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+The Project Gutenberg eBook of La Divina Commedia di Dante: Paradiso, by Dante Alighieri
+
+This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
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+whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
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+using this eBook.
+
+Title: La Divina Commedia di Dante
+ Paradiso
+
+Author: Dante Alighieri
+
+Release Date: August, 1997 [eBook #999]
+[Most recently updated: April 25, 2021]
+
+Language: Italian
+
+Character set encoding: UTF-8
+
+
+*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA ***
+
+
+
+
+LA DIVINA COMMEDIA
+
+di Dante Alighieri
+
+CANTICA III: PARADISO
+
+
+Contents
+
+ PARADISO
+ Canto I.
+ Canto II.
+ Canto III.
+ Canto IV.
+ Canto V.
+ Canto VI.
+ Canto VII.
+ Canto VIII.
+ Canto IX.
+ Canto X.
+ Canto XI.
+ Canto XII.
+ Canto XIII.
+ Canto XIV.
+ Canto XV.
+ Canto XVI.
+ Canto XVII.
+ Canto XVIII.
+ Canto XIX.
+ Canto XX.
+ Canto XXI.
+ Canto XXII.
+ Canto XXIII.
+ Canto XXIV.
+ Canto XXV.
+ Canto XXVI.
+ Canto XXVII.
+ Canto XXVIII.
+ Canto XXIX.
+ Canto XXX.
+ Canto XXXI.
+ Canto XXXII.
+ Canto XXXIII.
+
+
+
+
+PARADISO
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto I
+
+
+La gloria di colui che tutto move
+per l’universo penetra, e risplende
+in una parte più e meno altrove.
+
+Nel ciel che più de la sua luce prende
+fu’ io, e vidi cose che ridire
+né sa né può chi di là sù discende;
+
+perché appressando sé al suo disire,
+nostro intelletto si profonda tanto,
+che dietro la memoria non può ire.
+
+Veramente quant’ io del regno santo
+ne la mia mente potei far tesoro,
+sarà ora materia del mio canto.
+
+O buono Appollo, a l’ultimo lavoro
+fammi del tuo valor sì fatto vaso,
+come dimandi a dar l’amato alloro.
+
+Infino a qui l’un giogo di Parnaso
+assai mi fu; ma or con amendue
+m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso.
+
+Entra nel petto mio, e spira tue
+sì come quando Marsïa traesti
+de la vagina de le membra sue.
+
+O divina virtù, se mi ti presti
+tanto che l’ombra del beato regno
+segnata nel mio capo io manifesti,
+
+vedra’mi al piè del tuo diletto legno
+venire, e coronarmi de le foglie
+che la materia e tu mi farai degno.
+
+Sì rade volte, padre, se ne coglie
+per trïunfare o cesare o poeta,
+colpa e vergogna de l’umane voglie,
+
+che parturir letizia in su la lieta
+delfica deïtà dovria la fronda
+peneia, quando alcun di sé asseta.
+
+Poca favilla gran fiamma seconda:
+forse di retro a me con miglior voci
+si pregherà perché Cirra risponda.
+
+Surge ai mortali per diverse foci
+la lucerna del mondo; ma da quella
+che quattro cerchi giugne con tre croci,
+
+con miglior corso e con migliore stella
+esce congiunta, e la mondana cera
+più a suo modo tempera e suggella.
+
+Fatto avea di là mane e di qua sera
+tal foce, e quasi tutto era là bianco
+quello emisperio, e l’altra parte nera,
+
+quando Beatrice in sul sinistro fianco
+vidi rivolta e riguardar nel sole:
+aguglia sì non li s’affisse unquanco.
+
+E sì come secondo raggio suole
+uscir del primo e risalire in suso,
+pur come pelegrin che tornar vuole,
+
+così de l’atto suo, per li occhi infuso
+ne l’imagine mia, il mio si fece,
+e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso.
+
+Molto è licito là, che qui non lece
+a le nostre virtù, mercé del loco
+fatto per proprio de l’umana spece.
+
+Io nol soffersi molto, né sì poco,
+ch’io nol vedessi sfavillar dintorno,
+com’ ferro che bogliente esce del foco;
+
+e di sùbito parve giorno a giorno
+essere aggiunto, come quei che puote
+avesse il ciel d’un altro sole addorno.
+
+Beatrice tutta ne l’etterne rote
+fissa con li occhi stava; e io in lei
+le luci fissi, di là sù rimote.
+
+Nel suo aspetto tal dentro mi fei,
+qual si fé Glauco nel gustar de l’erba
+che ’l fé consorto in mar de li altri dèi.
+
+Trasumanar significar per verba
+non si poria; però l’essemplo basti
+a cui esperïenza grazia serba.
+
+S’i’ era sol di me quel che creasti
+novellamente, amor che ’l ciel governi,
+tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti.
+
+Quando la rota che tu sempiterni
+desiderato, a sé mi fece atteso
+con l’armonia che temperi e discerni,
+
+parvemi tanto allor del cielo acceso
+de la fiamma del sol, che pioggia o fiume
+lago non fece alcun tanto disteso.
+
+La novità del suono e ’l grande lume
+di lor cagion m’accesero un disio
+mai non sentito di cotanto acume.
+
+Ond’ ella, che vedea me sì com’ io,
+a quïetarmi l’animo commosso,
+pria ch’io a dimandar, la bocca aprio
+
+e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
+col falso imaginar, sì che non vedi
+ciò che vedresti se l’avessi scosso.
+
+Tu non se’ in terra, sì come tu credi;
+ma folgore, fuggendo il proprio sito,
+non corse come tu ch’ad esso riedi».
+
+S’io fui del primo dubbio disvestito
+per le sorrise parolette brevi,
+dentro ad un nuovo più fu’ inretito
+
+e dissi: «Già contento requïevi
+di grande ammirazion; ma ora ammiro
+com’ io trascenda questi corpi levi».
+
+Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro,
+li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante
+che madre fa sovra figlio deliro,
+
+e cominciò: «Le cose tutte quante
+hanno ordine tra loro, e questo è forma
+che l’universo a Dio fa simigliante.
+
+Qui veggion l’alte creature l’orma
+de l’etterno valore, il qual è fine
+al quale è fatta la toccata norma.
+
+Ne l’ordine ch’io dico sono accline
+tutte nature, per diverse sorti,
+più al principio loro e men vicine;
+
+onde si muovono a diversi porti
+per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
+con istinto a lei dato che la porti.
+
+Questi ne porta il foco inver’ la luna;
+questi ne’ cor mortali è permotore;
+questi la terra in sé stringe e aduna;
+
+né pur le creature che son fore
+d’intelligenza quest’ arco saetta,
+ma quelle c’hanno intelletto e amore.
+
+La provedenza, che cotanto assetta,
+del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto
+nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;
+
+e ora lì, come a sito decreto,
+cen porta la virtù di quella corda
+che ciò che scocca drizza in segno lieto.
+
+Vero è che, come forma non s’accorda
+molte fïate a l’intenzion de l’arte,
+perch’ a risponder la materia è sorda,
+
+così da questo corso si diparte
+talor la creatura, c’ha podere
+di piegar, così pinta, in altra parte;
+
+e sì come veder si può cadere
+foco di nube, sì l’impeto primo
+l’atterra torto da falso piacere.
+
+Non dei più ammirar, se bene stimo,
+lo tuo salir, se non come d’un rivo
+se d’alto monte scende giuso ad imo.
+
+Maraviglia sarebbe in te se, privo
+d’impedimento, giù ti fossi assiso,
+com’ a terra quïete in foco vivo».
+
+Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto II
+
+
+O voi che siete in piccioletta barca,
+desiderosi d’ascoltar, seguiti
+dietro al mio legno che cantando varca,
+
+tornate a riveder li vostri liti:
+non vi mettete in pelago, ché forse,
+perdendo me, rimarreste smarriti.
+
+L’acqua ch’io prendo già mai non si corse;
+Minerva spira, e conducemi Appollo,
+e nove Muse mi dimostran l’Orse.
+
+Voialtri pochi che drizzaste il collo
+per tempo al pan de li angeli, del quale
+vivesi qui ma non sen vien satollo,
+
+metter potete ben per l’alto sale
+vostro navigio, servando mio solco
+dinanzi a l’acqua che ritorna equale.
+
+Que’ glorïosi che passaro al Colco
+non s’ammiraron come voi farete,
+quando Iasón vider fatto bifolco.
+
+La concreata e perpetüa sete
+del deïforme regno cen portava
+veloci quasi come ’l ciel vedete.
+
+Beatrice in suso, e io in lei guardava;
+e forse in tanto in quanto un quadrel posa
+e vola e da la noce si dischiava,
+
+giunto mi vidi ove mirabil cosa
+mi torse il viso a sé; e però quella
+cui non potea mia cura essere ascosa,
+
+volta ver’ me, sì lieta come bella,
+«Drizza la mente in Dio grata», mi disse,
+«che n’ha congiunti con la prima stella».
+
+Parev’ a me che nube ne coprisse
+lucida, spessa, solida e pulita,
+quasi adamante che lo sol ferisse.
+
+Per entro sé l’etterna margarita
+ne ricevette, com’ acqua recepe
+raggio di luce permanendo unita.
+
+S’io era corpo, e qui non si concepe
+com’ una dimensione altra patio,
+ch’esser convien se corpo in corpo repe,
+
+accender ne dovria più il disio
+di veder quella essenza in che si vede
+come nostra natura e Dio s’unio.
+
+Lì si vedrà ciò che tenem per fede,
+non dimostrato, ma fia per sé noto
+a guisa del ver primo che l’uom crede.
+
+Io rispuosi: «Madonna, sì devoto
+com’ esser posso più, ringrazio lui
+lo qual dal mortal mondo m’ha remoto.
+
+Ma ditemi: che son li segni bui
+di questo corpo, che là giuso in terra
+fan di Cain favoleggiare altrui?».
+
+Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra
+l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali
+dove chiave di senso non diserra,
+
+certo non ti dovrien punger li strali
+d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi
+vedi che la ragione ha corte l’ali.
+
+Ma dimmi quel che tu da te ne pensi».
+E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso
+credo che fanno i corpi rari e densi».
+
+Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso
+nel falso il creder tuo, se bene ascolti
+l’argomentar ch’io li farò avverso.
+
+La spera ottava vi dimostra molti
+lumi, li quali e nel quale e nel quanto
+notar si posson di diversi volti.
+
+Se raro e denso ciò facesser tanto,
+una sola virtù sarebbe in tutti,
+più e men distributa e altrettanto.
+
+Virtù diverse esser convegnon frutti
+di princìpi formali, e quei, for ch’uno,
+seguiterieno a tua ragion distrutti.
+
+Ancor, se raro fosse di quel bruno
+cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte
+fora di sua materia sì digiuno
+
+esto pianeto, o, sì come comparte
+lo grasso e ’l magro un corpo, così questo
+nel suo volume cangerebbe carte.
+
+Se ’l primo fosse, fora manifesto
+ne l’eclissi del sol, per trasparere
+lo lume come in altro raro ingesto.
+
+Questo non è: però è da vedere
+de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi,
+falsificato fia lo tuo parere.
+
+S’elli è che questo raro non trapassi,
+esser conviene un termine da onde
+lo suo contrario più passar non lassi;
+
+e indi l’altrui raggio si rifonde
+così come color torna per vetro
+lo qual di retro a sé piombo nasconde.
+
+Or dirai tu ch’el si dimostra tetro
+ivi lo raggio più che in altre parti,
+per esser lì refratto più a retro.
+
+Da questa instanza può deliberarti
+esperïenza, se già mai la provi,
+ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti.
+
+Tre specchi prenderai; e i due rimovi
+da te d’un modo, e l’altro, più rimosso,
+tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi.
+
+Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso
+ti stea un lume che i tre specchi accenda
+e torni a te da tutti ripercosso.
+
+Ben che nel quanto tanto non si stenda
+la vista più lontana, lì vedrai
+come convien ch’igualmente risplenda.
+
+Or, come ai colpi de li caldi rai
+de la neve riman nudo il suggetto
+e dal colore e dal freddo primai,
+
+così rimaso te ne l’intelletto
+voglio informar di luce sì vivace,
+che ti tremolerà nel suo aspetto.
+
+Dentro dal ciel de la divina pace
+si gira un corpo ne la cui virtute
+l’esser di tutto suo contento giace.
+
+Lo ciel seguente, c’ha tante vedute,
+quell’ esser parte per diverse essenze,
+da lui distratte e da lui contenute.
+
+Li altri giron per varie differenze
+le distinzion che dentro da sé hanno
+dispongono a lor fini e lor semenze.
+
+Questi organi del mondo così vanno,
+come tu vedi omai, di grado in grado,
+che di sù prendono e di sotto fanno.
+
+Riguarda bene omai sì com’ io vado
+per questo loco al vero che disiri,
+sì che poi sappi sol tener lo guado.
+
+Lo moto e la virtù d’i santi giri,
+come dal fabbro l’arte del martello,
+da’ beati motor convien che spiri;
+
+e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello,
+de la mente profonda che lui volve
+prende l’image e fassene suggello.
+
+E come l’alma dentro a vostra polve
+per differenti membra e conformate
+a diverse potenze si risolve,
+
+così l’intelligenza sua bontate
+multiplicata per le stelle spiega,
+girando sé sovra sua unitate.
+
+Virtù diversa fa diversa lega
+col prezïoso corpo ch’ella avviva,
+nel qual, sì come vita in voi, si lega.
+
+Per la natura lieta onde deriva,
+la virtù mista per lo corpo luce
+come letizia per pupilla viva.
+
+Da essa vien ciò che da luce a luce
+par differente, non da denso e raro;
+essa è formal principio che produce,
+
+conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto III
+
+
+Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto,
+di bella verità m’avea scoverto,
+provando e riprovando, il dolce aspetto;
+
+e io, per confessar corretto e certo
+me stesso, tanto quanto si convenne
+leva’ il capo a proferer più erto;
+
+ma visïone apparve che ritenne
+a sé me tanto stretto, per vedersi,
+che di mia confession non mi sovvenne.
+
+Quali per vetri trasparenti e tersi,
+o ver per acque nitide e tranquille,
+non sì profonde che i fondi sien persi,
+
+tornan d’i nostri visi le postille
+debili sì, che perla in bianca fronte
+non vien men forte a le nostre pupille;
+
+tali vid’ io più facce a parlar pronte;
+per ch’io dentro a l’error contrario corsi
+a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte.
+
+Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi,
+quelle stimando specchiati sembianti,
+per veder di cui fosser, li occhi torsi;
+
+e nulla vidi, e ritorsili avanti
+dritti nel lume de la dolce guida,
+che, sorridendo, ardea ne li occhi santi.
+
+«Non ti maravigliar perch’ io sorrida»,
+mi disse, «appresso il tuo püeril coto,
+poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida,
+
+ma te rivolve, come suole, a vòto:
+vere sustanze son ciò che tu vedi,
+qui rilegate per manco di voto.
+
+Però parla con esse e odi e credi;
+ché la verace luce che le appaga
+da sé non lascia lor torcer li piedi».
+
+E io a l’ombra che parea più vaga
+di ragionar, drizza’mi, e cominciai,
+quasi com’ uom cui troppa voglia smaga:
+
+«O ben creato spirito, che a’ rai
+di vita etterna la dolcezza senti
+che, non gustata, non s’intende mai,
+
+grazïoso mi fia se mi contenti
+del nome tuo e de la vostra sorte».
+Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti:
+
+«La nostra carità non serra porte
+a giusta voglia, se non come quella
+che vuol simile a sé tutta sua corte.
+
+I’ fui nel mondo vergine sorella;
+e se la mente tua ben sé riguarda,
+non mi ti celerà l’esser più bella,
+
+ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda,
+che, posta qui con questi altri beati,
+beata sono in la spera più tarda.
+
+Li nostri affetti, che solo infiammati
+son nel piacer de lo Spirito Santo,
+letizian del suo ordine formati.
+
+E questa sorte che par giù cotanto,
+però n’è data, perché fuor negletti
+li nostri voti, e vòti in alcun canto».
+
+Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti
+vostri risplende non so che divino
+che vi trasmuta da’ primi concetti:
+
+però non fui a rimembrar festino;
+ma or m’aiuta ciò che tu mi dici,
+sì che raffigurar m’è più latino.
+
+Ma dimmi: voi che siete qui felici,
+disiderate voi più alto loco
+per più vedere e per più farvi amici?».
+
+Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco;
+da indi mi rispuose tanto lieta,
+ch’arder parea d’amor nel primo foco:
+
+«Frate, la nostra volontà quïeta
+virtù di carità, che fa volerne
+sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta.
+
+Se disïassimo esser più superne,
+foran discordi li nostri disiri
+dal voler di colui che qui ne cerne;
+
+che vedrai non capere in questi giri,
+s’essere in carità è qui necesse,
+e se la sua natura ben rimiri.
+
+Anzi è formale ad esto beato esse
+tenersi dentro a la divina voglia,
+per ch’una fansi nostre voglie stesse;
+
+sì che, come noi sem di soglia in soglia
+per questo regno, a tutto il regno piace
+com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia.
+
+E ’n la sua volontade è nostra pace:
+ell’ è quel mare al qual tutto si move
+ciò ch’ella crïa o che natura face».
+
+Chiaro mi fu allor come ogne dove
+in cielo è paradiso, etsi la grazia
+del sommo ben d’un modo non vi piove.
+
+Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia
+e d’un altro rimane ancor la gola,
+che quel si chere e di quel si ringrazia,
+
+così fec’ io con atto e con parola,
+per apprender da lei qual fu la tela
+onde non trasse infino a co la spuola.
+
+«Perfetta vita e alto merto inciela
+donna più sù», mi disse, «a la cui norma
+nel vostro mondo giù si veste e vela,
+
+perché fino al morir si vegghi e dorma
+con quello sposo ch’ogne voto accetta
+che caritate a suo piacer conforma.
+
+Dal mondo, per seguirla, giovinetta
+fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi
+e promisi la via de la sua setta.
+
+Uomini poi, a mal più ch’a bene usi,
+fuor mi rapiron de la dolce chiostra:
+Iddio si sa qual poi mia vita fusi.
+
+E quest’ altro splendor che ti si mostra
+da la mia destra parte e che s’accende
+di tutto il lume de la spera nostra,
+
+ciò ch’io dico di me, di sé intende;
+sorella fu, e così le fu tolta
+di capo l’ombra de le sacre bende.
+
+Ma poi che pur al mondo fu rivolta
+contra suo grado e contra buona usanza,
+non fu dal vel del cor già mai disciolta.
+
+Quest’ è la luce de la gran Costanza
+che del secondo vento di Soave
+generò ’l terzo e l’ultima possanza».
+
+Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave,
+Maria’ cantando, e cantando vanio
+come per acqua cupa cosa grave.
+
+La vista mia, che tanto lei seguio
+quanto possibil fu, poi che la perse,
+volsesi al segno di maggior disio,
+
+e a Beatrice tutta si converse;
+ma quella folgorò nel mïo sguardo
+sì che da prima il viso non sofferse;
+
+e ciò mi fece a dimandar più tardo.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto IV
+
+
+Intra due cibi, distanti e moventi
+d’un modo, prima si morria di fame,
+che liber’ omo l’un recasse ai denti;
+
+sì si starebbe un agno intra due brame
+di fieri lupi, igualmente temendo;
+sì si starebbe un cane intra due dame:
+
+per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
+da li miei dubbi d’un modo sospinto,
+poi ch’era necessario, né commendo.
+
+Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto
+m’era nel viso, e ’l dimandar con ello,
+più caldo assai che per parlar distinto.
+
+Fé sì Beatrice qual fé Danïello,
+Nabuccodonosor levando d’ira,
+che l’avea fatto ingiustamente fello;
+
+e disse: «Io veggio ben come ti tira
+uno e altro disio, sì che tua cura
+sé stessa lega sì che fuor non spira.
+
+Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura,
+la vïolenza altrui per qual ragione
+di meritar mi scema la misura?”.
+
+Ancor di dubitar ti dà cagione
+parer tornarsi l’anime a le stelle,
+secondo la sentenza di Platone.
+
+Queste son le question che nel tuo velle
+pontano igualmente; e però pria
+tratterò quella che più ha di felle.
+
+D’i Serafin colui che più s’india,
+Moïsè, Samuel, e quel Giovanni
+che prender vuoli, io dico, non Maria,
+
+non hanno in altro cielo i loro scanni
+che questi spirti che mo t’appariro,
+né hanno a l’esser lor più o meno anni;
+
+ma tutti fanno bello il primo giro,
+e differentemente han dolce vita
+per sentir più e men l’etterno spiro.
+
+Qui si mostraro, non perché sortita
+sia questa spera lor, ma per far segno
+de la celestïal c’ha men salita.
+
+Così parlar conviensi al vostro ingegno,
+però che solo da sensato apprende
+ciò che fa poscia d’intelletto degno.
+
+Per questo la Scrittura condescende
+a vostra facultate, e piedi e mano
+attribuisce a Dio e altro intende;
+
+e Santa Chiesa con aspetto umano
+Gabrïel e Michel vi rappresenta,
+e l’altro che Tobia rifece sano.
+
+Quel che Timeo de l’anime argomenta
+non è simile a ciò che qui si vede,
+però che, come dice, par che senta.
+
+Dice che l’alma a la sua stella riede,
+credendo quella quindi esser decisa
+quando natura per forma la diede;
+
+e forse sua sentenza è d’altra guisa
+che la voce non suona, ed esser puote
+con intenzion da non esser derisa.
+
+S’elli intende tornare a queste ruote
+l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse
+in alcun vero suo arco percuote.
+
+Questo principio, male inteso, torse
+già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
+Mercurio e Marte a nominar trascorse.
+
+L’altra dubitazion che ti commove
+ha men velen, però che sua malizia
+non ti poria menar da me altrove.
+
+Parere ingiusta la nostra giustizia
+ne li occhi d’i mortali, è argomento
+di fede e non d’eretica nequizia.
+
+Ma perché puote vostro accorgimento
+ben penetrare a questa veritate,
+come disiri, ti farò contento.
+
+Se vïolenza è quando quel che pate
+nïente conferisce a quel che sforza,
+non fuor quest’ alme per essa scusate:
+
+ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,
+ma fa come natura face in foco,
+se mille volte vïolenza il torza.
+
+Per che, s’ella si piega assai o poco,
+segue la forza; e così queste fero
+possendo rifuggir nel santo loco.
+
+Se fosse stato lor volere intero,
+come tenne Lorenzo in su la grada,
+e fece Muzio a la sua man severo,
+
+così l’avria ripinte per la strada
+ond’ eran tratte, come fuoro sciolte;
+ma così salda voglia è troppo rada.
+
+E per queste parole, se ricolte
+l’hai come dei, è l’argomento casso
+che t’avria fatto noia ancor più volte.
+
+Ma or ti s’attraversa un altro passo
+dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
+non usciresti: pria saresti lasso.
+
+Io t’ho per certo ne la mente messo
+ch’alma beata non poria mentire,
+però ch’è sempre al primo vero appresso;
+
+e poi potesti da Piccarda udire
+che l’affezion del vel Costanza tenne;
+sì ch’ella par qui meco contradire.
+
+Molte fïate già, frate, addivenne
+che, per fuggir periglio, contra grato
+si fé di quel che far non si convenne;
+
+come Almeone, che, di ciò pregato
+dal padre suo, la propria madre spense,
+per non perder pietà si fé spietato.
+
+A questo punto voglio che tu pense
+che la forza al voler si mischia, e fanno
+sì che scusar non si posson l’offense.
+
+Voglia assoluta non consente al danno;
+ma consentevi in tanto in quanto teme,
+se si ritrae, cadere in più affanno.
+
+Però, quando Piccarda quello spreme,
+de la voglia assoluta intende, e io
+de l’altra; sì che ver diciamo insieme».
+
+Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
+ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva;
+tal puose in pace uno e altro disio.
+
+«O amanza del primo amante, o diva»,
+diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda
+e scalda sì, che più e più m’avviva,
+
+non è l’affezion mia tanto profonda,
+che basti a render voi grazia per grazia;
+ma quei che vede e puote a ciò risponda.
+
+Io veggio ben che già mai non si sazia
+nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra
+di fuor dal qual nessun vero si spazia.
+
+Posasi in esso, come fera in lustra,
+tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
+se non, ciascun disio sarebbe frustra.
+
+Nasce per quello, a guisa di rampollo,
+a piè del vero il dubbio; ed è natura
+ch’al sommo pinge noi di collo in collo.
+
+Questo m’invita, questo m’assicura
+con reverenza, donna, a dimandarvi
+d’un’altra verità che m’è oscura.
+
+Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi
+ai voti manchi sì con altri beni,
+ch’a la vostra statera non sien parvi».
+
+Beatrice mi guardò con li occhi pieni
+di faville d’amor così divini,
+che, vinta, mia virtute diè le reni,
+
+e quasi mi perdei con li occhi chini.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto V
+
+
+«S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore
+di là dal modo che ’n terra si vede,
+sì che del viso tuo vinco il valore,
+
+non ti maravigliar, ché ciò procede
+da perfetto veder, che, come apprende,
+così nel bene appreso move il piede.
+
+Io veggio ben sì come già resplende
+ne l’intelletto tuo l’etterna luce,
+che, vista, sola e sempre amore accende;
+
+e s’altra cosa vostro amor seduce,
+non è se non di quella alcun vestigio,
+mal conosciuto, che quivi traluce.
