla che solo i crepuscoli veneziani
-hanno. — «È meglio che mi levi di qui, — concluse; — almeno
-mi toglierò dall’inferno dell’attesa
-in questa solitudine...». — E s’avviò a
-pigliare i guanti sulla mensola, nell’angolo,
-ingombra di cofanetti e di gingilli: poi con lo
-sguardo vago, la mente assorta negli occhi neri,
-nel profumo, nel fascino di lei, pigiò macchinalmente
-il dito sulla molla di uno fra quei
-piccoli scrigni, lo aperse, vi cacciò la mano sbadatamente....
-ma la ritrasse tosto con un brivido
-che lo agghiacciò, anima e corpo. Invece
-della liscia ed unita superficie del guanto, aveva
-sentito sotto le sue dita delle filamenta morbide
-e sottili come d’una matassa di seta.
-</p>
-
-<p>
-— Ah, che sacrilegio! — esclamò con vero ribrezzo;
-poi tentò di superarsi e volle richiudere
-il cofano frettolosamente. Ma la treccia
-bionda della morta ricascava fuori dallo scrigno,
-sollevando il coperchio, ricusando di togliersi
-alla sua vista, di rientrare nella sua
-tomba — imponendosi....
-</p>
-
-<p>
-Max era rimasto immobile, con gli occhi
-fissi, la fantasia, sàtura di fatalismo, paurosamente
-colpita. Per la prima volta gli accadeva
-di aprire storditamente quel reliquiario che conteneva
-la memoria più soave, più mesta, più
-santa della sua vita; memoria da lui custodita
-con tutta la venerazione segreta di cui era capace
-<span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span>
-la sua natura dolorosamente sensibile e
-trascendentale. Povera Maria! che profanazione!
-Egli s’assise là, nell’ombra di quel cantuccio
-sommerso nel crepuscolo, levò adagio, con
-le mani un po’ tremanti, la lunga treccia voluminosa
-a cui era avvinto strettamente un piccolo
-gruppo di seccume — fiori in un tempo
-lontano — e la lunga treccia gli scivolò sulle
-ginocchia in un molle abbandono di cosa morta,
-spiccando opacamente bionda sull’abito nero.
-</p>
-
-<p>
-Intanto, all’aprirsi del breve reliquiario, usciva
-lo sciame dei ricordi, e la memoria evocava
-fedele l’immagine della giovinetta: la delineava,
-come sempre, bianca, mite, gentile, sul
-balconcino gotico del vecchio palazzo tetro;
-nella gondola nera e slanciata fra la luminosità
-della laguna rispecchiantesi nei grandi occhi sereni
-di lei in tutte le sue misteriose e profonde
-trasparenze; nella vasta piazza marmorea sotto
-un cielo di cobalto, innanzi a San Marco scintillante
-di colori e d’oro, come un gioiello, nella
-calda fulgidezza del sole meridiano; mentre una
-frotta di colombi scendeva serrata, attorniava
-lei, bionda e ridente, poi si levava a volo sparpagliandosi
-con un brusco frullo d’ala. Rivedeva
-la sua fanciulla passare nelle tortuose, umide
-calli, benefica e soave come una buona fata;
-la rivedeva scendere e salire i ponti, lesta, leggiera,
-colla testa alta, il viso colorito, inebriata
-di gioventù, d’aria, di luce; la ritrovava prostrata
-sotto il lumicino rosso di una lampada
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-moresca che faceva rilucere i mosaici nell’ombra
-della cattedrale bizantina; la ripensava
-come una sera estiva, ai Giardini, nel bianco
-lume lunare, appoggiata alla balaustra di marmo
-sulla laguna che si stendeva luccicante di
-riflessi d’acciaio; ricordava il lungo silenzio e
-il turbamento che li aveva colti all’improvviso
-in quella gran pace; ricordava il movimento
-quasi inconscio della manina sottile che sfogliava
-un fiore: persino le piccole fosforescenze
-dell’anellino di brillanti ricordava; e sopratutto
-di non averla veduta mai tanto idealmente
-bella come in quella sera, tutta irraggiata come
-una candida parvenza che dovesse svanire nelle
-ombre del Giardino, o nella serenità fredda del
-vasto plenilunio.
-</p>
-
-<p>
-Erano cresciuti assieme; si volevano bene
-come fratello e sorella; si vedevano tutti i
-giorni, a tutte le ore. Max non trovava ricordo
-dolce o triste della sua prima giovinezza che
-non fosse confuso alle risatine fresche, allo
-sguardo sereno, alle lagrime silenti, alla voce
-soave di Maria. Quante volte ella aveva spianato
-con le bianche dita una ruga precoce del
-volto, dileguato con gli occhi azzurri una
-nebbia uggiosa dal cuore del suo compagno!
-Quanti consigli miti, quante parole ragionevoli,
-quanta logica semplice adoperava per
-persuaderlo, per frenarlo, per animarlo, per fargli
-mutare un cattivo proposito di svogliatezza
-o di vendetta! Ed era cosa rara la sconfitta di
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-Maria, giacchè anche lui allora era giovane,
-buono, impressionabile, pieno di entusiasmi e
-di fede. — Povera fanciulla! Come era leggiadra
-quell’ultima sera al suo primo ballo! come
-era lieta, spensierata e bella nell’abito bianco
-vaporoso, senza gioielli e senza fiori, lei, fiore
-e gioiello vivente con la carnagione d’una freschezza
-rosea e vellutata di petalo, le lunghe
-treccie di fili d’oro! Max ritrovava il fremito
-di delizioso sgomento che lo aveva assalito
-quella sera al contatto delle morbide treccie
-voluminose, quando volle puntarle un mazzolino
-in testa, proprio fra le ondulature delle
-trecce di fili d’oro. Rammentava il loro respiro
-ancora ansante dopo quel valtzer vertiginoso,
-il viso acceso, l’espressione ingenuamente maliziosa
-degli occhi color del mare, i movimenti
-della testolina irrequieta di Maria che si divertiva
-della goffaggine di lui, delle sue mani
-tremanti, del suo riso imbarazzato e nervoso.
-«Ora sei proprio bella!» le aveva detto
-poi, ed ella si era ammirata ad uno specchio,
-mormorando scherzosa: «Ebbene non lo leverò
-più!» E non lo aveva più levato, povera
-bambina! Si era ammalata l’indomani e la
-morte l’aveva portata via col mazzolino nelle
-treccie bionde... Ed ecco finalmente la tetra, la
-mestissima, l’incancellabile visione... il lettino
-bianco nella camera a colori ridenti, dove egli
-entrava per la prima volta e perchè ella moriva.
-Ecco il volto affilato, livido, in cui parevano
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-sinistramente belli gli occhi color del
-mare; il sorriso buono; le piccole mani che
-gli si allacciavano al collo, la voce soave,
-fioca, all’orecchio: «Max, ho ancora il tuo
-mazzolino nelle treccie, vedi?... Quando non ci
-sarò più, riprendilo... ma pigliati pure la treccia,
-una delle mie treccie bionde che ti piacevano
-tanto: così il mazzolino non ne verrà separato
-e ti resterà qualchecosa di me...» Egli
-adolescente, innamorato, con la testa piena
-di romanticismo, nello strazio di quell’ora vagheggiò
-il suicidio; ed ella lo stringeva più
-forte con le piccole mani, persuadendolo, come
-quando faceva desistere da un cattivo proposito
-lo scolaro ribelle. «No, vivi, Max; vivi per i
-tuoi genitori, per mia madre... per la tua bell’arte
-vivi, lotta, studia, diventa artista, diventa
-celebre.... ma non ti dimenticare....» Ed egli
-aveva sentito sulle gote le lagrime di quella
-povera giovinezza morente — la sua ultima
-ribellione — il suo ultimo rimpianto alla vita.
-</p>
-
-<p>
-..... Una fredda esistenza, un’esistenza di
-tumulti, un vuoto, un’aridità erano venuti
-dopo la morte della sua fanciulla... Uno sfrondamento
-di illusioni, di entusiasmi, di speranze...
-Un brulicame di basse passioni, di piccole menzogne...
-E quanto arrabattarsi per la felicità, per
-l’amore, per la gloria, veduti sempre all’orizzonte
-e sfumati sempre come splendidi miraggi!
-Oh se Maria non fosse morta, sarebbe la
-sua sposa, la sua difesa, il suo angelo custode,
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-la pace e il riposo dell’esistenza sua. Ma la
-bionda visione era cancellata per sempre... Max,
-in quel cantuccio sommerso nell’ombra, con lo
-sguardo sulla treccia, viveva così nel passato
-senza più nozione del tempo e della realtà....
-</p>
-
-<p>
-..... — Signorino, non mi comanda di accendere
-i lumi? — disse la voce tremula e discreta
-del vecchio servo dalla soglia della camera
-elegante.
-</p>
-
-<p>
-Max diede un balzo e guardò l’orologio.
-L’ora del convegno era passata da quaranta minuti;
-l’ora attesa febbrilmente e sognata ardentemente
-aveva potuto dunque dileguarsi così?
-Egli non battè ciglio, non si mosse, ma qualche
-cosa moriva dentro di lui in tutti gli strazî
-di un’agonia disperata e tremenda. «Tu non
-lo vuoi, dunque, Maria; tu non lo vuoi! — »
-ripeteva il suo pensiero fra il tumulto de’ suoi
-sensi, fra quell’ultima lotta. E la bionda treccia,
-nel suo abbandono molle, pareva rispondergli,
-trattenendolo, tenue e possente come il braccio
-di un bambino che gli si fosse addormentato
-in grembo. Max chinò il capo come piegando
-ad una forza superiore. Una lenta stanchezza
-lo invase; uno scoramento, un languore
-indicibili; un senso di debolezza, d’impotenza
-a lottare col destino che gli si rivelava all’improvviso
-tremendo; un desiderio latente
-di finirla col dualismo che gli tendeva i nervi,
-gli assopiva le facoltà della mente, gli velava
-l’alta serenità fulgida dell’arte, in cui l’anima
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-sua era solita a librarsi, a spaziare, a cercare
-le migliori compiacenze, le consolazioni più pure
-e più efficaci della sua vita tempestosa. Poi
-Maria era in lui; Maria, la bionda morta evocata:
-ed il basso brulichio delle passioni e dei
-desiderî sensuali non reggeva a quel confronto
-e fuggiva e si sperdeva da tutti i lati come le
-tenebre al raggio trionfale del sole. Le sue ebbrezze,
-il suo amore, la sua dissimulazione, tutta
-la miseria infine della sua condotta passata, lo
-disgustarono, lo umiliarono, lo nausearono come
-il ricordo d’un sogno oscenamente bugiardo....
-</p>
-
-<p>
-Ebbene, no; non avrebbe da rimproverarsi
-una simile viltà: la viltà di prendere una povera
-donna debole e onesta; la viltà di tradire
-l’uomo che lo aveva beneficato. No, non
-avrebbe una macchia simile sulla sua coscienza
-d’uomo leale, sulla sua vita elevata dall’arte.
-Rialzò il capo alteramente, più calmo, poichè
-la sua immaginosa e mistica natura era già allettata
-dalla poesia del sacrifizio che gli aleggiava
-nel cuore sperdendo i resti di quell’ardente
-soffio di passione.
-</p>
-
-<p>
-Uscì sul balcone e rimase là finchè la notte
-scese sul Canal Grande e nel cielo palpitarono
-rilucenti le stelle. Nessun lume nelle enormi
-masse nere dei palazzi dirimpetto; qualche
-gondola appariva e spariva col rosso lumicino
-riflettentesi in striscia purpurea, verticale e tremolante
-nell’acqua bruna. Un bisbiglio di voci,
-un tonfo di remo, un breve, mite sciaguattìo;
-<span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span>
-poi il silenzio, ancora il silenzio delle notti
-veneziane pieno di misteri, di dolcezze, di malinconie.
-</p>
-
-<p>
-Quando Max ebbe l’anima penetrata di quel
-silenzio e di quell’incanto; quando ebbe ascoltato
-tutto ciò che gli dicevano la notte stellata
-e i ricordi già lontani del suo grande amore
-domo dalla bionda morta innocente, passò nel
-suo salotto di studio ornato di opere d’arte antica
-e moderna, s’assise al pianoforte nascosto
-da vecchi arazzi e suonò. Suonò l’intera notte,
-nella sala semibuia, e cantò tutti i canti che gli
-fluivano dal cuore. Fu in quella notte che cominciò
-a comporre il capolavoro che gli diede
-la rinomanza e la gloria.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-</p>
-
-<h2 id="senzap">Romanze senza parole</h2>
-</div>
-
-<h3>I.
-<span class="smaller">FUTURO</span></h3>
-
-<p>
-..... Nel salotto non c’era nessuno.
-Il salotto sontuoso, artisticamente ingombro, pareva
-riposare nella penombra, avvolto nella sua
-stessa morbidezza voluttuosa, infingarda, fatta
-di cuscini, di tappeti, di panneggiamenti, fra
-cui scendevano specchi, luccicavano trofei, si
-disegnavano fogliami esotici e mobilucci, strani
-come mostri, o severi, di classica antichità. Si
-udiva scoppiettare nel camino la fiamma velata
-fantasiosamente dal parafuoco di piccoli vetri
-policromi, fatto d’un’invetriata di chiesa; da
-ogni anfora, da ogni vaso, da ogni coppa, emergevano
-mazzi enormi di fiori di serra, stretti
-fra i cartocci di trina da un giardiniere sapiente;
-sul divano largo, di damasco, giacevano astucci,
-libri, cofanetti, gingilli, i doni di Capodanno
-ancora a metà involti nella carta di
-seta; dalla spalliera una magnifica sciarpa di
-vecchia blonda ricascava flosciamente, e due
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-pantofoline minuscole di felpa avorio, ricamate
-d’oro, posavano sul tappeto, tutte piene di viole
-fresche: leggiadri cornucopia di felicità. Accanto
-al fuoco, intorno ad una poltrona, un angolo
-più abitato, una nicchia prediletta fra una
-giardiniera tutta verde, un’alta arpa dorata, un
-tavolinetto a due piani con su fotografie, un
-portafogli di raso contenente un fazzoletto di
-trina — la novità elegante — un volumetto di
-versi intonso — un libriccino per gli appunti
-dalle pagine candide, dalla copertina d’avorio,
-sulla quale si delineavano luminosamente in
-argento le cifre di quell’anno novello. Poi, nel
-piano inferiore, una cestellina da lavoro piena
-di colori ridenti e minuzzoli d’oro, bomboniere,
-giocattoli, inezie. Tutto un sonnecchiare
-infantilmente placido delle cose; un abbandono
-vergine, fidente, pieno di freschezza;
-un’ignoranza piena di pace. Ma accanto alla
-finestra, su un cavalletto di pittore, una tela
-bianca, vuota, e sulla scrivanìa molti foglietti
-lucidi, bianchi, parevano minacciare muti, aspettando...
-</p>
-
-<h3>II.
-<span class="smaller">PRESENTE</span></h3>
-
-<p>
-..... Ancora nessuno nel salotto. Ma
-vaga tuttavia un profumo sottile, indefinibile,
-fatto di tutte le essenze e di nessuna. Il fuoco è
-spento, e dalla finestra spalancata il sole entra in
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-un’ondata d’oro, abbagliando mobili, stoffe, cose,
-che rivivono folli e gioconde nella luce logorante.
-Sulla lastra d’uno specchio sono state incise
-due iniziali col diamante, e dalle anfore, dai
-vasi, dalle coppe, tutt’una fioritura d’un sol
-fiore: di rosa thea; una delle quali giace vizza
-sul divano largo, di damasco, insieme a un piccolo
-pettine di tartaruga ambrata. Accanto all’arpa,
-un violino, e un foglio di musica: un
-canto mesto, largo, ma d’una passione quasi
-trionfale; accanto alla poltrona prediletta, sul
-tavolino, non c’è più che una sola fotografia
-in cui sorridono accostate due giovani teste:
-l’una virile, bruna; bionda l’altra, e della
-femminilità più soave. Fra il volumetto di versi
-è rimasto dimenticato un fiore; dalla cestellina
-esce un nastro azzurro in cui si sta ricamando
-una data, un numero: prosa volgare o poesia
-sublime; — nel libriccino di appunti si legge
-un verso di De Musset scritto due volte da mano
-diversa:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">«Comment vis-tu toi qui n’as pas d’amour?»</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E la testa bruna, virile, si delinea sulla tela
-del cavalletto, e sulla scrivanìa fra i foglietti
-lucidi, bianchi, fa capolino una lettera di cui non
-si leggono che due ultime parole: Ora e sempre.
-</p>
-
-<p>
-Tutt’un tripudio, un’ebbrezza delle cose
-in quel lieve disordine, nell’onda di sole che
-irrompe gloriosa, pennelleggiando, raddoppiando
-la vita, consumando come una fiamma...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-</p>
-
-<h3>III.
-<span class="smaller">PASSATO</span></h3>
-
-<p>
-.... Il salotto è abbandonato, deserto.
-Dalla finestra aperta il plenilunio piove raggi
-nel buio come in una tomba violata; le cose
-tutte paiono dormire il sonno eterno nell’ombra
-densa intorno alle pareti, e rivivere in sogno
-nell’irradiazione spettrale di quel rettangolo
-di luce. Nei vasi, nelle anfore, nelle coppe,
-appassiscono tristi e foschi i crisantemi;
-dall’arpa alta, dorata, pendono rotte due corde,
-sul tavolino la fotografia è rovesciata come
-la pietra d’un altare distrutto da mano sacrilega;
-il volumetto di versi trascina lacerato
-a brani; la cestellina da lavoro è chiusa, negletta;
-sull’ultima pagina del libriccino di appunti,
-un altro verso di De Musset, vergato
-con calligrafia femminile:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">.... «Elle songe une année a qui lui pense un jour.»</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Sulla tela del cavalletto scende un velo di
-crespo; sul divano largo, di damasco, un fazzoletto
-di trina intriso di lagrime; sulla scrivanìa,
-accanto ai pètali fossilizzati d’una rosa
-thea, in un foglietto bianco, una sola parola:
-</p>
-
-<p>
-«Addio.»
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-</p>
-
-<h2 id="pasqua">Pasqua triste</h2>
-</div>
-
-<p>
-A destra del ponte che ricongiunge il
-villaggio diviso dal piccolo fiume, sulla spianata
-erbosa, dietro il circo in cui si accendevano
-i primi lumi, era il carrettone dei saltimbanchi:
-una minuscola casa mobile, verniciata
-di rosso, con le persiane verdi alle finestrette
-in cui non mancavano neppure le tendine di
-trina. Veduta di fuori faceva quasi invidia.
-Dentro era un laidume; cenci ammucchiati,
-suppellettili sudicie, arnesi logori d’ogni genere,
-qualche sedia sfondata. Era tutto. No...
-c’era anche un saccone sul quale stava accoccolata
-una donna a guardia d’un bambino lattante
-addormentato, supino, fra uno scialle
-scuro, con la faccetta terrea rivolta alla luce
-del vespro che pioveva dalla angusta finestra
-soprastante.
-</p>
-
-<p>
-Di là si udiva il brusìo continuo e confuso
-della rustica folla sul piazzale, il vociare dei
-venditori, delle risa, qualche fischio, qualche
-suono rauco e stonato d’un gingillo infantile.
-Tutta la manifestazione dell’ozio gaudente d’una
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-sera solenne aspettata un anno. Era Pasqua di
-Resurrezione.
