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If you are not located in the United States, you -will have to check the laws of the country where you are located before -using this eBook. - -Title: Il Lago di Como e il Pian d'Erba - Escursioni autunnali - -Author: Pier Ambrogio Curti - -Release Date: July 10, 2021 [eBook #65610] - -Language: Italian - -Character set encoding: UTF-8 - -Produced by: Barbara Magni - -*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN -D'ERBA *** - - P. A. CURTI - - - IL LAGO DI COMO - E - IL PIAN D’ERBA - - - ESCURSIONI AUTUNNALI - - ILLUSTRATE DA INCISIONI IN LEGNO. - - - Dal bel rapir mi sento - Che natura vi diè. - PARINI. - - - - MILANO, - PRESSO L’EDITORE GAETANO BRIGOLA - — - 1872 - - - - - TIP. BERNARDONI. - - - - -L’andare in villa, non molt’anni addietro, era di pochi, di que’ -felici soltanto che la fortuna aveva dalla nascita privilegiati, o ne’ -commerci arricchiti: ora gli è, può dirsi, dei più. - -S’è così tornati alla manía del basso tempo antico, quando noi s’era -colonia di que’ famosi prepotenti che erano i Romani. Cicerone — -tanto per nominare qualcuno d’universal conoscenza — che non era -tra i più facoltosi, nè da patrizia famiglia nato, s’era appagato -di una sua velleità e contava nientemeno che ventiquattro ville di -sua proprietà, quantunque invero non prediligesse che le sue case di -Tusculo e di Pompei; e Cajo Plinio il Giovane, quello stesso che fu -delle nostre parti, anzi della città di Como, — senza dir del suo Tusci -che egli aveva alle pendici dell’Appennino toscano, e del Laurentino -che possedeva in Romagna sul litorale del Mediterraneo fra le città -d’Ostia e di Laurento — lungo le sponde ridentissime di questo Lario, -dove sto per accompagnare il mio lettore, ne aveva due, l’una a Villa, -che denominò _Commedia_, l’altra prossima a Bellagio, che denominò -_Tragedia_. - -Io perfino, che divido le cure della vita fra le cause, i processi -criminali e le umane lettere, ma che da Cicerone e da Plinio son per -merito e ricchezza lontano quanto ci corre dal gregario al generale, -partecipe della febbre che ha i moderni invaso, mi son passata alla mia -volta la follia di una villa, piccola sì, ma a me bastevole: _parva sed -apta mihi_, come direbbe il gran lirico latino. - -La manía poi del viaggiare a solo titolo di divertimento è tutta -propria dei nostri tempi; è il portato inevitabile delle tante vie -ferrate e de’ vapori che solcano tutti i mari; i Romani l’avevan pure, -ma pel solo gusto matto di tribolar le nazioni cui portavano la guerra -e di svaligiarle interamente... - -Ma io la piglio forse soverchio da lontano, per ispiegare al mio -lettore le ragioni di questo libro, nè va bene che l’annoi sin dal -principio. - -Volevo dire adunque che da noi, in Lombardia principalmente, non c’è -caso: quando arriva l’autunno, si vuol proprio andare alla campagna; -che noi della capitale — intendo la morale — si sognan tutto l’anno -le rive del Lario o i placidi e verdeggianti colli del Pian d’Erba, e -beati se ci possiamo andare! So di chi s’acconcia a scampagnare nella -catapecchia della nutrice d’alcun suo bambolo; d’altri a condannarsi -a starsene chiusi nelle case di Milano, purchè si creda che siasi alla -campagna. - -I viaggiatori che ci visitano, non ci lasciano se prima una giornata -non abbiano passato sul lago di Como, percorrendolo su per i piroscafi -che vanno e vengono da un capo all’altro; e chi appena lo possa, -si sofferma non pochi giorni ne’ diversi e veramente confortevoli -alberghi, che si sono venuti stabilendo ne’ varî punti di queste rive -popolate di paeselli e di ville leggiadre, che incantano di sè anche -coloro che han pur visto que’ miracoli di natura che sono i golfi di -Napoli e di Genova. - -Nel Pian d’Erba, è vero, non ci vanno come noi; ma la colpa è tutta -nostra, che non siamo pur anco giunti a praticarvi strade un po’ -convenienti e, meno ancora, alberghi; perchè tali davvero non ponno -dirsi que’ che adesso se ne hanno arrogato il nome. Ma la locomotiva -non tarderà guari a prolungarsi da Seregno almeno ad Erba, e sarà -allora un’altra cosa; la Brianza superiore non sarà più certo un mito -pe’ forestieri che saranno stati nella nostra Italia, e il bisogno -d’impiantarvi adatte stazioni verrà dietro per conseguenza. - -Or bene; villeggianti e viaggiatori, nel soggiorno di questi luoghi, si -domandano bene spesso: dove si va oggi? dove domani? - -Il mio libro è la risposta. - - Milano, maggio 1872. - - [Illustrazione: Castello Baradello.] - - - - -ESCURSIONE PRIMA. - -IL BARADELLO. - - Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del - Baradello. — Un cenno geologico. — La storia del castello. — - Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo del Baradello. - — Napo della Torre. — La chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — - Villa Venini ora Castellini. — Il collegio alla Camerlata. — - Opificî industriali. — Ville Larderia, Martignoni, Prudenziana - e Carloni. - - -I. - -Non è alcuno di noi che, giungendo la prima volta in ferrovia alla -Camerlata, non appena uscito dal vagone, non abbia rivolto lo sguardo -a quella torre che sta di sopra il colle che sogguarda alla stazione, -e non sia corso a ricordare le mille storie che nell’infanzia gli -saranno state raccontate dalla nonna o dalla fante intorno ad essa, e -con certa curiosità non vi abbia per qualche istante tenuto l’occhio, -quasi a dirsi: non era dunque una panzana quella che aveva udito del -_Castell Baravell_, che così appunto nel nostro bisbetico dialetto -abbiam travisato il nome di Baradello. E siccome una volta almeno anche -l’ultimo de’ popolani s’è tolto lo spasso di visitare la città de’ -_missoltini_, — così chiamati que’ dolcissimi pesci che dà il Lario, -quando si misaltano o vengono disseccati —; così non è più adesso pel -minuto popolo nostro un mito, una favola, un alcun che di immaginoso -questo _Castell Baravell_, che ha udito le tante volte ne’ suoi giorni -d’infanzia ricordare. - -Ma siccome questo libro non è fatto unicamente per i miei concittadini, -non mi soffermerò più altro nè a ritessere quella storia della prima -fanciullezza, nè a sceverarla dalle ubbie e dalle fole immaginate -all’opportunità dalle serve o bambinaie per aver savî i lor marmocchi; -così ora toccherò al sodo ed a quel meglio che interessi. - -Sia che tu movendo da Milano percorrendo il cammin di ferro che si -ferma a Camerlata, sia che da Colico tu scenda col piroscafo per il -lago infino a Como, il castello Baradello ti si annunzia prestamente; -perocchè egli torreggi sovra il colle, o monte che meglio ti piaccia -di chiamare, il qual si eleva fuori appena la porta che riesce appunto -alla via che scorge a Camerlata e per di là a Milano. - -Questo colle, io ti consiglio di ascendere, o lettore, nella gita -che vorrai fare a Como, perocchè di là ti si parerà avanti il più -superbo panorama che si possa figurare; miracolo di cielo e d’aria, -vista di città e di paesi, di lago e di ville, di giardini e di -poggi amenissimi, di palagi e di chiese, di poveri tugurî e di -vasti stabilimenti industriali, di monti selvosi e di massi e vette -cinericcie e brulle d’Italia e di Svizzera, che gli è a pochi tratti di -distanza, ed anche di Savoja, che si fa rappresentare dal nevoso Monte -Rosa. - - -II. - -Sa ognuno di tutti noi come il monte Baradello chiuda il varco al -Milanese, e non sia vero che girando intorno ad esso si ritrovi la -strada che passa a Chiasso, primo villaggio della Svizzera italiana: -parrà strano nondimeno che a falsamente indicarlo fossero appunto -due scrittori di Como, e di quel valore che nessuno loro ricusa, -come sono Paolo Giovio, lo storico, o _storicone_, come chi il voglia -coll’Aretino corbellare[1], e Gastone Rezzonico prosatore e poeta non -degli ultimi. Scrisse il primo, parlando del Baradello: _in edito jugo -saxosae viae, quae tendit ad Helvetios_; cantò il secondo: - - minacciar dal giogo - Lo svizzero pedon che incerto move - Per l’aspro calle i faticosi passi. - -Di molto e molto si perdona al poeta, disse Orazio; è vero: ma forse -non si è disposti ad accordargli la favolosa possa di Atlante di -prendersi sulle spalle poderose un monte per piantarlo, come gli garba, -fuor del posto che gli ha assegnato madre natura. - -Perchè si chiami Baradello, io potrei dirtene più d’una, chè nulla è -più agevole che immaginare origini, etimologie: mi basterà invece di -accennare, come coloro che ne’ varî nomi di radice greca che si trovano -lungo il lago ne’ paesi — Lemna, Dorio, Nesso, Corenno, Colono, ecc. -— presumono argomentare essere qui state colonie greche, vogliano -il nome di Baradello derivare dalle voci _baris deile_ (βαρυς δειλη) -ossia torre della bass’ora o d’occidente, perchè dietro quelle giogaie -tramonti il sole; e chi invece dal celtico _Barrdell_, che significa -_monte piccolo_; e infatti è nome pur dato all’altro monte _Barr_ -presso Lecco, tra Malgrate e Oggiono — Baro —, che Plinio, copiando -Catone autore antico, non saprei con qual giudizio, pretende avesse -sul suo culmine una città denominata Barra, donde ne sarebbero venuti i -Bergamaschi e il nome della Brianza. - -Pei geologi può interessare per contrario il sapere come il colle -Baradello si costituisca di pietra arenaria, non altrimenti che sono -dell’egual roccia altre colline della provincia, e, stando agli _Atti -della società patriotica di Milano_ (Vol. III), se ne sarebbe nel -passato tratto allume e giallamina. - - -III. - -Se veniamo alla storia, cose del pari malsicure ne segnano i primordî -del castello che sovraggiudica questo monte. - -L’illustre autore della _Storia della città e diocesi di Como_, Cesare -Cantù, che, del resto, di notizie del suo lago e della Brianza ne ha -diffuse per tanti libri, nè sarà certo l’ultima volta che a lui per -esse ricorrerò, nel far cenno di questa torre quadrata che fra le -ruine grandeggia di Baradello, la trovò mentovata nel documento di -Liutprando re, che reca la data del 4 delle none d’aprile dell’anno -dell’incarnazione 800, primo del regno, indizione X, che, riferito -in nota a pagina 103 (vol. I, edizione Le Monnier), attesterebbe di -assai doni da lui largiti alla chiesa de’ santi Carpoforo e compagni -da lui fondata. Al qual proposito commenta lo storico: _Sebbene troppi -argomenti abbiamo addotti per giudicarlo, perciò vogliam fare stima che -chi lo finse avrà procurato, quanto l’ignoranza glielo permetteva, di -dargli aspetto di verità._ - -E soggiunge così le altre notizie che concernono il fabbricato: - -“L’abate Uspergense veramente ne attribuisce la fabbrica al Barbarossa; -ma può ben essere che abbia il terribile imperatore fatto risorgere -quel forte, smantellato dai Milanesi, allorchè Como distrussero. Il -castello fu abbattuto, sicchè nulla possiamo dedurre dalla sua forma: -resta una torre massiccia, ma senza porta, nè altro carattere. Chi però -ne guarda la solidità non troverà improbabile tanta antichità sua. La -tradizione aggiunge che una via sotterranea guidasse di lassù sino al -piano: fantasie applicate ad ogni castello, e nel nostro la rende meno -probabile l’immensa difficoltà! Alla torre si avrà avuto accesso per -un ballatoio a quella finestra grande che è alla metà; e le fosse, che -vogliono credere vestigia della strada segreta, saranno state cisterne -per conservar l’acqua.„ - -Dei tre castelli che fiancheggiavano la città di Como, e che erano il -Nuovo sopra San Martino, quel di Carnasino e il Baradello, è certo che -quest’ultimo fosse il meglio importante. - -L’opportunità del luogo (perocchè incomba alla città, e perchè non -occupata da sue forze e da’ suoi, la rocca le si sarebbe potuto -rivolger contro, se tenuta da nemici) non lascia dubitare che da -antichissimo, e prima ancora di re Liutprando, fosse una cittadella su -quella cima e forse una di quelle ventotto che ricorda il Giovio essere -state oppugnate in queste parti da Marcello. - -Federico Barbarossa la mise di poi in nuovo assetto, e dovea -chiudere nell’ampia sua cerchia il quartiere per la guarnigione ed -anche il palazzo ove stanziava il podestà e dove pure albergarono -quell’imperatore e la sua donna. - -Non sarebbe difficile, a chi volesse studiarvi sulle ruine, assegnar il -luogo del di lui palazzo, se esso fosse nel piano eminente, o se alle -falde: certo è dato argomentare come esso dalle munizioni traesse il -nome di _Ca-merlata_. - -E ad altro vantaggioso scopo valeva eziandio la torre del Baradello, se -vuolsi, com’io penso, aggiunger fede a quelle argute osservazioni dello -storico testè citato, e che pure è prezzo dell’opera il riportare. - -“Vi sarete accorti — scrive egli a pagina 47 del volume primo -dell’opera succitata — come i luoghi principali fossero in punto di -fortificazioni, così da resistere alla agitata fortuna. Ma poichè -ognuno per sè era troppo poco o per difendersi o per offendere, -formavano una maniera di federazione, o fosse colla città principale, -o contro di quella; ed era perciò mestieri usar qualche guisa per -comunicarsi uno all’altro i pericoli, le decisioni, le avventure. L’età -nostra adopera meravigliosi telegrafi, che colla velocità dello sguardo -tramandano a centinaia di miglia con esattezza le notizie; allora vi -si doveva supplire con grossolane maniere. Se ti fai a considerare, o -lettore, le nostre parti, vedrai delle torri sulle punte, sui poggi, -d’onde lontano possa la vista; or quelli appunto erano i posti su -cui stavano le scolte per esplorare la campagna e per ricevere e -tramandare i segni telegrafici. Accadeva un bisogno? doveasi chiamare -a parlamento, alle armi? comunicar un ordine, una notizia? Bandiere -di colore diverso e variamente sciorinate, o meglio una o più fiamme -disposte ne’ luoghi e nelle guise convenute, e replicate di vedetta in -vedetta, propagavano abbastanza rapidamente le novelle. - -“Per questo erano stabilite le torri in modo che una guardasse -l’altra. Al Baradello, se vogliamo toglierlo come centro de’ segni, -corrisponde, verso il lago, Torno, o piuttosto quel colle presso -Pognana che chiamano la Collina della Guardia; indi Argegno, oppure -la Cavagnola, che potevano comunicare alla Val Intelvi; poi Bellagio, -che da una parte alla Valassina, dall’altra al ramo di Lecco, da sera -mandava il cenno alla Val Menaggio e pel castello di Grandola al lago -di Lugano, e superiormente a Rezzonico, donde alla torre d’Olonio, -posta all’imboccatura della Valtellina. Da quella potea propagarsi -all’altra torre, che si vede ancora sopra Samolaco, donde al castel di -Gordona, feudo vescovile, ed a quel di Chiavenna; e per la Valtellina -al castello di Domosolo; e per le torri, poste principalmente sul -vertice degli angoli salienti, fino alla serra che chiudeva i risoluti -Bormini. Volgendo a nord-ovest, rispondeva al Baradello la torre -di San Nicolao a sopracapo di Mendrisio, poi forse l’erta ed amena -cima di San Salvatore, visibile a tutto il Ceresio; poi pel monte -Cenere tramandavasi il cenno a Bellinzona, al Verbano, alla _Chiusa_ -(la ciosa) dei Lombardi. Verso mezzodì era la posta a Cantù, donde -propagavasi al Milanese ed alla rôcca del Montorfano, che può a’ -lontanissimi confini della Brianza vedersi. I castelli posti tra mezzo -apprendevano le novelle di que’ principali.„ - -Il Castello di Baradello è ricordato come arnese che assai figura -nelle lotte guelfe e ghibelline del secolo decimoterzo. Sono note -le guerresche fazioni de’ Torriani e de’ Visconti. I primi, comunque -usciti dalla Valsássina della provincia di Como, pur essendo di parte -guelfa, s’erano legati a Milano con amicizia veramente larga. Avversi -essi ai nobili, ch’erano stati cacciati, ed eletti a capitani del -popolo, li combattevano con coraggio e valore, e se crudeli nelle ore -solenni della pugna, erano miti nondimeno e generosi dopo di essa; onde -la storia registrò quel che Martino della Torre ebbe a dire quando non -volle trucidare i ghibellini da lui fatti prigionieri: “Poichè non -ho potuto dar la vita, a nessuno vo’ toglierla.