+
+Tu vuo’ saper se con altro servigio,
+per manco voto, si può render tanto
+che l’anima sicuri di letigio».
+
+Sì cominciò Beatrice questo canto;
+e sì com’ uom che suo parlar non spezza,
+continüò così ’l processo santo:
+
+«Lo maggior don che Dio per sua larghezza
+fesse creando, e a la sua bontate
+più conformato, e quel ch’e’ più apprezza,
+
+fu de la volontà la libertate;
+di che le creature intelligenti,
+e tutte e sole, fuoro e son dotate.
+
+Or ti parrà, se tu quinci argomenti,
+l’alto valor del voto, s’è sì fatto
+che Dio consenta quando tu consenti;
+
+ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto,
+vittima fassi di questo tesoro,
+tal quale io dico; e fassi col suo atto.
+
+Dunque che render puossi per ristoro?
+Se credi bene usar quel c’hai offerto,
+di maltolletto vuo’ far buon lavoro.
+
+Tu se’ omai del maggior punto certo;
+ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa,
+che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto,
+
+convienti ancor sedere un poco a mensa,
+però che ’l cibo rigido c’hai preso,
+richiede ancora aiuto a tua dispensa.
+
+Apri la mente a quel ch’io ti paleso
+e fermalvi entro; ché non fa scïenza,
+sanza lo ritenere, avere inteso.
+
+Due cose si convegnono a l’essenza
+di questo sacrificio: l’una è quella
+di che si fa; l’altr’ è la convenenza.
+
+Quest’ ultima già mai non si cancella
+se non servata; e intorno di lei
+sì preciso di sopra si favella:
+
+però necessitato fu a li Ebrei
+pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta
+sì permutasse, come saver dei.
+
+L’altra, che per materia t’è aperta,
+puote ben esser tal, che non si falla
+se con altra materia si converta.
+
+Ma non trasmuti carco a la sua spalla
+per suo arbitrio alcun, sanza la volta
+e de la chiave bianca e de la gialla;
+
+e ogne permutanza credi stolta,
+se la cosa dimessa in la sorpresa
+come ’l quattro nel sei non è raccolta.
+
+Però qualunque cosa tanto pesa
+per suo valor che tragga ogne bilancia,
+sodisfar non si può con altra spesa.
+
+Non prendan li mortali il voto a ciancia;
+siate fedeli, e a ciò far non bieci,
+come Ieptè a la sua prima mancia;
+
+cui più si convenia dicer ‘Mal feci’,
+che, servando, far peggio; e così stolto
+ritrovar puoi il gran duca de’ Greci,
+
+onde pianse Efigènia il suo bel volto,
+e fé pianger di sé i folli e i savi
+ch’udir parlar di così fatto cólto.
+
+Siate, Cristiani, a muovervi più gravi:
+non siate come penna ad ogne vento,
+e non crediate ch’ogne acqua vi lavi.
+
+Avete il novo e ’l vecchio Testamento,
+e ’l pastor de la Chiesa che vi guida;
+questo vi basti a vostro salvamento.
+
+Se mala cupidigia altro vi grida,
+uomini siate, e non pecore matte,
+sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida!
+
+Non fate com’ agnel che lascia il latte
+de la sua madre, e semplice e lascivo
+seco medesmo a suo piacer combatte!».
+
+Così Beatrice a me com’ ïo scrivo;
+poi si rivolse tutta disïante
+a quella parte ove ’l mondo è più vivo.
+
+Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante
+puoser silenzio al mio cupido ingegno,
+che già nuove questioni avea davante;
+
+e sì come saetta che nel segno
+percuote pria che sia la corda queta,
+così corremmo nel secondo regno.
+
+Quivi la donna mia vid’ io sì lieta,
+come nel lume di quel ciel si mise,
+che più lucente se ne fé ’l pianeta.
+
+E se la stella si cambiò e rise,
+qual mi fec’ io che pur da mia natura
+trasmutabile son per tutte guise!
+
+Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura
+traggonsi i pesci a ciò che vien di fori
+per modo che lo stimin lor pastura,
+
+sì vid’ io ben più di mille splendori
+trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia:
+«Ecco chi crescerà li nostri amori».
+
+E sì come ciascuno a noi venìa,
+vedeasi l’ombra piena di letizia
+nel folgór chiaro che di lei uscia.
+
+Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia
+non procedesse, come tu avresti
+di più savere angosciosa carizia;
+
+e per te vederai come da questi
+m’era in disio d’udir lor condizioni,
+sì come a li occhi mi fur manifesti.
+
+«O bene nato a cui veder li troni
+del trïunfo etternal concede grazia
+prima che la milizia s’abbandoni,
+
+del lume che per tutto il ciel si spazia
+noi semo accesi; e però, se disii
+di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia».
+
+Così da un di quelli spirti pii
+detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì
+sicuramente, e credi come a dii».
+
+«Io veggio ben sì come tu t’annidi
+nel proprio lume, e che de li occhi il traggi,
+perch’ e’ corusca sì come tu ridi;
+
+ma non so chi tu se’, né perché aggi,
+anima degna, il grado de la spera
+che si vela a’ mortai con altrui raggi».
+
+Questo diss’ io diritto a la lumera
+che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi
+lucente più assai di quel ch’ell’ era.
+
+Sì come il sol che si cela elli stessi
+per troppa luce, come ’l caldo ha róse
+le temperanze d’i vapori spessi,
+
+per più letizia sì mi si nascose
+dentro al suo raggio la figura santa;
+e così chiusa chiusa mi rispuose
+
+nel modo che ’l seguente canto canta.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto VI
+
+
+«Poscia che Costantin l’aquila volse
+contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio
+dietro a l’antico che Lavina tolse,
+
+cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio
+ne lo stremo d’Europa si ritenne,
+vicino a’ monti de’ quai prima uscìo;
+
+e sotto l’ombra de le sacre penne
+governò ’l mondo lì di mano in mano,
+e, sì cangiando, in su la mia pervenne.
+
+Cesare fui e son Iustinïano,
+che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
+d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano.
+
+E prima ch’io a l’ovra fossi attento,
+una natura in Cristo esser, non piùe,
+credea, e di tal fede era contento;
+
+ma ’l benedetto Agapito, che fue
+sommo pastore, a la fede sincera
+mi dirizzò con le parole sue.
+
+Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era,
+vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi
+ogni contradizione e falsa e vera.
+
+Tosto che con la Chiesa mossi i piedi,
+a Dio per grazia piacque di spirarmi
+l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi;
+
+e al mio Belisar commendai l’armi,
+cui la destra del ciel fu sì congiunta,
+che segno fu ch’i’ dovessi posarmi.
+
+Or qui a la question prima s’appunta
+la mia risposta; ma sua condizione
+mi stringe a seguitare alcuna giunta,
+
+perché tu veggi con quanta ragione
+si move contr’ al sacrosanto segno
+e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone.
+
+Vedi quanta virtù l’ha fatto degno
+di reverenza; e cominciò da l’ora
+che Pallante morì per darli regno.
+
+Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora
+per trecento anni e oltre, infino al fine
+che i tre a’ tre pugnar per lui ancora.
+
+E sai ch’el fé dal mal de le Sabine
+al dolor di Lucrezia in sette regi,
+vincendo intorno le genti vicine.
+
+Sai quel ch’el fé portato da li egregi
+Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro,
+incontro a li altri principi e collegi;
+
+onde Torquato e Quinzio, che dal cirro
+negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi
+ebber la fama che volontier mirro.
+
+Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi
+che di retro ad Anibale passaro
+l’alpestre rocce, Po, di che tu labi.
+
+Sott’ esso giovanetti trïunfaro
+Scipïone e Pompeo; e a quel colle
+sotto ’l qual tu nascesti parve amaro.
+
+Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle
+redur lo mondo a suo modo sereno,
+Cesare per voler di Roma il tolle.
+
+E quel che fé da Varo infino a Reno,
+Isara vide ed Era e vide Senna
+e ogne valle onde Rodano è pieno.
+
+Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna
+e saltò Rubicon, fu di tal volo,
+che nol seguiteria lingua né penna.
+
+Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo,
+poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse
+sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo.
+
+Antandro e Simeonta, onde si mosse,
+rivide e là dov’ Ettore si cuba;
+e mal per Tolomeo poscia si scosse.
+
+Da indi scese folgorando a Iuba;
+onde si volse nel vostro occidente,
+ove sentia la pompeana tuba.
+
+Di quel che fé col baiulo seguente,
+Bruto con Cassio ne l’inferno latra,
+e Modena e Perugia fu dolente.
+
+Piangene ancor la trista Cleopatra,
+che, fuggendoli innanzi, dal colubro
+la morte prese subitana e atra.
+
+Con costui corse infino al lito rubro;
+con costui puose il mondo in tanta pace,
+che fu serrato a Giano il suo delubro.
+
+Ma ciò che ’l segno che parlar mi face
+fatto avea prima e poi era fatturo
+per lo regno mortal ch’a lui soggiace,
+
+diventa in apparenza poco e scuro,
+se in mano al terzo Cesare si mira
+con occhio chiaro e con affetto puro;
+
+ché la viva giustizia che mi spira,
+li concedette, in mano a quel ch’i’ dico,
+gloria di far vendetta a la sua ira.
+
+Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco:
+poscia con Tito a far vendetta corse
+de la vendetta del peccato antico.
+
+E quando il dente longobardo morse
+la Santa Chiesa, sotto le sue ali
+Carlo Magno, vincendo, la soccorse.
+
+Omai puoi giudicar di quei cotali
+ch’io accusai di sopra e di lor falli,
+che son cagion di tutti vostri mali.
+
+L’uno al pubblico segno i gigli gialli
+oppone, e l’altro appropria quello a parte,
+sì ch’è forte a veder chi più si falli.
+
+Faccian li Ghibellin, faccian lor arte
+sott’ altro segno, ché mal segue quello
+sempre chi la giustizia e lui diparte;
+
+e non l’abbatta esto Carlo novello
+coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli
+ch’a più alto leon trasser lo vello.
+
+Molte fïate già pianser li figli
+per la colpa del padre, e non si creda
+che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli!
+
+Questa picciola stella si correda
+d’i buoni spirti che son stati attivi
+perché onore e fama li succeda:
+
+e quando li disiri poggian quivi,
+sì disvïando, pur convien che i raggi
+del vero amore in sù poggin men vivi.
+
+Ma nel commensurar d’i nostri gaggi
+col merto è parte di nostra letizia,
+perché non li vedem minor né maggi.
+
+Quindi addolcisce la viva giustizia
+in noi l’affetto sì, che non si puote
+torcer già mai ad alcuna nequizia.
+
+Diverse voci fanno dolci note;
+così diversi scanni in nostra vita
+rendon dolce armonia tra queste rote.
+
+E dentro a la presente margarita
+luce la luce di Romeo, di cui
+fu l’ovra grande e bella mal gradita.
+
+Ma i Provenzai che fecer contra lui
+non hanno riso; e però mal cammina
+qual si fa danno del ben fare altrui.
+
+Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina,
+Ramondo Beringhiere, e ciò li fece
+Romeo, persona umìle e peregrina.
+
+E poi il mosser le parole biece
+a dimandar ragione a questo giusto,
+che li assegnò sette e cinque per diece,
+
+indi partissi povero e vetusto;
+e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe
+mendicando sua vita a frusto a frusto,
+
+assai lo loda, e più lo loderebbe».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto VII
+
+
+«Osanna, sanctus Deus sabaòth,
+superillustrans claritate tua
+felices ignes horum malacòth!».
+
+Così, volgendosi a la nota sua,
+fu viso a me cantare essa sustanza,
+sopra la qual doppio lume s’addua;
+
+ed essa e l’altre mossero a sua danza,
+e quasi velocissime faville
+mi si velar di sùbita distanza.
+
+Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’
+fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna
+che mi diseta con le dolci stille’.
+
+Ma quella reverenza che s’indonna
+di tutto me, pur per Be e per ice,
+mi richinava come l’uom ch’assonna.
+
+Poco sofferse me cotal Beatrice
+e cominciò, raggiandomi d’un riso
+tal, che nel foco faria l’uom felice:
+
+«Secondo mio infallibile avviso,
+come giusta vendetta giustamente
+punita fosse, t’ha in pensier miso;
+
+ma io ti solverò tosto la mente;
+e tu ascolta, ché le mie parole
+di gran sentenza ti faran presente.
+
+Per non soffrire a la virtù che vole
+freno a suo prode, quell’ uom che non nacque,
+dannando sé, dannò tutta sua prole;
+
+onde l’umana specie inferma giacque
+giù per secoli molti in grande errore,
+fin ch’al Verbo di Dio discender piacque
+
+u’ la natura, che dal suo fattore
+s’era allungata, unì a sé in persona
+con l’atto sol del suo etterno amore.
+
+Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona:
+questa natura al suo fattore unita,
+qual fu creata, fu sincera e buona;
+
+ma per sé stessa pur fu ella sbandita
+di paradiso, però che si torse
+da via di verità e da sua vita.
+
+La pena dunque che la croce porse
+s’a la natura assunta si misura,
+nulla già mai sì giustamente morse;
+
+e così nulla fu di tanta ingiura,
+guardando a la persona che sofferse,
+in che era contratta tal natura.
+
+Però d’un atto uscir cose diverse:
+ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte;
+per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse.
+
+Non ti dee oramai parer più forte,
+quando si dice che giusta vendetta
+poscia vengiata fu da giusta corte.
+
+Ma io veggi’ or la tua mente ristretta
+di pensiero in pensier dentro ad un nodo,
+del qual con gran disio solver s’aspetta.
+
+Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo;
+ma perché Dio volesse, m’è occulto,
+a nostra redenzion pur questo modo”.
+
+Questo decreto, frate, sta sepulto
+a li occhi di ciascuno il cui ingegno
+ne la fiamma d’amor non è adulto.
+
+Veramente, però ch’a questo segno
+molto si mira e poco si discerne,
+dirò perché tal modo fu più degno.
+
+La divina bontà, che da sé sperne
+ogne livore, ardendo in sé, sfavilla
+sì che dispiega le bellezze etterne.
+
+Ciò che da lei sanza mezzo distilla
+non ha poi fine, perché non si move
+la sua imprenta quand’ ella sigilla.
+
+Ciò che da essa sanza mezzo piove
+libero è tutto, perché non soggiace
+a la virtute de le cose nove.
+
+Più l’è conforme, e però più le piace;
+ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia,
+ne la più somigliante è più vivace.
+
+Di tutte queste dote s’avvantaggia
+l’umana creatura, e s’una manca,
+di sua nobilità convien che caggia.
+
+Solo il peccato è quel che la disfranca
+e falla dissimìle al sommo bene,
+per che del lume suo poco s’imbianca;
+
+e in sua dignità mai non rivene,
+se non rïempie, dove colpa vòta,
+contra mal dilettar con giuste pene.
+
+Vostra natura, quando peccò tota
+nel seme suo, da queste dignitadi,
+come di paradiso, fu remota;
+
+né ricovrar potiensi, se tu badi
+ben sottilmente, per alcuna via,
+sanza passar per un di questi guadi:
+
+o che Dio solo per sua cortesia
+dimesso avesse, o che l’uom per sé isso
+avesse sodisfatto a sua follia.
+
+Ficca mo l’occhio per entro l’abisso
+de l’etterno consiglio, quanto puoi
+al mio parlar distrettamente fisso.
+
+Non potea l’uomo ne’ termini suoi
+mai sodisfar, per non potere ir giuso
+con umiltate obedïendo poi,
+
+quanto disobediendo intese ir suso;
+e questa è la cagion per che l’uom fue
+da poter sodisfar per sé dischiuso.
+
+Dunque a Dio convenia con le vie sue
+riparar l’omo a sua intera vita,
+dico con l’una, o ver con amendue.
+
+Ma perché l’ovra tanto è più gradita
+da l’operante, quanto più appresenta
+de la bontà del core ond’ ell’ è uscita,
+
+la divina bontà che ’l mondo imprenta,
+di proceder per tutte le sue vie,
+a rilevarvi suso, fu contenta.
+
+Né tra l’ultima notte e ’l primo die
+sì alto o sì magnifico processo,
+o per l’una o per l’altra, fu o fie:
+
+ché più largo fu Dio a dar sé stesso
+per far l’uom sufficiente a rilevarsi,
+che s’elli avesse sol da sé dimesso;
+
+e tutti li altri modi erano scarsi
+a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio
+non fosse umilïato ad incarnarsi.
+
+Or per empierti bene ogne disio,
+ritorno a dichiararti in alcun loco,
+perché tu veggi lì così com’ io.
+
+Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco,
+l’aere e la terra e tutte lor misture
+venire a corruzione, e durar poco;
+
+e queste cose pur furon creature;
+per che, se ciò ch’è detto è stato vero,
+esser dovrien da corruzion sicure”.
+
+Li angeli, frate, e ’l paese sincero
+nel qual tu se’, dir si posson creati,
+sì come sono, in loro essere intero;
+
+ma li alimenti che tu hai nomati
+e quelle cose che di lor si fanno
+da creata virtù sono informati.
+
+Creata fu la materia ch’elli hanno;
+creata fu la virtù informante
+in queste stelle che ’ntorno a lor vanno.
+
+L’anima d’ogne bruto e de le piante
+di complession potenzïata tira
+lo raggio e ’l moto de le luci sante;
+
+ma vostra vita sanza mezzo spira
+la somma beninanza, e la innamora
+di sé sì che poi sempre la disira.
+
+E quinci puoi argomentare ancora
+vostra resurrezion, se tu ripensi
+come l’umana carne fessi allora
+
+che li primi parenti intrambo fensi».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto VIII
+
+
+Solea creder lo mondo in suo periclo
+che la bella Ciprigna il folle amore
+raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
+
+per che non pur a lei faceano onore
+di sacrificio e di votivo grido
+le genti antiche ne l’antico errore;
+
+ma Dïone onoravano e Cupido,
+quella per madre sua, questo per figlio,
+e dicean ch’el sedette in grembo a Dido;
+
+e da costei ond’ io principio piglio
+pigliavano il vocabol de la stella
+che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.
+
+Io non m’accorsi del salire in ella;
+ma d’esservi entro mi fé assai fede
+la donna mia ch’i’ vidi far più bella.
+
+E come in fiamma favilla si vede,
+e come in voce voce si discerne,
+quand’ una è ferma e altra va e riede,
+
+vid’ io in essa luce altre lucerne
+muoversi in giro più e men correnti,
+al modo, credo, di lor viste interne.
+
+Di fredda nube non disceser venti,
+o visibili o no, tanto festini,
+che non paressero impediti e lenti
+
+a chi avesse quei lumi divini
+veduti a noi venir, lasciando il giro
+pria cominciato in li alti Serafini;
+
+e dentro a quei che più innanzi appariro
+sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi
+di rïudir non fui sanza disiro.
+
+Indi si fece l’un più presso a noi
+e solo incominciò: «Tutti sem presti
+al tuo piacer, perché di noi ti gioi.
+
+Noi ci volgiam coi principi celesti
+d’un giro e d’un girare e d’una sete,
+ai quali tu del mondo già dicesti:
+
+‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’;
+e sem sì pien d’amor, che, per piacerti,
+non fia men dolce un poco di quïete».
+
+Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
+a la mia donna reverenti, ed essa
+fatti li avea di sé contenti e certi,
+
+rivolsersi a la luce che promessa
+tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue
+la voce mia di grande affetto impressa.
+
+E quanta e quale vid’ io lei far piùe
+per allegrezza nova che s’accrebbe,
+quando parlai, a l’allegrezze sue!
+
+Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe
+giù poco tempo; e se più fosse stato,
+molto sarà di mal, che non sarebbe.
+
+La mia letizia mi ti tien celato
+che mi raggia dintorno e mi nasconde
+quasi animal di sua seta fasciato.
+
+Assai m’amasti, e avesti ben onde;
+che s’io fossi giù stato, io ti mostrava
+di mio amor più oltre che le fronde.
+
+Quella sinistra riva che si lava
+di Rodano poi ch’è misto con Sorga,
+per suo segnore a tempo m’aspettava,
+
+e quel corno d’Ausonia che s’imborga
+di Bari e di Gaeta e di Catona,
+da ove Tronto e Verde in mare sgorga.
+
+Fulgeami già in fronte la corona
+di quella terra che ’l Danubio riga
+poi che le ripe tedesche abbandona.
+
+E la bella Trinacria, che caliga
+tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo
+che riceve da Euro maggior briga,
+
+non per Tifeo ma per nascente solfo,
+attesi avrebbe li suoi regi ancora,
+nati per me di Carlo e di Ridolfo,
+
+se mala segnoria, che sempre accora
+li popoli suggetti, non avesse
+mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”.
+
+E se mio frate questo antivedesse,
+l’avara povertà di Catalogna
+già fuggeria, perché non li offendesse;
+
+ché veramente proveder bisogna
+per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca
+carcata più d’incarco non si pogna.
+
+La sua natura, che di larga parca
+discese, avria mestier di tal milizia
+che non curasse di mettere in arca».
+
+«Però ch’i’ credo che l’alta letizia
+che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio,
+là ’ve ogne ben si termina e s’inizia,
+
+per te si veggia come la vegg’ io,
+grata m’è più; e anco quest’ ho caro
+perché ’l discerni rimirando in Dio.
+
+Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro,
+poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso
+com’ esser può, di dolce seme, amaro».
+
+Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso
+mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
+terrai lo viso come tien lo dosso.
+
+Lo ben che tutto il regno che tu scandi
+volge e contenta, fa esser virtute
+sua provedenza in questi corpi grandi.
+
+E non pur le nature provedute
+sono in la mente ch’è da sé perfetta,
+ma esse insieme con la lor salute:
+
+per che quantunque quest’ arco saetta
+disposto cade a proveduto fine,
+sì come cosa in suo segno diretta.
+
+Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
+producerebbe sì li suoi effetti,
+che non sarebbero arti, ma ruine;
+
+e ciò esser non può, se li ’ntelletti
+che muovon queste stelle non son manchi,
+e manco il primo, che non li ha perfetti.
+
+Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?».
+E io: «Non già; ché impossibil veggio
+che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi».
+
+Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
+per l’omo in terra, se non fosse cive?».
+«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio».
+
+«E puot’ elli esser, se giù non si vive
+diversamente per diversi offici?
+Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive».
+
+Sì venne deducendo infino a quici;
+poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
+convien di vostri effetti le radici:
+
+per ch’un nasce Solone e altro Serse,
+altro Melchisedèch e altro quello
+che, volando per l’aere, il figlio perse.
+
+La circular natura, ch’è suggello
+a la cera mortal, fa ben sua arte,
+ma non distingue l’un da l’altro ostello.
+
+Quinci addivien ch’Esaù si diparte
+per seme da Iacòb; e vien Quirino
+da sì vil padre, che si rende a Marte.
+
+Natura generata il suo cammino
+simil farebbe sempre a’ generanti,
+se non vincesse il proveder divino.
+
+Or quel che t’era dietro t’è davanti:
+ma perché sappi che di te mi giova,
+un corollario voglio che t’ammanti.
+
+Sempre natura, se fortuna trova
+discorde a sé, com’ ogne altra semente
+fuor di sua regïon, fa mala prova.
+
+E se ’l mondo là giù ponesse mente
+al fondamento che natura pone,
+seguendo lui, avria buona la gente.
+
+Ma voi torcete a la religïone
+tal che fia nato a cignersi la spada,
+e fate re di tal ch’è da sermone;
+
+onde la traccia vostra è fuor di strada».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto IX
+
+
+Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza,
+m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni
+che ricever dovea la sua semenza;
+
+ma disse: «Taci e lascia muover li anni»;
+sì ch’io non posso dir se non che pianto
+giusto verrà di retro ai vostri danni.
+
+E già la vita di quel lume santo
+rivolta s’era al Sol che la rïempie
+come quel ben ch’a ogne cosa è tanto.
+
+Ahi anime ingannate e fatture empie,
+che da sì fatto ben torcete i cuori,
+drizzando in vanità le vostre tempie!
+
+Ed ecco un altro di quelli splendori
+ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi
+significava nel chiarir di fori.
+
+Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi
+sovra me, come pria, di caro assenso
+al mio disio certificato fermi.
+
+«Deh, metti al mio voler tosto compenso,
+beato spirto», dissi, «e fammi prova
+ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!».
+
+Onde la luce che m’era ancor nova,
+del suo profondo, ond’ ella pria cantava,
+seguette come a cui di ben far giova:
+
+«In quella parte de la terra prava
+italica che siede tra Rïalto
+e le fontane di Brenta e di Piava,
+
+si leva un colle, e non surge molt’ alto,
+là onde scese già una facella
+che fece a la contrada un grande assalto.
+
+D’una radice nacqui e io ed ella:
+Cunizza fui chiamata, e qui refulgo
+perché mi vinse il lume d’esta stella;
+
+ma lietamente a me medesma indulgo
+la cagion di mia sorte, e non mi noia;
+che parria forse forte al vostro vulgo.
+
+Di questa luculenta e cara gioia
+del nostro cielo che più m’è propinqua,
+grande fama rimase; e pria che moia,
+
+questo centesimo anno ancor s’incinqua:
+vedi se far si dee l’omo eccellente,
+sì ch’altra vita la prima relinqua.
