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diff --git a/999-0.txt b/999-0.txt new file mode 100644 index 0000000..4c2c32d --- /dev/null +++ b/999-0.txt @@ -0,0 +1,7029 @@ +The Project Gutenberg eBook of La Divina Commedia di Dante: Paradiso, by Dante Alighieri + +This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and +most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions +whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms +of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at +www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you +will have to check the laws of the country where you are located before +using this eBook. + +Title: La Divina Commedia di Dante + Paradiso + +Author: Dante Alighieri + +Release Date: August, 1997 [eBook #999] +[Most recently updated: April 25, 2021] + +Language: Italian + +Character set encoding: UTF-8 + + +*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA *** + + + + +LA DIVINA COMMEDIA + +di Dante Alighieri + +CANTICA III: PARADISO + + +Contents + + PARADISO + Canto I. + Canto II. + Canto III. + Canto IV. + Canto V. + Canto VI. + Canto VII. + Canto VIII. + Canto IX. + Canto X. + Canto XI. + Canto XII. + Canto XIII. + Canto XIV. + Canto XV. + Canto XVI. + Canto XVII. + Canto XVIII. + Canto XIX. + Canto XX. + Canto XXI. + Canto XXII. + Canto XXIII. + Canto XXIV. + Canto XXV. + Canto XXVI. + Canto XXVII. + Canto XXVIII. + Canto XXIX. + Canto XXX. + Canto XXXI. + Canto XXXII. + Canto XXXIII. + + + + +PARADISO + + + + +Paradiso +Canto I + + +La gloria di colui che tutto move +per l’universo penetra, e risplende +in una parte più e meno altrove. + +Nel ciel che più de la sua luce prende +fu’ io, e vidi cose che ridire +né sa né può chi di là sù discende; + +perché appressando sé al suo disire, +nostro intelletto si profonda tanto, +che dietro la memoria non può ire. + +Veramente quant’ io del regno santo +ne la mia mente potei far tesoro, +sarà ora materia del mio canto. + +O buono Appollo, a l’ultimo lavoro +fammi del tuo valor sì fatto vaso, +come dimandi a dar l’amato alloro. + +Infino a qui l’un giogo di Parnaso +assai mi fu; ma or con amendue +m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. + +Entra nel petto mio, e spira tue +sì come quando Marsïa traesti +de la vagina de le membra sue. + +O divina virtù, se mi ti presti +tanto che l’ombra del beato regno +segnata nel mio capo io manifesti, + +vedra’mi al piè del tuo diletto legno +venire, e coronarmi de le foglie +che la materia e tu mi farai degno. + +Sì rade volte, padre, se ne coglie +per trïunfare o cesare o poeta, +colpa e vergogna de l’umane voglie, + +che parturir letizia in su la lieta +delfica deïtà dovria la fronda +peneia, quando alcun di sé asseta. + +Poca favilla gran fiamma seconda: +forse di retro a me con miglior voci +si pregherà perché Cirra risponda. + +Surge ai mortali per diverse foci +la lucerna del mondo; ma da quella +che quattro cerchi giugne con tre croci, + +con miglior corso e con migliore stella +esce congiunta, e la mondana cera +più a suo modo tempera e suggella. + +Fatto avea di là mane e di qua sera +tal foce, e quasi tutto era là bianco +quello emisperio, e l’altra parte nera, + +quando Beatrice in sul sinistro fianco +vidi rivolta e riguardar nel sole: +aguglia sì non li s’affisse unquanco. + +E sì come secondo raggio suole +uscir del primo e risalire in suso, +pur come pelegrin che tornar vuole, + +così de l’atto suo, per li occhi infuso +ne l’imagine mia, il mio si fece, +e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso. + +Molto è licito là, che qui non lece +a le nostre virtù, mercé del loco +fatto per proprio de l’umana spece. + +Io nol soffersi molto, né sì poco, +ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, +com’ ferro che bogliente esce del foco; + +e di sùbito parve giorno a giorno +essere aggiunto, come quei che puote +avesse il ciel d’un altro sole addorno. + +Beatrice tutta ne l’etterne rote +fissa con li occhi stava; e io in lei +le luci fissi, di là sù rimote. + +Nel suo aspetto tal dentro mi fei, +qual si fé Glauco nel gustar de l’erba +che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. + +Trasumanar significar per verba +non si poria; però l’essemplo basti +a cui esperïenza grazia serba. + +S’i’ era sol di me quel che creasti +novellamente, amor che ’l ciel governi, +tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. + +Quando la rota che tu sempiterni +desiderato, a sé mi fece atteso +con l’armonia che temperi e discerni, + +parvemi tanto allor del cielo acceso +de la fiamma del sol, che pioggia o fiume +lago non fece alcun tanto disteso. + +La novità del suono e ’l grande lume +di lor cagion m’accesero un disio +mai non sentito di cotanto acume. + +Ond’ ella, che vedea me sì com’ io, +a quïetarmi l’animo commosso, +pria ch’io a dimandar, la bocca aprio + +e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso +col falso imaginar, sì che non vedi +ciò che vedresti se l’avessi scosso. + +Tu non se’ in terra, sì come tu credi; +ma folgore, fuggendo il proprio sito, +non corse come tu ch’ad esso riedi». + +S’io fui del primo dubbio disvestito +per le sorrise parolette brevi, +dentro ad un nuovo più fu’ inretito + +e dissi: «Già contento requïevi +di grande ammirazion; ma ora ammiro +com’ io trascenda questi corpi levi». + +Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro, +li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante +che madre fa sovra figlio deliro, + +e cominciò: «Le cose tutte quante +hanno ordine tra loro, e questo è forma +che l’universo a Dio fa simigliante. + +Qui veggion l’alte creature l’orma +de l’etterno valore, il qual è fine +al quale è fatta la toccata norma. + +Ne l’ordine ch’io dico sono accline +tutte nature, per diverse sorti, +più al principio loro e men vicine; + +onde si muovono a diversi porti +per lo gran mar de l’essere, e ciascuna +con istinto a lei dato che la porti. + +Questi ne porta il foco inver’ la luna; +questi ne’ cor mortali è permotore; +questi la terra in sé stringe e aduna; + +né pur le creature che son fore +d’intelligenza quest’ arco saetta, +ma quelle c’hanno intelletto e amore. + +La provedenza, che cotanto assetta, +del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto +nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; + +e ora lì, come a sito decreto, +cen porta la virtù di quella corda +che ciò che scocca drizza in segno lieto. + +Vero è che, come forma non s’accorda +molte fïate a l’intenzion de l’arte, +perch’ a risponder la materia è sorda, + +così da questo corso si diparte +talor la creatura, c’ha podere +di piegar, così pinta, in altra parte; + +e sì come veder si può cadere +foco di nube, sì l’impeto primo +l’atterra torto da falso piacere. + +Non dei più ammirar, se bene stimo, +lo tuo salir, se non come d’un rivo +se d’alto monte scende giuso ad imo. + +Maraviglia sarebbe in te se, privo +d’impedimento, giù ti fossi assiso, +com’ a terra quïete in foco vivo». + +Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. + + + + +Paradiso +Canto II + + +O voi che siete in piccioletta barca, +desiderosi d’ascoltar, seguiti +dietro al mio legno che cantando varca, + +tornate a riveder li vostri liti: +non vi mettete in pelago, ché forse, +perdendo me, rimarreste smarriti. + +L’acqua ch’io prendo già mai non si corse; +Minerva spira, e conducemi Appollo, +e nove Muse mi dimostran l’Orse. + +Voialtri pochi che drizzaste il collo +per tempo al pan de li angeli, del quale +vivesi qui ma non sen vien satollo, + +metter potete ben per l’alto sale +vostro navigio, servando mio solco +dinanzi a l’acqua che ritorna equale. + +Que’ glorïosi che passaro al Colco +non s’ammiraron come voi farete, +quando Iasón vider fatto bifolco. + +La concreata e perpetüa sete +del deïforme regno cen portava +veloci quasi come ’l ciel vedete. + +Beatrice in suso, e io in lei guardava; +e forse in tanto in quanto un quadrel posa +e vola e da la noce si dischiava, + +giunto mi vidi ove mirabil cosa +mi torse il viso a sé; e però quella +cui non potea mia cura essere ascosa, + +volta ver’ me, sì lieta come bella, +«Drizza la mente in Dio grata», mi disse, +«che n’ha congiunti con la prima stella». + +Parev’ a me che nube ne coprisse +lucida, spessa, solida e pulita, +quasi adamante che lo sol ferisse. + +Per entro sé l’etterna margarita +ne ricevette, com’ acqua recepe +raggio di luce permanendo unita. + +S’io era corpo, e qui non si concepe +com’ una dimensione altra patio, +ch’esser convien se corpo in corpo repe, + +accender ne dovria più il disio +di veder quella essenza in che si vede +come nostra natura e Dio s’unio. + +Lì si vedrà ciò che tenem per fede, +non dimostrato, ma fia per sé noto +a guisa del ver primo che l’uom crede. + +Io rispuosi: «Madonna, sì devoto +com’ esser posso più, ringrazio lui +lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. + +Ma ditemi: che son li segni bui +di questo corpo, che là giuso in terra +fan di Cain favoleggiare altrui?». + +Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra +l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali +dove chiave di senso non diserra, + +certo non ti dovrien punger li strali +d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi +vedi che la ragione ha corte l’ali. + +Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». +E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso +credo che fanno i corpi rari e densi». + +Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso +nel falso il creder tuo, se bene ascolti +l’argomentar ch’io li farò avverso. + +La spera ottava vi dimostra molti +lumi, li quali e nel quale e nel quanto +notar si posson di diversi volti. + +Se raro e denso ciò facesser tanto, +una sola virtù sarebbe in tutti, +più e men distributa e altrettanto. + +Virtù diverse esser convegnon frutti +di princìpi formali, e quei, for ch’uno, +seguiterieno a tua ragion distrutti. + +Ancor, se raro fosse di quel bruno +cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte +fora di sua materia sì digiuno + +esto pianeto, o, sì come comparte +lo grasso e ’l magro un corpo, così questo +nel suo volume cangerebbe carte. + +Se ’l primo fosse, fora manifesto +ne l’eclissi del sol, per trasparere +lo lume come in altro raro ingesto. + +Questo non è: però è da vedere +de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, +falsificato fia lo tuo parere. + +S’elli è che questo raro non trapassi, +esser conviene un termine da onde +lo suo contrario più passar non lassi; + +e indi l’altrui raggio si rifonde +così come color torna per vetro +lo qual di retro a sé piombo nasconde. + +Or dirai tu ch’el si dimostra tetro +ivi lo raggio più che in altre parti, +per esser lì refratto più a retro. + +Da questa instanza può deliberarti +esperïenza, se già mai la provi, +ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti. + +Tre specchi prenderai; e i due rimovi +da te d’un modo, e l’altro, più rimosso, +tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. + +Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso +ti stea un lume che i tre specchi accenda +e torni a te da tutti ripercosso. + +Ben che nel quanto tanto non si stenda +la vista più lontana, lì vedrai +come convien ch’igualmente risplenda. + +Or, come ai colpi de li caldi rai +de la neve riman nudo il suggetto +e dal colore e dal freddo primai, + +così rimaso te ne l’intelletto +voglio informar di luce sì vivace, +che ti tremolerà nel suo aspetto. + +Dentro dal ciel de la divina pace +si gira un corpo ne la cui virtute +l’esser di tutto suo contento giace. + +Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, +quell’ esser parte per diverse essenze, +da lui distratte e da lui contenute. + +Li altri giron per varie differenze +le distinzion che dentro da sé hanno +dispongono a lor fini e lor semenze. + +Questi organi del mondo così vanno, +come tu vedi omai, di grado in grado, +che di sù prendono e di sotto fanno. + +Riguarda bene omai sì com’ io vado +per questo loco al vero che disiri, +sì che poi sappi sol tener lo guado. + +Lo moto e la virtù d’i santi giri, +come dal fabbro l’arte del martello, +da’ beati motor convien che spiri; + +e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, +de la mente profonda che lui volve +prende l’image e fassene suggello. + +E come l’alma dentro a vostra polve +per differenti membra e conformate +a diverse potenze si risolve, + +così l’intelligenza sua bontate +multiplicata per le stelle spiega, +girando sé sovra sua unitate. + +Virtù diversa fa diversa lega +col prezïoso corpo ch’ella avviva, +nel qual, sì come vita in voi, si lega. + +Per la natura lieta onde deriva, +la virtù mista per lo corpo luce +come letizia per pupilla viva. + +Da essa vien ciò che da luce a luce +par differente, non da denso e raro; +essa è formal principio che produce, + +conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro». + + + + +Paradiso +Canto III + + +Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, +di bella verità m’avea scoverto, +provando e riprovando, il dolce aspetto; + +e io, per confessar corretto e certo +me stesso, tanto quanto si convenne +leva’ il capo a proferer più erto; + +ma visïone apparve che ritenne +a sé me tanto stretto, per vedersi, +che di mia confession non mi sovvenne. + +Quali per vetri trasparenti e tersi, +o ver per acque nitide e tranquille, +non sì profonde che i fondi sien persi, + +tornan d’i nostri visi le postille +debili sì, che perla in bianca fronte +non vien men forte a le nostre pupille; + +tali vid’ io più facce a parlar pronte; +per ch’io dentro a l’error contrario corsi +a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. + +Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi, +quelle stimando specchiati sembianti, +per veder di cui fosser, li occhi torsi; + +e nulla vidi, e ritorsili avanti +dritti nel lume de la dolce guida, +che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. + +«Non ti maravigliar perch’ io sorrida», +mi disse, «appresso il tuo püeril coto, +poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida, + +ma te rivolve, come suole, a vòto: +vere sustanze son ciò che tu vedi, +qui rilegate per manco di voto. + +Però parla con esse e odi e credi; +ché la verace luce che le appaga +da sé non lascia lor torcer li piedi». + +E io a l’ombra che parea più vaga +di ragionar, drizza’mi, e cominciai, +quasi com’ uom cui troppa voglia smaga: + +«O ben creato spirito, che a’ rai +di vita etterna la dolcezza senti +che, non gustata, non s’intende mai, + +grazïoso mi fia se mi contenti +del nome tuo e de la vostra sorte». +Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti: + +«La nostra carità non serra porte +a giusta voglia, se non come quella +che vuol simile a sé tutta sua corte. + +I’ fui nel mondo vergine sorella; +e se la mente tua ben sé riguarda, +non mi ti celerà l’esser più bella, + +ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, +che, posta qui con questi altri beati, +beata sono in la spera più tarda. + +Li nostri affetti, che solo infiammati +son nel piacer de lo Spirito Santo, +letizian del suo ordine formati. + +E questa sorte che par giù cotanto, +però n’è data, perché fuor negletti +li nostri voti, e vòti in alcun canto». + +Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti +vostri risplende non so che divino +che vi trasmuta da’ primi concetti: + +però non fui a rimembrar festino; +ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, +sì che raffigurar m’è più latino. + +Ma dimmi: voi che siete qui felici, +disiderate voi più alto loco +per più vedere e per più farvi amici?». + +Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco; +da indi mi rispuose tanto lieta, +ch’arder parea d’amor nel primo foco: + +«Frate, la nostra volontà quïeta +virtù di carità, che fa volerne +sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. + +Se disïassimo esser più superne, +foran discordi li nostri disiri +dal voler di colui che qui ne cerne; + +che vedrai non capere in questi giri, +s’essere in carità è qui necesse, +e se la sua natura ben rimiri. + +Anzi è formale ad esto beato esse +tenersi dentro a la divina voglia, +per ch’una fansi nostre voglie stesse; + +sì che, come noi sem di soglia in soglia +per questo regno, a tutto il regno piace +com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia. + +E ’n la sua volontade è nostra pace: +ell’ è quel mare al qual tutto si move +ciò ch’ella crïa o che natura face». + +Chiaro mi fu allor come ogne dove +in cielo è paradiso, etsi la grazia +del sommo ben d’un modo non vi piove. + +Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia +e d’un altro rimane ancor la gola, +che quel si chere e di quel si ringrazia, + +così fec’ io con atto e con parola, +per apprender da lei qual fu la tela +onde non trasse infino a co la spuola. + +«Perfetta vita e alto merto inciela +donna più sù», mi disse, «a la cui norma +nel vostro mondo giù si veste e vela, + +perché fino al morir si vegghi e dorma +con quello sposo ch’ogne voto accetta +che caritate a suo piacer conforma. + +Dal mondo, per seguirla, giovinetta +fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi +e promisi la via de la sua setta. + +Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, +fuor mi rapiron de la dolce chiostra: +Iddio si sa qual poi mia vita fusi. + +E quest’ altro splendor che ti si mostra +da la mia destra parte e che s’accende +di tutto il lume de la spera nostra, + +ciò ch’io dico di me, di sé intende; +sorella fu, e così le fu tolta +di capo l’ombra de le sacre bende. + +Ma poi che pur al mondo fu rivolta +contra suo grado e contra buona usanza, +non fu dal vel del cor già mai disciolta. + +Quest’ è la luce de la gran Costanza +che del secondo vento di Soave +generò ’l terzo e l’ultima possanza». + +Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave, +Maria’ cantando, e cantando vanio +come per acqua cupa cosa grave. + +La vista mia, che tanto lei seguio +quanto possibil fu, poi che la perse, +volsesi al segno di maggior disio, + +e a Beatrice tutta si converse; +ma quella folgorò nel mïo sguardo +sì che da prima il viso non sofferse; + +e ciò mi fece a dimandar più tardo. + + + + +Paradiso +Canto IV + + +Intra due cibi, distanti e moventi +d’un modo, prima si morria di fame, +che liber’ omo l’un recasse ai denti; + +sì si starebbe un agno intra due brame +di fieri lupi, igualmente temendo; +sì si starebbe un cane intra due dame: + +per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, +da li miei dubbi d’un modo sospinto, +poi ch’era necessario, né commendo. + +Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto +m’era nel viso, e ’l dimandar con ello, +più caldo assai che per parlar distinto. + +Fé sì Beatrice qual fé Danïello, +Nabuccodonosor levando d’ira, +che l’avea fatto ingiustamente fello; + +e disse: «Io veggio ben come ti tira +uno e altro disio, sì che tua cura +sé stessa lega sì che fuor non spira. + +Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura, +la vïolenza altrui per qual ragione +di meritar mi scema la misura?”. + +Ancor di dubitar ti dà cagione +parer tornarsi l’anime a le stelle, +secondo la sentenza di Platone. + +Queste son le question che nel tuo velle +pontano igualmente; e però pria +tratterò quella che più ha di felle. + +D’i Serafin colui che più s’india, +Moïsè, Samuel, e quel Giovanni +che prender vuoli, io dico, non Maria, + +non hanno in altro cielo i loro scanni +che questi spirti che mo t’appariro, +né hanno a l’esser lor più o meno anni; + +ma tutti fanno bello il primo giro, +e differentemente han dolce vita +per sentir più e men l’etterno spiro. + +Qui si mostraro, non perché sortita +sia questa spera lor, ma per far segno +de la celestïal c’ha men salita. + +Così parlar conviensi al vostro ingegno, +però che solo da sensato apprende +ciò che fa poscia d’intelletto degno. + +Per questo la Scrittura condescende +a vostra facultate, e piedi e mano +attribuisce a Dio e altro intende; + +e Santa Chiesa con aspetto umano +Gabrïel e Michel vi rappresenta, +e l’altro che Tobia rifece sano. + +Quel che Timeo de l’anime argomenta +non è simile a ciò che qui si vede, +però che, come dice, par che senta. + +Dice che l’alma a la sua stella riede, +credendo quella quindi esser decisa +quando natura per forma la diede; + +e forse sua sentenza è d’altra guisa +che la voce non suona, ed esser puote +con intenzion da non esser derisa. + +S’elli intende tornare a queste ruote +l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse +in alcun vero suo arco percuote. + +Questo principio, male inteso, torse +già tutto il mondo quasi, sì che Giove, +Mercurio e Marte a nominar trascorse. + +L’altra dubitazion che ti commove +ha men velen, però che sua malizia +non ti poria menar da me altrove. + +Parere ingiusta la nostra giustizia +ne li occhi d’i mortali, è argomento +di fede e non d’eretica nequizia. + +Ma perché puote vostro accorgimento +ben penetrare a questa veritate, +come disiri, ti farò contento. + +Se vïolenza è quando quel che pate +nïente conferisce a quel che sforza, +non fuor quest’ alme per essa scusate: + +ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, +ma fa come natura face in foco, +se mille volte vïolenza il torza. + +Per che, s’ella si piega assai o poco, +segue la forza; e così queste fero +possendo rifuggir nel santo loco. + +Se fosse stato lor volere intero, +come tenne Lorenzo in su la grada, +e fece Muzio a la sua man severo, + +così l’avria ripinte per la strada +ond’ eran tratte, come fuoro sciolte; +ma così salda voglia è troppo rada. + +E per queste parole, se ricolte +l’hai come dei, è l’argomento casso +che t’avria fatto noia ancor più volte. + +Ma or ti s’attraversa un altro passo +dinanzi a li occhi, tal che per te stesso +non usciresti: pria saresti lasso. + +Io t’ho per certo ne la mente messo +ch’alma beata non poria mentire, +però ch’è sempre al primo vero appresso; + +e poi potesti da Piccarda udire +che l’affezion del vel Costanza tenne; +sì ch’ella par qui meco contradire. + +Molte fïate già, frate, addivenne +che, per fuggir periglio, contra grato +si fé di quel che far non si convenne; + +come Almeone, che, di ciò pregato +dal padre suo, la propria madre spense, +per non perder pietà si fé spietato. + +A questo punto voglio che tu pense +che la forza al voler si mischia, e fanno +sì che scusar non si posson l’offense. + +Voglia assoluta non consente al danno; +ma consentevi in tanto in quanto teme, +se si ritrae, cadere in più affanno. + +Però, quando Piccarda quello spreme, +de la voglia assoluta intende, e io +de l’altra; sì che ver diciamo insieme». + +Cotal fu l’ondeggiar del santo rio +ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva; +tal puose in pace uno e altro disio. + +«O amanza del primo amante, o diva», +diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda +e scalda sì, che più e più m’avviva, + +non è l’affezion mia tanto profonda, +che basti a render voi grazia per grazia; +ma quei che vede e puote a ciò risponda. + +Io veggio ben che già mai non si sazia +nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra +di fuor dal qual nessun vero si spazia. + +Posasi in esso, come fera in lustra, +tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: +se non, ciascun disio sarebbe frustra. + +Nasce per quello, a guisa di rampollo, +a piè del vero il dubbio; ed è natura +ch’al sommo pinge noi di collo in collo. + +Questo m’invita, questo m’assicura +con reverenza, donna, a dimandarvi +d’un’altra verità che m’è oscura. + +Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi +ai voti manchi sì con altri beni, +ch’a la vostra statera non sien parvi». + +Beatrice mi guardò con li occhi pieni +di faville d’amor così divini, +che, vinta, mia virtute diè le reni, + +e quasi mi perdei con li occhi chini. + + + + +Paradiso +Canto V + + +«S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore +di là dal modo che ’n terra si vede, +sì che del viso tuo vinco il valore, + +non ti maravigliar, ché