„ Ma espiarono tanta -generosità; soccombendo a’ Visconti nella battaglia di Desio, Napo -della Torre ed altri di sua famiglia vennero chiusi in una gabbia del -Castello Baradello, ed ivi così fieramente trattati da empir di gemiti -la valle ed a far iscrivere al Cronista: _In castro de Baradeìlo quasi -canes tractati sunt._ - - -IV. - -Sovra il colle medesimo del Baradeìlo vedesi ancora a’ dì nostri quella -chiesa, che più sopra ho menzionata, sacra a San Carpoforo, che si -vuole in paese sia stata eretta ne’ primi secoli dell’êra cristiana. -La tradizione pretende che in origine fosse tempio pagano dedicato a -Mercurio, e venisse poi convertita in chiesa cristiana e vi fossero -deposti e venerati i santi avanzi di Esanto, Cassio, Severo, Secondo, -Licinio e Carpoforo, che si dicono qui presso martirizzati per la fede, -sotto l’impero di Massimiano Erculeo. Siccome poi nella medesima chiesa -sarebbe, giusta la pia tradizione, sepolto anche Felice, pur chiamato -santo e che fu il primo vescovo di Como, così alla esistenza di tutte -queste preziose e venerate reliquie rese testimonianza una latina -lapide, che or più non sussiste, ma che letta in addietro così suonava: - - Huc veniens discat quæ corpora sancta requirat - Hoc altare tenet, sex tanto lumine splendent. - Hic sunt Carpoforus, tum Cassius, atque Secundus, - Et simul Exantus, Licinius atque Severus. - Hi spernendo viri mortem pro nomine Christi, - Nec metuendo mori, simul hic voluere reponi. - At talem numquam potuit quis cernere tumbam - Hic sanctis, sanctus locus est, multum venerandus, - Quem nullus cædat, potius sed dona rependat. - Extat et hic Felix divinis ductus habenis, - Verum divinum studuit qui dicere primum - Comi nempe bonus, primus fuit iste patronus: - In cœlis felix merito sit nomine Felix[2]. - -Il medesimo re Liutprando, che più sopra ho nominato, e il quale -restaurò questo tempio e gli fe’, come già dissi, molti doni, vuolsi vi -facesse da Roma trasferire eziandio i corpi de’ santi Giacinto e Proto. - -Mette conto a chi ha asceso il Baradello il visitare questi -interessanti avanzi. Si conserva tuttavia l’abside rotonda, la torre -del campanile quadrata, la confessione sotto l’altare, o _scurolo_, -come si direbbe dal volgo, od altrimenti cripta. All’altare poi si -ascende per due laterali gradinate. - - -V. - -Ora il Baradello non è più calpesto da militi catafratti, ma percorso -da allegre villanelle e da operosi contadini, perciocchè sia tutto -ricinto di fertili colli e vi si scorgano signorili ville. A fianco -della suddescritta chiesa di S. Carpoforo sorge la villa de’ signori -Venini, ora acquistata dal signor Castellini che ha un suo florido -collegio di maschile educazione a Camerlata. Non più l’_all’erta_ -delle scolte parte dall’ampia torre, ma la canzone rustica di chi vi -alberga si diffonde da quelle coltivate alture; non armi accolgonsi, -ma istrumenti di agricoltura; ed alla bassa Camerlata non fortilizî -più si ritrovano, ma gli edifizî operosi della ferrovia; e più in giù, -nella vallata, alla destra di Como, opificî industriali; e al piede -del colle, verso Garzola, la magnifica villa Larderia, ricca di acque -che le scaturigini del monte le somministrano; poi quelle altre de’ -Martignoni, della Prudenziana e del dottor Carboni. Così ai frequenti -gridi di guerra che per quelle vaghe pendici s’udivano ripercossi -dagli echi de’ monti circostanti, è succeduto il sibilo prolungato ed -acuto, ma pacifico, della locomotiva che annunzia l’arrivo o che saluta -la partenza di tanti e quotidiani viaggiatori; alle agitazioni delle -fazioni e alle intestine discordie tennero dietro le tranquille cure -e i riposi, a’ quali questi beati recessi, privilegiati da natura, -sembrano unicamente destinati. - - [Illustrazione: Monte Generoso.] - - - - -ESCURSIONE SECONDA. - -IL GENEROSO. - - La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di S. - Abbondio. — Il Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo Volta. - — Chiasso. — Il Crotto e le _polpette_ della Giovannina. — - L’_Albergo di Mendrisio_. — Dottore e albergatore. — Il Monte - Generoso. — Salita. — L’albergo del dottor Pasta. — La cura - dell’aria. — Geologia, flora e fauna. — Il dottor Pasta. — - L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il Dosso-Bello. - — La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di Mendrisio. - — La Cantina di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo Vela. — - Ligornetto. — Le cave di Arzo. — Le acque solforose di Stabio. - — San Pietro di Castello. — Romanzo storico. - - -I. - -Discesi dalla facile e coltivata eminenza del Baradello, non s’aspetti -il lettore ch’io lo conduca subitamente al lago e quivi il tragga al -piroscafo che fumiga, ardente della sua corsa quotidiana a Colico, o -il faccia entrare nel burchiello, come vorrebbe il navicellaio, che -ci sollecita, il berretto nell’una e la catena della barca nell’altra -mano. - -Como ha ben altro ad intrattenerlo per un giorno, e anche più, quando -ami le cose veder per bene, non già solo per la futile soddisfazione di -poter dire: “ho visto.„ - -Fuor le mura avrà a vedere la chiesa di S. Fedele e la vicina fabbrica -di macchine idrauliche del Regazzoni; la basilica di Sant’Abbondio, -contemporanea a quella di S. Carpoforo, che ha già visitata sul -Baradello, e che servì di cattedrale insino al 1013, in cui il vescovo -Alberico v’ebbe a collocare i monaci retti dalla regola di S. Benedetto -e la cattedrale aprì in città nel Duomo attuale, che pur interessa -di visitare, come uno dei più insigni monumenti architettonici di -Lombardia, autore Lorenzo degli Spazzi di Valtellina, compiuto poi -da Tomaso Rodari di Maroggia, del quale son forse le due porticine -dei fianchi, di squisitissimo lavoro. Ammirerà in esso diversi buoni -quadri, fra cui il Natale di Gesù; l’Adorazione dei Magi; i santi -Cristoforo e Sebastiano e lo stupendo S. Girolamo di Bernardino Luini; -lo Sposalizio di Maria e la Fuga in Egitto di Gaudenzio Ferrari. -Nè lasci di dare uno sguardo al Pretorio, che sta a lato del Duomo; -al santuario del Crocifisso, per la fama che vi chiama a migliaja i -divoti; al Liceo, dove è interessante il gabinetto di fisica, in cui -si trovano macchine che servirono a quel sovrano intelletto scopritore -della pila, ad Alessandro Volta vuo’ dire, al quale nella piazzetta -prossima al lago venne eretta una statua, mediocre opera di Pompeo -Marchesi; al Teatro, architettato dal Cusi, ampliato dal Ruspini e co’ -bei dipinti del Pagliano e dello Speluzzi. Veda anche il Camposanto, -architettato dal Tatti, e in cui si chiudono lodevoli monumenti, fra -cui uno lodatissimo d’Antonio Tantardini di Milano. - -Il ricapito poi per l’intera giornata e per quanto ti avverrà di -passare in Como, non andrai errato ad eleggerlo all’albergo Volta che, -in riva al lago, sta presso al luogo d’imbarcazione sui piroscafi. -Ammodernato, vi si introdussero tutte le lautezze d’un albergo di -prim’ordine, e il forestiero di qualunque nazione e di qualunque più -elevata condizione non può che trovarsi a suo bell’agio. - -Era indispensabile codesta indicazione; il lasciarla sarebbe stata -mancanza verso il lettore, ingiustizia verso chi ha dotato Como di uno -stabilimento, senza cui avevasi ragione, scesi appena dalla Camerlata, -difilarsi pari pari al vapore, per ire in traccia d’albergo o alla -Regina d’Inghilterra presso Cernobbio, o alla Cadenabbia, o a Bellagio -od a Menaggio. - - -II. - -Una passeggiata conviene ora che facciamo insieme, la quale avrei -volontieri riservata, per procedere ordinatamente, allorchè giunti a -mezzo del lago, che or misuro da Como a Bellagio, ci sarebbe occorso di -scendere dalla barca o dal vapore ad Argegno, per metterci dentro la -Valle Intelvi. Ma siccome non intendo di abusare delle gambe del mio -lettore, nè farlo inerpicare di troppo su per le balze di San Fedele, -così per giungere all’egual meta, approfittando delle mutate condizioni -politiche che ricondussero fra noi e i nostri vicini della Svizzera -le migliori relazioni d’amicizia, perchè già della medesima famiglia, -onde non sia più mestieri ricorrere a passaporti o ad altri documenti -personali, usciamo di Como, montiamo adagiati in carrozza il facile -pendio dell’Olimpino, varchiamo il confine italiano, e, oltrepassato -Chiasso... - -Ma no; prima di oltrepassarlo, d’una promessa ho a sdebitarmi. - -Chiasso era dapprima una borgata, che sembrava fatta apposta per -beneficio di noi Lombardi, che volevamo sdrucciolar fuori dalle mani -de’ nostri passati dominatori, quando, per un capriccio di poliziotto, -per un sospetto generato da cattiva digestione del direttore di polizia -di Milano, ci volevano agguantare. Al di là de’ pilastrini che per -mezzo di una trave abbarrano il confine, Chiasso si distende, per mezzo -diviso dalla strada che conduce a Capolago ed a Lugano, fiancheggiato -da erbosi colli e da montagne popolate da paeselli e casolari, come -_branco di pecore pascenti_[3], direbbe il nostro Manzoni. Ora Chiasso -ha bel rilievo da una nascente fabbrica di tabacchi, che prepara sì -eccellenti cigari, da sembrare che lo faccia espressamente a rendere -ancora più insopportabili quelli che a noi dà la Regía; ha un albergo; -e per noi, che non abbiamo l’agio di soggiornarvi, ha il _Crotto della -Giovannina_, deliziosissimo _chalet_, d’architettura svizzera, che -il mio ottimo ed ospitale amico, il colonnello federale Costantino -Bernasconi, ha fabbricato, ma che alla barba sua prese il nome dalla -sua conduttrice, e che io raccomando a chi transita per Chiasso, -non a’ gaudenti della vicina Como, che già vi corrono la domenica a -chiedere le _polpette della Giovannina_, rese celebri oramai, e che -farebbero venire l’acquolina... no, volevo dire l’absinzio in bocca -al chiarissimo autore della _Giovinezza di Giulio Cesare_, perchè _di -color mogano_, com’ei le brama. - -La promessa era appunto quella di segnalare questo simpatico recesso, -a pochi passi dal paese, lungo l’acqua della Falopia che scorre in -sottil vena, protetto dall’ombra di superbi tigli, fatto più bello e -più fresco da una cascata pittoresca, e più ricerco pel suo vino di -Chambery che vi si beve. Non dimenticherò l’ora che vi ho passata, nè -il ballo della sera, dove al suono dell’organetto, uomini e donne di -tutte le condizioni repubblicanamente ballonzolavano e si turbinavano -in certe polke e in certi waltzer, che direbbonsi impossibili, se -veduti non li avessi. Vidi colà l’elegante dalla cravatta bianca -irreprensibile e il contrabbandiere in manica di camicia rimboccata -all’insù del gomito, la guardia di finanza italiana e lo svizzero -carabiniere, l’impiegato e il contadino, l’operaja e la sguajata -manutengola del frodo; una baraonda, insomma, vispa, matta e rumorosa -da comunicarvi, anche vostro malgrado, il buon umore e l’allegria. - - -III. - -Dopo ciò, tiriamo dritto. - -Passiamo Balerna, villa un dì del vescovo di Como, rivendicata ora dal -Comune, e arrestiamoci in Mendrisio all’albergo che dal paese assunse -il nome d’_Albergo di Mendrisio_, del signor Bernardino Pasta, che, -prima d’essere albergatore fu un egregio pittor di genere, le opere del -quale andavan spesso assai lodate alle esposizioni di belle arti nel -palazzo di Brera a Milano. Sono quivi le pazienti cavalcature che ci -devono condurre sul Generoso; perocchè non abbia detto ancora che lo -scopo della nostra passeggiata è l’ascesa al Generoso. - -E sarà bene che ci informiamo dapprima se l’albergo che sta sopra a -questo monte abbia ancora qualche camera in libertà; perchè avvenga -non di rado che inglesi e americani, tedeschi e francesi, italiani e -svizzeri, tanto in numero vi si trovino, da non lasciarvi uno de’ cento -e più letti che vi stanno; e in tal caso il signor Pasta Bernardino -di Mendrisio, fratello al dottor Carlo Pasta, ch’è l’albergatore del -Generoso, vi potrà allora ospitare degnamente; perocchè vi abbia adesso -allestito il proprio albergo di tutti i conforti della vita. - -Ad ogni modo, salvo a ridirne nel ritorno dal Generoso, noi possiamo -farvi qui l’asciolvere nostro, mentre staccansi gli asini ed i muli -dalla greppia e vi s’adattano le selle per le signore, e troveremo il -nostro conto. La via ne richiamerà almen due ore; l’aria del monte ne -renderà acuto l’appetito; sarà bene pertanto seguire il mio avviso. - -Intanto che facciamo onore alla buona colazione che ci dà il signor -Pasta, discorriamo un po’ del Generoso, che dovremo ascendere fra -breve. - -Esso è il monte più alto di quel gruppo delle Prealpi che sorge fra -le valli di Mendrisio e d’Intelvi, e De Welden ne misurò l’altezza -barometrica della punta meridionale fino a metri 1740, e il ticinese -Lavezzari quella della punta settentrionale fino a metri 1733 sopra il -livello del mare[4]. Vien chiamato eziandio Mendrisone e Calvagione, -con quest’ultimo nome venendo designato da’ valligiani del versante -lombardo; ed appartiene tanto alla Svizzera italiana che alla nostra -Lombardia, perchè appunto pria di giungere sulla vetta sta la pietra -che divide i due territorj. Ma siccome a noi insegnano gli statistici -che nel dire de’ confini d’un paese, non si abbadi a que’ limiti -temporanei che può imporre la politica contingente, così certo non andò -lontano dal vero chi il Monte Generoso, per la maraviglia del panorama -di cui dispone da’ suoi culmini, ebbe a chiamarlo il Righi lombardo, a -simiglianza di quello svizzero, che ergesi al di sopra di Zurigo, dove, -malgrado la sua antica celebrità e la vista de’ sottoposti laghi di -Zug, dei Quattro Cantoni, di Loverz e di Sempach, e de’ monti elvetici, -non ha però l’ampiezza dell’orizzonte e la serenità del Generoso, -ricinto non da brulle roccie, ma da monti coperti di verzura e di -fiori, e sorridente alle acque del Lario e del Ceresio che si vedono -scorrergli ai piedi, e più lontano a quelle del lago di Varese coi -vicini laghetti di Biandronno, di Monate, di Comabbio e di Muzzano, e -più lontano ancora a quelle del Verbano. - - -IV. - -Ma le nostre cavalcature scalpitano, le nostre guide attendono: -affrettiamoci. Quando discenderemo domani, occuperemo la giornata nel -visitare gli interessanti dintorni del piano. - -La via che scegliamo è la migliore. Se non abbiamo aspettato ad andare -sul Generoso dalla parte di Vall’Intelvi, a causa del cammino dirupato, -mai più non ci vorremmo noi avventurare per l’erta e non meno difficile -via di Maroggio sul lago di Lugano e che passa per Rovio. Pigliamo -adunque questa stradicciuola che ci scorge a Salorino: sarà la più -facile, la più amena. - -Breve è il tratto che riesce a quel montano paesello, e presto -lasciatolo addietro, s’entra in una valle e quindi in boschi di -castagni e faggi, poi si traversano praterie, si rasentano burroni, si -aprono prospettive mirabili ed incantevoli: dappertutto si svolgono -quadri d’una natura agreste, ma piena di poesia, onde legittima è -l’estasi degli artisti, che ad ogni istante vi rinvengono _trovate_ e -soggetti a studî ed a schizzi. A quando ridente, a quando severa, sia -che si presentino verdi tappeti smaltati di fiori, sia che si parino -avanti roccie ed abissi, la via riesce ognora interessante, ed è -appena se dal tumulto degli affetti che vi tenzonano nell’anima, tutta -occupata dalle più svariate sensazioni, ora liete or melanconiche, e se -dalle or sublimi ed or terrene imagini, che vi avvicendano il sorriso -e la volontà del piangere, l’inno e l’anacreontica, vi richiama il -tintinnío della campanella del vostro ronzino, o l’inciampar di esso in -qualche ciottolo importuno. - -Non temere, gentile compagna della nostra peregrinazione; nessun -pericolo si presenta lungo tutta la via; affidati secura alla robusta -guida che fiancheggia la tua comoda cavalcatura, e tutta e interamente -godi del nuovo spettacolo che ti si offre davanti. - -Ma il filo telegrafico che d’un tratto si vede, ti invita a seguirne -il corso e presto ti fa scorgere primi i fumajuoli, che mandando -dalle loro gole colonne di fumo, avvertono che la meta è vicina, che -l’abitato è imminente. - -Ecco, l’albergo si affaccia finalmente; ecco.... lo vedi in tutta la -sua estensione. Tanta grandiosità ti fa maravigliato e corri subito -a pensare quanto ardimento sia stato quello di chi osò escogitarlo a -tanta altezza, poichè siamo a 1209 metri sul livello del mare[5], e -quanta fede abbia egli avuto nella sua impresa da avventurare tanta -fortuna. - -Questo coraggioso fu il signor Carlo Pasta. - - -V. - -Vorrei descrivere l’albergo magnifico a cui siamo arrivati; ma prima -ne reclama l’attenzione nostra la persona del suo proprietario. Egli -è venuto incontro a riceverci del miglior garbo possibile; è di lui -dunque che prima dobbiamo intrattenerci. - -Il signor Carlo Pasta non è soltanto albergatore: egli è il dottor -Pasta. Non è quindi a cercarsi se in lui l’idea di rizzare questo -magnifico stabilimento sia stata pullulata dall’interesse unicamente: -egli, se da esso fosse stato mosso soltanto, non l’avrebbe osato; -vorrei dire di più, sarebbe stato temerario. Medico dotto, egli -vagheggiò la sua impresa anche a beneficio di chi vorrebbe poi -ricercare il ristauramento della salute alla salubrità dell’aere. Sì, -quassù sul Generoso non si viene per cure termali; il buon dottore -lascia che le acque di queste balze scendano pei due versanti e si -gittino per una parte nel Lario, per l’altra nel Ceresio; la cura -ch’egli vi offre è quella dell’aria, ed è la meno incomoda, la meno -dispendiosa, la più certa. Qui si allargano i polmoni che la bevono, -si rinnova l’appetito, si rintegrano le forze, si alleggerisce dalle -cure lo spirito, e si discende poi con tanto tesoro di salute e di buon -umore da sfidare e le umide brume della bassa e il cumulo, non meno -infesto, delle cure cittadine. - -Lettore, se a te sono aperte le discipline delle scienze naturali, -il tuo cammino può fornirti inoltre larga materia ad osservazioni e -studî. Le condizioni geologiche delle roccie e l’abbondanza dei fossili -possono esercitare assai spesso il tuo martello, se geologo; come la -ricchissima flora ad ogni momento può arricchire la tua raccolta, se -botanico. - -La natura delle roccie è la calcarea grigia basica dell’êra giurassica; -più in su per altro si incontrano banchi estesi stratificati di calcare -rosso ammonitico, e più in su ancora altri banchi di un calcare bianco, -più comunemente detto majolica, atto a mutarsi in calce eccellente. -Sulle vette del Generoso, nella roccia di calcare fosco si scoprirono -conchiglie, _spirifere, terebratule_ e _pentacriniti_, e nel calcare -rosso molte specie di ammoniti. - -Se poi si voglia erborizzare, verrà in copia sotto mano l’aconito, -l’arnica, la genziana, la belladonna, l’assenzio, i rododendri, le -rose, gli anemoni, le primule soavi, i ranuncoli, le achillee, le -sassifraghe, le cinerarie, i candidi asfodeli, il nero veratro, le -dafni alpine, le rute, le peonie, le silene, le betulle, le orchidee, -i crisantemi corimbosi, e cento altre specie di piante, che io non -saprei enumerare, ma delle quali il dotto Lavizzari ha tenuto esatto -conto colla nomenclatura di Linneo e d’altri botanici[6]. Tutti però, -anche al nostro occhio profano, col loro abito roseo o cilestro, giallo -oppur bianco, violaceo o nero, fra tappeti di verzura e con tutte le -gradazioni dell’iride, cospirano a smaltarci il cammino, a rallegrarci -la vista, a profumarci l’aere, a compiere l’incanto di sì diverse -scene. Fra’ cespugli s’ode il zirlare del tordo, su per gli alberi -il gorgheggiare dell’usignuolo e il trillar della capinera; mentre -dai greppi inaccessibili modulano i loro canti il passero solitario -e il codirosso, e lontano lontano