+
+E ciò non pensa la turba presente
+che Tagliamento e Adice richiude,
+né per esser battuta ancor si pente;
+
+ma tosto fia che Padova al palude
+cangerà l’acqua che Vincenza bagna,
+per essere al dover le genti crude;
+
+e dove Sile e Cagnan s’accompagna,
+tal signoreggia e va con la testa alta,
+che già per lui carpir si fa la ragna.
+
+Piangerà Feltro ancora la difalta
+de l’empio suo pastor, che sarà sconcia
+sì, che per simil non s’entrò in malta.
+
+Troppo sarebbe larga la bigoncia
+che ricevesse il sangue ferrarese,
+e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia,
+
+che donerà questo prete cortese
+per mostrarsi di parte; e cotai doni
+conformi fieno al viver del paese.
+
+Sù sono specchi, voi dicete Troni,
+onde refulge a noi Dio giudicante;
+sì che questi parlar ne paion buoni».
+
+Qui si tacette; e fecemi sembiante
+che fosse ad altro volta, per la rota
+in che si mise com’ era davante.
+
+L’altra letizia, che m’era già nota
+per cara cosa, mi si fece in vista
+qual fin balasso in che lo sol percuota.
+
+Per letiziar là sù fulgor s’acquista,
+sì come riso qui; ma giù s’abbuia
+l’ombra di fuor, come la mente è trista.
+
+«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia»,
+diss’ io, «beato spirto, sì che nulla
+voglia di sé a te puot’ esser fuia.
+
+Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla
+sempre col canto di quei fuochi pii
+che di sei ali facen la coculla,
+
+perché non satisface a’ miei disii?
+Già non attendere’ io tua dimanda,
+s’io m’intuassi, come tu t’inmii».
+
+«La maggior valle in che l’acqua si spanda»,
+incominciaro allor le sue parole,
+«fuor di quel mar che la terra inghirlanda,
+
+tra ’ discordanti liti contra ’l sole
+tanto sen va, che fa meridïano
+là dove l’orizzonte pria far suole.
+
+Di quella valle fu’ io litorano
+tra Ebro e Macra, che per cammin corto
+parte lo Genovese dal Toscano.
+
+Ad un occaso quasi e ad un orto
+Buggea siede e la terra ond’ io fui,
+che fé del sangue suo già caldo il porto.
+
+Folco mi disse quella gente a cui
+fu noto il nome mio; e questo cielo
+di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui;
+
+ché più non arse la figlia di Belo,
+noiando e a Sicheo e a Creusa,
+di me, infin che si convenne al pelo;
+
+né quella Rodopëa che delusa
+fu da Demofoonte, né Alcide
+quando Iole nel core ebbe rinchiusa.
+
+Non però qui si pente, ma si ride,
+non de la colpa, ch’a mente non torna,
+ma del valor ch’ordinò e provide.
+
+Qui si rimira ne l’arte ch’addorna
+cotanto affetto, e discernesi ’l bene
+per che ’l mondo di sù quel di giù torna.
+
+Ma perché tutte le tue voglie piene
+ten porti che son nate in questa spera,
+proceder ancor oltre mi convene.
+
+Tu vuo’ saper chi è in questa lumera
+che qui appresso me così scintilla
+come raggio di sole in acqua mera.
+
+Or sappi che là entro si tranquilla
+Raab; e a nostr’ ordine congiunta,
+di lei nel sommo grado si sigilla.
+
+Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta
+che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma
+del trïunfo di Cristo fu assunta.
+
+Ben si convenne lei lasciar per palma
+in alcun cielo de l’alta vittoria
+che s’acquistò con l’una e l’altra palma,
+
+perch’ ella favorò la prima gloria
+di Iosüè in su la Terra Santa,
+che poco tocca al papa la memoria.
+
+La tua città, che di colui è pianta
+che pria volse le spalle al suo fattore
+e di cui è la ’nvidia tanto pianta,
+
+produce e spande il maladetto fiore
+c’ha disvïate le pecore e li agni,
+però che fatto ha lupo del pastore.
+
+Per questo l’Evangelio e i dottor magni
+son derelitti, e solo ai Decretali
+si studia, sì che pare a’ lor vivagni.
+
+A questo intende il papa e ’ cardinali;
+non vanno i lor pensieri a Nazarette,
+là dove Gabrïello aperse l’ali.
+
+Ma Vaticano e l’altre parti elette
+di Roma che son state cimitero
+a la milizia che Pietro seguette,
+
+tosto libere fien de l’avoltero».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto X
+
+
+Guardando nel suo Figlio con l’Amore
+che l’uno e l’altro etternalmente spira,
+lo primo e ineffabile Valore
+
+quanto per mente e per loco si gira
+con tant’ ordine fé, ch’esser non puote
+sanza gustar di lui chi ciò rimira.
+
+Leva dunque, lettore, a l’alte rote
+meco la vista, dritto a quella parte
+dove l’un moto e l’altro si percuote;
+
+e lì comincia a vagheggiar ne l’arte
+di quel maestro che dentro a sé l’ama,
+tanto che mai da lei l’occhio non parte.
+
+Vedi come da indi si dirama
+l’oblico cerchio che i pianeti porta,
+per sodisfare al mondo che li chiama.
+
+Che se la strada lor non fosse torta,
+molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
+e quasi ogne potenza qua giù morta;
+
+e se dal dritto più o men lontano
+fosse ’l partire, assai sarebbe manco
+e giù e sù de l’ordine mondano.
+
+Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco,
+dietro pensando a ciò che si preliba,
+s’esser vuoi lieto assai prima che stanco.
+
+Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba;
+ché a sé torce tutta la mia cura
+quella materia ond’ io son fatto scriba.
+
+Lo ministro maggior de la natura,
+che del valor del ciel lo mondo imprenta
+e col suo lume il tempo ne misura,
+
+con quella parte che sù si rammenta
+congiunto, si girava per le spire
+in che più tosto ognora s’appresenta;
+
+e io era con lui; ma del salire
+non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge,
+anzi ’l primo pensier, del suo venire.
+
+È Bëatrice quella che sì scorge
+di bene in meglio, sì subitamente
+che l’atto suo per tempo non si sporge.
+
+Quant’ esser convenia da sé lucente
+quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi,
+non per color, ma per lume parvente!
+
+Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami,
+sì nol direi che mai s’imaginasse;
+ma creder puossi e di veder si brami.
+
+E se le fantasie nostre son basse
+a tanta altezza, non è maraviglia;
+ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse.
+
+Tal era quivi la quarta famiglia
+de l’alto Padre, che sempre la sazia,
+mostrando come spira e come figlia.
+
+E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
+ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo
+sensibil t’ha levato per sua grazia».
+
+Cor di mortal non fu mai sì digesto
+a divozione e a rendersi a Dio
+con tutto ’l suo gradir cotanto presto,
+
+come a quelle parole mi fec’ io;
+e sì tutto ’l mio amore in lui si mise,
+che Bëatrice eclissò ne l’oblio.
+
+Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
+che lo splendor de li occhi suoi ridenti
+mia mente unita in più cose divise.
+
+Io vidi più folgór vivi e vincenti
+far di noi centro e di sé far corona,
+più dolci in voce che in vista lucenti:
+
+così cinger la figlia di Latona
+vedem talvolta, quando l’aere è pregno,
+sì che ritenga il fil che fa la zona.
+
+Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno,
+si trovan molte gioie care e belle
+tanto che non si posson trar del regno;
+
+e ’l canto di quei lumi era di quelle;
+chi non s’impenna sì che là sù voli,
+dal muto aspetti quindi le novelle.
+
+Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
+si fuor girati intorno a noi tre volte,
+come stelle vicine a’ fermi poli,
+
+donne mi parver, non da ballo sciolte,
+ma che s’arrestin tacite, ascoltando
+fin che le nove note hanno ricolte.
+
+E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando
+lo raggio de la grazia, onde s’accende
+verace amore e che poi cresce amando,
+
+multiplicato in te tanto resplende,
+che ti conduce su per quella scala
+u’ sanza risalir nessun discende;
+
+qual ti negasse il vin de la sua fiala
+per la tua sete, in libertà non fora
+se non com’ acqua ch’al mar non si cala.
+
+Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora
+questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia
+la bella donna ch’al ciel t’avvalora.
+
+Io fui de li agni de la santa greggia
+che Domenico mena per cammino
+u’ ben s’impingua se non si vaneggia.
+
+Questi che m’è a destra più vicino,
+frate e maestro fummi, ed esso Alberto
+è di Cologna, e io Thomas d’Aquino.
+
+Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo,
+di retro al mio parlar ten vien col viso
+girando su per lo beato serto.
+
+Quell’ altro fiammeggiare esce del riso
+di Grazïan, che l’uno e l’altro foro
+aiutò sì che piace in paradiso.
+
+L’altro ch’appresso addorna il nostro coro,
+quel Pietro fu che con la poverella
+offerse a Santa Chiesa suo tesoro.
+
+La quinta luce, ch’è tra noi più bella,
+spira di tale amor, che tutto ’l mondo
+là giù ne gola di saper novella:
+
+entro v’è l’alta mente u’ sì profondo
+saver fu messo, che, se ’l vero è vero,
+a veder tanto non surse il secondo.
+
+Appresso vedi il lume di quel cero
+che giù in carne più a dentro vide
+l’angelica natura e ’l ministero.
+
+Ne l’altra piccioletta luce ride
+quello avvocato de’ tempi cristiani
+del cui latino Augustin si provide.
+
+Or se tu l’occhio de la mente trani
+di luce in luce dietro a le mie lode,
+già de l’ottava con sete rimani.
+
+Per vedere ogne ben dentro vi gode
+l’anima santa che ’l mondo fallace
+fa manifesto a chi di lei ben ode.
+
+Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace
+giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
+e da essilio venne a questa pace.
+
+Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro
+d’Isidoro, di Beda e di Riccardo,
+che a considerar fu più che viro.
+
+Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
+è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri
+gravi a morir li parve venir tardo:
+
+essa è la luce etterna di Sigieri,
+che, leggendo nel Vico de li Strami,
+silogizzò invidïosi veri».
+
+Indi, come orologio che ne chiami
+ne l’ora che la sposa di Dio surge
+a mattinar lo sposo perché l’ami,
+
+che l’una parte e l’altra tira e urge,
+tin tin sonando con sì dolce nota,
+che ’l ben disposto spirto d’amor turge;
+
+così vid’ ïo la gloriosa rota
+muoversi e render voce a voce in tempra
+e in dolcezza ch’esser non pò nota
+
+se non colà dove gioir s’insempra.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XI
+
+
+O insensata cura de’ mortali,
+quanto son difettivi silogismi
+quei che ti fanno in basso batter l’ali!
+
+Chi dietro a iura e chi ad amforismi
+sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
+e chi regnar per forza o per sofismi,
+
+e chi rubare e chi civil negozio,
+chi nel diletto de la carne involto
+s’affaticava e chi si dava a l’ozio,
+
+quando, da tutte queste cose sciolto,
+con Bëatrice m’era suso in cielo
+cotanto glorïosamente accolto.
+
+Poi che ciascuno fu tornato ne lo
+punto del cerchio in che avanti s’era,
+fermossi, come a candellier candelo.
+
+E io senti’ dentro a quella lumera
+che pria m’avea parlato, sorridendo
+incominciar, faccendosi più mera:
+
+«Così com’ io del suo raggio resplendo,
+sì, riguardando ne la luce etterna,
+li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.
+
+Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
+in sì aperta e ’n sì distesa lingua
+lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna,
+
+ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”,
+e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”;
+e qui è uopo che ben si distingua.
+
+La provedenza, che governa il mondo
+con quel consiglio nel quale ogne aspetto
+creato è vinto pria che vada al fondo,
+
+però che andasse ver’ lo suo diletto
+la sposa di colui ch’ad alte grida
+disposò lei col sangue benedetto,
+
+in sé sicura e anche a lui più fida,
+due principi ordinò in suo favore,
+che quinci e quindi le fosser per guida.
+
+L’un fu tutto serafico in ardore;
+l’altro per sapïenza in terra fue
+di cherubica luce uno splendore.
+
+De l’un dirò, però che d’amendue
+si dice l’un pregiando, qual ch’om prende,
+perch’ ad un fine fur l’opere sue.
+
+Intra Tupino e l’acqua che discende
+del colle eletto dal beato Ubaldo,
+fertile costa d’alto monte pende,
+
+onde Perugia sente freddo e caldo
+da Porta Sole; e di rietro le piange
+per grave giogo Nocera con Gualdo.
+
+Di questa costa, là dov’ ella frange
+più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
+come fa questo talvolta di Gange.
+
+Però chi d’esso loco fa parole,
+non dica Ascesi, ché direbbe corto,
+ma Orïente, se proprio dir vuole.
+
+Non era ancor molto lontan da l’orto,
+ch’el cominciò a far sentir la terra
+de la sua gran virtute alcun conforto;
+
+ché per tal donna, giovinetto, in guerra
+del padre corse, a cui, come a la morte,
+la porta del piacer nessun diserra;
+
+e dinanzi a la sua spirital corte
+et coram patre le si fece unito;
+poscia di dì in dì l’amò più forte.
+
+Questa, privata del primo marito,
+millecent’ anni e più dispetta e scura
+fino a costui si stette sanza invito;
+
+né valse udir che la trovò sicura
+con Amiclate, al suon de la sua voce,
+colui ch’a tutto ’l mondo fé paura;
+
+né valse esser costante né feroce,
+sì che, dove Maria rimase giuso,
+ella con Cristo pianse in su la croce.
+
+Ma perch’ io non proceda troppo chiuso,
+Francesco e Povertà per questi amanti
+prendi oramai nel mio parlar diffuso.
+
+La lor concordia e i lor lieti sembianti,
+amore e maraviglia e dolce sguardo
+facieno esser cagion di pensier santi;
+
+tanto che ’l venerabile Bernardo
+si scalzò prima, e dietro a tanta pace
+corse e, correndo, li parve esser tardo.
+
+Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
+Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
+dietro a lo sposo, sì la sposa piace.
+
+Indi sen va quel padre e quel maestro
+con la sua donna e con quella famiglia
+che già legava l’umile capestro.
+
+Né li gravò viltà di cuor le ciglia
+per esser fi’ di Pietro Bernardone,
+né per parer dispetto a maraviglia;
+
+ma regalmente sua dura intenzione
+ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
+primo sigillo a sua religïone.
+
+Poi che la gente poverella crebbe
+dietro a costui, la cui mirabil vita
+meglio in gloria del ciel si canterebbe,
+
+di seconda corona redimita
+fu per Onorio da l’Etterno Spiro
+la santa voglia d’esto archimandrita.
+
+E poi che, per la sete del martiro,
+ne la presenza del Soldan superba
+predicò Cristo e li altri che ’l seguiro,
+
+e per trovare a conversione acerba
+troppo la gente e per non stare indarno,
+redissi al frutto de l’italica erba,
+
+nel crudo sasso intra Tevero e Arno
+da Cristo prese l’ultimo sigillo,
+che le sue membra due anni portarno.
+
+Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
+piacque di trarlo suso a la mercede
+ch’el meritò nel suo farsi pusillo,
+
+a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede,
+raccomandò la donna sua più cara,
+e comandò che l’amassero a fede;
+
+e del suo grembo l’anima preclara
+mover si volle, tornando al suo regno,
+e al suo corpo non volle altra bara.
+
+Pensa oramai qual fu colui che degno
+collega fu a mantener la barca
+di Pietro in alto mar per dritto segno;
+
+e questo fu il nostro patrïarca;
+per che qual segue lui, com’ el comanda,
+discerner puoi che buone merce carca.
+
+Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda
+è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote
+che per diversi salti non si spanda;
+
+e quanto le sue pecore remote
+e vagabunde più da esso vanno,
+più tornano a l’ovil di latte vòte.
+
+Ben son di quelle che temono ’l danno
+e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
+che le cappe fornisce poco panno.
+
+Or, se le mie parole non son fioche,
+se la tua audïenza è stata attenta,
+se ciò ch’è detto a la mente revoche,
+
+in parte fia la tua voglia contenta,
+perché vedrai la pianta onde si scheggia,
+e vedra’ il corrègger che argomenta
+
+“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XII
+
+
+Sì tosto come l’ultima parola
+la benedetta fiamma per dir tolse,
+a rotar cominciò la santa mola;
+
+e nel suo giro tutta non si volse
+prima ch’un’altra di cerchio la chiuse,
+e moto a moto e canto a canto colse;
+
+canto che tanto vince nostre muse,
+nostre serene in quelle dolci tube,
+quanto primo splendor quel ch’e’ refuse.
+
+Come si volgon per tenera nube
+due archi paralelli e concolori,
+quando Iunone a sua ancella iube,
+
+nascendo di quel d’entro quel di fori,
+a guisa del parlar di quella vaga
+ch’amor consunse come sol vapori,
+
+e fanno qui la gente esser presaga,
+per lo patto che Dio con Noè puose,
+del mondo che già mai più non s’allaga:
+
+così di quelle sempiterne rose
+volgiensi circa noi le due ghirlande,
+e sì l’estrema a l’intima rispuose.
+
+Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande,
+sì del cantare e sì del fiammeggiarsi
+luce con luce gaudïose e blande,
+
+insieme a punto e a voler quetarsi,
+pur come li occhi ch’al piacer che i move
+conviene insieme chiudere e levarsi;
+
+del cor de l’una de le luci nove
+si mosse voce, che l’ago a la stella
+parer mi fece in volgermi al suo dove;
+
+e cominciò: «L’amor che mi fa bella
+mi tragge a ragionar de l’altro duca
+per cui del mio sì ben ci si favella.
+
+Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca:
+sì che, com’ elli ad una militaro,
+così la gloria loro insieme luca.
+
+L’essercito di Cristo, che sì caro
+costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna
+si movea tardo, sospeccioso e raro,
+
+quando lo ’mperador che sempre regna
+provide a la milizia, ch’era in forse,
+per sola grazia, non per esser degna;
+
+e, come è detto, a sua sposa soccorse
+con due campioni, al cui fare, al cui dire
+lo popol disvïato si raccorse.
+
+In quella parte ove surge ad aprire
+Zefiro dolce le novelle fronde
+di che si vede Europa rivestire,
+
+non molto lungi al percuoter de l’onde
+dietro a le quali, per la lunga foga,
+lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde,
+
+siede la fortunata Calaroga
+sotto la protezion del grande scudo
+in che soggiace il leone e soggioga:
+
+dentro vi nacque l’amoroso drudo
+de la fede cristiana, il santo atleta
+benigno a’ suoi e a’ nemici crudo;
+
+e come fu creata, fu repleta
+sì la sua mente di viva vertute
+che, ne la madre, lei fece profeta.
+
+Poi che le sponsalizie fuor compiute
+al sacro fonte intra lui e la Fede,
+u’ si dotar di mutüa salute,
+
+la donna che per lui l’assenso diede,
+vide nel sonno il mirabile frutto
+ch’uscir dovea di lui e de le rede;
+
+e perché fosse qual era in costrutto,
+quinci si mosse spirito a nomarlo
+del possessivo di cui era tutto.
+
+Domenico fu detto; e io ne parlo
+sì come de l’agricola che Cristo
+elesse a l’orto suo per aiutarlo.
+
+Ben parve messo e famigliar di Cristo:
+che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto,
+fu al primo consiglio che diè Cristo.
+
+Spesse fïate fu tacito e desto
+trovato in terra da la sua nutrice,
+come dicesse: ‘Io son venuto a questo’.
+
+Oh padre suo veramente Felice!
+oh madre sua veramente Giovanna,
+se, interpretata, val come si dice!
+
+Non per lo mondo, per cui mo s’affanna
+di retro ad Ostïense e a Taddeo,
+ma per amor de la verace manna
+
+in picciol tempo gran dottor si feo;
+tal che si mise a circüir la vigna
+che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo.
+
+E a la sedia che fu già benigna
+più a’ poveri giusti, non per lei,
+ma per colui che siede, che traligna,
+
+non dispensare o due o tre per sei,
+non la fortuna di prima vacante,
+non decimas, quae sunt pauperum Dei,
+
+addimandò, ma contro al mondo errante
+licenza di combatter per lo seme
+del qual ti fascian ventiquattro piante.
+
+Poi, con dottrina e con volere insieme,
+con l’officio appostolico si mosse
+quasi torrente ch’alta vena preme;
+
+e ne li sterpi eretici percosse
+l’impeto suo, più vivamente quivi
+dove le resistenze eran più grosse.
+
+Di lui si fecer poi diversi rivi
+onde l’orto catolico si riga,
+sì che i suoi arbuscelli stan più vivi.
+
+Se tal fu l’una rota de la biga
+in che la Santa Chiesa si difese
+e vinse in campo la sua civil briga,
+
+ben ti dovrebbe assai esser palese
+l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma
+dinanzi al mio venir fu sì cortese.
+
+Ma l’orbita che fé la parte somma
+di sua circunferenza, è derelitta,
+sì ch’è la muffa dov’ era la gromma.
+
+La sua famiglia, che si mosse dritta
+coi piedi a le sue orme, è tanto volta,
+che quel dinanzi a quel di retro gitta;
+
+e tosto si vedrà de la ricolta
+de la mala coltura, quando il loglio
+si lagnerà che l’arca li sia tolta.
+
+Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio
+nostro volume, ancor troveria carta
+u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”;
+
+ma non fia da Casal né d’Acquasparta,
+là onde vegnon tali a la scrittura,
+ch’uno la fugge e altro la coarta.
+
+Io son la vita di Bonaventura
+da Bagnoregio, che ne’ grandi offici
+sempre pospuosi la sinistra cura.
+
+Illuminato e Augustin son quici,
+che fuor de’ primi scalzi poverelli
+che nel capestro a Dio si fero amici.
+
+Ugo da San Vittore è qui con elli,
+e Pietro Mangiadore e Pietro Spano,
+lo qual giù luce in dodici libelli;
+
+Natàn profeta e ’l metropolitano
+Crisostomo e Anselmo e quel Donato
+ch’a la prim’ arte degnò porre mano.
+
+Rabano è qui, e lucemi dallato
+il calavrese abate Giovacchino
+di spirito profetico dotato.
+
+Ad inveggiar cotanto paladino
+mi mosse l’infiammata cortesia
+di fra Tommaso e ’l discreto latino;
+
+e mosse meco questa compagnia».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XIII
+
+
+Imagini, chi bene intender cupe
+quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image,
+mentre ch’io dico, come ferma rupe—,
+
+quindici stelle che ’n diverse plage
+lo ciel avvivan di tanto sereno
+che soperchia de l’aere ogne compage;
+
+imagini quel carro a cu’ il seno
+basta del nostro cielo e notte e giorno,
+sì ch’al volger del temo non vien meno;
+
+imagini la bocca di quel corno
+che si comincia in punta de lo stelo
+a cui la prima rota va dintorno,
+
+aver fatto di sé due segni in cielo,
+qual fece la figliuola di Minoi
+allora che sentì di morte il gelo;
+
+e l’un ne l’altro aver li raggi suoi,
+e amendue girarsi per maniera
+che l’uno andasse al primo e l’altro al poi;
+
+e avrà quasi l’ombra de la vera
+costellazione e de la doppia danza
+che circulava il punto dov’ io era:
+
+poi ch’è tanto di là da nostra usanza,
+quanto di là dal mover de la Chiana
+si move il ciel che tutti li altri avanza.
+
+Lì si cantò non Bacco, non Peana,
+ma tre persone in divina natura,
+e in una persona essa e l’umana.
+
+Compié ’l cantare e ’l volger sua misura;
+e attesersi a noi quei santi lumi,
+felicitando sé di cura in cura.
+
+Ruppe il silenzio ne’ concordi numi
+poscia la luce in che mirabil vita
+del poverel di Dio narrata fumi,
+
+e disse: «Quando l’una paglia è trita,
+quando la sua semenza è già riposta,
+a batter l’altra dolce amor m’invita.
+
+Tu credi che nel petto onde la costa
+si trasse per formar la bella guancia
+il cui palato a tutto ’l mondo costa,
+
+e in quel che, forato da la lancia,
+e prima e poscia tanto sodisfece,
+che d’ogne colpa vince la bilancia,
+
+quantunque a la natura umana lece
+aver di lume, tutto fosse infuso
+da quel valor che l’uno e l’altro fece;
+
+e però miri a ciò ch’io dissi suso,
+quando narrai che non ebbe ’l secondo
+lo ben che ne la quinta luce è chiuso.
+
+Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo,
+e vedräi il tuo credere e ’l mio dire
+nel vero farsi come centro in tondo.
+
+Ciò che non more e ciò che può morire
+non è se non splendor di quella idea
+che partorisce, amando, il nostro Sire;
+
+ché quella viva luce che sì mea
+dal suo lucente, che non si disuna
+da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea,
+
+per sua bontate il suo raggiare aduna,
+quasi specchiato, in nove sussistenze,
+etternalmente rimanendosi una.
+
+Quindi discende a l’ultime potenze
+giù d’atto in atto, tanto divenendo,
+che più non fa che brevi contingenze;
+
+e queste contingenze essere intendo
+le cose generate, che produce
+con seme e sanza seme il ciel movendo.
+
+La cera di costoro e chi la duce
+non sta d’un modo; e però sotto ’l segno
+idëale poi più e men traluce.
+
+Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno,
+secondo specie, meglio e peggio frutta;
+e voi nascete con diverso ingegno.