-</p>
-
-<p>
-La donna teneva il volto chino fra le mani
-che alla luce incerta parevano bianche. Ascoltava
-l’anima sua dolorare.
-</p>
-
-<p>
-Gemeva l’anima: — ... dodici anni... un
-attimo, un secolo.... dodici anni che non respiro
-quest’aria, che non vedo questo cielo,
-che lasciai la mia casa fuggendo di notte, come
-una ladra, con lui che mi aveva sconvolto
-il sangue e la ragione... Un saltimbanco... quante
-me ne dissero per dissuadermi, quante! «È
-un demonio che ti tenta» diceva la nonna.
-«È un Arcangelo,» rispondeva io. Era così
-bello con quella maglia azzurra, luccicante,
-che gli disegnava la persona agile e vigorosa,
-con quella testa ricciuta, lo sguardo altero! Lo
-chiamavano il <i>Principe</i>. Aveva una destrezza,
-una forza, un coraggio... Gli altri uomini al
-suo confronto mi parevano pigmei... Aveva un
-certo modo di affisare che soggiogava... un modo
-di pronunziare il mio nome, di dirmi che
-ero bella, che m’illanguidiva di dolcezza... Non
-potevo pensare che a lui, vivevo di lui... Egli
-era padrone di tutta me stessa, mi aveva incantata.
-Così, quando partirono dal paese e il
-Principe mi disse «Vieni» io andai. Dodici
-anni sono passati... Il babbo, la nonna, riposano
-accanto alla mamma, laggiù.... sotto l’erba... i
-miei fratelli si sono ammogliati lontano... hanno
-venduto il podere e la casa... non resta più
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-nulla... perchè rimango io? Perchè non sono morta
-prima di ricomparire come un’ombra fra queste
-rovine?... Di qui so che si vede la finestra
-della mia camera... Io non la guarderò, ma sento
-che lei mi guarda... Ci sarà ancora il gelsomino
-che la inghirlandava, o si sarà inaridito?...
-Era là che ricamavo al mio telaio, là nel
-vano di quella finestra... ricamavo sulla battista
-per ore e ore... alla domenica leggevo, e ogni
-tanto sentivo passare sulla mia testolina la
-mano della nonna in una carezza frettolosa...
-s’affaccendava sempre, lei... Verso sera m’appoggiavo
-al davanzale senza far nulla: la luce
-scemava, il sole andava sotto, rosso, dietro i
-monti; io guardava i campi rigogliosi e tranquilli,
-da cui saliva un senso di frescura, e coglievo
-i gelsomini con la mente piena di fantasticherie...
-Una sera, ricordo, passò un giovane
-e raccolse una ciocca che mi era caduta;
-io ne risi: la seconda sera egli ripassò, io
-non risi più: la terza, invece, gli sorrisi e gli
-buttai un’altra ciocca di gelsomini. Era un
-giovane onesto, serio, intelligente e mi adorava;
-la nonna era così contenta ed io felice... Poi
-la fatalità mise sulla mia strada quell’uomo
-che travolse tutto, come un turbine sradica e
-schianta... Chi sa se Andrea vive, chi sa se vive fra
-i vincitori o fra i vinti, chi sa se è qui... Dio,
-se fosse qui e che volesse... Oh non mi riconoscerebbe
-certo più. Eppure mi sarebbe dolce in ogni
-modo riudire la sua voce, senza vederci, così, traverso
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-la parete, la sua voce insinuante e buona,
-che mi ridonerebbe nella realtà un’ora del mio
-passato. Vorrei che gli fosse rimasto di me
-solamente un ricordo di pietà, come di una
-morta che si è veduta lungamente soffrire. E
-anche il giovane innamorato dovrebbe esser
-morto; resterebbe l’amico per intendermi e compiangermi,
-l’uomo ritemprato dalle lotte e dal
-dolore. Io gli direi della mia immensa miseria
-presente, dei rimorsi che mi mordono al cuore
-appena oso rivolgere lo sguardo al passato, della
-mia espiazione di dodici anni per un momento
-di aberrazione; gli direi che ero pazza, e se
-egli ha amato, certo sa di che si può esser capaci
-quando l’ebbrezza d’una passione sconvolge
-la mente... Eppure non oserei scolparmi,
-fui un’indegna... Ma se ne ha versate, lui, delle
-lagrime sul nostro amore spezzato, ne ho versate
-tante anch’io, e giorno, e notte, e sempre,
-sulle mie pazze illusioni dileguate, sulle mie
-creature morte di fatiche e di stenti, sulla mia
-logora esistenza che non ho coraggio di troncare!...
-Ne ho versate di gelosia, d’umiliazione,
-d’odio per quei miserabili istrioni che mi circondano;
-d’impotenza per un amore che non
-si spegne, che non mi strapperò dal cuore se
-non con la vita... Ne ho versate tante!... Ora non
-piango più... non ho pianto neanche stamattina
-quando ho veduto di lungi il campanile del
-mio paese... Sono muta, impietrita come una
-statua, ma non divengo insensibile... È una tortura
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-di cui nessuno può immaginare la raffinatezza...»
-</p>
-
-<p>
-Un solenne e gioioso intervenir di campane
-fra la gaiezza oramai monotona dei rumori, mise
-in fuga da quell’anima indolorita gli amari
-ricordi e le visioni gentili. Le mani ricascarono,
-la donna rialzò il capo verso la finestrina
-dirimpetto, che inquadrava un lembo di cielo
-rosato ancora, la punta d’un pioppo e una
-stella. Le vecchie campane esultavano tentando
-di fondere la loro letizia bonaria e monacale
-alla trivialità umana. Fu dapprima uno sbadato
-preludio, poi un giocondo incalzare di
-suoni, ripetuto, insistente, una gazzarra di tutte
-le voci delle campane che parevano rifarsi
-delle ore di raccoglimento. Erano sempre le
-stesse, le loquaci e sapienti campane! quelle
-che la voce già tremula della nonna seguiva
-canterellando per rallegrare loro bambini, nelle
-lunghe e placide domeniche, seduta nell’orticello,
-mentre il loro padre fumava nella pipa,
-in silenzio, seduto un po’ più in là sulla sedia
-alquanto arrovesciata all’indietro, contro il muro...
-Di tutto, di tutto si ricordava; tutto si
-svegliava nel suo cuore al cicaleccio pio che
-riempiva le solitudini azzurre: e certi effetti
-di luce su certe pareti, e l’odor dei fiori
-che sfogliavano per le processioni; una coppia
-di tortorelle, e un quadro antico della Vergine,
-e delle ghirlande di crisantemi intrecciate
-insieme alla nonna in qualche vespro
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-piovigginoso, già freddo... Ma sopratutto della
-dolce Pasqua casalinga che lasciava nella umile,
-queta dimora un cestellino di ova colorite
-in rosso, un ramoscello d’olivo, e una
-serenità più limpida, come dopo una buona
-pioggia. Dalle finestre spalancate al nuovo sole
-s’udivano le campane, così, nel pomeriggio,
-mentre il babbo trinciava l’agnello per la sua
-nidiata. Però le campane suonavano più raccolte,
-più gravi, allora; che si fossero dimenticate
-di suonare così?...
-</p>
-
-<p>
-Ah no, eccolo, eccolo! Le campane infine scioglievano
-il classico doppio, il saluto di più solenne
-esultanza, l’onore magno, reso alla giornata
-regale che dileguava dopo aver dato il
-segnale della resurrezione, lasciando sulle sue
-traccie la primavera.
-</p>
-
-<p>
-E la dolce pasqua casalinga, la pasqua che
-rinnovella i cuori come i giardini, la pasqua
-dell’olivo e dell’acqua lustrale e del perdono,
-passava memore e intangibile e vana su quell’anima
-sola, nell’ultimo e largo saluto di gloria
-che si effondeva dall’austerità del rustico
-campanile. Ma salutari lagrime scorrevano...
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_122">[122]</span>
-</p>
-
-<h2 id="cenerentola">La scarpina di Cenerentola</h2>
-</div>
-
-<p class="indr">
-— <i>Honny soit</i>... —
-</p>
-
-<p>
-All’udire suo marito che ordinava la carrozza
-per mezzanotte, Mimì si rizzò un poco
-dalla poltrona lunga dov’era stesa accanto al
-caminetto, fra le pelliccie e i cuscini, freddolosamente.
-</p>
-
-<p>
-— Dunque ci vai proprio? — gli chiese, appena
-scomparso il servo. Ed aveva la voce stonata
-per la penosa emozione che le toglieva ogni
-rimasuglio di speranza.
-</p>
-
-<p>
-— Ma sì, proprio, — rispose tranquillamente
-il crudele, senza levar gli occhi dal giornale
-scelto a caso fra quelli che ingombravano il tavolino.
-</p>
-
-<p>
-— E me lo dici così!?... — Mimì lo fissò ostinatamente
-coi begli occhi larghi, infantili,
-pieni di lacrime, stiracchiando nervosa una nappina
-del guanciale di felpa in cui affondava le
-spalle delicate.
-</p>
-
-<p>
-— Come dovrei dirtelo? Non lo sapevi già?
-se ne è parlato fin troppo.... e anche un po’ vivacemente,
-<span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span>
-mi pare. C’è bisogno che ti ripeta,
-tesoro, che nelle piccole, come nelle grandi cose,
-quando ho deciso, nessuno mi smuove dal
-mio proposito? È una dote o un difetto essenziale
-del mio carattere....
-</p>
-
-<p>
-La piccola Mimì sentì salirsi alle labbra una
-ressa di parole amare e sprezzanti, ma non ne
-lasciò uscire neanche una. Si contentò di coprirsi
-gli occhi con la mano. Dunque tutta la
-sua fine diplomazia femminile, di cui aveva fatto
-spreco quella sera per trattenerlo, era stata inutile!
-Dunque le sue carezze, le sue ingenue
-civetterie, i suoi immaginosi pretesti, i discorsi
-piacevoli, i frizzi arguti, le discussioni sull’arte,
-sostenute con tanto stento per un unico fine,
-tutto era stato vano; tutto dileguava innanzi
-alla fermezza incrollabile di quell’uomo che aveva
-fissato di darle un dispiacere, che temeva
-di perdere un briciolo della sua autorità facendole
-il sacrifizio di una sera di carnevale,
-mostrandosi compiacente almeno una volta con
-lei, povera donnina debole e amorosa, che non
-aveva da rimproverarsi se non di amarlo sempre
-come nel giorno delle loro nozze...! Era una
-crudeltà, una durezza, una barbarie inaudita!
-Tutta la sua anima semplice e buona si ribellava,
-riboccante di amarezza e di sconforto.
-Frattanto la piccola mano tornita che nascondeva
-gli occhi tremava, la testa e le spalle avevano
-lievi guizzi convulsi, le lagrime cascavano silenti
-una dopo l’altra fra i cuscini e le pelliccie.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-</p>
-
-<p>
-Egli la osservava ogni tanto, levando gli occhi
-dal giornale, con un misto d’inquietudine
-e di noia; la osservava brevemente, lisciandosi
-la barba bionda e fluente, nascondendo
-qualche impertinente sbadiglio. Gli dispiaceva
-un poco di vederla piangere, povera piccina.
-Una vera bimba, Mimì, piccola, mingherlina,
-rosea, ricciuta e... irragionevole. Non si ritrovava
-la donna che nelle movenze aggraziate, in
-qualche intonazione di voce triste e dolce, in
-qualche lampo dello sguardo. Egli l’aveva amata
-così, la amava tuttora; ma a modo suo:
-senza sacrificarle nessuna delle sue tendenze,
-delle sue abitudini, non curandosi di approvarla
-o di disapprovarla, di pensare un momento se
-ciò ch’ella gli chiedeva fosse giusto o meno.
-L’amava come una cosina leggiadra e fragile;
-sorrideva dei suoi entusiasmi, delle sue esultanze,
-delle sue allegrie chiassose; le donava
-un gingillo quando la vedeva triste; la ammoniva
-freddamente delle sue inesperienze, severamente
-de’ suoi capricci, come questo, per
-esempio, di scongiurarlo a rinunziare al veglione.
-Silvio continuava a difendersi fra sè; a
-pensare che non doveva lasciarsi imporre; che
-se avesse ceduto una volta era finita: Mimì ne
-approfitterebbe subito per ritentare la prova
-fin che sarebbe diventata la sua tiranna. Le
-donne sono così invadenti! Si provi a conceder
-loro un palmo di terreno, esigono dei chilometri!
-Precisamente come quell’astuto dio della
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-mitologia indiana, che si rimpicciolì per ottenere
-tre passi di regno; poi, a grazia fatta, divenne
-così smisurato che in tre passi abbracciò
-terra e cielo e inferno.... Uh, niente, niente:
-aveva fatto benissimo a mostrarsi incrollabile
-anche per una cosa che a lui non importava
-affatto. Anzi, siccome ella piangeva, ora, col
-fazzoletto agli occhi e pareva far pompa delle
-sue lagrime, Silvio si alzò per andarsene. Non
-che temesse d’essere intenerito da quelle lagrime,
-oh no; Silvio era un uomo forte; voleva
-solamente levarsi da quella posizione ridicola
-e imbarazzante. Però non volendo neanche
-parere un tiranno le si avvicinò e scherzosamente
-le prese i polsi per forzarla a scoprire
-il viso; ma Mimì lo respinse sdegnosa, singhiozzando
-addirittura.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè non vieni anche tu? — disse allora
-lui in fretta, a scanso di rimorsi.
-</p>
-
-<p>
-Inutile: Mimì scrollò le spalle e gli gridò
-dietro con la voce piena di stizza e di lagrime:
-</p>
-
-<p>
-— Dimentica d’avere una moglie stasera...
-è il meglio che tu possa fare...
-</p>
-
-<p>
-Silvio richiuse l’uscio dietro di sè con bel
-garbo; poichè non era neppure un villano. Ma
-Mimì avrebbe preferito una sfuriata a quella
-superiorità noncurante che la umiliava e la desolava.
-Doveva essere trattata proprio sempre
-come una bimba? come un piccolo essere inconcludente
-la cui volontà non merita neanche
-dr essere discussa? come una scema? Che tristezza!
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-che infamia! Si strinse la testa, tutta
-a riccioli brevi e scomposti, fra i cuscini soffici,
-nel silenzio vuoto che era rimasto dopo il tenue
-colpo dell’uscio che si richiudeva; un
-silenzio vuoto, freddo, indifferente, malinconico,
-in cui le si addentrava di più quella spina nel
-cuore.
-</p>
-
-<p>
-«Perchè non vieni?» le aveva chiesto
-Silvio. Ma perchè non dirglielo prima? E perchè
-ripeterle invece tutta la giornata che le
-signore per bene non vanno al veglione? Certo
-era per questo che Silvio ci teneva tanto!... Ah,
-povera Mimì!
-</p>
-
-<p>
-Anche i gingilli e i mobilucci, che conoscevano
-le sue manine sapienti e lievi, parevano
-compiangerla e avvilupparla d’un’intima tenerezza,
-nella luce tranquilla della lampada dal
-paralume color di rosa. Ma ella con gli occhi
-foschi, rigida, covava il suo rancore.
-</p>
-
-<p>
-Ah se avesse osato!... Nei romanzi e nelle
-novelle si trovano le mogli che sguizzano al
-veglione per sorprendere i mariti infedeli; ma
-nella vita è un altro paio di maniche. Come
-procurarsi un abito e un cavaliere a quell’ora?...
-E il coraggio per pigliare una risoluzione così
-ardita?....
-</p>
-
-<p>
-Pure, che sollievo, che acre voluttà misurare
-l’estensione della propria sciagura e drizzarsi
-davanti all’indegno come una apparizione di
-dolore, e atterrirlo, e annientarlo, e svergognarlo,
-e lapidarlo di rimproveri, e ridurlo nell’incapacità
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-di scolparsi e di difendersi, e vederlo
-rodersi di rabbia e... di rimorso! Invece, nulla!
-Conveniva invece che lei si rodesse d’impotenza
-e di dubbio, accanto al fuoco, sola, come una
-Cenerentola....
-</p>
-
-<p>
-.... Belle fantasie gemmate, colorite e luminose
-affollate di fate e di principi! Fosse venuta
-anche da lei la fata-madrina a farle una
-carrozza dorata di una zucca, e sei cavalli grigio-rasati
-di sei topi, e due paggi di due lucertoline;
-a renderla incognita e splendida! Come
-l’avrebbe ringraziata la piccola Mimì!....
-</p>
-
-<p>
-Ma la fata non veniva, ed ella rimaneva accanto
-al fuoco, dolente; e si sentiva ben più
-mesta e povera della bella ignorante fanciulla
-che rigovernava le stoviglie fra la cenere del
-focolare: più mesta e più misera di Cenerentola,
-malgrado le pelliccie, e i cuscini di seta, e gli
-orecchini di brillanti; poichè il suo Principe
-innamorato le era appena apparso che lo perdeva
-per sempre.
-</p>
-
-<p>
-Pensando così alla fiaba, Mimì si guardava
-malinconicamente i piedini giacenti fra le pelliccie
-della poltrona lunga, i piedini arcuati,
-sottili, minuscoli nelle calze di seta nera e così
-ben calzati dalle scarpette scollate a fibbia severa:
-stile Luigi XVI. Erano il suo vanto quei
-piccoli piedi che avevano una tradizione gloriosa
-d’ammirazioni, d’invidie, e di.... baci, un
-tempo! Ma quel tempo era passato, era già lontano,
-svaniva già nella nebulosa dei ricordi. E
-<span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span>
-dire che era appena scoccato il primo anniversario
-delle loro nozze! Che sgomento!
-</p>
-
-<p>
-Intanto per le contrazioni nervose dei piedini
-mèmori, una scarpa elegante era sfuggita
-sul tappeto del pavimento. Mimì la guardò appena,
-così affranta come era, e immerse il piede
-libero fra la folta pelliccia, asciugandosi per
-l’ultima volta gli occhi col fazzoletto ch’era
-divenuto una spugna. Non li poteva tener più
-aperti gli occhi; le bruciavano tanto! aveva
-tanto pianto! Anche la testa ora le ardeva e
-le doleva un poco, e tutti i suoi nervi, a lungo
-tesi ed eccitati, si rilasciavano gradatamente,
-abbandonandola ad una prostrazione quasi dolce.
-Si aggiustò meglio fra i cuscini di felpa con
-un movimento amoroso e inconsciamente civettuolo,
-un movimento di micio o di bimbo
-che vuol essere carezzato. Anche lei pareva domandare
-una carezza a quei cuscini morbidi e
-un rifugio a quel tepore molle di nido.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Come le era venuto tutto il coraggio per la
-grande impresa?.... Dove aveva trovato quell’ampio
-domino nero, che la nascondeva così
-bene? E chi l’accompagnava?... Se ne ricordava
-forse, Mimì? Poteva pensarci nello strazio in
-cui si dibatteva l’anima sua in quell’orribile
-notte infernale? Che confusione, che caldo, che
-frastuono, che volgarità! quel caos di gente e
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-di colori, che le si stringeva addosso soffocando
-la sua personcina, la spauriva; quella ridda
-vorticosa, urlante, le dava vertigini dolorose.