s’ode l’intermittente suono delle -campanelle delle mandre pascolanti sulla montagna. - -A tutto ciò aggiungi l’azzurra vôlta de’ cieli, limpida e pura come -tra’ monti, il bacio dell’aure che ti refrigerano e fanno stormir -le frondi, le liste argentee dei laghi che ti vengono poco a poco -apparendo, mano mano che salendo domini l’orizzonte, e ti scompajono -quindi dietro un colle, per ricomparirti dipoi più estesi. - -Io vi consiglio adunque la cura dell’aria del Generoso per una ventina -di giorni almeno. Dai primi di maggio a tutto settembre lo stabilimento -del dottor Pasta è a vostra disposizione; con riserva, io credo, che -lo sia tutto l’anno, quando la ragione e la moda pe’ viaggiatori vi -trarranno non interrotto concorso, e una via di ferro, come ho udito -dirsi che intendasi di fare, ne agevolerà la salita. - -Questo brav’uomo del dottor Pasta diventa ben presto l’amico e il -consigliero de’ suoi ospiti. Di gentili e aperte maniere, colto non -solo ma dotto, voi vivete tranquilli anche sul più leggiero incomodo -di salute. Tutto ciò costituisce il segreto che attira tanto concorso -a quest’albergo, sì che non valse a rattenere in Mendrisio più d’un -Inglese, cui fu dall’alto telegrafato essere tutte occupate le camere -dell’albergo e i più che cento suoi letti. - -Stretta la mano al simpatico albergatore, sul piazzale stesso che sta -davanti all’albergo, malgrado che la salita vi abbia per avventura -un po’ affaticati, pure non potete a meno di rivolgervi a scorrere -d’un’occhiata tutt’all’intorno il superbo e pittoresco orizzonte che vi -si schiera davanti. - -Ma esso vi basti per ora: di quell’orizzonte, ed anche di meglio, -ci occuperemo nella gita che faremo sulla vetta di questo monte; ora -piuttosto uno sguardo all’edificio. - -La sua ortografia non presenta a primo aspetto eleganza di linee -architettoniche; ma in compenso il suo disegno è pieno di armonia e -severo. Sorge a tre piani da un terrazzo, entro il quale sono praticati -sotterranei, dove è la cucina, la panatteria ed altri locali di -servizio. Dalla parte opposta al piazzale d’ingresso ve ne ha un altro -con giardino, e da dove l’occhio si spazia lungo il piano lombardo, -giù per la china della valle del Po. Quivi è collocato un telescopio -inglese, intorno al quale sono sempre i numerosi ospiti in traccia del -più diletto punto di vista. Le città, le grosse borgate, le migliaja -di villaggi, i santuari co’ loro acuminati campanili, le ferrovie, le -lunghe linee delle più vaste strade e quelle de’ fiumi, e i bacini de’ -laghi coi fumiganti piroscafi che li solcano, sono disseminati nel più -stupendo panorama. - -Entrati nell’albergo, tutto ammirar dobbiamo distribuito colla migliore -intelligenza. V’è una vasta sala da pranzo, dove tutti i numerosi -ospiti convengono all’ora indetta per la _table d’hôte_; una per la -lettura, e vi stanno libri e giornali d’ogni nazione; un’altra assai -ben intesa pel bigliardo; e tutte adorne di bei quadri e di specchi e -addobbate con semplicità ed eleganza. - -I tre piani superiori hanno ognuno una propria sala comune di -ricevimento e numerose camere con eleganti suppellettili ed assai -soffici letti. - -Ho già detto più sopra che i _comforts_ di questo stabilimento -sono completati da un servizio telegrafico: la posta poi vi giunge -quotidiana colle lettere e coi giornali. - -Se si chiede poi quale il trattamento, la risposta si riassume in una -parola: squisito. La cucina vi è ottima e scelta; latte, burro e miele -freschissimi sempre e saporitissimi, quali possono fornire l’erbe -aromatiche e i fiori della montagna onde si nutrono mandre ed alveari; -e dopo tutto, la vostra borsa non si spaventi: i prezzi vi sono -moderatissimi. - -L’albergo, insomma, è accessibile a tutti, ed è già molto che in -mezzo a tanta letizia non si cacci il roditore pensiero che poi vi si -abbia a far iscontare in danaro gli splendidi orizzonti, le poetiche -passeggiate e il sottile e salutare aere bevuto. - - -VI. - -Cominciamo ora le nostre escursioni, poichè ci siamo riposati e -rifocillati col copioso pranzo. Come, chiederete voi, ora che il sole -tramonta? - -— Precisamente perchè il sole tramonta. - -Entriamo in questo sentiero quasi orizzontale che fiancheggia l’albergo -e guida in dieci minuti alla spianata dal lato occidentale del monte. - -Qui esso declina, qui sotto scintilla l’onda del lago di Lugano, -ripercossa dai raggi del sole che piega al tramonto. - -La scena è stupenda che ti si distende davanti. Nuvoletti frangiati -d’oro o porporini vagano là sul confine dell’orizzonte, dove il Rosa lo -chiude colle sue cime candide di neve; lunghe strisce del color della -viola in altre parti listano il firmamento; il rancio del lembo estremo -si muterà fra breve nel rosso di fuoco, onde sembra che il - - Ministro maggior della natura - -pria di calar dietro i monti, ne baci d’un ardente bacio i culmini più -sublimi. - -Voi riguardate a quel solenne occaso, nel silenzio religioso -di quell’ora; e dalla valle sottoposta, dove l’ombre giganti si -distendono, sorge e viene insino a voi la squilla vespertina del -villaggio che saluta il dì che muore. - -La brezza aleggia più sollecita e viva... - -Il sole è sceso dietro la linea de’ lontani monti: la luna gli succede -nell’impero del firmamento. — Ritorniamo all’albergo. - -Se t’arresti più giorni sul Generoso, non obbliare l’altra vaghissima -escursione al Dosso-Bello, da dove ti si offriranno le ridenti sponde -del Lario, colla fila non interrotta di paesi e di ville, e ti verrà -dato rivedere da lunge la terra che già visitasti del Baradello, e la -striscia del fumo che libera la locomotiva che da Camerlata muove per -Monza e Milano. - -L’indomani affréttati alla escursione più vagheggiata, fino alla -vetta cioè del Generoso. È la meta di quanti traggono al già descritto -albergo: e ben ne vale la pena. Sono alquanto più di cinquecento metri -di altitudine a montarsi (531); il cammino richiede almeno un’ora e -mezza. - -Non isgomentarti, o lettore, delle prime asperità delle vie aperte sul -fianco orientale del monte; più agevole si rende di poi la salita, -mercè le cure del dottor Pasta. Sono cinque anfratti che avrai a -percorrere, ma dolci, senza vepri nè ciottoloni, in mezzo a pascoli -ubertosi, ricchi di mandre, che vedete liberamente pascolare, sì che -non la sete, ma piuttosto la curiosità di trovarvi fra roccie calcari -una fonte a un chilometro dall’albergo, vi trae a gustar la limpida -linfa che vi sorge. - -Ma lieti e non affaticati, eccoci pervenuti alla vetta. L’ho già -detto: la punta meridionale è a 1740 metri sul livello del mare e la -settentrionale è di sei metri più depressa. - -Qui sul molle e verde tappeto sediamo, perocchè le infinite meraviglie -che ad un tratto si rivelano all’esterrefatto sguardo sieno troppe, e -convenga una ad una distinguerle ed ammirarle. - -Ah! voi vi sentite ora maggiori di quel che siete, quasi numi che -imperate al creato, nel veder tanta e sì stupenda natura svolgersi -sotto di voi. Ne’ giorni estivi, mentre sul vostro capo si distende -limpida e serena la vôlta de’ cieli, vedreste adunarsi i nembi -sotto de’ vostri piedi, scoppiar gli uragani, guizzar le folgori, e -l’illusione della vostra divinità vi parrebbe più vera. - -Ecco: la vetta, come dissi, è partita in due distinte prominenze, l’una -dall’altra distante di circa trecento metri; questa che sogguarda al -Lario segna il principio dell’Italia; quella che al Ceresio segna il -principio della Svizzera. Su quest’ultima veggonsi gli avanzi di un -segnale trigonometrico che servì per la triangolazione iniziata dagli -astronomi ai tempi del primo regno d’Italia. - -Qui posiamo, esclama pure il Lavizzari, sotto il cielo di Dante, di -Colombo, di Leonardo, di Raffaello, di Galileo; qui viviamo sul suolo -di Lutero, di Haller, di Rousseau, di Bernouilli, di Saussure. Qui -l’anello delle due nazioni; qui la terra dei vulcani tocca la terra dei -ghiacciai; qui cessano i lauri, i mirti; qui incominciano i licheni, -gli abeti; qui la rosa delle Alpi si intreccia colla peonia peregrina; -qui il ranuncolo glaciale s’annoda alla silena insubrica; qui infine la -flora del Mediterraneo si sposa alla flora germanica. - -Girate ora lentamente lo sguardo all’intorno del vastissimo orizzonte. -Da questa parte, che direi italiana, voi vedete dalle montagne della -Valtellina, giù giù, seguendo la linea del lago di Como, tutta la -lunga sequela di quelle, verdeggianti per lo più, che costituiscono -l’ultimo contrafforto delle Alpi, e dietro le altre sul cui pendio -s’adagia Bellagio e più giù la Pliniana, il Moncodine o Grigna, il -Monte Campione ed il Monte Serada o, come più popolarmente è detto, il -Resegone, onorato di mirabile descrizione da Manzoni. - -Pervenuto il vostro occhio alla città dei Plinii e di Volta, più in là -sospingendolo, per una infinita serie di punti biancheggianti, che sono -altrettanti paesi, vi trovate a Monza, quindi a Milano, subito di essa -avvertiti dalla freccia ardita dell’aguglia principale del suo Duomo; -indi vi si presenta la valle del Po e nel fondo l’azzurra linea degli -Appennini. Convergete la pupilla a destra e vedrete Varese, Arona, -Novara, Torino: Crema, Cremona e Vigevano le vedrete del pari al manco -lato, o in direzione su per giù di Milano. - -Poi, a sfondo di quella ove avete distinta Torino, vedete le cime del -Rosa e del Bianco incoronati di perpetui geli, il Monviso, il Cenisio, -l’Ortlerspitz, il Mischabel, il Pizzo della Bernina, lo Spluga, il -Medelser, il Lucmagno, il Gottardo, il Galenstock, il Wetterhorn, -il Fünsteraarhorn, l’Eiger, il Mönch, la Jungfrau, il Bietschœrner, -l’Aletschkorn, il Fletschorner, il Mittagshorn, il Weissmies, il -Cervino, il Winterberg ed altri moltissimi, che dalla vetta di questo -Generoso vide e nominò quel rinomato naturalista che è G. Studer, nel -suo _Panorama des Alpes_, disegnato sullo stesso nel 23 settembre 1869, -e che io sono lieto di possedere. - -Verso ponente poi la vista riesce per avventura più pittoresca, -dominando sulla vasta regione montuosa che dalla Val Sássina si stende -alla Val Cavargna, scorgendovisi l’estremità del lago di Lugano col -villaggio di Porlezza, un breve tratto di quel di Como verso Bellagio, -e belle ondulazioni di monti, e vallate disseminate di villaggi, di -prati e di boschi, coi più graziosi contrasti di luce e d’ombra, da -innamorare un pittore. - -L’intrepido passeggiero, dove il voglia, potrà nel suo soggiorno sul -Generoso pigliarsi un bel dì lo spasso di scendere dalla sua vetta alla -Vall’Intelvi, prendendo il sentiero che mena ad Orimento, indi a San -Fedele o a Castiglione in due ore e mezza; da dove potrà andare per -San Fedele e Luino ad Osteno, che si specchia nelle onde del Ceresio, -oppure per Dizzasco ad Argegno, che si specchia in quelle del Lario. - -Ma noi dobbiamo rifare la nostra strada, riedere all’albergo del dottor -Pasta, dove le cavalcature ci attendono per ridiscendere a Mendrisio. - - -VII. - -E poichè siam di nuovo all’_Albergo di Mendrisio_ del signor Bernardino -Pasta, ch’era una vera necessità per questa grossa borgata (la quale -vi rammenta la _Gismonda_ di Silvio Pellico), le lautezze che offre e -le comodità che lo fanno raccomandatissimo ai _touristes_, v’invogliano -certo a fermarvi una o più giornate. - -Nè vi troverete pentiti, da che le vicinanze hanno non dubbie -attrattive per chi a viaggi od anco alle escursioni di piacere non pone -scopo il materiale diletto soltanto, ma la ricreazione dello spirito -eziandio. - -A coloro che di quest’ultima sono poco curanti e preferiscono il primo, -additerò le rinomate cantine di Mendrisio stesso, e avanti tutte quella -che si denomina il Crotto del monte Generoso, e il buon vino parrà loro -migliore per la vaghezza del luogo. - -Agli altri indicherò visitare dapprima l’Ospizio di Mendrisio -stesso, aperto agli infermi del Canton Ticino, giusta il volere -del suo fondatore, il conte Alfonso Turconi. Quivi ammireranno -un pregevolissimo bassorilievo in istucco dello scultore Pietro -Bernasconi, e una statua rappresentante il Turconi medesimo, alla lode -della quale basta pronunziare il nome del suo autore: Vincenzo Vela. — -_Tanto nomini nullum par elogium!_ - -E poichè v’ho proferito il suo nome, come non visitarne l’elegante -edificio, o villa, in Ligornetto, che sta a mezz’ora da Mendrisio -e sorge in piccola eminenza tutto recinto da giardini, e dove -quell’egregio si ritrasse troppo presto ad onorato riposo? La cupola -che si eleva nel mezzo piove la luce sull’ampio locale, dove l’illustre -artefice raccolse i modelli delle opere principali sue, che il resero -così illustre, da divider egli meritamente col toscano Dupré lo scettro -della italiana scultura. - -Poi potrete visitare le cave de’ marmi di Arzo, che sono di un -rosso variegato, e le acque solforose di Stabio efficacissime e che -solo han d’uopo d’avere decenti stabilimenti che le ministrino, per -conseguire fama ed affluenza maggiori; e finalmente la storica chiesa -di San Pietro presso Castello, che dista pure non più di mezz’ora da -Mendrisio. - -La rinomanza della chiesuola non è soltanto per la bella vista che -vi si gode di parecchie terre svizzere e lombarde, ma altresì per -un’orrenda strage avvenutavi in que’ miserevoli tempi che ardevano le -ire fratricide de’ Guelfi e de’ Ghibellini. - -Gli è un soggetto da romanzo, e però chiuderò la passeggiata nostra, -col toglierla di netto dal Lavizzari e ripetervela adesso. - - -VIII. - -L’avo dell’illustre letterato Virunio Pontico della famiglia dei -Busioni di Mendrisio, era Pietro, uomo d’alto affare; e Margherita -sua moglie era ornamento delle donne de’ suoi tempi. La loro figlia -Lavinia colla rara sua bellezza destava tale ammirazione, che vedevasi -costretta ad evitare il pubblico sguardo. Invaghitosi perdutamente -di costei il ghibellino Vizzardo Rusca, dimandolla sposa, rinunciando -alla dote, e offrendosi non solo alla pace, ma ad imbrandire le armi -contro i nemici della famiglia di lei. La supplichevole inchiesta -fu negata dai genitori; ma Vizzardo, non perdendo la speranza, e -vagando di nottetempo al modo degli innamorati intorno alla dimora -della fanciulla, udì una sera da una stanza terrena i genitori di -Lavinia dire che avrebbero piuttosto strozzata colle mani loro la -figlia, anzichè concederla sposa a Vizzardo. Questi, fremendo d’amore -e di sdegno, diessi ad ordire il feroce disegno di esterminare tutta -la nemica famiglia. Egli uccise nove figli di Pietro; ma non potè -raggiungere Lavinia, che il padre aveva nascosta entro un sotterraneo, -ove rimase finchè Vizzardo fu ucciso. Il costui cadavere fu trascinato -sulla sepoltura dei nove innocenti e quivi lasciato in pasto alle -fiere. Frattanto moriva il padre, il quale fu sepolto in marmoreo -avello nella chiesa di San Sisinio alla Torre, sovra un poggio presso -Mendrisio. - -I Ghibellini andavano tessendo insidie a Giorgio, avvenente fanciullo, -decimoquinto figlio di Pietro, e che fu poi padre di Virunio -Pontico[7]; volevano farlo divorare dai mastini, che a tal uopo -nutrivano. A Margherita riescì di celare il prediletto Giorgio ne’ suoi -poderi di Besazio presso il monte San Giorgio. Ma nel tornarsene a casa -l’afflitta e irrequieta donna, di nuovo corse indietro per rivedere -il figlio, e non avendolo tantosto colà trovato, cadde svenuta, nè si -riebbe se non quando il rivide. Diede allora al figlio molto denaro -ed un gomitolo di refe (_marsupium pecuniarum auri et glomum rephi -tradit_)[8], comandandogli di fuggire tanto lungi che non udisse più -il nome del suo paese. Giorgio recossi a Napoli; e mentre da parecchi -anni viveva in molto favore della regina Giovanna, la madre, caduta in -potere degli spietati nemici, veniva tratta da Mendrisio al castello -di Capolago, e quivi sul lato sinistro della via crudelmente sospesa -ad un’arbore. L’infelice Margherita, in procinto di morte, implorava -contro gli uccisori de’ nove innocenti suoi figli un vendicatore. Udito -l’orrendo fatto, Antonio, altro suo figlio, maggiore di Giorgio, radunò -la sua fazione, e nella notte di Natale, entrato nella chiesa di San -Pietro in Castello, trucidò uomini, donne, fanciulli ed il sacerdote -all’altare; vi lasciò più di cento cadaveri. Questa inaudita strage -avvenne nel 1390, quando già da dieci anni Antonio e Giorgio erano -andati in lontano esilio. Lavinia, innocente causa di sì miserandi -fatti, ricoveratasi a Belluno, ove il fratello Giorgio era capitano -del presidio, si consacrò a vita claustrale e fu sepolta nella chiesa -di San Francesco. Antonio, andando peregrino al Santo Sepolcro per -espiare, secondo l’uso de’ tempi, i suoi delitti, perì in mare. - - -Compiuta così questa gioconda camminata, rifacciamo ora la strada e -riconduciamoci, piena l’anima di sì svariate impressioni, a Como; nè -più deviamo quindinnanzi dal proposito delle nostre escursioni per le -sole terre dal Lario e per quelle dall’Éupili bagnate. - - - - -ESCURSIONE TERZA. - -IL NINO. - - Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del Mago. — - Le ville Castiglioni, Sessa, Pertusati e Cornaggia. — Villa - Angiolini. — Villa Rattazzi. — U. Rattazzi e Maria Bonaparte - Wyse. — Villa Pedraglio. — Le ville Trubetzkoi, Ricordi e - Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La villa - Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio di Blevio. — - Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, Vigoni e - Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — Il Nino. - - -Dovrei dedicare questa escursione, più che alla comune de’ miei -lettori, a que’ beati gaudenti che si chiaman felici allora che hanno -potuto snidare alcun luogo, in cui il buon vino, o la specialità di -qualche intingolo o manicaretto li han solleticati. Essi vi danno una -fama, una celebrità, che si conserva anche quando la ragione più non ne -esista affatto. - -E i beati gaudenti intraprendono pellegrinaggi appositi per visitare -queste stazioni epicuree: testimonio questo Nino, a cui traggono non -soltanto i buongustai della vicina Como, ma e da’ paesi più alquanto -lontani e perfin da Milano. Una bella giornata di primavera o d’estate, -una festa, il ferragosto, deve essere consacrata a qualche baldoria -che già abbia il suo principale obbiettivo nella tavola e più ancora -nel buon vino? La brigata operaja di Milano o di Como per acclamazione -elegge subito d’andare al Nino. - -Seguiamoli noi pure. Avremo noi di tal guisa occasione, più che di -deliziarci del buon vino, di rapidamente percorrere le ville che sono -sulla destra sponda del lago infino alle sette città di Blevio, che -così designansi per celia quelle frazioni d’un unico villaggio che si -sparpagliano sul monte, infino a quella punta sporgente, che con quella -che ha di fronte, e che denominasi del Pizzo, accenna al fine del primo -bacino del lago, il quale si viene ripartendo in tanti bacini, tutti -aventi peculiari bellezze, qual più vasto, qual meno. - -Pigliam la barca pertanto, e il nostro uomo costeggi pur lentamente -questa sponda, su cui poggia il Nino; chè pria di giugnervi, avremo a -parlar di più cose. - -E poichè ci siamo, vedete là su in alto del monte il paesello di -Brunate. A me che amo raccogliere le leggende popolari, come ad un -geologo balzerebbe il cuore di gioja alla scoperta d’un petrefatto, o -ad un numismatico il ritrovare una medaglia antica, non è possibile -passar oltre senza narrarvi che lassù raccontino le comari, come la -figliuola di un possente re d’Inghilterra, a cui fanno il nome di -Guglielmina, avesse un bel dì (l’epoca però non sanno e tutt’al più -se ne sbarazzano colla frase d’uso: _ne’ tempi antichi_) a fuggire -dalla reggia di suo padre, e per farvi vita santa ricoverasse a -Brunate e vi morisse poscia in odore di santità. E la pia leggenda ha -sì fonde le radici, che le madri alle quali il latte faccia difetto, -la invocano protettrice. Quale poi sia la relazione che corra fra la -santa giovinetta ed il latte, nè esse lo sanno dire, nè m’accingo a -indovinarlo. - -Alla falda del monte v’è la Grotta del Mago che potrebbesi visitare, -costituita di banchi calcarei che s’incavernano; ma siccome non mi fu -detto perchè mai così con nome di mistero nominata, voghiamo avanti. - -Qui appena usciti dalla cinta del nuovo porto — il quale, se risponde -forse meglio al bisogno cittadino e varrà fors’anco a infrenare certe -piene che in passato troppo spesso han nuociuto alla parte di Como -che si curva intorno al lago, certo poi le ha rapito anche parte della -vista del lago stesso, e il discapito mi par grande —, passato il borgo -di Sant’Agostino, incominciano le ville. - -E prima la Castiglioni, indi la Sessa, poi la Pertusati; e questa -che s’avanza sul promontorio detto di Geno è la villa dei Marchesi -Cornaggia, dove un giorno era un convento di Umiliati, che durò dal -1225 al 1516, tramutatosi poi in lazzaretto pei colpiti dalla peste, -onde fu travagliata non solo Como, ma Lombardia tutta sul finir del -secolo XVI. - -Svolta la punta di Geno, si nicchia, come in un angolo che fa il monte, -la villa Angiolini; ma più in vista vi tien dietro quella che assume -il nome da quell’eminente uomo di Stato che è il commendatore Urbano -Rattazzi, a cui ingiustamente tiene Lombardia il broncio per averle -estese sollecitamente quelle leggi amministrative che aveva il Piemonte -e che le sarebbero pervenute egualmente più tardi, se non dovevano -essere un’irrisione il patto dello Statuto patrio che vuol la legge -eguale per tutti e l’unità nazionale; senza aggiungere che taluno de’ -lombardi deputati d’allora avesse fatto nel Parlamento suonare alta -la voce che, fossero state anche ottime le leggi austriache che si -avevano prima, per ciò solo si dovessero mutare. Il più liberale di -quanti ministri ebbero Piemonte ed Italia, è sventura che scribivendoli -piovutici in Milano, e impossessatisi de’ nostri giornali, abbiano -potuto sostituirne l’opinione e, facendo la storia a loro talento, -avessero a presentare questo illustre personaggio, dal cuore pari allo -ingegno eccellente, poco men d’un nemico del paese. Il tempo che non è -così grullo e che non giura nelle parole di questi sicofanti, farà la -giustizia. - -È in questa leggiadra casina che Maria Bonaparte Wyse, bella e colta -consorte sua, e fra le più riputate scrittrici francesi, dettò le -più lodate pagine della sua _Louise de Kelner_, in cui tanta parte è -trasfusa delle amarezze, onde l’anima sua generosa venne dagli stolti -abbeverata. - -Se recinto da maggiori simpatie, alle quali avrebbe avuto diritto -Urbano Rattazzi, nella quiete di codesta sua villa, dopo le lotte -parlamentari e le cure di Stato, vi sarebbe più frequente venuto a -ritemprare lo spirito e rinnovare le forze. - -Tien dietro, a poca distanza, la villa Pedraglio, e poi ci si affaccia -il sospirato Nino. - -Diamovi gli ordini pel pranzo, indi proseguiamo a costeggiare questa -sponda. - -Il principe Trubetzkoi, colle mine si preparò lo spazio entro la dura -roccia del monte per rizzarvi un casino di stile nordico, onde colla -più sciagurata freddura fu chiamato del principe _Turbascogli_; non è -forse la postura più allegra ad una villa; l’arido sasso che incumbe -non vi concede quella gajezza di pensiero, che tutta invece vi ispira -la villa Mylius, che, se al vero non mi appongo, è tra le meglio intese -del lago. Casa e giardino vi sono egregiamente distribuiti. - -Le ville Ricordi e Artaria hanno del pari i loro pregi: presso a -queste era la villa Carena, ma un bel dì del novembre 1868 inabissò -nelle ore meridiane, volendo fortuna che nessuno degli uomini che vi -lavoravano perisse, perchè appena usciti. Fosse lezione ai molti che -troppo spesso, ad ampliamento di loro possessi, invadono ciò che spetta -al lago, il quale non attende a’ loro comodi, ma viene il dì che si -ripiglia i suoi diritti! - -Eccoci a Blevio. - -È paese alpestre che non mette conto di ascendere, da che le belle -ville che adornan la sponda ci seducano meglio; a meno che non -vogliate visitar quella che più su è dei signori Bocarmé e che dicono -meritevole di vedersi, e la villa e vaghissimo giardino già Comton -ed ora spettante al signor F. L. Lattuada, negoziante di Milano; o -spingendosi ancora più su, noncuranti delle asprezze del cammino, non -vi prenda curiosità di cercare il _Pertugio di Blevio_, lunga galleria -orizzontale alta un braccio al più e occupata dalle acque colatizie -della montagna. Se di siffatte naturali cose voi siete amanti, non -lasciate allora di volgere la vostra attenzione all’altro speco, o -spacco verticale, che da quegli alpigiani vien designato col nome -di _Buco del Nasone_, opportunamente difeso da macigni onde non vi -precipitino dentro gli armenti che vi pascolano vicino. Forse nel fondo -di tale speco si potrebbero rinvenire fossili, se fosse possibile di -praticarvi indagini. - -Presso alla chiesa parrocchiale di Blevio è la villa di quella famosa -danzatrice che fu Maria Taglioni, la quale, fabbricandola, sperò -passarvi gli ozî dell’età matura, quivi pascendosi delle floride -memorie che le avrebbero richiamate le corone d’alloro, i ritratti e -tante altre opime spoglie de’ suoi teatrali trionfi, che qui depose. Ma -la fortuna, bizzarra e spesso crudele iddia, volle disporre altrimenti. - -Così chi avrebbe detto al principe Schuwaloff, che vi eresse vicino -una graziosa villa con architettura russa, che di essa, come d’ogni -altra pompa e commodità mondana, sarebbe stato sì presto schivo, e -colla religione greca de’ suoi padri, l’avesse ad abbandonare per -rendersi barnabita in Milano, e poscia in Parigi, ove scrisse _La mia -conversione e la mia vocazione_, ivi morendo nel 1859?.... Legata egli -questa sua villa del lago a’ suoi compagni di religione, veniva da -essi venduta a quel dotto intelletto di donna che fu Cristina Trivulzio -principessa di Belgiojoso, autrice di lodate opere dettate nell’idioma -francese, e spentasi soltanto nel passato anno 1871. Ora toccò la villa -in eredità alla figlia Maria maritata al marchese Trotti. - -Tengon dietro le ville Belvedere Vigoni e la Sparks, questa -d’architettura svizzera; ambe leggiadre, e con peculiari -caratteristiche che le rendono interessanti allo spettatore. - -Un’altra villa succede, che ricorda pure entusiasmi teatrali: La Roda -è detta e fu di quella grande artista cantante che si nomò Giuditta -Pasta. Apparteneva prima a madama Ribier, la crestaja che a Milano -fu ricerca da tutto il mondo elegante e accumulò gran fortuna. Venuta -poi alle mani della celebre cantante, per la quale Bellini scrisse la -_Norma_ e la _Sonnambula_, cioè i suoi insuperati capolavori musicali, -la ampliò d’assai, vi fabbricò, vi dispose giardini ed ombre, e fino -a certo tempo vi accolse anche ospiti e amici, fra cui sovente quella -gentile e rinomata poetessa che fu Adele Curti, troppo presto rapita -alle lettere, e troppo presto e ingiustamente dimenticata, anche da -chi ipocritamente si scagliò su colui che fu creduto averne con offesa -d’amore accelerato il fine, su colui che invece non ha cessato ancora -d’amarla, testimonî questi versi, che di lui si leggono stampati -sulla strenna edita in Napoli, intitolata _Il Vesuvio_, a scopo di -beneficenza, e dettati ventiquattro anni dopo quella immatura morte. - - Sovente l’ora quando è fatta bruna, - A te pensando che ogni dì più adoro, - Io chieggo ai raggi dell’argentea luna, - Se il tuo bel peplo è della luce loro. - - Ed alle stelle che la notte aduna, - Se son le gemme del tuo serto d’oro, - E se dal ciel se ne dispicca alcuna, - Io tremo e quasi per dolcezza moro. - - Chè penso allor che tu fedel mantenga - Quella promessa che mi festi pia, - E che ti prego dal Signor m’ottenga. - - E che la stella fuggitiva sia - L’anima tua, che dall’empireo venga - A raccoglier la stanca anima mia. - -Giuditta Pasta in questi suoi diletti recessi della Roda trascorse i -suoi anni provetti, ma afflitti però da domestici lutti. Ella anche vi -morì. Un suo busto, opera egregia dello scalpello del milanese Antonio -Tantardini, fu da’ Comensi collocato nel loro casino. - -Ma l’ora del pranzo ci richiama al Nino. - -La mensa, noi, stando in barca, la vediamo apparecchiata sotto un -pergolato che dà sul lago; così al diletto dei cibi avrem congiunto -quello non meno grato della vista. - -Risparmio la descrizione del Nino: è un’osteria, un _restaurant_, quel -che volete chiamarlo, di volgare architettura a cui chi giunge non -fa attenzione. Vi si sbarca, si pon piede su d’un terrazzo, dove son -disposte tavole per chi vi mangerà o beverà; v’è buona cucina, v’è -buona cantina; chi ci viene, lo sa, se ne approfitta; nè parte, come da -tanti altri luoghi, disilluso. - -D’altre specialità, che non sieno brigate, canti, giuochi alla morra, -suoni di qualche menestrello che capita da Como, non vi saprei dire -veramente. - -Il Nino è il ritrovo della buona classe borghese, per definirlo -in due parole; come per la _haute volée_ è l’albergo della Regina -d’Inghilterra, che sta alquanto più in su nella sponda opposta, ed al -quale riserbo condurre il lettore in una prossima escursione. - - [Illustrazione: Villa Raimondi.] - - - - -ESCURSIONE QUARTA. - -L’OLMO. - - San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa - Barbò. — Il Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — - Villa Saporiti, già Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. - — Palazzo Resta. — Ville Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, - Belgiojoso, D’Adda e Pisa. — Villa Mondolfo. — L’Olmo del - marchese Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio il Giovane. - - -La meta di questa escursione è pel contrario un cotal po’ -aristocratica. Non prometto ai lettori di condurli alla scoperta d’un -_Crotto_, o di qualche elegante albergo: la nostra passeggiata non va -che di pochi passi fuor del sobborgo Vico, che si distende sulla destra -sponda del lago, il qual può dirsi in questo suo primo bacino una serie -non interrotta di ville, che si riflettono con femminile civetteria -nelle onde. - -Ci basti all’uopo noleggiare un burchiello, e così, toccando appena -dei remi, farlo avanzare lentamente. Nè vi darò l’incomodo di scendere -ad ogni tratto, chè mi sento d’informarvi d’ogni cosa interessante -rimanendo in barca seduti. - -Quel filare di piante è il pubblico passeggio della città; più dietro -e per la via che vi fu praticata forse trent’anni fa, si ascende a -S. Fermo dove ne’ primi di giugno 1859 audacemente i volontarî di -Garibaldi attaccarono gli austriaci di Urban e li ruppero con prodigi -infiniti di valore. - -Dopo la chiesa di S. Giorgio, che precede al pubblico passeggio, -incomincia il Borgo Vico e con esso la villa dei marchesi Barbò da -Soresina, dove un giorno sorse la celebre villa denominata il Museo del -già ricordato Paolo Giovio, vescovo di Nocera, che, a’ suoi giorni, -aveva il poco invidiabile coraggio di altamente proclamare aver egli -a propria disposizione due penne, l’una d’oro per chi ben lo pagava, -di ferro l’altra per chi ciò non faceva: su per giù del resto il -mal vezzo di certi giornalisti d’oggidì di mia conoscenza, che senza -quel coraggio di dirlo, han tuttavia quell’altro di farlo. Or bene -il Giovio, lo _storicone altissimo_ dell’Aretino, in quella sua villa -accumulato aveva quante preziosità potè racimolare, sia per doni avuti -spontaneamente, sia per premi imposti e ricatti. Nella prefazione alle -sue opere _Ritratti d’uomini illustri_ ne fece una lunga descrizione, -che, comunque interessante, risparmio al lettore, del quale debbo -già di troppo esercitar la pazienza col narrargli delle ville che -sussistono realmente adesso. L’abate Gallio demolì nel 1616 il Museo, -e la villa che ne sorse sulle rovine si chiamò la Gallia, che ultimò il -marchese Fossani, ed ha buone pitture del Morazzone e del Bianchi. - -Segue la villa Saporiti, che un dì apparteneva ai marchesi Villani -e figurò allora nel processo intentatosi a Londra contro Carlotta di -Brunswick, regina d’Inghilterra, del quale dirò parte a parte nella -ventura escursione, e narra Cesare Cantù che vi alloggiasse nel 1797 il -generale Bonaparte, prescelta per l’eleganza del suo ammobigliamento, -e che ai deputati di Como che gli si erano presentati, porgesse franche -assicurazioni che non sarebbero ni francesi, ni tedeschi, ma italiani. -Dopo i Villani ebbero la villa i Battaglia. - -Sul terreno della Badia di Vico fu eretto il palazzo dei conti Resta; -più indietro è la villetta elegante dei conti Salazar; ancora lungo -il lago sorge quella de’ Bellotti; poi quella de’ nobili Mancini, -dei conti Belgiojoso, dei marchesi Brivio, de’ marchesi D’Adda, -del banchiere Pisa, e finalmente del conte Sebastiano Mondolfo, che -coll’orgoglio legittimo consentito dal merito, giusta il concetto -d’Orazio, _sume superbiam quæsitam meritis_, può come il romano -Oratore vantarsi incominciare da sè la nobiltà. Colle ingenti somme -da lui consacrate a scopi di beneficenza, coll’ajutare nazionali -imprese, egli, triestino, s’è conquistato la cittadinanza milanese e la -benemerenza nostra. - -In questa sua villa, che siede sulle rive ridenti del Lario, trovò -nell’acquisto un prezioso e grandioso dipinto del pittor Bossi, -rappresentante l’ingresso del general Pino in Milano da Porta Romana -alla testa dell’armata italiana reduce dalle campagne napoleoniche del -nord. Interessantissimo riesce principalmente un tal quadro per tutte -le foggie di vestir popolare che vi si riscontrano nelle molteplici -figure che lo popolano, e più ancora per i ritratti dei principali -personaggi che vi sono rappresentati. Vi si ammirano altresì quattro -pregevolissimi acquerelli del Migliara, resi ancora più interessanti, -perchè istoriati da quattro diversi episodî di quel tristissimo tumulto -che finì coll’eccidio dell’infelice ministro Prina, onde si bruttò la -storia della mia città. - -E così eccoci giunti ora alla meta della nostra odierna escursione: -all’Olmo. - -Possiamo lasciare la barca. - -Codesta villeggiatura, veramente principesca, oscura tutte le altre in -grandiosità e ricchezza. Anche la villa che su questa dell’Olmo o ben -presso sorgeva, a’ tempi di Plinio, ed era di Caninio Rufo, non era di -certo inferiore, se non all’odierna grandiosità, certo alla sua amenità -e vaghezza; e poichè mi son proposto di ricordare storici fatti e -tradizioni che si collegano a queste ville lariane, mi si permetta che -io qui trascriva il brano di Plinio il Giovane[9], nel quale l’amico -Caninio Rufo intrattiene di questa sua villa: - - “C. Plinio a Caninio Rufo. - -„Che fa Como, tua e mia delizia? Che quell’amenissima tua villetta? -che quel portico, dove è sempre primavera? Che quell’ombroso boschetto -di platani? Che quel verde e lucidissimo canale? Che quel sottoposto -ed util lago? Che quel molle e pur saldo stradon gestatorio? Che quel -bagno tutto quanto riempito e circondato di sole? Che quel tinello per -molti e l’altro per pochi? Che le stanze da giorno e quelle da notte? -Ti godi forse a vicenda or le une or le altre? O, come îl solito, ne -sei distolto da frequenti corse, a fine di attendere a’ tuoi negozi? Se -tu ne godi, sei felice e beato; non sei che volgo se ne fai senza.