+
+Se fosse a punto la cera dedutta
+e fosse il cielo in sua virtù supprema,
+la luce del suggel parrebbe tutta;
+
+ma la natura la dà sempre scema,
+similemente operando a l’artista
+ch’a l’abito de l’arte ha man che trema.
+
+Però se ’l caldo amor la chiara vista
+de la prima virtù dispone e segna,
+tutta la perfezion quivi s’acquista.
+
+Così fu fatta già la terra degna
+di tutta l’animal perfezïone;
+così fu fatta la Vergine pregna;
+
+sì ch’io commendo tua oppinïone,
+che l’umana natura mai non fue
+né fia qual fu in quelle due persone.
+
+Or s’i’ non procedesse avanti piùe,
+‘Dunque, come costui fu sanza pare?’
+comincerebber le parole tue.
+
+Ma perché paia ben ciò che non pare,
+pensa chi era, e la cagion che ’l mosse,
+quando fu detto “Chiedi”, a dimandare.
+
+Non ho parlato sì, che tu non posse
+ben veder ch’el fu re, che chiese senno
+acciò che re sufficïente fosse;
+
+non per sapere il numero in che enno
+li motor di qua sù, o se necesse
+con contingente mai necesse fenno;
+
+non si est dare primum motum esse,
+o se del mezzo cerchio far si puote
+trïangol sì ch’un retto non avesse.
+
+Onde, se ciò ch’io dissi e questo note,
+regal prudenza è quel vedere impari
+in che lo stral di mia intenzion percuote;
+
+e se al “surse” drizzi li occhi chiari,
+vedrai aver solamente respetto
+ai regi, che son molti, e ’ buon son rari.
+
+Con questa distinzion prendi ’l mio detto;
+e così puote star con quel che credi
+del primo padre e del nostro Diletto.
+
+E questo ti sia sempre piombo a’ piedi,
+per farti mover lento com’ uom lasso
+e al sì e al no che tu non vedi:
+
+ché quelli è tra li stolti bene a basso,
+che sanza distinzione afferma e nega
+ne l’un così come ne l’altro passo;
+
+perch’ elli ’ncontra che più volte piega
+l’oppinïon corrente in falsa parte,
+e poi l’affetto l’intelletto lega.
+
+Vie più che ’ndarno da riva si parte,
+perché non torna tal qual e’ si move,
+chi pesca per lo vero e non ha l’arte.
+
+E di ciò sono al mondo aperte prove
+Parmenide, Melisso e Brisso e molti,
+li quali andaro e non sapëan dove;
+
+sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti
+che furon come spade a le Scritture
+in render torti li diritti volti.
+
+Non sien le genti, ancor, troppo sicure
+a giudicar, sì come quei che stima
+le biade in campo pria che sien mature;
+
+ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima
+lo prun mostrarsi rigido e feroce,
+poscia portar la rosa in su la cima;
+
+e legno vidi già dritto e veloce
+correr lo mar per tutto suo cammino,
+perire al fine a l’intrar de la foce.
+
+Non creda donna Berta e ser Martino,
+per vedere un furare, altro offerere,
+vederli dentro al consiglio divino;
+
+ché quel può surgere, e quel può cadere».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XIV
+
+
+Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
+movesi l’acqua in un ritondo vaso,
+secondo ch’è percosso fuori o dentro:
+
+ne la mia mente fé sùbito caso
+questo ch’io dico, sì come si tacque
+la glorïosa vita di Tommaso,
+
+per la similitudine che nacque
+del suo parlare e di quel di Beatrice,
+a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
+
+«A costui fa mestieri, e nol vi dice
+né con la voce né pensando ancora,
+d’un altro vero andare a la radice.
+
+Diteli se la luce onde s’infiora
+vostra sustanza, rimarrà con voi
+etternalmente sì com’ ell’ è ora;
+
+e se rimane, dite come, poi
+che sarete visibili rifatti,
+esser porà ch’al veder non vi nòi».
+
+Come, da più letizia pinti e tratti,
+a la fïata quei che vanno a rota
+levan la voce e rallegrano li atti,
+
+così, a l’orazion pronta e divota,
+li santi cerchi mostrar nova gioia
+nel torneare e ne la mira nota.
+
+Qual si lamenta perché qui si moia
+per viver colà sù, non vide quive
+lo refrigerio de l’etterna ploia.
+
+Quell’ uno e due e tre che sempre vive
+e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno,
+non circunscritto, e tutto circunscrive,
+
+tre volte era cantato da ciascuno
+di quelli spirti con tal melodia,
+ch’ad ogne merto saria giusto muno.
+
+E io udi’ ne la luce più dia
+del minor cerchio una voce modesta,
+forse qual fu da l’angelo a Maria,
+
+risponder: «Quanto fia lunga la festa
+di paradiso, tanto il nostro amore
+si raggerà dintorno cotal vesta.
+
+La sua chiarezza séguita l’ardore;
+l’ardor la visïone, e quella è tanta,
+quant’ ha di grazia sovra suo valore.
+
+Come la carne glorïosa e santa
+fia rivestita, la nostra persona
+più grata fia per esser tutta quanta;
+
+per che s’accrescerà ciò che ne dona
+di gratüito lume il sommo bene,
+lume ch’a lui veder ne condiziona;
+
+onde la visïon crescer convene,
+crescer l’ardor che di quella s’accende,
+crescer lo raggio che da esso vene.
+
+Ma sì come carbon che fiamma rende,
+e per vivo candor quella soverchia,
+sì che la sua parvenza si difende;
+
+così questo folgór che già ne cerchia
+fia vinto in apparenza da la carne
+che tutto dì la terra ricoperchia;
+
+né potrà tanta luce affaticarne:
+ché li organi del corpo saran forti
+a tutto ciò che potrà dilettarne».
+
+Tanto mi parver sùbiti e accorti
+e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
+che ben mostrar disio d’i corpi morti:
+
+forse non pur per lor, ma per le mamme,
+per li padri e per li altri che fuor cari
+anzi che fosser sempiterne fiamme.
+
+Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
+nascere un lustro sopra quel che v’era,
+per guisa d’orizzonte che rischiari.
+
+E sì come al salir di prima sera
+comincian per lo ciel nove parvenze,
+sì che la vista pare e non par vera,
+
+parvemi lì novelle sussistenze
+cominciare a vedere, e fare un giro
+di fuor da l’altre due circunferenze.
+
+Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
+come si fece sùbito e candente
+a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
+
+Ma Bëatrice sì bella e ridente
+mi si mostrò, che tra quelle vedute
+si vuol lasciar che non seguir la mente.
+
+Quindi ripreser li occhi miei virtute
+a rilevarsi; e vidimi translato
+sol con mia donna in più alta salute.
+
+Ben m’accors’ io ch’io era più levato,
+per l’affocato riso de la stella,
+che mi parea più roggio che l’usato.
+
+Con tutto ’l core e con quella favella
+ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
+qual conveniesi a la grazia novella.
+
+E non er’ anco del mio petto essausto
+l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
+esso litare stato accetto e fausto;
+
+ché con tanto lucore e tanto robbi
+m’apparvero splendor dentro a due raggi,
+ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».
+
+Come distinta da minori e maggi
+lumi biancheggia tra ’ poli del mondo
+Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
+
+sì costellati facean nel profondo
+Marte quei raggi il venerabil segno
+che fan giunture di quadranti in tondo.
+
+Qui vince la memoria mia lo ’ngegno;
+ché quella croce lampeggiava Cristo,
+sì ch’io non so trovare essempro degno;
+
+ma chi prende sua croce e segue Cristo,
+ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
+vedendo in quell’ albor balenar Cristo.
+
+Di corno in corno e tra la cima e ’l basso
+si movien lumi, scintillando forte
+nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
+
+così si veggion qui diritte e torte,
+veloci e tarde, rinovando vista,
+le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
+
+moversi per lo raggio onde si lista
+talvolta l’ombra che, per sua difesa,
+la gente con ingegno e arte acquista.
+
+E come giga e arpa, in tempra tesa
+di molte corde, fa dolce tintinno
+a tal da cui la nota non è intesa,
+
+così da’ lumi che lì m’apparinno
+s’accogliea per la croce una melode
+che mi rapiva, sanza intender l’inno.
+
+Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode,
+però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
+come a colui che non intende e ode.
+
+Ïo m’innamorava tanto quinci,
+che ’nfino a lì non fu alcuna cosa
+che mi legasse con sì dolci vinci.
+
+Forse la mia parola par troppo osa,
+posponendo il piacer de li occhi belli,
+ne’ quai mirando mio disio ha posa;
+
+ma chi s’avvede che i vivi suggelli
+d’ogne bellezza più fanno più suso,
+e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
+
+escusar puommi di quel ch’io m’accuso
+per escusarmi, e vedermi dir vero:
+ché ’l piacer santo non è qui dischiuso,
+
+perché si fa, montando, più sincero.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XV
+
+
+Benigna volontade in che si liqua
+sempre l’amor che drittamente spira,
+come cupidità fa ne la iniqua,
+
+silenzio puose a quella dolce lira,
+e fece quïetar le sante corde
+che la destra del cielo allenta e tira.
+
+Come saranno a’ giusti preghi sorde
+quelle sustanze che, per darmi voglia
+ch’io le pregassi, a tacer fur concorde?
+
+Bene è che sanza termine si doglia
+chi, per amor di cosa che non duri
+etternalmente, quello amor si spoglia.
+
+Quale per li seren tranquilli e puri
+discorre ad ora ad or sùbito foco,
+movendo li occhi che stavan sicuri,
+
+e pare stella che tramuti loco,
+se non che da la parte ond’ e’ s’accende
+nulla sen perde, ed esso dura poco:
+
+tale dal corno che ’n destro si stende
+a piè di quella croce corse un astro
+de la costellazion che lì resplende;
+
+né si partì la gemma dal suo nastro,
+ma per la lista radïal trascorse,
+che parve foco dietro ad alabastro.
+
+Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse,
+se fede merta nostra maggior musa,
+quando in Eliso del figlio s’accorse.
+
+«O sanguis meus, o superinfusa
+gratïa Deï, sicut tibi cui
+bis unquam celi ianüa reclusa?».
+
+Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui;
+poscia rivolsi a la mia donna il viso,
+e quinci e quindi stupefatto fui;
+
+ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
+tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
+de la mia gloria e del mio paradiso.
+
+Indi, a udire e a veder giocondo,
+giunse lo spirto al suo principio cose,
+ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo;
+
+né per elezïon mi si nascose,
+ma per necessità, ché ’l suo concetto
+al segno d’i mortal si soprapuose.
+
+E quando l’arco de l’ardente affetto
+fu sì sfogato, che ’l parlar discese
+inver’ lo segno del nostro intelletto,
+
+la prima cosa che per me s’intese,
+«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno,
+che nel mio seme se’ tanto cortese!».
+
+E seguì: «Grato e lontano digiuno,
+tratto leggendo del magno volume
+du’ non si muta mai bianco né bruno,
+
+solvuto hai, figlio, dentro a questo lume
+in ch’io ti parlo, mercè di colei
+ch’a l’alto volo ti vestì le piume.
+
+Tu credi che a me tuo pensier mei
+da quel ch’è primo, così come raia
+da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei;
+
+e però ch’io mi sia e perch’ io paia
+più gaudïoso a te, non mi domandi,
+che alcun altro in questa turba gaia.
+
+Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi
+di questa vita miran ne lo speglio
+in che, prima che pensi, il pensier pandi;
+
+ma perché ’l sacro amore in che io veglio
+con perpetüa vista e che m’asseta
+di dolce disïar, s’adempia meglio,
+
+la voce tua sicura, balda e lieta
+suoni la volontà, suoni ’l disio,
+a che la mia risposta è già decreta!».
+
+Io mi volsi a Beatrice, e quella udio
+pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno
+che fece crescer l’ali al voler mio.
+
+Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno,
+come la prima equalità v’apparse,
+d’un peso per ciascun di voi si fenno,
+
+però che ’l sol che v’allumò e arse,
+col caldo e con la luce è sì iguali,
+che tutte simiglianze sono scarse.
+
+Ma voglia e argomento ne’ mortali,
+per la cagion ch’a voi è manifesta,
+diversamente son pennuti in ali;
+
+ond’ io, che son mortal, mi sento in questa
+disagguaglianza, e però non ringrazio
+se non col core a la paterna festa.
+
+Ben supplico io a te, vivo topazio
+che questa gioia prezïosa ingemmi,
+perché mi facci del tuo nome sazio».
+
+«O fronda mia in che io compiacemmi
+pur aspettando, io fui la tua radice»:
+cotal principio, rispondendo, femmi.
+
+Poscia mi disse: «Quel da cui si dice
+tua cognazione e che cent’ anni e piùe
+girato ha ’l monte in la prima cornice,
+
+mio figlio fu e tuo bisavol fue:
+ben si convien che la lunga fatica
+tu li raccorci con l’opere tue.
+
+Fiorenza dentro da la cerchia antica,
+ond’ ella toglie ancora e terza e nona,
+si stava in pace, sobria e pudica.
+
+Non avea catenella, non corona,
+non gonne contigiate, non cintura
+che fosse a veder più che la persona.
+
+Non faceva, nascendo, ancor paura
+la figlia al padre, che ’l tempo e la dote
+non fuggien quinci e quindi la misura.
+
+Non avea case di famiglia vòte;
+non v’era giunto ancor Sardanapalo
+a mostrar ciò che ’n camera si puote.
+
+Non era vinto ancora Montemalo
+dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto
+nel montar sù, così sarà nel calo.
+
+Bellincion Berti vid’ io andar cinto
+di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio
+la donna sua sanza ’l viso dipinto;
+
+e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio
+esser contenti a la pelle scoperta,
+e le sue donne al fuso e al pennecchio.
+
+Oh fortunate! ciascuna era certa
+de la sua sepultura, e ancor nulla
+era per Francia nel letto diserta.
+
+L’una vegghiava a studio de la culla,
+e, consolando, usava l’idïoma
+che prima i padri e le madri trastulla;
+
+l’altra, traendo a la rocca la chioma,
+favoleggiava con la sua famiglia
+d’i Troiani, di Fiesole e di Roma.
+
+Saria tenuta allor tal maraviglia
+una Cianghella, un Lapo Salterello,
+qual or saria Cincinnato e Corniglia.
+
+A così riposato, a così bello
+viver di cittadini, a così fida
+cittadinanza, a così dolce ostello,
+
+Maria mi diè, chiamata in alte grida;
+e ne l’antico vostro Batisteo
+insieme fui cristiano e Cacciaguida.
+
+Moronto fu mio frate ed Eliseo;
+mia donna venne a me di val di Pado,
+e quindi il sopranome tuo si feo.
+
+Poi seguitai lo ’mperador Currado;
+ed el mi cinse de la sua milizia,
+tanto per bene ovrar li venni in grado.
+
+Dietro li andai incontro a la nequizia
+di quella legge il cui popolo usurpa,
+per colpa d’i pastor, vostra giustizia.
+
+Quivi fu’ io da quella gente turpa
+disviluppato dal mondo fallace,
+lo cui amor molt’ anime deturpa;
+
+e venni dal martiro a questa pace».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XVI
+
+
+O poca nostra nobiltà di sangue,
+se glorïar di te la gente fai
+qua giù dove l’affetto nostro langue,
+
+mirabil cosa non mi sarà mai:
+ché là dove appetito non si torce,
+dico nel cielo, io me ne gloriai.
+
+Ben se’ tu manto che tosto raccorce:
+sì che, se non s’appon di dì in die,
+lo tempo va dintorno con le force.
+
+Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie,
+in che la sua famiglia men persevra,
+ricominciaron le parole mie;
+
+onde Beatrice, ch’era un poco scevra,
+ridendo, parve quella che tossio
+al primo fallo scritto di Ginevra.
+
+Io cominciai: «Voi siete il padre mio;
+voi mi date a parlar tutta baldezza;
+voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io.
+
+Per tanti rivi s’empie d’allegrezza
+la mente mia, che di sé fa letizia
+perché può sostener che non si spezza.
+
+Ditemi dunque, cara mia primizia,
+quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni
+che si segnaro in vostra püerizia;
+
+ditemi de l’ovil di San Giovanni
+quanto era allora, e chi eran le genti
+tra esso degne di più alti scanni».
+
+Come s’avviva a lo spirar d’i venti
+carbone in fiamma, così vid’ io quella
+luce risplendere a’ miei blandimenti;
+
+e come a li occhi miei si fé più bella,
+così con voce più dolce e soave,
+ma non con questa moderna favella,
+
+dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’
+al parto in che mia madre, ch’è or santa,
+s’allevïò di me ond’ era grave,
+
+al suo Leon cinquecento cinquanta
+e trenta fiate venne questo foco
+a rinfiammarsi sotto la sua pianta.
+
+Li antichi miei e io nacqui nel loco
+dove si truova pria l’ultimo sesto
+da quei che corre il vostro annüal gioco.
+
+Basti d’i miei maggiori udirne questo:
+chi ei si fosser e onde venner quivi,
+più è tacer che ragionare onesto.
+
+Tutti color ch’a quel tempo eran ivi
+da poter arme tra Marte e ’l Batista,
+eran il quinto di quei ch’or son vivi.
+
+Ma la cittadinanza, ch’è or mista
+di Campi, di Certaldo e di Fegghine,
+pura vediesi ne l’ultimo artista.
+
+Oh quanto fora meglio esser vicine
+quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo
+e a Trespiano aver vostro confine,
+
+che averle dentro e sostener lo puzzo
+del villan d’Aguglion, di quel da Signa,
+che già per barattare ha l’occhio aguzzo!
+
+Se la gente ch’al mondo più traligna
+non fosse stata a Cesare noverca,
+ma come madre a suo figlio benigna,
+
+tal fatto è fiorentino e cambia e merca,
+che si sarebbe vòlto a Simifonti,
+là dove andava l’avolo a la cerca;
+
+sariesi Montemurlo ancor de’ Conti;
+sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone,
+e forse in Valdigrieve i Buondelmonti.
+
+Sempre la confusion de le persone
+principio fu del mal de la cittade,
+come del vostro il cibo che s’appone;
+
+e cieco toro più avaccio cade
+che cieco agnello; e molte volte taglia
+più e meglio una che le cinque spade.
+
+Se tu riguardi Luni e Orbisaglia
+come sono ite, e come se ne vanno
+di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia,
+
+udir come le schiatte si disfanno
+non ti parrà nova cosa né forte,
+poscia che le cittadi termine hanno.
+
+Le vostre cose tutte hanno lor morte,
+sì come voi; ma celasi in alcuna
+che dura molto, e le vite son corte.
+
+E come ’l volger del ciel de la luna
+cuopre e discuopre i liti sanza posa,
+così fa di Fiorenza la Fortuna:
+
+per che non dee parer mirabil cosa
+ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini
+onde è la fama nel tempo nascosa.
+
+Io vidi li Ughi e vidi i Catellini,
+Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi,
+già nel calare, illustri cittadini;
+
+e vidi così grandi come antichi,
+con quel de la Sannella, quel de l’Arca,
+e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi.
+
+Sovra la porta ch’al presente è carca
+di nova fellonia di tanto peso
+che tosto fia iattura de la barca,
+
+erano i Ravignani, ond’ è disceso
+il conte Guido e qualunque del nome
+de l’alto Bellincione ha poscia preso.
+
+Quel de la Pressa sapeva già come
+regger si vuole, e avea Galigaio
+dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome.
+
+Grand’ era già la colonna del Vaio,
+Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci
+e Galli e quei ch’arrossan per lo staio.
+
+Lo ceppo di che nacquero i Calfucci
+era già grande, e già eran tratti
+a le curule Sizii e Arrigucci.
+
+Oh quali io vidi quei che son disfatti
+per lor superbia! e le palle de l’oro
+fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti.
+
+Così facieno i padri di coloro
+che, sempre che la vostra chiesa vaca,
+si fanno grassi stando a consistoro.
+
+L’oltracotata schiatta che s’indraca
+dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente
+o ver la borsa, com’ agnel si placa,
+
+già venìa sù, ma di picciola gente;
+sì che non piacque ad Ubertin Donato
+che poï il suocero il fé lor parente.
+
+Già era ’l Caponsacco nel mercato
+disceso giù da Fiesole, e già era
+buon cittadino Giuda e Infangato.
+
+Io dirò cosa incredibile e vera:
+nel picciol cerchio s’entrava per porta
+che si nomava da quei de la Pera.
+
+Ciascun che de la bella insegna porta
+del gran barone il cui nome e ’l cui pregio
+la festa di Tommaso riconforta,
+
+da esso ebbe milizia e privilegio;
+avvegna che con popol si rauni
+oggi colui che la fascia col fregio.
+
+Già eran Gualterotti e Importuni;
+e ancor saria Borgo più quïeto,
+se di novi vicin fosser digiuni.
+
+La casa di che nacque il vostro fleto,
+per lo giusto disdegno che v’ha morti
+e puose fine al vostro viver lieto,
+
+era onorata, essa e suoi consorti:
+o Buondelmonte, quanto mal fuggisti
+le nozze süe per li altrui conforti!
+
+Molti sarebber lieti, che son tristi,
+se Dio t’avesse conceduto ad Ema
+la prima volta ch’a città venisti.
+
+Ma conveniesi a quella pietra scema
+che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse
+vittima ne la sua pace postrema.
+
+Con queste genti, e con altre con esse,
+vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo,
+che non avea cagione onde piangesse.
+
+Con queste genti vid’io glorïoso
+e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio
+non era ad asta mai posto a ritroso,
+
+né per divisïon fatto vermiglio».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XVII
+
+
+Qual venne a Climenè, per accertarsi
+di ciò ch’avëa incontro a sé udito,
+quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi;
+
+tal era io, e tal era sentito
+e da Beatrice e da la santa lampa
+che pria per me avea mutato sito.
+
+Per che mia donna «Manda fuor la vampa
+del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca
+segnata bene de la interna stampa:
+
+non perché nostra conoscenza cresca
+per tuo parlare, ma perché t’ausi
+a dir la sete, sì che l’uom ti mesca».
+
+«O cara piota mia che sì t’insusi,
+che, come veggion le terrene menti
+non capere in trïangol due ottusi,
+
+così vedi le cose contingenti
+anzi che sieno in sé, mirando il punto
+a cui tutti li tempi son presenti;
+
+mentre ch’io era a Virgilio congiunto
+su per lo monte che l’anime cura
+e discendendo nel mondo defunto,
+
+dette mi fuor di mia vita futura
+parole gravi, avvegna ch’io mi senta
+ben tetragono ai colpi di ventura;
+
+per che la voglia mia saria contenta
+d’intender qual fortuna mi s’appressa:
+ché saetta previsa vien più lenta».
+
+Così diss’ io a quella luce stessa
+che pria m’avea parlato; e come volle
+Beatrice, fu la mia voglia confessa.
+
+Né per ambage, in che la gente folle
+già s’inviscava pria che fosse anciso
+l’Agnel di Dio che le peccata tolle,
+
+ma per chiare parole e con preciso
+latin rispuose quello amor paterno,
+chiuso e parvente del suo proprio riso:
+
+«La contingenza, che fuor del quaderno
+de la vostra matera non si stende,
+tutta è dipinta nel cospetto etterno;
+
+necessità però quindi non prende
+se non come dal viso in che si specchia
+nave che per torrente giù discende.
+
+Da indi, sì come viene ad orecchia
+dolce armonia da organo, mi viene
+a vista il tempo che ti s’apparecchia.
+
+Qual si partio Ipolito d’Atene
+per la spietata e perfida noverca,
+tal di Fiorenza partir ti convene.
+
+Questo si vuole e questo già si cerca,
+e tosto verrà fatto a chi ciò pensa
+là dove Cristo tutto dì si merca.
+
+La colpa seguirà la parte offensa
+in grido, come suol; ma la vendetta
+fia testimonio al ver che la dispensa.
+
+Tu lascerai ogne cosa diletta
+più caramente; e questo è quello strale
+che l’arco de lo essilio pria saetta.
+
+Tu proverai sì come sa di sale
+lo pane altrui, e come è duro calle
+lo scendere e ’l salir per l’altrui scale.
+
+E quel che più ti graverà le spalle,
+sarà la compagnia malvagia e scempia
+con la qual tu cadrai in questa valle;
+
+che tutta ingrata, tutta matta ed empia
+si farà contr’ a te; ma, poco appresso,
+ella, non tu, n’avrà rossa la tempia.
+
+Di sua bestialitate il suo processo
+farà la prova; sì ch’a te fia bello
+averti fatta parte per te stesso.
+
+Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello
+sarà la cortesia del gran Lombardo
+che ’n su la scala porta il santo uccello;
+
+ch’in te avrà sì benigno riguardo,
+che del fare e del chieder, tra voi due,
+fia primo quel che tra li altri è più tardo.
+
+Con lui vedrai colui che ’mpresso fue,
+nascendo, sì da questa stella forte,
+che notabili fier l’opere sue.
+
+Non se ne son le genti ancora accorte
+per la novella età, ché pur nove anni
+son queste rote intorno di lui torte;
+
+ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni,
+parran faville de la sua virtute
+in non curar d’argento né d’affanni.
+
+Le sue magnificenze conosciute
+saranno ancora, sì che ’ suoi nemici
+non ne potran tener le lingue mute.
