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| author | Roger Frank <rfrank@pglaf.org> | 2025-10-15 05:16:18 -0700 |
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If you are not located in the United States, you +will have to check the laws of the country where you are located before +using this eBook. + +Title: La Divina Commedia di Dante + Paradiso + +Author: Dante Alighieri + +Release Date: August, 1997 [eBook #999] +[Most recently updated: April 25, 2021] + +Language: Italian + +Character set encoding: UTF-8 + + +*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA *** + + + + +LA DIVINA COMMEDIA + +di Dante Alighieri + +CANTICA III: PARADISO + + +Contents + + PARADISO + Canto I. + Canto II. + Canto III. + Canto IV. + Canto V. + Canto VI. + Canto VII. + Canto VIII. + Canto IX. + Canto X. + Canto XI. + Canto XII. + Canto XIII. + Canto XIV. + Canto XV. + Canto XVI. + Canto XVII. + Canto XVIII. + Canto XIX. + Canto XX. + Canto XXI. + Canto XXII. + Canto XXIII. + Canto XXIV. + Canto XXV. + Canto XXVI. + Canto XXVII. + Canto XXVIII. + Canto XXIX. + Canto XXX. + Canto XXXI. + Canto XXXII. + Canto XXXIII. + + + + +PARADISO + + + + +Paradiso +Canto I + + +La gloria di colui che tutto move +per l’universo penetra, e risplende +in una parte più e meno altrove. + +Nel ciel che più de la sua luce prende +fu’ io, e vidi cose che ridire +né sa né può chi di là sù discende; + +perché appressando sé al suo disire, +nostro intelletto si profonda tanto, +che dietro la memoria non può ire. + +Veramente quant’ io del regno santo +ne la mia mente potei far tesoro, +sarà ora materia del mio canto. + +O buono Appollo, a l’ultimo lavoro +fammi del tuo valor sì fatto vaso, +come dimandi a dar l’amato alloro. + +Infino a qui l’un giogo di Parnaso +assai mi fu; ma or con amendue +m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. + +Entra nel petto mio, e spira tue +sì come quando Marsïa traesti +de la vagina de le membra sue. + +O divina virtù, se mi ti presti +tanto che l’ombra del beato regno +segnata nel mio capo io manifesti, + +vedra’mi al piè del tuo diletto legno +venire, e coronarmi de le foglie +che la materia e tu mi farai degno. + +Sì rade volte, padre, se ne coglie +per trïunfare o cesare o poeta, +colpa e vergogna de l’umane voglie, + +che parturir letizia in su la lieta +delfica deïtà dovria la fronda +peneia, quando alcun di sé asseta. + +Poca favilla gran fiamma seconda: +forse di retro a me con miglior voci +si pregherà perché Cirra risponda. + +Surge ai mortali per diverse foci +la lucerna del mondo; ma da quella +che quattro cerchi giugne con tre croci, + +con miglior corso e con migliore stella +esce congiunta, e la mondana cera +più a suo modo tempera e suggella. + +Fatto avea di là mane e di qua sera +tal foce, e quasi tutto era là bianco +quello emisperio, e l’altra parte nera, + +quando Beatrice in sul sinistro fianco +vidi rivolta e riguardar nel sole: +aguglia sì non li s’affisse unquanco. + +E sì come secondo raggio suole +uscir del primo e risalire in suso, +pur come pelegrin che tornar vuole, + +così de l’atto suo, per li occhi infuso +ne l’imagine mia, il mio si fece, +e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso. + +Molto è licito là, che qui non lece +a le nostre virtù, mercé del loco +fatto per proprio de l’umana spece. + +Io nol soffersi molto, né sì poco, +ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, +com’ ferro che bogliente esce del foco; + +e di sùbito parve giorno a giorno +essere aggiunto, come quei che puote +avesse il ciel d’un altro sole addorno. + +Beatrice tutta ne l’etterne rote +fissa con li occhi stava; e io in lei +le luci fissi, di là sù rimote. + +Nel suo aspetto tal dentro mi fei, +qual si fé Glauco nel gustar de l’erba +che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. + +Trasumanar significar per verba +non si poria; però l’essemplo basti +a cui esperïenza grazia serba. + +S’i’ era sol di me quel che creasti +novellamente, amor che ’l ciel governi, +tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. + +Quando la rota che tu sempiterni +desiderato, a sé mi fece atteso +con l’armonia che temperi e discerni, + +parvemi tanto allor del cielo acceso +de la fiamma del sol, che pioggia o fiume +lago non fece alcun tanto disteso. + +La novità del suono e ’l grande lume +di lor cagion m’accesero un disio +mai non sentito di cotanto acume. + +Ond’ ella, che vedea me sì com’ io, +a quïetarmi l’animo commosso, +pria ch’io a dimandar, la bocca aprio + +e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso +col falso imaginar, sì che non vedi +ciò che vedresti se l’avessi scosso. + +Tu non se’ in terra, sì come tu credi; +ma folgore, fuggendo il proprio sito, +non corse come tu ch’ad esso riedi». + +S’io fui del primo dubbio disvestito +per le sorrise parolette brevi, +dentro ad un nuovo più fu’ inretito + +e dissi: «Già contento requïevi +di grande ammirazion; ma ora ammiro +com’ io trascenda questi corpi levi». + +Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro, +li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante +che madre fa sovra figlio deliro, + +e cominciò: «Le cose tutte quante +hanno ordine tra loro, e questo è forma +che l’universo a Dio fa simigliante. + +Qui veggion l’alte creature l’orma +de l’etterno valore, il qual è fine +al quale è fatta la toccata norma. + +Ne l’ordine ch’io dico sono accline +tutte nature, per diverse sorti, +più al principio loro e men vicine; + +onde si muovono a diversi porti +per lo gran mar de l’essere, e ciascuna +con istinto a lei dato che la porti. + +Questi ne porta il foco inver’ la luna; +questi ne’ cor mortali è permotore; +questi la terra in sé stringe e aduna; + +né pur le creature che son fore +d’intelligenza quest’ arco saetta, +ma quelle c’hanno intelletto e amore. + +La provedenza, che cotanto assetta, +del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto +nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; + +e ora lì, come a sito decreto, +cen porta la virtù di quella corda +che ciò che scocca drizza in segno lieto. + +Vero è che, come forma non s’accorda +molte fïate a l’intenzion de l’arte, +perch’ a risponder la materia è sorda, + +così da questo corso si diparte +talor la creatura, c’ha podere +di piegar, così pinta, in altra parte; + +e sì come veder si può cadere +foco di nube, sì l’impeto primo +l’atterra torto da falso piacere. + +Non dei più ammirar, se bene stimo, +lo tuo salir, se non come d’un rivo +se d’alto monte scende giuso ad imo. + +Maraviglia sarebbe in te se, privo +d’impedimento, giù ti fossi assiso, +com’ a terra quïete in foco vivo». + +Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. + + + + +Paradiso +Canto II + + +O voi che siete in piccioletta barca, +desiderosi d’ascoltar, seguiti +dietro al mio legno che cantando varca, + +tornate a riveder li vostri liti: +non vi mettete in pelago, ché forse, +perdendo me, rimarreste smarriti. + +L’acqua ch’io prendo già mai non si corse; +Minerva spira, e conducemi Appollo, +e nove Muse mi dimostran l’Orse. + +Voialtri pochi che drizzaste il collo +per tempo al pan de li angeli, del quale +vivesi qui ma non sen vien satollo, + +metter potete ben per l’alto sale +vostro navigio, servando mio solco +dinanzi a l’acqua che ritorna equale. + +Que’ glorïosi che passaro al Colco +non s’ammiraron come voi farete, +quando Iasón vider fatto bifolco. + +La concreata e perpetüa sete +del deïforme regno cen portava +veloci quasi come ’l ciel vedete. + +Beatrice in suso, e io in lei guardava; +e forse in tanto in quanto un quadrel posa +e vola e da la noce si dischiava, + +giunto mi vidi ove mirabil cosa +mi torse il viso a sé; e però quella +cui non potea mia cura essere ascosa, + +volta ver’ me, sì lieta come bella, +«Drizza la mente in Dio grata», mi disse, +«che n’ha congiunti con la prima stella». + +Parev’ a me che nube ne coprisse +lucida, spessa, solida e pulita, +quasi adamante che lo sol ferisse. + +Per entro sé l’etterna margarita +ne ricevette, com’ acqua recepe +raggio di luce permanendo unita. + +S’io era corpo, e qui non si concepe +com’ una dimensione altra patio, +ch’esser convien se corpo in corpo repe, + +accender ne dovria più il disio +di veder quella essenza in che si vede +come nostra natura e Dio s’unio. + +Lì si vedrà ciò che tenem per fede, +non dimostrato, ma fia per sé noto +a guisa del ver primo che l’uom crede. + +Io rispuosi: «Madonna, sì devoto +com’ esser posso più, ringrazio lui +lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. + +Ma ditemi: che son li segni bui +di questo corpo, che là giuso in terra +fan di Cain favoleggiare altrui?». + +Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra +l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali +dove chiave di senso non diserra, + +certo non ti dovrien punger li strali +d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi +vedi che la ragione ha corte l’ali. + +Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». +E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso +credo che fanno i corpi rari e densi». + +Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso +nel falso il creder tuo, se bene ascolti +l’argomentar ch’io li farò avverso. + +La spera ottava vi dimostra molti +lumi, li quali e nel quale e nel quanto +notar si posson di diversi volti. + +Se raro e denso ciò facesser tanto, +una sola virtù sarebbe in tutti, +più e men distributa e altrettanto. + +Virtù diverse esser convegnon frutti +di princìpi formali, e quei, for ch’uno, +seguiterieno a tua ragion distrutti. + +Ancor, se raro fosse di quel bruno +cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte +fora di sua materia sì digiuno + +esto pianeto, o, sì come comparte +lo grasso e ’l magro un corpo, così questo +nel suo volume cangerebbe carte. + +Se ’l primo fosse, fora manifesto +ne l’eclissi del sol, per trasparere +lo lume come in altro raro ingesto. + +Questo non è: però è da vedere +de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, +falsificato fia lo tuo parere. + +S’elli è che questo raro non trapassi, +esser conviene un termine da onde +lo suo contrario più passar non lassi; + +e indi l’altrui raggio si rifonde +così come color torna per vetro +lo qual di retro a sé piombo nasconde. + +Or dirai tu ch’el si dimostra tetro +ivi lo raggio più che in altre parti, +per esser lì refratto più a retro. + +Da questa instanza può deliberarti +esperïenza, se già mai la provi, +ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti. + +Tre specchi prenderai; e i due rimovi +da te d’un modo, e l’altro, più rimosso, +tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. + +Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso +ti stea un lume che i tre specchi accenda +e torni a te da tutti ripercosso. + +Ben che nel quanto tanto non si stenda +la vista più lontana, lì vedrai +come convien ch’igualmente risplenda. + +Or, come ai colpi de li caldi rai +de la neve riman nudo il suggetto +e dal colore e dal freddo primai, + +così rimaso te ne l’intelletto +voglio informar di luce sì vivace, +che ti tremolerà nel suo aspetto. + +Dentro dal ciel de la divina pace +si gira un corpo ne la cui virtute +l’esser di tutto suo contento giace. + +Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, +quell’ esser parte per diverse essenze, +da lui distratte e da lui contenute. + +Li altri giron per varie differenze +le distinzion che dentro da sé hanno +dispongono a lor fini e lor semenze. + +Questi organi del mondo così vanno, +come tu vedi omai, di grado in grado, +che di sù prendono e di sotto fanno. + +Riguarda bene omai sì com’ io vado +per questo loco al vero che disiri, +sì che poi sappi sol tener lo guado. + +Lo moto e la virtù d’i santi giri, +come dal fabbro l’arte del martello, +da’ beati motor convien che spiri; + +e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, +de la mente profonda che lui volve +prende l’image e fassene suggello. + +E come l’alma dentro a vostra polve +per differenti membra e conformate +a diverse potenze si risolve, + +così l’intelligenza sua bontate +multiplicata per le stelle spiega, +girando sé sovra sua unitate. + +Virtù diversa fa diversa lega +col prezïoso corpo ch’ella avviva, +nel qual, sì come vita in voi, si lega. + +Per la natura lieta onde deriva, +la virtù mista per lo corpo luce +come letizia per pupilla viva. + +Da essa vien ciò che da luce a luce +par differente, non da denso e raro; +essa è formal principio che produce, + +conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro». + + + + +Paradiso +Canto III + + +Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, +di bella verità m’avea scoverto, +provando e riprovando, il dolce aspetto; + +e io, per confessar corretto e certo +me stesso, tanto quanto si convenne +leva’ il capo a proferer più erto; + +ma visïone apparve che ritenne +a sé me tanto stretto, per vedersi, +che di mia confession non mi sovvenne. + +Quali per vetri trasparenti e tersi, +o ver per acque nitide e tranquille, +non sì profonde che i fondi sien persi, + +tornan d’i nostri visi le postille +debili sì, che perla in bianca fronte +non vien men forte a le nostre pupille; + +tali vid’ io più facce a parlar pronte; +per ch’io dentro a l’error contrario corsi +a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. + +Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi, +quelle stimando specchiati sembianti, +per veder di cui fosser, li occhi torsi; + +e nulla vidi, e ritorsili avanti +dritti nel lume de la dolce guida, +che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. + +«Non ti maravigliar perch’ io sorrida», +mi disse, «appresso il tuo püeril coto, +poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida, + +ma te rivolve, come suole, a vòto: +vere sustanze son ciò che tu vedi, +qui rilegate per manco di voto. + +Però parla con esse e odi e credi; +ché la verace luce che le appaga +da sé non lascia lor torcer li piedi». + +E io a l’ombra che parea più vaga +di ragionar, drizza’mi, e cominciai, +quasi com’ uom cui troppa voglia smaga: + +«O ben creato spirito, che a’ rai +di vita etterna la dolcezza senti +che, non gustata, non s’intende mai, + +grazïoso mi fia se mi contenti +del nome tuo e de la vostra sorte». +Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti: + +«La nostra carità non serra porte +a giusta voglia, se non come quella +che vuol simile a sé tutta sua corte. + +I’ fui nel mondo vergine sorella; +e se la mente tua ben sé riguarda, +non mi ti celerà l’esser più bella, + +ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, +che, posta qui con questi altri beati, +beata sono in la spera più tarda. + +Li nostri affetti, che solo infiammati +son nel piacer de lo Spirito Santo, +letizian del suo ordine formati. + +E questa sorte che par giù cotanto, +però n’è data, perché fuor negletti +li nostri voti, e vòti in alcun canto». + +Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti +vostri risplende non so che divino +che vi trasmuta da’ primi concetti: + +però non fui a rimembrar festino; +ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, +sì che raffigurar m’è più latino. + +Ma dimmi: voi che siete qui felici, +disiderate voi più alto loco +per più vedere e per più farvi amici?». + +Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco; +da indi mi rispuose tanto lieta, +ch’arder parea d’amor nel primo foco: + +«Frate, la nostra volontà quïeta +virtù di carità, che fa volerne +sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. + +Se disïassimo esser più superne, +foran discordi li nostri disiri +dal voler di colui che qui ne cerne; + +che vedrai non capere in questi giri, +s’essere in carità è qui necesse, +e se la sua natura ben rimiri. + +Anzi è formale ad esto beato esse +tenersi dentro a la divina voglia, +per ch’una fansi nostre voglie stesse; + +sì che, come noi sem di soglia in soglia +per questo regno, a tutto il regno piace +com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia. + +E ’n la sua volontade è nostra pace: +ell’ è quel mare al qual tutto si move +ciò ch’ella crïa o che natura face». + +Chiaro mi fu allor come ogne dove +in cielo è paradiso, etsi la grazia +del sommo ben d’un modo non vi piove. + +Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia +e d’un altro rimane ancor la gola, +che quel si chere e di quel si ringrazia, + +così fec’ io con atto e con parola, +per apprender da lei qual fu la tela +onde non trasse infino a co la spuola. + +«Perfetta vita e alto merto inciela +donna più sù», mi disse, «a la cui norma +nel vostro mondo giù si veste e vela, + +perché fino al morir si vegghi e dorma +con quello sposo ch’ogne voto accetta +che caritate a suo piacer conforma. + +Dal mondo, per seguirla, giovinetta +fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi +e promisi la via de la sua setta. + +Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, +fuor mi rapiron de la dolce chiostra: +Iddio si sa qual poi mia vita fusi. + +E quest’ altro splendor che ti si mostra +da la mia destra parte e che s’accende +di tutto il lume de la spera nostra, + +ciò ch’io dico di me, di sé intende; +sorella fu, e così le fu tolta +di capo l’ombra de le sacre bende. + +Ma poi che pur al mondo fu rivolta +contra suo grado e contra buona usanza, +non fu dal vel del cor già mai disciolta. + +Quest’ è la luce de la gran Costanza +che del secondo vento di Soave +generò ’l terzo e l’ultima possanza». + +Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave, +Maria’ cantando, e cantando vanio +come per acqua cupa cosa grave. + +La vista mia, che tanto lei seguio +quanto possibil fu, poi che la perse, +volsesi al segno di maggior disio, + +e a Beatrice tutta si converse; +ma quella folgorò nel mïo sguardo +sì che da prima il viso non sofferse; + +e ciò mi fece a dimandar più tardo. + + + + +Paradiso +Canto IV + + +Intra due cibi, distanti e moventi +d’un modo, prima si morria di fame, +che liber’ omo l’un recasse ai denti; + +sì si starebbe un agno intra due brame +di fieri lupi, igualmente temendo; +sì si starebbe un cane intra due dame: + +per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, +da li miei dubbi d’un modo sospinto, +poi ch’era necessario, né commendo. + +Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto +m’era nel viso, e ’l dimandar con ello, +più caldo assai che per parlar distinto. + +Fé sì Beatrice qual fé Danïello, +Nabuccodonosor levando d’ira, +che l’avea fatto ingiustamente fello; + +e disse: «Io veggio ben come ti tira +uno e altro disio, sì che tua cura +sé stessa lega sì che fuor non spira. + +Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura, +la vïolenza altrui per qual ragione +di meritar mi scema la misura?”. + +Ancor di dubitar ti dà cagione +parer tornarsi l’anime a le stelle, +secondo la sentenza di Platone. + +Queste son le question che nel tuo velle +pontano igualmente; e però pria +tratterò quella che più ha di felle. + +D’i Serafin colui che più s’india, +Moïsè, Samuel, e quel Giovanni +che prender vuoli, io dico, non Maria, + +non hanno in altro cielo i loro scanni +che questi spirti che mo t’appariro, +né hanno a l’esser lor più o meno anni; + +ma tutti fanno bello il primo giro, +e differentemente han dolce vita +per sentir più e men l’etterno spiro. + +Qui si mostraro, non perché sortita +sia questa spera lor, ma per far segno +de la celestïal c’ha men salita. + +Così parlar conviensi al vostro ingegno, +però che solo da sensato apprende +ciò che fa poscia d’intelletto degno. + +Per questo la Scrittura condescende +a vostra facultate, e piedi e mano +attribuisce a Dio e altro intende; + +e Santa Chiesa con aspetto umano +Gabrïel e Michel vi rappresenta, +e l’altro che Tobia rifece sano. + +Quel che Timeo de l’anime argomenta +non è simile a ciò che qui si vede, +però che, come dice, par che senta. + +Dice che l’alma a la sua stella riede, +credendo quella quindi esser decisa +quando natura per forma la diede; + +e forse sua sentenza è d’altra guisa +che la voce non suona, ed esser puote +con intenzion da non esser derisa. + +S’elli intende tornare a queste ruote +l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse +in alcun vero suo arco percuote. + +Questo principio, male inteso, torse +già tutto il mondo quasi, sì che Giove, +Mercurio e Marte a nominar trascorse. + +L’altra dubitazion che ti commove +ha men velen, però che sua malizia +non ti poria menar da me altrove. + +Parere ingiusta la nostra giustizia +ne li occhi d’i mortali, è argomento +di fede e non d’eretica nequizia. + +Ma perché puote vostro accorgimento +ben penetrare a questa veritate, +come disiri, ti farò contento. + +Se vïolenza è quando quel che pate +nïente conferisce a quel che sforza, +non fuor quest’ alme per essa scusate: + +ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, +ma fa come natura face in foco, +se mille volte vïolenza il torza. + +Per che, s’ella si piega assai o poco, +segue la forza; e così queste fero +possendo rifuggir nel santo loco. + +Se fosse stato lor volere intero, +come tenne Lorenzo in su la grada, +e fece Muzio a la sua man severo, + +così l’avria ripinte per la strada +ond’ eran tratte, come fuoro sciolte; +ma così salda voglia è troppo rada. + +E per queste parole, se ricolte +l’hai come dei, è l’argomento casso +che t’avria fatto noia ancor più volte. + +Ma or ti s’attraversa un altro passo +dinanzi a li occhi, tal che per te stesso +non usciresti: pria saresti lasso. + +Io t’ho per certo ne la mente messo +ch’alma beata non poria mentire, +però ch’è sempre al primo vero appresso; + +e poi potesti da Piccarda udire +che l’affezion del vel Costanza tenne; +sì ch’ella par qui meco contradire. + +Molte fïate già, frate, addivenne +che, per fuggir periglio, contra grato +si fé di quel che far non si convenne; + +come Almeone, che, di ciò pregato +dal padre suo, la propria madre spense, +per non perder pietà si fé spietato. + +A questo punto voglio che tu pense +che la forza al voler si mischia, e fanno +sì che scusar non si posson l’offense. + +Voglia assoluta non consente al danno; +ma consentevi in tanto in quanto teme, +se si ritrae, cadere in più affanno. + +Però, quando Piccarda quello spreme, +de la voglia assoluta intende, e io +de l’altra; sì che ver diciamo insieme». + +Cotal fu l’ondeggiar del santo rio +ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva; +tal puose in pace uno e altro disio. + +«O amanza del primo amante, o diva», +diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda +e scalda sì, che più e più m’avviva, + +non è l’affezion mia tanto profonda, +che basti a render voi grazia per grazia; +ma quei che vede e puote a ciò risponda. + +Io veggio ben che già mai non si sazia +nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra +di fuor dal qual nessun vero si spazia. + +Posasi in esso, come fera in lustra, +tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: +se non, ciascun disio sarebbe frustra. + +Nasce per quello, a guisa di rampollo, +a piè del vero il dubbio; ed è natura +ch’al sommo pinge noi di collo in collo. + +Questo m’invita, questo m’assicura +con reverenza, donna, a dimandarvi +d’un’altra verità che m’è oscura. + +Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi +ai voti manchi sì con altri beni, +ch’a la vostra statera non sien parvi». + +Beatrice mi guardò con li occhi pieni +di faville d’amor così divini, +che, vinta, mia virtute diè le reni, + +e quasi mi perdei con li occhi chini. + + + + +Paradiso +Canto V + + +«S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore +di là dal modo che ’n terra si vede, +sì che del viso tuo vinco il valore, + +non ti maravigliar, ché ciò procede +da perfetto veder, che, come apprende, +così nel bene appreso move il piede. + +Io veggio ben sì come già resplende +ne l’intelletto tuo l’etterna luce, +che, vista, sola e sempre amore accende; + +e s’altra cosa vostro amor seduce, +non è se non di quella alcun vestigio, +mal conosciuto, che quivi traluce. + +Tu vuo’ saper se con altro servigio, +per manco voto, si può render tanto +che l’anima sicuri di letigio». + +Sì cominciò Beatrice questo canto; +e sì com’ uom che suo parlar non spezza, +continüò così ’l processo santo: + +«Lo maggior don che Dio per sua larghezza +fesse creando, e a la sua bontate +più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, + +fu de la volontà la libertate; +di che le creature intelligenti, +e tutte e sole, fuoro e son dotate. + +Or ti parrà, se tu quinci argomenti, +l’alto valor del voto, s’è sì fatto +che Dio consenta quando tu consenti; + +ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto, +vittima fassi di questo tesoro, +tal quale io dico; e fassi col suo atto. + +Dunque che render puossi per ristoro? +Se credi bene usar quel c’hai offerto, +di maltolletto vuo’ far buon lavoro. + +Tu se’ omai del maggior punto certo; +ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, +che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, + +convienti ancor sedere un poco a mensa, +però che ’l cibo rigido c’hai preso, +richiede ancora aiuto a tua dispensa. + +Apri la mente a quel ch’io ti paleso +e fermalvi entro; ché non fa scïenza, +sanza lo ritenere, avere inteso. + +Due cose si convegnono a l’essenza +di questo sacrificio: l’una è quella +di che si fa; l’altr’ è la convenenza. + +Quest’ ultima già mai non si cancella +se non servata; e intorno di lei +sì preciso di sopra si favella: + +però necessitato fu a li Ebrei +pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta +sì permutasse, come saver dei. + +L’altra, che per materia t’è aperta, +puote ben esser tal, che non si falla +se con altra materia si converta. + +Ma non trasmuti carco a la sua spalla +per suo arbitrio alcun, sanza la volta +e de la chiave bianca e de la gialla; + +e ogne permutanza credi stolta, +se la cosa dimessa in la sorpresa +come ’l quattro nel sei non è raccolta. + +Però qualunque cosa tanto pesa +per suo valor che tragga ogne bilancia, +sodisfar non si può con altra spesa. + +Non prendan li mortali il voto a ciancia; +siate fedeli, e a ciò far non bieci, +come Ieptè a la sua prima mancia; + +cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, +che, servando, far peggio; e così stolto +ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, + +onde pianse Efigènia il suo bel volto, +e fé pianger di sé i folli e i savi +ch’udir parlar di così fatto cólto. + +Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: +non siate come penna ad ogne vento, +e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. + +Avete il novo e ’l vecchio Testamento, +e ’l pastor de la Chiesa che vi guida; +questo vi basti a vostro salvamento. + +Se mala cupidigia altro vi grida, +uomini siate, e non pecore matte, +sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! + +Non fate com’ agnel che lascia il latte +de la sua madre, e semplice e lascivo +seco medesmo a suo piacer combatte!». + +Così Beatrice a me com’ ïo scrivo; +poi si rivolse tutta disïante +a quella parte ove ’l mondo è più vivo. + +Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante +puoser silenzio al mio cupido ingegno, +che già nuove questioni avea davante; + +e sì come saetta che nel segno +percuote pria che sia la corda queta, +così corremmo nel secondo regno. + +Quivi la donna mia vid’ io sì lieta, +come nel lume di quel ciel si mise, +che più lucente se ne fé ’l pianeta. + +E se la stella si cambiò e rise, +qual mi fec’ io che pur da mia natura +trasmutabile son per tutte guise! + +Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura +traggonsi i pesci a ciò che vien di fori +per modo che lo stimin lor pastura, + +sì vid’ io ben più di mille splendori +trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia: +«Ecco chi crescerà li nostri amori». + +E sì come ciascuno a noi venìa, +vedeasi l’ombra piena di letizia +nel folgór chiaro che di lei uscia. + +Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia +non procedesse, come tu avresti +di più savere angosciosa carizia; + +e per te vederai come da questi +m’era in disio d’udir lor condizioni, +sì come a li occhi mi fur manifesti. + +«O bene nato a cui veder li troni +del trïunfo etternal concede grazia +prima che la milizia s’abbandoni, + +del lume che per tutto il ciel si spazia +noi semo accesi; e però, se disii +di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». + +Così da un di quelli spirti pii +detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì +sicuramente, e credi come a dii». + +«Io veggio ben sì come tu t’annidi +nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, +perch’ e’ corusca sì come tu ridi; + +ma non so chi tu se’, né perché aggi, +anima degna, il grado de la spera +che si vela a’ mortai con altrui raggi». + +Questo diss’ io diritto a la lumera +che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi +lucente più assai di quel ch’ell’ era. + +Sì come il sol che si cela elli stessi +per troppa luce, come ’l caldo ha róse +le temperanze d’i vapori spessi, + +per più letizia sì mi si nascose +dentro al suo raggio la figura santa; +e così chiusa chiusa mi rispuose + +nel modo che ’l seguente canto canta. + + + + +Paradiso +Canto VI + + +«Poscia che Costantin l’aquila volse +contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio +dietro a l’antico che Lavina tolse, + +cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio +ne lo stremo d’Europa si ritenne, +vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; + +e sotto l’ombra de le sacre penne +governò ’l mondo lì di mano in mano, +e, sì cangiando, in su la mia pervenne. + +Cesare fui e son Iustinïano, +che, per voler del primo amor ch’i’ sento, +d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano. + +E prima ch’io a l’ovra fossi attento, +una natura in Cristo esser, non piùe, +credea, e di tal fede era contento; + +ma ’l benedetto Agapito, che fue +sommo pastore, a la fede sincera +mi dirizzò con le parole sue. + +Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, +vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi +ogni contradizione e falsa e vera. + +Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, +a Dio per grazia piacque di spirarmi +l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi; + +e al mio Belisar commendai l’armi, +cui la destra del ciel fu sì congiunta, +che segno fu ch’i’ dovessi posarmi. + +Or qui a la question prima s’appunta +la mia risposta; ma sua condizione +mi stringe a seguitare alcuna giunta, + +perché tu veggi con quanta ragione +si move contr’ al sacrosanto segno +e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone. + +Vedi quanta virtù l’ha fatto degno +di reverenza; e cominciò da l’ora +che Pallante morì per darli regno. + +Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora +per trecento anni e oltre, infino al fine +che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. + +E sai ch’el fé dal mal de le Sabine +al dolor di Lucrezia in sette regi, +vincendo intorno le genti vicine. + +Sai quel ch’el fé portato da li egregi +Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, +incontro a li altri principi e collegi; + +onde Torquato e Quinzio, che dal cirro +negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi +ebber la fama che volontier mirro. + +Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi +che di retro ad Anibale passaro +l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. + +Sott’ esso giovanetti trïunfaro +Scipïone e Pompeo; e a quel colle +sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. + +Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle +redur lo mondo a suo modo sereno, +Cesare per voler di Roma il tolle. + +E quel che fé da Varo infino a Reno, +Isara vide ed Era e vide Senna +e ogne valle onde Rodano è pieno. + +Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna +e saltò Rubicon, fu di tal volo, +che nol seguiteria lingua né penna. + +Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, +poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse +sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. + +Antandro e Simeonta, onde si mosse, +rivide e là dov’ Ettore si cuba; +e mal per Tolomeo poscia si scosse. + +Da indi scese folgorando a Iuba; +onde si volse nel vostro occidente, +ove sentia la pompeana tuba. + +Di quel che fé col baiulo seguente, +Bruto con Cassio ne l’inferno latra, +e Modena e Perugia fu dolente. + +Piangene ancor la trista Cleopatra, +che, fuggendoli innanzi, dal colubro +la morte prese subitana e atra. + +Con costui corse infino al lito rubro; +con costui puose il mondo in tanta pace, +che fu serrato a Giano il suo delubro. + +Ma ciò che ’l segno che parlar mi face +fatto avea prima e poi era fatturo +per lo regno mortal ch’a lui soggiace, + +diventa in apparenza poco e scuro, +se in mano al terzo Cesare si mira +con occhio chiaro e con affetto puro; + +ché la viva giustizia che mi spira, +li concedette, in mano a quel ch’i’ dico, +gloria di far vendetta a la sua ira. + +Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: +poscia con Tito a far vendetta corse +de la vendetta del peccato antico. + +E quando il dente longobardo morse +la Santa Chiesa, sotto le sue ali +Carlo Magno, vincendo, la soccorse. + +Omai puoi giudicar di quei cotali +ch’io accusai di sopra e di lor falli, +che son cagion di tutti vostri mali. + +L’uno al pubblico segno i gigli gialli +oppone, e l’altro appropria quello a parte, +sì ch’è forte a veder chi più si falli. + +Faccian li Ghibellin, faccian lor arte +sott’ altro segno, ché mal segue quello +sempre chi la giustizia e lui diparte; + +e non l’abbatta esto Carlo novello +coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli +ch’a più alto leon trasser lo vello. + +Molte fïate già pianser li figli +per la colpa del padre, e non si creda +che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli! + +Questa picciola stella si correda +d’i buoni spirti che son stati attivi +perché onore e fama li succeda: + +e quando li disiri poggian quivi, +sì disvïando, pur convien che i raggi +del vero amore in sù poggin men vivi. + +Ma nel commensurar d’i nostri gaggi +col merto è parte di nostra letizia, +perché non li vedem minor né maggi. + +Quindi addolcisce la viva giustizia +in noi l’affetto sì, che non si puote +torcer già mai ad alcuna nequizia. + +Diverse voci fanno dolci note; +così diversi scanni in nostra vita +rendon dolce armonia tra queste rote. + +E dentro a la presente margarita +luce la luce di Romeo, di cui +fu l’ovra grande e bella mal gradita. + +Ma i Provenzai che fecer contra lui +non hanno riso; e però mal cammina +qual si fa danno del ben fare altrui. + +Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, +Ramondo Beringhiere, e ciò li fece +Romeo, persona umìle e peregrina. + +E poi il mosser le parole biece +a dimandar ragione a questo giusto, +che li assegnò sette e cinque per diece, + +indi partissi povero e vetusto; +e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe +mendicando sua vita a frusto a frusto, + +assai lo loda, e più lo loderebbe». + + + + +Paradiso +Canto VII + + +«Osanna, sanctus Deus sabaòth, +superillustrans claritate tua +felices ignes horum malacòth!». + +Così, volgendosi a la nota sua, +fu viso a me cantare essa sustanza, +sopra la qual doppio lume s’addua; + +ed essa e l’altre mossero a sua danza, +e quasi velocissime faville +mi si velar di sùbita distanza. + +Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’ +fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna +che mi diseta con le dolci stille’. + +Ma quella reverenza che s’indonna +di tutto me, pur per Be e per ice, +mi richinava come l’uom ch’assonna. + +Poco sofferse me cotal Beatrice +e cominciò, raggiandomi d’un riso +tal, che nel foco faria l’uom felice: + +«Secondo mio infallibile avviso, +come giusta vendetta giustamente +punita fosse, t’ha in pensier miso; + +ma io ti solverò tosto la mente; +e tu ascolta, ché le mie parole +di gran sentenza ti faran presente. + +Per non soffrire a la virtù che vole +freno a suo prode, quell’ uom che non nacque, +dannando sé, dannò tutta sua prole; + +onde l’umana specie inferma giacque +giù per secoli molti in grande errore, +fin ch’al Verbo di Dio discender piacque + +u’ la natura, che dal suo fattore +s’era allungata, unì a sé in persona +con l’atto sol del suo etterno amore. + +Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: +questa natura al suo fattore unita, +qual fu creata, fu sincera e buona; + +ma per sé stessa pur fu ella sbandita +di paradiso, però che si torse +da via di verità e da sua vita. + +La pena dunque che la croce porse +s’a la natura assunta si misura, +nulla già mai sì giustamente morse; + +e così nulla fu di tanta ingiura, +guardando a la persona che sofferse, +in che era contratta tal natura. + +Però d’un atto uscir cose diverse: +ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; +per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. + +Non ti dee oramai parer più forte, +quando si dice che giusta vendetta +poscia vengiata fu da giusta corte. + +Ma io veggi’ or la tua mente ristretta +di pensiero in pensier dentro ad un nodo, +del qual con gran disio solver s’aspetta. + +Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo; +ma perché Dio volesse, m’è occulto, +a nostra redenzion pur questo modo”. + +Questo decreto, frate, sta sepulto +a li occhi di ciascuno il cui ingegno +ne la fiamma d’amor non è adulto. + +Veramente, però ch’a questo segno +molto si mira e poco si discerne, +dirò perché tal modo fu più degno. + +La divina bontà, che da sé sperne +ogne livore, ardendo in sé, sfavilla +sì che dispiega le bellezze etterne. + +Ciò che da lei sanza mezzo distilla +non ha poi fine, perché non si move +la sua imprenta quand’ ella sigilla. + +Ciò che da essa sanza mezzo piove +libero è tutto, perché non soggiace +a la virtute de le cose nove. + +Più l’è conforme, e però più le piace; +ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia, +ne la più somigliante è più vivace. + +Di tutte queste dote s’avvantaggia +l’umana creatura, e s’una manca, +di sua nobilità convien che caggia. + +Solo il peccato è quel che la disfranca +e falla dissimìle al sommo bene, +per che del lume suo poco s’imbianca; + +e in sua dignità mai non rivene, +se non rïempie, dove colpa vòta, +contra mal dilettar con giuste pene. + +Vostra natura, quando peccò tota +nel seme suo, da queste dignitadi, +come di paradiso, fu remota; + +né ricovrar potiensi, se tu badi +ben sottilmente, per alcuna via, +sanza passar per un di questi guadi: + +o che Dio solo per sua cortesia +dimesso avesse, o che l’uom per sé isso +avesse sodisfatto a sua follia. + +Ficca mo l’occhio per entro l’abisso +de l’etterno consiglio, quanto puoi +al mio parlar distrettamente fisso. + +Non potea l’uomo ne’ termini suoi +mai sodisfar, per non potere ir giuso +con umiltate obedïendo poi, + +quanto disobediendo intese ir suso; +e questa è la cagion per che l’uom fue +da poter sodisfar per sé dischiuso. + +Dunque a Dio convenia con le vie sue +riparar l’omo a sua intera vita, +dico con l’una, o ver con amendue. + +Ma perché l’ovra tanto è più gradita +da l’operante, quanto più appresenta +de la bontà del core ond’ ell’ è uscita, + +la divina bontà che ’l mondo imprenta, +di proceder per tutte le sue vie, +a rilevarvi suso, fu contenta. + +Né tra l’ultima notte e ’l primo die +sì alto o sì magnifico processo, +o per l’una o per l’altra, fu o fie: + +ché più largo fu Dio a dar sé stesso +per far l’uom sufficiente a rilevarsi, +che s’elli avesse sol da sé dimesso; + +e tutti li altri modi erano scarsi +a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio +non fosse umilïato ad incarnarsi. + +Or per empierti bene ogne disio, +ritorno a dichiararti in alcun loco, +perché tu veggi lì così com’ io. + +Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco, +l’aere e la terra e tutte lor misture +venire a corruzione, e durar poco; + +e queste cose pur furon creature; +per che, se ciò ch’è detto è stato vero, +esser dovrien da corruzion sicure”. + +Li angeli, frate, e ’l paese sincero +nel qual tu se’, dir si posson creati, +sì come sono, in loro essere intero; + +ma li alimenti che tu hai nomati +e quelle cose che di lor si fanno +da creata virtù sono informati. + +Creata fu la materia ch’elli hanno; +creata fu la virtù informante +in queste stelle che ’ntorno a lor vanno. + +L’anima d’ogne bruto e de le piante +di complession potenzïata tira +lo raggio e ’l moto de le luci sante; + +ma vostra vita sanza mezzo spira +la somma beninanza, e la innamora +di sé sì che poi sempre la disira. + +E quinci puoi argomentare ancora +vostra resurrezion, se tu ripensi +come l’umana carne fessi allora + +che li primi parenti intrambo fensi». + + + + +Paradiso +Canto VIII + + +Solea creder lo mondo in suo periclo +che la bella Ciprigna il folle amore +raggiasse, volta nel terzo epiciclo; + +per che non pur a lei faceano onore +di sacrificio e di votivo grido +le genti antiche ne l’antico errore; + +ma Dïone onoravano e Cupido, +quella per madre sua, questo per figlio, +e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; + +e da costei ond’ io principio piglio +pigliavano il vocabol de la stella +che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. + +Io non m’accorsi del salire in ella; +ma d’esservi entro mi fé assai fede +la donna mia ch’i’ vidi far più bella. + +E come in fiamma favilla si vede, +e come in voce voce si discerne, +quand’ una è ferma e altra va e riede, + +vid’ io in essa luce altre lucerne +muoversi in giro più e men correnti, +al modo, credo, di lor viste interne. + +Di fredda nube non disceser venti, +o visibili o no, tanto festini, +che non paressero impediti e lenti + +a chi avesse quei lumi divini +veduti a noi venir, lasciando il giro +pria cominciato in li alti Serafini; + +e dentro a quei che più innanzi appariro +sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi +di rïudir non fui sanza disiro. + +Indi si fece l’un più presso a noi +e solo incominciò: «Tutti sem presti +al tuo piacer, perché di noi ti gioi. + +Noi ci volgiam coi principi celesti +d’un giro e d’un girare e d’una sete, +ai quali tu del mondo già dicesti: + +‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’; +e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, +non fia men dolce un poco di quïete». + +Poscia che li occhi miei si fuoro offerti +a la mia donna reverenti, ed essa +fatti li avea di sé contenti e certi, + +rivolsersi a la luce che promessa +tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue +la voce mia di grande affetto impressa. + +E quanta e quale vid’ io lei far piùe +per allegrezza nova che s’accrebbe, +quando parlai, a l’allegrezze sue! + +Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe +giù poco tempo; e se più fosse stato, +molto sarà di mal, che non sarebbe. + +La mia letizia mi ti tien celato +che mi raggia dintorno e mi nasconde +quasi animal di sua seta fasciato. + +Assai m’amasti, e avesti ben onde; +che s’io fossi giù stato, io ti mostrava +di mio amor più oltre che le fronde. + +Quella sinistra riva che si lava +di Rodano poi ch’è misto con Sorga, +per suo segnore a tempo m’aspettava, + +e quel corno d’Ausonia che s’imborga +di Bari e di Gaeta e di Catona, +da ove Tronto e Verde in mare sgorga. + +Fulgeami già in fronte la corona +di quella terra che ’l Danubio riga +poi che le ripe tedesche abbandona. + +E la bella Trinacria, che caliga +tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo +che riceve da Euro maggior briga, + +non per Tifeo ma per nascente solfo, +attesi avrebbe li suoi regi ancora, +nati per me di Carlo e di Ridolfo, + +se mala segnoria, che sempre accora +li popoli suggetti, non avesse +mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. + +E se mio frate questo antivedesse, +l’avara povertà di Catalogna +già fuggeria, perché non li offendesse; + +ché veramente proveder bisogna +per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca +carcata più d’incarco non si pogna. + +La sua natura, che di larga parca +discese, avria mestier di tal milizia +che non curasse di mettere in arca». + +«Però ch’i’ credo che l’alta letizia +che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio, +là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, + +per te si veggia come la vegg’ io, +grata m’è più; e anco quest’ ho caro +perché ’l discerni rimirando in Dio. + +Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, +poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso +com’ esser può, di dolce seme, amaro». + +Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso +mostrarti un vero, a quel che tu dimandi +terrai lo viso come tien lo dosso. + +Lo ben che tutto il regno che tu scandi +volge e contenta, fa esser virtute +sua provedenza in questi corpi grandi. + +E non pur le nature provedute +sono in la mente ch’è da sé perfetta, +ma esse insieme con la lor salute: + +per che quantunque quest’ arco saetta +disposto cade a proveduto fine, +sì come cosa in suo segno diretta. + +Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine +producerebbe sì li suoi effetti, +che non sarebbero arti, ma ruine; + +e ciò esser non può, se li ’ntelletti +che muovon queste stelle non son manchi, +e manco il primo, che non li ha perfetti. + +Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?». +E io: «Non già; ché impossibil veggio +che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». + +Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio +per l’omo in terra, se non fosse cive?». +«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». + +«E puot’ elli esser, se giù non si vive +diversamente per diversi offici? +Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». + +Sì venne deducendo infino a quici; +poscia conchiuse: «Dunque esser diverse +convien di vostri effetti le radici: + +per ch’un nasce Solone e altro Serse, +altro Melchisedèch e altro quello +che, volando per l’aere, il figlio perse. + +La circular natura, ch’è suggello +a la cera mortal, fa ben sua arte, +ma non distingue l’un da l’altro ostello. + +Quinci addivien ch’Esaù si diparte +per seme da Iacòb; e vien Quirino +da sì vil padre, che si rende a Marte. + +Natura generata il suo cammino +simil farebbe sempre a’ generanti, +se non vincesse il proveder divino. + +Or quel che t’era dietro t’è davanti: +ma perché sappi che di te mi giova, +un corollario voglio che t’ammanti. + +Sempre natura, se fortuna trova +discorde a sé, com’ ogne altra semente +fuor di sua regïon, fa mala prova. + +E se ’l mondo là giù ponesse mente +al fondamento che natura pone, +seguendo lui, avria buona la gente. + +Ma voi torcete a la religïone +tal che fia nato a cignersi la spada, +e fate re di tal ch’è da sermone; + +onde la traccia vostra è fuor di strada». + + + + +Paradiso +Canto IX + + +Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, +m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni +che ricever dovea la sua semenza; + +ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; +sì ch’io non posso dir se non che pianto +giusto verrà di retro ai vostri danni. + +E già la vita di quel lume santo +rivolta s’era al Sol che la rïempie +come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. + +Ahi anime ingannate e fatture empie, +che da sì fatto ben torcete i cuori, +drizzando in vanità le vostre tempie! + +Ed ecco un altro di quelli splendori +ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi +significava nel chiarir di fori. + +Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi +sovra me, come pria, di caro assenso +al mio disio certificato fermi. + +«Deh, metti al mio voler tosto compenso, +beato spirto», dissi, «e fammi prova +ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». + +Onde la luce che m’era ancor nova, +del suo profondo, ond’ ella pria cantava, +seguette come a cui di ben far giova: + +«In quella parte de la terra prava +italica che siede tra Rïalto +e le fontane di Brenta e di Piava, + +si leva un colle, e non surge molt’ alto, +là onde scese già una facella +che fece a la contrada un grande assalto. + +D’una radice nacqui e io ed ella: +Cunizza fui chiamata, e qui refulgo +perché mi vinse il lume d’esta stella; + +ma lietamente a me medesma indulgo +la cagion di mia sorte, e non mi noia; +che parria forse forte al vostro vulgo. + +Di questa luculenta e cara gioia +del nostro cielo che più m’è propinqua, +grande fama rimase; e pria che moia, + +questo centesimo anno ancor s’incinqua: +vedi se far si dee l’omo eccellente, +sì ch’altra vita la prima relinqua. + +E ciò non pensa la turba presente +che Tagliamento e Adice richiude, +né per esser battuta ancor si pente; + +ma tosto fia che Padova al palude +cangerà l’acqua che Vincenza bagna, +per essere al dover le genti crude; + +e dove Sile e Cagnan s’accompagna, +tal signoreggia e va con la testa alta, +che già per lui carpir si fa la ragna. + +Piangerà Feltro ancora la difalta +de l’empio suo pastor, che sarà sconcia +sì, che per simil non s’entrò in malta. + +Troppo sarebbe larga la bigoncia +che ricevesse il sangue ferrarese, +e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia, + +che donerà questo prete cortese +per mostrarsi di parte; e cotai doni +conformi fieno al viver del paese. + +Sù sono specchi, voi dicete Troni, +onde refulge a noi Dio giudicante; +sì che questi parlar ne paion buoni». + +Qui si tacette; e fecemi sembiante +che fosse ad altro volta, per la rota +in che si mise com’ era davante. + +L’altra letizia, che m’era già nota +per cara cosa, mi si fece in vista +qual fin balasso in che lo sol percuota. + +Per letiziar là sù fulgor s’acquista, +sì come riso qui; ma giù s’abbuia +l’ombra di fuor, come la mente è trista. + +«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia», +diss’ io, «beato spirto, sì che nulla +voglia di sé a te puot’ esser fuia. + +Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla +sempre col canto di quei fuochi pii +che di sei ali facen la coculla, + +perché non satisface a’ miei disii? +Già non attendere’ io tua dimanda, +s’io m’intuassi, come tu t’inmii». + +«La maggior valle in che l’acqua si spanda», +incominciaro allor le sue parole, +«fuor di quel mar che la terra inghirlanda, + +tra ’ discordanti liti contra ’l sole +tanto sen va, che fa meridïano +là dove l’orizzonte pria far suole. + +Di quella valle fu’ io litorano +tra Ebro e Macra, che per cammin corto +parte lo Genovese dal Toscano. + +Ad un occaso quasi e ad un orto +Buggea siede e la terra ond’ io fui, +che fé del sangue suo già caldo il porto. + +Folco mi disse quella gente a cui +fu noto il nome mio; e questo cielo +di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui; + +ché più non arse la figlia di Belo, +noiando e a Sicheo e a Creusa, +di me, infin che si convenne al pelo; + +né quella Rodopëa che delusa +fu da Demofoonte, né Alcide +quando Iole nel core ebbe rinchiusa. + +Non però qui si pente, ma si ride, +non de la colpa, ch’a mente non torna, +ma del valor ch’ordinò e provide. + +Qui si rimira ne l’arte ch’addorna +cotanto affetto, e discernesi ’l bene +per che ’l mondo di sù quel di giù torna. + +Ma perché tutte le tue voglie piene +ten porti che son nate in questa spera, +proceder ancor oltre mi convene. + +Tu vuo’ saper chi è in questa lumera +che qui appresso me così scintilla +come raggio di sole in acqua mera. + +Or sappi che là entro si tranquilla +Raab; e a nostr’ ordine congiunta, +di lei nel sommo grado si sigilla. + +Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta +che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma +del trïunfo di Cristo fu assunta. + +Ben si convenne lei lasciar per palma +in alcun cielo de l’alta vittoria +che s’acquistò con l’una e l’altra palma, + +perch’ ella favorò la prima gloria +di Iosüè in su la Terra Santa, +che poco tocca al papa la memoria. + +La tua città, che di colui è pianta +che pria volse le spalle al suo fattore +e di cui è la ’nvidia tanto pianta, + +produce e spande il maladetto fiore +c’ha disvïate le pecore e li agni, +però che fatto ha lupo del pastore. + +Per questo l’Evangelio e i dottor magni +son derelitti, e solo ai Decretali +si studia, sì che pare a’ lor vivagni. + +A questo intende il papa e ’ cardinali; +non vanno i lor pensieri a Nazarette, +là dove Gabrïello aperse l’ali. + +Ma Vaticano e l’altre parti elette +di Roma che son state cimitero +a la milizia che Pietro seguette, + +tosto libere fien de l’avoltero». + + + + +Paradiso +Canto X + + +Guardando nel suo Figlio con l’Amore +che l’uno e l’altro etternalmente spira, +lo primo e ineffabile Valore + +quanto per mente e per loco si gira +con tant’ ordine fé, ch’esser non puote +sanza gustar di lui chi ciò rimira. + +Leva dunque, lettore, a l’alte rote +meco la vista, dritto a quella parte +dove l’un moto e l’altro si percuote; + +e lì comincia a vagheggiar ne l’arte +di quel maestro che dentro a sé l’ama, +tanto che mai da lei l’occhio non parte. + +Vedi come da indi si dirama +l’oblico cerchio che i pianeti porta, +per sodisfare al mondo che li chiama. + +Che se la strada lor non fosse torta, +molta virtù nel ciel sarebbe in vano, +e quasi ogne potenza qua giù morta; + +e se dal dritto più o men lontano +fosse ’l partire, assai sarebbe manco +e giù e sù de l’ordine mondano. + +Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco, +dietro pensando a ciò che si preliba, +s’esser vuoi lieto assai prima che stanco. + +Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba; +ché a sé torce tutta la mia cura +quella materia ond’ io son fatto scriba. + +Lo ministro maggior de la natura, +che del valor del ciel lo mondo imprenta +e col suo lume il tempo ne misura, + +con quella parte che sù si rammenta +congiunto, si girava per le spire +in che più tosto ognora s’appresenta; + +e io era con lui; ma del salire +non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge, +anzi ’l primo pensier, del suo venire. + +È Bëatrice quella che sì scorge +di bene in meglio, sì subitamente +che l’atto suo per tempo non si sporge. + +Quant’ esser convenia da sé lucente +quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi, +non per color, ma per lume parvente! + +Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami, +sì nol direi che mai s’imaginasse; +ma creder puossi e di veder si brami. + +E se le fantasie nostre son basse +a tanta altezza, non è maraviglia; +ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse. + +Tal era quivi la quarta famiglia +de l’alto Padre, che sempre la sazia, +mostrando come spira e come figlia. + +E Bëatrice cominciò: «Ringrazia, +ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo +sensibil t’ha levato per sua grazia». + +Cor di mortal non fu mai sì digesto +a divozione e a rendersi a Dio +con tutto ’l suo gradir cotanto presto, + +come a quelle parole mi fec’ io; +e sì tutto ’l mio amore in lui si mise, +che Bëatrice eclissò ne l’oblio. + +Non le dispiacque; ma sì se ne rise, +che lo splendor de li occhi suoi ridenti +mia mente unita in più cose divise. + +Io vidi più folgór vivi e vincenti +far di noi centro e di sé far corona, +più dolci in voce che in vista lucenti: + +così cinger la figlia di Latona +vedem talvolta, quando l’aere è pregno, +sì che ritenga il fil che fa la zona. + +Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno, +si trovan molte gioie care e belle +tanto che non si posson trar del regno; + +e ’l canto di quei lumi era di quelle; +chi non s’impenna sì che là sù voli, +dal muto aspetti quindi le novelle. + +Poi, sì cantando, quelli ardenti soli +si fuor girati intorno a noi tre volte, +come stelle vicine a’ fermi poli, + +donne mi parver, non da ballo sciolte, +ma che s’arrestin tacite, ascoltando +fin che le nove note hanno ricolte. + +E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando +lo raggio de la grazia, onde s’accende +verace amore e che poi cresce amando, + +multiplicato in te tanto resplende, +che ti conduce su per quella scala +u’ sanza risalir nessun discende; + +qual ti negasse il vin de la sua fiala +per la tua sete, in libertà non fora +se non com’ acqua ch’al mar non si cala. + +Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora +questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia +la bella donna ch’al ciel t’avvalora. + +Io fui de li agni de la santa greggia +che Domenico mena per cammino +u’ ben s’impingua se non si vaneggia. + +Questi che m’è a destra più vicino, +frate e maestro fummi, ed esso Alberto +è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. + +Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo, +di retro al mio parlar ten vien col viso +girando su per lo beato serto. + +Quell’ altro fiammeggiare esce del riso +di Grazïan, che l’uno e l’altro foro +aiutò sì che piace in paradiso. + +L’altro ch’appresso addorna il nostro coro, +quel Pietro fu che con la poverella +offerse a Santa Chiesa suo tesoro. + +La quinta luce, ch’è tra noi più bella, +spira di tale amor, che tutto ’l mondo +là giù ne gola di saper novella: + +entro v’è l’alta mente u’ sì profondo +saver fu messo, che, se ’l vero è vero, +a veder tanto non surse il secondo. + +Appresso vedi il lume di quel cero +che giù in carne più a dentro vide +l’angelica natura e ’l ministero. + +Ne l’altra piccioletta luce ride +quello avvocato de’ tempi cristiani +del cui latino Augustin si provide. + +Or se tu l’occhio de la mente trani +di luce in luce dietro a le mie lode, +già de l’ottava con sete rimani. + +Per vedere ogne ben dentro vi gode +l’anima santa che ’l mondo fallace +fa manifesto a chi di lei ben ode. + +Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace +giuso in Cieldauro; ed essa da martiro +e da essilio venne a questa pace. + +Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro +d’Isidoro, di Beda e di Riccardo, +che a considerar fu più che viro. + +Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, +è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri +gravi a morir li parve venir tardo: + +essa è la luce etterna di Sigieri, +che, leggendo nel Vico de li Strami, +silogizzò invidïosi veri». + +Indi, come orologio che ne chiami +ne l’ora che la sposa di Dio surge +a mattinar lo sposo perché l’ami, + +che l’una parte e l’altra tira e urge, +tin tin sonando con sì dolce nota, +che ’l ben disposto spirto d’amor turge; + +così vid’ ïo la gloriosa rota +muoversi e render voce a voce in tempra +e in dolcezza ch’esser non pò nota + +se non colà dove gioir s’insempra. + + + + +Paradiso +Canto XI + + +O insensata cura de’ mortali, +quanto son difettivi silogismi +quei che ti fanno in basso batter l’ali! + +Chi dietro a iura e chi ad amforismi +sen giva, e chi seguendo sacerdozio, +e chi regnar per forza o per sofismi, + +e chi rubare e chi civil negozio, +chi nel diletto de la carne involto +s’affaticava e chi si dava a l’ozio, + +quando, da tutte queste cose sciolto, +con Bëatrice m’era suso in cielo +cotanto glorïosamente accolto. + +Poi che ciascuno fu tornato ne lo +punto del cerchio in che avanti s’era, +fermossi, come a candellier candelo. + +E io senti’ dentro a quella lumera +che pria m’avea parlato, sorridendo +incominciar, faccendosi più mera: + +«Così com’ io del suo raggio resplendo, +sì, riguardando ne la luce etterna, +li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. + +Tu dubbi, e hai voler che si ricerna +in sì aperta e ’n sì distesa lingua +lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, + +ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”, +e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”; +e qui è uopo che ben si distingua. + +La provedenza, che governa il mondo +con quel consiglio nel quale ogne aspetto +creato è vinto pria che vada al fondo, + +però che andasse ver’ lo suo diletto +la sposa di colui ch’ad alte grida +disposò lei col sangue benedetto, + +in sé sicura e anche a lui più fida, +due principi ordinò in suo favore, +che quinci e quindi le fosser per guida. + +L’un fu tutto serafico in ardore; +l’altro per sapïenza in terra fue +di cherubica luce uno splendore. + +De l’un dirò, però che d’amendue +si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, +perch’ ad un fine fur l’opere sue. + +Intra Tupino e l’acqua che discende +del colle eletto dal beato Ubaldo, +fertile costa d’alto monte pende, + +onde Perugia sente freddo e caldo +da Porta Sole; e di rietro le piange +per grave giogo Nocera con Gualdo. + +Di questa costa, là dov’ ella frange +più sua rattezza, nacque al mondo un sole, +come fa questo talvolta di Gange. + +Però chi d’esso loco fa parole, +non dica Ascesi, ché direbbe corto, +ma Orïente, se proprio dir vuole. + +Non era ancor molto lontan da l’orto, +ch’el cominciò a far sentir la terra +de la sua gran virtute alcun conforto; + +ché per tal donna, giovinetto, in guerra +del padre corse, a cui, come a la morte, +la porta del piacer nessun diserra; + +e dinanzi a la sua spirital corte +et coram patre le si fece unito; +poscia di dì in dì l’amò più forte. + +Questa, privata del primo marito, +millecent’ anni e più dispetta e scura +fino a costui si stette sanza invito; + +né valse udir che la trovò sicura +con Amiclate, al suon de la sua voce, +colui ch’a tutto ’l mondo fé paura; + +né valse esser costante né feroce, +sì che, dove Maria rimase giuso, +ella con Cristo pianse in su la croce. + +Ma perch’ io non proceda troppo chiuso, +Francesco e Povertà per questi amanti +prendi oramai nel mio parlar diffuso. + +La lor concordia e i lor lieti sembianti, +amore e maraviglia e dolce sguardo +facieno esser cagion di pensier santi; + +tanto che ’l venerabile Bernardo +si scalzò prima, e dietro a tanta pace +corse e, correndo, li parve esser tardo. + +Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! +Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro +dietro a lo sposo, sì la sposa piace. + +Indi sen va quel padre e quel maestro +con la sua donna e con quella famiglia +che già legava l’umile capestro. + +Né li gravò viltà di cuor le ciglia +per esser fi’ di Pietro Bernardone, +né per parer dispetto a maraviglia; + +ma regalmente sua dura intenzione +ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe +primo sigillo a sua religïone. + +Poi che la gente poverella crebbe +dietro a costui, la cui mirabil vita +meglio in gloria del ciel si canterebbe, + +di seconda corona redimita +fu per Onorio da l’Etterno Spiro +la santa voglia d’esto archimandrita. + +E poi che, per la sete del martiro, +ne la presenza del Soldan superba +predicò Cristo e li altri che ’l seguiro, + +e per trovare a conversione acerba +troppo la gente e per non stare indarno, +redissi al frutto de l’italica erba, + +nel crudo sasso intra Tevero e Arno +da Cristo prese l’ultimo sigillo, +che le sue membra due anni portarno. + +Quando a colui ch’a tanto ben sortillo +piacque di trarlo suso a la mercede +ch’el meritò nel suo farsi pusillo, + +a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede, +raccomandò la donna sua più cara, +e comandò che l’amassero a fede; + +e del suo grembo l’anima preclara +mover si volle, tornando al suo regno, +e al suo corpo non volle altra bara. + +Pensa oramai qual fu colui che degno +collega fu a mantener la barca +di Pietro in alto mar per dritto segno; + +e questo fu il nostro patrïarca; +per che qual segue lui, com’ el comanda, +discerner puoi che buone merce carca. + +Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda +è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote +che per diversi salti non si spanda; + +e quanto le sue pecore remote +e vagabunde più da esso vanno, +più tornano a l’ovil di latte vòte. + +Ben son di quelle che temono ’l danno +e stringonsi al pastor; ma son sì poche, +che le cappe fornisce poco panno. + +Or, se le mie parole non son fioche, +se la tua audïenza è stata attenta, +se ciò ch’è detto a la mente revoche, + +in parte fia la tua voglia contenta, +perché vedrai la pianta onde si scheggia, +e vedra’ il corrègger che argomenta + +“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”». + + + + +Paradiso +Canto XII + + +Sì tosto come l’ultima parola +la benedetta fiamma per dir tolse, +a rotar cominciò la santa mola; + +e nel suo giro tutta non si volse +prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, +e moto a moto e canto a canto colse; + +canto che tanto vince nostre muse, +nostre serene in quelle dolci tube, +quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. + +Come si volgon per tenera nube +due archi paralelli e concolori, +quando Iunone a sua ancella iube, + +nascendo di quel d’entro quel di fori, +a guisa del parlar di quella vaga +ch’amor consunse come sol vapori, + +e fanno qui la gente esser presaga, +per lo patto che Dio con Noè puose, +del mondo che già mai più non s’allaga: + +così di quelle sempiterne rose +volgiensi circa noi le due ghirlande, +e sì l’estrema a l’intima rispuose. + +Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande, +sì del cantare e sì del fiammeggiarsi +luce con luce gaudïose e blande, + +insieme a punto e a voler quetarsi, +pur come li occhi ch’al piacer che i move +conviene insieme chiudere e levarsi; + +del cor de l’una de le luci nove +si mosse voce, che l’ago a la stella +parer mi fece in volgermi al suo dove; + +e cominciò: «L’amor che mi fa bella +mi tragge a ragionar de l’altro duca +per cui del mio sì ben ci si favella. + +Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca: +sì che, com’ elli ad una militaro, +così la gloria loro insieme luca. + +L’essercito di Cristo, che sì caro +costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna +si movea tardo, sospeccioso e raro, + +quando lo ’mperador che sempre regna +provide a la milizia, ch’era in forse, +per sola grazia, non per esser degna; + +e, come è detto, a sua sposa soccorse +con due campioni, al cui fare, al cui dire +lo popol disvïato si raccorse. + +In quella parte ove surge ad aprire +Zefiro dolce le novelle fronde +di che si vede Europa rivestire, + +non molto lungi al percuoter de l’onde +dietro a le quali, per la lunga foga, +lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, + +siede la fortunata Calaroga +sotto la protezion del grande scudo +in che soggiace il leone e soggioga: + +dentro vi nacque l’amoroso drudo +de la fede cristiana, il santo atleta +benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; + +e come fu creata, fu repleta +sì la sua mente di viva vertute +che, ne la madre, lei fece profeta. + +Poi che le sponsalizie fuor compiute +al sacro fonte intra lui e la Fede, +u’ si dotar di mutüa salute, + +la donna che per lui l’assenso diede, +vide nel sonno il mirabile frutto +ch’uscir dovea di lui e de le rede; + +e perché fosse qual era in costrutto, +quinci si mosse spirito a nomarlo +del possessivo di cui era tutto. + +Domenico fu detto; e io ne parlo +sì come de l’agricola che Cristo +elesse a l’orto suo per aiutarlo. + +Ben parve messo e famigliar di Cristo: +che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto, +fu al primo consiglio che diè Cristo. + +Spesse fïate fu tacito e desto +trovato in terra da la sua nutrice, +come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. + +Oh padre suo veramente Felice! +oh madre sua veramente Giovanna, +se, interpretata, val come si dice! + +Non per lo mondo, per cui mo s’affanna +di retro ad Ostïense e a Taddeo, +ma per amor de la verace manna + +in picciol tempo gran dottor si feo; +tal che si mise a circüir la vigna +che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo. + +E a la sedia che fu già benigna +più a’ poveri giusti, non per lei, +ma per colui che siede, che traligna, + +non dispensare o due o tre per sei, +non la fortuna di prima vacante, +non decimas, quae sunt pauperum Dei, + +addimandò, ma contro al mondo errante +licenza di combatter per lo seme +del qual ti fascian ventiquattro piante. + +Poi, con dottrina e con volere insieme, +con l’officio appostolico si mosse +quasi torrente ch’alta vena preme; + +e ne li sterpi eretici percosse +l’impeto suo, più vivamente quivi +dove le resistenze eran più grosse. + +Di lui si fecer poi diversi rivi +onde l’orto catolico si riga, +sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. + +Se tal fu l’una rota de la biga +in che la Santa Chiesa si difese +e vinse in campo la sua civil briga, + +ben ti dovrebbe assai esser palese +l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma +dinanzi al mio venir fu sì cortese. + +Ma l’orbita che fé la parte somma +di sua circunferenza, è derelitta, +sì ch’è la muffa dov’ era la gromma. + +La sua famiglia, che si mosse dritta +coi piedi a le sue orme, è tanto volta, +che quel dinanzi a quel di retro gitta; + +e tosto si vedrà de la ricolta +de la mala coltura, quando il loglio +si lagnerà che l’arca li sia tolta. + +Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio +nostro volume, ancor troveria carta +u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; + +ma non fia da Casal né d’Acquasparta, +là onde vegnon tali a la scrittura, +ch’uno la fugge e altro la coarta. + +Io son la vita di Bonaventura +da Bagnoregio, che ne’ grandi offici +sempre pospuosi la sinistra cura. + +Illuminato e Augustin son quici, +che fuor de’ primi scalzi poverelli +che nel capestro a Dio si fero amici. + +Ugo da San Vittore è qui con elli, +e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, +lo qual giù luce in dodici libelli; + +Natàn profeta e ’l metropolitano +Crisostomo e Anselmo e quel Donato +ch’a la prim’ arte degnò porre mano. + +Rabano è qui, e lucemi dallato +il calavrese abate Giovacchino +di spirito profetico dotato. + +Ad inveggiar cotanto paladino +mi mosse l’infiammata cortesia +di fra Tommaso e ’l discreto latino; + +e mosse meco questa compagnia». + + + + +Paradiso +Canto XIII + + +Imagini, chi bene intender cupe +quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, +mentre ch’io dico, come ferma rupe—, + +quindici stelle che ’n diverse plage +lo ciel avvivan di tanto sereno +che soperchia de l’aere ogne compage; + +imagini quel carro a cu’ il seno +basta del nostro cielo e notte e giorno, +sì ch’al volger del temo non vien meno; + +imagini la bocca di quel corno +che si comincia in punta de lo stelo +a cui la prima rota va dintorno, + +aver fatto di sé due segni in cielo, +qual fece la figliuola di Minoi +allora che sentì di morte il gelo; + +e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, +e amendue girarsi per maniera +che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; + +e avrà quasi l’ombra de la vera +costellazione e de la doppia danza +che circulava il punto dov’ io era: + +poi ch’è tanto di là da nostra usanza, +quanto di là dal mover de la Chiana +si move il ciel che tutti li altri avanza. + +Lì si cantò non Bacco, non Peana, +ma tre persone in divina natura, +e in una persona essa e l’umana. + +Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; +e attesersi a noi quei santi lumi, +felicitando sé di cura in cura. + +Ruppe il silenzio ne’ concordi numi +poscia la luce in che mirabil vita +del poverel di Dio narrata fumi, + +e disse: «Quando l’una paglia è trita, +quando la sua semenza è già riposta, +a batter l’altra dolce amor m’invita. + +Tu credi che nel petto onde la costa +si trasse per formar la bella guancia +il cui palato a tutto ’l mondo costa, + +e in quel che, forato da la lancia, +e prima e poscia tanto sodisfece, +che d’ogne colpa vince la bilancia, + +quantunque a la natura umana lece +aver di lume, tutto fosse infuso +da quel valor che l’uno e l’altro fece; + +e però miri a ciò ch’io dissi suso, +quando narrai che non ebbe ’l secondo +lo ben che ne la quinta luce è chiuso. + +Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, +e vedräi il tuo credere e ’l mio dire +nel vero farsi come centro in tondo. + +Ciò che non more e ciò che può morire +non è se non splendor di quella idea +che partorisce, amando, il nostro Sire; + +ché quella viva luce che sì mea +dal suo lucente, che non si disuna +da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, + +per sua bontate il suo raggiare aduna, +quasi specchiato, in nove sussistenze, +etternalmente rimanendosi una. + +Quindi discende a l’ultime potenze +giù d’atto in atto, tanto divenendo, +che più non fa che brevi contingenze; + +e queste contingenze essere intendo +le cose generate, che produce +con seme e sanza seme il ciel movendo. + +La cera di costoro e chi la duce +non sta d’un modo; e però sotto ’l segno +idëale poi più e men traluce. + +Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno, +secondo specie, meglio e peggio frutta; +e voi nascete con diverso ingegno. + +Se fosse a punto la cera dedutta +e fosse il cielo in sua virtù supprema, +la luce del suggel parrebbe tutta; + +ma la natura la dà sempre scema, +similemente operando a l’artista +ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. + +Però se ’l caldo amor la chiara vista +de la prima virtù dispone e segna, +tutta la perfezion quivi s’acquista. + +Così fu fatta già la terra degna +di tutta l’animal perfezïone; +così fu fatta la Vergine pregna; + +sì ch’io commendo tua oppinïone, +che l’umana natura mai non fue +né fia qual fu in quelle due persone. + +Or s’i’ non procedesse avanti piùe, +‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ +comincerebber le parole tue. + +Ma perché paia ben ciò che non pare, +pensa chi era, e la cagion che ’l mosse, +quando fu detto “Chiedi”, a dimandare. + +Non ho parlato sì, che tu non posse +ben veder ch’el fu re, che chiese senno +acciò che re sufficïente fosse; + +non per sapere il numero in che enno +li motor di qua sù, o se necesse +con contingente mai necesse fenno; + +non si est dare primum motum esse, +o se del mezzo cerchio far si puote +trïangol sì ch’un retto non avesse. + +Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, +regal prudenza è quel vedere impari +in che lo stral di mia intenzion percuote; + +e se al “surse” drizzi li occhi chiari, +vedrai aver solamente respetto +ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. + +Con questa distinzion prendi ’l mio detto; +e così puote star con quel che credi +del primo padre e del nostro Diletto. + +E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, +per farti mover lento com’ uom lasso +e al sì e al no che tu non vedi: + +ché quelli è tra li stolti bene a basso, +che sanza distinzione afferma e nega +ne l’un così come ne l’altro passo; + +perch’ elli ’ncontra che più volte piega +l’oppinïon corrente in falsa parte, +e poi l’affetto l’intelletto lega. + +Vie più che ’ndarno da riva si parte, +perché non torna tal qual e’ si move, +chi pesca per lo vero e non ha l’arte. + +E di ciò sono al mondo aperte prove +Parmenide, Melisso e Brisso e molti, +li quali andaro e non sapëan dove; + +sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti +che furon come spade a le Scritture +in render torti li diritti volti. + +Non sien le genti, ancor, troppo sicure +a giudicar, sì come quei che stima +le biade in campo pria che sien mature; + +ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima +lo prun mostrarsi rigido e feroce, +poscia portar la rosa in su la cima; + +e legno vidi già dritto e veloce +correr lo mar per tutto suo cammino, +perire al fine a l’intrar de la foce. + +Non creda donna Berta e ser Martino, +per vedere un furare, altro offerere, +vederli dentro al consiglio divino; + +ché quel può surgere, e quel può cadere». + + + + +Paradiso +Canto XIV + + +Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro +movesi l’acqua in un ritondo vaso, +secondo ch’è percosso fuori o dentro: + +ne la mia mente fé sùbito caso +questo ch’io dico, sì come si tacque +la glorïosa vita di Tommaso, + +per la similitudine che nacque +del suo parlare e di quel di Beatrice, +a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: + +«A costui fa mestieri, e nol vi dice +né con la voce né pensando ancora, +d’un altro vero andare a la radice. + +Diteli se la luce onde s’infiora +vostra sustanza, rimarrà con voi +etternalmente sì com’ ell’ è ora; + +e se rimane, dite come, poi +che sarete visibili rifatti, +esser porà ch’al veder non vi nòi». + +Come, da più letizia pinti e tratti, +a la fïata quei che vanno a rota +levan la voce e rallegrano li atti, + +così, a l’orazion pronta e divota, +li santi cerchi mostrar nova gioia +nel torneare e ne la mira nota. + +Qual si lamenta perché qui si moia +per viver colà sù, non vide quive +lo refrigerio de l’etterna ploia. + +Quell’ uno e due e tre che sempre vive +e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, +non circunscritto, e tutto circunscrive, + +tre volte era cantato da ciascuno +di quelli spirti con tal melodia, +ch’ad ogne merto saria giusto muno. + +E io udi’ ne la luce più dia +del minor cerchio una voce modesta, +forse qual fu da l’angelo a Maria, + +risponder: «Quanto fia lunga la festa +di paradiso, tanto il nostro amore +si raggerà dintorno cotal vesta. + +La sua chiarezza séguita l’ardore; +l’ardor la visïone, e quella è tanta, +quant’ ha di grazia sovra suo valore. + +Come la carne glorïosa e santa +fia rivestita, la nostra persona +più grata fia per esser tutta quanta; + +per che s’accrescerà ciò che ne dona +di gratüito lume il sommo bene, +lume ch’a lui veder ne condiziona; + +onde la visïon crescer convene, +crescer l’ardor che di quella s’accende, +crescer lo raggio che da esso vene. + +Ma sì come carbon che fiamma rende, +e per vivo candor quella soverchia, +sì che la sua parvenza si difende; + +così questo folgór che già ne cerchia +fia vinto in apparenza da la carne +che tutto dì la terra ricoperchia; + +né potrà tanta luce affaticarne: +ché li organi del corpo saran forti +a tutto ciò che potrà dilettarne». + +Tanto mi parver sùbiti e accorti +e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», +che ben mostrar disio d’i corpi morti: + +forse non pur per lor, ma per le mamme, +per li padri e per li altri che fuor cari +anzi che fosser sempiterne fiamme. + +Ed ecco intorno, di chiarezza pari, +nascere un lustro sopra quel che v’era, +per guisa d’orizzonte che rischiari. + +E sì come al salir di prima sera +comincian per lo ciel nove parvenze, +sì che la vista pare e non par vera, + +parvemi lì novelle sussistenze +cominciare a vedere, e fare un giro +di fuor da l’altre due circunferenze. + +Oh vero sfavillar del Santo Spiro! +come si fece sùbito e candente +a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! + +Ma Bëatrice sì bella e ridente +mi si mostrò, che tra quelle vedute +si vuol lasciar che non seguir la mente. + +Quindi ripreser li occhi miei virtute +a rilevarsi; e vidimi translato +sol con mia donna in più alta salute. + +Ben m’accors’ io ch’io era più levato, +per l’affocato riso de la stella, +che mi parea più roggio che l’usato. + +Con tutto ’l core e con quella favella +ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, +qual conveniesi a la grazia novella. + +E non er’ anco del mio petto essausto +l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi +esso litare stato accetto e fausto; + +ché con tanto lucore e tanto robbi +m’apparvero splendor dentro a due raggi, +ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!». + +Come distinta da minori e maggi +lumi biancheggia tra ’ poli del mondo +Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; + +sì costellati facean nel profondo +Marte quei raggi il venerabil segno +che fan giunture di quadranti in tondo. + +Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; +ché quella croce lampeggiava Cristo, +sì ch’io