-Serrandosi al suo compagno per sottrarsi agli
-urti, agli scherzi, alle mani di quella folla ubriaca,
-non distoglieva lo sguardo da un palco
-dove suo marito, il suo Silvio, beveva sciampagna
-accanto ad una procace «Follìa» dai
-biondi capelli disciolti sulle spalle nude. Che
-orrendo martirio!.... Aveva singhiozzato e riso
-sotto la maschera, aveva invocato Dio, inveito...
-ella, così mite e buona! E il suo strano compagno
-rimaneva muto, impassibile, misterioso,
-senza pensare a calmarla, a darle un po’ di
-coraggio o di rassegnazione. Un contegno inesplicabile
-che la esasperava di più....
-</p>
-
-<p>
-.... Poi s’era messa a cercare quel palco affannosamente,
-inutilmente; aveva errato lungo
-i corridoi interminabili, involuti e semibui
-come catacombe; aveva raccolto tutte le sue
-forze per chiamarlo — una pazzia! — per gridare
-quel nome, e nessun suono usciva dalle
-sue labbra aride — una strana impotenza di
-voce che la strozzava....
-</p>
-
-<p>
-.... Ah, finalmente, eccolo! eccolo con lei,
-l’indegno! lo spergiuro! Finalmente ella potè
-sciogliere l’orribile groppo, sollevare il suo cuoricino
-ferito con quel torrente caldo, vivo, abbondante,
-inestinguibile, furioso, di parole amare
-e ardenti che fluivano spontanee, alimentate
-dalla disperazione e dall’amore. Ed ora
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-fuggire lontano, per sempre, non vederlo
-mai più.
-</p>
-
-<p>
-.... Correva addirittura, trascinando il suo
-muto cavaliere, lungo i corridoi, lungo le scale,
-attraverso l’atrio, correva zoppicando poichè
-aveva perso una scarpina.... Che freddo al piede....
-Ma che importa? L’essenziale era di fuggire,
-di fuggire, di fuggire....
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Silvio tornò a casa dopo un’ora. Gli era
-bastato compier l’atto d’autorità libera e assoluta
-presso sua moglie e sentirsi sempre capace
-di quell’incrollabilità di propositi che era la
-sua gloria. S’era molto seccato a quel veglione
-più stupido degli altri; ed entrando nel salotto
-gaio, luminoso e tranquillo, nel tepore dopo il
-freddo aspro della via, provò una sensazione di
-piacere, quasi di sollievo. Mimì dormiva nella
-poltrona-lunga, fra le pelliccie, accanto al fuoco
-quasi spento. Proprio come una bimba bizzosa!
-La contemplò un poco alla luce mite della lampada
-velata di rosa. Era pallida, scarmigliata;
-aveva le palpebre livide e le sopracciglia ancora
-lievemente aggrottate. Sul tappeto del pavimento
-biancheggiava il fazzoletto di lei; Silvio
-lo raccolse, era umido di lagrime. Intanto
-vide anche una delle eleganti scarpette alla
-Luigi XVI giacere abbandonata... Un vero campo
-di battaglia. Qualche crisi nervosa, forse....
-<span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span>
-Sentì un tantino di rimorso... cioè rimorso, no,
-non sarebbe il caso! dì rammarico, via; poichè
-non era proprio un tiranno, sebbene quella
-grullina con le sue scene tragiche tentasse di
-farlo credere.
-</p>
-
-<p>
-Non l’aveva mai veduta così desolata... che
-follìa!... Se avesse a soffrirne poi? Era così piccina,
-così fragile... Le toccò il piedino scalzo; — lo
-sentì di ghiaccio e lo ricoperse con un
-lembo di pelliccia, accuratamente. Certo non
-c’era un’altra donna al mondo con un paio di
-piedini uguali... Quante dolci pazzie gli avevano
-fatto commettere! Quella scarpetta pareva
-quella d’una bimba, d’una fata, di Cenerentola;
-proprio: la scarpina di Cenerentola. Invogliava
-di empirla di confetti, di fiori, di baci...
-</p>
-
-<p>
-Mimì mormorava parole inintelligibili, si agitò
-con inquietudine e finì per rizzarsi di scatto,
-seduta, con gli occhi spalancati, non ancora
-ben desta.
-</p>
-
-<p>
-— Sei tu, Silvio! — balbettò, poi, vedendogli
-la sua scarpetta fra le mani, continuò smarrita: — Ma
-dunque era vero... l’ho persa proprio
-al veglione....
-</p>
-
-<p>
-— Sì, — disse Silvio ridendo, indovinando.
-Sei stata al veglione nella carrozza della fata
-Mab....
-</p>
-
-<p>
-E s’inginocchiò cavallerescamente a’ suoi piedi.
-</p>
-
-<p>
-— Ti ricordi la fiaba di Cenerentola?
-</p>
-
-<p>
-«.... La signorina dimenticò ciò che la madrina
-le aveva raccomandato, di guisa che udì
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-battere il primo tocco di mezzanotte, quando
-credeva che non fossero ancora le undici.
-</p>
-
-<p>
-«Si alzò e scappò via come una gazzella;
-il principe la seguì e non potè raggiungerla,
-ma essa lasciò cadere una scarpettina di vetro
-che il principe innamorato raccolse e serbò.
-</p>
-
-<p>
-«Era una scarpina così piccola, — seguitò
-Silvio quasi ridente, in un tono affettuosamente
-tenero, — così microscopica, che non andava
-bene a nessuna donna. Finalmente vennero a
-provarla a Cenerentola che stava sola accanto
-al fuoco.»
-</p>
-
-<p>
-Cenerentola-Mimì si prestava male a quel
-gioco, così impermalita come era. Pure allungò
-a Silvio il piccolo piede che aspettava d’essere
-calzato. Ma il Principe-amante, questa volta, invece
-di mettere una scarpetta tolse anche l’altra,
-e in quell’attitudine d’amore e di penitenza
-le coprì i piedini di baci.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-</p>
-
-<h2 id="parole">Romanze senza parole.</h2>
-</div>
-
-<p class="indr">
-<i>List! Spirits speak!</i>
-</p>
-
-<h3>I.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Mattutino.</span></span></h3>
-
-<p>
-La camera è piccola, bianca, tutta bianca;
-velata di bianco al letto, alle finestre socchiuse
-da cui entra il pallore dell’alba. Pochi mobili,
-fragili, leggieri, sgombri. Su una pelle d’ermellino
-a piè del letto langue un mazzetto di viole;
-nel letto riposa un piccolo essere: una bimba,
-un fanciullo, una giovinetta: un viso roseo,
-una testa bionda; l’espressione è cancellata
-dall’abbandono del sonno, le palpebre velano
-l’anima. Nell’angolo più oscuro qualche cosa di
-massiccio, di cupo, di enorme si determina in
-quella tenuità; qualche cosa che s’agita, che
-vive in quel mistero blando. Sono due gattini
-che ruzzano su un antico seggiolone di cuoio.
-Due gattini color di nebbia, dagli occhi di turchese
-che si provocano, s’assaliscono, si rincorrono,
-si guatano con delle mosse inconsulte,
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-grottesche; ignoranti la loro stessa volontà; comici
-nella leggiadra del nastro rosso troppo
-largo di cui hanno ornato il collo e che all’uno
-di essi è passato sotto il mento come una cravatta
-in caricatura; piccoli e deboli nell’ampio
-seggiolone austero che parla di forza e di grandezza.
-</p>
-
-<p>
-L’alba inoltra una luce incolore nella stanza;
-quella giovinezza bionda respira placidamente,
-ritmicamente nell’incoscienza della vita.
-Uno dei gattini, nella vivacità irreflessiva delle
-mosse, è caduto dentro una scarpetta abbandonata
-ai piedi della poltrona e di là incrocia lo
-sguardo con l’avversario, che sosta sul limite
-del sedile guardando in giù con commiserazione
-profonda. Gioco, riposo, raccoglimento, candore,
-gracilità nella piccola stanza che pare
-un’oasi d’avvenire, dove il passato veglia in
-un canto, nell’ombra, solo come una sicurezza,
-un augurio.
-</p>
-
-<p>
-L’aurora rosata è imminente nella camera
-bianca, tutta bianca. Fuor dei vetri pispigliano
-gli augelli su un ramo di mandorlo in fiore e
-tintinna il mattutino.
-</p>
-
-<p>
-L’uno dei gattini mordicchia il nastro della
-scarpetta con una specie di voluttà; l’altro è
-sceso dal seggiolone, e coi movimenti snelli e
-feroci di una giovane tigre, si balocca con le
-viole morte fra l’ermellino....
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-</p>
-
-<h3>II.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Meriggio.</span></span></h3>
-
-<p>
-Sulla stesa aromatica, molle, di fieno falciato,
-la giovine sposa ha dimenticato o gettato
-il suo ombrellino purpureo, tutto aperto come
-un calice sotto il sollione, tutto fiammeggiante
-come un’ara accesa. Una sciarpa di seta morbida
-e profumata e un piccolo volume di versi
-d’amore paiono ardere dentro l’ombrellino come
-in olocausto, e nella breve ombra serica, al di
-fuori, giacciono cuori dorati di margherite spirate
-in un’ultima parola di passione.
-</p>
-
-<p>
-La giovine sposa non era sola. Una canna
-d’èbano è confitta lì accanto, vigile e altera, simile
-ad una piccola antenna; il manico d’argento
-fino sfavilla al sole. Così il gentile trofeo
-glorioso vive e s’infiamma nella calda luce meridiana,
-mentre tutte le campane si ripetono festosamente
-il saluto dell’ora feconda, mentre
-l’animuccia fragrante di mille fiori falciati s’invola
-dalle invisibili bocche moribonde nell’umido
-tepore della terra, e più innanzi un campo
-di grano, già raso e ancora biondo, sorregge
-i fasci della pingue messe, e una nidiata novella
-cinguetta fra i rami frondosi d’un olmo, e due
-farfalle tardive, dalle tinte calde, si rincorrono
-per distruggersi in un baleno d’amore.
-</p>
-
-<p>
-Poi, all’improvviso, una folata di vento del
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-Sud; una nube nera, la voce del tuono come un
-comando del destino; ed ecco il libro svolgere
-le pagine affannosamente e non quetarsi
-che a un canto di morte; ecco la fragile antenna
-oscillare, ecco la sciarpa candida sospinta
-irreparabilmente verso una siepe di spine; ecco
-una mandra di puledri inebriati, folli, passare
-sul gentile trofeo, lacerando, schiantando.
-</p>
-
-<h3>III.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Vespro.</span></span></h3>
-
-<p>
-Dall’alto pendono grappoli d’uva di un fosco
-e tranquillo color di rubino. La vite, l’antica
-vite, riveste tutto il pergolato che si apre
-ad archi sull’orticello regolare, solitario. Ai lati
-dell’estremo lembo di sentiero che conduce
-dritto al pergolato, due aiuole di radicchio furono
-sacrificate e coltivate a fiori, i buoni ed
-ignoranti fiori degli orti, dalle tinte cariche passate
-di moda, dal profumo sgarbato o sgradevole.
-</p>
-
-<p>
-Qualche rosaio piantato qua e là simmetricamente,
-ancora fiorito di alcune rose che non
-corrotte dalla soverchia civiltà hanno a gloria
-di non aggiungere titoli al loro nome e al loro
-colore che ha un patrimonio secolare di madrigali
-e di canzoni — ai loro piedi si stende
-il basilico aromatico che sa i drammi delle povere
-stanze, e la lavanda misteriosa che sa i
-segreti della notte di San Giovanni, e la minuscola
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-maggiorana, eternamente infantile. Più
-oltre, cespi di garofano plebeo paiono raccontare
-gli idillî grossolani della scorsa estate, e
-due piante di gigli pensano al fiore assente, appassito
-fra le mani ceree di una monaca morta
-o fra i lumi di un altare consacrato a Maria;
-mentre i girasoli privi dell’ansiosa pupilla d’oro
-sembrano averla chiusa finalmente in una stanca
-rassegnazione.
-</p>
-
-<p>
-Un’aura mista di verità e di favola spira
-nell’orticello solitario; una giovialità antica
-e innocente di epigrammi e di allegorie; mentre
-sulle nubi fioccose intinte nel tramonto, par
-di veder passar adagiata qualche deità dell’Olimpo
-migrante verso dolci nozze.
-</p>
-
-<p>
-Sotto il pergolato c’è una sedia a bracciuoli
-dalle curve d’una arretrata eleganza, e un tavolino
-dai bordi rialzati tutt’intorno, previdentemente,
-come una tenue arginatura. Il queto
-recesso verde è deserto per poco: sul tavolino
-Ella ha posato, senza piegarla, la calza incominciata
-coi ferri irti, provocanti e insidiosi
-come un piccolo arnese di guerra montato per
-un assalto; il gomitolo è ruzzolato in un angolo
-e sarebbe caduto senza la provvida sponda;
-il libro ascetico, in cui ella leggeva placide
-meditazioni, è rimasto aperto sotto i suoi occhiali
-levati in fretta; la bellissima tabacchiera
-dalla miniatura inghirlandata di diamanti,
-ch’essa nasconde sempre come una vergogna, è
-pure dimenticata sul tavolino, ed anche una
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-delle sue manopole di lana nera. Sulla spalliera
-della seggiola è rigettato lo scialle bigio.
-S’ella lo vedesse lambire il terreno umidiccio!
-Qualchecosa di estremamente dolce o di estremamente
-triste l’ha chiamata.
-</p>
-
-<p>
-Il sole scende pomposo dietro i pioppi in
-una atmosfera di polvere d’oro, accompagnato
-dagli addii dei bronzi di un vecchio campanile,
-non mesti, ma gloriosi, come dopo una bella e
-buona opera coraggiosamente compiuta. Nella
-lor bonaria esultanza le antiche campane giungono
-perfino a ricordare ritmi e arie di danze
-perdute che udirono nella loro gioventù. Così
-non si affliggono della fine dell’oggi, poichè entrano
-nell’ombra celebrando la vigilia dell’indomani.
-</p>
-
-<p>
-Un’allodola invisibile canta un epitalamio
-nelle regioni radiose. Una schifosa lumaca tenta
-il passaggio della tabacchiera.
-</p>
-
-<h3>IV.
-<span class="smaller"><span class="smcap">Crepuscolo.</span></span></h3>
-
-<p>
-L’ombra della angusta cappella è rotta appena
-dalle due lampade veneziane di ferro, a
-vetri rossi, appese dinanzi all’altare. Fuori, la
-neve turbina nell’aquilone diaccio e si ammonticchia
-sul davanzale dell’alta finestra contro i
-piccoli vetri rotondi, imbiancando la luce come
-un’alba; il vento ulula, sbatte e flagella, ma
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-nell’interno regnano supremi il silenzio e l’immobilità.
-L’altare verdeggia cupamente di semprevivi,
-ma dai gradini sale e si effonde un’acuta
-fragranza di giacinti e di viole da un indistinto
-cespite.
-</p>
-
-<p>
-Una forma si agita sull’inginocchiatoio e si
-queta.
-</p>
-
-<p>
-Subito una folata violenta si ingolfa e spalanca
-i vetri dell’antica finestra, come per dar
-adito a qualche cosa di spirtale. Le lampade
-oscillano — i semprevivi rabbrividiscono; un
-rosario penzolante dall’inginocchiatoio ondeggia:
-si discerne ora nel nuovo chiarore una gran
-ghirlanda di giacinti e di viole a piè dell’altare
-e una forma umana raccolta in una pelliccia,
-prostrata, col volto nascosto fra le braccia
-immobilmente. La neve entra dalla finestra e
-fiocca lenta e lieve sul pavimento; il vento
-spegne le lampade, arriccia i merletti dell’altare,
-sbatacchia rabbiosamente il rosario contro
-il legno dell’inginocchiatoio, disperde il profumo
-dei fiori, intirizzisce.
-</p>
-
-<p>
-Tutto si lamenta o si ribella, eccetto la forma
-umana prostrata sull’inginocchiatoio, eccetto
-una lastra di marmo, dirimpetto alla finestra,
-che sta pallida e forte sotto il flagello
-della bufera. Nel chiarore nivale si legge su
-quella lastra: <i>Pax</i>.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-</p>
-
-<h2 id="crisantemi">Crisantèmi</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il giardiniere entrò senza troppi riguardi
-nella stanzaccia di sgombero che non aveva
-divani nè tappeti; ma appena vide che c’era
-la signorina, si fermò impacciato e confuso d’essersi
-arrischiato fin là con gli scarponi motosi
-e la giacca di bordato. Credeva di non trovare
-nessuno, tutt’al piú la cameriera. Si scusò.
-</p>
-
-<p>
-— Chè, chè, vieni pure, Cencio! — disse allegra
-la signorina, da quella buona figliuola che
-era. — M’hai portato i fiori, eh? bravo! — E gli
-levò di mano senza tanti complimenti il gran
-paniere di vimini, dove s’affastellavano malinconici
-e stillanti i crisantemi. E il giardiniere
-non aveva ancora richiuso l’uscio dietro di sè,
-che le sue mani impazienti li avevano già sparpagliati
-sulla tavola quadrata, nel vano della
-finestra, in una tepida ondata di sole.
-</p>
-
-<p>
-— Così — mormorò, arrampicandosi più che
-sedendosi sull’enorme seggiolone di cuoio usato,
-da cui scappavano bioccoli di crine; e cercò
-le forbici e il gomitolo sotto i fiori.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quel seggiolone rococò e la tavola quadrata
-a bordi rialzati, intorno a cui correva
-una laminetta d’ottone arrugginita, avevano
-appartenuto alla nonna; poi, lei morta, erano
-stati relegati fra i vecchiumi nella stanzaccia
-di sgombero nuda e bianca, sempre inondata
-di sole; dove la signorina sgusciava spesso per
-frugare nei cassettoni zoppi o nei ripostigli
-dell’armadietto dalle tendine verdi, in cui scopriva
-sempre nuove bricciche curiose. Aveva
-trovato un vecchio almanacco che conteneva
-qualche sonetto del nonno; un passaporto ingiallito,
-dov’erano i connotati della nonna giovine;
-un pettine istoriato, qualche centimetro
-di trina antica, qualche ritaglio di damasco per
-i suoi lavorucci; perfino un ricamo a fiamme
-sbiadito, di cui aveva rivestito la cartella della
-sua scrivania. Intanto nella stanzaccia poteva
-cantare a pieni polmoni, e non quelle stucchevoli
-romanze a cui la condannava la mamma;
-cantare come piaceva a lei; musica e parole di
-sua fantasia, secondo le salivano dall’anima
-alle labbra; melodie e pensieri appassionati o
-gioiosi in una limpida e bizzarra vena inesauribile
-di rosignuolo. Anche, perchè negarlo? ci
-veniva volontieri per la ragione che dalla grande
-finestra, spalancata sempre all’aria e al sole,
-si scorgeva benissimo il lembo verde d’un giardino
-signorile, dove, a certe ore del giorno, si
-vedevano eseguire esercizi ginnastici sulle sbarre
-o sull’altalena due o tre monellucci snelli
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-e agili come funamboli. Erano i cugini della
-signorina.