+
+A lui t’aspetta e a’ suoi benefici;
+per lui fia trasmutata molta gente,
+cambiando condizion ricchi e mendici;
+
+e portera’ne scritto ne la mente
+di lui, e nol dirai»; e disse cose
+incredibili a quei che fier presente.
+
+Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose
+di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie
+che dietro a pochi giri son nascose.
+
+Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie,
+poscia che s’infutura la tua vita
+vie più là che ’l punir di lor perfidie».
+
+Poi che, tacendo, si mostrò spedita
+l’anima santa di metter la trama
+in quella tela ch’io le porsi ordita,
+
+io cominciai, come colui che brama,
+dubitando, consiglio da persona
+che vede e vuol dirittamente e ama:
+
+«Ben veggio, padre mio, sì come sprona
+lo tempo verso me, per colpo darmi
+tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona;
+
+per che di provedenza è buon ch’io m’armi,
+sì che, se loco m’è tolto più caro,
+io non perdessi li altri per miei carmi.
+
+Giù per lo mondo sanza fine amaro,
+e per lo monte del cui bel cacume
+li occhi de la mia donna mi levaro,
+
+e poscia per lo ciel, di lume in lume,
+ho io appreso quel che s’io ridico,
+a molti fia sapor di forte agrume;
+
+e s’io al vero son timido amico,
+temo di perder viver tra coloro
+che questo tempo chiameranno antico».
+
+La luce in che rideva il mio tesoro
+ch’io trovai lì, si fé prima corusca,
+quale a raggio di sole specchio d’oro;
+
+indi rispuose: «Coscïenza fusca
+o de la propria o de l’altrui vergogna
+pur sentirà la tua parola brusca.
+
+Ma nondimen, rimossa ogne menzogna,
+tutta tua visïon fa manifesta;
+e lascia pur grattar dov’ è la rogna.
+
+Ché se la voce tua sarà molesta
+nel primo gusto, vital nodrimento
+lascerà poi, quando sarà digesta.
+
+Questo tuo grido farà come vento,
+che le più alte cime più percuote;
+e ciò non fa d’onor poco argomento.
+
+Però ti son mostrate in queste rote,
+nel monte e ne la valle dolorosa
+pur l’anime che son di fama note,
+
+che l’animo di quel ch’ode, non posa
+né ferma fede per essempro ch’aia
+la sua radice incognita e ascosa,
+
+né per altro argomento che non paia».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XVIII
+
+
+Già si godeva solo del suo verbo
+quello specchio beato, e io gustava
+lo mio, temprando col dolce l’acerbo;
+
+e quella donna ch’a Dio mi menava
+disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono
+presso a colui ch’ogne torto disgrava».
+
+Io mi rivolsi a l’amoroso suono
+del mio conforto; e qual io allor vidi
+ne li occhi santi amor, qui l’abbandono:
+
+non perch’ io pur del mio parlar diffidi,
+ma per la mente che non può redire
+sovra sé tanto, s’altri non la guidi.
+
+Tanto poss’ io di quel punto ridire,
+che, rimirando lei, lo mio affetto
+libero fu da ogne altro disire,
+
+fin che ’l piacere etterno, che diretto
+raggiava in Bëatrice, dal bel viso
+mi contentava col secondo aspetto.
+
+Vincendo me col lume d’un sorriso,
+ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
+ché non pur ne’ miei occhi è paradiso».
+
+Come si vede qui alcuna volta
+l’affetto ne la vista, s’elli è tanto,
+che da lui sia tutta l’anima tolta,
+
+così nel fiammeggiar del folgór santo,
+a ch’io mi volsi, conobbi la voglia
+in lui di ragionarmi ancora alquanto.
+
+El cominciò: «In questa quinta soglia
+de l’albero che vive de la cima
+e frutta sempre e mai non perde foglia,
+
+spiriti son beati, che giù, prima
+che venissero al ciel, fuor di gran voce,
+sì ch’ogne musa ne sarebbe opima.
+
+Però mira ne’ corni de la croce:
+quello ch’io nomerò, lì farà l’atto
+che fa in nube il suo foco veloce».
+
+Io vidi per la croce un lume tratto
+dal nomar Iosuè, com’ el si feo;
+né mi fu noto il dir prima che ’l fatto.
+
+E al nome de l’alto Macabeo
+vidi moversi un altro roteando,
+e letizia era ferza del paleo.
+
+Così per Carlo Magno e per Orlando
+due ne seguì lo mio attento sguardo,
+com’ occhio segue suo falcon volando.
+
+Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
+e ’l duca Gottifredi la mia vista
+per quella croce, e Ruberto Guiscardo.
+
+Indi, tra l’altre luci mota e mista,
+mostrommi l’alma che m’avea parlato
+qual era tra i cantor del cielo artista.
+
+Io mi rivolsi dal mio destro lato
+per vedere in Beatrice il mio dovere,
+o per parlare o per atto, segnato;
+
+e vidi le sue luci tanto mere,
+tanto gioconde, che la sua sembianza
+vinceva li altri e l’ultimo solere.
+
+E come, per sentir più dilettanza
+bene operando, l’uom di giorno in giorno
+s’accorge che la sua virtute avanza,
+
+sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno
+col cielo insieme avea cresciuto l’arco,
+veggendo quel miracol più addorno.
+
+E qual è ’l trasmutare in picciol varco
+di tempo in bianca donna, quando ’l volto
+suo si discarchi di vergogna il carco,
+
+tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
+per lo candor de la temprata stella
+sesta, che dentro a sé m’avea ricolto.
+
+Io vidi in quella giovïal facella
+lo sfavillar de l’amor che lì era
+segnare a li occhi miei nostra favella.
+
+E come augelli surti di rivera,
+quasi congratulando a lor pasture,
+fanno di sé or tonda or altra schiera,
+
+sì dentro ai lumi sante creature
+volitando cantavano, e faciensi
+or D, or I, or L in sue figure.
+
+Prima, cantando, a sua nota moviensi;
+poi, diventando l’un di questi segni,
+un poco s’arrestavano e taciensi.
+
+O diva Pegasëa che li ’ngegni
+fai glorïosi e rendili longevi,
+ed essi teco le cittadi e ’ regni,
+
+illustrami di te, sì ch’io rilevi
+le lor figure com’ io l’ho concette:
+paia tua possa in questi versi brevi!
+
+Mostrarsi dunque in cinque volte sette
+vocali e consonanti; e io notai
+le parti sì, come mi parver dette.
+
+‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai
+fur verbo e nome di tutto ’l dipinto;
+‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai.
+
+Poscia ne l’emme del vocabol quinto
+rimasero ordinate; sì che Giove
+pareva argento lì d’oro distinto.
+
+E vidi scendere altre luci dove
+era il colmo de l’emme, e lì quetarsi
+cantando, credo, il ben ch’a sé le move.
+
+Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi
+surgono innumerabili faville,
+onde li stolti sogliono agurarsi,
+
+resurger parver quindi più di mille
+luci e salir, qual assai e qual poco,
+sì come ’l sol che l’accende sortille;
+
+e quïetata ciascuna in suo loco,
+la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi
+rappresentare a quel distinto foco.
+
+Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi;
+ma esso guida, e da lui si rammenta
+quella virtù ch’è forma per li nidi.
+
+L’altra bëatitudo, che contenta
+pareva prima d’ingigliarsi a l’emme,
+con poco moto seguitò la ’mprenta.
+
+O dolce stella, quali e quante gemme
+mi dimostraro che nostra giustizia
+effetto sia del ciel che tu ingemme!
+
+Per ch’io prego la mente in che s’inizia
+tuo moto e tua virtute, che rimiri
+ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia;
+
+sì ch’un’altra fïata omai s’adiri
+del comperare e vender dentro al templo
+che si murò di segni e di martìri.
+
+O milizia del ciel cu’ io contemplo,
+adora per color che sono in terra
+tutti svïati dietro al malo essemplo!
+
+Già si solea con le spade far guerra;
+ma or si fa togliendo or qui or quivi
+lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra.
+
+Ma tu che sol per cancellare scrivi,
+pensa che Pietro e Paulo, che moriro
+per la vigna che guasti, ancor son vivi.
+
+Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro
+sì a colui che volle viver solo
+e che per salti fu tratto al martiro,
+
+ch’io non conosco il pescator né Polo».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XIX
+
+
+Parea dinanzi a me con l’ali aperte
+la bella image che nel dolce frui
+liete facevan l’anime conserte;
+
+parea ciascuna rubinetto in cui
+raggio di sole ardesse sì acceso,
+che ne’ miei occhi rifrangesse lui.
+
+E quel che mi convien ritrar testeso,
+non portò voce mai, né scrisse incostro,
+né fu per fantasia già mai compreso;
+
+ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro,
+e sonar ne la voce e «io» e «mio»,
+quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’.
+
+E cominciò: «Per esser giusto e pio
+son io qui essaltato a quella gloria
+che non si lascia vincere a disio;
+
+e in terra lasciai la mia memoria
+sì fatta, che le genti lì malvage
+commendan lei, ma non seguon la storia».
+
+Così un sol calor di molte brage
+si fa sentir, come di molti amori
+usciva solo un suon di quella image.
+
+Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori
+de l’etterna letizia, che pur uno
+parer mi fate tutti vostri odori,
+
+solvetemi, spirando, il gran digiuno
+che lungamente m’ha tenuto in fame,
+non trovandoli in terra cibo alcuno.
+
+Ben so io che, se ’n cielo altro reame
+la divina giustizia fa suo specchio,
+che ’l vostro non l’apprende con velame.
+
+Sapete come attento io m’apparecchio
+ad ascoltar; sapete qual è quello
+dubbio che m’è digiun cotanto vecchio».
+
+Quasi falcone ch’esce del cappello,
+move la testa e con l’ali si plaude,
+voglia mostrando e faccendosi bello,
+
+vid’ io farsi quel segno, che di laude
+de la divina grazia era contesto,
+con canti quai si sa chi là sù gaude.
+
+Poi cominciò: «Colui che volse il sesto
+a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
+distinse tanto occulto e manifesto,
+
+non poté suo valor sì fare impresso
+in tutto l’universo, che ’l suo verbo
+non rimanesse in infinito eccesso.
+
+E ciò fa certo che ’l primo superbo,
+che fu la somma d’ogne creatura,
+per non aspettar lume, cadde acerbo;
+
+e quinci appar ch’ogne minor natura
+è corto recettacolo a quel bene
+che non ha fine e sé con sé misura.
+
+Dunque vostra veduta, che convene
+esser alcun de’ raggi de la mente
+di che tutte le cose son ripiene,
+
+non pò da sua natura esser possente
+tanto, che suo principio discerna
+molto di là da quel che l’è parvente.
+
+Però ne la giustizia sempiterna
+la vista che riceve il vostro mondo,
+com’ occhio per lo mare, entro s’interna;
+
+che, ben che da la proda veggia il fondo,
+in pelago nol vede; e nondimeno
+èli, ma cela lui l’esser profondo.
+
+Lume non è, se non vien dal sereno
+che non si turba mai; anzi è tenèbra
+od ombra de la carne o suo veleno.
+
+Assai t’è mo aperta la latebra
+che t’ascondeva la giustizia viva,
+di che facei question cotanto crebra;
+
+ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva
+de l’Indo, e quivi non è chi ragioni
+di Cristo né chi legga né chi scriva;
+
+e tutti suoi voleri e atti buoni
+sono, quanto ragione umana vede,
+sanza peccato in vita o in sermoni.
+
+Muore non battezzato e sanza fede:
+ov’ è questa giustizia che ’l condanna?
+ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”.
+
+Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna,
+per giudicar di lungi mille miglia
+con la veduta corta d’una spanna?
+
+Certo a colui che meco s’assottiglia,
+se la Scrittura sovra voi non fosse,
+da dubitar sarebbe a maraviglia.
+
+Oh terreni animali! oh menti grosse!
+La prima volontà, ch’è da sé buona,
+da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse.
+
+Cotanto è giusto quanto a lei consuona:
+nullo creato bene a sé la tira,
+ma essa, radïando, lui cagiona».
+
+Quale sovresso il nido si rigira
+poi c’ha pasciuti la cicogna i figli,
+e come quel ch’è pasto la rimira;
+
+cotal si fece, e sì leväi i cigli,
+la benedetta imagine, che l’ali
+movea sospinte da tanti consigli.
+
+Roteando cantava, e dicea: «Quali
+son le mie note a te, che non le ’ntendi,
+tal è il giudicio etterno a voi mortali».
+
+Poi si quetaro quei lucenti incendi
+de lo Spirito Santo ancor nel segno
+che fé i Romani al mondo reverendi,
+
+esso ricominciò: «A questo regno
+non salì mai chi non credette ’n Cristo,
+né pria né poi ch’el si chiavasse al legno.
+
+Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”,
+che saranno in giudicio assai men prope
+a lui, che tal che non conosce Cristo;
+
+e tai Cristian dannerà l’Etïòpe,
+quando si partiranno i due collegi,
+l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe.
+
+Che poran dir li Perse a’ vostri regi,
+come vedranno quel volume aperto
+nel qual si scrivon tutti suoi dispregi?
+
+Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto,
+quella che tosto moverà la penna,
+per che ’l regno di Praga fia diserto.
+
+Lì si vedrà il duol che sovra Senna
+induce, falseggiando la moneta,
+quel che morrà di colpo di cotenna.
+
+Lì si vedrà la superbia ch’asseta,
+che fa lo Scotto e l’Inghilese folle,
+sì che non può soffrir dentro a sua meta.
+
+Vedrassi la lussuria e ’l viver molle
+di quel di Spagna e di quel di Boemme,
+che mai valor non conobbe né volle.
+
+Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme
+segnata con un i la sua bontate,
+quando ’l contrario segnerà un emme.
+
+Vedrassi l’avarizia e la viltate
+di quei che guarda l’isola del foco,
+ove Anchise finì la lunga etate;
+
+e a dare ad intender quanto è poco,
+la sua scrittura fian lettere mozze,
+che noteranno molto in parvo loco.
+
+E parranno a ciascun l’opere sozze
+del barba e del fratel, che tanto egregia
+nazione e due corone han fatte bozze.
+
+E quel di Portogallo e di Norvegia
+lì si conosceranno, e quel di Rascia
+che male ha visto il conio di Vinegia.
+
+Oh beata Ungheria, se non si lascia
+più malmenare! e beata Navarra,
+se s’armasse del monte che la fascia!
+
+E creder de’ ciascun che già, per arra
+di questo, Niccosïa e Famagosta
+per la lor bestia si lamenti e garra,
+
+che dal fianco de l’altre non si scosta».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XX
+
+
+Quando colui che tutto ’l mondo alluma
+de l’emisperio nostro sì discende,
+che ’l giorno d’ogne parte si consuma,
+
+lo ciel, che sol di lui prima s’accende,
+subitamente si rifà parvente
+per molte luci, in che una risplende;
+
+e questo atto del ciel mi venne a mente,
+come ’l segno del mondo e de’ suoi duci
+nel benedetto rostro fu tacente;
+
+però che tutte quelle vive luci,
+vie più lucendo, cominciaron canti
+da mia memoria labili e caduci.
+
+O dolce amor che di riso t’ammanti,
+quanto parevi ardente in que’ flailli,
+ch’avieno spirto sol di pensier santi!
+
+Poscia che i cari e lucidi lapilli
+ond’ io vidi ingemmato il sesto lume
+puoser silenzio a li angelici squilli,
+
+udir mi parve un mormorar di fiume
+che scende chiaro giù di pietra in pietra,
+mostrando l’ubertà del suo cacume.
+
+E come suono al collo de la cetra
+prende sua forma, e sì com’ al pertugio
+de la sampogna vento che penètra,
+
+così, rimosso d’aspettare indugio,
+quel mormorar de l’aguglia salissi
+su per lo collo, come fosse bugio.
+
+Fecesi voce quivi, e quindi uscissi
+per lo suo becco in forma di parole,
+quali aspettava il core ov’ io le scrissi.
+
+«La parte in me che vede e pate il sole
+ne l’aguglie mortali», incominciommi,
+«or fisamente riguardar si vole,
+
+perché d’i fuochi ond’ io figura fommi,
+quelli onde l’occhio in testa mi scintilla,
+e’ di tutti lor gradi son li sommi.
+
+Colui che luce in mezzo per pupilla,
+fu il cantor de lo Spirito Santo,
+che l’arca traslatò di villa in villa:
+
+ora conosce il merto del suo canto,
+in quanto effetto fu del suo consiglio,
+per lo remunerar ch’è altrettanto.
+
+Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio,
+colui che più al becco mi s’accosta,
+la vedovella consolò del figlio:
+
+ora conosce quanto caro costa
+non seguir Cristo, per l’esperïenza
+di questa dolce vita e de l’opposta.
+
+E quel che segue in la circunferenza
+di che ragiono, per l’arco superno,
+morte indugiò per vera penitenza:
+
+ora conosce che ’l giudicio etterno
+non si trasmuta, quando degno preco
+fa crastino là giù de l’odïerno.
+
+L’altro che segue, con le leggi e meco,
+sotto buona intenzion che fé mal frutto,
+per cedere al pastor si fece greco:
+
+ora conosce come il mal dedutto
+dal suo bene operar non li è nocivo,
+avvegna che sia ’l mondo indi distrutto.
+
+E quel che vedi ne l’arco declivo,
+Guiglielmo fu, cui quella terra plora
+che piagne Carlo e Federigo vivo:
+
+ora conosce come s’innamora
+lo ciel del giusto rege, e al sembiante
+del suo fulgore il fa vedere ancora.
+
+Chi crederebbe giù nel mondo errante
+che Rifëo Troiano in questo tondo
+fosse la quinta de le luci sante?
+
+Ora conosce assai di quel che ’l mondo
+veder non può de la divina grazia,
+ben che sua vista non discerna il fondo».
+
+Quale allodetta che ’n aere si spazia
+prima cantando, e poi tace contenta
+de l’ultima dolcezza che la sazia,
+
+tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta
+de l’etterno piacere, al cui disio
+ciascuna cosa qual ell’ è diventa.
+
+E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio
+lì quasi vetro a lo color ch’el veste,
+tempo aspettar tacendo non patio,
+
+ma de la bocca, «Che cose son queste?»,
+mi pinse con la forza del suo peso:
+per ch’io di coruscar vidi gran feste.
+
+Poi appresso, con l’occhio più acceso,
+lo benedetto segno mi rispuose
+per non tenermi in ammirar sospeso:
+
+«Io veggio che tu credi queste cose
+perch’ io le dico, ma non vedi come;
+sì che, se son credute, sono ascose.
+
+Fai come quei che la cosa per nome
+apprende ben, ma la sua quiditate
+veder non può se altri non la prome.
+
+Regnum celorum vïolenza pate
+da caldo amore e da viva speranza,
+che vince la divina volontate:
+
+non a guisa che l’omo a l’om sobranza,
+ma vince lei perché vuole esser vinta,
+e, vinta, vince con sua beninanza.
+
+La prima vita del ciglio e la quinta
+ti fa maravigliar, perché ne vedi
+la regïon de li angeli dipinta.
+
+D’i corpi suoi non uscir, come credi,
+Gentili, ma Cristiani, in ferma fede
+quel d’i passuri e quel d’i passi piedi.
+
+Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede
+già mai a buon voler, tornò a l’ossa;
+e ciò di viva spene fu mercede:
+
+di viva spene, che mise la possa
+ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla,
+sì che potesse sua voglia esser mossa.
+
+L’anima glorïosa onde si parla,
+tornata ne la carne, in che fu poco,
+credette in lui che potëa aiutarla;
+
+e credendo s’accese in tanto foco
+di vero amor, ch’a la morte seconda
+fu degna di venire a questo gioco.
+
+L’altra, per grazia che da sì profonda
+fontana stilla, che mai creatura
+non pinse l’occhio infino a la prima onda,
+
+tutto suo amor là giù pose a drittura:
+per che, di grazia in grazia, Dio li aperse
+l’occhio a la nostra redenzion futura;
+
+ond’ ei credette in quella, e non sofferse
+da indi il puzzo più del paganesmo;
+e riprendiene le genti perverse.
+
+Quelle tre donne li fur per battesmo
+che tu vedesti da la destra rota,
+dinanzi al battezzar più d’un millesmo.
+
+O predestinazion, quanto remota
+è la radice tua da quelli aspetti
+che la prima cagion non veggion tota!
+
+E voi, mortali, tenetevi stretti
+a giudicar: ché noi, che Dio vedemo,
+non conosciamo ancor tutti li eletti;
+
+ed ènne dolce così fatto scemo,
+perché il ben nostro in questo ben s’affina,
+che quel che vole Iddio, e noi volemo».
+
+Così da quella imagine divina,
+per farmi chiara la mia corta vista,
+data mi fu soave medicina.
+
+E come a buon cantor buon citarista
+fa seguitar lo guizzo de la corda,
+in che più di piacer lo canto acquista,
+
+sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda
+ch’io vidi le due luci benedette,
+pur come batter d’occhi si concorda,
+
+con le parole mover le fiammette.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXI
+
+
+Già eran li occhi miei rifissi al volto
+de la mia donna, e l’animo con essi,
+e da ogne altro intento s’era tolto.
+
+E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,
+mi cominciò, «tu ti faresti quale
+fu Semelè quando di cener fessi:
+
+ché la bellezza mia, che per le scale
+de l’etterno palazzo più s’accende,
+com’ hai veduto, quanto più si sale,
+
+se non si temperasse, tanto splende,
+che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore,
+sarebbe fronda che trono scoscende.
+
+Noi sem levati al settimo splendore,
+che sotto ’l petto del Leone ardente
+raggia mo misto giù del suo valore.
+
+Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
+e fa di quelli specchi a la figura
+che ’n questo specchio ti sarà parvente».
+
+Qual savesse qual era la pastura
+del viso mio ne l’aspetto beato
+quand’ io mi trasmutai ad altra cura,
+
+conoscerebbe quanto m’era a grato
+ubidire a la mia celeste scorta,
+contrapesando l’un con l’altro lato.
+
+Dentro al cristallo che ’l vocabol porta,
+cerchiando il mondo, del suo caro duce
+sotto cui giacque ogne malizia morta,
+
+di color d’oro in che raggio traluce
+vid’ io uno scaleo eretto in suso
+tanto, che nol seguiva la mia luce.
+
+Vidi anche per li gradi scender giuso
+tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume
+che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
+
+E come, per lo natural costume,
+le pole insieme, al cominciar del giorno,
+si movono a scaldar le fredde piume;
+
+poi altre vanno via sanza ritorno,
+altre rivolgon sé onde son mosse,
+e altre roteando fan soggiorno;
+
+tal modo parve me che quivi fosse
+in quello sfavillar che ’nsieme venne,
+sì come in certo grado si percosse.
+
+E quel che presso più ci si ritenne,
+si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando:
+‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
+
+Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando
+del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
+contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’.
+
+Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
+nel veder di colui che tutto vede,
+mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
+
+E io incominciai: «La mia mercede
+non mi fa degno de la tua risposta;
+ma per colei che ’l chieder mi concede,
+
+vita beata che ti stai nascosta
+dentro a la tua letizia, fammi nota
+la cagion che sì presso mi t’ha posta;
+
+e dì perché si tace in questa rota
+la dolce sinfonia di paradiso,
+che giù per l’altre suona sì divota».
+
+«Tu hai l’udir mortal sì come il viso»,
+rispuose a me; «onde qui non si canta
+per quel che Bëatrice non ha riso.
+
+Giù per li gradi de la scala santa
+discesi tanto sol per farti festa
+col dire e con la luce che mi ammanta;
+
+né più amor mi fece esser più presta,
+ché più e tanto amor quinci sù ferve,
+sì come il fiammeggiar ti manifesta.
+
+Ma l’alta carità, che ci fa serve
+pronte al consiglio che ’l mondo governa,
+sorteggia qui sì come tu osserve».
+
+«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna,
+come libero amore in questa corte
+basta a seguir la provedenza etterna;
+
+ma questo è quel ch’a cerner mi par forte,
+perché predestinata fosti sola
+a questo officio tra le tue consorte».
+
+Né venni prima a l’ultima parola,
+che del suo mezzo fece il lume centro,
+girando sé come veloce mola;
+
+poi rispuose l’amor che v’era dentro:
+«Luce divina sopra me s’appunta,
+penetrando per questa in ch’io m’inventro,
+
+la cui virtù, col mio veder congiunta,
+mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
+la somma essenza de la quale è munta.
+
+Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio;
+per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara,
+la chiarità de la fiamma pareggio.
+
+Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
+quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso,
+a la dimanda tua non satisfara,
+
+però che sì s’innoltra ne lo abisso
+de l’etterno statuto quel che chiedi,
+che da ogne creata vista è scisso.
+
+E al mondo mortal, quando tu riedi,
+questo rapporta, sì che non presumma
+a tanto segno più mover li piedi.
+
+La mente, che qui luce, in terra fumma;
+onde riguarda come può là giùe
+quel che non pote perché ’l ciel l’assumma».
+
+Sì mi prescrisser le parole sue,
+ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
+a dimandarla umilmente chi fue.
+
+«Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi,
+e non molto distanti a la tua patria,
+tanto che ’ troni assai suonan più bassi,
+
+e fanno un gibbo che si chiama Catria,
+di sotto al quale è consecrato un ermo,
+che suole esser disposto a sola latria».
+
+Così ricominciommi il terzo sermo;
+e poi, continüando, disse: «Quivi
+al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
+
+che pur con cibi di liquor d’ulivi
+lievemente passava caldi e geli,
+contento ne’ pensier contemplativi.