non so trovare essempro degno; + +ma chi prende sua croce e segue Cristo, +ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, +vedendo in quell’ albor balenar Cristo. + +Di corno in corno e tra la cima e ’l basso +si movien lumi, scintillando forte +nel congiugnersi insieme e nel trapasso: + +così si veggion qui diritte e torte, +veloci e tarde, rinovando vista, +le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, + +moversi per lo raggio onde si lista +talvolta l’ombra che, per sua difesa, +la gente con ingegno e arte acquista. + +E come giga e arpa, in tempra tesa +di molte corde, fa dolce tintinno +a tal da cui la nota non è intesa, + +così da’ lumi che lì m’apparinno +s’accogliea per la croce una melode +che mi rapiva, sanza intender l’inno. + +Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode, +però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» +come a colui che non intende e ode. + +Ïo m’innamorava tanto quinci, +che ’nfino a lì non fu alcuna cosa +che mi legasse con sì dolci vinci. + +Forse la mia parola par troppo osa, +posponendo il piacer de li occhi belli, +ne’ quai mirando mio disio ha posa; + +ma chi s’avvede che i vivi suggelli +d’ogne bellezza più fanno più suso, +e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, + +escusar puommi di quel ch’io m’accuso +per escusarmi, e vedermi dir vero: +ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, + +perché si fa, montando, più sincero. + + + + +Paradiso +Canto XV + + +Benigna volontade in che si liqua +sempre l’amor che drittamente spira, +come cupidità fa ne la iniqua, + +silenzio puose a quella dolce lira, +e fece quïetar le sante corde +che la destra del cielo allenta e tira. + +Come saranno a’ giusti preghi sorde +quelle sustanze che, per darmi voglia +ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? + +Bene è che sanza termine si doglia +chi, per amor di cosa che non duri +etternalmente, quello amor si spoglia. + +Quale per li seren tranquilli e puri +discorre ad ora ad or sùbito foco, +movendo li occhi che stavan sicuri, + +e pare stella che tramuti loco, +se non che da la parte ond’ e’ s’accende +nulla sen perde, ed esso dura poco: + +tale dal corno che ’n destro si stende +a piè di quella croce corse un astro +de la costellazion che lì resplende; + +né si partì la gemma dal suo nastro, +ma per la lista radïal trascorse, +che parve foco dietro ad alabastro. + +Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse, +se fede merta nostra maggior musa, +quando in Eliso del figlio s’accorse. + +«O sanguis meus, o superinfusa +gratïa Deï, sicut tibi cui +bis unquam celi ianüa reclusa?». + +Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui; +poscia rivolsi a la mia donna il viso, +e quinci e quindi stupefatto fui; + +ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso +tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo +de la mia gloria e del mio paradiso. + +Indi, a udire e a veder giocondo, +giunse lo spirto al suo principio cose, +ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; + +né per elezïon mi si nascose, +ma per necessità, ché ’l suo concetto +al segno d’i mortal si soprapuose. + +E quando l’arco de l’ardente affetto +fu sì sfogato, che ’l parlar discese +inver’ lo segno del nostro intelletto, + +la prima cosa che per me s’intese, +«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, +che nel mio seme se’ tanto cortese!». + +E seguì: «Grato e lontano digiuno, +tratto leggendo del magno volume +du’ non si muta mai bianco né bruno, + +solvuto hai, figlio, dentro a questo lume +in ch’io ti parlo, mercè di colei +ch’a l’alto volo ti vestì le piume. + +Tu credi che a me tuo pensier mei +da quel ch’è primo, così come raia +da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; + +e però ch’io mi sia e perch’ io paia +più gaudïoso a te, non mi domandi, +che alcun altro in questa turba gaia. + +Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi +di questa vita miran ne lo speglio +in che, prima che pensi, il pensier pandi; + +ma perché ’l sacro amore in che io veglio +con perpetüa vista e che m’asseta +di dolce disïar, s’adempia meglio, + +la voce tua sicura, balda e lieta +suoni la volontà, suoni ’l disio, +a che la mia risposta è già decreta!». + +Io mi volsi a Beatrice, e quella udio +pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno +che fece crescer l’ali al voler mio. + +Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno, +come la prima equalità v’apparse, +d’un peso per ciascun di voi si fenno, + +però che ’l sol che v’allumò e arse, +col caldo e con la luce è sì iguali, +che tutte simiglianze sono scarse. + +Ma voglia e argomento ne’ mortali, +per la cagion ch’a voi è manifesta, +diversamente son pennuti in ali; + +ond’ io, che son mortal, mi sento in questa +disagguaglianza, e però non ringrazio +se non col core a la paterna festa. + +Ben supplico io a te, vivo topazio +che questa gioia prezïosa ingemmi, +perché mi facci del tuo nome sazio». + +«O fronda mia in che io compiacemmi +pur aspettando, io fui la tua radice»: +cotal principio, rispondendo, femmi. + +Poscia mi disse: «Quel da cui si dice +tua cognazione e che cent’ anni e piùe +girato ha ’l monte in la prima cornice, + +mio figlio fu e tuo bisavol fue: +ben si convien che la lunga fatica +tu li raccorci con l’opere tue. + +Fiorenza dentro da la cerchia antica, +ond’ ella toglie ancora e terza e nona, +si stava in pace, sobria e pudica. + +Non avea catenella, non corona, +non gonne contigiate, non cintura +che fosse a veder più che la persona. + +Non faceva, nascendo, ancor paura +la figlia al padre, che ’l tempo e la dote +non fuggien quinci e quindi la misura. + +Non avea case di famiglia vòte; +non v’era giunto ancor Sardanapalo +a mostrar ciò che ’n camera si puote. + +Non era vinto ancora Montemalo +dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto +nel montar sù, così sarà nel calo. + +Bellincion Berti vid’ io andar cinto +di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio +la donna sua sanza ’l viso dipinto; + +e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio +esser contenti a la pelle scoperta, +e le sue donne al fuso e al pennecchio. + +Oh fortunate! ciascuna era certa +de la sua sepultura, e ancor nulla +era per Francia nel letto diserta. + +L’una vegghiava a studio de la culla, +e, consolando, usava l’idïoma +che prima i padri e le madri trastulla; + +l’altra, traendo a la rocca la chioma, +favoleggiava con la sua famiglia +d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. + +Saria tenuta allor tal maraviglia +una Cianghella, un Lapo Salterello, +qual or saria Cincinnato e Corniglia. + +A così riposato, a così bello +viver di cittadini, a così fida +cittadinanza, a così dolce ostello, + +Maria mi diè, chiamata in alte grida; +e ne l’antico vostro Batisteo +insieme fui cristiano e Cacciaguida. + +Moronto fu mio frate ed Eliseo; +mia donna venne a me di val di Pado, +e quindi il sopranome tuo si feo. + +Poi seguitai lo ’mperador Currado; +ed el mi cinse de la sua milizia, +tanto per bene ovrar li venni in grado. + +Dietro li andai incontro a la nequizia +di quella legge il cui popolo usurpa, +per colpa d’i pastor, vostra giustizia. + +Quivi fu’ io da quella gente turpa +disviluppato dal mondo fallace, +lo cui amor molt’ anime deturpa; + +e venni dal martiro a questa pace». + + + + +Paradiso +Canto XVI + + +O poca nostra nobiltà di sangue, +se glorïar di te la gente fai +qua giù dove l’affetto nostro langue, + +mirabil cosa non mi sarà mai: +ché là dove appetito non si torce, +dico nel cielo, io me ne gloriai. + +Ben se’ tu manto che tosto raccorce: +sì che, se non s’appon di dì in die, +lo tempo va dintorno con le force. + +Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, +in che la sua famiglia men persevra, +ricominciaron le parole mie; + +onde Beatrice, ch’era un poco scevra, +ridendo, parve quella che tossio +al primo fallo scritto di Ginevra. + +Io cominciai: «Voi siete il padre mio; +voi mi date a parlar tutta baldezza; +voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. + +Per tanti rivi s’empie d’allegrezza +la mente mia, che di sé fa letizia +perché può sostener che non si spezza. + +Ditemi dunque, cara mia primizia, +quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni +che si segnaro in vostra püerizia; + +ditemi de l’ovil di San Giovanni +quanto era allora, e chi eran le genti +tra esso degne di più alti scanni». + +Come s’avviva a lo spirar d’i venti +carbone in fiamma, così vid’ io quella +luce risplendere a’ miei blandimenti; + +e come a li occhi miei si fé più bella, +così con voce più dolce e soave, +ma non con questa moderna favella, + +dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’ +al parto in che mia madre, ch’è or santa, +s’allevïò di me ond’ era grave, + +al suo Leon cinquecento cinquanta +e trenta fiate venne questo foco +a rinfiammarsi sotto la sua pianta. + +Li antichi miei e io nacqui nel loco +dove si truova pria l’ultimo sesto +da quei che corre il vostro annüal gioco. + +Basti d’i miei maggiori udirne questo: +chi ei si fosser e onde venner quivi, +più è tacer che ragionare onesto. + +Tutti color ch’a quel tempo eran ivi +da poter arme tra Marte e ’l Batista, +eran il quinto di quei ch’or son vivi. + +Ma la cittadinanza, ch’è or mista +di Campi, di Certaldo e di Fegghine, +pura vediesi ne l’ultimo artista. + +Oh quanto fora meglio esser vicine +quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo +e a Trespiano aver vostro confine, + +che averle dentro e sostener lo puzzo +del villan d’Aguglion, di quel da Signa, +che già per barattare ha l’occhio aguzzo! + +Se la gente ch’al mondo più traligna +non fosse stata a Cesare noverca, +ma come madre a suo figlio benigna, + +tal fatto è fiorentino e cambia e merca, +che si sarebbe vòlto a Simifonti, +là dove andava l’avolo a la cerca; + +sariesi Montemurlo ancor de’ Conti; +sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone, +e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. + +Sempre la confusion de le persone +principio fu del mal de la cittade, +come del vostro il cibo che s’appone; + +e cieco toro più avaccio cade +che cieco agnello; e molte volte taglia +più e meglio una che le cinque spade. + +Se tu riguardi Luni e Orbisaglia +come sono ite, e come se ne vanno +di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, + +udir come le schiatte si disfanno +non ti parrà nova cosa né forte, +poscia che le cittadi termine hanno. + +Le vostre cose tutte hanno lor morte, +sì come voi; ma celasi in alcuna +che dura molto, e le vite son corte. + +E come ’l volger del ciel de la luna +cuopre e discuopre i liti sanza posa, +così fa di Fiorenza la Fortuna: + +per che non dee parer mirabil cosa +ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini +onde è la fama nel tempo nascosa. + +Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, +Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, +già nel calare, illustri cittadini; + +e vidi così grandi come antichi, +con quel de la Sannella, quel de l’Arca, +e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. + +Sovra la porta ch’al presente è carca +di nova fellonia di tanto peso +che tosto fia iattura de la barca, + +erano i Ravignani, ond’ è disceso +il conte Guido e qualunque del nome +de l’alto Bellincione ha poscia preso. + +Quel de la Pressa sapeva già come +regger si vuole, e avea Galigaio +dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. + +Grand’ era già la colonna del Vaio, +Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci +e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. + +Lo ceppo di che nacquero i Calfucci +era già grande, e già eran tratti +a le curule Sizii e Arrigucci. + +Oh quali io vidi quei che son disfatti +per lor superbia! e le palle de l’oro +fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti. + +Così facieno i padri di coloro +che, sempre che la vostra chiesa vaca, +si fanno grassi stando a consistoro. + +L’oltracotata schiatta che s’indraca +dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente +o ver la borsa, com’ agnel si placa, + +già venìa sù, ma di picciola gente; +sì che non piacque ad Ubertin Donato +che poï il suocero il fé lor parente. + +Già era ’l Caponsacco nel mercato +disceso giù da Fiesole, e già era +buon cittadino Giuda e Infangato. + +Io dirò cosa incredibile e vera: +nel picciol cerchio s’entrava per porta +che si nomava da quei de la Pera. + +Ciascun che de la bella insegna porta +del gran barone il cui nome e ’l cui pregio +la festa di Tommaso riconforta, + +da esso ebbe milizia e privilegio; +avvegna che con popol si rauni +oggi colui che la fascia col fregio. + +Già eran Gualterotti e Importuni; +e ancor saria Borgo più quïeto, +se di novi vicin fosser digiuni. + +La casa di che nacque il vostro fleto, +per lo giusto disdegno che v’ha morti +e puose fine al vostro viver lieto, + +era onorata, essa e suoi consorti: +o Buondelmonte, quanto mal fuggisti +le nozze süe per li altrui conforti! + +Molti sarebber lieti, che son tristi, +se Dio t’avesse conceduto ad Ema +la prima volta ch’a città venisti. + +Ma conveniesi a quella pietra scema +che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse +vittima ne la sua pace postrema. + +Con queste genti, e con altre con esse, +vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo, +che non avea cagione onde piangesse. + +Con queste genti vid’io glorïoso +e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio +non era ad asta mai posto a ritroso, + +né per divisïon fatto vermiglio». + + + + +Paradiso +Canto XVII + + +Qual venne a Climenè, per accertarsi +di ciò ch’avëa incontro a sé udito, +quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; + +tal era io, e tal era sentito +e da Beatrice e da la santa lampa +che pria per me avea mutato sito. + +Per che mia donna «Manda fuor la vampa +del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca +segnata bene de la interna stampa: + +non perché nostra conoscenza cresca +per tuo parlare, ma perché t’ausi +a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». + +«O cara piota mia che sì t’insusi, +che, come veggion le terrene menti +non capere in trïangol due ottusi, + +così vedi le cose contingenti +anzi che sieno in sé, mirando il punto +a cui tutti li tempi son presenti; + +mentre ch’io era a Virgilio congiunto +su per lo monte che l’anime cura +e discendendo nel mondo defunto, + +dette mi fuor di mia vita futura +parole gravi, avvegna ch’io mi senta +ben tetragono ai colpi di ventura; + +per che la voglia mia saria contenta +d’intender qual fortuna mi s’appressa: +ché saetta previsa vien più lenta». + +Così diss’ io a quella luce stessa +che pria m’avea parlato; e come volle +Beatrice, fu la mia voglia confessa. + +Né per ambage, in che la gente folle +già s’inviscava pria che fosse anciso +l’Agnel di Dio che le peccata tolle, + +ma per chiare parole e con preciso +latin rispuose quello amor paterno, +chiuso e parvente del suo proprio riso: + +«La contingenza, che fuor del quaderno +de la vostra matera non si stende, +tutta è dipinta nel cospetto etterno; + +necessità però quindi non prende +se non come dal viso in che si specchia +nave che per torrente giù discende. + +Da indi, sì come viene ad orecchia +dolce armonia da organo, mi viene +a vista il tempo che ti s’apparecchia. + +Qual si partio Ipolito d’Atene +per la spietata e perfida noverca, +tal di Fiorenza partir ti convene. + +Questo si vuole e questo già si cerca, +e tosto verrà fatto a chi ciò pensa +là dove Cristo tutto dì si merca. + +La colpa seguirà la parte offensa +in grido, come suol; ma la vendetta +fia testimonio al ver che la dispensa. + +Tu lascerai ogne cosa diletta +più caramente; e questo è quello strale +che l’arco de lo essilio pria saetta. + +Tu proverai sì come sa di sale +lo pane altrui, e come è duro calle +lo scendere e ’l salir per l’altrui scale. + +E quel che più ti graverà le spalle, +sarà la compagnia malvagia e scempia +con la qual tu cadrai in questa valle; + +che tutta ingrata, tutta matta ed empia +si farà contr’ a te; ma, poco appresso, +ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. + +Di sua bestialitate il suo processo +farà la prova; sì ch’a te fia bello +averti fatta parte per te stesso. + +Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello +sarà la cortesia del gran Lombardo +che ’n su la scala porta il santo uccello; + +ch’in te avrà sì benigno riguardo, +che del fare e del chieder, tra voi due, +fia primo quel che tra li altri è più tardo. + +Con lui vedrai colui che ’mpresso fue, +nascendo, sì da questa stella forte, +che notabili fier l’opere sue. + +Non se ne son le genti ancora accorte +per la novella età, ché pur nove anni +son queste rote intorno di lui torte; + +ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, +parran faville de la sua virtute +in non curar d’argento né d’affanni. + +Le sue magnificenze conosciute +saranno ancora, sì che ’ suoi nemici +non ne potran tener le lingue mute. + +A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; +per lui fia trasmutata molta gente, +cambiando condizion ricchi e mendici; + +e portera’ne scritto ne la mente +di lui, e nol dirai»; e disse cose +incredibili a quei che fier presente. + +Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose +di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie +che dietro a pochi giri son nascose. + +Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, +poscia che s’infutura la tua vita +vie più là che ’l punir di lor perfidie». + +Poi che, tacendo, si mostrò spedita +l’anima santa di metter la trama +in quella tela ch’io le porsi ordita, + +io cominciai, come colui che brama, +dubitando, consiglio da persona +che vede e vuol dirittamente e ama: + +«Ben veggio, padre mio, sì come sprona +lo tempo verso me, per colpo darmi +tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; + +per che di provedenza è buon ch’io m’armi, +sì che, se loco m’è tolto più caro, +io non perdessi li altri per miei carmi. + +Giù per lo mondo sanza fine amaro, +e per lo monte del cui bel cacume +li occhi de la mia donna mi levaro, + +e poscia per lo ciel, di lume in lume, +ho io appreso quel che s’io ridico, +a molti fia sapor di forte agrume; + +e s’io al vero son timido amico, +temo di perder viver tra coloro +che questo tempo chiameranno antico». + +La luce in che rideva il mio tesoro +ch’io trovai lì, si fé prima corusca, +quale a raggio di sole specchio d’oro; + +indi rispuose: «Coscïenza fusca +o de la propria o de l’altrui vergogna +pur sentirà la tua parola brusca. + +Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, +tutta tua visïon fa manifesta; +e lascia pur grattar dov’ è la rogna. + +Ché se la voce tua sarà molesta +nel primo gusto, vital nodrimento +lascerà poi, quando sarà digesta. + +Questo tuo grido farà come vento, +che le più alte cime più percuote; +e ciò non fa d’onor poco argomento. + +Però ti son mostrate in queste rote, +nel monte e ne la valle dolorosa +pur l’anime che son di fama note, + +che l’animo di quel ch’ode, non posa +né ferma fede per essempro ch’aia +la sua radice incognita e ascosa, + +né per altro argomento che non paia». + + + + +Paradiso +Canto XVIII + + +Già si godeva solo del suo verbo +quello specchio beato, e io gustava +lo mio, temprando col dolce l’acerbo; + +e quella donna ch’a Dio mi menava +disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono +presso a colui ch’ogne torto disgrava». + +Io mi rivolsi a l’amoroso suono +del mio conforto; e qual io allor vidi +ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: + +non perch’ io pur del mio parlar diffidi, +ma per la mente che non può redire +sovra sé tanto, s’altri non la guidi. + +Tanto poss’ io di quel punto ridire, +che, rimirando lei, lo mio affetto +libero fu da ogne altro disire, + +fin che ’l piacere etterno, che diretto +raggiava in Bëatrice, dal bel viso +mi contentava col secondo aspetto. + +Vincendo me col lume d’un sorriso, +ella mi disse: «Volgiti e ascolta; +ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». + +Come si vede qui alcuna volta +l’affetto ne la vista, s’elli è tanto, +che da lui sia tutta l’anima tolta, + +così nel fiammeggiar del folgór santo, +a ch’io mi volsi, conobbi la voglia +in lui di ragionarmi ancora alquanto. + +El cominciò: «In questa quinta soglia +de l’albero che vive de la cima +e frutta sempre e mai non perde foglia, + +spiriti son beati, che giù, prima +che venissero al ciel, fuor di gran voce, +sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. + +Però mira ne’ corni de la croce: +quello ch’io nomerò, lì farà l’atto +che fa in nube il suo foco veloce». + +Io vidi per la croce un lume tratto +dal nomar Iosuè, com’ el si feo; +né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. + +E al nome de l’alto Macabeo +vidi moversi un altro roteando, +e letizia era ferza del paleo. + +Così per Carlo Magno e per Orlando +due ne seguì lo mio attento sguardo, +com’ occhio segue suo falcon volando. + +Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo +e ’l duca Gottifredi la mia vista +per quella croce, e Ruberto Guiscardo. + +Indi, tra l’altre luci mota e mista, +mostrommi l’alma che m’avea parlato +qual era tra i cantor del cielo artista. + +Io mi rivolsi dal mio destro lato +per vedere in Beatrice il mio dovere, +o per parlare o per atto, segnato; + +e vidi le sue luci tanto mere, +tanto gioconde, che la sua sembianza +vinceva li altri e l’ultimo solere. + +E come, per sentir più dilettanza +bene operando, l’uom di giorno in giorno +s’accorge che la sua virtute avanza, + +sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno +col cielo insieme avea cresciuto l’arco, +veggendo quel miracol più addorno. + +E qual è ’l trasmutare in picciol varco +di tempo in bianca donna, quando ’l volto +suo si discarchi di vergogna il carco, + +tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, +per lo candor de la temprata stella +sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. + +Io vidi in quella giovïal facella +lo sfavillar de l’amor che lì era +segnare a li occhi miei nostra favella. + +E come augelli surti di rivera, +quasi congratulando a lor pasture, +fanno di sé or tonda or altra schiera, + +sì dentro ai lumi sante creature +volitando cantavano, e faciensi +or D, or I, or L in sue figure. + +Prima, cantando, a sua nota moviensi; +poi, diventando l’un di questi segni, +un poco s’arrestavano e taciensi. + +O diva Pegasëa che li ’ngegni +fai glorïosi e rendili longevi, +ed essi teco le cittadi e ’ regni, + +illustrami di te, sì ch’io rilevi +le lor figure com’ io l’ho concette: +paia tua possa in questi versi brevi! + +Mostrarsi dunque in cinque volte sette +vocali e consonanti; e io notai +le parti sì, come mi parver dette. + +‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai +fur verbo e nome di tutto ’l dipinto; +‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. + +Poscia ne l’emme del vocabol quinto +rimasero ordinate; sì che Giove +pareva argento lì d’oro distinto. + +E vidi scendere altre luci dove +era il colmo de l’emme, e lì quetarsi +cantando, credo, il ben ch’a sé le move. + +Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi +surgono innumerabili faville, +onde li stolti sogliono agurarsi, + +resurger parver quindi più di mille +luci e salir, qual assai e qual poco, +sì come ’l sol che l’accende sortille; + +e quïetata ciascuna in suo loco, +la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi +rappresentare a quel distinto foco. + +Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; +ma esso guida, e da lui si rammenta +quella virtù ch’è forma per li nidi. + +L’altra bëatitudo, che contenta +pareva prima d’ingigliarsi a l’emme, +con poco moto seguitò la ’mprenta. + +O dolce stella, quali e quante gemme +mi dimostraro che nostra giustizia +effetto sia del ciel che tu ingemme! + +Per ch’io prego la mente in che s’inizia +tuo moto e tua virtute, che rimiri +ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; + +sì ch’un’altra fïata omai s’adiri +del comperare e vender dentro al templo +che si murò di segni e di martìri. + +O milizia del ciel cu’ io contemplo, +adora per color che sono in terra +tutti svïati dietro al malo essemplo! + +Già si solea con le spade far guerra; +ma or si fa togliendo or qui or quivi +lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra. + +Ma tu che sol per cancellare scrivi, +pensa che Pietro e Paulo, che moriro +per la vigna che guasti, ancor son vivi. + +Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro +sì a colui che volle viver solo +e che per salti fu tratto al martiro, + +ch’io non conosco il pescator né Polo». + + + + +Paradiso +Canto XIX + + +Parea dinanzi a me con l’ali aperte +la bella image che nel dolce frui +liete facevan l’anime conserte; + +parea ciascuna rubinetto in cui +raggio di sole ardesse sì acceso, +che ne’ miei occhi rifrangesse lui. + +E quel che mi convien ritrar testeso, +non portò voce mai, né scrisse incostro, +né fu per fantasia già mai compreso; + +ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, +e sonar ne la voce e «io» e «mio», +quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. + +E cominciò: «Per esser giusto e pio +son io qui essaltato a quella gloria +che non si lascia vincere a disio; + +e in terra lasciai la mia memoria +sì fatta, che le genti lì malvage +commendan lei, ma non seguon la storia». + +Così un sol calor di molte brage +si fa sentir, come di molti amori +usciva solo un suon di quella image. + +Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori +de l’etterna letizia, che pur uno +parer mi fate tutti vostri odori, + +solvetemi, spirando, il gran digiuno +che lungamente m’ha tenuto in fame, +non trovandoli in terra cibo alcuno. + +Ben so io che, se ’n cielo altro reame +la divina giustizia fa suo specchio, +che ’l vostro non l’apprende con velame. + +Sapete come attento io m’apparecchio +ad ascoltar; sapete qual è quello +dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». + +Quasi falcone ch’esce del cappello, +move la testa e con l’ali si plaude, +voglia mostrando e faccendosi bello, + +vid’ io farsi quel segno, che di laude +de la divina grazia era contesto, +con canti quai si sa chi là sù gaude. + +Poi cominciò: «Colui che volse il sesto +a lo stremo del mondo, e dentro ad esso +distinse tanto occulto e manifesto, + +non poté suo valor sì fare impresso +in tutto l’universo, che ’l suo verbo +non rimanesse in infinito eccesso. + +E ciò fa certo che ’l primo superbo, +che fu la somma d’ogne creatura, +per non aspettar lume, cadde acerbo; + +e quinci appar ch’ogne minor natura +è corto recettacolo a quel bene +che non ha fine e sé con sé misura. + +Dunque vostra veduta, che convene +esser alcun de’ raggi de la mente +di che tutte le cose son ripiene, + +non pò da sua natura esser possente +tanto, che suo principio discerna +molto di là da quel che l’è parvente. + +Però ne la giustizia sempiterna +la vista che riceve il vostro mondo, +com’ occhio per lo mare, entro s’interna; + +che, ben che da la proda veggia il fondo, +in pelago nol vede; e nondimeno +èli, ma cela lui l’esser profondo. + +Lume non è, se non vien dal sereno +che non si turba mai; anzi è tenèbra +od ombra de la carne o suo veleno. + +Assai t’è mo aperta la latebra +che t’ascondeva la giustizia viva, +di che facei question cotanto crebra; + +ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva +de l’Indo, e quivi non è chi ragioni +di Cristo né chi legga né chi scriva; + +e tutti suoi voleri e atti buoni +sono, quanto ragione umana vede, +sanza peccato in vita o in sermoni. + +Muore non battezzato e sanza fede: +ov’ è questa giustizia che ’l condanna? +ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”. + +Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, +per giudicar di lungi mille miglia +con la veduta corta d’una spanna? + +Certo a colui che meco s’assottiglia, +se la Scrittura sovra voi non fosse, +da dubitar sarebbe a maraviglia. + +Oh terreni animali! oh menti grosse! +La prima volontà, ch’è da sé buona, +da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. + +Cotanto è giusto quanto a lei consuona: +nullo creato bene a sé la tira, +ma essa, radïando, lui cagiona». + +Quale sovresso il nido si rigira +poi c’ha pasciuti la cicogna i figli, +e come quel ch’è pasto la rimira; + +cotal si fece, e sì leväi i cigli, +la benedetta imagine, che l’ali +movea sospinte da tanti consigli. + +Roteando cantava, e dicea: «Quali +son le mie note a te, che non le ’ntendi, +tal è il giudicio etterno a voi mortali». + +Poi si quetaro quei lucenti incendi +de lo Spirito Santo ancor nel segno +che fé i Romani al mondo reverendi, + +esso ricominciò: «A questo regno +non salì mai chi non credette ’n Cristo, +né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. + +Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”, +che saranno in giudicio assai men prope +a lui, che tal che non conosce Cristo; + +e tai Cristian dannerà l’Etïòpe, +quando si partiranno i due collegi, +l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. + +Che poran dir li Perse a’ vostri regi, +come vedranno quel volume aperto +nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? + +Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto, +quella che tosto moverà la penna, +per che ’l regno di Praga fia diserto. + +Lì si vedrà il duol che sovra Senna +induce, falseggiando la moneta, +quel che morrà di colpo di cotenna. + +Lì si vedrà la superbia ch’asseta, +che fa lo Scotto e l’Inghilese folle, +sì che non può soffrir dentro a sua meta. + +Vedrassi la lussuria e ’l viver molle +di quel di Spagna e di quel di Boemme, +che mai valor non conobbe né volle. + +Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme +segnata con un i la sua bontate, +quando ’l contrario segnerà un emme. + +Vedrassi l’avarizia e la viltate +di quei che guarda l’isola del foco, +ove Anchise finì la lunga etate; + +e a dare ad intender quanto è poco, +la sua scrittura fian lettere mozze, +che noteranno molto in parvo loco. + +E parranno a ciascun l’opere sozze +del barba e del fratel, che tanto egregia +nazione e due corone han fatte bozze. + +E quel di Portogallo e di Norvegia +lì si conosceranno, e quel di Rascia +che male ha visto il conio di Vinegia. + +Oh beata Ungheria, se non si lascia +più malmenare! e beata Navarra, +se s’armasse del monte che la fascia! + +E creder de’ ciascun che già, per arra +di questo, Niccosïa e Famagosta +per la lor bestia si lamenti e garra, + +che dal fianco de l’altre non si scosta». + + + + +Paradiso +Canto XX + + +Quando colui che tutto ’l mondo alluma +de l’emisperio nostro sì discende, +che ’l giorno d’ogne parte si consuma, + +lo ciel, che sol di lui prima s’accende, +subitamente si rifà parvente +per molte luci, in che una risplende; + +e questo atto del ciel mi venne a mente, +come ’l segno del mondo e de’ suoi duci +nel benedetto rostro fu tacente; + +però che tutte quelle vive luci, +vie più lucendo, cominciaron canti +da mia memoria labili e caduci. + +O dolce amor che di riso t’ammanti, +quanto parevi ardente in que’ flailli, +ch’avieno spirto sol di pensier santi! + +Poscia che i cari e lucidi lapilli +ond’ io vidi ingemmato il sesto lume +puoser silenzio a li angelici squilli, + +udir mi parve un mormorar di fiume +che scende chiaro giù di pietra in pietra, +mostrando l’ubertà del suo cacume. + +E come suono al collo de la cetra +prende sua forma, e sì com’ al pertugio +de la sampogna vento che penètra, + +così, rimosso d’aspettare indugio, +quel mormorar de l’aguglia salissi +su per lo collo, come fosse bugio. + +Fecesi voce quivi, e quindi uscissi +per lo suo becco in forma di parole, +quali aspettava il core ov’ io le scrissi. + +«La parte in me che vede e pate il sole +ne l’aguglie mortali», incominciommi, +«or fisamente riguardar si vole, + +perché d’i fuochi ond’ io figura fommi, +quelli onde l’occhio in testa mi scintilla, +e’ di tutti lor gradi son li sommi. + +Colui che luce in mezzo per pupilla, +fu il cantor de lo Spirito Santo, +che l’arca traslatò di villa in villa: + +ora conosce il merto del suo canto, +in quanto effetto fu del suo consiglio, +per lo remunerar ch’è altrettanto. + +Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, +colui che più al becco mi s’accosta, +la vedovella consolò del figlio: + +ora conosce quanto caro costa +non seguir Cristo, per l’esperïenza +di questa dolce vita e de l’opposta. + +E quel che segue in la circunferenza +di che ragiono, per l’arco superno, +morte indugiò per vera penitenza: + +ora conosce che ’l giudicio etterno +non si trasmuta, quando degno preco +fa crastino là giù de l’odïerno. + +L’altro che segue, con le leggi e meco, +sotto buona intenzion che fé mal frutto, +per cedere al pastor si fece greco: + +ora conosce come il mal dedutto +dal suo bene operar non li è nocivo, +avvegna che sia ’l mondo indi distrutto. + +E quel che vedi ne l’arco declivo, +Guiglielmo fu, cui quella terra plora +che piagne Carlo e Federigo vivo: + +ora conosce come s’innamora +lo ciel del giusto rege, e al sembiante +del suo fulgore il fa vedere ancora. + +Chi crederebbe giù nel mondo errante +che Rifëo Troiano in questo tondo +fosse la quinta de le luci sante? + +Ora conosce assai di quel che ’l mondo +veder non può de la divina grazia, +ben che sua vista non discerna il fondo». + +Quale allodetta che ’n aere si spazia +prima cantando, e poi tace contenta +de l’ultima dolcezza che la sazia, + +tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta +de l’etterno piacere, al cui disio +ciascuna cosa qual ell’ è diventa. + +E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio +lì quasi vetro a lo color ch’el veste, +tempo aspettar tacendo non patio, + +ma de la bocca, «Che cose son queste?», +mi pinse con la forza del suo peso: +per ch’io di coruscar vidi gran feste. + +Poi appresso, con l’occhio più acceso, +lo benedetto segno mi rispuose +per non tenermi in ammirar sospeso: + +«Io veggio che tu credi queste cose +perch’ io le dico, ma non vedi come; +sì che, se son credute, sono ascose. + +Fai come quei che la cosa per nome +apprende ben, ma la sua quiditate +veder non può se altri non la prome. + +Regnum celorum vïolenza pate +da caldo amore e da viva speranza, +che vince la divina volontate: + +non a guisa che l’omo a l’om sobranza, +ma vince lei perché vuole esser vinta, +e, vinta, vince con sua beninanza. + +La prima vita del ciglio e la quinta +ti fa maravigliar, perché ne vedi +la regïon de li angeli dipinta. + +D’i corpi suoi non uscir, come credi, +Gentili, ma Cristiani, in ferma fede +quel d’i passuri e quel d’i passi piedi. + +Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede +già mai a buon voler, tornò a l’ossa; +e ciò di viva spene fu mercede: + +di viva spene, che mise la possa +ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla, +sì che potesse sua voglia esser mossa. + +L’anima glorïosa onde si parla, +tornata ne la carne, in che fu poco, +credette in lui che potëa aiutarla; + +e credendo s’accese in tanto foco +di vero amor, ch’a la morte seconda +fu degna di venire a questo gioco. + +L’altra, per grazia che da sì profonda +fontana stilla, che mai creatura +non pinse l’occhio infino a la prima onda, + +tutto suo amor là giù pose a drittura: +per che, di grazia in grazia, Dio li aperse +l’occhio a la nostra redenzion futura; + +ond’ ei credette in quella, e non sofferse +da indi il puzzo più del paganesmo; +e riprendiene le genti perverse. + +Quelle tre donne li fur per battesmo +che tu vedesti da la destra rota, +dinanzi al battezzar più d’un millesmo. + +O predestinazion, quanto remota +è la radice tua da quelli aspetti +che la prima cagion non veggion tota! + +E voi, mortali, tenetevi stretti +a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, +non conosciamo ancor tutti li eletti; + +ed ènne dolce così fatto scemo, +perché il ben nostro in questo ben s’affina, +che quel che vole Iddio, e noi volemo». + +Così da quella imagine divina, +per farmi chiara la mia corta vista, +data mi fu soave medicina. + +E come a buon cantor buon citarista +fa seguitar lo guizzo de la corda, +in che più di piacer lo canto acquista, + +sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda +ch’io vidi le due luci benedette, +pur come batter d’occhi si concorda, + +con le parole mover le fiammette. + + + + +Paradiso +Canto XXI + + +Già eran li occhi miei rifissi al volto +de la mia donna, e l’animo con essi, +e da ogne altro intento s’era tolto. + +E quella non ridea; ma «S’io ridessi», +mi cominciò, «tu ti faresti quale +fu Semelè quando di cener fessi: + +ché la bellezza mia, che per le scale +de l’etterno palazzo più s’accende, +com’ hai veduto, quanto più si sale, + +se non si temperasse, tanto splende, +che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore, +sarebbe fronda che trono scoscende. + +Noi sem levati al settimo splendore, +che sotto ’l petto del Leone ardente +raggia mo misto giù del suo valore. + +Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, +e fa di quelli specchi a la figura +che ’n questo specchio ti sarà parvente». + +Qual savesse qual era la pastura +del viso mio ne l’aspetto beato +quand’ io mi trasmutai ad altra cura, + +conoscerebbe quanto m’era a grato +ubidire a la mia celeste scorta, +contrapesando l’un con l’altro lato. + +Dentro al cristallo che ’l vocabol porta, +cerchiando il mondo, del suo caro duce +sotto cui giacque ogne malizia morta, + +di color d’oro in che raggio traluce +vid’ io uno scaleo eretto in suso +tanto, che nol seguiva la mia luce. + +Vidi anche per li gradi scender giuso +tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume +che par nel ciel, quindi fosse diffuso. + +E come, per lo natural costume, +le pole insieme, al cominciar del giorno, +si movono a scaldar le fredde piume; + +poi altre vanno via sanza ritorno, +altre rivolgon sé onde son mosse, +e altre roteando fan soggiorno; + +tal modo parve me che quivi fosse +in quello sfavillar che ’nsieme venne, +sì come in certo grado si percosse. + +E quel che presso più ci si ritenne, +si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando: +‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne. + +Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando +del dire e del tacer, si sta; ond’ io, +contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’. + +Per ch’ella, che vedëa il tacer mio +nel veder di colui che tutto vede, +mi disse: «Solvi il tuo caldo disio». + +E io incominciai: «La mia mercede +non mi fa degno de la tua risposta; +ma per colei che ’l chieder mi concede, + +vita beata che ti stai nascosta +dentro a la tua letizia, fammi nota +la cagion che sì presso mi t’ha posta; + +e dì perché si tace in questa rota +la dolce sinfonia di paradiso, +che giù per l’altre suona sì divota». + +«Tu hai l’udir mortal sì come il viso», +rispuose a me; «onde qui non si canta +per quel che Bëatrice non ha riso. + +Giù per li gradi de la scala santa +discesi tanto sol per farti festa +col dire e con la luce che mi ammanta; + +né più amor mi fece esser più presta, +ché più e tanto amor quinci sù ferve, +sì come il fiammeggiar ti manifesta. + +Ma l’alta carità, che ci fa serve +pronte al consiglio che ’l mondo governa, +sorteggia qui sì come tu osserve». + +«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna, +come libero amore in questa corte +basta a seguir la provedenza etterna; + +ma questo è quel ch’a cerner mi par forte, +perché predestinata fosti sola +a questo officio tra le tue consorte». + +Né venni prima a l’ultima parola, +che del suo mezzo fece il lume centro, +girando sé come veloce mola; + +poi rispuose l’amor che v’era dentro: +«Luce divina sopra me s’appunta, +penetrando per questa in ch’io m’inventro, + +la cui virtù, col mio veder congiunta, +mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio +la somma essenza de la quale è munta. + +Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio; +per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara, +la chiarità de la fiamma pareggio. + +Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara, +quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, +a la dimanda tua non satisfara, + +però che sì s’innoltra ne lo abisso +de l’etterno statuto quel che chiedi, +che da ogne creata vista è scisso. + +E al mondo mortal, quando tu riedi, +questo rapporta, sì che non presumma +a tanto segno più mover li piedi. + +La mente, che qui luce, in terra fumma; +onde riguarda come può là giùe +quel che non pote perché ’l ciel l’assumma». + +Sì mi prescrisser le parole sue, +ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi +a dimandarla umilmente chi fue. + +«Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi, +e non molto distanti a la tua patria, +tanto che ’ troni assai suonan più bassi, + +e fanno un gibbo che si chiama Catria, +di sotto al quale è consecrato un ermo, +che suole esser disposto a sola latria». + +Così ricominciommi il terzo sermo; +e poi, continüando, disse: «Quivi +al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, + +che pur con cibi di liquor d’ulivi +lievemente passava caldi e geli, +contento ne’ pensier contemplativi. + +Render solea quel chiostro a questi cieli +fertilemente; e ora è fatto vano, +sì che tosto convien che si riveli. + +In quel loco fu’ io Pietro Damiano, +e Pietro Peccator fu’ ne la casa +di Nostra Donna in sul lito adriano. + +Poca vita mortal m’era rimasa, +quando fui chiesto e tratto a quel cappello, +che pur di male in peggio si travasa. + +Venne Cefàs e venne il gran vasello +de lo Spirito Santo, magri e scalzi, +prendendo il cibo da qualunque ostello. + +Or voglion quinci e quindi chi rincalzi +li moderni pastori e chi li meni, +tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. + +Cuopron d’i manti loro i palafreni, +sì che due bestie van sott’ una pelle: +oh pazïenza che tanto sostieni!». + +A questa voce vid’ io più fiammelle +di grado in grado scendere e girarsi, +e ogne giro le facea più belle. + +Dintorno a questa vennero e fermarsi, +e fero un grido di sì alto suono, +che non potrebbe qui assomigliarsi; + +né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono. + + + + +Paradiso +Canto XXII + + +Oppresso di stupore, a la mia guida +mi volsi, come parvol che ricorre +sempre colà dove più si confida; + +e quella, come madre che soccorre +sùbito al figlio palido e anelo +con la sua voce, che ’l suol ben disporre, + +mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo? +e non sai tu che ’l cielo è tutto santo, +e ciò che ci si fa vien da buon zelo? + +Come t’avrebbe trasmutato il canto, +e io ridendo, mo pensar lo puoi, +poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto; + +nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi, +già ti sarebbe nota la vendetta +che tu vedrai innanzi che tu muoi. + +La spada di qua sù non taglia in fretta +né tardo, ma’ ch’al parer di colui +che disïando o temendo l’aspetta. + +Ma rivolgiti omai inverso altrui; +ch’assai illustri spiriti vedrai, +se com’ io dico l’aspetto redui». + +Come a lei piacque, li occhi ritornai, +e vidi cento sperule che ’nsieme +più s’abbellivan con mutüi rai. + +Io stava come quei che ’n sé repreme +la punta del disio, e non s’attenta +di domandar, sì del troppo si teme; + +e la maggiore e la più luculenta +di quelle margherite innanzi fessi, +per far di sé la mia voglia contenta. + +Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi +com’ io la carità che tra noi arde, +li tuoi concetti sarebbero espressi. + +Ma perché tu, aspettando, non tarde +a l’alto fine, io ti farò risposta +pur al pensier, da che sì ti riguarde. + +Quel monte a cui Cassino è ne la costa +fu frequentato già in su la cima +da la gente ingannata e mal disposta; + +e quel son io che sù vi portai prima +lo nome di colui che ’n terra addusse +la verità che tanto ci soblima; + +e tanta grazia sopra me relusse, +ch’io ritrassi le ville circunstanti +da l’empio cólto che ’l mondo sedusse. + +Questi altri fuochi tutti contemplanti +uomini fuoro, accesi di quel caldo +che fa nascere i fiori e ’ frutti santi. + +Qui è Maccario, qui è Romoaldo, +qui son li frati miei che dentro ai chiostri +fermar li piedi e tennero il cor saldo». + +E io a lui: «L’affetto che dimostri +meco parlando, e la buona sembianza +ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri, + +così m’ha dilatata mia fidanza, +come ’l sol fa la rosa quando aperta +tanto divien quant’ ell’ ha di possanza. + +Però ti priego, e tu, padre, m’accerta +s’io posso prender tanta grazia, ch’io +ti veggia con imagine scoverta». + +Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio +s’adempierà in su l’ultima spera, +ove s’adempion tutti li altri e ’l mio. + +Ivi è perfetta, matura e intera +ciascuna disïanza; in quella sola +è ogne parte là ove sempr’ era, + +perché non è in loco e non s’impola; +e nostra scala infino ad essa varca, +onde così dal viso ti s’invola. + +Infin là sù la vide il patriarca +Iacobbe porger la superna parte, +quando li apparve d’angeli sì carca. + +Ma, per salirla, mo nessun diparte +da terra i piedi, e la regola mia +rimasa è per danno de le carte. + +Le mura che solieno esser badia +fatte sono spelonche, e le cocolle +sacca son piene di farina ria. + +Ma grave usura tanto non si tolle +contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto +che fa il cor de’ monaci sì folle; + +ché quantunque la Chiesa guarda, tutto +è de la gente che per Dio dimanda; +non di parenti né d’altro più brutto. + +La carne d’i mortali è tanto blanda, +che giù non basta buon cominciamento +dal nascer de la quercia al far la ghianda. + +Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento, +e io con orazione e con digiuno, +e Francesco umilmente il suo convento; + +e se guardi ’l principio di ciascuno, +poscia riguardi là dov’ è trascorso, +tu vederai del bianco fatto bruno. + +Veramente Iordan vòlto retrorso +più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse, +mirabile a veder che qui ’l soccorso». + +Così mi disse, e indi si raccolse +al suo collegio, e ’l collegio si strinse; +poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse. + +La dolce donna dietro a lor mi pinse +con un sol cenno su per quella scala, +sì sua virtù la mia natura vinse; + +né mai qua giù dove si monta e cala +naturalmente, fu sì ratto moto +ch’agguagliar si potesse a la mia ala. + +S’io torni mai, lettore, a quel divoto +trïunfo per lo quale io piango spesso +le mie peccata e ’l petto mi percuoto, + +tu non avresti in tanto tratto e messo +nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno +che segue il Tauro e fui dentro da esso. + +O glorïose stelle, o lume pregno +di gran virtù, dal quale io riconosco +tutto, qual che si sia, il mio ingegno, + +con voi nasceva e s’ascondeva vosco +quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, +quand’ io senti’ di prima l’aere tosco; + +e poi, quando mi fu grazia largita +d’entrar ne l’alta rota che vi gira, +la vostra regïon mi fu sortita. + +A voi divotamente ora sospira +l’anima mia, per acquistar virtute +al passo forte che a sé la tira. + +«Tu se’ sì presso a l’ultima salute», +cominciò Bëatrice, «che tu dei +aver le luci tue chiare e acute; + +e però, prima che tu più t’inlei, +rimira in giù, e vedi quanto mondo +sotto li piedi già esser ti fei; + +sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo +s’appresenti a la turba trïunfante +che lieta vien per questo etera tondo». + +Col viso ritornai per tutte quante +le sette spere, e vidi questo globo +tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; + +e quel consiglio per migliore approbo +che l’ha per meno; e chi ad altro pensa +chiamar si puote veramente probo. + +Vidi la figlia di Latona incensa +sanza quell’ ombra che mi fu cagione +per che già la credetti rara e densa. + +L’aspetto del tuo nato, Iperïone, +quivi sostenni, e vidi com’ si move +circa e vicino a lui Maia e Dïone. + +Quindi m’apparve il temperar di Giove +tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro +il varïar che fanno di lor dove; + +e tutti e sette mi si dimostraro +quanto son grandi e quanto son veloci +e come sono in distante riparo. + +L’aiuola che ci fa tanto feroci, +volgendom’ io con li etterni Gemelli, +tutta m’apparve da’ colli a le foci; + +poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. + + + + +Paradiso +Canto XXIII + + +Come l’augello, intra l’amate fronde, +posato al nido de’ suoi dolci nati +la notte che le cose ci nasconde, + +che, per veder li aspetti disïati +e per trovar lo cibo onde li pasca, +in che gravi labor li sono aggrati, + +previene il tempo in su aperta frasca, +e con ardente affetto il sole aspetta, +fiso guardando pur che l’alba nasca; + +così la donna mïa stava eretta +e attenta, rivolta inver’ la plaga +sotto la quale il sol mostra men fretta: + +sì che, veggendola io sospesa e vaga, +fecimi qual è quei che disïando +altro vorria, e sperando s’appaga. + +Ma poco fu tra uno e altro quando, +del mio attender, dico, e del vedere +lo ciel venir più e più rischiarando; + +e Bëatrice disse: «Ecco le schiere +del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto +ricolto del girar di queste spere!». + +Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto, +e li occhi avea di letizia sì pieni, +che passarmen convien sanza costrutto. + +Quale ne’ plenilunïi sereni +Trivïa ride tra le ninfe etterne +che dipingon lo ciel per tutti i seni, + +vid’ i’ sopra migliaia di lucerne +un sol che tutte quante l’accendea, +come fa ’l nostro le viste superne; + +e per la viva luce trasparea +la lucente sustanza tanto chiara +nel viso mio, che non la sostenea. + +Oh Bëatrice, dolce guida e cara! +Ella mi disse: «Quel che ti sobranza +è virtù da cui nulla si ripara. + +Quivi è la sapïenza e la possanza +ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra, +onde fu già sì lunga disïanza». + +Come foco di nube si diserra +per dilatarsi sì che non vi cape, +e fuor di sua natura in giù s’atterra, + +la mente mia così, tra quelle dape +fatta più grande, di sé stessa uscìo, +e che si fesse rimembrar non sape. + +«Apri li occhi e riguarda qual son io; +tu hai vedute cose, che possente +se’ fatto a sostener lo riso mio». + +Io era come quei che si risente +di visïone oblita e che s’ingegna +indarno di ridurlasi a la mente, + +quand’ io udi’ questa proferta, degna +di tanto grato, che mai non si stingue +del libro che ’l preterito rassegna. + +Se mo sonasser tutte quelle lingue +che Polimnïa con le suore fero +del latte lor dolcissimo più pingue, + +per aiutarmi, al millesmo del vero +non si verria, cantando il santo riso +e quanto il santo aspetto facea mero; + +e così, figurando il paradiso, +convien saltar lo sacrato poema, +come chi trova suo cammin riciso. + +Ma chi pensasse il ponderoso tema +e l’omero mortal che se ne carca, +nol biasmerebbe se sott’ esso trema: + +non è pareggio da picciola barca +quel che fendendo va l’ardita prora, +né da nocchier ch’a sé medesmo parca. + +«Perché la faccia mia sì t’innamora, +che tu non ti rivolgi al bel giardino +che sotto i raggi di Cristo s’infiora? + +Quivi è la rosa in che ’l verbo divino +carne si fece; quivi son li gigli +al cui odor si prese il buon cammino». + +Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli +tutto era pronto, ancora mi rendei +a la battaglia de’ debili cigli. + +Come a raggio di sol, che puro mei +per fratta nube, già prato di fiori +vider, coverti d’ombra, li occhi miei; + +vid’ io così più turbe di splendori, +folgorate di sù da raggi ardenti, +sanza veder principio di folgóri. + +O benigna vertù che sì li ’mprenti, +sù t’essaltasti, per largirmi loco +a li occhi lì che non t’eran possenti. + +Il nome del bel fior ch’io sempre invoco +e mane e sera, tutto mi ristrinse +l’animo ad avvisar lo maggior foco; + +e come ambo le luci mi dipinse +il quale e il quanto de la viva stella +che là sù vince come qua giù vinse, + +per entro il cielo scese una facella, +formata in cerchio a guisa di corona, +e cinsela e girossi intorno ad ella. + +Qualunque melodia più dolce suona +qua giù e più a sé l’anima tira, +parrebbe nube che squarciata tona, + +comparata al sonar di quella lira +onde si coronava il bel zaffiro +del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. + +«Io sono amore angelico, che giro +l’alta letizia che spira del ventre +che fu albergo del nostro disiro; + +e girerommi, donna del ciel, mentre +che seguirai tuo figlio, e farai dia +più la spera suprema perché lì entre». + +Così la circulata melodia +si sigillava, e tutti li altri lumi +facean sonare il nome di Maria. + +Lo real manto di tutti i volumi +del mondo, che più ferve e più s’avviva +ne l’alito di Dio e nei costumi, + +avea sopra di noi l’interna riva +tanto distante, che la sua parvenza, +là dov’ io era, ancor non appariva: + +però non ebber li occhi miei potenza +di seguitar la coronata fiamma +che si levò appresso sua semenza. + +E come fantolin che ’nver’ la mamma +tende le braccia, poi che ’l latte prese, +per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; + +ciascun di quei candori in sù si stese +con la sua cima, sì che l’alto affetto +ch’elli avieno a Maria mi fu palese. + +Indi rimaser lì nel mio cospetto, +‘Regina celi’ cantando sì dolce, +che mai da me non si partì ’l diletto. + +Oh quanta è l’ubertà che si soffolce +in quelle arche ricchissime che fuoro +a seminar qua giù buone bobolce! + +Quivi si vive e gode del tesoro +che s’acquistò piangendo ne lo essilio +di Babillòn, ove si lasciò l’oro. + +Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio +di Dio e di Maria, di sua vittoria, +e con l’antico e col novo concilio, + +colui che tien le chiavi di tal gloria. + + + + +Paradiso +Canto XXIV + + +«O sodalizio eletto a la gran cena +del benedetto Agnello, il qual vi ciba +sì, che la vostra voglia è sempre piena, + +se per grazia di Dio questi preliba +di quel che cade de la vostra mensa, +prima che morte tempo li prescriba, + +ponete mente a l’affezione immensa +e roratelo alquanto: voi bevete +sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». + +Così Beatrice; e quelle anime liete +si fero spere sopra fissi poli, +fiammando, a volte, a guisa di comete. + +E come cerchi in tempra d’orïuoli +si giran sì, che ’l primo a chi pon mente +quïeto pare, e l’ultimo che voli; + +così quelle carole, differente- +mente danzando, de la sua ricchezza +mi facieno stimar, veloci e lente. + +Di quella ch’io notai di più carezza +vid’ ïo uscire un foco sì felice, +che nullo vi lasciò di più chiarezza; + +e tre fïate intorno di Beatrice +si volse con un canto tanto divo, +che la mia fantasia nol mi ridice. + +Però salta la penna e non lo scrivo: +ché l’imagine nostra a cotai pieghe, +non che ’l parlare, è troppo color vivo. + +«O santa suora mia che sì ne prieghe +divota, per lo tuo ardente affetto +da quella bella spera mi disleghe». + +Poscia fermato, il foco benedetto +a la mia donna dirizzò lo spiro, +che favellò così com’ i’ ho detto. + +Ed ella: «O luce etterna del gran viro +a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, +ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, + +tenta costui di punti lievi e gravi, +come ti piace, intorno de la fede, +per la qual tu su per lo mare andavi. + +S’elli ama bene e bene spera e crede, +non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi +dov’ ogne cosa dipinta si vede; + +ma perché questo regno ha fatto civi +per la verace fede, a glorïarla, +di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». + +Sì come il baccialier s’arma e non parla +fin che ’l maestro la question propone, +per approvarla, non per terminarla, + +così m’armava io d’ogne ragione +mentre ch’ella dicea, per esser presto +a tal querente e a tal professione. + +«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: +fede che è?». Ond’ io levai la fronte +in quella luce onde spirava questo; + +poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte +sembianze femmi perch’ ïo spandessi +l’acqua di fuor del mio interno fonte. + +«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», +comincia’ io, «da l’alto primipilo, +faccia li miei concetti bene espressi». + +E seguitai: «Come ’l verace stilo +ne scrisse, padre, del tuo caro frate +che mise teco Roma nel buon filo, + +fede è sustanza di cose sperate +e argomento de le non parventi; +e questa pare a me sua quiditate». + +Allora udi’: «Dirittamente senti, +se bene intendi perché la ripuose +tra le sustanze, e poi tra li argomenti». + +E io appresso: «Le profonde cose +che mi largiscon qui la lor parvenza, +a li occhi di là giù son sì ascose, + +che l’esser loro v’è in sola credenza, +sopra la qual si fonda l’alta spene; +e però di sustanza prende intenza. + +E da questa credenza ci convene +silogizzar, sanz’ avere altra vista: +però intenza d’argomento tene». + +Allora udi’: «Se quantunque s’acquista +giù per dottrina, fosse così ’nteso, +non lì avria loco ingegno di sofista». + +Così spirò di quello amore acceso; +indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa +d’esta moneta già la lega e ’l peso; + +ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». +Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, +che nel suo conio nulla mi s’inforsa». + +Appresso uscì de la luce profonda +che lì splendeva: «Questa cara gioia +sopra la quale ogne virtù si fonda, + +onde ti venne?». E io: «La larga ploia +de lo Spirito Santo, ch’è diffusa +in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, + +è silogismo che la m’ha conchiusa +acutamente sì, che ’nverso d’ella +ogne dimostrazion mi pare ottusa». + +Io udi’ poi: «L’antica e la novella +proposizion che così ti conchiude, +perché l’hai tu per divina favella?». + +E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, +son l’opere seguite, a che natura +non scalda ferro mai né batte incude». + +Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura +che quell’ opere fosser? Quel medesmo +che vuol provarsi, non altri, il ti giura». + +«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», +diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno +è tal, che li altri non sono il centesmo: + +ché tu intrasti povero e digiuno +in campo, a seminar la buona pianta +che fu già vite e ora è fatta pruno». + +Finito questo, l’alta corte santa +risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ +ne la melode che là sù si canta. + +E quel baron che sì di ramo in ramo, +essaminando, già tratto m’avea, +che a l’ultime fronde appressavamo, + +ricominciò: «La Grazia, che donnea +con la tua mente, la bocca t’aperse +infino a qui come aprir si dovea, + +sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; +ma or convien espremer quel che credi, +e onde a la credenza tua s’offerse». + +«O santo padre, e spirito che vedi +ciò che credesti sì, che tu vincesti +ver’ lo sepulcro più giovani piedi», + +comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti +la forma qui del pronto creder mio, +e anche la cagion di lui chiedesti. + +E io rispondo: Io credo in uno Dio +solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, +non moto, con amore e con disio; + +e a tal creder non ho io pur prove +fisice e metafisice, ma dalmi +anche la verità che quinci piove + +per Moïsè, per profeti e per salmi, +per l’Evangelio e per voi che scriveste +poi che l’ardente Spirto vi fé almi; + +e credo in tre persone etterne, e queste +credo una essenza sì una e sì trina, +che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. + +De la profonda condizion divina +ch’io tocco mo, la mente mi sigilla +più volte l’evangelica dottrina. + +Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla +che si dilata in fiamma poi vivace, +e come stella in cielo in me scintilla». + +Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, +da indi abbraccia il servo, gratulando +per la novella, tosto ch’el si tace; + +così, benedicendomi cantando, +tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, +l’appostolico lume al cui comando + +io avea detto: sì nel dir li piacqui! + + + + +Paradiso +Canto XXV + + +Se mai continga che ’l poema sacro +al quale ha posto mano e cielo e terra, +sì che m’ha fatto per molti anni macro, + +vinca la crudeltà che fuor mi serra +del bello ovile ov’ io dormi’ agnello, +nimico ai lupi che li danno guerra; + +con altra voce omai, con altro vello +ritornerò poeta, e in sul fonte +del mio battesmo prenderò ’l cappello; + +però che ne la fede, che fa conte +l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi +Pietro per lei sì mi girò la fronte. + +Indi si mosse un lume verso noi +di quella spera ond’ uscì la primizia +che lasciò Cristo d’i vicari suoi; + +e la mia donna, piena di letizia, +mi disse: «Mira, mira: ecco il barone +per cui là giù si vicita Galizia». + +Sì come quando il colombo si pone +presso al compagno, l’uno a l’altro pande, +girando e mormorando, l’affezione; + +così vid’ ïo l’un da l’altro grande +principe glorïoso essere accolto, +laudando il cibo che là sù li prande. + +Ma poi che ’l gratular si fu assolto, +tacito coram me ciascun s’affisse, +ignito sì che vincëa ’l mio volto. + +Ridendo allora Bëatrice disse: +«Inclita vita per cui la larghezza +de la nostra basilica si scrisse, + +fa risonar la spene in questa altezza: +tu sai, che tante fiate la figuri, +quante Iesù ai tre fé più carezza». + +«Leva la testa e fa che t’assicuri: +che ciò che vien qua sù del mortal mondo, +convien ch’ai nostri raggi si maturi». + +Questo conforto del foco secondo +mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti +che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. + +«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti +lo nostro Imperadore, anzi la morte, +ne l’aula più secreta co’ suoi conti, + +sì che, veduto il ver di questa corte, +la spene, che là giù bene innamora, +in te e in altrui di ciò conforte, + +di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora +la mente tua, e dì onde a te venne». +Così seguì ’l secondo lume ancora. + +E quella pïa che guidò le penne +de le mie ali a così alto volo, +a la risposta così mi prevenne: + +«La Chiesa militante alcun figliuolo +non ha con più speranza, com’ è scritto +nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: + +però li è conceduto che d’Egitto +vegna in Ierusalemme per vedere, +anzi che ’l militar li sia prescritto. + +Li altri due punti, che non per sapere +son dimandati, ma perch’ ei rapporti +quanto questa virtù t’è in piacere, + +a lui lasc’ io, ché non li saran forti +né di iattanza; ed elli a ciò risponda, +e la grazia di Dio ciò li comporti». + +Come discente ch’a dottor seconda +pronto e libente in quel ch’elli è esperto, +perché la sua bontà si disasconda, + +«Spene», diss’ io, «è uno attender certo +de la gloria futura, il qual produce +grazia divina e precedente merto. + +Da molte stelle mi vien questa luce; +ma quei la distillò nel mio cor pria +che fu sommo cantor del sommo duce. + +‘Sperino in te’, ne la sua tëodia +dice, ‘color che sanno il nome tuo’: +e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? + +Tu mi stillasti, con lo stillar suo, +ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, +e in altrui vostra pioggia repluo». + +Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno +di quello incendio tremolava un lampo +sùbito e spesso a guisa di baleno. + +Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo +ancor ver’ la virtù che mi seguette +infin la palma e a l’uscir del campo, + +vuol ch’io respiri a te che ti dilette +di lei; ed emmi a grato che tu diche +quello che la speranza ti ’mpromette». + +E io: «Le nove e le scritture antiche +pongon lo segno, ed esso lo mi addita, +de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. + +Dice Isaia che ciascuna vestita +ne la sua terra fia di doppia vesta: +e la sua terra è questa dolce vita; + +e ’l tuo fratello assai vie più digesta, +là dove tratta de le bianche stole, +questa revelazion ci manifesta». + +E prima, appresso al fin d’este parole, +‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì; +a che rispuoser tutte le carole. + +Poscia tra esse un lume si schiarì +sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, +l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. + +E come surge e va ed entra in ballo +vergine lieta, sol per fare onore +a la novizia, non per alcun fallo, + +così vid’ io lo schiarato splendore +venire a’ due che si volgieno a nota +qual conveniesi al loro ardente amore. + +Misesi lì nel canto e ne la rota; +e la mia donna in lor tenea l’aspetto, +pur come sposa tacita e immota. + +«Questi è colui che giacque sopra ’l petto +del nostro pellicano, e questi fue +di su la croce al grande officio eletto». + +La donna mia così; né però piùe +mosser la vista sua di stare attenta +poscia che prima le parole sue. + +Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta +di vedere eclissar lo sole un poco, +che, per veder, non vedente diventa; + +tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco +mentre che detto fu: «Perché t’abbagli +per veder cosa che qui non ha loco? + +In terra è terra il mio corpo, e saragli +tanto con li altri, che ’l numero nostro +con l’etterno proposito s’agguagli. + +Con le due stole nel beato chiostro +son le due luci sole che saliro; +e questo apporterai nel mondo vostro». + +A questa voce l’infiammato giro +si quïetò con esso il dolce mischio +che si facea nel suon del trino spiro, + +sì come, per cessar fatica o rischio, +li remi, pria ne l’acqua ripercossi, +tutti si posano al sonar d’un fischio. + +Ahi quanto ne la mente mi commossi, +quando mi volsi per veder Beatrice, +per non poter veder, benché io fossi + +presso di lei, e nel mondo felice! + + + + +Paradiso +Canto XXVI + + +Mentr’ io dubbiava per lo viso spento, +de la fulgida fiamma che lo spense +uscì un spiro che mi fece attento, + +dicendo: «Intanto che tu ti risense +de la vista che haï in me consunta, +ben è che ragionando la compense. + +Comincia dunque; e dì ove s’appunta +l’anima tua, e fa ragion che sia +la vista in te smarrita e non defunta: + +perché la donna che per questa dia +regïon ti conduce, ha ne lo sguardo +la virtù ch’ebbe la man d’Anania». + +Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo +vegna remedio a li occhi, che fuor porte +quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo. + +Lo ben che fa contenta questa corte, +Alfa e O è di quanta scrittura +mi legge Amore o lievemente o forte». + +Quella medesma voce che paura +tolta m’avea del sùbito abbarbaglio, +di ragionare ancor mi mise in cura; + +e disse: «Certo a più angusto vaglio +ti conviene schiarar: dicer convienti +chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». + +E io: «Per filosofici argomenti +e per autorità che quinci scende +cotale amor convien che in me si ’mprenti: + +ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende, +così accende amore, e tanto maggio +quanto più di bontate in sé comprende. + +Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio, +che ciascun ben che fuor di lei si trova +altro non è ch’un lume di suo raggio, + +più che in altra convien che si mova +la mente, amando, di ciascun che cerne +il vero in che si fonda questa prova. + +Tal vero a l’intelletto mïo sterne +colui che mi dimostra il primo amore +di tutte le sustanze sempiterne. + +Sternel la voce del verace autore, +che dice a Moïsè, di sé parlando: +‘Io ti farò vedere ogne valore’. + +Sternilmi tu ancora, incominciando +l’alto preconio che grida l’arcano +di qui là giù sovra ogne altro bando». + +E io udi’: «Per intelletto umano +e per autoritadi a lui concorde +d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. + +Ma dì ancor se tu senti altre corde +tirarti verso lui, sì che tu suone +con quanti denti questo amor ti morde». + +Non fu latente la santa intenzione +de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi +dove volea menar mia professione. + +Però ricominciai: «Tutti quei morsi +che posson far lo cor volgere a Dio, +a la mia caritate son concorsi: + +ché l’essere del mondo e l’esser mio, +la morte ch’el sostenne perch’ io viva, +e quel che spera ogne fedel com’ io, + +con la predetta conoscenza viva, +tratto m’hanno del mar de l’amor torto, +e del diritto m’han posto a la riva. + +Le fronde onde s’infronda tutto l’orto +de l’ortolano etterno, am’ io cotanto +quanto da lui a lor di bene è porto». + +Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto +risonò per lo cielo, e la mia donna +dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». + +E come a lume acuto si disonna +per lo spirto visivo che ricorre +a lo splendor che va di gonna in gonna, + +e lo svegliato ciò che vede aborre, +sì nescïa è la sùbita vigilia +fin che la stimativa non soccorre; + +così de li occhi miei ogne quisquilia +fugò Beatrice col raggio d’i suoi, +che rifulgea da più di mille milia: + +onde mei che dinanzi vidi poi; +e quasi stupefatto domandai +d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. + +E la mia donna: «Dentro da quei rai +vagheggia il suo fattor l’anima prima +che la prima virtù creasse mai». + +Come la fronda che flette la cima +nel transito del vento, e poi si leva +per la propria virtù che la soblima, + +fec’ io in tanto in quant’ ella diceva, +stupendo, e poi mi rifece sicuro +un disio di parlare ond’ ïo ardeva. + +E cominciai: «O pomo che maturo +solo prodotto fosti, o padre antico +a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, + +divoto quanto posso a te supplìco +perché mi parli: tu vedi mia voglia, +e per udirti tosto non la dico». + +Talvolta un animal coverto broglia, +sì che l’affetto convien che si paia +per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; + +e similmente l’anima primaia +mi facea trasparer per la coverta +quant’ ella a compiacermi venìa gaia. + +Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta +da te, la voglia tua discerno meglio +che tu qualunque cosa t’è più certa; + +perch’ io la veggio nel verace speglio +che fa di sé pareglio a l’altre cose, +e nulla face lui di sé pareglio. + +Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose +ne l’eccelso giardino, ove costei +a così lunga scala ti dispuose, + +e quanto fu diletto a li occhi miei, +e la propria cagion del gran disdegno, +e l’idïoma ch’usai e che fei. + +Or, figluol mio, non il gustar del legno +fu per sé la cagion di tanto essilio, +ma solamente il trapassar del segno. + +Quindi onde mosse tua donna Virgilio, +quattromilia trecento e due volumi +di sol desiderai questo concilio; + +e vidi lui tornare a tutt’ i lumi +de la sua strada novecento trenta +fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi. + +La lingua ch’io parlai fu tutta spenta +innanzi che a l’ovra inconsummabile +fosse la gente di Nembròt attenta: + +ché nullo effetto mai razïonabile, +per lo piacere uman che rinovella +seguendo il cielo, sempre fu durabile. + +Opera naturale è ch’uom favella; +ma così o così, natura lascia +poi fare a voi secondo che v’abbella. + +Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, +I s’appellava in terra il sommo bene +onde vien la letizia che mi fascia; + +e El si chiamò poi: e ciò convene, +ché l’uso d’i mortali è come fronda +in ramo, che sen va e altra vene. + +Nel monte che si leva più da l’onda, +fu’ io, con vita pura e disonesta, +da la prim’ ora a quella che seconda, + +come ’l sol muta quadra, l’ora sesta». + + + + +Paradiso +Canto XXVII + + +‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, +cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, +sì che m’inebrïava il dolce canto. + +Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso +de l’universo; per che mia ebbrezza +intrava per l’udire e per lo viso. + +Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! +oh vita intègra d’amore e di pace! +oh sanza brama sicura ricchezza! + +Dinanzi a li occhi miei le quattro face +stavano accese, e quella che pria venne +incominciò a farsi più vivace, + +e tal ne la sembianza sua divenne, +qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte +fossero augelli e cambiassersi penne. + +La provedenza, che quivi comparte +vice e officio, nel beato coro +silenzio posto avea da ogne parte, + +quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro, +non ti maravigliar, ché, dicend’ io, +vedrai trascolorar tutti costoro. + +Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, +il luogo mio, il luogo mio, che vaca +ne la presenza del Figliuol di Dio, + +fatt’ ha del cimitero mio cloaca +del sangue e de la puzza; onde ’l perverso +che cadde di qua sù, là giù si placa». + +Di quel color che per lo sole avverso +nube dipigne da sera e da mane, +vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso. + +E come donna onesta che permane +di sé sicura, e per l’altrui fallanza, +pur ascoltando, timida si fane, + +così Beatrice trasmutò sembianza; +e tale eclissi credo che ’n ciel fue +quando patì la supprema possanza. + +Poi procedetter le parole sue +con voce tanto da sé trasmutata, +che la sembianza non si mutò piùe: + +«Non fu la sposa di Cristo allevata +del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, +per essere ad acquisto d’oro usata; + +ma per acquisto d’esto viver lieto +e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano +sparser lo sangue dopo molto fleto. + +Non fu nostra intenzion ch’a destra mano +d’i nostri successor parte sedesse, +parte da l’altra del popol cristiano; + +né che le chiavi che mi fuor concesse, +divenisser signaculo in vessillo +che contra battezzati combattesse; + +né ch’io fossi figura di sigillo +a privilegi venduti e mendaci, +ond’ io sovente arrosso e disfavillo. + +In vesta di pastor lupi rapaci +si veggion di qua sù per tutti i paschi: +o difesa di Dio, perché pur giaci? + +Del sangue nostro Caorsini e Guaschi +s’apparecchian di bere: o buon principio, +a che vil fine convien che tu caschi! + +Ma l’alta provedenza, che con Scipio +difese a Roma la gloria del mondo, +soccorrà tosto, sì com’ io concipio; + +e tu, figliuol, che per lo mortal pondo +ancor giù tornerai, apri la bocca, +e non asconder quel ch’io non ascondo». + +Sì come di vapor gelati fiocca +in giuso l’aere nostro, quando ’l corno +de la capra del ciel col sol si tocca, + +in sù vid’ io così l’etera addorno +farsi e fioccar di vapor trïunfanti +che fatto avien con noi quivi soggiorno. + +Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, +e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto, +li tolse il trapassar del più avanti. + +Onde la donna, che mi vide assolto +de l’attendere in sù, mi disse: «Adima +il viso e guarda come tu se’ vòlto». + +Da l’ora ch’ïo avea guardato prima +i’ vidi mosso me per tutto l’arco +che fa dal mezzo al fine il primo clima; + +sì ch’io vedea di là da Gade il varco +folle d’Ulisse, e di qua presso il lito +nel qual si fece Europa dolce carco. + +E più mi fora discoverto il sito +di questa aiuola; ma ’l sol procedea +sotto i mie’ piedi un segno e più partito. + +La mente innamorata, che donnea +con la mia donna sempre, di ridure +ad essa li occhi più che mai ardea; + +e se natura o arte fé pasture +da pigliare occhi, per aver la mente, +in carne umana o ne le sue pitture, + +tutte adunate, parrebber nïente +ver’ lo piacer divin che mi refulse, +quando mi volsi al suo viso ridente. + +E la virtù che lo sguardo m’indulse, +del bel nido di Leda mi divelse, +e nel ciel velocissimo m’impulse. + +Le parti sue vivissime ed eccelse +sì uniforme son, ch’i’ non so dire +qual Bëatrice per loco mi scelse. + +Ma ella, che vedëa ’l mio disire, +incominciò, ridendo tanto lieta, +che Dio parea nel suo volto gioire: + +«La natura del mondo, che quïeta +il mezzo e tutto l’altro intorno move, +quinci comincia come da sua meta; + +e questo cielo non ha altro dove +che la mente divina, in che s’accende +l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove. + +Luce e amor d’un cerchio lui comprende, +sì come questo li altri; e quel precinto +colui che ’l cinge solamente intende. + +Non è suo moto per altro distinto, +ma li altri son mensurati da questo, +sì come diece da mezzo e da quinto; + +e come il tempo tegna in cotal testo +le sue radici e ne li altri le fronde, +omai a te può esser manifesto. + +Oh cupidigia che i mortali affonde +sì sotto te, che nessuno ha podere +di trarre li occhi fuor de le tue onde! + +Ben fiorisce ne li uomini il volere; +ma la pioggia continüa converte +in bozzacchioni le sosine vere. + +Fede e innocenza son reperte +solo ne’ parvoletti; poi ciascuna +pria fugge che le guance sian coperte. + +Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, +che poi divora, con la lingua sciolta, +qualunque cibo per qualunque luna; + +e tal, balbuzïendo, ama e ascolta +la madre sua, che, con loquela intera, +disïa poi di vederla sepolta. + +Così si fa la pelle bianca nera +nel primo aspetto de la bella figlia +di quel ch’apporta mane e lascia sera. + +Tu, perché non ti facci maraviglia, +pensa che ’n terra non è chi governi; +onde sì svïa l’umana famiglia. + +Ma prima che gennaio tutto si sverni +per la centesma ch’è là giù negletta, +raggeran sì questi cerchi superni, + +che la fortuna che tanto s’aspetta, +le poppe volgerà u’ son le prore, +sì che la classe correrà diretta; + +e vero frutto verrà dopo ’l fiore». + + + + +Paradiso +Canto XXVIII + + +Poscia che ’ncontro a la vita presente +d’i miseri mortali aperse ’l vero +quella che ’mparadisa la mia mente, + +come in lo specchio fiamma di doppiero +vede colui che se n’alluma retro, +prima che l’abbia in vista o in pensiero, + +e sé rivolge per veder se ’l vetro +li dice il vero, e vede ch’el s’accorda +con esso come nota con suo metro; + +così la mia memoria si ricorda +ch’io feci riguardando ne’ belli occhi +onde a pigliarmi fece Amor la corda. + +E com’ io mi rivolsi e furon tocchi +li miei da ciò che pare in quel volume, +quandunque nel suo giro ben s’adocchi, + +un punto vidi che raggiava lume +acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca +chiuder conviensi per lo forte acume; + +e quale stella par quinci più poca, +parrebbe luna, locata con esso +come stella con stella si collòca. + +Forse cotanto quanto pare appresso +alo cigner la luce che ’l dipigne +quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, + +distante intorno al punto un cerchio d’igne +si girava sì ratto, ch’avria vinto +quel moto che più tosto il mondo cigne; + +e questo era d’un altro circumcinto, +e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto, +dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. + +Sopra seguiva il settimo sì sparto +già di larghezza, che ’l messo di Iuno +intero a contenerlo sarebbe arto. + +Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno +più tardo si movea, secondo ch’era +in numero distante più da l’uno; + +e quello avea la fiamma più sincera +cui men distava la favilla pura, +credo, però che più di lei s’invera. + +La donna mia, che mi vedëa in cura +forte sospeso, disse: «Da quel punto +depende il cielo e tutta la natura. + +Mira quel cerchio che più li è congiunto; +e sappi che ’l suo muovere è sì tosto +per l’affocato amore ond’ elli è punto». + +E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto +con l’ordine ch’io veggio in quelle rote, +sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; + +ma nel mondo sensibile si puote +veder le volte tanto più divine, +quant’ elle son dal centro più remote. + +Onde, se ’l mio disir dee aver fine +in questo miro e angelico templo +che solo amore