ciò procede +da perfetto veder, che, come apprende, +così nel bene appreso move il piede. + +Io veggio ben sì come già resplende +ne l’intelletto tuo l’etterna luce, +che, vista, sola e sempre amore accende; + +e s’altra cosa vostro amor seduce, +non è se non di quella alcun vestigio, +mal conosciuto, che quivi traluce. + +Tu vuo’ saper se con altro servigio, +per manco voto, si può render tanto +che l’anima sicuri di letigio». + +Sì cominciò Beatrice questo canto; +e sì com’ uom che suo parlar non spezza, +continüò così ’l processo santo: + +«Lo maggior don che Dio per sua larghezza +fesse creando, e a la sua bontate +più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, + +fu de la volontà la libertate; +di che le creature intelligenti, +e tutte e sole, fuoro e son dotate. + +Or ti parrà, se tu quinci argomenti, +l’alto valor del voto, s’è sì fatto +che Dio consenta quando tu consenti; + +ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto, +vittima fassi di questo tesoro, +tal quale io dico; e fassi col suo atto. + +Dunque che render puossi per ristoro? +Se credi bene usar quel c’hai offerto, +di maltolletto vuo’ far buon lavoro. + +Tu se’ omai del maggior punto certo; +ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, +che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, + +convienti ancor sedere un poco a mensa, +però che ’l cibo rigido c’hai preso, +richiede ancora aiuto a tua dispensa. + +Apri la mente a quel ch’io ti paleso +e fermalvi entro; ché non fa scïenza, +sanza lo ritenere, avere inteso. + +Due cose si convegnono a l’essenza +di questo sacrificio: l’una è quella +di che si fa; l’altr’ è la convenenza. + +Quest’ ultima già mai non si cancella +se non servata; e intorno di lei +sì preciso di sopra si favella: + +però necessitato fu a li Ebrei +pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta +sì permutasse, come saver dei. + +L’altra, che per materia t’è aperta, +puote ben esser tal, che non si falla +se con altra materia si converta. + +Ma non trasmuti carco a la sua spalla +per suo arbitrio alcun, sanza la volta +e de la chiave bianca e de la gialla; + +e ogne permutanza credi stolta, +se la cosa dimessa in la sorpresa +come ’l quattro nel sei non è raccolta. + +Però qualunque cosa tanto pesa +per suo valor che tragga ogne bilancia, +sodisfar non si può con altra spesa. + +Non prendan li mortali il voto a ciancia; +siate fedeli, e a ciò far non bieci, +come Ieptè a la sua prima mancia; + +cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, +che, servando, far peggio; e così stolto +ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, + +onde pianse Efigènia il suo bel volto, +e fé pianger di sé i folli e i savi +ch’udir parlar di così fatto cólto. + +Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: +non siate come penna ad ogne vento, +e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. + +Avete il novo e ’l vecchio Testamento, +e ’l pastor de la Chiesa che vi guida; +questo vi basti a vostro salvamento. + +Se mala cupidigia altro vi grida, +uomini siate, e non pecore matte, +sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! + +Non fate com’ agnel che lascia il latte +de la sua madre, e semplice e lascivo +seco medesmo a suo piacer combatte!». + +Così Beatrice a me com’ ïo scrivo; +poi si rivolse tutta disïante +a quella parte ove ’l mondo è più vivo. + +Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante +puoser silenzio al mio cupido ingegno, +che già nuove questioni avea davante; + +e sì come saetta che nel segno +percuote pria che sia la corda queta, +così corremmo nel secondo regno. + +Quivi la donna mia vid’ io sì lieta, +come nel lume di quel ciel si mise, +che più lucente se ne fé ’l pianeta. + +E se la stella si cambiò e rise, +qual mi fec’ io che pur da mia natura +trasmutabile son per tutte guise! + +Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura +traggonsi i pesci a ciò che vien di fori +per modo che lo stimin lor pastura, + +sì vid’ io ben più di mille splendori +trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia: +«Ecco chi crescerà li nostri amori». + +E sì come ciascuno a noi venìa, +vedeasi l’ombra piena di letizia +nel folgór chiaro che di lei uscia. + +Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia +non procedesse, come tu avresti +di più savere angosciosa carizia; + +e per te vederai come da questi +m’era in disio d’udir lor condizioni, +sì come a li occhi mi fur manifesti. + +«O bene nato a cui veder li troni +del trïunfo etternal concede grazia +prima che la milizia s’abbandoni, + +del lume che per tutto il ciel si spazia +noi semo accesi; e però, se disii +di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». + +Così da un di quelli spirti pii +detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì +sicuramente, e credi come a dii». + +«Io veggio ben sì come tu t’annidi +nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, +perch’ e’ corusca sì come tu ridi; + +ma non so chi tu se’, né perché aggi, +anima degna, il grado de la spera +che si vela a’ mortai con altrui raggi». + +Questo diss’ io diritto a la lumera +che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi +lucente più assai di quel ch’ell’ era. + +Sì come il sol che si cela elli stessi +per troppa luce, come ’l caldo ha róse +le temperanze d’i vapori spessi, + +per più letizia sì mi si nascose +dentro al suo raggio la figura santa; +e così chiusa chiusa mi rispuose + +nel modo che ’l seguente canto canta. + + + + +Paradiso +Canto VI + + +«Poscia che Costantin l’aquila volse +contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio +dietro a l’antico che Lavina tolse, + +cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio +ne lo stremo d’Europa si ritenne, +vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; + +e sotto l’ombra de le sacre penne +governò ’l mondo lì di mano in mano, +e, sì cangiando, in su la mia pervenne. + +Cesare fui e son Iustinïano, +che, per voler del primo amor ch’i’ sento, +d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano. + +E prima ch’io a l’ovra fossi attento, +una natura in Cristo esser, non piùe, +credea, e di tal fede era contento; + +ma ’l benedetto Agapito, che fue +sommo pastore, a la fede sincera +mi dirizzò con le parole sue. + +Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, +vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi +ogni contradizione e falsa e vera. + +Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, +a Dio per grazia piacque di spirarmi +l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi; + +e al mio Belisar commendai l’armi, +cui la destra del ciel fu sì congiunta, +che segno fu ch’i’ dovessi posarmi. + +Or qui a la question prima s’appunta +la mia risposta; ma sua condizione +mi stringe a seguitare alcuna giunta, + +perché tu veggi con quanta ragione +si move contr’ al sacrosanto segno +e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone. + +Vedi quanta virtù l’ha fatto degno +di reverenza; e cominciò da l’ora +che Pallante morì per darli regno. + +Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora +per trecento anni e oltre, infino al fine +che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. + +E sai ch’el fé dal mal de le Sabine +al dolor di Lucrezia in sette regi, +vincendo intorno le genti vicine. + +Sai quel ch’el fé portato da li egregi +Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, +incontro a li altri principi e collegi; + +onde Torquato e Quinzio, che dal cirro +negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi +ebber la fama che volontier mirro. + +Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi +che di retro ad Anibale passaro +l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. + +Sott’ esso giovanetti trïunfaro +Scipïone e Pompeo; e a quel colle +sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. + +Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle +redur lo mondo a suo modo sereno, +Cesare per voler di Roma il tolle. + +E quel che fé da Varo infino a Reno, +Isara vide ed Era e vide Senna +e ogne valle onde Rodano è pieno. + +Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna +e saltò Rubicon, fu di tal volo, +che nol seguiteria lingua né penna. + +Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, +poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse +sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. + +Antandro e Simeonta, onde si mosse, +rivide e là dov’ Ettore si cuba; +e mal per Tolomeo poscia si scosse. + +Da indi scese folgorando a Iuba; +onde si volse nel vostro occidente, +ove sentia la pompeana tuba. + +Di quel che fé col baiulo seguente, +Bruto con Cassio ne l’inferno latra, +e Modena e Perugia fu dolente. + +Piangene ancor la trista Cleopatra, +che, fuggendoli innanzi, dal colubro +la morte prese subitana e atra. + +Con costui corse infino al lito rubro; +con costui puose il mondo in tanta pace, +che fu serrato a Giano il suo delubro. + +Ma ciò che ’l segno che parlar mi face +fatto avea prima e poi era fatturo +per lo regno mortal ch’a lui soggiace, + +diventa in apparenza poco e scuro, +se in mano al terzo Cesare si mira +con occhio chiaro e con affetto puro; + +ché la viva giustizia che mi spira, +li concedette, in mano a quel ch’i’ dico, +gloria di far vendetta a la sua ira. + +Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: +poscia con Tito a far vendetta corse +de la vendetta del peccato antico. + +E quando il dente longobardo morse +la Santa Chiesa, sotto le sue ali +Carlo Magno, vincendo, la soccorse. + +Omai puoi giudicar di quei cotali +ch’io accusai di sopra e di lor falli, +che son cagion di tutti vostri mali. + +L’uno al pubblico segno i gigli gialli +oppone, e l’altro appropria quello a parte, +sì ch’è forte a veder chi più si falli. + +Faccian li Ghibellin, faccian lor arte +sott’ altro segno, ché mal segue quello +sempre chi la giustizia e lui diparte; + +e non l’abbatta esto Carlo novello +coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli +ch’a più alto leon trasser lo vello. + +Molte fïate già pianser li figli +per la colpa del padre, e non si creda +che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli! + +Questa picciola stella si correda +d’i buoni spirti che son stati attivi +perché onore e fama li succeda: + +e quando li disiri poggian quivi, +sì disvïando, pur convien che i raggi +del vero amore in sù poggin men vivi. + +Ma nel commensurar d’i nostri gaggi +col merto è parte di nostra letizia, +perché non li vedem minor né maggi. + +Quindi addolcisce la viva giustizia +in noi l’affetto sì, che non si puote +torcer già mai ad alcuna nequizia. + +Diverse voci fanno dolci note; +così diversi scanni in nostra vita +rendon dolce armonia tra queste rote. + +E dentro a la presente margarita +luce la luce di Romeo, di cui +fu l’ovra grande e bella mal gradita. + +Ma i Provenzai che fecer contra lui +non hanno riso; e però mal cammina +qual si fa danno del ben fare altrui. + +Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, +Ramondo Beringhiere, e ciò li fece +Romeo, persona umìle e peregrina. + +E poi il mosser le parole biece +a dimandar ragione a questo giusto, +che li assegnò sette e cinque per diece, + +indi partissi povero e vetusto; +e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe +mendicando sua vita a frusto a frusto, + +assai lo loda, e più lo loderebbe». + + + + +Paradiso +Canto VII + + +«Osanna, sanctus Deus sabaòth, +superillustrans claritate tua +felices ignes horum malacòth!». + +Così, volgendosi a la nota sua, +fu viso a me cantare essa sustanza, +sopra la qual doppio lume s’addua; + +ed essa e l’altre mossero a sua danza, +e quasi velocissime faville +mi si velar di sùbita distanza. + +Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’ +fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna +che mi diseta con le dolci stille’. + +Ma quella reverenza che s’indonna +di tutto me, pur per Be e per ice, +mi richinava come l’uom ch’assonna. + +Poco sofferse me cotal Beatrice +e cominciò, raggiandomi d’un riso +tal, che nel foco faria l’uom felice: + +«Secondo mio infallibile avviso, +come giusta vendetta giustamente +punita fosse, t’ha in pensier miso; + +ma io ti solverò tosto la mente; +e tu ascolta, ché le mie parole +di gran sentenza ti faran presente. + +Per non soffrire a la virtù che vole +freno a suo prode, quell’ uom che non nacque, +dannando sé, dannò tutta sua prole; + +onde l’umana specie inferma giacque +giù per secoli molti in grande errore, +fin ch’al Verbo di Dio discender piacque + +u’ la natura, che dal suo fattore +s’era allungata, unì a sé in persona +con l’atto sol del suo etterno amore. + +Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: +questa natura al suo fattore unita, +qual fu creata, fu sincera e buona; + +ma per sé stessa pur fu ella sbandita +di paradiso, però che si torse +da via di verità e da sua vita. + +La pena dunque che la croce porse +s’a la natura assunta si misura, +nulla già mai sì giustamente morse; + +e così nulla fu di tanta ingiura, +guardando a la persona che sofferse, +in che era contratta tal natura. + +Però d’un atto uscir cose diverse: +ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; +per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. + +Non ti dee oramai parer più forte, +quando si dice che giusta vendetta +poscia vengiata fu da giusta corte. + +Ma io veggi’ or la tua mente ristretta +di pensiero in pensier dentro ad un nodo, +del qual con gran disio solver s’aspetta. + +Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo; +ma perché Dio volesse, m’è occulto, +a nostra redenzion pur questo modo”. + +Questo decreto, frate, sta sepulto +a li occhi di ciascuno il cui ingegno +ne la fiamma d’amor non è adulto. + +Veramente, però ch’a questo segno +molto si mira e poco si discerne, +dirò perché tal modo fu più degno. + +La divina bontà, che da sé sperne +ogne livore, ardendo in sé, sfavilla +sì che dispiega le bellezze etterne. + +Ciò che da lei sanza mezzo distilla +non ha poi fine, perché non si move +la sua imprenta quand’ ella sigilla. + +Ciò che da essa sanza mezzo piove +libero è tutto, perché non soggiace +a la virtute de le cose nove. + +Più l’è conforme, e però più le piace; +ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia, +ne la più somigliante è più vivace. + +Di tutte queste dote s’avvantaggia +l’umana creatura, e s’una manca, +di sua nobilità convien che caggia. + +Solo il peccato è quel che la disfranca +e falla dissimìle al sommo bene, +per che del lume suo poco s’imbianca; + +e in sua dignità mai non rivene, +se non rïempie, dove colpa vòta, +contra mal dilettar con giuste pene. + +Vostra natura, quando peccò tota +nel seme suo, da queste dignitadi, +come di paradiso, fu remota; + +né ricovrar potiensi, se tu badi +ben sottilmente, per alcuna via, +sanza passar per un di questi guadi: + +o che Dio solo per sua cortesia +dimesso avesse, o che l’uom per sé isso +avesse sodisfatto a sua follia. + +Ficca mo l’occhio per entro l’abisso +de l’etterno consiglio, quanto puoi +al mio parlar distrettamente fisso. + +Non potea l’uomo ne’ termini suoi +mai sodisfar, per non potere ir giuso +con umiltate obedïendo poi, + +quanto disobediendo intese ir suso; +e questa è la cagion per che l’uom fue +da poter sodisfar per sé dischiuso. + +Dunque a Dio convenia con le vie sue +riparar l’omo a sua intera vita, +dico con l’una, o ver con amendue. + +Ma perché l’ovra tanto è più gradita +da l’operante, quanto più appresenta +de la bontà del core ond’ ell’ è uscita, + +la divina bontà che ’l mondo imprenta, +di proceder per tutte le sue vie, +a rilevarvi suso, fu contenta. + +Né tra l’ultima notte e ’l primo die +sì alto o sì magnifico processo, +o per l’una o per l’altra, fu o fie: + +ché più largo fu Dio a dar sé stesso +per far l’uom sufficiente a rilevarsi, +che s’elli avesse sol da sé dimesso; + +e tutti li altri modi erano scarsi +a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio +non fosse umilïato ad incarnarsi. + +Or per empierti bene ogne disio, +ritorno a dichiararti in alcun loco, +perché tu veggi lì così com’ io. + +Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco, +l’aere e la terra e tutte lor misture +venire a corruzione, e durar poco; + +e queste cose pur furon creature; +per che, se ciò ch’è detto è stato vero, +esser dovrien da corruzion sicure”. + +Li angeli, frate, e ’l paese sincero +nel qual tu se’, dir si posson creati, +sì come sono, in loro essere intero; + +ma li alimenti che tu hai nomati +e quelle cose che di lor si fanno +da creata virtù sono informati. + +Creata fu la materia ch’elli hanno; +creata fu la virtù informante +in queste stelle che ’ntorno a lor vanno. + +L’anima d’ogne bruto e de le piante +di complession potenzïata tira +lo raggio e ’l moto de le luci sante; + +ma vostra vita sanza mezzo spira +la somma beninanza, e la innamora +di sé sì che poi sempre la disira. + +E quinci puoi argomentare ancora +vostra resurrezion, se tu ripensi +come l’umana carne fessi allora + +che li primi parenti intrambo fensi». + + + + +Paradiso +Canto VIII + + +Solea creder lo mondo in suo periclo +che la bella Ciprigna il folle amore +raggiasse, volta nel terzo epiciclo; + +per che non pur a lei faceano onore +di sacrificio e di votivo grido +le genti antiche ne l’antico errore; + +ma Dïone onoravano e Cupido, +quella per madre sua, questo per figlio, +e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; + +e da costei ond’ io principio piglio +pigliavano il vocabol de la stella +che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. + +Io non m’accorsi del salire in ella; +ma d’esservi entro mi fé assai fede +la donna mia ch’i’ vidi far più bella. + +E come in fiamma favilla si vede, +e come in voce voce si discerne, +quand’ una è ferma e altra va e riede, + +vid’ io in essa luce altre lucerne +muoversi in giro più e men correnti, +al modo, credo, di lor viste interne. + +Di fredda nube non disceser venti, +o visibili o no, tanto festini, +che non paressero impediti e lenti + +a chi avesse quei lumi divini +veduti a noi venir, lasciando il giro +pria cominciato in li alti Serafini; + +e dentro a quei che più innanzi appariro +sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi +di rïudir non fui sanza disiro. + +Indi si fece l’un più presso a noi +e solo incominciò: «Tutti sem presti +al tuo piacer, perché di noi ti gioi. + +Noi ci volgiam coi principi celesti +d’un giro e d’un girare e d’una sete, +ai quali tu del mondo già dicesti: + +‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’; +e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, +non fia men dolce un poco di quïete». + +Poscia che li occhi miei si fuoro offerti +a la mia donna reverenti, ed essa +fatti li avea di sé contenti e certi, + +rivolsersi a la luce che promessa +tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue +la voce mia di grande affetto impressa. + +E quanta e quale vid’ io lei far piùe +per allegrezza nova che s’accrebbe, +quando parlai, a l’allegrezze sue! + +Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe +giù poco tempo; e se più fosse stato, +molto sarà di mal, che non sarebbe. + +La mia letizia mi ti tien celato +che mi raggia dintorno e mi nasconde +quasi animal di sua seta fasciato. + +Assai m’amasti, e avesti ben onde; +che s’io fossi giù stato, io ti mostrava +di mio amor più oltre che le fronde. + +Quella sinistra riva che si lava +di Rodano poi ch’è misto con Sorga, +per suo segnore a tempo m’aspettava, + +e quel corno d’Ausonia che s’imborga +di Bari e di Gaeta e di Catona, +da ove Tronto e Verde in mare sgorga. + +Fulgeami già in fronte la corona +di quella terra che ’l Danubio riga +poi che le ripe tedesche abbandona. + +E la bella Trinacria, che caliga +tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo +che riceve da Euro maggior briga, + +non per Tifeo ma per nascente solfo, +attesi avrebbe li suoi regi ancora, +nati per me di Carlo e di Ridolfo, + +se mala segnoria, che sempre accora +li popoli suggetti, non avesse +mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. + +E se mio frate questo antivedesse, +l’avara povertà di Catalogna +già fuggeria, perché non li offendesse; + +ché veramente proveder bisogna +per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca +carcata più d’incarco non si pogna. + +La sua natura, che di larga parca +discese, avria mestier di tal milizia +che non curasse di mettere in arca». + +«Però ch’i’ credo che l’alta letizia +che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio, +là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, + +per te si veggia come la vegg’ io, +grata m’è più; e anco quest’ ho caro +perché ’l discerni rimirando in Dio. + +Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, +poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso +com’ esser può, di dolce seme, amaro». + +Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso +mostrarti un vero, a quel che tu dimandi +terrai lo viso come tien lo dosso. + +Lo ben che tutto il regno che tu scandi +volge e contenta, fa esser virtute +sua provedenza in questi corpi grandi. + +E non pur le nature provedute +sono in la mente ch’è da sé perfetta, +ma esse insieme con la lor salute: + +per che quantunque quest’ arco saetta +disposto cade a proveduto fine, +sì come cosa in suo segno diretta. + +Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine +producerebbe sì li suoi effetti, +che non sarebbero arti, ma ruine; + +e ciò esser non può, se li ’ntelletti +che muovon queste stelle non son manchi, +e manco il primo, che non li ha perfetti. + +Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?». +E io: «Non già; ché impossibil veggio +che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». + +Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio +per l’omo in terra, se non fosse cive?». +«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». + +«E puot’ elli esser, se giù non si vive +diversamente per diversi offici? +Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». + +Sì venne deducendo infino a quici; +poscia conchiuse: «Dunque esser diverse +convien di vostri effetti le radici: + +per ch’un nasce Solone e altro Serse, +altro Melchisedèch e altro quello +che, volando per l’aere, il figlio perse. + +La circular natura, ch’è suggello +a la cera mortal, fa ben sua arte, +ma non distingue l’un da l’altro ostello. + +Quinci addivien ch’Esaù si diparte +per seme da Iacòb; e vien Quirino +da sì vil padre, che si rende a Marte. + +Natura generata il suo cammino +simil farebbe sempre a’ generanti, +se non vincesse il proveder divino. + +Or quel che t’era dietro t’è davanti: +ma perché sappi che di te mi giova, +un corollario voglio che t’ammanti. + +Sempre natura, se fortuna trova +discorde a sé, com’ ogne altra semente +fuor di sua regïon, fa mala prova. + +E se ’l mondo là giù ponesse mente +al fondamento che natura pone, +seguendo lui, avria buona la gente. + +Ma voi torcete a la religïone +tal che fia nato a cignersi la spada, +e fate re di tal ch’è da sermone; + +onde la traccia vostra è fuor di strada». + + + + +Paradiso +Canto IX + + +Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, +m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni +che ricever dovea la sua semenza; + +ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; +sì ch’io non posso dir se non che pianto +giusto verrà di retro ai vostri danni. + +E già la vita di quel lume santo +rivolta s’era al Sol che la rïempie +come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. + +Ahi anime ingannate e fatture empie, +che da sì fatto ben torcete i cuori, +drizzando in vanità le vostre tempie! + +Ed ecco un altro di quelli splendori +ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi +significava nel chiarir di fori. + +Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi +sovra me, come pria, di caro assenso +al mio disio certificato fermi. + +«Deh, metti al mio voler tosto compenso, +beato