-</p>
-
-<p>
-Però in quel momento il lembo di giardino
-rimaneva deserto col suo gruppo di semprevivi
-cupi che dondolavano le vette nella mitezza
-del sole autunnale, come vecchioni crogiolantisi
-a un tepore di stufa semispenta; nè la signorina
-pareva curarsene menomamente, intenta
-come era a raggruppare i crisantemi, non sollevando
-mai il capo, se non per lanciare qualche
-occhiata fuggevole contro la parete dirimpetto,
-dove fra due o tre gabbie rotte, un paravento,
-uno scaffale e una vecchia bandiera
-c’era una seggiola sfondata e su quella un ritratto
-a olio della nonna, che la guardava, voltando
-un poco il capo, col suo sorriso tranquillo
-e indulgente di vecchietta buona. La fanciulla
-proseguiva lesta l’opera gentile in quell’onda
-calda, abbagliante, di sole, che pareva insultare
-alla rovina austera del suo seggiolone rococò
-e stemperare nella fulgidezza aurea la personcina
-di lei, così tenue e delicata, quasi diafana,
-col visino e le mani trasparenti di biancore
-anemico, i capelli luminosamente biondi, le
-ciglia d’oro, come raggi sottili, intorno all’azzurro
-intenso dei suoi occhi in cui vagava sempre
-e solamente un riso gaio ed inconscio di
-giovinezza. I crisantemi smorti, i tristi figli
-della vecchia stagione vizza e stanca, rifiorivano
-sotto la carezza del sole, sotto le agili
-dita che li avvincevano sapientemente. E i piccoli
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-mazzi s’allineavano lungo i bordi rialzati
-della vecchia tavola; il bianco dominava, ma
-un bianco gialliccio e senza profumo, che faceva
-pensare a una zitellona in veste di sposa. Accanto
-al bianco il rosso, cupo, vellutato, un
-rosso arcigno di tappezzeria; poi i crisantemi
-gialli, fiore e colore giapponese, alla cui vista
-balena alla mente un <i>Mikado</i> grottesco, adorato
-come un dio fra gli splendori del paese
-più fantasioso del mondo. Infine i crisantemi
-rosa, i più piccini e i più graziosi; il rosa d’un
-bottone di margheritina, il rosa antico dell’abito
-della fanciulla nascosto dal grembiule di batista
-che s’allacciava sulle spalle sotto due voluminose
-coccarde di nastro e di trina, fra cui sortiva
-esile il suo collo nudo e bianco di adolescente.
-</p>
-
-<p>
-Il saliscendi della vecchia porta, sollevato
-con un colpo secco, smorzò uno stornello in
-gola alla signorina, che ebbe paura di vedersi
-comparire la mamma o l’istitutrice, e trasalì.
-</p>
-
-<p>
-Invece comparì uno dei suoi cuginetti, i
-ginnastici.
-</p>
-
-<p>
-— Miracolo che ti si scova qui, Noemi! — esclamò
-con un gesto largo il giovinetto, mingherlino
-e biondo come lei. — Dovresti addirittura
-battezzarla per tuo salotto questa stanzaccia...
-Se i topi non ti facessero la concorrenza,
-quasi, quasi... eh?
-</p>
-
-<p>
-Noemi sorrise tutta accesa, nel volto; nel collo
-e persino nelle mani, da una vampata di sangue.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-</p>
-
-<p>
-— ... Si può sapere che cosa fai in quel
-seggiolone, dinanzi a quei brutti fiori? Mi sembri
-una maga che distilli qualche filtro per le
-sue stregherie...
-</p>
-
-<p>
-La signorina gli diede un buffetto sulle
-mani, che si stendevano minacciose verso i
-crisantemi.
-</p>
-
-<p>
-— Sarebbe meglio che tu m’aiutassi, Aldo...
-</p>
-
-<p>
-— Che onore! E a far che?
-</p>
-
-<p>
-— È una ghirlanda per la povera nonna, — disse
-Noemi a mezza voce, come gli confidasse
-un segreto; ma il cuginetto la guardò con le
-sopracciglia inarcate in comica sorpresa.
-</p>
-
-<p>
-— Che vuoi che se ne faccia la nonna della
-tua brutta ghirlanda? La sua tomba è piena
-di fiori! Stamattina le nostre mamme ne hanno
-mandato al Camposanto una carrozza piena...
-</p>
-
-<p>
-— Fiori comperati, — osservò Noemi. — Non
-è la stessa cosa. Voglio che la buona nonnetta
-abbia i fiori del suo vecchio giardino, intrecciati
-da me. E glieli porterò io con miss Annie
-domattina... Sono tanto brutti poi? Ti ricordi?
-la nonna amava i crisantemi...
-</p>
-
-<p>
-Aldo non rideva più. Prese un fiore e lo
-lasciò; poi un mazzetto, e odorandolo guardò
-lei in un certo modo che la fece ammutolire.
-Ed ella si vendicò di quella confusione e di
-quel nuovo rossore con una spallucciata, come
-se Aldo la canzonasse. Intanto non finiva più
-di avvoltolare il filo sugli steli riuniti d’un
-gruppo di crisantemi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Dunque? — chiese il giovinetto con la voce
-tutta mutata e raddolcita improvvisamente; — posso
-aiutarti?
-</p>
-
-<p>
-— Ma... sì! — rispose la signorina alzando gli
-occhi un po’ sorpresa. — Cercati una seggiola...
-</p>
-
-<p>
-— Non è facile, non è facile... — canticchiò
-Aldo, girandosi da tutti i lati. Intanto,
-ritto, sulla sedia sfondata, scorse il ritratto
-della nonna, che guardava anche lui.
-</p>
-
-<p>
-— Ve’, ve’... chi ha messo là quel ritratto
-della nonna?
-</p>
-
-<p>
-— L’ho posato io là, ma per un momento.
-Scenderà nella mia camera. Era in quel canterano
-carico di polvere e di ragnatele...
-</p>
-
-<p>
-— Somiglia poco... — osservò il cuginetto che
-s’affaticava a sbarazzare uno sgabello da una
-cassetta di vecchi ferramenti e di utensili da
-cucina fuori d’uso. — Ecco, guarda, Noemi... Ora
-tu sei la castellana, io il tuo paggio, — le disse
-accomodandosi sull’alto sgabello di legno scolpito,
-che aveva nettato alla meglio col fazzoletto.
-</p>
-
-<p>
-Erano una graziosa cosa quei due fanciulli
-nel sole che inondava libero metà della cameraccia
-ingombra di vecchiumi, lei piccina e
-sottile, una figurina a toni delicati che occupava
-poco spazio nel gran seggiolone severo
-di cuoio; lui esile, aristocratico, sull’alto sgabello,
-con la testa bionda, ondulata, curva sui
-fiori: lo stesso colore dei capelli di lei, meno
-leggieri e più lucenti, la stessa tinta di carnagione
-diafana, la stessa magrezza gentile delle
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-membra adolescenti. Parevano fratello e sorella.
-</p>
-
-<p>
-— <i>Dites, la jeune belle, — Où voulez vous
-aller?</i>... — cominciò a cantare Aldo per rompere
-il silenzio.
-</p>
-
-<p>
-— Se ti figuri d’avere una bella voce... — mormorò
-la signorina, dando una forbiciata agli
-steli troppo lunghi.
-</p>
-
-<p>
-Aldo riunì due fiori: — Così? — chiese umilmente; — va
-bene, così?
-</p>
-
-<p>
-— Copia quelli e non mi seccare! — rispose
-Noemi additandogli i mazzetti allineati; — non
-sciupare tanto cotone e non tagliare i gambi
-troppo corti...
-</p>
-
-<p>
-Ancora quello sguardo intenso, strano, quasi
-furtivo di lui, ed ella riavvampò chinando il
-capo sui crisantemi. Poi, ad un rumore di carrozza
-giù nella strada, Noemi balzò alla finestra.
-</p>
-
-<p>
-— Chi è, Noemi?
-</p>
-
-<p>
-— La contessa Sangiorgi.... Quante visite ha
-oggi la mamma!
-</p>
-
-<p>
-Aldo schiuse le labbra. Voleva dire: — Meglio! — ma
-si trattenne.
-</p>
-
-<p>
-— Com’è che non ti chiama in salotto?
-</p>
-
-<p>
-— L’ho pregata di lasciarmi in pace oggi,
-perchè dovevo fare la lezione inglese di due
-giorni.
-</p>
-
-<p>
-— Ah! — Aldo le lanciò un’occhiata di sottecchi,
-sorridendo maliziosamente con una dolcezza
-segreta, come se quella bugia li riunisse
-in una complicità ch’egli vagheggiò satura dei
-romanzeschi misteri d’un convegno d’amore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-</p>
-
-<p>
-Noemi tornò al suo posto sul seggiolone respirando
-con un — ah! — prolungato, il sole
-e la luce.
-</p>
-
-<p>
-— .... perchè, se la mamma sapesse che sono
-qui, — continuò come scusandosi del suo sotterfugio, — mi
-sgriderebbe di perdere il tempo, di
-tenere spalancata la finestra, di stare al sole....
-io che l’adoro il sole! Vediamo che fai.... Sì,
-non c’è male, non credevo.... Ora continua tu
-a fare i mazzi, io comincerò a riunirli in ghirlanda.
-</p>
-
-<p>
-Aldo continuò a fare i mazzi senza parlare.
-Sentiva il cuore traboccargli di soavità, e quella
-soavità scorrergli per tutte le fibre in una vita
-nuova che gli donava slanci, aspirazioni, desiderii
-indefiniti, ma alti e grandiosi. Nulla gli
-pareva impossibile o difficile nella mite ebbrezza
-di quell’ora; rinveniva in sè l’entusiasmo
-d’un apostolo e la stoffa d’un eroe, e non
-gli riusciva di spiegarsi perchè. Noemi canterellava
-o lo stuzzicava motteggiandolo. Ma anche
-lei quel giorno aveva certi turbamenti strani
-negli atti e nella voce, e molti rossori importuni.
-Poi, nel suo intimo, un eccitamento
-insolito, come quando si aspetta una felicità
-promessa e desiderata; un lieve eccitamento ricascante
-ad intervalli in una specie di melanconia
-che le dava voglia di piangere. Soffriva;
-pure non avrebbe rinunziato al diletto segreto
-di quella sofferenza, che le rivelava vagamente
-e nebulosamente il perchè della vita.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-</p>
-
-<p>
-Presto i mazzolini furono tutti pronti e la
-ghirlanda arrivò a metà fra le sue dita destre;
-Aldo, rimasto in ozio, si mise a incidere colla
-punta delle forbici una iniziale sul tavolino.
-</p>
-
-<p>
-— Ma che passatempi da monello! — sgridò
-Noemi debolmente, poichè aveva indovinato
-e veduto quel bell’<i>enne</i> che si sviluppava. Egli
-sorridendo imperterrito lo compì e vi intrecciò
-bizzarramente un <i>A</i>. La signorina seguitò zitta
-e mogia la sua ghirlanda, ascoltando i battiti
-violenti del suo piccolo cuore.
-</p>
-
-<p>
-— È la tavola vecchia della nonna, questa
-tavola, dì.... Noemi?....
-</p>
-
-<p>
-— .... Sì. — Aveva tardato a rispondergli,
-perchè le si dilagava ancora nel cuoricino palpitante
-la dolcezza inattesa che le aveva procurato
-il suo nome profferito da lui.
-</p>
-
-<p>
-— Me ne ricordo.... — sospirò Aldo continuando
-sempre nella sua artistica barbarie, che
-ora gli ispirava un cuore passato da un dardo. — Quante
-volte, da piccoli, vi abbiamo ruzzolato
-su i gomitoli, te ne ricordi, Noemi? La
-nonna ci lasciava fare, poichè i gomitoli non
-cadevano, imprigionati fra i bordi rialzati. A
-noi pareva una tavola dà bigliardo.
-</p>
-
-<p>
-— .... Sì — disse ancora dolcemente lei. Poi
-esitando gli domandò le forbici, che Aldo le
-presentò con un atto cavalleresco, un riso luminoso
-ed eloquente negli occhi e sulle labbra
-schiuse. — Aspetta, aspetta, son qua per aiutarti, — soggiunse
-con un’adorabile inflessione
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-di protezione affettuosa nella voce, vedendo che
-le proporzioni della ghirlanda incominciavano
-ad impicciarla sul serio. E ne sollevò un lembo
-reggendolo. — Quasi, ti soffoca, — mormorò col
-medesimo sorriso e sullo stesso tono.
-</p>
-
-<p>
-— Grazie, — aveva detto Noemi. — È quasi
-finita, — aggiunse ora, malinconica; ed Aldo
-trasse un sospirone che le carezzò tepidamente
-il viso. Non parlavano quasi più, assorti nella
-loro vita interna tutta di sensazioni così rapide
-e nuove e intense, ch’era divenuta una pena.
-Egli stava rubando furtivamente alla ghirlanda
-un crisantemo rosa, piccino, dal cuore
-giallo come una margherita, poi con un atto
-riguardoso e delicato passò il fiore fra le trine
-del grembiule di lei.
-</p>
-
-<p>
-A Noemi ricascarono le mani in grembo.
-Seria, muta, tremante, ella seguì con lo sguardo
-le dita di Aldo, e negli azzurri occhi, non
-più ridenti, vagava una soave tristezza come se
-l’anima sua fosse conscia di sprigionarsi dall’ombra
-della queta notte senza sogni, e per sempre.
-Nel silenzio affannoso, pieno di palpiti, ella
-alla sua volta trasse dalla ghirlanda un altro
-crisantemo rosa, per lui. Ma mentre le sue manine
-un po’ tremanti tentavano di fissarlo al
-colletto dell’abito del suo compagno, Aldo le
-prese i polsi, la attirò, e un bacio innocentemente
-ardente riunì i loro capelli biondi su
-quei fiori dei morti, nella tepida ondata di sole.
-</p>
-
-<p>
-La nonna li guardava dal ritratto sorridendo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-</p>
-
-<h2 id="scene">Dietro le scene.</h2>
-</div>
-
-<p>
-— Che? te ne vai, Carmelita? — disse col
-rammarico negli occhi e nella voce donna Luisa
-alla contessa, trattenendola per le mani; — te
-ne vai proprio all’ora del mio «<i>five o’ clock
-tea</i>?» Bada, sarei capace d’impermalirmi come
-Turiddu quando compar Alfio si rifiutò di bere
-il suo vino! — aggiunse in tono leggero di scherzo,
-poichè avevano chiacchierato sino allora nel
-salotto della Cavalleria Rusticana.
-</p>
-
-<p>
-— Mi rincrescerebbe, tanto più che a me è
-interdetto quel famoso «<i>a piacer vostro</i>» che
-fa sempre tanto effetto, — ribattè la contessa
-Carmela, sorridendo tranquilla, mentre seguiva
-lo scherzo con la sua voce fievole. — Non posso
-mettermi a tua disposizione dacchè parto domani....
-</p>
-
-<p>
-— È per domani irrevocabilmente, contessa? — deplorò
-il galante capitano Olimene.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, — disse solamente lei, che appariva
-alta e pallida nel suo abito nero.
-</p>
-
-<p>
-— E.... non tornerai tanto presto, forse? — chiese
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-con un’ansia non benissimo dissimulata,
-la voce melodiosa di donna Luisa.
-</p>
-
-<p>
-— Non si torna tanto presto dall’Oriente, — rispose
-la contessa con la più perfetta naturalezza. — Quando
-poi s’ha a compagno di viaggio
-un viaggiatore esperto e spietato come mio zio
-che è capace di non farmi grazia nè d’un minareto
-nè d’una moschea...
-</p>
-
-<p>
-— Perchè mai la contessa Sanlorenzo veste
-sempre di nero da un mese in qua? — chiedeva
-ingenuamente dal suo cantuccio la nipotina del
-commendatore alla sua vicina. — È forse in lutto?
-</p>
-
-<p>
-— Forse, — rispose l’altra, a cui scintillavano
-due occhietti maliziosi; poi, vedendosi
-osservata dal marchese Arturi, soffocò uno scoppio
-di tosse nel fazzoletto, arrossendo un poco.
-</p>
-
-<p>
-— Il nero le sta molto bene, la ringiovanisce, — seguitò
-l’altra ammirando coi suoi placidi
-occhi chiari la figura svelta della contessa Carmela
-che si disegnava severamente sullo sfondo
-artistico d’un arazzo luccicante di fili d’oro, e
-il viso pallido, ancor più pallido e fine sotto
-la tesa del gran cappello a penne di struzzo
-fra cui scintillava un fermaglio di vecchi diamanti.
-</p>
-
-<p>
-— Ah... quando è così poi... non ho coraggio
-di trattenerti, — diceva ora donna Luisa
-perfidamente bella, piegando il capo di Ebe giovinetta,
-con quel movimento civettuolo che faceva
-perder la testa ai suoi adoratori; — trattandosi
-di un pranzo scientifico-letterario, e un
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-pranzo d’addio, poi... Una cosa commovente....
-Già mi ruberai qualche amico stasera, il professor
-Lapi, Modesti, Farigliano, non è vero?
-Cino De Romei... — continuò disinvolta, figgendo
-gli occhi ingenui in quelli dell’amica con raffinata
-crudeltà.
-</p>
-
-<p>
-— Cino De Romei replicò la contessa tranquillamente,
-senza che la menoma contrazione
-del volto tradisse le sue sensazioni. Per
-essere ammessi a questa categoria dei miei
-pranzi bisogna avere l’età come per essere
-eletti senatori....
-</p>
-
-<p>
-— Ma i suoi amici sono davvero <i>eletti</i>, — mormorò
-Olimene; — beati loro...
-</p>
-
-<p>
-— Oh, non li invidii troppo, capitano. Sono
-i privilegi dell’autunno, della stagione dei
-frutti....
-</p>
-
-<p>
-— Proibiti, — mormorò un freddurista ostinato
-che si nascondeva fra un vaso del Giappone
-e una giardiniera di rose.
-</p>
-
-<p>
-— Addio, dunque, bella. Portami un paio di
-pantofoline dal tuo Oriente, — concluse allegra
-donna Luisa; e le due signore si baciarono, mentre
-la signorina dagli occhi maliziosi canticchiava
-sottovoce guardandosi la punta delle
-scarpette:
-</p>
-
-<p>
-«Compar Turiddu, avete morso a buono...
-c’intenderemo bene; a quel che pare!...»
-</p>
-
-<p>
-La contessa Carmela Sanlorenzo si congedava
-dagli altri con una graziosa parola e un sorriso
-per ognuno. Si era animata; pareva intimamente
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-soddisfatta del suo viaggio in oriente;
-ma un momento in cui il sorriso cessò, i
-suoi occhi ebbero un lampo di luce sinistra e
-il suo volto un’espressione di odio e di dolore.
-Non fu che un attimo: prima d’uscire mostrò
-ancora in un ultimo saluto leggiadro e dignitoso
-il suo sorriso sereno, come sempre.
-</p>
-
-<p>
-Il servo la seguì per la fila dei salotti, nell’anticamera,
-e incominciò a scendere dopo di
-lei, da un lato del largo scalone ornato di cactus
-e di palmizî. Ella prese a scendere lentamente,
-con pena, gli scalini nascosti dallo spesso
-tappeto. Il sorriso era sparito; tornava l’espressione
-dolorosa del volto, la luce fosca negli
-occhi grandi e neri cerchiati d’ombra, a cui
-s’aggiungeva un abbandono stanco della persona
-che la invecchiava, ora, di dieci anni. Scendeva;
-gli abiti scivolavano giù dagli scalini
-dietro la sua persona con un lieve fruscìo; il
-suo piccolo piede si posava quasi incerto sul
-liscio tappeto, la mano stringeva convulsamente
-il manico dell’ombrellino finamente intarsiato
-d’argento. Scendeva. Allo svoltare della scala,
-sul pianerottolo, dietro un gruppo di camelie,
-s’incontrò faccia a faccia con un uomo che saliva.