„ - -Distrutta, non si sa come nè quando, la villetta di Caninio Rufo, -ora questa più vasta vi sorge, che dicesi dell’Olmo. La fabbricò il -marchese Innocenzo Odescalchi di Como su’ disegni di quell’illustre -architetto ticinese che fu Simone Cantoni[10], vi profuse stucchi, -dorature, specchi e dipinti. V’è in una sala una gran fascia di figure -scolpite da quell’emulo di Canova che fu Thorwaldsen, e vi sono mille -altre preziose cose d’arte. - -Toccò questa villa in eredità al marchese Giorgio Raimondi, che -generosissimo vi menò lungo tempo la vita; ma dopo le sventure toccate -alla insurrezione nostra del 1848, fra le proprietà sequestrate dalla -stoltezza de’ proconsoli austriaci, questa fu pure dell’Olmo, che, a -sommo dispregio delle cose nostre e in odio del Raimondi, le dorate -sale convertirono in caserma, e sallo Iddio di qual modo conciassero -tutte quelle preziosità. - -Sciolti dopo i sequestri, di tanti guasti stomacato forse il marchese -Raimondi, piacendosi d’altre sue comode e non profanate villeggiature, -questa più non curò e, se la voce non erra, non ricuserebbe dallo -spropriarsene. - -Qualche regnante o gran ricco che aspiri a trovarsi lungo il Lario una -delizia — poichè nella amenità di queste terre e di queste acque si -danno convegni principi e ricchi d’ogni nazione —, vi troverebbe alla -villeggiatura dell’Olmo il suo conto, e la villeggiatura dell’Olmo -ritornar potrebbe tuttavia a’ suoi giorni di prosperità e splendore. - - - - -ESCURSIONE QUINTA. - -IL PERTUGIO DELLA VOLPE. - - Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il Sarizzo. - — Grotte e caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La Zuccotta - e I Tre Simili. — Il signor G. B. Brambilla. — Villa Caprera - del signor Loria. — La Tavernola e l’Albergo. — Villa Gonzales. - — Il capitano De Cristoforis. — La Villa Bignami. — La Villa - Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il Bisbino. — Il Pertugio - della Volpe. — Marmi e pietre. - - -Alla campagna, non è sempre a paesi, a mercati, a ville che si ami, a -ragion di piacevole passeggiata, andare; ma assai spesso ben anco a -cert’altri luoghi, dove o la natura li rese interessanti, o la loro -postura concede che si godano panorami od estesi orizzonti. Nè sono -cotali escursioni le meno piacevoli, anzi il più spesso sono quelle che -divertono meglio. Il lago di Como e il Pian d’Erba, che noi dobbiamo -percorrere allegramente insieme, ti presentano, amico lettore, molti e -amenissimi punti di tal fatta, che saran certo anche per te deliziose -mete a gite, a refezioni allegre, come lo sono per tanti. - -D’ordinario infatti vi si va recando il necessario per la colazione: -è così buono anche il più semplice companatico quando è ammanito -dall’appetito, reso più acuto dal lungo cammino fatto a piedi o sul -dosso di qualche mulo o asinello, e dalla fresca brezza che spira -sempre dalle frondose selvette, onde si vestono le nostre colline, i -nostri monti. E quelle chiare, dolci e fresche linfe che scaturiscono -improvvise dai massi, e, formantisi in rivoletti, scendono così -seducenti di balza in balza, che t’invitano a gustarle o nel palmo -della mano, o alla foggia dei biblici soldati di Gedeone, o nella -barchettina di cuojo. - -Qui lungo il lago di Como avviene che nelle corse montane che si -fanno si trovino altre curiosità, che, anche senza essere geologi e -naturalisti, richiamano l’attenzione; quali, a mo’ d’esempio, enormi -massi o trovanti di granito, staccati dal monte e per nulla aventi -a fare colla natura della roccia di esso. Celebre è quello, a cagion -d’esempio, che scorgesi a sinistra del lago sull’alpe di S. Primo e che -molti traggono a vedere, e quelli che vedremo sul monte che sovrasta -a Blevio. La presenza di tali trovanti ci attesta de’ cataclismi -avvenuti, come i fossili e le conchiglie, che su per le vette di queste -Prealpi si trovano, ne lascian credere che veramente un giorno fosse -questa nostra Lombardia tutta quanta un mare. - -Ma di secoli da quel tempo devono essere trascorsi a centinaja. - -Diffatti massi erratici si sfruttano dall’industria per fabbriche, e in -commercio si conoscono sotto il nome di sarizzo; tanto l’uomo sa trar -profitto di tutto! - -Richiamano altresì l’attenzione e de’ geologi e dei profani certe -grotte e pozzi e caverne che si trovano, come il Pertugio detto della -volpe, al quale è diretta la nostra peregrinazione odierna; il Buco di -Blevio e quello appellato del Nasone che gli stanno rimpetto; quello -dell’Orso su Torrigia, a cui pure ne ho destinata un’altra; e la Grotta -della Masera sopra Careno e Premenù sopra Pognana, e il Buco della -Nicolina e quello di Vallombria sovra il piano del Tivano, dove pure -condurrò più avanti il lettore, e la Tana Selvatica sopra Grandola in -Val Menaggio e Biancamonda sopra Villeso, per non dir di tutte. - -E siccome mi piace serbare un po’ d’ordine in queste nostre escursioni, -e far in modo che nulla sfugga alla nostra osservazione (s’intende -nulla del meglio), così, rammentandomi che siam rimasti alla villa del -marchese Raimondi, denominata l’Olmo, passiamo in rassegna le graziose -e ricche ville che si vengono succedendo: ci parrà più corta la via, -per giungere al Pertugio. - -Se vi pare di variare, qui potete farne senza della barca; perocchè -è una buona via abbastanza larga per trascorrervi la carrozza e farvi -pure lo scambio con quell’altra che le venisse incontro per ricondurvi -al sentiero che si sale alla montagna. Io per altro ho promesso di -accennarvi a tutte queste leggiadre casine che si specchiano come vaghe -odalische nel lago, e tiro dritto in barca. - -La prima che s’incontra è il Grumello, villa ora del genovese banchiere -Celesia, ma che prima fu dei Gallio e poi de’ Giovi. Ha vicino la sua -darsena, come, quale in un modo, quale in un altro, l’hanno tutte; -perocchè aver la villa lungo il lago e non possedere la sua lancia, o -la gondola, o il canotto, o il piccino ed agile sandolino che sfiora -appena l’acqua, è quanto non averla. La più parte delle passeggiate è -sul lago, e sovr’esso si trascorre sempre al mattino, meno al meriggio, -indispensabilmente prima o dopo il desinare. Con taluna di queste -snelle imbarcazioni si va al mercato di Como, si passa alla posta del -paese a dare e ritirar le lettere, si rasenta la sponda o si traversa -per le visite, si va incontro a’ piroscafi per vedervi i passeggieri, o -per la sola voluttà di farsi cullare dalle grosse onde che nel moversi -ne fan le ruote; si fanno infine le escursioni di piacere; insomma -si san sempre trovare le occasioni d’essere in barca; così che possa -dirsi, senza dare nell’iperbole, che gran parte della giornata la si -passi sovra il lago. - -Eccovi questa villa che è al di là della strada: è la Zuccotta e -appartiene al signor Giovan Battista Brambilla, banchiere di Milano. -Innanzi ad essa sarei tratto a farvi un po’ di maldicenza, non a danno -del suo ultimo possessore, ma a beneficio del suo antecessore, sempre -nell’interesse della storia; ma preferisco rimandarvi a quel libretto -divertentissimo che dettò quello svegliato ingegno di Defendente -Sacchi, molti e molti anni fa, allorchè la Zuccotta era venuta alle -mani di quel furbissimo abate che fu il professore Pietro Configliachi. -Il libretto ha per titolo _I tre Simili_, e ci dice come qualmente -la villa la Zuccotta, acquistata co’ danari d’una signora, rimanesse -invece con mirabile artificio proprietà dello abate. L’è tutta una -rappresentazione di prestidigitazione da disgradare Cagliostro. A’ -tempi in cui usciva questa storia per le stampe, gli Austriaci erano -qui nell’apogeo della loro dominazione; epperò dovette stamparsi alla -macchia e passarsi dall’uno all’altro, quasi un numero rivoluzionario -della _Giovine Italia_. - -Questa villa era stata edificata dai signori Volpi; il Configliachi, -da uomo di sottile ingegno, ne l’aveva di molto abbellita; ma chi la -ridusse alla vaghezza d’oggidì fu l’odierno proprietario di essa signor -Brambilla, che elevandola fino al sommo della collina e occupando parte -del Cereseto, che il Cantù dice _lodato per fichi squisiti_, la fece -tra le migliori onde il lago si pompeggia. Quivi accolse oggetti di -pittura e di scultura, e deve essere per lui di non poca soddisfazione -nel vederli innanzi a sè, ripensare che ognun di essi rappresenta una -commissione da lui data a questo o a quell’artista, e da lui data in -tempo, quando cioè può valere altresì a beneficenza. Queste cose sono -omai così poco e da’ pochi comprese, che rilevarle, per lo scrittore è -un dovere. - -Più avanti il medesimo signor Brambilla, traendo partito da qualche -spazio concessogli dal capriccioso lago, fabbricò un bellissimo -palazzino, che, in omaggio al Titano d’Italia, intolò Caprera, e non è -a dirsi come lo fornisse d’elegante suppellettile. L’una sola di queste -ville oh come appagherebbe le aspirazioni di molti! Ora essa divenne -proprietà del ricchissimo signor Loria, che la grande fortuna ammassata -ne’ commerci in Egitto sfrutta degnamente fra noi. Il suo palazzo di -Milano è tra le migliori e suntuose opere architettoniche del nostro -tempo. - -Dalla Caprera alla Tavernola, già degli Stagnoli, ora di proprietario -tedesco, non corrono che pochi passi. Quivi è facile trovare chi vi -affitti, se bramate gustarvi gli ozî lacuali, molto più poi che ora vi -si è stabilito un albergo. Il luogo è bello, comoda la casa, proprie -le suppellettili, splendide le vicinanze. Non sarà certo inopportuna -questa mia designazione. Essa venne architettata da quel valoroso che è -il Tatti. - -La villa Gonzales vi succede. Sorge a testimonio di quanto possa -l’ingegno anche sopra la nascita e l’educazione di convenzione. -Il Gonzales, datosi agli appalti e fattosi più volte milionario, -qui si aveva preparato deliziosissimi ozî e riposi dalle annuali -fatiche. Spiegò il gusto de’ gran signori dalla natività: le sue -allogazioni artistiche non sono state mai a casaccio, ma presiedute -dalla intelligenza. Il Fasanotti, principe de’ nostri paesisti, della -villa del Gonzales fece uno de’ soliti suoi capolavori. Fu l’onore -allora della pubblica mostra di belle arti di Brera; ora lo è della -superba casa del signor Gonzales. Fra gli altri molti oggetti d’arte -che vi accolse, evvi il bellissimo Ismaele dello Strazza e un bel -quadro di Sebastiano De Albertis, raffigurante la morte del capitano -De Cristoforis, avvenuta nella fazione di S. Fermo già ricordata. Ma, -tanta delizia, contro la comune aspettazione, ora da lui fu ceduta a -ricco straniero; tanto è vero che l’uomo propone e Iddio dispone. - -Poi la villa Bignami, eseguita dietro disegno dell’architetto -Clerichetti, e basta per dirla di buona architettura; e quindi la Cima, -che deve la sua esistenza al generale Pino, di cui dissi già addietro -e avrò a dire nella prossima escursione ancora. Fu in questa villa che -quel famoso vi moriva nell’anno 1826. - -Dietro di queste ultime ville, al di là della strada carrozzabile, che -ho già sopra ricordata, presso il torrente della Breggia, che passando -nella Vall’Intelvi, viene presto a buttarsi nel lago, una graziosa -villetta, che per me ha grandissimo valore, attrae il vostro sguardo. -Tersicore vorrebbe esser detta, perocchè essa appartenga al suo più -celebre sacerdote vivente, a Carlo Blasis vuo’ dire, che congiuntamente -a quella somma artista che fu Annunziata Ramaccini, che gli è -compagna, portò la R. scuola di perfezionamento di ballo di Milano a -quell’altezza e fama che ognun sa. Nel Blasis l’insegnamento egregio -non fu l’effetto soltanto delle tecniche nozioni apprese alla sua -volta in giovinezza, ma il frutto altresì di quella coltura onde erudì -lo spirito, e delle dottrine estetiche nelle quali è maestro e per le -quali potè donare alle lettere e all’arte sua un preziosissimo _Manuale -della danza_, un filosofico volume _Sull’uomo fisico intellettuale e -morale_, e infinità d’altri lavori di scienza e di erudizione, che -il resero l’indispensabile collaboratore di non so quanti giornali -artistici italiani ed esteri. - -Mi conceda il lettore che io dedichi all’amico la versione d’un -enfatico carme latino che il direttore del _Propagateur du Var_, Dario -De Rossi, pubblicava in onore di lui. È sì raro che periodici francesi -riconoscano il merito de’ nostri, che chi legge avrà caro che le pagine -di prosa ora alterni con versi che sì onorevolmente testimoniano d’un -nostro concittadino. - - Non mai, se il dolce di Calliope labbro - Mi sorridesse, o da Polinnia il dotto - Artificio non fosse a me negato - De’ carmi, o pur se d’imitar col canto - Mi fosse Orfeo da pio destin concesso; - Non mai, Blasis, potria le tue virtudi - Degnamente narrar onde risplendi, - Siccome astro fulgente in sul creato. - A la palestra le solerti membra - Ad addestrar tu insegni, e tu la danza - Guidi ed al piede la cadenza, e il modo, - E la posa ed il gesto e ogni movenza, - Memore ancor dell’arte prisca, apprendi. - Il diviso dall’orbe irto britanno, - Ammira e plaude; e quei che pria Colombo - Sotto l’ardente sol scopriva audace - Dopo acerbe fortune e l’aspra gente - Delle Esperidi e quei che del Sequano - Flutto nobil si fa, popol di Francia, - Inclito in armi e nel civil costume, - Blasis, dal genio tuo, da tanta altezza - Di tua mente commossi, al ciel la lode - Del tuo nome innalzar e della terra - Itala che ti fu larga nodrice - E della tua s’onora inclita fama. - Te la Gloria sublima e il tuo sembiante - Ritrae nel marmo. — A che ricordo io mai - Queste povere cose? — Oh! non da meno - De’ più gagliardi ingegni, osasti primo - Tu dell’uomo indagar le meraviglie - Note appena ridir ed ogni moto - Dell’animo a che valga e i nostri petti, - L’abito di natura, onde agli offici - C’informiam della vita ed alle eccelse - Regioni ci estolle, o in giù trascina - E ci offusca le menti e il corpo solve; - Che mai possa la donna e quanto ingegno - E nelle membra sue vigore accolga; - Quali rifulgan per sapere e quali - Alla patria devoti emergan forti - Nelle battaglie eroi, o la lor vita - Abbian dell’Arti al sacro culto intesa. - Quanto fai, quanto scrivi, a te le menti - Concilia, o Carlo, e raddolcisce i petti - Ed è fama così che la prestanza - De’ tuoi modi squisiti abbia lasciati - Ricordevoli molti; al par di pianta - Che frondosa al venir di primavera - S’incorona di fiori e nell’estiva - Stagion pendon dai rami i dolci pomi. - Quivi de’ lor melodïosi canti - Empion l’aure gli augelli e qui per lungo - Cammino il vïator stanco riposa - E le forze a la fresca ombra rintegra. - O dell’Italia onor, de la severa - Sofia decoro, lungamente vivi - All’arte e a’ tuoi, felice! e quando avrai - Grande e incolume i tuoi giorni compiuti, - Te Clio, te Euterpe e la virtù non morta - De la tua patria adducano immortale - Sovra nuvola ardente in grembo al cielo! - -Ma qui ne è forza balzar dalla barca e ascendere il monte che nomano il -Bisbino. Badiam però che la sua sommità sia libera e serena; perocchè -quando essa si incorona di nubi, gli è indizio che il cielo si turberà, -che non tarderà guari a piovere a dirotto: - - Se il Bisbin mette il cappello, - Corri a prendere l’ombrello; - -così avvertono, a mo’ di sentenza, quelli del luogo. - -Sulle sue pendici seggono le grosse terre di Piazza e di Rovenna, dove -è anche una bella chiesa e dove, non ricordo in qual tempo dell’anno, -è una sagra a cui corre gran gente, ma più ancora al Santuario sulla -vetta. - -Più in su è il Pertugio della Volpe. - -La vista che al di fuori ci si offre è incantevole: valeva la pena di -venirvi. Ma descrivervi il panorama non mi calza, da che la descrizione -è esaurita per chi montò sul Generoso. Tuttavia a chi non garba il -maggior incomodo di salire fin lassù, questa vista del Pertugio della -Volpe lo paga certo del minor disturbo. - -Entriamo adesso. È una grotta che s’addentra assai e assai: i -banchi calcarei che vi sorgono e la rendono ineguale, vi palliano -la lunghezza. Fu misurata novecento metri: sarà vero? Io non mi sto -fra coloro che si mostran troppo increduli, nè mi voglio, San Tomaso -novello, metter la mano a sindacare. Parmi migliore civiltà arrendermi -a chi me la spara grossa... e saran dunque novecento metri di -lunghezza, e voi credetevi, o lettori; e se no, pigliatevi il gomitolo -del villano di Barnabò Visconti e misuratela a vostro talento. - -Vuolsi ricca questa grotta — alla quale per avventura qualche volpe -snidata ha dato il nome — di alabastri venati; ma già questi monti -che fiancheggiano il vaghissimo Lario sono sì larghi depositari di -marmi e pietre che interessano il naturalista e lo speculatore, che -se n’avrebbero a scrivere volumi. Intanto godono gran rinomanza il -marmo bianco di Olgiasca che prolungasi sulla riva opposta del lago, -ove presso Musso già esistevane una cava; quello nero di Varenna; la -pietra di Moltrasio che riducesi anche a lamine sottili per grondaie di -tetti e pavimenti; le lumachelle della Tremezzina e il sarizzo che ho -testè accennato, e il marmo bindellino che è nel letto del Varrone, e -moltissimi sassi calcari che alimentano attivissime fornaci. - -E qui basti e discendiamo, perchè l’ora si fa tarda. - - [Illustrazione: Villa d’Este.] - - - - -ESCURSIONE SESTA. - -LA VILLA D’ESTE. - - Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa - Lejnati. — Villa Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — - La villa d’Este. — Giorgio IV d’Inghilterra. — La principessa - di Galles. — Suo processo. — Sua morte. — Sue opere alla villa - d’Este. — L’Albergo della Regina d’Inghilterra. — L’acqua della - Coletta. - - -I. - -Un giorno m’accadde di dire che un libro ben curioso sarebbe quello che -s’avesse a fare _Dei misteri del lago di Como_. Già il lettore che mi -ha seguíto ne ha per avventura intraveduto taluno; ma siccome questo -volume è destinato a tutt’altro fine, non mi farò a rivelarli adesso, -limitandomi però a riassumere quelli che sono già caduti nel dominio -della storia, e che per conseguenza non ponno più esser misteri. - -D’altronde, so che il titolo di _Misteri del lago di Como_ piacque -ad altro scrittore e li ha dettati; non li ho letti, — come si può -giungere a tutto? — ma suppongo che saranno indubbiamente una storia -immaginosa, sul tenore delle altre congeneri, — e allora non era quella -la mia intenzione[11]. - -Io voleva con quel pensiero alludere alle cento