spirto», dissi, «e fammi prova +ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». + +Onde la luce che m’era ancor nova, +del suo profondo, ond’ ella pria cantava, +seguette come a cui di ben far giova: + +«In quella parte de la terra prava +italica che siede tra Rïalto +e le fontane di Brenta e di Piava, + +si leva un colle, e non surge molt’ alto, +là onde scese già una facella +che fece a la contrada un grande assalto. + +D’una radice nacqui e io ed ella: +Cunizza fui chiamata, e qui refulgo +perché mi vinse il lume d’esta stella; + +ma lietamente a me medesma indulgo +la cagion di mia sorte, e non mi noia; +che parria forse forte al vostro vulgo. + +Di questa luculenta e cara gioia +del nostro cielo che più m’è propinqua, +grande fama rimase; e pria che moia, + +questo centesimo anno ancor s’incinqua: +vedi se far si dee l’omo eccellente, +sì ch’altra vita la prima relinqua. + +E ciò non pensa la turba presente +che Tagliamento e Adice richiude, +né per esser battuta ancor si pente; + +ma tosto fia che Padova al palude +cangerà l’acqua che Vincenza bagna, +per essere al dover le genti crude; + +e dove Sile e Cagnan s’accompagna, +tal signoreggia e va con la testa alta, +che già per lui carpir si fa la ragna. + +Piangerà Feltro ancora la difalta +de l’empio suo pastor, che sarà sconcia +sì, che per simil non s’entrò in malta. + +Troppo sarebbe larga la bigoncia +che ricevesse il sangue ferrarese, +e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia, + +che donerà questo prete cortese +per mostrarsi di parte; e cotai doni +conformi fieno al viver del paese. + +Sù sono specchi, voi dicete Troni, +onde refulge a noi Dio giudicante; +sì che questi parlar ne paion buoni». + +Qui si tacette; e fecemi sembiante +che fosse ad altro volta, per la rota +in che si mise com’ era davante. + +L’altra letizia, che m’era già nota +per cara cosa, mi si fece in vista +qual fin balasso in che lo sol percuota. + +Per letiziar là sù fulgor s’acquista, +sì come riso qui; ma giù s’abbuia +l’ombra di fuor, come la mente è trista. + +«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia», +diss’ io, «beato spirto, sì che nulla +voglia di sé a te puot’ esser fuia. + +Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla +sempre col canto di quei fuochi pii +che di sei ali facen la coculla, + +perché non satisface a’ miei disii? +Già non attendere’ io tua dimanda, +s’io m’intuassi, come tu t’inmii». + +«La maggior valle in che l’acqua si spanda», +incominciaro allor le sue parole, +«fuor di quel mar che la terra inghirlanda, + +tra ’ discordanti liti contra ’l sole +tanto sen va, che fa meridïano +là dove l’orizzonte pria far suole. + +Di quella valle fu’ io litorano +tra Ebro e Macra, che per cammin corto +parte lo Genovese dal Toscano. + +Ad un occaso quasi e ad un orto +Buggea siede e la terra ond’ io fui, +che fé del sangue suo già caldo il porto. + +Folco mi disse quella gente a cui +fu noto il nome mio; e questo cielo +di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui; + +ché più non arse la figlia di Belo, +noiando e a Sicheo e a Creusa, +di me, infin che si convenne al pelo; + +né quella Rodopëa che delusa +fu da Demofoonte, né Alcide +quando Iole nel core ebbe rinchiusa. + +Non però qui si pente, ma si ride, +non de la colpa, ch’a mente non torna, +ma del valor ch’ordinò e provide. + +Qui si rimira ne l’arte ch’addorna +cotanto affetto, e discernesi ’l bene +per che ’l mondo di sù quel di giù torna. + +Ma perché tutte le tue voglie piene +ten porti che son nate in questa spera, +proceder ancor oltre mi convene. + +Tu vuo’ saper chi è in questa lumera +che qui appresso me così scintilla +come raggio di sole in acqua mera. + +Or sappi che là entro si tranquilla +Raab; e a nostr’ ordine congiunta, +di lei nel sommo grado si sigilla. + +Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta +che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma +del trïunfo di Cristo fu assunta. + +Ben si convenne lei lasciar per palma +in alcun cielo de l’alta vittoria +che s’acquistò con l’una e l’altra palma, + +perch’ ella favorò la prima gloria +di Iosüè in su la Terra Santa, +che poco tocca al papa la memoria. + +La tua città, che di colui è pianta +che pria volse le spalle al suo fattore +e di cui è la ’nvidia tanto pianta, + +produce e spande il maladetto fiore +c’ha disvïate le pecore e li agni, +però che fatto ha lupo del pastore. + +Per questo l’Evangelio e i dottor magni +son derelitti, e solo ai Decretali +si studia, sì che pare a’ lor vivagni. + +A questo intende il papa e ’ cardinali; +non vanno i lor pensieri a Nazarette, +là dove Gabrïello aperse l’ali. + +Ma Vaticano e l’altre parti elette +di Roma che son state cimitero +a la milizia che Pietro seguette, + +tosto libere fien de l’avoltero». + + + + +Paradiso +Canto X + + +Guardando nel suo Figlio con l’Amore +che l’uno e l’altro etternalmente spira, +lo primo e ineffabile Valore + +quanto per mente e per loco si gira +con tant’ ordine fé, ch’esser non puote +sanza gustar di lui chi ciò rimira. + +Leva dunque, lettore, a l’alte rote +meco la vista, dritto a quella parte +dove l’un moto e l’altro si percuote; + +e lì comincia a vagheggiar ne l’arte +di quel maestro che dentro a sé l’ama, +tanto che mai da lei l’occhio non parte. + +Vedi come da indi si dirama +l’oblico cerchio che i pianeti porta, +per sodisfare al mondo che li chiama. + +Che se la strada lor non fosse torta, +molta virtù nel ciel sarebbe in vano, +e quasi ogne potenza qua giù morta; + +e se dal dritto più o men lontano +fosse ’l partire, assai sarebbe manco +e giù e sù de l’ordine mondano. + +Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco, +dietro pensando a ciò che si preliba, +s’esser vuoi lieto assai prima che stanco. + +Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba; +ché a sé torce tutta la mia cura +quella materia ond’ io son fatto scriba. + +Lo ministro maggior de la natura, +che del valor del ciel lo mondo imprenta +e col suo lume il tempo ne misura, + +con quella parte che sù si rammenta +congiunto, si girava per le spire +in che più tosto ognora s’appresenta; + +e io era con lui; ma del salire +non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge, +anzi ’l primo pensier, del suo venire. + +È Bëatrice quella che sì scorge +di bene in meglio, sì subitamente +che l’atto suo per tempo non si sporge. + +Quant’ esser convenia da sé lucente +quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi, +non per color, ma per lume parvente! + +Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami, +sì nol direi che mai s’imaginasse; +ma creder puossi e di veder si brami. + +E se le fantasie nostre son basse +a tanta altezza, non è maraviglia; +ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse. + +Tal era quivi la quarta famiglia +de l’alto Padre, che sempre la sazia, +mostrando come spira e come figlia. + +E Bëatrice cominciò: «Ringrazia, +ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo +sensibil t’ha levato per sua grazia». + +Cor di mortal non fu mai sì digesto +a divozione e a rendersi a Dio +con tutto ’l suo gradir cotanto presto, + +come a quelle parole mi fec’ io; +e sì tutto ’l mio amore in lui si mise, +che Bëatrice eclissò ne l’oblio. + +Non le dispiacque; ma sì se ne rise, +che lo splendor de li occhi suoi ridenti +mia mente unita in più cose divise. + +Io vidi più folgór vivi e vincenti +far di noi centro e di sé far corona, +più dolci in voce che in vista lucenti: + +così cinger la figlia di Latona +vedem talvolta, quando l’aere è pregno, +sì che ritenga il fil che fa la zona. + +Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno, +si trovan molte gioie care e belle +tanto che non si posson trar del regno; + +e ’l canto di quei lumi era di quelle; +chi non s’impenna sì che là sù voli, +dal muto aspetti quindi le novelle. + +Poi, sì cantando, quelli ardenti soli +si fuor girati intorno a noi tre volte, +come stelle vicine a’ fermi poli, + +donne mi parver, non da ballo sciolte, +ma che s’arrestin tacite, ascoltando +fin che le nove note hanno ricolte. + +E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando +lo raggio de la grazia, onde s’accende +verace amore e che poi cresce amando, + +multiplicato in te tanto resplende, +che ti conduce su per quella scala +u’ sanza risalir nessun discende; + +qual ti negasse il vin de la sua fiala +per la tua sete, in libertà non fora +se non com’ acqua ch’al mar non si cala. + +Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora +questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia +la bella donna ch’al ciel t’avvalora. + +Io fui de li agni de la santa greggia +che Domenico mena per cammino +u’ ben s’impingua se non si vaneggia. + +Questi che m’è a destra più vicino, +frate e maestro fummi, ed esso Alberto +è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. + +Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo, +di retro al mio parlar ten vien col viso +girando su per lo beato serto. + +Quell’ altro fiammeggiare esce del riso +di Grazïan, che l’uno e l’altro foro +aiutò sì che piace in paradiso. + +L’altro ch’appresso addorna il nostro coro, +quel Pietro fu che con la poverella +offerse a Santa Chiesa suo tesoro. + +La quinta luce, ch’è tra noi più bella, +spira di tale amor, che tutto ’l mondo +là giù ne gola di saper novella: + +entro v’è l’alta mente u’ sì profondo +saver fu messo, che, se ’l vero è vero, +a veder tanto non surse il secondo. + +Appresso vedi il lume di quel cero +che giù in carne più a dentro vide +l’angelica natura e ’l ministero. + +Ne l’altra piccioletta luce ride +quello avvocato de’ tempi cristiani +del cui latino Augustin si provide. + +Or se tu l’occhio de la mente trani +di luce in luce dietro a le mie lode, +già de l’ottava con sete rimani. + +Per vedere ogne ben dentro vi gode +l’anima santa che ’l mondo fallace +fa manifesto a chi di lei ben ode. + +Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace +giuso in Cieldauro; ed essa da martiro +e da essilio venne a questa pace. + +Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro +d’Isidoro, di Beda e di Riccardo, +che a considerar fu più che viro. + +Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, +è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri +gravi a morir li parve venir tardo: + +essa è la luce etterna di Sigieri, +che, leggendo nel Vico de li Strami, +silogizzò invidïosi veri». + +Indi, come orologio che ne chiami +ne l’ora che la sposa di Dio surge +a mattinar lo sposo perché l’ami, + +che l’una parte e l’altra tira e urge, +tin tin sonando con sì dolce nota, +che ’l ben disposto spirto d’amor turge; + +così vid’ ïo la gloriosa rota +muoversi e render voce a voce in tempra +e in dolcezza ch’esser non pò nota + +se non colà dove gioir s’insempra. + + + + +Paradiso +Canto XI + + +O insensata cura de’ mortali, +quanto son difettivi silogismi +quei che ti fanno in basso batter l’ali! + +Chi dietro a iura e chi ad amforismi +sen giva, e chi seguendo sacerdozio, +e chi regnar per forza o per sofismi, + +e chi rubare e chi civil negozio, +chi nel diletto de la carne involto +s’affaticava e chi si dava a l’ozio, + +quando, da tutte queste cose sciolto, +con Bëatrice m’era suso in cielo +cotanto glorïosamente accolto. + +Poi che ciascuno fu tornato ne lo +punto del cerchio in che avanti s’era, +fermossi, come a candellier candelo. + +E io senti’ dentro a quella lumera +che pria m’avea parlato, sorridendo +incominciar, faccendosi più mera: + +«Così com’ io del suo raggio resplendo, +sì, riguardando ne la luce etterna, +li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. + +Tu dubbi, e hai voler che si ricerna +in sì aperta e ’n sì distesa lingua +lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, + +ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”, +e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”; +e qui è uopo che ben si distingua. + +La provedenza, che governa il mondo +con quel consiglio nel quale ogne aspetto +creato è vinto pria che vada al fondo, + +però che andasse ver’ lo suo diletto +la sposa di colui ch’ad alte grida +disposò lei col sangue benedetto, + +in sé sicura e anche a lui più fida, +due principi ordinò in suo favore, +che quinci e quindi le fosser per guida. + +L’un fu tutto serafico in ardore; +l’altro per sapïenza in terra fue +di cherubica luce uno splendore. + +De l’un dirò, però che d’amendue +si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, +perch’ ad un fine fur l’opere sue. + +Intra Tupino e l’acqua che discende +del colle eletto dal beato Ubaldo, +fertile costa d’alto monte pende, + +onde Perugia sente freddo e caldo +da Porta Sole; e di rietro le piange +per grave giogo Nocera con Gualdo. + +Di questa costa, là dov’ ella frange +più sua rattezza, nacque al mondo un sole, +come fa questo talvolta di Gange. + +Però chi d’esso loco fa parole, +non dica Ascesi, ché direbbe corto, +ma Orïente, se proprio dir vuole. + +Non era ancor molto lontan da l’orto, +ch’el cominciò a far sentir la terra +de la sua gran virtute alcun conforto; + +ché per tal donna, giovinetto, in guerra +del padre corse, a cui, come a la morte, +la porta del piacer nessun diserra; + +e dinanzi a la sua spirital corte +et coram patre le si fece unito; +poscia di dì in dì l’amò più forte. + +Questa, privata del primo marito, +millecent’ anni e più dispetta e scura +fino a costui si stette sanza invito; + +né valse udir che la trovò sicura +con Amiclate, al suon de la sua voce, +colui ch’a tutto ’l mondo fé paura; + +né valse esser costante né feroce, +sì che, dove Maria rimase giuso, +ella con Cristo pianse in su la croce. + +Ma perch’ io non proceda troppo chiuso, +Francesco e Povertà per questi amanti +prendi oramai nel mio parlar diffuso. + +La lor concordia e i lor lieti sembianti, +amore e maraviglia e dolce sguardo +facieno esser cagion di pensier santi; + +tanto che ’l venerabile Bernardo +si scalzò prima, e dietro a tanta pace +corse e, correndo, li parve esser tardo. + +Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! +Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro +dietro a lo sposo, sì la sposa piace. + +Indi sen va quel padre e quel maestro +con la sua donna e con quella famiglia +che già legava l’umile capestro. + +Né li gravò viltà di cuor le ciglia +per esser fi’ di Pietro Bernardone, +né per parer dispetto a maraviglia; + +ma regalmente sua dura intenzione +ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe +primo sigillo a sua religïone. + +Poi che la gente poverella crebbe +dietro a costui, la cui mirabil vita +meglio in gloria del ciel si canterebbe, + +di seconda corona redimita +fu per Onorio da l’Etterno Spiro +la santa voglia d’esto archimandrita. + +E poi che, per la sete del martiro, +ne la presenza del Soldan superba +predicò Cristo e li altri che ’l seguiro, + +e per trovare a conversione acerba +troppo la gente e per non stare indarno, +redissi al frutto de l’italica erba, + +nel crudo sasso intra Tevero e Arno +da Cristo prese l’ultimo sigillo, +che le sue membra due anni portarno. + +Quando a colui ch’a tanto ben sortillo +piacque di trarlo suso a la mercede +ch’el meritò nel suo farsi pusillo, + +a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede, +raccomandò la donna sua più cara, +e comandò che l’amassero a fede; + +e del suo grembo l’anima preclara +mover si volle, tornando al suo regno, +e al suo corpo non volle altra bara. + +Pensa oramai qual fu colui che degno +collega fu a mantener la barca +di Pietro in alto mar per dritto segno; + +e questo fu il nostro patrïarca; +per che qual segue lui, com’ el comanda, +discerner puoi che buone merce carca. + +Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda +è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote +che per diversi salti non si spanda; + +e quanto le sue pecore remote +e vagabunde più da esso vanno, +più tornano a l’ovil di latte vòte. + +Ben son di quelle che temono ’l danno +e stringonsi al pastor; ma son sì poche, +che le cappe fornisce poco panno. + +Or, se le mie parole non son fioche, +se la tua audïenza è stata attenta, +se ciò ch’è detto a la mente revoche, + +in parte fia la tua voglia contenta, +perché vedrai la pianta onde si scheggia, +e vedra’ il corrègger che argomenta + +“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”». + + + + +Paradiso +Canto XII + + +Sì tosto come l’ultima parola +la benedetta fiamma per dir tolse, +a rotar cominciò la santa mola; + +e nel suo giro tutta non si volse +prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, +e moto a moto e canto a canto colse; + +canto che tanto vince nostre muse, +nostre serene in quelle dolci tube, +quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. + +Come si volgon per tenera nube +due archi paralelli e concolori, +quando Iunone a sua ancella iube, + +nascendo di quel d’entro quel di fori, +a guisa del parlar di quella vaga +ch’amor consunse come sol vapori, + +e fanno qui la gente esser presaga, +per lo patto che Dio con Noè puose, +del mondo che già mai più non s’allaga: + +così di quelle sempiterne rose +volgiensi circa noi le due ghirlande, +e sì l’estrema a l’intima rispuose. + +Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande, +sì del cantare e sì del fiammeggiarsi +luce con luce gaudïose e blande, + +insieme a punto e a voler quetarsi, +pur come li occhi ch’al piacer che i move +conviene insieme chiudere e levarsi; + +del cor de l’una de le luci nove +si mosse voce, che l’ago a la stella +parer mi fece in volgermi al suo dove; + +e cominciò: «L’amor che mi fa bella +mi tragge a ragionar de l’altro duca +per cui del mio sì ben ci si favella. + +Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca: +sì che, com’ elli ad una militaro, +così la gloria loro insieme luca. + +L’essercito di Cristo, che sì caro +costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna +si movea tardo, sospeccioso e raro, + +quando lo ’mperador che sempre regna +provide a la milizia, ch’era in forse, +per sola grazia, non per esser degna; + +e, come è detto, a sua sposa soccorse +con due campioni, al cui fare, al cui dire +lo popol disvïato si raccorse. + +In quella parte ove surge ad aprire +Zefiro dolce le novelle fronde +di che si vede Europa rivestire, + +non molto lungi al percuoter de l’onde +dietro a le quali, per la lunga foga, +lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, + +siede la fortunata Calaroga +sotto la protezion del grande scudo +in che soggiace il leone e soggioga: + +dentro vi nacque l’amoroso drudo +de la fede cristiana, il santo atleta +benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; + +e come fu creata, fu repleta +sì la sua mente di viva vertute +che, ne la madre, lei fece profeta. + +Poi che le sponsalizie fuor compiute +al sacro fonte intra lui e la Fede, +u’ si dotar di mutüa salute, + +la donna che per lui l’assenso diede, +vide nel sonno il mirabile frutto +ch’uscir dovea di lui e de le rede; + +e perché fosse qual era in costrutto, +quinci si mosse spirito a nomarlo +del possessivo di cui era tutto. + +Domenico fu detto; e io ne parlo +sì come de l’agricola che Cristo +elesse a l’orto suo per aiutarlo. + +Ben parve messo e famigliar di Cristo: +che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto, +fu al primo consiglio che diè Cristo. + +Spesse fïate fu tacito e desto +trovato in terra da la sua nutrice, +come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. + +Oh padre suo veramente Felice! +oh madre sua veramente Giovanna, +se, interpretata, val come si dice! + +Non per lo mondo, per cui mo s’affanna +di retro ad Ostïense e a Taddeo, +ma per amor de la verace manna + +in picciol tempo gran dottor si feo; +tal che si mise a circüir la vigna +che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo. + +E a la sedia che fu già benigna +più a’ poveri giusti, non per lei, +ma per colui che siede, che traligna, + +non dispensare o due o tre per sei, +non la fortuna di prima vacante, +non decimas, quae sunt pauperum Dei, + +addimandò, ma contro al mondo errante +licenza di combatter per lo seme +del qual ti fascian ventiquattro piante. + +Poi, con dottrina e con volere insieme, +con l’officio appostolico si mosse +quasi torrente ch’alta vena preme; + +e ne li sterpi eretici percosse +l’impeto suo, più vivamente quivi +dove le resistenze eran più grosse. + +Di lui si fecer poi diversi rivi +onde l’orto catolico si riga, +sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. + +Se tal fu l’una rota de la biga +in che la Santa Chiesa si difese +e vinse in campo la sua civil briga, + +ben ti dovrebbe assai esser palese +l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma +dinanzi al mio venir fu sì cortese. + +Ma l’orbita che fé la parte somma +di sua circunferenza, è derelitta, +sì ch’è la muffa dov’ era la gromma. + +La sua famiglia, che si mosse dritta +coi piedi a le sue orme, è tanto volta, +che quel dinanzi a quel di retro gitta; + +e tosto si vedrà de la ricolta +de la mala coltura, quando il loglio +si lagnerà che l’arca li sia tolta. + +Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio +nostro volume, ancor troveria carta +u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; + +ma non fia da Casal né d’Acquasparta, +là onde vegnon tali a la scrittura, +ch’uno la fugge e altro la coarta. + +Io son la vita di Bonaventura +da Bagnoregio, che ne’ grandi offici +sempre pospuosi la sinistra cura. + +Illuminato e Augustin son quici, +che fuor de’ primi scalzi poverelli +che nel capestro a Dio si fero amici. + +Ugo da San Vittore è qui con elli, +e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, +lo qual giù luce in dodici libelli; + +Natàn profeta e ’l metropolitano +Crisostomo e Anselmo e quel Donato +ch’a la prim’ arte degnò porre mano. + +Rabano è qui, e lucemi dallato +il calavrese abate Giovacchino +di spirito profetico dotato. + +Ad inveggiar cotanto paladino +mi mosse l’infiammata cortesia +di fra Tommaso e ’l discreto latino; + +e mosse meco questa compagnia». + + + + +Paradiso +Canto XIII + + +Imagini, chi bene intender cupe +quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, +mentre ch’io dico, come ferma rupe—, + +quindici stelle che ’n diverse plage +lo ciel avvivan di tanto sereno +che soperchia de l’aere ogne compage; + +imagini quel carro a cu’ il seno +basta del nostro cielo e notte e giorno, +sì ch’al volger del temo non vien meno; + +imagini la bocca di quel corno +che si comincia in punta de lo stelo +a cui la prima rota va dintorno, + +aver fatto di sé due segni in cielo, +qual fece la figliuola di Minoi +allora che sentì di morte il gelo; + +e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, +e amendue girarsi per maniera +che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; + +e avrà quasi l’ombra de la vera +costellazione e de la doppia danza +che circulava il punto dov’ io era: + +poi ch’è tanto di là da nostra usanza, +quanto di là dal mover de la Chiana +si move il ciel che tutti li altri avanza. + +Lì si cantò non Bacco, non Peana, +ma tre persone in divina natura, +e in una persona essa e l’umana. + +Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; +e attesersi a noi quei santi lumi, +felicitando sé di cura in cura. + +Ruppe il silenzio ne’ concordi numi +poscia la luce in che mirabil vita +del poverel di Dio narrata fumi, + +e disse: «Quando l’una paglia è trita, +quando la sua semenza è già riposta, +a batter l’altra dolce amor m’invita. + +Tu credi che nel petto onde la costa +si trasse per formar la bella guancia +il cui palato a tutto ’l mondo costa, + +e in quel che, forato da la lancia, +e prima e poscia tanto sodisfece, +che d’ogne colpa vince la bilancia, + +quantunque a la natura umana lece +aver di lume, tutto fosse infuso +da quel valor che l’uno e l’altro fece; + +e però miri a ciò ch’io dissi suso, +quando narrai che non ebbe ’l secondo +lo ben che ne la quinta luce è chiuso. + +Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, +e vedräi il tuo