-Era Cino De Romei.
-</p>
-
-<p>
-Si salutarono: ella col suo semplice e grazioso
-cenno del capo, egli mettendosi in disparte,
-per lasciarla passare, con un inchino e
-una premura alquanto esagerati. Fu tutto; nè
-l’uno nè l’altra udirono il suono delle loro
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-voci: egli continuò a salire a testa alta; ella
-a discendere a capo chino, serrando come in una
-morsa il manico dell’ombrellino intarsiato d’argento.
-</p>
-
-<p>
-La contessa Carmela Sanlorenzo continuò a
-scendere e pensava: — Ecco così, — pensava — ci
-siamo incontrati a uno svolto del cammino;
-così. Io discendevo già la vita col mio
-fardello di amarezze; lui saliva con la speranza
-che gli dava le ali. Abbiamo sostato un
-momento; poi lui ha ripreso a salire, io a discendere
-come prima, più stanca di prima, poichè
-neanche l’amicizia sua mi conforta più, divenuta
-impossibile, oramai, come una vergognosa
-transazione o come un’ipocrisia... Dunque più
-nulla: dunque dimenticare. Dimenticare tutto,
-dalle ore più soavi in cui l’amore non era ancora
-che un benessere affascinante, dolcissimo e ignoto,
-che avviluppava entrambi e che dava un’intonazione
-lieta ai discorsi e alle cose più futili;
-alle ore tempestose del desiderio e della
-passione...: dimenticare le buone serate che
-abbiamo passate nel mio salottino di studio,
-serate di lavoro coscienzioso che credevamo di
-prendere tutti due sul serio... Egli mi leggeva
-i suoi versi bellissimi, io i miei, molto mediocri,
-ma in cui diceva di trovare una finezza
-e una percezione profonda... Pure, siamo
-giusti: avevo incominciato in buona fede, la
-mia parte di amica saggia, di consiglierà, di
-mamma... Non fui io la prima a cambiar scena.
-<span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span>
-Animandolo a venire da me a correggere i suoi
-lavori e a farsi aiutare a riordinare quel caos
-di foglietti volanti, pensavo proprio solamente
-di rendergli un servizio da amica vera, di offrirgli
-il mezzo che cercava per sottrarsi alle
-mille distrazioni oziose che lo tentavano, che
-lo attiravano suo malgrado e gli vuotavano il
-cervello e gli inaridivano il cuore. Era una dolcezza
-accogliere le sue confidenze, le sue confessioni,
-le sue speranze: sgridarlo, consigliarlo,
-animarlo... una dolcezza sempre più viva, sempre
-più profonda, sempre più invadente, finchè
-l’anima mia ne divenne satura e non vissi più che
-per lui... Quando non mi rimase più forza per fargli
-intendere ragione, si sommerse la rigida barriera
-dei quindici anni che ci separano, e invece
-del giovine poeta e della signora matura, si
-trovarono faccia a faccia due innamorati... ecco
-tutto. Ma la commedia è finita; io riprendo
-la mia parte di madre-nobile, egli recita da
-amoroso con una nuova attrice, veramente giovine
-questa volta. Non mi resta dunque che benedirli
-e andarmene a recitare altrove, e con
-più coerenza, un’altra parte di madre-nobile.
-</p>
-
-<p>
-— Come è cangiata Carmelita; — pensava Cino
-De’ Romei continuando a salire le scale a testa
-alta con una luminosità di trionfo negli occhi: — oggi
-ha tutto l’aspetto di una signora matura.
-Fui il gran pazzo... Meritava proprio di
-bruciarsi il sangue di passione per un anno, di
-commettere tante follie, di gettare alla morte
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-e all’infinito la sfida audace della felicità e
-dell’amore per arrivare, incontrandoci, a salutarci
-appena, come due estranei... Peccato! una
-bella amicizia guastata così scioccamente... e
-un’amica come Carmelita, un’amica schietta,
-spregiudicata, saggia, intelligente e buona così,
-non è facile da surrogare... Forse, quando parecchi
-anni saranno passati, ella mi permetterà
-di riannodare un’intimità innocente... Ed io,
-divenuto illustre e serio, anderò ancora da lei a
-correggere i miei versi... che non saranno più
-pericolosi... perchè allora sarà il tempo di comporre
-i madrigali ingenui e di celebrare in sestine
-l’amore ideale. Oggi la giovinezza mi tumultua
-nel cuore e mi inebria dei suoi inni,
-e una formosa Dea m’attrae con tutti i suoi
-fascini... Oh, donna Luisa! bellissima realtà, oggi
-la poesia, la gloria, l’arte sei tu!...
-</p>
-
-<p>
-Cino De Romei giunse al sommo della scala.
-«Salve!» gli disse il cuore, dilatato dall’orgoglio
-e dalla felicità, mentre passava sotto la
-portiera di damasco dell’anticamera.
-</p>
-
-<p>
-— Addio, — mormorava la contessa Carmela
-indugiando un ultimo momento sulla soglia,
-addoloratamente.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-</p>
-
-<h2 id="mammole">Mammole</h2>
-</div>
-
-<div class="poem-container-right">
-<div class="poem inl"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Douce est la mort qui vient</i></p>
-<p class="i02"> <i>en bien aimant!</i></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<p>
-La strada s’allungava a perdita d’occhio,
-bianca e diritta fra il verde, ed essi tornavano
-al villino lentamente, avvinti, col viso colorito
-dai riflessi del sole occidentale. Lei aveva
-appoggiato alla spalla del suo compagno
-la testa avvolta nella sciarpa a maglia di
-seta fine, e qualche momento chiudeva gli occhi
-languidamente, abbandonandosi tutta alla
-pace soavissima di quel memorabile vespro;
-godendo di ricercare nelle più intime fibre dell’anima
-esuberante d’amore, la vibrazione dell’eterno
-inno primaverile gioioso. E quando un
-bacio lieve su le palpebre la riscoteva, ella riaprendo
-gli occhi stupendi incontrava di nuovo
-quello sguardo continuo, amoroso ed ardente
-che la spossava di dolcezza... Parlavano poco,
-a lunghe pause, giacchè erano intensamente
-felici; e quella felicità negata e contrastata
-per tanto tempo, pareva loro così inverosimile
-ancora, che tremavano di affermarla, di
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-rallegrarsene, per timore che al suono delle
-loro voci dileguasse, come un sogno. Finalmente
-egli le domandò sommesso, semplicemente, se
-aveva freddo, e le serrò più forte la vita col
-braccio, rimettendole intorno al collo un lembo
-indocile della sciarpa, mormorandole ancora
-qualchecosa che il vento si portava via; lei
-sorrideva senza rispondere, con gli occhi socchiusi
-nella vasta limpidezza lucente del cielo.
-Intorno a loro, nel verde tenero, c’era un senso
-gentile di frescura, e lontano, su in alto, s’udiva
-il trillo d’un’allodola invisibile.
-</p>
-
-<p>
-— Ti ricordi, Arrigo, di quel primo giorno?
-Fu in un pomeriggio come questo...
-</p>
-
-<p>
-Questa volta fu lui che assentì sorridendo
-in silenzio.
-</p>
-
-<p>
-— Ti ricordi di quelle povere violette bianche?
-</p>
-
-<p>
-Il giovane sostò, la sciolse dall’abbraccio e
-trasse da una tasca interna la serica busticina
-elegante, dove riposavano i fiorellini ingialliti.
-</p>
-
-<p>
-Lei rimase muta, appoggiata all’ombrellino
-chiuso e gli occhi le brillarono: — Ancora con
-te? — mormorò poi, ma lo sapeva bene che
-c’erano ancora, che ci starebbero sempre.
-</p>
-
-<p>
-— Anche dopo morte, — diss’egli; e baciò
-i fiori.
-</p>
-
-<p>
-Laggiù all’orizzonte in quella festa di colori
-sfolgoreggianti fra i tronchi, in quel saettare
-di raggi aurei che sprizzavano tra le fronde,
-qualchecosa d’indistinto pareva muovere ed avanzare
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-lentamente; ma essi non vedevano nulla,
-abbacinati dallo splendore, assorti nell’estasi
-del loro idillio.
-</p>
-
-<p>
-— Avevo sedici anni quel pomeriggio, lontano, — continuò
-lei appoggiando la manina
-inguantata sulla spalla del giovine, — quel pomeriggio
-lontano in cui mi sorprendesti a strappare
-ferocemente le mammole che tu raccogliesti
-poi con tanta religione, ed ero ancora una
-monelluccia stordita che non si accorgeva di
-essere ammirata, nè se ne curava... Eppure in
-quell’odoroso giorno d’aprile, fra tutti quei
-trilli e quell’azzurro, piansi per la prima volta
-di tristezza, poichè mi rinvenni nell’anima un
-abisso in cui era un silenzio sconsolato...
-</p>
-
-<p>
-— Eri sulla soglia del tempio d’un dio
-ignoto... — soggiunse lui piegando carezzevolmente
-il capo sulla morbida mano inguantata,
-abbandonata sulla sua spalla.
-</p>
-
-<p>
-— Oh come sentivo la vicinanza di quel
-dio, come mi turbava quell’attesa solenne!... — esclamò
-essa, commossa; — poi, senti Arrigo,
-la divinazione venne improvvisamente... Capii
-che solamente amando sarebbero scesi nella
-mia anima, a colmarne il vuoto, quei trilli,
-quella luce, quei profumi che mi facevano piangere
-d’una strana malinconia: ascoltai il mormorio
-di voci che s’era levato intorno a me e
-compresi che le cose tutte parlavano, inneggiavano,
-deridevano la mia ignoranza.... Allora
-strappai le violette...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-</p>
-
-<p>
-Egli le prese delicatamente fra le mani la
-testa, e la baciò senza parlare, con un sorriso
-intenerito.
-</p>
-
-<p>
-— .... dopo salii nella mia camera, m’inginocchiai
-e in quell’ardore di fede che mi
-dava la tristezza chiesi a Dio ingenuamente
-di amare anch’io, di amare molto, con tutte le
-facoltà del cuore, della mente, dell’anima; con
-tutto lo slancio e la forza della mia giovinezza,
-e di essere riamata così...
-</p>
-
-<p>
-— Dio ti ascoltò quel giorno... — cominciò
-lui con impeto, ma la piccola mano gli chiuse
-la bocca.
-</p>
-
-<p>
-— Ascolta: fu un olocausto; chiesi a Dio
-di respirare tutto il profumo, di godere tutta
-l’ebbrezza infinita di questo amore sovrumano,
-non fosse che per un giorno; e gli offersi in
-cambio... la mia vita...
-</p>
-
-<p>
-— Taci! — proruppe lui con un brivido; — perchè
-dir questo oggi, un giorno di nozze?
-perchè l’hai detta quella parola? perchè? — E
-la baciò a lungo sulle labbra come per cancellare
-quella parola funebre. Ella rideva, rideva,
-con la bocca schiusa, fresca come un fiore, gli
-occhi pieni di sereno; rideva sfidando il destino,
-forte di gioventù, d’amore.
-</p>
-
-<p>
-E laggiù, tra gli alberi, la massa confusa veniva
-innanzi, insensibilmente, misteriosamente
-sulla bianca strada. La signora aspirava intanto
-nell’aria con delizia un odor acuto di
-mammole, e cercava sulla sponda erbosa del
-<span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span>
-fossato, scostando le fogliuzze con l’ombrellino.
-</p>
-
-<p>
-— Oh, delle mammole! — esclamò lieta; — delle
-violette bianche come quelle, Arrigo! Ecco
-un bell’augurio, vedi?... — E fece per slanciarsi
-dalla breve sponda; egli la trattenne facendole
-gli occhiacci, per usare subito della sua
-novella autorità di marito. — È così che ci si
-fa male, bambina! un minuto di pazienza e
-avrai le violette. — E scese destramente. Ella
-gli additava, con l’ombrellino, violette invisibili.
-</p>
-
-<p>
-— Ma no, Arrigo... dalla parte opposta...
-laggiù sotto la siepe... bisogna passare attraverso
-la siepe, — concluse ritentando di scendere
-la sponda sdrucciolevole. Egli la prese
-risolutamente alla vita e la posò giù, accanto
-a lui.
-</p>
-
-<p>
-— Vieni dunque, — disse aprendole un varco
-fra i rami di biancospino e staccando con
-tutta delicatezza un lembo della sciarpa fine
-impigliato nei rovi. — Non è una impresa facile;
-ti sfido...
-</p>
-
-<p>
-— Davvero? Allora vedremo chi ne coglierà
-di più, — rispose lei gettando l’ombrellino, e
-levandosi un guanto in fretta. Intorno, la solitudine
-completa: e quello splendido tramonto
-fiammeggiante soltanto per essi sulla rigogliosa
-pianura. Ella si affrettava, ridendo a brevi trilli
-sommessi sotto la frondosa siepe fiorita, affondando
-la mano bianchissima nell’erba; lui
-non aveva mai colto mammole con tanto ardore.
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-ma nonostante i suoi sforzi si trovava spesso
-a rallentare la foga di quel gioco, distratto
-dalla vista della breve mano agile, dell’errare
-di un ricciolino scompigliato dalla brezza, da
-una molle curva che si accentuava, da un
-tratto di calza di seta che disegnava l’attaccatura
-del piede, fine e nervosa. Così lei potè
-cantare vittoria risalendo sulla strada; aveva
-delle mammole nelle tasche, lungo la scollatura
-a risvolti del soprabito, negli occhielli,
-nelle pieghe della sciarpa, nell’ombrellino. Ne
-era imbarazzata, ed egli per vendicarsi le riempì
-anche le mani dei bianchi fiorellini odorosi......
-La giovine signora vi immerse il viso respirando
-avidamente; poi reclinò ancora la testa sulla
-spalla di lui esausta dal tumulto di emozioni,
-di sentimenti, di ricordi, che le si levava in
-cuore al sottile profumo.
-</p>
-
-<p>
-— Come sono felice!... Come siamo felici,
-Arrigo! — esclamò finalmente, non resistendo
-al bisogno di gettare quel grido alle piante,
-all’azzurro infinito...
-</p>
-
-<p>
-Ma il suo compagno pareva preoccupato e
-intento a discernere sulla strada un convoglio
-che si avanzava lento, che era già a pochi metri
-da loro, socchiudendo gli occhi contro la fusione
-fulgida di tinte calde che lo abbarbagliava.
-Poi si fece riparo agli occhi con la mano
-e vide, e provò un rapido senso di gelo al cuore.
-</p>
-
-<p>
-Il povero feretro veniva innanzi portato da
-due robuste campagnuole vestite di mussola
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-bianca, scortato dal chierichetto che inalberava
-gagliardamente sull’asta la piccola croce; un
-prete a fianco borbottava le preghiere col libro
-aperto e altre due ragazze in abito bianco seguivano
-per dare il cambio. Nient’altro; non
-un fiore sulla lugubre coperta nera che dissimulava
-appena la bara; non un salmodio diffondentesi
-sonoro e poetico nella pace vespertina;
-non un parente, non un amico, non un
-senso di tristezza o di pietà: si leggeva la noia
-nei volti rubicondi delle ragazze, sull’emaciato
-volto del prete, sul viso infantile del chierichetto
-roseo; solamente la noia e il desiderio
-di sbarazzarsi al più presto di quell’incomodo.
-Chi era steso la dentro? Un bimbo? una
-fanciulla? una giovane sposa? la conclusione
-tragica d’un rustico romanzo d’amore, o una
-prima pagina candida su cui il destino aveva
-scritto «fine»?... Essi non lo domandarono,
-ammutoliti in un superstizioso sgomento... Ma
-poi quella povera bara d’un essere sconosciuto
-che passava fredda e nera nella campagna verde,
-piena di vita, di palpiti, di profumi sotto
-il cielo soffuso dell’ultima luce fiammante;
-attirò la pietà dei due felici rimasti immobili
-e stretti l’uno all’altro... Quando il feretro
-passò, rasentandoli quasi, il prete lanciò
-verso di loro una rapida occhiata, e la signora
-con un atto gentile ma pronto come uno scongiuro,
-gittò sulla bara tutte le sue violette. I
-fiorellini piovvero costellando lievi il rozzo panno
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-nero: qualcuno cadde, altri il vento disperse,
-e il rustico corteo inoltrò misterioso e silente.
-Presto scomparve nella nebbia che già nascondeva
-la strada a settentrione, mentre i giovani
-sposi, strettamente abbracciati, ripresero la via,
-adagio, verso il sole.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-</p>
-
-<h2 id="romze">Romanze senza parole.</h2>
-</div>
-
-<h3><span class="smcap">Orme.</span></h3>
-
-<p>
-Sull’orlo estremo del lido sabbioso, soffice,
-umido, incrostato di conchiglie, si mescono e
-si seguono orme di passi umani interminabilmente:
-l’ombra d’un filo di vita svolto fra la
-solitudine sterile e una moltitudine invisibile, — fra
-la sosta immemore d’un limbo che tutto
-cancella e un’azzurra eternità. Gli umani sono
-passati in lunga teoria sullo stretto sentiero,
-avidi d’oblìo, di speranze, di sogni. Le
-orme narrano: alcuni ritornarono dopo breve
-cammino delusi; non poterono dimenticare,
-nè chiedere, nè illudersi: altri proseguirono
-per lungo tratto insieme, come sfidando con
-balda audacia la vicenda delle cose perchè riuniti;
-poi uno ritorna, è stanco, sfiduciato; un
-altro si smarrisce nella sabbia fine, asciutta,
-infida; un terzo si scosta ed erra finchè la spuma
-delle onde lambe e rode le traccie del suo
-passaggio; l’ultimo inoltra solo, accanto al
-solco leggiero e continuo d’un bastone. Poi anche
-il solco cessa, e l’uomo inoltra ancora senza
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-appoggio, ancora, ostinatamente..... Infine le
-alghe brune e muschiate si dilatano, tutto nascondendo.
-Orme d’un piedino minuscolo, spesse,
-irregolari, seguite da orme larghe, sicure: i
-primi passi. Altre orme irregolari con un seguito
-di piccole buche: gli ultimi. Le orme dei
-ricchi, tenui, dai tacchi che scavano fossette;
-le orme dei giovani, lievi, discoste; quelle
-dei felici, attraversate ogni tanto da un’iniziale,
-da un zig-zag; e, finalmente, orme di
-piedi veri, ignudi, grossolani, a una distanza
-tanto regolare da parer calcolata con una precisione
-matematica: il passo della gente che sa
-cosa vuole e dove va. Dinanzi a quelle orme le
-altre si scansano. Sono le orme faticate del lavoro.
-</p>
-
-<p>
-Gli umani sono passati così fra la solitudine
-e l’eternità. Domani un soffio di brezza solleverà
-forse le grigie sabbie volubili che ne cancelleranno
-ogni traccia; ma nella loro evoluzione
-le onde affaccendate si dilateranno per raccoglierne
-nel grembo azzurro, maternamente, l’ultima
-memoria.
-</p>
-
-<h3><span class="smcap">Vendetta.</span></h3>
-
-<p>
-L’ultima finestra della casa, al primo piano,
-verso ponente, s’apriva fra le rame flessibili del
-gelsomino. Una mano delicata le dirigeva, le
-domava, le dissetava, le intrecciava in riposo,
-le avvinceva in catene fraterne. Quando
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-le piccole costellazioni bianche si staccavano,
-erano raccolte con tanta sollecitudine che non
-una veniva contaminata dal fango del terreno
-o dalla bava dei ragni, che anelavano a quel
-candore.