misteriose scene cui -furono teatro le varie ville che si stendono dall’una e dall’altra -sponda del lago; scene d’amore, scene di crimini, di romanzo e di -assisie, burlevoli e più che serie, che a raccorle ed ammannirle vi -vorrebbe la penna di Sue o di Dumas, di Ponson du Terrail — poichè v’ha -anche il terribile — o di Gaborieau, i romanzieri alla moda in Francia. - -Ora in questa mia escursione non chiamerò il lettore ad assistere a -scene misteriose, ma ad uno storico avvenimento; quantunque il processo -cui fece luogo fu ben lungi dallo squarciare interamente il velo di -tutto quanto si compì fra le pareti della villa d’Este. - - -II. - -E prima di tutto non lasciamoci passare queste altre che ci conducono -alla nostra meta; esse hanno tutto l’interesse al nostro sguardo: -eleganti, graziose ne accivettano a far omaggio anzitutto alla -bellezza, poi a monsignor Milione. - -La prima è rappresentata nella villa Bolognini, dalla più leggiadra -e graziosa creatura, cui stia a maraviglia sulla bellissima testa -la corona ducale; la madre sua, divenuta principessa, ebbe la dedica -d’un magnifico romanzo di Balzac, in cui le è dato tributo altresì di -spirito, e quel messere in fatto di spirito poteva ben essere giudice -competente. - -Ma qui ci troviamo in Cernobbio: una parola del paese. - -Il nome di esso lo si fa derivare da _cœnobium_, cenobio, da un -monastero che v’era di cluniacensi, e credo che sia una delle migliori -e incontrovertibili etimologie. Ai cluniacensi succedettero le monache; -ma sembra che l’aria del lago e queste naturali maraviglie delle sue -rive rendano infiammabili gli animi, ardenti i cuori, e che le povere -recluse fossero facilmente spinte a voluttà e gusti poco ascetici, se -non soltanto qui, ma anche altrove, come vedremo, l’autorità regia, o -l’ecclesiastica, se ne dovette ingerire e mandarle a menare quella vita -altrove. Le monachelle di Cernobbio furono cacciate dal loro ridente -soggiorno da quel nemico di cocolle e di veli che fu Giuseppe II. - -La cronaca ha serbato memoria d’un solo avvenimento di questa borgata, -che pare dovesse essere un tempo più popolosa e forte. Narrasi che nel -1433 alcuni uomini di Cernobbio fossero stati tratti per debiti nelle -carceri di Bellagio; che ad altri loro conterranei fosse entrato il -ruzzolo di liberarneli, e là recatisi di cheto, ne li avessero cavati -a forza. Era duca di Milano allora quel prepotente di Filippo Maria -Visconti, il marito della sventuratissima Beatrice di Tenda, che, -avuto sentore appena dell’avvenimento, mandò ad istituire il processo, -sperando scoprire i colpevoli; ma poichè la sapienza di quegli -inquisitori non giunse a darli nelle mani, il Visconti fece sommaria -vendetta, desolando tutta la terra di Cernobbio, ch’era assai più -industriosa, e consegnando alle forche quanti avevano osato opporgli -resistenza. - -L’industria maggiore de’ suoi abitanti è in oggi la pesca e i nauli, -guidando essi cioè le imbarcazioni de’ molti che affluiscono a bearsi -delle delizie del Lario, ed eseguendo i trasporti di pietre, calce e -derrate. - -Ho dato omaggio alla bellezza: ora alla ricchezza. - -Questa è rappresentata in Cernobbio dalle due ville dei banchieri -Lejnati e Belinzaghi, che vi raccolsero in esse tutte le opportune -comodità della vita. - -Più oltre un cancello vi annuncia il parco della Villa d’Este. - -Il cardinal Gallio, che si pretende nato in Cernobbio, fabbricò questa -villa che è fra le più grandi e sontuose del lago; tanto così che -or fan due anni l’imperatrice di tutte le Russie vi trovava comodo -albergo. Passò di poi in proprietà ai conti Calderari, onde da Garrovo, -che si chiamava dapprima, si nomò poscia da essi, infino al dì che -Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, principessa di Galles, venuta -in Italia nell’anno 1816, eleggendola a propria stanza, vi impose il -nome di Villa d’Este, che le rimane ancora. - -Il general Pino, che sposava una donna dei Calderari, riceveva con essa -anche la villa; e un bel dì che l’affettuosa sposa attendeva in quegli -ozj il marito, fece, sulle alture onde si chiude il recinto della villa -e che per felice combinazione rassomigliavano in minori proporzioni a -quelle su cui a Tarragona di Spagna si distendevano i fortilizî che il -marito aveva coll’armi italiane espugnati, rizzare tanti fortini che -imitassero in piccolo que’ maggiori, così preparando al marito la più -grata sorpresa. E poichè meglio si ravvivassero in lui quelle grate -e gloriose memorie, disponeva che gli alunni del collegio militare di -Milano, istituito a San Luca dal generale Teulié, vi venissero a far -loro armeggiamenti, attacchi e fuochi con mirabilissimo effetto. - -Ma la Villa d’Este fu teatro a scene più importanti di questa, per -lo scandalo che ne fu fatto per Europa tutta, e che rivelò il famoso -processo che si compì in Londra nel 1820; e siccome da tutti si chiede -come, perchè e quando venne dato alla villa il nome che essa ha, come e -perchè il nome di Regina d’Inghilterra fu imposto al bellissimo albergo -che nel giardino venne edificato dal barone Ciani, che tutta la villa -acquistò e vi fabbricò per entro casini, dominato, com’era solito a dir -egli, dal mal della pietra; così mette conto che io narri questa storia -scandalosa e più scandaloso processo, compendiandola da’ _Processi -Celebri_ che la resero ne’ suoi particolari. - - -III. - -La vita di disordine e di dissipazione, cui, dopo d’essere uscito -nel 1781 dalla minorità, s’era interamente abbandonato quel Giorgio -Augusto Federico, principe di Galles, erede presuntivo della corona -d’Inghilterra e che fu poi Giorgio IV, rimase così notoria, che di poco -aggiunse a popolarizzarla il bel romanzo di Gozlan. - -I suoi banchetti ricordavano le cene dell’impero di Roma: Fox, -Sheridan, Brummel, Erskine, Grey e Russel ne erano i compiacenti -compagni nelle orgie, negli stravizzi, nelle vergogne, come erano i -più eleganti che costituivano la _fashion_ inglese. Superbi equipaggi, -amanti di gran prezzo, dispendî pazzi in giardini e palazzi, e -perfino giunterie di giuoco si alternavano co’ stravizzi nelle più -ignobili taverne: non una tradizione in lui di quella moralità e -austerità, nella quale era stato nella fanciullezza cresciuto in corte. -Carlton-House fu il teatro di tanto scialacquo e dissolutezza. - -Non bastavano a sì grandi follie nè la rendita fattagli di -cinquantamila lire sterline, nè i redditi del ducato di Lancaster. A -capo di tre anni di sua maggiorità egli aveva già inoltre creato a sè -un debito di mezzo milione di sterline, vale a dire dodici milioni e -cinquecentomila franchi. Insorsero i creditori, il re Giorgio III si -ricusava di pagare, lo scandalo crebbe, e la Camera dei Comuni, dopo -un dibáttito scandaloso, finì col votare una somma di 161,000 sterline -(4,025,000 fr.) per pagarne i debiti. - -Incappato dipoi nelle reti di una signora Fitz-Hubert, cattolica -irlandese, costei giunse a farsi segretamente sposare, sebbene un tal -matrimonio fosse colpito di nullità, contrario essendo alle leggi -del regno, queste non permettendo a’ principi della famiglia reale -di contrarlo prima de’ venticinque anni; oltre che il matrimonio del -principe ereditario con una cattolica lo escludeva dalla successione al -trono. - -Aumentati inoltre i suoi debiti, dai quali punto non aveva ristato, -fino alla ingente somma di 642,890 sterline, a meglio cioè di sedici -milioni di franchi, parve al governo non esservi altro riparo che un -matrimonio legale. - -A vincere gli aperti rifiuti opposti dal principe, fu adoperato James -Harvis, più tardi conte di Malmesbury, esperto negoziatore durante -le guerre della repubblica e dell’impero francese, le cui _Memorie_, -lasciate dopo morte, forniscono i più curiosi particolari circa il modo -da lui usato per condurlo ad accogliere l’offertogli partito. - -I creditori, all’uopo sollecitati e divenuti a lui insopportabili, -determinarono finalmente l’adesione del principe al matrimonio, ch’egli -chiamava il proprio suicidio. - -Gli venne fidanzata Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, figlia di -quel duca di Brunswick che nel 1792 forzò audacemente le frontiere di -Francia. - -Mirabeau aveva attestato di lei esser amabilissima, spiritosa, bella e -assai vivace; ma il signor di Malmesbury nel 1794, quando fu conchiuso -il matrimonio (2 dicembre), la trovò, oltre che già di più di ventisei -anni, se abbastanza bella e con due stelle di occhi, anche un cotal po’ -triviale, con denti mezzo guasti e spalle impertinenti. - -La cronaca del paese mormorava di lei, come di donna leggiera, avida -di piaceri, e la faceva eroina d’una romanzesca fuga con un giovine -uffiziale della corte del padre. - -Ne completeranno il breve schizzo che ne ho fatto queste bizzarre -particolarità che si leggono nel giornale dello stesso conte di -Malmesbury. - -“— Il principe, madama, — le disse questo abile negoziatore un giorno — -è assai delicato per ciò che riguarda la nettezza. — Il giorno dopo la -principessa comparve assai bene lavata dalla testa ai piedi.„ - -“Ho avuto, scrive lo stesso Malmesbury, due colloquî colla principessa -Carolina, uno sulla pulizia e sulla decenza, ed un altro sul riserbo -nel parlare. Ho procurato, per quanto può farlo un uomo, di convincerla -della necessità di porre molta attenzione in tutte le parti del suo -abbigliamento, sia in quello che si vedeva, sia in quello che rimaneva -ascoso... Sapevo che portava delle sottane grossolane, delle camicie -ruvide e delle calze di filo, e non fossero neppure ben pulite e -cambiate abbastanza di frequente!... È singolare come su questo punto -sia stata trascurata la sua educazione e come sua madre, benchè inglese -(Augusta, sorella di re Giorgio III), vi abbia fatto poca attenzione. -L’altro nostro colloquio versò sul modo leggiero con cui parlava della -duchessa (sua madre), burlandosi sempre di lei e dinanzi a lei... Ella -capisce tutto ciò, ma lo dimentica...„ - -Questi erano gli sposi: vediamo i frutti di tal connubio. - - -IV. - -Il principe di Galles mandava a Greenwich, a ricevere la sua sposa, -lady Jersey sua recente amante, ciò che stabiliva fin dai primi -momenti in costei una acerrima nemica di Carolina, perchè non le aveva -dissimulato frizzi pungenti che non si perdonano. - -Trovo scritto che la prima notte di matrimonio fu degna di questi -sponsali. Dopo alcune ore, il principe abbandonava il letto nuziale, -senza dissimulare il suo turbamento, la sua collera e il suo disgusto. -Che pensare dei misteri di questa notte? Si parlò d’ubbriachezza, di -trasporti lubrici, di scoperte umilianti.... Checchè ne sia, è certo -che il principe, ubbriaco come un facchino, passò la maggior parte -della notte sdraiato, non nel letto nuziale, ma su d’un tappeto. - -Dopo tutto, il 7 febbrajo 1796, nove mesi successivi a quella notte, -Carolina dava alla luce la principessa Carolina Carlotta Augusta di -Galles. - -Ma non fu codesto un anello di ricongiunzione fra i due sposi. Il -principe di Galles continuò a vivere separato dalla moglie; anzi, dopo -due lettere scambiatesi fra essi, come a specie di convenzione d’una -separazione di fatto, la principessa di Galles si ritrasse a Black-Heat -nel Devonshire, da cui di rado si toglieva per comparire a corte; -intenta, del resto, alle cure della propria bambina. - -Nel 1804 cominciò la maldicenza, incitata da lady Jersey, a esercitarsi -a di lei danno. Disse di scandalosi amori suoi con lord Eardley, e si -pretese che William Billy Austin, fanciulletto da lei caritatevolmente -ricoverato e amato, fosse il frutto di adulteri amori. - -La delicata investigazione che si istituì l’assolse completamente, e -si trovò che il fanciullo era invece dello spedale di Brownlow-Street, -ed erano suoi genitori Sofia Austin e un falegname di Deptfort, -conchiudendosi che i di lei accusatori avrebbero meritato di essere -processati con tutta la severità delle leggi. - -Ma ciò non avendo giovato a ritornarle tutta la reverenza dovuta al -suo grado, molto più che l’investigazione e i suoi risultamenti erano -stati tenuti segreti, ella ne reclamò al re suo suocero, invocando la -pubblicità di tutto. _The Book_, che ne fu la raccolta degli atti, -comparve; ma giunto al potere Perceval, che era stato consigliero -alla principessa di quella pubblicazione, ne scongiurò lo scandalo e -soppresse il libro, e diè egualmente soddisfazione a Carolina, operando -in guisa che Giorgio III e i due fratelli del principe di Galles le -facessero solenni visite, e che una decisione del consiglio di Stato ne -confermasse l’innocenza. - -Ma gli odî del marito crebbero a dismisura, ed ei le tolse la figlia. -Ricorse ella, ebbe nuova riconferma d’incolpabilità, ma non riebbe la -figliuola. - -Le fu interdetto allora ricomparire a corte, non potendo il principe, -divenuto reggente per la demenza del padre, incontrarsi con lei. Ne -chiese ragione a lui medesimo, ma non n’ebbe risposta tampoco. - -La figlia Carlotta veniva destinata dal reggente al principe d’Orange, -erede presuntivo del trono de’ Paesi Bassi; dovendo mal suo grado -obbedirvi, in capo lista delle persone che dovevano invitarsi al -matrimonio la giovinetta scrisse il nome della madre. Giorgio gliela -ritornò radiandone il nome; ma Carlotta alla sua volta cancellò un -nome: era quello del futuro sposo, e rinviò al padre la lista. Ella -andava sposa poco dopo al duca di Sassonia Coburgo. - -La principessa di Galles risolse allora di abbandonar l’Inghilterra. - -Il Parlamento le fissava l’appannaggio d’annue lire cinquantamila -sterline; essa non ne accettò che trentacinquemila, e partiva il 9 -aprile 1814, assumendo il nome di contessa di Wolfenbüttel. - -Si diresse dapprima al suo paese natio; quindi partì per la Svizzera, -visitò l’Italia, la Grecia, la Turchia, la Palestina, Tunisi; poi si -stabiliva a Pesaro, e da ultimo a questa villa Calderari sul lago di -Como, che ricevette da lei, come già sa il lettore, il nome di Villa -d’Este. - - -V. - -Quale fosse la vita della principessa di Galles all’estero, e -principalmente su queste rive del lago, non ne è spenta la memoria -fra noi. V’hanno di molti ancora che rammentano averla veduta, che si -trovarono ai licenziosi balli cui ella assisteva alla Barona presso -Milano, che la riconobbero ai veglioni della Scala con travestimenti -impossibili o toalette sconvenienti; come moltissimi ne levano a cielo -ancora gli atti infiniti di una inesauribile generosità e carità. - -Queste sponde del Lario echeggiano tuttavia degli inni riconoscenti -alle sue splendide beneficenze. Ella allargò e compì la via che da -Como metteva alla sua residenza e spese assai denaro in altre opere -vantaggiose a quel paese. - -Se non che l’odio del marito e l’ira de’ nemici da lei lasciati in -Inghilterra non s’erano tenuti paghi di sua partenza: essi la seguivano -nelle sue peregrinazioni, nel suo volontario esilio. Neppur si volle -informarla della morte della figliuola, neppur di quella del suocero -Giorgio III, avvenuta il 29 gennajo 1820, da lei sapute entrambe -soltanto a caso. - -S’inasprì ancor più la persecuzione contro di lei coll’avvenimento di -suo marito Giorgio IV al trono. Il suo nome fu tolto dalle preghiere -della liturgia britannica, e le fu messa, per così dire, a’ fianchi una -commissione segreta che ne spiasse la vita. - -E questa nella sua permanente inchiesta, stabilita fra persone -influenti in Milano, raccoglieva fatti, circostanze, nomi e -testimonianze terribili contro di lei. - -Carolina, reclamando contro le misure summentovate prese in Inghilterra -contro di lei, minacciava recarsi a Londra a reclamare i suoi privilegi -di regina; ve la aizzavano i _whigs_ che avrebbero voluto suscitar con -ciò gravi imbarazzi al nuovo regno; sconsigliavanla i _tories_ collo -spauracchio d’uno scandaloso processo. Nulla temendo Carolina, sullo -scorcio del maggio 1821, arrivò in Francia, deliberata d’incarnare il -proprio progetto. - -Lord Hutchinson le venne incontro, e da parte di lord Liverpool, -ministro di Giorgio IV, le offriva aumentarle l’appannaggio fino a -50,000 lire sterline all’anno, purchè restasse fuor d’Inghilterra, -non assumesse titolo di regina, nè altro spettante alla famiglia reale -d’Inghilterra. - -Ella rispose a questa proferta, imbarcandosi sul pachebotto inglese -_Principe Leopoldo_ per Londra. - -Sbarcata sul suolo inglese, vi fu accolta colle dimostrazioni più -onorifiche dovute a regina e con entusiasmi che l’accompagnarono fino -alla capitale, dove passando innanzi alla residenza reale, la folla -emise all’indirizzo di Giorgio IV formidabili grugniti, modo col quale -quegli eccentrici isolani esprimono disapprovazione; ma questa marcia -trionfale veniva arrestata dal ministero in cui sedeva lord Liverpool, -il quale la sera del sei giugno presentava alla Camera dei Lord un -messaggio reale, mentre lord Castelreagh faceva altrettanto alla Camera -dei Comuni, quivi depositando un sacco verde contenente i documenti -d’accusa contro la regina, che nel messaggio e nelle parole de’ -ministri veniva tuttavia chiamata la principessa di Galles. L’accusa -era di adulterio. - -L’impressione prodotta fu grave, poichè si temesse non fosse per -riuscire a rinnovare i tempi d’Anna Bolena e Giovanna Grey; ma lord -Liverpool temperavala, dicendo che il fatto d’un adulterio commesso -all’estero con uno straniero non costituisse che un’ingiuria in linea -civile; e voleva con ciò rassicurare i nobili lord che non si sarebbe -trattato di pena di morte. - -Carolina intanto aveva preso alloggio in Brandenburg-House. - -Ecco il bill delle pene e delle penalità (_Bill of pains and -penalties_), che lord Liverpool lesse nel Parlamento: - -“Atteso che nell’anno 1814 S. M. Carolina Maria Elisabetta, allora -principessa di Galles, ed ora regina sposa d’Inghilterra, residente -allora a Milano, prese al suo servizio il nominato Bartolomeo Bergami -o Pergami, straniero, di bassa condizione, essendo stato domestico; -atteso che dopo d’essere il detto Bergami entrato al servizio di -S. A. R. vi fu tra di loro un’intimità sconveniente e ributtante, -e che non solo S. A. R. lo innalzò ad un posto eminente nella sua -casa e lo ammise a rapporti confidenziali colla propria persona, -ma gli conferì anche gli attestati più straordinarii di favore e di -distinzione, ottenendo per lui ordini cavallereschi e titoli onorifici, -conferendogli un preteso ordine di cavalleria, che S. A. R. erasi -arbitrata di istituire, senza averne nè il diritto, nè la facoltà; -atteso che la detta A. R., dimenticando sempre più l’elevatezza del -suo rango ed i suoi doveri verso V. M., non avendo più alcun riguardo -al suo onore ed al suo carattere, si è condotta col detto Bergami in -altre occasioni, tanto in pubblico che in privato, con una famigliarità -indecente ed una singolare libertà nei diversi paesi visitati da S. -A. R., e che finalmente ha avuto rapporti licenziosi, umilianti ed -adulteri col detto Bergami, che durarono per lungo lasso di tempo, -durante il soggiorno di S. A. R. all’estero, con grande scandalo e -disonore della famiglia reale e di questo regno; - -„Volendo, per tali motivi, manifestare la nostra intima convinzione -che con questa condotta scandalosa, disonorante e viziosa, S. M. -la regina ha violati i suoi doveri verso V. M. e si è resa indegna -dell’alto rango di regina sposa di questo regno; volendo attestare un -giusto rispetto alla dignità della corona ed all’onore della nazione; -noi umilissimi e fedelissimi sudditi di V. M., lordi spirituali e -temporali, e così pure i deputati della Camera dei Comuni, raccolti in -Parlamento, supplichiamo V. M. di ordinare quanto segue: - -„Che sia ordinato dalla Eccellentissima Maestà del re, coll’avviso -e il consenso dei lordi spirituali e temporali e dei deputati della -Camera dei Comuni, riuniti nel Parlamento al presente convocato, e -per la loro autorità, che la detta Maestà Carolina Amalia Elisabetta, -quando sia passato questo atto, abbia ad essere spogliata del titolo di -regina e di tutti i diritti, privilegi, prerogative ed esenzioni che -le appartengono come regina sposa di questo regno; che sia dichiarata -incapace ad esercitare alcuno di questi diritti, a godere alcuna di -queste prerogative, e di più che il matrimonio fra S. M. il re e la -detta Carolina Amalia Elisabetta, sia coll’atto presente sciolto per -sempre, totalmente annullato e reso vano sotto tutti i rapporti ed in -tutte le conseguenze.