credere e ’l mio dire +nel vero farsi come centro in tondo. + +Ciò che non more e ciò che può morire +non è se non splendor di quella idea +che partorisce, amando, il nostro Sire; + +ché quella viva luce che sì mea +dal suo lucente, che non si disuna +da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, + +per sua bontate il suo raggiare aduna, +quasi specchiato, in nove sussistenze, +etternalmente rimanendosi una. + +Quindi discende a l’ultime potenze +giù d’atto in atto, tanto divenendo, +che più non fa che brevi contingenze; + +e queste contingenze essere intendo +le cose generate, che produce +con seme e sanza seme il ciel movendo. + +La cera di costoro e chi la duce +non sta d’un modo; e però sotto ’l segno +idëale poi più e men traluce. + +Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno, +secondo specie, meglio e peggio frutta; +e voi nascete con diverso ingegno. + +Se fosse a punto la cera dedutta +e fosse il cielo in sua virtù supprema, +la luce del suggel parrebbe tutta; + +ma la natura la dà sempre scema, +similemente operando a l’artista +ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. + +Però se ’l caldo amor la chiara vista +de la prima virtù dispone e segna, +tutta la perfezion quivi s’acquista. + +Così fu fatta già la terra degna +di tutta l’animal perfezïone; +così fu fatta la Vergine pregna; + +sì ch’io commendo tua oppinïone, +che l’umana natura mai non fue +né fia qual fu in quelle due persone. + +Or s’i’ non procedesse avanti piùe, +‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ +comincerebber le parole tue. + +Ma perché paia ben ciò che non pare, +pensa chi era, e la cagion che ’l mosse, +quando fu detto “Chiedi”, a dimandare. + +Non ho parlato sì, che tu non posse +ben veder ch’el fu re, che chiese senno +acciò che re sufficïente fosse; + +non per sapere il numero in che enno +li motor di qua sù, o se necesse +con contingente mai necesse fenno; + +non si est dare primum motum esse, +o se del mezzo cerchio far si puote +trïangol sì ch’un retto non avesse. + +Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, +regal prudenza è quel vedere impari +in che lo stral di mia intenzion percuote; + +e se al “surse” drizzi li occhi chiari, +vedrai aver solamente respetto +ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. + +Con questa distinzion prendi ’l mio detto; +e così puote star con quel che credi +del primo padre e del nostro Diletto. + +E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, +per farti mover lento com’ uom lasso +e al sì e al no che tu non vedi: + +ché quelli è tra li stolti bene a basso, +che sanza distinzione afferma e nega +ne l’un così come ne l’altro passo; + +perch’ elli ’ncontra che più volte piega +l’oppinïon corrente in falsa parte, +e poi l’affetto l’intelletto lega. + +Vie più che ’ndarno da riva si parte, +perché non torna tal qual e’ si move, +chi pesca per lo vero e non ha l’arte. + +E di ciò sono al mondo aperte prove +Parmenide, Melisso e Brisso e molti, +li quali andaro e non sapëan dove; + +sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti +che furon come spade a le Scritture +in render torti li diritti volti. + +Non sien le genti, ancor, troppo sicure +a giudicar, sì come quei che stima +le biade in campo pria che sien mature; + +ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima +lo prun mostrarsi rigido e feroce, +poscia portar la rosa in su la cima; + +e legno vidi già dritto e veloce +correr lo mar per tutto suo cammino, +perire al fine a l’intrar de la foce. + +Non creda donna Berta e ser Martino, +per vedere un furare, altro offerere, +vederli dentro al consiglio divino; + +ché quel può surgere, e quel può cadere». + + + + +Paradiso +Canto XIV + + +Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro +movesi l’acqua in un ritondo vaso, +secondo ch’è percosso fuori o dentro: + +ne la mia mente fé sùbito caso +questo ch’io dico, sì come si tacque +la glorïosa vita di Tommaso, + +per la similitudine che nacque +del suo parlare e di quel di Beatrice, +a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: + +«A costui fa mestieri, e nol vi dice +né con la voce né pensando ancora, +d’un altro vero andare a la radice. + +Diteli se la luce onde s’infiora +vostra sustanza, rimarrà con voi +etternalmente sì com’ ell’ è ora; + +e se rimane, dite come, poi +che sarete visibili rifatti, +esser porà ch’al veder non vi nòi». + +Come, da più letizia pinti e tratti, +a la fïata quei che vanno a rota +levan la voce e rallegrano li atti, + +così, a l’orazion pronta e divota, +li santi cerchi mostrar nova gioia +nel torneare e ne la mira nota. + +Qual si lamenta perché qui si moia +per viver colà sù, non vide quive +lo refrigerio de l’etterna ploia. + +Quell’ uno e due e tre che sempre vive +e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, +non circunscritto, e tutto circunscrive, + +tre volte era cantato da ciascuno +di quelli spirti con tal melodia, +ch’ad ogne merto saria giusto muno. + +E io udi’ ne la luce più dia +del minor cerchio una voce modesta, +forse qual fu da l’angelo a Maria, + +risponder: «Quanto fia lunga la festa +di paradiso, tanto il nostro amore +si raggerà dintorno cotal vesta. + +La sua chiarezza séguita l’ardore; +l’ardor la visïone, e quella è tanta, +quant’ ha di grazia sovra suo valore. + +Come la carne glorïosa e santa +fia rivestita, la nostra persona +più grata fia per esser tutta quanta; + +per che s’accrescerà ciò che ne dona +di gratüito lume il sommo bene, +lume ch’a lui veder ne condiziona; + +onde la visïon crescer convene, +crescer l’ardor che di quella s’accende, +crescer lo raggio che da esso vene. + +Ma sì come carbon che fiamma rende, +e per vivo candor quella soverchia, +sì che la sua parvenza si difende; + +così questo folgór che già ne cerchia +fia vinto in apparenza da la carne +che tutto dì la terra ricoperchia; + +né potrà tanta luce affaticarne: +ché li organi del corpo saran forti +a tutto ciò che potrà dilettarne». + +Tanto mi parver sùbiti e accorti +e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», +che ben mostrar disio d’i corpi morti: + +forse non pur per lor, ma per le mamme, +per li padri e per li altri che fuor cari +anzi che fosser sempiterne fiamme. + +Ed ecco intorno, di chiarezza pari, +nascere un lustro sopra quel che v’era, +per guisa d’orizzonte che rischiari. + +E sì come al salir di prima sera +comincian per lo ciel nove parvenze, +sì che la vista pare e non par vera, + +parvemi lì novelle sussistenze +cominciare a vedere, e fare un giro +di fuor da l’altre due circunferenze. + +Oh vero sfavillar del Santo Spiro! +come si fece sùbito e candente +a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! + +Ma Bëatrice sì bella e ridente +mi si mostrò, che tra quelle vedute +si vuol lasciar che non seguir la mente. + +Quindi ripreser li occhi miei virtute +a rilevarsi; e vidimi translato +sol con mia donna in più alta salute. + +Ben m’accors’ io ch’io era più levato, +per l’affocato riso de la stella, +che mi parea più roggio che l’usato. + +Con tutto ’l core e con quella favella +ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, +qual conveniesi a la grazia novella. + +E non er’ anco del mio petto essausto +l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi +esso litare stato accetto e fausto; + +ché con tanto lucore e tanto robbi +m’apparvero splendor dentro a due raggi, +ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!». + +Come distinta da minori e maggi +lumi biancheggia tra ’ poli del mondo +Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; + +sì costellati facean nel profondo +Marte quei raggi il venerabil segno +che fan giunture di quadranti in tondo. + +Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; +ché quella croce lampeggiava Cristo, +sì ch’io non so trovare essempro degno; + +ma chi prende sua croce e segue Cristo, +ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, +vedendo in quell’ albor balenar Cristo. + +Di corno in corno e tra la cima e ’l basso +si movien lumi, scintillando forte +nel congiugnersi insieme e nel trapasso: + +così si veggion qui diritte e torte, +veloci e tarde, rinovando vista, +le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, + +moversi per lo raggio onde si lista +talvolta l’ombra che, per sua difesa, +la gente con ingegno e arte acquista. + +E come giga e arpa, in tempra tesa +di molte corde, fa dolce tintinno +a tal da cui la nota non è intesa, + +così da’ lumi che lì m’apparinno +s’accogliea per la croce una melode +che mi rapiva, sanza intender l’inno. + +Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode, +però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» +come a colui che non intende e ode. + +Ïo m’innamorava tanto quinci, +che ’nfino a lì non fu alcuna cosa +che mi legasse con sì dolci vinci. + +Forse la mia parola par troppo osa, +posponendo il piacer de li occhi belli, +ne’ quai mirando mio disio ha posa; + +ma chi s’avvede che i vivi suggelli +d’ogne bellezza più fanno più suso, +e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, + +escusar puommi di quel ch’io m’accuso +per escusarmi, e vedermi dir vero: +ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, + +perché si fa, montando, più sincero. + + + + +Paradiso +Canto XV + + +Benigna volontade in che si liqua +sempre l’amor che drittamente spira, +come cupidità fa ne la iniqua, + +silenzio puose a quella dolce lira, +e fece quïetar le sante corde +che la destra del cielo allenta e tira. + +Come saranno a’ giusti preghi sorde +quelle sustanze che, per darmi voglia +ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? + +Bene è che sanza termine si doglia +chi, per amor di cosa che non duri +etternalmente, quello amor si spoglia. + +Quale per li seren tranquilli e puri +discorre ad ora ad or sùbito foco, +movendo li occhi che stavan sicuri, + +e pare stella che tramuti loco, +se non che da la parte ond’ e’ s’accende +nulla sen perde, ed esso dura poco: + +tale dal corno che ’n destro si stende +a piè di quella croce corse un astro +de la costellazion che lì resplende; + +né si partì la gemma dal suo nastro, +ma per la lista radïal trascorse, +che parve foco dietro ad alabastro. + +Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse, +se fede merta nostra maggior musa, +quando in Eliso del figlio s’accorse. + +«O sanguis meus, o superinfusa +gratïa Deï, sicut tibi cui +bis unquam celi ianüa reclusa?». + +Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui; +poscia rivolsi a la mia donna il viso, +e quinci e quindi stupefatto fui; + +ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso +tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo +de la mia gloria e del mio paradiso. + +Indi, a udire e a veder giocondo, +giunse lo spirto al suo principio cose, +ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; + +né per elezïon mi si nascose, +ma per necessità, ché ’l suo concetto +al segno d’i mortal si soprapuose. + +E quando l’arco de l’ardente affetto +fu sì sfogato, che ’l parlar discese +inver’ lo segno del nostro intelletto, + +la prima cosa che per me s’intese, +«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, +che nel mio seme se’ tanto cortese!». + +E seguì: «Grato e lontano digiuno, +tratto leggendo del magno volume +du’ non si muta mai bianco né bruno, + +solvuto hai, figlio, dentro a questo lume +in ch’io ti parlo, mercè di colei +ch’a l’alto volo ti vestì le piume. + +Tu credi che a me tuo pensier mei +da quel ch’è primo, così come raia +da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; + +e però ch’io mi sia e perch’ io paia +più gaudïoso a te, non mi domandi, +che alcun altro in questa turba gaia. + +Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi +di questa vita miran ne lo speglio +in che, prima che pensi, il pensier pandi; + +ma perché ’l sacro amore in che io veglio +con perpetüa vista e che m’asseta +di dolce disïar, s’adempia meglio, + +la voce tua sicura, balda e lieta +suoni la volontà, suoni ’l disio, +a che la mia risposta è già decreta!». + +Io mi volsi a Beatrice, e quella udio +pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno +che fece crescer l’ali al voler mio. + +Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno, +come la prima equalità v’apparse, +d’un peso per ciascun di voi si fenno, + +però che ’l sol che v’allumò e arse, +col caldo e con la luce è sì iguali, +che tutte simiglianze sono scarse. + +Ma voglia e argomento ne’ mortali, +per la cagion ch’a voi è manifesta, +diversamente son pennuti in ali; + +ond’ io, che son mortal, mi sento in questa +disagguaglianza, e però non ringrazio +se non col core a la paterna festa. + +Ben supplico io a te, vivo topazio +che questa gioia prezïosa ingemmi, +perché mi facci del tuo nome sazio». + +«O fronda mia in che io compiacemmi +pur aspettando, io fui la tua radice»: +cotal principio, rispondendo, femmi. + +Poscia mi disse: «Quel da cui si dice +tua cognazione e che cent’ anni e piùe +girato ha ’l monte in la prima cornice, + +mio figlio fu e tuo bisavol fue: +ben si convien che la lunga fatica +tu li raccorci con l’opere tue. + +Fiorenza dentro da la cerchia antica, +ond’ ella toglie ancora e terza e nona, +si stava in pace, sobria e pudica. + +Non avea catenella, non corona, +non gonne contigiate, non cintura +che fosse a veder più che la persona. + +Non faceva, nascendo, ancor paura +la figlia al padre, che ’l tempo e la dote +non fuggien quinci e quindi la misura. + +Non avea case di famiglia vòte; +non v’era giunto ancor Sardanapalo +a mostrar ciò che ’n camera si puote. + +Non era vinto ancora Montemalo +dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto +nel montar sù, così sarà nel calo. + +Bellincion Berti vid’ io andar cinto +di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio +la donna sua sanza ’l viso dipinto; + +e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio +esser contenti a la pelle scoperta, +e le sue donne al fuso e al pennecchio. + +Oh fortunate! ciascuna era certa +de la sua sepultura, e ancor nulla +era per Francia nel letto diserta. + +L’una vegghiava a studio de la culla, +e, consolando, usava l’idïoma +che prima i padri e le madri trastulla; + +l’altra, traendo a la rocca la chioma, +favoleggiava con la sua famiglia +d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. + +Saria tenuta allor tal maraviglia +una Cianghella, un Lapo Salterello, +qual or saria Cincinnato e Corniglia. + +A così riposato, a così bello +viver di cittadini, a così fida +cittadinanza, a così dolce ostello, + +Maria mi diè, chiamata in alte grida; +e ne l’antico vostro Batisteo +insieme fui cristiano e Cacciaguida. + +Moronto fu mio frate ed Eliseo; +mia donna venne a me di val di Pado, +e quindi il sopranome tuo si feo. + +Poi seguitai lo ’mperador Currado; +ed el mi cinse de la sua milizia, +tanto per bene ovrar li venni in grado. + +Dietro li andai incontro a la nequizia +di quella legge il cui popolo usurpa, +per colpa d’i pastor, vostra giustizia. + +Quivi fu’ io da quella gente turpa +disviluppato dal mondo fallace, +lo cui amor molt’ anime deturpa; + +e venni dal martiro a questa pace». + + + + +Paradiso +Canto XVI + + +O poca nostra nobiltà di sangue, +se glorïar di te la gente fai +qua giù dove l’affetto nostro langue, + +mirabil cosa non mi sarà mai: +ché là dove appetito non si torce, +dico nel cielo, io me ne gloriai. + +Ben se’ tu manto che tosto raccorce: +sì che, se non s’appon di dì in die, +lo tempo va dintorno con le force. + +Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, +in che la sua famiglia men persevra, +ricominciaron le parole mie; + +onde Beatrice, ch’era un poco scevra, +ridendo, parve quella che tossio +al primo fallo scritto di Ginevra. + +Io cominciai: «Voi siete il padre mio; +voi mi date a parlar tutta baldezza; +voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. + +Per tanti rivi s’empie d’allegrezza +la mente mia, che di sé fa letizia +perché può sostener che non si spezza. + +Ditemi dunque, cara mia primizia, +quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni +che si segnaro in vostra püerizia; + +ditemi de l’ovil di San Giovanni +quanto era allora, e chi eran le genti +tra esso degne di più alti scanni». + +Come s’avviva a lo spirar d’i venti +carbone in fiamma, così vid’ io quella +luce risplendere a’ miei blandimenti; + +e come a li occhi miei si fé più bella, +così con voce più dolce e soave, +ma non con questa moderna favella, + +dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’ +al parto in che mia madre, ch’è or santa, +s’allevïò di me ond’ era grave, + +al suo Leon cinquecento cinquanta +e trenta fiate venne questo foco +a rinfiammarsi sotto la sua pianta. + +Li antichi miei e io nacqui nel loco +dove si truova pria l’ultimo sesto +da quei che corre il vostro annüal gioco. + +Basti d’i miei maggiori udirne questo: +chi ei si fosser e onde venner quivi, +più è tacer che ragionare onesto. + +Tutti color ch’a quel tempo eran ivi +da poter arme tra Marte e ’l Batista, +eran il quinto di quei ch’or son vivi. + +Ma la cittadinanza, ch’è or mista +di Campi, di Certaldo e di Fegghine, +pura vediesi ne l’ultimo artista. + +Oh quanto fora meglio esser vicine +quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo +e a Trespiano aver vostro confine, + +che averle dentro e sostener lo puzzo +del villan d’Aguglion, di quel da Signa, +che già per barattare ha l’occhio aguzzo! + +Se la gente ch’al mondo più traligna +non fosse stata a Cesare noverca, +ma come madre a suo figlio benigna, + +tal fatto è fiorentino e cambia e merca, +che si sarebbe vòlto a Simifonti, +là dove andava l’avolo a la cerca; + +sariesi Montemurlo ancor de’ Conti; +sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone, +e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. + +Sempre la confusion de le persone +principio fu del mal de la cittade, +come del vostro il cibo che s’appone; + +e cieco toro più avaccio cade +che cieco agnello; e molte volte taglia +più e meglio una che le cinque spade. + +Se tu riguardi Luni e Orbisaglia +come sono ite, e come se ne vanno +di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, + +udir come le schiatte si disfanno +non ti parrà nova cosa né forte, +poscia che le cittadi termine hanno. + +Le vostre cose tutte hanno lor morte, +sì come voi; ma celasi in alcuna +che dura molto, e le vite son corte. + +E come ’l volger del ciel de la luna +cuopre e discuopre i liti sanza posa, +così fa di Fiorenza la Fortuna: + +per che non dee parer mirabil cosa +ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini +onde è la fama nel tempo nascosa. + +Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, +Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, +già nel calare, illustri cittadini; + +e vidi così grandi come antichi, +con quel de la Sannella, quel de l’Arca, +e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. + +Sovra la porta ch’al presente è carca +di nova fellonia di tanto peso +che tosto fia iattura de la barca, + +erano i Ravignani, ond’ è disceso +il conte Guido e qualunque del nome +de l’alto Bellincione ha poscia preso. + +Quel de la Pressa sapeva già come +regger si vuole, e avea Galigaio +dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. + +Grand’ era già la colonna del Vaio, +Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci +e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. + +Lo ceppo di che nacquero i Calfucci +era già grande, e già eran tratti +a le curule Sizii e Arrigucci. + +Oh quali io vidi quei che son disfatti +per lor superbia! e le palle de l’oro +fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti. + +Così facieno i padri di coloro +che, sempre che la vostra chiesa vaca, +si fanno grassi stando a consistoro. + +L’oltracotata schiatta che s’indraca +dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente +o ver la borsa, com’ agnel si placa, + +già venìa sù, ma di picciola gente; +sì che non piacque ad Ubertin Donato +che poï il suocero il fé lor parente. + +Già era ’l Caponsacco nel mercato +disceso giù da Fiesole, e già era +buon cittadino Giuda e Infangato. + +Io dirò cosa incredibile e vera: +nel picciol cerchio s’entrava per porta +che si nomava da quei de la Pera. + +Ciascun che de la bella insegna porta +del gran barone il cui nome e ’l cui pregio +la festa di Tommaso riconforta, + +da esso ebbe milizia e privilegio; +avvegna che con popol si rauni +oggi colui che la fascia col fregio. + +Già eran Gualterotti e Importuni; +e ancor saria Borgo più quïeto, +se di novi vicin fosser digiuni. + +La casa di che nacque il vostro fleto, +per lo giusto disdegno che v’ha morti +e puose fine al vostro viver lieto, + +era onorata, essa e suoi consorti: +o Buondelmonte, quanto mal fuggisti +le nozze süe per li altrui conforti! + +Molti sarebber lieti, che son tristi, +se Dio t’avesse conceduto ad Ema +la prima volta ch’a città venisti. + +Ma conveniesi a quella pietra scema +che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse +vittima ne la sua pace postrema. + +Con queste genti, e con altre con esse, +vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo, +che non avea cagione onde piangesse. + +Con queste genti vid’io glorïoso +e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio +non era ad asta mai posto a ritroso, + +né per divisïon fatto vermiglio». + + + + +Paradiso +Canto XVII + + +Qual venne a Climenè, per accertarsi +di ciò ch’avëa incontro a sé udito, +quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; + +tal era io, e tal era sentito +e da Beatrice e da la santa lampa +che pria per me avea mutato sito. + +Per che mia donna «Manda fuor la vampa +del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca +segnata bene de la interna stampa: + +non perché nostra conoscenza cresca +per tuo parlare, ma perché t’ausi +a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». + +«O cara piota mia che sì t’insusi, +che, come veggion le terrene menti +non capere in trïangol due ottusi, + +così vedi le cose contingenti +anzi che sieno in sé, mirando il punto +a cui tutti li tempi son presenti; + +mentre ch’io era a Virgilio congiunto +su per lo monte che l’anime cura +e discendendo nel mondo defunto, + +dette mi fuor di mia vita futura +parole gravi, avvegna ch’io mi senta +ben tetragono ai colpi di ventura; + +per che la voglia mia saria contenta +d’intender qual fortuna mi s’appressa: +ché saetta previsa vien più lenta». + +Così diss’ io a quella luce stessa +che pria m’avea parlato; e come volle +Beatrice, fu la mia voglia confessa. + +Né per ambage, in che la gente folle +già s’inviscava pria che fosse anciso +l’Agnel di Dio che le peccata tolle, + +ma per chiare parole e con preciso +latin rispuose quello amor paterno, +chiuso e parvente del suo proprio riso: + +«La contingenza, che fuor del quaderno +de la vostra matera non si stende, +tutta è dipinta nel cospetto etterno; + +necessità però quindi non prende +se non come dal viso in che si specchia +nave che per torrente giù discende. + +Da indi, sì come viene ad orecchia +dolce armonia da organo, mi viene +a vista il tempo che ti s’apparecchia. + +Qual si partio Ipolito d’Atene +per la spietata e perfida noverca, +tal di Fiorenza partir ti convene. + +Questo si vuole e questo già si cerca, +e tosto verrà fatto a chi ciò pensa +là dove Cristo tutto dì si merca. + +La colpa seguirà la parte offensa +in grido, come suol; ma la vendetta +fia testimonio al ver che la dispensa. + +Tu lascerai ogne cosa diletta +più caramente; e questo è quello strale +che l’arco de lo essilio pria saetta. + +Tu proverai sì come sa di sale +lo pane altrui, e come è duro calle +lo scendere e ’l salir per l’altrui scale. + +E quel che più ti graverà le spalle, +sarà la compagnia malvagia e scempia +con la qual tu cadrai in questa valle; + +che tutta ingrata, tutta matta ed empia +si farà contr’ a te; ma, poco appresso, +ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. + +Di sua bestialitate il suo processo +farà la prova; sì