+
+Render solea quel chiostro a questi cieli
+fertilemente; e ora è fatto vano,
+sì che tosto convien che si riveli.
+
+In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
+e Pietro Peccator fu’ ne la casa
+di Nostra Donna in sul lito adriano.
+
+Poca vita mortal m’era rimasa,
+quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
+che pur di male in peggio si travasa.
+
+Venne Cefàs e venne il gran vasello
+de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
+prendendo il cibo da qualunque ostello.
+
+Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
+li moderni pastori e chi li meni,
+tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
+
+Cuopron d’i manti loro i palafreni,
+sì che due bestie van sott’ una pelle:
+oh pazïenza che tanto sostieni!».
+
+A questa voce vid’ io più fiammelle
+di grado in grado scendere e girarsi,
+e ogne giro le facea più belle.
+
+Dintorno a questa vennero e fermarsi,
+e fero un grido di sì alto suono,
+che non potrebbe qui assomigliarsi;
+
+né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXII
+
+
+Oppresso di stupore, a la mia guida
+mi volsi, come parvol che ricorre
+sempre colà dove più si confida;
+
+e quella, come madre che soccorre
+sùbito al figlio palido e anelo
+con la sua voce, che ’l suol ben disporre,
+
+mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
+e non sai tu che ’l cielo è tutto santo,
+e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
+
+Come t’avrebbe trasmutato il canto,
+e io ridendo, mo pensar lo puoi,
+poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto;
+
+nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi,
+già ti sarebbe nota la vendetta
+che tu vedrai innanzi che tu muoi.
+
+La spada di qua sù non taglia in fretta
+né tardo, ma’ ch’al parer di colui
+che disïando o temendo l’aspetta.
+
+Ma rivolgiti omai inverso altrui;
+ch’assai illustri spiriti vedrai,
+se com’ io dico l’aspetto redui».
+
+Come a lei piacque, li occhi ritornai,
+e vidi cento sperule che ’nsieme
+più s’abbellivan con mutüi rai.
+
+Io stava come quei che ’n sé repreme
+la punta del disio, e non s’attenta
+di domandar, sì del troppo si teme;
+
+e la maggiore e la più luculenta
+di quelle margherite innanzi fessi,
+per far di sé la mia voglia contenta.
+
+Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi
+com’ io la carità che tra noi arde,
+li tuoi concetti sarebbero espressi.
+
+Ma perché tu, aspettando, non tarde
+a l’alto fine, io ti farò risposta
+pur al pensier, da che sì ti riguarde.
+
+Quel monte a cui Cassino è ne la costa
+fu frequentato già in su la cima
+da la gente ingannata e mal disposta;
+
+e quel son io che sù vi portai prima
+lo nome di colui che ’n terra addusse
+la verità che tanto ci soblima;
+
+e tanta grazia sopra me relusse,
+ch’io ritrassi le ville circunstanti
+da l’empio cólto che ’l mondo sedusse.
+
+Questi altri fuochi tutti contemplanti
+uomini fuoro, accesi di quel caldo
+che fa nascere i fiori e ’ frutti santi.
+
+Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
+qui son li frati miei che dentro ai chiostri
+fermar li piedi e tennero il cor saldo».
+
+E io a lui: «L’affetto che dimostri
+meco parlando, e la buona sembianza
+ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
+
+così m’ha dilatata mia fidanza,
+come ’l sol fa la rosa quando aperta
+tanto divien quant’ ell’ ha di possanza.
+
+Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
+s’io posso prender tanta grazia, ch’io
+ti veggia con imagine scoverta».
+
+Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio
+s’adempierà in su l’ultima spera,
+ove s’adempion tutti li altri e ’l mio.
+
+Ivi è perfetta, matura e intera
+ciascuna disïanza; in quella sola
+è ogne parte là ove sempr’ era,
+
+perché non è in loco e non s’impola;
+e nostra scala infino ad essa varca,
+onde così dal viso ti s’invola.
+
+Infin là sù la vide il patriarca
+Iacobbe porger la superna parte,
+quando li apparve d’angeli sì carca.
+
+Ma, per salirla, mo nessun diparte
+da terra i piedi, e la regola mia
+rimasa è per danno de le carte.
+
+Le mura che solieno esser badia
+fatte sono spelonche, e le cocolle
+sacca son piene di farina ria.
+
+Ma grave usura tanto non si tolle
+contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto
+che fa il cor de’ monaci sì folle;
+
+ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
+è de la gente che per Dio dimanda;
+non di parenti né d’altro più brutto.
+
+La carne d’i mortali è tanto blanda,
+che giù non basta buon cominciamento
+dal nascer de la quercia al far la ghianda.
+
+Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento,
+e io con orazione e con digiuno,
+e Francesco umilmente il suo convento;
+
+e se guardi ’l principio di ciascuno,
+poscia riguardi là dov’ è trascorso,
+tu vederai del bianco fatto bruno.
+
+Veramente Iordan vòlto retrorso
+più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse,
+mirabile a veder che qui ’l soccorso».
+
+Così mi disse, e indi si raccolse
+al suo collegio, e ’l collegio si strinse;
+poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse.
+
+La dolce donna dietro a lor mi pinse
+con un sol cenno su per quella scala,
+sì sua virtù la mia natura vinse;
+
+né mai qua giù dove si monta e cala
+naturalmente, fu sì ratto moto
+ch’agguagliar si potesse a la mia ala.
+
+S’io torni mai, lettore, a quel divoto
+trïunfo per lo quale io piango spesso
+le mie peccata e ’l petto mi percuoto,
+
+tu non avresti in tanto tratto e messo
+nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno
+che segue il Tauro e fui dentro da esso.
+
+O glorïose stelle, o lume pregno
+di gran virtù, dal quale io riconosco
+tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
+
+con voi nasceva e s’ascondeva vosco
+quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
+quand’ io senti’ di prima l’aere tosco;
+
+e poi, quando mi fu grazia largita
+d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
+la vostra regïon mi fu sortita.
+
+A voi divotamente ora sospira
+l’anima mia, per acquistar virtute
+al passo forte che a sé la tira.
+
+«Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,
+cominciò Bëatrice, «che tu dei
+aver le luci tue chiare e acute;
+
+e però, prima che tu più t’inlei,
+rimira in giù, e vedi quanto mondo
+sotto li piedi già esser ti fei;
+
+sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo
+s’appresenti a la turba trïunfante
+che lieta vien per questo etera tondo».
+
+Col viso ritornai per tutte quante
+le sette spere, e vidi questo globo
+tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
+
+e quel consiglio per migliore approbo
+che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
+chiamar si puote veramente probo.
+
+Vidi la figlia di Latona incensa
+sanza quell’ ombra che mi fu cagione
+per che già la credetti rara e densa.
+
+L’aspetto del tuo nato, Iperïone,
+quivi sostenni, e vidi com’ si move
+circa e vicino a lui Maia e Dïone.
+
+Quindi m’apparve il temperar di Giove
+tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro
+il varïar che fanno di lor dove;
+
+e tutti e sette mi si dimostraro
+quanto son grandi e quanto son veloci
+e come sono in distante riparo.
+
+L’aiuola che ci fa tanto feroci,
+volgendom’ io con li etterni Gemelli,
+tutta m’apparve da’ colli a le foci;
+
+poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXIII
+
+
+Come l’augello, intra l’amate fronde,
+posato al nido de’ suoi dolci nati
+la notte che le cose ci nasconde,
+
+che, per veder li aspetti disïati
+e per trovar lo cibo onde li pasca,
+in che gravi labor li sono aggrati,
+
+previene il tempo in su aperta frasca,
+e con ardente affetto il sole aspetta,
+fiso guardando pur che l’alba nasca;
+
+così la donna mïa stava eretta
+e attenta, rivolta inver’ la plaga
+sotto la quale il sol mostra men fretta:
+
+sì che, veggendola io sospesa e vaga,
+fecimi qual è quei che disïando
+altro vorria, e sperando s’appaga.
+
+Ma poco fu tra uno e altro quando,
+del mio attender, dico, e del vedere
+lo ciel venir più e più rischiarando;
+
+e Bëatrice disse: «Ecco le schiere
+del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto
+ricolto del girar di queste spere!».
+
+Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto,
+e li occhi avea di letizia sì pieni,
+che passarmen convien sanza costrutto.
+
+Quale ne’ plenilunïi sereni
+Trivïa ride tra le ninfe etterne
+che dipingon lo ciel per tutti i seni,
+
+vid’ i’ sopra migliaia di lucerne
+un sol che tutte quante l’accendea,
+come fa ’l nostro le viste superne;
+
+e per la viva luce trasparea
+la lucente sustanza tanto chiara
+nel viso mio, che non la sostenea.
+
+Oh Bëatrice, dolce guida e cara!
+Ella mi disse: «Quel che ti sobranza
+è virtù da cui nulla si ripara.
+
+Quivi è la sapïenza e la possanza
+ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra,
+onde fu già sì lunga disïanza».
+
+Come foco di nube si diserra
+per dilatarsi sì che non vi cape,
+e fuor di sua natura in giù s’atterra,
+
+la mente mia così, tra quelle dape
+fatta più grande, di sé stessa uscìo,
+e che si fesse rimembrar non sape.
+
+«Apri li occhi e riguarda qual son io;
+tu hai vedute cose, che possente
+se’ fatto a sostener lo riso mio».
+
+Io era come quei che si risente
+di visïone oblita e che s’ingegna
+indarno di ridurlasi a la mente,
+
+quand’ io udi’ questa proferta, degna
+di tanto grato, che mai non si stingue
+del libro che ’l preterito rassegna.
+
+Se mo sonasser tutte quelle lingue
+che Polimnïa con le suore fero
+del latte lor dolcissimo più pingue,
+
+per aiutarmi, al millesmo del vero
+non si verria, cantando il santo riso
+e quanto il santo aspetto facea mero;
+
+e così, figurando il paradiso,
+convien saltar lo sacrato poema,
+come chi trova suo cammin riciso.
+
+Ma chi pensasse il ponderoso tema
+e l’omero mortal che se ne carca,
+nol biasmerebbe se sott’ esso trema:
+
+non è pareggio da picciola barca
+quel che fendendo va l’ardita prora,
+né da nocchier ch’a sé medesmo parca.
+
+«Perché la faccia mia sì t’innamora,
+che tu non ti rivolgi al bel giardino
+che sotto i raggi di Cristo s’infiora?
+
+Quivi è la rosa in che ’l verbo divino
+carne si fece; quivi son li gigli
+al cui odor si prese il buon cammino».
+
+Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli
+tutto era pronto, ancora mi rendei
+a la battaglia de’ debili cigli.
+
+Come a raggio di sol, che puro mei
+per fratta nube, già prato di fiori
+vider, coverti d’ombra, li occhi miei;
+
+vid’ io così più turbe di splendori,
+folgorate di sù da raggi ardenti,
+sanza veder principio di folgóri.
+
+O benigna vertù che sì li ’mprenti,
+sù t’essaltasti, per largirmi loco
+a li occhi lì che non t’eran possenti.
+
+Il nome del bel fior ch’io sempre invoco
+e mane e sera, tutto mi ristrinse
+l’animo ad avvisar lo maggior foco;
+
+e come ambo le luci mi dipinse
+il quale e il quanto de la viva stella
+che là sù vince come qua giù vinse,
+
+per entro il cielo scese una facella,
+formata in cerchio a guisa di corona,
+e cinsela e girossi intorno ad ella.
+
+Qualunque melodia più dolce suona
+qua giù e più a sé l’anima tira,
+parrebbe nube che squarciata tona,
+
+comparata al sonar di quella lira
+onde si coronava il bel zaffiro
+del quale il ciel più chiaro s’inzaffira.
+
+«Io sono amore angelico, che giro
+l’alta letizia che spira del ventre
+che fu albergo del nostro disiro;
+
+e girerommi, donna del ciel, mentre
+che seguirai tuo figlio, e farai dia
+più la spera suprema perché lì entre».
+
+Così la circulata melodia
+si sigillava, e tutti li altri lumi
+facean sonare il nome di Maria.
+
+Lo real manto di tutti i volumi
+del mondo, che più ferve e più s’avviva
+ne l’alito di Dio e nei costumi,
+
+avea sopra di noi l’interna riva
+tanto distante, che la sua parvenza,
+là dov’ io era, ancor non appariva:
+
+però non ebber li occhi miei potenza
+di seguitar la coronata fiamma
+che si levò appresso sua semenza.
+
+E come fantolin che ’nver’ la mamma
+tende le braccia, poi che ’l latte prese,
+per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma;
+
+ciascun di quei candori in sù si stese
+con la sua cima, sì che l’alto affetto
+ch’elli avieno a Maria mi fu palese.
+
+Indi rimaser lì nel mio cospetto,
+‘Regina celi’ cantando sì dolce,
+che mai da me non si partì ’l diletto.
+
+Oh quanta è l’ubertà che si soffolce
+in quelle arche ricchissime che fuoro
+a seminar qua giù buone bobolce!
+
+Quivi si vive e gode del tesoro
+che s’acquistò piangendo ne lo essilio
+di Babillòn, ove si lasciò l’oro.
+
+Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio
+di Dio e di Maria, di sua vittoria,
+e con l’antico e col novo concilio,
+
+colui che tien le chiavi di tal gloria.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXIV
+
+
+«O sodalizio eletto a la gran cena
+del benedetto Agnello, il qual vi ciba
+sì, che la vostra voglia è sempre piena,
+
+se per grazia di Dio questi preliba
+di quel che cade de la vostra mensa,
+prima che morte tempo li prescriba,
+
+ponete mente a l’affezione immensa
+e roratelo alquanto: voi bevete
+sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa».
+
+Così Beatrice; e quelle anime liete
+si fero spere sopra fissi poli,
+fiammando, a volte, a guisa di comete.
+
+E come cerchi in tempra d’orïuoli
+si giran sì, che ’l primo a chi pon mente
+quïeto pare, e l’ultimo che voli;
+
+così quelle carole, differente-
+mente danzando, de la sua ricchezza
+mi facieno stimar, veloci e lente.
+
+Di quella ch’io notai di più carezza
+vid’ ïo uscire un foco sì felice,
+che nullo vi lasciò di più chiarezza;
+
+e tre fïate intorno di Beatrice
+si volse con un canto tanto divo,
+che la mia fantasia nol mi ridice.
+
+Però salta la penna e non lo scrivo:
+ché l’imagine nostra a cotai pieghe,
+non che ’l parlare, è troppo color vivo.
+
+«O santa suora mia che sì ne prieghe
+divota, per lo tuo ardente affetto
+da quella bella spera mi disleghe».
+
+Poscia fermato, il foco benedetto
+a la mia donna dirizzò lo spiro,
+che favellò così com’ i’ ho detto.
+
+Ed ella: «O luce etterna del gran viro
+a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi,
+ch’ei portò giù, di questo gaudio miro,
+
+tenta costui di punti lievi e gravi,
+come ti piace, intorno de la fede,
+per la qual tu su per lo mare andavi.
+
+S’elli ama bene e bene spera e crede,
+non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi
+dov’ ogne cosa dipinta si vede;
+
+ma perché questo regno ha fatto civi
+per la verace fede, a glorïarla,
+di lei parlare è ben ch’a lui arrivi».
+
+Sì come il baccialier s’arma e non parla
+fin che ’l maestro la question propone,
+per approvarla, non per terminarla,
+
+così m’armava io d’ogne ragione
+mentre ch’ella dicea, per esser presto
+a tal querente e a tal professione.
+
+«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto:
+fede che è?». Ond’ io levai la fronte
+in quella luce onde spirava questo;
+
+poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte
+sembianze femmi perch’ ïo spandessi
+l’acqua di fuor del mio interno fonte.
+
+«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi»,
+comincia’ io, «da l’alto primipilo,
+faccia li miei concetti bene espressi».
+
+E seguitai: «Come ’l verace stilo
+ne scrisse, padre, del tuo caro frate
+che mise teco Roma nel buon filo,
+
+fede è sustanza di cose sperate
+e argomento de le non parventi;
+e questa pare a me sua quiditate».
+
+Allora udi’: «Dirittamente senti,
+se bene intendi perché la ripuose
+tra le sustanze, e poi tra li argomenti».
+
+E io appresso: «Le profonde cose
+che mi largiscon qui la lor parvenza,
+a li occhi di là giù son sì ascose,
+
+che l’esser loro v’è in sola credenza,
+sopra la qual si fonda l’alta spene;
+e però di sustanza prende intenza.
+
+E da questa credenza ci convene
+silogizzar, sanz’ avere altra vista:
+però intenza d’argomento tene».
+
+Allora udi’: «Se quantunque s’acquista
+giù per dottrina, fosse così ’nteso,
+non lì avria loco ingegno di sofista».
+
+Così spirò di quello amore acceso;
+indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa
+d’esta moneta già la lega e ’l peso;
+
+ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa».
+Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda,
+che nel suo conio nulla mi s’inforsa».
+
+Appresso uscì de la luce profonda
+che lì splendeva: «Questa cara gioia
+sopra la quale ogne virtù si fonda,
+
+onde ti venne?». E io: «La larga ploia
+de lo Spirito Santo, ch’è diffusa
+in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia,
+
+è silogismo che la m’ha conchiusa
+acutamente sì, che ’nverso d’ella
+ogne dimostrazion mi pare ottusa».
+
+Io udi’ poi: «L’antica e la novella
+proposizion che così ti conchiude,
+perché l’hai tu per divina favella?».
+
+E io: «La prova che ’l ver mi dischiude,
+son l’opere seguite, a che natura
+non scalda ferro mai né batte incude».
+
+Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura
+che quell’ opere fosser? Quel medesmo
+che vuol provarsi, non altri, il ti giura».
+
+«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo»,
+diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno
+è tal, che li altri non sono il centesmo:
+
+ché tu intrasti povero e digiuno
+in campo, a seminar la buona pianta
+che fu già vite e ora è fatta pruno».
+
+Finito questo, l’alta corte santa
+risonò per le spere un ‘Dio laudamo’
+ne la melode che là sù si canta.
+
+E quel baron che sì di ramo in ramo,
+essaminando, già tratto m’avea,
+che a l’ultime fronde appressavamo,
+
+ricominciò: «La Grazia, che donnea
+con la tua mente, la bocca t’aperse
+infino a qui come aprir si dovea,
+
+sì ch’io approvo ciò che fuori emerse;
+ma or convien espremer quel che credi,
+e onde a la credenza tua s’offerse».
+
+«O santo padre, e spirito che vedi
+ciò che credesti sì, che tu vincesti
+ver’ lo sepulcro più giovani piedi»,
+
+comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti
+la forma qui del pronto creder mio,
+e anche la cagion di lui chiedesti.
+
+E io rispondo: Io credo in uno Dio
+solo ed etterno, che tutto ’l ciel move,
+non moto, con amore e con disio;
+
+e a tal creder non ho io pur prove
+fisice e metafisice, ma dalmi
+anche la verità che quinci piove
+
+per Moïsè, per profeti e per salmi,
+per l’Evangelio e per voi che scriveste
+poi che l’ardente Spirto vi fé almi;
+
+e credo in tre persone etterne, e queste
+credo una essenza sì una e sì trina,
+che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’.
+
+De la profonda condizion divina
+ch’io tocco mo, la mente mi sigilla
+più volte l’evangelica dottrina.
+
+Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla
+che si dilata in fiamma poi vivace,
+e come stella in cielo in me scintilla».
+
+Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace,
+da indi abbraccia il servo, gratulando
+per la novella, tosto ch’el si tace;
+
+così, benedicendomi cantando,
+tre volte cinse me, sì com’ io tacqui,
+l’appostolico lume al cui comando
+
+io avea detto: sì nel dir li piacqui!
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXV
+
+
+Se mai continga che ’l poema sacro
+al quale ha posto mano e cielo e terra,
+sì che m’ha fatto per molti anni macro,
+
+vinca la crudeltà che fuor mi serra
+del bello ovile ov’ io dormi’ agnello,
+nimico ai lupi che li danno guerra;
+
+con altra voce omai, con altro vello
+ritornerò poeta, e in sul fonte
+del mio battesmo prenderò ’l cappello;
+
+però che ne la fede, che fa conte
+l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi
+Pietro per lei sì mi girò la fronte.
+
+Indi si mosse un lume verso noi
+di quella spera ond’ uscì la primizia
+che lasciò Cristo d’i vicari suoi;
+
+e la mia donna, piena di letizia,
+mi disse: «Mira, mira: ecco il barone
+per cui là giù si vicita Galizia».
+
+Sì come quando il colombo si pone
+presso al compagno, l’uno a l’altro pande,
+girando e mormorando, l’affezione;
+
+così vid’ ïo l’un da l’altro grande
+principe glorïoso essere accolto,
+laudando il cibo che là sù li prande.
+
+Ma poi che ’l gratular si fu assolto,
+tacito coram me ciascun s’affisse,
+ignito sì che vincëa ’l mio volto.
+
+Ridendo allora Bëatrice disse:
+«Inclita vita per cui la larghezza
+de la nostra basilica si scrisse,
+
+fa risonar la spene in questa altezza:
+tu sai, che tante fiate la figuri,
+quante Iesù ai tre fé più carezza».
+
+«Leva la testa e fa che t’assicuri:
+che ciò che vien qua sù del mortal mondo,
+convien ch’ai nostri raggi si maturi».
+
+Questo conforto del foco secondo
+mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti
+che li ’ncurvaron pria col troppo pondo.
+
+«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti
+lo nostro Imperadore, anzi la morte,
+ne l’aula più secreta co’ suoi conti,
+
+sì che, veduto il ver di questa corte,
+la spene, che là giù bene innamora,
+in te e in altrui di ciò conforte,
+
+di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora
+la mente tua, e dì onde a te venne».
+Così seguì ’l secondo lume ancora.
+
+E quella pïa che guidò le penne
+de le mie ali a così alto volo,
+a la risposta così mi prevenne:
+
+«La Chiesa militante alcun figliuolo
+non ha con più speranza, com’ è scritto
+nel Sol che raggia tutto nostro stuolo:
+
+però li è conceduto che d’Egitto
+vegna in Ierusalemme per vedere,
+anzi che ’l militar li sia prescritto.
+
+Li altri due punti, che non per sapere
+son dimandati, ma perch’ ei rapporti
+quanto questa virtù t’è in piacere,
+
+a lui lasc’ io, ché non li saran forti
+né di iattanza; ed elli a ciò risponda,
+e la grazia di Dio ciò li comporti».
+
+Come discente ch’a dottor seconda
+pronto e libente in quel ch’elli è esperto,
+perché la sua bontà si disasconda,
+
+«Spene», diss’ io, «è uno attender certo
+de la gloria futura, il qual produce
+grazia divina e precedente merto.
+
+Da molte stelle mi vien questa luce;
+ma quei la distillò nel mio cor pria
+che fu sommo cantor del sommo duce.
+
+‘Sperino in te’, ne la sua tëodia
+dice, ‘color che sanno il nome tuo’:
+e chi nol sa, s’elli ha la fede mia?
+
+Tu mi stillasti, con lo stillar suo,
+ne la pistola poi; sì ch’io son pieno,
+e in altrui vostra pioggia repluo».
+
+Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno
+di quello incendio tremolava un lampo
+sùbito e spesso a guisa di baleno.
+
+Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo
+ancor ver’ la virtù che mi seguette
+infin la palma e a l’uscir del campo,
+
+vuol ch’io respiri a te che ti dilette
+di lei; ed emmi a grato che tu diche
+quello che la speranza ti ’mpromette».
+
+E io: «Le nove e le scritture antiche
+pongon lo segno, ed esso lo mi addita,
+de l’anime che Dio s’ha fatte amiche.
+
+Dice Isaia che ciascuna vestita
+ne la sua terra fia di doppia vesta:
+e la sua terra è questa dolce vita;
+
+e ’l tuo fratello assai vie più digesta,
+là dove tratta de le bianche stole,
+questa revelazion ci manifesta».
+
+E prima, appresso al fin d’este parole,
+‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì;
+a che rispuoser tutte le carole.
+
+Poscia tra esse un lume si schiarì
+sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo,
+l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì.
+
+E come surge e va ed entra in ballo
+vergine lieta, sol per fare onore
+a la novizia, non per alcun fallo,
+
+così vid’ io lo schiarato splendore
+venire a’ due che si volgieno a nota
+qual conveniesi al loro ardente amore.
+
+Misesi lì nel canto e ne la rota;
+e la mia donna in lor tenea l’aspetto,
+pur come sposa tacita e immota.
+
+«Questi è colui che giacque sopra ’l petto
+del nostro pellicano, e questi fue
+di su la croce al grande officio eletto».
+
+La donna mia così; né però piùe
+mosser la vista sua di stare attenta
+poscia che prima le parole sue.
+
+Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta
+di vedere eclissar lo sole un poco,
+che, per veder, non vedente diventa;
+
+tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco
+mentre che detto fu: «Perché t’abbagli
+per veder cosa che qui non ha loco?
+
+In terra è terra il mio corpo, e saragli
+tanto con li altri, che ’l numero nostro
+con l’etterno proposito s’agguagli.
+
+Con le due stole nel beato chiostro
+son le due luci sole che saliro;
+e questo apporterai nel mondo vostro».