„ - - -VI. - -Il processo fu iniziato e consiglieri della regina furono i signori -Brougham, che fu poi illustre ministro, Denman, il dottor Lushington, -John Williams, Tindal e Wildas. - -Facciamo grazia a’ lettori delle particolarità della procedura e di -quanto deposero i testimonî, molti de’ quali chiamati da Milano e -dalle sponde del Lario circa gli scandali su di esse compiuti dalla -regina Carolina: sono particolarità indecenti che offenderebbero il -senso morale loro; ma d’altra parte resta monumento imperituro della -ingratitudine di molti, tra i quali di un Teodoro Maiocchi e di una -Dumont cameriera, che furono beneficati da quella donna dissoluta ma ad -un tempo di generosissimo cuore. Parve si mettessero in sodo gli amori -suoi con Bergami, aiutati da una sorella di lui, che figurò col nome -di contessa Oldi, dal fratello creato prefetto di palazzo alla villa -d’Este e dalla madre che assunse il nome di madama de Livris. - -Si parlò del teatro erettosi in questa villa del nostro lago, delle -rappresentazioni che vi si diedero, in cui la regina era sempre -l’amante di Bergami, e certi giuochi detti del turco Maometto di -eccessiva libertà e licenza. - -Ciò che per altro fu notato e sorprese, fu il fatto di danari e -promesse dati e fatte ai testimonî da parte d’uomini indettati col -governo; onde al popolo inglese e ai difensori della regina rimase -presa a revocar in dubbio le accuse e proclamarne la innocenza. - -“In quanto alla villa d’Este, disse il _Solicitor general_ nella sua -requisitoria, le deposizioni si accumulano. Là non provengono soltanto -dai domestici della regina. Dagli operai, dagli artigiani, impiegati -accidentalmente nella casa o nel giardino, si attestano tali intimità -che non lasciano il più piccolo dubbio sul commesso adulterio.„ - -Si seppe tuttavia che de’ molti testimonî chiamati da Cernobbio -a Londra a deporre in processo, la più parte, memore de’ ricevuti -beneficî, non le rese ingrata mercede. - -In quanto alla generosità, alla carità e alla bontà della principessa, -messa dai dibattimenti in piena evidenza, il medesimo _Solicitor -general_ fu costretto dire: “Io sono lontano dal voler contestare -queste virtù alla regina. Quando rammento di che illustre casa è -rampollo, non dubito punto che le possieda in tutta l’estensione -mostrata dalla lettera della testimone (la Dumont). Ma gli è andare -troppo oltre il dire che la generosità più elevata, la carità più -estesa, la sensibilità più squisita, non possano cambiarsi nel cuore di -una donna con un attaccamento ignobile e colpevole.„ - -La difesa degli avvocati della regina, quella di Brougham -principalmente, parve splendida; i lordi Erskine, Gray, Rosselyn, -Harrowby, King e l’Arcivescovo di Thuam vi aggiunsero nelle discussioni -proprî e vigorosi argomenti in favore. - -Si trattava finalmente di venire alla definitiva lettura del bill: -l’agitazione era immensa, impazientissimo il pubblico di vederne -il risultamento, perocchè tutto dipendesse da essa. Lo scrutinio fu -aperto: cent’otto membri avevano votato in favore, novantasette contro. -Non fu più permesso allora di pensare a mandare alla Camera dei Comuni -un atto votato con nove voci di maggioranza; e lord Liverpool si vide -forzato a mettere ai voti il rinvio del bill a sei mesi. Era questa -la formola consacrata per non parlarsene più e mettere a dormire per -sempre il processo. - -Questa accorta mozione venne votata il nove settembre alla unanimità. - - -VII. - -La vittoria fu dunque della regina: essa fu salutata dal popolo con -frenetica gioia, e le si fecero le più pazze dimostrazioni, con voci di -morte ai testi Maiocchi e Dumont. - -La plebe, portando queste sue gazzarre ovunque, voleva che tutti vi -pigliassero parte, e, ritrovandoli sul suo cammino, obbligò molti -aderenti del re ad unirsi ai proprî entusiasmi; ma lord Lauderdale, cui -fu arrestata dalla plebe la carrozza, costretto da essa a gridare: Viva -Carolina! se ne trasse con molta disinvoltura e spirito, dicendo: Vi -auguro a tutti una moglie come la principessa Carolina. - -Ma durarono poco i popolari saturnali. - -La regina s’era ritirata ancora a Brandenburg-House. Volendo ella nel -maggio 1821 reclamare di nuovo i diritti di regina sposa, e pretendere -d’essere pur ella incoronata, l’_Attorney general_ respinse il -reclamo, che nel di lei interesse era stato presentato dal suo avvocato -Brougham, sul motivo che nessuna legge accordasse alla regina sposa il -diritto agli onori dell’incoronazione; e quando nel dì medesimo della -stessa si presentò a ciascuna delle porte dell’abbazia di Westminster, -dove veniva celebrata, le si chiese rispettosamente il biglietto -d’entrata e le fu ricusato l’ingresso. Ella allora, nell’allontanarsi, -attendevasi una dimostrazione popolare; ma non raccolse che urli e -fischi sul suo passaggio. Andate a fidarvi dell’aura popolare! - -L’umiliazione di Westminster fu per Carolina il colpo mortale. Il 30 -luglio successivo cadeva malata, uscendo dal teatro di Drury-Lane. -Si vociferò che fosse stata avvelenata in una limonata che vi aveva -bevuta, quando moriva il 7 agosto; ma la sua morte fu dichiarato -invece, officialmente, che fosse stata in causa di infiammazione -intestinale. La malevola insinuazione era la naturale conseguenza degli -odî che universalmente si conoscevano nutrirsi dal sovrano contro di -lei. - -I suoi beni espresse ella medesima il desiderio che passassero alle -mani di William Austin, il trovatello, per il quale aveva subíto in -addietro i primi strali della calunnia, e che la sua salma venisse -trasportata in patria, essendosi preparato il seguente epitaffio: - -“Qui giace Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, vilipesa regina -d’Inghilterra.„ - -Sulle sponde del Lario la sua memoria, ho già detto, è congiunta a -molte opere di generosità e beneficenza ed alla via che ella aprì da -Como fino alla sua villa d’Este che aveva eletta a sede de’ suoi poco -regali amori; e pel filosofo rimane oggetto di meditazione per la -strana contraddizione ch’ella presentò di grandezza e di bassezza, di -carità e di corruzione, di virtù e di colpe. - - -VIII. - -In questi ultimi anni, nel fianco destro del giardino della Villa -d’Este, il baron Ciani eresse un magnifico albergo, che dal personaggio -che que’ luoghi abitò, assunse il nome di _Regina d’Inghilterra_, e -vi è condotto con tutte quelle commodità onde van lodati gli alberghi -della Svizzera. Magnifiche piante formano avanti ad esso una specie di -grato e fresco luogo di passeggio e lettura. - -Vi si aggiunse uno stabilimento idroterapico, fornito di doccie a -soffioni, al quale poteva giovare e l’acqua del torrente Garrovo, che -dava prima il nome al luogo, e quella leggiermente magnesiaca, che sul -colle sovrastante ha la sua sorgente e si denomina della _Coletta_; ma -forse più che a cura di malattia, vi traggono numerosi gli stranieri a -ricercarvi soggiorno ameno e tranquillo. - -La facilità di recarsi a Como, a cui muove più volte al giorno un -_omnibus_; quella di aversi pure più volte al giorno corrispondenze -e giornali; la strada Regina, abbastanza valevole a percorrerla -in carrozza; l’agio di passeggiate montane e di gite sul lago; la -non ampiezza del bacino, che permette di solcarlo e traversarlo in -pochi minuti, senza tema di pericoli, rendono quest’albergo assai -frequentato. Difeso dai venti troppo impetuosi dal promontorio di -Pizzo che gli sta a fianco, anche a chi meglio si piace di solitudine e -silenzio è conveniente asilo; ed io più d’una volta vi cercai riposo e -quiete dalle tumultuose cure dell’avvocare e dai cittadini rumori. - - - - -ESCURSIONE SETTIMA. - -IL PIZZO. - - Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la fabbrica. - — I conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. — - Migliorie. — La villa Curié. - - -A Parigi, al _Bois de Boulogne_, che è il convegno delle carrozze più -ricche, de’ campioni dello _Sport_ e de’ passeggianti e che noi diremmo -il corso di quella grande capitale, nazionali e stranieri ammirano -e seguono sempre collo sguardo avido e maravigliati, fra gli altri, -un equipaggio elegantissimo a cui sono attelate pariglie di superbi -cavalli, che traggono sempre una gentile signora, che “la dev’essere -ben ricca„ esclamano sempre quanti l’osservano. Le toalette di essa -rispondono allo sfarzo dell’equipaggio. - -— A chi appartengono equipaggio e toalette? — ognuno domanda e la -curiosità è ben naturale. - -— A madama Elisa Musard — vi si risponde subito da tutte parti, chè a -Parigi non v’ha persona, io credo, che lo ignori. - -Ed ella, madama Musard, la moglie di tale che ottenne una speciale -celebrità musicale, è la proprietaria pure di questa principesca villa -che, procedendo dall’albergo della Regina d’Inghilterra, che abbiamo -appena lasciato, in poco volger di remi vi si presenta sulla punta -sporgente nel lago e che con quella che le sta di fronte di Torno, -chiude il primo bacino del lago, il quale abbiamo oramai tutto quanto -percorso e visitato. - -Chi la vide in passato questa magnifica villa, più non la -riconoscerebbe; tanto la ricca signora la ingentilì, restaurando e -riducendo a nuovo la casa e le scuderie, e vi profuse cospicue somme -nell’arricchire il bel giardino a cui natura prestò i più opportuni e -vaghi accidenti di terreno. - -Fabbricata a mezzo circa il secolo decimosesto da Gian Battista -Speziano da Cremona, senatore, e fatto altresì per tanti meriti -patrizio di molte città, fra cui di quella di Como, vi apportò tutto -l’amore ch’egli aveva alla scienza agricola; e compiuta la parte del -fabbricato, vi avrebbe eziandio raccolto quanto di peregrine produzioni -gli fosse dato, se non fosse stato da morte arrestato nella esecuzione -del suo concetto. Passò di poi ai conti Muggiasca, e quel che di questa -famiglia fu vescovo di Como, e di essa si piacque approfittando della -pendice del monte a cui la villa s’addossa, vi ingrandì il giardino, -usando anche delle mine per aprirvi sentieri e vie, onde poterlo tutto -percorrere agevolmente. - -Il conte Giacomo Muggiasca, nipote di lui, poichè fu morto, la villa -fu acquistata dall’arciduca Ranieri, vicerè del Regno Lombardo-Veneto, -finchè sopravvenute le fortune politiche e l’italiana indipendenza, -che ne resero mal proprio alla famiglia sua, che si aveva alienate le -simpatie del paese, il possedimento, la signora Musard la comperò. - -Mai non sarà sembrato a questa signora di dovervi ritrovare tanta -negligenza di coltivazione e di abitato, pensando riceverla da -principesca famiglia, e certo vi dovette profondere egregie somme per -ridurla alla condizione presente. Infatti, per dir del solo giardino, -non vi trovò che produzioni spontanee delle nostre rive lacuali, e -tolti i cinquecento cipressi, anche la selva, bella senza dubbio, non -constava che di pini, di abeti, di lecci, di quercie, di faggi, di -alberi, di piante insomma tutt’altro che peregrine. - -Ora, mercè del signor Villoresi, che vi è preposto a cura, migliorò, -anche da questo lato d’assai e d’assai la villa. Piante esotiche, -arbusti rari, fiori ed erbe vaghissime e forestiere vi introdusse -e coltivò, con quell’amore e dottrina che si può dire tradizionale -nella sua famiglia. Tuttavia la villa del Pizzo, per essere di quella -rinomanza e valore a cui ha diritto di aspirare, non ha d’altro -bisogno che di essere arricchita nel palazzo, già sontuosamente -addobbato, d’oggetti d’arte insigni, ciò cui del resto la ricchezza -sfondolata della signora del luogo può facilmente provvedere; ella che -d’altronde con intelligente generosità s’acquistò già tanti titoli alla -benemerenza di queste terre circostanti. - -Confina colla villa del Pizzo quella modernissima, dell’inglese Curié, -il quale la nicchiò nella specie di seno che forma la punta che si -protende nel lago. Con enorme spesa rivestì la nuda roccia e la rese -tutta quanta verdeggiante per belle e preziose piante, e intorno alla -ricchissima casa seppe praticarvi un bel giardino ed un elegante parco. - -Quivi colla intelligente opera di Gioachimo Curti, che fu padre della -poetessa Adele, già per me ricordata in una precedente escursione, -adunò preziosità artistiche; ma resosi defunto chi s’era di questo -luogo così compiaciuto da erogarvi tanto denaro nel fabbricarsi la -villa, e passata questa al figlio che milita allo straniero, è appena -se egli la visiti qualche giorno entro l’anno; e però chi va a vederla -non vi rinviene quel non so che di indefinito che rivela la vita e la -presenza del nume famigliare. - - [Illustrazione: Cascata di Moltrasio.] - - - - -ESCURSIONE OTTAVA. - -LA CASCATA DI MOLTRASIO. - - Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio - episodio. — Villa dei signori Nulli. — La leggenda della Ghita. - — Perchè si nomi Moltrasio. — La Vignola dei Passalacqua. — E - la villa Durini? — Geologia. — La Cascata. - - -I. - -Io l’ho già detto in non so quale mio scritto, che del lago di Como, -di questa privilegiata parte d’Italia, benedetta dal sorriso della -natura, preferisco il bacino di Torno, che è il secondo del lago, e lo -preferisco pure a quello sì decantato della vaghissima Tremezzina; e -delle ragioni di siffatta predilezione, a non ripetermi, non mi farò -qui inutile espositore. - -Basti tuttavia a solo complemento di questo esordio il dire che, -sebben più angusto tale bacino e meno ricercato dell’altro, lo si -può nondimeno meglio godere, percorrendolo in ogni senso, senza tema -d’essere sorpresi a mezzo dalla tempesta, e liberi da quella soggezione -che troppo aristocratici villeggianti impongono, e che vi richiede -l’impegno di toalette e riguardi che vi infastidiscono e attossicano -gli ozj autunnali. - -Nel bacino di Torno, anzi proprio dicontro a questo paese, dove il -battello a vapore fa la sua prima ordinaria sosta dopo avere lasciato -Como, si adagia il bel villaggio di Moltrasio colle sue ville che -si specchiano nell’onde, coll’ampia strada _della Regina_ che lo -divide per mezzo, colle sue case scaglionate su per il declivio della -montagna, co’ suoi _crotti_ estivi pei dilettanti del buon vino, -massime con quello del Caramazza, osteria e convegno de’ buongustai di -Como che il preferiscono eziandio al Nino, co’ suoi rigagnoli, colla -sua cascata, col suo orrido... - -Ma non anticipiamo l’argomento... M’ho degli obblighi verso Moltrasio -da adempiere dapprima: or ringrazio l’occasione che mi si porge di -sdebitarmi. - -Era l’aprile del 1859. I tempi erano grossi, l’orizzonte politico nero, -le nubi presso a squarciarsi, la folgore a scoppiare; o, per uscir dal -figurato, stava per incominciare la guerra delle armi sardo-francesi -contro l’Austria, che doveva redimere l’Italia dalla oppressione -straniera. La polizia austriaca vedeva dovunque congiure e congiurati, -e a buoni conti andava pazzamente facendo razzia de’ liberali che, -non potendo varcare colle altre migliaia i confini per ingrossare le -fila dell’esercito piemontese, rimanevano ad agitar il paese, a tener -viva la fiamma della rivoluzione che non cessava di lavorare alla -cheta. Impossibile pertanto che un pensiero non si degnasse da essa -di concedere pure a me, che più d’una volta m’aveva fatto l’esagerato -onore di chiamare ne’ suoi segreti processi verbali _corifeo della -rivoluzione_. - -Aveva in que’ giorni arrestato già un mio fratello, e i miei -concittadini alla notizia scrollavano la testa; e l’un l’altro -si mormorava: hanno preso un granchio, doveva essere l’altro; e -declinavano il mio nome. In verità si giunse a mettermi nel cuore una -puntura di rimorso, e una mattina, a scandagliare il terreno sul quale -mi trovava, e all’occorrenza pronto a pagare di me l’equivoco preteso -dalla pubblica carità, osai picchiare all’ufficio del consigliere -M... commissario superiore di polizia nel temuto palazzo di Santa -Margherita. Avevo una scusa, mancando di carta di sicurezza — arnese -indispensabile a quei tempi di non compianta memoria tanto pel ladro -che per il galantuomo — e però entrato da quel signore manifestai il -mio bisogno. - -Il consigliere M... era un buon tedesco, una mosca bianca tra -i cagnotti polizieschi; nè appena avevo aperto bocca, che così -m’apostrofava: - -— Ma ella è malato; m’avevano detto ch’ella fosse in campagna a curare -la sua salute, perchè mo’ è tornato? - -— Hanno arrestato mio fratello, temevo non fosse un equivoco. - -— Ma no, no, suo fratello uscirà oggi o domani, ed ella è molto malato, -vada in campagna... e alzatosi mi fe’ senza perditempo disporre la mia -_carta di sicurezza_ e consegnandomela, tornò a dirmi: - -— Dunque la vada, curi la sua salute. - -Guardai commosso in faccia al buon tedesco, gli strinsi la mano e -risposi: - -— Anderò; ma dove in avvenire potesse aver bisogno di me, la mi comandi -— e me ne andai. - -Anche in Polizia gli impiegati tedeschi non erano i peggiori; se -valesse la pena di rammentar nomi, si vedrebbe che le più nefaste -memorie di que’ tempi si legano a nomi sventuratamente nostrali. - -Qualche ora dopo ebbi un altro amichevole avviso che riguardava la -_mia salute_; ond’è che quantunque mi sentissi perfettamente, pure -udendomi, come Don Basilio, gridare _che brutta cera!