ch’a te fia bello +averti fatta parte per te stesso. + +Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello +sarà la cortesia del gran Lombardo +che ’n su la scala porta il santo uccello; + +ch’in te avrà sì benigno riguardo, +che del fare e del chieder, tra voi due, +fia primo quel che tra li altri è più tardo. + +Con lui vedrai colui che ’mpresso fue, +nascendo, sì da questa stella forte, +che notabili fier l’opere sue. + +Non se ne son le genti ancora accorte +per la novella età, ché pur nove anni +son queste rote intorno di lui torte; + +ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, +parran faville de la sua virtute +in non curar d’argento né d’affanni. + +Le sue magnificenze conosciute +saranno ancora, sì che ’ suoi nemici +non ne potran tener le lingue mute. + +A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; +per lui fia trasmutata molta gente, +cambiando condizion ricchi e mendici; + +e portera’ne scritto ne la mente +di lui, e nol dirai»; e disse cose +incredibili a quei che fier presente. + +Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose +di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie +che dietro a pochi giri son nascose. + +Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, +poscia che s’infutura la tua vita +vie più là che ’l punir di lor perfidie». + +Poi che, tacendo, si mostrò spedita +l’anima santa di metter la trama +in quella tela ch’io le porsi ordita, + +io cominciai, come colui che brama, +dubitando, consiglio da persona +che vede e vuol dirittamente e ama: + +«Ben veggio, padre mio, sì come sprona +lo tempo verso me, per colpo darmi +tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; + +per che di provedenza è buon ch’io m’armi, +sì che, se loco m’è tolto più caro, +io non perdessi li altri per miei carmi. + +Giù per lo mondo sanza fine amaro, +e per lo monte del cui bel cacume +li occhi de la mia donna mi levaro, + +e poscia per lo ciel, di lume in lume, +ho io appreso quel che s’io ridico, +a molti fia sapor di forte agrume; + +e s’io al vero son timido amico, +temo di perder viver tra coloro +che questo tempo chiameranno antico». + +La luce in che rideva il mio tesoro +ch’io trovai lì, si fé prima corusca, +quale a raggio di sole specchio d’oro; + +indi rispuose: «Coscïenza fusca +o de la propria o de l’altrui vergogna +pur sentirà la tua parola brusca. + +Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, +tutta tua visïon fa manifesta; +e lascia pur grattar dov’ è la rogna. + +Ché se la voce tua sarà molesta +nel primo gusto, vital nodrimento +lascerà poi, quando sarà digesta. + +Questo tuo grido farà come vento, +che le più alte cime più percuote; +e ciò non fa d’onor poco argomento. + +Però ti son mostrate in queste rote, +nel monte e ne la valle dolorosa +pur l’anime che son di fama note, + +che l’animo di quel ch’ode, non posa +né ferma fede per essempro ch’aia +la sua radice incognita e ascosa, + +né per altro argomento che non paia». + + + + +Paradiso +Canto XVIII + + +Già si godeva solo del suo verbo +quello specchio beato, e io gustava +lo mio, temprando col dolce l’acerbo; + +e quella donna ch’a Dio mi menava +disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono +presso a colui ch’ogne torto disgrava». + +Io mi rivolsi a l’amoroso suono +del mio conforto; e qual io allor vidi +ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: + +non perch’ io pur del mio parlar diffidi, +ma per la mente che non può redire +sovra sé tanto, s’altri non la guidi. + +Tanto poss’ io di quel punto ridire, +che, rimirando lei, lo mio affetto +libero fu da ogne altro disire, + +fin che ’l piacere etterno, che diretto +raggiava in Bëatrice, dal bel viso +mi contentava col secondo aspetto. + +Vincendo me col lume d’un sorriso, +ella mi disse: «Volgiti e ascolta; +ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». + +Come si vede qui alcuna volta +l’affetto ne la vista, s’elli è tanto, +che da lui sia tutta l’anima tolta, + +così nel fiammeggiar del folgór santo, +a ch’io mi volsi, conobbi la voglia +in lui di ragionarmi ancora alquanto. + +El cominciò: «In questa quinta soglia +de l’albero che vive de la cima +e frutta sempre e mai non perde foglia, + +spiriti son beati, che giù, prima +che venissero al ciel, fuor di gran voce, +sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. + +Però mira ne’ corni de la croce: +quello ch’io nomerò, lì farà l’atto +che fa in nube il suo foco veloce». + +Io vidi per la croce un lume tratto +dal nomar Iosuè, com’ el si feo; +né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. + +E al nome de l’alto Macabeo +vidi moversi un altro roteando, +e letizia era ferza del paleo. + +Così per Carlo Magno e per Orlando +due ne seguì lo mio attento sguardo, +com’ occhio segue suo falcon volando. + +Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo +e ’l duca Gottifredi la mia vista +per quella croce, e Ruberto Guiscardo. + +Indi, tra l’altre luci mota e mista, +mostrommi l’alma che m’avea parlato +qual era tra i cantor del cielo artista. + +Io mi rivolsi dal mio destro lato +per vedere in Beatrice il mio dovere, +o per parlare o per atto, segnato; + +e vidi le sue luci tanto mere, +tanto gioconde, che la sua sembianza +vinceva li altri e l’ultimo solere. + +E come, per sentir più dilettanza +bene operando, l’uom di giorno in giorno +s’accorge che la sua virtute avanza, + +sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno +col cielo insieme avea cresciuto l’arco, +veggendo quel miracol più addorno. + +E qual è ’l trasmutare in picciol varco +di tempo in bianca donna, quando ’l volto +suo si discarchi di vergogna il carco, + +tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, +per lo candor de la temprata stella +sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. + +Io vidi in quella giovïal facella +lo sfavillar de l’amor che lì era +segnare a li occhi miei nostra favella. + +E come augelli surti di rivera, +quasi congratulando a lor pasture, +fanno di sé or tonda or altra schiera, + +sì dentro ai lumi sante creature +volitando cantavano, e faciensi +or D, or I, or L in sue figure. + +Prima, cantando, a sua nota moviensi; +poi, diventando l’un di questi segni, +un poco s’arrestavano e taciensi. + +O diva Pegasëa che li ’ngegni +fai glorïosi e rendili longevi, +ed essi teco le cittadi e ’ regni, + +illustrami di te, sì ch’io rilevi +le lor figure com’ io l’ho concette: +paia tua possa in questi versi brevi! + +Mostrarsi dunque in cinque volte sette +vocali e consonanti; e io notai +le parti sì, come mi parver dette. + +‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai +fur verbo e nome di tutto ’l dipinto; +‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. + +Poscia ne l’emme del vocabol quinto +rimasero ordinate; sì che Giove +pareva argento lì d’oro distinto. + +E vidi scendere altre luci dove +era il colmo de l’emme, e lì quetarsi +cantando, credo, il ben ch’a sé le move. + +Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi +surgono innumerabili faville, +onde li stolti sogliono agurarsi, + +resurger parver quindi più di mille +luci e salir, qual assai e qual poco, +sì come ’l sol che l’accende sortille; + +e quïetata ciascuna in suo loco, +la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi +rappresentare a quel distinto foco. + +Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; +ma esso guida, e da lui si rammenta +quella virtù ch’è forma per li nidi. + +L’altra bëatitudo, che contenta +pareva prima d’ingigliarsi a l’emme, +con poco moto seguitò la ’mprenta. + +O dolce stella, quali e quante gemme +mi dimostraro che nostra giustizia +effetto sia del ciel che tu ingemme! + +Per ch’io prego la mente in che s’inizia +tuo moto e tua virtute, che rimiri +ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; + +sì ch’un’altra fïata omai s’adiri +del comperare e vender dentro al templo +che si murò di segni e di martìri. + +O milizia del ciel cu’ io contemplo, +adora per color che sono in terra +tutti svïati dietro al malo essemplo! + +Già si solea con le spade far guerra; +ma or si fa togliendo or qui or quivi +lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra. + +Ma tu che sol per cancellare scrivi, +pensa che Pietro e Paulo, che moriro +per la vigna che guasti, ancor son vivi. + +Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro +sì a colui che volle viver solo +e che per salti fu tratto al martiro, + +ch’io non conosco il pescator né Polo». + + + + +Paradiso +Canto XIX + + +Parea dinanzi a me con l’ali aperte +la bella image che nel dolce frui +liete facevan l’anime conserte; + +parea ciascuna rubinetto in cui +raggio di sole ardesse sì acceso, +che ne’ miei occhi rifrangesse lui. + +E quel che mi convien ritrar testeso, +non portò voce mai, né scrisse incostro, +né fu per fantasia già mai compreso; + +ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, +e sonar ne la voce e «io» e «mio», +quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. + +E cominciò: «Per esser giusto e pio +son io qui essaltato a quella gloria +che non si lascia vincere a disio; + +e in terra lasciai la mia memoria +sì fatta, che le genti lì malvage +commendan lei, ma non seguon la storia». + +Così un sol calor di molte brage +si fa sentir, come di molti amori +usciva solo un suon di quella image. + +Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori +de l’etterna letizia, che pur uno +parer mi fate tutti vostri odori, + +solvetemi, spirando, il gran digiuno +che lungamente m’ha tenuto in fame, +non trovandoli in terra cibo alcuno. + +Ben so io che, se ’n cielo altro reame +la divina giustizia fa suo specchio, +che ’l vostro non l’apprende con velame. + +Sapete come attento io m’apparecchio +ad ascoltar; sapete qual è quello +dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». + +Quasi falcone ch’esce del cappello, +move la testa e con l’ali si plaude, +voglia mostrando e faccendosi bello, + +vid’ io farsi quel segno, che di laude +de la divina grazia era contesto, +con canti quai si sa chi là sù gaude. + +Poi cominciò: «Colui che volse il sesto +a lo stremo del mondo, e dentro ad esso +distinse tanto occulto e manifesto, + +non poté suo valor sì fare impresso +in tutto l’universo, che ’l suo verbo +non rimanesse in infinito eccesso. + +E ciò fa certo che ’l primo superbo, +che fu la somma d’ogne creatura, +per non aspettar lume, cadde acerbo; + +e quinci appar ch’ogne minor natura +è corto recettacolo a quel bene +che non ha fine e sé con sé misura. + +Dunque vostra veduta, che convene +esser alcun de’ raggi de la mente +di che tutte le cose son ripiene, + +non pò da sua natura esser possente +tanto, che suo principio discerna +molto di là da quel che l’è parvente. + +Però ne la giustizia sempiterna +la vista che riceve il vostro mondo, +com’ occhio per lo mare, entro s’interna; + +che, ben che da la proda veggia il fondo, +in pelago nol vede; e nondimeno +èli, ma cela lui l’esser profondo. + +Lume non è, se non vien dal sereno +che non si turba mai; anzi è tenèbra +od ombra de la carne o suo veleno. + +Assai t’è mo aperta la latebra +che t’ascondeva la giustizia viva, +di che facei question cotanto crebra; + +ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva +de l’Indo, e quivi non è chi ragioni +di Cristo né chi legga né chi scriva; + +e tutti suoi voleri e atti buoni +sono, quanto ragione umana vede, +sanza peccato in vita o in sermoni. + +Muore non battezzato e sanza fede: +ov’ è questa giustizia che ’l condanna? +ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”. + +Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, +per giudicar di lungi mille miglia +con la veduta corta d’una spanna? + +Certo a colui che meco s’assottiglia, +se la Scrittura sovra voi non fosse, +da dubitar sarebbe a maraviglia. + +Oh terreni animali! oh menti grosse! +La prima volontà, ch’è da sé buona, +da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. + +Cotanto è giusto quanto a lei consuona: +nullo creato bene a sé la tira, +ma essa, radïando, lui cagiona». + +Quale sovresso il nido si rigira +poi c’ha pasciuti la cicogna i figli, +e come quel ch’è pasto la rimira; + +cotal si fece, e sì leväi i cigli, +la benedetta imagine, che l’ali +movea sospinte da tanti consigli. + +Roteando cantava, e dicea: «Quali +son le mie note a te, che non le ’ntendi, +tal è il giudicio etterno a voi mortali». + +Poi si quetaro quei lucenti incendi +de lo Spirito Santo ancor nel segno +che fé i Romani al mondo reverendi, + +esso ricominciò: «A questo regno +non salì mai chi non credette ’n Cristo, +né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. + +Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”, +che saranno in giudicio assai men prope +a lui, che tal che non conosce Cristo; + +e tai Cristian dannerà l’Etïòpe, +quando si partiranno i due collegi, +l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. + +Che poran dir li Perse a’ vostri regi, +come vedranno quel volume aperto +nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? + +Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto, +quella che tosto moverà la penna, +per che ’l regno di Praga fia diserto. + +Lì si vedrà il duol che sovra Senna +induce, falseggiando la moneta, +quel che morrà di colpo di cotenna. + +Lì si vedrà la superbia ch’asseta, +che fa lo Scotto e l’Inghilese folle, +sì che non può soffrir dentro a sua meta. + +Vedrassi la lussuria e ’l viver molle +di quel di Spagna e di quel di Boemme, +che mai valor non conobbe né volle. + +Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme +segnata con un i la sua bontate, +quando ’l contrario segnerà un emme. + +Vedrassi l’avarizia e la viltate +di quei che guarda l’isola del foco, +ove Anchise finì la lunga etate; + +e a dare ad intender quanto è poco, +la sua scrittura fian lettere mozze, +che noteranno molto in parvo loco. + +E parranno a ciascun l’opere sozze +del barba e del fratel, che tanto egregia +nazione e due corone han fatte bozze. + +E quel di Portogallo e di Norvegia +lì si conosceranno, e quel di Rascia +che male ha visto il conio di Vinegia. + +Oh beata Ungheria, se non si lascia +più malmenare! e beata Navarra, +se s’armasse del monte che la fascia! + +E creder de’ ciascun che già, per arra +di questo, Niccosïa e Famagosta +per la lor bestia si lamenti e garra, + +che dal fianco de l’altre non si scosta». + + + + +Paradiso +Canto XX + + +Quando colui che tutto ’l mondo alluma +de l’emisperio nostro sì discende, +che ’l giorno d’ogne parte si consuma, + +lo ciel, che sol di lui prima s’accende, +subitamente si rifà parvente +per molte luci, in che una risplende; + +e questo atto del ciel mi venne a mente, +come ’l segno del mondo e de’ suoi duci +nel benedetto rostro fu tacente; + +però che tutte quelle vive luci, +vie più lucendo, cominciaron canti +da mia memoria labili e caduci. + +O dolce amor che di riso t’ammanti, +quanto parevi ardente in que’ flailli, +ch’avieno spirto sol di pensier santi! + +Poscia che i cari e lucidi lapilli +ond’ io vidi ingemmato il sesto lume +puoser silenzio a li angelici squilli, + +udir mi parve un mormorar di fiume +che scende chiaro giù di pietra in pietra, +mostrando l’ubertà del suo cacume. + +E come suono al collo de la cetra +prende sua forma, e sì com’ al pertugio +de la sampogna vento che penètra, + +così, rimosso d’aspettare indugio, +quel mormorar de l’aguglia salissi +su per lo collo, come fosse bugio. + +Fecesi voce quivi, e quindi uscissi +per lo suo becco in forma di parole, +quali aspettava il core ov’ io le scrissi. + +«La parte in me che vede e pate il sole +ne l’aguglie mortali», incominciommi, +«or fisamente riguardar si vole, + +perché d’i fuochi ond’ io figura fommi, +quelli onde l’occhio in testa mi scintilla, +e’ di tutti lor gradi son li sommi. + +Colui che luce in mezzo per pupilla, +fu il cantor de lo Spirito Santo, +che l’arca traslatò di villa in villa: + +ora conosce il merto del suo canto, +in quanto effetto fu del suo consiglio, +per lo remunerar ch’è altrettanto. + +Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, +colui che più al becco mi s’accosta, +la vedovella consolò del figlio: + +ora conosce quanto caro costa +non seguir Cristo, per l’esperïenza +di questa dolce vita e de l’opposta. + +E quel che segue in la circunferenza +di che ragiono, per l’arco superno, +morte indugiò per vera penitenza: + +ora conosce che ’l giudicio etterno +non si trasmuta, quando degno preco +fa crastino là giù de l’odïerno. + +L’altro che segue, con le leggi e meco, +sotto buona intenzion che fé mal frutto, +per cedere al pastor si fece greco: + +ora conosce come il mal dedutto +dal suo bene operar non li è nocivo, +avvegna che sia ’l mondo indi distrutto. + +E quel che vedi ne l’arco declivo, +Guiglielmo fu, cui quella terra plora +che piagne Carlo e Federigo vivo: + +ora conosce come s’innamora +lo ciel del giusto rege, e al sembiante +del suo fulgore il fa vedere ancora. + +Chi crederebbe giù nel mondo errante +che Rifëo Troiano in questo tondo +fosse la quinta de le luci sante? + +Ora conosce assai di quel che ’l mondo +veder non può de la divina grazia, +ben che sua vista non discerna il fondo». + +Quale allodetta che ’n aere si spazia +prima cantando, e poi tace contenta +de l’ultima dolcezza che la sazia, + +tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta +de l’etterno piacere, al cui disio +ciascuna cosa qual ell’ è diventa. + +E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio +lì quasi vetro a lo color ch’el veste, +tempo aspettar tacendo non patio, + +ma de la bocca, «Che cose son queste?», +mi pinse con la forza del suo peso: +per ch’io di coruscar vidi gran feste. + +Poi appresso, con l’occhio più acceso, +lo benedetto segno mi rispuose +per non tenermi in ammirar sospeso: + +«Io veggio che tu credi queste cose +perch’ io le dico, ma non vedi come; +sì che, se son credute, sono ascose. + +Fai come quei che la cosa per nome +apprende ben, ma la sua quiditate +veder non può se altri non la prome. + +Regnum celorum vïolenza pate +da caldo amore e da viva speranza, +che vince la divina volontate: + +non a guisa che l’omo a l’om sobranza, +ma vince lei perché vuole esser vinta, +e, vinta, vince con sua beninanza. + +La prima vita del ciglio e la quinta +ti fa maravigliar, perché ne vedi +la regïon de li angeli dipinta. + +D’i corpi suoi non uscir, come credi, +Gentili, ma Cristiani, in ferma fede +quel d’i passuri e quel d’i passi piedi. + +Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede +già mai a buon voler, tornò a l’ossa; +e ciò di viva spene fu mercede: + +di viva spene, che mise la possa +ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla, +sì che potesse sua voglia esser mossa. + +L’anima glorïosa onde si parla, +tornata ne la carne, in che fu poco, +credette in lui che potëa aiutarla; + +e credendo s’accese in tanto foco +di vero amor, ch’a la morte seconda +fu degna di venire a questo gioco. + +L’altra, per grazia che da sì profonda +fontana stilla, che mai creatura +non pinse l’occhio infino a la prima onda, + +tutto suo amor là giù pose a drittura: +per che, di grazia in grazia, Dio li aperse +l’occhio a la nostra redenzion futura; + +ond’ ei credette in quella, e non sofferse +da indi il puzzo più del paganesmo; +e riprendiene le genti perverse. + +Quelle tre donne li fur per battesmo +che tu vedesti da la destra rota, +dinanzi al battezzar più d’un millesmo. + +O predestinazion, quanto remota +è la radice tua da quelli aspetti +che la prima cagion non veggion tota! + +E voi, mortali, tenetevi stretti +a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, +non conosciamo ancor tutti li eletti; + +ed ènne dolce così fatto scemo, +perché il ben nostro in questo ben s’affina, +che quel che vole Iddio, e noi volemo». + +Così da quella imagine divina, +per farmi chiara la mia corta vista, +data mi fu soave medicina. + +E come a buon cantor buon citarista +fa seguitar lo guizzo de la corda, +in che più di piacer lo canto acquista, + +sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda +ch’io vidi le due luci benedette, +pur come batter d’occhi si concorda, + +con le parole mover le fiammette. + + + + +Paradiso +Canto XXI + + +Già eran li occhi miei rifissi al volto +de la mia donna, e l’animo con essi, +e da ogne altro intento s’era tolto. + +E quella non ridea; ma «S’io ridessi», +mi cominciò, «tu ti faresti quale +fu Semelè quando di cener fessi: + +ché la bellezza mia, che per le scale +de l’etterno palazzo più s’accende, +com’ hai veduto, quanto più si sale, + +se non si temperasse, tanto splende, +che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore, +sarebbe fronda che trono scoscende. + +Noi sem levati al settimo splendore, +che sotto ’l petto del Leone ardente +raggia mo misto giù del suo valore. + +Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, +e fa di quelli specchi a la figura +che ’n questo specchio ti sarà parvente». + +Qual savesse qual era la pastura +del viso mio ne l’aspetto beato +quand’ io mi trasmutai ad altra cura, + +conoscerebbe quanto m’era a grato +ubidire a la mia celeste scorta, +contrapesando l’un con l’altro lato. + +Dentro al cristallo che ’l vocabol porta, +cerchiando il mondo, del suo caro duce +sotto cui giacque ogne malizia morta, + +di color d’oro in che raggio traluce +vid’ io uno scaleo eretto in suso +tanto, che nol seguiva la mia luce. + +Vidi anche per li gradi scender giuso +tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume +che par nel ciel, quindi fosse diffuso. + +E come, per lo natural costume, +le pole insieme, al cominciar del giorno, +si movono a scaldar le fredde piume; + +poi altre vanno via sanza ritorno, +altre rivolgon sé onde son mosse, +e altre roteando fan soggiorno; + +tal modo parve me che quivi fosse +in quello sfavillar che ’nsieme venne, +sì come in certo grado si percosse. + +E quel che presso più ci si ritenne, +si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando: +‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne. + +Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando +del dire e del tacer, si sta; ond’ io, +contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’. + +Per ch’ella, che vedëa il tacer mio +nel veder di colui che tutto vede, +mi disse: «Solvi il tuo caldo disio». + +E io incominciai: «La mia mercede +non mi fa degno de la tua risposta; +ma per colei che ’l chieder mi concede, + +vita beata che ti stai nascosta +dentro a la tua letizia, fammi nota +la cagion che sì presso mi t’ha posta; + +e dì perché si tace in questa rota +la dolce sinfonia di paradiso, +che giù per l’altre suona sì divota». + +«Tu hai l’udir mortal sì come il viso», +rispuose a me; «onde qui non si canta +per quel che Bëatrice non ha riso. + +Giù per li gradi de la scala santa +discesi tanto sol per farti festa +col dire e con la luce che mi ammanta; + +né più amor mi fece esser più presta, +ché più e tanto amor quinci sù ferve, +sì come il fiammeggiar ti manifesta. + +Ma l’alta carità, che ci fa serve +pronte al consiglio che ’l mondo governa, +sorteggia qui sì come tu osserve». + +«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna, +come libero amore in questa corte +basta a seguir la provedenza etterna; + +ma questo è quel ch’a cerner mi par forte, +perché predestinata fosti sola +a questo officio tra le tue consorte». + +Né venni prima a l’ultima parola, +che del suo mezzo fece il lume centro, +girando sé come veloce mola; + +poi rispuose l’amor che v’era dentro: +«Luce divina sopra me s’appunta, +penetrando per questa in ch’io m’inventro, + +la cui virtù, col mio veder congiunta, +mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio +la somma essenza de la quale è munta. + +Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio; +per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara, +la chiarità de la fiamma pareggio. + +Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara, +quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, +a la dimanda tua non