e luce ha per confine, + +udir convienmi ancor come l’essemplo +e l’essemplare non vanno d’un modo, +ché io per me indarno a ciò contemplo». + +«Se li tuoi diti non sono a tal nodo +sufficïenti, non è maraviglia: +tanto, per non tentare, è fatto sodo!». + +Così la donna mia; poi disse: «Piglia +quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti; +e intorno da esso t’assottiglia. + +Li cerchi corporai sono ampi e arti +secondo il più e ’l men de la virtute +che si distende per tutte lor parti. + +Maggior bontà vuol far maggior salute; +maggior salute maggior corpo cape, +s’elli ha le parti igualmente compiute. + +Dunque costui che tutto quanto rape +l’altro universo seco, corrisponde +al cerchio che più ama e che più sape: + +per che, se tu a la virtù circonde +la tua misura, non a la parvenza +de le sustanze che t’appaion tonde, + +tu vederai mirabil consequenza +di maggio a più e di minore a meno, +in ciascun cielo, a süa intelligenza». + +Come rimane splendido e sereno +l’emisperio de l’aere, quando soffia +Borea da quella guancia ond’ è più leno, + +per che si purga e risolve la roffia +che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride +con le bellezze d’ogne sua paroffia; + +così fec’ïo, poi che mi provide +la donna mia del suo risponder chiaro, +e come stella in cielo il ver si vide. + +E poi che le parole sue restaro, +non altrimenti ferro disfavilla +che bolle, come i cerchi sfavillaro. + +L’incendio suo seguiva ogne scintilla; +ed eran tante, che ’l numero loro +più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla. + +Io sentiva osannar di coro in coro +al punto fisso che li tiene a li ubi, +e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. + +E quella che vedëa i pensier dubi +ne la mia mente, disse: «I cerchi primi +t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. + +Così veloci seguono i suoi vimi, +per somigliarsi al punto quanto ponno; +e posson quanto a veder son soblimi. + +Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, +si chiaman Troni del divino aspetto, +per che ’l primo ternaro terminonno; + +e dei saper che tutti hanno diletto +quanto la sua veduta si profonda +nel vero in che si queta ogne intelletto. + +Quinci si può veder come si fonda +l’esser beato ne l’atto che vede, +non in quel ch’ama, che poscia seconda; + +e del vedere è misura mercede, +che grazia partorisce e buona voglia: +così di grado in grado si procede. + +L’altro ternaro, che così germoglia +in questa primavera sempiterna +che notturno Arïete non dispoglia, + +perpetüalemente ‘Osanna’ sberna +con tre melode, che suonano in tree +ordini di letizia onde s’interna. + +In essa gerarcia son l’altre dee: +prima Dominazioni, e poi Virtudi; +l’ordine terzo di Podestadi èe. + +Poscia ne’ due penultimi tripudi +Principati e Arcangeli si girano; +l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. + +Questi ordini di sù tutti s’ammirano, +e di giù vincon sì, che verso Dio +tutti tirati sono e tutti tirano. + +E Dïonisio con tanto disio +a contemplar questi ordini si mise, +che li nomò e distinse com’ io. + +Ma Gregorio da lui poi si divise; +onde, sì tosto come li occhi aperse +in questo ciel, di sé medesmo rise. + +E se tanto secreto ver proferse +mortale in terra, non voglio ch’ammiri: +ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse + +con altro assai del ver di questi giri». + + + + +Paradiso +Canto XXIX + + +Quando ambedue li figli di Latona, +coperti del Montone e de la Libra, +fanno de l’orizzonte insieme zona, + +quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra +infin che l’uno e l’altro da quel cinto, +cambiando l’emisperio, si dilibra, + +tanto, col volto di riso dipinto, +si tacque Bëatrice, riguardando +fiso nel punto che m’avëa vinto. + +Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, +quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto +là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. + +Non per aver a sé di bene acquisto, +ch’esser non può, ma perché suo splendore +potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, + +in sua etternità di tempo fore, +fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, +s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. + +Né prima quasi torpente si giacque; +ché né prima né poscia procedette +lo discorrer di Dio sovra quest’ acque. + +Forma e materia, congiunte e purette, +usciro ad esser che non avia fallo, +come d’arco tricordo tre saette. + +E come in vetro, in ambra o in cristallo +raggio resplende sì, che dal venire +a l’esser tutto non è intervallo, + +così ’l triforme effetto del suo sire +ne l’esser suo raggiò insieme tutto +sanza distinzïone in essordire. + +Concreato fu ordine e costrutto +a le sustanze; e quelle furon cima +nel mondo in che puro atto fu produtto; + +pura potenza tenne la parte ima; +nel mezzo strinse potenza con atto +tal vime, che già mai non si divima. + +Ieronimo vi scrisse lungo tratto +di secoli de li angeli creati +anzi che l’altro mondo fosse fatto; + +ma questo vero è scritto in molti lati +da li scrittor de lo Spirito Santo, +e tu te n’avvedrai se bene agguati; + +e anche la ragione il vede alquanto, +che non concederebbe che ’ motori +sanza sua perfezion fosser cotanto. + +Or sai tu dove e quando questi amori +furon creati e come: sì che spenti +nel tuo disïo già son tre ardori. + +Né giugneriesi, numerando, al venti +sì tosto, come de li angeli parte +turbò il suggetto d’i vostri alimenti. + +L’altra rimase, e cominciò quest’ arte +che tu discerni, con tanto diletto, +che mai da circüir non si diparte. + +Principio del cader fu il maladetto +superbir di colui che tu vedesti +da tutti i pesi del mondo costretto. + +Quelli che vedi qui furon modesti +a riconoscer sé da la bontate +che li avea fatti a tanto intender presti: + +per che le viste lor furo essaltate +con grazia illuminante e con lor merto, +si c’hanno ferma e piena volontate; + +e non voglio che dubbi, ma sia certo, +che ricever la grazia è meritorio +secondo che l’affetto l’è aperto. + +Omai dintorno a questo consistorio +puoi contemplare assai, se le parole +mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio. + +Ma perché ’n terra per le vostre scole +si legge che l’angelica natura +è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, + +ancor dirò, perché tu veggi pura +la verità che là giù si confonde, +equivocando in sì fatta lettura. + +Queste sustanze, poi che fur gioconde +de la faccia di Dio, non volser viso +da essa, da cui nulla si nasconde: + +però non hanno vedere interciso +da novo obietto, e però non bisogna +rememorar per concetto diviso; + +sì che là giù, non dormendo, si sogna, +credendo e non credendo dicer vero; +ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. + +Voi non andate giù per un sentiero +filosofando: tanto vi trasporta +l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! + +E ancor questo qua sù si comporta +con men disdegno che quando è posposta +la divina Scrittura o quando è torta. + +Non vi si pensa quanto sangue costa +seminarla nel mondo e quanto piace +chi umilmente con essa s’accosta. + +Per apparer ciascun s’ingegna e face +sue invenzioni; e quelle son trascorse +da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. + +Un dice che la luna si ritorse +ne la passion di Cristo e s’interpuose, +per che ’l lume del sol giù non si porse; + +e mente, ché la luce si nascose +da sé: però a li Spani e a l’Indi +come a’ Giudei tale eclissi rispuose. + +Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi +quante sì fatte favole per anno +in pergamo si gridan quinci e quindi: + +sì che le pecorelle, che non sanno, +tornan del pasco pasciute di vento, +e non le scusa non veder lo danno. + +Non disse Cristo al suo primo convento: +‘Andate, e predicate al mondo ciance’; +ma diede lor verace fondamento; + +e quel tanto sonò ne le sue guance, +sì ch’a pugnar per accender la fede +de l’Evangelio fero scudo e lance. + +Ora si va con motti e con iscede +a predicare, e pur che ben si rida, +gonfia il cappuccio e più non si richiede. + +Ma tale uccel nel becchetto s’annida, +che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe +la perdonanza di ch’el si confida: + +per cui tanta stoltezza in terra crebbe, +che, sanza prova d’alcun testimonio, +ad ogne promession si correrebbe. + +Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio, +e altri assai che sono ancor più porci, +pagando di moneta sanza conio. + +Ma perché siam digressi assai, ritorci +li occhi oramai verso la dritta strada, +sì che la via col tempo si raccorci. + +Questa natura sì oltre s’ingrada +in numero, che mai non fu loquela +né concetto mortal che tanto vada; + +e se tu guardi quel che si revela +per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia +determinato numero si cela. + +La prima luce, che tutta la raia, +per tanti modi in essa si recepe, +quanti son li splendori a chi s’appaia. + +Onde, però che a l’atto che concepe +segue l’affetto, d’amar la dolcezza +diversamente in essa ferve e tepe. + +Vedi l’eccelso omai e la larghezza +de l’etterno valor, poscia che tanti +speculi fatti s’ha in che si spezza, + +uno manendo in sé come davanti». + + + + +Paradiso +Canto XXX + + +Forse semilia miglia di lontano +ci ferve l’ora sesta, e questo mondo +china già l’ombra quasi al letto piano, + +quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo, +comincia a farsi tal, ch’alcuna stella +perde il parere infino a questo fondo; + +e come vien la chiarissima ancella +del sol più oltre, così ’l ciel si chiude +di vista in vista infino a la più bella. + +Non altrimenti il trïunfo che lude +sempre dintorno al punto che mi vinse, +parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, + +a poco a poco al mio veder si stinse: +per che tornar con li occhi a Bëatrice +nulla vedere e amor mi costrinse. + +Se quanto infino a qui di lei si dice +fosse conchiuso tutto in una loda, +poca sarebbe a fornir questa vice. + +La bellezza ch’io vidi si trasmoda +non pur di là da noi, ma certo io credo +che solo il suo fattor tutta la goda. + +Da questo passo vinto mi concedo +più che già mai da punto di suo tema +soprato fosse comico o tragedo: + +ché, come sole in viso che più trema, +così lo rimembrar del dolce riso +la mente mia da me medesmo scema. + +Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso +in questa vita, infino a questa vista, +non m’è il seguire al mio cantar preciso; + +ma or convien che mio seguir desista +più dietro a sua bellezza, poetando, +come a l’ultimo suo ciascuno artista. + +Cotal qual io lascio a maggior bando +che quel de la mia tuba, che deduce +l’ardüa sua matera terminando, + +con atto e voce di spedito duce +ricominciò: «Noi siamo usciti fore +del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: + +luce intellettüal, piena d’amore; +amor di vero ben, pien di letizia; +letizia che trascende ogne dolzore. + +Qui vederai l’una e l’altra milizia +di paradiso, e l’una in quelli aspetti +che tu vedrai a l’ultima giustizia». + +Come sùbito lampo che discetti +li spiriti visivi, sì che priva +da l’atto l’occhio di più forti obietti, + +così mi circunfulse luce viva, +e lasciommi fasciato di tal velo +del suo fulgor, che nulla m’appariva. + +«Sempre l’amor che queta questo cielo +accoglie in sé con sì fatta salute, +per far disposto a sua fiamma il candelo». + +Non fur più tosto dentro a me venute +queste parole brievi, ch’io compresi +me sormontar di sopr’ a mia virtute; + +e di novella vista mi raccesi +tale, che nulla luce è tanto mera, +che li occhi miei non si fosser difesi; + +e vidi lume in forma di rivera +fulvido di fulgore, intra due rive +dipinte di mirabil primavera. + +Di tal fiumana uscian faville vive, +e d’ogne parte si mettien ne’ fiori, +quasi rubin che oro circunscrive; + +poi, come inebrïate da li odori, +riprofondavan sé nel miro gurge, +e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. + +«L’alto disio che mo t’infiamma e urge, +d’aver notizia di ciò che tu vei, +tanto mi piace più quanto più turge; + +ma di quest’ acqua convien che tu bei +prima che tanta sete in te si sazi»: +così mi disse il sol de li occhi miei. + +Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi +ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe +son di lor vero umbriferi prefazi. + +Non che da sé sian queste cose acerbe; +ma è difetto da la parte tua, +che non hai viste ancor tanto superbe». + +Non è fantin che sì sùbito rua +col volto verso il latte, se si svegli +molto tardato da l’usanza sua, + +come fec’ io, per far migliori spegli +ancor de li occhi, chinandomi a l’onda +che si deriva perché vi s’immegli; + +e sì come di lei bevve la gronda +de le palpebre mie, così mi parve +di sua lunghezza divenuta tonda. + +Poi, come gente stata sotto larve, +che pare altro che prima, se si sveste +la sembianza non süa in che disparve, + +così mi si cambiaro in maggior feste +li fiori e le faville, sì ch’io vidi +ambo le corti del ciel manifeste. + +O isplendor di Dio, per cu’ io vidi +l’alto trïunfo del regno verace, +dammi virtù a dir com’ ïo il vidi! + +Lume è là sù che visibile face +lo creatore a quella creatura +che solo in lui vedere ha la sua pace. + +E’ si distende in circular figura, +in tanto che la sua circunferenza +sarebbe al sol troppo larga cintura. + +Fassi di raggio tutta sua parvenza +reflesso al sommo del mobile primo, +che prende quindi vivere e potenza. + +E come clivo in acqua di suo imo +si specchia, quasi per vedersi addorno, +quando è nel verde e ne’ fioretti opimo, + +sì, soprastando al lume intorno intorno, +vidi specchiarsi in più di mille soglie +quanto di noi là sù fatto ha ritorno. + +E se l’infimo grado in sé raccoglie +sì grande lume, quanta è la larghezza +di questa rosa ne l’estreme foglie! + +La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza +non si smarriva, ma tutto prendeva +il quanto e ’l quale di quella allegrezza. + +Presso e lontano, lì, né pon né leva: +ché dove Dio sanza mezzo governa, +la legge natural nulla rileva. + +Nel giallo de la rosa sempiterna, +che si digrada e dilata e redole +odor di lode al sol che sempre verna, + +qual è colui che tace e dicer vole, +mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira +quanto è ’l convento de le bianche stole! + +Vedi nostra città quant’ ella gira; +vedi li nostri scanni sì ripieni, +che poca gente più ci si disira. + +E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni +per la corona che già v’è sù posta, +prima che tu a queste nozze ceni, + +sederà l’alma, che fia giù agosta, +de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia +verrà in prima ch’ella sia disposta. + +La cieca cupidigia che v’ammalia +simili fatti v’ha al fantolino +che muor per fame e caccia via la balia. + +E fia prefetto nel foro divino +allora tal, che palese e coverto +non anderà con lui per un cammino. + +Ma poco poi sarà da Dio sofferto +nel santo officio; ch’el sarà detruso +là dove Simon mago è per suo merto, + +e farà quel d’Alagna intrar più giuso». + + + + +Paradiso +Canto XXXI + + +In forma dunque di candida rosa +mi si mostrava la milizia santa +che nel suo sangue Cristo fece sposa; + +ma l’altra, che volando vede e canta +la gloria di colui che la ’nnamora +e la bontà che la fece cotanta, + +sì come schiera d’ape che s’infiora +una fïata e una si ritorna +là dove suo laboro s’insapora, + +nel gran fior discendeva che s’addorna +di tante foglie, e quindi risaliva +là dove ’l süo amor sempre soggiorna. + +Le facce tutte avean di fiamma viva +e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, +che nulla neve a quel termine arriva. + +Quando scendean nel fior, di banco in banco +porgevan de la pace e de l’ardore +ch’elli acquistavan ventilando il fianco. + +Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore +di tanta moltitudine volante +impediva la vista e lo splendore: + +ché la luce divina è penetrante +per l’universo secondo ch’è degno, +sì che nulla le puote essere ostante. + +Questo sicuro e gaudïoso regno, +frequente in gente antica e in novella, +viso e amore avea tutto ad un segno. + +O trina luce che ’n unica stella +scintillando a lor vista, sì li appaga! +guarda qua giuso a la nostra procella! + +Se i barbari, venendo da tal plaga +che ciascun giorno d’Elice si cuopra, +rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, + +veggendo Roma e l’ardüa sua opra, +stupefaciensi, quando Laterano +a le cose mortali andò di sopra; + +ïo, che al divino da l’umano, +a l’etterno dal tempo era venuto, +e di Fiorenza in popol giusto e sano, + +di che stupor dovea esser compiuto! +Certo tra esso e ’l gaudio mi facea +libito non udire e starmi muto. + +E quasi peregrin che si ricrea +nel tempio del suo voto riguardando, +e spera già ridir com’ ello stea, + +su per la viva luce passeggiando, +menava ïo li occhi per li gradi, +mo sù, mo giù e mo recirculando. + +Vedëa visi a carità süadi, +d’altrui lume fregiati e di suo riso, +e atti ornati di tutte onestadi. + +La forma general di paradiso +già tutta mïo sguardo avea compresa, +in nulla parte ancor fermato fiso; + +e volgeami con voglia rïaccesa +per domandar la mia donna di cose +di che la mente mia era sospesa. + +Uno intendëa, e altro mi rispuose: +credea veder Beatrice e vidi un sene +vestito con le genti glorïose. + +Diffuso era per li occhi e per le gene +di benigna letizia, in atto pio +quale a tenero padre si convene. + +E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io. +Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro +mosse Beatrice me del loco mio; + +e se riguardi sù nel terzo giro +dal sommo grado, tu la rivedrai +nel trono che suoi merti le sortiro». + +Sanza risponder, li occhi sù levai, +e vidi lei che si facea corona +reflettendo da sé li etterni rai. + +Da quella regïon che più sù tona +occhio mortale alcun tanto non dista, +qualunque in mare più giù s’abbandona, + +quanto lì da Beatrice la mia vista; +ma nulla mi facea, ché süa effige +non discendëa a me per mezzo mista. + +«O donna in cui la mia speranza vige, +e che soffristi per la mia salute +in inferno lasciar le tue vestige, + +di tante cose quant’ i’ ho vedute, +dal tuo podere e da la tua bontate +riconosco la grazia e la virtute. + +Tu m’hai di servo tratto a libertate +per tutte quelle vie, per tutt’ i modi +che di ciò fare avei la potestate. + +La tua magnificenza in me custodi, +sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana, +piacente a te dal corpo si disnodi». + +Così orai; e quella, sì lontana +come parea, sorrise e riguardommi; +poi si tornò a l’etterna fontana. + +E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi +perfettamente», disse, «il tuo cammino, +a che priego e amor santo mandommi, + +vola con li occhi per questo giardino; +ché veder lui t’acconcerà lo sguardo +più al montar per lo raggio divino. + +E la regina del cielo, ond’ ïo ardo +tutto d’amor, ne farà ogne grazia, +però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». + +Qual è colui che forse di Croazia +viene a veder la Veronica nostra, +che per l’antica fame non sen sazia, + +ma dice nel pensier, fin che si mostra: +‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, +or fu sì fatta la sembianza vostra?’; + +tal era io mirando la vivace +carità di colui che ’n questo mondo, +contemplando, gustò di quella pace. + +«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo», +cominciò elli, «non ti sarà noto, +tenendo li occhi pur qua giù al fondo; + +ma guarda i cerchi infino al più remoto, +tanto che veggi seder la regina +cui questo regno è suddito e devoto». + +Io levai li occhi; e come da mattina +la parte orïental de l’orizzonte +soverchia quella dove ’l sol declina, + +così, quasi di valle andando a monte +con li occhi, vidi parte ne lo stremo +vincer di lume tutta l’altra fronte. + +E come quivi ove s’aspetta il temo +che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, +e quinci e quindi il lume si fa scemo, + +così quella pacifica oriafiamma +nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte +per igual modo allentava la fiamma; + +e a quel mezzo, con le penne sparte, +vid’ io più di mille angeli festanti, +ciascun distinto di fulgore e d’arte. + +Vidi a lor giochi quivi e a lor canti +ridere una bellezza, che letizia +era ne li occhi a tutti li altri santi; + +e s’io avessi in dir tanta divizia +quanta ad imaginar, non ardirei +lo minimo tentar di sua delizia. + +Bernardo, come vide li occhi miei +nel caldo suo caler fissi e attenti, +li suoi con tanto affetto volse a lei, + +che ’ miei di rimirar fé più ardenti. + + + + +Paradiso +Canto XXXII + + +Affetto al suo piacer, quel contemplante +libero officio di dottore assunse, +e cominciò queste parole sante: + +«La piaga che Maria richiuse e unse, +quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi +è colei che l’aperse e che la punse. + +Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, +siede Rachel di sotto da costei +con Bëatrice, sì come tu vedi. + +Sarra e Rebecca, Iudìt e colei +che fu bisava al cantor che per doglia +del fallo disse ‘Miserere mei’, + +puoi tu veder così di soglia in soglia +giù digradar, com’ io ch’a proprio nome +vo per la rosa giù di foglia in foglia. + +E dal settimo grado in giù, sì come +infino ad esso, succedono Ebree, +dirimendo del fior tutte le chiome; + +perché, secondo lo sguardo che fée +la fede in Cristo, queste sono il muro +a che si parton le sacre scalee. + +Da questa parte onde ’l fiore è maturo +di tutte le sue foglie, sono assisi +quei che credettero in Cristo venturo; + +da l’altra parte onde sono intercisi +di vòti i semicirculi, si stanno +quei ch’a Cristo venuto ebber li visi. + +E come quinci il glorïoso scanno +de la donna del cielo e li altri scanni +di sotto lui cotanta cerna fanno, + +così di contra quel del gran Giovanni, +che sempre santo ’l diserto e ’l martiro +sofferse, e poi l’inferno da due anni; + +e sotto lui così cerner sortiro +Francesco, Benedetto e Augustino +e altri fin qua giù di giro in giro. + +Or mira l’alto proveder divino: +ché l’uno e l’altro aspetto de la fede +igualmente empierà questo giardino. + +E sappi che dal grado in giù che fiede +a mezzo il tratto le due discrezioni, +per nullo proprio merito si siede, + +ma per l’altrui, con certe condizioni: +ché tutti questi son spiriti ascolti +prima ch’avesser vere elezïoni. + +Ben te ne puoi accorger per li volti +e anche per le voci püerili, +se tu li guardi bene e se li ascolti. + +Or dubbi tu e dubitando sili; +ma io discioglierò ’l forte legame +in che ti stringon li pensier sottili. + +Dentro a l’ampiezza di questo reame +casüal punto non puote aver sito, +se non come tristizia o sete o fame: + +ché per etterna legge è stabilito +quantunque vedi, sì che giustamente +ci si risponde da l’anello al dito; + +e però questa festinata gente +a vera vita non è sine causa +intra sé qui più e meno eccellente. + +Lo rege per cui questo regno pausa +in tanto amore e in tanto diletto, +che nulla volontà è di più ausa, + +le menti tutte nel suo lieto aspetto +creando, a suo piacer di grazia dota +diversamente; e qui basti l’effetto. + +E ciò espresso e chiaro vi si nota +ne la Scrittura santa in quei gemelli +che ne la madre ebber l’ira commota. + +Però, secondo il color d’i capelli, +di cotal grazia l’altissimo lume +degnamente convien che s’incappelli. + +Dunque, sanza mercé di lor costume, +locati son per gradi differenti, +sol differendo nel primiero acume. + +Bastavasi ne’ secoli recenti +con l’innocenza, per aver salute, +solamente la fede d’i parenti; + +poi che le prime etadi fuor compiute, +convenne ai maschi a l’innocenti penne +per circuncidere acquistar virtute; + +ma poi che ’l tempo de la grazia venne, +sanza battesmo perfetto di Cristo +tale innocenza là giù si ritenne. + +Riguarda omai ne la faccia che a Cristo +più si somiglia, ché la sua chiarezza +sola ti può disporre a veder Cristo». + +Io vidi sopra lei tanta allegrezza +piover, portata ne le menti sante +create a trasvolar per quella altezza, + +che quantunque io avea visto davante, +di tanta ammirazion non mi sospese, +né mi mostrò di Dio tanto sembiante; + +e quello amor che primo lì discese, +cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’, +dinanzi a lei le sue ali distese. + +Rispuose a la divina cantilena +da tutte parti la beata corte, +sì ch’ogne vista sen fé più serena. + +«O santo padre, che per me comporte +l’esser qua giù, lasciando il dolce loco +nel qual tu siedi per etterna sorte, + +qual è quell’ angel che con tanto gioco +guarda ne li occhi la nostra regina, +innamorato sì che par di foco?». + +Così ricorsi ancora a la dottrina +di colui ch’abbelliva di Maria, +come del sole stella mattutina. + +Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria +quant’ esser puote in angelo e in alma, +tutta è in lui; e sì volem che sia, + +perch’ elli è quelli che portò la palma +giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio +carcar si volse de la nostra salma. + +Ma vieni omai con li occhi sì com’ io +andrò parlando, e nota i gran patrici +di questo imperio giustissimo e pio. + +Quei due che seggon là sù più felici +per esser propinquissimi ad Agusta, +son d’esta rosa quasi due radici: + +colui che da sinistra le s’aggiusta +è il padre per lo cui ardito gusto +l’umana specie tanto amaro gusta; + +dal destro vedi quel padre vetusto +di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi +raccomandò di questo fior venusto. + +E quei che vide tutti i tempi gravi, +pria che morisse, de la bella sposa +che s’acquistò con la lancia e coi clavi, + +siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa +quel duca sotto cui visse di manna +la gente ingrata, mobile e retrosa. + +Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, +tanto contenta di mirar sua figlia, +che non move occhio per cantare osanna; + +e contro al maggior padre di famiglia +siede Lucia, che mosse la tua donna +quando chinavi, a rovinar, le ciglia. + +Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna, +qui farem punto, come buon sartore +che com’ elli ha del panno fa la gonna; + +e drizzeremo li occhi al primo amore, +sì che, guardando verso lui, penètri +quant’ è possibil per lo suo fulgore. + +Veramente, ne forse tu t’arretri +movendo l’ali tue, credendo oltrarti, +orando grazia conven che s’impetri + +grazia da quella che puote aiutarti; +e tu mi seguirai con l’affezione, +sì che dal dicer mio lo cor non parti». + +E cominciò questa santa orazione: + + + + +Paradiso +Canto XXXIII + + +«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, +umile e alta più che creatura, +termine fisso d’etterno consiglio, + +tu se’ colei che l’umana natura +nobilitasti sì, che ’l suo fattore +non disdegnò di farsi sua fattura. + +Nel ventre tuo si raccese l’amore, +per lo cui caldo ne l’etterna pace +così è germinato questo fiore. + +Qui se’ a noi meridïana face +di caritate, e giuso, intra ’ mortali, +se’ di speranza fontana vivace. + +Donna, se’ tanto grande e tanto vali, +che qual vuol grazia e a te non ricorre, +sua disïanza vuol volar sanz’ ali. + +La tua benignità non pur soccorre +a chi domanda, ma molte fïate +liberamente al dimandar precorre. + +In te misericordia, in te pietate, +in te magnificenza, in te s’aduna +quantunque in creatura è di bontate. + +Or questi, che da l’infima lacuna +de l’universo infin qui ha vedute +le vite spiritali ad una ad una, + +supplica a te, per grazia, di virtute +tanto, che possa con li occhi levarsi +più alto verso l’ultima salute. + +E io, che mai per mio veder non arsi +più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi +ti porgo, e priego che non sieno scarsi, + +perché tu ogne nube li disleghi +di sua mortalità co’ prieghi tuoi, +sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. + +Ancor ti priego, regina, che puoi +ciò che tu vuoli, che conservi sani, +dopo tanto veder, li affetti suoi. + +Vinca tua guardia i movimenti umani: +vedi Beatrice con quanti beati +per li miei prieghi ti chiudon le mani!». + +Li occhi da Dio diletti e venerati, +fissi ne l’orator, ne dimostraro +quanto i devoti prieghi le son grati; + +indi a l’etterno lume s’addrizzaro, +nel qual non si dee creder che s’invii +per creatura l’occhio tanto chiaro. + +E io ch’al fine di tutt’ i disii +appropinquava, sì com’ io dovea, +l’ardor del desiderio in me finii. + +Bernardo m’accennava, e sorridea, +perch’ io guardassi suso; ma io era +già per me stesso tal qual ei volea: + +ché la mia vista, venendo sincera, +e più e più intrava per lo raggio +de l’alta luce che da sé è vera. + +Da quinci innanzi il mio veder fu maggio +che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, +e cede la memoria a tanto oltraggio. + +Qual è colüi che sognando vede, +che dopo ’l sogno la passione impressa +rimane, e l’altro a la mente non riede, + +cotal son io, ché quasi tutta cessa +mia visïone, e ancor mi distilla +nel core il dolce che nacque da essa. + +Così la neve al sol si disigilla; +così al vento ne le foglie levi +si perdea la sentenza di Sibilla. + +O somma luce che tanto ti levi +da’ concetti mortali, a la mia mente +ripresta un poco di quel che parevi, + +e fa la lingua mia tanto possente, +ch’una favilla sol de la tua gloria +possa lasciare a la futura gente; + +ché, per tornare alquanto a mia memoria +e per sonare un poco in questi versi, +più si conceperà di tua vittoria. + +Io credo, per l’acume ch’io soffersi +del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito, +se li occhi miei da lui fossero aversi. + +E’ mi ricorda ch’io fui più ardito +per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi +l’aspetto mio col valore infinito. + +Oh abbondante grazia ond’ io presunsi +ficcar lo viso per la luce etterna, +tanto che la veduta vi consunsi! + +Nel suo profondo vidi che s’interna, +legato con amore in un volume, +ciò che per l’universo si squaderna: + +sustanze e accidenti e lor costume +quasi conflati insieme, per tal modo +che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. + +La forma universal di questo nodo +credo ch’i’ vidi, perché più di largo, +dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. + +Un punto solo m’è maggior letargo +che venticinque secoli a la ’mpresa +che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. + +Così la mente mia, tutta sospesa, +mirava fissa, immobile e attenta, +e sempre di mirar faceasi accesa. + +A quella luce cotal si diventa, +che volgersi da lei per altro aspetto +è impossibil che mai si consenta; + +però che ’l ben, ch’è del volere obietto, +tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella +è defettivo ciò ch’è lì perfetto. + +Omai sarà più corta mia favella, +pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante +che bagni ancor la lingua a la mammella. + +Non perché più ch’un semplice sembiante +fosse nel vivo lume ch’io mirava, +che tal è sempre qual s’era davante; + +ma per la vista che s’avvalorava +in me guardando, una sola parvenza, +mutandom’ io, a me si travagliava. + +Ne la profonda e chiara sussistenza +de l’alto lume parvermi tre giri +di tre colori e d’una contenenza; + +e l’un da l’altro come iri da iri +parea reflesso, e ’l terzo parea foco +che quinci e quindi igualmente si spiri. + +Oh quanto è corto il dire e come fioco +al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, +è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. + +O luce etterna che sola in te sidi, +sola t’intendi, e da te intelletta +e intendente te ami e arridi! + +Quella circulazion che sì concetta +pareva in te come lume reflesso, +da li occhi miei alquanto circunspetta, + +dentro da sé, del suo colore stesso, +mi parve pinta de la nostra effige: +per che ’l mio viso in lei tutto era messo. + +Qual è ’l geomètra che tutto s’affige +per misurar lo cerchio, e non ritrova, +pensando, quel principio ond’ elli indige, + +tal era io a quella vista nova: +veder voleva come si convenne +l’imago al cerchio e come vi s’indova; + +ma non eran da ciò le proprie penne: +se non che la mia mente fu percossa +da un fulgore in che sua voglia venne. + +A l’alta fantasia qui mancò possa; +ma già volgeva il mio disio e ’l velle, +sì come rota ch’igualmente è mossa, + +l’amor che move il sole e l’altre stelle. + + + + +*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA *** + +***** This file should be named 999-0.txt or 999-0.zip ***** +This and all associated files of various formats will be found in: + https://www.gutenberg.org/9/9/999/ + +Updated editions will replace the previous one--the old editions will +be renamed. + +Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright +law means that no one owns a United States copyright in these works, +so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the +United States without permission and without paying copyright +royalties. 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It +exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations +from people in all walks of life. + +Volunteers and financial support to provide volunteers with the +assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's +goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will +remain freely available for generations to come. In 2001, the Project +Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure +and permanent future for Project Gutenberg-tm and future +generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary +Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see +Sections 3 and 4 and the Foundation information page at +www.gutenberg.org + +Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary +Archive Foundation + +The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit +501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the +state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal +Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification +number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary +Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by +U.S. federal laws and your state's laws. + +The Foundation's business office is located at 809 North 1500 West, +Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up +to date contact information can be found at the Foundation's website +and official page at www.gutenberg.org/contact + +Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg +Literary Archive Foundation + +Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without +widespread public support and donations to carry out its mission of +increasing the number of public domain and licensed works that can be +freely distributed in machine-readable form accessible by the widest +array of equipment including outdated equipment. Many small donations +($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt +status with the IRS. + +The Foundation is committed to complying with the laws regulating +charities and charitable donations in all 50 states of the United +States. Compliance requirements are not uniform and it takes a +considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up +with these requirements. We do not solicit donations in locations +where we have not received written confirmation of compliance. 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Hart was the originator of the Project +Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be +freely shared with anyone. For forty years, he produced and +distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of +volunteer support. + +Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed +editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in +the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not +necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper +edition. + +Most people start at our website which has the main PG search +facility: www.gutenberg.org + +This website includes information about Project Gutenberg-tm, +including how to make donations to the Project Gutenberg Literary +Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to +subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. + + diff --git a/999-0.zip b/999-0.zip Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..9c376c0 --- /dev/null +++ b/999-0.zip diff --git a/999-h.zip b/999-h.zip Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..16369f9 --- /dev/null +++ b/999-h.zip diff --git a/999-h/999-h.htm b/999-h/999-h.htm new file mode 100644 index 0000000..f4cdde4 --- /dev/null +++ b/999-h/999-h.htm @@ -0,0 +1,10546 @@ +<!DOCTYPE html PUBLIC "-//W3C//DTD XHTML 1.0 Strict//EN" +"http://www.w3.org/TR/xhtml1/DTD/xhtml1-strict.dtd"> +<html xmlns="http://www.w3.org/1999/xhtml" xml:lang="it" lang="it"> +<head> +<meta http-equiv="Content-Type" content="text/html;charset=utf-8" /> +<meta http-equiv="Content-Style-Type" content="text/css" /> +<title>The Project Gutenberg eBook of La Divina Commedia di Dante: Paradiso, by Dante Alighieri +</title> + +<style type="text/css"> + +body { margin-left: 20%; + margin-right: 20%; + text-align: justify } + +h1, h2, h3, h4, h5 {text-align: center; font-style: normal; font-weight: +normal; line-height: 1.5; margin-top: .5em; margin-bottom: .5em;} + +h1 {font-size: 300%; + margin-top: 0.6em; + margin-bottom: 0.6em; + letter-spacing: 0.12em; + word-spacing: 0.2em; + text-indent: 0em;} +h2 {font-size: 150%; margin-top: 2em; margin-bottom: 1em;} +h3 {font-size: 130%; margin-top: 1em;} +h4 {font-size: 120%;} +h5 {font-size: 110%;} + +.no-break {page-break-before: avoid;} /* for epubs */ + +div.chapter {page-break-before: always; margin-top: 4em;} + +hr {width: 80%; margin-top: 2em; margin-bottom: 2em;} + +p {text-indent: 0% } + +a:link {color:blue; text-decoration:none} +a:visited {color:blue; text-decoration:none} +a:hover {color:red} + +</style> + +</head> + +<body> + +<div style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold;'>The Project Gutenberg eBook of La Divina Commedia di Dante: Paradiso, by Dante Alighieri</div> +<div style='display:block; margin:1em 0'> +This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and +most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions +whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms +of the Project Gutenberg License included with this eBook or online +at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you +are not located in the United States, you will have to check the laws of the +country where you are located before using this eBook. +</div> +<div style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: La Divina Commedia di Dante<br /> +Paradiso</div> +<div style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Dante Alighieri</div> +<div style='display:block;margin:1em 0'>Release Date: August, 1997 [eBook #999]<br /> +[Most recently updated: April 25, 2021]</div> +<div style='display:block;margin:1em 0'>Language: Italian</div> +<div style='display:block;margin:1em 0'>Character set encoding: UTF-8</div> +<div style='margin-top:2em;margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA ***</div> + +<h1>LA DIVINA COMMEDIA</h1> + +<h2 class="no-break">di Dante Alighieri</h2> + +<h3>CANTICA III: PARADISO</h3> + +<hr /> + +<h2>Contents</h2> + +<table summary="" style=""> + +<tr> +<td> <a href="#paradiso"><b>PARADISO</b></a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto68">Canto I. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto69">Canto II. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto70">Canto III. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto71">Canto IV. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto72">Canto V. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto73">Canto VI. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto74">Canto VII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto75">Canto VIII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto76">Canto IX. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto77">Canto X. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto78">Canto XI. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto79">Canto XII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto80">Canto XIII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto81">Canto XIV. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto82">Canto XV. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto83">Canto XVI. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto84">Canto XVII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto85">Canto XVIII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto86">Canto XIX. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto87">Canto XX. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto88">Canto XXI. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto89">Canto XXII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto90">Canto XXIII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto91">Canto XXIV. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto92">Canto XXV. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto93">Canto XXVI. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto94">Canto XXVII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto95">Canto XXVIII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto96">Canto XXIX. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto97">Canto XXX. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto98">Canto XXXI. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto99">Canto XXXII. </a></td> +</tr> + +<tr> +<td> <a href="#canto100">Canto XXXIII. </a><br /><br /></td> +</tr> + +</table> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="paradiso"></a>PARADISO</h2> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto68"></a> +Paradiso<br /> +Canto I +</h2> + +<p> +La gloria di colui che tutto move<br /> +per l’universo penetra, e risplende<br /> +in una parte più e meno altrove. +</p> + +<p> +Nel ciel che più de la sua luce prende<br /> +fu’ io, e vidi cose che ridire<br /> +né sa né può chi di là sù discende; +</p> + +<p> +perché appressando sé al suo disire,<br /> +nostro intelletto si profonda tanto,<br /> +che dietro la memoria non può ire. +</p> + +<p> +Veramente quant’ io del regno santo<br /> +ne la mia mente potei far tesoro,<br /> +sarà ora materia del mio canto. +</p> + +<p> +O buono Appollo, a l’ultimo lavoro<br /> +fammi del tuo valor sì fatto vaso,<br /> +come dimandi a dar l’amato alloro. +</p> + +<p> +Infino a qui l’un giogo di Parnaso<br /> +assai mi fu; ma or con amendue<br /> +m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. +</p> + +<p> +Entra nel petto mio, e spira tue<br /> +sì come quando Marsïa traesti<br /> +de la vagina de le membra sue. +</p> + +<p> +O divina virtù, se mi ti presti<br /> +tanto che l’ombra del beato regno<br /> +segnata nel mio capo io manifesti, +</p> + +<p> +vedra’mi al piè del tuo diletto legno<br /> +venire, e coronarmi de le foglie<br /> +che la materia e tu mi farai degno. +</p> + +<p> +Sì rade volte, padre, se ne coglie<br /> +per trïunfare o cesare o poeta,<br /> +colpa e vergogna de l’umane voglie, +</p> + +<p> +che parturir letizia in su la lieta<br /> +delfica deïtà dovria la fronda<br /> +peneia, quando alcun di sé asseta. +</p> + +<p> +Poca favilla gran fiamma seconda:<br /> +forse di retro a me con miglior voci<br /> +si pregherà perché Cirra risponda. +</p> + +<p> +Surge ai mortali per diverse foci<br /> +la lucerna del mondo; ma da quella<br /> +che quattro cerchi giugne con tre croci, +</p> + +<p> +con miglior corso e con migliore stella<br /> +esce congiunta, e la mondana cera<br /> +più a suo modo tempera e suggella. +</p> + +<p> +Fatto avea di là mane e di qua sera<br /> +tal foce, e quasi tutto era là bianco<br /> +quello emisperio, e l’altra parte nera, +</p> + +<p> +quando Beatrice in sul sinistro fianco<br /> +vidi rivolta e riguardar nel sole:<br /> +aguglia sì non li s’affisse unquanco. +</p> + +<p> +E sì come secondo raggio suole<br /> +uscir del primo e risalire in suso,<br /> +pur come pelegrin che tornar vuole, +</p> + +<p> +così de l’atto suo, per li occhi infuso<br /> +ne l’imagine mia, il mio si fece,<br /> +e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso. +</p> + +<p> +Molto è licito là, che qui non lece<br /> +a le nostre virtù, mercé del loco<br /> +fatto per proprio de l’umana spece. +</p> + +<p> +Io nol soffersi molto, né sì poco,<br /> +ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,<br /> +com’ ferro che bogliente esce del foco; +</p> + +<p> +e di sùbito parve giorno a giorno<br /> +essere aggiunto, come quei che puote<br /> +avesse il ciel d’un altro sole addorno. +</p> + +<p> +Beatrice tutta ne l’etterne rote<br /> +fissa con li occhi stava; e io in lei<br /> +le luci fissi, di là sù rimote. +</p> + +<p> +Nel suo aspetto tal dentro mi fei,<br /> +qual si fé Glauco nel gustar de l’erba<br /> +che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. +</p> + +<p> +Trasumanar significar per verba<br /> +non si poria; però l’essemplo basti<br /> +a cui esperïenza grazia serba. +</p> + +<p> +S’i’ era sol di me quel che creasti<br /> +novellamente, amor che ’l ciel governi,<br /> +tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. +</p> + +<p> +Quando la rota che tu sempiterni<br /> +desiderato, a sé mi fece atteso<br /> +con l’armonia che temperi e discerni, +</p> + +<p> +parvemi tanto allor del cielo acceso<br /> +de la fiamma del sol, che pioggia o fiume<br /> +lago non fece alcun tanto disteso. +</p> + +<p> +La novità del suono e ’l grande lume<br /> +di lor cagion m’accesero un disio<br /> +mai non sentito di cotanto acume. +</p> + +<p> +Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,<br /> +a quïetarmi l’animo commosso,<br /> +pria ch’io a dimandar, la bocca aprio +</p> + +<p> +e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso<br /> +col falso imaginar, sì che non vedi<br /> +ciò che vedresti se l’avessi scosso. +</p> + +<p> +Tu non se’ in terra, sì come tu credi;<br /> +ma folgore, fuggendo il proprio sito,<br /> +non corse come tu ch’ad esso riedi». +</p> + +<p> +S’io fui del primo dubbio disvestito<br /> +per le sorrise parolette brevi,<br /> +dentro ad un nuovo più fu’ inretito +</p> + +<p> +e dissi: «Già contento requïevi<br /> +di grande ammirazion; ma ora ammiro<br /> +com’ io trascenda questi corpi levi». +</p> + +<p> +Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro,<br /> +li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante<br /> +che madre fa sovra figlio deliro, +</p> + +<p> +e cominciò: «Le cose tutte quante<br /> +hanno ordine tra loro, e questo è forma<br /> +che l’universo a Dio fa simigliante. +</p> + +<p> +Qui veggion l’alte creature l’orma<br /> +de l’etterno valore, il qual è fine<br /> +al quale è fatta la toccata norma. +</p> + +<p> +Ne l’ordine ch’io dico sono accline<br /> +tutte nature, per diverse sorti,<br /> +più al principio loro e men vicine; +</p> + +<p> +onde si muovono a diversi porti<br /> +per lo gran mar de l’essere, e ciascuna<br /> +con istinto a lei dato che la porti. +</p> + +<p> +Questi ne porta il foco inver’ la luna;<br /> +questi ne’ cor mortali è permotore;<br /> +questi la terra in sé stringe e aduna; +</p> + +<p> +né pur le creature che son fore<br /> +d’intelligenza quest’ arco saetta,<br /> +ma quelle c’hanno intelletto e amore. +</p> + +<p> +La provedenza, che cotanto assetta,<br /> +del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto<br /> +nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; +</p> + +<p> +e ora lì, come a sito decreto,<br /> +cen porta la virtù di quella corda<br /> +che ciò che scocca drizza in segno lieto. +</p> + +<p> +Vero è che, come forma non s’accorda<br /> +molte fïate a l’intenzion de l’arte,<br /> +perch’ a risponder la materia è sorda, +</p> + +<p> +così da questo corso si diparte<br /> +talor la creatura, c’ha podere<br /> +di piegar, così pinta, in altra parte; +</p> + +<p> +e sì come veder si può cadere<br /> +foco di nube, sì l’impeto primo<br /> +l’atterra torto da falso piacere. +</p> + +<p> +Non dei più ammirar, se bene stimo,<br /> +lo tuo salir, se non come d’un rivo<br /> +se d’alto monte scende giuso ad imo. +</p> + +<p> +Maraviglia sarebbe in te se, privo<br /> +d’impedimento, giù ti fossi assiso,<br /> +com’ a terra quïete in foco vivo». +</p> + +<p> +Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto69"></a> +Paradiso<br /> +Canto II +</h2> + +<p> +O voi che siete in piccioletta barca,<br /> +desiderosi d’ascoltar, seguiti<br /> +dietro al mio legno che cantando varca, +</p> + +<p> +tornate a riveder li vostri liti:<br /> +non vi mettete in pelago, ché forse,<br /> +perdendo me, rimarreste smarriti. +</p> + +<p> +L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;<br /> +Minerva spira, e conducemi Appollo,<br /> +e nove Muse mi dimostran l’Orse. +</p> + +<p> +Voialtri pochi che drizzaste il collo<br /> +per tempo al pan de li angeli, del quale<br /> +vivesi qui ma non sen vien satollo, +</p> + +<p> +metter potete ben per l’alto sale<br /> +vostro navigio, servando mio solco<br /> +dinanzi a l’acqua che ritorna equale. +</p> + +<p> +Que’ glorïosi che passaro al Colco<br /> +non s’ammiraron come voi farete,<br /> +quando Iasón vider fatto bifolco. +</p> + +<p> +La concreata e perpetüa sete<br /> +del deïforme regno cen portava<br /> +veloci quasi come ’l ciel vedete. +</p> + +<p> +Beatrice in suso, e io in lei guardava;<br /> +e forse in tanto in quanto un quadrel posa<br /> +e vola e da la noce si dischiava, +</p> + +<p> +giunto mi vidi ove mirabil cosa<br /> +mi torse il viso a sé; e però quella<br /> +cui non potea mia cura essere ascosa, +</p> + +<p> +volta ver’ me, sì lieta come bella,<br /> +«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,<br /> +«che n’ha congiunti con la prima stella». +</p> + +<p> +Parev’ a me che nube ne coprisse<br /> +lucida, spessa, solida e pulita,<br /> +quasi adamante che lo sol ferisse. +</p> + +<p> +Per entro sé l’etterna margarita<br /> +ne ricevette, com’ acqua recepe<br /> +raggio di luce permanendo unita. +</p> + +<p> +S’io era corpo, e qui non si concepe<br /> +com’ una dimensione altra patio,<br /> +ch’esser convien se corpo in corpo repe, +</p> + +<p> +accender ne dovria più il disio<br /> +di veder quella essenza in che si vede<br /> +come nostra natura e Dio s’unio. +</p> + +<p> +Lì si vedrà ciò che tenem per fede,<br /> +non dimostrato, ma fia per sé noto<br /> +a guisa del ver primo che l’uom crede. +</p> + +<p> +Io rispuosi: «Madonna, sì devoto<br /> +com’ esser posso più, ringrazio lui<br /> +lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. +</p> + +<p> +Ma ditemi: che son li segni bui<br /> +di questo corpo, che là giuso in terra<br /> +fan di Cain favoleggiare altrui?». +</p> + +<p> +Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra<br /> +l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali<br /> +dove chiave di senso non diserra, +</p> + +<p> +certo non ti dovrien punger li strali<br /> +d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi<br /> +vedi che la ragione ha corte l’ali. +</p> + +<p> +Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».<br /> +E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso<br /> +credo che fanno i corpi rari e densi». +</p> + +<p> +Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso<br /> +nel falso il creder tuo, se bene ascolti<br /> +l’argomentar ch’io li farò avverso. +</p> + +<p> +La spera ottava vi dimostra molti<br /> +lumi, li quali e nel quale e nel quanto<br /> +notar si posson di diversi volti. +</p> + +<p> +Se raro e denso ciò facesser tanto,<br /> +una sola virtù sarebbe in tutti,<br /> +più e men distributa e altrettanto. +</p> + +<p> +Virtù diverse esser convegnon frutti<br /> +di princìpi formali, e quei, for ch’uno,<br /> +seguiterieno a tua ragion distrutti. +</p> + +<p> +Ancor, se raro fosse di quel bruno<br /> +cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte<br /> +fora di sua materia sì digiuno +</p> + +<p> +esto pianeto, o, sì come comparte<br /> +lo grasso e ’l magro un corpo, così questo<br /> +nel suo volume cangerebbe carte. +</p> + +<p> +Se ’l primo fosse, fora manifesto<br /> +ne l’eclissi del sol, per trasparere<br /> +lo lume come in altro raro ingesto. +</p> + +<p> +Questo non è: però è da vedere<br /> +de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,<br /> +falsificato fia lo tuo parere. +</p> + +<p> +S’elli è che questo raro non trapassi,<br /> +esser conviene un termine da onde<br /> +lo suo contrario più passar non lassi; +</p> + +<p> +e indi l’altrui raggio si rifonde<br /> +così come color torna per vetro<br /> +lo qual di retro a sé piombo nasconde. +</p> + +<p> +Or dirai tu ch’el si dimostra tetro<br /> +ivi lo raggio più che in altre parti,<br /> +per esser lì refratto più a retro. +</p> + +<p> +Da questa instanza può deliberarti<br /> +esperïenza, se già mai la provi,<br /> +ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti. +</p> + +<p> +Tre specchi prenderai; e i due rimovi<br /> +da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,<br /> +tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. +</p> + +<p> +Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso<br /> +ti stea un lume che i tre specchi accenda<br /> +e torni a te da tutti ripercosso. +</p> + +<p> +Ben che nel quanto tanto non si stenda<br /> +la vista più lontana, lì vedrai<br /> +come convien ch’igualmente risplenda. +</p> + +<p> +Or, come ai colpi de li caldi rai<br /> +de la neve riman nudo il suggetto<br /> +e dal colore e dal freddo primai, +</p> + +<p> +così rimaso te ne l’intelletto<br /> +voglio informar di luce sì vivace,<br /> +che ti tremolerà nel suo aspetto. +</p> + +<p> +Dentro dal ciel de la divina pace<br /> +si gira un corpo ne la cui virtute<br /> +l’esser di tutto suo contento giace. +</p> + +<p> +Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,<br /> +quell’ esser parte per diverse essenze,<br /> +da lui distratte e da lui contenute. +</p> + +<p> +Li altri giron per varie differenze<br /> +le distinzion che dentro da sé hanno<br /> +dispongono a lor fini e lor semenze. +</p> + +<p> +Questi organi del mondo così vanno,<br /> +come tu vedi omai, di grado in grado,<br /> +che di sù prendono e di sotto fanno. +</p> + +<p> +Riguarda bene omai sì com’ io vado<br /> +per questo loco al vero che disiri,<br /> +sì che poi sappi sol tener lo guado. +</p> + +<p> +Lo moto e la virtù d’i santi giri,<br /> +come dal fabbro l’arte del martello,<br /> +da’ beati motor convien che spiri; +</p> + +<p> +e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,<br /> +de la mente profonda che lui volve<br /> +prende l’image e fassene suggello. +</p> + +<p> +E come l’alma dentro a vostra polve<br /> +per differenti membra e conformate<br /> +a diverse potenze si risolve, +</p> + +<p> +così l’intelligenza sua bontate<br /> +multiplicata per le stelle spiega,<br /> +girando sé sovra sua unitate. +</p> + +<p> +Virtù diversa fa diversa lega<br /> +col prezïoso corpo ch’ella avviva,<br /> +nel qual, sì come vita in voi, si lega. +</p> + +<p> +Per la natura lieta onde deriva,<br /> +la virtù mista per lo corpo luce<br /> +come letizia per pupilla viva. +</p> + +<p> +Da essa vien ciò che da luce a luce<br /> +par differente, non da denso e raro;<br /> +essa è formal principio che produce, +</p> + +<p> +conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto70"></a> +Paradiso<br /> +Canto III +</h2> + +<p> +Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,<br /> +di bella verità m’avea scoverto,<br /> +provando e riprovando, il dolce aspetto; +</p> + +<p> +e io, per confessar corretto e certo<br /> +me stesso, tanto quanto si convenne<br /> +leva’ il capo a proferer più erto; +</p> + +<p> +ma visïone apparve che ritenne<br /> +a sé me tanto stretto, per vedersi,<br /> +che di mia confession non mi sovvenne. +</p> + +<p> +Quali per vetri trasparenti e tersi,<br /> +o ver per acque nitide e tranquille,<br /> +non sì profonde che i fondi sien persi, +</p> + +<p> +tornan d’i nostri visi le postille<br /> +debili sì, che perla in bianca fronte<br /> +non vien men forte a le nostre pupille; +</p> + +<p> +tali vid’ io più facce a parlar pronte;<br /> +per ch’io dentro a l’error contrario corsi<br /> +a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. +</p> + +<p> +Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,<br /> +quelle stimando specchiati sembianti,<br /> +per veder di cui fosser, li occhi torsi; +</p> + +<p> +e nulla vidi, e ritorsili avanti<br /> +dritti nel lume de la dolce guida,<br /> +che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. +</p> + +<p> +«Non ti maravigliar perch’ io sorrida»,<br /> +mi disse, «appresso il tuo püeril coto,<br /> +poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida, +</p> + +<p> +ma te rivolve, come suole, a vòto:<br /> +vere sustanze son ciò che tu vedi,<br /> +qui rilegate per manco di voto. +</p> + +<p> +Però parla con esse e odi e credi;<br /> +ché la verace luce che le appaga<br /> +da sé non lascia lor torcer li piedi». +</p> + +<p> +E io a l’ombra che parea più vaga<br /> +di ragionar, drizza’mi, e cominciai,<br /> +quasi com’ uom cui troppa voglia smaga: +</p> + +<p> +«O ben creato spirito, che a’ rai<br /> +di vita etterna la dolcezza senti<br /> +che, non gustata, non s’intende mai, +</p> + +<p> +grazïoso mi fia se mi contenti<br /> +del nome tuo e de la vostra sorte».<br /> +Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti: +</p> + +<p> +«La nostra carità non serra porte<br /> +a giusta voglia, se non come quella<br /> +che vuol simile a sé tutta sua corte. +</p> + +<p> +I’ fui nel mondo vergine sorella;<br /> +e se la mente tua ben sé riguarda,<br /> +non mi ti celerà l’esser più bella, +</p> + +<p> +ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,<br /> +che, posta qui con questi altri beati,<br /> +beata sono in la spera più tarda. +</p> + +<p> +Li nostri affetti, che solo infiammati<br /> +son nel piacer de lo Spirito Santo,<br /> +letizian del suo ordine formati. +</p> + +<p> +E questa sorte che par giù cotanto,<br /> +però n’è data, perché fuor negletti<br /> +li nostri voti, e vòti in alcun canto». +</p> + +<p> +Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti<br /> +vostri risplende non so che divino<br /> +che vi trasmuta da’ primi concetti: +</p> + +<p> +però non fui a rimembrar festino;<br /> +ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,<br /> +sì che raffigurar m’è più latino. +</p> + +<p> +Ma dimmi: voi che siete qui felici,<br /> +disiderate voi più alto loco<br /> +per più vedere e per più farvi amici?». +</p> + +<p> +Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco;<br /> +da indi mi rispuose tanto lieta,<br /> +ch’arder parea d’amor nel primo foco: +</p> + +<p> +«Frate, la nostra volontà quïeta<br /> +virtù di carità, che fa volerne<br /> +sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. +</p> + +<p> +Se disïassimo esser più superne,<br /> +foran discordi li nostri disiri<br /> +dal voler di colui che qui ne cerne; +</p> + +<p> +che vedrai non capere in questi giri,<br /> +s’essere in carità è qui necesse,<br /> +e se la sua natura ben rimiri. +</p> + +<p> +Anzi è formale ad esto beato esse<br /> +tenersi dentro a la divina voglia,<br /> +per ch’una fansi nostre voglie stesse; +</p> + +<p> +sì che, come noi sem di soglia in soglia<br /> +per questo regno, a tutto il regno piace<br /> +com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia. +</p> + +<p> +E ’n la sua volontade è nostra pace:<br /> +ell’ è quel mare al qual tutto si move<br /> +ciò ch’ella crïa o che natura face». +</p> + +<p> +Chiaro mi fu allor come ogne dove<br /> +in cielo è paradiso, etsi la grazia<br /> +del sommo ben d’un modo non vi piove. +</p> + +<p> +Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia<br /> +e d’un altro rimane ancor la gola,<br /> +che quel si chere e di quel si ringrazia, +</p> + +<p> +così fec’ io con atto e con parola,<br /> +per apprender da lei qual fu la tela<br /> +onde non trasse infino a co la spuola. +</p> + +<p> +«Perfetta vita e alto merto inciela<br /> +donna più sù», mi disse, «a la cui norma<br /> +nel vostro mondo giù si veste e vela, +</p> + +<p> +perché fino al morir si vegghi e dorma<br /> +con quello sposo ch’ogne voto accetta<br /> +che caritate a suo piacer conforma. +</p> + +<p> +Dal mondo, per seguirla, giovinetta<br /> +fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi<br /> +e promisi la via de la sua setta. +</p> + +<p> +Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,<br /> +fuor mi rapiron de la dolce chiostra:<br /> +Iddio si sa qual poi mia vita fusi. +</p> + +<p> +E quest’ altro splendor che ti si mostra<br /> +da la mia destra parte e che s’accende<br /> +di tutto il lume de la spera nostra, +</p> + +<p> +ciò ch’io dico di me, di sé intende;<br /> +sorella fu, e così le fu tolta<br /> +di capo l’ombra de le sacre bende. +</p> + +<p> +Ma poi che pur al mondo fu rivolta<br /> +contra suo grado e contra buona usanza,<br /> +non fu dal vel del cor già mai disciolta. +</p> + +<p> +Quest’ è la luce de la gran Costanza<br /> +che del secondo vento di Soave<br /> +generò ’l terzo e l’ultima possanza». +</p> + +<p> +Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,<br /> +Maria’ cantando, e cantando vanio<br /> +come per acqua cupa cosa grave. +</p> + +<p> +La vista mia, che tanto lei seguio<br /> +quanto possibil fu, poi che la perse,<br /> +volsesi al segno di maggior disio, +</p> + +<p> +e a Beatrice tutta si converse;<br /> +ma quella folgorò nel mïo sguardo<br /> +sì che da prima il viso non sofferse; +</p> + +<p> +e ciò mi fece a dimandar più tardo. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto71"></a> +Paradiso<br /> +Canto IV +</h2> + +<p> +Intra due cibi, distanti e moventi<br /> +d’un modo, prima si morria di fame,<br /> +che liber’ omo l’un recasse ai denti; +</p> + +<p> +sì si starebbe un agno intra due brame<br /> +di fieri lupi, igualmente temendo;<br /> +sì si starebbe un cane intra due dame: +</p> + +<p> +per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,<br /> +da li miei dubbi d’un modo sospinto,<br /> +poi ch’era necessario, né commendo. +</p> + +<p> +Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto<br /> +m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,<br /> +più caldo assai che per parlar distinto. +</p> + +<p> +Fé sì Beatrice qual fé Danïello,<br /> +Nabuccodonosor levando d’ira,<br /> +che l’avea fatto ingiustamente fello; +</p> + +<p> +e disse: «Io veggio ben come ti tira<br /> +uno e altro disio, sì che tua cura<br /> +sé stessa lega sì che fuor non spira. +</p> + +<p> +Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura,<br /> +la vïolenza altrui per qual ragione<br /> +di meritar mi scema la misura?”. +</p> + +<p> +Ancor di dubitar ti dà cagione<br /> +parer tornarsi l’anime a le stelle,<br /> +secondo la sentenza di Platone. +</p> + +<p> +Queste son le question che nel tuo velle<br /> +pontano igualmente; e però pria<br /> +tratterò quella che più ha di felle. +</p> + +<p> +D’i Serafin colui che più s’india,<br /> +Moïsè, Samuel, e quel Giovanni<br /> +che prender vuoli, io dico, non Maria, +</p> + +<p> +non hanno in altro cielo i loro scanni<br /> +che questi spirti che mo t’appariro,<br /> +né hanno a l’esser lor più o meno anni; +</p> + +<p> +ma tutti fanno bello il primo giro,<br /> +e differentemente han dolce vita<br /> +per sentir più e men l’etterno spiro. +</p> + +<p> +Qui si mostraro, non perché sortita<br /> +sia questa spera lor, ma per far segno<br /> +de la celestïal c’ha men salita. +</p> + +<p> +Così parlar conviensi al vostro ingegno,<br /> +però che solo da sensato apprende<br /> +ciò che fa poscia d’intelletto degno. +</p> + +<p> +Per questo la Scrittura condescende<br /> +a vostra facultate, e piedi e mano<br /> +attribuisce a Dio e altro intende; +</p> + +<p> +e Santa Chiesa con aspetto umano<br /> +Gabrïel e Michel vi rappresenta,<br /> +e l’altro che Tobia rifece sano. +</p> + +<p> +Quel che Timeo de l’anime argomenta<br /> +non è simile a ciò che qui si vede,<br /> +però che, come dice, par che senta. +</p> + +<p> +Dice che l’alma a la sua stella riede,<br /> +credendo quella quindi esser decisa<br /> +quando natura per forma la diede; +</p> + +<p> +e forse sua sentenza è d’altra guisa<br /> +che la voce non suona, ed esser puote<br /> +con intenzion da non esser derisa. +</p> + +<p> +S’elli intende tornare a queste ruote<br /> +l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse<br /> +in alcun vero suo arco percuote. +</p> + +<p> +Questo principio, male inteso, torse<br /> +già tutto il mondo quasi, sì che Giove,<br /> +Mercurio e Marte a nominar trascorse. +</p> + +<p> +L’altra dubitazion che ti commove<br /> +ha men velen, però che sua malizia<br /> +non ti poria menar da me altrove. +</p> + +<p> +Parere ingiusta la nostra giustizia<br /> +ne li occhi d’i mortali, è argomento<br /> +di fede e non d’eretica nequizia. +</p> + +<p> +Ma perché puote vostro accorgimento<br /> +ben penetrare a questa veritate,<br /> +come disiri, ti farò contento. +</p> + +<p> +Se vïolenza è quando quel che pate<br /> +nïente conferisce a quel che sforza,<br /> +non fuor quest’ alme per essa scusate: +</p> + +<p> +ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,<br /> +ma fa come natura face in foco,<br /> +se mille volte vïolenza il torza. +</p> + +<p> +Per che, s’ella si piega assai o poco,<br /> +segue la forza; e così queste fero<br /> +possendo rifuggir nel santo loco. +</p> + +<p> +Se fosse stato lor volere intero,<br /> +come tenne Lorenzo in su la grada,<br /> +e fece Muzio a la sua man severo, +</p> + +<p> +così l’avria ripinte per la strada<br /> +ond’ eran tratte, come fuoro sciolte;<br /> +ma così salda voglia è troppo rada. +</p> + +<p> +E per queste parole, se ricolte<br /> +l’hai come dei, è l’argomento casso<br /> +che t’avria fatto noia ancor più volte. +</p> + +<p> +Ma or ti s’attraversa un altro passo<br /> +dinanzi a li occhi, tal che per te stesso<br /> +non usciresti: pria saresti lasso. +</p> + +<p> +Io t’ho per certo ne la mente messo<br /> +ch’alma beata non poria mentire,<br /> +però ch’è sempre al primo vero appresso; +</p> + +<p> +e poi potesti da Piccarda udire<br /> +che l’affezion del vel Costanza tenne;<br /> +sì ch’ella par qui meco contradire. +</p> + +<p> +Molte fïate già, frate, addivenne<br /> +che, per fuggir periglio, contra grato<br /> +si fé di quel che far non si convenne; +</p> + +<p> +come Almeone, che, di ciò pregato<br /> +dal padre suo, la propria madre spense,<br /> +per non perder pietà si fé spietato. +</p> + +<p> +A questo punto voglio che tu pense<br /> +che la forza al voler si mischia, e fanno<br /> +sì che scusar non si posson l’offense. +</p> + +<p> +Voglia assoluta non consente al danno;<br /> +ma consentevi in tanto in quanto teme,<br /> +se si ritrae, cadere in più affanno. +</p> + +<p> +Però, quando Piccarda quello spreme,<br /> +de la voglia assoluta intende, e io<br /> +de l’altra; sì che ver diciamo insieme». +</p> + +<p> +Cotal fu l’ondeggiar del santo rio<br /> +ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva;<br /> +tal puose in pace uno e altro disio. +</p> + +<p> +«O amanza del primo amante, o diva»,<br /> +diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda<br /> +e scalda sì, che più e più m’avviva, +</p> + +<p> +non è l’affezion mia tanto profonda,<br /> +che basti a render voi grazia per grazia;<br /> +ma quei che vede e puote a ciò risponda. +</p> + +<p> +Io veggio ben che già mai non si sazia<br /> +nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra<br /> +di fuor dal qual nessun vero si spazia. +</p> + +<p> +Posasi in esso, come fera in lustra,<br /> +tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:<br /> +se non, ciascun disio sarebbe frustra. +</p> + +<p> +Nasce per quello, a guisa di rampollo,<br /> +a piè del vero il dubbio; ed è natura<br /> +ch’al sommo pinge noi di collo in collo. +</p> + +<p> +Questo m’invita, questo m’assicura<br /> +con reverenza, donna, a dimandarvi<br /> +d’un’altra verità che m’è oscura. +</p> + +<p> +Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi<br /> +ai voti manchi sì con altri beni,<br /> +ch’a la vostra statera non sien parvi». +</p> + +<p> +Beatrice mi guardò con li occhi pieni<br /> +di faville d’amor così divini,<br /> +che, vinta, mia virtute diè le reni, +</p> + +<p> +e quasi mi perdei con li occhi chini. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto72"></a> +Paradiso<br /> +Canto V +</h2> + +<p> +«S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore<br /> +di là dal modo che ’n terra si vede,<br /> +sì che del viso tuo vinco il valore, +</p> + +<p> +non ti maravigliar, ché ciò procede<br /> +da perfetto veder, che, come apprende,<br /> +così nel bene appreso move il piede. +</p> + +<p> +Io veggio ben sì come già resplende<br /> +ne l’intelletto tuo l’etterna luce,<br /> +che, vista, sola e sempre amore accende; +</p> + +<p> +e s’altra cosa vostro amor seduce,<br /> +non è se non di quella alcun vestigio,<br /> +mal conosciuto, che quivi traluce. +</p> + +<p> +Tu vuo’ saper se con altro servigio,<br /> +per manco voto, si può render tanto<br /> +che l’anima sicuri di letigio». +</p> + +<p> +Sì cominciò Beatrice questo canto;<br /> +e sì com’ uom che suo parlar non spezza,<br /> +continüò così ’l processo santo: +</p> + +<p> +«Lo maggior don che Dio per sua larghezza<br /> +fesse creando, e a la sua bontate<br /> +più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, +</p> + +<p> +fu de la volontà la libertate;<br /> +di che le creature intelligenti,<br /> +e tutte e sole, fuoro e son dotate. +</p> + +<p> +Or ti parrà, se tu quinci argomenti,<br /> +l’alto valor del voto, s’è sì fatto<br /> +che Dio consenta quando tu consenti; +</p> + +<p> +ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,<br /> +vittima fassi di questo tesoro,<br /> +tal quale io dico; e fassi col suo atto. +</p> + +<p> +Dunque che render puossi per ristoro?<br /> +Se credi bene usar quel c’hai offerto,<br /> +di maltolletto vuo’ far buon lavoro. +</p> + +<p> +Tu se’ omai del maggior punto certo;<br /> +ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,<br /> +che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, +</p> + +<p> +convienti ancor sedere un poco a mensa,<br /> +però che ’l cibo rigido c’hai preso,<br /> +richiede ancora aiuto a tua dispensa. +</p> + +<p> +Apri la mente a quel ch’io ti paleso<br /> +e fermalvi entro; ché non fa scïenza,<br /> +sanza lo ritenere, avere inteso. +</p> + +<p> +Due cose si convegnono a l’essenza<br /> +di questo sacrificio: l’una è quella<br /> +di che si fa; l’altr’ è la convenenza. +</p> + +<p> +Quest’ ultima già mai non si cancella<br /> +se non servata; e intorno di lei<br /> +sì preciso di sopra si favella: +</p> + +<p> +però necessitato fu a li Ebrei<br /> +pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta<br /> +sì permutasse, come saver dei. +</p> + +<p> +L’altra, che per materia t’è aperta,<br /> +puote ben esser tal, che non si falla<br /> +se con altra materia si converta. +</p> + +<p> +Ma non trasmuti carco a la sua spalla<br /> +per suo arbitrio alcun, sanza la volta<br /> +e de la chiave bianca e de la gialla; +</p> + +<p> +e ogne permutanza credi stolta,<br /> +se la cosa dimessa in la sorpresa<br /> +come ’l quattro nel sei non è raccolta. +</p> + +<p> +Però qualunque cosa tanto pesa<br /> +per suo valor che tragga ogne bilancia,<br /> +sodisfar non si può con altra spesa. +</p> + +<p> +Non prendan li mortali il voto a ciancia;<br /> +siate fedeli, e a ciò far non bieci,<br /> +come Ieptè a la sua prima mancia; +</p> + +<p> +cui più si convenia dicer ‘Mal feci’,<br /> +che, servando, far peggio; e così stolto<br /> +ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, +</p> + +<p> +onde pianse Efigènia il suo bel volto,<br /> +e fé pianger di sé i folli e i savi<br /> +ch’udir parlar di così fatto cólto. +</p> + +<p> +Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:<br /> +non siate come penna ad ogne vento,<br /> +e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. +</p> + +<p> +Avete il novo e ’l vecchio Testamento,<br /> +e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;<br /> +questo vi basti a vostro salvamento. +</p> + +<p> +Se mala cupidigia altro vi grida,<br /> +uomini siate, e non pecore matte,<br /> +sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! +</p> + +<p> +Non fate com’ agnel che lascia il latte<br /> +de la sua madre, e semplice e lascivo<br /> +seco medesmo a suo piacer combatte!». +</p> + +<p> +Così Beatrice a me com’ ïo scrivo;<br /> +poi si rivolse tutta disïante<br /> +a quella parte ove ’l mondo è più vivo. +</p> + +<p> +Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante<br /> +puoser silenzio al mio cupido ingegno,<br /> +che già nuove questioni avea davante; +</p> + +<p> +e sì come saetta che nel segno<br /> +percuote pria che sia la corda queta,<br /> +così corremmo nel secondo regno. +</p> + +<p> +Quivi la donna mia vid’ io sì lieta,<br /> +come nel lume di quel ciel si mise,<br /> +che più lucente se ne fé ’l pianeta. +</p> + +<p> +E se la stella si cambiò e rise,<br /> +qual mi fec’ io che pur da mia natura<br /> +trasmutabile son per tutte guise! +</p> + +<p> +Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura<br /> +traggonsi i pesci a ciò che vien di fori<br /> +per modo che lo stimin lor pastura, +</p> + +<p> +sì vid’ io ben più di mille splendori<br /> +trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:<br /> +«Ecco chi crescerà li nostri amori». +</p> + +<p> +E sì come ciascuno a noi venìa,<br /> +vedeasi l’ombra piena di letizia<br /> +nel folgór chiaro che di lei uscia. +</p> + +<p> +Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia<br /> +non procedesse, come tu avresti<br /> +di più savere angosciosa carizia; +</p> + +<p> +e per te vederai come da questi<br /> +m’era in disio d’udir lor condizioni,<br /> +sì come a li occhi mi fur manifesti. +</p> + +<p> +«O bene nato a cui veder li troni<br /> +del trïunfo etternal concede grazia<br /> +prima che la milizia s’abbandoni, +</p> + +<p> +del lume che per tutto il ciel si spazia<br /> +noi semo accesi; e però, se disii<br /> +di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». +</p> + +<p> +Così da un di quelli spirti pii<br /> +detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì<br /> +sicuramente, e credi come a dii». +</p> + +<p> +«Io veggio ben sì come tu t’annidi<br /> +nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,<br /> +perch’ e’ corusca sì come tu ridi; +</p> + +<p> +ma non so chi tu se’, né perché aggi,<br /> +anima degna, il grado de la spera<br /> +che si vela a’ mortai con altrui raggi». +</p> + +<p> +Questo diss’ io diritto a la lumera<br /> +che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi<br /> +lucente più assai di quel ch’ell’ era. +</p> + +<p> +Sì come il sol che si cela elli stessi<br /> +per troppa luce, come ’l caldo ha róse<br /> +le temperanze d’i vapori spessi, +</p> + +<p> +per più letizia sì mi si nascose<br /> +dentro al suo raggio la figura santa;<br /> +e così chiusa chiusa mi rispuose +</p> + +<p> +nel modo che ’l seguente canto canta. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto73"></a> +Paradiso<br /> +Canto VI +</h2> + +<p> +«Poscia che Costantin l’aquila volse<br /> +contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio<br /> +dietro a l’antico che Lavina tolse, +</p> + +<p> +cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio<br /> +ne lo stremo d’Europa si ritenne,<br /> +vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; +</p> + +<p> +e sotto l’ombra de le sacre penne<br /> +governò ’l mondo lì di mano in mano,<br /> +e, sì cangiando, in su la mia pervenne. +</p> + +<p> +Cesare fui e son Iustinïano,<br /> +che, per voler del primo amor ch’i’ sento,<br /> +d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano. +</p> + +<p> +E prima ch’io a l’ovra fossi attento,<br /> +una natura in Cristo esser, non piùe,<br /> +credea, e di tal fede era contento; +</p> + +<p> +ma ’l benedetto Agapito, che fue<br /> +sommo pastore, a la fede sincera<br /> +mi dirizzò con le parole sue. +</p> + +<p> +Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,<br /> +vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi<br /> +ogni contradizione e falsa e vera. +</p> + +<p> +Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,<br /> +a Dio per grazia piacque di spirarmi<br /> +l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi; +</p> + +<p> +e al mio Belisar commendai l’armi,<br /> +cui la destra del ciel fu sì congiunta,<br /> +che segno fu ch’i’ dovessi posarmi. +</p> + +<p> +Or qui a la question prima s’appunta<br /> +la mia risposta; ma sua condizione<br /> +mi stringe a seguitare alcuna giunta, +</p> + +<p> +perché tu veggi con quanta ragione<br /> +si move contr’ al sacrosanto segno<br /> +e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone. +</p> + +<p> +Vedi quanta virtù l’ha fatto degno<br /> +di reverenza; e cominciò da l’ora<br /> +che Pallante morì per darli regno. +</p> + +<p> +Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora<br /> +per trecento anni e oltre, infino al fine<br /> +che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. +</p> + +<p> +E sai ch’el fé dal mal de le Sabine<br /> +al dolor di Lucrezia in sette regi,<br /> +vincendo intorno le genti vicine. +</p> + +<p> +Sai quel ch’el fé portato da li egregi<br /> +Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,<br /> +incontro a li altri principi e collegi; +</p> + +<p> +onde Torquato e Quinzio, che dal cirro<br /> +negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi<br /> +ebber la fama che volontier mirro. +</p> + +<p> +Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi<br /> +che di retro ad Anibale passaro<br /> +l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. +</p> + +<p> +Sott’ esso giovanetti trïunfaro<br /> +Scipïone e Pompeo; e a quel colle<br /> +sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. +</p> + +<p> +Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle<br /> +redur lo mondo a suo modo sereno,<br /> +Cesare per voler di Roma il tolle. +</p> + +<p> +E quel che fé da Varo infino a Reno,<br /> +Isara vide ed Era e vide Senna<br /> +e ogne valle onde Rodano è pieno. +</p> + +<p> +Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna<br /> +e saltò Rubicon, fu di tal volo,<br /> +che nol seguiteria lingua né penna. +</p> + +<p> +Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,<br /> +poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse<br /> +sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. +</p> + +<p> +Antandro e Simeonta, onde si mosse,<br /> +rivide e là dov’ Ettore si cuba;<br /> +e mal per Tolomeo poscia si scosse. +</p> + +<p> +Da indi scese folgorando a Iuba;<br /> +onde si volse nel vostro occidente,<br /> +ove sentia la pompeana tuba. +</p> + +<p> +Di quel che fé col baiulo seguente,<br /> +Bruto con Cassio ne l’inferno latra,<br /> +e Modena e Perugia fu dolente. +</p> + +<p> +Piangene ancor la trista Cleopatra,<br /> +che, fuggendoli innanzi, dal colubro<br /> +la morte prese subitana e atra. +</p> + +<p> +Con costui corse infino al lito rubro;<br /> +con costui puose il mondo in tanta pace,<br /> +che fu serrato a Giano il suo delubro. +</p> + +<p> +Ma ciò che ’l segno che parlar mi face<br /> +fatto avea prima e poi era fatturo<br /> +per lo regno mortal ch’a lui soggiace, +</p> + +<p> +diventa in apparenza poco e scuro,<br /> +se in mano al terzo Cesare si mira<br /> +con occhio chiaro e con affetto puro; +</p> + +<p> +ché la viva giustizia che mi spira,<br /> +li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,<br /> +gloria di far vendetta a la sua ira. +</p> + +<p> +Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:<br /> +poscia con Tito a far vendetta corse<br /> +de la vendetta del peccato antico. +</p> + +<p> +E quando il dente longobardo morse<br /> +la Santa Chiesa, sotto le sue ali<br /> +Carlo Magno, vincendo, la soccorse. +</p> + +<p> +Omai puoi giudicar di quei cotali<br /> +ch’io accusai di sopra e di lor falli,<br /> +che son cagion di tutti vostri mali. +</p> + +<p> +L’uno al pubblico segno i gigli gialli<br /> +oppone, e l’altro appropria quello a parte,<br /> +sì ch’è forte a veder chi più si falli. +</p> + +<p> +Faccian li Ghibellin, faccian lor arte<br /> +sott’ altro segno, ché mal segue quello<br /> +sempre chi la giustizia e lui diparte; +</p> + +<p> +e non l’abbatta esto Carlo novello<br /> +coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli<br /> +ch’a più alto leon trasser lo vello. +</p> + +<p> +Molte fïate già pianser li figli<br /> +per la colpa del padre, e non si creda<br /> +che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli! +</p> + +<p> +Questa picciola stella si correda<br /> +d’i buoni spirti che son stati attivi<br /> +perché onore e fama li succeda: +</p> + +<p> +e quando li disiri poggian quivi,<br /> +sì disvïando, pur convien che i raggi<br /> +del vero amore in sù poggin men vivi. +</p> + +<p> +Ma nel commensurar d’i nostri gaggi<br /> +col merto è parte di nostra letizia,<br /> +perché non li vedem minor né maggi. +</p> + +<p> +Quindi addolcisce la viva giustizia<br /> +in noi l’affetto sì, che non si puote<br /> +torcer già mai ad alcuna nequizia. +</p> + +<p> +Diverse voci fanno dolci note;<br /> +così diversi scanni in nostra vita<br /> +rendon dolce armonia tra queste rote. +</p> + +<p> +E dentro a la presente margarita<br /> +luce la luce di Romeo, di cui<br /> +fu l’ovra grande e bella mal gradita. +</p> + +<p> +Ma i Provenzai che fecer contra lui<br /> +non hanno riso; e però mal cammina<br /> +qual si fa danno del ben fare altrui. +</p> + +<p> +Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,<br /> +Ramondo Beringhiere, e ciò li fece<br /> +Romeo, persona umìle e peregrina. +</p> + +<p> +E poi il mosser le parole biece<br /> +a dimandar ragione a questo giusto,<br /> +che li assegnò sette e cinque per diece, +</p> + +<p> +indi partissi povero e vetusto;<br /> +e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe<br /> +mendicando sua vita a frusto a frusto, +</p> + +<p> +assai lo loda, e più lo loderebbe». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto74"></a> +Paradiso<br /> +Canto VII +</h2> + +<p> +«Osanna, sanctus Deus sabaòth,<br /> +superillustrans claritate tua<br /> +felices ignes horum malacòth!». +</p> + +<p> +Così, volgendosi a la nota sua,<br /> +fu viso a me cantare essa sustanza,<br /> +sopra la qual doppio lume s’addua; +</p> + +<p> +ed essa e l’altre mossero a sua danza,<br /> +e quasi velocissime faville<br /> +mi si velar di sùbita distanza. +</p> + +<p> +Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’<br /> +fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna<br /> +che mi diseta con le dolci stille’. +</p> + +<p> +Ma quella reverenza che s’indonna<br /> +di tutto me, pur per Be e per ice,<br /> +mi richinava come l’uom ch’assonna. +</p> + +<p> +Poco sofferse me cotal Beatrice<br /> +e cominciò, raggiandomi d’un riso<br /> +tal, che nel foco faria l’uom felice: +</p> + +<p> +«Secondo mio infallibile avviso,<br /> +come giusta vendetta giustamente<br /> +punita fosse, t’ha in pensier miso; +</p> + +<p> +ma io ti solverò tosto la mente;<br /> +e tu ascolta, ché le mie parole<br /> +di gran sentenza ti faran presente. +</p> + +<p> +Per non soffrire a la virtù che vole<br /> +freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,<br /> +dannando sé, dannò tutta sua prole; +</p> + +<p> +onde l’umana specie inferma giacque<br /> +giù per secoli molti in grande errore,<br /> +fin ch’al Verbo di Dio discender piacque +</p> + +<p> +u’ la natura, che dal suo fattore<br /> +s’era allungata, unì a sé in persona<br /> +con l’atto sol del suo etterno amore. +</p> + +<p> +Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:<br /> +questa natura al suo fattore unita,<br /> +qual fu creata, fu sincera e buona; +</p> + +<p> +ma per sé stessa pur fu ella sbandita<br /> +di paradiso, però che si torse<br /> +da via di verità e da sua vita. +</p> + +<p> +La pena dunque che la croce porse<br /> +s’a la natura assunta si misura,<br /> +nulla già mai sì giustamente morse; +</p> + +<p> +e così nulla fu di tanta ingiura,<br /> +guardando a la persona che sofferse,<br /> +in che era contratta tal natura. +</p> + +<p> +Però d’un atto uscir cose diverse:<br /> +ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;<br /> +per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. +</p> + +<p> +Non ti dee oramai parer più forte,<br /> +quando si dice che giusta vendetta<br /> +poscia vengiata fu da giusta corte. +</p> + +<p> +Ma io veggi’ or la tua mente ristretta<br /> +di pensiero in pensier dentro ad un nodo,<br /> +del qual con gran disio solver s’aspetta. +</p> + +<p> +Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;<br /> +ma perché Dio volesse, m’è occulto,<br /> +a nostra redenzion pur questo modo”. +</p> + +<p> +Questo decreto, frate, sta sepulto<br /> +a li occhi di ciascuno il cui ingegno<br /> +ne la fiamma d’amor non è adulto. +</p> + +<p> +Veramente, però ch’a questo segno<br /> +molto si mira e poco si discerne,<br /> +dirò perché tal modo fu più degno. +</p> + +<p> +La divina bontà, che da sé sperne<br /> +ogne livore, ardendo in sé, sfavilla<br /> +sì che dispiega le bellezze etterne. +</p> + +<p> +Ciò che da lei sanza mezzo distilla<br /> +non ha poi fine, perché non si move<br /> +la sua imprenta quand’ ella sigilla. +</p> + +<p> +Ciò che da essa sanza mezzo piove<br /> +libero è tutto, perché non soggiace<br /> +a la virtute de le cose nove. +</p> + +<p> +Più l’è conforme, e però più le piace;<br /> +ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,<br /> +ne la più somigliante è più vivace. +</p> + +<p> +Di tutte queste dote s’avvantaggia<br /> +l’umana creatura, e s’una manca,<br /> +di sua nobilità convien che caggia. +</p> + +<p> +Solo il peccato è quel che la disfranca<br /> +e falla dissimìle al sommo bene,<br /> +per che del lume suo poco s’imbianca; +</p> + +<p> +e in sua dignità mai non rivene,<br /> +se non rïempie, dove colpa vòta,<br /> +contra mal dilettar con giuste pene. +</p> + +<p> +Vostra natura, quando peccò tota<br /> +nel seme suo, da queste dignitadi,<br /> +come di paradiso, fu remota; +</p> + +<p> +né ricovrar potiensi, se tu badi<br /> +ben sottilmente, per alcuna via,<br /> +sanza passar per un di questi guadi: +</p> + +<p> +o che Dio solo per sua cortesia<br /> +dimesso avesse, o che l’uom per sé isso<br /> +avesse sodisfatto a sua follia. +</p> + +<p> +Ficca mo l’occhio per entro l’abisso<br /> +de l’etterno consiglio, quanto puoi<br /> +al mio parlar distrettamente fisso. +</p> + +<p> +Non potea l’uomo ne’ termini suoi<br /> +mai sodisfar, per non potere ir giuso<br /> +con umiltate obedïendo poi, +</p> + +<p> +quanto disobediendo intese ir suso;<br /> +e questa è la cagion per che l’uom fue<br /> +da poter sodisfar per sé dischiuso. +</p> + +<p> +Dunque a Dio convenia con le vie sue<br /> +riparar l’omo a sua intera vita,<br /> +dico con l’una, o ver con amendue. +</p> + +<p> +Ma perché l’ovra tanto è più gradita<br /> +da l’operante, quanto più appresenta<br /> +de la bontà del core ond’ ell’ è uscita, +</p> + +<p> +la divina bontà che ’l mondo imprenta,<br /> +di proceder per tutte le sue vie,<br /> +a rilevarvi suso, fu contenta. +</p> + +<p> +Né tra l’ultima notte e ’l primo die<br /> +sì alto o sì magnifico processo,<br /> +o per l’una o per l’altra, fu o fie: +</p> + +<p> +ché più largo fu Dio a dar sé stesso<br /> +per far l’uom sufficiente a rilevarsi,<br /> +che s’elli avesse sol da sé dimesso; +</p> + +<p> +e tutti li altri modi erano scarsi<br /> +a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio<br /> +non fosse umilïato ad incarnarsi. +</p> + +<p> +Or per empierti bene ogne disio,<br /> +ritorno a dichiararti in alcun loco,<br /> +perché tu veggi lì così com’ io. +</p> + +<p> +Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco,<br /> +l’aere e la terra e tutte lor misture<br /> +venire a corruzione, e durar poco; +</p> + +<p> +e queste cose pur furon creature;<br /> +per che, se ciò ch’è detto è stato vero,<br /> +esser dovrien da corruzion sicure”. +</p> + +<p> +Li angeli, frate, e ’l paese sincero<br /> +nel qual tu se’, dir si posson creati,<br /> +sì come sono, in loro essere intero; +</p> + +<p> +ma li alimenti che tu hai nomati<br /> +e quelle cose che di lor si fanno<br /> +da creata virtù sono informati. +</p> + +<p> +Creata fu la materia ch’elli hanno;<br /> +creata fu la virtù informante<br /> +in queste stelle che ’ntorno a lor vanno. +</p> + +<p> +L’anima d’ogne bruto e de le piante<br /> +di complession potenzïata tira<br /> +lo raggio e ’l moto de le luci sante; +</p> + +<p> +ma vostra vita sanza mezzo spira<br /> +la somma beninanza, e la innamora<br /> +di sé sì che poi sempre la disira. +</p> + +<p> +E quinci puoi argomentare ancora<br /> +vostra resurrezion, se tu ripensi<br /> +come l’umana carne fessi allora +</p> + +<p> +che li primi parenti intrambo fensi». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto75"></a> +Paradiso<br /> +Canto VIII +</h2> + +<p> +Solea creder lo mondo in suo periclo<br /> +che la bella Ciprigna il folle amore<br /> +raggiasse, volta nel terzo epiciclo; +</p> + +<p> +per che non pur a lei faceano onore<br /> +di sacrificio e di votivo grido<br /> +le genti antiche ne l’antico errore; +</p> + +<p> +ma Dïone onoravano e Cupido,<br /> +quella per madre sua, questo per figlio,<br /> +e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; +</p> + +<p> +e da costei ond’ io principio piglio<br /> +pigliavano il vocabol de la stella<br /> +che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. +</p> + +<p> +Io non m’accorsi del salire in ella;<br /> +ma d’esservi entro mi fé assai fede<br /> +la donna mia ch’i’ vidi far più bella. +</p> + +<p> +E come in fiamma favilla si vede,<br /> +e come in voce voce si discerne,<br /> +quand’ una è ferma e altra va e riede, +</p> + +<p> +vid’ io in essa luce altre lucerne<br /> +muoversi in giro più e men correnti,<br /> +al modo, credo, di lor viste interne. +</p> + +<p> +Di fredda nube non disceser venti,<br /> +o visibili o no, tanto festini,<br /> +che non paressero impediti e lenti +</p> + +<p> +a chi avesse quei lumi divini<br /> +veduti a noi venir, lasciando il giro<br /> +pria cominciato in li alti Serafini; +</p> + +<p> +e dentro a quei che più innanzi appariro<br /> +sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi<br /> +di rïudir non fui sanza disiro. +</p> + +<p> +Indi si fece l’un più presso a noi<br /> +e solo incominciò: «Tutti sem presti<br /> +al tuo piacer, perché di noi ti gioi. +</p> + +<p> +Noi ci volgiam coi principi celesti<br /> +d’un giro e d’un girare e d’una sete,<br /> +ai quali tu del mondo già dicesti: +</p> + +<p> +‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;<br /> +e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,<br /> +non fia men dolce un poco di quïete». +</p> + +<p> +Poscia che li occhi miei si fuoro offerti<br /> +a la mia donna reverenti, ed essa<br /> +fatti li avea di sé contenti e certi, +</p> + +<p> +rivolsersi a la luce che promessa<br /> +tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue<br /> +la voce mia di grande affetto impressa. +</p> + +<p> +E quanta e quale vid’ io lei far piùe<br /> +per allegrezza nova che s’accrebbe,<br /> +quando parlai, a l’allegrezze sue! +</p> + +<p> +Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe<br /> +giù poco tempo; e se più fosse stato,<br /> +molto sarà di mal, che non sarebbe. +</p> + +<p> +La mia letizia mi ti tien celato<br /> +che mi raggia dintorno e mi nasconde<br /> +quasi animal di sua seta fasciato. +</p> + +<p> +Assai m’amasti, e avesti ben onde;<br /> +che s’io fossi giù stato, io ti mostrava<br /> +di mio amor più oltre che le fronde. +</p> + +<p> +Quella sinistra riva che si lava<br /> +di Rodano poi ch’è misto con Sorga,<br /> +per suo segnore a tempo m’aspettava, +</p> + +<p> +e quel corno d’Ausonia che s’imborga<br /> +di Bari e di Gaeta e di Catona,<br /> +da ove Tronto e Verde in mare sgorga. +</p> + +<p> +Fulgeami già in fronte la corona<br /> +di quella terra che ’l Danubio riga<br /> +poi che le ripe tedesche abbandona. +</p> + +<p> +E la bella Trinacria, che caliga<br /> +tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo<br /> +che riceve da Euro maggior briga, +</p> + +<p> +non per Tifeo ma per nascente solfo,<br /> +attesi avrebbe li suoi regi ancora,<br /> +nati per me di Carlo e di Ridolfo, +</p> + +<p> +se mala segnoria, che sempre accora<br /> +li popoli suggetti, non avesse<br /> +mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. +</p> + +<p> +E se mio frate questo antivedesse,<br /> +l’avara povertà di Catalogna<br /> +già fuggeria, perché non li offendesse; +</p> + +<p> +ché veramente proveder bisogna<br /> +per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca<br /> +carcata più d’incarco non si pogna. +</p> + +<p> +La sua natura, che di larga parca<br /> +discese, avria mestier di tal milizia<br /> +che non curasse di mettere in arca». +</p> + +<p> +«Però ch’i’ credo che l’alta letizia<br /> +che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,<br /> +là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, +</p> + +<p> +per te si veggia come la vegg’ io,<br /> +grata m’è più; e anco quest’ ho caro<br /> +perché ’l discerni rimirando in Dio. +</p> + +<p> +Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,<br /> +poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso<br /> +com’ esser può, di dolce seme, amaro». +</p> + +<p> +Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso<br /> +mostrarti un vero, a quel che tu dimandi<br /> +terrai lo viso come tien lo dosso. +</p> + +<p> +Lo ben che tutto il regno che tu scandi<br /> +volge e contenta, fa esser virtute<br /> +sua provedenza in questi corpi grandi. +</p> + +<p> +E non pur le nature provedute<br /> +sono in la mente ch’è da sé perfetta,<br /> +ma esse insieme con la lor salute: +</p> + +<p> +per che quantunque quest’ arco saetta<br /> +disposto cade a proveduto fine,<br /> +sì come cosa in suo segno diretta. +</p> + +<p> +Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine<br /> +producerebbe sì li suoi effetti,<br /> +che non sarebbero arti, ma ruine; +</p> + +<p> +e ciò esser non può, se li ’ntelletti<br /> +che muovon queste stelle non son manchi,<br /> +e manco il primo, che non li ha perfetti. +</p> + +<p> +Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».<br /> +E io: «Non già; ché impossibil veggio<br /> +che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». +</p> + +<p> +Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio<br /> +per l’omo in terra, se non fosse cive?».<br /> +«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». +</p> + +<p> +«E puot’ elli esser, se giù non si vive<br /> +diversamente per diversi offici?<br /> +Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». +</p> + +<p> +Sì venne deducendo infino a quici;<br /> +poscia conchiuse: «Dunque esser diverse<br /> +convien di vostri effetti le radici: +</p> + +<p> +per ch’un nasce Solone e altro Serse,<br /> +altro Melchisedèch e altro quello<br /> +che, volando per l’aere, il figlio perse. +</p> + +<p> +La circular natura, ch’è suggello<br /> +a la cera mortal, fa ben sua arte,<br /> +ma non distingue l’un da l’altro ostello. +</p> + +<p> +Quinci addivien ch’Esaù si diparte<br /> +per seme da Iacòb; e vien Quirino<br /> +da sì vil padre, che si rende a Marte. +</p> + +<p> +Natura generata il suo cammino<br /> +simil farebbe sempre a’ generanti,<br /> +se non vincesse il proveder divino. +</p> + +<p> +Or quel che t’era dietro t’è davanti:<br /> +ma perché sappi che di te mi giova,<br /> +un corollario voglio che t’ammanti. +</p> + +<p> +Sempre natura, se fortuna trova<br /> +discorde a sé, com’ ogne altra semente<br /> +fuor di sua regïon, fa mala prova. +</p> + +<p> +E se ’l mondo là giù ponesse mente<br /> +al fondamento che natura pone,<br /> +seguendo lui, avria buona la gente. +</p> + +<p> +Ma voi torcete a la religïone<br /> +tal che fia nato a cignersi la spada,<br /> +e fate re di tal ch’è da sermone; +</p> + +<p> +onde la traccia vostra è fuor di strada». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto76"></a> +Paradiso<br /> +Canto IX +</h2> + +<p> +Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,<br /> +m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni<br /> +che ricever dovea la sua semenza; +</p> + +<p> +ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;<br /> +sì ch’io non posso dir se non che pianto<br /> +giusto verrà di retro ai vostri danni. +</p> + +<p> +E già la vita di quel lume santo<br /> +rivolta s’era al Sol che la rïempie<br /> +come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. +</p> + +<p> +Ahi anime ingannate e fatture empie,<br /> +che da sì fatto ben torcete i cuori,<br /> +drizzando in vanità le vostre tempie! +</p> + +<p> +Ed ecco un altro di quelli splendori<br /> +ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi<br /> +significava nel chiarir di fori. +</p> + +<p> +Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi<br /> +sovra me, come pria, di caro assenso<br /> +al mio disio certificato fermi. +</p> + +<p> +«Deh, metti al mio voler tosto compenso,<br /> +beato spirto», dissi, «e fammi prova<br /> +ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». +</p> + +<p> +Onde la luce che m’era ancor nova,<br /> +del suo profondo, ond’ ella pria cantava,<br /> +seguette come a cui di ben far giova: +</p> + +<p> +«In quella parte de la terra prava<br /> +italica che siede tra Rïalto<br /> +e le fontane di Brenta e di Piava, +</p> + +<p> +si leva un colle, e non surge molt’ alto,<br /> +là onde scese già una facella<br /> +che fece a la contrada un grande assalto. +</p> + +<p> +D’una radice nacqui e io ed ella:<br /> +Cunizza fui chiamata, e qui refulgo<br /> +perché mi vinse il lume d’esta stella; +</p> + +<p> +ma lietamente a me medesma indulgo<br /> +la cagion di mia sorte, e non mi noia;<br /> +che parria forse forte al vostro vulgo. +</p> + +<p> +Di questa luculenta e cara gioia<br /> +del nostro cielo che più m’è propinqua,<br /> +grande fama rimase; e pria che moia, +</p> + +<p> +questo centesimo anno ancor s’incinqua:<br /> +vedi se far si dee l’omo eccellente,<br /> +sì ch’altra vita la prima relinqua. +</p> + +<p> +E ciò non pensa la turba presente<br /> +che Tagliamento e Adice richiude,<br /> +né per esser battuta ancor si pente; +</p> + +<p> +ma tosto fia che Padova al palude<br /> +cangerà l’acqua che Vincenza bagna,<br /> +per essere al dover le genti crude; +</p> + +<p> +e dove Sile e Cagnan s’accompagna,<br /> +tal signoreggia e va con la testa alta,<br /> +che già per lui carpir si fa la ragna. +</p> + +<p> +Piangerà Feltro ancora la difalta<br /> +de l’empio suo pastor, che sarà sconcia<br /> +sì, che per simil non s’entrò in malta. +</p> + +<p> +Troppo sarebbe larga la bigoncia<br /> +che ricevesse il sangue ferrarese,<br /> +e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia, +</p> + +<p> +che donerà questo prete cortese<br /> +per mostrarsi di parte; e cotai doni<br /> +conformi fieno al viver del paese. +</p> + +<p> +Sù sono specchi, voi dicete Troni,<br /> +onde refulge a noi Dio giudicante;<br /> +sì che questi parlar ne paion buoni». +</p> + +<p> +Qui si tacette; e fecemi sembiante<br /> +che fosse ad altro volta, per la rota<br /> +in che si mise com’ era davante. +</p> + +<p> +L’altra letizia, che m’era già nota<br /> +per cara cosa, mi si fece in vista<br /> +qual fin balasso in che lo sol percuota. +</p> + +<p> +Per letiziar là sù fulgor s’acquista,<br /> +sì come riso qui; ma giù s’abbuia<br /> +l’ombra di fuor, come la mente è trista. +</p> + +<p> +«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,<br /> +diss’ io, «beato spirto, sì che nulla<br /> +voglia di sé a te puot’ esser fuia. +</p> + +<p> +Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla<br /> +sempre col canto di quei fuochi pii<br /> +che di sei ali facen la coculla, +</p> + +<p> +perché non satisface a’ miei disii?<br /> +Già non attendere’ io tua dimanda,<br /> +s’io m’intuassi, come tu t’inmii». +</p> + +<p> +«La maggior valle in che l’acqua si spanda»,<br /> +incominciaro allor le sue parole,<br /> +«fuor di quel mar che la terra inghirlanda, +</p> + +<p> +tra ’ discordanti liti contra ’l sole<br /> +tanto sen va, che fa meridïano<br /> +là dove l’orizzonte pria far suole. +</p> + +<p> +Di quella valle fu’ io litorano<br /> +tra Ebro e Macra, che per cammin corto<br /> +parte lo Genovese dal Toscano. +</p> + +<p> +Ad un occaso quasi e ad un orto<br /> +Buggea siede e la terra ond’ io fui,<br /> +che fé del sangue suo già caldo il porto. +</p> + +<p> +Folco mi disse quella gente a cui<br /> +fu noto il nome mio; e questo cielo<br /> +di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui; +</p> + +<p> +ché più non arse la figlia di Belo,<br /> +noiando e a Sicheo e a Creusa,<br /> +di me, infin che si convenne al pelo; +</p> + +<p> +né quella Rodopëa che delusa<br /> +fu da Demofoonte, né Alcide<br /> +quando Iole nel core ebbe rinchiusa. +</p> + +<p> +Non però qui si pente, ma si ride,<br /> +non de la colpa, ch’a mente non torna,<br /> +ma del valor ch’ordinò e provide. +</p> + +<p> +Qui si rimira ne l’arte ch’addorna<br /> +cotanto affetto, e discernesi ’l bene<br /> +per che ’l mondo di sù quel di giù torna. +</p> + +<p> +Ma perché tutte le tue voglie piene<br /> +ten porti che son nate in questa spera,<br /> +proceder ancor oltre mi convene. +</p> + +<p> +Tu vuo’ saper chi è in questa lumera<br /> +che qui appresso me così scintilla<br /> +come raggio di sole in acqua mera. +</p> + +<p> +Or sappi che là entro si tranquilla<br /> +Raab; e a nostr’ ordine congiunta,<br /> +di lei nel sommo grado si sigilla. +</p> + +<p> +Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta<br /> +che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma<br /> +del trïunfo di Cristo fu assunta. +</p> + +<p> +Ben si convenne lei lasciar per palma<br /> +in alcun cielo de l’alta vittoria<br /> +che s’acquistò con l’una e l’altra palma, +</p> + +<p> +perch’ ella favorò la prima gloria<br /> +di Iosüè in su la Terra Santa,<br /> +che poco tocca al papa la memoria. +</p> + +<p> +La tua città, che di colui è pianta<br /> +che pria volse le spalle al suo fattore<br /> +e di cui è la ’nvidia tanto pianta, +</p> + +<p> +produce e spande il maladetto fiore<br /> +c’ha disvïate le pecore e li agni,<br /> +però che fatto ha lupo del pastore. +</p> + +<p> +Per questo l’Evangelio e i dottor magni<br /> +son derelitti, e solo ai Decretali<br /> +si studia, sì che pare a’ lor vivagni. +</p> + +<p> +A questo intende il papa e ’ cardinali;<br /> +non vanno i lor pensieri a Nazarette,<br /> +là dove Gabrïello aperse l’ali. +</p> + +<p> +Ma Vaticano e l’altre parti elette<br /> +di Roma che son state cimitero<br /> +a la milizia che Pietro seguette, +</p> + +<p> +tosto libere fien de l’avoltero». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto77"></a> +Paradiso<br /> +Canto X +</h2> + +<p> +Guardando nel suo Figlio con l’Amore<br /> +che l’uno e l’altro etternalmente spira,<br /> +lo primo e ineffabile Valore +</p> + +<p> +quanto per mente e per loco si gira<br /> +con tant’ ordine fé, ch’esser non puote<br /> +sanza gustar di lui chi ciò rimira. +</p> + +<p> +Leva dunque, lettore, a l’alte rote<br /> +meco la vista, dritto a quella parte<br /> +dove l’un moto e l’altro si percuote; +</p> + +<p> +e lì comincia a vagheggiar ne l’arte<br /> +di quel maestro che dentro a sé l’ama,<br /> +tanto che mai da lei l’occhio non parte. +</p> + +<p> +Vedi come da indi si dirama<br /> +l’oblico cerchio che i pianeti porta,<br /> +per sodisfare al mondo che li chiama. +</p> + +<p> +Che se la strada lor non fosse torta,<br /> +molta virtù nel ciel sarebbe in vano,<br /> +e quasi ogne potenza qua giù morta; +</p> + +<p> +e se dal dritto più o men lontano<br /> +fosse ’l partire, assai sarebbe manco<br /> +e giù e sù de l’ordine mondano. +</p> + +<p> +Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,<br /> +dietro pensando a ciò che si preliba,<br /> +s’esser vuoi lieto assai prima che stanco. +</p> + +<p> +Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;<br /> +ché a sé torce tutta la mia cura<br /> +quella materia ond’ io son fatto scriba. +</p> + +<p> +Lo ministro maggior de la natura,<br /> +che del valor del ciel lo mondo imprenta<br /> +e col suo lume il tempo ne misura, +</p> + +<p> +con quella parte che sù si rammenta<br /> +congiunto, si girava per le spire<br /> +in che più tosto ognora s’appresenta; +</p> + +<p> +e io era con lui; ma del salire<br /> +non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge,<br /> +anzi ’l primo pensier, del suo venire. +</p> + +<p> +È Bëatrice quella che sì scorge<br /> +di bene in meglio, sì subitamente<br /> +che l’atto suo per tempo non si sporge. +</p> + +<p> +Quant’ esser convenia da sé lucente<br /> +quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,<br /> +non per color, ma per lume parvente! +</p> + +<p> +Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,<br /> +sì nol direi che mai s’imaginasse;<br /> +ma creder puossi e di veder si brami. +</p> + +<p> +E se le fantasie nostre son basse<br /> +a tanta altezza, non è maraviglia;<br /> +ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse. +</p> + +<p> +Tal era quivi la quarta famiglia<br /> +de l’alto Padre, che sempre la sazia,<br /> +mostrando come spira e come figlia. +</p> + +<p> +E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,<br /> +ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo<br /> +sensibil t’ha levato per sua grazia». +</p> + +<p> +Cor di mortal non fu mai sì digesto<br /> +a divozione e a rendersi a Dio<br /> +con tutto ’l suo gradir cotanto presto, +</p> + +<p> +come a quelle parole mi fec’ io;<br /> +e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,<br /> +che Bëatrice eclissò ne l’oblio. +</p> + +<p> +Non le dispiacque; ma sì se ne rise,<br /> +che lo splendor de li occhi suoi ridenti<br /> +mia mente unita in più cose divise. +</p> + +<p> +Io vidi più folgór vivi e vincenti<br /> +far di noi centro e di sé far corona,<br /> +più dolci in voce che in vista lucenti: +</p> + +<p> +così cinger la figlia di Latona<br /> +vedem talvolta, quando l’aere è pregno,<br /> +sì che ritenga il fil che fa la zona. +</p> + +<p> +Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,<br /> +si trovan molte gioie care e belle<br /> +tanto che non si posson trar del regno; +</p> + +<p> +e ’l canto di quei lumi era di quelle;<br /> +chi non s’impenna sì che là sù voli,<br /> +dal muto aspetti quindi le novelle. +</p> + +<p> +Poi, sì cantando, quelli ardenti soli<br /> +si fuor girati intorno a noi tre volte,<br /> +come stelle vicine a’ fermi poli, +</p> + +<p> +donne mi parver, non da ballo sciolte,<br /> +ma che s’arrestin tacite, ascoltando<br /> +fin che le nove note hanno ricolte. +</p> + +<p> +E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando<br /> +lo raggio de la grazia, onde s’accende<br /> +verace amore e che poi cresce amando, +</p> + +<p> +multiplicato in te tanto resplende,<br /> +che ti conduce su per quella scala<br /> +u’ sanza risalir nessun discende; +</p> + +<p> +qual ti negasse il vin de la sua fiala<br /> +per la tua sete, in libertà non fora<br /> +se non com’ acqua ch’al mar non si cala. +</p> + +<p> +Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora<br /> +questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia<br /> +la bella donna ch’al ciel t’avvalora. +</p> + +<p> +Io fui de li agni de la santa greggia<br /> +che Domenico mena per cammino<br /> +u’ ben s’impingua se non si vaneggia. +</p> + +<p> +Questi che m’è a destra più vicino,<br /> +frate e maestro fummi, ed esso Alberto<br /> +è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. +</p> + +<p> +Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,<br /> +di retro al mio parlar ten vien col viso<br /> +girando su per lo beato serto. +</p> + +<p> +Quell’ altro fiammeggiare esce del riso<br /> +di Grazïan, che l’uno e l’altro foro<br /> +aiutò sì che piace in paradiso. +</p> + +<p> +L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,<br /> +quel Pietro fu che con la poverella<br /> +offerse a Santa Chiesa suo tesoro. +</p> + +<p> +La quinta luce, ch’è tra noi più bella,<br /> +spira di tale amor, che tutto ’l mondo<br /> +là giù ne gola di saper novella: +</p> + +<p> +entro v’è l’alta mente u’ sì profondo<br /> +saver fu messo, che, se ’l vero è vero,<br /> +a veder tanto non surse il secondo. +</p> + +<p> +Appresso vedi il lume di quel cero<br /> +che giù in carne più a dentro vide<br /> +l’angelica natura e ’l ministero. +</p> + +<p> +Ne l’altra piccioletta luce ride<br /> +quello avvocato de’ tempi cristiani<br /> +del cui latino Augustin si provide. +</p> + +<p> +Or se tu l’occhio de la mente trani<br /> +di luce in luce dietro a le mie lode,<br /> +già de l’ottava con sete rimani. +</p> + +<p> +Per vedere ogne ben dentro vi gode<br /> +l’anima santa che ’l mondo fallace<br /> +fa manifesto a chi di lei ben ode. +</p> + +<p> +Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace<br /> +giuso in Cieldauro; ed essa da martiro<br /> +e da essilio venne a questa pace. +</p> + +<p> +Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro<br /> +d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,<br /> +che a considerar fu più che viro. +</p> + +<p> +Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,<br /> +è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri<br /> +gravi a morir li parve venir tardo: +</p> + +<p> +essa è la luce etterna di Sigieri,<br /> +che, leggendo nel Vico de li Strami,<br /> +silogizzò invidïosi veri». +</p> + +<p> +Indi, come orologio che ne chiami<br /> +ne l’ora che la sposa di Dio surge<br /> +a mattinar lo sposo perché l’ami, +</p> + +<p> +che l’una parte e l’altra tira e urge,<br /> +tin tin sonando con sì dolce nota,<br /> +che ’l ben disposto spirto d’amor turge; +</p> + +<p> +così vid’ ïo la gloriosa rota<br /> +muoversi e render voce a voce in tempra<br /> +e in dolcezza ch’esser non pò nota +</p> + +<p> +se non colà dove gioir s’insempra. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto78"></a> +Paradiso<br /> +Canto XI +</h2> + +<p> +O insensata cura de’ mortali,<br /> +quanto son difettivi silogismi<br /> +quei che ti fanno in basso batter l’ali! +</p> + +<p> +Chi dietro a iura e chi ad amforismi<br /> +sen giva, e chi seguendo sacerdozio,<br /> +e chi regnar per forza o per sofismi, +</p> + +<p> +e chi rubare e chi civil negozio,<br /> +chi nel diletto de la carne involto<br /> +s’affaticava e chi si dava a l’ozio, +</p> + +<p> +quando, da tutte queste cose sciolto,<br /> +con Bëatrice m’era suso in cielo<br /> +cotanto glorïosamente accolto. +</p> + +<p> +Poi che ciascuno fu tornato ne lo<br /> +punto del cerchio in che avanti s’era,<br /> +fermossi, come a candellier candelo. +</p> + +<p> +E io senti’ dentro a quella lumera<br /> +che pria m’avea parlato, sorridendo<br /> +incominciar, faccendosi più mera: +</p> + +<p> +«Così com’ io del suo raggio resplendo,<br /> +sì, riguardando ne la luce etterna,<br /> +li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. +</p> + +<p> +Tu dubbi, e hai voler che si ricerna<br /> +in sì aperta e ’n sì distesa lingua<br /> +lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, +</p> + +<p> +ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”,<br /> +e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”;<br /> +e qui è uopo che ben si distingua. +</p> + +<p> +La provedenza, che governa il mondo<br /> +con quel consiglio nel quale ogne aspetto<br /> +creato è vinto pria che vada al fondo, +</p> + +<p> +però che andasse ver’ lo suo diletto<br /> +la sposa di colui ch’ad alte grida<br /> +disposò lei col sangue benedetto, +</p> + +<p> +in sé sicura e anche a lui più fida,<br /> +due principi ordinò in suo favore,<br /> +che quinci e quindi le fosser per guida. +</p> + +<p> +L’un fu tutto serafico in ardore;<br /> +l’altro per sapïenza in terra fue<br /> +di cherubica luce uno splendore. +</p> + +<p> +De l’un dirò, però che d’amendue<br /> +si dice l’un pregiando, qual ch’om prende,<br /> +perch’ ad un fine fur l’opere sue. +</p> + +<p> +Intra Tupino e l’acqua che discende<br /> +del colle eletto dal beato Ubaldo,<br /> +fertile costa d’alto monte pende, +</p> + +<p> +onde Perugia sente freddo e caldo<br /> +da Porta Sole; e di rietro le piange<br /> +per grave giogo Nocera con Gualdo. +</p> + +<p> +Di questa costa, là dov’ ella frange<br /> +più sua rattezza, nacque al mondo un sole,<br /> +come fa questo talvolta di Gange. +</p> + +<p> +Però chi d’esso loco fa parole,<br /> +non dica Ascesi, ché direbbe corto,<br /> +ma Orïente, se proprio dir vuole. +</p> + +<p> +Non era ancor molto lontan da l’orto,<br /> +ch’el cominciò a far sentir la terra<br /> +de la sua gran virtute alcun conforto; +</p> + +<p> +ché per tal donna, giovinetto, in guerra<br /> +del padre corse, a cui, come a la morte,<br /> +la porta del piacer nessun diserra; +</p> + +<p> +e dinanzi a la sua spirital corte<br /> +et coram patre le si fece unito;<br /> +poscia di dì in dì l’amò più forte. +</p> + +<p> +Questa, privata del primo marito,<br /> +millecent’ anni e più dispetta e scura<br /> +fino a costui si stette sanza invito; +</p> + +<p> +né valse udir che la trovò sicura<br /> +con Amiclate, al suon de la sua voce,<br /> +colui ch’a tutto ’l mondo fé paura; +</p> + +<p> +né valse esser costante né feroce,<br /> +sì che, dove Maria rimase giuso,<br /> +ella con Cristo pianse in su la croce. +</p> + +<p> +Ma perch’ io non proceda troppo chiuso,<br /> +Francesco e Povertà per questi amanti<br /> +prendi oramai nel mio parlar diffuso. +</p> + +<p> +La lor concordia e i lor lieti sembianti,<br /> +amore e maraviglia e dolce sguardo<br /> +facieno esser cagion di pensier santi; +</p> + +<p> +tanto che ’l venerabile Bernardo<br /> +si scalzò prima, e dietro a tanta pace<br /> +corse e, correndo, li parve esser tardo. +</p> + +<p> +Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!<br /> +Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro<br /> +dietro a lo sposo, sì la sposa piace. +</p> + +<p> +Indi sen va quel padre e quel maestro<br /> +con la sua donna e con quella famiglia<br /> +che già legava l’umile capestro. +</p> + +<p> +Né li gravò viltà di cuor le ciglia<br /> +per esser fi’ di Pietro Bernardone,<br /> +né per parer dispetto a maraviglia; +</p> + +<p> +ma regalmente sua dura intenzione<br /> +ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe<br /> +primo sigillo a sua religïone. +</p> + +<p> +Poi che la gente poverella crebbe<br /> +dietro a costui, la cui mirabil vita<br /> +meglio in gloria del ciel si canterebbe, +</p> + +<p> +di seconda corona redimita<br /> +fu per Onorio da l’Etterno Spiro<br /> +la santa voglia d’esto archimandrita. +</p> + +<p> +E poi che, per la sete del martiro,<br /> +ne la presenza del Soldan superba<br /> +predicò Cristo e li altri che ’l seguiro, +</p> + +<p> +e per trovare a conversione acerba<br /> +troppo la gente e per non stare indarno,<br /> +redissi al frutto de l’italica erba, +</p> + +<p> +nel crudo sasso intra Tevero e Arno<br /> +da Cristo prese l’ultimo sigillo,<br /> +che le sue membra due anni portarno. +</p> + +<p> +Quando a colui ch’a tanto ben sortillo<br /> +piacque di trarlo suso a la mercede<br /> +ch’el meritò nel suo farsi pusillo, +</p> + +<p> +a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,<br /> +raccomandò la donna sua più cara,<br /> +e comandò che l’amassero a fede; +</p> + +<p> +e del suo grembo l’anima preclara<br /> +mover si volle, tornando al suo regno,<br /> +e al suo corpo non volle altra bara. +</p> + +<p> +Pensa oramai qual fu colui che degno<br /> +collega fu a mantener la barca<br /> +di Pietro in alto mar per dritto segno; +</p> + +<p> +e questo fu il nostro patrïarca;<br /> +per che qual segue lui, com’ el comanda,<br /> +discerner puoi che buone merce carca. +</p> + +<p> +Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda<br /> +è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote<br /> +che per diversi salti non si spanda; +</p> + +<p> +e quanto le sue pecore remote<br /> +e vagabunde più da esso vanno,<br /> +più tornano a l’ovil di latte vòte. +</p> + +<p> +Ben son di quelle che temono ’l danno<br /> +e stringonsi al pastor; ma son sì poche,<br /> +che le cappe fornisce poco panno. +</p> + +<p> +Or, se le mie parole non son fioche,<br /> +se la tua audïenza è stata attenta,<br /> +se ciò ch’è detto a la mente revoche, +</p> + +<p> +in parte fia la tua voglia contenta,<br /> +perché vedrai la pianta onde si scheggia,<br /> +e vedra’ il corrègger che argomenta +</p> + +<p> +“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto79"></a> +Paradiso<br /> +Canto XII +</h2> + +<p> +Sì tosto come l’ultima parola<br /> +la benedetta fiamma per dir tolse,<br /> +a rotar cominciò la santa mola; +</p> + +<p> +e nel suo giro tutta non si volse<br /> +prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,<br /> +e moto a moto e canto a canto colse; +</p> + +<p> +canto che tanto vince nostre muse,<br /> +nostre serene in quelle dolci tube,<br /> +quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. +</p> + +<p> +Come si volgon per tenera nube<br /> +due archi paralelli e concolori,<br /> +quando Iunone a sua ancella iube, +</p> + +<p> +nascendo di quel d’entro quel di fori,<br /> +a guisa del parlar di quella vaga<br /> +ch’amor consunse come sol vapori, +</p> + +<p> +e fanno qui la gente esser presaga,<br /> +per lo patto che Dio con Noè puose,<br /> +del mondo che già mai più non s’allaga: +</p> + +<p> +così di quelle sempiterne rose<br /> +volgiensi circa noi le due ghirlande,<br /> +e sì l’estrema a l’intima rispuose. +</p> + +<p> +Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,<br /> +sì del cantare e sì del fiammeggiarsi<br /> +luce con luce gaudïose e blande, +</p> + +<p> +insieme a punto e a voler quetarsi,<br /> +pur come li occhi ch’al piacer che i move<br /> +conviene insieme chiudere e levarsi; +</p> + +<p> +del cor de l’una de le luci nove<br /> +si mosse voce, che l’ago a la stella<br /> +parer mi fece in volgermi al suo dove; +</p> + +<p> +e cominciò: «L’amor che mi fa bella<br /> +mi tragge a ragionar de l’altro duca<br /> +per cui del mio sì ben ci si favella. +</p> + +<p> +Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:<br /> +sì che, com’ elli ad una militaro,<br /> +così la gloria loro insieme luca. +</p> + +<p> +L’essercito di Cristo, che sì caro<br /> +costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna<br /> +si movea tardo, sospeccioso e raro, +</p> + +<p> +quando lo ’mperador che sempre regna<br /> +provide a la milizia, ch’era in forse,<br /> +per sola grazia, non per esser degna; +</p> + +<p> +e, come è detto, a sua sposa soccorse<br /> +con due campioni, al cui fare, al cui dire<br /> +lo popol disvïato si raccorse. +</p> + +<p> +In quella parte ove surge ad aprire<br /> +Zefiro dolce le novelle fronde<br /> +di che si vede Europa rivestire, +</p> + +<p> +non molto lungi al percuoter de l’onde<br /> +dietro a le quali, per la lunga foga,<br /> +lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, +</p> + +<p> +siede la fortunata Calaroga<br /> +sotto la protezion del grande scudo<br /> +in che soggiace il leone e soggioga: +</p> + +<p> +dentro vi nacque l’amoroso drudo<br /> +de la fede cristiana, il santo atleta<br /> +benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; +</p> + +<p> +e come fu creata, fu repleta<br /> +sì la sua mente di viva vertute<br /> +che, ne la madre, lei fece profeta. +</p> + +<p> +Poi che le sponsalizie fuor compiute<br /> +al sacro fonte intra lui e la Fede,<br /> +u’ si dotar di mutüa salute, +</p> + +<p> +la donna che per lui l’assenso diede,<br /> +vide nel sonno il mirabile frutto<br /> +ch’uscir dovea di lui e de le rede; +</p> + +<p> +e perché fosse qual era in costrutto,<br /> +quinci si mosse spirito a nomarlo<br /> +del possessivo di cui era tutto. +</p> + +<p> +Domenico fu detto; e io ne parlo<br /> +sì come de l’agricola che Cristo<br /> +elesse a l’orto suo per aiutarlo. +</p> + +<p> +Ben parve messo e famigliar di Cristo:<br /> +che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,<br /> +fu al primo consiglio che diè Cristo. +</p> + +<p> +Spesse fïate fu tacito e desto<br /> +trovato in terra da la sua nutrice,<br /> +come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. +</p> + +<p> +Oh padre suo veramente Felice!<br /> +oh madre sua veramente Giovanna,<br /> +se, interpretata, val come si dice! +</p> + +<p> +Non per lo mondo, per cui mo s’affanna<br /> +di retro ad Ostïense e a Taddeo,<br /> +ma per amor de la verace manna +</p> + +<p> +in picciol tempo gran dottor si feo;<br /> +tal che si mise a circüir la vigna<br /> +che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo. +</p> + +<p> +E a la sedia che fu già benigna<br /> +più a’ poveri giusti, non per lei,<br /> +ma per colui che siede, che traligna, +</p> + +<p> +non dispensare o due o tre per sei,<br /> +non la fortuna di prima vacante,<br /> +non decimas, quae sunt pauperum Dei, +</p> + +<p> +addimandò, ma contro al mondo errante<br /> +licenza di combatter per lo seme<br /> +del qual ti fascian ventiquattro piante. +</p> + +<p> +Poi, con dottrina e con volere insieme,<br /> +con l’officio appostolico si mosse<br /> +quasi torrente ch’alta vena preme; +</p> + +<p> +e ne li sterpi eretici percosse<br /> +l’impeto suo, più vivamente quivi<br /> +dove le resistenze eran più grosse. +</p> + +<p> +Di lui si fecer poi diversi rivi<br /> +onde l’orto catolico si riga,<br /> +sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. +</p> + +<p> +Se tal fu l’una rota de la biga<br /> +in che la Santa Chiesa si difese<br /> +e vinse in campo la sua civil briga, +</p> + +<p> +ben ti dovrebbe assai esser palese<br /> +l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma<br /> +dinanzi al mio venir fu sì cortese. +</p> + +<p> +Ma l’orbita che fé la parte somma<br /> +di sua circunferenza, è derelitta,<br /> +sì ch’è la muffa dov’ era la gromma. +</p> + +<p> +La sua famiglia, che si mosse dritta<br /> +coi piedi a le sue orme, è tanto volta,<br /> +che quel dinanzi a quel di retro gitta; +</p> + +<p> +e tosto si vedrà de la ricolta<br /> +de la mala coltura, quando il loglio<br /> +si lagnerà che l’arca li sia tolta. +</p> + +<p> +Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio<br /> +nostro volume, ancor troveria carta<br /> +u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; +</p> + +<p> +ma non fia da Casal né d’Acquasparta,<br /> +là onde vegnon tali a la scrittura,<br /> +ch’uno la fugge e altro la coarta. +</p> + +<p> +Io son la vita di Bonaventura<br /> +da Bagnoregio, che ne’ grandi offici<br /> +sempre pospuosi la sinistra cura. +</p> + +<p> +Illuminato e Augustin son quici,<br /> +che fuor de’ primi scalzi poverelli<br /> +che nel capestro a Dio si fero amici. +</p> + +<p> +Ugo da San Vittore è qui con elli,<br /> +e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,<br /> +lo qual giù luce in dodici libelli; +</p> + +<p> +Natàn profeta e ’l metropolitano<br /> +Crisostomo e Anselmo e quel Donato<br /> +ch’a la prim’ arte degnò porre mano. +</p> + +<p> +Rabano è qui, e lucemi dallato<br /> +il calavrese abate Giovacchino<br /> +di spirito profetico dotato. +</p> + +<p> +Ad inveggiar cotanto paladino<br /> +mi mosse l’infiammata cortesia<br /> +di fra Tommaso e ’l discreto latino; +</p> + +<p> +e mosse meco questa compagnia». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto80"></a> +Paradiso<br /> +Canto XIII +</h2> + +<p> +Imagini, chi bene intender cupe<br /> +quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,<br /> +mentre ch’io dico, come ferma rupe—, +</p> + +<p> +quindici stelle che ’n diverse plage<br /> +lo ciel avvivan di tanto sereno<br /> +che soperchia de l’aere ogne compage; +</p> + +<p> +imagini quel carro a cu’ il seno<br /> +basta del nostro cielo e notte e giorno,<br /> +sì ch’al volger del temo non vien meno; +</p> + +<p> +imagini la bocca di quel corno<br /> +che si comincia in punta de lo stelo<br /> +a cui la prima rota va dintorno, +</p> + +<p> +aver fatto di sé due segni in cielo,<br /> +qual fece la figliuola di Minoi<br /> +allora che sentì di morte il gelo; +</p> + +<p> +e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,<br /> +e amendue girarsi per maniera<br /> +che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; +</p> + +<p> +e avrà quasi l’ombra de la vera<br /> +costellazione e de la doppia danza<br /> +che circulava il punto dov’ io era: +</p> + +<p> +poi ch’è tanto di là da nostra usanza,<br /> +quanto di là dal mover de la Chiana<br /> +si move il ciel che tutti li altri avanza. +</p> + +<p> +Lì si cantò non Bacco, non Peana,<br /> +ma tre persone in divina natura,<br /> +e in una persona essa e l’umana. +</p> + +<p> +Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;<br /> +e attesersi a noi quei santi lumi,<br /> +felicitando sé di cura in cura. +</p> + +<p> +Ruppe il silenzio ne’ concordi numi<br /> +poscia la luce in che mirabil vita<br /> +del poverel di Dio narrata fumi, +</p> + +<p> +e disse: «Quando l’una paglia è trita,<br /> +quando la sua semenza è già riposta,<br /> +a batter l’altra dolce amor m’invita. +</p> + +<p> +Tu credi che nel petto onde la costa<br /> +si trasse per formar la bella guancia<br /> +il cui palato a tutto ’l mondo costa, +</p> + +<p> +e in quel che, forato da la lancia,<br /> +e prima e poscia tanto sodisfece,<br /> +che d’ogne colpa vince la bilancia, +</p> + +<p> +quantunque a la natura umana lece<br /> +aver di lume, tutto fosse infuso<br /> +da quel valor che l’uno e l’altro fece; +</p> + +<p> +e però miri a ciò ch’io dissi suso,<br /> +quando narrai che non ebbe ’l secondo<br /> +lo ben che ne la quinta luce è chiuso. +</p> + +<p> +Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,<br /> +e vedräi il tuo credere e ’l mio dire<br /> +nel vero farsi come centro in tondo. +</p> + +<p> +Ciò che non more e ciò che può morire<br /> +non è se non splendor di quella idea<br /> +che partorisce, amando, il nostro Sire; +</p> + +<p> +ché quella viva luce che sì mea<br /> +dal suo lucente, che non si disuna<br /> +da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, +</p> + +<p> +per sua bontate il suo raggiare aduna,<br /> +quasi specchiato, in nove sussistenze,<br /> +etternalmente rimanendosi una. +</p> + +<p> +Quindi discende a l’ultime potenze<br /> +giù d’atto in atto, tanto divenendo,<br /> +che più non fa che brevi contingenze; +</p> + +<p> +e queste contingenze essere intendo<br /> +le cose generate, che produce<br /> +con seme e sanza seme il ciel movendo. +</p> + +<p> +La cera di costoro e chi la duce<br /> +non sta d’un modo; e però sotto ’l segno<br /> +idëale poi più e men traluce. +</p> + +<p> +Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,<br /> +secondo specie, meglio e peggio frutta;<br /> +e voi nascete con diverso ingegno. +</p> + +<p> +Se fosse a punto la cera dedutta<br /> +e fosse il cielo in sua virtù supprema,<br /> +la luce del suggel parrebbe tutta; +</p> + +<p> +ma la natura la dà sempre scema,<br /> +similemente operando a l’artista<br /> +ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. +</p> + +<p> +Però se ’l caldo amor la chiara vista<br /> +de la prima virtù dispone e segna,<br /> +tutta la perfezion quivi s’acquista. +</p> + +<p> +Così fu fatta già la terra degna<br /> +di tutta l’animal perfezïone;<br /> +così fu fatta la Vergine pregna; +</p> + +<p> +sì ch’io commendo tua oppinïone,<br /> +che l’umana natura mai non fue<br /> +né fia qual fu in quelle due persone. +</p> + +<p> +Or s’i’ non procedesse avanti piùe,<br /> +‘Dunque, come costui fu sanza pare?’<br /> +comincerebber le parole tue. +</p> + +<p> +Ma perché paia ben ciò che non pare,<br /> +pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,<br /> +quando fu detto “Chiedi”, a dimandare. +</p> + +<p> +Non ho parlato sì, che tu non posse<br /> +ben veder ch’el fu re, che chiese senno<br /> +acciò che re sufficïente fosse; +</p> + +<p> +non per sapere il numero in che enno<br /> +li motor di qua sù, o se necesse<br /> +con contingente mai necesse fenno; +</p> + +<p> +non si est dare primum motum esse,<br /> +o se del mezzo cerchio far si puote<br /> +trïangol sì ch’un retto non avesse. +</p> + +<p> +Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,<br /> +regal prudenza è quel vedere impari<br /> +in che lo stral di mia intenzion percuote; +</p> + +<p> +e se al “surse” drizzi li occhi chiari,<br /> +vedrai aver solamente respetto<br /> +ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. +</p> + +<p> +Con questa distinzion prendi ’l mio detto;<br /> +e così puote star con quel che credi<br /> +del primo padre e del nostro Diletto. +</p> + +<p> +E questo ti sia sempre piombo a’ piedi,<br /> +per farti mover lento com’ uom lasso<br /> +e al sì e al no che tu non vedi: +</p> + +<p> +ché quelli è tra li stolti bene a basso,<br /> +che sanza distinzione afferma e nega<br /> +ne l’un così come ne l’altro passo; +</p> + +<p> +perch’ elli ’ncontra che più volte piega<br /> +l’oppinïon corrente in falsa parte,<br /> +e poi l’affetto l’intelletto lega. +</p> + +<p> +Vie più che ’ndarno da riva si parte,<br /> +perché non torna tal qual e’ si move,<br /> +chi pesca per lo vero e non ha l’arte. +</p> + +<p> +E di ciò sono al mondo aperte prove<br /> +Parmenide, Melisso e Brisso e molti,<br /> +li quali andaro e non sapëan dove; +</p> + +<p> +sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti<br /> +che furon come spade a le Scritture<br /> +in render torti li diritti volti. +</p> + +<p> +Non sien le genti, ancor, troppo sicure<br /> +a giudicar, sì come quei che stima<br /> +le biade in campo pria che sien mature; +</p> + +<p> +ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima<br /> +lo prun mostrarsi rigido e feroce,<br /> +poscia portar la rosa in su la cima; +</p> + +<p> +e legno vidi già dritto e veloce<br /> +correr lo mar per tutto suo cammino,<br /> +perire al fine a l’intrar de la foce. +</p> + +<p> +Non creda donna Berta e ser Martino,<br /> +per vedere un furare, altro offerere,<br /> +vederli dentro al consiglio divino; +</p> + +<p> +ché quel può surgere, e quel può cadere». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto81"></a> +Paradiso<br /> +Canto XIV +</h2> + +<p> +Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro<br /> +movesi l’acqua in un ritondo vaso,<br /> +secondo ch’è percosso fuori o dentro: +</p> + +<p> +ne la mia mente fé sùbito caso<br /> +questo ch’io dico, sì come si tacque<br /> +la glorïosa vita di Tommaso, +</p> + +<p> +per la similitudine che nacque<br /> +del suo parlare e di quel di Beatrice,<br /> +a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: +</p> + +<p> +«A costui fa mestieri, e nol vi dice<br /> +né con la voce né pensando ancora,<br /> +d’un altro vero andare a la radice. +</p> + +<p> +Diteli se la luce onde s’infiora<br /> +vostra sustanza, rimarrà con voi<br /> +etternalmente sì com’ ell’ è ora; +</p> + +<p> +e se rimane, dite come, poi<br /> +che sarete visibili rifatti,<br /> +esser porà ch’al veder non vi nòi». +</p> + +<p> +Come, da più letizia pinti e tratti,<br /> +a la fïata quei che vanno a rota<br /> +levan la voce e rallegrano li atti, +</p> + +<p> +così, a l’orazion pronta e divota,<br /> +li santi cerchi mostrar nova gioia<br /> +nel torneare e ne la mira nota. +</p> + +<p> +Qual si lamenta perché qui si moia<br /> +per viver colà sù, non vide quive<br /> +lo refrigerio de l’etterna ploia. +</p> + +<p> +Quell’ uno e due e tre che sempre vive<br /> +e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,<br /> +non circunscritto, e tutto circunscrive, +</p> + +<p> +tre volte era cantato da ciascuno<br /> +di quelli spirti con tal melodia,<br /> +ch’ad ogne merto saria giusto muno. +</p> + +<p> +E io udi’ ne la luce più dia<br /> +del minor cerchio una voce modesta,<br /> +forse qual fu da l’angelo a Maria, +</p> + +<p> +risponder: «Quanto fia lunga la festa<br /> +di paradiso, tanto il nostro amore<br /> +si raggerà dintorno cotal vesta. +</p> + +<p> +La sua chiarezza séguita l’ardore;<br /> +l’ardor la visïone, e quella è tanta,<br /> +quant’ ha di grazia sovra suo valore. +</p> + +<p> +Come la carne glorïosa e santa<br /> +fia rivestita, la nostra persona<br /> +più grata fia per esser tutta quanta; +</p> + +<p> +per che s’accrescerà ciò che ne dona<br /> +di gratüito lume il sommo bene,<br /> +lume ch’a lui veder ne condiziona; +</p> + +<p> +onde la visïon crescer convene,<br /> +crescer l’ardor che di quella s’accende,<br /> +crescer lo raggio che da esso vene. +</p> + +<p> +Ma sì come carbon che fiamma rende,<br /> +e per vivo candor quella soverchia,<br /> +sì che la sua parvenza si difende; +</p> + +<p> +così questo folgór che già ne cerchia<br /> +fia vinto in apparenza da la carne<br /> +che tutto dì la terra ricoperchia; +</p> + +<p> +né potrà tanta luce affaticarne:<br /> +ché li organi del corpo saran forti<br /> +a tutto ciò che potrà dilettarne». +</p> + +<p> +Tanto mi parver sùbiti e accorti<br /> +e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,<br /> +che ben mostrar disio d’i corpi morti: +</p> + +<p> +forse non pur per lor, ma per le mamme,<br /> +per li padri e per li altri che fuor cari<br /> +anzi che fosser sempiterne fiamme. +</p> + +<p> +Ed ecco intorno, di chiarezza pari,<br /> +nascere un lustro sopra quel che v’era,<br /> +per guisa d’orizzonte che rischiari. +</p> + +<p> +E sì come al salir di prima sera<br /> +comincian per lo ciel nove parvenze,<br /> +sì che la vista pare e non par vera, +</p> + +<p> +parvemi lì novelle sussistenze<br /> +cominciare a vedere, e fare un giro<br /> +di fuor da l’altre due circunferenze. +</p> + +<p> +Oh vero sfavillar del Santo Spiro!<br /> +come si fece sùbito e candente<br /> +a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! +</p> + +<p> +Ma Bëatrice sì bella e ridente<br /> +mi si mostrò, che tra quelle vedute<br /> +si vuol lasciar che non seguir la mente. +</p> + +<p> +Quindi ripreser li occhi miei virtute<br /> +a rilevarsi; e vidimi translato<br /> +sol con mia donna in più alta salute. +</p> + +<p> +Ben m’accors’ io ch’io era più levato,<br /> +per l’affocato riso de la stella,<br /> +che mi parea più roggio che l’usato. +</p> + +<p> +Con tutto ’l core e con quella favella<br /> +ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,<br /> +qual conveniesi a la grazia novella. +</p> + +<p> +E non er’ anco del mio petto essausto<br /> +l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi<br /> +esso litare stato accetto e fausto; +</p> + +<p> +ché con tanto lucore e tanto robbi<br /> +m’apparvero splendor dentro a due raggi,<br /> +ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!». +</p> + +<p> +Come distinta da minori e maggi<br /> +lumi biancheggia tra ’ poli del mondo<br /> +Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; +</p> + +<p> +sì costellati facean nel profondo<br /> +Marte quei raggi il venerabil segno<br /> +che fan giunture di quadranti in tondo. +</p> + +<p> +Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;<br /> +ché quella croce lampeggiava Cristo,<br /> +sì ch’io non so trovare essempro degno; +</p> + +<p> +ma chi prende sua croce e segue Cristo,<br /> +ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,<br /> +vedendo in quell’ albor balenar Cristo. +</p> + +<p> +Di corno in corno e tra la cima e ’l basso<br /> +si movien lumi, scintillando forte<br /> +nel congiugnersi insieme e nel trapasso: +</p> + +<p> +così si veggion qui diritte e torte,<br /> +veloci e tarde, rinovando vista,<br /> +le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, +</p> + +<p> +moversi per lo raggio onde si lista<br /> +talvolta l’ombra che, per sua difesa,<br /> +la gente con ingegno e arte acquista. +</p> + +<p> +E come giga e arpa, in tempra tesa<br /> +di molte corde, fa dolce tintinno<br /> +a tal da cui la nota non è intesa, +</p> + +<p> +così da’ lumi che lì m’apparinno<br /> +s’accogliea per la croce una melode<br /> +che mi rapiva, sanza intender l’inno. +</p> + +<p> +Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,<br /> +però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»<br /> +come a colui che non intende e ode. +</p> + +<p> +Ïo m’innamorava tanto quinci,<br /> +che ’nfino a lì non fu alcuna cosa<br /> +che mi legasse con sì dolci vinci. +</p> + +<p> +Forse la mia parola par troppo osa,<br /> +posponendo il piacer de li occhi belli,<br /> +ne’ quai mirando mio disio ha posa; +</p> + +<p> +ma chi s’avvede che i vivi suggelli<br /> +d’ogne bellezza più fanno più suso,<br /> +e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, +</p> + +<p> +escusar puommi di quel ch’io m’accuso<br /> +per escusarmi, e vedermi dir vero:<br /> +ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, +</p> + +<p> +perché si fa, montando, più sincero. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto82"></a> +Paradiso<br /> +Canto XV +</h2> + +<p> +Benigna volontade in che si liqua<br /> +sempre l’amor che drittamente spira,<br /> +come cupidità fa ne la iniqua, +</p> + +<p> +silenzio puose a quella dolce lira,<br /> +e fece quïetar le sante corde<br /> +che la destra del cielo allenta e tira. +</p> + +<p> +Come saranno a’ giusti preghi sorde<br /> +quelle sustanze che, per darmi voglia<br /> +ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? +</p> + +<p> +Bene è che sanza termine si doglia<br /> +chi, per amor di cosa che non duri<br /> +etternalmente, quello amor si spoglia. +</p> + +<p> +Quale per li seren tranquilli e puri<br /> +discorre ad ora ad or sùbito foco,<br /> +movendo li occhi che stavan sicuri, +</p> + +<p> +e pare stella che tramuti loco,<br /> +se non che da la parte ond’ e’ s’accende<br /> +nulla sen perde, ed esso dura poco: +</p> + +<p> +tale dal corno che ’n destro si stende<br /> +a piè di quella croce corse un astro<br /> +de la costellazion che lì resplende; +</p> + +<p> +né si partì la gemma dal suo nastro,<br /> +ma per la lista radïal trascorse,<br /> +che parve foco dietro ad alabastro. +</p> + +<p> +Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,<br /> +se fede merta nostra maggior musa,<br /> +quando in Eliso del figlio s’accorse. +</p> + +<p> +«O sanguis meus, o superinfusa<br /> +gratïa Deï, sicut tibi cui<br /> +bis unquam celi ianüa reclusa?». +</p> + +<p> +Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;<br /> +poscia rivolsi a la mia donna il viso,<br /> +e quinci e quindi stupefatto fui; +</p> + +<p> +ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso<br /> +tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo<br /> +de la mia gloria e del mio paradiso. +</p> + +<p> +Indi, a udire e a veder giocondo,<br /> +giunse lo spirto al suo principio cose,<br /> +ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; +</p> + +<p> +né per elezïon mi si nascose,<br /> +ma per necessità, ché ’l suo concetto<br /> +al segno d’i mortal si soprapuose. +</p> + +<p> +E quando l’arco de l’ardente affetto<br /> +fu sì sfogato, che ’l parlar discese<br /> +inver’ lo segno del nostro intelletto, +</p> + +<p> +la prima cosa che per me s’intese,<br /> +«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,<br /> +che nel mio seme se’ tanto cortese!». +</p> + +<p> +E seguì: «Grato e lontano digiuno,<br /> +tratto leggendo del magno volume<br /> +du’ non si muta mai bianco né bruno, +</p> + +<p> +solvuto hai, figlio, dentro a questo lume<br /> +in ch’io ti parlo, mercè di colei<br /> +ch’a l’alto volo ti vestì le piume. +</p> + +<p> +Tu credi che a me tuo pensier mei<br /> +da quel ch’è primo, così come raia<br /> +da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; +</p> + +<p> +e però ch’io mi sia e perch’ io paia<br /> +più gaudïoso a te, non mi domandi,<br /> +che alcun altro in questa turba gaia. +</p> + +<p> +Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi<br /> +di questa vita miran ne lo speglio<br /> +in che, prima che pensi, il pensier pandi; +</p> + +<p> +ma perché ’l sacro amore in che io veglio<br /> +con perpetüa vista e che m’asseta<br /> +di dolce disïar, s’adempia meglio, +</p> + +<p> +la voce tua sicura, balda e lieta<br /> +suoni la volontà, suoni ’l disio,<br /> +a che la mia risposta è già decreta!». +</p> + +<p> +Io mi volsi a Beatrice, e quella udio<br /> +pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno<br /> +che fece crescer l’ali al voler mio. +</p> + +<p> +Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,<br /> +come la prima equalità v’apparse,<br /> +d’un peso per ciascun di voi si fenno, +</p> + +<p> +però che ’l sol che v’allumò e arse,<br /> +col caldo e con la luce è sì iguali,<br /> +che tutte simiglianze sono scarse. +</p> + +<p> +Ma voglia e argomento ne’ mortali,<br /> +per la cagion ch’a voi è manifesta,<br /> +diversamente son pennuti in ali; +</p> + +<p> +ond’ io, che son mortal, mi sento in questa<br /> +disagguaglianza, e però non ringrazio<br /> +se non col core a la paterna festa. +</p> + +<p> +Ben supplico io a te, vivo topazio<br /> +che questa gioia prezïosa ingemmi,<br /> +perché mi facci del tuo nome sazio». +</p> + +<p> +«O fronda mia in che io compiacemmi<br /> +pur aspettando, io fui la tua radice»:<br /> +cotal principio, rispondendo, femmi. +</p> + +<p> +Poscia mi disse: «Quel da cui si dice<br /> +tua cognazione e che cent’ anni e piùe<br /> +girato ha ’l monte in la prima cornice, +</p> + +<p> +mio figlio fu e tuo bisavol fue:<br /> +ben si convien che la lunga fatica<br /> +tu li raccorci con l’opere tue. +</p> + +<p> +Fiorenza dentro da la cerchia antica,<br /> +ond’ ella toglie ancora e terza e nona,<br /> +si stava in pace, sobria e pudica. +</p> + +<p> +Non avea catenella, non corona,<br /> +non gonne contigiate, non cintura<br /> +che fosse a veder più che la persona. +</p> + +<p> +Non faceva, nascendo, ancor paura<br /> +la figlia al padre, che ’l tempo e la dote<br /> +non fuggien quinci e quindi la misura. +</p> + +<p> +Non avea case di famiglia vòte;<br /> +non v’era giunto ancor Sardanapalo<br /> +a mostrar ciò che ’n camera si puote. +</p> + +<p> +Non era vinto ancora Montemalo<br /> +dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto<br /> +nel montar sù, così sarà nel calo. +</p> + +<p> +Bellincion Berti vid’ io andar cinto<br /> +di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio<br /> +la donna sua sanza ’l viso dipinto; +</p> + +<p> +e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio<br /> +esser contenti a la pelle scoperta,<br /> +e le sue donne al fuso e al pennecchio. +</p> + +<p> +Oh fortunate! ciascuna era certa<br /> +de la sua sepultura, e ancor nulla<br /> +era per Francia nel letto diserta. +</p> + +<p> +L’una vegghiava a studio de la culla,<br /> +e, consolando, usava l’idïoma<br /> +che prima i padri e le madri trastulla; +</p> + +<p> +l’altra, traendo a la rocca la chioma,<br /> +favoleggiava con la sua famiglia<br /> +d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. +</p> + +<p> +Saria tenuta allor tal maraviglia<br /> +una Cianghella, un Lapo Salterello,<br /> +qual or saria Cincinnato e Corniglia. +</p> + +<p> +A così riposato, a così bello<br /> +viver di cittadini, a così fida<br /> +cittadinanza, a così dolce ostello, +</p> + +<p> +Maria mi diè, chiamata in alte grida;<br /> +e ne l’antico vostro Batisteo<br /> +insieme fui cristiano e Cacciaguida. +</p> + +<p> +Moronto fu mio frate ed Eliseo;<br /> +mia donna venne a me di val di Pado,<br /> +e quindi il sopranome tuo si feo. +</p> + +<p> +Poi seguitai lo ’mperador Currado;<br /> +ed el mi cinse de la sua milizia,<br /> +tanto per bene ovrar li venni in grado. +</p> + +<p> +Dietro li andai incontro a la nequizia<br /> +di quella legge il cui popolo usurpa,<br /> +per colpa d’i pastor, vostra giustizia. +</p> + +<p> +Quivi fu’ io da quella gente turpa<br /> +disviluppato dal mondo fallace,<br /> +lo cui amor molt’ anime deturpa; +</p> + +<p> +e venni dal martiro a questa pace». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto83"></a> +Paradiso<br /> +Canto XVI +</h2> + +<p> +O poca nostra nobiltà di sangue,<br /> +se glorïar di te la gente fai<br /> +qua giù dove l’affetto nostro langue, +</p> + +<p> +mirabil cosa non mi sarà mai:<br /> +ché là dove appetito non si torce,<br /> +dico nel cielo, io me ne gloriai. +</p> + +<p> +Ben se’ tu manto che tosto raccorce:<br /> +sì che, se non s’appon di dì in die,<br /> +lo tempo va dintorno con le force. +</p> + +<p> +Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie,<br /> +in che la sua famiglia men persevra,<br /> +ricominciaron le parole mie; +</p> + +<p> +onde Beatrice, ch’era un poco scevra,<br /> +ridendo, parve quella che tossio<br /> +al primo fallo scritto di Ginevra. +</p> + +<p> +Io cominciai: «Voi siete il padre mio;<br /> +voi mi date a parlar tutta baldezza;<br /> +voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. +</p> + +<p> +Per tanti rivi s’empie d’allegrezza<br /> +la mente mia, che di sé fa letizia<br /> +perché può sostener che non si spezza. +</p> + +<p> +Ditemi dunque, cara mia primizia,<br /> +quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni<br /> +che si segnaro in vostra püerizia; +</p> + +<p> +ditemi de l’ovil di San Giovanni<br /> +quanto era allora, e chi eran le genti<br /> +tra esso degne di più alti scanni». +</p> + +<p> +Come s’avviva a lo spirar d’i venti<br /> +carbone in fiamma, così vid’ io quella<br /> +luce risplendere a’ miei blandimenti; +</p> + +<p> +e come a li occhi miei si fé più bella,<br /> +così con voce più dolce e soave,<br /> +ma non con questa moderna favella, +</p> + +<p> +dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’<br /> +al parto in che mia madre, ch’è or santa,<br /> +s’allevïò di me ond’ era grave, +</p> + +<p> +al suo Leon cinquecento cinquanta<br /> +e trenta fiate venne questo foco<br /> +a rinfiammarsi sotto la sua pianta. +</p> + +<p> +Li antichi miei e io nacqui nel loco<br /> +dove si truova pria l’ultimo sesto<br /> +da quei che corre il vostro annüal gioco. +</p> + +<p> +Basti d’i miei maggiori udirne questo:<br /> +chi ei si fosser e onde venner quivi,<br /> +più è tacer che ragionare onesto. +</p> + +<p> +Tutti color ch’a quel tempo eran ivi<br /> +da poter arme tra Marte e ’l Batista,<br /> +eran il quinto di quei ch’or son vivi. +</p> + +<p> +Ma la cittadinanza, ch’è or mista<br /> +di Campi, di Certaldo e di Fegghine,<br /> +pura vediesi ne l’ultimo artista. +</p> + +<p> +Oh quanto fora meglio esser vicine<br /> +quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo<br /> +e a Trespiano aver vostro confine, +</p> + +<p> +che averle dentro e sostener lo puzzo<br /> +del villan d’Aguglion, di quel da Signa,<br /> +che già per barattare ha l’occhio aguzzo! +</p> + +<p> +Se la gente ch’al mondo più traligna<br /> +non fosse stata a Cesare noverca,<br /> +ma come madre a suo figlio benigna, +</p> + +<p> +tal fatto è fiorentino e cambia e merca,<br /> +che si sarebbe vòlto a Simifonti,<br /> +là dove andava l’avolo a la cerca; +</p> + +<p> +sariesi Montemurlo ancor de’ Conti;<br /> +sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone,<br /> +e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. +</p> + +<p> +Sempre la confusion de le persone<br /> +principio fu del mal de la cittade,<br /> +come del vostro il cibo che s’appone; +</p> + +<p> +e cieco toro più avaccio cade<br /> +che cieco agnello; e molte volte taglia<br /> +più e meglio una che le cinque spade. +</p> + +<p> +Se tu riguardi Luni e Orbisaglia<br /> +come sono ite, e come se ne vanno<br /> +di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, +</p> + +<p> +udir come le schiatte si disfanno<br /> +non ti parrà nova cosa né forte,<br /> +poscia che le cittadi termine hanno. +</p> + +<p> +Le vostre cose tutte hanno lor morte,<br /> +sì come voi; ma celasi in alcuna<br /> +che dura molto, e le vite son corte. +</p> + +<p> +E come ’l volger del ciel de la luna<br /> +cuopre e discuopre i liti sanza posa,<br /> +così fa di Fiorenza la Fortuna: +</p> + +<p> +per che non dee parer mirabil cosa<br /> +ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini<br /> +onde è la fama nel tempo nascosa. +</p> + +<p> +Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,<br /> +Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,<br /> +già nel calare, illustri cittadini; +</p> + +<p> +e vidi così grandi come antichi,<br /> +con quel de la Sannella, quel de l’Arca,<br /> +e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. +</p> + +<p> +Sovra la porta ch’al presente è carca<br /> +di nova fellonia di tanto peso<br /> +che tosto fia iattura de la barca, +</p> + +<p> +erano i Ravignani, ond’ è disceso<br /> +il conte Guido e qualunque del nome<br /> +de l’alto Bellincione ha poscia preso. +</p> + +<p> +Quel de la Pressa sapeva già come<br /> +regger si vuole, e avea Galigaio<br /> +dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. +</p> + +<p> +Grand’ era già la colonna del Vaio,<br /> +Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci<br /> +e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. +</p> + +<p> +Lo ceppo di che nacquero i Calfucci<br /> +era già grande, e già eran tratti<br /> +a le curule Sizii e Arrigucci. +</p> + +<p> +Oh quali io vidi quei che son disfatti<br /> +per lor superbia! e le palle de l’oro<br /> +fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti. +</p> + +<p> +Così facieno i padri di coloro<br /> +che, sempre che la vostra chiesa vaca,<br /> +si fanno grassi stando a consistoro. +</p> + +<p> +L’oltracotata schiatta che s’indraca<br /> +dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente<br /> +o ver la borsa, com’ agnel si placa, +</p> + +<p> +già venìa sù, ma di picciola gente;<br /> +sì che non piacque ad Ubertin Donato<br /> +che poï il suocero il fé lor parente. +</p> + +<p> +Già era ’l Caponsacco nel mercato<br /> +disceso giù da Fiesole, e già era<br /> +buon cittadino Giuda e Infangato. +</p> + +<p> +Io dirò cosa incredibile e vera:<br /> +nel picciol cerchio s’entrava per porta<br /> +che si nomava da quei de la Pera. +</p> + +<p> +Ciascun che de la bella insegna porta<br /> +del gran barone il cui nome e ’l cui pregio<br /> +la festa di Tommaso riconforta, +</p> + +<p> +da esso ebbe milizia e privilegio;<br /> +avvegna che con popol si rauni<br /> +oggi colui che la fascia col fregio. +</p> + +<p> +Già eran Gualterotti e Importuni;<br /> +e ancor saria Borgo più quïeto,<br /> +se di novi vicin fosser digiuni. +</p> + +<p> +La casa di che nacque il vostro fleto,<br /> +per lo giusto disdegno che v’ha morti<br /> +e puose fine al vostro viver lieto, +</p> + +<p> +era onorata, essa e suoi consorti:<br /> +o Buondelmonte, quanto mal fuggisti<br /> +le nozze süe per li altrui conforti! +</p> + +<p> +Molti sarebber lieti, che son tristi,<br /> +se Dio t’avesse conceduto ad Ema<br /> +la prima volta ch’a città venisti. +</p> + +<p> +Ma conveniesi a quella pietra scema<br /> +che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse<br /> +vittima ne la sua pace postrema. +</p> + +<p> +Con queste genti, e con altre con esse,<br /> +vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo,<br /> +che non avea cagione onde piangesse. +</p> + +<p> +Con queste genti vid’io glorïoso<br /> +e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio<br /> +non era ad asta mai posto a ritroso, +</p> + +<p> +né per divisïon fatto vermiglio». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto84"></a> +Paradiso<br /> +Canto XVII +</h2> + +<p> +Qual venne a Climenè, per accertarsi<br /> +di ciò ch’avëa incontro a sé udito,<br /> +quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; +</p> + +<p> +tal era io, e tal era sentito<br /> +e da Beatrice e da la santa lampa<br /> +che pria per me avea mutato sito. +</p> + +<p> +Per che mia donna «Manda fuor la vampa<br /> +del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca<br /> +segnata bene de la interna stampa: +</p> + +<p> +non perché nostra conoscenza cresca<br /> +per tuo parlare, ma perché t’ausi<br /> +a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». +</p> + +<p> +«O cara piota mia che sì t’insusi,<br /> +che, come veggion le terrene menti<br /> +non capere in trïangol due ottusi, +</p> + +<p> +così vedi le cose contingenti<br /> +anzi che sieno in sé, mirando il punto<br /> +a cui tutti li tempi son presenti; +</p> + +<p> +mentre ch’io era a Virgilio congiunto<br /> +su per lo monte che l’anime cura<br /> +e discendendo nel mondo defunto, +</p> + +<p> +dette mi fuor di mia vita futura<br /> +parole gravi, avvegna ch’io mi senta<br /> +ben tetragono ai colpi di ventura; +</p> + +<p> +per che la voglia mia saria contenta<br /> +d’intender qual fortuna mi s’appressa:<br /> +ché saetta previsa vien più lenta». +</p> + +<p> +Così diss’ io a quella luce stessa<br /> +che pria m’avea parlato; e come volle<br /> +Beatrice, fu la mia voglia confessa. +</p> + +<p> +Né per ambage, in che la gente folle<br /> +già s’inviscava pria che fosse anciso<br /> +l’Agnel di Dio che le peccata tolle, +</p> + +<p> +ma per chiare parole e con preciso<br /> +latin rispuose quello amor paterno,<br /> +chiuso e parvente del suo proprio riso: +</p> + +<p> +«La contingenza, che fuor del quaderno<br /> +de la vostra matera non si stende,<br /> +tutta è dipinta nel cospetto etterno; +</p> + +<p> +necessità però quindi non prende<br /> +se non come dal viso in che si specchia<br /> +nave che per torrente giù discende. +</p> + +<p> +Da indi, sì come viene ad orecchia<br /> +dolce armonia da organo, mi viene<br /> +a vista il tempo che ti s’apparecchia. +</p> + +<p> +Qual si partio Ipolito d’Atene<br /> +per la spietata e perfida noverca,<br /> +tal di Fiorenza partir ti convene. +</p> + +<p> +Questo si vuole e questo già si cerca,<br /> +e tosto verrà fatto a chi ciò pensa<br /> +là dove Cristo tutto dì si merca. +</p> + +<p> +La colpa seguirà la parte offensa<br /> +in grido, come suol; ma la vendetta<br /> +fia testimonio al ver che la dispensa. +</p> + +<p> +Tu lascerai ogne cosa diletta<br /> +più caramente; e questo è quello strale<br /> +che l’arco de lo essilio pria saetta. +</p> + +<p> +Tu proverai sì come sa di sale<br /> +lo pane altrui, e come è duro calle<br /> +lo scendere e ’l salir per l’altrui scale. +</p> + +<p> +E quel che più ti graverà le spalle,<br /> +sarà la compagnia malvagia e scempia<br /> +con la qual tu cadrai in questa valle; +</p> + +<p> +che tutta ingrata, tutta matta ed empia<br /> +si farà contr’ a te; ma, poco appresso,<br /> +ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. +</p> + +<p> +Di sua bestialitate il suo processo<br /> +farà la prova; sì ch’a te fia bello<br /> +averti fatta parte per te stesso. +</p> + +<p> +Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello<br /> +sarà la cortesia del gran Lombardo<br /> +che ’n su la scala porta il santo uccello; +</p> + +<p> +ch’in te avrà sì benigno riguardo,<br /> +che del fare e del chieder, tra voi due,<br /> +fia primo quel che tra li altri è più tardo. +</p> + +<p> +Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,<br /> +nascendo, sì da questa stella forte,<br /> +che notabili fier l’opere sue. +</p> + +<p> +Non se ne son le genti ancora accorte<br /> +per la novella età, ché pur nove anni<br /> +son queste rote intorno di lui torte; +</p> + +<p> +ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,<br /> +parran faville de la sua virtute<br /> +in non curar d’argento né d’affanni. +</p> + +<p> +Le sue magnificenze conosciute<br /> +saranno ancora, sì che ’ suoi nemici<br /> +non ne potran tener le lingue mute. +</p> + +<p> +A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;<br /> +per lui fia trasmutata molta gente,<br /> +cambiando condizion ricchi e mendici; +</p> + +<p> +e portera’ne scritto ne la mente<br /> +di lui, e nol dirai»; e disse cose<br /> +incredibili a quei che fier presente. +</p> + +<p> +Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose<br /> +di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie<br /> +che dietro a pochi giri son nascose. +</p> + +<p> +Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,<br /> +poscia che s’infutura la tua vita<br /> +vie più là che ’l punir di lor perfidie». +</p> + +<p> +Poi che, tacendo, si mostrò spedita<br /> +l’anima santa di metter la trama<br /> +in quella tela ch’io le porsi ordita, +</p> + +<p> +io cominciai, come colui che brama,<br /> +dubitando, consiglio da persona<br /> +che vede e vuol dirittamente e ama: +</p> + +<p> +«Ben veggio, padre mio, sì come sprona<br /> +lo tempo verso me, per colpo darmi<br /> +tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; +</p> + +<p> +per che di provedenza è buon ch’io m’armi,<br /> +sì che, se loco m’è tolto più caro,<br /> +io non perdessi li altri per miei carmi. +</p> + +<p> +Giù per lo mondo sanza fine amaro,<br /> +e per lo monte del cui bel cacume<br /> +li occhi de la mia donna mi levaro, +</p> + +<p> +e poscia per lo ciel, di lume in lume,<br /> +ho io appreso quel che s’io ridico,<br /> +a molti fia sapor di forte agrume; +</p> + +<p> +e s’io al vero son timido amico,<br /> +temo di perder viver tra coloro<br /> +che questo tempo chiameranno antico». +</p> + +<p> +La luce in che rideva il mio tesoro<br /> +ch’io trovai lì, si fé prima corusca,<br /> +quale a raggio di sole specchio d’oro; +</p> + +<p> +indi rispuose: «Coscïenza fusca<br /> +o de la propria o de l’altrui vergogna<br /> +pur sentirà la tua parola brusca. +</p> + +<p> +Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,<br /> +tutta tua visïon fa manifesta;<br /> +e lascia pur grattar dov’ è la rogna. +</p> + +<p> +Ché se la voce tua sarà molesta<br /> +nel primo gusto, vital nodrimento<br /> +lascerà poi, quando sarà digesta. +</p> + +<p> +Questo tuo grido farà come vento,<br /> +che le più alte cime più percuote;<br /> +e ciò non fa d’onor poco argomento. +</p> + +<p> +Però ti son mostrate in queste rote,<br /> +nel monte e ne la valle dolorosa<br /> +pur l’anime che son di fama note, +</p> + +<p> +che l’animo di quel ch’ode, non posa<br /> +né ferma fede per essempro ch’aia<br /> +la sua radice incognita e ascosa, +</p> + +<p> +né per altro argomento che non paia». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto85"></a> +Paradiso<br /> +Canto XVIII +</h2> + +<p> +Già si godeva solo del suo verbo<br /> +quello specchio beato, e io gustava<br /> +lo mio, temprando col dolce l’acerbo; +</p> + +<p> +e quella donna ch’a Dio mi menava<br /> +disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono<br /> +presso a colui ch’ogne torto disgrava». +</p> + +<p> +Io mi rivolsi a l’amoroso suono<br /> +del mio conforto; e qual io allor vidi<br /> +ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: +</p> + +<p> +non perch’ io pur del mio parlar diffidi,<br /> +ma per la mente che non può redire<br /> +sovra sé tanto, s’altri non la guidi. +</p> + +<p> +Tanto poss’ io di quel punto ridire,<br /> +che, rimirando lei, lo mio affetto<br /> +libero fu da ogne altro disire, +</p> + +<p> +fin che ’l piacere etterno, che diretto<br /> +raggiava in Bëatrice, dal bel viso<br /> +mi contentava col secondo aspetto. +</p> + +<p> +Vincendo me col lume d’un sorriso,<br /> +ella mi disse: «Volgiti e ascolta;<br /> +ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». +</p> + +<p> +Come si vede qui alcuna volta<br /> +l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,<br /> +che da lui sia tutta l’anima tolta, +</p> + +<p> +così nel fiammeggiar del folgór santo,<br /> +a ch’io mi volsi, conobbi la voglia<br /> +in lui di ragionarmi ancora alquanto. +</p> + +<p> +El cominciò: «In questa quinta soglia<br /> +de l’albero che vive de la cima<br /> +e frutta sempre e mai non perde foglia, +</p> + +<p> +spiriti son beati, che giù, prima<br /> +che venissero al ciel, fuor di gran voce,<br /> +sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. +</p> + +<p> +Però mira ne’ corni de la croce:<br /> +quello ch’io nomerò, lì farà l’atto<br /> +che fa in nube il suo foco veloce». +</p> + +<p> +Io vidi per la croce un lume tratto<br /> +dal nomar Iosuè, com’ el si feo;<br /> +né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. +</p> + +<p> +E al nome de l’alto Macabeo<br /> +vidi moversi un altro roteando,<br /> +e letizia era ferza del paleo. +</p> + +<p> +Così per Carlo Magno e per Orlando<br /> +due ne seguì lo mio attento sguardo,<br /> +com’ occhio segue suo falcon volando. +</p> + +<p> +Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo<br /> +e ’l duca Gottifredi la mia vista<br /> +per quella croce, e Ruberto Guiscardo. +</p> + +<p> +Indi, tra l’altre luci mota e mista,<br /> +mostrommi l’alma che m’avea parlato<br /> +qual era tra i cantor del cielo artista. +</p> + +<p> +Io mi rivolsi dal mio destro lato<br /> +per vedere in Beatrice il mio dovere,<br /> +o per parlare o per atto, segnato; +</p> + +<p> +e vidi le sue luci tanto mere,<br /> +tanto gioconde, che la sua sembianza<br /> +vinceva li altri e l’ultimo solere. +</p> + +<p> +E come, per sentir più dilettanza<br /> +bene operando, l’uom di giorno in giorno<br /> +s’accorge che la sua virtute avanza, +</p> + +<p> +sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno<br /> +col cielo insieme avea cresciuto l’arco,<br /> +veggendo quel miracol più addorno. +</p> + +<p> +E qual è ’l trasmutare in picciol varco<br /> +di tempo in bianca donna, quando ’l volto<br /> +suo si discarchi di vergogna il carco, +</p> + +<p> +tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,<br /> +per lo candor de la temprata stella<br /> +sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. +</p> + +<p> +Io vidi in quella giovïal facella<br /> +lo sfavillar de l’amor che lì era<br /> +segnare a li occhi miei nostra favella. +</p> + +<p> +E come augelli surti di rivera,<br /> +quasi congratulando a lor pasture,<br /> +fanno di sé or tonda or altra schiera, +</p> + +<p> +sì dentro ai lumi sante creature<br /> +volitando cantavano, e faciensi<br /> +or D, or I, or L in sue figure. +</p> + +<p> +Prima, cantando, a sua nota moviensi;<br /> +poi, diventando l’un di questi segni,<br /> +un poco s’arrestavano e taciensi. +</p> + +<p> +O diva Pegasëa che li ’ngegni<br /> +fai glorïosi e rendili longevi,<br /> +ed essi teco le cittadi e ’ regni, +</p> + +<p> +illustrami di te, sì ch’io rilevi<br /> +le lor figure com’ io l’ho concette:<br /> +paia tua possa in questi versi brevi! +</p> + +<p> +Mostrarsi dunque in cinque volte sette<br /> +vocali e consonanti; e io notai<br /> +le parti sì, come mi parver dette. +</p> + +<p> +‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai<br /> +fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;<br /> +‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. +</p> + +<p> +Poscia ne l’emme del vocabol quinto<br /> +rimasero ordinate; sì che Giove<br /> +pareva argento lì d’oro distinto. +</p> + +<p> +E vidi scendere altre luci dove<br /> +era il colmo de l’emme, e lì quetarsi<br /> +cantando, credo, il ben ch’a sé le move. +</p> + +<p> +Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi<br /> +surgono innumerabili faville,<br /> +onde li stolti sogliono agurarsi, +</p> + +<p> +resurger parver quindi più di mille<br /> +luci e salir, qual assai e qual poco,<br /> +sì come ’l sol che l’accende sortille; +</p> + +<p> +e quïetata ciascuna in suo loco,<br /> +la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi<br /> +rappresentare a quel distinto foco. +</p> + +<p> +Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;<br /> +ma esso guida, e da lui si rammenta<br /> +quella virtù ch’è forma per li nidi. +</p> + +<p> +L’altra bëatitudo, che contenta<br /> +pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,<br /> +con poco moto seguitò la ’mprenta. +</p> + +<p> +O dolce stella, quali e quante gemme<br /> +mi dimostraro che nostra giustizia<br /> +effetto sia del ciel che tu ingemme! +</p> + +<p> +Per ch’io prego la mente in che s’inizia<br /> +tuo moto e tua virtute, che rimiri<br /> +ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; +</p> + +<p> +sì ch’un’altra fïata omai s’adiri<br /> +del comperare e vender dentro al templo<br /> +che si murò di segni e di martìri. +</p> + +<p> +O milizia del ciel cu’ io contemplo,<br /> +adora per color che sono in terra<br /> +tutti svïati dietro al malo essemplo! +</p> + +<p> +Già si solea con le spade far guerra;<br /> +ma or si fa togliendo or qui or quivi<br /> +lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra. +</p> + +<p> +Ma tu che sol per cancellare scrivi,<br /> +pensa che Pietro e Paulo, che moriro<br /> +per la vigna che guasti, ancor son vivi. +</p> + +<p> +Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro<br /> +sì a colui che volle viver solo<br /> +e che per salti fu tratto al martiro, +</p> + +<p> +ch’io non conosco il pescator né Polo». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto86"></a> +Paradiso<br /> +Canto XIX +</h2> + +<p> +Parea dinanzi a me con l’ali aperte<br /> +la bella image che nel dolce frui<br /> +liete facevan l’anime conserte; +</p> + +<p> +parea ciascuna rubinetto in cui<br /> +raggio di sole ardesse sì acceso,<br /> +che ne’ miei occhi rifrangesse lui. +</p> + +<p> +E quel che mi convien ritrar testeso,<br /> +non portò voce mai, né scrisse incostro,<br /> +né fu per fantasia già mai compreso; +</p> + +<p> +ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,<br /> +e sonar ne la voce e «io» e «mio»,<br /> +quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. +</p> + +<p> +E cominciò: «Per esser giusto e pio<br /> +son io qui essaltato a quella gloria<br /> +che non si lascia vincere a disio; +</p> + +<p> +e in terra lasciai la mia memoria<br /> +sì fatta, che le genti lì malvage<br /> +commendan lei, ma non seguon la storia». +</p> + +<p> +Così un sol calor di molte brage<br /> +si fa sentir, come di molti amori<br /> +usciva solo un suon di quella image. +</p> + +<p> +Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori<br /> +de l’etterna letizia, che pur uno<br /> +parer mi fate tutti vostri odori, +</p> + +<p> +solvetemi, spirando, il gran digiuno<br /> +che lungamente m’ha tenuto in fame,<br /> +non trovandoli in terra cibo alcuno. +</p> + +<p> +Ben so io che, se ’n cielo altro reame<br /> +la divina giustizia fa suo specchio,<br /> +che ’l vostro non l’apprende con velame. +</p> + +<p> +Sapete come attento io m’apparecchio<br /> +ad ascoltar; sapete qual è quello<br /> +dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». +</p> + +<p> +Quasi falcone ch’esce del cappello,<br /> +move la testa e con l’ali si plaude,<br /> +voglia mostrando e faccendosi bello, +</p> + +<p> +vid’ io farsi quel segno, che di laude<br /> +de la divina grazia era contesto,<br /> +con canti quai si sa chi là sù gaude. +</p> + +<p> +Poi cominciò: «Colui che volse il sesto<br /> +a lo stremo del mondo, e dentro ad esso<br /> +distinse tanto occulto e manifesto, +</p> + +<p> +non poté suo valor sì fare impresso<br /> +in tutto l’universo, che ’l suo verbo<br /> +non rimanesse in infinito eccesso. +</p> + +<p> +E ciò fa certo che ’l primo superbo,<br /> +che fu la somma d’ogne creatura,<br /> +per non aspettar lume, cadde acerbo; +</p> + +<p> +e quinci appar ch’ogne minor natura<br /> +è corto recettacolo a quel bene<br /> +che non ha fine e sé con sé misura. +</p> + +<p> +Dunque vostra veduta, che convene<br /> +esser alcun de’ raggi de la mente<br /> +di che tutte le cose son ripiene, +</p> + +<p> +non pò da sua natura esser possente<br /> +tanto, che suo principio discerna<br /> +molto di là da quel che l’è parvente. +</p> + +<p> +Però ne la giustizia sempiterna<br /> +la vista che riceve il vostro mondo,<br /> +com’ occhio per lo mare, entro s’interna; +</p> + +<p> +che, ben che da la proda veggia il fondo,<br /> +in pelago nol vede; e nondimeno<br /> +èli, ma cela lui l’esser profondo. +</p> + +<p> +Lume non è, se non vien dal sereno<br /> +che non si turba mai; anzi è tenèbra<br /> +od ombra de la carne o suo veleno. +</p> + +<p> +Assai t’è mo aperta la latebra<br /> +che t’ascondeva la giustizia viva,<br /> +di che facei question cotanto crebra; +</p> + +<p> +ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva<br /> +de l’Indo, e quivi non è chi ragioni<br /> +di Cristo né chi legga né chi scriva; +</p> + +<p> +e tutti suoi voleri e atti buoni<br /> +sono, quanto ragione umana vede,<br /> +sanza peccato in vita o in sermoni. +</p> + +<p> +Muore non battezzato e sanza fede:<br /> +ov’ è questa giustizia che ’l condanna?<br /> +ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”. +</p> + +<p> +Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,<br /> +per giudicar di lungi mille miglia<br /> +con la veduta corta d’una spanna? +</p> + +<p> +Certo a colui che meco s’assottiglia,<br /> +se la Scrittura sovra voi non fosse,<br /> +da dubitar sarebbe a maraviglia. +</p> + +<p> +Oh terreni animali! oh menti grosse!<br /> +La prima volontà, ch’è da sé buona,<br /> +da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. +</p> + +<p> +Cotanto è giusto quanto a lei consuona:<br /> +nullo creato bene a sé la tira,<br /> +ma essa, radïando, lui cagiona». +</p> + +<p> +Quale sovresso il nido si rigira<br /> +poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,<br /> +e come quel ch’è pasto la rimira; +</p> + +<p> +cotal si fece, e sì leväi i cigli,<br /> +la benedetta imagine, che l’ali<br /> +movea sospinte da tanti consigli. +</p> + +<p> +Roteando cantava, e dicea: «Quali<br /> +son le mie note a te, che non le ’ntendi,<br /> +tal è il giudicio etterno a voi mortali». +</p> + +<p> +Poi si quetaro quei lucenti incendi<br /> +de lo Spirito Santo ancor nel segno<br /> +che fé i Romani al mondo reverendi, +</p> + +<p> +esso ricominciò: «A questo regno<br /> +non salì mai chi non credette ’n Cristo,<br /> +né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. +</p> + +<p> +Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,<br /> +che saranno in giudicio assai men prope<br /> +a lui, che tal che non conosce Cristo; +</p> + +<p> +e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,<br /> +quando si partiranno i due collegi,<br /> +l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. +</p> + +<p> +Che poran dir li Perse a’ vostri regi,<br /> +come vedranno quel volume aperto<br /> +nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? +</p> + +<p> +Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto,<br /> +quella che tosto moverà la penna,<br /> +per che ’l regno di Praga fia diserto. +</p> + +<p> +Lì si vedrà il duol che sovra Senna<br /> +induce, falseggiando la moneta,<br /> +quel che morrà di colpo di cotenna. +</p> + +<p> +Lì si vedrà la superbia ch’asseta,<br /> +che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,<br /> +sì che non può soffrir dentro a sua meta. +</p> + +<p> +Vedrassi la lussuria e ’l viver molle<br /> +di quel di Spagna e di quel di Boemme,<br /> +che mai valor non conobbe né volle. +</p> + +<p> +Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme<br /> +segnata con un i la sua bontate,<br /> +quando ’l contrario segnerà un emme. +</p> + +<p> +Vedrassi l’avarizia e la viltate<br /> +di quei che guarda l’isola del foco,<br /> +ove Anchise finì la lunga etate; +</p> + +<p> +e a dare ad intender quanto è poco,<br /> +la sua scrittura fian lettere mozze,<br /> +che noteranno molto in parvo loco. +</p> + +<p> +E parranno a ciascun l’opere sozze<br /> +del barba e del fratel, che tanto egregia<br /> +nazione e due corone han fatte bozze. +</p> + +<p> +E quel di Portogallo e di Norvegia<br /> +lì si conosceranno, e quel di Rascia<br /> +che male ha visto il conio di Vinegia. +</p> + +<p> +Oh beata Ungheria, se non si lascia<br /> +più malmenare! e beata Navarra,<br /> +se s’armasse del monte che la fascia! +</p> + +<p> +E creder de’ ciascun che già, per arra<br /> +di questo, Niccosïa e Famagosta<br /> +per la lor bestia si lamenti e garra, +</p> + +<p> +che dal fianco de l’altre non si scosta». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto87"></a> +Paradiso<br /> +Canto XX +</h2> + +<p> +Quando colui che tutto ’l mondo alluma<br /> +de l’emisperio nostro sì discende,<br /> +che ’l giorno d’ogne parte si consuma, +</p> + +<p> +lo ciel, che sol di lui prima s’accende,<br /> +subitamente si rifà parvente<br /> +per molte luci, in che una risplende; +</p> + +<p> +e questo atto del ciel mi venne a mente,<br /> +come ’l segno del mondo e de’ suoi duci<br /> +nel benedetto rostro fu tacente; +</p> + +<p> +però che tutte quelle vive luci,<br /> +vie più lucendo, cominciaron canti<br /> +da mia memoria labili e caduci. +</p> + +<p> +O dolce amor che di riso t’ammanti,<br /> +quanto parevi ardente in que’ flailli,<br /> +ch’avieno spirto sol di pensier santi! +</p> + +<p> +Poscia che i cari e lucidi lapilli<br /> +ond’ io vidi ingemmato il sesto lume<br /> +puoser silenzio a li angelici squilli, +</p> + +<p> +udir mi parve un mormorar di fiume<br /> +che scende chiaro giù di pietra in pietra,<br /> +mostrando l’ubertà del suo cacume. +</p> + +<p> +E come suono al collo de la cetra<br /> +prende sua forma, e sì com’ al pertugio<br /> +de la sampogna vento che penètra, +</p> + +<p> +così, rimosso d’aspettare indugio,<br /> +quel mormorar de l’aguglia salissi<br /> +su per lo collo, come fosse bugio. +</p> + +<p> +Fecesi voce quivi, e quindi uscissi<br /> +per lo suo becco in forma di parole,<br /> +quali aspettava il core ov’ io le scrissi. +</p> + +<p> +«La parte in me che vede e pate il sole<br /> +ne l’aguglie mortali», incominciommi,<br /> +«or fisamente riguardar si vole, +</p> + +<p> +perché d’i fuochi ond’ io figura fommi,<br /> +quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,<br /> +e’ di tutti lor gradi son li sommi. +</p> + +<p> +Colui che luce in mezzo per pupilla,<br /> +fu il cantor de lo Spirito Santo,<br /> +che l’arca traslatò di villa in villa: +</p> + +<p> +ora conosce il merto del suo canto,<br /> +in quanto effetto fu del suo consiglio,<br /> +per lo remunerar ch’è altrettanto. +</p> + +<p> +Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,<br /> +colui che più al becco mi s’accosta,<br /> +la vedovella consolò del figlio: +</p> + +<p> +ora conosce quanto caro costa<br /> +non seguir Cristo, per l’esperïenza<br /> +di questa dolce vita e de l’opposta. +</p> + +<p> +E quel che segue in la circunferenza<br /> +di che ragiono, per l’arco superno,<br /> +morte indugiò per vera penitenza: +</p> + +<p> +ora conosce che ’l giudicio etterno<br /> +non si trasmuta, quando degno preco<br /> +fa crastino là giù de l’odïerno. +</p> + +<p> +L’altro che segue, con le leggi e meco,<br /> +sotto buona intenzion che fé mal frutto,<br /> +per cedere al pastor si fece greco: +</p> + +<p> +ora conosce come il mal dedutto<br /> +dal suo bene operar non li è nocivo,<br /> +avvegna che sia ’l mondo indi distrutto. +</p> + +<p> +E quel che vedi ne l’arco declivo,<br /> +Guiglielmo fu, cui quella terra plora<br /> +che piagne Carlo e Federigo vivo: +</p> + +<p> +ora conosce come s’innamora<br /> +lo ciel del giusto rege, e al sembiante<br /> +del suo fulgore il fa vedere ancora. +</p> + +<p> +Chi crederebbe giù nel mondo errante<br /> +che Rifëo Troiano in questo tondo<br /> +fosse la quinta de le luci sante? +</p> + +<p> +Ora conosce assai di quel che ’l mondo<br /> +veder non può de la divina grazia,<br /> +ben che sua vista non discerna il fondo». +</p> + +<p> +Quale allodetta che ’n aere si spazia<br /> +prima cantando, e poi tace contenta<br /> +de l’ultima dolcezza che la sazia, +</p> + +<p> +tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta<br /> +de l’etterno piacere, al cui disio<br /> +ciascuna cosa qual ell’ è diventa. +</p> + +<p> +E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio<br /> +lì quasi vetro a lo color ch’el veste,<br /> +tempo aspettar tacendo non patio, +</p> + +<p> +ma de la bocca, «Che cose son queste?»,<br /> +mi pinse con la forza del suo peso:<br /> +per ch’io di coruscar vidi gran feste. +</p> + +<p> +Poi appresso, con l’occhio più acceso,<br /> +lo benedetto segno mi rispuose<br /> +per non tenermi in ammirar sospeso: +</p> + +<p> +«Io veggio che tu credi queste cose<br /> +perch’ io le dico, ma non vedi come;<br /> +sì che, se son credute, sono ascose. +</p> + +<p> +Fai come quei che la cosa per nome<br /> +apprende ben, ma la sua quiditate<br /> +veder non può se altri non la prome. +</p> + +<p> +Regnum celorum vïolenza pate<br /> +da caldo amore e da viva speranza,<br /> +che vince la divina volontate: +</p> + +<p> +non a guisa che l’omo a l’om sobranza,<br /> +ma vince lei perché vuole esser vinta,<br /> +e, vinta, vince con sua beninanza. +</p> + +<p> +La prima vita del ciglio e la quinta<br /> +ti fa maravigliar, perché ne vedi<br /> +la regïon de li angeli dipinta. +</p> + +<p> +D’i corpi suoi non uscir, come credi,<br /> +Gentili, ma Cristiani, in ferma fede<br /> +quel d’i passuri e quel d’i passi piedi. +</p> + +<p> +Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede<br /> +già mai a buon voler, tornò a l’ossa;<br /> +e ciò di viva spene fu mercede: +</p> + +<p> +di viva spene, che mise la possa<br /> +ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla,<br /> +sì che potesse sua voglia esser mossa. +</p> + +<p> +L’anima glorïosa onde si parla,<br /> +tornata ne la carne, in che fu poco,<br /> +credette in lui che potëa aiutarla; +</p> + +<p> +e credendo s’accese in tanto foco<br /> +di vero amor, ch’a la morte seconda<br /> +fu degna di venire a questo gioco. +</p> + +<p> +L’altra, per grazia che da sì profonda<br /> +fontana stilla, che mai creatura<br /> +non pinse l’occhio infino a la prima onda, +</p> + +<p> +tutto suo amor là giù pose a drittura:<br /> +per che, di grazia in grazia, Dio li aperse<br /> +l’occhio a la nostra redenzion futura; +</p> + +<p> +ond’ ei credette in quella, e non sofferse<br /> +da indi il puzzo più del paganesmo;<br /> +e riprendiene le genti perverse. +</p> + +<p> +Quelle tre donne li fur per battesmo<br /> +che tu vedesti da la destra rota,<br /> +dinanzi al battezzar più d’un millesmo. +</p> + +<p> +O predestinazion, quanto remota<br /> +è la radice tua da quelli aspetti<br /> +che la prima cagion non veggion tota! +</p> + +<p> +E voi, mortali, tenetevi stretti<br /> +a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,<br /> +non conosciamo ancor tutti li eletti; +</p> + +<p> +ed ènne dolce così fatto scemo,<br /> +perché il ben nostro in questo ben s’affina,<br /> +che quel che vole Iddio, e noi volemo». +</p> + +<p> +Così da quella imagine divina,<br /> +per farmi chiara la mia corta vista,<br /> +data mi fu soave medicina. +</p> + +<p> +E come a buon cantor buon citarista<br /> +fa seguitar lo guizzo de la corda,<br /> +in che più di piacer lo canto acquista, +</p> + +<p> +sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda<br /> +ch’io vidi le due luci benedette,<br /> +pur come batter d’occhi si concorda, +</p> + +<p> +con le parole mover le fiammette. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto88"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXI +</h2> + +<p> +Già eran li occhi miei rifissi al volto<br /> +de la mia donna, e l’animo con essi,<br /> +e da ogne altro intento s’era tolto. +</p> + +<p> +E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,<br /> +mi cominciò, «tu ti faresti quale<br /> +fu Semelè quando di cener fessi: +</p> + +<p> +ché la bellezza mia, che per le scale<br /> +de l’etterno palazzo più s’accende,<br /> +com’ hai veduto, quanto più si sale, +</p> + +<p> +se non si temperasse, tanto splende,<br /> +che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,<br /> +sarebbe fronda che trono scoscende. +</p> + +<p> +Noi sem levati al settimo splendore,<br /> +che sotto ’l petto del Leone ardente<br /> +raggia mo misto giù del suo valore. +</p> + +<p> +Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,<br /> +e fa di quelli specchi a la figura<br /> +che ’n questo specchio ti sarà parvente». +</p> + +<p> +Qual savesse qual era la pastura<br /> +del viso mio ne l’aspetto beato<br /> +quand’ io mi trasmutai ad altra cura, +</p> + +<p> +conoscerebbe quanto m’era a grato<br /> +ubidire a la mia celeste scorta,<br /> +contrapesando l’un con l’altro lato. +</p> + +<p> +Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,<br /> +cerchiando il mondo, del suo caro duce<br /> +sotto cui giacque ogne malizia morta, +</p> + +<p> +di color d’oro in che raggio traluce<br /> +vid’ io uno scaleo eretto in suso<br /> +tanto, che nol seguiva la mia luce. +</p> + +<p> +Vidi anche per li gradi scender giuso<br /> +tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume<br /> +che par nel ciel, quindi fosse diffuso. +</p> + +<p> +E come, per lo natural costume,<br /> +le pole insieme, al cominciar del giorno,<br /> +si movono a scaldar le fredde piume; +</p> + +<p> +poi altre vanno via sanza ritorno,<br /> +altre rivolgon sé onde son mosse,<br /> +e altre roteando fan soggiorno; +</p> + +<p> +tal modo parve me che quivi fosse<br /> +in quello sfavillar che ’nsieme venne,<br /> +sì come in certo grado si percosse. +</p> + +<p> +E quel che presso più ci si ritenne,<br /> +si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando:<br /> +‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne. +</p> + +<p> +Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando<br /> +del dire e del tacer, si sta; ond’ io,<br /> +contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’. +</p> + +<p> +Per ch’ella, che vedëa il tacer mio<br /> +nel veder di colui che tutto vede,<br /> +mi disse: «Solvi il tuo caldo disio». +</p> + +<p> +E io incominciai: «La mia mercede<br /> +non mi fa degno de la tua risposta;<br /> +ma per colei che ’l chieder mi concede, +</p> + +<p> +vita beata che ti stai nascosta<br /> +dentro a la tua letizia, fammi nota<br /> +la cagion che sì presso mi t’ha posta; +</p> + +<p> +e dì perché si tace in questa rota<br /> +la dolce sinfonia di paradiso,<br /> +che giù per l’altre suona sì divota». +</p> + +<p> +«Tu hai l’udir mortal sì come il viso»,<br /> +rispuose a me; «onde qui non si canta<br /> +per quel che Bëatrice non ha riso. +</p> + +<p> +Giù per li gradi de la scala santa<br /> +discesi tanto sol per farti festa<br /> +col dire e con la luce che mi ammanta; +</p> + +<p> +né più amor mi fece esser più presta,<br /> +ché più e tanto amor quinci sù ferve,<br /> +sì come il fiammeggiar ti manifesta. +</p> + +<p> +Ma l’alta carità, che ci fa serve<br /> +pronte al consiglio che ’l mondo governa,<br /> +sorteggia qui sì come tu osserve». +</p> + +<p> +«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna,<br /> +come libero amore in questa corte<br /> +basta a seguir la provedenza etterna; +</p> + +<p> +ma questo è quel ch’a cerner mi par forte,<br /> +perché predestinata fosti sola<br /> +a questo officio tra le tue consorte». +</p> + +<p> +Né venni prima a l’ultima parola,<br /> +che del suo mezzo fece il lume centro,<br /> +girando sé come veloce mola; +</p> + +<p> +poi rispuose l’amor che v’era dentro:<br /> +«Luce divina sopra me s’appunta,<br /> +penetrando per questa in ch’io m’inventro, +</p> + +<p> +la cui virtù, col mio veder congiunta,<br /> +mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio<br /> +la somma essenza de la quale è munta. +</p> + +<p> +Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio;<br /> +per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara,<br /> +la chiarità de la fiamma pareggio. +</p> + +<p> +Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,<br /> +quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,<br /> +a la dimanda tua non satisfara, +</p> + +<p> +però che sì s’innoltra ne lo abisso<br /> +de l’etterno statuto quel che chiedi,<br /> +che da ogne creata vista è scisso. +</p> + +<p> +E al mondo mortal, quando tu riedi,<br /> +questo rapporta, sì che non presumma<br /> +a tanto segno più mover li piedi. +</p> + +<p> +La mente, che qui luce, in terra fumma;<br /> +onde riguarda come può là giùe<br /> +quel che non pote perché ’l ciel l’assumma». +</p> + +<p> +Sì mi prescrisser le parole sue,<br /> +ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi<br /> +a dimandarla umilmente chi fue. +</p> + +<p> +«Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,<br /> +e non molto distanti a la tua patria,<br /> +tanto che ’ troni assai suonan più bassi, +</p> + +<p> +e fanno un gibbo che si chiama Catria,<br /> +di sotto al quale è consecrato un ermo,<br /> +che suole esser disposto a sola latria». +</p> + +<p> +Così ricominciommi il terzo sermo;<br /> +e poi, continüando, disse: «Quivi<br /> +al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, +</p> + +<p> +che pur con cibi di liquor d’ulivi<br /> +lievemente passava caldi e geli,<br /> +contento ne’ pensier contemplativi. +</p> + +<p> +Render solea quel chiostro a questi cieli<br /> +fertilemente; e ora è fatto vano,<br /> +sì che tosto convien che si riveli. +</p> + +<p> +In quel loco fu’ io Pietro Damiano,<br /> +e Pietro Peccator fu’ ne la casa<br /> +di Nostra Donna in sul lito adriano. +</p> + +<p> +Poca vita mortal m’era rimasa,<br /> +quando fui chiesto e tratto a quel cappello,<br /> +che pur di male in peggio si travasa. +</p> + +<p> +Venne Cefàs e venne il gran vasello<br /> +de lo Spirito Santo, magri e scalzi,<br /> +prendendo il cibo da qualunque ostello. +</p> + +<p> +Or voglion quinci e quindi chi rincalzi<br /> +li moderni pastori e chi li meni,<br /> +tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. +</p> + +<p> +Cuopron d’i manti loro i palafreni,<br /> +sì che due bestie van sott’ una pelle:<br /> +oh pazïenza che tanto sostieni!». +</p> + +<p> +A questa voce vid’ io più fiammelle<br /> +di grado in grado scendere e girarsi,<br /> +e ogne giro le facea più belle. +</p> + +<p> +Dintorno a questa vennero e fermarsi,<br /> +e fero un grido di sì alto suono,<br /> +che non potrebbe qui assomigliarsi; +</p> + +<p> +né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto89"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXII +</h2> + +<p> +Oppresso di stupore, a la mia guida<br /> +mi volsi, come parvol che ricorre<br /> +sempre colà dove più si confida; +</p> + +<p> +e quella, come madre che soccorre<br /> +sùbito al figlio palido e anelo<br /> +con la sua voce, che ’l suol ben disporre, +</p> + +<p> +mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?<br /> +e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,<br /> +e ciò che ci si fa vien da buon zelo? +</p> + +<p> +Come t’avrebbe trasmutato il canto,<br /> +e io ridendo, mo pensar lo puoi,<br /> +poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto; +</p> + +<p> +nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi,<br /> +già ti sarebbe nota la vendetta<br /> +che tu vedrai innanzi che tu muoi. +</p> + +<p> +La spada di qua sù non taglia in fretta<br /> +né tardo, ma’ ch’al parer di colui<br /> +che disïando o temendo l’aspetta. +</p> + +<p> +Ma rivolgiti omai inverso altrui;<br /> +ch’assai illustri spiriti vedrai,<br /> +se com’ io dico l’aspetto redui». +</p> + +<p> +Come a lei piacque, li occhi ritornai,<br /> +e vidi cento sperule che ’nsieme<br /> +più s’abbellivan con mutüi rai. +</p> + +<p> +Io stava come quei che ’n sé repreme<br /> +la punta del disio, e non s’attenta<br /> +di domandar, sì del troppo si teme; +</p> + +<p> +e la maggiore e la più luculenta<br /> +di quelle margherite innanzi fessi,<br /> +per far di sé la mia voglia contenta. +</p> + +<p> +Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi<br /> +com’ io la carità che tra noi arde,<br /> +li tuoi concetti sarebbero espressi. +</p> + +<p> +Ma perché tu, aspettando, non tarde<br /> +a l’alto fine, io ti farò risposta<br /> +pur al pensier, da che sì ti riguarde. +</p> + +<p> +Quel monte a cui Cassino è ne la costa<br /> +fu frequentato già in su la cima<br /> +da la gente ingannata e mal disposta; +</p> + +<p> +e quel son io che sù vi portai prima<br /> +lo nome di colui che ’n terra addusse<br /> +la verità che tanto ci soblima; +</p> + +<p> +e tanta grazia sopra me relusse,<br /> +ch’io ritrassi le ville circunstanti<br /> +da l’empio cólto che ’l mondo sedusse. +</p> + +<p> +Questi altri fuochi tutti contemplanti<br /> +uomini fuoro, accesi di quel caldo<br /> +che fa nascere i fiori e ’ frutti santi. +</p> + +<p> +Qui è Maccario, qui è Romoaldo,<br /> +qui son li frati miei che dentro ai chiostri<br /> +fermar li piedi e tennero il cor saldo». +</p> + +<p> +E io a lui: «L’affetto che dimostri<br /> +meco parlando, e la buona sembianza<br /> +ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri, +</p> + +<p> +così m’ha dilatata mia fidanza,<br /> +come ’l sol fa la rosa quando aperta<br /> +tanto divien quant’ ell’ ha di possanza. +</p> + +<p> +Però ti priego, e tu, padre, m’accerta<br /> +s’io posso prender tanta grazia, ch’io<br /> +ti veggia con imagine scoverta». +</p> + +<p> +Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio<br /> +s’adempierà in su l’ultima spera,<br /> +ove s’adempion tutti li altri e ’l mio. +</p> + +<p> +Ivi è perfetta, matura e intera<br /> +ciascuna disïanza; in quella sola<br /> +è ogne parte là ove sempr’ era, +</p> + +<p> +perché non è in loco e non s’impola;<br /> +e nostra scala infino ad essa varca,<br /> +onde così dal viso ti s’invola. +</p> + +<p> +Infin là sù la vide il patriarca<br /> +Iacobbe porger la superna parte,<br /> +quando li apparve d’angeli sì carca. +</p> + +<p> +Ma, per salirla, mo nessun diparte<br /> +da terra i piedi, e la regola mia<br /> +rimasa è per danno de le carte. +</p> + +<p> +Le mura che solieno esser badia<br /> +fatte sono spelonche, e le cocolle<br /> +sacca son piene di farina ria. +</p> + +<p> +Ma grave usura tanto non si tolle<br /> +contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto<br /> +che fa il cor de’ monaci sì folle; +</p> + +<p> +ché quantunque la Chiesa guarda, tutto<br /> +è de la gente che per Dio dimanda;<br /> +non di parenti né d’altro più brutto. +</p> + +<p> +La carne d’i mortali è tanto blanda,<br /> +che giù non basta buon cominciamento<br /> +dal nascer de la quercia al far la ghianda. +</p> + +<p> +Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,<br /> +e io con orazione e con digiuno,<br /> +e Francesco umilmente il suo convento; +</p> + +<p> +e se guardi ’l principio di ciascuno,<br /> +poscia riguardi là dov’ è trascorso,<br /> +tu vederai del bianco fatto bruno. +</p> + +<p> +Veramente Iordan vòlto retrorso<br /> +più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,<br /> +mirabile a veder che qui ’l soccorso». +</p> + +<p> +Così mi disse, e indi si raccolse<br /> +al suo collegio, e ’l collegio si strinse;<br /> +poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse. +</p> + +<p> +La dolce donna dietro a lor mi pinse<br /> +con un sol cenno su per quella scala,<br /> +sì sua virtù la mia natura vinse; +</p> + +<p> +né mai qua giù dove si monta e cala<br /> +naturalmente, fu sì ratto moto<br /> +ch’agguagliar si potesse a la mia ala. +</p> + +<p> +S’io torni mai, lettore, a quel divoto<br /> +trïunfo per lo quale io piango spesso<br /> +le mie peccata e ’l petto mi percuoto, +</p> + +<p> +tu non avresti in tanto tratto e messo<br /> +nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno<br /> +che segue il Tauro e fui dentro da esso. +</p> + +<p> +O glorïose stelle, o lume pregno<br /> +di gran virtù, dal quale io riconosco<br /> +tutto, qual che si sia, il mio ingegno, +</p> + +<p> +con voi nasceva e s’ascondeva vosco<br /> +quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,<br /> +quand’ io senti’ di prima l’aere tosco; +</p> + +<p> +e poi, quando mi fu grazia largita<br /> +d’entrar ne l’alta rota che vi gira,<br /> +la vostra regïon mi fu sortita. +</p> + +<p> +A voi divotamente ora sospira<br /> +l’anima mia, per acquistar virtute<br /> +al passo forte che a sé la tira. +</p> + +<p> +«Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,<br /> +cominciò Bëatrice, «che tu dei<br /> +aver le luci tue chiare e acute; +</p> + +<p> +e però, prima che tu più t’inlei,<br /> +rimira in giù, e vedi quanto mondo<br /> +sotto li piedi già esser ti fei; +</p> + +<p> +sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo<br /> +s’appresenti a la turba trïunfante<br /> +che lieta vien per questo etera tondo». +</p> + +<p> +Col viso ritornai per tutte quante<br /> +le sette spere, e vidi questo globo<br /> +tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; +</p> + +<p> +e quel consiglio per migliore approbo<br /> +che l’ha per meno; e chi ad altro pensa<br /> +chiamar si puote veramente probo. +</p> + +<p> +Vidi la figlia di Latona incensa<br /> +sanza quell’ ombra che mi fu cagione<br /> +per che già la credetti rara e densa. +</p> + +<p> +L’aspetto del tuo nato, Iperïone,<br /> +quivi sostenni, e vidi com’ si move<br /> +circa e vicino a lui Maia e Dïone. +</p> + +<p> +Quindi m’apparve il temperar di Giove<br /> +tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro<br /> +il varïar che fanno di lor dove; +</p> + +<p> +e tutti e sette mi si dimostraro<br /> +quanto son grandi e quanto son veloci<br /> +e come sono in distante riparo. +</p> + +<p> +L’aiuola che ci fa tanto feroci,<br /> +volgendom’ io con li etterni Gemelli,<br /> +tutta m’apparve da’ colli a le foci; +</p> + +<p> +poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto90"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXIII +</h2> + +<p> +Come l’augello, intra l’amate fronde,<br /> +posato al nido de’ suoi dolci nati<br /> +la notte che le cose ci nasconde, +</p> + +<p> +che, per veder li aspetti disïati<br /> +e per trovar lo cibo onde li pasca,<br /> +in che gravi labor li sono aggrati, +</p> + +<p> +previene il tempo in su aperta frasca,<br /> +e con ardente affetto il sole aspetta,<br /> +fiso guardando pur che l’alba nasca; +</p> + +<p> +così la donna mïa stava eretta<br /> +e attenta, rivolta inver’ la plaga<br /> +sotto la quale il sol mostra men fretta: +</p> + +<p> +sì che, veggendola io sospesa e vaga,<br /> +fecimi qual è quei che disïando<br /> +altro vorria, e sperando s’appaga. +</p> + +<p> +Ma poco fu tra uno e altro quando,<br /> +del mio attender, dico, e del vedere<br /> +lo ciel venir più e più rischiarando; +</p> + +<p> +e Bëatrice disse: «Ecco le schiere<br /> +del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto<br /> +ricolto del girar di queste spere!». +</p> + +<p> +Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,<br /> +e li occhi avea di letizia sì pieni,<br /> +che passarmen convien sanza costrutto. +</p> + +<p> +Quale ne’ plenilunïi sereni<br /> +Trivïa ride tra le ninfe etterne<br /> +che dipingon lo ciel per tutti i seni, +</p> + +<p> +vid’ i’ sopra migliaia di lucerne<br /> +un sol che tutte quante l’accendea,<br /> +come fa ’l nostro le viste superne; +</p> + +<p> +e per la viva luce trasparea<br /> +la lucente sustanza tanto chiara<br /> +nel viso mio, che non la sostenea. +</p> + +<p> +Oh Bëatrice, dolce guida e cara!<br /> +Ella mi disse: «Quel che ti sobranza<br /> +è virtù da cui nulla si ripara. +</p> + +<p> +Quivi è la sapïenza e la possanza<br /> +ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,<br /> +onde fu già sì lunga disïanza». +</p> + +<p> +Come foco di nube si diserra<br /> +per dilatarsi sì che non vi cape,<br /> +e fuor di sua natura in giù s’atterra, +</p> + +<p> +la mente mia così, tra quelle dape<br /> +fatta più grande, di sé stessa uscìo,<br /> +e che si fesse rimembrar non sape. +</p> + +<p> +«Apri li occhi e riguarda qual son io;<br /> +tu hai vedute cose, che possente<br /> +se’ fatto a sostener lo riso mio». +</p> + +<p> +Io era come quei che si risente<br /> +di visïone oblita e che s’ingegna<br /> +indarno di ridurlasi a la mente, +</p> + +<p> +quand’ io udi’ questa proferta, degna<br /> +di tanto grato, che mai non si stingue<br /> +del libro che ’l preterito rassegna. +</p> + +<p> +Se mo sonasser tutte quelle lingue<br /> +che Polimnïa con le suore fero<br /> +del latte lor dolcissimo più pingue, +</p> + +<p> +per aiutarmi, al millesmo del vero<br /> +non si verria, cantando il santo riso<br /> +e quanto il santo aspetto facea mero; +</p> + +<p> +e così, figurando il paradiso,<br /> +convien saltar lo sacrato poema,<br /> +come chi trova suo cammin riciso. +</p> + +<p> +Ma chi pensasse il ponderoso tema<br /> +e l’omero mortal che se ne carca,<br /> +nol biasmerebbe se sott’ esso trema: +</p> + +<p> +non è pareggio da picciola barca<br /> +quel che fendendo va l’ardita prora,<br /> +né da nocchier ch’a sé medesmo parca. +</p> + +<p> +«Perché la faccia mia sì t’innamora,<br /> +che tu non ti rivolgi al bel giardino<br /> +che sotto i raggi di Cristo s’infiora? +</p> + +<p> +Quivi è la rosa in che ’l verbo divino<br /> +carne si fece; quivi son li gigli<br /> +al cui odor si prese il buon cammino». +</p> + +<p> +Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli<br /> +tutto era pronto, ancora mi rendei<br /> +a la battaglia de’ debili cigli. +</p> + +<p> +Come a raggio di sol, che puro mei<br /> +per fratta nube, già prato di fiori<br /> +vider, coverti d’ombra, li occhi miei; +</p> + +<p> +vid’ io così più turbe di splendori,<br /> +folgorate di sù da raggi ardenti,<br /> +sanza veder principio di folgóri. +</p> + +<p> +O benigna vertù che sì li ’mprenti,<br /> +sù t’essaltasti, per largirmi loco<br /> +a li occhi lì che non t’eran possenti. +</p> + +<p> +Il nome del bel fior ch’io sempre invoco<br /> +e mane e sera, tutto mi ristrinse<br /> +l’animo ad avvisar lo maggior foco; +</p> + +<p> +e come ambo le luci mi dipinse<br /> +il quale e il quanto de la viva stella<br /> +che là sù vince come qua giù vinse, +</p> + +<p> +per entro il cielo scese una facella,<br /> +formata in cerchio a guisa di corona,<br /> +e cinsela e girossi intorno ad ella. +</p> + +<p> +Qualunque melodia più dolce suona<br /> +qua giù e più a sé l’anima tira,<br /> +parrebbe nube che squarciata tona, +</p> + +<p> +comparata al sonar di quella lira<br /> +onde si coronava il bel zaffiro<br /> +del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. +</p> + +<p> +«Io sono amore angelico, che giro<br /> +l’alta letizia che spira del ventre<br /> +che fu albergo del nostro disiro; +</p> + +<p> +e girerommi, donna del ciel, mentre<br /> +che seguirai tuo figlio, e farai dia<br /> +più la spera suprema perché lì entre». +</p> + +<p> +Così la circulata melodia<br /> +si sigillava, e tutti li altri lumi<br /> +facean sonare il nome di Maria. +</p> + +<p> +Lo real manto di tutti i volumi<br /> +del mondo, che più ferve e più s’avviva<br /> +ne l’alito di Dio e nei costumi, +</p> + +<p> +avea sopra di noi l’interna riva<br /> +tanto distante, che la sua parvenza,<br /> +là dov’ io era, ancor non appariva: +</p> + +<p> +però non ebber li occhi miei potenza<br /> +di seguitar la coronata fiamma<br /> +che si levò appresso sua semenza. +</p> + +<p> +E come fantolin che ’nver’ la mamma<br /> +tende le braccia, poi che ’l latte prese,<br /> +per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; +</p> + +<p> +ciascun di quei candori in sù si stese<br /> +con la sua cima, sì che l’alto affetto<br /> +ch’elli avieno a Maria mi fu palese. +</p> + +<p> +Indi rimaser lì nel mio cospetto,<br /> +‘Regina celi’ cantando sì dolce,<br /> +che mai da me non si partì ’l diletto. +</p> + +<p> +Oh quanta è l’ubertà che si soffolce<br /> +in quelle arche ricchissime che fuoro<br /> +a seminar qua giù buone bobolce! +</p> + +<p> +Quivi si vive e gode del tesoro<br /> +che s’acquistò piangendo ne lo essilio<br /> +di Babillòn, ove si lasciò l’oro. +</p> + +<p> +Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio<br /> +di Dio e di Maria, di sua vittoria,<br /> +e con l’antico e col novo concilio, +</p> + +<p> +colui che tien le chiavi di tal gloria. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto91"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXIV +</h2> + +<p> +«O sodalizio eletto a la gran cena<br /> +del benedetto Agnello, il qual vi ciba<br /> +sì, che la vostra voglia è sempre piena, +</p> + +<p> +se per grazia di Dio questi preliba<br /> +di quel che cade de la vostra mensa,<br /> +prima che morte tempo li prescriba, +</p> + +<p> +ponete mente a l’affezione immensa<br /> +e roratelo alquanto: voi bevete<br /> +sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». +</p> + +<p> +Così Beatrice; e quelle anime liete<br /> +si fero spere sopra fissi poli,<br /> +fiammando, a volte, a guisa di comete. +</p> + +<p> +E come cerchi in tempra d’orïuoli<br /> +si giran sì, che ’l primo a chi pon mente<br /> +quïeto pare, e l’ultimo che voli; +</p> + +<p> +così quelle carole, differente-<br /> +mente danzando, de la sua ricchezza<br /> +mi facieno stimar, veloci e lente. +</p> + +<p> +Di quella ch’io notai di più carezza<br /> +vid’ ïo uscire un foco sì felice,<br /> +che nullo vi lasciò di più chiarezza; +</p> + +<p> +e tre fïate intorno di Beatrice<br /> +si volse con un canto tanto divo,<br /> +che la mia fantasia nol mi ridice. +</p> + +<p> +Però salta la penna e non lo scrivo:<br /> +ché l’imagine nostra a cotai pieghe,<br /> +non che ’l parlare, è troppo color vivo. +</p> + +<p> +«O santa suora mia che sì ne prieghe<br /> +divota, per lo tuo ardente affetto<br /> +da quella bella spera mi disleghe». +</p> + +<p> +Poscia fermato, il foco benedetto<br /> +a la mia donna dirizzò lo spiro,<br /> +che favellò così com’ i’ ho detto. +</p> + +<p> +Ed ella: «O luce etterna del gran viro<br /> +a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,<br /> +ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, +</p> + +<p> +tenta costui di punti lievi e gravi,<br /> +come ti piace, intorno de la fede,<br /> +per la qual tu su per lo mare andavi. +</p> + +<p> +S’elli ama bene e bene spera e crede,<br /> +non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi<br /> +dov’ ogne cosa dipinta si vede; +</p> + +<p> +ma perché questo regno ha fatto civi<br /> +per la verace fede, a glorïarla,<br /> +di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». +</p> + +<p> +Sì come il baccialier s’arma e non parla<br /> +fin che ’l maestro la question propone,<br /> +per approvarla, non per terminarla, +</p> + +<p> +così m’armava io d’ogne ragione<br /> +mentre ch’ella dicea, per esser presto<br /> +a tal querente e a tal professione. +</p> + +<p> +«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:<br /> +fede che è?». Ond’ io levai la fronte<br /> +in quella luce onde spirava questo; +</p> + +<p> +poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte<br /> +sembianze femmi perch’ ïo spandessi<br /> +l’acqua di fuor del mio interno fonte. +</p> + +<p> +«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,<br /> +comincia’ io, «da l’alto primipilo,<br /> +faccia li miei concetti bene espressi». +</p> + +<p> +E seguitai: «Come ’l verace stilo<br /> +ne scrisse, padre, del tuo caro frate<br /> +che mise teco Roma nel buon filo, +</p> + +<p> +fede è sustanza di cose sperate<br /> +e argomento de le non parventi;<br /> +e questa pare a me sua quiditate». +</p> + +<p> +Allora udi’: «Dirittamente senti,<br /> +se bene intendi perché la ripuose<br /> +tra le sustanze, e poi tra li argomenti». +</p> + +<p> +E io appresso: «Le profonde cose<br /> +che mi largiscon qui la lor parvenza,<br /> +a li occhi di là giù son sì ascose, +</p> + +<p> +che l’esser loro v’è in sola credenza,<br /> +sopra la qual si fonda l’alta spene;<br /> +e però di sustanza prende intenza. +</p> + +<p> +E da questa credenza ci convene<br /> +silogizzar, sanz’ avere altra vista:<br /> +però intenza d’argomento tene». +</p> + +<p> +Allora udi’: «Se quantunque s’acquista<br /> +giù per dottrina, fosse così ’nteso,<br /> +non lì avria loco ingegno di sofista». +</p> + +<p> +Così spirò di quello amore acceso;<br /> +indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa<br /> +d’esta moneta già la lega e ’l peso; +</p> + +<p> +ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».<br /> +Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,<br /> +che nel suo conio nulla mi s’inforsa». +</p> + +<p> +Appresso uscì de la luce profonda<br /> +che lì splendeva: «Questa cara gioia<br /> +sopra la quale ogne virtù si fonda, +</p> + +<p> +onde ti venne?». E io: «La larga ploia<br /> +de lo Spirito Santo, ch’è diffusa<br /> +in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, +</p> + +<p> +è silogismo che la m’ha conchiusa<br /> +acutamente sì, che ’nverso d’ella<br /> +ogne dimostrazion mi pare ottusa». +</p> + +<p> +Io udi’ poi: «L’antica e la novella<br /> +proposizion che così ti conchiude,<br /> +perché l’hai tu per divina favella?». +</p> + +<p> +E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,<br /> +son l’opere seguite, a che natura<br /> +non scalda ferro mai né batte incude». +</p> + +<p> +Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura<br /> +che quell’ opere fosser? Quel medesmo<br /> +che vuol provarsi, non altri, il ti giura». +</p> + +<p> +«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo»,<br /> +diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno<br /> +è tal, che li altri non sono il centesmo: +</p> + +<p> +ché tu intrasti povero e digiuno<br /> +in campo, a seminar la buona pianta<br /> +che fu già vite e ora è fatta pruno». +</p> + +<p> +Finito questo, l’alta corte santa<br /> +risonò per le spere un ‘Dio laudamo’<br /> +ne la melode che là sù si canta. +</p> + +<p> +E quel baron che sì di ramo in ramo,<br /> +essaminando, già tratto m’avea,<br /> +che a l’ultime fronde appressavamo, +</p> + +<p> +ricominciò: «La Grazia, che donnea<br /> +con la tua mente, la bocca t’aperse<br /> +infino a qui come aprir si dovea, +</p> + +<p> +sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;<br /> +ma or convien espremer quel che credi,<br /> +e onde a la credenza tua s’offerse». +</p> + +<p> +«O santo padre, e spirito che vedi<br /> +ciò che credesti sì, che tu vincesti<br /> +ver’ lo sepulcro più giovani piedi», +</p> + +<p> +comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti<br /> +la forma qui del pronto creder mio,<br /> +e anche la cagion di lui chiedesti. +</p> + +<p> +E io rispondo: Io credo in uno Dio<br /> +solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,<br /> +non moto, con amore e con disio; +</p> + +<p> +e a tal creder non ho io pur prove<br /> +fisice e metafisice, ma dalmi<br /> +anche la verità che quinci piove +</p> + +<p> +per Moïsè, per profeti e per salmi,<br /> +per l’Evangelio e per voi che scriveste<br /> +poi che l’ardente Spirto vi fé almi; +</p> + +<p> +e credo in tre persone etterne, e queste<br /> +credo una essenza sì una e sì trina,<br /> +che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. +</p> + +<p> +De la profonda condizion divina<br /> +ch’io tocco mo, la mente mi sigilla<br /> +più volte l’evangelica dottrina. +</p> + +<p> +Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla<br /> +che si dilata in fiamma poi vivace,<br /> +e come stella in cielo in me scintilla». +</p> + +<p> +Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,<br /> +da indi abbraccia il servo, gratulando<br /> +per la novella, tosto ch’el si tace; +</p> + +<p> +così, benedicendomi cantando,<br /> +tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,<br /> +l’appostolico lume al cui comando +</p> + +<p> +io avea detto: sì nel dir li piacqui! +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto92"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXV +</h2> + +<p> +Se mai continga che ’l poema sacro<br /> +al quale ha posto mano e cielo e terra,<br /> +sì che m’ha fatto per molti anni macro, +</p> + +<p> +vinca la crudeltà che fuor mi serra<br /> +del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,<br /> +nimico ai lupi che li danno guerra; +</p> + +<p> +con altra voce omai, con altro vello<br /> +ritornerò poeta, e in sul fonte<br /> +del mio battesmo prenderò ’l cappello; +</p> + +<p> +però che ne la fede, che fa conte<br /> +l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi<br /> +Pietro per lei sì mi girò la fronte. +</p> + +<p> +Indi si mosse un lume verso noi<br /> +di quella spera ond’ uscì la primizia<br /> +che lasciò Cristo d’i vicari suoi; +</p> + +<p> +e la mia donna, piena di letizia,<br /> +mi disse: «Mira, mira: ecco il barone<br /> +per cui là giù si vicita Galizia». +</p> + +<p> +Sì come quando il colombo si pone<br /> +presso al compagno, l’uno a l’altro pande,<br /> +girando e mormorando, l’affezione; +</p> + +<p> +così vid’ ïo l’un da l’altro grande<br /> +principe glorïoso essere accolto,<br /> +laudando il cibo che là sù li prande. +</p> + +<p> +Ma poi che ’l gratular si fu assolto,<br /> +tacito coram me ciascun s’affisse,<br /> +ignito sì che vincëa ’l mio volto. +</p> + +<p> +Ridendo allora Bëatrice disse:<br /> +«Inclita vita per cui la larghezza<br /> +de la nostra basilica si scrisse, +</p> + +<p> +fa risonar la spene in questa altezza:<br /> +tu sai, che tante fiate la figuri,<br /> +quante Iesù ai tre fé più carezza». +</p> + +<p> +«Leva la testa e fa che t’assicuri:<br /> +che ciò che vien qua sù del mortal mondo,<br /> +convien ch’ai nostri raggi si maturi». +</p> + +<p> +Questo conforto del foco secondo<br /> +mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti<br /> +che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. +</p> + +<p> +«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti<br /> +lo nostro Imperadore, anzi la morte,<br /> +ne l’aula più secreta co’ suoi conti, +</p> + +<p> +sì che, veduto il ver di questa corte,<br /> +la spene, che là giù bene innamora,<br /> +in te e in altrui di ciò conforte, +</p> + +<p> +di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora<br /> +la mente tua, e dì onde a te venne».<br /> +Così seguì ’l secondo lume ancora. +</p> + +<p> +E quella pïa che guidò le penne<br /> +de le mie ali a così alto volo,<br /> +a la risposta così mi prevenne: +</p> + +<p> +«La Chiesa militante alcun figliuolo<br /> +non ha con più speranza, com’ è scritto<br /> +nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: +</p> + +<p> +però li è conceduto che d’Egitto<br /> +vegna in Ierusalemme per vedere,<br /> +anzi che ’l militar li sia prescritto. +</p> + +<p> +Li altri due punti, che non per sapere<br /> +son dimandati, ma perch’ ei rapporti<br /> +quanto questa virtù t’è in piacere, +</p> + +<p> +a lui lasc’ io, ché non li saran forti<br /> +né di iattanza; ed elli a ciò risponda,<br /> +e la grazia di Dio ciò li comporti». +</p> + +<p> +Come discente ch’a dottor seconda<br /> +pronto e libente in quel ch’elli è esperto,<br /> +perché la sua bontà si disasconda, +</p> + +<p> +«Spene», diss’ io, «è uno attender certo<br /> +de la gloria futura, il qual produce<br /> +grazia divina e precedente merto. +</p> + +<p> +Da molte stelle mi vien questa luce;<br /> +ma quei la distillò nel mio cor pria<br /> +che fu sommo cantor del sommo duce. +</p> + +<p> +‘Sperino in te’, ne la sua tëodia<br /> +dice, ‘color che sanno il nome tuo’:<br /> +e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? +</p> + +<p> +Tu mi stillasti, con lo stillar suo,<br /> +ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,<br /> +e in altrui vostra pioggia repluo». +</p> + +<p> +Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno<br /> +di quello incendio tremolava un lampo<br /> +sùbito e spesso a guisa di baleno. +</p> + +<p> +Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo<br /> +ancor ver’ la virtù che mi seguette<br /> +infin la palma e a l’uscir del campo, +</p> + +<p> +vuol ch’io respiri a te che ti dilette<br /> +di lei; ed emmi a grato che tu diche<br /> +quello che la speranza ti ’mpromette». +</p> + +<p> +E io: «Le nove e le scritture antiche<br /> +pongon lo segno, ed esso lo mi addita,<br /> +de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. +</p> + +<p> +Dice Isaia che ciascuna vestita<br /> +ne la sua terra fia di doppia vesta:<br /> +e la sua terra è questa dolce vita; +</p> + +<p> +e ’l tuo fratello assai vie più digesta,<br /> +là dove tratta de le bianche stole,<br /> +questa revelazion ci manifesta». +</p> + +<p> +E prima, appresso al fin d’este parole,<br /> +‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;<br /> +a che rispuoser tutte le carole. +</p> + +<p> +Poscia tra esse un lume si schiarì<br /> +sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,<br /> +l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. +</p> + +<p> +E come surge e va ed entra in ballo<br /> +vergine lieta, sol per fare onore<br /> +a la novizia, non per alcun fallo, +</p> + +<p> +così vid’ io lo schiarato splendore<br /> +venire a’ due che si volgieno a nota<br /> +qual conveniesi al loro ardente amore. +</p> + +<p> +Misesi lì nel canto e ne la rota;<br /> +e la mia donna in lor tenea l’aspetto,<br /> +pur come sposa tacita e immota. +</p> + +<p> +«Questi è colui che giacque sopra ’l petto<br /> +del nostro pellicano, e questi fue<br /> +di su la croce al grande officio eletto». +</p> + +<p> +La donna mia così; né però piùe<br /> +mosser la vista sua di stare attenta<br /> +poscia che prima le parole sue. +</p> + +<p> +Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta<br /> +di vedere eclissar lo sole un poco,<br /> +che, per veder, non vedente diventa; +</p> + +<p> +tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco<br /> +mentre che detto fu: «Perché t’abbagli<br /> +per veder cosa che qui non ha loco? +</p> + +<p> +In terra è terra il mio corpo, e saragli<br /> +tanto con li altri, che ’l numero nostro<br /> +con l’etterno proposito s’agguagli. +</p> + +<p> +Con le due stole nel beato chiostro<br /> +son le due luci sole che saliro;<br /> +e questo apporterai nel mondo vostro». +</p> + +<p> +A questa voce l’infiammato giro<br /> +si quïetò con esso il dolce mischio<br /> +che si facea nel suon del trino spiro, +</p> + +<p> +sì come, per cessar fatica o rischio,<br /> +li remi, pria ne l’acqua ripercossi,<br /> +tutti si posano al sonar d’un fischio. +</p> + +<p> +Ahi quanto ne la mente mi commossi,<br /> +quando mi volsi per veder Beatrice,<br /> +per non poter veder, benché io fossi +</p> + +<p> +presso di lei, e nel mondo felice! +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto93"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXVI +</h2> + +<p> +Mentr’ io dubbiava per lo viso spento,<br /> +de la fulgida fiamma che lo spense<br /> +uscì un spiro che mi fece attento, +</p> + +<p> +dicendo: «Intanto che tu ti risense<br /> +de la vista che haï in me consunta,<br /> +ben è che ragionando la compense. +</p> + +<p> +Comincia dunque; e dì ove s’appunta<br /> +l’anima tua, e fa ragion che sia<br /> +la vista in te smarrita e non defunta: +</p> + +<p> +perché la donna che per questa dia<br /> +regïon ti conduce, ha ne lo sguardo<br /> +la virtù ch’ebbe la man d’Anania». +</p> + +<p> +Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo<br /> +vegna remedio a li occhi, che fuor porte<br /> +quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo. +</p> + +<p> +Lo ben che fa contenta questa corte,<br /> +Alfa e O è di quanta scrittura<br /> +mi legge Amore o lievemente o forte». +</p> + +<p> +Quella medesma voce che paura<br /> +tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,<br /> +di ragionare ancor mi mise in cura; +</p> + +<p> +e disse: «Certo a più angusto vaglio<br /> +ti conviene schiarar: dicer convienti<br /> +chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». +</p> + +<p> +E io: «Per filosofici argomenti<br /> +e per autorità che quinci scende<br /> +cotale amor convien che in me si ’mprenti: +</p> + +<p> +ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,<br /> +così accende amore, e tanto maggio<br /> +quanto più di bontate in sé comprende. +</p> + +<p> +Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio,<br /> +che ciascun ben che fuor di lei si trova<br /> +altro non è ch’un lume di suo raggio, +</p> + +<p> +più che in altra convien che si mova<br /> +la mente, amando, di ciascun che cerne<br /> +il vero in che si fonda questa prova. +</p> + +<p> +Tal vero a l’intelletto mïo sterne<br /> +colui che mi dimostra il primo amore<br /> +di tutte le sustanze sempiterne. +</p> + +<p> +Sternel la voce del verace autore,<br /> +che dice a Moïsè, di sé parlando:<br /> +‘Io ti farò vedere ogne valore’. +</p> + +<p> +Sternilmi tu ancora, incominciando<br /> +l’alto preconio che grida l’arcano<br /> +di qui là giù sovra ogne altro bando». +</p> + +<p> +E io udi’: «Per intelletto umano<br /> +e per autoritadi a lui concorde<br /> +d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. +</p> + +<p> +Ma dì ancor se tu senti altre corde<br /> +tirarti verso lui, sì che tu suone<br /> +con quanti denti questo amor ti morde». +</p> + +<p> +Non fu latente la santa intenzione<br /> +de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi<br /> +dove volea menar mia professione. +</p> + +<p> +Però ricominciai: «Tutti quei morsi<br /> +che posson far lo cor volgere a Dio,<br /> +a la mia caritate son concorsi: +</p> + +<p> +ché l’essere del mondo e l’esser mio,<br /> +la morte ch’el sostenne perch’ io viva,<br /> +e quel che spera ogne fedel com’ io, +</p> + +<p> +con la predetta conoscenza viva,<br /> +tratto m’hanno del mar de l’amor torto,<br /> +e del diritto m’han posto a la riva. +</p> + +<p> +Le fronde onde s’infronda tutto l’orto<br /> +de l’ortolano etterno, am’ io cotanto<br /> +quanto da lui a lor di bene è porto». +</p> + +<p> +Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto<br /> +risonò per lo cielo, e la mia donna<br /> +dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». +</p> + +<p> +E come a lume acuto si disonna<br /> +per lo spirto visivo che ricorre<br /> +a lo splendor che va di gonna in gonna, +</p> + +<p> +e lo svegliato ciò che vede aborre,<br /> +sì nescïa è la sùbita vigilia<br /> +fin che la stimativa non soccorre; +</p> + +<p> +così de li occhi miei ogne quisquilia<br /> +fugò Beatrice col raggio d’i suoi,<br /> +che rifulgea da più di mille milia: +</p> + +<p> +onde mei che dinanzi vidi poi;<br /> +e quasi stupefatto domandai<br /> +d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. +</p> + +<p> +E la mia donna: «Dentro da quei rai<br /> +vagheggia il suo fattor l’anima prima<br /> +che la prima virtù creasse mai». +</p> + +<p> +Come la fronda che flette la cima<br /> +nel transito del vento, e poi si leva<br /> +per la propria virtù che la soblima, +</p> + +<p> +fec’ io in tanto in quant’ ella diceva,<br /> +stupendo, e poi mi rifece sicuro<br /> +un disio di parlare ond’ ïo ardeva. +</p> + +<p> +E cominciai: «O pomo che maturo<br /> +solo prodotto fosti, o padre antico<br /> +a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, +</p> + +<p> +divoto quanto posso a te supplìco<br /> +perché mi parli: tu vedi mia voglia,<br /> +e per udirti tosto non la dico». +</p> + +<p> +Talvolta un animal coverto broglia,<br /> +sì che l’affetto convien che si paia<br /> +per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; +</p> + +<p> +e similmente l’anima primaia<br /> +mi facea trasparer per la coverta<br /> +quant’ ella a compiacermi venìa gaia. +</p> + +<p> +Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta<br /> +da te, la voglia tua discerno meglio<br /> +che tu qualunque cosa t’è più certa; +</p> + +<p> +perch’ io la veggio nel verace speglio<br /> +che fa di sé pareglio a l’altre cose,<br /> +e nulla face lui di sé pareglio. +</p> + +<p> +Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose<br /> +ne l’eccelso giardino, ove costei<br /> +a così lunga scala ti dispuose, +</p> + +<p> +e quanto fu diletto a li occhi miei,<br /> +e la propria cagion del gran disdegno,<br /> +e l’idïoma ch’usai e che fei. +</p> + +<p> +Or, figluol mio, non il gustar del legno<br /> +fu per sé la cagion di tanto essilio,<br /> +ma solamente il trapassar del segno. +</p> + +<p> +Quindi onde mosse tua donna Virgilio,<br /> +quattromilia trecento e due volumi<br /> +di sol desiderai questo concilio; +</p> + +<p> +e vidi lui tornare a tutt’ i lumi<br /> +de la sua strada novecento trenta<br /> +fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi. +</p> + +<p> +La lingua ch’io parlai fu tutta spenta<br /> +innanzi che a l’ovra inconsummabile<br /> +fosse la gente di Nembròt attenta: +</p> + +<p> +ché nullo effetto mai razïonabile,<br /> +per lo piacere uman che rinovella<br /> +seguendo il cielo, sempre fu durabile. +</p> + +<p> +Opera naturale è ch’uom favella;<br /> +ma così o così, natura lascia<br /> +poi fare a voi secondo che v’abbella. +</p> + +<p> +Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,<br /> +I s’appellava in terra il sommo bene<br /> +onde vien la letizia che mi fascia; +</p> + +<p> +e El si chiamò poi: e ciò convene,<br /> +ché l’uso d’i mortali è come fronda<br /> +in ramo, che sen va e altra vene. +</p> + +<p> +Nel monte che si leva più da l’onda,<br /> +fu’ io, con vita pura e disonesta,<br /> +da la prim’ ora a quella che seconda, +</p> + +<p> +come ’l sol muta quadra, l’ora sesta». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto94"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXVII +</h2> + +<p> +‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,<br /> +cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso,<br /> +sì che m’inebrïava il dolce canto. +</p> + +<p> +Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso<br /> +de l’universo; per che mia ebbrezza<br /> +intrava per l’udire e per lo viso. +</p> + +<p> +Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!<br /> +oh vita intègra d’amore e di pace!<br /> +oh sanza brama sicura ricchezza! +</p> + +<p> +Dinanzi a li occhi miei le quattro face<br /> +stavano accese, e quella che pria venne<br /> +incominciò a farsi più vivace, +</p> + +<p> +e tal ne la sembianza sua divenne,<br /> +qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte<br /> +fossero augelli e cambiassersi penne. +</p> + +<p> +La provedenza, che quivi comparte<br /> +vice e officio, nel beato coro<br /> +silenzio posto avea da ogne parte, +</p> + +<p> +quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro,<br /> +non ti maravigliar, ché, dicend’ io,<br /> +vedrai trascolorar tutti costoro. +</p> + +<p> +Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,<br /> +il luogo mio, il luogo mio, che vaca<br /> +ne la presenza del Figliuol di Dio, +</p> + +<p> +fatt’ ha del cimitero mio cloaca<br /> +del sangue e de la puzza; onde ’l perverso<br /> +che cadde di qua sù, là giù si placa». +</p> + +<p> +Di quel color che per lo sole avverso<br /> +nube dipigne da sera e da mane,<br /> +vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso. +</p> + +<p> +E come donna onesta che permane<br /> +di sé sicura, e per l’altrui fallanza,<br /> +pur ascoltando, timida si fane, +</p> + +<p> +così Beatrice trasmutò sembianza;<br /> +e tale eclissi credo che ’n ciel fue<br /> +quando patì la supprema possanza. +</p> + +<p> +Poi procedetter le parole sue<br /> +con voce tanto da sé trasmutata,<br /> +che la sembianza non si mutò piùe: +</p> + +<p> +«Non fu la sposa di Cristo allevata<br /> +del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,<br /> +per essere ad acquisto d’oro usata; +</p> + +<p> +ma per acquisto d’esto viver lieto<br /> +e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano<br /> +sparser lo sangue dopo molto fleto. +</p> + +<p> +Non fu nostra intenzion ch’a destra mano<br /> +d’i nostri successor parte sedesse,<br /> +parte da l’altra del popol cristiano; +</p> + +<p> +né che le chiavi che mi fuor concesse,<br /> +divenisser signaculo in vessillo<br /> +che contra battezzati combattesse; +</p> + +<p> +né ch’io fossi figura di sigillo<br /> +a privilegi venduti e mendaci,<br /> +ond’ io sovente arrosso e disfavillo. +</p> + +<p> +In vesta di pastor lupi rapaci<br /> +si veggion di qua sù per tutti i paschi:<br /> +o difesa di Dio, perché pur giaci? +</p> + +<p> +Del sangue nostro Caorsini e Guaschi<br /> +s’apparecchian di bere: o buon principio,<br /> +a che vil fine convien che tu caschi! +</p> + +<p> +Ma l’alta provedenza, che con Scipio<br /> +difese a Roma la gloria del mondo,<br /> +soccorrà tosto, sì com’ io concipio; +</p> + +<p> +e tu, figliuol, che per lo mortal pondo<br /> +ancor giù tornerai, apri la bocca,<br /> +e non asconder quel ch’io non ascondo». +</p> + +<p> +Sì come di vapor gelati fiocca<br /> +in giuso l’aere nostro, quando ’l corno<br /> +de la capra del ciel col sol si tocca, +</p> + +<p> +in sù vid’ io così l’etera addorno<br /> +farsi e fioccar di vapor trïunfanti<br /> +che fatto avien con noi quivi soggiorno. +</p> + +<p> +Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,<br /> +e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,<br /> +li tolse il trapassar del più avanti. +</p> + +<p> +Onde la donna, che mi vide assolto<br /> +de l’attendere in sù, mi disse: «Adima<br /> +il viso e guarda come tu se’ vòlto». +</p> + +<p> +Da l’ora ch’ïo avea guardato prima<br /> +i’ vidi mosso me per tutto l’arco<br /> +che fa dal mezzo al fine il primo clima; +</p> + +<p> +sì ch’io vedea di là da Gade il varco<br /> +folle d’Ulisse, e di qua presso il lito<br /> +nel qual si fece Europa dolce carco. +</p> + +<p> +E più mi fora discoverto il sito<br /> +di questa aiuola; ma ’l sol procedea<br /> +sotto i mie’ piedi un segno e più partito. +</p> + +<p> +La mente innamorata, che donnea<br /> +con la mia donna sempre, di ridure<br /> +ad essa li occhi più che mai ardea; +</p> + +<p> +e se natura o arte fé pasture<br /> +da pigliare occhi, per aver la mente,<br /> +in carne umana o ne le sue pitture, +</p> + +<p> +tutte adunate, parrebber nïente<br /> +ver’ lo piacer divin che mi refulse,<br /> +quando mi volsi al suo viso ridente. +</p> + +<p> +E la virtù che lo sguardo m’indulse,<br /> +del bel nido di Leda mi divelse,<br /> +e nel ciel velocissimo m’impulse. +</p> + +<p> +Le parti sue vivissime ed eccelse<br /> +sì uniforme son, ch’i’ non so dire<br /> +qual Bëatrice per loco mi scelse. +</p> + +<p> +Ma ella, che vedëa ’l mio disire,<br /> +incominciò, ridendo tanto lieta,<br /> +che Dio parea nel suo volto gioire: +</p> + +<p> +«La natura del mondo, che quïeta<br /> +il mezzo e tutto l’altro intorno move,<br /> +quinci comincia come da sua meta; +</p> + +<p> +e questo cielo non ha altro dove<br /> +che la mente divina, in che s’accende<br /> +l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove. +</p> + +<p> +Luce e amor d’un cerchio lui comprende,<br /> +sì come questo li altri; e quel precinto<br /> +colui che ’l cinge solamente intende. +</p> + +<p> +Non è suo moto per altro distinto,<br /> +ma li altri son mensurati da questo,<br /> +sì come diece da mezzo e da quinto; +</p> + +<p> +e come il tempo tegna in cotal testo<br /> +le sue radici e ne li altri le fronde,<br /> +omai a te può esser manifesto. +</p> + +<p> +Oh cupidigia che i mortali affonde<br /> +sì sotto te, che nessuno ha podere<br /> +di trarre li occhi fuor de le tue onde! +</p> + +<p> +Ben fiorisce ne li uomini il volere;<br /> +ma la pioggia continüa converte<br /> +in bozzacchioni le sosine vere. +</p> + +<p> +Fede e innocenza son reperte<br /> +solo ne’ parvoletti; poi ciascuna<br /> +pria fugge che le guance sian coperte. +</p> + +<p> +Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,<br /> +che poi divora, con la lingua sciolta,<br /> +qualunque cibo per qualunque luna; +</p> + +<p> +e tal, balbuzïendo, ama e ascolta<br /> +la madre sua, che, con loquela intera,<br /> +disïa poi di vederla sepolta. +</p> + +<p> +Così si fa la pelle bianca nera<br /> +nel primo aspetto de la bella figlia<br /> +di quel ch’apporta mane e lascia sera. +</p> + +<p> +Tu, perché non ti facci maraviglia,<br /> +pensa che ’n terra non è chi governi;<br /> +onde sì svïa l’umana famiglia. +</p> + +<p> +Ma prima che gennaio tutto si sverni<br /> +per la centesma ch’è là giù negletta,<br /> +raggeran sì questi cerchi superni, +</p> + +<p> +che la fortuna che tanto s’aspetta,<br /> +le poppe volgerà u’ son le prore,<br /> +sì che la classe correrà diretta; +</p> + +<p> +e vero frutto verrà dopo ’l fiore». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto95"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXVIII +</h2> + +<p> +Poscia che ’ncontro a la vita presente<br /> +d’i miseri mortali aperse ’l vero<br /> +quella che ’mparadisa la mia mente, +</p> + +<p> +come in lo specchio fiamma di doppiero<br /> +vede colui che se n’alluma retro,<br /> +prima che l’abbia in vista o in pensiero, +</p> + +<p> +e sé rivolge per veder se ’l vetro<br /> +li dice il vero, e vede ch’el s’accorda<br /> +con esso come nota con suo metro; +</p> + +<p> +così la mia memoria si ricorda<br /> +ch’io feci riguardando ne’ belli occhi<br /> +onde a pigliarmi fece Amor la corda. +</p> + +<p> +E com’ io mi rivolsi e furon tocchi<br /> +li miei da ciò che pare in quel volume,<br /> +quandunque nel suo giro ben s’adocchi, +</p> + +<p> +un punto vidi che raggiava lume<br /> +acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca<br /> +chiuder conviensi per lo forte acume; +</p> + +<p> +e quale stella par quinci più poca,<br /> +parrebbe luna, locata con esso<br /> +come stella con stella si collòca. +</p> + +<p> +Forse cotanto quanto pare appresso<br /> +alo cigner la luce che ’l dipigne<br /> +quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, +</p> + +<p> +distante intorno al punto un cerchio d’igne<br /> +si girava sì ratto, ch’avria vinto<br /> +quel moto che più tosto il mondo cigne; +</p> + +<p> +e questo era d’un altro circumcinto,<br /> +e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,<br /> +dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. +</p> + +<p> +Sopra seguiva il settimo sì sparto<br /> +già di larghezza, che ’l messo di Iuno<br /> +intero a contenerlo sarebbe arto. +</p> + +<p> +Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno<br /> +più tardo si movea, secondo ch’era<br /> +in numero distante più da l’uno; +</p> + +<p> +e quello avea la fiamma più sincera<br /> +cui men distava la favilla pura,<br /> +credo, però che più di lei s’invera. +</p> + +<p> +La donna mia, che mi vedëa in cura<br /> +forte sospeso, disse: «Da quel punto<br /> +depende il cielo e tutta la natura. +</p> + +<p> +Mira quel cerchio che più li è congiunto;<br /> +e sappi che ’l suo muovere è sì tosto<br /> +per l’affocato amore ond’ elli è punto». +</p> + +<p> +E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto<br /> +con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,<br /> +sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; +</p> + +<p> +ma nel mondo sensibile si puote<br /> +veder le volte tanto più divine,<br /> +quant’ elle son dal centro più remote. +</p> + +<p> +Onde, se ’l mio disir dee aver fine<br /> +in questo miro e angelico templo<br /> +che solo amore e luce ha per confine, +</p> + +<p> +udir convienmi ancor come l’essemplo<br /> +e l’essemplare non vanno d’un modo,<br /> +ché io per me indarno a ciò contemplo». +</p> + +<p> +«Se li tuoi diti non sono a tal nodo<br /> +sufficïenti, non è maraviglia:<br /> +tanto, per non tentare, è fatto sodo!». +</p> + +<p> +Così la donna mia; poi disse: «Piglia<br /> +quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;<br /> +e intorno da esso t’assottiglia. +</p> + +<p> +Li cerchi corporai sono ampi e arti<br /> +secondo il più e ’l men de la virtute<br /> +che si distende per tutte lor parti. +</p> + +<p> +Maggior bontà vuol far maggior salute;<br /> +maggior salute maggior corpo cape,<br /> +s’elli ha le parti igualmente compiute. +</p> + +<p> +Dunque costui che tutto quanto rape<br /> +l’altro universo seco, corrisponde<br /> +al cerchio che più ama e che più sape: +</p> + +<p> +per che, se tu a la virtù circonde<br /> +la tua misura, non a la parvenza<br /> +de le sustanze che t’appaion tonde, +</p> + +<p> +tu vederai mirabil consequenza<br /> +di maggio a più e di minore a meno,<br /> +in ciascun cielo, a süa intelligenza». +</p> + +<p> +Come rimane splendido e sereno<br /> +l’emisperio de l’aere, quando soffia<br /> +Borea da quella guancia ond’ è più leno, +</p> + +<p> +per che si purga e risolve la roffia<br /> +che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride<br /> +con le bellezze d’ogne sua paroffia; +</p> + +<p> +così fec’ïo, poi che mi provide<br /> +la donna mia del suo risponder chiaro,<br /> +e come stella in cielo il ver si vide. +</p> + +<p> +E poi che le parole sue restaro,<br /> +non altrimenti ferro disfavilla<br /> +che bolle, come i cerchi sfavillaro. +</p> + +<p> +L’incendio suo seguiva ogne scintilla;<br /> +ed eran tante, che ’l numero loro<br /> +più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla. +</p> + +<p> +Io sentiva osannar di coro in coro<br /> +al punto fisso che li tiene a li ubi,<br /> +e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. +</p> + +<p> +E quella che vedëa i pensier dubi<br /> +ne la mia mente, disse: «I cerchi primi<br /> +t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. +</p> + +<p> +Così veloci seguono i suoi vimi,<br /> +per somigliarsi al punto quanto ponno;<br /> +e posson quanto a veder son soblimi. +</p> + +<p> +Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,<br /> +si chiaman Troni del divino aspetto,<br /> +per che ’l primo ternaro terminonno; +</p> + +<p> +e dei saper che tutti hanno diletto<br /> +quanto la sua veduta si profonda<br /> +nel vero in che si queta ogne intelletto. +</p> + +<p> +Quinci si può veder come si fonda<br /> +l’esser beato ne l’atto che vede,<br /> +non in quel ch’ama, che poscia seconda; +</p> + +<p> +e del vedere è misura mercede,<br /> +che grazia partorisce e buona voglia:<br /> +così di grado in grado si procede. +</p> + +<p> +L’altro ternaro, che così germoglia<br /> +in questa primavera sempiterna<br /> +che notturno Arïete non dispoglia, +</p> + +<p> +perpetüalemente ‘Osanna’ sberna<br /> +con tre melode, che suonano in tree<br /> +ordini di letizia onde s’interna. +</p> + +<p> +In essa gerarcia son l’altre dee:<br /> +prima Dominazioni, e poi Virtudi;<br /> +l’ordine terzo di Podestadi èe. +</p> + +<p> +Poscia ne’ due penultimi tripudi<br /> +Principati e Arcangeli si girano;<br /> +l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. +</p> + +<p> +Questi ordini di sù tutti s’ammirano,<br /> +e di giù vincon sì, che verso Dio<br /> +tutti tirati sono e tutti tirano. +</p> + +<p> +E Dïonisio con tanto disio<br /> +a contemplar questi ordini si mise,<br /> +che li nomò e distinse com’ io. +</p> + +<p> +Ma Gregorio da lui poi si divise;<br /> +onde, sì tosto come li occhi aperse<br /> +in questo ciel, di sé medesmo rise. +</p> + +<p> +E se tanto secreto ver proferse<br /> +mortale in terra, non voglio ch’ammiri:<br /> +ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse +</p> + +<p> +con altro assai del ver di questi giri». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto96"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXIX +</h2> + +<p> +Quando ambedue li figli di Latona,<br /> +coperti del Montone e de la Libra,<br /> +fanno de l’orizzonte insieme zona, +</p> + +<p> +quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra<br /> +infin che l’uno e l’altro da quel cinto,<br /> +cambiando l’emisperio, si dilibra, +</p> + +<p> +tanto, col volto di riso dipinto,<br /> +si tacque Bëatrice, riguardando<br /> +fiso nel punto che m’avëa vinto. +</p> + +<p> +Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,<br /> +quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto<br /> +là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. +</p> + +<p> +Non per aver a sé di bene acquisto,<br /> +ch’esser non può, ma perché suo splendore<br /> +potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, +</p> + +<p> +in sua etternità di tempo fore,<br /> +fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,<br /> +s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. +</p> + +<p> +Né prima quasi torpente si giacque;<br /> +ché né prima né poscia procedette<br /> +lo discorrer di Dio sovra quest’ acque. +</p> + +<p> +Forma e materia, congiunte e purette,<br /> +usciro ad esser che non avia fallo,<br /> +come d’arco tricordo tre saette. +</p> + +<p> +E come in vetro, in ambra o in cristallo<br /> +raggio resplende sì, che dal venire<br /> +a l’esser tutto non è intervallo, +</p> + +<p> +così ’l triforme effetto del suo sire<br /> +ne l’esser suo raggiò insieme tutto<br /> +sanza distinzïone in essordire. +</p> + +<p> +Concreato fu ordine e costrutto<br /> +a le sustanze; e quelle furon cima<br /> +nel mondo in che puro atto fu produtto; +</p> + +<p> +pura potenza tenne la parte ima;<br /> +nel mezzo strinse potenza con atto<br /> +tal vime, che già mai non si divima. +</p> + +<p> +Ieronimo vi scrisse lungo tratto<br /> +di secoli de li angeli creati<br /> +anzi che l’altro mondo fosse fatto; +</p> + +<p> +ma questo vero è scritto in molti lati<br /> +da li scrittor de lo Spirito Santo,<br /> +e tu te n’avvedrai se bene agguati; +</p> + +<p> +e anche la ragione il vede alquanto,<br /> +che non concederebbe che ’ motori<br /> +sanza sua perfezion fosser cotanto. +</p> + +<p> +Or sai tu dove e quando questi amori<br /> +furon creati e come: sì che spenti<br /> +nel tuo disïo già son tre ardori. +</p> + +<p> +Né giugneriesi, numerando, al venti<br /> +sì tosto, come de li angeli parte<br /> +turbò il suggetto d’i vostri alimenti. +</p> + +<p> +L’altra rimase, e cominciò quest’ arte<br /> +che tu discerni, con tanto diletto,<br /> +che mai da circüir non si diparte. +</p> + +<p> +Principio del cader fu il maladetto<br /> +superbir di colui che tu vedesti<br /> +da tutti i pesi del mondo costretto. +</p> + +<p> +Quelli che vedi qui furon modesti<br /> +a riconoscer sé da la bontate<br /> +che li avea fatti a tanto intender presti: +</p> + +<p> +per che le viste lor furo essaltate<br /> +con grazia illuminante e con lor merto,<br /> +si c’hanno ferma e piena volontate; +</p> + +<p> +e non voglio che dubbi, ma sia certo,<br /> +che ricever la grazia è meritorio<br /> +secondo che l’affetto l’è aperto. +</p> + +<p> +Omai dintorno a questo consistorio<br /> +puoi contemplare assai, se le parole<br /> +mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio. +</p> + +<p> +Ma perché ’n terra per le vostre scole<br /> +si legge che l’angelica natura<br /> +è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, +</p> + +<p> +ancor dirò, perché tu veggi pura<br /> +la verità che là giù si confonde,<br /> +equivocando in sì fatta lettura. +</p> + +<p> +Queste sustanze, poi che fur gioconde<br /> +de la faccia di Dio, non volser viso<br /> +da essa, da cui nulla si nasconde: +</p> + +<p> +però non hanno vedere interciso<br /> +da novo obietto, e però non bisogna<br /> +rememorar per concetto diviso; +</p> + +<p> +sì che là giù, non dormendo, si sogna,<br /> +credendo e non credendo dicer vero;<br /> +ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. +</p> + +<p> +Voi non andate giù per un sentiero<br /> +filosofando: tanto vi trasporta<br /> +l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! +</p> + +<p> +E ancor questo qua sù si comporta<br /> +con men disdegno che quando è posposta<br /> +la divina Scrittura o quando è torta. +</p> + +<p> +Non vi si pensa quanto sangue costa<br /> +seminarla nel mondo e quanto piace<br /> +chi umilmente con essa s’accosta. +</p> + +<p> +Per apparer ciascun s’ingegna e face<br /> +sue invenzioni; e quelle son trascorse<br /> +da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. +</p> + +<p> +Un dice che la luna si ritorse<br /> +ne la passion di Cristo e s’interpuose,<br /> +per che ’l lume del sol giù non si porse; +</p> + +<p> +e mente, ché la luce si nascose<br /> +da sé: però a li Spani e a l’Indi<br /> +come a’ Giudei tale eclissi rispuose. +</p> + +<p> +Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi<br /> +quante sì fatte favole per anno<br /> +in pergamo si gridan quinci e quindi: +</p> + +<p> +sì che le pecorelle, che non sanno,<br /> +tornan del pasco pasciute di vento,<br /> +e non le scusa non veder lo danno. +</p> + +<p> +Non disse Cristo al suo primo convento:<br /> +‘Andate, e predicate al mondo ciance’;<br /> +ma diede lor verace fondamento; +</p> + +<p> +e quel tanto sonò ne le sue guance,<br /> +sì ch’a pugnar per accender la fede<br /> +de l’Evangelio fero scudo e lance. +</p> + +<p> +Ora si va con motti e con iscede<br /> +a predicare, e pur che ben si rida,<br /> +gonfia il cappuccio e più non si richiede. +</p> + +<p> +Ma tale uccel nel becchetto s’annida,<br /> +che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe<br /> +la perdonanza di ch’el si confida: +</p> + +<p> +per cui tanta stoltezza in terra crebbe,<br /> +che, sanza prova d’alcun testimonio,<br /> +ad ogne promession si correrebbe. +</p> + +<p> +Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio,<br /> +e altri assai che sono ancor più porci,<br /> +pagando di moneta sanza conio. +</p> + +<p> +Ma perché siam digressi assai, ritorci<br /> +li occhi oramai verso la dritta strada,<br /> +sì che la via col tempo si raccorci. +</p> + +<p> +Questa natura sì oltre s’ingrada<br /> +in numero, che mai non fu loquela<br /> +né concetto mortal che tanto vada; +</p> + +<p> +e se tu guardi quel che si revela<br /> +per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia<br /> +determinato numero si cela. +</p> + +<p> +La prima luce, che tutta la raia,<br /> +per tanti modi in essa si recepe,<br /> +quanti son li splendori a chi s’appaia. +</p> + +<p> +Onde, però che a l’atto che concepe<br /> +segue l’affetto, d’amar la dolcezza<br /> +diversamente in essa ferve e tepe. +</p> + +<p> +Vedi l’eccelso omai e la larghezza<br /> +de l’etterno valor, poscia che tanti<br /> +speculi fatti s’ha in che si spezza, +</p> + +<p> +uno manendo in sé come davanti». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto97"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXX +</h2> + +<p> +Forse semilia miglia di lontano<br /> +ci ferve l’ora sesta, e questo mondo<br /> +china già l’ombra quasi al letto piano, +</p> + +<p> +quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo,<br /> +comincia a farsi tal, ch’alcuna stella<br /> +perde il parere infino a questo fondo; +</p> + +<p> +e come vien la chiarissima ancella<br /> +del sol più oltre, così ’l ciel si chiude<br /> +di vista in vista infino a la più bella. +</p> + +<p> +Non altrimenti il trïunfo che lude<br /> +sempre dintorno al punto che mi vinse,<br /> +parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, +</p> + +<p> +a poco a poco al mio veder si stinse:<br /> +per che tornar con li occhi a Bëatrice<br /> +nulla vedere e amor mi costrinse. +</p> + +<p> +Se quanto infino a qui di lei si dice<br /> +fosse conchiuso tutto in una loda,<br /> +poca sarebbe a fornir questa vice. +</p> + +<p> +La bellezza ch’io vidi si trasmoda<br /> +non pur di là da noi, ma certo io credo<br /> +che solo il suo fattor tutta la goda. +</p> + +<p> +Da questo passo vinto mi concedo<br /> +più che già mai da punto di suo tema<br /> +soprato fosse comico o tragedo: +</p> + +<p> +ché, come sole in viso che più trema,<br /> +così lo rimembrar del dolce riso<br /> +la mente mia da me medesmo scema. +</p> + +<p> +Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso<br /> +in questa vita, infino a questa vista,<br /> +non m’è il seguire al mio cantar preciso; +</p> + +<p> +ma or convien che mio seguir desista<br /> +più dietro a sua bellezza, poetando,<br /> +come a l’ultimo suo ciascuno artista. +</p> + +<p> +Cotal qual io lascio a maggior bando<br /> +che quel de la mia tuba, che deduce<br /> +l’ardüa sua matera terminando, +</p> + +<p> +con atto e voce di spedito duce<br /> +ricominciò: «Noi siamo usciti fore<br /> +del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: +</p> + +<p> +luce intellettüal, piena d’amore;<br /> +amor di vero ben, pien di letizia;<br /> +letizia che trascende ogne dolzore. +</p> + +<p> +Qui vederai l’una e l’altra milizia<br /> +di paradiso, e l’una in quelli aspetti<br /> +che tu vedrai a l’ultima giustizia». +</p> + +<p> +Come sùbito lampo che discetti<br /> +li spiriti visivi, sì che priva<br /> +da l’atto l’occhio di più forti obietti, +</p> + +<p> +così mi circunfulse luce viva,<br /> +e lasciommi fasciato di tal velo<br /> +del suo fulgor, che nulla m’appariva. +</p> + +<p> +«Sempre l’amor che queta questo cielo<br /> +accoglie in sé con sì fatta salute,<br /> +per far disposto a sua fiamma il candelo». +</p> + +<p> +Non fur più tosto dentro a me venute<br /> +queste parole brievi, ch’io compresi<br /> +me sormontar di sopr’ a mia virtute; +</p> + +<p> +e di novella vista mi raccesi<br /> +tale, che nulla luce è tanto mera,<br /> +che li occhi miei non si fosser difesi; +</p> + +<p> +e vidi lume in forma di rivera<br /> +fulvido di fulgore, intra due rive<br /> +dipinte di mirabil primavera. +</p> + +<p> +Di tal fiumana uscian faville vive,<br /> +e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,<br /> +quasi rubin che oro circunscrive; +</p> + +<p> +poi, come inebrïate da li odori,<br /> +riprofondavan sé nel miro gurge,<br /> +e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. +</p> + +<p> +«L’alto disio che mo t’infiamma e urge,<br /> +d’aver notizia di ciò che tu vei,<br /> +tanto mi piace più quanto più turge; +</p> + +<p> +ma di quest’ acqua convien che tu bei<br /> +prima che tanta sete in te si sazi»:<br /> +così mi disse il sol de li occhi miei. +</p> + +<p> +Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi<br /> +ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe<br /> +son di lor vero umbriferi prefazi. +</p> + +<p> +Non che da sé sian queste cose acerbe;<br /> +ma è difetto da la parte tua,<br /> +che non hai viste ancor tanto superbe». +</p> + +<p> +Non è fantin che sì sùbito rua<br /> +col volto verso il latte, se si svegli<br /> +molto tardato da l’usanza sua, +</p> + +<p> +come fec’ io, per far migliori spegli<br /> +ancor de li occhi, chinandomi a l’onda<br /> +che si deriva perché vi s’immegli; +</p> + +<p> +e sì come di lei bevve la gronda<br /> +de le palpebre mie, così mi parve<br /> +di sua lunghezza divenuta tonda. +</p> + +<p> +Poi, come gente stata sotto larve,<br /> +che pare altro che prima, se si sveste<br /> +la sembianza non süa in che disparve, +</p> + +<p> +così mi si cambiaro in maggior feste<br /> +li fiori e le faville, sì ch’io vidi<br /> +ambo le corti del ciel manifeste. +</p> + +<p> +O isplendor di Dio, per cu’ io vidi<br /> +l’alto trïunfo del regno verace,<br /> +dammi virtù a dir com’ ïo il vidi! +</p> + +<p> +Lume è là sù che visibile face<br /> +lo creatore a quella creatura<br /> +che solo in lui vedere ha la sua pace. +</p> + +<p> +E’ si distende in circular figura,<br /> +in tanto che la sua circunferenza<br /> +sarebbe al sol troppo larga cintura. +</p> + +<p> +Fassi di raggio tutta sua parvenza<br /> +reflesso al sommo del mobile primo,<br /> +che prende quindi vivere e potenza. +</p> + +<p> +E come clivo in acqua di suo imo<br /> +si specchia, quasi per vedersi addorno,<br /> +quando è nel verde e ne’ fioretti opimo, +</p> + +<p> +sì, soprastando al lume intorno intorno,<br /> +vidi specchiarsi in più di mille soglie<br /> +quanto di noi là sù fatto ha ritorno. +</p> + +<p> +E se l’infimo grado in sé raccoglie<br /> +sì grande lume, quanta è la larghezza<br /> +di questa rosa ne l’estreme foglie! +</p> + +<p> +La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza<br /> +non si smarriva, ma tutto prendeva<br /> +il quanto e ’l quale di quella allegrezza. +</p> + +<p> +Presso e lontano, lì, né pon né leva:<br /> +ché dove Dio sanza mezzo governa,<br /> +la legge natural nulla rileva. +</p> + +<p> +Nel giallo de la rosa sempiterna,<br /> +che si digrada e dilata e redole<br /> +odor di lode al sol che sempre verna, +</p> + +<p> +qual è colui che tace e dicer vole,<br /> +mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira<br /> +quanto è ’l convento de le bianche stole! +</p> + +<p> +Vedi nostra città quant’ ella gira;<br /> +vedi li nostri scanni sì ripieni,<br /> +che poca gente più ci si disira. +</p> + +<p> +E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni<br /> +per la corona che già v’è sù posta,<br /> +prima che tu a queste nozze ceni, +</p> + +<p> +sederà l’alma, che fia giù agosta,<br /> +de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia<br /> +verrà in prima ch’ella sia disposta. +</p> + +<p> +La cieca cupidigia che v’ammalia<br /> +simili fatti v’ha al fantolino<br /> +che muor per fame e caccia via la balia. +</p> + +<p> +E fia prefetto nel foro divino<br /> +allora tal, che palese e coverto<br /> +non anderà con lui per un cammino. +</p> + +<p> +Ma poco poi sarà da Dio sofferto<br /> +nel santo officio; ch’el sarà detruso<br /> +là dove Simon mago è per suo merto, +</p> + +<p> +e farà quel d’Alagna intrar più giuso». +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto98"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXXI +</h2> + +<p> +In forma dunque di candida rosa<br /> +mi si mostrava la milizia santa<br /> +che nel suo sangue Cristo fece sposa; +</p> + +<p> +ma l’altra, che volando vede e canta<br /> +la gloria di colui che la ’nnamora<br /> +e la bontà che la fece cotanta, +</p> + +<p> +sì come schiera d’ape che s’infiora<br /> +una fïata e una si ritorna<br /> +là dove suo laboro s’insapora, +</p> + +<p> +nel gran fior discendeva che s’addorna<br /> +di tante foglie, e quindi risaliva<br /> +là dove ’l süo amor sempre soggiorna. +</p> + +<p> +Le facce tutte avean di fiamma viva<br /> +e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,<br /> +che nulla neve a quel termine arriva. +</p> + +<p> +Quando scendean nel fior, di banco in banco<br /> +porgevan de la pace e de l’ardore<br /> +ch’elli acquistavan ventilando il fianco. +</p> + +<p> +Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore<br /> +di tanta moltitudine volante<br /> +impediva la vista e lo splendore: +</p> + +<p> +ché la luce divina è penetrante<br /> +per l’universo secondo ch’è degno,<br /> +sì che nulla le puote essere ostante. +</p> + +<p> +Questo sicuro e gaudïoso regno,<br /> +frequente in gente antica e in novella,<br /> +viso e amore avea tutto ad un segno. +</p> + +<p> +O trina luce che ’n unica stella<br /> +scintillando a lor vista, sì li appaga!<br /> +guarda qua giuso a la nostra procella! +</p> + +<p> +Se i barbari, venendo da tal plaga<br /> +che ciascun giorno d’Elice si cuopra,<br /> +rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, +</p> + +<p> +veggendo Roma e l’ardüa sua opra,<br /> +stupefaciensi, quando Laterano<br /> +a le cose mortali andò di sopra; +</p> + +<p> +ïo, che al divino da l’umano,<br /> +a l’etterno dal tempo era venuto,<br /> +e di Fiorenza in popol giusto e sano, +</p> + +<p> +di che stupor dovea esser compiuto!<br /> +Certo tra esso e ’l gaudio mi facea<br /> +libito non udire e starmi muto. +</p> + +<p> +E quasi peregrin che si ricrea<br /> +nel tempio del suo voto riguardando,<br /> +e spera già ridir com’ ello stea, +</p> + +<p> +su per la viva luce passeggiando,<br /> +menava ïo li occhi per li gradi,<br /> +mo sù, mo giù e mo recirculando. +</p> + +<p> +Vedëa visi a carità süadi,<br /> +d’altrui lume fregiati e di suo riso,<br /> +e atti ornati di tutte onestadi. +</p> + +<p> +La forma general di paradiso<br /> +già tutta mïo sguardo avea compresa,<br /> +in nulla parte ancor fermato fiso; +</p> + +<p> +e volgeami con voglia rïaccesa<br /> +per domandar la mia donna di cose<br /> +di che la mente mia era sospesa. +</p> + +<p> +Uno intendëa, e altro mi rispuose:<br /> +credea veder Beatrice e vidi un sene<br /> +vestito con le genti glorïose. +</p> + +<p> +Diffuso era per li occhi e per le gene<br /> +di benigna letizia, in atto pio<br /> +quale a tenero padre si convene. +</p> + +<p> +E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.<br /> +Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro<br /> +mosse Beatrice me del loco mio; +</p> + +<p> +e se riguardi sù nel terzo giro<br /> +dal sommo grado, tu la rivedrai<br /> +nel trono che suoi merti le sortiro». +</p> + +<p> +Sanza risponder, li occhi sù levai,<br /> +e vidi lei che si facea corona<br /> +reflettendo da sé li etterni rai. +</p> + +<p> +Da quella regïon che più sù tona<br /> +occhio mortale alcun tanto non dista,<br /> +qualunque in mare più giù s’abbandona, +</p> + +<p> +quanto lì da Beatrice la mia vista;<br /> +ma nulla mi facea, ché süa effige<br /> +non discendëa a me per mezzo mista. +</p> + +<p> +«O donna in cui la mia speranza vige,<br /> +e che soffristi per la mia salute<br /> +in inferno lasciar le tue vestige, +</p> + +<p> +di tante cose quant’ i’ ho vedute,<br /> +dal tuo podere e da la tua bontate<br /> +riconosco la grazia e la virtute. +</p> + +<p> +Tu m’hai di servo tratto a libertate<br /> +per tutte quelle vie, per tutt’ i modi<br /> +che di ciò fare avei la potestate. +</p> + +<p> +La tua magnificenza in me custodi,<br /> +sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,<br /> +piacente a te dal corpo si disnodi». +</p> + +<p> +Così orai; e quella, sì lontana<br /> +come parea, sorrise e riguardommi;<br /> +poi si tornò a l’etterna fontana. +</p> + +<p> +E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi<br /> +perfettamente», disse, «il tuo cammino,<br /> +a che priego e amor santo mandommi, +</p> + +<p> +vola con li occhi per questo giardino;<br /> +ché veder lui t’acconcerà lo sguardo<br /> +più al montar per lo raggio divino. +</p> + +<p> +E la regina del cielo, ond’ ïo ardo<br /> +tutto d’amor, ne farà ogne grazia,<br /> +però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». +</p> + +<p> +Qual è colui che forse di Croazia<br /> +viene a veder la Veronica nostra,<br /> +che per l’antica fame non sen sazia, +</p> + +<p> +ma dice nel pensier, fin che si mostra:<br /> +‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,<br /> +or fu sì fatta la sembianza vostra?’; +</p> + +<p> +tal era io mirando la vivace<br /> +carità di colui che ’n questo mondo,<br /> +contemplando, gustò di quella pace. +</p> + +<p> +«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo»,<br /> +cominciò elli, «non ti sarà noto,<br /> +tenendo li occhi pur qua giù al fondo; +</p> + +<p> +ma guarda i cerchi infino al più remoto,<br /> +tanto che veggi seder la regina<br /> +cui questo regno è suddito e devoto». +</p> + +<p> +Io levai li occhi; e come da mattina<br /> +la parte orïental de l’orizzonte<br /> +soverchia quella dove ’l sol declina, +</p> + +<p> +così, quasi di valle andando a monte<br /> +con li occhi, vidi parte ne lo stremo<br /> +vincer di lume tutta l’altra fronte. +</p> + +<p> +E come quivi ove s’aspetta il temo<br /> +che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,<br /> +e quinci e quindi il lume si fa scemo, +</p> + +<p> +così quella pacifica oriafiamma<br /> +nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte<br /> +per igual modo allentava la fiamma; +</p> + +<p> +e a quel mezzo, con le penne sparte,<br /> +vid’ io più di mille angeli festanti,<br /> +ciascun distinto di fulgore e d’arte. +</p> + +<p> +Vidi a lor giochi quivi e a lor canti<br /> +ridere una bellezza, che letizia<br /> +era ne li occhi a tutti li altri santi; +</p> + +<p> +e s’io avessi in dir tanta divizia<br /> +quanta ad imaginar, non ardirei<br /> +lo minimo tentar di sua delizia. +</p> + +<p> +Bernardo, come vide li occhi miei<br /> +nel caldo suo caler fissi e attenti,<br /> +li suoi con tanto affetto volse a lei, +</p> + +<p> +che ’ miei di rimirar fé più ardenti. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto99"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXXII +</h2> + +<p> +Affetto al suo piacer, quel contemplante<br /> +libero officio di dottore assunse,<br /> +e cominciò queste parole sante: +</p> + +<p> +«La piaga che Maria richiuse e unse,<br /> +quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi<br /> +è colei che l’aperse e che la punse. +</p> + +<p> +Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,<br /> +siede Rachel di sotto da costei<br /> +con Bëatrice, sì come tu vedi. +</p> + +<p> +Sarra e Rebecca, Iudìt e colei<br /> +che fu bisava al cantor che per doglia<br /> +del fallo disse ‘Miserere mei’, +</p> + +<p> +puoi tu veder così di soglia in soglia<br /> +giù digradar, com’ io ch’a proprio nome<br /> +vo per la rosa giù di foglia in foglia. +</p> + +<p> +E dal settimo grado in giù, sì come<br /> +infino ad esso, succedono Ebree,<br /> +dirimendo del fior tutte le chiome; +</p> + +<p> +perché, secondo lo sguardo che fée<br /> +la fede in Cristo, queste sono il muro<br /> +a che si parton le sacre scalee. +</p> + +<p> +Da questa parte onde ’l fiore è maturo<br /> +di tutte le sue foglie, sono assisi<br /> +quei che credettero in Cristo venturo; +</p> + +<p> +da l’altra parte onde sono intercisi<br /> +di vòti i semicirculi, si stanno<br /> +quei ch’a Cristo venuto ebber li visi. +</p> + +<p> +E come quinci il glorïoso scanno<br /> +de la donna del cielo e li altri scanni<br /> +di sotto lui cotanta cerna fanno, +</p> + +<p> +così di contra quel del gran Giovanni,<br /> +che sempre santo ’l diserto e ’l martiro<br /> +sofferse, e poi l’inferno da due anni; +</p> + +<p> +e sotto lui così cerner sortiro<br /> +Francesco, Benedetto e Augustino<br /> +e altri fin qua giù di giro in giro. +</p> + +<p> +Or mira l’alto proveder divino:<br /> +ché l’uno e l’altro aspetto de la fede<br /> +igualmente empierà questo giardino. +</p> + +<p> +E sappi che dal grado in giù che fiede<br /> +a mezzo il tratto le due discrezioni,<br /> +per nullo proprio merito si siede, +</p> + +<p> +ma per l’altrui, con certe condizioni:<br /> +ché tutti questi son spiriti ascolti<br /> +prima ch’avesser vere elezïoni. +</p> + +<p> +Ben te ne puoi accorger per li volti<br /> +e anche per le voci püerili,<br /> +se tu li guardi bene e se li ascolti. +</p> + +<p> +Or dubbi tu e dubitando sili;<br /> +ma io discioglierò ’l forte legame<br /> +in che ti stringon li pensier sottili. +</p> + +<p> +Dentro a l’ampiezza di questo reame<br /> +casüal punto non puote aver sito,<br /> +se non come tristizia o sete o fame: +</p> + +<p> +ché per etterna legge è stabilito<br /> +quantunque vedi, sì che giustamente<br /> +ci si risponde da l’anello al dito; +</p> + +<p> +e però questa festinata gente<br /> +a vera vita non è sine causa<br /> +intra sé qui più e meno eccellente. +</p> + +<p> +Lo rege per cui questo regno pausa<br /> +in tanto amore e in tanto diletto,<br /> +che nulla volontà è di più ausa, +</p> + +<p> +le menti tutte nel suo lieto aspetto<br /> +creando, a suo piacer di grazia dota<br /> +diversamente; e qui basti l’effetto. +</p> + +<p> +E ciò espresso e chiaro vi si nota<br /> +ne la Scrittura santa in quei gemelli<br /> +che ne la madre ebber l’ira commota. +</p> + +<p> +Però, secondo il color d’i capelli,<br /> +di cotal grazia l’altissimo lume<br /> +degnamente convien che s’incappelli. +</p> + +<p> +Dunque, sanza mercé di lor costume,<br /> +locati son per gradi differenti,<br /> +sol differendo nel primiero acume. +</p> + +<p> +Bastavasi ne’ secoli recenti<br /> +con l’innocenza, per aver salute,<br /> +solamente la fede d’i parenti; +</p> + +<p> +poi che le prime etadi fuor compiute,<br /> +convenne ai maschi a l’innocenti penne<br /> +per circuncidere acquistar virtute; +</p> + +<p> +ma poi che ’l tempo de la grazia venne,<br /> +sanza battesmo perfetto di Cristo<br /> +tale innocenza là giù si ritenne. +</p> + +<p> +Riguarda omai ne la faccia che a Cristo<br /> +più si somiglia, ché la sua chiarezza<br /> +sola ti può disporre a veder Cristo». +</p> + +<p> +Io vidi sopra lei tanta allegrezza<br /> +piover, portata ne le menti sante<br /> +create a trasvolar per quella altezza, +</p> + +<p> +che quantunque io avea visto davante,<br /> +di tanta ammirazion non mi sospese,<br /> +né mi mostrò di Dio tanto sembiante; +</p> + +<p> +e quello amor che primo lì discese,<br /> +cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’,<br /> +dinanzi a lei le sue ali distese. +</p> + +<p> +Rispuose a la divina cantilena<br /> +da tutte parti la beata corte,<br /> +sì ch’ogne vista sen fé più serena. +</p> + +<p> +«O santo padre, che per me comporte<br /> +l’esser qua giù, lasciando il dolce loco<br /> +nel qual tu siedi per etterna sorte, +</p> + +<p> +qual è quell’ angel che con tanto gioco<br /> +guarda ne li occhi la nostra regina,<br /> +innamorato sì che par di foco?». +</p> + +<p> +Così ricorsi ancora a la dottrina<br /> +di colui ch’abbelliva di Maria,<br /> +come del sole stella mattutina. +</p> + +<p> +Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria<br /> +quant’ esser puote in angelo e in alma,<br /> +tutta è in lui; e sì volem che sia, +</p> + +<p> +perch’ elli è quelli che portò la palma<br /> +giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio<br /> +carcar si volse de la nostra salma. +</p> + +<p> +Ma vieni omai con li occhi sì com’ io<br /> +andrò parlando, e nota i gran patrici<br /> +di questo imperio giustissimo e pio. +</p> + +<p> +Quei due che seggon là sù più felici<br /> +per esser propinquissimi ad Agusta,<br /> +son d’esta rosa quasi due radici: +</p> + +<p> +colui che da sinistra le s’aggiusta<br /> +è il padre per lo cui ardito gusto<br /> +l’umana specie tanto amaro gusta; +</p> + +<p> +dal destro vedi quel padre vetusto<br /> +di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi<br /> +raccomandò di questo fior venusto. +</p> + +<p> +E quei che vide tutti i tempi gravi,<br /> +pria che morisse, de la bella sposa<br /> +che s’acquistò con la lancia e coi clavi, +</p> + +<p> +siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa<br /> +quel duca sotto cui visse di manna<br /> +la gente ingrata, mobile e retrosa. +</p> + +<p> +Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna,<br /> +tanto contenta di mirar sua figlia,<br /> +che non move occhio per cantare osanna; +</p> + +<p> +e contro al maggior padre di famiglia<br /> +siede Lucia, che mosse la tua donna<br /> +quando chinavi, a rovinar, le ciglia. +</p> + +<p> +Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,<br /> +qui farem punto, come buon sartore<br /> +che com’ elli ha del panno fa la gonna; +</p> + +<p> +e drizzeremo li occhi al primo amore,<br /> +sì che, guardando verso lui, penètri<br /> +quant’ è possibil per lo suo fulgore. +</p> + +<p> +Veramente, ne forse tu t’arretri<br /> +movendo l’ali tue, credendo oltrarti,<br /> +orando grazia conven che s’impetri +</p> + +<p> +grazia da quella che puote aiutarti;<br /> +e tu mi seguirai con l’affezione,<br /> +sì che dal dicer mio lo cor non parti». +</p> + +<p> +E cominciò questa santa orazione: +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div class="chapter"> + +<h2><a name="canto100"></a> +Paradiso<br /> +Canto XXXIII +</h2> + +<p> +«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,<br /> +umile e alta più che creatura,<br /> +termine fisso d’etterno consiglio, +</p> + +<p> +tu se’ colei che l’umana natura<br /> +nobilitasti sì, che ’l suo fattore<br /> +non disdegnò di farsi sua fattura. +</p> + +<p> +Nel ventre tuo si raccese l’amore,<br /> +per lo cui caldo ne l’etterna pace<br /> +così è germinato questo fiore. +</p> + +<p> +Qui se’ a noi meridïana face<br /> +di caritate, e giuso, intra ’ mortali,<br /> +se’ di speranza fontana vivace. +</p> + +<p> +Donna, se’ tanto grande e tanto vali,<br /> +che qual vuol grazia e a te non ricorre,<br /> +sua disïanza vuol volar sanz’ ali. +</p> + +<p> +La tua benignità non pur soccorre<br /> +a chi domanda, ma molte fïate<br /> +liberamente al dimandar precorre. +</p> + +<p> +In te misericordia, in te pietate,<br /> +in te magnificenza, in te s’aduna<br /> +quantunque in creatura è di bontate. +</p> + +<p> +Or questi, che da l’infima lacuna<br /> +de l’universo infin qui ha vedute<br /> +le vite spiritali ad una ad una, +</p> + +<p> +supplica a te, per grazia, di virtute<br /> +tanto, che possa con li occhi levarsi<br /> +più alto verso l’ultima salute. +</p> + +<p> +E io, che mai per mio veder non arsi<br /> +più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi<br /> +ti porgo, e priego che non sieno scarsi, +</p> + +<p> +perché tu ogne nube li disleghi<br /> +di sua mortalità co’ prieghi tuoi,<br /> +sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. +</p> + +<p> +Ancor ti priego, regina, che puoi<br /> +ciò che tu vuoli, che conservi sani,<br /> +dopo tanto veder, li affetti suoi. +</p> + +<p> +Vinca tua guardia i movimenti umani:<br /> +vedi Beatrice con quanti beati<br /> +per li miei prieghi ti chiudon le mani!». +</p> + +<p> +Li occhi da Dio diletti e venerati,<br /> +fissi ne l’orator, ne dimostraro<br /> +quanto i devoti prieghi le son grati; +</p> + +<p> +indi a l’etterno lume s’addrizzaro,<br /> +nel qual non si dee creder che s’invii<br /> +per creatura l’occhio tanto chiaro. +</p> + +<p> +E io ch’al fine di tutt’ i disii<br /> +appropinquava, sì com’ io dovea,<br /> +l’ardor del desiderio in me finii. +</p> + +<p> +Bernardo m’accennava, e sorridea,<br /> +perch’ io guardassi suso; ma io era<br /> +già per me stesso tal qual ei volea: +</p> + +<p> +ché la mia vista, venendo sincera,<br /> +e più e più intrava per lo raggio<br /> +de l’alta luce che da sé è vera. +</p> + +<p> +Da quinci innanzi il mio veder fu maggio<br /> +che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,<br /> +e cede la memoria a tanto oltraggio. +</p> + +<p> +Qual è colüi che sognando vede,<br /> +che dopo ’l sogno la passione impressa<br /> +rimane, e l’altro a la mente non riede, +</p> + +<p> +cotal son io, ché quasi tutta cessa<br /> +mia visïone, e ancor mi distilla<br /> +nel core il dolce che nacque da essa. +</p> + +<p> +Così la neve al sol si disigilla;<br /> +così al vento ne le foglie levi<br /> +si perdea la sentenza di Sibilla. +</p> + +<p> +O somma luce che tanto ti levi<br /> +da’ concetti mortali, a la mia mente<br /> +ripresta un poco di quel che parevi, +</p> + +<p> +e fa la lingua mia tanto possente,<br /> +ch’una favilla sol de la tua gloria<br /> +possa lasciare a la futura gente; +</p> + +<p> +ché, per tornare alquanto a mia memoria<br /> +e per sonare un poco in questi versi,<br /> +più si conceperà di tua vittoria. +</p> + +<p> +Io credo, per l’acume ch’io soffersi<br /> +del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,<br /> +se li occhi miei da lui fossero aversi. +</p> + +<p> +E’ mi ricorda ch’io fui più ardito<br /> +per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi<br /> +l’aspetto mio col valore infinito. +</p> + +<p> +Oh abbondante grazia ond’ io presunsi<br /> +ficcar lo viso per la luce etterna,<br /> +tanto che la veduta vi consunsi! +</p> + +<p> +Nel suo profondo vidi che s’interna,<br /> +legato con amore in un volume,<br /> +ciò che per l’universo si squaderna: +</p> + +<p> +sustanze e accidenti e lor costume<br /> +quasi conflati insieme, per tal modo<br /> +che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. +</p> + +<p> +La forma universal di questo nodo<br /> +credo ch’i’ vidi, perché più di largo,<br /> +dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. +</p> + +<p> +Un punto solo m’è maggior letargo<br /> +che venticinque secoli a la ’mpresa<br /> +che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. +</p> + +<p> +Così la mente mia, tutta sospesa,<br /> +mirava fissa, immobile e attenta,<br /> +e sempre di mirar faceasi accesa. +</p> + +<p> +A quella luce cotal si diventa,<br /> +che volgersi da lei per altro aspetto<br /> +è impossibil che mai si consenta; +</p> + +<p> +però che ’l ben, ch’è del volere obietto,<br /> +tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella<br /> +è defettivo ciò ch’è lì perfetto. +</p> + +<p> +Omai sarà più corta mia favella,<br /> +pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante<br /> +che bagni ancor la lingua a la mammella. +</p> + +<p> +Non perché più ch’un semplice sembiante<br /> +fosse nel vivo lume ch’io mirava,<br /> +che tal è sempre qual s’era davante; +</p> + +<p> +ma per la vista che s’avvalorava<br /> +in me guardando, una sola parvenza,<br /> +mutandom’ io, a me si travagliava. +</p> + +<p> +Ne la profonda e chiara sussistenza<br /> +de l’alto lume parvermi tre giri<br /> +di tre colori e d’una contenenza; +</p> + +<p> +e l’un da l’altro come iri da iri<br /> +parea reflesso, e ’l terzo parea foco<br /> +che quinci e quindi igualmente si spiri. +</p> + +<p> +Oh quanto è corto il dire e come fioco<br /> +al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,<br /> +è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. +</p> + +<p> +O luce etterna che sola in te sidi,<br /> +sola t’intendi, e da te intelletta<br /> +e intendente te ami e arridi! +</p> + +<p> +Quella circulazion che sì concetta<br /> +pareva in te come lume reflesso,<br /> +da li occhi miei alquanto circunspetta, +</p> + +<p> +dentro da sé, del suo colore stesso,<br /> +mi parve pinta de la nostra effige:<br /> +per che ’l mio viso in lei tutto era messo. +</p> + +<p> +Qual è ’l geomètra che tutto s’affige<br /> +per misurar lo cerchio, e non ritrova,<br /> +pensando, quel principio ond’ elli indige, +</p> + +<p> +tal era io a quella vista nova:<br /> +veder voleva come si convenne<br /> +l’imago al cerchio e come vi s’indova; +</p> + +<p> +ma non eran da ciò le proprie penne:<br /> +se non che la mia mente fu percossa<br /> +da un fulgore in che sua voglia venne. +</p> + +<p> +A l’alta fantasia qui mancò possa;<br /> +ma già volgeva il mio disio e ’l velle,<br /> +sì come rota ch’igualmente è mossa, +</p> + +<p> +l’amor che move il sole e l’altre stelle. +</p> + +</div><!--end chapter--> + +<div style='display:block;margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA ***</div> +<div style='display:block;margin:1em 0;'>This file should be named 999-h.htm or 999-h.zip</div> +<div style='display:block;margin:1em 0;'>This and all associated files of various formats will be found in https://www.gutenberg.org/9/9/999/</div> +<div style='display:block; margin:1em 0'> +Updated editions will replace the previous one—the old editions will +be renamed. +</div> + +<div style='display:block; margin:1em 0'> +Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright +law means that no one owns a United States copyright in these works, +so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United +States without permission and without paying copyright +royalties. 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Thus, we do not +necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper +edition. +</div> + +<div style='display:block; margin:1em 0'> +Most people start at our website which has the main PG search +facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. +</div> + +<div style='display:block; margin:1em 0'> +This website includes information about Project Gutenberg™, +including how to make donations to the Project Gutenberg Literary +Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to +subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. +</div> + +</body> + +</html> + diff --git a/LICENSE.txt b/LICENSE.txt new file mode 100644 index 0000000..6312041 --- /dev/null +++ b/LICENSE.txt @@ -0,0 +1,11 @@ +This eBook, including all associated images, markup, improvements, +metadata, and any other content or labor, has been confirmed to be +in the PUBLIC DOMAIN IN THE UNITED STATES. + +Procedures for determining public domain status are described in +the "Copyright How-To" at https://www.gutenberg.org. + +No investigation has been made concerning possible copyrights in +jurisdictions other than the United States. Anyone seeking to utilize +this eBook outside of the United States should confirm copyright +status under the laws that apply to them. diff --git a/README.md b/README.md new file mode 100644 index 0000000..799b57d --- /dev/null +++ b/README.md @@ -0,0 +1,2 @@ +Project Gutenberg (https://www.gutenberg.org) public repository for +eBook #999 (https://www.gutenberg.org/ebooks/999) diff --git a/old/999.txt b/old/999.txt new file mode 100644 index 0000000..b3f5fa8 --- /dev/null +++ b/old/999.txt @@ -0,0 +1,7027 @@ +The Project Gutenberg Etext Divina Commedia di Dante: Paradiso +In Italian with no accents[7-bit text] +Please see my notes about various versions beneath this header. + +Copyright laws are changing all over the world, be sure to check +the copyright laws for your country before posting these files!! + +Please take a look at the important information in this header. +We encourage you to keep this file on your own disk, keeping an +electronic path open for the next readers. Do not remove this. + + +**Welcome To The World of Free Plain Vanilla Electronic Texts** + +**Etexts Readable By Both Humans and By Computers, Since 1971** + +*These Etexts Prepared By Hundreds of Volunteers and Donations* + +Information on contacting Project Gutenberg to get Etexts, and +further information is included below. We need your donations. + + +Divina Commedia di Dante: Paradiso + +by Dante Alighieri + +August, 1997 [Etext #999] + + +The Project Gutenberg Etext Divina Commedia di Dante: Paradiso +*****This file should be named 999.txt or 999.zip***** + + +We are now trying to release all our books one month in advance +of the official release dates, for time for better editing. + +Please note: neither this list nor its contents are final till +midnight of the last day of the month of any such announcement. +The official release date of all Project Gutenberg Etexts is at +Midnight, Central Time, of the last day of the stated month. A +preliminary version may often be posted for suggestion, comment +and editing by those who wish to do so. To be sure you have an +up to date first edition [xxxxx10x.xxx] please check file sizes +in the first week of the next month. Since our ftp program has +a bug in it that scrambles the date [tried to fix and failed] a +look at the file size will have to do, but we will try to see a +new copy has at least one byte more or less. + + +Information about Project Gutenberg (one page) + +We produce about two million dollars for each hour we work. The +fifty hours is one conservative estimate for how long it we take +to get any etext selected, entered, proofread, edited, copyright +searched and analyzed, the copyright letters written, etc. This +projected audience is one hundred million readers. If our value +per text is nominally estimated at one dollar then we produce $2 +million dollars per hour this year as we release thirty-two text +files per month: or 400 more Etexts in 1996 for a total of 800. +If these reach just 10% of the computerized population, then the +total should reach 80 billion Etexts. + +The Goal of Project Gutenberg is to Give Away One Trillion Etext +Files by the December 31, 2001. [10,000 x 100,000,000=Trillion] +This is ten thousand titles each to one hundred million readers, +which is only 10% of the present number of computer users. 2001 +should have at least twice as many computer users as that, so it +will require us reaching less than 5% of the users in 2001. + + +We need your donations more than ever! + + +All donations should be made to "Project Gutenberg/CMU": and are +tax deductible to the extent allowable by law. (CMU = Carnegie- +Mellon University). + +For these and other matters, please mail to: + +Project Gutenberg +P. O. 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FOR PUBLIC DOMAIN ETEXTS*Ver.04.29.93*END* + + + + + +Dante's Divine Comedy marks the 1,000th Project Gutenberg Etext. +We will be presenting this work in a wide variety of formats, in +both English and Italian, and in translation by Longfellow, Cary +and possibly more, to include HTML and/or the Italian accents. + +WE WOULD ***LOVE*** YOUR ASSISTANCE IN PROOFREADING THESE FILES! + +Right now we mostly need help with the Italian and Longfellow, I +think we may have enough proofers for a first run at the Cary. + +We hope to have a decent versions of each one by August 31, 1997 + +Because these are preliminary versions, they are named xxxxx09.* + +Also because they are so preliminary, I have not placed the names +of the person working on the files in them, as I take my complete +repsponsibility for all errors that need to be corrected. Credit +will be completely given when we have the final version ready. + +Michael S. Hart +July 31, 1997 + +The Italian files with no accents appear as follows: + +La Divina Commedia di Dante in Italian, 7-bit text[0ddcd09x.xxx]1000 +Divina Commedia di Dante: Inferno, 7-bit Italian [1ddcd09x.xxx] 999 +Divina Commedia di Dante: Purgatorio 7-bit Italian[2ddcd09x.xxx] 998 +Divina Commedia di Dante: Paradiso, 7-bit Italian [3ddcd09x.xxx] 997 + +followed by: + +La Divina Commedia di Dante in Italian, 8-bit text[0ddc8xxx.xxx]1012 +Divina Commedia di Dante: Inferno [8-bit text] [1ddc8xxx.xxx]1011 +Divina Commedia di Dante: Purgatorio [8-bit text] [2ddc8xxx.xxx]1010 +Divina Commedia di Dante: Paradiso [8-bit text] [3ddc8xxx.xxx]1009 + +and + +H. F. Cary's Translation of Dante, Entire Comedy [0ddccxxx.xxx]1008 +H. F. Cary's T-anslation of Dante, The Inferno [1ddccxxx.xxx]1007 +H. F. Cary's Translation of Dante, Puragorty [2ddccxxx.xxx]1006 +H. F. Cary's Translation of Dante, Paradise [3ddccxxx.xxx]1005 + +and + +Longfellow's Translation of Dante, Entire Comedy [0ddclxxx.xxx]1004 +Longfellow's Translation of Dante, The Inferno [1ddclxxx.xxx]1003 +Longfellow's Translation of Dante, Purgatory [2ddclxxx.xxx]1002 +Longfellow's Translation of Dante Paradise [3ddclxxx.xxx]1001 + +in what I hope will be a timely manner. + +Thank you so much for your cooperation and your patience. +This will be a LONG month of preparation. + +Michael S. Hart +[hart@pobox.com] +Project Gutenberg +Executive Director + + + + + +LA DIVINA COMMEDIA + +DI DANTE ALIGHIERI + + +CANTICA III: PARADISO + + + + +La Divina Commedia +di Dante Alighieri + + + + +PARADISO + + + +Paradiso: Canto I + + +La gloria di colui che tutto move + per l'universo penetra, e risplende + in una parte piu` e meno altrove. + +Nel ciel che piu` de la sua luce prende + fu' io, e vidi cose che ridire + ne' sa ne' puo` chi di la` su` discende; + +perche' appressando se' al suo disire, + nostro intelletto si profonda tanto, + che dietro la memoria non puo` ire. + +Veramente quant'io del regno santo + ne la mia mente potei far tesoro, + sara` ora materia del mio canto. + +O buono Appollo, a l'ultimo lavoro + fammi del tuo valor si` fatto vaso, + come dimandi a dar l'amato alloro. + +Infino a qui l'un giogo di Parnaso + assai mi fu; ma or con amendue + m'e` uopo intrar ne l'aringo rimaso. + +Entra nel petto mio, e spira tue + si` come quando Marsia traesti + de la vagina de le membra sue. + +O divina virtu`, se mi ti presti + tanto che l'ombra del beato regno + segnata nel mio capo io manifesti, + +vedra'mi al pie` del tuo diletto legno + venire, e coronarmi de le foglie + che la materia e tu mi farai degno. + +Si` rade volte, padre, se ne coglie + per triunfare o cesare o poeta, + colpa e vergogna de l'umane voglie, + +che parturir letizia in su la lieta + delfica deita` dovria la fronda + peneia, quando alcun di se' asseta. + +Poca favilla gran fiamma seconda: + forse di retro a me con miglior voci + si preghera` perche' Cirra risponda. + +Surge ai mortali per diverse foci + la lucerna del mondo; ma da quella + che quattro cerchi giugne con tre croci, + +con miglior corso e con migliore stella + esce congiunta, e la mondana cera + piu` a suo modo tempera e suggella. + +Fatto avea di la` mane e di qua sera + tal foce, e quasi tutto era la` bianco + quello emisperio, e l'altra parte nera, + +quando Beatrice in sul sinistro fianco + vidi rivolta e riguardar nel sole: + aquila si` non li s'affisse unquanco. + +E si` come secondo raggio suole + uscir del primo e risalire in suso, + pur come pelegrin che tornar vuole, + +cosi` de l'atto suo, per li occhi infuso + ne l'imagine mia, il mio si fece, + e fissi li occhi al sole oltre nostr'uso. + +Molto e` licito la`, che qui non lece + a le nostre virtu`, merce' del loco + fatto per proprio de l'umana spece. + +Io nol soffersi molto, ne' si` poco, + ch'io nol vedessi sfavillar dintorno, + com'ferro che bogliente esce del foco; + +e di subito parve giorno a giorno + essere aggiunto, come quei che puote + avesse il ciel d'un altro sole addorno. + +Beatrice tutta ne l'etterne rote + fissa con li occhi stava; e io in lei + le luci fissi, di la` su` rimote. + +Nel suo aspetto tal dentro mi fei, + qual si fe' Glauco nel gustar de l'erba + che 'l fe' consorto in mar de li altri dei. + +Trasumanar significar per verba + non si poria; pero` l'essemplo basti + a cui esperienza grazia serba. + +S'i' era sol di me quel che creasti + novellamente, amor che 'l ciel governi, + tu 'l sai, che col tuo lume mi levasti. + +Quando la rota che tu sempiterni + desiderato, a se' mi fece atteso + con l'armonia che temperi e discerni, + +parvemi tanto allor del cielo acceso + de la fiamma del sol, che pioggia o fiume + lago non fece alcun tanto disteso. + +La novita` del suono e 'l grande lume + di lor cagion m'accesero un disio + mai non sentito di cotanto acume. + +Ond'ella, che vedea me si` com'io, + a quietarmi l'animo commosso, + pria ch'io a dimandar, la bocca aprio, + +e comincio`: <<Tu stesso ti fai grosso + col falso imaginar, si` che non vedi + cio` che vedresti se l'avessi scosso. + +Tu non se' in terra, si` come tu credi; + ma folgore, fuggendo il proprio sito, + non corse come tu ch'ad esso riedi>>. + +S'io fui del primo dubbio disvestito + per le sorrise parolette brevi, + dentro ad un nuovo piu` fu' inretito, + +e dissi: <<Gia` contento requievi + di grande ammirazion; ma ora ammiro + com'io trascenda questi corpi levi>>. + +Ond'ella, appresso d'un pio sospiro, + li occhi drizzo` ver' me con quel sembiante + che madre fa sovra figlio deliro, + +e comincio`: <<Le cose tutte quante + hanno ordine tra loro, e questo e` forma + che l'universo a Dio fa simigliante. + +Qui veggion l'alte creature l'orma + de l'etterno valore, il qual e` fine + al quale e` fatta la toccata norma. + +Ne l'ordine ch'io dico sono accline + tutte nature, per diverse sorti, + piu` al principio loro e men vicine; + +onde si muovono a diversi porti + per lo gran mar de l'essere, e ciascuna + con istinto a lei dato che la porti. + +Questi ne porta il foco inver' la luna; + questi ne' cor mortali e` permotore; + questi la terra in se' stringe e aduna; + +ne' pur le creature che son fore + d'intelligenza quest'arco saetta + ma quelle c'hanno intelletto e amore. + +La provedenza, che cotanto assetta, + del suo lume fa 'l ciel sempre quieto + nel qual si volge quel c'ha maggior fretta; + +e ora li`, come a sito decreto, + cen porta la virtu` di quella corda + che cio` che scocca drizza in segno lieto. + +Vero e` che, come forma non s'accorda + molte fiate a l'intenzion de l'arte, + perch'a risponder la materia e` sorda, + +cosi` da questo corso si diparte + talor la creatura, c'ha podere + di piegar, cosi` pinta, in altra parte; + +e si` come veder si puo` cadere + foco di nube, si` l'impeto primo + l'atterra torto da falso piacere. + +Non dei piu` ammirar, se bene stimo, + lo tuo salir, se non come d'un rivo + se d'alto monte scende giuso ad imo. + +Maraviglia sarebbe in te se, privo + d'impedimento, giu` ti fossi assiso, + com'a terra quiete in foco vivo>>. + +Quinci rivolse inver' lo cielo il viso. + + + +Paradiso: Canto II + + +O voi che siete in piccioletta barca, + desiderosi d'ascoltar, seguiti + dietro al mio legno che cantando varca, + +tornate a riveder li vostri liti: + non vi mettete in pelago, che' forse, + perdendo me, rimarreste smarriti. + +L'acqua ch'io prendo gia` mai non si corse; + Minerva spira, e conducemi Appollo, + e nove Muse mi dimostran l'Orse. + +Voialtri pochi che drizzaste il collo + per tempo al pan de li angeli, del quale + vivesi qui ma non sen vien satollo, + +metter potete ben per l'alto sale + vostro navigio, servando mio solco + dinanzi a l'acqua che ritorna equale. + +Que' gloriosi che passaro al Colco + non s'ammiraron come voi farete, + quando Iason vider fatto bifolco. + +La concreata e perpetua sete + del deiforme regno cen portava + veloci quasi come 'l ciel vedete. + +Beatrice in suso, e io in lei guardava; + e forse in tanto in quanto un quadrel posa + e vola e da la noce si dischiava, + +giunto mi vidi ove mirabil cosa + mi torse il viso a se'; e pero` quella + cui non potea mia cura essere ascosa, + +volta ver' me, si` lieta come bella, + <<Drizza la mente in Dio grata>>, mi disse, + <<che n'ha congiunti con la prima stella>>. + +Parev'a me che nube ne coprisse + lucida, spessa, solida e pulita, + quasi adamante che lo sol ferisse. + +Per entro se' l'etterna margarita + ne ricevette, com'acqua recepe + raggio di luce permanendo unita. + +S'io era corpo, e qui non si concepe + com'una dimensione altra patio, + ch'esser convien se corpo in corpo repe, + +accender ne dovria piu` il disio + di veder quella essenza in che si vede + come nostra natura e Dio s'unio. + +Li` si vedra` cio` che tenem per fede, + non dimostrato, ma fia per se' noto + a guisa del ver primo che l'uom crede. + +Io rispuosi: <<Madonna, si` devoto + com'esser posso piu`, ringrazio lui + lo qual dal mortal mondo m'ha remoto. + +Ma ditemi: che son li segni bui + di questo corpo, che la` giuso in terra + fan di Cain favoleggiare altrui?>>. + +Ella sorrise alquanto, e poi <<S'elli erra + l'oppinion>>, mi disse, <<d'i mortali + dove chiave di senso non diserra, + +certo non ti dovrien punger li strali + d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi + vedi che la ragione ha corte l'ali. + +Ma dimmi quel che tu da te ne pensi>>. + E io: <<Cio` che n'appar qua su` diverso + credo che fanno i corpi rari e densi>>. + +Ed ella: <<Certo assai vedrai sommerso + nel falso il creder tuo, se bene ascolti + l'argomentar ch'io li faro` avverso. + +La spera ottava vi dimostra molti + lumi, li quali e nel quale e nel quanto + notar si posson di diversi volti. + +Se raro e denso cio` facesser tanto, + una sola virtu` sarebbe in tutti, + piu` e men distributa e altrettanto. + +Virtu` diverse esser convegnon frutti + di principi formali, e quei, for ch'uno, + seguiterieno a tua ragion distrutti. + +Ancor, se raro fosse di quel bruno + cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte + fora di sua materia si` digiuno + +esto pianeto, o, si` come comparte + lo grasso e 'l magro un corpo, cosi` questo + nel suo volume cangerebbe carte. + +Se 'l primo fosse, fora manifesto + ne l'eclissi del sol per trasparere + lo lume come in altro raro ingesto. + +Questo non e`: pero` e` da vedere + de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi, + falsificato fia lo tuo parere. + +S'elli e` che questo raro non trapassi, + esser conviene un termine da onde + lo suo contrario piu` passar non lassi; + +e indi l'altrui raggio si rifonde + cosi` come color torna per vetro + lo qual di retro a se' piombo nasconde. + +Or dirai tu ch'el si dimostra tetro + ivi lo raggio piu` che in altre parti, + per esser li` refratto piu` a retro. + +Da questa instanza puo` deliberarti + esperienza, se gia` mai la provi, + ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti. + +Tre specchi prenderai; e i due rimovi + da te d'un modo, e l'altro, piu` rimosso, + tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. + +Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso + ti stea un lume che i tre specchi accenda + e torni a te da tutti ripercosso. + +Ben che nel quanto tanto non si stenda + la vista piu` lontana, li` vedrai + come convien ch'igualmente risplenda. + +Or, come ai colpi de li caldi rai + de la neve riman nudo il suggetto + e dal colore e dal freddo primai, + +cosi` rimaso te ne l'intelletto + voglio informar di luce si` vivace, + che ti tremolera` nel suo aspetto. + +Dentro dal ciel de la divina pace + si gira un corpo ne la cui virtute + l'esser di tutto suo contento giace. + +Lo ciel seguente, c'ha tante vedute, + quell'esser parte per diverse essenze, + da lui distratte e da lui contenute. + +Li altri giron per varie differenze + le distinzion che dentro da se' hanno + dispongono a lor fini e lor semenze. + +Questi organi del mondo cosi` vanno, + come tu vedi omai, di grado in grado, + che di su` prendono e di sotto fanno. + +Riguarda bene omai si` com'io vado + per questo loco al vero che disiri, + si` che poi sappi sol tener lo guado. + +Lo moto e la virtu` d'i santi giri, + come dal fabbro l'arte del martello, + da' beati motor convien che spiri; + +e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello, + de la mente profonda che lui volve + prende l'image e fassene suggello. + +E come l'alma dentro a vostra polve + per differenti membra e conformate + a diverse potenze si risolve, + +cosi` l'intelligenza sua bontate + multiplicata per le stelle spiega, + girando se' sovra sua unitate. + +Virtu` diversa fa diversa lega + col prezioso corpo ch'ella avviva, + nel qual, si` come vita in voi, si lega. + +Per la natura lieta onde deriva, + la virtu` mista per lo corpo luce + come letizia per pupilla viva. + +Da essa vien cio` che da luce a luce + par differente, non da denso e raro; + essa e` formal principio che produce, + +conforme a sua bonta`, lo turbo e 'l chiaro>>. + + + +Paradiso: Canto III + + +Quel sol che pria d'amor mi scaldo` 'l petto, + di bella verita` m'avea scoverto, + provando e riprovando, il dolce aspetto; + +e io, per confessar corretto e certo + me stesso, tanto quanto si convenne + leva' il capo a proferer piu` erto; + +ma visione apparve che ritenne + a se' me tanto stretto, per vedersi, + che di mia confession non mi sovvenne. + +Quali per vetri trasparenti e tersi, + o ver per acque nitide e tranquille, + non si` profonde che i fondi sien persi, + +tornan d'i nostri visi le postille + debili si`, che perla in bianca fronte + non vien men forte a le nostre pupille; + +tali vid'io piu` facce a parlar pronte; + per ch'io dentro a l'error contrario corsi + a quel ch'accese amor tra l'omo e 'l fonte. + +Subito si` com'io di lor m'accorsi, + quelle stimando specchiati sembianti, + per veder di cui fosser, li occhi torsi; + +e nulla vidi, e ritorsili avanti + dritti nel lume de la dolce guida, + che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. + +<<Non ti maravigliar perch'io sorrida>>, + mi disse, <<appresso il tuo pueril coto, + poi sopra 'l vero ancor lo pie` non fida, + +ma te rivolve, come suole, a voto: + vere sustanze son cio` che tu vedi, + qui rilegate per manco di voto. + +Pero` parla con esse e odi e credi; + che' la verace luce che li appaga + da se' non lascia lor torcer li piedi>>. + +E io a l'ombra che parea piu` vaga + di ragionar, drizza'mi, e cominciai, + quasi com'uom cui troppa voglia smaga: + +<<O ben creato spirito, che a' rai + di vita etterna la dolcezza senti + che, non gustata, non s'intende mai, + +grazioso mi fia se mi contenti + del nome tuo e de la vostra sorte>>. + Ond'ella, pronta e con occhi ridenti: + +<<La nostra carita` non serra porte + a giusta voglia, se non come quella + che vuol simile a se' tutta sua corte. + +I' fui nel mondo vergine sorella; + e se la mente tua ben se' riguarda, + non mi ti celera` l'esser piu` bella, + +ma riconoscerai ch'i' son Piccarda, + che, posta qui con questi altri beati, + beata sono in la spera piu` tarda. + +Li nostri affetti, che solo infiammati + son nel piacer de lo Spirito Santo, + letizian del suo ordine formati. + +E questa sorte che par giu` cotanto, + pero` n'e` data, perche' fuor negletti + li nostri voti, e voti in alcun canto>>. + +Ond'io a lei: <<Ne' mirabili aspetti + vostri risplende non so che divino + che vi trasmuta da' primi concetti: + +pero` non fui a rimembrar festino; + ma or m'aiuta cio` che tu mi dici, + si` che raffigurar m'e` piu` latino. + +Ma dimmi: voi che siete qui felici, + disiderate voi piu` alto loco + per piu` vedere e per piu` farvi amici?>>. + +Con quelle altr'ombre pria sorrise un poco; + da indi mi rispuose tanto lieta, + ch'arder parea d'amor nel primo foco: + +<<Frate, la nostra volonta` quieta + virtu` di carita`, che fa volerne + sol quel ch'avemo, e d'altro non ci asseta. + +Se disiassimo esser piu` superne, + foran discordi li nostri disiri + dal voler di colui che qui ne cerne; + +che vedrai non capere in questi giri, + s'essere in carita` e` qui necesse, + e se la sua natura ben rimiri. + +Anzi e` formale ad esto beato esse + tenersi dentro a la divina voglia, + per ch'una fansi nostre voglie stesse; + +si` che, come noi sem di soglia in soglia + per questo regno, a tutto il regno piace + com'a lo re che 'n suo voler ne 'nvoglia. + +E 'n la sua volontade e` nostra pace: + ell'e` quel mare al qual tutto si move + cio` ch'ella cria o che natura face>>. + +Chiaro mi fu allor come ogne dove + in cielo e` paradiso, etsi la grazia + del sommo ben d'un modo non vi piove. + +Ma si` com'elli avvien, s'un cibo sazia + e d'un altro rimane ancor la gola, + che quel si chere e di quel si ringrazia, + +cosi` fec'io con atto e con parola, + per apprender da lei qual fu la tela + onde non trasse infino a co la spuola. + +<<Perfetta vita e alto merto inciela + donna piu` su`>>, mi disse, <<a la cui norma + nel vostro mondo giu` si veste e vela, + +perche' fino al morir si vegghi e dorma + con quello sposo ch'ogne voto accetta + che caritate a suo piacer conforma. + +Dal mondo, per seguirla, giovinetta + fuggi'mi, e nel suo abito mi chiusi + e promisi la via de la sua setta. + +Uomini poi, a mal piu` ch'a bene usi, + fuor mi rapiron de la dolce chiostra: + Iddio si sa qual poi mia vita fusi. + +E quest'altro splendor che ti si mostra + da la mia destra parte e che s'accende + di tutto il lume de la spera nostra, + +cio` ch'io dico di me, di se' intende; + sorella fu, e cosi` le fu tolta + di capo l'ombra de le sacre bende. + +Ma poi che pur al mondo fu rivolta + contra suo grado e contra buona usanza, + non fu dal vel del cor gia` mai disciolta. + +Quest'e` la luce de la gran Costanza + che del secondo vento di Soave + genero` 'l terzo e l'ultima possanza>>. + +Cosi` parlommi, e poi comincio` 'Ave, + Maria' cantando, e cantando vanio + come per acqua cupa cosa grave. + +La vista mia, che tanto lei seguio + quanto possibil fu, poi che la perse, + volsesi al segno di maggior disio, + +e a Beatrice tutta si converse; + ma quella folgoro` nel mio sguardo + si` che da prima il viso non sofferse; + +e cio` mi fece a dimandar piu` tardo. + + + +Paradiso: Canto IV + + +Intra due cibi, distanti e moventi + d'un modo, prima si morria di fame, + che liber'omo l'un recasse ai denti; + +si` si starebbe un agno intra due brame + di fieri lupi, igualmente temendo; + si` si starebbe un cane intra due dame: + +per che, s'i' mi tacea, me non riprendo, + da li miei dubbi d'un modo sospinto, + poi ch'era necessario, ne' commendo. + +Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto + m'era nel viso, e 'l dimandar con ello, + piu` caldo assai che per parlar distinto. + +Fe' si` Beatrice qual fe' Daniello, + Nabuccodonosor levando d'ira, + che l'avea fatto ingiustamente fello; + +e disse: <<Io veggio ben come ti tira + uno e altro disio, si` che tua cura + se' stessa lega si` che fuor non spira. + +Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura, + la violenza altrui per qual ragione + di meritar mi scema la misura?". + +Ancor di dubitar ti da` cagione + parer tornarsi l'anime a le stelle, + secondo la sentenza di Platone. + +Queste son le question che nel tuo velle + pontano igualmente; e pero` pria + trattero` quella che piu` ha di felle. + +D'i Serafin colui che piu` s'india, + Moise`, Samuel, e quel Giovanni + che prender vuoli, io dico, non Maria, + +non hanno in altro cielo i loro scanni + che questi spirti che mo t'appariro, + ne' hanno a l'esser lor piu` o meno anni; + +ma tutti fanno bello il primo giro, + e differentemente han dolce vita + per sentir piu` e men l'etterno spiro. + +Qui si mostraro, non perche' sortita + sia questa spera lor, ma per far segno + de la celestial c'ha men salita. + +Cosi` parlar conviensi al vostro ingegno, + pero` che solo da sensato apprende + cio` che fa poscia d'intelletto degno. + +Per questo la Scrittura condescende + a vostra facultate, e piedi e mano + attribuisce a Dio, e altro intende; + +e Santa Chiesa con aspetto umano + Gabriel e Michel vi rappresenta, + e l'altro che Tobia rifece sano. + +Quel che Timeo de l'anime argomenta + non e` simile a cio` che qui si vede, + pero` che, come dice, par che senta. + +Dice che l'alma a la sua stella riede, + credendo quella quindi esser decisa + quando natura per forma la diede; + +e forse sua sentenza e` d'altra guisa + che la voce non suona, ed esser puote + con intenzion da non esser derisa. + +S'elli intende tornare a queste ruote + l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse + in alcun vero suo arco percuote. + +Questo principio, male inteso, torse + gia` tutto il mondo quasi, si` che Giove, + Mercurio e Marte a nominar trascorse. + +L'altra dubitazion che ti commove + ha men velen, pero` che sua malizia + non ti poria menar da me altrove. + +Parere ingiusta la nostra giustizia + ne li occhi d'i mortali, e` argomento + di fede e non d'eretica nequizia. + +Ma perche' puote vostro accorgimento + ben penetrare a questa veritate, + come disiri, ti faro` contento. + +Se violenza e` quando quel che pate + niente conferisce a quel che sforza, + non fuor quest'alme per essa scusate; + +che' volonta`, se non vuol, non s'ammorza, + ma fa come natura face in foco, + se mille volte violenza il torza. + +Per che, s'ella si piega assai o poco, + segue la forza; e cosi` queste fero + possendo rifuggir nel santo loco. + +Se fosse stato lor volere intero, + come tenne Lorenzo in su la grada, + e fece Muzio a la sua man severo, + +cosi` l'avria ripinte per la strada + ond'eran tratte, come fuoro sciolte; + ma cosi` salda voglia e` troppo rada. + +E per queste parole, se ricolte + l'hai come dei, e` l'argomento casso + che t'avria fatto noia ancor piu` volte. + +Ma or ti s'attraversa un altro passo + dinanzi a li occhi, tal che per te stesso + non usciresti: pria saresti lasso. + +Io t'ho per certo ne la mente messo + ch'alma beata non poria mentire, + pero` ch'e` sempre al primo vero appresso; + +e poi potesti da Piccarda udire + che l'affezion del vel Costanza tenne; + si` ch'ella par qui meco contradire. + +Molte fiate gia`, frate, addivenne + che, per fuggir periglio, contra grato + si fe' di quel che far non si convenne; + +come Almeone, che, di cio` pregato + dal padre suo, la propria madre spense, + per non perder pieta`, si fe' spietato. + +A questo punto voglio che tu pense + che la forza al voler si mischia, e fanno + si` che scusar non si posson l'offense. + +Voglia assoluta non consente al danno; + ma consentevi in tanto in quanto teme, + se si ritrae, cadere in piu` affanno. + +Pero`, quando Piccarda quello spreme, + de la voglia assoluta intende, e io + de l'altra; si` che ver diciamo insieme>>. + +Cotal fu l'ondeggiar del santo rio + ch'usci` del fonte ond'ogne ver deriva; + tal puose in pace uno e altro disio. + +<<O amanza del primo amante, o diva>>, + diss'io appresso, <<il cui parlar m'inonda + e scalda si`, che piu` e piu` m'avviva, + +non e` l'affezion mia tanto profonda, + che basti a render voi grazia per grazia; + ma quei che vede e puote a cio` risponda. + +Io veggio ben che gia` mai non si sazia + nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra + di fuor dal qual nessun vero si spazia. + +Posasi in esso, come fera in lustra, + tosto che giunto l'ha; e giugner puollo: + se non, ciascun disio sarebbe frustra. + +Nasce per quello, a guisa di rampollo, + a pie` del vero il dubbio; ed e` natura + ch'al sommo pinge noi di collo in collo. + +Questo m'invita, questo m'assicura + con reverenza, donna, a dimandarvi + d'un'altra verita` che m'e` oscura. + +Io vo' saper se l'uom puo` sodisfarvi + ai voti manchi si` con altri beni, + ch'a la vostra statera non sien parvi>>. + +Beatrice mi guardo` con li occhi pieni + di faville d'amor cosi` divini, + che, vinta, mia virtute die` le reni, + +e quasi mi perdei con li occhi chini. + + + +Paradiso: Canto V + + +<<S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore + di la` dal modo che 'n terra si vede, + si` che del viso tuo vinco il valore, + +non ti maravigliar; che' cio` procede + da perfetto veder, che, come apprende, + cosi` nel bene appreso move il piede. + +Io veggio ben si` come gia` resplende + ne l'intelletto tuo l'etterna luce, + che, vista, sola e sempre amore accende; + +e s'altra cosa vostro amor seduce, + non e` se non di quella alcun vestigio, + mal conosciuto, che quivi traluce. + +Tu vuo' saper se con altro servigio, + per manco voto, si puo` render tanto + che l'anima sicuri di letigio>>. + +Si` comincio` Beatrice questo canto; + e si` com'uom che suo parlar non spezza, + continuo` cosi` 'l processo santo: + +<<Lo maggior don che Dio per sua larghezza + fesse creando, e a la sua bontate + piu` conformato, e quel ch'e' piu` apprezza, + +fu de la volonta` la libertate; + di che le creature intelligenti, + e tutte e sole, fuoro e son dotate. + +Or ti parra`, se tu quinci argomenti, + l'alto valor del voto, s'e` si` fatto + che Dio consenta quando tu consenti; + +che', nel fermar tra Dio e l'uomo il patto, + vittima fassi di questo tesoro, + tal quale io dico; e fassi col suo atto. + +Dunque che render puossi per ristoro? + Se credi bene usar quel c'hai offerto, + di maltolletto vuo' far buon lavoro. + +Tu se' omai del maggior punto certo; + ma perche' Santa Chiesa in cio` dispensa, + che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto, + +convienti ancor sedere un poco a mensa, + pero` che 'l cibo rigido c'hai preso, + richiede ancora aiuto a tua dispensa. + +Apri la mente a quel ch'io ti paleso + e fermalvi entro; che' non fa scienza, + sanza lo ritenere, avere inteso. + +Due cose si convegnono a l'essenza + di questo sacrificio: l'una e` quella + di che si fa; l'altr'e` la convenenza. + +Quest'ultima gia` mai non si cancella + se non servata; e intorno di lei + si` preciso di sopra si favella: + +pero` necessitato fu a li Ebrei + pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta + si` permutasse, come saver dei. + +L'altra, che per materia t'e` aperta, + puote ben esser tal, che non si falla + se con altra materia si converta. + +Ma non trasmuti carco a la sua spalla + per suo arbitrio alcun, sanza la volta + e de la chiave bianca e de la gialla; + +e ogne permutanza credi stolta, + se la cosa dimessa in la sorpresa + come 'l quattro nel sei non e` raccolta. + +Pero` qualunque cosa tanto pesa + per suo valor che tragga ogne bilancia, + sodisfar non si puo` con altra spesa. + +Non prendan li mortali il voto a ciancia; + siate fedeli, e a cio` far non bieci, + come Iepte` a la sua prima mancia; + +cui piu` si convenia dicer 'Mal feci', + che, servando, far peggio; e cosi` stolto + ritrovar puoi il gran duca de' Greci, + +onde pianse Efigenia il suo bel volto, + e fe' pianger di se' i folli e i savi + ch'udir parlar di cosi` fatto colto. + +Siate, Cristiani, a muovervi piu` gravi: + non siate come penna ad ogne vento, + e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. + +Avete il novo e 'l vecchio Testamento, + e 'l pastor de la Chiesa che vi guida; + questo vi basti a vostro salvamento. + +Se mala cupidigia altro vi grida, + uomini siate, e non pecore matte, + si` che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! + +Non fate com'agnel che lascia il latte + de la sua madre, e semplice e lascivo + seco medesmo a suo piacer combatte!>>. + +Cosi` Beatrice a me com'io scrivo; + poi si rivolse tutta disiante + a quella parte ove 'l mondo e` piu` vivo. + +Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante + puoser silenzio al mio cupido ingegno, + che gia` nuove questioni avea davante; + +e si` come saetta che nel segno + percuote pria che sia la corda queta, + cosi` corremmo nel secondo regno. + +Quivi la donna mia vid'io si` lieta, + come nel lume di quel ciel si mise, + che piu` lucente se ne fe' 'l pianeta. + +E se la stella si cambio` e rise, + qual mi fec'io che pur da mia natura + trasmutabile son per tutte guise! + +Come 'n peschiera ch'e` tranquilla e pura + traggonsi i pesci a cio` che vien di fori + per modo che lo stimin lor pastura, + +si` vid'io ben piu` di mille splendori + trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia: + <<Ecco chi crescera` li nostri amori>>. + +E si` come ciascuno a noi venia, + vedeasi l'ombra piena di letizia + nel folgor chiaro che di lei uscia. + +Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia + non procedesse, come tu avresti + di piu` savere angosciosa carizia; + +e per te vederai come da questi + m'era in disio d'udir lor condizioni, + si` come a li occhi mi fur manifesti. + +<<O bene nato a cui veder li troni + del triunfo etternal concede grazia + prima che la milizia s'abbandoni, + +del lume che per tutto il ciel si spazia + noi semo accesi; e pero`, se disii + di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia>>. + +Cosi` da un di quelli spirti pii + detto mi fu; e da Beatrice: <<Di`, di` + sicuramente, e credi come a dii>>. + +<<Io veggio ben si` come tu t'annidi + nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, + perch'e' corusca si` come tu ridi; + +ma non so chi tu se', ne' perche' aggi, + anima degna, il grado de la spera + che si vela a' mortai con altrui raggi>>. + +Questo diss'io diritto alla lumera + che pria m'avea parlato; ond'ella fessi + lucente piu` assai di quel ch'ell'era. + +Si` come il sol che si cela elli stessi + per troppa luce, come 'l caldo ha rose + le temperanze d'i vapori spessi, + +per piu` letizia si` mi si nascose + dentro al suo raggio la figura santa; + e cosi` chiusa chiusa mi rispuose + +nel modo che 'l seguente canto canta. + + + +Paradiso: Canto VI + + +<<Poscia che Costantin l'aquila volse + contr'al corso del ciel, ch'ella seguio + dietro a l'antico che Lavina tolse, + +cento e cent'anni e piu` l'uccel di Dio + ne lo stremo d'Europa si ritenne, + vicino a' monti de' quai prima uscio; + +e sotto l'ombra de le sacre penne + governo` 'l mondo li` di mano in mano, + e, si` cangiando, in su la mia pervenne. + +Cesare fui e son Iustiniano, + che, per voler del primo amor ch'i' sento, + d'entro le leggi trassi il troppo e 'l vano. + +E prima ch'io a l'ovra fossi attento, + una natura in Cristo esser, non piue, + credea, e di tal fede era contento; + +ma 'l benedetto Agapito, che fue + sommo pastore, a la fede sincera + mi dirizzo` con le parole sue. + +Io li credetti; e cio` che 'n sua fede era, + vegg'io or chiaro si`, come tu vedi + ogni contradizione e falsa e vera. + +Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, + a Dio per grazia piacque di spirarmi + l'alto lavoro, e tutto 'n lui mi diedi; + +e al mio Belisar commendai l'armi, + cui la destra del ciel fu si` congiunta, + che segno fu ch'i' dovessi posarmi. + +Or qui a la question prima s'appunta + la mia risposta; ma sua condizione + mi stringe a seguitare alcuna giunta, + +perche' tu veggi con quanta ragione + si move contr'al sacrosanto segno + e chi 'l s'appropria e chi a lui s'oppone. + +Vedi quanta virtu` l'ha fatto degno + di reverenza; e comincio` da l'ora + che Pallante mori` per darli regno. + +Tu sai ch'el fece in Alba sua dimora + per trecento anni e oltre, infino al fine + che i tre a' tre pugnar per lui ancora. + +E sai ch'el fe' dal mal de le Sabine + al dolor di Lucrezia in sette regi, + vincendo intorno le genti vicine. + +Sai quel ch'el fe' portato da li egregi + Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, + incontro a li altri principi e collegi; + +onde Torquato e Quinzio, che dal cirro + negletto fu nomato, i Deci e ' Fabi + ebber la fama che volontier mirro. + +Esso atterro` l'orgoglio de li Arabi + che di retro ad Annibale passaro + l'alpestre rocce, Po, di che tu labi. + +Sott'esso giovanetti triunfaro + Scipione e Pompeo; e a quel colle + sotto 'l qual tu nascesti parve amaro. + +Poi, presso al tempo che tutto 'l ciel volle + redur lo mondo a suo modo sereno, + Cesare per voler di Roma il tolle. + +E quel che fe' da Varo infino a Reno, + Isara vide ed Era e vide Senna + e ogne valle onde Rodano e` pieno. + +Quel che fe' poi ch'elli usci` di Ravenna + e salto` Rubicon, fu di tal volo, + che nol seguiteria lingua ne' penna. + +Inver' la Spagna rivolse lo stuolo, + poi ver' Durazzo, e Farsalia percosse + si` ch'al Nil caldo si senti` del duolo. + +Antandro e Simeonta, onde si mosse, + rivide e la` dov'Ettore si cuba; + e mal per Tolomeo poscia si scosse. + +Da indi scese folgorando a Iuba; + onde si volse nel vostro occidente, + ove sentia la pompeana tuba. + +Di quel che fe' col baiulo seguente, + Bruto con Cassio ne l'inferno latra, + e Modena e Perugia fu dolente. + +Piangene ancor la trista Cleopatra, + che, fuggendoli innanzi, dal colubro + la morte prese subitana e atra. + +Con costui corse infino al lito rubro; + con costui puose il mondo in tanta pace, + che fu serrato a Giano il suo delubro. + +Ma cio` che 'l segno che parlar mi face + fatto avea prima e poi era fatturo + per lo regno mortal ch'a lui soggiace, + +diventa in apparenza poco e scuro, + se in mano al terzo Cesare si mira + con occhio chiaro e con affetto puro; + +che' la viva giustizia che mi spira, + li concedette, in mano a quel ch'i' dico, + gloria di far vendetta a la sua ira. + +Or qui t'ammira in cio` ch'io ti replico: + poscia con Tito a far vendetta corse + de la vendetta del peccato antico. + +E quando il dente longobardo morse + la Santa Chiesa, sotto le sue ali + Carlo Magno, vincendo, la soccorse. + +Omai puoi giudicar di quei cotali + ch'io accusai di sopra e di lor falli, + che son cagion di tutti vostri mali. + +L'uno al pubblico segno i gigli gialli + oppone, e l'altro appropria quello a parte, + si` ch'e` forte a veder chi piu` si falli. + +Faccian li Ghibellin, faccian lor arte + sott'altro segno; che' mal segue quello + sempre chi la giustizia e lui diparte; + +e non l'abbatta esto Carlo novello + coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli + ch'a piu` alto leon trasser lo vello. + +Molte fiate gia` pianser li figli + per la colpa del padre, e non si creda + che Dio trasmuti l'arme per suoi gigli! + +Questa picciola stella si correda + di buoni spirti che son stati attivi + perche' onore e fama li succeda: + +e quando li disiri poggian quivi, + si` disviando, pur convien che i raggi + del vero amore in su` poggin men vivi. + +Ma nel commensurar d'i nostri gaggi + col merto e` parte di nostra letizia, + perche' non li vedem minor ne' maggi. + +Quindi addolcisce la viva giustizia + in noi l'affetto si`, che non si puote + torcer gia` mai ad alcuna nequizia. + +Diverse voci fanno dolci note; + cosi` diversi scanni in nostra vita + rendon dolce armonia tra queste rote. + +E dentro a la presente margarita + luce la luce di Romeo, di cui + fu l'ovra grande e bella mal gradita. + +Ma i Provenzai che fecer contra lui + non hanno riso; e pero` mal cammina + qual si fa danno del ben fare altrui. + +Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, + Ramondo Beringhiere, e cio` li fece + Romeo, persona umile e peregrina. + +E poi il mosser le parole biece + a dimandar ragione a questo giusto, + che li assegno` sette e cinque per diece, + +indi partissi povero e vetusto; + e se 'l mondo sapesse il cor ch'elli ebbe + mendicando sua vita a frusto a frusto, + +assai lo loda, e piu` lo loderebbe>>. + + + +Paradiso: Canto VII + + +<<Osanna, sanctus Deus sabaoth, + superillustrans claritate tua + felices ignes horum malacoth!>>. + +Cosi`, volgendosi a la nota sua, + fu viso a me cantare essa sustanza, + sopra la qual doppio lume s'addua: + +ed essa e l'altre mossero a sua danza, + e quasi velocissime faville, + mi si velar di subita distanza. + +Io dubitava e dicea 'Dille, dille!' + fra me, 'dille', dicea, 'a la mia donna + che mi diseta con le dolci stille'. + +Ma quella reverenza che s'indonna + di tutto me, pur per Be e per ice, + mi richinava come l'uom ch'assonna. + +Poco sofferse me cotal Beatrice + e comincio`, raggiandomi d'un riso + tal, che nel foco faria l'uom felice: + +<<Secondo mio infallibile avviso, + come giusta vendetta giustamente + punita fosse, t'ha in pensier miso; + +ma io ti solvero` tosto la mente; + e tu ascolta, che' le mie parole + di gran sentenza ti faran presente. + +Per non soffrire a la virtu` che vole + freno a suo prode, quell'uom che non nacque, + dannando se', danno` tutta sua prole; + +onde l'umana specie inferma giacque + giu` per secoli molti in grande errore, + fin ch'al Verbo di Dio discender piacque + +u' la natura, che dal suo fattore + s'era allungata, uni` a se' in persona + con l'atto sol del suo etterno amore. + +Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona: + questa natura al suo fattore unita, + qual fu creata, fu sincera e buona; + +ma per se' stessa pur fu ella sbandita + di paradiso, pero` che si torse + da via di verita` e da sua vita. + +La pena dunque che la croce porse + s'a la natura assunta si misura, + nulla gia` mai si` giustamente morse; + +e cosi` nulla fu di tanta ingiura, + guardando a la persona che sofferse, + in che era contratta tal natura. + +Pero` d'un atto uscir cose diverse: + ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte; + per lei tremo` la terra e 'l ciel s'aperse. + +Non ti dee oramai parer piu` forte, + quando si dice che giusta vendetta + poscia vengiata fu da giusta corte. + +Ma io veggi' or la tua mente ristretta + di pensiero in pensier dentro ad un nodo, + del qual con gran disio solver s'aspetta. + +Tu dici: "Ben discerno cio` ch'i' odo; + ma perche' Dio volesse, m'e` occulto, + a nostra redenzion pur questo modo". + +Questo decreto, frate, sta sepulto + a li occhi di ciascuno il cui ingegno + ne la fiamma d'amor non e` adulto. + +Veramente, pero` ch'a questo segno + molto si mira e poco si discerne, + diro` perche' tal modo fu piu` degno. + +La divina bonta`, che da se' sperne + ogne livore, ardendo in se', sfavilla + si` che dispiega le bellezze etterne. + +Cio` che da lei sanza mezzo distilla + non ha poi fine, perche' non si move + la sua imprenta quand'ella sigilla. + +Cio` che da essa sanza mezzo piove + libero e` tutto, perche' non soggiace + a la virtute de le cose nove. + +Piu` l'e` conforme, e pero` piu` le piace; + che' l'ardor santo ch'ogne cosa raggia, + ne la piu` somigliante e` piu` vivace. + +Di tutte queste dote s'avvantaggia + l'umana creatura; e s'una manca, + di sua nobilita` convien che caggia. + +Solo il peccato e` quel che la disfranca + e falla dissimile al sommo bene, + per che del lume suo poco s'imbianca; + +e in sua dignita` mai non rivene, + se non riempie, dove colpa vota, + contra mal dilettar con giuste pene. + +Vostra natura, quando pecco` tota + nel seme suo, da queste dignitadi, + come di paradiso, fu remota; + +ne' ricovrar potiensi, se tu badi + ben sottilmente, per alcuna via, + sanza passar per un di questi guadi: + +o che Dio solo per sua cortesia + dimesso avesse, o che l'uom per se' isso + avesse sodisfatto a sua follia. + +Ficca mo l'occhio per entro l'abisso + de l'etterno consiglio, quanto puoi + al mio parlar distrettamente fisso. + +Non potea l'uomo ne' termini suoi + mai sodisfar, per non potere ir giuso + con umiltate obediendo poi, + +quanto disobediendo intese ir suso; + e questa e` la cagion per che l'uom fue + da poter sodisfar per se' dischiuso. + +Dunque a Dio convenia con le vie sue + riparar l'omo a sua intera vita, + dico con l'una, o ver con amendue. + +Ma perche' l'ovra tanto e` piu` gradita + da l'operante, quanto piu` appresenta + de la bonta` del core ond'ell'e` uscita, + +la divina bonta` che 'l mondo imprenta, + di proceder per tutte le sue vie, + a rilevarvi suso, fu contenta. + +Ne' tra l'ultima notte e 'l primo die + si` alto o si` magnifico processo, + o per l'una o per l'altra, fu o fie: + +che' piu` largo fu Dio a dar se' stesso + per far l'uom sufficiente a rilevarsi, + che s'elli avesse sol da se' dimesso; + +e tutti li altri modi erano scarsi + a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio + non fosse umiliato ad incarnarsi. + +Or per empierti bene ogni disio, + ritorno a dichiararti in alcun loco, + perche' tu veggi li` cosi` com'io. + +Tu dici: "Io veggio l'acqua, io veggio il foco, + l'aere e la terra e tutte lor misture + venire a corruzione, e durar poco; + +e queste cose pur furon creature; + per che, se cio` ch'e` detto e` stato vero, + esser dovrien da corruzion sicure". + +Li angeli, frate, e 'l paese sincero + nel qual tu se', dir si posson creati, + si` come sono, in loro essere intero; + +ma li elementi che tu hai nomati + e quelle cose che di lor si fanno + da creata virtu` sono informati. + +Creata fu la materia ch'elli hanno; + creata fu la virtu` informante + in queste stelle che 'ntorno a lor vanno. + +L'anima d'ogne bruto e de le piante + di complession potenziata tira + lo raggio e 'l moto de le luci sante; + +ma vostra vita sanza mezzo spira + la somma beninanza, e la innamora + di se' si` che poi sempre la disira. + +E quinci puoi argomentare ancora + vostra resurrezion, se tu ripensi + come l'umana carne fessi allora + +che li primi parenti intrambo fensi>>. + + + +Paradiso: Canto VIII + + +Solea creder lo mondo in suo periclo + che la bella Ciprigna il folle amore + raggiasse, volta nel terzo epiciclo; + +per che non pur a lei faceano onore + di sacrificio e di votivo grido + le genti antiche ne l'antico errore; + +ma Dione onoravano e Cupido, + quella per madre sua, questo per figlio, + e dicean ch'el sedette in grembo a Dido; + +e da costei ond'io principio piglio + pigliavano il vocabol de la stella + che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. + +Io non m'accorsi del salire in ella; + ma d'esservi entro mi fe' assai fede + la donna mia ch'i' vidi far piu` bella. + +E come in fiamma favilla si vede, + e come in voce voce si discerne, + quand'una e` ferma e altra va e riede, + +vid'io in essa luce altre lucerne + muoversi in giro piu` e men correnti, + al modo, credo, di lor viste interne. + +Di fredda nube non disceser venti, + o visibili o no, tanto festini, + che non paressero impediti e lenti + +a chi avesse quei lumi divini + veduti a noi venir, lasciando il giro + pria cominciato in li alti Serafini; + +e dentro a quei che piu` innanzi appariro + sonava 'Osanna' si`, che unque poi + di riudir non fui sanza disiro. + +Indi si fece l'un piu` presso a noi + e solo incomincio`: <<Tutti sem presti + al tuo piacer, perche' di noi ti gioi. + +Noi ci volgiam coi principi celesti + d'un giro e d'un girare e d'una sete, + ai quali tu del mondo gia` dicesti: + +'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete'; + e sem si` pien d'amor, che, per piacerti, + non fia men dolce un poco di quiete>>. + +Poscia che li occhi miei si fuoro offerti + a la mia donna reverenti, ed essa + fatti li avea di se' contenti e certi, + +rivolsersi a la luce che promessa + tanto s'avea, e <<Deh, chi siete?