+
+A questa voce l’infiammato giro
+si quïetò con esso il dolce mischio
+che si facea nel suon del trino spiro,
+
+sì come, per cessar fatica o rischio,
+li remi, pria ne l’acqua ripercossi,
+tutti si posano al sonar d’un fischio.
+
+Ahi quanto ne la mente mi commossi,
+quando mi volsi per veder Beatrice,
+per non poter veder, benché io fossi
+
+presso di lei, e nel mondo felice!
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXVI
+
+
+Mentr’ io dubbiava per lo viso spento,
+de la fulgida fiamma che lo spense
+uscì un spiro che mi fece attento,
+
+dicendo: «Intanto che tu ti risense
+de la vista che haï in me consunta,
+ben è che ragionando la compense.
+
+Comincia dunque; e dì ove s’appunta
+l’anima tua, e fa ragion che sia
+la vista in te smarrita e non defunta:
+
+perché la donna che per questa dia
+regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
+la virtù ch’ebbe la man d’Anania».
+
+Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
+vegna remedio a li occhi, che fuor porte
+quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo.
+
+Lo ben che fa contenta questa corte,
+Alfa e O è di quanta scrittura
+mi legge Amore o lievemente o forte».
+
+Quella medesma voce che paura
+tolta m’avea del sùbito abbarbaglio,
+di ragionare ancor mi mise in cura;
+
+e disse: «Certo a più angusto vaglio
+ti conviene schiarar: dicer convienti
+chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio».
+
+E io: «Per filosofici argomenti
+e per autorità che quinci scende
+cotale amor convien che in me si ’mprenti:
+
+ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende,
+così accende amore, e tanto maggio
+quanto più di bontate in sé comprende.
+
+Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio,
+che ciascun ben che fuor di lei si trova
+altro non è ch’un lume di suo raggio,
+
+più che in altra convien che si mova
+la mente, amando, di ciascun che cerne
+il vero in che si fonda questa prova.
+
+Tal vero a l’intelletto mïo sterne
+colui che mi dimostra il primo amore
+di tutte le sustanze sempiterne.
+
+Sternel la voce del verace autore,
+che dice a Moïsè, di sé parlando:
+‘Io ti farò vedere ogne valore’.
+
+Sternilmi tu ancora, incominciando
+l’alto preconio che grida l’arcano
+di qui là giù sovra ogne altro bando».
+
+E io udi’: «Per intelletto umano
+e per autoritadi a lui concorde
+d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.
+
+Ma dì ancor se tu senti altre corde
+tirarti verso lui, sì che tu suone
+con quanti denti questo amor ti morde».
+
+Non fu latente la santa intenzione
+de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi
+dove volea menar mia professione.
+
+Però ricominciai: «Tutti quei morsi
+che posson far lo cor volgere a Dio,
+a la mia caritate son concorsi:
+
+ché l’essere del mondo e l’esser mio,
+la morte ch’el sostenne perch’ io viva,
+e quel che spera ogne fedel com’ io,
+
+con la predetta conoscenza viva,
+tratto m’hanno del mar de l’amor torto,
+e del diritto m’han posto a la riva.
+
+Le fronde onde s’infronda tutto l’orto
+de l’ortolano etterno, am’ io cotanto
+quanto da lui a lor di bene è porto».
+
+Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto
+risonò per lo cielo, e la mia donna
+dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».
+
+E come a lume acuto si disonna
+per lo spirto visivo che ricorre
+a lo splendor che va di gonna in gonna,
+
+e lo svegliato ciò che vede aborre,
+sì nescïa è la sùbita vigilia
+fin che la stimativa non soccorre;
+
+così de li occhi miei ogne quisquilia
+fugò Beatrice col raggio d’i suoi,
+che rifulgea da più di mille milia:
+
+onde mei che dinanzi vidi poi;
+e quasi stupefatto domandai
+d’un quarto lume ch’io vidi tra noi.
+
+E la mia donna: «Dentro da quei rai
+vagheggia il suo fattor l’anima prima
+che la prima virtù creasse mai».
+
+Come la fronda che flette la cima
+nel transito del vento, e poi si leva
+per la propria virtù che la soblima,
+
+fec’ io in tanto in quant’ ella diceva,
+stupendo, e poi mi rifece sicuro
+un disio di parlare ond’ ïo ardeva.
+
+E cominciai: «O pomo che maturo
+solo prodotto fosti, o padre antico
+a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,
+
+divoto quanto posso a te supplìco
+perché mi parli: tu vedi mia voglia,
+e per udirti tosto non la dico».
+
+Talvolta un animal coverto broglia,
+sì che l’affetto convien che si paia
+per lo seguir che face a lui la ’nvoglia;
+
+e similmente l’anima primaia
+mi facea trasparer per la coverta
+quant’ ella a compiacermi venìa gaia.
+
+Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta
+da te, la voglia tua discerno meglio
+che tu qualunque cosa t’è più certa;
+
+perch’ io la veggio nel verace speglio
+che fa di sé pareglio a l’altre cose,
+e nulla face lui di sé pareglio.
+
+Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose
+ne l’eccelso giardino, ove costei
+a così lunga scala ti dispuose,
+
+e quanto fu diletto a li occhi miei,
+e la propria cagion del gran disdegno,
+e l’idïoma ch’usai e che fei.
+
+Or, figluol mio, non il gustar del legno
+fu per sé la cagion di tanto essilio,
+ma solamente il trapassar del segno.
+
+Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
+quattromilia trecento e due volumi
+di sol desiderai questo concilio;
+
+e vidi lui tornare a tutt’ i lumi
+de la sua strada novecento trenta
+fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi.
+
+La lingua ch’io parlai fu tutta spenta
+innanzi che a l’ovra inconsummabile
+fosse la gente di Nembròt attenta:
+
+ché nullo effetto mai razïonabile,
+per lo piacere uman che rinovella
+seguendo il cielo, sempre fu durabile.
+
+Opera naturale è ch’uom favella;
+ma così o così, natura lascia
+poi fare a voi secondo che v’abbella.
+
+Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia,
+I s’appellava in terra il sommo bene
+onde vien la letizia che mi fascia;
+
+e El si chiamò poi: e ciò convene,
+ché l’uso d’i mortali è come fronda
+in ramo, che sen va e altra vene.
+
+Nel monte che si leva più da l’onda,
+fu’ io, con vita pura e disonesta,
+da la prim’ ora a quella che seconda,
+
+come ’l sol muta quadra, l’ora sesta».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXVII
+
+
+‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’,
+cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso,
+sì che m’inebrïava il dolce canto.
+
+Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso
+de l’universo; per che mia ebbrezza
+intrava per l’udire e per lo viso.
+
+Oh gioia! oh ineffabile allegrezza!
+oh vita intègra d’amore e di pace!
+oh sanza brama sicura ricchezza!
+
+Dinanzi a li occhi miei le quattro face
+stavano accese, e quella che pria venne
+incominciò a farsi più vivace,
+
+e tal ne la sembianza sua divenne,
+qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte
+fossero augelli e cambiassersi penne.
+
+La provedenza, che quivi comparte
+vice e officio, nel beato coro
+silenzio posto avea da ogne parte,
+
+quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro,
+non ti maravigliar, ché, dicend’ io,
+vedrai trascolorar tutti costoro.
+
+Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio,
+il luogo mio, il luogo mio, che vaca
+ne la presenza del Figliuol di Dio,
+
+fatt’ ha del cimitero mio cloaca
+del sangue e de la puzza; onde ’l perverso
+che cadde di qua sù, là giù si placa».
+
+Di quel color che per lo sole avverso
+nube dipigne da sera e da mane,
+vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso.
+
+E come donna onesta che permane
+di sé sicura, e per l’altrui fallanza,
+pur ascoltando, timida si fane,
+
+così Beatrice trasmutò sembianza;
+e tale eclissi credo che ’n ciel fue
+quando patì la supprema possanza.
+
+Poi procedetter le parole sue
+con voce tanto da sé trasmutata,
+che la sembianza non si mutò piùe:
+
+«Non fu la sposa di Cristo allevata
+del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto,
+per essere ad acquisto d’oro usata;
+
+ma per acquisto d’esto viver lieto
+e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano
+sparser lo sangue dopo molto fleto.
+
+Non fu nostra intenzion ch’a destra mano
+d’i nostri successor parte sedesse,
+parte da l’altra del popol cristiano;
+
+né che le chiavi che mi fuor concesse,
+divenisser signaculo in vessillo
+che contra battezzati combattesse;
+
+né ch’io fossi figura di sigillo
+a privilegi venduti e mendaci,
+ond’ io sovente arrosso e disfavillo.
+
+In vesta di pastor lupi rapaci
+si veggion di qua sù per tutti i paschi:
+o difesa di Dio, perché pur giaci?
+
+Del sangue nostro Caorsini e Guaschi
+s’apparecchian di bere: o buon principio,
+a che vil fine convien che tu caschi!
+
+Ma l’alta provedenza, che con Scipio
+difese a Roma la gloria del mondo,
+soccorrà tosto, sì com’ io concipio;
+
+e tu, figliuol, che per lo mortal pondo
+ancor giù tornerai, apri la bocca,
+e non asconder quel ch’io non ascondo».
+
+Sì come di vapor gelati fiocca
+in giuso l’aere nostro, quando ’l corno
+de la capra del ciel col sol si tocca,
+
+in sù vid’ io così l’etera addorno
+farsi e fioccar di vapor trïunfanti
+che fatto avien con noi quivi soggiorno.
+
+Lo viso mio seguiva i suoi sembianti,
+e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto,
+li tolse il trapassar del più avanti.
+
+Onde la donna, che mi vide assolto
+de l’attendere in sù, mi disse: «Adima
+il viso e guarda come tu se’ vòlto».
+
+Da l’ora ch’ïo avea guardato prima
+i’ vidi mosso me per tutto l’arco
+che fa dal mezzo al fine il primo clima;
+
+sì ch’io vedea di là da Gade il varco
+folle d’Ulisse, e di qua presso il lito
+nel qual si fece Europa dolce carco.
+
+E più mi fora discoverto il sito
+di questa aiuola; ma ’l sol procedea
+sotto i mie’ piedi un segno e più partito.
+
+La mente innamorata, che donnea
+con la mia donna sempre, di ridure
+ad essa li occhi più che mai ardea;
+
+e se natura o arte fé pasture
+da pigliare occhi, per aver la mente,
+in carne umana o ne le sue pitture,
+
+tutte adunate, parrebber nïente
+ver’ lo piacer divin che mi refulse,
+quando mi volsi al suo viso ridente.
+
+E la virtù che lo sguardo m’indulse,
+del bel nido di Leda mi divelse,
+e nel ciel velocissimo m’impulse.
+
+Le parti sue vivissime ed eccelse
+sì uniforme son, ch’i’ non so dire
+qual Bëatrice per loco mi scelse.
+
+Ma ella, che vedëa ’l mio disire,
+incominciò, ridendo tanto lieta,
+che Dio parea nel suo volto gioire:
+
+«La natura del mondo, che quïeta
+il mezzo e tutto l’altro intorno move,
+quinci comincia come da sua meta;
+
+e questo cielo non ha altro dove
+che la mente divina, in che s’accende
+l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove.
+
+Luce e amor d’un cerchio lui comprende,
+sì come questo li altri; e quel precinto
+colui che ’l cinge solamente intende.
+
+Non è suo moto per altro distinto,
+ma li altri son mensurati da questo,
+sì come diece da mezzo e da quinto;
+
+e come il tempo tegna in cotal testo
+le sue radici e ne li altri le fronde,
+omai a te può esser manifesto.
+
+Oh cupidigia che i mortali affonde
+sì sotto te, che nessuno ha podere
+di trarre li occhi fuor de le tue onde!
+
+Ben fiorisce ne li uomini il volere;
+ma la pioggia continüa converte
+in bozzacchioni le sosine vere.
+
+Fede e innocenza son reperte
+solo ne’ parvoletti; poi ciascuna
+pria fugge che le guance sian coperte.
+
+Tale, balbuzïendo ancor, digiuna,
+che poi divora, con la lingua sciolta,
+qualunque cibo per qualunque luna;
+
+e tal, balbuzïendo, ama e ascolta
+la madre sua, che, con loquela intera,
+disïa poi di vederla sepolta.
+
+Così si fa la pelle bianca nera
+nel primo aspetto de la bella figlia
+di quel ch’apporta mane e lascia sera.
+
+Tu, perché non ti facci maraviglia,
+pensa che ’n terra non è chi governi;
+onde sì svïa l’umana famiglia.
+
+Ma prima che gennaio tutto si sverni
+per la centesma ch’è là giù negletta,
+raggeran sì questi cerchi superni,
+
+che la fortuna che tanto s’aspetta,
+le poppe volgerà u’ son le prore,
+sì che la classe correrà diretta;
+
+e vero frutto verrà dopo ’l fiore».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXVIII
+
+
+Poscia che ’ncontro a la vita presente
+d’i miseri mortali aperse ’l vero
+quella che ’mparadisa la mia mente,
+
+come in lo specchio fiamma di doppiero
+vede colui che se n’alluma retro,
+prima che l’abbia in vista o in pensiero,
+
+e sé rivolge per veder se ’l vetro
+li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
+con esso come nota con suo metro;
+
+così la mia memoria si ricorda
+ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
+onde a pigliarmi fece Amor la corda.
+
+E com’ io mi rivolsi e furon tocchi
+li miei da ciò che pare in quel volume,
+quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
+
+un punto vidi che raggiava lume
+acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca
+chiuder conviensi per lo forte acume;
+
+e quale stella par quinci più poca,
+parrebbe luna, locata con esso
+come stella con stella si collòca.
+
+Forse cotanto quanto pare appresso
+alo cigner la luce che ’l dipigne
+quando ’l vapor che ’l porta più è spesso,
+
+distante intorno al punto un cerchio d’igne
+si girava sì ratto, ch’avria vinto
+quel moto che più tosto il mondo cigne;
+
+e questo era d’un altro circumcinto,
+e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto,
+dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
+
+Sopra seguiva il settimo sì sparto
+già di larghezza, che ’l messo di Iuno
+intero a contenerlo sarebbe arto.
+
+Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno
+più tardo si movea, secondo ch’era
+in numero distante più da l’uno;
+
+e quello avea la fiamma più sincera
+cui men distava la favilla pura,
+credo, però che più di lei s’invera.
+
+La donna mia, che mi vedëa in cura
+forte sospeso, disse: «Da quel punto
+depende il cielo e tutta la natura.
+
+Mira quel cerchio che più li è congiunto;
+e sappi che ’l suo muovere è sì tosto
+per l’affocato amore ond’ elli è punto».
+
+E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto
+con l’ordine ch’io veggio in quelle rote,
+sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto;
+
+ma nel mondo sensibile si puote
+veder le volte tanto più divine,
+quant’ elle son dal centro più remote.
+
+Onde, se ’l mio disir dee aver fine
+in questo miro e angelico templo
+che solo amore e luce ha per confine,
+
+udir convienmi ancor come l’essemplo
+e l’essemplare non vanno d’un modo,
+ché io per me indarno a ciò contemplo».
+
+«Se li tuoi diti non sono a tal nodo
+sufficïenti, non è maraviglia:
+tanto, per non tentare, è fatto sodo!».
+
+Così la donna mia; poi disse: «Piglia
+quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti;
+e intorno da esso t’assottiglia.
+
+Li cerchi corporai sono ampi e arti
+secondo il più e ’l men de la virtute
+che si distende per tutte lor parti.
+
+Maggior bontà vuol far maggior salute;
+maggior salute maggior corpo cape,
+s’elli ha le parti igualmente compiute.
+
+Dunque costui che tutto quanto rape
+l’altro universo seco, corrisponde
+al cerchio che più ama e che più sape:
+
+per che, se tu a la virtù circonde
+la tua misura, non a la parvenza
+de le sustanze che t’appaion tonde,
+
+tu vederai mirabil consequenza
+di maggio a più e di minore a meno,
+in ciascun cielo, a süa intelligenza».
+
+Come rimane splendido e sereno
+l’emisperio de l’aere, quando soffia
+Borea da quella guancia ond’ è più leno,
+
+per che si purga e risolve la roffia
+che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride
+con le bellezze d’ogne sua paroffia;
+
+così fec’ïo, poi che mi provide
+la donna mia del suo risponder chiaro,
+e come stella in cielo il ver si vide.
+
+E poi che le parole sue restaro,
+non altrimenti ferro disfavilla
+che bolle, come i cerchi sfavillaro.
+
+L’incendio suo seguiva ogne scintilla;
+ed eran tante, che ’l numero loro
+più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla.
+
+Io sentiva osannar di coro in coro
+al punto fisso che li tiene a li ubi,
+e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro.
+
+E quella che vedëa i pensier dubi
+ne la mia mente, disse: «I cerchi primi
+t’hanno mostrato Serafi e Cherubi.
+
+Così veloci seguono i suoi vimi,
+per somigliarsi al punto quanto ponno;
+e posson quanto a veder son soblimi.
+
+Quelli altri amori che ’ntorno li vonno,
+si chiaman Troni del divino aspetto,
+per che ’l primo ternaro terminonno;
+
+e dei saper che tutti hanno diletto
+quanto la sua veduta si profonda
+nel vero in che si queta ogne intelletto.
+
+Quinci si può veder come si fonda
+l’esser beato ne l’atto che vede,
+non in quel ch’ama, che poscia seconda;
+
+e del vedere è misura mercede,
+che grazia partorisce e buona voglia:
+così di grado in grado si procede.
+
+L’altro ternaro, che così germoglia
+in questa primavera sempiterna
+che notturno Arïete non dispoglia,
+
+perpetüalemente ‘Osanna’ sberna
+con tre melode, che suonano in tree
+ordini di letizia onde s’interna.
+
+In essa gerarcia son l’altre dee:
+prima Dominazioni, e poi Virtudi;
+l’ordine terzo di Podestadi èe.
+
+Poscia ne’ due penultimi tripudi
+Principati e Arcangeli si girano;
+l’ultimo è tutto d’Angelici ludi.
+
+Questi ordini di sù tutti s’ammirano,
+e di giù vincon sì, che verso Dio
+tutti tirati sono e tutti tirano.
+
+E Dïonisio con tanto disio
+a contemplar questi ordini si mise,
+che li nomò e distinse com’ io.
+
+Ma Gregorio da lui poi si divise;
+onde, sì tosto come li occhi aperse
+in questo ciel, di sé medesmo rise.
+
+E se tanto secreto ver proferse
+mortale in terra, non voglio ch’ammiri:
+ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse
+
+con altro assai del ver di questi giri».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXIX
+
+
+Quando ambedue li figli di Latona,
+coperti del Montone e de la Libra,
+fanno de l’orizzonte insieme zona,
+
+quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra
+infin che l’uno e l’altro da quel cinto,
+cambiando l’emisperio, si dilibra,
+
+tanto, col volto di riso dipinto,
+si tacque Bëatrice, riguardando
+fiso nel punto che m’avëa vinto.
+
+Poi cominciò: «Io dico, e non dimando,
+quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto
+là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando.
+
+Non per aver a sé di bene acquisto,
+ch’esser non può, ma perché suo splendore
+potesse, risplendendo, dir “Subsisto”,
+
+in sua etternità di tempo fore,
+fuor d’ogne altro comprender, come i piacque,
+s’aperse in nuovi amor l’etterno amore.
+
+Né prima quasi torpente si giacque;
+ché né prima né poscia procedette
+lo discorrer di Dio sovra quest’ acque.
+
+Forma e materia, congiunte e purette,
+usciro ad esser che non avia fallo,
+come d’arco tricordo tre saette.
+
+E come in vetro, in ambra o in cristallo
+raggio resplende sì, che dal venire
+a l’esser tutto non è intervallo,
+
+così ’l triforme effetto del suo sire
+ne l’esser suo raggiò insieme tutto
+sanza distinzïone in essordire.
+
+Concreato fu ordine e costrutto
+a le sustanze; e quelle furon cima
+nel mondo in che puro atto fu produtto;
+
+pura potenza tenne la parte ima;
+nel mezzo strinse potenza con atto
+tal vime, che già mai non si divima.
+
+Ieronimo vi scrisse lungo tratto
+di secoli de li angeli creati
+anzi che l’altro mondo fosse fatto;
+
+ma questo vero è scritto in molti lati
+da li scrittor de lo Spirito Santo,
+e tu te n’avvedrai se bene agguati;
+
+e anche la ragione il vede alquanto,
+che non concederebbe che ’ motori
+sanza sua perfezion fosser cotanto.
+
+Or sai tu dove e quando questi amori
+furon creati e come: sì che spenti
+nel tuo disïo già son tre ardori.
+
+Né giugneriesi, numerando, al venti
+sì tosto, come de li angeli parte
+turbò il suggetto d’i vostri alimenti.
+
+L’altra rimase, e cominciò quest’ arte
+che tu discerni, con tanto diletto,
+che mai da circüir non si diparte.
+
+Principio del cader fu il maladetto
+superbir di colui che tu vedesti
+da tutti i pesi del mondo costretto.
+
+Quelli che vedi qui furon modesti
+a riconoscer sé da la bontate
+che li avea fatti a tanto intender presti:
+
+per che le viste lor furo essaltate
+con grazia illuminante e con lor merto,
+si c’hanno ferma e piena volontate;
+
+e non voglio che dubbi, ma sia certo,
+che ricever la grazia è meritorio
+secondo che l’affetto l’è aperto.
+
+Omai dintorno a questo consistorio
+puoi contemplare assai, se le parole
+mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio.
+
+Ma perché ’n terra per le vostre scole
+si legge che l’angelica natura
+è tal, che ’ntende e si ricorda e vole,
+
+ancor dirò, perché tu veggi pura
+la verità che là giù si confonde,
+equivocando in sì fatta lettura.
+
+Queste sustanze, poi che fur gioconde
+de la faccia di Dio, non volser viso
+da essa, da cui nulla si nasconde:
+
+però non hanno vedere interciso
+da novo obietto, e però non bisogna
+rememorar per concetto diviso;
+
+sì che là giù, non dormendo, si sogna,
+credendo e non credendo dicer vero;
+ma ne l’uno è più colpa e più vergogna.
+
+Voi non andate giù per un sentiero
+filosofando: tanto vi trasporta
+l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero!
+
+E ancor questo qua sù si comporta
+con men disdegno che quando è posposta
+la divina Scrittura o quando è torta.
+
+Non vi si pensa quanto sangue costa
+seminarla nel mondo e quanto piace
+chi umilmente con essa s’accosta.
+
+Per apparer ciascun s’ingegna e face
+sue invenzioni; e quelle son trascorse
+da’ predicanti e ’l Vangelio si tace.
+
+Un dice che la luna si ritorse
+ne la passion di Cristo e s’interpuose,
+per che ’l lume del sol giù non si porse;
+
+e mente, ché la luce si nascose
+da sé: però a li Spani e a l’Indi
+come a’ Giudei tale eclissi rispuose.
+
+Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi
+quante sì fatte favole per anno
+in pergamo si gridan quinci e quindi:
+
+sì che le pecorelle, che non sanno,
+tornan del pasco pasciute di vento,
+e non le scusa non veder lo danno.
+
+Non disse Cristo al suo primo convento:
+‘Andate, e predicate al mondo ciance’;
+ma diede lor verace fondamento;
+
+e quel tanto sonò ne le sue guance,
+sì ch’a pugnar per accender la fede
+de l’Evangelio fero scudo e lance.
+
+Ora si va con motti e con iscede
+a predicare, e pur che ben si rida,
+gonfia il cappuccio e più non si richiede.
+
+Ma tale uccel nel becchetto s’annida,
+che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe
+la perdonanza di ch’el si confida:
+
+per cui tanta stoltezza in terra crebbe,
+che, sanza prova d’alcun testimonio,
+ad ogne promession si correrebbe.
+
+Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio,
+e altri assai che sono ancor più porci,
+pagando di moneta sanza conio.
+
+Ma perché siam digressi assai, ritorci
+li occhi oramai verso la dritta strada,
+sì che la via col tempo si raccorci.
+
+Questa natura sì oltre s’ingrada
+in numero, che mai non fu loquela
+né concetto mortal che tanto vada;
+
+e se tu guardi quel che si revela
+per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia
+determinato numero si cela.
+
+La prima luce, che tutta la raia,
+per tanti modi in essa si recepe,
+quanti son li splendori a chi s’appaia.
+
+Onde, però che a l’atto che concepe
+segue l’affetto, d’amar la dolcezza
+diversamente in essa ferve e tepe.
+
+Vedi l’eccelso omai e la larghezza
+de l’etterno valor, poscia che tanti
+speculi fatti s’ha in che si spezza,
+
+uno manendo in sé come davanti».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXX
+
+
+Forse semilia miglia di lontano
+ci ferve l’ora sesta, e questo mondo
+china già l’ombra quasi al letto piano,
+
+quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo,
+comincia a farsi tal, ch’alcuna stella
+perde il parere infino a questo fondo;
+
+e come vien la chiarissima ancella
+del sol più oltre, così ’l ciel si chiude
+di vista in vista infino a la più bella.
+
+Non altrimenti il trïunfo che lude
+sempre dintorno al punto che mi vinse,
+parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude,
+
+a poco a poco al mio veder si stinse:
+per che tornar con li occhi a Bëatrice
+nulla vedere e amor mi costrinse.
+
+Se quanto infino a qui di lei si dice
+fosse conchiuso tutto in una loda,
+poca sarebbe a fornir questa vice.