satisfara, + +però che sì s’innoltra ne lo abisso +de l’etterno statuto quel che chiedi, +che da ogne creata vista è scisso. + +E al mondo mortal, quando tu riedi, +questo rapporta, sì che non presumma +a tanto segno più mover li piedi. + +La mente, che qui luce, in terra fumma; +onde riguarda come può là giùe +quel che non pote perché ’l ciel l’assumma». + +Sì mi prescrisser le parole sue, +ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi +a dimandarla umilmente chi fue. + +«Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi, +e non molto distanti a la tua patria, +tanto che ’ troni assai suonan più bassi, + +e fanno un gibbo che si chiama Catria, +di sotto al quale è consecrato un ermo, +che suole esser disposto a sola latria». + +Così ricominciommi il terzo sermo; +e poi, continüando, disse: «Quivi +al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, + +che pur con cibi di liquor d’ulivi +lievemente passava caldi e geli, +contento ne’ pensier contemplativi. + +Render solea quel chiostro a questi cieli +fertilemente; e ora è fatto vano, +sì che tosto convien che si riveli. + +In quel loco fu’ io Pietro Damiano, +e Pietro Peccator fu’ ne la casa +di Nostra Donna in sul lito adriano. + +Poca vita mortal m’era rimasa, +quando fui chiesto e tratto a quel cappello, +che pur di male in peggio si travasa. + +Venne Cefàs e venne il gran vasello +de lo Spirito Santo, magri e scalzi, +prendendo il cibo da qualunque ostello. + +Or voglion quinci e quindi chi rincalzi +li moderni pastori e chi li meni, +tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. + +Cuopron d’i manti loro i palafreni, +sì che due bestie van sott’ una pelle: +oh pazïenza che tanto sostieni!». + +A questa voce vid’ io più fiammelle +di grado in grado scendere e girarsi, +e ogne giro le facea più belle. + +Dintorno a questa vennero e fermarsi, +e fero un grido di sì alto suono, +che non potrebbe qui assomigliarsi; + +né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono. + + + + +Paradiso +Canto XXII + + +Oppresso di stupore, a la mia guida +mi volsi, come parvol che ricorre +sempre colà dove più si confida; + +e quella, come madre che soccorre +sùbito al figlio palido e anelo +con la sua voce, che ’l suol ben disporre, + +mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo? +e non sai tu che ’l cielo è tutto santo, +e ciò che ci si fa vien da buon zelo? + +Come t’avrebbe trasmutato il canto, +e io ridendo, mo pensar lo puoi, +poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto; + +nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi, +già ti sarebbe nota la vendetta +che tu vedrai innanzi che tu muoi. + +La spada di qua sù non taglia in fretta +né tardo, ma’ ch’al parer di colui +che disïando o temendo l’aspetta. + +Ma rivolgiti omai inverso altrui; +ch’assai illustri spiriti vedrai, +se com’ io dico l’aspetto redui». + +Come a lei piacque, li occhi ritornai, +e vidi cento sperule che ’nsieme +più s’abbellivan con mutüi rai. + +Io stava come quei che ’n sé repreme +la punta del disio, e non s’attenta +di domandar, sì del troppo si teme; + +e la maggiore e la più luculenta +di quelle margherite innanzi fessi, +per far di sé la mia voglia contenta. + +Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi +com’ io la carità che tra noi arde, +li tuoi concetti sarebbero espressi. + +Ma perché tu, aspettando, non tarde +a l’alto fine, io ti farò risposta +pur al pensier, da che sì ti riguarde. + +Quel monte a cui Cassino è ne la costa +fu frequentato già in su la cima +da la gente ingannata e mal disposta; + +e quel son io che sù vi portai prima +lo nome di colui che ’n terra addusse +la verità che tanto ci soblima; + +e tanta grazia sopra me relusse, +ch’io ritrassi le ville circunstanti +da l’empio cólto che ’l mondo sedusse. + +Questi altri fuochi tutti contemplanti +uomini fuoro, accesi di quel caldo +che fa nascere i fiori e ’ frutti santi. + +Qui è Maccario, qui è Romoaldo, +qui son li frati miei che dentro ai chiostri +fermar li piedi e tennero il cor saldo». + +E io a lui: «L’affetto che dimostri +meco parlando, e la buona sembianza +ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri, + +così m’ha dilatata mia fidanza, +come ’l sol fa la rosa quando aperta +tanto divien quant’ ell’ ha di possanza. + +Però ti priego, e tu, padre, m’accerta +s’io posso prender tanta grazia, ch’io +ti veggia con imagine scoverta». + +Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio +s’adempierà in su l’ultima spera, +ove s’adempion tutti li altri e ’l mio. + +Ivi è perfetta, matura e intera +ciascuna disïanza; in quella sola +è ogne parte là ove sempr’ era, + +perché non è in loco e non s’impola; +e nostra scala infino ad essa varca, +onde così dal viso ti s’invola. + +Infin là sù la vide il patriarca +Iacobbe porger la superna parte, +quando li apparve d’angeli sì carca. + +Ma, per salirla, mo nessun diparte +da terra i piedi, e la regola mia +rimasa è per danno de le carte. + +Le mura che solieno esser badia +fatte sono spelonche, e le cocolle +sacca son piene di farina ria. + +Ma grave usura tanto non si tolle +contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto +che fa il cor de’ monaci sì folle; + +ché quantunque la Chiesa guarda, tutto +è de la gente che per Dio dimanda; +non di parenti né d’altro più brutto. + +La carne d’i mortali è tanto blanda, +che giù non basta buon cominciamento +dal nascer de la quercia al far la ghianda. + +Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento, +e io con orazione e con digiuno, +e Francesco umilmente il suo convento; + +e se guardi ’l principio di ciascuno, +poscia riguardi là dov’ è trascorso, +tu vederai del bianco fatto bruno. + +Veramente Iordan vòlto retrorso +più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse, +mirabile a veder che qui ’l soccorso». + +Così mi disse, e indi si raccolse +al suo collegio, e ’l collegio si strinse; +poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse. + +La dolce donna dietro a lor mi pinse +con un sol cenno su per quella scala, +sì sua virtù la mia natura vinse; + +né mai qua giù dove si monta e cala +naturalmente, fu sì ratto moto +ch’agguagliar si potesse a la mia ala. + +S’io torni mai, lettore, a quel divoto +trïunfo per lo quale io piango spesso +le mie peccata e ’l petto mi percuoto, + +tu non avresti in tanto tratto e messo +nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno +che segue il Tauro e fui dentro da esso. + +O glorïose stelle, o lume pregno +di gran virtù, dal quale io riconosco +tutto, qual che si sia, il mio ingegno, + +con voi nasceva e s’ascondeva vosco +quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, +quand’ io senti’ di prima l’aere tosco; + +e poi, quando mi fu grazia largita +d’entrar ne l’alta rota che vi gira, +la vostra regïon mi fu sortita. + +A voi divotamente ora sospira +l’anima mia, per acquistar virtute +al passo forte che a sé la tira. + +«Tu se’ sì presso a l’ultima salute», +cominciò Bëatrice, «che tu dei +aver le luci tue chiare e acute; + +e però, prima che tu più t’inlei, +rimira in giù, e vedi quanto mondo +sotto li piedi già esser ti fei; + +sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo +s’appresenti a la turba trïunfante +che lieta vien per questo etera tondo». + +Col viso ritornai per tutte quante +le sette spere, e vidi questo globo +tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; + +e quel consiglio per migliore approbo +che l’ha per meno; e chi ad altro pensa +chiamar si puote veramente probo. + +Vidi la figlia di Latona incensa +sanza quell’ ombra che mi fu cagione +per che già la credetti rara e densa. + +L’aspetto del tuo nato, Iperïone, +quivi sostenni, e vidi com’ si move +circa e vicino a lui Maia e Dïone. + +Quindi m’apparve il temperar di Giove +tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro +il varïar che fanno di lor dove; + +e tutti e sette mi si dimostraro +quanto son grandi e quanto son veloci +e come sono in distante riparo. + +L’aiuola che ci fa tanto feroci, +volgendom’ io con li etterni Gemelli, +tutta m’apparve da’ colli a le foci; + +poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. + + + + +Paradiso +Canto XXIII + + +Come l’augello, intra l’amate fronde, +posato al nido de’ suoi dolci nati +la notte che le cose ci nasconde, + +che, per veder li aspetti disïati +e per trovar lo cibo onde li pasca, +in che gravi labor li sono aggrati, + +previene il tempo in su aperta frasca, +e con ardente affetto il sole aspetta, +fiso guardando pur che l’alba nasca; + +così la donna mïa stava eretta +e attenta, rivolta inver’ la plaga +sotto la quale il sol mostra men fretta: + +sì che, veggendola io sospesa e vaga, +fecimi qual è quei che disïando +altro vorria, e sperando s’appaga. + +Ma poco fu tra uno e altro quando, +del mio attender, dico, e del vedere +lo ciel venir più e più rischiarando; + +e Bëatrice disse: «Ecco le schiere +del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto +ricolto del girar di queste spere!». + +Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto, +e li occhi avea di letizia sì pieni, +che passarmen convien sanza costrutto. + +Quale ne’ plenilunïi sereni +Trivïa ride tra le ninfe etterne +che dipingon lo ciel per tutti i seni, + +vid’ i’ sopra migliaia di lucerne +un sol che tutte quante l’accendea, +come fa ’l nostro le viste superne; + +e per la viva luce trasparea +la lucente sustanza tanto chiara +nel viso mio, che non la sostenea. + +Oh Bëatrice, dolce guida e cara! +Ella mi disse: «Quel che ti sobranza +è virtù da cui nulla si ripara. + +Quivi è la sapïenza e la possanza +ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra, +onde fu già sì lunga disïanza». + +Come foco di nube si diserra +per dilatarsi sì che non vi cape, +e fuor di sua natura in giù s’atterra, + +la mente mia così, tra quelle dape +fatta più grande, di sé stessa uscìo, +e che si fesse rimembrar non sape. + +«Apri li occhi e riguarda qual son io; +tu hai vedute cose, che possente +se’ fatto a sostener lo riso mio». + +Io era come quei che si risente +di visïone oblita e che s’ingegna +indarno di ridurlasi a la mente, + +quand’ io udi’ questa proferta, degna +di tanto grato, che mai non si stingue +del libro che ’l preterito rassegna. + +Se mo sonasser tutte quelle lingue +che Polimnïa con le suore fero +del latte lor dolcissimo più pingue, + +per aiutarmi, al millesmo del vero +non si verria, cantando il santo riso +e quanto il santo aspetto facea mero; + +e così, figurando il paradiso, +convien saltar lo sacrato poema, +come chi trova suo cammin riciso. + +Ma chi pensasse il ponderoso tema +e l’omero mortal che se ne carca, +nol biasmerebbe se sott’ esso trema: + +non è pareggio da picciola barca +quel che fendendo va l’ardita prora, +né da nocchier ch’a sé medesmo parca. + +«Perché la faccia mia sì t’innamora, +che tu non ti rivolgi al bel giardino +che sotto i raggi di Cristo s’infiora? + +Quivi è la rosa in che ’l verbo divino +carne si fece; quivi son li gigli +al cui odor si prese il buon cammino». + +Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli +tutto era pronto, ancora mi rendei +a la battaglia de’ debili cigli. + +Come a raggio di sol, che puro mei +per fratta nube, già prato di fiori +vider, coverti d’ombra, li occhi miei; + +vid’ io così più turbe di splendori, +folgorate di sù da raggi ardenti, +sanza veder principio di folgóri. + +O benigna vertù che sì li ’mprenti, +sù t’essaltasti, per largirmi loco +a li occhi lì che non t’eran possenti. + +Il nome del bel fior ch’io sempre invoco +e mane e sera, tutto mi ristrinse +l’animo ad avvisar lo maggior foco; + +e come ambo le luci mi dipinse +il quale e il quanto de la viva stella +che là sù vince come qua giù vinse, + +per entro il cielo scese una facella, +formata in cerchio a guisa di corona, +e cinsela e girossi intorno ad ella. + +Qualunque melodia più dolce suona +qua giù e più a sé l’anima tira, +parrebbe nube che squarciata tona, + +comparata al sonar di quella lira +onde si coronava il bel zaffiro +del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. + +«Io sono amore angelico, che giro +l’alta letizia che spira del ventre +che fu albergo del nostro disiro; + +e girerommi, donna del ciel, mentre +che seguirai tuo figlio, e farai dia +più la spera suprema perché lì entre». + +Così la circulata melodia +si sigillava, e tutti li altri lumi +facean sonare il nome di Maria. + +Lo real manto di tutti i volumi +del mondo, che più ferve e più s’avviva +ne l’alito di Dio e nei costumi, + +avea sopra di noi l’interna riva +tanto distante, che la sua parvenza, +là dov’ io era, ancor non appariva: + +però non ebber li occhi miei potenza +di seguitar la coronata fiamma +che si levò appresso sua semenza. + +E come fantolin che ’nver’ la mamma +tende le braccia, poi che ’l latte prese, +per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; + +ciascun di quei candori in sù si stese +con la sua cima, sì che l’alto affetto +ch’elli avieno a Maria mi fu palese. + +Indi rimaser lì nel mio cospetto, +‘Regina celi’ cantando sì dolce, +che mai da me non si partì ’l diletto. + +Oh quanta è l’ubertà che si soffolce +in quelle arche ricchissime che fuoro +a seminar qua giù buone bobolce! + +Quivi si vive e gode del tesoro +che s’acquistò piangendo ne lo essilio +di Babillòn, ove si lasciò l’oro. + +Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio +di Dio e di Maria, di sua vittoria, +e con l’antico e col novo concilio, + +colui che tien le chiavi di tal gloria. + + + + +Paradiso +Canto XXIV + + +«O sodalizio eletto a la gran cena +del benedetto Agnello, il qual vi ciba +sì, che la vostra voglia è sempre piena, + +se per grazia di Dio questi preliba +di quel che cade de la vostra mensa, +prima che morte tempo li prescriba, + +ponete mente a l’affezione immensa +e roratelo alquanto: voi bevete +sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». + +Così Beatrice; e quelle anime liete +si fero spere sopra fissi poli, +fiammando, a volte, a guisa di comete. + +E come cerchi in tempra d’orïuoli +si giran sì, che ’l primo a chi pon mente +quïeto pare, e l’ultimo che voli; + +così quelle carole, differente- +mente danzando, de la sua ricchezza +mi facieno stimar, veloci e lente. + +Di quella ch’io notai di più carezza +vid’ ïo uscire un foco sì felice, +che nullo vi lasciò di più chiarezza; + +e tre fïate intorno di Beatrice +si volse con un canto tanto divo, +che la mia fantasia nol mi ridice. + +Però salta la penna e non lo scrivo: +ché l’imagine nostra a cotai pieghe, +non che ’l parlare, è troppo color vivo. + +«O santa suora mia che sì ne prieghe +divota, per lo tuo ardente affetto +da quella bella spera mi disleghe». + +Poscia fermato, il foco benedetto +a la mia donna dirizzò lo spiro, +che favellò così com’ i’ ho detto. + +Ed ella: «O luce etterna del gran viro +a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, +ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, + +tenta costui di punti lievi e gravi, +come ti piace, intorno de la fede, +per la qual tu su per lo mare andavi. + +S’elli ama bene e bene spera e crede, +non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi +dov’ ogne cosa dipinta si vede; + +ma perché questo regno ha fatto civi +per la verace fede, a glorïarla, +di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». + +Sì come il baccialier s’arma e non parla +fin che ’l maestro la question propone, +per approvarla, non per terminarla, + +così m’armava io d’ogne ragione +mentre ch’ella dicea, per esser presto +a tal querente e a tal professione. + +«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: +fede che è?». Ond’ io levai la fronte +in quella luce onde spirava questo; + +poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte +sembianze femmi perch’ ïo spandessi +l’acqua di fuor del mio interno fonte. + +«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», +comincia’ io, «da l’alto primipilo, +faccia li miei concetti bene espressi». + +E seguitai: «Come ’l verace stilo +ne scrisse, padre, del tuo caro frate +che mise teco Roma nel buon filo, + +fede è sustanza di cose sperate +e argomento de le non parventi; +e questa pare a me sua quiditate». + +Allora udi’: «Dirittamente senti, +se bene intendi perché la ripuose +tra le sustanze, e poi tra li argomenti». + +E io appresso: «Le profonde cose +che mi largiscon qui la lor parvenza, +a li occhi di là giù son sì ascose, + +che l’esser loro v’è in sola credenza, +sopra la qual si fonda l’alta spene; +e però di sustanza prende intenza. + +E da questa credenza ci convene +silogizzar, sanz’ avere altra vista: +però intenza d’argomento tene». + +Allora udi’: «Se quantunque s’acquista +giù per dottrina, fosse così ’nteso, +non lì avria loco ingegno di sofista». + +Così spirò di quello amore acceso; +indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa +d’esta moneta già la lega e ’l peso; + +ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». +Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, +che nel suo conio nulla mi s’inforsa». + +Appresso uscì de la luce profonda +che lì splendeva: «Questa cara gioia +sopra la quale ogne virtù si fonda, + +onde ti venne?». E io: «La larga ploia +de lo Spirito Santo, ch’è diffusa +in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, + +è silogismo che la m’ha conchiusa +acutamente sì, che ’nverso d’ella +ogne dimostrazion mi pare ottusa». + +Io udi’ poi: «L’antica e la novella +proposizion che così ti conchiude, +perché l’hai tu per divina favella?». + +E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, +son l’opere seguite, a che natura +non scalda ferro mai né batte incude». + +Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura +che quell’ opere fosser? Quel medesmo +che vuol provarsi, non altri, il ti giura». + +«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», +diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno +è tal, che li altri non sono il centesmo: + +ché tu intrasti povero e digiuno +in campo, a seminar la buona pianta +che fu già vite e ora è fatta pruno». + +Finito questo, l’alta corte santa +risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ +ne la melode che là sù si canta. + +E quel baron che sì di ramo in ramo, +essaminando, già tratto m’avea, +che a l’ultime fronde appressavamo, + +ricominciò: «La Grazia, che donnea +con la tua mente, la bocca t’aperse +infino a qui come aprir si dovea, + +sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; +ma or convien espremer quel che credi, +e onde a la credenza tua s’offerse». + +«O santo padre, e spirito che vedi +ciò che credesti sì, che tu vincesti +ver’ lo sepulcro più giovani piedi», + +comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti +la forma qui del pronto creder mio, +e anche la cagion di lui chiedesti. + +E io rispondo: Io credo in uno Dio +solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, +non moto, con amore e con disio; + +e a tal creder non ho io pur prove +fisice e metafisice, ma dalmi +anche la verità che quinci piove + +per Moïsè, per profeti e per salmi, +per l’Evangelio e per voi che scriveste +poi che l’ardente Spirto vi fé almi; + +e credo in tre persone etterne, e queste +credo una essenza sì una e sì trina, +che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. + +De la profonda condizion divina +ch’io tocco mo, la mente mi sigilla +più volte l’evangelica dottrina. + +Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla +che si dilata in fiamma poi vivace, +e come stella in cielo in me scintilla». + +Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, +da indi abbraccia il servo, gratulando +per la novella, tosto ch’el si tace; + +così, benedicendomi cantando, +tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, +l’appostolico lume al cui comando + +io avea detto: sì nel dir li piacqui! + + + + +Paradiso +Canto XXV + + +Se mai continga che ’l poema sacro +al quale ha posto mano e cielo e terra, +sì che m’ha fatto per molti anni macro, + +vinca la crudeltà che fuor mi serra +del bello ovile ov’ io dormi’ agnello, +nimico ai lupi che li danno guerra; + +con altra voce omai, con altro vello +ritornerò poeta, e in sul fonte +del mio battesmo prenderò ’l cappello; + +però che ne la fede, che fa conte +l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi +Pietro per lei sì mi girò la fronte. + +Indi si mosse un lume verso noi +di quella spera ond’ uscì la primizia +che lasciò Cristo d’i vicari suoi; + +e la mia donna, piena di letizia, +mi disse: «Mira, mira: ecco il barone +per cui là giù si vicita Galizia». + +Sì come quando il colombo si pone +presso al compagno, l’uno a l’altro pande, +girando e mormorando, l’affezione; + +così vid’ ïo l’un da l’altro grande +principe glorïoso essere accolto, +laudando il cibo che là sù li prande. + +Ma poi che ’l gratular si fu assolto, +tacito coram me ciascun s’affisse, +ignito sì che vincëa ’l mio volto. + +Ridendo allora Bëatrice disse: +«Inclita vita per cui la larghezza +de la nostra basilica si scrisse, + +fa risonar la spene in questa altezza: +tu sai, che tante fiate la figuri, +quante Iesù ai tre fé più carezza». + +«Leva la testa e fa che t’assicuri: +che ciò che vien qua sù del mortal mondo, +convien ch’ai nostri raggi si maturi». + +Questo conforto del foco secondo +mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti +che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. + +«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti +lo nostro Imperadore, anzi la morte, +ne l’aula più secreta co’ suoi conti, + +sì che, veduto il ver di questa corte, +la spene, che là giù bene innamora, +in te e in altrui di ciò conforte, + +di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora +la mente tua, e dì onde a te venne». +Così seguì ’l secondo lume ancora. + +E quella pïa che guidò le penne +de le mie ali a così alto volo, +a la risposta così mi prevenne: + +«La Chiesa militante alcun figliuolo +non ha con più speranza, com’ è scritto +nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: + +però li è conceduto che d’Egitto +vegna in Ierusalemme per vedere, +anzi che ’l militar li sia prescritto. + +Li altri due punti, che non per sapere +son dimandati, ma perch’ ei rapporti +quanto questa virtù t’è in piacere, + +a lui lasc’ io, ché non li saran forti +né di iattanza; ed elli a ciò risponda, +e la grazia di Dio ciò li comporti». + +Come discente ch’a dottor seconda +pronto e libente in quel ch’elli è esperto, +perché la sua bontà si disasconda, + +«Spene», diss’ io, «è uno attender certo +de la gloria futura, il qual produce +grazia divina e precedente merto. + +Da molte stelle mi vien questa luce; +ma quei la distillò nel mio cor pria +che fu sommo cantor del sommo duce. + +‘Sperino in te’, ne la sua tëodia +dice, ‘color che sanno il nome tuo’: +e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? + +Tu mi stillasti, con lo stillar suo, +ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, +e in altrui vostra pioggia repluo». + +Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno +di quello incendio tremolava un lampo +sùbito e spesso a guisa di baleno. + +Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo +ancor ver’ la virtù che mi seguette +infin la palma e a l’uscir del campo, + +vuol ch’io respiri a te che ti dilette +di lei; ed emmi a grato che tu diche +quello che la speranza ti ’mpromette». + +E io: «Le nove e le scritture antiche +pongon lo segno, ed esso lo mi addita, +de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. + +Dice Isaia che ciascuna vestita +ne la sua terra fia di doppia vesta: +e la sua terra è questa dolce vita; + +e ’l tuo fratello assai vie più digesta, +là dove tratta de le bianche stole, +questa revelazion ci manifesta». + +E prima, appresso al fin d’este parole, +‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì; +a che rispuoser tutte le carole. + +Poscia tra esse un lume si schiarì +sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, +l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. + +E