-</p>
-
-<p>
-Ma nell’ombra fresca dai riflessi di smeraldo
-serpeggiava un soffio vivo, indomabile, che si
-sfogava in cento insidie piccine, malignamente.
-Gli olezzi diffondevano la più eloquente delle
-serenate; qualche tralcio ribelle dava ogni dì
-la scalata e s’insinuava a spiare nella stanza,
-avido: le ciocche fiorite si protendevano, offrivano
-i mazzetti naturali, desiderosi di avvizzire
-su un seno ardente; alla brezza, che le carezzava,
-le foglioline rispondevano acconsentendo
-con un fremito novo; al vento che passava
-fischiando, i rami si dibattevano desolatamente.
-</p>
-
-<p>
-La finestra s’apriva di buon mattino e l’alito
-verginale che ne usciva, blandiva il soffio
-maligno, stornava le insidie, mitigava le ebbrezze.
-Quando un fior di cardenia apparve
-sul davanzale.
-</p>
-
-<p>
-Quel fior di cardenia venne disputato alla
-distruzione a lungo, tenacemente. Tutta la notte
-l’anforina di cristallo rosa che reggeva la corolla
-rimaneva sul parapetto, fuor dell’imposte
-chiuse, assistendo al colloquio della cardenia con
-la luna piena; candida e sola come lei. Il gelsomino
-fu negletto; le rame crebbero vagabonde
-e selvagge fino a ricascare su loro stesse
-stanche del vano errare; le stelline bianche
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-emigrarono liberamente, ma per posar presto in
-un molle strato odoroso sul terreno, come un
-sudario mistico; qualcuna s’indugiava, si smarriva
-nei meandri verdi, s’impigliava fra le ragnatele
-lievi, iridate, luminose, in fondo a cui
-il ragno attendeva.
-</p>
-
-<p>
-Infine il fior di cardenia ingiallì del tutto
-e fu portato via. Ma venne poi una gabbiuzza
-popolata di colibri, poi un pappagallo fiammante,
-poi una scimmietta freddolosa, poi un
-virgulto di rose, poi una coppa riscintillante di
-pesciolini d’oro. Inutile; la morte spazzava tutto
-via. Qualche cosa dava il malocchio a quella finestra
-che s’apriva fra le rame di gelsomino.
-</p>
-
-<p>
-Nell’inverno la camera fu rimessa a nuovo:
-cortine azzurre, lievi, scesero lungo le doppie
-vetrate dov’era una fioritura di mammole, e
-una lampada ardeva tutta notte, velata e misteriosa,
-come in un santuario. I viandanti che passavano
-intirizziti levavano lo sguardo sorridenti
-o sospirosi e bisbigliavano: «Là regna Amore...»
-</p>
-
-<p>
-Ma il gelsomino non udiva; era atrofizzato
-dal gelo, e ignudo, inerme, dormiva. Quando
-il bacio pietoso della Primavera lo destò,
-ahimè! si vide mutilato e inceppato vigorosamente
-contro il muro! Invano si ribellò, invano
-i mazzetti implorarono sotto il davanzale il
-rifugio tepido, consueto; invano la fragranza
-dispersa nell’aria si diffuse in elegie amorosamente,
-e le stelline erranti si posarono fra le
-stecche delle persiane come per esplorare, e i
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-tralci più arditi si svincolarono e bussarono
-stimolati dal vento; la finestra dalle cortine azzurre
-irrideva, soave, al loro dolore. Così trascorse
-l’estate, una lunga estate.
-</p>
-
-<p>
-In ottobre, mentre le prime pioggie scendono
-a risvegliare inesorabilmente dal sogno di
-una tornante primavera, nella lotta fra le illusioni
-che evaporano con gli ultimi profumi
-di tutti i fiori della terra, e le gelide realtà che
-piovono con le fredde lagrime del cielo, — la
-finestra rimase chiusa, triste, e i rami ingigantiti
-infransero i loro ceppi, e la flagellarono sera
-e mattina ululando ferocemente.
-</p>
-
-<p>
-Dopo molti giorni la finestra si riaprì, in
-un vespro d’oro, nell’assenza degli olezzi e nell’immobilità
-delle fronde che oscillarono estatiche,
-quasi spaurite della conseguita vittoria.
-La finestra rimase vuota e aperta fino all’alba,
-con le cortine calate e le imposte che gemevano
-sui cardini in uno sconsolato abbandono.
-Nell’alba nebulosa, livida, fredda, le cortine azzurre
-tremolarono, uscirono e palpitarono in
-alto, come due aluccie impazienti di volar via.
-Allora pel varco libero, simile a un piccolo
-stuolo vittorioso e invadente, entrò nella camera
-della morta uno sciame di gelsomini.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-</p>
-
-<h2 id="bagliori">Ultimi bagliori.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Il conte Alberto Farigliano di Roccamare
-rientrava intirizzito dal nevischio pungente d’un
-uggioso pomeriggio di Febbraio. Gettati al servo
-pelliccia e cappello biancheggianti di diaccioli,
-traversò lesto l’appartamento in cui il calorifero
-diffondeva un tepore più che primaverile
-e giunse al remoto salottino di sua moglie.
-Era sicuro di trovarla laggiù. La contessa infatti
-pareva addormentata nell’ampia poltrona di
-broccato nero, quasi bocconi, col volto nascosto
-in un piccolo guanciale morbidissimo posato sul
-bracciolo. In quell’atteggiamento, coll’abito
-sciolto e lucente di felpa bianca dai riflessi madreperlacei,
-nella luce azzurreggiata dalle tendine
-abbassate, diede ad Alberto l’idea d’una
-perla nella sua nicchia. Egli inoltrò chetamente:
-nel ricco salotto ondeggiava un acuto profumo
-di cardenia. Non si vedeva nulla del volto
-di lei; solo l’ammasso dei suoi capelli fini, castani,
-allentati con un po’ di disordine, e le
-sottili mani aggrappate al cuscino. Alberto la
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-contemplò lungamente. Poi si mosse per andarsene,
-ma nel movimento un po’ brusco urtò una
-sedia leggiera, fuori di posto, e la signora sussultò
-forte, levando il viso sbiancato e fissandolo
-sbigottita, come se nel primo momento non lo
-riconoscesse.
-</p>
-
-<p>
-— Dormivi?
-</p>
-
-<p>
-— Sì, forse... da quanto tempo sei qui, Alberto? — chiese
-alla sua volta lei, che abbozzò
-un sorriso, subito dileguato come un ombra sulle
-sue labbra tremolanti, e le bianche mani passarono
-e ripassarono sugli occhi. — Ho un po’ di
-emicrania oggi; — aggiunse con un fil di voce.
-</p>
-
-<p>
-— Tieni troppo caldo e troppi fiori intorno
-a te, mia cara. Or’ora stavo per farne un fascio.
-Tu finirai per asfissiarti, esagerando così.
-</p>
-
-<p>
-Essa stava immobile, con le mani serrate alle
-tempie, gli occhi fissi sui meandri del tappeto.
-Poi, risolutamente, si alzò e venne fin presso
-la scrivania d’un squisito stile del Rinascimento,
-sulla quale si mise a frugare senza scopo.
-</p>
-
-<p>
-Nella penombra, fra i larghi fogliami esotici
-e i mobili artistici, quell’alta figurina bianca
-pareva svanire come una parvenza. Suo marito
-le cinse la vita con un braccio e l’attirò a sè,
-dolcemente.
-</p>
-
-<p>
-— Sai, Letizia, ho una cattiva notizia da
-darti. Mi tocca partire....
-</p>
-
-<p>
-La contessa trasalì ancora, lo guardò rapidamente
-coi bellissimi occhi, e si sciolse dall’abbraccio.
-</p>
-
-<p>
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-</p>
-
-<p>
-— Dove vai?
-</p>
-
-<p>
-— A Berlino... Sono incaricato di una missione
-di qualche importanza dal ministero e,
-capirai, col ministero non si scherza. Parto lunedì.
-</p>
-
-<p>
-— .... Starai lontano molto tempo?
-</p>
-
-<p>
-— Temo di sì. L’affare per cui vado non è
-da sbrigarsi in poche ore... Tre, quattro, cinque
-mesi.... ma poi vedremo.... Non ne so nulla insomma.
-</p>
-
-<p>
-La contessa Letizia rimase a capo chino e
-fra loro vi fu un prolungato silenzio. Eppure
-era lo stesso impulso che lottava nei loro cuori
-con degli ostacoli suscitati dalla loro diversa
-debolezza: era lo stesso sottile sgomento pauroso
-per una parola ch’egli avrebbe voluto sentirsi
-dire da lei che rimaneva muta, per una
-parola che Letizia aveva terrore di sentirsi dire,
-in quel giorno, in quell’ora...
-</p>
-
-<p>
-— Pensavo che tu potresti.... — la contessa
-ebbe un piccolo moto di altera meraviglia — tu
-potresti passar questo tempo dalla zia Fanny
-o pregarla di venirti a tenere compagnia.
-Per rispetto alle convenienze non sarebbe bene
-che tu rimanessi sola....
-</p>
-
-<p>
-Letizia continuava a guardarlo come se pensasse
-a tutt’altro. — Sì, — mormorò poi; — riflettevo
-anch’io a questo.
-</p>
-
-<p>
-— ..... allora siamo perfettamente d’accordo, — concluse
-Alberto con la sua freddezza solita.
-Ed uscì.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Come sono vile, ah come sono vile! — disse
-in cuor suo la giovine contessa; e si lasciò
-andare sulla seggiolina della scrivania, tutta
-pallida, a occhi chiusi; mentre due grosse lagrime
-le rigarono le guancie e caddero in
-bollicine sulla sua cartella dalle cifre d’oro.
-Ma ecco che dinanzi alle palpebre abbassate,
-come se un velario fosse calato dinanzi alla
-realtà della sua vita per lasciarla vivere più
-intensamente nel sogno, le ricomparve repente
-la balda e bionda figura d’uomo, di un uomo
-che non era suo marito, fissa come l’aveva
-avuta inesorabilmente in tutta quella penosa
-giornata, ed essa, questa volta per cacciarla
-spietatamente, aperse gli occhi.
-</p>
-
-<p>
-Fu un rimedio vano. Se la visione svanì, i
-suoi pensieri seguirono fluenti il loro corso,
-come l’onda del ruscello gira intorno ad un debole
-ostacolo messo per arrestarla....
-</p>
-
-<p>
-Lo aveva riveduto dopo quattro anni, improvvisamente,
-quel giorno stesso, nell’uscire
-dal salotto d’un’amica, mentre egli vi entrava.
-E nello scoprirsi il capo biondo, cedendole il
-passo, l’aveva misurata con lo sguardo sàturo
-d’una tal curiosità volgare e galante che Letizia
-aveva arrossito. Ma aveva arrossito meno
-per l’indignazione che per il colpo di trovarselo
-lì dinanzi quando meno ci pensava, e con
-lo stesso fàscino irresistibile ch’era stato il tormento
-e il sorriso dei suoi sedici anni. Un vanesio,
-del resto, quel tenentino di cavalleria!
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-Non aveva il capo che a far la corte alle signore
-eleganti, mentre le signorine gli sospiravano dietro:
-ella lo sapeva; lo aveva già giudicato
-col suo nascente senno di giovinetta, da quel
-contegno irragionevolmente mutevole con lei,
-innamorata di lui da morirne, sempre.
-</p>
-
-<p>
-Era così spigliato, così attraente, così carino!
-Una volta, l’ultima volta che si erano incontrati
-le aveva giurato che se il padre di lui non desisteva
-dall’opporsi al loro matrimonio, si sarebbe
-ucciso... Uno spavento, un supplizio... una dolce
-e tremenda e insistente tentazione di fuggirsene
-davvero attraverso l’Europa, com’egli le proponeva....
-Ma aveva troppo pensato al dolore dei
-suoi; le era mancato il coraggio. Poi quell’amore
-tempestoso, a pause, nutrito di stranezze
-che non capiva e di audacie che la rimescolavano,
-le faceva paura..... Era così ingenua e
-così giovine! Dopo, non si erano più riveduti,
-ma essa sapeva che non era morto, che viveva
-come prima, più di prima.
-</p>
-
-<p>
-A diciotto anni aveva sposato, senza entusiasmo,
-ma con affezione profonda, il giovane diplomatico
-che suo padre le presentava. Quell’amore
-gentile, rispettoso, cavalleresco, quasi
-tutto fiori e delicatezze, le era parso un refrigerio,
-e la sua anima ancora un po’ malata e
-la sua gracile fibra di damina spirituale, vi avevano
-trovato una soavità infinita. Meno qualche
-vampata di quando in quando che le portava
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-un palpito e un malessere d’un minuto,
-al tenente biondo non pensava più.
-</p>
-
-<p>
-...... L’oscurità aveva invaso il bel salotto
-profumato di cardenie, quand’ella, levandosi
-svogliatamente, si avvicinò alla finestra e rialzò
-le tendine. A Roma la neve non dura; non
-se ne vedeva più traccia: pioveva. Pioveva monotonamente,
-tranquillamente. Letizia rimase con
-la fronte che bruciava, appoggiata ai cristalli,
-lo sguardo smarrito. Ancora una lotta. Anderebbe
-o no al <i>Bal-en-rose</i> dell’ambasciata di Francia,
-quella sera? Da un lato l’aspirazione
-alla pace, all’oblio, il presentimento vago di un
-pericolo....; dall’altro il desiderio stesso di questo
-pericolo, il fascino d’un’emozione nuova, il
-piacere acre di riaprirsi una ferita nel cuore
-per sentirlo palpitare più forte.....
-</p>
-
-<p>
-— Il pranzo è servito, — annunziò la voce
-indifferente del domestico dalla soglia.
-</p>
-
-<p>
-La contessa si scosse. Erano soli, suo marito
-e lei, quella sera a mensa. Dio! una lunga, penosa
-dissimulazione..... Si ravviò alla meglio i
-capelli, al buio, per non chiamare la cameriera
-e s’avviò, lenta, per le stanze illuminate verso
-la sala da pranzo.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Si fecero servire il caffè accanto al fuoco
-nella sala da pranzo vasta e severa. Letizia, seduta
-un po’ di traverso sul seggiolone dall’alta
-<span class="pagenum" id="Page_176">[176]</span>
-spalliera, appoggiava sul paracenere i piedi, piccoli,
-calzati di raso color madreperla, come l’abito
-a cui la fiamma prestava strani bagliori;
-Alberto, vestito come sempre, correttamente
-di nero, nella sedia di fronte centellinava il
-caffè fumante, odoroso. Erano soli, silenziosi;
-un’atmosfera di noia e di tristezza gravava.
-Durante il pranzo, fra il via vai dei servi, avevano
-scambiato qualche osservazione, qualche
-frase insipida; ma ora non si pigliavano
-neanche più la briga di fingere e la loro tormentosa
-preoccupazione rispuntava evidente.
-</p>
-
-<p>
-— Riuscirà molto bene a quel che pare il
-<i>bal-en-rose</i> dell’Ambasciata francese, — uscì a
-dire finalmente Alberto, posando il tazzino; — le
-sale sono addobbate con buon gusto ed hanno
-trasformato la grande terrazza in una grotta
-fantastica dove sarà bello riposare. Tu ci vieni? — seguì
-col tono più naturale del mondo, ma
-che alla contessa Letizia, per la disposizione
-d’animo in cui era, parve un abile quesito indagatore.
-La lotta che ancora era in lei, cessò
-bruscamente.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, vengo, — rispose con alterigia senza
-alzare gli occhi.
-</p>
-
-<p>
-— Hai dato gli ordini in proposito? — chiese
-il marito senza scomporsi.
-</p>
-
-<p>
-— Sì... Ma perchè mi chiedi se vengo?
-Ti dispiace forse? — ribattè la signora sollevandosi
-un poco e ritirando i piedi dal paracenere,
-i piedini nervosi che s’agitavano continuamente,
-<span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span>
-mentre negli occhi neri e grandi
-era una cattiva espressione di sfida.
-</p>
-
-<p>
-— Perchè dovrebbe dispiacermi, Letizia?
-Te lo chiedo, ricordandomi d’averti sentito parlare
-di emicrania poco fa, e notando in te infatti
-un aspetto un po’ sofferente.....
-</p>
-
-<p>
-Quella compostezza, quel tono di voce tranquilla
-le fecero dare una strappata ai cordoni
-del bell’abito dai riflessi di madreperla, irritata,
-impaziente. Sentiva dentro di sè un fermento
-di rivolta, un incalzante desiderio di ricatto,
-senza saper bene perchè.
-</p>
-
-<p>
-— Invece io sto benissimo... — la sua voce
-risuonò stonata nell’ampia sala; — ti prego di
-credere che sto benissimo e che non ho punto
-bisogno di riposo....
-</p>
-
-<p>
-— Quando è così, mia cara, — fece lui guardando
-l’orologio, — mi pare che faresti bene ad
-allestirti. Le signore ci mettono un po’ di tempo... — finì
-sorridendo.
-</p>
-
-<p>
-La contessa si levò, gli passò davanti senza
-guardarlo, e quella vaga figurina bianca scomparve,
-come una visione luminosa, sotto l’arco
-dell’alta porta, dalla camera vasta e severa.
-</p>
-
-<p>
-Alberto affisava il fuoco, immobile.
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-— ...... ebbene, contessa, si va all’assalto di
-cotesta grotta ideale? — le chiese con allegra
-baldanza il tenentino biondo, che non si era più
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-scostato da lei dopo quella fine di valtzer ballata
-intensamente, in silenzio.
-</p>
-
-<p>
-— Avanti, <i>en marche</i>! — rispose Letizia
-scherzosa, balzando in piedi.
-</p>
-
-<p>
-Traversarono la gran sala da ballo, splendente,
-gaia d’abbigliamenti in tutte le gradazioni
-di rosa come un gran roseto vivente,
-ella al braccio di lui, animata, ridanciana, con
-uno scintillio negli occhi neri. Non era più
-la languida signora che qualche ora prima nascondeva
-la testa nei guanciali in atteggiamento
-sofferente; nel suo incedere, nei movimenti, nelle
-parole aveva un’insolita vivacità. Eppure, una
-delle mani sottili e bianche, nascosta ora dal
-lunghissimo guanto profumato, brancicava nervosamente
-fra le pieghe dell’abito e sgualciva
-alquanto l’ideale vaporosità della garza appena
-soffusa di color roseo, come un’aurora.
-</p>
-
-<p>
-Quel monello di tenente non smetteva intanto
-di susurrare tante paroline belle col capo
-chino su lei fino a sfiorarle i riccioli, paroline
-belle e spiritose, forse, giacchè ella ne rideva
-di cuore, crollando la testa vezzosa e distribuendo
-saluti e sorrisi alle amiche e ai conoscenti
-che incontrava e che la osservavano
-con una punta di malizia negli occhi.