>> fue + la voce mia di grande affetto impressa. + +E quanta e quale vid'io lei far piue + per allegrezza nova che s'accrebbe, + quando parlai, a l'allegrezze sue! + +Cosi` fatta, mi disse: <<Il mondo m'ebbe + giu` poco tempo; e se piu` fosse stato, + molto sara` di mal, che non sarebbe. + +La mia letizia mi ti tien celato + che mi raggia dintorno e mi nasconde + quasi animal di sua seta fasciato. + +Assai m'amasti, e avesti ben onde; + che s'io fossi giu` stato, io ti mostrava + di mio amor piu` oltre che le fronde. + +Quella sinistra riva che si lava + di Rodano poi ch'e` misto con Sorga, + per suo segnore a tempo m'aspettava, + +e quel corno d'Ausonia che s'imborga + di Bari e di Gaeta e di Catona + da ove Tronto e Verde in mare sgorga. + +Fulgeami gia` in fronte la corona + di quella terra che 'l Danubio riga + poi che le ripe tedesche abbandona. + +E la bella Trinacria, che caliga + tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo + che riceve da Euro maggior briga, + +non per Tifeo ma per nascente solfo, + attesi avrebbe li suoi regi ancora, + nati per me di Carlo e di Ridolfo, + +se mala segnoria, che sempre accora + li popoli suggetti, non avesse + mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!". + +E se mio frate questo antivedesse, + l'avara poverta` di Catalogna + gia` fuggeria, perche' non li offendesse; + +che' veramente proveder bisogna + per lui, o per altrui, si` ch'a sua barca + carcata piu` d'incarco non si pogna. + +La sua natura, che di larga parca + discese, avria mestier di tal milizia + che non curasse di mettere in arca>>. + +<<Pero` ch'i' credo che l'alta letizia + che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio, + la` 've ogne ben si termina e s'inizia, + +per te si veggia come la vegg'io, + grata m'e` piu`; e anco quest'ho caro + perche' 'l discerni rimirando in Dio. + +Fatto m'hai lieto, e cosi` mi fa chiaro, + poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso + com'esser puo`, di dolce seme, amaro>>. + +Questo io a lui; ed elli a me: <<S'io posso + mostrarti un vero, a quel che tu dimandi + terrai lo viso come tien lo dosso. + +Lo ben che tutto il regno che tu scandi + volge e contenta, fa esser virtute + sua provedenza in questi corpi grandi. + +E non pur le nature provedute + sono in la mente ch'e` da se' perfetta, + ma esse insieme con la lor salute: + +per che quantunque quest'arco saetta + disposto cade a proveduto fine, + si` come cosa in suo segno diretta. + +Se cio` non fosse, il ciel che tu cammine + producerebbe si` li suoi effetti, + che non sarebbero arti, ma ruine; + +e cio` esser non puo`, se li 'ntelletti + che muovon queste stelle non son manchi, + e manco il primo, che non li ha perfetti. + +Vuo' tu che questo ver piu` ti s'imbianchi?>>. + E io: <<Non gia`; che' impossibil veggio + che la natura, in quel ch'e` uopo, stanchi>>. + +Ond'elli ancora: <<Or di': sarebbe il peggio + per l'omo in terra, se non fosse cive?>>. + <<Si`>>, rispuos'io; <<e qui ragion non cheggio>>. + +<<E puot'elli esser, se giu` non si vive + diversamente per diversi offici? + Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive>>. + +Si` venne deducendo infino a quici; + poscia conchiuse: <<Dunque esser diverse + convien di vostri effetti le radici: + +per ch'un nasce Solone e altro Serse, + altro Melchisedech e altro quello + che, volando per l'aere, il figlio perse. + +La circular natura, ch'e` suggello + a la cera mortal, fa ben sua arte, + ma non distingue l'un da l'altro ostello. + +Quinci addivien ch'Esau` si diparte + per seme da Iacob; e vien Quirino + da si` vil padre, che si rende a Marte. + +Natura generata il suo cammino + simil farebbe sempre a' generanti, + se non vincesse il proveder divino. + +Or quel che t'era dietro t'e` davanti: + ma perche' sappi che di te mi giova, + un corollario voglio che t'ammanti. + +Sempre natura, se fortuna trova + discorde a se', com'ogne altra semente + fuor di sua region, fa mala prova. + +E se 'l mondo la` giu` ponesse mente + al fondamento che natura pone, + seguendo lui, avria buona la gente. + +Ma voi torcete a la religione + tal che fia nato a cignersi la spada, + e fate re di tal ch'e` da sermone; + +onde la traccia vostra e` fuor di strada>>. + + + +Paradiso: Canto IX + + +Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, + m'ebbe chiarito, mi narro` li 'nganni + che ricever dovea la sua semenza; + +ma disse: <<Taci e lascia muover li anni>>; + si` ch'io non posso dir se non che pianto + giusto verra` di retro ai vostri danni. + +E gia` la vita di quel lume santo + rivolta s'era al Sol che la riempie + come quel ben ch'a ogne cosa e` tanto. + +Ahi anime ingannate e fatture empie, + che da si` fatto ben torcete i cuori, + drizzando in vanita` le vostre tempie! + +Ed ecco un altro di quelli splendori + ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi + significava nel chiarir di fori. + +Li occhi di Beatrice, ch'eran fermi + sovra me, come pria, di caro assenso + al mio disio certificato fermi. + +<<Deh, metti al mio voler tosto compenso, + beato spirto>>, dissi, <<e fammi prova + ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso!>>. + +Onde la luce che m'era ancor nova, + del suo profondo, ond'ella pria cantava, + seguette come a cui di ben far giova: + +<<In quella parte de la terra prava + italica che siede tra Rialto + e le fontane di Brenta e di Piava, + +si leva un colle, e non surge molt'alto, + la` onde scese gia` una facella + che fece a la contrada un grande assalto. + +D'una radice nacqui e io ed ella: + Cunizza fui chiamata, e qui refulgo + perche' mi vinse il lume d'esta stella; + +ma lietamente a me medesma indulgo + la cagion di mia sorte, e non mi noia; + che parria forse forte al vostro vulgo. + +Di questa luculenta e cara gioia + del nostro cielo che piu` m'e` propinqua, + grande fama rimase; e pria che moia, + +questo centesimo anno ancor s'incinqua: + vedi se far si dee l'omo eccellente, + si` ch'altra vita la prima relinqua. + +E cio` non pensa la turba presente + che Tagliamento e Adice richiude, + ne' per esser battuta ancor si pente; + +ma tosto fia che Padova al palude + cangera` l'acqua che Vincenza bagna, + per essere al dover le genti crude; + +e dove Sile e Cagnan s'accompagna, + tal signoreggia e va con la testa alta, + che gia` per lui carpir si fa la ragna. + +Piangera` Feltro ancora la difalta + de l'empio suo pastor, che sara` sconcia + si`, che per simil non s'entro` in malta. + +Troppo sarebbe larga la bigoncia + che ricevesse il sangue ferrarese, + e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia, + +che donera` questo prete cortese + per mostrarsi di parte; e cotai doni + conformi fieno al viver del paese. + +Su` sono specchi, voi dicete Troni, + onde refulge a noi Dio giudicante; + si` che questi parlar ne paion buoni>>. + +Qui si tacette; e fecemi sembiante + che fosse ad altro volta, per la rota + in che si mise com'era davante. + +L'altra letizia, che m'era gia` nota + per cara cosa, mi si fece in vista + qual fin balasso in che lo sol percuota. + +Per letiziar la` su` fulgor s'acquista, + si` come riso qui; ma giu` s'abbuia + l'ombra di fuor, come la mente e` trista. + +<<Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia>>, + diss'io, <<beato spirto, si` che nulla + voglia di se' a te puot'esser fuia. + +Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla + sempre col canto di quei fuochi pii + che di sei ali facen la coculla, + +perche' non satisface a' miei disii? + Gia` non attendere' io tua dimanda, + s'io m'intuassi, come tu t'inmii>>. + +<<La maggior valle in che l'acqua si spanda>>, + incominciaro allor le sue parole, + <<fuor di quel mar che la terra inghirlanda, + +tra ' discordanti liti contra 'l sole + tanto sen va, che fa meridiano + la` dove l'orizzonte pria far suole. + +Di quella valle fu' io litorano + tra Ebro e Macra, che per cammin corto + parte lo Genovese dal Toscano. + +Ad un occaso quasi e ad un orto + Buggea siede e la terra ond'io fui, + che fe' del sangue suo gia` caldo il porto. + +Folco mi disse quella gente a cui + fu noto il nome mio; e questo cielo + di me s'imprenta, com'io fe' di lui; + +che' piu` non arse la figlia di Belo, + noiando e a Sicheo e a Creusa, + di me, infin che si convenne al pelo; + +ne' quella Rodopea che delusa + fu da Demofoonte, ne' Alcide + quando Iole nel core ebbe rinchiusa. + +Non pero` qui si pente, ma si ride, + non de la colpa, ch'a mente non torna, + ma del valor ch'ordino` e provide. + +Qui si rimira ne l'arte ch'addorna + cotanto affetto, e discernesi 'l bene + per che 'l mondo di su` quel di giu` torna. + +Ma perche' tutte le tue voglie piene + ten porti che son nate in questa spera, + proceder ancor oltre mi convene. + +Tu vuo' saper chi e` in questa lumera + che qui appresso me cosi` scintilla, + come raggio di sole in acqua mera. + +Or sappi che la` entro si tranquilla + Raab; e a nostr'ordine congiunta, + di lei nel sommo grado si sigilla. + +Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta + che 'l vostro mondo face, pria ch'altr'alma + del triunfo di Cristo fu assunta. + +Ben si convenne lei lasciar per palma + in alcun cielo de l'alta vittoria + che s'acquisto` con l'una e l'altra palma, + +perch'ella favoro` la prima gloria + di Iosue` in su la Terra Santa, + che poco tocca al papa la memoria. + +La tua citta`, che di colui e` pianta + che pria volse le spalle al suo fattore + e di cui e` la 'nvidia tanto pianta, + +produce e spande il maladetto fiore + c'ha disviate le pecore e li agni, + pero` che fatto ha lupo del pastore. + +Per questo l'Evangelio e i dottor magni + son derelitti, e solo ai Decretali + si studia, si` che pare a' lor vivagni. + +A questo intende il papa e ' cardinali; + non vanno i lor pensieri a Nazarette, + la` dove Gabriello aperse l'ali. + +Ma Vaticano e l'altre parti elette + di Roma che son state cimitero + a la milizia che Pietro seguette, + +tosto libere fien de l'avoltero>>. + + + +Paradiso: Canto X + + +Guardando nel suo Figlio con l'Amore + che l'uno e l'altro etternalmente spira, + lo primo e ineffabile Valore + +quanto per mente e per loco si gira + con tant'ordine fe', ch'esser non puote + sanza gustar di lui chi cio` rimira. + +Leva dunque, lettore, a l'alte rote + meco la vista, dritto a quella parte + dove l'un moto e l'altro si percuote; + +e li` comincia a vagheggiar ne l'arte + di quel maestro che dentro a se' l'ama, + tanto che mai da lei l'occhio non parte. + +Vedi come da indi si dirama + l'oblico cerchio che i pianeti porta, + per sodisfare al mondo che li chiama. + +Che se la strada lor non fosse torta, + molta virtu` nel ciel sarebbe in vano, + e quasi ogne potenza qua giu` morta; + +e se dal dritto piu` o men lontano + fosse 'l partire, assai sarebbe manco + e giu` e su` de l'ordine mondano. + +Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco, + dietro pensando a cio` che si preliba, + s'esser vuoi lieto assai prima che stanco. + +Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba; + che' a se' torce tutta la mia cura + quella materia ond'io son fatto scriba. + +Lo ministro maggior de la natura, + che del valor del ciel lo mondo imprenta + e col suo lume il tempo ne misura, + +con quella parte che su` si rammenta + congiunto, si girava per le spire + in che piu` tosto ognora s'appresenta; + +e io era con lui; ma del salire + non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, + anzi 'l primo pensier, del suo venire. + +E' Beatrice quella che si` scorge + di bene in meglio, si` subitamente + che l'atto suo per tempo non si sporge. + +Quant'esser convenia da se' lucente + quel ch'era dentro al sol dov'io entra'mi, + non per color, ma per lume parvente! + +Perch'io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami, + si` nol direi che mai s'imaginasse; + ma creder puossi e di veder si brami. + +E se le fantasie nostre son basse + a tanta altezza, non e` maraviglia; + che' sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse. + +Tal era quivi la quarta famiglia + de l'alto Padre, che sempre la sazia, + mostrando come spira e come figlia. + +E Beatrice comincio`: <<Ringrazia, + ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo + sensibil t'ha levato per sua grazia>>. + +Cor di mortal non fu mai si` digesto + a divozione e a rendersi a Dio + con tutto 'l suo gradir cotanto presto, + +come a quelle parole mi fec'io; + e si` tutto 'l mio amore in lui si mise, + che Beatrice eclisso` ne l'oblio. + +Non le dispiacque; ma si` se ne rise, + che lo splendor de li occhi suoi ridenti + mia mente unita in piu` cose divise. + +Io vidi piu` folgor vivi e vincenti + far di noi centro e di se' far corona, + piu` dolci in voce che in vista lucenti: + +cosi` cinger la figlia di Latona + vedem talvolta, quando l'aere e` pregno, + si` che ritenga il fil che fa la zona. + +Ne la corte del cielo, ond'io rivegno, + si trovan molte gioie care e belle + tanto che non si posson trar del regno; + +e 'l canto di quei lumi era di quelle; + chi non s'impenna si` che la` su` voli, + dal muto aspetti quindi le novelle. + +Poi, si` cantando, quelli ardenti soli + si fuor girati intorno a noi tre volte, + come stelle vicine a' fermi poli, + +donne mi parver, non da ballo sciolte, + ma che s'arrestin tacite, ascoltando + fin che le nove note hanno ricolte. + +E dentro a l'un senti' cominciar: <<Quando + lo raggio de la grazia, onde s'accende + verace amore e che poi cresce amando, + +multiplicato in te tanto resplende, + che ti conduce su per quella scala + u' sanza risalir nessun discende; + +qual ti negasse il vin de la sua fiala + per la tua sete, in liberta` non fora + se non com'acqua ch'al mar non si cala. + +Tu vuo' saper di quai piante s'infiora + questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia + la bella donna ch'al ciel t'avvalora. + +Io fui de li agni de la santa greggia + che Domenico mena per cammino + u' ben s'impingua se non si vaneggia. + +Questi che m'e` a destra piu` vicino, + frate e maestro fummi, ed esso Alberto + e` di Cologna, e io Thomas d'Aquino. + +Se si` di tutti li altri esser vuo' certo, + di retro al mio parlar ten vien col viso + girando su per lo beato serto. + +Quell'altro fiammeggiare esce del riso + di Grazian, che l'uno e l'altro foro + aiuto` si` che piace in paradiso. + +L'altro ch'appresso addorna il nostro coro, + quel Pietro fu che con la poverella + offerse a Santa Chiesa suo tesoro. + +La quinta luce, ch'e` tra noi piu` bella, + spira di tal amor, che tutto 'l mondo + la` giu` ne gola di saper novella: + +entro v'e` l'alta mente u' si` profondo + saver fu messo, che, se 'l vero e` vero + a veder tanto non surse il secondo. + +Appresso vedi il lume di quel cero + che giu` in carne piu` a dentro vide + l'angelica natura e 'l ministero. + +Ne l'altra piccioletta luce ride + quello avvocato de' tempi cristiani + del cui latino Augustin si provide. + +Or se tu l'occhio de la mente trani + di luce in luce dietro a le mie lode, + gia` de l'ottava con sete rimani. + +Per vedere ogni ben dentro vi gode + l'anima santa che 'l mondo fallace + fa manifesto a chi di lei ben ode. + +Lo corpo ond'ella fu cacciata giace + giuso in Cieldauro; ed essa da martiro + e da essilio venne a questa pace. + +Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro + d'Isidoro, di Beda e di Riccardo, + che a considerar fu piu` che viro. + +Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, + e` 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri + gravi a morir li parve venir tardo: + +essa e` la luce etterna di Sigieri, + che, leggendo nel Vico de li Strami, + silogizzo` invidiosi veri>>. + +Indi, come orologio che ne chiami + ne l'ora che la sposa di Dio surge + a mattinar lo sposo perche' l'ami, + +che l'una parte e l'altra tira e urge, + tin tin sonando con si` dolce nota, + che 'l ben disposto spirto d'amor turge; + +cosi` vid'io la gloriosa rota + muoversi e render voce a voce in tempra + e in dolcezza ch'esser non po` nota + +se non cola` dove gioir s'insempra. + + + +Paradiso: Canto XI + + +O insensata cura de' mortali, + quanto son difettivi silogismi + quei che ti fanno in basso batter l'ali! + +Chi dietro a iura, e chi ad amforismi + sen giva, e chi seguendo sacerdozio, + e chi regnar per forza o per sofismi, + +e chi rubare, e chi civil negozio, + chi nel diletto de la carne involto + s'affaticava e chi si dava a l'ozio, + +quando, da tutte queste cose sciolto, + con Beatrice m'era suso in cielo + cotanto gloriosamente accolto. + +Poi che ciascuno fu tornato ne lo + punto del cerchio in che avanti s'era, + fermossi, come a candellier candelo. + +E io senti' dentro a quella lumera + che pria m'avea parlato, sorridendo + incominciar, faccendosi piu` mera: + +<<Cosi` com'io del suo raggio resplendo, + si`, riguardando ne la luce etterna, + li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. + +Tu dubbi, e hai voler che si ricerna + in si` aperta e 'n si` distesa lingua + lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna, + +ove dinanzi dissi "U' ben s'impingua", + e la` u' dissi "Non nacque il secondo"; + e qui e` uopo che ben si distingua. + +La provedenza, che governa il mondo + con quel consiglio nel quale ogne aspetto + creato e` vinto pria che vada al fondo, + +pero` che andasse ver' lo suo diletto + la sposa di colui ch'ad alte grida + disposo` lei col sangue benedetto, + +in se' sicura e anche a lui piu` fida, + due principi ordino` in suo favore, + che quinci e quindi le fosser per guida. + +L'un fu tutto serafico in ardore; + l'altro per sapienza in terra fue + di cherubica luce uno splendore. + +De l'un diro`, pero` che d'amendue + si dice l'un pregiando, qual ch'om prende, + perch'ad un fine fur l'opere sue. + +Intra Tupino e l'acqua che discende + del colle eletto dal beato Ubaldo, + fertile costa d'alto monte pende, + +onde Perugia sente freddo e caldo + da Porta Sole; e di rietro le piange + per grave giogo Nocera con Gualdo. + +Di questa costa, la` dov'ella frange + piu` sua rattezza, nacque al mondo un sole, + come fa questo tal volta di Gange. + +Pero` chi d'esso loco fa parole, + non dica Ascesi, che' direbbe corto, + ma Oriente, se proprio dir vuole. + +Non era ancor molto lontan da l'orto, + ch'el comincio` a far sentir la terra + de la sua gran virtute alcun conforto; + +che' per tal donna, giovinetto, in guerra + del padre corse, a cui, come a la morte, + la porta del piacer nessun diserra; + +e dinanzi a la sua spirital corte + et coram patre le si fece unito; + poscia di di` in di` l'amo` piu` forte. + +Questa, privata del primo marito, + millecent'anni e piu` dispetta e scura + fino a costui si stette sanza invito; + +ne' valse udir che la trovo` sicura + con Amiclate, al suon de la sua voce, + colui ch'a tutto 'l mondo fe' paura; + +ne' valse esser costante ne' feroce, + si` che, dove Maria rimase giuso, + ella con Cristo pianse in su la croce. + +Ma perch'io non proceda troppo chiuso, + Francesco e Poverta` per questi amanti + prendi oramai nel mio parlar diffuso. + +La lor concordia e i lor lieti sembianti, + amore e maraviglia e dolce sguardo + facieno esser cagion di pensier santi; + +tanto che 'l venerabile Bernardo + si scalzo` prima, e dietro a tanta pace + corse e, correndo, li parve esser tardo. + +Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! + Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro + dietro a lo sposo, si` la sposa piace. + +Indi sen va quel padre e quel maestro + con la sua donna e con quella famiglia + che gia` legava l'umile capestro. + +Ne' li gravo` vilta` di cuor le ciglia + per esser fi' di Pietro Bernardone, + ne' per parer dispetto a maraviglia; + +ma regalmente sua dura intenzione + ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe + primo sigillo a sua religione. + +Poi che la gente poverella crebbe + dietro a costui, la cui mirabil vita + meglio in gloria del ciel si canterebbe, + +di seconda corona redimita + fu per Onorio da l'Etterno Spiro + la santa voglia d'esto archimandrita. + +E poi che, per la sete del martiro, + ne la presenza del Soldan superba + predico` Cristo e li altri che 'l seguiro, + +e per trovare a conversione acerba + troppo la gente e per non stare indarno, + redissi al frutto de l'italica erba, + +nel crudo sasso intra Tevero e Arno + da Cristo prese l'ultimo sigillo, + che le sue membra due anni portarno. + +Quando a colui ch'a tanto ben sortillo + piacque di trarlo suso a la mercede + ch'el merito` nel suo farsi pusillo, + +a' frati suoi, si` com'a giuste rede, + raccomando` la donna sua piu` cara, + e comando` che l'amassero a fede; + +e del suo grembo l'anima preclara + mover si volle, tornando al suo regno, + e al suo corpo non volle altra bara. + +Pensa oramai qual fu colui che degno + collega fu a mantener la barca + di Pietro in alto mar per dritto segno; + +e questo fu il nostro patriarca; + per che qual segue lui, com'el comanda, + discerner puoi che buone merce carca. + +Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda + e` fatto ghiotto, si` ch'esser non puote + che per diversi salti non si spanda; + +e quanto le sue pecore remote + e vagabunde piu` da esso vanno, + piu` tornano a l'ovil di latte vote. + +Ben son di quelle che temono 'l danno + e stringonsi al pastor; ma son si` poche, + che le cappe fornisce poco panno. + +Or, se le mie parole non son fioche, + se la tua audienza e` stata attenta, + se cio` ch'e` detto a la mente revoche, + +in parte fia la tua voglia contenta, + perche' vedrai la pianta onde si scheggia, + e vedra' il corregger che argomenta + +"U' ben s'impingua, se non si vaneggia">>. + + + +Paradiso: Canto XII + + +Si` tosto come l'ultima parola + la benedetta fiamma per dir tolse, + a rotar comincio` la santa mola; + +e nel suo giro tutta non si volse + prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, + e moto a moto e canto a canto colse; + +canto che tanto vince nostre muse, + nostre serene in quelle dolci tube, + quanto primo splendor quel ch'e' refuse. + +Come si volgon per tenera nube + due archi paralelli e concolori, + quando Iunone a sua ancella iube, + +nascendo di quel d'entro quel di fori, + a guisa del parlar di quella vaga + ch'amor consunse come sol vapori; + +e fanno qui la gente esser presaga, + per lo patto che Dio con Noe` puose, + del mondo che gia` mai piu` non s'allaga: + +cosi` di quelle sempiterne rose + volgiensi circa noi le due ghirlande, + e si` l'estrema a l'intima rispuose. + +Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande, + si` del cantare e si` del fiammeggiarsi + luce con luce gaudiose e blande, + +insieme a punto e a voler quetarsi, + pur come li occhi ch'al piacer che i move + conviene insieme chiudere e levarsi; + +del cor de l'una de le luci nove + si mosse voce, che l'ago a la stella + parer mi fece in volgermi al suo dove; + +e comincio`: <<L'amor che mi fa bella + mi tragge a ragionar de l'altro duca + per cui del mio si` ben ci si favella. + +Degno e` che, dov'e` l'un, l'altro s'induca: + si` che, com'elli ad una militaro, + cosi` la gloria loro insieme luca. + +L'essercito di Cristo, che si` caro + costo` a riarmar, dietro a la 'nsegna + si movea tardo, sospeccioso e raro, + +quando lo 'mperador che sempre regna + provide a la milizia, ch'era in forse, + per sola grazia, non per esser degna; + +e, come e` detto, a sua sposa soccorse + con due campioni, al cui fare, al cui dire + lo popol disviato si raccorse. + +In quella parte ove surge ad aprire + Zefiro dolce le novelle fronde + di che si vede Europa rivestire, + +non molto lungi al percuoter de l'onde + dietro a le quali, per la lunga foga, + lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, + +siede la fortunata Calaroga + sotto la protezion del grande scudo + in che soggiace il leone e soggioga: + +dentro vi nacque l'amoroso drudo + de la fede cristiana, il santo atleta + benigno a' suoi e a' nemici crudo; + +e come fu creata, fu repleta + si` la sua mente di viva vertute, + che, ne la madre, lei fece profeta. + +Poi che le sponsalizie fuor compiute + al sacro fonte intra lui e la Fede, + u' si dotar di mutua salute, + +la donna che per lui l'assenso diede, + vide nel sonno il mirabile frutto + ch'uscir dovea di lui e de le rede; + +e perche' fosse qual era in costrutto, + quinci si mosse spirito a nomarlo + del possessivo di cui era tutto. + +Domenico fu detto; e io ne parlo + si` come de l'agricola che Cristo + elesse a l'orto suo per aiutarlo. + +Ben parve messo e famigliar di Cristo: + che 'l primo amor che 'n lui fu manifesto, + fu al primo consiglio che die` Cristo. + +Spesse fiate fu tacito e desto + trovato in terra da la sua nutrice, + come dicesse: 'Io son venuto a questo'. + +Oh padre suo veramente Felice! + oh madre sua veramente Giovanna, + se, interpretata, val come si dice! + +Non per lo mondo, per cui mo s'affanna + di retro ad Ostiense e a Taddeo, + ma per amor de la verace manna + +in picciol tempo gran dottor si feo; + tal che si mise a circuir la vigna + che tosto imbianca, se 'l vignaio e` reo. + +E a la sedia che fu gia` benigna + piu` a' poveri giusti, non per lei, + ma per colui che siede, che traligna, + +non dispensare o due o tre per sei, + non la fortuna di prima vacante, + non decimas, quae sunt pauperum Dei, + +addimando`, ma contro al mondo errante + licenza di combatter per lo seme + del qual ti fascian ventiquattro piante. + +Poi, con dottrina e con volere insieme, + con l'officio appostolico si mosse + quasi torrente ch'alta vena preme; + +e ne li sterpi eretici percosse + l'impeto suo, piu` vivamente quivi + dove le resistenze eran piu` grosse. + +Di lui si fecer poi diversi rivi + onde l'orto catolico si riga, + si` che i suoi arbuscelli stan piu` vivi. + +Se tal fu l'una rota de la biga + in che la Santa Chiesa si difese + e vinse in campo la sua civil briga, + +ben ti dovrebbe assai esser palese + l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma + dinanzi al mio venir fu si` cortese. + +Ma l'orbita che fe' la parte somma + di sua circunferenza, e` derelitta, + si` ch'e` la muffa dov'era la gromma. + +La sua famiglia, che si mosse dritta + coi piedi a le sue orme, e` tanto volta, + che quel dinanzi a quel di retro gitta; + +e tosto si vedra` de la ricolta + de la mala coltura, quando il loglio + si lagnera` che l'arca li sia tolta. + +Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio + nostro volume, ancor troveria carta + u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio"; + +ma non fia da Casal ne' d'Acquasparta, + la` onde vegnon tali a la scrittura, + ch'uno la fugge e altro la coarta. + +Io son la vita di Bonaventura + da Bagnoregio, che ne' grandi offici + sempre pospuosi la sinistra cura. + +Illuminato e Augustin son quici, + che fuor de' primi scalzi poverelli + che nel capestro a Dio si fero amici. + +Ugo da San Vittore e` qui con elli, + e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, + lo qual giu` luce in dodici libelli; + +Natan profeta e 'l metropolitano + Crisostomo e Anselmo e quel Donato + ch'a la prim'arte degno` porre mano. + +Rabano e` qui, e lucemi dallato + il calavrese abate Giovacchino, + di spirito profetico dotato. + +Ad inveggiar cotanto paladino + mi mosse l'infiammata cortesia + di fra Tommaso e 'l discreto latino; + +e mosse meco questa compagnia>>. + + + +Paradiso: Canto XIII + + +Imagini, chi bene intender cupe + quel ch'i' or vidi - e ritegna l'image, + mentre ch'io dico, come ferma rupe -, + +quindici stelle che 'n diverse plage + lo ciel avvivan di tanto sereno + che soperchia de l'aere ogne compage; + +imagini quel carro a cu' il seno + basta del nostro cielo e notte e giorno, + si` ch'al volger del temo non vien meno; + +imagini la bocca di quel corno + che si comincia in punta de lo stelo + a cui la prima rota va dintorno, + +aver fatto di se' due segni in cielo, + qual fece la figliuola di Minoi + allora che senti` di morte il gelo; + +e l'un ne l'altro aver li raggi suoi, + e amendue girarsi per maniera + che l'uno andasse al primo e l'altro al poi; + +e avra` quasi l'ombra de la vera + costellazione e de la doppia danza + che circulava il punto dov'io era: + +poi ch'e` tanto di la` da nostra usanza, + quanto di la` dal mover de la Chiana + si move il ciel che tutti li altri avanza. + +Li` si canto` non Bacco, non Peana, + ma tre persone in divina natura, + e in una persona essa e l'umana. + +Compie' 'l cantare e 'l volger sua misura; + e attesersi a noi quei santi lumi, + felicitando se' di cura in cura. + +Ruppe il silenzio ne' concordi numi + poscia la luce in che mirabil vita + del poverel di Dio narrata fumi, + +e disse: <<Quando l'una paglia e` trita, + quando la sua semenza e` gia` riposta, + a batter l'altra dolce amor m'invita. + +Tu credi che nel petto onde la costa + si trasse per formar la bella guancia + il cui palato a tutto 'l mondo costa, + +e in quel che, forato da la lancia, + e prima e poscia tanto sodisfece, + che d'ogne colpa vince la bilancia, + +quantunque a la natura umana lece + aver di lume, tutto fosse infuso + da quel valor che l'uno e l'altro fece; + +e pero` miri a cio` ch'io dissi suso, + quando narrai che non ebbe 'l secondo + lo ben che ne la quinta luce e` chiuso. + +Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo, + e vedrai il tuo credere e 'l mio dire + nel vero farsi come centro in tondo. + +Cio` che non more e cio` che puo` morire + non e` se non splendor di quella idea + che partorisce, amando, il nostro Sire; + +che' quella viva luce che si` mea + dal suo lucente, che non si disuna + da lui ne' da l'amor ch'a lor s'intrea, + +per sua bontate il suo raggiare aduna, + quasi specchiato, in nove sussistenze, + etternalmente rimanendosi una. + +Quindi discende a l'ultime potenze + giu` d'atto in atto, tanto divenendo, + che piu` non fa che brevi contingenze; + +e queste contingenze essere intendo + le cose generate, che produce + con seme e sanza seme il ciel movendo. + +La cera di costoro e chi la duce + non sta d'un modo; e pero` sotto 'l segno + ideale poi piu` e men traluce. + +Ond'elli avvien ch'un medesimo legno, + secondo specie, meglio e peggio frutta; + e voi nascete con diverso ingegno. + +Se fosse a punto la cera dedutta + e fosse il cielo in sua virtu` supprema, + la luce del suggel parrebbe tutta; + +ma la natura la da` sempre scema, + similemente operando a l'artista + ch'a l'abito de l'arte ha man che trema. + +Pero` se 'l caldo amor la chiara vista + de la prima virtu` dispone e segna, + tutta la perfezion quivi s'acquista. + +Cosi` fu fatta gia` la terra degna + di tutta l'animal perfezione; + cosi` fu fatta la Vergine pregna; + +si` ch'io commendo tua oppinione, + che l'umana natura mai non fue + ne' fia qual fu in quelle due persone. + +Or s'i' non procedesse avanti piue, + 'Dunque, come costui fu sanza pare?' + comincerebber le parole tue. + +Ma perche' paia ben cio` che non pare, + pensa chi era, e la cagion che 'l mosse, + quando fu detto "Chiedi", a dimandare. + +Non ho parlato si`, che tu non posse + ben veder ch'el fu re, che chiese senno + accio` che re sufficiente fosse; + +non per sapere il numero in che enno + li motor di qua su`, o se necesse + con contingente mai necesse fenno; + +non si est dare primum motum esse, + o se del mezzo cerchio far si puote + triangol si` ch'un retto non avesse. + +Onde, se cio` ch'io dissi e questo note, + regal prudenza e` quel vedere impari + in che lo stral di mia intenzion percuote; + +e se al "surse" drizzi li occhi chiari, + vedrai aver solamente respetto + ai regi, che son molti, e ' buon son rari. + +Con questa distinzion prendi 'l mio detto; + e cosi` puote star con quel che credi + del primo padre e del nostro Diletto. + +E questo ti sia sempre piombo a' piedi, + per farti mover lento com'uom lasso + e al si` e al no che tu non vedi: + +che' quelli e` tra li stolti bene a basso, + che sanza distinzione afferma e nega + ne l'un cosi` come ne l'altro passo; + +perch'elli 'ncontra che piu` volte piega + l'oppinion corrente in falsa parte, + e poi l'affetto l'intelletto lega. + +Vie piu` che 'ndarno da riva si parte, + perche' non torna tal qual e' si move, + chi pesca per lo vero e non ha l'arte. + +E di cio` sono al mondo aperte prove + Parmenide, Melisso e Brisso e molti, + li quali andaro e non sapean dove; + +si` fe' Sabellio e Arrio e quelli stolti + che furon come spade a le Scritture + in render torti li diritti volti. + +Non sien le genti, ancor, troppo sicure + a giudicar, si` come quei che stima + le biade in campo pria che sien mature; + +ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima + lo prun mostrarsi rigido e feroce; + poscia portar la rosa in su la cima; + +e legno vidi gia` dritto e veloce + correr lo mar per tutto suo cammino, + perire al fine a l'intrar de la foce. + +Non creda donna Berta e ser Martino, + per vedere un furare, altro offerere, + vederli dentro al consiglio divino; + +che' quel puo` surgere, e quel puo` cadere>>. + + + +Paradiso: Canto XIV + + +Dal centro al cerchio, e si` dal cerchio al centro + movesi l'acqua in un ritondo vaso, + secondo ch'e` percosso fuori o dentro: + +ne la mia mente fe' subito caso + questo ch'io dico, si` come si tacque + la gloriosa vita di Tommaso, + +per la similitudine che nacque + del suo parlare e di quel di Beatrice, + a cui si` cominciar, dopo lui, piacque: + +<<A costui fa mestieri, e nol vi dice + ne' con la voce ne' pensando ancora, + d'un altro vero andare a la radice. + +Diteli se la luce onde s'infiora + vostra sustanza, rimarra` con voi + etternalmente si` com'ell'e` ora; + +e se rimane, dite come, poi + che sarete visibili rifatti, + esser pora` ch'al veder non vi noi>>. + +Come, da piu` letizia pinti e tratti, + a la fiata quei che vanno a rota + levan la voce e rallegrano li atti, + +cosi`, a l'orazion pronta e divota, + li santi cerchi mostrar nova gioia + nel torneare e ne la mira nota. + +Qual si lamenta perche' qui si moia + per viver cola` su`, non vide quive + lo refrigerio de l'etterna ploia. + +Quell'uno e due e tre che sempre vive + e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno, + non circunscritto, e tutto circunscrive, + +tre volte era cantato da ciascuno + di quelli spirti con tal melodia, + ch'ad ogne merto saria giusto muno. + +E io udi' ne la luce piu` dia + del minor cerchio una voce modesta, + forse qual fu da l'angelo a Maria, + +risponder: <<Quanto fia lunga la festa + di paradiso, tanto il nostro amore + si raggera` dintorno cotal vesta. + +La sua chiarezza seguita l'ardore; + l'ardor la visione, e quella e` tanta, + quant'ha di grazia sovra suo valore. + +Come la carne gloriosa e santa + fia rivestita, la nostra persona + piu` grata fia per esser tutta quanta; + +per che s'accrescera` cio` che ne dona + di gratuito lume il sommo bene, + lume ch'a lui veder ne condiziona; + +onde la vision crescer convene, + crescer l'ardor che di quella s'accende, + crescer lo raggio che da esso vene. + +Ma si` come carbon che fiamma rende, + e per vivo candor quella soverchia, + si` che la sua parvenza si difende; + +cosi` questo folgor che gia` ne cerchia + fia vinto in apparenza da la carne + che tutto di` la terra ricoperchia; + +ne' potra` tanta luce affaticarne: + che' li organi del corpo saran forti + a tutto cio` che potra` dilettarne>>. + +Tanto mi parver subiti e accorti + e l'uno e l'altro coro a dicer <<Amme!>>, + che ben mostrar disio d'i corpi morti: + +forse non pur per lor, ma per le mamme, + per li padri e per li altri che fuor cari + anzi che fosser sempiterne fiamme. + +Ed ecco intorno, di chiarezza pari, + nascere un lustro sopra quel che v'era, + per guisa d'orizzonte che rischiari. + +E si` come al salir di prima sera + comincian per lo ciel nove parvenze, + si` che la vista pare e non par vera, + +parvemi li` novelle sussistenze + cominciare a vedere, e fare un giro + di fuor da l'altre due circunferenze. + +Oh vero sfavillar del Santo Spiro! + come si fece subito e candente + a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! + +Ma Beatrice si` bella e ridente + mi si mostro`, che tra quelle vedute + si vuol lasciar che non seguir la mente. + +Quindi ripreser li occhi miei virtute + a rilevarsi; e vidimi translato + sol con mia donna in piu` alta salute. + +Ben m'accors'io ch'io era piu` levato, + per l'affocato riso de la stella, + che mi parea piu` roggio che l'usato. + +Con tutto 'l core e con quella favella + ch'e` una in tutti, a Dio feci olocausto, + qual conveniesi a la grazia novella. + +E non er'anco del mio petto essausto + l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi + esso litare stato accetto e fausto; + +che' con tanto lucore e tanto robbi + m'apparvero splendor dentro a due raggi, + ch'io dissi: <<O Elios che si` li addobbi!>>. + +Come distinta da minori e maggi + lumi biancheggia tra ' poli del mondo + Galassia si`, che fa dubbiar ben saggi; + +si` costellati facean nel profondo + Marte quei raggi il venerabil segno + che fan giunture di quadranti in tondo. + +Qui vince la memoria mia lo 'ngegno; + che' quella croce lampeggiava Cristo, + si` ch'io non so trovare essempro degno; + +ma chi prende sua croce e segue Cristo, + ancor mi scusera` di quel ch'io lasso, + vedendo in quell'albor balenar Cristo. + +Di corno in corno e tra la cima e 'l basso + si movien lumi, scintillando forte + nel congiugnersi insieme e nel trapasso: + +cosi` si veggion qui diritte e torte, + veloci e tarde, rinovando vista, + le minuzie d'i corpi, lunghe e corte, + +moversi per lo raggio onde si lista + talvolta l'ombra che, per sua difesa, + la gente con ingegno e arte acquista. + +E come giga e arpa, in tempra tesa + di molte corde, fa dolce tintinno + a tal da cui la nota non e` intesa, + +cosi` da' lumi che li` m'apparinno + s'accogliea per la croce una melode + che mi rapiva, sanza intender l'inno. + +Ben m'accors'io ch'elli era d'alte lode, + pero` ch'a me venia <<Resurgi>> e <<Vinci>> + come a colui che non intende e ode. + +Io m'innamorava tanto quinci, + che 'nfino a li` non fu alcuna cosa + che mi legasse con si` dolci vinci. + +Forse la mia parola par troppo osa, + posponendo il piacer de li occhi belli, + ne' quai mirando mio disio ha posa; + +ma chi s'avvede che i vivi suggelli + d'ogne bellezza piu` fanno piu` suso, + e ch'io non m'era li` rivolto a quelli, + +escusar puommi di quel ch'io m'accuso + per escusarmi, e vedermi dir vero: + che' 'l piacer santo non e` qui dischiuso, + +perche' si fa, montando, piu` sincero. + + + +Paradiso: Canto XV + + +Benigna volontade in che si liqua + sempre l'amor che drittamente spira, + come cupidita` fa ne la iniqua, + +silenzio puose a quella dolce lira, + e fece quietar le sante corde + che la destra del cielo allenta e tira. + +Come saranno a' giusti preghi sorde + quelle sustanze che, per darmi voglia + ch'io le pregassi, a tacer fur concorde? + +Bene e` che sanza termine si doglia + chi, per amor di cosa che non duri, + etternalmente quello amor si spoglia. + +Quale per li seren tranquilli e puri + discorre ad ora ad or subito foco, + movendo li occhi che stavan sicuri, + +e pare stella che tramuti loco, + se non che da la parte ond'e' s'accende + nulla sen perde, ed esso dura poco: + +tale dal corno che 'n destro si stende + a pie` di quella croce corse un astro + de la costellazion che li` resplende; + +ne' si parti` la gemma dal suo nastro, + ma per la lista radial trascorse, + che parve foco dietro ad alabastro. + +Si` pia l'ombra d'Anchise si porse, + se fede merta nostra maggior musa, + quando in Eliso del figlio s'accorse. + +<<O sanguis meus, o superinfusa + gratia Dei, sicut tibi cui + bis unquam celi ianua reclusa?>>. + +Cosi` quel lume: ond'io m'attesi a lui; + poscia rivolsi a la mia donna il viso, + e quinci e quindi stupefatto fui; + +che' dentro a li occhi suoi ardeva un riso + tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo + de la mia gloria e del mio paradiso. + +Indi, a udire e a veder giocondo, + giunse lo spirto al suo principio cose, + ch'io non lo 'ntesi, si` parlo` profondo; + +ne' per elezion mi si nascose, + ma per necessita`, che' 'l suo concetto + al segno d'i mortal si soprapuose. + +E quando l'arco de l'ardente affetto + fu si` sfogato, che 'l parlar discese + inver' lo segno del nostro intelletto, + +la prima cosa che per me s'intese, + <<Benedetto sia tu>>, fu, <<trino e uno, + che nel mio seme se' tanto cortese!>>. + +E segui`: <<Grato e lontano digiuno, + tratto leggendo del magno volume + du' non si muta mai bianco ne' bruno, + +solvuto hai, figlio, dentro a questo lume + in ch'io ti parlo, merce` di colei + ch'a l'alto volo ti vesti` le piume. + +Tu credi che a me tuo pensier mei + da quel ch'e` primo, cosi` come raia + da l'un, se si conosce, il cinque e 'l sei; + +e pero` ch'io mi sia e perch'io paia + piu` gaudioso a te, non mi domandi, + che alcun altro in questa turba gaia. + +Tu credi 'l vero; che' i minori e ' grandi + di questa vita miran ne lo speglio + in che, prima che pensi, il pensier pandi; + +ma perche' 'l sacro amore in che io veglio + con perpetua vista e che m'asseta + di dolce disiar, s'adempia meglio, + +la voce tua sicura, balda e lieta + suoni la volonta`, suoni 'l disio, + a che la mia risposta e` gia` decreta!>>. + +Io mi volsi a Beatrice, e quella udio + pria ch'io parlassi, e arrisemi un cenno + che fece crescer l'ali al voler mio. + +Poi cominciai cosi`: <<L'affetto e 'l senno, + come la prima equalita` v'apparse, + d'un peso per ciascun di voi si fenno, + +pero` che 'l sol che v'allumo` e arse, + col caldo e con la luce e` si` iguali, + che tutte simiglianze sono scarse. + +Ma voglia e argomento ne' mortali, + per la cagion ch'a voi e` manifesta, + diversamente son pennuti in ali; + +ond'io, che son mortal, mi sento in questa + disagguaglianza, e pero` non ringrazio + se non col core a la paterna festa. + +Ben supplico io a te, vivo topazio + che questa gioia preziosa ingemmi, + perche' mi facci del tuo nome sazio>>. + +<<O fronda mia in che io compiacemmi + pur aspettando, io fui la tua radice>>: + cotal principio, rispondendo, femmi. + +Poscia mi disse: <<Quel da cui si dice + tua cognazione e che cent'anni e piue + girato ha 'l monte in la prima cornice, + +mio figlio fu e tuo bisavol fue: + ben si convien che la lunga fatica + tu li raccorci con l'opere tue. + +Fiorenza dentro da la cerchia antica, + ond'ella toglie ancora e terza e nona, + si stava in pace, sobria e pudica. + +Non avea catenella, non corona, + non gonne contigiate, non cintura + che fosse a veder piu` che la persona. + +Non faceva, nascendo, ancor paura + la figlia al padre, che 'l tempo e la dote + non fuggien quinci e quindi la misura. + +Non avea case di famiglia vote; + non v'era giunto ancor Sardanapalo + a mostrar cio` che 'n camera si puote. + +Non era vinto ancora Montemalo + dal vostro Uccellatoio, che, com'e` vinto + nel montar su`, cosi` sara` nel calo. + +Bellincion Berti vid'io andar cinto + di cuoio e d'osso, e venir da lo specchio + la donna sua sanza 'l viso dipinto; + +e vidi quel d'i Nerli e quel del Vecchio + esser contenti a la pelle scoperta, + e le sue donne al fuso e al pennecchio. + +Oh fortunate! ciascuna era certa + de la sua sepultura, e ancor nulla + era per Francia nel letto diserta. + +L'una vegghiava a studio de la culla, + e, consolando, usava l'idioma + che prima i padri e le madri trastulla; + +l'altra, traendo a la rocca la chioma, + favoleggiava con la sua famiglia + d'i Troiani, di Fiesole e di Roma. + +Saria tenuta allor tal maraviglia + una Cianghella, un Lapo Salterello, + qual or saria Cincinnato e Corniglia. + +A cosi` riposato, a cosi` bello + viver di cittadini, a cosi` fida + cittadinanza, a cosi` dolce ostello, + +Maria mi die`, chiamata in alte grida; + e ne l'antico vostro Batisteo + insieme fui cristiano e Cacciaguida. + +Moronto fu mio frate ed Eliseo; + mia donna venne a me di val di Pado, + e quindi il sopranome tuo si feo. + +Poi seguitai lo 'mperador Currado; + ed el mi cinse de la sua milizia, + tanto per bene ovrar li venni in grado. + +Dietro li andai incontro a la nequizia + di quella legge il cui popolo usurpa, + per colpa d'i pastor, vostra giustizia. + +Quivi fu' io da quella gente turpa + disviluppato dal mondo fallace, + lo cui amor molt'anime deturpa; + +e venni dal martiro a questa pace>>. + + + +Paradiso: Canto XVI + + +O poca nostra nobilta` di sangue, + se gloriar di te la gente fai + qua giu` dove l'affetto nostro langue, + +mirabil cosa non mi sara` mai: + che' la` dove appetito non si torce, + dico nel cielo, io me ne gloriai. + +Ben se' tu manto che tosto raccorce: + si` che, se non s'appon di di` in die, + lo tempo va dintorno con le force. + +Dal 'voi' che prima a Roma s'offerie, + in che la sua famiglia men persevra, + ricominciaron le parole mie; + +onde Beatrice, ch'era un poco scevra, + ridendo, parve quella che tossio + al primo fallo scritto di Ginevra. + +Io cominciai: <<Voi siete il padre mio; + voi mi date a parlar tutta baldezza; + voi mi levate si`, ch'i' son piu` ch'io. + +Per tanti rivi s'empie d'allegrezza + la mente mia, che di se' fa letizia + perche' puo` sostener che non si spezza. + +Ditemi dunque, cara mia primizia, + quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni + che si segnaro in vostra puerizia; + +ditemi de l'ovil di San Giovanni + quanto era allora, e chi eran le genti + tra esso degne di piu` alti scanni>>. + +Come s'avviva a lo spirar d'i venti + carbone in fiamma, cosi` vid'io quella + luce risplendere a' miei blandimenti; + +e come a li occhi miei si fe' piu` bella, + cosi` con voce piu` dolce e soave, + ma non con questa moderna favella, + +dissemi: <<Da quel di` che fu detto 'Ave' + al parto in che mia madre, ch'e` or santa, + s'allevio` di me ond'era grave, + +al suo Leon cinquecento cinquanta + e trenta fiate venne questo foco + a rinfiammarsi sotto la sua pianta. + +Li antichi miei e io nacqui nel loco + dove si truova pria l'ultimo sesto + da quei che corre il vostro annual gioco. + +Basti d'i miei maggiori udirne questo: + chi ei si fosser e onde venner quivi, + piu` e` tacer che ragionare onesto. + +Tutti color ch'a quel tempo eran ivi + da poter arme tra Marte e 'l Batista, + eran il quinto di quei ch'or son vivi. + +Ma la cittadinanza, ch'e` or mista + di Campi, di Certaldo e di Fegghine, + pura vediesi ne l'ultimo artista. + +Oh quanto fora meglio esser vicine + quelle genti ch'io dico, e al Galluzzo + e a Trespiano aver vostro confine, + +che averle dentro e sostener lo puzzo + del villan d'Aguglion, di quel da Signa, + che gia` per barattare ha l'occhio aguzzo! + +Se la gente ch'al mondo piu` traligna + non fosse stata a Cesare noverca, + ma come madre a suo figlio benigna, + +tal fatto e` fiorentino e cambia e merca, + che si sarebbe volto a Simifonti, + la` dove andava l'avolo a la cerca; + +sariesi Montemurlo ancor de' Conti; + sarieno i Cerchi nel piovier d'Acone, + e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. + +Sempre la confusion de le persone + principio fu del mal de la cittade, + come del vostro il cibo che s'appone; + +e cieco toro piu` avaccio cade + che cieco agnello; e molte volte taglia + piu` e meglio una che le cinque spade. + +Se tu riguardi Luni e Orbisaglia + come sono ite, e come se ne vanno + di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, + +udir come le schiatte si disfanno + non ti parra` nova cosa ne' forte, + poscia che le cittadi termine hanno. + +Le vostre cose tutte hanno lor morte, + si` come voi; ma celasi in alcuna + che dura molto, e le vite son corte. + +E come 'l volger del ciel de la luna + cuopre e discuopre i liti sanza posa, + cosi` fa di Fiorenza la Fortuna: + +per che non dee parer mirabil cosa + cio` ch'io diro` de li alti Fiorentini + onde e` la fama nel tempo nascosa. + +Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, + Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, + gia` nel calare, illustri cittadini; + +e vidi cosi` grandi come antichi, + con quel de la Sannella, quel de l'Arca, + e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. + +Sovra la porta ch'al presente e` carca + di nova fellonia di tanto peso + che tosto fia iattura de la barca, + +erano i Ravignani, ond'e` disceso + il conte Guido e qualunque del nome + de l'alto Bellincione ha poscia preso. + +Quel de la Pressa sapeva gia` come + regger si vuole, e avea Galigaio + dorata in casa sua gia` l'elsa e 'l pome. + +Grand'era gia` la colonna del Vaio, + Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci + e Galli e quei ch'arrossan per lo staio. + +Lo ceppo di che nacquero i Calfucci + era gia` grande, e gia` eran tratti + a le curule Sizii e Arrigucci. + +Oh quali io vidi quei che son disfatti + per lor superbia! e le palle de l'oro + fiorian Fiorenza in tutt'i suoi gran fatti. + +Cosi` facieno i padri di coloro + che, sempre che la vostra chiesa vaca, + si fanno grassi stando a consistoro. + +L'oltracotata schiatta che s'indraca + dietro a chi fugge, e a chi mostra 'l dente + o ver la borsa, com'agnel si placa, + +gia` venia su`, ma di picciola gente; + si` che non piacque ad Ubertin Donato + che poi il suocero il fe' lor parente. + +Gia` era 'l Caponsacco nel mercato + disceso giu` da Fiesole, e gia` era + buon cittadino Giuda e Infangato. + +Io diro` cosa incredibile e vera: + nel picciol cerchio s'entrava per porta + che si nomava da quei de la Pera. + +Ciascun che de la bella insegna porta + del gran barone il cui nome e 'l cui pregio + la festa di Tommaso riconforta, + +da esso ebbe milizia e privilegio; + avvegna che con popol si rauni + oggi colui che la fascia col fregio. + +Gia` eran Gualterotti e Importuni; + e ancor saria Borgo piu` quieto, + se di novi vicin fosser digiuni. + +La casa di che nacque il vostro fleto, + per lo giusto disdegno che v'ha morti, + e puose fine al vostro viver lieto, + +era onorata, essa e suoi consorti: + o Buondelmonte, quanto mal fuggisti + le nozze sue per li altrui conforti! + +Molti sarebber lieti, che son tristi, + se Dio t'avesse conceduto ad Ema + la prima volta ch'a citta` venisti. + +Ma conveniesi a quella pietra scema + che guarda 'l ponte, che Fiorenza fesse + vittima ne la sua pace postrema. + +Con queste genti, e con altre con esse, + vid'io Fiorenza in si` fatto riposo, + che non avea cagione onde piangesse: + +con queste genti vid'io glorioso + e giusto il popol suo, tanto che 'l giglio + non era ad asta mai posto a ritroso, + +ne' per division fatto vermiglio>>. + + + +Paradiso: Canto XVII + + +Qual venne a Climene', per accertarsi + di cio` ch'avea incontro a se' udito, + quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi; + +tal era io, e tal era sentito + e da Beatrice e da la santa lampa + che pria per me avea mutato sito. + +Per che mia donna <<Manda fuor la vampa + del tuo disio>>, mi disse, <<si` ch'ella esca + segnata bene de la interna stampa; + +non perche' nostra conoscenza cresca + per tuo parlare, ma perche' t'ausi + a dir la sete, si` che l'uom ti mesca>>. + +<<O cara piota mia che si` t'insusi, + che, come veggion le terrene menti + non capere in triangol due ottusi, + +cosi` vedi le cose contingenti + anzi che sieno in se', mirando il punto + a cui tutti li tempi son presenti; + +mentre ch'io era a Virgilio congiunto + su per lo monte che l'anime cura + e discendendo nel mondo defunto, + +dette mi fuor di mia vita futura + parole gravi, avvegna ch'io mi senta + ben tetragono ai colpi di ventura; + +per che la voglia mia saria contenta + d'intender qual fortuna mi s'appressa; + che' saetta previsa vien piu` lenta>>. + +Cosi` diss'io a quella luce stessa + che pria m'avea parlato; e come volle + Beatrice, fu la mia voglia confessa. + +Ne' per ambage, in che la gente folle + gia` s'inviscava pria che fosse anciso + l'Agnel di Dio che le peccata tolle, + +ma per chiare parole e con preciso + latin rispuose quello amor paterno, + chiuso e parvente del suo proprio riso: + +<<La contingenza, che fuor del quaderno + de la vostra matera non si stende, + tutta e` dipinta nel cospetto etterno: + +necessita` pero` quindi non prende + se non come dal viso in che si specchia + nave che per torrente giu` discende. + +Da indi, si` come viene ad orecchia + dolce armonia da organo, mi viene + a vista il tempo che ti s'apparecchia. + +Qual si partio Ipolito d'Atene + per la spietata e perfida noverca, + tal di Fiorenza partir ti convene. + +Questo si vuole e questo gia` si cerca, + e tosto verra` fatto a chi cio` pensa + la` dove Cristo tutto di` si merca. + +La colpa seguira` la parte offensa + in grido, come suol; ma la vendetta + fia testimonio al ver che la dispensa. + +Tu lascerai ogne cosa diletta + piu` caramente; e questo e` quello strale + che l'arco de lo essilio pria saetta. + +Tu proverai si` come sa di sale + lo pane altrui, e come e` duro calle + lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. + +E quel che piu` ti gravera` le spalle, + sara` la compagnia malvagia e scempia + con la qual tu cadrai in questa valle; + +che tutta ingrata, tutta matta ed empia + si fara` contr'a te; ma, poco appresso, + ella, non tu, n'avra` rossa la tempia. + +Di sua bestialitate il suo processo + fara` la prova; si` ch'a te fia bello + averti fatta parte per te stesso. + +Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello + sara` la cortesia del gran Lombardo + che 'n su la scala porta il santo uccello; + +ch'in te avra` si` benigno riguardo, + che del fare e del chieder, tra voi due, + fia primo quel che tra li altri e` piu` tardo. + +Con lui vedrai colui che 'mpresso fue, + nascendo, si` da questa stella forte, + che notabili fier l'opere sue. + +Non se ne son le genti ancora accorte + per la novella eta`, che' pur nove anni + son queste rote intorno di lui torte; + +ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni, + parran faville de la sua virtute + in non curar d'argento ne' d'affanni. + +Le sue magnificenze conosciute + saranno ancora, si` che ' suoi nemici + non ne potran tener le lingue mute. + +A lui t'aspetta e a' suoi benefici; + per lui fia trasmutata molta gente, + cambiando condizion ricchi e mendici; + +e portera'ne scritto ne la mente + di lui, e nol dirai>>; e disse cose + incredibili a quei che fier presente. + +Poi giunse: <<Figlio, queste son le chiose + di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie + che dietro a pochi giri son nascose. + +Non vo' pero` ch'a' tuoi vicini invidie, + poscia che s'infutura la tua vita + vie piu` la` che 'l punir di lor perfidie>>. + +Poi che, tacendo, si mostro` spedita + l'anima santa di metter la trama + in quella tela ch'io le porsi ordita, + +io cominciai, come colui che brama, + dubitando, consiglio da persona + che vede e vuol dirittamente e ama: + +<<Ben veggio, padre mio, si` come sprona + lo tempo verso me, per colpo darmi + tal, ch'e` piu` grave a chi piu` s'abbandona; + +per che di provedenza e` buon ch'io m'armi, + si` che, se loco m'e` tolto piu` caro, + io non perdessi li altri per miei carmi. + +Giu` per lo mondo sanza fine amaro, + e per lo monte del cui bel cacume + li occhi de la mia donna mi levaro, + +e poscia per lo ciel, di lume in lume, + ho io appreso quel che s'io ridico, + a molti fia sapor di forte agrume; + +e s'io al vero son timido amico, + temo di perder viver tra coloro + che questo tempo chiameranno antico>>. + +La luce in che rideva il mio tesoro + ch'io trovai li`, si fe' prima corusca, + quale a raggio di sole specchio d'oro; + +indi rispuose: <<Coscienza fusca + o de la propria o de l'altrui vergogna + pur sentira` la tua parola brusca. + +Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, + tutta tua vision fa manifesta; + e lascia pur grattar dov'e` la rogna. + +Che' se la voce tua sara` molesta + nel primo gusto, vital nodrimento + lascera` poi, quando sara` digesta. + +Questo tuo grido fara` come vento, + che le piu` alte cime piu` percuote; + e cio` non fa d'onor poco argomento. + +Pero` ti son mostrate in queste rote, + nel monte e ne la valle dolorosa + pur l'anime che son di fama note, + +che l'animo di quel ch'ode, non posa + ne' ferma fede per essempro ch'aia + la sua radice incognita e ascosa, + +ne' per altro argomento che non paia>>. + + + +Paradiso: Canto XVIII + + +Gia` si godeva solo del suo verbo + quello specchio beato, e io gustava + lo mio, temprando col dolce l'acerbo; + +e quella donna ch'a Dio mi menava + disse: <<Muta pensier; pensa ch'i' sono + presso a colui ch'ogne torto disgrava>>. + +Io mi rivolsi a l'amoroso suono + del mio conforto; e qual io allor vidi + ne li occhi santi amor, qui l'abbandono: + +non perch'io pur del mio parlar diffidi, + ma per la mente che non puo` redire + sovra se' tanto, s'altri non la guidi. + +Tanto poss'io di quel punto ridire, + che, rimirando lei, lo mio affetto + libero fu da ogne altro disire, + +fin che 'l piacere etterno, che diretto + raggiava in Beatrice, dal bel viso + mi contentava col secondo aspetto. + +Vincendo me col lume d'un sorriso, + ella mi disse: <<Volgiti e ascolta; + che' non pur ne' miei occhi e` paradiso>>. + +Come si vede qui alcuna volta + l'affetto ne la vista, s'elli e` tanto, + che da lui sia tutta l'anima tolta, + +cosi` nel fiammeggiar del folgor santo, + a ch'io mi volsi, conobbi la voglia + in lui di ragionarmi ancora alquanto. + +El comincio`: <<In questa quinta soglia + de l'albero che vive de la cima + e frutta sempre e mai non perde foglia, + +spiriti son beati, che giu`, prima + che venissero al ciel, fuor di gran voce, + si` ch'ogne musa ne sarebbe opima. + +Pero` mira ne' corni de la croce: + quello ch'io nomero`, li` fara` l'atto + che fa in nube il suo foco veloce>>. + +Io vidi per la croce un lume tratto + dal nomar Iosue`, com'el si feo; + ne' mi fu noto il dir prima che 'l fatto. + +E al nome de l'alto Macabeo + vidi moversi un altro roteando, + e letizia era ferza del paleo. + +Cosi` per Carlo Magno e per Orlando + due ne segui` lo mio attento sguardo, + com'occhio segue suo falcon volando. + +Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo + e 'l duca Gottifredi la mia vista + per quella croce, e Ruberto Guiscardo. + +Indi, tra l'altre luci mota e mista, + mostrommi l'alma che m'avea parlato + qual era tra i cantor del cielo artista. + +Io mi rivolsi dal mio destro lato + per vedere in Beatrice il mio dovere, + o per parlare o per atto, segnato; + +e vidi le sue luci tanto mere, + tanto gioconde, che la sua sembianza + vinceva li altri e l'ultimo solere. + +E come, per sentir piu` dilettanza + bene operando, l'uom di giorno in giorno + s'accorge che la sua virtute avanza, + +si` m'accors'io che 'l mio girare intorno + col cielo insieme avea cresciuto l'arco, + veggendo quel miracol piu` addorno. + +E qual e` 'l trasmutare in picciol varco + di tempo in bianca donna, quando 'l volto + suo si discarchi di vergogna il carco, + +tal fu ne li occhi miei, quando fui volto, + per lo candor de la temprata stella + sesta, che dentro a se' m'avea ricolto. + +Io vidi in quella giovial facella + lo sfavillar de l'amor che li` era, + segnare a li occhi miei nostra favella. + +E come augelli surti di rivera, + quasi congratulando a lor pasture, + fanno di se' or tonda or altra schiera, + +si` dentro ai lumi sante creature + volitando cantavano, e faciensi + or D, or I, or L in sue figure. + +Prima, cantando, a sua nota moviensi; + poi, diventando l'un di questi segni, + un poco s'arrestavano e taciensi. + +O diva Pegasea che li 'ngegni + fai gloriosi e rendili longevi, + ed essi teco le cittadi e ' regni, + +illustrami di te, si` ch'io rilevi + le lor figure com'io l'ho concette: + paia tua possa in questi versi brevi! + +Mostrarsi dunque in cinque volte sette + vocali e consonanti; e io notai + le parti si`, come mi parver dette. + +'DILIGITE IUSTITIAM', primai + fur verbo e nome di tutto 'l dipinto; + 'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai. + +Poscia ne l'emme del vocabol quinto + rimasero ordinate; si` che Giove + pareva argento li` d'oro distinto. + +E vidi scendere altre luci dove + era il colmo de l'emme, e li` quetarsi + cantando, credo, il ben ch'a se' le move. + +Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi + surgono innumerabili faville, + onde li stolti sogliono agurarsi, + +resurger parver quindi piu` di mille + luci e salir, qual assai e qual poco, + si` come 'l sol che l'accende sortille; + +e quietata ciascuna in suo loco, + la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi + rappresentare a quel distinto foco. + +Quei che dipinge li`, non ha chi 'l guidi; + ma esso guida, e da lui si rammenta + quella virtu` ch'e` forma per li nidi. + +L'altra beatitudo, che contenta + pareva prima d'ingigliarsi a l'emme, + con poco moto seguito` la 'mprenta. + +O dolce stella, quali e quante gemme + mi dimostraro che nostra giustizia + effetto sia del ciel che tu ingemme! + +Per ch'io prego la mente in che s'inizia + tuo moto e tua virtute, che rimiri + ond'esce il fummo che 'l tuo raggio vizia; + +si` ch'un'altra fiata omai s'adiri + del comperare e vender dentro al templo + che si muro` di segni e di martiri. + +O milizia del ciel cu' io contemplo, + adora per color che sono in terra + tutti sviati dietro al malo essemplo! + +Gia` si solea con le spade far guerra; + ma or si fa togliendo or qui or quivi + lo pan che 'l pio Padre a nessun serra. + +Ma tu che sol per cancellare scrivi, + pensa che Pietro e Paulo, che moriro + per la vigna che guasti, ancor son vivi. + +Ben puoi tu dire: <<I' ho fermo 'l disiro + si` a colui che volle viver solo + e che per salti fu tratto al martiro, + +ch'io non conosco il pescator ne' Polo>>. + + + +Paradiso: Canto XIX + + +Parea dinanzi a me con l'ali aperte + la bella image che nel dolce frui + liete facevan l'anime conserte; + +parea ciascuna rubinetto in cui + raggio di sole ardesse si` acceso, + che ne' miei occhi rifrangesse lui. + +E quel che mi convien ritrar testeso, + non porto` voce mai, ne' scrisse incostro, + ne' fu per fantasia gia` mai compreso; + +ch'io vidi e anche udi' parlar lo rostro, + e sonar ne la voce e <<io>> e <<mio>>, + quand'era nel concetto e 'noi' e 'nostro'. + +E comincio`: <<Per esser giusto e pio + son io qui essaltato a quella gloria + che non si lascia vincere a disio; + +e in terra lasciai la mia memoria + si` fatta, che le genti li` malvage + commendan lei, ma non seguon la storia>>. + +Cosi` un sol calor di molte brage + si fa sentir, come di molti amori + usciva solo un suon di quella image. + +Ond'io appresso: <<O perpetui fiori + de l'etterna letizia, che pur uno + parer mi fate tutti vostri odori, + +solvetemi, spirando, il gran digiuno + che lungamente m'ha tenuto in fame, + non trovandoli in terra cibo alcuno. + +Ben so io che, se 'n cielo altro reame + la divina giustizia fa suo specchio, + che 'l vostro non l'apprende con velame. + +Sapete come attento io m'apparecchio + ad ascoltar; sapete qual e` quello + dubbio che m'e` digiun cotanto vecchio>>. + +Quasi falcone ch'esce del cappello, + move la testa e con l'ali si plaude, + voglia mostrando e faccendosi bello, + +vid'io farsi quel segno, che di laude + de la divina grazia era contesto, + con canti quai si sa chi la` su` gaude. + +Poi comincio`: <<Colui che volse il sesto + a lo stremo del mondo, e dentro ad esso + distinse tanto occulto e manifesto, + +non pote' suo valor si` fare impresso + in tutto l'universo, che 'l suo verbo + non rimanesse in infinito eccesso. + +E cio` fa certo che 'l primo superbo, + che fu la somma d'ogne creatura, + per non aspettar lume, cadde acerbo; + +e quinci appar ch'ogne minor natura + e` corto recettacolo a quel bene + che non ha fine e se' con se' misura. + +Dunque vostra veduta, che convene + esser alcun de' raggi de la mente + di che tutte le cose son ripiene, + +non po` da sua natura esser possente + tanto, che suo principio discerna + molto di la` da quel che l'e` parvente. + +Pero` ne la giustizia sempiterna + la vista che riceve il vostro mondo, + com'occhio per lo mare, entro s'interna; + +che, ben che da la proda veggia il fondo, + in pelago nol vede; e nondimeno + eli, ma cela lui l'esser profondo. + +Lume non e`, se non vien dal sereno + che non si turba mai; anzi e` tenebra + od ombra de la carne o suo veleno. + +Assai t'e` mo aperta la latebra + che t'ascondeva la giustizia viva, + di che facei question cotanto crebra; + +che' tu dicevi: "Un uom nasce a la riva + de l'Indo, e quivi non e` chi ragioni + di Cristo ne' chi legga ne' chi scriva; + +e tutti suoi voleri e atti buoni + sono, quanto ragione umana vede, + sanza peccato in vita o in sermoni. + +Muore non battezzato e sanza fede: + ov'e` questa giustizia che 'l condanna? + ov'e` la colpa sua, se ei non crede?" + +Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna, + per giudicar di lungi mille miglia + con la veduta corta d'una spanna? + +Certo a colui che meco s'assottiglia, + se la Scrittura sovra voi non fosse, + da dubitar sarebbe a maraviglia. + +Oh terreni animali! oh menti grosse! + La prima volonta`, ch'e` da se' buona, + da se', ch'e` sommo ben, mai non si mosse. + +Cotanto e` giusto quanto a lei consuona: + nullo creato bene a se' la tira, + ma essa, radiando, lui cagiona>>. + +Quale sovresso il nido si rigira + poi c'ha pasciuti la cicogna i figli, + e come quel ch'e` pasto la rimira; + +cotal si fece, e si` levai i cigli, + la benedetta imagine, che l'ali + movea sospinte da tanti consigli. + +Roteando cantava, e dicea: <<Quali + son le mie note a te, che non le 'ntendi, + tal e` il giudicio etterno a voi mortali>>. + +Poi si quetaro quei lucenti incendi + de lo Spirito Santo ancor nel segno + che fe' i Romani al mondo reverendi, + +esso ricomincio`: <<A questo regno + non sali` mai chi non credette 'n Cristo, + ne' pria ne' poi ch'el si chiavasse al legno. + +Ma vedi: molti gridan "Cristo, Cristo!", + che saranno in giudicio assai men prope + a lui, che tal che non conosce Cristo; + +e tai Cristian dannera` l'Etiope, + quando si partiranno i due collegi, + l'uno in etterno ricco e l'altro inope. + +Che poran dir li Perse a' vostri regi, + come vedranno quel volume aperto + nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? + +Li` si vedra`, tra l'opere d'Alberto, + quella che tosto movera` la penna, + per che 'l regno di Praga fia diserto. + +Li` si vedra` il duol che sovra Senna + induce, falseggiando la moneta, + quel che morra` di colpo di cotenna. + +Li` si vedra` la superbia ch'asseta, + che fa lo Scotto e l'Inghilese folle, + si` che non puo` soffrir dentro a sua meta. + +Vedrassi la lussuria e 'l viver molle + di quel di Spagna e di quel di Boemme, + che mai valor non conobbe ne' volle. + +Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme + segnata con un i la sua bontate, + quando 'l contrario segnera` un emme. + +Vedrassi l'avarizia e la viltate + di quei che guarda l'isola del foco, + ove Anchise fini` la lunga etate; + +e a dare ad intender quanto e` poco, + la sua scrittura fian lettere mozze, + che noteranno molto in parvo loco. + +E parranno a ciascun l'opere sozze + del barba e del fratel, che tanto egregia + nazione e due corone han fatte bozze. + +E quel di Portogallo e di Norvegia + li` si conosceranno, e quel di Rascia + che male ha visto il conio di Vinegia. + +Oh beata Ungheria, se non si lascia + piu` malmenare! e beata Navarra, + se s'armasse del monte che la fascia! + +E creder de' ciascun che gia`, per arra + di questo, Niccosia e Famagosta + per la lor bestia si lamenti e garra, + +che dal fianco de l'altre non si scosta>>. + + + +Paradiso: Canto XX + + +Quando colui che tutto 'l mondo alluma + de l'emisperio nostro si` discende, + che 'l giorno d'ogne parte si consuma, + +lo ciel, che sol di lui prima s'accende, + subitamente si rifa` parvente + per molte luci, in che una risplende; + +e questo atto del ciel mi venne a mente, + come 'l segno del mondo e de' suoi duci + nel benedetto rostro fu tacente; + +pero` che tutte quelle vive luci, + vie piu` lucendo, cominciaron canti + da mia memoria labili e caduci. + +O dolce amor che di riso t'ammanti, + quanto parevi ardente in que' flailli, + ch'avieno spirto sol di pensier santi! + +Poscia che i cari e lucidi lapilli + ond'io vidi ingemmato il sesto lume + puoser silenzio a li angelici squilli, + +udir mi parve un mormorar di fiume + che scende chiaro giu` di pietra in pietra, + mostrando l'uberta` del suo cacume. + +E come suono al collo de la cetra + prende sua forma, e si` com'al pertugio + de la sampogna vento che penetra, + +cosi`, rimosso d'aspettare indugio, + quel mormorar de l'aguglia salissi + su per lo collo, come fosse bugio. + +Fecesi voce quivi, e quindi uscissi + per lo suo becco in forma di parole, + quali aspettava il core ov'io le scrissi. + +<<La parte in me che vede e pate il sole + ne l'aguglie mortali>>, incominciommi, + <<or fisamente riguardar si vole, + +perche' d'i fuochi ond'io figura fommi, + quelli onde l'occhio in testa mi scintilla, + e' di tutti lor gradi son li sommi. + +Colui che luce in mezzo per pupilla, + fu il cantor de lo Spirito Santo, + che l'arca traslato` di villa in villa: + +ora conosce il merto del suo canto, + in quanto effetto fu del suo consiglio, + per lo remunerar ch'e` altrettanto. + +Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, + colui che piu` al becco mi s'accosta, + la vedovella consolo` del figlio: + +ora conosce quanto caro costa + non seguir Cristo, per l'esperienza + di questa dolce vita e de l'opposta. + +E quel che segue in la circunferenza + di che ragiono, per l'arco superno, + morte indugio` per vera penitenza: + +ora conosce che 'l giudicio etterno + non si trasmuta, quando degno preco + fa crastino la` giu` de l'odierno. + +L'altro che segue, con le leggi e meco, + sotto buona intenzion che fe' mal frutto, + per cedere al pastor si fece greco: + +ora conosce come il mal dedutto + dal suo bene operar non li e` nocivo, + avvegna che sia 'l mondo indi distrutto. + +E quel che vedi ne l'arco declivo, + Guiglielmo fu, cui quella terra plora + che piagne Carlo e Federigo vivo: + +ora conosce come s'innamora + lo ciel del giusto rege, e al sembiante + del suo fulgore il fa vedere ancora. + +Chi crederebbe giu` nel mondo errante, + che Rifeo Troiano in questo tondo + fosse la quinta de le luci sante? + +Ora conosce assai di quel che 'l mondo + veder non puo` de la divina grazia, + ben che sua vista non discerna il fondo>>. + +Quale allodetta che 'n aere si spazia + prima cantando, e poi tace contenta + de l'ultima dolcezza che la sazia, + +tal mi sembio` l'imago de la 'mprenta + de l'etterno piacere, al cui disio + ciascuna cosa qual ell'e` diventa. + +E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio + li` quasi vetro a lo color ch'el veste, + tempo aspettar tacendo non patio, + +ma de la bocca, <<Che cose son queste?>>, + mi pinse con la forza del suo peso: + per ch'io di coruscar vidi gran feste. + +Poi appresso, con l'occhio piu` acceso, + lo benedetto segno mi rispuose + per non tenermi in ammirar sospeso: + +<<Io veggio che tu credi queste cose + perch'io le dico, ma non vedi come; + si` che, se son credute, sono ascose. + +Fai come quei che la cosa per nome + apprende ben, ma la sua quiditate + veder non puo` se altri non la prome. + +Regnum celorum violenza pate + da caldo amore e da viva speranza, + che vince la divina volontate: + +non a guisa che l'omo a l'om sobranza, + ma vince lei perche' vuole esser vinta, + e, vinta, vince con sua beninanza. + +La prima vita del ciglio e la quinta + ti fa maravigliar, perche' ne vedi + la region de li angeli dipinta. + +D'i corpi suoi non uscir, come credi, + Gentili, ma Cristiani, in ferma fede + quel d'i passuri e quel d'i passi piedi. + +Che' l'una de lo 'nferno, u' non si riede + gia` mai a buon voler, torno` a l'ossa; + e cio` di viva spene fu mercede: + +di viva spene, che mise la possa + ne' prieghi fatti a Dio per suscitarla, + si` che potesse sua voglia esser mossa. + +L'anima gloriosa onde si parla, + tornata ne la carne, in che fu poco, + credette in lui che potea aiutarla; + +e credendo s'accese in tanto foco + di vero amor, ch'a la morte seconda + fu degna di venire a questo gioco. + +L'altra, per grazia che da si` profonda + fontana stilla, che mai creatura + non pinse l'occhio infino a la prima onda, + +tutto suo amor la` giu` pose a drittura: + per che, di grazia in grazia, Dio li aperse + l'occhio a la nostra redenzion futura; + +ond'ei credette in quella, e non sofferse + da indi il puzzo piu` del paganesmo; + e riprendiene le genti perverse. + +Quelle tre donne li fur per battesmo + che tu vedesti da la destra rota, + dinanzi al battezzar piu` d'un millesmo. + +O predestinazion, quanto remota + e` la radice tua da quelli aspetti + che la prima cagion non veggion tota! + +E voi, mortali, tenetevi stretti + a giudicar; che' noi, che Dio vedemo, + non conosciamo ancor tutti li eletti; + +ed enne dolce cosi` fatto scemo, + perche' il ben nostro in questo ben s'affina, + che quel che vole Iddio, e noi volemo>>. + +Cosi` da quella imagine divina, + per farmi chiara la mia corta vista, + data mi fu soave medicina. + +E come a buon cantor buon citarista + fa seguitar lo guizzo de la corda, + in che piu` di piacer lo canto acquista, + +si`, mentre ch'e' parlo`, si` mi ricorda + ch'io vidi le due luci benedette, + pur come batter d'occhi si concorda, + +con le parole mover le fiammette. + + + +Paradiso: Canto XXI + + +Gia` eran li occhi miei rifissi al volto + de la mia donna, e l'animo con essi, + e da ogne altro intento s'era tolto. + +E quella non ridea; ma <<S'io ridessi>>, + mi comincio`, <<tu ti faresti quale + fu Semele` quando di cener fessi; + +che' la bellezza mia, che per le scale + de l'etterno palazzo piu` s'accende, + com'hai veduto, quanto piu` si sale, + +se non si temperasse, tanto splende, + che 'l tuo mortal podere, al suo fulgore, + sarebbe fronda che trono scoscende. + +Noi sem levati al settimo splendore, + che sotto 'l petto del Leone ardente + raggia mo misto giu` del suo valore. + +Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, + e fa di quelli specchi a la figura + che 'n questo specchio ti sara` parvente>>. + +Qual savesse qual era la pastura + del viso mio ne l'aspetto beato + quand'io mi trasmutai ad altra cura, + +conoscerebbe quanto m'era a grato + ubidire a la mia celeste scorta, + contrapesando l'un con l'altro lato. + +Dentro al cristallo che 'l vocabol porta, + cerchiando il mondo, del suo caro duce + sotto cui giacque ogne malizia morta, + +di color d'oro in che raggio traluce + vid'io uno scaleo eretto in suso + tanto, che nol seguiva la mia luce. + +Vidi anche per li gradi scender giuso + tanti splendor, ch'io pensai ch'ogne lume + che par nel ciel, quindi fosse diffuso. + +E come, per lo natural costume, + le pole insieme, al cominciar del giorno, + si movono a scaldar le fredde piume; + +poi altre vanno via sanza ritorno, + altre rivolgon se' onde son mosse, + e altre roteando fan soggiorno; + +tal modo parve me che quivi fosse + in quello sfavillar che 'nsieme venne, + si` come in certo grado si percosse. + +E quel che presso piu` ci si ritenne, + si fe' si` chiaro, ch'io dicea pensando: + 'Io veggio ben l'amor che tu m'accenne. + +Ma quella ond'io aspetto il come e 'l quando + del dire e del tacer, si sta; ond'io, + contra 'l disio, fo ben ch'io non dimando'. + +Per ch'ella, che vedea il tacer mio + nel veder di colui che tutto vede, + mi disse: <<Solvi il tuo caldo disio>>. + +E io incominciai: <<La mia mercede + non mi fa degno de la tua risposta; + ma per colei che 'l chieder mi concede, + +vita beata che ti stai nascosta + dentro a la tua letizia, fammi nota + la cagion che si` presso mi t'ha posta; + +e di' perche' si tace in questa rota + la dolce sinfonia di paradiso, + che giu` per l'altre suona si` divota>>. + +<<Tu hai l'udir mortal si` come il viso>>, + rispuose a me; <<onde qui non si canta + per quel che Beatrice non ha riso. + +Giu` per li gradi de la scala santa + discesi tanto sol per farti festa + col dire e con la luce che mi ammanta; + +ne' piu` amor mi fece esser piu` presta; + che' piu` e tanto amor quinci su` ferve, + si` come il fiammeggiar ti manifesta. + +Ma l'alta carita`, che ci fa serve + pronte al consiglio che 'l mondo governa, + sorteggia qui si` come tu osserve>>. + +<<Io veggio ben>>, diss'io, <<sacra lucerna, + come libero amore in questa corte + basta a seguir la provedenza etterna; + +ma questo e` quel ch'a cerner mi par forte, + perche' predestinata fosti sola + a questo officio tra le tue consorte>>. + +Ne' venni prima a l'ultima parola, + che del suo mezzo fece il lume centro, + girando se' come veloce mola; + +poi rispuose l'amor che v'era dentro: + <<Luce divina sopra me s'appunta, + penetrando per questa in ch'io m'inventro, + +la cui virtu`, col mio veder congiunta, + mi leva sopra me tanto, ch'i' veggio + la somma essenza de la quale e` munta. + +Quinci vien l'allegrezza ond'io fiammeggio; + per ch'a la vista mia, quant'ella e` chiara, + la chiarita` de la fiamma pareggio. + +Ma quell'alma nel ciel che piu` si schiara, + quel serafin che 'n Dio piu` l'occhio ha fisso, + a la dimanda tua non satisfara, + +pero` che si` s'innoltra ne lo abisso + de l'etterno statuto quel che chiedi, + che da ogne creata vista e` scisso. + +E al mondo mortal, quando tu riedi, + questo rapporta, si` che non presumma + a tanto segno piu` mover li piedi. + +La mente, che qui luce, in terra fumma; + onde riguarda come puo` la` giue + quel che non pote perche' 'l ciel l'assumma>>. + +Si` mi prescrisser le parole sue, + ch'io lasciai la quistione e mi ritrassi + a dimandarla umilmente chi fue. + +<<Tra ' due liti d'Italia surgon sassi, + e non molto distanti a la tua patria, + tanto che ' troni assai suonan piu` bassi, + +e fanno un gibbo che si chiama Catria, + di sotto al quale e` consecrato un ermo, + che suole esser disposto a sola latria>>. + +Cosi` ricominciommi il terzo sermo; + e poi, continuando, disse: <<Quivi + al servigio di Dio mi fe' si` fermo, + +che pur con cibi di liquor d'ulivi + lievemente passava caldi e geli, + contento ne' pensier contemplativi. + +Render solea quel chiostro a questi cieli + fertilemente; e ora e` fatto vano, + si` che tosto convien che si riveli. + +In quel loco fu' io Pietro Damiano, + e Pietro Peccator fu' ne la casa + di Nostra Donna in sul lito adriano. + +Poca vita mortal m'era rimasa, + quando fui chiesto e tratto a quel cappello, + che pur di male in peggio si travasa. + +Venne Cefas e venne il gran vasello + de lo Spirito Santo, magri e scalzi, + prendendo il cibo da qualunque ostello. + +Or voglion quinci e quindi chi rincalzi + li moderni pastori e chi li meni, + tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. + +Cuopron d'i manti loro i palafreni, + si` che due bestie van sott'una pelle: + oh pazienza che tanto sostieni!