come surge e va ed entra in ballo +vergine lieta, sol per fare onore +a la novizia, non per alcun fallo, + +così vid’ io lo schiarato splendore +venire a’ due che si volgieno a nota +qual conveniesi al loro ardente amore. + +Misesi lì nel canto e ne la rota; +e la mia donna in lor tenea l’aspetto, +pur come sposa tacita e immota. + +«Questi è colui che giacque sopra ’l petto +del nostro pellicano, e questi fue +di su la croce al grande officio eletto». + +La donna mia così; né però piùe +mosser la vista sua di stare attenta +poscia che prima le parole sue. + +Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta +di vedere eclissar lo sole un poco, +che, per veder, non vedente diventa; + +tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco +mentre che detto fu: «Perché t’abbagli +per veder cosa che qui non ha loco? + +In terra è terra il mio corpo, e saragli +tanto con li altri, che ’l numero nostro +con l’etterno proposito s’agguagli. + +Con le due stole nel beato chiostro +son le due luci sole che saliro; +e questo apporterai nel mondo vostro». + +A questa voce l’infiammato giro +si quïetò con esso il dolce mischio +che si facea nel suon del trino spiro, + +sì come, per cessar fatica o rischio, +li remi, pria ne l’acqua ripercossi, +tutti si posano al sonar d’un fischio. + +Ahi quanto ne la mente mi commossi, +quando mi volsi per veder Beatrice, +per non poter veder, benché io fossi + +presso di lei, e nel mondo felice! + + + + +Paradiso +Canto XXVI + + +Mentr’ io dubbiava per lo viso spento, +de la fulgida fiamma che lo spense +uscì un spiro che mi fece attento, + +dicendo: «Intanto che tu ti risense +de la vista che haï in me consunta, +ben è che ragionando la compense. + +Comincia dunque; e dì ove s’appunta +l’anima tua, e fa ragion che sia +la vista in te smarrita e non defunta: + +perché la donna che per questa dia +regïon ti conduce, ha ne lo sguardo +la virtù ch’ebbe la man d’Anania». + +Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo +vegna remedio a li occhi, che fuor porte +quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo. + +Lo ben che fa contenta questa corte, +Alfa e O è di quanta scrittura +mi legge Amore o lievemente o forte». + +Quella medesma voce che paura +tolta m’avea del sùbito abbarbaglio, +di ragionare ancor mi mise in cura; + +e disse: «Certo a più angusto vaglio +ti conviene schiarar: dicer convienti +chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». + +E io: «Per filosofici argomenti +e per autorità che quinci scende +cotale amor convien che in me si ’mprenti: + +ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende, +così accende amore, e tanto maggio +quanto più di bontate in sé comprende. + +Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio, +che ciascun ben che fuor di lei si trova +altro non è ch’un lume di suo raggio, + +più che in altra convien che si mova +la mente, amando, di ciascun che cerne +il vero in che si fonda questa prova. + +Tal vero a l’intelletto mïo sterne +colui che mi dimostra il primo amore +di tutte le sustanze sempiterne. + +Sternel la voce del verace autore, +che dice a Moïsè, di sé parlando: +‘Io ti farò vedere ogne valore’. + +Sternilmi tu ancora, incominciando +l’alto preconio che grida l’arcano +di qui là giù sovra ogne altro bando». + +E io udi’: «Per intelletto umano +e per autoritadi a lui concorde +d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. + +Ma dì ancor se tu senti altre corde +tirarti verso lui, sì che tu suone +con quanti denti questo amor ti morde». + +Non fu latente la santa intenzione +de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi +dove volea menar mia professione. + +Però ricominciai: «Tutti quei morsi +che posson far lo cor volgere a Dio, +a la mia caritate son concorsi: + +ché l’essere del mondo e l’esser mio, +la morte ch’el sostenne perch’ io viva, +e quel che spera ogne fedel com’ io, + +con la predetta conoscenza viva, +tratto m’hanno del mar de l’amor torto, +e del diritto m’han posto a la riva. + +Le fronde onde s’infronda tutto l’orto +de l’ortolano etterno, am’ io cotanto +quanto da lui a lor di bene è porto». + +Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto +risonò per lo cielo, e la mia donna +dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». + +E come a lume acuto si disonna +per lo spirto visivo che ricorre +a lo splendor che va di gonna in gonna, + +e lo svegliato ciò che vede aborre, +sì nescïa è la sùbita vigilia +fin che la stimativa non soccorre; + +così de li occhi miei ogne quisquilia +fugò Beatrice col raggio d’i suoi, +che rifulgea da più di mille milia: + +onde mei che dinanzi vidi poi; +e quasi stupefatto domandai +d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. + +E la mia donna: «Dentro da quei rai +vagheggia il suo fattor l’anima prima +che la prima virtù creasse mai». + +Come la fronda che flette la cima +nel transito del vento, e poi si leva +per la propria virtù che la soblima, + +fec’ io in tanto in quant’ ella diceva, +stupendo, e poi mi rifece sicuro +un disio di parlare ond’ ïo ardeva. + +E cominciai: «O pomo che maturo +solo prodotto fosti, o padre antico +a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, + +divoto quanto posso a te supplìco +perché mi parli: tu vedi mia voglia, +e per udirti tosto non la dico». + +Talvolta un animal coverto broglia, +sì che l’affetto convien che si paia +per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; + +e similmente l’anima primaia +mi facea trasparer per la coverta +quant’ ella a compiacermi venìa gaia. + +Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta +da te, la voglia tua discerno meglio +che tu qualunque cosa t’è più certa; + +perch’ io la veggio nel verace speglio +che fa di sé pareglio a l’altre cose, +e nulla face lui di sé pareglio. + +Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose +ne l’eccelso giardino, ove costei +a così lunga scala ti dispuose, + +e quanto fu diletto a li occhi miei, +e la propria cagion del gran disdegno, +e l’idïoma ch’usai e che fei. + +Or, figluol mio, non il gustar del legno +fu per sé la cagion di tanto essilio, +ma solamente il trapassar del segno. + +Quindi onde mosse tua donna Virgilio, +quattromilia trecento e due volumi +di sol desiderai questo concilio; + +e vidi lui tornare a tutt’ i lumi +de la sua strada novecento trenta +fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi. + +La lingua ch’io parlai fu tutta spenta +innanzi che a l’ovra inconsummabile +fosse la gente di Nembròt attenta: + +ché nullo effetto mai razïonabile, +per lo piacere uman che rinovella +seguendo il cielo, sempre fu durabile. + +Opera naturale è ch’uom favella; +ma così o così, natura lascia +poi fare a voi secondo che v’abbella. + +Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, +I s’appellava in terra il sommo bene +onde vien la letizia che mi fascia; + +e El si chiamò poi: e ciò convene, +ché l’uso d’i mortali è come fronda +in ramo, che sen va e altra vene. + +Nel monte che si leva più da l’onda, +fu’ io, con vita pura e disonesta, +da la prim’ ora a quella che seconda, + +come ’l sol muta quadra, l’ora sesta». + + + + +Paradiso +Canto XXVII + + +‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, +cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, +sì che m’inebrïava il dolce canto. + +Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso +de l’universo; per che mia ebbrezza +intrava per l’udire e per lo viso. + +Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! +oh vita intègra d’amore e di pace! +oh sanza brama sicura ricchezza! + +Dinanzi a li occhi miei le quattro face +stavano accese, e quella che pria venne +incominciò a farsi più vivace, + +e tal ne la sembianza sua divenne, +qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte +fossero augelli e cambiassersi penne. + +La provedenza, che quivi comparte +vice e officio, nel beato coro +silenzio posto avea da ogne parte, + +quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro, +non ti maravigliar, ché, dicend’ io, +vedrai trascolorar tutti costoro. + +Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, +il luogo mio, il luogo mio, che vaca +ne la presenza del Figliuol di Dio, + +fatt’ ha del cimitero mio cloaca +del sangue e de la puzza; onde ’l perverso +che cadde di qua sù, là giù si placa». + +Di quel color che per lo sole avverso +nube dipigne da sera e da mane, +vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso. + +E come donna onesta che permane +di sé sicura, e per l’altrui fallanza, +pur ascoltando, timida si fane, + +così Beatrice trasmutò sembianza; +e tale eclissi credo che ’n ciel fue +quando patì la supprema possanza. + +Poi procedetter le parole sue +con voce tanto da sé trasmutata, +che la sembianza non si mutò piùe: + +«Non fu la sposa di Cristo allevata +del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, +per essere ad acquisto d’oro usata; + +ma per acquisto d’esto viver lieto +e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano +sparser lo sangue dopo molto fleto. + +Non fu nostra intenzion ch’a destra mano +d’i nostri successor parte sedesse, +parte da l’altra del popol cristiano; + +né che le chiavi che mi fuor concesse, +divenisser signaculo in vessillo +che contra battezzati combattesse; + +né ch’io fossi figura di sigillo +a privilegi venduti e mendaci, +ond’ io sovente arrosso e disfavillo. + +In vesta di pastor lupi rapaci +si veggion di qua sù per tutti i paschi: +o difesa di Dio, perché pur giaci? + +Del sangue nostro Caorsini e Guaschi +s’apparecchian di bere: o buon principio, +a che vil fine convien che tu caschi! + +Ma l’alta provedenza, che con Scipio +difese a Roma la gloria del mondo, +soccorrà tosto, sì com’ io concipio; + +e tu, figliuol, che per lo mortal pondo +ancor giù tornerai, apri la bocca, +e non asconder quel ch’io non ascondo». + +Sì come di vapor gelati fiocca +in giuso l’aere nostro, quando ’l corno +de la capra del ciel col sol si tocca, + +in sù vid’ io così l’etera addorno +farsi e fioccar di vapor trïunfanti +che fatto avien con noi quivi soggiorno. + +Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, +e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto, +li tolse il trapassar del più avanti. + +Onde la donna, che mi vide assolto +de l’attendere in sù, mi disse: «Adima +il viso e guarda come tu se’ vòlto». + +Da l’ora ch’ïo avea guardato prima +i’ vidi mosso me per tutto l’arco +che fa dal mezzo al fine il primo clima; + +sì ch’io vedea di là da Gade il varco +folle d’Ulisse, e di qua presso il lito +nel qual si fece Europa dolce carco. + +E più mi fora discoverto il sito +di questa aiuola; ma ’l sol procedea +sotto i mie’ piedi un segno e più partito. + +La mente innamorata, che donnea +con la mia donna sempre, di ridure +ad essa li occhi più che mai ardea; + +e se natura o arte fé pasture +da pigliare occhi, per aver la mente, +in carne umana o ne le sue pitture, + +tutte adunate, parrebber nïente +ver’ lo piacer divin che mi refulse, +quando mi volsi al suo viso ridente. + +E la virtù che lo sguardo m’indulse, +del bel nido di Leda mi divelse, +e nel ciel velocissimo m’impulse. + +Le parti sue vivissime ed eccelse +sì uniforme son, ch’i’ non so dire +qual Bëatrice per loco mi scelse. + +Ma ella, che vedëa ’l mio disire, +incominciò, ridendo tanto lieta, +che Dio parea nel suo volto gioire: + +«La natura del mondo, che quïeta +il mezzo e tutto l’altro intorno move, +quinci comincia come da sua meta; + +e questo cielo non ha altro dove +che la mente divina, in che s’accende +l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove. + +Luce e amor d’un cerchio lui comprende, +sì come questo li altri; e quel precinto +colui che ’l cinge solamente intende. + +Non è suo moto per altro distinto, +ma li altri son mensurati da questo, +sì come diece da mezzo e da quinto; + +e come il tempo tegna in cotal testo +le sue radici e ne li altri le fronde, +omai a te può esser manifesto. + +Oh cupidigia che i mortali affonde +sì sotto te, che nessuno ha podere +di trarre li occhi fuor de le tue onde! + +Ben fiorisce ne li uomini il volere; +ma la pioggia continüa converte +in bozzacchioni le sosine vere. + +Fede e innocenza son reperte +solo ne’ parvoletti; poi ciascuna +pria fugge che le guance sian coperte. + +Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, +che poi divora, con la lingua sciolta, +qualunque cibo per qualunque luna; + +e tal, balbuzïendo, ama e ascolta +la madre sua, che, con loquela intera, +disïa poi di vederla sepolta. + +Così si fa la pelle bianca nera +nel primo aspetto de la bella figlia +di quel ch’apporta mane e lascia sera. + +Tu, perché non ti facci maraviglia, +pensa che ’n terra non è chi governi; +onde sì svïa l’umana famiglia. + +Ma prima che gennaio tutto si sverni +per la centesma ch’è là giù negletta, +raggeran sì questi cerchi superni, + +che la fortuna che tanto s’aspetta, +le poppe volgerà u’ son le prore, +sì che la classe correrà diretta; + +e vero frutto verrà dopo ’l fiore». + + + + +Paradiso +Canto XXVIII + + +Poscia che ’ncontro a la vita presente +d’i miseri mortali aperse ’l vero +quella che ’mparadisa la mia mente, + +come in lo specchio fiamma di doppiero +vede colui che se n’alluma retro, +prima che l’abbia in vista o in pensiero, + +e sé rivolge per veder se ’l vetro +li dice il vero, e vede ch’el s’accorda +con esso come nota con suo metro; + +così la mia memoria si ricorda +ch’io feci riguardando ne’ belli occhi +onde a pigliarmi fece Amor la corda. + +E com’ io mi rivolsi e furon tocchi +li miei da ciò che pare in quel volume, +quandunque nel suo giro ben s’adocchi, + +un punto vidi che raggiava lume +acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca +chiuder conviensi per lo forte acume; + +e quale stella par quinci più poca, +parrebbe luna, locata con esso +come stella con stella si collòca. + +Forse cotanto quanto pare appresso +alo cigner la luce che ’l dipigne +quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, + +distante intorno al punto un cerchio d’igne +si girava sì ratto, ch’avria vinto +quel moto che più tosto il mondo cigne; + +e questo era d’un altro circumcinto, +e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto, +dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. + +Sopra seguiva il settimo sì sparto +già di larghezza, che ’l messo di Iuno +intero a contenerlo sarebbe arto. + +Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno +più tardo si movea, secondo ch’era +in numero distante più da l’uno; + +e quello avea la fiamma più sincera +cui men distava la favilla pura, +credo, però che più di lei s’invera. + +La donna mia, che mi vedëa in cura +forte sospeso, disse: «Da quel punto +depende il cielo e tutta la natura. + +Mira quel cerchio che più li è congiunto; +e sappi che ’l suo muovere è sì tosto +per l’affocato amore ond’ elli è punto». + +E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto +con l’ordine ch’io veggio in quelle rote, +sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; + +ma nel mondo sensibile si puote +veder le volte tanto più divine, +quant’ elle son dal centro più remote. + +Onde, se ’l mio disir dee aver fine +in questo miro e angelico templo +che solo amore e luce ha per confine, + +udir convienmi ancor come l’essemplo +e l’essemplare non vanno d’un modo, +ché io per me indarno a ciò contemplo». + +«Se li tuoi diti non sono a tal nodo +sufficïenti, non è maraviglia: +tanto, per non tentare, è fatto sodo!». + +Così la donna mia; poi disse: «Piglia +quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti; +e intorno da esso t’assottiglia. + +Li cerchi corporai sono ampi e arti +secondo il più e ’l men de la virtute +che si distende per tutte lor parti. + +Maggior bontà vuol far maggior salute; +maggior salute maggior corpo cape, +s’elli ha le parti igualmente compiute. + +Dunque costui che tutto quanto rape +l’altro universo seco, corrisponde +al cerchio che più ama e che più sape: + +per che, se tu a la virtù circonde +la tua misura, non a la parvenza +de le sustanze che t’appaion tonde, + +tu vederai mirabil consequenza +di maggio a più e di minore a meno, +in ciascun cielo, a süa intelligenza». + +Come rimane splendido e sereno +l’emisperio de l’aere, quando soffia +Borea da quella guancia ond’ è più leno, + +per che si purga e risolve la roffia +che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride +con le bellezze d’ogne sua paroffia; + +così fec’ïo, poi che mi provide +la donna mia del suo risponder chiaro, +e come stella in cielo il ver si vide. + +E poi che le parole sue restaro, +non altrimenti ferro disfavilla +che bolle, come i cerchi sfavillaro. + +L’incendio suo seguiva ogne scintilla; +ed eran tante, che ’l numero loro +più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla. + +Io sentiva osannar di coro in coro +al punto fisso che li tiene a li ubi, +e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. + +E quella che vedëa i pensier dubi +ne la mia mente, disse: «I cerchi primi +t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. + +Così veloci seguono i suoi vimi, +per somigliarsi al punto quanto ponno; +e posson quanto a veder son soblimi. + +Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, +si chiaman Troni del divino aspetto, +per che ’l primo ternaro terminonno; + +e dei saper che tutti hanno diletto +quanto la sua veduta si profonda +nel vero in che si queta ogne intelletto. + +Quinci si può veder come si fonda +l’esser beato ne l’atto che vede, +non in quel ch’ama, che poscia seconda; + +e del vedere è misura mercede, +che grazia partorisce e buona voglia: +così di grado in grado si procede. + +L’altro ternaro, che così germoglia +in questa primavera sempiterna +che notturno Arïete non dispoglia, + +perpetüalemente ‘Osanna’ sberna +con tre melode, che suonano in tree +ordini di letizia onde s’interna. + +In essa gerarcia son l’altre dee: +prima Dominazioni, e poi Virtudi; +l’ordine terzo di Podestadi èe. + +Poscia ne’ due penultimi tripudi +Principati e Arcangeli si girano; +l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. + +Questi ordini di sù tutti s’ammirano, +e di giù vincon sì, che verso Dio +tutti tirati sono e tutti tirano. + +E Dïonisio con tanto disio +a contemplar questi ordini si mise, +che li nomò e distinse com’ io. + +Ma Gregorio da lui poi si divise; +onde, sì tosto come li occhi aperse +in questo ciel, di sé medesmo rise. + +E se tanto secreto ver proferse +mortale in terra, non voglio ch’ammiri: +ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse + +con altro assai del ver di questi giri». + + + + +Paradiso +Canto XXIX + + +Quando ambedue li figli di Latona, +coperti del Montone e de la Libra, +fanno de l’orizzonte insieme zona, + +quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra +infin che l’uno e l’altro da quel cinto, +cambiando l’emisperio, si dilibra, + +tanto, col volto di riso dipinto, +si tacque Bëatrice, riguardando +fiso nel punto che m’avëa vinto. + +Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, +quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto +là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. + +Non per aver a sé di bene acquisto, +ch’esser non può, ma perché suo splendore +potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, + +in sua etternità di tempo fore, +fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, +s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. + +Né prima quasi torpente si giacque; +ché né prima né poscia procedette +lo discorrer di Dio sovra quest’ acque. + +Forma e materia, congiunte e purette, +usciro ad esser che non avia fallo, +come d’arco tricordo tre saette. + +E come in vetro, in ambra o in cristallo +raggio resplende sì, che dal venire +a l’esser tutto non è intervallo, + +così ’l triforme effetto del suo sire +ne l’esser suo raggiò insieme tutto +sanza distinzïone in essordire. + +Concreato fu ordine e costrutto +a le sustanze; e quelle furon cima +nel mondo in che puro atto fu produtto; + +pura potenza tenne la parte ima; +nel mezzo strinse potenza con atto +tal vime, che già mai non si divima. + +Ieronimo vi scrisse lungo tratto +di secoli de li angeli creati +anzi che l’altro mondo fosse fatto; + +ma questo vero è scritto in molti lati +da li scrittor de lo Spirito Santo, +e tu te n’avvedrai se bene agguati; + +e anche la ragione il vede alquanto, +che non concederebbe che ’ motori +sanza sua perfezion fosser cotanto. + +Or sai tu dove e quando questi amori +furon creati e come: sì che spenti +nel tuo disïo già son tre ardori. + +Né giugneriesi, numerando, al venti +sì tosto, come de li angeli parte +turbò il suggetto d’i vostri alimenti. + +L’altra rimase, e cominciò quest’ arte +che tu discerni, con tanto diletto, +che mai da circüir non si diparte. + +Principio del cader fu il maladetto +superbir di colui che tu vedesti +da tutti i pesi del mondo costretto. + +Quelli che vedi qui furon modesti +a riconoscer sé da la bontate +che li avea fatti a tanto intender presti: + +per che le viste lor furo essaltate +con grazia illuminante e con lor merto, +si c’hanno ferma e piena volontate; + +e non voglio che dubbi, ma sia certo, +che ricever la grazia è meritorio +secondo che l’affetto l’è aperto. + +Omai dintorno a questo consistorio +puoi contemplare assai, se le parole +mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio. + +Ma perché ’n terra per le vostre scole +si legge che l’angelica natura +è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, + +ancor dirò, perché tu veggi pura +la verità che là giù si confonde, +equivocando in sì fatta lettura. + +Queste sustanze, poi che fur gioconde +de la faccia di Dio, non volser viso +da essa, da cui nulla si nasconde: + +però non hanno vedere interciso +da novo obietto, e però non bisogna +rememorar per concetto diviso; + +sì che là giù, non dormendo, si sogna, +credendo e non credendo dicer vero; +ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. + +Voi non andate giù per un sentiero +filosofando: tanto vi trasporta +l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! + +E ancor questo qua sù si comporta +con men disdegno che quando è posposta +la divina Scrittura o quando è torta. + +Non vi si pensa quanto sangue costa +seminarla nel mondo e quanto piace +chi umilmente con essa s’accosta. + +Per apparer ciascun s’ingegna e face +sue invenzioni; e quelle son trascorse +da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. + +Un dice che la luna si ritorse +ne la passion di Cristo e s’interpuose, +per che ’l lume del sol giù non si porse; + +e mente, ché la luce si nascose +da sé: però a li Spani e a l’Indi +come a’ Giudei tale eclissi rispuose. + +Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi +quante sì fatte favole per anno +in pergamo si gridan quinci e quindi: + +sì che le pecorelle, che non sanno, +tornan del pasco pasciute di vento, +e non le scusa non veder lo danno. + +Non disse Cristo al suo primo convento: +‘Andate, e predicate al mondo ciance’; +ma diede lor verace fondamento; + +e quel tanto sonò ne le sue guance, +sì ch’a pugnar per accender la fede +de l’Evangelio fero scudo e lance. + +Ora si va con motti e con iscede +a predicare, e pur che ben si rida, +gonfia il cappuccio e più non si richiede. + +Ma tale uccel nel becchetto s’annida, +che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe +la perdonanza di ch’el si confida: + +per cui tanta stoltezza in terra crebbe, +che, sanza prova d’alcun testimonio, +ad ogne promession si correrebbe. + +Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio, +e altri assai che sono ancor più porci, +pagando di moneta sanza conio. + +Ma perché siam digressi assai, ritorci +li occhi oramai verso la dritta strada, +sì che la via col tempo si raccorci. + +Questa natura sì oltre s’ingrada +in numero, che mai non fu loquela +né concetto mortal che tanto vada; + +e se tu guardi quel che si revela +per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia +determinato numero si cela. + +La prima