+
+La bellezza ch’io vidi si trasmoda
+non pur di là da noi, ma certo io credo
+che solo il suo fattor tutta la goda.
+
+Da questo passo vinto mi concedo
+più che già mai da punto di suo tema
+soprato fosse comico o tragedo:
+
+ché, come sole in viso che più trema,
+così lo rimembrar del dolce riso
+la mente mia da me medesmo scema.
+
+Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso
+in questa vita, infino a questa vista,
+non m’è il seguire al mio cantar preciso;
+
+ma or convien che mio seguir desista
+più dietro a sua bellezza, poetando,
+come a l’ultimo suo ciascuno artista.
+
+Cotal qual io lascio a maggior bando
+che quel de la mia tuba, che deduce
+l’ardüa sua matera terminando,
+
+con atto e voce di spedito duce
+ricominciò: «Noi siamo usciti fore
+del maggior corpo al ciel ch’è pura luce:
+
+luce intellettüal, piena d’amore;
+amor di vero ben, pien di letizia;
+letizia che trascende ogne dolzore.
+
+Qui vederai l’una e l’altra milizia
+di paradiso, e l’una in quelli aspetti
+che tu vedrai a l’ultima giustizia».
+
+Come sùbito lampo che discetti
+li spiriti visivi, sì che priva
+da l’atto l’occhio di più forti obietti,
+
+così mi circunfulse luce viva,
+e lasciommi fasciato di tal velo
+del suo fulgor, che nulla m’appariva.
+
+«Sempre l’amor che queta questo cielo
+accoglie in sé con sì fatta salute,
+per far disposto a sua fiamma il candelo».
+
+Non fur più tosto dentro a me venute
+queste parole brievi, ch’io compresi
+me sormontar di sopr’ a mia virtute;
+
+e di novella vista mi raccesi
+tale, che nulla luce è tanto mera,
+che li occhi miei non si fosser difesi;
+
+e vidi lume in forma di rivera
+fulvido di fulgore, intra due rive
+dipinte di mirabil primavera.
+
+Di tal fiumana uscian faville vive,
+e d’ogne parte si mettien ne’ fiori,
+quasi rubin che oro circunscrive;
+
+poi, come inebrïate da li odori,
+riprofondavan sé nel miro gurge,
+e s’una intrava, un’altra n’uscia fori.
+
+«L’alto disio che mo t’infiamma e urge,
+d’aver notizia di ciò che tu vei,
+tanto mi piace più quanto più turge;
+
+ma di quest’ acqua convien che tu bei
+prima che tanta sete in te si sazi»:
+così mi disse il sol de li occhi miei.
+
+Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi
+ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe
+son di lor vero umbriferi prefazi.
+
+Non che da sé sian queste cose acerbe;
+ma è difetto da la parte tua,
+che non hai viste ancor tanto superbe».
+
+Non è fantin che sì sùbito rua
+col volto verso il latte, se si svegli
+molto tardato da l’usanza sua,
+
+come fec’ io, per far migliori spegli
+ancor de li occhi, chinandomi a l’onda
+che si deriva perché vi s’immegli;
+
+e sì come di lei bevve la gronda
+de le palpebre mie, così mi parve
+di sua lunghezza divenuta tonda.
+
+Poi, come gente stata sotto larve,
+che pare altro che prima, se si sveste
+la sembianza non süa in che disparve,
+
+così mi si cambiaro in maggior feste
+li fiori e le faville, sì ch’io vidi
+ambo le corti del ciel manifeste.
+
+O isplendor di Dio, per cu’ io vidi
+l’alto trïunfo del regno verace,
+dammi virtù a dir com’ ïo il vidi!
+
+Lume è là sù che visibile face
+lo creatore a quella creatura
+che solo in lui vedere ha la sua pace.
+
+E’ si distende in circular figura,
+in tanto che la sua circunferenza
+sarebbe al sol troppo larga cintura.
+
+Fassi di raggio tutta sua parvenza
+reflesso al sommo del mobile primo,
+che prende quindi vivere e potenza.
+
+E come clivo in acqua di suo imo
+si specchia, quasi per vedersi addorno,
+quando è nel verde e ne’ fioretti opimo,
+
+sì, soprastando al lume intorno intorno,
+vidi specchiarsi in più di mille soglie
+quanto di noi là sù fatto ha ritorno.
+
+E se l’infimo grado in sé raccoglie
+sì grande lume, quanta è la larghezza
+di questa rosa ne l’estreme foglie!
+
+La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza
+non si smarriva, ma tutto prendeva
+il quanto e ’l quale di quella allegrezza.
+
+Presso e lontano, lì, né pon né leva:
+ché dove Dio sanza mezzo governa,
+la legge natural nulla rileva.
+
+Nel giallo de la rosa sempiterna,
+che si digrada e dilata e redole
+odor di lode al sol che sempre verna,
+
+qual è colui che tace e dicer vole,
+mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira
+quanto è ’l convento de le bianche stole!
+
+Vedi nostra città quant’ ella gira;
+vedi li nostri scanni sì ripieni,
+che poca gente più ci si disira.
+
+E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
+per la corona che già v’è sù posta,
+prima che tu a queste nozze ceni,
+
+sederà l’alma, che fia giù agosta,
+de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia
+verrà in prima ch’ella sia disposta.
+
+La cieca cupidigia che v’ammalia
+simili fatti v’ha al fantolino
+che muor per fame e caccia via la balia.
+
+E fia prefetto nel foro divino
+allora tal, che palese e coverto
+non anderà con lui per un cammino.
+
+Ma poco poi sarà da Dio sofferto
+nel santo officio; ch’el sarà detruso
+là dove Simon mago è per suo merto,
+
+e farà quel d’Alagna intrar più giuso».
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXXI
+
+
+In forma dunque di candida rosa
+mi si mostrava la milizia santa
+che nel suo sangue Cristo fece sposa;
+
+ma l’altra, che volando vede e canta
+la gloria di colui che la ’nnamora
+e la bontà che la fece cotanta,
+
+sì come schiera d’ape che s’infiora
+una fïata e una si ritorna
+là dove suo laboro s’insapora,
+
+nel gran fior discendeva che s’addorna
+di tante foglie, e quindi risaliva
+là dove ’l süo amor sempre soggiorna.
+
+Le facce tutte avean di fiamma viva
+e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco,
+che nulla neve a quel termine arriva.
+
+Quando scendean nel fior, di banco in banco
+porgevan de la pace e de l’ardore
+ch’elli acquistavan ventilando il fianco.
+
+Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore
+di tanta moltitudine volante
+impediva la vista e lo splendore:
+
+ché la luce divina è penetrante
+per l’universo secondo ch’è degno,
+sì che nulla le puote essere ostante.
+
+Questo sicuro e gaudïoso regno,
+frequente in gente antica e in novella,
+viso e amore avea tutto ad un segno.
+
+O trina luce che ’n unica stella
+scintillando a lor vista, sì li appaga!
+guarda qua giuso a la nostra procella!
+
+Se i barbari, venendo da tal plaga
+che ciascun giorno d’Elice si cuopra,
+rotante col suo figlio ond’ ella è vaga,
+
+veggendo Roma e l’ardüa sua opra,
+stupefaciensi, quando Laterano
+a le cose mortali andò di sopra;
+
+ïo, che al divino da l’umano,
+a l’etterno dal tempo era venuto,
+e di Fiorenza in popol giusto e sano,
+
+di che stupor dovea esser compiuto!
+Certo tra esso e ’l gaudio mi facea
+libito non udire e starmi muto.
+
+E quasi peregrin che si ricrea
+nel tempio del suo voto riguardando,
+e spera già ridir com’ ello stea,
+
+su per la viva luce passeggiando,
+menava ïo li occhi per li gradi,
+mo sù, mo giù e mo recirculando.
+
+Vedëa visi a carità süadi,
+d’altrui lume fregiati e di suo riso,
+e atti ornati di tutte onestadi.
+
+La forma general di paradiso
+già tutta mïo sguardo avea compresa,
+in nulla parte ancor fermato fiso;
+
+e volgeami con voglia rïaccesa
+per domandar la mia donna di cose
+di che la mente mia era sospesa.
+
+Uno intendëa, e altro mi rispuose:
+credea veder Beatrice e vidi un sene
+vestito con le genti glorïose.
+
+Diffuso era per li occhi e per le gene
+di benigna letizia, in atto pio
+quale a tenero padre si convene.
+
+E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io.
+Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro
+mosse Beatrice me del loco mio;
+
+e se riguardi sù nel terzo giro
+dal sommo grado, tu la rivedrai
+nel trono che suoi merti le sortiro».
+
+Sanza risponder, li occhi sù levai,
+e vidi lei che si facea corona
+reflettendo da sé li etterni rai.
+
+Da quella regïon che più sù tona
+occhio mortale alcun tanto non dista,
+qualunque in mare più giù s’abbandona,
+
+quanto lì da Beatrice la mia vista;
+ma nulla mi facea, ché süa effige
+non discendëa a me per mezzo mista.
+
+«O donna in cui la mia speranza vige,
+e che soffristi per la mia salute
+in inferno lasciar le tue vestige,
+
+di tante cose quant’ i’ ho vedute,
+dal tuo podere e da la tua bontate
+riconosco la grazia e la virtute.
+
+Tu m’hai di servo tratto a libertate
+per tutte quelle vie, per tutt’ i modi
+che di ciò fare avei la potestate.
+
+La tua magnificenza in me custodi,
+sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana,
+piacente a te dal corpo si disnodi».
+
+Così orai; e quella, sì lontana
+come parea, sorrise e riguardommi;
+poi si tornò a l’etterna fontana.
+
+E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi
+perfettamente», disse, «il tuo cammino,
+a che priego e amor santo mandommi,
+
+vola con li occhi per questo giardino;
+ché veder lui t’acconcerà lo sguardo
+più al montar per lo raggio divino.
+
+E la regina del cielo, ond’ ïo ardo
+tutto d’amor, ne farà ogne grazia,
+però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo».
+
+Qual è colui che forse di Croazia
+viene a veder la Veronica nostra,
+che per l’antica fame non sen sazia,
+
+ma dice nel pensier, fin che si mostra:
+‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
+or fu sì fatta la sembianza vostra?’;
+
+tal era io mirando la vivace
+carità di colui che ’n questo mondo,
+contemplando, gustò di quella pace.
+
+«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo»,
+cominciò elli, «non ti sarà noto,
+tenendo li occhi pur qua giù al fondo;
+
+ma guarda i cerchi infino al più remoto,
+tanto che veggi seder la regina
+cui questo regno è suddito e devoto».
+
+Io levai li occhi; e come da mattina
+la parte orïental de l’orizzonte
+soverchia quella dove ’l sol declina,
+
+così, quasi di valle andando a monte
+con li occhi, vidi parte ne lo stremo
+vincer di lume tutta l’altra fronte.
+
+E come quivi ove s’aspetta il temo
+che mal guidò Fetonte, più s’infiamma,
+e quinci e quindi il lume si fa scemo,
+
+così quella pacifica oriafiamma
+nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte
+per igual modo allentava la fiamma;
+
+e a quel mezzo, con le penne sparte,
+vid’ io più di mille angeli festanti,
+ciascun distinto di fulgore e d’arte.
+
+Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
+ridere una bellezza, che letizia
+era ne li occhi a tutti li altri santi;
+
+e s’io avessi in dir tanta divizia
+quanta ad imaginar, non ardirei
+lo minimo tentar di sua delizia.
+
+Bernardo, come vide li occhi miei
+nel caldo suo caler fissi e attenti,
+li suoi con tanto affetto volse a lei,
+
+che ’ miei di rimirar fé più ardenti.
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXXII
+
+
+Affetto al suo piacer, quel contemplante
+libero officio di dottore assunse,
+e cominciò queste parole sante:
+
+«La piaga che Maria richiuse e unse,
+quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi
+è colei che l’aperse e che la punse.
+
+Ne l’ordine che fanno i terzi sedi,
+siede Rachel di sotto da costei
+con Bëatrice, sì come tu vedi.
+
+Sarra e Rebecca, Iudìt e colei
+che fu bisava al cantor che per doglia
+del fallo disse ‘Miserere mei’,
+
+puoi tu veder così di soglia in soglia
+giù digradar, com’ io ch’a proprio nome
+vo per la rosa giù di foglia in foglia.
+
+E dal settimo grado in giù, sì come
+infino ad esso, succedono Ebree,
+dirimendo del fior tutte le chiome;
+
+perché, secondo lo sguardo che fée
+la fede in Cristo, queste sono il muro
+a che si parton le sacre scalee.
+
+Da questa parte onde ’l fiore è maturo
+di tutte le sue foglie, sono assisi
+quei che credettero in Cristo venturo;
+
+da l’altra parte onde sono intercisi
+di vòti i semicirculi, si stanno
+quei ch’a Cristo venuto ebber li visi.
+
+E come quinci il glorïoso scanno
+de la donna del cielo e li altri scanni
+di sotto lui cotanta cerna fanno,
+
+così di contra quel del gran Giovanni,
+che sempre santo ’l diserto e ’l martiro
+sofferse, e poi l’inferno da due anni;
+
+e sotto lui così cerner sortiro
+Francesco, Benedetto e Augustino
+e altri fin qua giù di giro in giro.
+
+Or mira l’alto proveder divino:
+ché l’uno e l’altro aspetto de la fede
+igualmente empierà questo giardino.
+
+E sappi che dal grado in giù che fiede
+a mezzo il tratto le due discrezioni,
+per nullo proprio merito si siede,
+
+ma per l’altrui, con certe condizioni:
+ché tutti questi son spiriti ascolti
+prima ch’avesser vere elezïoni.
+
+Ben te ne puoi accorger per li volti
+e anche per le voci püerili,
+se tu li guardi bene e se li ascolti.
+
+Or dubbi tu e dubitando sili;
+ma io discioglierò ’l forte legame
+in che ti stringon li pensier sottili.
+
+Dentro a l’ampiezza di questo reame
+casüal punto non puote aver sito,
+se non come tristizia o sete o fame:
+
+ché per etterna legge è stabilito
+quantunque vedi, sì che giustamente
+ci si risponde da l’anello al dito;
+
+e però questa festinata gente
+a vera vita non è sine causa
+intra sé qui più e meno eccellente.
+
+Lo rege per cui questo regno pausa
+in tanto amore e in tanto diletto,
+che nulla volontà è di più ausa,
+
+le menti tutte nel suo lieto aspetto
+creando, a suo piacer di grazia dota
+diversamente; e qui basti l’effetto.
+
+E ciò espresso e chiaro vi si nota
+ne la Scrittura santa in quei gemelli
+che ne la madre ebber l’ira commota.
+
+Però, secondo il color d’i capelli,
+di cotal grazia l’altissimo lume
+degnamente convien che s’incappelli.
+
+Dunque, sanza mercé di lor costume,
+locati son per gradi differenti,
+sol differendo nel primiero acume.
+
+Bastavasi ne’ secoli recenti
+con l’innocenza, per aver salute,
+solamente la fede d’i parenti;
+
+poi che le prime etadi fuor compiute,
+convenne ai maschi a l’innocenti penne
+per circuncidere acquistar virtute;
+
+ma poi che ’l tempo de la grazia venne,
+sanza battesmo perfetto di Cristo
+tale innocenza là giù si ritenne.
+
+Riguarda omai ne la faccia che a Cristo
+più si somiglia, ché la sua chiarezza
+sola ti può disporre a veder Cristo».
+
+Io vidi sopra lei tanta allegrezza
+piover, portata ne le menti sante
+create a trasvolar per quella altezza,
+
+che quantunque io avea visto davante,
+di tanta ammirazion non mi sospese,
+né mi mostrò di Dio tanto sembiante;
+
+e quello amor che primo lì discese,
+cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’,
+dinanzi a lei le sue ali distese.
+
+Rispuose a la divina cantilena
+da tutte parti la beata corte,
+sì ch’ogne vista sen fé più serena.
+
+«O santo padre, che per me comporte
+l’esser qua giù, lasciando il dolce loco
+nel qual tu siedi per etterna sorte,
+
+qual è quell’ angel che con tanto gioco
+guarda ne li occhi la nostra regina,
+innamorato sì che par di foco?».
+
+Così ricorsi ancora a la dottrina
+di colui ch’abbelliva di Maria,
+come del sole stella mattutina.
+
+Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria
+quant’ esser puote in angelo e in alma,
+tutta è in lui; e sì volem che sia,
+
+perch’ elli è quelli che portò la palma
+giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio
+carcar si volse de la nostra salma.
+
+Ma vieni omai con li occhi sì com’ io
+andrò parlando, e nota i gran patrici
+di questo imperio giustissimo e pio.
+
+Quei due che seggon là sù più felici
+per esser propinquissimi ad Agusta,
+son d’esta rosa quasi due radici:
+
+colui che da sinistra le s’aggiusta
+è il padre per lo cui ardito gusto
+l’umana specie tanto amaro gusta;
+
+dal destro vedi quel padre vetusto
+di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi
+raccomandò di questo fior venusto.
+
+E quei che vide tutti i tempi gravi,
+pria che morisse, de la bella sposa
+che s’acquistò con la lancia e coi clavi,
+
+siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa
+quel duca sotto cui visse di manna
+la gente ingrata, mobile e retrosa.
+
+Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna,
+tanto contenta di mirar sua figlia,
+che non move occhio per cantare osanna;
+
+e contro al maggior padre di famiglia
+siede Lucia, che mosse la tua donna
+quando chinavi, a rovinar, le ciglia.
+
+Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna,
+qui farem punto, come buon sartore
+che com’ elli ha del panno fa la gonna;
+
+e drizzeremo li occhi al primo amore,
+sì che, guardando verso lui, penètri
+quant’ è possibil per lo suo fulgore.
+
+Veramente, ne forse tu t’arretri
+movendo l’ali tue, credendo oltrarti,
+orando grazia conven che s’impetri
+
+grazia da quella che puote aiutarti;
+e tu mi seguirai con l’affezione,
+sì che dal dicer mio lo cor non parti».
+
+E cominciò questa santa orazione:
+
+
+
+
+Paradiso
+Canto XXXIII
+
+
+«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
+umile e alta più che creatura,
+termine fisso d’etterno consiglio,
+
+tu se’ colei che l’umana natura
+nobilitasti sì, che ’l suo fattore
+non disdegnò di farsi sua fattura.
+
+Nel ventre tuo si raccese l’amore,
+per lo cui caldo ne l’etterna pace
+così è germinato questo fiore.
+
+Qui se’ a noi meridïana face
+di caritate, e giuso, intra ’ mortali,
+se’ di speranza fontana vivace.
+
+Donna, se’ tanto grande e tanto vali,
+che qual vuol grazia e a te non ricorre,
+sua disïanza vuol volar sanz’ ali.
+
+La tua benignità non pur soccorre
+a chi domanda, ma molte fïate
+liberamente al dimandar precorre.
+
+In te misericordia, in te pietate,
+in te magnificenza, in te s’aduna
+quantunque in creatura è di bontate.
+
+Or questi, che da l’infima lacuna
+de l’universo infin qui ha vedute
+le vite spiritali ad una ad una,
+
+supplica a te, per grazia, di virtute
+tanto, che possa con li occhi levarsi
+più alto verso l’ultima salute.
+
+E io, che mai per mio veder non arsi
+più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi
+ti porgo, e priego che non sieno scarsi,
+
+perché tu ogne nube li disleghi
+di sua mortalità co’ prieghi tuoi,
+sì che ’l sommo piacer li si dispieghi.
+
+Ancor ti priego, regina, che puoi
+ciò che tu vuoli, che conservi sani,
+dopo tanto veder, li affetti suoi.
+
+Vinca tua guardia i movimenti umani:
+vedi Beatrice con quanti beati
+per li miei prieghi ti chiudon le mani!».
+
+Li occhi da Dio diletti e venerati,
+fissi ne l’orator, ne dimostraro
+quanto i devoti prieghi le son grati;
+
+indi a l’etterno lume s’addrizzaro,
+nel qual non si dee creder che s’invii
+per creatura l’occhio tanto chiaro.
+
+E io ch’al fine di tutt’ i disii
+appropinquava, sì com’ io dovea,
+l’ardor del desiderio in me finii.
+
+Bernardo m’accennava, e sorridea,
+perch’ io guardassi suso; ma io era
+già per me stesso tal qual ei volea:
+
+ché la mia vista, venendo sincera,
+e più e più intrava per lo raggio
+de l’alta luce che da sé è vera.
+
+Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
+che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede,
+e cede la memoria a tanto oltraggio.
+
+Qual è colüi che sognando vede,
+che dopo ’l sogno la passione impressa
+rimane, e l’altro a la mente non riede,
+
+cotal son io, ché quasi tutta cessa
+mia visïone, e ancor mi distilla
+nel core il dolce che nacque da essa.
+
+Così la neve al sol si disigilla;
+così al vento ne le foglie levi
+si perdea la sentenza di Sibilla.
+
+O somma luce che tanto ti levi
+da’ concetti mortali, a la mia mente
+ripresta un poco di quel che parevi,
+
+e fa la lingua mia tanto possente,
+ch’una favilla sol de la tua gloria
+possa lasciare a la futura gente;
+
+ché, per tornare alquanto a mia memoria
+e per sonare un poco in questi versi,
+più si conceperà di tua vittoria.
+
+Io credo, per l’acume ch’io soffersi
+del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito,
+se li occhi miei da lui fossero aversi.
+
+E’ mi ricorda ch’io fui più ardito
+per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi
+l’aspetto mio col valore infinito.
+
+Oh abbondante grazia ond’ io presunsi
+ficcar lo viso per la luce etterna,
+tanto che la veduta vi consunsi!
+
+Nel suo profondo vidi che s’interna,
+legato con amore in un volume,
+ciò che per l’universo si squaderna:
+
+sustanze e accidenti e lor costume
+quasi conflati insieme, per tal modo
+che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
+
+La forma universal di questo nodo
+credo ch’i’ vidi, perché più di largo,
+dicendo questo, mi sento ch’i’ godo.
+
+Un punto solo m’è maggior letargo
+che venticinque secoli a la ’mpresa
+che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo.
+
+Così la mente mia, tutta sospesa,
+mirava fissa, immobile e attenta,
+e sempre di mirar faceasi accesa.
+
+A quella luce cotal si diventa,
+che volgersi da lei per altro aspetto
+è impossibil che mai si consenta;
+
+però che ’l ben, ch’è del volere obietto,
+tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella
+è defettivo ciò ch’è lì perfetto.
+
+Omai sarà più corta mia favella,
+pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante
+che bagni ancor la lingua a la mammella.
+
+Non perché più ch’un semplice sembiante
+fosse nel vivo lume ch’io mirava,
+che tal è sempre qual s’era davante;
+
+ma per la vista che s’avvalorava
+in me guardando, una sola parvenza,
+mutandom’ io, a me si travagliava.
+
+Ne la profonda e chiara sussistenza
+de l’alto lume parvermi tre giri
+di tre colori e d’una contenenza;
+
+e l’un da l’altro come iri da iri
+parea reflesso, e ’l terzo parea foco
+che quinci e quindi igualmente si spiri.
+
+Oh quanto è corto il dire e come fioco
+al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi,
+è tanto, che non basta a dicer ‘poco’.
+
+O luce etterna che sola in te sidi,
+sola t’intendi, e da te intelletta
+e intendente te ami e arridi!
+
+Quella circulazion che sì concetta
+pareva in te come lume reflesso,
+da li occhi miei alquanto circunspetta,
+
+dentro da sé, del suo colore stesso,
+mi parve pinta de la nostra effige:
+per che ’l mio viso in lei tutto era messo.
+
+Qual è ’l geomètra che tutto s’affige
+per misurar lo cerchio, e non ritrova,
+pensando, quel principio ond’ elli indige,
+
+tal era io a quella vista nova:
+veder voleva come si convenne
+l’imago al cerchio e come vi s’indova;
+
+ma non eran da ciò le proprie penne:
+se non che la mia mente fu percossa
+da un fulgore in che sua voglia venne.
+
+A l’alta fantasia qui mancò possa;
+ma già volgeva il mio disio e ’l velle,
+sì come rota ch’igualmente è mossa,
+
+l’amor che move il sole e l’altre stelle.
+
+
+
+
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+the Project Gutenberg-tm trademark. Contact the Foundation as set
+forth in Section 3 below.
+
+1.F.
+
+1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable
+effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
+works not protected by U.S. copyright law in creating the Project
+Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm
+electronic works, and the medium on which they may be stored, may
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+Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm
+
+Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
+electronic works in formats readable by the widest variety of
+computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It
+exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations
+from people in all walks of life.
+
+Volunteers and financial support to provide volunteers with the
+assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
+goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
+remain freely available for generations to come. In 2001, the Project
+Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
+and permanent future for Project Gutenberg-tm and future
+generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary
+Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see
+Sections 3 and 4 and the Foundation information page at
+www.gutenberg.org
+
+Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary
+Archive Foundation
+
+The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
+501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
+state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
+Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification
+number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary
+Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by
+U.S. federal laws and your state's laws.
+
+The Foundation's business office is located at 809 North 1500 West,
+Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
+to date contact information can be found at the Foundation's website
+and official page at www.gutenberg.org/contact
+
+Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg
+Literary Archive Foundation
+
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+increasing the number of public domain and licensed works that can be
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+States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
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+Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be
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