>>. + +A questa voce vid'io piu` fiammelle + di grado in grado scendere e girarsi, + e ogne giro le facea piu` belle. + +Dintorno a questa vennero e fermarsi, + e fero un grido di si` alto suono, + che non potrebbe qui assomigliarsi; + +ne' io lo 'ntesi, si` mi vinse il tuono. + + + +Paradiso: Canto XXII + + +Oppresso di stupore, a la mia guida + mi volsi, come parvol che ricorre + sempre cola` dove piu` si confida; + +e quella, come madre che soccorre + subito al figlio palido e anelo + con la sua voce, che 'l suol ben disporre, + +mi disse: <<Non sai tu che tu se' in cielo? + e non sai tu che 'l cielo e` tutto santo, + e cio` che ci si fa vien da buon zelo? + +Come t'avrebbe trasmutato il canto, + e io ridendo, mo pensar lo puoi, + poscia che 'l grido t'ha mosso cotanto; + +nel qual, se 'nteso avessi i prieghi suoi, + gia` ti sarebbe nota la vendetta + che tu vedrai innanzi che tu muoi. + +La spada di qua su` non taglia in fretta + ne' tardo, ma' ch'al parer di colui + che disiando o temendo l'aspetta. + +Ma rivolgiti omai inverso altrui; + ch'assai illustri spiriti vedrai, + se com'io dico l'aspetto redui>>. + +Come a lei piacque, li occhi ritornai, + e vidi cento sperule che 'nsieme + piu` s'abbellivan con mutui rai. + +Io stava come quei che 'n se' repreme + la punta del disio, e non s'attenta + di domandar, si` del troppo si teme; + +e la maggiore e la piu` luculenta + di quelle margherite innanzi fessi, + per far di se' la mia voglia contenta. + +Poi dentro a lei udi': <<Se tu vedessi + com'io la carita` che tra noi arde, + li tuoi concetti sarebbero espressi. + +Ma perche' tu, aspettando, non tarde + a l'alto fine, io ti faro` risposta + pur al pensier, da che si` ti riguarde. + +Quel monte a cui Cassino e` ne la costa + fu frequentato gia` in su la cima + da la gente ingannata e mal disposta; + +e quel son io che su` vi portai prima + lo nome di colui che 'n terra addusse + la verita` che tanto ci soblima; + +e tanta grazia sopra me relusse, + ch'io ritrassi le ville circunstanti + da l'empio colto che 'l mondo sedusse. + +Questi altri fuochi tutti contemplanti + uomini fuoro, accesi di quel caldo + che fa nascere i fiori e ' frutti santi. + +Qui e` Maccario, qui e` Romoaldo, + qui son li frati miei che dentro ai chiostri + fermar li piedi e tennero il cor saldo>>. + +E io a lui: <<L'affetto che dimostri + meco parlando, e la buona sembianza + ch'io veggio e noto in tutti li ardor vostri, + +cosi` m'ha dilatata mia fidanza, + come 'l sol fa la rosa quando aperta + tanto divien quant'ell'ha di possanza. + +Pero` ti priego, e tu, padre, m'accerta + s'io posso prender tanta grazia, ch'io + ti veggia con imagine scoverta>>. + +Ond'elli: <<Frate, il tuo alto disio + s'adempiera` in su l'ultima spera, + ove s'adempion tutti li altri e 'l mio. + +Ivi e` perfetta, matura e intera + ciascuna disianza; in quella sola + e` ogne parte la` ove sempr'era, + +perche' non e` in loco e non s'impola; + e nostra scala infino ad essa varca, + onde cosi` dal viso ti s'invola. + +Infin la` su` la vide il patriarca + Iacobbe porger la superna parte, + quando li apparve d'angeli si` carca. + +Ma, per salirla, mo nessun diparte + da terra i piedi, e la regola mia + rimasa e` per danno de le carte. + +Le mura che solieno esser badia + fatte sono spelonche, e le cocolle + sacca son piene di farina ria. + +Ma grave usura tanto non si tolle + contra 'l piacer di Dio, quanto quel frutto + che fa il cor de' monaci si` folle; + +che' quantunque la Chiesa guarda, tutto + e` de la gente che per Dio dimanda; + non di parenti ne' d'altro piu` brutto. + +La carne d'i mortali e` tanto blanda, + che giu` non basta buon cominciamento + dal nascer de la quercia al far la ghianda. + +Pier comincio` sanz'oro e sanz'argento, + e io con orazione e con digiuno, + e Francesco umilmente il suo convento; + +e se guardi 'l principio di ciascuno, + poscia riguardi la` dov'e` trascorso, + tu vederai del bianco fatto bruno. + +Veramente Iordan volto retrorso + piu` fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse, + mirabile a veder che qui 'l soccorso>>. + +Cosi` mi disse, e indi si raccolse + al suo collegio, e 'l collegio si strinse; + poi, come turbo, in su` tutto s'avvolse. + +La dolce donna dietro a lor mi pinse + con un sol cenno su per quella scala, + si` sua virtu` la mia natura vinse; + +ne' mai qua giu` dove si monta e cala + naturalmente, fu si` ratto moto + ch'agguagliar si potesse a la mia ala. + +S'io torni mai, lettore, a quel divoto + triunfo per lo quale io piango spesso + le mie peccata e 'l petto mi percuoto, + +tu non avresti in tanto tratto e messo + nel foco il dito, in quant'io vidi 'l segno + che segue il Tauro e fui dentro da esso. + +O gloriose stelle, o lume pregno + di gran virtu`, dal quale io riconosco + tutto, qual che si sia, il mio ingegno, + +con voi nasceva e s'ascondeva vosco + quelli ch'e` padre d'ogne mortal vita, + quand'io senti' di prima l'aere tosco; + +e poi, quando mi fu grazia largita + d'entrar ne l'alta rota che vi gira, + la vostra region mi fu sortita. + +A voi divotamente ora sospira + l'anima mia, per acquistar virtute + al passo forte che a se' la tira. + +<<Tu se' si` presso a l'ultima salute>>, + comincio` Beatrice, <<che tu dei + aver le luci tue chiare e acute; + +e pero`, prima che tu piu` t'inlei, + rimira in giu`, e vedi quanto mondo + sotto li piedi gia` esser ti fei; + +si` che 'l tuo cor, quantunque puo`, giocondo + s'appresenti a la turba triunfante + che lieta vien per questo etera tondo>>. + +Col viso ritornai per tutte quante + le sette spere, e vidi questo globo + tal, ch'io sorrisi del suo vil sembiante; + +e quel consiglio per migliore approbo + che l'ha per meno; e chi ad altro pensa + chiamar si puote veramente probo. + +Vidi la figlia di Latona incensa + sanza quell'ombra che mi fu cagione + per che gia` la credetti rara e densa. + +L'aspetto del tuo nato, Iperione, + quivi sostenni, e vidi com'si move + circa e vicino a lui Maia e Dione. + +Quindi m'apparve il temperar di Giove + tra 'l padre e 'l figlio: e quindi mi fu chiaro + il variar che fanno di lor dove; + +e tutti e sette mi si dimostraro + quanto son grandi e quanto son veloci + e come sono in distante riparo. + +L'aiuola che ci fa tanto feroci, + volgendom'io con li etterni Gemelli, + tutta m'apparve da' colli a le foci; + +poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. + + + +Paradiso: Canto XXIII + + +Come l'augello, intra l'amate fronde, + posato al nido de' suoi dolci nati + la notte che le cose ci nasconde, + +che, per veder li aspetti disiati + e per trovar lo cibo onde li pasca, + in che gravi labor li sono aggrati, + +previene il tempo in su aperta frasca, + e con ardente affetto il sole aspetta, + fiso guardando pur che l'alba nasca; + +cosi` la donna mia stava eretta + e attenta, rivolta inver' la plaga + sotto la quale il sol mostra men fretta: + +si` che, veggendola io sospesa e vaga, + fecimi qual e` quei che disiando + altro vorria, e sperando s'appaga. + +Ma poco fu tra uno e altro quando, + del mio attender, dico, e del vedere + lo ciel venir piu` e piu` rischiarando; + +e Beatrice disse: <<Ecco le schiere + del triunfo di Cristo e tutto 'l frutto + ricolto del girar di queste spere!>>. + +Pariemi che 'l suo viso ardesse tutto, + e li occhi avea di letizia si` pieni, + che passarmen convien sanza costrutto. + +Quale ne' plenilunii sereni + Trivia ride tra le ninfe etterne + che dipingon lo ciel per tutti i seni, + +vid'i' sopra migliaia di lucerne + un sol che tutte quante l'accendea, + come fa 'l nostro le viste superne; + +e per la viva luce trasparea + la lucente sustanza tanto chiara + nel viso mio, che non la sostenea. + +Oh Beatrice, dolce guida e cara! + Ella mi disse: <<Quel che ti sobranza + e` virtu` da cui nulla si ripara. + +Quivi e` la sapienza e la possanza + ch'apri` le strade tra 'l cielo e la terra, + onde fu gia` si` lunga disianza>>. + +Come foco di nube si diserra + per dilatarsi si` che non vi cape, + e fuor di sua natura in giu` s'atterra, + +la mente mia cosi`, tra quelle dape + fatta piu` grande, di se' stessa uscio, + e che si fesse rimembrar non sape. + +<<Apri li occhi e riguarda qual son io; + tu hai vedute cose, che possente + se' fatto a sostener lo riso mio>>. + +Io era come quei che si risente + di visione oblita e che s'ingegna + indarno di ridurlasi a la mente, + +quand'io udi' questa proferta, degna + di tanto grato, che mai non si stingue + del libro che 'l preterito rassegna. + +Se mo sonasser tutte quelle lingue + che Polimnia con le suore fero + del latte lor dolcissimo piu` pingue, + +per aiutarmi, al millesmo del vero + non si verria, cantando il santo riso + e quanto il santo aspetto facea mero; + +e cosi`, figurando il paradiso, + convien saltar lo sacrato poema, + come chi trova suo cammin riciso. + +Ma chi pensasse il ponderoso tema + e l'omero mortal che se ne carca, + nol biasmerebbe se sott'esso trema: + +non e` pareggio da picciola barca + quel che fendendo va l'ardita prora, + ne' da nocchier ch'a se' medesmo parca. + +<<Perche' la faccia mia si` t'innamora, + che tu non ti rivolgi al bel giardino + che sotto i raggi di Cristo s'infiora? + +Quivi e` la rosa in che 'l verbo divino + carne si fece; quivi son li gigli + al cui odor si prese il buon cammino>>. + +Cosi` Beatrice; e io, che a' suoi consigli + tutto era pronto, ancora mi rendei + a la battaglia de' debili cigli. + +Come a raggio di sol che puro mei + per fratta nube, gia` prato di fiori + vider, coverti d'ombra, li occhi miei; + +vid'io cosi` piu` turbe di splendori, + folgorate di su` da raggi ardenti, + sanza veder principio di folgori. + +O benigna vertu` che si` li 'mprenti, + su` t'essaltasti, per largirmi loco + a li occhi li` che non t'eran possenti. + +Il nome del bel fior ch'io sempre invoco + e mane e sera, tutto mi ristrinse + l'animo ad avvisar lo maggior foco; + +e come ambo le luci mi dipinse + il quale e il quanto de la viva stella + che la` su` vince come qua giu` vinse, + +per entro il cielo scese una facella, + formata in cerchio a guisa di corona, + e cinsela e girossi intorno ad ella. + +Qualunque melodia piu` dolce suona + qua giu` e piu` a se' l'anima tira, + parrebbe nube che squarciata tona, + +comparata al sonar di quella lira + onde si coronava il bel zaffiro + del quale il ciel piu` chiaro s'inzaffira. + +<<Io sono amore angelico, che giro + l'alta letizia che spira del ventre + che fu albergo del nostro disiro; + +e girerommi, donna del ciel, mentre + che seguirai tuo figlio, e farai dia + piu` la spera suprema perche' li` entre>>. + +Cosi` la circulata melodia + si sigillava, e tutti li altri lumi + facean sonare il nome di Maria. + +Lo real manto di tutti i volumi + del mondo, che piu` ferve e piu` s'avviva + ne l'alito di Dio e nei costumi, + +avea sopra di noi l'interna riva + tanto distante, che la sua parvenza, + la` dov'io era, ancor non appariva: + +pero` non ebber li occhi miei potenza + di seguitar la coronata fiamma + che si levo` appresso sua semenza. + +E come fantolin che 'nver' la mamma + tende le braccia, poi che 'l latte prese, + per l'animo che 'nfin di fuor s'infiamma; + +ciascun di quei candori in su` si stese + con la sua cima, si` che l'alto affetto + ch'elli avieno a Maria mi fu palese. + +Indi rimaser li` nel mio cospetto, + 'Regina celi' cantando si` dolce, + che mai da me non si parti` 'l diletto. + +Oh quanta e` l'uberta` che si soffolce + in quelle arche ricchissime che fuoro + a seminar qua giu` buone bobolce! + +Quivi si vive e gode del tesoro + che s'acquisto` piangendo ne lo essilio + di Babillon, ove si lascio` l'oro. + +Quivi triunfa, sotto l'alto Filio + di Dio e di Maria, di sua vittoria, + e con l'antico e col novo concilio, + +colui che tien le chiavi di tal gloria. + + + +Paradiso: Canto XXIV + + +<<O sodalizio eletto a la gran cena + del benedetto Agnello, il qual vi ciba + si`, che la vostra voglia e` sempre piena, + +se per grazia di Dio questi preliba + di quel che cade de la vostra mensa, + prima che morte tempo li prescriba, + +ponete mente a l'affezione immensa + e roratelo alquanto: voi bevete + sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa>>. + +Cosi` Beatrice; e quelle anime liete + si fero spere sopra fissi poli, + fiammando, a volte, a guisa di comete. + +E come cerchi in tempra d'oriuoli + si giran si`, che 'l primo a chi pon mente + quieto pare, e l'ultimo che voli; + +cosi` quelle carole, differente- + mente danzando, de la sua ricchezza + mi facieno stimar, veloci e lente. + +Di quella ch'io notai di piu` carezza + vid'io uscire un foco si` felice, + che nullo vi lascio` di piu` chiarezza; + +e tre fiate intorno di Beatrice + si volse con un canto tanto divo, + che la mia fantasia nol mi ridice. + +Pero` salta la penna e non lo scrivo: + che' l'imagine nostra a cotai pieghe, + non che 'l parlare, e` troppo color vivo. + +<<O santa suora mia che si` ne prieghe + divota, per lo tuo ardente affetto + da quella bella spera mi disleghe>>. + +Poscia fermato, il foco benedetto + a la mia donna dirizzo` lo spiro, + che favello` cosi` com'i' ho detto. + +Ed ella: <<O luce etterna del gran viro + a cui Nostro Segnor lascio` le chiavi, + ch'ei porto` giu`, di questo gaudio miro, + +tenta costui di punti lievi e gravi, + come ti piace, intorno de la fede, + per la qual tu su per lo mare andavi. + +S'elli ama bene e bene spera e crede, + non t'e` occulto, perche' 'l viso hai quivi + dov'ogne cosa dipinta si vede; + +ma perche' questo regno ha fatto civi + per la verace fede, a gloriarla, + di lei parlare e` ben ch'a lui arrivi>>. + +Si` come il baccialier s'arma e non parla + fin che 'l maestro la question propone, + per approvarla, non per terminarla, + +cosi` m'armava io d'ogne ragione + mentre ch'ella dicea, per esser presto + a tal querente e a tal professione. + +<<Di', buon Cristiano, fatti manifesto: + fede che e`?>>. Ond'io levai la fronte + in quella luce onde spirava questo; + +poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte + sembianze femmi perch'io spandessi + l'acqua di fuor del mio interno fonte. + +<<La Grazia che mi da` ch'io mi confessi>>, + comincia' io, <<da l'alto primipilo, + faccia li miei concetti bene espressi>>. + +E seguitai: <<Come 'l verace stilo + ne scrisse, padre, del tuo caro frate + che mise teco Roma nel buon filo, + +fede e` sustanza di cose sperate + e argomento de le non parventi; + e questa pare a me sua quiditate>>. + +Allora udi': <<Dirittamente senti, + se bene intendi perche' la ripuose + tra le sustanze, e poi tra li argomenti>>. + +E io appresso: <<Le profonde cose + che mi largiscon qui la lor parvenza, + a li occhi di la` giu` son si` ascose, + +che l'esser loro v'e` in sola credenza, + sopra la qual si fonda l'alta spene; + e pero` di sustanza prende intenza. + +E da questa credenza ci convene + silogizzar, sanz'avere altra vista: + pero` intenza d'argomento tene>>. + +Allora udi': <<Se quantunque s'acquista + giu` per dottrina, fosse cosi` 'nteso, + non li` avria loco ingegno di sofista>>. + +Cosi` spiro` di quello amore acceso; + indi soggiunse: <<Assai bene e` trascorsa + d'esta moneta gia` la lega e 'l peso; + +ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa>>. + Ond'io: <<Si` ho, si` lucida e si` tonda, + che nel suo conio nulla mi s'inforsa>>. + +Appresso usci` de la luce profonda + che li` splendeva: <<Questa cara gioia + sopra la quale ogne virtu` si fonda, + +onde ti venne?>>. E io: <<La larga ploia + de lo Spirito Santo, ch'e` diffusa + in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, + +e` silogismo che la m'ha conchiusa + acutamente si`, che 'nverso d'ella + ogne dimostrazion mi pare ottusa>>. + +Io udi' poi: <<L'antica e la novella + proposizion che cosi` ti conchiude, + perche' l'hai tu per divina favella?>>. + +E io: <<La prova che 'l ver mi dischiude, + son l'opere seguite, a che natura + non scalda ferro mai ne' batte incude>>. + +Risposto fummi: <<Di', chi t'assicura + che quell'opere fosser? Quel medesmo + che vuol provarsi, non altri, il ti giura>>. + +<<Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo>>, + diss'io, <<sanza miracoli, quest'uno + e` tal, che li altri non sono il centesmo: + +che' tu intrasti povero e digiuno + in campo, a seminar la buona pianta + che fu gia` vite e ora e` fatta pruno>>. + +Finito questo, l'alta corte santa + risono` per le spere un 'Dio laudamo' + ne la melode che la` su` si canta. + +E quel baron che si` di ramo in ramo, + essaminando, gia` tratto m'avea, + che a l'ultime fronde appressavamo, + +ricomincio`: <<La Grazia, che donnea + con la tua mente, la bocca t'aperse + infino a qui come aprir si dovea, + +si` ch'io approvo cio` che fuori emerse; + ma or conviene espremer quel che credi, + e onde a la credenza tua s'offerse>>. + +<<O santo padre, e spirito che vedi + cio` che credesti si`, che tu vincesti + ver' lo sepulcro piu` giovani piedi>>, + +comincia' io, <<tu vuo' ch'io manifesti + la forma qui del pronto creder mio, + e anche la cagion di lui chiedesti. + +E io rispondo: Io credo in uno Dio + solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, + non moto, con amore e con disio; + +e a tal creder non ho io pur prove + fisice e metafisice, ma dalmi + anche la verita` che quinci piove + +per Moise`, per profeti e per salmi, + per l'Evangelio e per voi che scriveste + poi che l'ardente Spirto vi fe' almi; + +e credo in tre persone etterne, e queste + credo una essenza si` una e si` trina, + che soffera congiunto 'sono' ed 'este'. + +De la profonda condizion divina + ch'io tocco mo, la mente mi sigilla + piu` volte l'evangelica dottrina. + +Quest'e` 'l principio, quest'e` la favilla + che si dilata in fiamma poi vivace, + e come stella in cielo in me scintilla>>. + +Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace, + da indi abbraccia il servo, gratulando + per la novella, tosto ch'el si tace; + +cosi`, benedicendomi cantando, + tre volte cinse me, si` com'io tacqui, + l'appostolico lume al cui comando + +io avea detto: si` nel dir li piacqui! + + + +Paradiso: Canto XXV + + +Se mai continga che 'l poema sacro + al quale ha posto mano e cielo e terra, + si` che m'ha fatto per molti anni macro, + +vinca la crudelta` che fuor mi serra + del bello ovile ov'io dormi' agnello, + nimico ai lupi che li danno guerra; + +con altra voce omai, con altro vello + ritornero` poeta, e in sul fonte + del mio battesmo prendero` 'l cappello; + +pero` che ne la fede, che fa conte + l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi + Pietro per lei si` mi giro` la fronte. + +Indi si mosse un lume verso noi + di quella spera ond'usci` la primizia + che lascio` Cristo d'i vicari suoi; + +e la mia donna, piena di letizia, + mi disse: <<Mira, mira: ecco il barone + per cui la` giu` si vicita Galizia>>. + +Si` come quando il colombo si pone + presso al compagno, l'uno a l'altro pande, + girando e mormorando, l'affezione; + +cosi` vid'io l'un da l'altro grande + principe glorioso essere accolto, + laudando il cibo che la` su` li prande. + +Ma poi che 'l gratular si fu assolto, + tacito coram me ciascun s'affisse, + ignito si` che vincea 'l mio volto. + +Ridendo allora Beatrice disse: + <<Inclita vita per cui la larghezza + de la nostra basilica si scrisse, + +fa risonar la spene in questa altezza: + tu sai, che tante fiate la figuri, + quante Iesu` ai tre fe' piu` carezza>>. + +<<Leva la testa e fa che t'assicuri: + che cio` che vien qua su` del mortal mondo, + convien ch'ai nostri raggi si maturi>>. + +Questo conforto del foco secondo + mi venne; ond'io levai li occhi a' monti + che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. + +<<Poi che per grazia vuol che tu t'affronti + lo nostro Imperadore, anzi la morte, + ne l'aula piu` secreta co' suoi conti, + +si` che, veduto il ver di questa corte, + la spene, che la` giu` bene innamora, + in te e in altrui di cio` conforte, + +di' quel ch'ell'e`, di' come se ne 'nfiora + la mente tua, e di` onde a te venne>>. + Cosi` segui` 'l secondo lume ancora. + +E quella pia che guido` le penne + de le mie ali a cosi` alto volo, + a la risposta cosi` mi prevenne: + +<<La Chiesa militante alcun figliuolo + non ha con piu` speranza, com'e` scritto + nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: + +pero` li e` conceduto che d'Egitto + vegna in Ierusalemme per vedere, + anzi che 'l militar li sia prescritto. + +Li altri due punti, che non per sapere + son dimandati, ma perch'ei rapporti + quanto questa virtu` t'e` in piacere, + +a lui lasc'io, che' non li saran forti + ne' di iattanza; ed elli a cio` risponda, + e la grazia di Dio cio` li comporti>>. + +Come discente ch'a dottor seconda + pronto e libente in quel ch'elli e` esperto, + perche' la sua bonta` si disasconda, + +<<Spene>>, diss'io, <<e` uno attender certo + de la gloria futura, il qual produce + grazia divina e precedente merto. + +Da molte stelle mi vien questa luce; + ma quei la distillo` nel mio cor pria + che fu sommo cantor del sommo duce. + +'Sperino in te', ne la sua teodia + dice, 'color che sanno il nome tuo': + e chi nol sa, s'elli ha la fede mia? + +Tu mi stillasti, con lo stillar suo, + ne la pistola poi; si` ch'io son pieno, + e in altrui vostra pioggia repluo>>. + +Mentr' io diceva, dentro al vivo seno + di quello incendio tremolava un lampo + subito e spesso a guisa di baleno. + +Indi spiro`: <<L'amore ond'io avvampo + ancor ver' la virtu` che mi seguette + infin la palma e a l'uscir del campo, + +vuol ch'io respiri a te che ti dilette + di lei; ed emmi a grato che tu diche + quello che la speranza ti 'mpromette>>. + +E io: <<Le nove e le scritture antiche + pongon lo segno, ed esso lo mi addita, + de l'anime che Dio s'ha fatte amiche. + +Dice Isaia che ciascuna vestita + ne la sua terra fia di doppia vesta: + e la sua terra e` questa dolce vita; + +e 'l tuo fratello assai vie piu` digesta, + la` dove tratta de le bianche stole, + questa revelazion ci manifesta>>. + +E prima, appresso al fin d'este parole, + 'Sperent in te' di sopr'a noi s'udi`; + a che rispuoser tutte le carole. + +Poscia tra esse un lume si schiari` + si` che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, + l'inverno avrebbe un mese d'un sol di`. + +E come surge e va ed entra in ballo + vergine lieta, sol per fare onore + a la novizia, non per alcun fallo, + +cosi` vid'io lo schiarato splendore + venire a' due che si volgieno a nota + qual conveniesi al loro ardente amore. + +Misesi li` nel canto e ne la rota; + e la mia donna in lor tenea l'aspetto, + pur come sposa tacita e immota. + +<<Questi e` colui che giacque sopra 'l petto + del nostro pellicano, e questi fue + di su la croce al grande officio eletto>>. + +La donna mia cosi`; ne' pero` piue + mosser la vista sua di stare attenta + poscia che prima le parole sue. + +Qual e` colui ch'adocchia e s'argomenta + di vedere eclissar lo sole un poco, + che, per veder, non vedente diventa; + +tal mi fec'io a quell'ultimo foco + mentre che detto fu: <<Perche' t'abbagli + per veder cosa che qui non ha loco? + +In terra e` terra il mio corpo, e saragli + tanto con li altri, che 'l numero nostro + con l'etterno proposito s'agguagli. + +Con le due stole nel beato chiostro + son le due luci sole che saliro; + e questo apporterai nel mondo vostro>>. + +A questa voce l'infiammato giro + si quieto` con esso il dolce mischio + che si facea nel suon del trino spiro, + +si` come, per cessar fatica o rischio, + li remi, pria ne l'acqua ripercossi, + tutti si posano al sonar d'un fischio. + +Ahi quanto ne la mente mi commossi, + quando mi volsi per veder Beatrice, + per non poter veder, benche' io fossi + +presso di lei, e nel mondo felice! + + + +Paradiso: Canto XXVI + + +Mentr'io dubbiava per lo viso spento, + de la fulgida fiamma che lo spense + usci` un spiro che mi fece attento, + +dicendo: <<Intanto che tu ti risense + de la vista che hai in me consunta, + ben e` che ragionando la compense. + +Comincia dunque; e di' ove s'appunta + l'anima tua, e fa' ragion che sia + la vista in te smarrita e non defunta: + +perche' la donna che per questa dia + region ti conduce, ha ne lo sguardo + la virtu` ch'ebbe la man d'Anania>>. + +Io dissi: <<Al suo piacere e tosto e tardo + vegna remedio a li occhi, che fuor porte + quand'ella entro` col foco ond'io sempr'ardo. + +Lo ben che fa contenta questa corte, + Alfa e O e` di quanta scrittura + mi legge Amore o lievemente o forte>>. + +Quella medesma voce che paura + tolta m'avea del subito abbarbaglio, + di ragionare ancor mi mise in cura; + +e disse: <<Certo a piu` angusto vaglio + ti conviene schiarar: dicer convienti + chi drizzo` l'arco tuo a tal berzaglio>>. + +E io: <<Per filosofici argomenti + e per autorita` che quinci scende + cotale amor convien che in me si 'mprenti: + +che' 'l bene, in quanto ben, come s'intende, + cosi` accende amore, e tanto maggio + quanto piu` di bontate in se' comprende. + +Dunque a l'essenza ov'e` tanto avvantaggio, + che ciascun ben che fuor di lei si trova + altro non e` ch'un lume di suo raggio, + +piu` che in altra convien che si mova + la mente, amando, di ciascun che cerne + il vero in che si fonda questa prova. + +Tal vero a l'intelletto mio sterne + colui che mi dimostra il primo amore + di tutte le sustanze sempiterne. + +Sternel la voce del verace autore, + che dice a Moise`, di se' parlando: + 'Io ti faro` vedere ogne valore'. + +Sternilmi tu ancora, incominciando + l'alto preconio che grida l'arcano + di qui la` giu` sovra ogne altro bando>>. + +E io udi': <<Per intelletto umano + e per autoritadi a lui concorde + d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. + +Ma di' ancor se tu senti altre corde + tirarti verso lui, si` che tu suone + con quanti denti questo amor ti morde>>. + +Non fu latente la santa intenzione + de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi + dove volea menar mia professione. + +Pero` ricominciai: <<Tutti quei morsi + che posson far lo cor volgere a Dio, + a la mia caritate son concorsi: + +che' l'essere del mondo e l'esser mio, + la morte ch'el sostenne perch'io viva, + e quel che spera ogne fedel com'io, + +con la predetta conoscenza viva, + tratto m'hanno del mar de l'amor torto, + e del diritto m'han posto a la riva. + +Le fronde onde s'infronda tutto l'orto + de l'ortolano etterno, am'io cotanto + quanto da lui a lor di bene e` porto>>. + +Si` com'io tacqui, un dolcissimo canto + risono` per lo cielo, e la mia donna + dicea con li altri: <<Santo, santo, santo!>>. + +E come a lume acuto si disonna + per lo spirto visivo che ricorre + a lo splendor che va di gonna in gonna, + +e lo svegliato cio` che vede aborre, + si` nescia e` la subita vigilia + fin che la stimativa non soccorre; + +cosi` de li occhi miei ogni quisquilia + fugo` Beatrice col raggio d'i suoi, + che rifulgea da piu` di mille milia: + +onde mei che dinanzi vidi poi; + e quasi stupefatto domandai + d'un quarto lume ch'io vidi tra noi. + +E la mia donna: <<Dentro da quei rai + vagheggia il suo fattor l'anima prima + che la prima virtu` creasse mai>>. + +Come la fronda che flette la cima + nel transito del vento, e poi si leva + per la propria virtu` che la soblima, + +fec'io in tanto in quant'ella diceva, + stupendo, e poi mi rifece sicuro + un disio di parlare ond'io ardeva. + +E cominciai: <<O pomo che maturo + solo prodotto fosti, o padre antico + a cui ciascuna sposa e` figlia e nuro, + +divoto quanto posso a te supplico + perche' mi parli: tu vedi mia voglia, + e per udirti tosto non la dico>>. + +Talvolta un animal coverto broglia, + si` che l'affetto convien che si paia + per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; + +e similmente l'anima primaia + mi facea trasparer per la coverta + quant'ella a compiacermi venia gaia. + +Indi spiro`: <<Sanz'essermi proferta + da te, la voglia tua discerno meglio + che tu qualunque cosa t'e` piu` certa; + +perch'io la veggio nel verace speglio + che fa di se' pareglio a l'altre cose, + e nulla face lui di se' pareglio. + +Tu vuogli udir quant'e` che Dio mi puose + ne l'eccelso giardino, ove costei + a cosi` lunga scala ti dispuose, + +e quanto fu diletto a li occhi miei, + e la propria cagion del gran disdegno, + e l'idioma ch'usai e che fei. + +Or, figluol mio, non il gustar del legno + fu per se' la cagion di tanto essilio, + ma solamente il trapassar del segno. + +Quindi onde mosse tua donna Virgilio, + quattromilia trecento e due volumi + di sol desiderai questo concilio; + +e vidi lui tornare a tutt'i lumi + de la sua strada novecento trenta + fiate, mentre ch'io in terra fu' mi. + +La lingua ch'io parlai fu tutta spenta + innanzi che a l'ovra inconsummabile + fosse la gente di Nembrot attenta: + +che' nullo effetto mai razionabile, + per lo piacere uman che rinovella + seguendo il cielo, sempre fu durabile. + +Opera naturale e` ch'uom favella; + ma cosi` o cosi`, natura lascia + poi fare a voi secondo che v'abbella. + +Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia, + I s'appellava in terra il sommo bene + onde vien la letizia che mi fascia; + +e El si chiamo` poi: e cio` convene, + che' l'uso d'i mortali e` come fronda + in ramo, che sen va e altra vene. + +Nel monte che si leva piu` da l'onda, + fu' io, con vita pura e disonesta, + da la prim'ora a quella che seconda, + +come 'l sol muta quadra, l'ora sesta>>. + + + +Paradiso: Canto XXVII + + +'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo', + comincio`, 'gloria!', tutto 'l paradiso, + si` che m'inebriava il dolce canto. + +Cio` ch'io vedeva mi sembiava un riso + de l'universo; per che mia ebbrezza + intrava per l'udire e per lo viso. + +Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! + oh vita integra d'amore e di pace! + oh sanza brama sicura ricchezza! + +Dinanzi a li occhi miei le quattro face + stavano accese, e quella che pria venne + incomincio` a farsi piu` vivace, + +e tal ne la sembianza sua divenne, + qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte + fossero augelli e cambiassersi penne. + +La provedenza, che quivi comparte + vice e officio, nel beato coro + silenzio posto avea da ogne parte, + +quand'io udi': <<Se io mi trascoloro, + non ti maravigliar, che', dicend'io, + vedrai trascolorar tutti costoro. + +Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, + il luogo mio, il luogo mio, che vaca + ne la presenza del Figliuol di Dio, + +fatt'ha del cimitero mio cloaca + del sangue e de la puzza; onde 'l perverso + che cadde di qua su`, la` giu` si placa>>. + +Di quel color che per lo sole avverso + nube dipigne da sera e da mane, + vid'io allora tutto 'l ciel cosperso. + +E come donna onesta che permane + di se' sicura, e per l'altrui fallanza, + pur ascoltando, timida si fane, + +cosi` Beatrice trasmuto` sembianza; + e tale eclissi credo che 'n ciel fue, + quando pati` la supprema possanza. + +Poi procedetter le parole sue + con voce tanto da se' trasmutata, + che la sembianza non si muto` piue: + +<<Non fu la sposa di Cristo allevata + del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, + per essere ad acquisto d'oro usata; + +ma per acquisto d'esto viver lieto + e Sisto e Pio e Calisto e Urbano + sparser lo sangue dopo molto fleto. + +Non fu nostra intenzion ch'a destra mano + d'i nostri successor parte sedesse, + parte da l'altra del popol cristiano; + +ne' che le chiavi che mi fuor concesse, + divenisser signaculo in vessillo + che contra battezzati combattesse; + +ne' ch'io fossi figura di sigillo + a privilegi venduti e mendaci, + ond'io sovente arrosso e disfavillo. + +In vesta di pastor lupi rapaci + si veggion di qua su` per tutti i paschi: + o difesa di Dio, perche' pur giaci? + +Del sangue nostro Caorsini e Guaschi + s'apparecchian di bere: o buon principio, + a che vil fine convien che tu caschi! + +Ma l'alta provedenza, che con Scipio + difese a Roma la gloria del mondo, + soccorra` tosto, si` com'io concipio; + +e tu, figliuol, che per lo mortal pondo + ancor giu` tornerai, apri la bocca, + e non asconder quel ch'io non ascondo>>. + +Si` come di vapor gelati fiocca + in giuso l'aere nostro, quando 'l corno + de la capra del ciel col sol si tocca, + +in su` vid'io cosi` l'etera addorno + farsi e fioccar di vapor triunfanti + che fatto avien con noi quivi soggiorno. + +Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, + e segui` fin che 'l mezzo, per lo molto, + li tolse il trapassar del piu` avanti. + +Onde la donna, che mi vide assolto + de l'attendere in su`, mi disse: <<Adima + il viso e guarda come tu se' volto>>. + +Da l'ora ch'io avea guardato prima + i' vidi mosso me per tutto l'arco + che fa dal mezzo al fine il primo clima; + +si` ch'io vedea di la` da Gade il varco + folle d'Ulisse, e di qua presso il lito + nel qual si fece Europa dolce carco. + +E piu` mi fora discoverto il sito + di questa aiuola; ma 'l sol procedea + sotto i mie' piedi un segno e piu` partito. + +La mente innamorata, che donnea + con la mia donna sempre, di ridure + ad essa li occhi piu` che mai ardea; + +e se natura o arte fe' pasture + da pigliare occhi, per aver la mente, + in carne umana o ne le sue pitture, + +tutte adunate, parrebber niente + ver' lo piacer divin che mi refulse, + quando mi volsi al suo viso ridente. + +E la virtu` che lo sguardo m'indulse, + del bel nido di Leda mi divelse, + e nel ciel velocissimo m'impulse. + +Le parti sue vivissime ed eccelse + si` uniforme son, ch'i' non so dire + qual Beatrice per loco mi scelse. + +Ma ella, che vedea 'l mio disire, + incomincio`, ridendo tanto lieta, + che Dio parea nel suo volto gioire: + +<<La natura del mondo, che quieta + il mezzo e tutto l'altro intorno move, + quinci comincia come da sua meta; + +e questo cielo non ha altro dove + che la mente divina, in che s'accende + l'amor che 'l volge e la virtu` ch'ei piove. + +Luce e amor d'un cerchio lui comprende, + si` come questo li altri; e quel precinto + colui che 'l cinge solamente intende. + +Non e` suo moto per altro distinto, + ma li altri son mensurati da questo, + si` come diece da mezzo e da quinto; + +e come il tempo tegna in cotal testo + le sue radici e ne li altri le fronde, + omai a te puo` esser manifesto. + +Oh cupidigia che i mortali affonde + si` sotto te, che nessuno ha podere + di trarre li occhi fuor de le tue onde! + +Ben fiorisce ne li uomini il volere; + ma la pioggia continua converte + in bozzacchioni le sosine vere. + +Fede e innocenza son reperte + solo ne' parvoletti; poi ciascuna + pria fugge che le guance sian coperte. + +Tale, balbuziendo ancor, digiuna, + che poi divora, con la lingua sciolta, + qualunque cibo per qualunque luna; + +e tal, balbuziendo, ama e ascolta + la madre sua, che, con loquela intera, + disia poi di vederla sepolta. + +Cosi` si fa la pelle bianca nera + nel primo aspetto de la bella figlia + di quel ch'apporta mane e lascia sera. + +Tu, perche' non ti facci maraviglia, + pensa che 'n terra non e` chi governi; + onde si` svia l'umana famiglia. + +Ma prima che gennaio tutto si sverni + per la centesma ch'e` la` giu` negletta, + raggeran si` questi cerchi superni, + +che la fortuna che tanto s'aspetta, + le poppe volgera` u' son le prore, + si` che la classe correra` diretta; + +e vero frutto verra` dopo 'l fiore>>. + + + +Paradiso: Canto XXVIII + + +Poscia che 'ncontro a la vita presente + d'i miseri mortali aperse 'l vero + quella che 'mparadisa la mia mente, + +come in lo specchio fiamma di doppiero + vede colui che se n'alluma retro, + prima che l'abbia in vista o in pensiero, + +e se' rivolge per veder se 'l vetro + li dice il vero, e vede ch'el s'accorda + con esso come nota con suo metro; + +cosi` la mia memoria si ricorda + ch'io feci riguardando ne' belli occhi + onde a pigliarmi fece Amor la corda. + +E com'io mi rivolsi e furon tocchi + li miei da cio` che pare in quel volume, + quandunque nel suo giro ben s'adocchi, + +un punto vidi che raggiava lume + acuto si`, che 'l viso ch'elli affoca + chiuder conviensi per lo forte acume; + +e quale stella par quinci piu` poca, + parrebbe luna, locata con esso + come stella con stella si colloca. + +Forse cotanto quanto pare appresso + alo cigner la luce che 'l dipigne + quando 'l vapor che 'l porta piu` e` spesso, + +distante intorno al punto un cerchio d'igne + si girava si` ratto, ch'avria vinto + quel moto che piu` tosto il mondo cigne; + +e questo era d'un altro circumcinto, + e quel dal terzo, e 'l terzo poi dal quarto, + dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. + +Sopra seguiva il settimo si` sparto + gia` di larghezza, che 'l messo di Iuno + intero a contenerlo sarebbe arto. + +Cosi` l'ottavo e 'l nono; e chiascheduno + piu` tardo si movea, secondo ch'era + in numero distante piu` da l'uno; + +e quello avea la fiamma piu` sincera + cui men distava la favilla pura, + credo, pero` che piu` di lei s'invera. + +La donna mia, che mi vedea in cura + forte sospeso, disse: <<Da quel punto + depende il cielo e tutta la natura. + +Mira quel cerchio che piu` li e` congiunto; + e sappi che 'l suo muovere e` si` tosto + per l'affocato amore ond'elli e` punto>>. + +E io a lei: <<Se 'l mondo fosse posto + con l'ordine ch'io veggio in quelle rote, + sazio m'avrebbe cio` che m'e` proposto; + +ma nel mondo sensibile si puote + veder le volte tanto piu` divine, + quant'elle son dal centro piu` remote. + +Onde, se 'l mio disir dee aver fine + in questo miro e angelico templo + che solo amore e luce ha per confine, + +udir convienmi ancor come l'essemplo + e l'essemplare non vanno d'un modo, + che' io per me indarno a cio` contemplo>>. + +<<Se li tuoi diti non sono a tal nodo + sufficienti, non e` maraviglia: + tanto, per non tentare, e` fatto sodo!>>. + +Cosi` la donna mia; poi disse: <<Piglia + quel ch'io ti dicero`, se vuo' saziarti; + e intorno da esso t'assottiglia. + +Li cerchi corporai sono ampi e arti + secondo il piu` e 'l men de la virtute + che si distende per tutte lor parti. + +Maggior bonta` vuol far maggior salute; + maggior salute maggior corpo cape, + s'elli ha le parti igualmente compiute. + +Dunque costui che tutto quanto rape + l'altro universo seco, corrisponde + al cerchio che piu` ama e che piu` sape: + +per che, se tu a la virtu` circonde + la tua misura, non a la parvenza + de le sustanze che t'appaion tonde, + +tu vederai mirabil consequenza + di maggio a piu` e di minore a meno, + in ciascun cielo, a sua intelligenza>>. + +Come rimane splendido e sereno + l'emisperio de l'aere, quando soffia + Borea da quella guancia ond'e` piu` leno, + +per che si purga e risolve la roffia + che pria turbava, si` che 'l ciel ne ride + con le bellezze d'ogne sua paroffia; + +cosi` fec'io, poi che mi provide + la donna mia del suo risponder chiaro, + e come stella in cielo il ver si vide. + +E poi che le parole sue restaro, + non altrimenti ferro disfavilla + che bolle, come i cerchi sfavillaro. + +L'incendio suo seguiva ogne scintilla; + ed eran tante, che 'l numero loro + piu` che 'l doppiar de li scacchi s'inmilla. + +Io sentiva osannar di coro in coro + al punto fisso che li tiene a li ubi, + e terra` sempre, ne' quai sempre fuoro. + +E quella che vedea i pensier dubi + ne la mia mente, disse: <<I cerchi primi + t'hanno mostrato Serafi e Cherubi. + +Cosi` veloci seguono i suoi vimi, + per somigliarsi al punto quanto ponno; + e posson quanto a veder son soblimi. + +Quelli altri amori che 'ntorno li vonno, + si chiaman Troni del divino aspetto, + per che 'l primo ternaro terminonno; + +e dei saper che tutti hanno diletto + quanto la sua veduta si profonda + nel vero in che si queta ogne intelletto. + +Quinci si puo` veder come si fonda + l'essere beato ne l'atto che vede, + non in quel ch'ama, che poscia seconda; + +e del vedere e` misura mercede, + che grazia partorisce e buona voglia: + cosi` di grado in grado si procede. + +L'altro ternaro, che cosi` germoglia + in questa primavera sempiterna + che notturno Ariete non dispoglia, + +perpetualemente 'Osanna' sberna + con tre melode, che suonano in tree + ordini di letizia onde s'interna. + +In essa gerarcia son l'altre dee: + prima Dominazioni, e poi Virtudi; + l'ordine terzo di Podestadi ee. + +Poscia ne' due penultimi tripudi + Principati e Arcangeli si girano; + l'ultimo e` tutto d'Angelici ludi. + +Questi ordini di su` tutti s'ammirano, + e di giu` vincon si`, che verso Dio + tutti tirati sono e tutti tirano. + +E Dionisio con tanto disio + a contemplar questi ordini si mise, + che li nomo` e distinse com'io. + +Ma Gregorio da lui poi si divise; + onde, si` tosto come li occhi aperse + in questo ciel, di se' medesmo rise. + +E se tanto secreto ver proferse + mortale in terra, non voglio ch'ammiri; + che' chi 'l vide qua su` gliel discoperse + +con altro assai del ver di questi giri>>. + + + +Paradiso: Canto XXIX + + +Quando ambedue li figli di Latona, + coperti del Montone e de la Libra, + fanno de l'orizzonte insieme zona, + +quant'e` dal punto che 'l cenit inlibra + infin che l'uno e l'altro da quel cinto, + cambiando l'emisperio, si dilibra, + +tanto, col volto di riso dipinto, + si tacque Beatrice, riguardando + fiso nel punto che m'avea vinto. + +Poi comincio`: <<Io dico, e non dimando, + quel che tu vuoli udir, perch'io l'ho visto + la` 've s'appunta ogne ubi e ogne quando. + +Non per aver a se' di bene acquisto, + ch'esser non puo`, ma perche' suo splendore + potesse, risplendendo, dir "Subsisto", + +in sua etternita` di tempo fore, + fuor d'ogne altro comprender, come i piacque, + s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. + +Ne' prima quasi torpente si giacque; + che' ne' prima ne' poscia procedette + lo discorrer di Dio sovra quest'acque. + +Forma e materia, congiunte e purette, + usciro ad esser che non avia fallo, + come d'arco tricordo tre saette. + +E come in vetro, in ambra o in cristallo + raggio resplende si`, che dal venire + a l'esser tutto non e` intervallo, + +cosi` 'l triforme effetto del suo sire + ne l'esser suo raggio` insieme tutto + sanza distinzione in essordire. + +Concreato fu ordine e costrutto + a le sustanze; e quelle furon cima + nel mondo in che puro atto fu produtto; + +pura potenza tenne la parte ima; + nel mezzo strinse potenza con atto + tal vime, che gia` mai non si divima. + +Ieronimo vi scrisse lungo tratto + di secoli de li angeli creati + anzi che l'altro mondo fosse fatto; + +ma questo vero e` scritto in molti lati + da li scrittor de lo Spirito Santo, + e tu te n'avvedrai se bene agguati; + +e anche la ragione il vede alquanto, + che non concederebbe che ' motori + sanza sua perfezion fosser cotanto. + +Or sai tu dove e quando questi amori + furon creati e come: si` che spenti + nel tuo disio gia` son tre ardori. + +Ne' giugneriesi, numerando, al venti + si` tosto, come de li angeli parte + turbo` il suggetto d'i vostri alementi. + +L'altra rimase, e comincio` quest'arte + che tu discerni, con tanto diletto, + che mai da circuir non si diparte. + +Principio del cader fu il maladetto + superbir di colui che tu vedesti + da tutti i pesi del mondo costretto. + +Quelli che vedi qui furon modesti + a riconoscer se' da la bontate + che li avea fatti a tanto intender presti: + +per che le viste lor furo essaltate + con grazia illuminante e con lor merto, + si c'hanno ferma e piena volontate; + +e non voglio che dubbi, ma sia certo, + che ricever la grazia e` meritorio + secondo che l'affetto l'e` aperto. + +Omai dintorno a questo consistorio + puoi contemplare assai, se le parole + mie son ricolte, sanz'altro aiutorio. + +Ma perche' 'n terra per le vostre scole + si legge che l'angelica natura + e` tal, che 'ntende e si ricorda e vole, + +ancor diro`, perche' tu veggi pura + la verita` che la` giu` si confonde, + equivocando in si` fatta lettura. + +Queste sustanze, poi che fur gioconde + de la faccia di Dio, non volser viso + da essa, da cui nulla si nasconde: + +pero` non hanno vedere interciso + da novo obietto, e pero` non bisogna + rememorar per concetto diviso; + +si` che la` giu`, non dormendo, si sogna, + credendo e non credendo dicer vero; + ma ne l'uno e` piu` colpa e piu` vergogna. + +Voi non andate giu` per un sentiero + filosofando: tanto vi trasporta + l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero! + +E ancor questo qua su` si comporta + con men disdegno che quando e` posposta + la divina Scrittura o quando e` torta. + +Non vi si pensa quanto sangue costa + seminarla nel mondo e quanto piace + chi umilmente con essa s'accosta. + +Per apparer ciascun s'ingegna e face + sue invenzioni; e quelle son trascorse + da' predicanti e 'l Vangelio si tace. + +Un dice che la luna si ritorse + ne la passion di Cristo e s'interpuose, + per che 'l lume del sol giu` non si porse; + +e mente, che' la luce si nascose + da se': pero` a li Spani e a l'Indi + come a' Giudei tale eclissi rispuose. + +Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi + quante si` fatte favole per anno + in pergamo si gridan quinci e quindi; + +si` che le pecorelle, che non sanno, + tornan del pasco pasciute di vento, + e non le scusa non veder lo danno. + +Non disse Cristo al suo primo convento: + 'Andate, e predicate al mondo ciance'; + ma diede lor verace fondamento; + +e quel tanto sono` ne le sue guance, + si` ch'a pugnar per accender la fede + de l'Evangelio fero scudo e lance. + +Ora si va con motti e con iscede + a predicare, e pur che ben si rida, + gonfia il cappuccio e piu` non si richiede. + +Ma tale uccel nel becchetto s'annida, + che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe + la perdonanza di ch'el si confida; + +per cui tanta stoltezza in terra crebbe, + che, sanza prova d'alcun testimonio, + ad ogne promession si correrebbe. + +Di questo ingrassa il porco sant'Antonio, + e altri assai che sono ancor piu` porci, + pagando di moneta sanza conio. + +Ma perche' siam digressi assai, ritorci + li occhi oramai verso la dritta strada, + si` che la via col tempo si raccorci. + +Questa natura si` oltre s'ingrada + in numero, che mai non fu loquela + ne' concetto mortal che tanto vada; + +e se tu guardi quel che si revela + per Daniel, vedrai che 'n sue migliaia + determinato numero si cela. + +La prima luce, che tutta la raia, + per tanti modi in essa si recepe, + quanti son li splendori a chi s'appaia. + +Onde, pero` che a l'atto che concepe + segue l'affetto, d'amar la dolcezza + diversamente in essa ferve e tepe. + +Vedi l'eccelso omai e la larghezza + de l'etterno valor, poscia che tanti + speculi fatti s'ha in che si spezza, + +uno manendo in se' come davanti>>. + + + +Paradiso: Canto XXX + + +Forse semilia miglia di lontano + ci ferve l'ora sesta, e questo mondo + china gia` l'ombra quasi al letto piano, + +quando 'l mezzo del cielo, a noi profondo, + comincia a farsi tal, ch'alcuna stella + perde il parere infino a questo fondo; + +e come vien la chiarissima ancella + del sol piu` oltre, cosi` 'l ciel si chiude + di vista in vista infino a la piu` bella. + +Non altrimenti il triunfo che lude + sempre dintorno al punto che mi vinse, + parendo inchiuso da quel ch'elli 'nchiude, + +a poco a poco al mio veder si stinse: + per che tornar con li occhi a Beatrice + nulla vedere e amor mi costrinse. + +Se quanto infino a qui di lei si dice + fosse conchiuso tutto in una loda, + poca sarebbe a fornir questa vice. + +La bellezza ch'io vidi si trasmoda + non pur di la` da noi, ma certo io credo + che solo il suo fattor tutta la goda. + +Da questo passo vinto mi concedo + piu` che gia` mai da punto di suo tema + soprato fosse comico o tragedo: + +che', come sole in viso che piu` trema, + cosi` lo rimembrar del dolce riso + la mente mia da me medesmo scema. + +Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso + in questa vita, infino a questa vista, + non m'e` il seguire al mio cantar preciso; + +ma or convien che mio seguir desista + piu` dietro a sua bellezza, poetando, + come a l'ultimo suo ciascuno artista. + +Cotal qual io lascio a maggior bando + che quel de la mia tuba, che deduce + l'ardua sua matera terminando, + +con atto e voce di spedito duce + ricomincio`: <<Noi siamo usciti fore + del maggior corpo al ciel ch'e` pura luce: + +luce intellettual, piena d'amore; + amor di vero ben, pien di letizia; + letizia che trascende ogne dolzore. + +Qui vederai l'una e l'altra milizia + di paradiso, e l'una in quelli aspetti + che tu vedrai a l'ultima giustizia>>. + +Come subito lampo che discetti + li spiriti visivi, si` che priva + da l'atto l'occhio di piu` forti obietti, + +cosi` mi circunfulse luce viva, + e lasciommi fasciato di tal velo + del suo fulgor, che nulla m'appariva. + +<<Sempre l'amor che queta questo cielo + accoglie in se' con si` fatta salute, + per far disposto a sua fiamma il candelo>>. + +Non fur piu` tosto dentro a me venute + queste parole brievi, ch'io compresi + me sormontar di sopr'a mia virtute; + +e di novella vista mi raccesi + tale, che nulla luce e` tanto mera, + che li occhi miei non si fosser difesi; + +e vidi lume in forma di rivera + fulvido di fulgore, intra due rive + dipinte di mirabil primavera. + +Di tal fiumana uscian faville vive, + e d'ogne parte si mettien ne' fiori, + quasi rubin che oro circunscrive; + +poi, come inebriate da li odori, + riprofondavan se' nel miro gurge; + e s'una intrava, un'altra n'uscia fori. + +<<L'alto disio che mo t'infiamma e urge, + d'aver notizia di cio` che tu vei, + tanto mi piace piu` quanto piu` turge; + +ma di quest'acqua convien che tu bei + prima che tanta sete in te si sazi>>: + cosi` mi disse il sol de li occhi miei. + +Anche soggiunse: <<Il fiume e li topazi + ch'entrano ed escono e 'l rider de l'erbe + son di lor vero umbriferi prefazi. + +Non che da se' sian queste cose acerbe; + ma e` difetto da la parte tua, + che non hai viste ancor tanto superbe>>. + +Non e` fantin che si` subito rua + col volto verso il latte, se si svegli + molto tardato da l'usanza sua, + +come fec'io, per far migliori spegli + ancor de li occhi, chinandomi a l'onda + che si deriva perche' vi s'immegli; + +e si` come di lei bevve la gronda + de le palpebre mie, cosi` mi parve + di sua lunghezza divenuta tonda. + +Poi, come gente stata sotto larve, + che pare altro che prima, se si sveste + la sembianza non sua in che disparve, + +cosi` mi si cambiaro in maggior feste + li fiori e le faville, si` ch'io vidi + ambo le corti del ciel manifeste. + +O isplendor di Dio, per cu' io vidi + l'alto triunfo del regno verace, + dammi virtu` a dir com'io il vidi! + +Lume e` la` su` che visibile face + lo creatore a quella creatura + che solo in lui vedere ha la sua pace. + +E' si distende in circular figura, + in tanto che la sua circunferenza + sarebbe al sol troppo larga cintura. + +Fassi di raggio tutta sua parvenza + reflesso al sommo del mobile primo, + che prende quindi vivere e potenza. + +E come clivo in acqua di suo imo + si specchia, quasi per vedersi addorno, + quando e` nel verde e ne' fioretti opimo, + +si`, soprastando al lume intorno intorno, + vidi specchiarsi in piu` di mille soglie + quanto di noi la` su` fatto ha ritorno. + +E se l'infimo grado in se' raccoglie + si` grande lume, quanta e` la larghezza + di questa rosa ne l'estreme foglie! + +La vista mia ne l'ampio e ne l'altezza + non si smarriva, ma tutto prendeva + il quanto e 'l quale di quella allegrezza. + +Presso e lontano, li`, ne' pon ne' leva: + che' dove Dio sanza mezzo governa, + la legge natural nulla rileva. + +Nel giallo de la rosa sempiterna, + che si digrada e dilata e redole + odor di lode al sol che sempre verna, + +qual e` colui che tace e dicer vole, + mi trasse Beatrice, e disse: <<Mira + quanto e` 'l convento de le bianche stole! + +Vedi nostra citta` quant'ella gira; + vedi li nostri scanni si` ripieni, + che poca gente piu` ci si disira. + +E 'n quel gran seggio a che tu li occhi tieni + per la corona che gia` v'e` su` posta, + prima che tu a queste nozze ceni, + +sedera` l'alma, che fia giu` agosta, + de l'alto Arrigo, ch'a drizzare Italia + verra` in prima ch'ella sia disposta. + +La cieca cupidigia che v'ammalia + simili fatti v'ha al fantolino + che muor per fame e caccia via la balia. + +E fia prefetto nel foro divino + allora tal, che palese e coverto + non andera` con lui per un cammino. + +Ma poco poi sara` da Dio sofferto + nel santo officio; ch'el sara` detruso + la` dove Simon mago e` per suo merto, + +e fara` quel d'Alagna intrar piu` giuso>>. + + + +Paradiso: Canto XXXI + + +In forma dunque di candida rosa + mi si mostrava la milizia santa + che nel suo sangue Cristo fece sposa; + +ma l'altra, che volando vede e canta + la gloria di colui che la 'nnamora + e la bonta` che la fece cotanta, + +si` come schiera d'ape, che s'infiora + una fiata e una si ritorna + la` dove suo laboro s'insapora, + +nel gran fior discendeva che s'addorna + di tante foglie, e quindi risaliva + la` dove 'l suo amor sempre soggiorna. + +Le facce tutte avean di fiamma viva, + e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco, + che nulla neve a quel termine arriva. + +Quando scendean nel fior, di banco in banco + porgevan de la pace e de l'ardore + ch'elli acquistavan ventilando il fianco. + +Ne' l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore + di tanta moltitudine volante + impediva la vista e lo splendore: + +che' la luce divina e` penetrante + per l'universo secondo ch'e` degno, + si` che nulla le puote essere ostante. + +Questo sicuro e gaudioso regno, + frequente in gente antica e in novella, + viso e amore avea tutto ad un segno. + +O trina luce, che 'n unica stella + scintillando a lor vista, si` li appaga! + guarda qua giuso a la nostra procella! + +Se i barbari, venendo da tal plaga + che ciascun giorno d'Elice si cuopra, + rotante col suo figlio ond'ella e` vaga, + +veggendo Roma e l'ardua sua opra, + stupefaciensi, quando Laterano + a le cose mortali ando` di sopra; + +io, che al divino da l'umano, + a l'etterno dal tempo era venuto, + e di Fiorenza in popol giusto e sano + +di che stupor dovea esser compiuto! + Certo tra esso e 'l gaudio mi facea + libito non udire e starmi muto. + +E quasi peregrin che si ricrea + nel tempio del suo voto riguardando, + e spera gia` ridir com'ello stea, + +su per la viva luce passeggiando, + menava io li occhi per li gradi, + mo su`, mo giu` e mo recirculando. + +Vedea visi a carita` suadi, + d'altrui lume fregiati e di suo riso, + e atti ornati di tutte onestadi. + +La forma general di paradiso + gia` tutta mio sguardo avea compresa, + in nulla parte ancor fermato fiso; + +e volgeami con voglia riaccesa + per domandar la mia donna di cose + di che la mente mia era sospesa. + +Uno intendea, e altro mi rispuose: + credea veder Beatrice e vidi un sene + vestito con le genti gloriose. + +Diffuso era per li occhi e per le gene + di benigna letizia, in atto pio + quale a tenero padre si convene. + +E <<Ov'e` ella?>>, subito diss'io. + Ond'elli: <<A terminar lo tuo disiro + mosse Beatrice me del loco mio; + +e se riguardi su` nel terzo giro + dal sommo grado, tu la rivedrai + nel trono che suoi merti le sortiro>>. + +Sanza risponder, li occhi su` levai, + e vidi lei che si facea corona + reflettendo da se' li etterni rai. + +Da quella region che piu` su` tona + occhio mortale alcun tanto non dista, + qualunque in mare piu` giu` s'abbandona, + +quanto li` da Beatrice la mia vista; + ma nulla mi facea, che' sua effige + non discendea a me per mezzo mista. + +<<O donna in cui la mia speranza vige, + e che soffristi per la mia salute + in inferno lasciar le tue vestige, + +di tante cose quant'i' ho vedute, + dal tuo podere e da la tua bontate + riconosco la grazia e la virtute. + +Tu m'hai di servo tratto a libertate + per tutte quelle vie, per tutt'i modi + che di cio` fare avei la potestate. + +La tua magnificenza in me custodi, + si` che l'anima mia, che fatt'hai sana, + piacente a te dal corpo si disnodi>>. + +Cosi` orai; e quella, si` lontana + come parea, sorrise e riguardommi; + poi si torno` a l'etterna fontana. + +E 'l santo sene: <<Accio` che tu assommi + perfettamente>>, disse, <<il tuo cammino, + a che priego e amor santo mandommi, + +vola con li occhi per questo giardino; + che' veder lui t'acconcera` lo sguardo + piu` al montar per lo raggio divino. + +E la regina del cielo, ond'io ardo + tutto d'amor, ne fara` ogne grazia, + pero` ch'i' sono il suo fedel Bernardo>>. + +Qual e` colui che forse di Croazia + viene a veder la Veronica nostra, + che per l'antica fame non sen sazia, + +ma dice nel pensier, fin che si mostra: + 'Segnor mio Iesu` Cristo, Dio verace, + or fu si` fatta la sembianza vostra?'; + +tal era io mirando la vivace + carita` di colui che 'n questo mondo, + contemplando, gusto` di quella pace. + +<<Figliuol di grazia, quest'esser giocondo>>, + comincio` elli, <<non ti sara` noto, + tenendo li occhi pur qua giu` al fondo; + +ma guarda i cerchi infino al piu` remoto, + tanto che veggi seder la regina + cui questo regno e` suddito e devoto>>. + +Io levai li occhi; e come da mattina + la parte oriental de l'orizzonte + soverchia quella dove 'l sol declina, + +cosi`, quasi di valle andando a monte + con li occhi, vidi parte ne lo stremo + vincer di lume tutta l'altra fronte. + +E come quivi ove s'aspetta il temo + che mal guido` Fetonte, piu` s'infiamma, + e quinci e quindi il lume si fa scemo, + +cosi` quella pacifica oriafiamma + nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte + per igual modo allentava la fiamma; + +e a quel mezzo, con le penne sparte, + vid'io piu` di mille angeli festanti, + ciascun distinto di fulgore e d'arte. + +Vidi a lor giochi quivi e a lor canti + ridere una bellezza, che letizia + era ne li occhi a tutti li altri santi; + +e s'io avessi in dir tanta divizia + quanta ad imaginar, non ardirei + lo minimo tentar di sua delizia. + +Bernardo, come vide li occhi miei + nel caldo suo caler fissi e attenti, + li suoi con tanto affetto volse a lei, + +che ' miei di rimirar fe' piu` ardenti. + + + +Paradiso: Canto XXXII + + +Affetto al suo piacer, quel contemplante + libero officio di dottore assunse, + e comincio` queste parole sante: + +<<La piaga che Maria richiuse e unse, + quella ch'e` tanto bella da' suoi piedi + e` colei che l'aperse e che la punse. + +Ne l'ordine che fanno i terzi sedi, + siede Rachel di sotto da costei + con Beatrice, si` come tu vedi. + +Sarra e Rebecca, Iudit e colei + che fu bisava al cantor che per doglia + del fallo disse 'Miserere mei', + +puoi tu veder cosi` di soglia in soglia + giu` digradar, com'io ch'a proprio nome + vo per la rosa giu` di foglia in foglia. + +E dal settimo grado in giu`, si` come + infino ad esso, succedono Ebree, + dirimendo del fior tutte le chiome; + +perche', secondo lo sguardo che fee + la fede in Cristo, queste sono il muro + a che si parton le sacre scalee. + +Da questa parte onde 'l fiore e` maturo + di tutte le sue foglie, sono assisi + quei che credettero in Cristo venturo; + +da l'altra parte onde sono intercisi + di voti i semicirculi, si stanno + quei ch'a Cristo venuto ebber li visi. + +E come quinci il glorioso scanno + de la donna del cielo e li altri scanni + di sotto lui cotanta cerna fanno, + +cosi` di contra quel del gran Giovanni, + che sempre santo 'l diserto e 'l martiro + sofferse, e poi l'inferno da due anni; + +e sotto lui cosi` cerner sortiro + Francesco, Benedetto e Augustino + e altri fin qua giu` di giro in giro. + +Or mira l'alto proveder divino: + che' l'uno e l'altro aspetto de la fede + igualmente empiera` questo giardino. + +E sappi che dal grado in giu` che fiede + a mezzo il tratto le due discrezioni, + per nullo proprio merito si siede, + +ma per l'altrui, con certe condizioni: + che' tutti questi son spiriti ascolti + prima ch'avesser vere elezioni. + +Ben te ne puoi accorger per li volti + e anche per le voci puerili, + se tu li guardi bene e se li ascolti. + +Or dubbi tu e dubitando sili; + ma io disciogliero` 'l forte legame + in che ti stringon li pensier sottili. + +Dentro a l'ampiezza di questo reame + casual punto non puote aver sito, + se non come tristizia o sete o fame: + +che' per etterna legge e` stabilito + quantunque vedi, si` che giustamente + ci si risponde da l'anello al dito; + +e pero` questa festinata gente + a vera vita non e` sine causa + intra se' qui piu` e meno eccellente. + +Lo rege per cui questo regno pausa + in tanto amore e in tanto diletto, + che nulla volonta` e` di piu` ausa, + +le menti tutte nel suo lieto aspetto + creando, a suo piacer di grazia dota + diversamente; e qui basti l'effetto. + +E cio` espresso e chiaro vi si nota + ne la Scrittura santa in quei gemelli + che ne la madre ebber l'ira commota. + +Pero`, secondo il color d'i capelli, + di cotal grazia l'altissimo lume + degnamente convien che s'incappelli. + +Dunque, sanza merce' di lor costume, + locati son per gradi differenti, + sol differendo nel primiero acume. + +Bastavasi ne' secoli recenti + con l'innocenza, per aver salute, + solamente la fede d'i parenti; + +poi che le prime etadi fuor compiute, + convenne ai maschi a l'innocenti penne + per circuncidere acquistar virtute; + +ma poi che 'l tempo de la grazia venne, + sanza battesmo perfetto di Cristo + tale innocenza la` giu` si ritenne. + +Riguarda omai ne la faccia che a Cristo + piu` si somiglia, che' la sua chiarezza + sola ti puo` disporre a veder Cristo>>. + +Io vidi sopra lei tanta allegrezza + piover, portata ne le menti sante + create a trasvolar per quella altezza, + +che quantunque io avea visto davante, + di tanta ammirazion non mi sospese, + ne' mi mostro` di Dio tanto sembiante; + +e quello amor che primo li` discese, + cantando 'Ave, Maria, gratia plena', + dinanzi a lei le sue ali distese. + +Rispuose a la divina cantilena + da tutte parti la beata corte, + si` ch'ogne vista sen fe' piu` serena. + +<<O santo padre, che per me comporte + l'esser qua giu`, lasciando il dolce loco + nel qual tu siedi per etterna sorte, + +qual e` quell'angel che con tanto gioco + guarda ne li occhi la nostra regina, + innamorato si` che par di foco?>>. + +Cosi` ricorsi ancora a la dottrina + di colui ch'abbelliva di Maria, + come del sole stella mattutina. + +Ed elli a me: <<Baldezza e leggiadria + quant'esser puote in angelo e in alma, + tutta e` in lui; e si` volem che sia, + +perch'elli e` quelli che porto` la palma + giuso a Maria, quando 'l Figliuol di Dio + carcar si volse de la nostra salma. + +Ma vieni omai con li occhi si` com'io + andro` parlando, e nota i gran patrici + di questo imperio giustissimo e pio. + +Quei due che seggon la` su` piu` felici + per esser propinquissimi ad Augusta, + son d'esta rosa quasi due radici: + +colui che da sinistra le s'aggiusta + e` il padre per lo cui ardito gusto + l'umana specie tanto amaro gusta; + +dal destro vedi quel padre vetusto + di Santa Chiesa a cui Cristo le clavi + raccomando` di questo fior venusto. + +E quei che vide tutti i tempi gravi, + pria che morisse, de la bella sposa + che s'acquisto` con la lancia e coi clavi, + +siede lungh'esso, e lungo l'altro posa + quel duca sotto cui visse di manna + la gente ingrata, mobile e retrosa. + +Di contr'a Pietro vedi sedere Anna, + tanto contenta di mirar sua figlia, + che non move occhio per cantare osanna; + +e contro al maggior padre di famiglia + siede Lucia, che mosse la tua donna, + quando chinavi, a rovinar, le ciglia. + +Ma perche' 'l tempo fugge che t'assonna, + qui farem punto, come buon sartore + che com'elli ha del panno fa la gonna; + +e drizzeremo li occhi al primo amore, + si` che, guardando verso lui, penetri + quant'e` possibil per lo suo fulgore. + +Veramente, ne forse tu t'arretri + movendo l'ali tue, credendo oltrarti, + orando grazia conven che s'impetri + +grazia da quella che puote aiutarti; + e tu mi seguirai con l'affezione, + si` che dal dicer mio lo cor non parti>>. + +E comincio` questa santa orazione: + + + +Paradiso: Canto XXXIII + + +<<Vergine Madre, figlia del tuo figlio, + umile e alta piu` che creatura, + termine fisso d'etterno consiglio, + +tu se' colei che l'umana natura + nobilitasti si`, che 'l suo fattore + non disdegno` di farsi sua fattura. + +Nel ventre tuo si raccese l'amore, + per lo cui caldo ne l'etterna pace + cosi` e` germinato questo fiore. + +Qui se' a noi meridiana face + di caritate, e giuso, intra ' mortali, + se' di speranza fontana vivace. + +Donna, se' tanto grande e tanto vali, + che qual vuol grazia e a te non ricorre + sua disianza vuol volar sanz'ali. + +La tua benignita` non pur soccorre + a chi domanda, ma molte fiate + liberamente al dimandar precorre. + +In te misericordia, in te pietate, + in te magnificenza, in te s'aduna + quantunque in creatura e` di bontate. + +Or questi, che da l'infima lacuna + de l'universo infin qui ha vedute + le vite spiritali ad una ad una, + +supplica a te, per grazia, di virtute + tanto, che possa con li occhi levarsi + piu` alto verso l'ultima salute. + +E io, che mai per mio veder non arsi + piu` ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi + ti porgo, e priego che non sieno scarsi, + +perche' tu ogne nube li disleghi + di sua mortalita` co' prieghi tuoi, + si` che 'l sommo piacer li si dispieghi. + +Ancor ti priego, regina, che puoi + cio` che tu vuoli, che conservi sani, + dopo tanto veder, li affetti suoi. + +Vinca tua guardia i movimenti umani: + vedi Beatrice con quanti beati + per li miei prieghi ti chiudon le mani!>>. + +Li occhi da Dio diletti e venerati, + fissi ne l'orator, ne dimostraro + quanto i devoti prieghi le son grati; + +indi a l'etterno lume s'addrizzaro, + nel qual non si dee creder che s'invii + per creatura l'occhio tanto chiaro. + +E io ch'al fine di tutt'i disii + appropinquava, si` com'io dovea, + l'ardor del desiderio in me finii. + +Bernardo m'accennava, e sorridea, + perch'io guardassi suso; ma io era + gia` per me stesso tal qual ei volea: + +che' la mia vista, venendo sincera, + e piu` e piu` intrava per lo raggio + de l'alta luce che da se' e` vera. + +Da quinci innanzi il mio veder fu maggio + che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, + e cede la memoria a tanto oltraggio. + +Qual e` colui che sognando vede, + che dopo 'l sogno la passione impressa + rimane, e l'altro a la mente non riede, + +cotal son io, che' quasi tutta cessa + mia visione, e ancor mi distilla + nel core il dolce che nacque da essa. + +Cosi` la neve al sol si disigilla; + cosi` al vento ne le foglie levi + si perdea la sentenza di Sibilla. + +O somma luce che tanto ti levi + da' concetti mortali, a la mia mente + ripresta un poco di quel che parevi, + +e fa la lingua mia tanto possente, + ch'una favilla sol de la tua gloria + possa lasciare a la futura gente; + +che', per tornare alquanto a mia memoria + e per sonare un poco in questi versi, + piu` si concepera` di tua vittoria. + +Io credo, per l'acume ch'io soffersi + del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, + se li occhi miei da lui fossero aversi. + +E' mi ricorda ch'io fui piu` ardito + per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi + l'aspetto mio col valore infinito. + +Oh abbondante grazia ond'io presunsi + ficcar lo viso per la luce etterna, + tanto che la veduta vi consunsi! + +Nel suo profondo vidi che s'interna + legato con amore in un volume, + cio` che per l'universo si squaderna: + +sustanze e accidenti e lor costume, + quasi conflati insieme, per tal modo + che cio` ch'i' dico e` un semplice lume. + +La forma universal di questo nodo + credo ch'i' vidi, perche' piu` di largo, + dicendo questo, mi sento ch'i' godo. + +Un punto solo m'e` maggior letargo + che venticinque secoli a la 'mpresa, + che fe' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. + +Cosi` la mente mia, tutta sospesa, + mirava fissa, immobile e attenta, + e sempre di mirar faceasi accesa. + +A quella luce cotal si diventa, + che volgersi da lei per altro aspetto + e` impossibil che mai si consenta; + +pero` che 'l ben, ch'e` del volere obietto, + tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella + e` defettivo cio` ch'e` li` perfetto. + +Omai sara` piu` corta mia favella, + pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante + che bagni ancor la lingua a la mammella. + +Non perche' piu` ch'un semplice sembiante + fosse nel vivo lume ch'io mirava, + che tal e` sempre qual s'era davante; + +ma per la vista che s'avvalorava + in me guardando, una sola parvenza, + mutandom'io, a me si travagliava. + +Ne la profonda e chiara sussistenza + de l'alto lume parvermi tre giri + di tre colori e d'una contenenza; + +e l'un da l'altro come iri da iri + parea reflesso, e 'l terzo parea foco + che quinci e quindi igualmente si spiri. + +Oh quanto e` corto il dire e come fioco + al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, + e` tanto, che non basta a dicer 'poco'. + +O luce etterna che sola in te sidi, + sola t'intendi, e da te intelletta + e intendente te ami e arridi! + +Quella circulazion che si` concetta + pareva in te come lume reflesso, + da li occhi miei alquanto circunspetta, + +dentro da se', del suo colore stesso, + mi parve pinta de la nostra effige: + per che 'l mio viso in lei tutto era messo. + +Qual e` 'l geometra che tutto s'affige + per misurar lo cerchio, e non ritrova, + pensando, quel principio ond'elli indige, + +tal era io a quella vista nova: + veder voleva come si convenne + l'imago al cerchio e come vi s'indova; + +ma non eran da cio` le proprie penne: + se non che la mia mente fu percossa + da un fulgore in che sua voglia venne. + +A l'alta fantasia qui manco` possa; + ma gia` volgeva il mio disio e 'l velle, + si` come rota ch'igualmente e` mossa, + +l'amor che move il sole e l'altre stelle. + + + + +POSTSCRIPT + + + 'Ich habe unter meinen Papieren ein Blatt gefunden, + wo ich die Baukunst eine erstarrte Musik nenne.' + (Johann Wolfgang Goethe, 1829 March 23) + +I found Dante in a bar. The Poet had indeed lost the True Way to be found +reduced to party chatter in a Capitol Hill basement, but I had found him at +last. I must have been drinking in the Dark Tavern of Error, for I did not +even realize I had begun the dolorous path followed by many since the +Poet's journey of A.D. 1300. Actually no one spoke a word about Dante or +his Divine Comedy, rather I heard a second-hand Goethe call architecture +"frozen music." Soon I took my second step through the gate to a people +lost; this time on a more respectable occasion--a lecture at the Catholic +University of America. Clio, the muse of history, must have been aiding +Prof. Schumacher that evening, because it sustained my full three-hour +attention, even after I had just presented an all-night project. There I +heard of a most astonishing Italian translation of 'la Divina Commedia' di +Dante Alighieri. An Italian architect, Giuseppi Terragni, had translated +the Comedy into the 'Danteum,' a projected stone and glass monument to Poet +and Poem near the Basilica of Maxentius in Rome. + +Do not look for the Danteum in the Eternal City. In true Dantean form, +politics stood in the way of its construction in 1938. Ironically this +literature-inspired building can itself most easily be found in book form. +Reading this book I remembered Goethe's quote about frozen music. Did +Terragni try to freeze Dante's medieval miracle of song? Certainly a +cold-poem seems artistically repulsive. Unflattering comparisons to the +lake of Cocytus spring to mind too. While I cannot read Italian, I can read +some German. After locating the original quotation I discovered that +'frozen' is a problematic (though common) translation of Goethe's original +'erstarrte.' The verb 'erstarren' more properly means 'to solidify' or 'to +stiffen.' This suggests a chemical reaction in which the art does not +necessarily chill in the transformation. Nor can simple thawing yield the +original work. Like a chemical reaction it requires an artistic catalyst, a +muse. Indeed the Danteum is not a physical translation of the Poem. +Terragni thought it inappropriate to translate the Comedy literally into a +non-literary work. The Danteum would not be a stage set, rather Terragni +generated his design from the Comedy's structure, not its finishes. + + The poem is divided into three canticles of thirty-three cantos + each, plus one extra in the first, the Inferno, making a total of + one hundred cantos. Each canto is composed of three-line tercets, + the first and third lines rhyme, the second line rhymes with the + beginning of the next tercet, establishing a kind of overlap, + reflected in the overlapping motif of the Danteum design. Dante's + realms are further subdivided: the Inferno is composed of nine + levels, the vestibule makes a tenth. Purgatory has seven + terraces, plus two ledges in an ante-purgatory; adding these to + the Earthly Paradise yields ten zones. Paradise is composed of + nine heavens; Empyrean makes the tenth. In the Inferno, sinners + are organized by three vices--Incontinence, Violence, and + Fraud--and further subdivided by the seven deadly sins. In + Purgatory, penance is ordered on the basis of three types of + natural love. Paradise is organized on the basis of three types + of Divine Love, and further subdivided according to the three + theological and four cardinal virtues. + (Thomas Schumacher, "The Danteum," + Princeton Architectural Press, 1993) + +By translating the structure, Terragni could then layer the literal and the +spiritual meanings of the Poem without allowing either to dominate. These +layers of meaning are native to the Divine Comedy as they are native to +much medieval literature, although modern readers and tourists may not be +so familiar with them. They are literal, allegorical, moral, and +anagogical. I offer you St. Thomas of Aquinas' definition of these last +three as they relate to Sacred Scripture: + + . . .this spiritual sense has a threefold division. . .so far as + the things of the Old Law signify the things of the New Law, + there is the allegorical sense; so far as the things done in + Christ, or so far as the things which signify Christ, are types + of what we ought to do, there is the moral sense. But so far as + they signify what relates to eternal glory, there is the + anagogical sense. (Summa Theologica I, 1, 10) + +Within the Danteum the Poet's meanings lurk in solid form. An example: the +Danteum design does have spaces literally associated with the Comedy--the +Dark Wood of Error, Inferno, Purgatorio, and the Paradiso--but these spaces +also relate among themselves spiritually. Dante often highlights a virtue +by first condemning its corruption. Within Dante's system Justice is the +greatest of the cardinal virtues; its corruption, Fraud, is the most +contemptible of vices. Because Dante saw the papacy as the most precious of +sacred institutions, corrupt popes figure prominently among the damned in +the Poet's Inferno. In the Danteum the materiality of the worldly Dark Wood +directly opposes the transcendence of the Paradiso. In the realm of error +every thought is lost and secular, while in heaven every soul's intent is +directed toward God. The shadowy Inferno of the Danteum mirrors the +Purgatorio's illuminated ascent to heaven. Purgatory embodies hope and +growth where hell chases its own dark inertia. Such is the cosmography +shared by Terragni and Dante. + +In this postscript I intend neither to fully examine the meaning nor the +plan of the Danteum, but rather to evince the power that art has acted as a +catalyst to other artists. The Danteum, a modern design inspired by a +medieval poem, is but one example. Dante's poem is filled with characters +epitomizing the full range of vices and virtues of human personalities. +Dante's characters come from his present and literature's past; they are +mythological, biblical, classical, ancient, and medieval. They, rather than +Calliope and her sisters, were Dante's muses. + +'La Divina Commedia' seems a natural candidate to complete Project +Gutenberg's first milleditio and to begin its second thousand e-texts. +Although distinctly medieval, its continuum of influence spans the +Renaissance and modernity. Terragni saw his place within the Comedy as +surely as Dante saw his own. We too fit within Dante's understanding of the +human condition; we differ less from our past than we might like to +believe. T. S. Eliot understood this when he wrote "Dante and Shakespeare +divide the modern world between them, there is no third." So now Dante +joins Shakespeare (e-text #100) in the Project Gutenberg collection. Two +works that influenced Dante are also part of the collection: The Bible +(#10) and Virgil's Aeneid (#227). Other major influences--St. Thomas of +Aquinas' Summa Theologica, The Metamorphoses of Ovid, and Aristotle's +Nicomachean Ethics--are available in electronic form at other Internet +sites. If one searches enough he may even find a computer rendering of the +Danteum on the Internet. By presenting this electronic text to Project +Gutenberg it is my hope that in will not rest in a computer unknown and +unread; it is my hope that artists will see themselves in the Divine Comedy +and be inspired, just as Dante ran the paths left by Virgil and St. Thomas +that lead him to the stars. + +Dennis McCarthy, July 1997 +Atlanta, Georgia USA +imprimatur@juno.com + + + + +TECHNICAL NOTES + + +This edition has been rendered in 7-bit ASCII. Special Italian characters +that require an 8-bit format have been transcribed into multiple characters. +Below is a chart with the 8-bit character (which may not display properly), +its written description, and how it has been rendered in this 7-bit version. + + guillemot left << + guillemot right >> + a grave accent a` (at the end of a word, otherwise: a) + e grave accent e` (at the end of a word, otherwise: e) + e acute accent e' (at the end of a word, otherwise: e) + i grave accent i` (at the end of a word, otherwise: i) + i diaresis/umlaut ii + o grave accent o` (at the end of a word, otherwise: o) + o acute accent o' (at the end of a word, otherwise: o) + u grave accent u` (at the end of a word, otherwise: u) + +Italic text, displayed with mark-up tags (<I>italic</I>) in the 8-bit +version, has has not been rendered here. To view the italics and +special characters please refer to the 8-bit or HTML version of this +e-text. + + + + + +End of this Project Gutenberg E-text of +Divina Commedia di Dante: Paradiso [7-bit text] + diff --git a/old/999.zip b/old/999.zip Binary files differnew file mode 100644 index 0000000..b327bef --- /dev/null +++ b/old/999.zip |