-</p>
-
-<p>
-— Eccoci nel «regno delle favole» — canterellò
-sull’aria del <i>Mefistofele</i> il tenente De’ Falchi,
-entrando con la sua compagna, dopo un giro
-abbastanza lungo attraverso l’infilata di sale,
-sulla terrazza dove non c’era quasi nessuno.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-</p>
-
-<p>
-Una ridente illusione. Una grotta scavata in
-qualche blocco enorme di cristallo rosa. La luce
-viva, diffusa, dietro le pareti, ne faceva spiccare
-il colore e la velata trasparenza. Rosai fioriti
-s’arrampicavano qua e là fra i sedili di pietra
-nera, e i fili d’argento delle fontane luccicavano
-misteriosi nei cespugli verdi, ricascando
-con un sommesso mormorio nelle vasche seminascoste
-dalle larghe e strane foglie di molli
-piante aquatiche. In terra uno spesso tappeto
-bianco, vellutato, che in vari punti i pètali
-delle rose sfogliate ricoprivano.
-</p>
-
-<p>
-Quella luce opacamente rosea, dopo tanto
-sfolgorio di arazzi e di festoni, riposava l’occhio
-e faceva pensare ad un paese misterioso
-di sogni e di pace. Eppure Letizia non si sentì
-più tanto padrona di sè come laggiù nelle
-sale rumorose, dove aveva risposto coi frizzi e
-col sarcasmo brillante alle galanterie del giovane
-ufficiale. Le parve che in quel silenzio
-tutta la sicurezza, di cui s’era compiaciuta in
-segreto, vacillasse, e ne fu seccata. Ma non volle
-farlo supporre e si soffermò ammirando.
-</p>
-
-<p>
-— Il regno delle favole...! E la regina? — diss’ella
-senza nessuna intenzione, ingenuamente,
-non dubitando di parer lei davvero l’incarnazione
-della bellezza, della gioventù, della poesia,
-così graziosa, bianca, delicata nell’abito vaporoso,
-stellato di brillanti. De’ Falchi non si lasciò
-sfuggire l’occasione per dirglielo e lo fece
-con parole così blande e così dolci che parevano
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-carezze. La contessa con piccole mosse comiche
-d’esagerata modestia si velava il volto
-col ventaglio di trina. Poi, rannuvolandosi in un
-subito fra il gioco, ebbe un sospiro.
-</p>
-
-<p>
-Anche lui era bello, bello come un giovine
-Nume! Anche lui pareva un eroe degli
-antichi tempi con la divisa luccicante, la
-bionda testa irrequieta, gli occhi vivi, il personale
-slanciato. Come era bello così! più bello
-nel suo meriggio di giovinezza, che quando,
-ancora adolescente, quasi, le aveva parlato d’amore.
-</p>
-
-<p>
-La musica che si udiva lontanamente, come
-un’eco, aveva ripreso. Un crocchio di persone
-che conversavano laggiù si sciolse. La principessa
-Montegaudio, passando accanto ai due, ebbe
-un’occhiata severa, ma il vecchio generale
-ch’era con lei quasi sorrise. Letizia e De’ Falchi
-rimanevano soli.
-</p>
-
-<p>
-— Ce ne andiamo? — diss’ella con un tono
-indolente simulato: e lo trasse con delicatezza
-dietro gli altri. Ma il tenentino fece due passi,
-poi s’arrestò.
-</p>
-
-<p>
-— Guardate prima nel <i>carnet</i>, vi prego! — disse
-come se domandasse la proroga d’una sentenza
-crudele.
-</p>
-
-<p>
-Guardarono insieme, mentre nella fretta del
-cercare le loro mani si sfioravano. Non c’era
-nessun nome. Egli ebbe un profondo respiro di
-sollievo.
-</p>
-
-<p>
-— Non importa, non importa, — soggiunse
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-Letizia, che pareva contrariata. — Andiamo in
-un altro luogo.
-</p>
-
-<p>
-— Dove trovare un luogo più bello per la
-vostra bellezza?.... per la mia ammirazione?.....
-Io passerei la vita, qui, con voi....
-</p>
-
-<p>
-— Prima di tutto le ho proibito assolutamente
-di darmi del <i>voi</i>! — e Letizia gli battè il
-ventaglio sulle dita, — damerino incorreggibile...
-</p>
-
-<p>
-— Pardon, Contessa! — disse subito De’ Falchi
-con una lievissima intonazione ironica. — Ogni
-tanto mi dimentico che sei anni sono passati....
-Ho la memoria un po’ logora, vedete.....
-in certi casi. E trovandoci insieme ancora, in
-questo luogo di sogno io sogno d’avervi ancora
-accanto libera, amante, mia....
-</p>
-
-<p>
-Letizia, già presso alla soglia, si fermò ancora,
-tornò indietro. No, così non andava proprio.
-Darle del <i>voi</i> e rievocare il passato! Erano le
-condizioni del loro trattato di pace, queste? Un
-ufficiale dell’esercito mancare di parola così!
-Vergogna, cento volte vergogna!
-</p>
-
-<p>
-Ma De’ Falchi s’impadronì della terribile
-manina e la imprigionò sotto il suo braccio
-senza staccarne la sua mano.
-</p>
-
-<p>
-— Contessa Letizia Farigliano di Roccamare, — cominciò
-con quel suo fare tra ardente
-e sentimentale e scherzoso, irresistibile per lei, — mi
-dica dunque che cosa debbo fare per ottenere
-perdono...... Vuole tutte queste rose in
-omaggio? Vuole che le dica dei versi, dei bei
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-versi? Una volta le piacevano e mi sgridava
-perchè non li sapevo mai... Ora ne so.
-</p>
-
-<p>
-La signora ebbe ancora un moto di ribellione,
-di sdegno, ma non resistè al suo compagno
-che l’allontanava dalla porta d’uscita, stringendole
-più forte la mano.
-</p>
-
-<p>
-— Senta, — continuò de’ Falchi, — sono versi che
-sembrano scritti apposta per lei e sembrano
-scritti da me, per dirli adesso. — Poi seguì a
-voce un po’ bassa, con appassionata dolcezza:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i02"> Sul viso il tuo respiro caldo m’aleggierà</p>
-<p class="i01">Come un profumo; e come una soave musica</p>
-<p class="i01">La tua voce divina mi darà pace all’anima</p>
-<p class="i01">Accanto a te seduto, ne’ tuoi capelli biondi</p>
-<p class="i01">Immergerò la mano, e dei dolci misteri</p>
-<p class="i01">Del core io parlerò coi tuoi grand’occhi neri....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Lei lo lasciò dire, giocherellando col ventaglio
-e facendo un po’ la distratta e un po’ la
-disinvolta; in realtà sommergendosi nella melodia
-di quei versi, di quella voce, che le avevano
-messo nel cuore un palpito violento, stranamente
-delizioso.
-</p>
-
-<p>
-— Di chi sono? — chiese poi, tanto per non
-star zitta, già smarrita.
-</p>
-
-<p>
-— Sono d’un giovane poeta e appartengono
-a un poemetto, intitolato «La leggenda del
-cuore». Vede, anche là nella leggenda sono
-soli l’innamorato e la Diva, è in una specie di
-paradiso terrestre come questo... Solamente quella
-diva era più buona di questa.... si lasciava
-anche dare del <i>tu</i>.
-</p>
-
-<p>
-La signora levò il capo e non rispose. Era
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-seria, soffriva. Qualche cosa di estremamente violento,
-come un incantesimo, la teneva ora là,
-muta, ascoltando, mentre il seno seminascosto
-dai veli si sollevava frequentemente nel respiro
-breve, e la collana di brillanti nel tenue
-e ritmico movimento aveva un abbagliante saettio
-di raggi e di colori. Passando accanto a un
-rosaio ne strappò un fiore e fece per gettarlo
-nel bacino d’acqua accanto, ma De’ Falchi le
-impedì l’atto.
-</p>
-
-<p>
-— Vede se è cattiva? — disse con una brusca
-tenerezza. — Che male le ha fatto, per esempio,
-quella povera rosa? Lei fa così di tutto, di fiori,
-di uomini...
-</p>
-
-<p>
-— Io no; è il destino che sfoglia tutto intorno
-a me... — mormorò lei quasi piangente. E
-sedette sul sedile di pietra nera, l’ultimo sedile,
-appartato, nel fondo del poetico ambiente. Era
-come in una nicchia di rose: a’ suoi piedi la
-fontana; tutto intorno molto verde messo là per
-ragione di prospettiva, li isolava. Potevano credersi
-in un pianeta ideale.
-</p>
-
-<p>
-De’ Falchi le sedette accanto e le cinse la
-vita con un braccio.
-</p>
-
-<p>
-— Il destino siamo noi, — le disse dolce,
-insinuante; — e noi ci ameremo tanto, tanto;
-ci ameremo per tutte le ore perdute, per tutte
-le ore che mi hai rubato, che mi hai tradito.
-Sono io il tuo sposo, e tu sei mia. Nessuno dei
-due ha dimenticato, vedi? Nè tu nella pace, nè
-io nella tempesta dove cercavo di sommergere
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-l’immagine tua. Sei stata la rovina della mia
-vita, tu, Letizia; non m’hai amato abbastanza...
-ma ora, quand’anche questo amore dovesse passare
-come un turbine sulle nostre esistenze, noi
-non ci separeremo più....
-</p>
-
-<p>
-Letizia udì confusamente le ultime parole.
-Quell’accento di passione, quello sguardo che
-la bruciava, quel soffio che usciva dalle labbra
-del giovine a carezzarle la fronte, quel luogo
-fantasiosamente bello, tutto, tutto finiva di paralizzarla,
-di perderla...
-</p>
-
-<p>
-Svincolò dolcemente le mani e si velò il
-volto impallidito: «Oh amore dei miei giovani
-anni... Oh mio ideale!» gemette l’anima sua, ed
-appoggiò esausta la testa fra le rose. Ma la voce
-insinuante la perseguitava, le rispondeva all’orecchio:
-«Oh, i fini capelli odorosi, la delizia
-e il delirio della mia giovinezza.... il mio
-tesoro rubato io lo riprenderò!» — E fra le rose,
-fra il profumo, ella sentì il suo bacio fra i capelli....
-ma a quel contatto scattò, si riprese improvvisamente,
-mentre una nevata di petali rosati
-cadeva dai rami bruscamente scossi sul sedile
-di pietra nera.
-</p>
-
-<p>
-— Oh no, Carlo è troppo tardi, — disse dolorosamente. E
-con un’improvvisa energìa si
-diresse sola, frettolosa, verso la porta. La musica
-cessava allora.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Rientrata in casa non si coricò. Si richiuse
-nelle sue stanze congedando la cameriera. Ritta,
-nella luce chiara e diffusa del piccolo spogliatoio
-parato a colori ridenti, dinanzi allo
-specchio alto e stretto che la rifletteva bianca
-e bella, così senza gioielli e senza guanti, ella
-si scioglieva il vestito lentamente, lasciando errare
-gli occhi pensosi fra gli accessorî del suo
-abbigliamento gettati qua e là alla rinfusa. E
-gli occhi neri, profondamente cupi, si posavano,
-senza sguardo, dal ventaglio prezioso di merletto
-al fazzolettino di Malines, dal carnet
-d’argento ossidato ai lunghi guanti che serbavano
-ancora l’impronta delle sue braccia scultorie,
-della sua tenue mano; dalla sciarpa di
-blonda profumata di violetta che le avvolgeva
-il collo, uscendo, all’iridescente splendore dei
-brillanti che si ammucchiavano nel cofanetto aperto.
-Mentre le scivolava ai piedi l’abito in
-una densità gentile di colori, come un nebuloso
-piedestallo, Letizia ne trattenne bruscamente
-un lembo accendendosi in viso. Nascosto e protetto
-da una piega, aveva trovato un petalo di
-rosa, fragile avanzo che tenne lungamente
-fra le dita convulse, immersa nel ricordo di quel
-momento di sgomento e di amore. Poi infilò
-una veste da camera, passò nel suo salottino,
-s’accertò se gli usci erano ben chiusi e sedette
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-alla scrivania. Scrisse due pagine, senza
-interrompersi, alla luce oscillante di un candelabro;
-ma incontrando cogli occhi un ritratto,
-si gettò indietro nella seggiolina, col respiro
-mozzo, le tempie umide di sudore gelato.
-Cacciò il ritratto in un cassetto e si rimise a
-scrivere, poi rallentò, posò la penna, e mise il
-volto nelle mani. Perchè le venivano quelle
-idee adesso? Suo marito dormiva inconscio.......
-forse non aveva neanche osservato Carlo De’
-Falchi fra la folla; certo non lo conosceva,
-ed ignorava l’idillio fuggitivo della sua primavera.....
-Riprese la penna; lo stianto d’un mobile
-la fece balzare in piedi nascondendo il foglio
-vivacemente..... poi si rassicurò dandosi
-della grulla. Gli usci erano chiusi, la casa addormentata
-in un fitto silenzio. Chi poteva immaginare
-ch’essa vegliava scrivendo delle lettere
-d’amore?
-</p>
-
-<p>
-.... E <i>lui</i>? Che faceva <i>lui</i> a quell’ora? Sognava
-la sua diva dai fini capelli odorosi?....
-Ah, se avessero detto alla poveretta dove e come
-<i>lui</i> finiva la notte.....
-</p>
-
-<p>
-«Ancora pochi giorni, scriveva, poi saremo
-liberi di vederci quando ne abbiamo voglia, senza
-timori, senza sorveglianze.... Il mondo? Che importa
-a noi del mondo? Ci amiamo, il mondo
-siamo noi! Era destinato così....» E ripensando
-a quelle parole ardenti, s’interrompeva fremendo
-ancora d’emozione. Nessuno le aveva parlato
-mai così appassionatamente, con quella
-<span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span>
-veemenza pazza ed inebriante; nessuno! Alberto?
-Oh, Alberto così freddo, così severo, così
-compassato, preoccupato solamente delle convenienze,
-semplicemente deferente e cortese con
-lei, senza scatti, senza entusiasmi per la sua bellezza,
-Alberto che la riguardava come un oggettino
-d’arte raro e fragile di sua proprietà — bisognava
-pur dirlo — non sapeva amare! O
-forse non l’amava, non l’aveva mai amata!
-«Forse anche m’inganna, forse ha un’amante»,
-concluse Letizia; e nell’eccitamento di nervi
-in cui si trovava, si ripetè che allora essa poteva
-ben riamare chi l’adorava; che era nel suo
-diritto!.... Ma queste teorie che volevano pur
-convincerla ondeggiavano confusamente nella
-sua povera mente smarrita e non acquetavano
-le piccole serpi che la mordevano al cuore....
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-— Letizia, — disse suo marito entrando il
-pomeriggio seguente nel salottino profumato, — ti
-porto una vecchia conoscenza. Il marchese
-Carlo De’ Falchi che mi dice di averti conosciuta
-da signorina e che ieri sera mi si rivelò
-come il fratello di un mio carissimo amico di
-collegio, morto. Ecco due titoli che gli danno
-diritto alla nostra amicizia.
-</p>
-
-<p>
-De’ Falchi, che seguiva Alberto, si inchinò
-ossequiosamente alla contessa; ed ella, sollevandosi
-un poco, tutta bianca nel viso, gli tese la
-<span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span>
-mano senza parlare. Aveva un abito di raso
-nero molto semplice, un gioiello antico al collo,
-una rosa alla cintura; abbigliamento severo che
-le dava una grazia tranquilla e dignitosa. Egli
-però la preferiva come la sera prima, con le
-spalle e le braccia nude, rosate, fra la sfumata
-trasparenza dei veli; ma si guardò bene dal
-lasciarlo apparire in quello sguardo balenante
-che le gettò attraverso il viso come un bacio
-rovente.
-</p>
-
-<p>
-La giovane contessa era sul punto di tradirsi:
-nascose le mani tremanti; ma il sangue
-le pulsava violentemente al cuore, le ronzava
-negli orecchi. Cinque minuti prima avrebbe
-dato dieci anni di vita per rivederlo,
-ma non così, non in presenza di suo marito,
-non terzo nella loro intimità. Perchè non aveva
-aspettato, benedetto ragazzo? Ma era possibile
-che avesse tanto impero su se stesso da non
-svelare mai, nè con uno sguardo, nè con una
-parola imprudente, il loro segreto? Non doveva
-sentirsi ribollire il sangue alla vista di quell’uomo
-che la possedeva? Non doveva avvampare
-di sdegno, di gelosia, di amore, udendolo
-parlarle famigliarmente — entrando nella casa
-in cui vivevano in comune — dove <i>doveva</i> sentire
-l’eco dei loro baci?.... E come queste passioni
-tumultuanti non lo avrebbero perduto?
-E allora cosa accadrebbe tra quei due uomini?...
-Questo l’ingenua contessa si chiese angosciosamente.
-Ma De’ Falchi fino dalle prime frasi mostrò
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-una disinvoltura, una calma, una naturalezza
-invidiabili. Fu cordiale ed espansivo verso Alberto;
-gentile e rispettoso con lei, e non un momento
-lasciò languire il dialogo. Fece con arguzia la
-rassegna della festa; parlò d’un romanzo francese
-che faceva il giro dei salotti, dell’equipaggio
-nuovo del duca d’Arce, di un ritratto all’antica
-fatto dal celebre ed estroso Fides alla principessa
-Montegaudio, di un matrimonio dell’aristocrazia,
-di una acconciatura della Regina.
-</p>
-
-<p>
-Letizia lo guardava fissamente ascoltando, e
-taceva. Quella disinvoltura dileguava le sue paurose
-fantasticherie, sì, ma vi lasciava un fondo
-di tristezza e di dolore. Taceva.
-</p>
-
-<p>
-De’ Falchi chiese a un punto se la signora
-contessa fosse sofferente.
-</p>
-
-<p>
-— Sì, — diss’ella bruscamente, — soffro... — Ma
-la voce le morì nell’incontrare gli occhi di
-suo marito che le parve volessero scrutarle nell’anima.
-</p>
-
-<p>
-— Soffri? È naturale, — osservò Alberto con
-perfetta calma. — Anche ieri non ti sentivi punto
-bene. Dovevi prevedere le conseguenze di un
-ballo nelle tue condizioni di debolezza e di
-squilibrio nervoso.
-</p>
-
-<p>
-La contessa si arrovesciò lentamente nella
-poltrona abbassando gli occhi a passarsi in rivista
-le unghie opaline. Uno sgomento strano
-le aveva stretto il cuore a quelle parole, di cui
-credette afferrare un secondo significato noto
-a lei sola. Si sentiva morire.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Sarebbe un quadro antico questo? — chiese
-improvvisamente l’ufficiale levandosi a
-osservare un ritratto fiammingo appeso alla parete.
-</p>
-
-<p>
-— Si, un <i>Van Dick</i>, — rispose il conte
-alzando alquanto le tendine della finestra. La
-luce chiara battè loro sul viso e li circonfuse.
-Alberto, alto, bello, nobile, con le mosse e l’aspetto
-principeschi; De’ Falchi molto meno
-attraente della sera innanzi, al chiarore del giorno
-che gli metteva in evidenza le rughe precoci
-sul volto scialbo ed avvizzito; le occhiaie
-livide che gli cerchiavano gli occhi gonfi, senza
-splendore. La giovine signora lesse in pochi
-minuti su quel viso tutta la storia d’una bassa
-vita corrotta, poichè un senso di fredda ragionevolezza
-le era filtrato nel cuore. Perchè? da
-quando? Lo ignorava; ma in quei pochi minuti
-sentì che si risvegliava dal suo splendido sogno,
-senza scosse, senza spavento; ma si risvegliava,
-irreparabilmente.
-</p>
-
-<p>
-— Eccellente, eccellente, e conservato, poi!
-</p>
-
-<p>
-Nell’ammirare, de’ Falchi colse un momento
-favorevole per sussurrare a Letizia: Scrivetemi!