luce, che tutta la raia, +per tanti modi in essa si recepe, +quanti son li splendori a chi s’appaia. + +Onde, però che a l’atto che concepe +segue l’affetto, d’amar la dolcezza +diversamente in essa ferve e tepe. + +Vedi l’eccelso omai e la larghezza +de l’etterno valor, poscia che tanti +speculi fatti s’ha in che si spezza, + +uno manendo in sé come davanti». + + + + +Paradiso +Canto XXX + + +Forse semilia miglia di lontano +ci ferve l’ora sesta, e questo mondo +china già l’ombra quasi al letto piano, + +quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo, +comincia a farsi tal, ch’alcuna stella +perde il parere infino a questo fondo; + +e come vien la chiarissima ancella +del sol più oltre, così ’l ciel si chiude +di vista in vista infino a la più bella. + +Non altrimenti il trïunfo che lude +sempre dintorno al punto che mi vinse, +parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, + +a poco a poco al mio veder si stinse: +per che tornar con li occhi a Bëatrice +nulla vedere e amor mi costrinse. + +Se quanto infino a qui di lei si dice +fosse conchiuso tutto in una loda, +poca sarebbe a fornir questa vice. + +La bellezza ch’io vidi si trasmoda +non pur di là da noi, ma certo io credo +che solo il suo fattor tutta la goda. + +Da questo passo vinto mi concedo +più che già mai da punto di suo tema +soprato fosse comico o tragedo: + +ché, come sole in viso che più trema, +così lo rimembrar del dolce riso +la mente mia da me medesmo scema. + +Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso +in questa vita, infino a questa vista, +non m’è il seguire al mio cantar preciso; + +ma or convien che mio seguir desista +più dietro a sua bellezza, poetando, +come a l’ultimo suo ciascuno artista. + +Cotal qual io lascio a maggior bando +che quel de la mia tuba, che deduce +l’ardüa sua matera terminando, + +con atto e voce di spedito duce +ricominciò: «Noi siamo usciti fore +del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: + +luce intellettüal, piena d’amore; +amor di vero ben, pien di letizia; +letizia che trascende ogne dolzore. + +Qui vederai l’una e l’altra milizia +di paradiso, e l’una in quelli aspetti +che tu vedrai a l’ultima giustizia». + +Come sùbito lampo che discetti +li spiriti visivi, sì che priva +da l’atto l’occhio di più forti obietti, + +così mi circunfulse luce viva, +e lasciommi fasciato di tal velo +del suo fulgor, che nulla m’appariva. + +«Sempre l’amor che queta questo cielo +accoglie in sé con sì fatta salute, +per far disposto a sua fiamma il candelo». + +Non fur più tosto dentro a me venute +queste parole brievi, ch’io compresi +me sormontar di sopr’ a mia virtute; + +e di novella vista mi raccesi +tale, che nulla luce è tanto mera, +che li occhi miei non si fosser difesi; + +e vidi lume in forma di rivera +fulvido di fulgore, intra due rive +dipinte di mirabil primavera. + +Di tal fiumana uscian faville vive, +e d’ogne parte si mettien ne’ fiori, +quasi rubin che oro circunscrive; + +poi, come inebrïate da li odori, +riprofondavan sé nel miro gurge, +e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. + +«L’alto disio che mo t’infiamma e urge, +d’aver notizia di ciò che tu vei, +tanto mi piace più quanto più turge; + +ma di quest’ acqua convien che tu bei +prima che tanta sete in te si sazi»: +così mi disse il sol de li occhi miei. + +Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi +ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe +son di lor vero umbriferi prefazi. + +Non che da sé sian queste cose acerbe; +ma è difetto da la parte tua, +che non hai viste ancor tanto superbe». + +Non è fantin che sì sùbito rua +col volto verso il latte, se si svegli +molto tardato da l’usanza sua, + +come fec’ io, per far migliori spegli +ancor de li occhi, chinandomi a l’onda +che si deriva perché vi s’immegli; + +e sì come di lei bevve la gronda +de le palpebre mie, così mi parve +di sua lunghezza divenuta tonda. + +Poi, come gente stata sotto larve, +che pare altro che prima, se si sveste +la sembianza non süa in che disparve, + +così mi si cambiaro in maggior feste +li fiori e le faville, sì ch’io vidi +ambo le corti del ciel manifeste. + +O isplendor di Dio, per cu’ io vidi +l’alto trïunfo del regno verace, +dammi virtù a dir com’ ïo il vidi! + +Lume è là sù che visibile face +lo creatore a quella creatura +che solo in lui vedere ha la sua pace. + +E’ si distende in circular figura, +in tanto che la sua circunferenza +sarebbe al sol troppo larga cintura. + +Fassi di raggio tutta sua parvenza +reflesso al sommo del mobile primo, +che prende quindi vivere e potenza. + +E come clivo in acqua di suo imo +si specchia, quasi per vedersi addorno, +quando è nel verde e ne’ fioretti opimo, + +sì, soprastando al lume intorno intorno, +vidi specchiarsi in più di mille soglie +quanto di noi là sù fatto ha ritorno. + +E se l’infimo grado in sé raccoglie +sì grande lume, quanta è la larghezza +di questa rosa ne l’estreme foglie! + +La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza +non si smarriva, ma tutto prendeva +il quanto e ’l quale di quella allegrezza. + +Presso e lontano, lì, né pon né leva: +ché dove Dio sanza mezzo governa, +la legge natural nulla rileva. + +Nel giallo de la rosa sempiterna, +che si digrada e dilata e redole +odor di lode al sol che sempre verna, + +qual è colui che tace e dicer vole, +mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira +quanto è ’l convento de le bianche stole! + +Vedi nostra città quant’ ella gira; +vedi li nostri scanni sì ripieni, +che poca gente più ci si disira. + +E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni +per la corona che già v’è sù posta, +prima che tu a queste nozze ceni, + +sederà l’alma, che fia giù agosta, +de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia +verrà in prima ch’ella sia disposta. + +La cieca cupidigia che v’ammalia +simili fatti v’ha al fantolino +che muor per fame e caccia via la balia. + +E fia prefetto nel foro divino +allora tal, che palese e coverto +non anderà con lui per un cammino. + +Ma poco poi sarà da Dio sofferto +nel santo officio; ch’el sarà detruso +là dove Simon mago è per suo merto, + +e farà quel d’Alagna intrar più giuso». + + + + +Paradiso +Canto XXXI + + +In forma dunque di candida rosa +mi si mostrava la milizia santa +che nel suo sangue Cristo fece sposa; + +ma l’altra, che volando vede e canta +la gloria di colui che la ’nnamora +e la bontà che la fece cotanta, + +sì come schiera d’ape che s’infiora +una fïata e una si ritorna +là dove suo laboro s’insapora, + +nel gran fior discendeva che s’addorna +di tante foglie, e quindi risaliva +là dove ’l süo amor sempre soggiorna. + +Le facce tutte avean di fiamma viva +e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, +che nulla neve a quel termine arriva. + +Quando scendean nel fior, di banco in banco +porgevan de la pace e de l’ardore +ch’elli acquistavan ventilando il fianco. + +Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore +di tanta moltitudine volante +impediva la vista e lo splendore: + +ché la luce divina è penetrante +per l’universo secondo ch’è degno, +sì che nulla le puote essere ostante. + +Questo sicuro e gaudïoso regno, +frequente in gente antica e in novella, +viso e amore avea tutto ad un segno. + +O trina luce che ’n unica stella +scintillando a lor vista, sì li appaga! +guarda qua giuso a la nostra procella! + +Se i barbari, venendo da tal plaga +che ciascun giorno d’Elice si cuopra, +rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, + +veggendo Roma e l’ardüa sua opra, +stupefaciensi, quando Laterano +a le cose mortali andò di sopra; + +ïo, che al divino da l’umano, +a l’etterno dal tempo era venuto, +e di Fiorenza in popol giusto e sano, + +di che stupor dovea esser compiuto! +Certo tra esso e ’l gaudio mi facea +libito non udire e starmi muto. + +E quasi peregrin che si ricrea +nel tempio del suo voto riguardando, +e spera già ridir com’ ello stea, + +su per la viva luce passeggiando, +menava ïo li occhi per li gradi, +mo sù, mo giù e mo recirculando. + +Vedëa visi a carità süadi, +d’altrui lume fregiati e di suo riso, +e atti ornati di tutte onestadi. + +La forma general di paradiso +già tutta mïo sguardo avea compresa, +in nulla parte ancor fermato fiso; + +e volgeami con voglia rïaccesa +per domandar la mia donna di cose +di che la mente mia era sospesa. + +Uno intendëa, e altro mi rispuose: +credea veder Beatrice e vidi un sene +vestito con le genti glorïose. + +Diffuso era per li occhi e per le gene +di benigna letizia, in atto pio +quale a tenero padre si convene. + +E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io. +Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro +mosse Beatrice me del loco mio; + +e se riguardi sù nel terzo giro +dal sommo grado, tu la rivedrai +nel trono che suoi merti le sortiro». + +Sanza risponder, li occhi sù levai, +e vidi lei che si facea corona +reflettendo da sé li etterni rai. + +Da quella regïon che più sù tona +occhio mortale alcun tanto non dista, +qualunque in mare più giù s’abbandona, + +quanto lì da Beatrice la mia vista; +ma nulla mi facea, ché süa effige +non discendëa a me per mezzo mista. + +«O donna in cui la mia speranza vige, +e che soffristi per la mia salute +in inferno lasciar le tue vestige, + +di tante cose quant’ i’ ho vedute, +dal tuo podere e da la tua bontate +riconosco la grazia e la virtute. + +Tu m’hai di servo tratto a libertate +per tutte quelle vie, per tutt’ i modi +che di ciò fare avei la potestate. + +La tua magnificenza in me custodi, +sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana, +piacente a te dal corpo si disnodi». + +Così orai; e quella, sì lontana +come parea, sorrise e riguardommi; +poi si tornò a l’etterna fontana. + +E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi +perfettamente», disse, «il tuo cammino, +a che priego e amor santo mandommi, + +vola con li occhi per questo giardino; +ché veder lui t’acconcerà lo sguardo +più al montar per lo raggio divino. + +E la regina del cielo, ond’ ïo ardo +tutto d’amor, ne farà ogne grazia, +però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». + +Qual è colui che forse di Croazia +viene a veder la Veronica nostra, +che per l’antica fame non sen sazia, + +ma dice nel pensier, fin che si mostra: +‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, +or fu sì fatta la sembianza vostra?’; + +tal era io mirando la vivace +carità di colui che ’n questo mondo, +contemplando, gustò di quella pace. + +«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo», +cominciò elli, «non ti sarà noto, +tenendo li occhi pur qua giù al fondo; + +ma guarda i cerchi infino al più remoto, +tanto che veggi seder la regina +cui questo regno è suddito e devoto». + +Io levai li occhi; e come da mattina +la parte orïental de l’orizzonte +soverchia quella dove ’l sol declina, + +così, quasi di valle andando a monte +con li occhi, vidi parte ne lo stremo +vincer di lume tutta l’altra fronte. + +E come quivi ove s’aspetta il temo +che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, +e quinci e quindi il lume si fa scemo, + +così quella pacifica oriafiamma +nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte +per igual modo allentava la fiamma; + +e a quel mezzo, con le penne sparte, +vid’ io più di mille angeli festanti, +ciascun distinto di fulgore e d’arte. + +Vidi a lor giochi quivi e a lor canti +ridere una bellezza, che letizia +era ne li occhi a tutti li altri santi; + +e s’io avessi in dir tanta divizia +quanta ad imaginar, non ardirei +lo minimo tentar di sua delizia. + +Bernardo, come vide li occhi miei +nel caldo suo caler fissi e attenti, +li suoi con tanto affetto volse a lei, + +che ’ miei di rimirar fé più ardenti. + + + + +Paradiso +Canto XXXII + + +Affetto al suo piacer, quel contemplante +libero officio di dottore assunse, +e cominciò queste parole sante: + +«La piaga che Maria richiuse e unse, +quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi +è colei che l’aperse e che la punse. + +Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, +siede Rachel di sotto da costei +con Bëatrice, sì come tu vedi. + +Sarra e Rebecca, Iudìt e colei +che fu bisava al cantor che per doglia +del fallo disse ‘Miserere mei’, + +puoi tu veder così di soglia in soglia +giù digradar, com’ io ch’a proprio nome +vo per la rosa giù di foglia in foglia. + +E dal settimo grado in giù, sì come +infino ad esso, succedono Ebree, +dirimendo del fior tutte le chiome; + +perché, secondo lo sguardo che fée +la fede in Cristo, queste sono il muro +a che si parton le sacre scalee. + +Da questa parte onde ’l fiore è maturo +di tutte le sue foglie, sono assisi +quei che credettero in Cristo venturo; + +da l’altra parte onde sono intercisi +di vòti i semicirculi, si stanno +quei ch’a Cristo venuto ebber li visi. + +E come quinci il glorïoso scanno +de la donna del cielo e li altri scanni +di sotto lui cotanta cerna fanno, + +così di contra quel del gran Giovanni, +che sempre santo ’l diserto e ’l martiro +sofferse, e poi l’inferno da due anni; + +e sotto lui così cerner sortiro +Francesco, Benedetto e Augustino +e altri fin qua giù di giro in giro. + +Or mira l’alto proveder divino: +ché l’uno e l’altro aspetto de la fede +igualmente empierà questo giardino. + +E sappi che dal grado in giù che fiede +a mezzo il tratto le due discrezioni, +per nullo proprio merito si siede, + +ma per l’altrui, con certe condizioni: +ché tutti questi son spiriti ascolti +prima ch’avesser vere elezïoni. + +Ben te ne puoi accorger per li volti +e anche per le voci püerili, +se tu li guardi bene e se li ascolti. + +Or dubbi tu e dubitando sili; +ma io discioglierò ’l forte legame +in che ti stringon li pensier sottili. + +Dentro a l’ampiezza di questo reame +casüal punto non puote aver sito, +se non come tristizia o sete o fame: + +ché per etterna legge è stabilito +quantunque vedi, sì che giustamente +ci si risponde da l’anello al dito; + +e però questa festinata gente +a vera vita non è sine causa +intra sé qui più e meno eccellente. + +Lo rege per cui questo regno pausa +in tanto amore e in tanto diletto, +che nulla volontà è di più ausa, + +le menti tutte nel suo lieto aspetto +creando, a suo piacer di grazia dota +diversamente; e qui basti l’effetto. + +E ciò espresso e chiaro vi si nota +ne la Scrittura santa in quei gemelli +che ne la madre ebber l’ira commota. + +Però, secondo il color d’i capelli, +di cotal grazia l’altissimo lume +degnamente convien che s’incappelli. + +Dunque, sanza mercé di lor costume, +locati son per gradi differenti, +sol differendo nel primiero acume. + +Bastavasi ne’ secoli recenti +con l’innocenza, per aver salute, +solamente la fede d’i parenti; + +poi che le prime etadi fuor compiute, +convenne ai maschi a l’innocenti penne +per circuncidere acquistar virtute; + +ma poi che ’l tempo de la grazia venne, +sanza battesmo perfetto di Cristo +tale innocenza là giù si ritenne. + +Riguarda omai ne la faccia che a Cristo +più si somiglia, ché la sua chiarezza +sola ti può disporre a veder Cristo». + +Io vidi sopra lei tanta allegrezza +piover, portata ne le menti sante +create a trasvolar per quella altezza, + +che quantunque io avea visto davante, +di tanta ammirazion non mi sospese, +né mi mostrò di Dio tanto sembiante; + +e quello amor che primo lì discese, +cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’, +dinanzi a lei le sue ali distese. + +Rispuose a la divina cantilena +da tutte parti la beata corte, +sì ch’ogne vista sen fé più serena. + +«O santo padre, che per me comporte +l’esser qua giù, lasciando il dolce loco +nel qual tu siedi per etterna sorte, + +qual è quell’ angel che con tanto gioco +guarda ne li occhi la nostra regina, +innamorato sì che par di foco?». + +Così ricorsi ancora a la dottrina +di colui ch’abbelliva di Maria, +come del sole stella mattutina. + +Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria +quant’ esser puote in angelo e in alma, +tutta è in lui; e sì volem che sia, + +perch’ elli è quelli che portò la palma +giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio +carcar si volse de la nostra salma. + +Ma vieni omai con li occhi sì com’ io +andrò parlando, e nota i gran patrici +di questo imperio giustissimo e pio. + +Quei due che seggon là sù più felici +per esser propinquissimi ad Agusta, +son d’esta rosa quasi due radici: + +colui che da sinistra le s’aggiusta +è il padre per lo cui ardito gusto +l’umana specie tanto amaro gusta; + +dal destro vedi quel padre vetusto +di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi +raccomandò di questo fior venusto. + +E quei che vide tutti i tempi gravi, +pria che morisse, de la bella sposa +che s’acquistò con la lancia e coi clavi, + +siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa +quel duca sotto cui visse di manna +la gente ingrata, mobile e retrosa. + +Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, +tanto contenta di mirar sua figlia, +che non move occhio per cantare osanna; + +e contro al maggior padre di famiglia +siede Lucia, che mosse la tua donna +quando chinavi, a rovinar, le ciglia. + +Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna, +qui farem punto, come buon sartore +che com’ elli ha del panno fa la gonna; + +e drizzeremo li occhi al primo amore, +sì che, guardando verso lui, penètri +quant’ è possibil per lo suo fulgore. + +Veramente, ne forse tu t’arretri +movendo l’ali tue, credendo oltrarti, +orando grazia conven che s’impetri + +grazia da quella che puote aiutarti; +e tu mi seguirai con l’affezione, +sì che dal dicer mio lo cor non parti». + +E cominciò questa santa orazione: + + + + +Paradiso +Canto XXXIII + + +«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, +umile e alta più che creatura, +termine fisso d’etterno consiglio, + +tu se’ colei che l’umana natura +nobilitasti sì, che ’l suo fattore +non disdegnò di farsi sua fattura. + +Nel ventre tuo si raccese l’amore, +per lo cui caldo ne l’etterna pace +così è germinato questo fiore. + +Qui se’ a noi meridïana face +di caritate, e giuso, intra ’ mortali, +se’ di speranza fontana vivace. + +Donna, se’ tanto grande e tanto vali, +che qual vuol grazia e a te non ricorre, +sua disïanza vuol volar sanz’ ali. + +La tua benignità non pur soccorre +a chi domanda, ma molte fïate +liberamente al dimandar precorre. + +In te misericordia, in te pietate, +in te magnificenza, in te s’aduna +quantunque in creatura è di bontate. + +Or questi, che da l’infima lacuna +de l’universo infin qui ha vedute +le vite spiritali ad una ad una, + +supplica a te, per grazia, di virtute +tanto, che possa con li occhi levarsi +più alto verso l’ultima salute. + +E io, che mai per mio veder non arsi +più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi +ti porgo, e priego che non sieno scarsi, + +perché tu ogne nube li disleghi +di sua mortalità co’ prieghi tuoi, +sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. + +Ancor ti priego, regina, che puoi +ciò che tu vuoli, che conservi sani, +dopo tanto veder, li affetti suoi. + +Vinca tua guardia i movimenti umani: +vedi Beatrice con quanti beati +per li miei prieghi ti chiudon le mani!». + +Li occhi da Dio diletti e venerati, +fissi ne l’orator, ne dimostraro +quanto i devoti prieghi le son grati; + +indi a l’etterno lume s’addrizzaro, +nel qual non si dee creder che s’invii +per creatura l’occhio tanto chiaro. + +E io ch’al fine di tutt’ i disii +appropinquava, sì com’ io dovea, +l’ardor del desiderio in me finii. + +Bernardo m’accennava, e sorridea, +perch’ io guardassi suso; ma io era +già per me stesso tal qual ei volea: + +ché la mia vista, venendo sincera, +e più e più intrava per lo raggio +de l’alta luce che da sé è vera. + +Da quinci innanzi il mio veder fu maggio +che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, +e cede la memoria a tanto oltraggio. + +Qual è colüi che sognando vede, +che dopo ’l sogno la passione impressa +rimane, e l’altro a la mente non riede, + +cotal son io, ché quasi tutta cessa +mia visïone, e ancor mi distilla +nel core il dolce che nacque da essa. + +Così la neve al sol si disigilla; +così al vento ne le foglie levi +si perdea la sentenza di Sibilla. + +O somma luce che tanto ti levi +da’ concetti mortali, a la mia mente +ripresta un poco di quel che parevi, + +e fa la lingua mia tanto possente, +ch’una favilla sol de la tua gloria +possa lasciare a la futura gente; + +ché, per tornare alquanto a mia memoria +e per sonare un poco in questi versi, +più si conceperà di tua vittoria. + +Io credo, per l’acume ch’io soffersi +del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito, +se li occhi miei da lui fossero aversi. + +E’ mi ricorda ch’io fui più ardito +per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi +l’aspetto mio col valore infinito. + +Oh abbondante grazia ond’ io presunsi +ficcar lo viso per la luce etterna, +tanto che la veduta vi consunsi! + +Nel suo profondo vidi che s’interna, +legato con amore in un volume, +ciò che per l’universo si squaderna: + +sustanze e accidenti e lor costume +quasi conflati insieme, per tal modo +che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. + +La forma universal di questo nodo +credo ch’i’ vidi, perché più di largo, +dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. + +Un punto solo m’è maggior letargo +che venticinque secoli a la ’mpresa +che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. + +Così la mente mia, tutta sospesa, +mirava fissa, immobile e attenta, +e sempre di mirar faceasi accesa. + +A quella luce cotal si diventa, +che volgersi da lei per altro aspetto +è impossibil che mai si consenta; + +però che ’l ben, ch’è del volere obietto, +tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella +è defettivo ciò ch’è lì perfetto. + +Omai sarà più corta mia favella, +pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante +che bagni ancor la lingua a la mammella. + +Non perché più ch’un semplice sembiante +fosse nel vivo lume ch’io mirava, +che tal è sempre qual s’era davante; + +ma per la vista che s’avvalorava +in me guardando, una sola parvenza, +mutandom’ io, a me si travagliava. + +Ne la profonda e chiara sussistenza +de l’alto lume parvermi tre giri +di tre colori e d’una contenenza; + +e l’un da l’altro come iri da iri +parea reflesso, e ’l terzo parea foco +che quinci e quindi igualmente si spiri. + +Oh quanto è corto il dire e come fioco +al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, +è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. + +O luce etterna che sola in te sidi, +sola t’intendi, e da te intelletta +e intendente te ami e arridi! + +Quella circulazion che sì concetta +pareva in te come lume reflesso, +da li occhi miei alquanto circunspetta, + +dentro da sé, del suo colore stesso, +mi parve pinta de la nostra effige: +per che ’l mio viso in lei tutto era messo. + +Qual è ’l geomètra che tutto s’affige +per misurar lo cerchio, e non ritrova, +pensando, quel principio ond’ elli indige, + +tal era io a quella vista nova: +veder voleva come si convenne +l’imago al cerchio e come vi s’indova; + +ma non eran da ciò le proprie penne: +se non che la mia mente fu percossa +da un fulgore in che sua voglia venne. + +A l’alta fantasia qui mancò possa; +ma già volgeva il mio disio e ’l velle, +sì come rota ch’igualmente è mossa, + +l’amor che move il sole e l’altre stelle. + + + + +*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA DIVINA COMMEDIA *** + +***** This file should be named 999-0.txt or 999-0.zip ***** +This and all associated files of various formats will be found in: + https://www.gutenberg.org/9/9/999/ + +Updated editions will replace the previous one--the old editions will +be renamed. + +Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright +law means that no one owns a United States copyright in these works, +so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the +United States without permission and without paying copyright +royalties. 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