-Poi si congedò, inchinandosi e salutandola militarmente
-con gli occhi ridenti che lo tradivano.
-La contessa ebbe appena la forza di fare
-un cenno col capo, e quando furono usciti, suo
-marito e lui, s’abbandonò ad un pianto convulso
-tutto scosse e sussulti, un pianto lungamente
-represso che prorompeva disperato e
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-violento. Era l’addio ad una larva del passato,
-era rimorso del sogno, era vergogna di quella
-realtà prosaica piena d’ipocrisia e di viltà. Oh!
-il suo vaneggiare di quei due giorni! il vaneggiare
-dolce e doloroso! la lotta per difendere
-l’invasione del proprio cuore! il turbamento
-sfumato in languore soave nel sentirlo cedere
-a poco a poco a quell’onda di passione rinascente
-che le offuscava la ragione.... quella pagina
-d’amore fra le rose, la lunga lettera folle,
-scritta e non inviata, i rimorsi soffocati dal ricordo
-di quella stretta e di quel bacio, la fisima
-di un amore purificatore, sublime, che dovrebbe
-redimere l’amato e fargli ricominciare
-la vita per lei.... che rimaneva di questo?...
-</p>
-
-<p>
-Il prisma scintillante e variopinto era ridivenuto
-un vetro volgare. Ella sarebbe divenuta
-l’amante di quell’ufficiale di cavalleria che conquistava
-con un astuto opportunismo il cuore
-di suo marito per poterla corteggiare a suo comodo:
-sarebbe vissuta dividendosi prosaicamente
-fra quei due uomini, menando una triste vita
-di finzioni, di lotte, di rodimenti, di bassezze;
-tormentata dalla memoria de’ suoi anni di vita
-illibata e serena per guadagnarsi infine lo sprezzo
-e l’abbandono dell’uomo al quale faceva il
-sacrifizio della sua dignità. Tale fu la tetra visione
-che la sua anima onesta e candida intravide
-in un lampo di cruda luce e dalla quale
-rifuggì inorridita e salva. Era guarita, lasciando
-brani di sè al ferro e al fuoco; ma che importa?
-Era guarita.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-</p>
-
-<p class="ast"><sub>*</sub><sup>*</sup><sub>*</sub></p>
-
-<p>
-Dovette mettersi in letto, affranta. La sua
-delicata fibra di donna fu la sola parte di lei
-sconfitta nella terribile prova. Ebbe una lunga
-e acuta crisi di nervi, poi nel meriggio seguente
-migliorò e volle alzarsi. Ma era ancora così debole
-che fu obbligata a lasciarsi andar subito
-sulla <i>chaise-longue</i> per appoggiare la testa indolenzita.
-Di là guardava intorno tranquillamente
-coi grand’occhi cerchiati di nero, occhi innocenti
-e mesti di bimba malata, come se
-rivedesse dopo un lungo e pericoloso viaggio
-quelle pareti del suo santuario d’affetti e di ricordi.
-Frattanto una gran pace, una dolce pace
-succedeva alla dilaniante agitazione di poche
-ore prima; una pace feconda di buoni propositi
-che si lasciavano dietro un profumo di
-fiori che sbocciano sotto un sole caldo e luminoso.
-E carezzava tutto intorno con lo sguardo
-quel nido tepido di raso e trine; accarezzava
-la poltroncina dove Alberto era solito sedersi,
-dove lo aveva veduto anche in quelle dodici ore
-di strazio, con la faccia pallida, senza respiro,
-senza movimento se non per accostarsele a farle
-odorar l’etere, o rinnovarle il ghiaccio, o darle
-qualche sorso di cognac, carezzando con la bella
-mano aristocratica quelle di lei brancicanti fra
-le coltri.... Vedeva il cofano scolpito, custode
-dei suoi gentili ricordi di infanzia e di adolescenza,
-<span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span>
-dello spensierato tempo lontano che raggiava
-mitemente in una luce rosata e nebulosa,
-a cui ella volgeva l’occhio sempre intenerito.
-Aveva conservato un ricordo di tutto:
-dei giorni di palpiti, di speranze, d’angoscie,
-di lutto, di solitudine, di esultanza; poi le giornate
-gioiose piene di canti e di fiori della fidanzata,
-lieto poema terminato da un giorno
-di smarrimento che era passato lasciando nello
-stipo un fascio di fiori d’arancio e un lungo
-velo bianco. Poi venivano i mobili e le pareti
-ingombre di gingilli ognuno dei quali le rammentava
-un’attenzione delicata del suo compagno,
-una frase affettuosa, un bacio, un anniversario
-dolce, tutta la storia del presente
-ricco d’amore, d’amore vero, refrigerante e sicuro,
-ch’era idolatria e protezione ad un tempo.
-E là, dirimpetto, i grandi ritratti de’ suoi
-morti che la guardavano fiso, cogli occhi animati
-da una così strana luce di tenerezza e di
-malinconia che le fece mormorare cento volte:
-Perdono, perdono, perdono....
-</p>
-
-<p>
-Infine si levò, risoluta, calma, seria, come
-se stesse per compiere un dovere od obbedisse
-ad una ispirazione superiore; e scrisse poche
-righe su un cartoncino liscio, con la sua elegante
-calligrafia di signora:
-</p>
-
-<p>
-«Credete a me, Carlo, è meglio che non
-ci rivediamo mai più. Ho dei gusti borghesi,
-compatitemi! preferisco rimanere semplicemente
-una donna onesta che diventare la
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-Diva di qualche leggenda. Addio. — Letizia.
-</p>
-
-<p>
-Chiuse il cartoncino in una busta con l’indirizzo
-e la fece impostare subito dalla cameriera.
-Poi tornò a fissar gli occhi de’ suoi morti.
-</p>
-
-<p>
-Quando si riscosse, il sole sul tramonto lambiva
-le trine del soave nido serico e una nota
-voce risuonava nell’anticamera. La contessa si
-avvicinò allo specchio e si ricompose i capelli.
-</p>
-
-<p>
-Suo marito entrò soffermandosi sulla soglia.
-</p>
-
-<p>
-— Già levata? brava! ti senti dunque meglio? — e
-mosse verso di lei premuroso, un po’ triste.
-</p>
-
-<p>
-— Guarita, Alberto, guarita! — Letizia ebbe
-un impercettibile sorriso sibillino. Poi gli
-mise lentamente le braccia al collo e gli nascose
-la testa sul petto, contro il cuore.
-</p>
-
-<p>
-— Dì, Alberto, — susurrò, — mi perdoni le
-mie bizze, la mia musoneria? hai veduto? non
-stavo bene, erano i nervi...
-</p>
-
-<p>
-— Già i nervi, quei benedetti nervi... — Alberto
-le carezzava adagio i capelli, ninnandola
-come una bimba.
-</p>
-
-<p>
-Erano nella spera di sole che traversava obliquamente
-la stanza e s’insinuava nel letto,
-fra le cortine: Letizia rialzando la leggiadra
-testa la ebbe tutta intrisa d’un oro ardente.
-</p>
-
-<p>
-— Dimmi, Alberto, quando parti? — gli
-chiese con risolutezza.
-</p>
-
-<p>
-Egli esitò un istante.
-</p>
-
-<p>
-— Ma... dissi lunedì, e lunedì è dopodomani.
-Avresti qualche cosa in contrario? Mi dispiacerebbe
-perchè non posso differire...
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-</p>
-
-<p>
-— .... io no, anzi... — rispose lei tutta rossa e
-palpitante; — gli è che.... volevo saperlo.... te
-l’ho domandato, — aggiunse rapidamente — perchè
-vorrei venir con te! Oh, Alberto, portami
-via con te!
-</p>
-
-<p>
-Gli ricadde sul cuore tutta commossa. Alberto
-rimase un minuto in silenzio, immobile;
-poi il signore serio, rigido, sempre dignitoso e
-corretto la strinse fra le braccia con uno slancio
-di giovane innamorato ripetendo a voce
-bassissima:
-</p>
-
-<p>
-— Sii benedetta; grazie, grazie....
-</p>
-
-<p>
-Ma, di colpo, le prese tutte due le mani, obbligandola
-a rimanere là dritta dinanzi a lui
-come dinanzi a un giudice. I suoi lineamenti
-avevano assunto adesso un’espressione autorevole,
-severa, quasi di durezza.
-</p>
-
-<p>
-— Hai scelto dunque? — le disse lentamente,
-fissandola negli occhi. — Non te ne pentirai?
-</p>
-
-<p>
-— Ah, Alberto! — Era un grido di dolore,
-ma Letizia sostenne quello sguardo risoluta, orgogliosa.
-</p>
-
-<p>
-— No? — continuò lui scosso più che non
-lo volesse parere; — no, proprio? Ebbene, sono
-contento, Letizia, perchè è quello che mi aspettava
-da te. Poichè, vedi, — seguitò freddamente, — avendo
-la coscienza di valere di più,
-ho voluto che tu ci vedessi accanto, per paragonare,
-per sce...
-</p>
-
-<p>
-— Oh no, per pietà, Alberto, non la ridire
-l’orrenda parola! — gridò lei svincolando le mani
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-per posargliele sulla bocca. — Mi crederai se ti
-dico che fu un sogno? solamente un sogno della
-mente malata? un breve sogno di cui ho rimorso,
-ma di cui non debbo arrossire? Che sono
-ancora degna di te, della tua stima, del tuo
-amore, del tuo nome.... Mi credi?
-</p>
-
-<p>
-Alberto la guardò negli occhi neri che raggiavano.
-</p>
-
-<p>
-— Ti credo, — disse semplicemente.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-</p>
-
-<h2 id="dellago">La gloria dell’ago.</h2>
-</div>
-
-<div class="poem-container-right">
-<div class="poem inl"><div class="stanza">
-<p class="i01">Quasi vil donna che ’l cor d’ozio ha vago</p>
-<p class="i02"> E sol adopri la conocchia e l’ago.</p>
-<p class="i09"> <span class="smcap">Tasso</span>, <i>Rinaldo</i>.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<p>
-Uscite dall’ombra, o aghi umili, buoni. Uscite
-senza ritrosia; è il quarto d’ora della riabilitazione,
-il quarto d’ora del trionfo.
-</p>
-
-<p>
-Ecco, giungono. I primi adescati sono i meno
-modesti: gli aghi aristocratici che luccicano
-come minuzzoli di raggi siderali sulla felpa degli
-astucci, sul raso delle cestelline adorne, in
-cui trascinano le giornate, oziando, col loro strascico
-di fili di seta multicolore, sospinti di
-quando in quando da un ditale d’avorio o d’argento,
-fra la severità d’un artistico ricamo che
-palpita alla brezza marina, o ride ai riflessi del
-sole che s’infiltra tra il verde d’un ramo, o
-s’immalinconisce nella penombra d’un salotto,
-stiracchiato da una mano fine, nervosa, durante
-una visita importuna. Poi arriva la
-gran moltitudine degli aghi borghesi: aghi solidi,
-utili, infilati semplicemente di bianco o di
-nero, gli aghi più attivi, affacendati sempre,
-sempre pronti ad ogni sorta di lavoro, un esercito
-<span class="pagenum" id="Page_198">[198]</span>
-di carità che veglia e provvede dalle
-vedette d’avorio, di legno, di metallo, in cui
-li relegano, a gruppi, mani frettolose e sapienti.
-Questi sono gli aghi d’esperienza, poichè della
-vita conoscono le lotte, i trionfi, le gioie, gli
-sconforti, i palpiti, i sogni, le miserie, le follie.
-Quante cose hanno da raccontarsi, quando si
-trovano in crocchio a vegliare negli agorai! Uno
-è passato fra le trine d’una bianca veste di
-sposa, un altro fra il crespo d’un abito di lutto,
-un terzo in una cuffietta di neonato, un quarto
-è andato a rischio di spezzarsi tra la paglia del
-cappellino d’una signorina capricciosa, un quinto
-ha svegliato con una puntura la giovine cucitrice,
-stanca e illanguidita, un sesto ha fatto
-la spola cento volte fra un tovagliolo logoro
-d’una vecchietta avara; il suo vicino invece è
-ancora indolenzito a furia di rattoppar calzine
-d’ogni dimensione. Un altro ancora s’è bagnato
-delle lacrime d’una sposina negletta, un altro
-non ha fatto che..... disfar punti sbagliati fra
-dita abbandonate a loro stesse dalla mente assorta
-in una fantasticheria, o intenta a sugger
-parole dolci da una voce virile, armoniosa.......
-Oh, aghi, anche galeotti, dunque, qualche volta
-siete voi?!...
-</p>
-
-<p>
-Vengono, robusti, giganti, gli aghi rustici
-che rappezzano i sacchi e le camicie dell’alpigiana
-e scendono con lei in città, quando diventa
-balia in qualche bel palazzo, a ricordarle
-quell’ultima sera dei suoi monti, allorchè agucchiava
-<span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span>
-cogli occhi velati e il cuore gonfio accanto
-alla culla del suo figliuolino; o quell’altro
-giorno ancor più lontano, quando un ago
-simile si spezzò al bacio improvviso d’un giovane
-coscritto a lungo aspettato. Sono aghi ingenui,
-inoffensivi, che hanno in sè una poesia
-fresca e sana e tutta la purezza dell’infanzia
-che li predilige, tutta l’ignoranza beatamente
-grottesca delle bambole e dei burattini.
-</p>
-
-<p>
-Ecco gli aghi scolastici in una minuziosa
-scala di proporzioni; aghi silenziosi, discreti,
-affaticati, qualche volta crudeli, disamorati sempre,
-poichè, meno qualche onorevole eccezione,
-si nascondono, sfuggono, si spezzano anche volentieri,
-pur di sfuggire alla tirannia di quelle
-ore fisse di ginnastica educatica. Ecco, accanto,
-gli aghi del chiostro, muti, eterni, suffusi di
-luccicori lustrali, e la scarsa falange degli aghi
-maschili dai movimenti bruschi, ineleganti,
-gli aghi dei tappezzieri e dei soldati, e gli aghi
-degli ospedali, aghi malinconici, addolorati,
-benefici, riparatori, «<i>Prima di trista e poi
-di buona mancia</i>,» come la lancia del divo Achille,
-poichè oltre ciò, voi, aghi, sapete anche
-punire una mano temeraria e puntare all’occhiello
-un fiore desiderato.... Oh, aghi, aghi,
-chi vi canterà degnamente? Come rendere tutto
-il germogliare di sensazioni, il disegnarsi di
-miraggi che si levano, al pensiero di voi, nel
-mio cuore? Aghi buoni, umili, filosofici, saggi
-compagni e testimoni eloquenti della vita muliebre,
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-consiglieri di pace, confidenti di tanti
-nostri sogni ingenui, folli, mesti, a cui parete
-rispondere con una parola di ritmo pacato, pieno
-di senno, balenando assidui tra la piega dell’orlo,
-o coi ridenti rabeschi che si tramano sul
-canovaccio come rispecchiando in un lago tranquillo
-le chimère splendide e vane dei poveri
-cervelli femminili. Aghi, aghi, che sapete tante
-cose che gli altri non sanno, tanti palpiti repressi,
-tante angoscie velate sotto una calma
-fittizia, tante fissazioni opprimenti del pensiero
-assorto da un punto luminoso di faro, tanti dubbi
-tremendi, tante supposizioni false che dànno la
-voluttà del martirio, tante ore d’attesa, oh quante!
-le lunghe, pazienti, logoranti attese femminili
-a cui è compagno il lavoro, ore d’un supplizio
-minuto, crudele, continuato, che l’uomo
-non sa.
-</p>
-
-<p>
-Oh, aghi snelli, rilucenti, dai miti riflessi
-di luna, antichi maestri di pazienza, quanto meglio
-sarebbe ascoltar voi qualche volta, quando
-pacificamente incrociati sul lavoro che attende,
-pare ci consigliate di non legger quei versi, di
-non scrivere quella lettera, di non uscire a
-quella passeggiata; quando con la soddisfazione
-intima e schietta che viene da voi, ci adescate
-alle dolcezze dei semplici, dei felici che non
-conoscono il faticoso errare nei campi stellati
-e dolorosi dell’arte, del pensiero! Meglio, si, meglio
-l’umile agucchiare che il soave e velenoso
-intenerirsi ai casi di Lancillotto; meglio l’ago,
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-che la penna. E noi torneremo all’antico; agucchieremo.
-Là è un regno tutto nostro di
-pace feconda, come la terra beata dell’ultimo
-sogno di Faust; là, finora, nessuno ci giudica,
-nessuno ci motteggia, nessuno ci sferza. L’ago
-pesa meno della penna alle nostre mani delicate
-e.... conclude di più.
-</p>
-
-<p>
-<i>Ave</i>, dunque, ago, fortezza, difesa, e gloria
-nostra!
-</p>
-
-<p class="pad2 center large">
-<span class="smcap">Fine.</span>
-</p>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td>Forte come l’Amore</td> <td class="pag"><a href="#forte">Pag. 1</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#romanze">75</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Natale Romantico</td> <td class="pag"><a href="#natale">78</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Natale Classico</td> <td class="pag"><a href="#classico">86</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Il poema dei bambini</td> <td class="pag"><a href="#bambini">97</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Treccia bionda</td> <td class="pag"><a href="#treccia">101</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#senzap">112</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Pasqua triste</td> <td class="pag"><a href="#pasqua">116</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La scarpina di Cenerentola</td> <td class="pag"><a href="#cenerentola">122</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#parole">182</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Crisantèmi</td> <td class="pag"><a href="#crisantemi">140</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Dietro le scene</td> <td class="pag"><a href="#scene">150</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Mammole</td> <td class="pag"><a href="#mammole">157</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Romanze senza parole</td> <td class="pag"><a href="#romze">165</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Ultimi bagliori</td> <td class="pag"><a href="#bagliori">170</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>La gloria dell’ago</td> <td class="pag"><a href="#dellago">197</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr />
-
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div lang='en' xml:lang='en'>
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK <span lang='it' xml:lang='it'>IL LIBRO DEI MIRAGGI</span> ***</div>
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-</div>
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-1.F.
-</div>
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-</div>
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-</div>
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-additions or deletions to any Project Gutenberg&#8482; work, and (c) any
-Defect you cause.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; is synonymous with the free distribution of
-electronic works in formats readable by the widest variety of
-computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
-exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
-from people in all walks of life.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
-assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg&#8482;&#8217;s
-goals and ensuring that the Project Gutenberg&#8482; collection will
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-Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
-and permanent future for Project Gutenberg&#8482; and future
-generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
-number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
-U.S. federal laws and your state&#8217;s laws.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
-increasing the number of public domain and licensed works that can be
-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
-array of equipment including outdated equipment. Many small donations
-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
-status with the IRS.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
-charities and charitable donations in all 50 states of the United
-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
-considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
-with these requirements. We do not solicit donations in locations
-where we have not received written confirmation of compliance. To SEND
-DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state
-visit <a href="https://www.gutenberg.org/donate/">www.gutenberg.org/donate</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
-have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
-against accepting unsolicited donations from donors in such states who
-approach us with offers to donate.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-International donations are gratefully accepted, but we cannot make
-any statements concerning tax treatment of donations received from
-outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Please check the Project Gutenberg web pages for current donation
-methods and addresses. Donations are accepted in a number of other
-ways including checks, online payments and credit card donations. To
-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-</div>
-
-</div>
-</div>
-</body>
-</html>
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