_ bisognava ben -che vi credessi, e me ne andassi non _a letto_, come quel messere della -commedia di Beaumarchais e di Rossini, ma sì a pigliare un po’ l’aria -balsamica della Svizzera. - -L’importante era il varcare i confini; passaporto non avevo nè potevo -chiedere, se non per la gattabuia, dov’erano già stati dati ordini -di ricevermi; dunque presi la via di Como e precisamente mi diressi -a questo bel paese di Moltrasio, da dove a notte una guida m’avrebbe -fatto passare la montagna per discendere nel Mendrisiotto. - -Una bella villetta fiancheggiata da due torricelle a finestrelle a -sesto acuto, come un castello tradizionale del medio evo, si fa innanzi -dipinta a nuovo e bagna i proprî piedi nell’acque del Lario: allora -apparteneva al signor Nulli, bravo e onesto commerciante di Milano, -che in un colla sua giovane sposa mi accolse, non dirò soltanto con -patriarcale ospitalità, ma perfino con entusiasmo, in grazia della -causa che ad essi mi conduceva. Non fu maniera di cordialità e cortesia -che non mi usassero questi eccellenti cuori, e così mi disposero a -calcar la via dell’esilio, che per sommo di ventura non doveva essere -molto lungo, quantunque subito amareggiato da grave malattia. - -Oh! io mi rammenterò tutta la vita quella giornata da me trascorsa -nella villa di Moltrasio! il mio pensiero ed il mio cuore la rammenta -con dolcezza e con sincera riconoscenza. - -Qualche anno dopo, io elessi a stanza autunnale una villa prossima a -Moltrasio, nel vicin paesello d’Urio: corsi difilato, come voleva il -cuore, alla villetta delle due torricelle; ma colà più non erano i -signori Nulli... - -Essa è ora di ragione dei conti Belgiojoso, e v’hanno appiccicato, come -s’usa a tante, un nome, e vien detta _Il Pensiero_. Per me, l’ho detto, -essa sarà sempre un pensiero di gratitudine. - -Rifaceva allora la via nel mio burchiello, che il Bellasio spingeva -avanti lentamente, quasi ei pure non volesse turbare il mio silenzio -e la mia penosa meditazione; poi l’accorto barcaiuolo, che sapeva un -cotal po’ de’ miei gusti prediletti, presumendo fosse tempo di finirla -colle ubbie, venne a rompere il silenzio. - - -II. - -— Vede? Anche qui a quello scoglio — e sospendendo un tratto i remi, -mi indicava una scogliera che dal lato manco del paese si protende un -cotal poco — si racconta una storiella, una di quelle ch’ella piacesi -d’ascoltare. — - -Il Bellasio (così chiamato per avventura, altro essendo il suo vero -nome, perchè venuto da Bellagio, borgata più in su del lago, che -visiteremo, e la quale sta a capo della punta che divide il Lario in -due rami, l’uno che scende infine a Como, l’altro che spingesi infino -a Lecco, da dove poi le sue acque ripiglian il diritto primitivo, -uscendo di sotto il ponte col nome anteriore di Adda e colla qualità -di fiume) era un valente barcaiuolo ed a lui più d’una volta mi son -mostrato avido di leggende e di racconti, come quegli che pur la storia -anedottica d’ogni terra del Lario e d’ogni villa aveva sulle dita; -mi aveva messo un giorno il ticchio di descrivere quella storia de’ -misteri del lago, della quale già feci cenno; e vi so dire che se tempo -e volontà m’avessero bastato, se ne sarebbero dettati più volumi tutti -pieni e palpitanti d’interesse. Dal santo chiodo e dalla gamba d’un de’ -bambini trucidati dal Re Erode, conservati nella chiesa di San Giovanni -Battista di Torno, al processo della regina Carolina d’Inghilterra; -dagli sposi annegati, ricordati dalla ballata del Cantù, al processo -B.... e alla conversione del principe Petrovich di Schuvaloff, fattosi -poscia barnabita e di cui si veggono le ville sulla sponda opposta -vicino a Blevio e che ho già rammentate, sapeva il Bellasio tutto; e -più d’una volta me ne aveva fatto curiosa imbandigione, nè era sempre -stata infruttifera a lui la parlantina. - -— E che si narra intorno a quella scogliera? — chiesi allora al -barcaiuolo. - -Questi incrociò di nuovo i suoi due remi e più lentamente ancora -adoperandoli, incominciò: - -— Erano i tempi antichi. La Ghita era una bella montanina che abitava -una casipola lassù presso alla cascata di Moltrasio. - -— La cascata? — interrogai io, come uomo che fosse nuovo a quella -locale particolarità. - -— Che? non c’è stato a veder la cascata di Moltrasio? La ci vada che ne -sarà contento. - -Io fermai dentro di me che vi sarei andato all’indomani. - -Il Bellasio proseguì: - -— Dunque la Ghita in sul pomeriggio d’una giornata era andata giù a -Cernobbio a trovare non so qual parente e fra una parola e l’altra il -tramonto approssimava e l’ora della cena pur con esso. — Che ti fermi, -Ghita, a mangiare con noi un bocconcino? le dice quella parente. — -Sì, no, è troppo tardi, m’aspetta la mamma — risponde la forosetta e -intanto la chinava la faccia fatta rossa come una melagrana. Gli è che -la Ghita, come ella può bene figurarsi, aveva a casa il suo Tonio che -l’attendeva, un pezzo di giovinotto che le invidiavan tutte le ragazze. -— To’, siedi: sono agoni che due momenti fa ballonzolavano ancora vivi -sul tagliere. — E la Ghita, mal resistendo, si sedeva sur un trespolo -di legno intorno a un desco su cui fumava una soda polenta e gli agoni -esalavano una fragranza provocante. L’ora così si era fatta tarda, -quando la Ghita si accommiatò. Ben è vero che qualcuno l’accompagnò -un piccol tratto di strada fino alla punta del Pizzo, ove è adesso la -villa del passato Vicerè e ch’ella sa; ma, qui giunta, sentendo venir -da lunge come uno zufolare d’uomo e credendo che si fosse il proprio -Tonio che le venisse all’incontro, licenziava l’uomo che l’aveva -accompagnata col pretesto che in due salti ella sarebbe a casa, nè -voleva di tanto dargli più incomodo e fatica. - -E la Ghita camminava. - -La strada allora non era come la vede adesso, così bella che la fu un -vero beneficio di quella donna caritatevole che è stata la principessa -di Galles, la regina che per tanto tempo fu la nostra provvidenza; la -strada era su e giù serpeggiante fra la boscaglia, fitta, scura, che -chi non fosse stato del paese non ci avrebbe certo a notte trovato il -conto di uscirne, e se incauto si fosse un po’ tenuto verso il lago, -avrebbe corso anche il rischio di fiaccarvi il collo; perocchè prima -che Monsù Curié avesse fabbricato la sua bella palazzina, là vi stavano -bronchi, massi e precipizî pericolosi mascherati da liane e spine -secolari. - -Era la Ghita giunta poco più avanti ove è appunto la villa Curié, che -sentissi da una voce sconosciuta intimare: - -— Alto, chi va là? - -— Son io, son la Ghita di Moltrasio — rispondeva sgomenta la fanciulla. - -E l’incognito ridendo allora di un riso satanico, venendole incontro, -le diceva: - -— Ah! ah! a quest’ora qui la Ghita di Moltrasio? Sei venuta ne’ miei -domini ed è giusto che paghi il tuo pedaggio — e stendeva ver lei la -mano. - -Diede la giovinetta un salto indietro e intimava al temerario: - -— Statevi un po’ sul vostro e lasciatemi ir oltre, perchè è tardi e -sono attesa. - -Lo sconosciuto rispose con un ghigno da demonio e mosse invece innanzi -risoluto per abbrancarla; ma la Ghita, lesta più ancor di lui, in un -attimo, fatto in cuore un voto alla Madonna a tutela del suo onore, -spiccò un salto per quei burroni, e quel tristo che la stava per -afferrare, nè pel bujo aveva avvertito l’imminenza del pericolo, -fallendogli il piede, giù egli pure precipitò. - -Si sentiva tosto dopo un lungo grido come d’uomo cui sia tocco una -terribile percossa, ed un giovane che muoveva da Moltrasio e l’udiva, -com’era ben naturale in quella generale quiete della sera, affrettando -i passi per il sentiero della foresta, giunto presso alla scogliera -dove il fatto era accaduto, presago in cuore che la sventura avesse -toccato la fanciulla dell’amor suo, si diè a chiamarla. - -— Ghita! Ghita! — - -La voce infatti della fanciulla gli rispose. Oh! era lei, proprio -lei, chè nel cadere per quei burroni la sua gonna s’era impigliata -fra i rovai e le liane e l’avevan impedita di rovinare giù nel lago -sfracellata, dove era andato invece a piombare il suo turpe tentatore. - -Tonio, il fidanzato della Ghita, espertissimo di que’ greppi, avvertita -dapprima la fanciulla che non si avesse ad agitare, ma cercasse -d’attenersi ad alberelli i più robusti, si condusse cautamente presso -ad essa e protendendole la mano, poichè l’ebbe ad afferrare, giunse in -breve a districare la sua Ghita e condurla a salvamento; e dopo udito -il tristo caso, quando presa la sua barca venne sotto alla scogliera -a cercarvi il mal capitato, nè egli, nè i suoi compagni che recavano -accesi de’ legni resinosi, ritrovarono il cadavere. Solo un feltro -galleggiava là vicino e la gente del paese andò divisa nel pensare -a chi spettasse. I più dicevan che ei fosse un contrabbandiere della -Svizzera vicina, altri invece e le comari affermarono, pel contrario, -che potesse essere il demonio, e che la Ghita fosse stata salva per -il voto alla Madonna. Certo è che ancora la sera, quando il tempo mena -burrasca, proprio come quella notte che avvenne il triste caso, vedesi -un fuoco errare su quel greppo, e chi passando lo vede si fa il segno -della croce, perchè o lo spirito del contrabbandiere o il demonio in -persona è condannato a qui far la penitenza. - -Il Bellasio gittò i remi: io sorrisi per la conclusione della -storiella e m’accorsi che eravamo giunti agli scaglioni della casa -de’ miei eccellenti amici, i signori Turati di Urio, che mi ospitavano -cordialmente. - - -III. - -Come avevo stabilito, all’indomani m’avviai a Moltrasio di nuovo, -alla ricerca della cascata che m’aveva accennato il barcaiuolo. -Attraversando il paese scaglionato su quel pendio, io, studioso -dell’antico, ricordai come gli etimologisti pretendano derivare il nome -del paese da _Monte Raso_, e misurandone tutta la lunghezza coll’occhio -vedevo l’ampio palazzo dei conti Passalacqua, detto la Vignola, -architettato da Felice Soave con soverchia semplicità, con giardino -avanti di esso a varî piani che discendono al lago sempre fiancheggiati -da cipressi. Volgevo poi lo sguardo da l’un lato e dall’altro della -villa e cercavo indovinare dove mai avesse potuto sorgere quella del -baron Durini, citata dall’abate Amoretti nel suo _Viaggio da Milano ai -tre laghi_, dove questo autore lasciò scritto trovarvisi una magnifica -raccolta ornitologica. - -Passai il paese, e a mano manca, fuori appena di esso, nella parte -superiore allo stesso si presenta infatti quel grande scoscendimento e -la cascata d’acqua che que’ del luogo chiamano l’Orrido di Moltrasio, -ma che non ne ha le condizioni, essendo ben lungi dall’ispirar orrore, -e da cui scende un torrente che attraversando il paese lo rende -veramente pittoresco. - -Il lettore ne ha l’idea nel disegno veritiero che ne ha tratto -felicemente il mio amico Curioni: le mie parole non gli apprenderanno -gran che di più. - -Il geologo qui ritrova un grandissimo interesse, e questa linea non -interrotta di montagne, che comincia dopo Cernobbio e procede lungo -il lago, è di un calcare bigio azzurrognolo e dell’epoca giurassica, -di struttura fossile, opportunissima alle costruzioni, facilmente -sfogliantesi in lastroni fin della grossezza di mezzo metro e con -qualche rara striscia di calcareo cristallino bianco e qualche vena di -litantrace. È conosciuta in pratica col nome di pietra di Moltrasio e -quivi cavansi altresì le ardesie onde copronsi i tetti in molti luoghi. - -I cataclismi formidabili in secoli antidiluviani imperversarono -certamente in tutte queste località, e le ammoniti che ritrova col -suo martello il geologo, pesci e rettili che si rinvengono sulle cime -di queste montagne, reliquie dell’_Ursus Spæleus_ raccolte in grotte, -crepacci spaventosi, burrati e fenditure, e questo dirupamento medesimo -di Moltrasio con quelli di Molina, di Nesso, di Bellano ed altri molti, -rivelano que’ tremendi sconvolgimenti naturali, per i quali si esercita -lo studio ed anco la fantasia di tanti indagatori della natura, così -spesso traviati dalle disparate dottrine e dai sistemi. - -La Caseata di Moltrasio è del più bello e singolare effetto. - -Una grossa massa d’acqua gittasi da una grande altezza fra una immensa -spaccatura di montagna. Superiormente alla caduta sonvi fertili e -popolati piani; onde rasente al punto di caduta evvi una casipola che, -a chi riguarda dal basso, molto aggiunge alla vaghezza pittorica del -luogo. L’acqua, rovesciandosi spumeggiante per quelle dirupate frane, -forma in basso un piccolo bacino su cui corrono, come ponte, alcune -tavole, dove sempre il visitatore si arresta nell’ammirazione di quella -grandiosa naturale maraviglia. Alberi ed alberelli, rampicanti verdi -e rossi e muschio rivestono qui e qua i grossi massi della frana e -prestansi mirabilmente a compiere una magnifica scena. - -Piena la testa, più che del frastuono dell’acque cadenti, delle -profonde impressioni lasciatemi dalla vista di sì imponenti bellezze, -ritornai sul mio cammino, raccolto nelle più svariate meditazioni, -nullamente distratto tampoco da quell’altro miracolo di cielo ed -acqua, di colli e monti, di ville e casali, di giardini e di colti -che mi stava tutt’all’intorno e che costituisce giustamente l’oggetto -dell’ammirazione e dello stupore anche del forestiero più disilluso. - - - - -ESCURSIONE NONA. - -MOMPIATTO. - - Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora Taverna. — Torno. - — Storia. — Gli Sposi annegati. — Ville Croff, Righini, - Antonelli. — La chiesa di S. Giovanni e pia leggenda. — - Mompiatto. — Le sue monache. — La Pietra pendula e la Nariola. - - -La giornata è serena: lasciamo la sponda di Moltrasio e volgiamo la -lancia alla opposta di Torno. - -Il piroscafo ha già toccato la punta di Geno, su cui siede la villa -Cornaggia e già dirizza la prora verso Cernobbio, per venire a deporre -passeggieri nel burchio della _Regina d’Inghilterra_, dell’albergo, -s’intende, del quale ci siamo già intrattenuti. - -La riga di bianco fumo che lascia addietro di sè il vapore ci avverte -che va sollecito; affrettiamo, che lo vedremo passare dinnanzi a noi e -giungeremo in tempo di farci cullare dalle grosse onde che solleva col -volgere delle ampie sue ruote, e passeremo in rivista i passeggieri che -muovono ai diversi punti del lago. - -Intanto eccoci in faccia la villa Taverna sulla sponda destra: -dirizziamo la punta della lancia alla volta di essa, se vogliamo -trovarci al sito in cui il piroscafo rallenta; la campanella della -fermata suona e noi possiamo goderci dello spettacolo che ci siamo -ripromessi. - -Il paesello vicino è Perlasca, terricciuola già fiorente per -l’industria della lana che vi si esercitava, ammencita ora di molto -nelle guerre _astute e ladre_, direbbe il Torti, de’ passati tempi. Vi -è ancora una casetta in cui la tradizione pretende siavi nato Benedetto -Odescalchi, quegli che fu pontefice sotto il nome di Innocenzo XI, -da soldato ch’era dapprima. Quivi ad ogni modo era la villeggiatura -degli Odescalchi e quivi egli veniva al divertimento della caccia, come -lasciò ricordato in un suo scritto. - -Fu nel secolo scorso che venne edificata la villa Tanzi, ora denominata -dall’attuale suo possessore conte Lodovico Taverna, patrizio milanese, -che l’eredò da un conte Tanzi, senz’altra ragione, dicesi, che -quella della simpatia, con un bel gruzzolo insieme di denaro per la -relativa manutenzione. Fu l’incarnazione di uno di quei bei sogni -di una notte d’estate che facciamo noi popolani, e la cui realtà non -avrà già recato tutta quanta la sorpresa al già ricco patrizio, che -avrebbe fatta a noi. Era in addietro la più bella villa del lago: ora -si conserva sempre fra quelle che attraggono meglio l’attenzione, -senza pretendere al primitivo vanto. Delle due ale sporgenti del -fabbricato, una non è internamente ultimata ancora. Accrescono pregio -i giardini disposti maestrevolmente, con serre chiudenti peregrinità -botaniche e fiori d’ogni specie, su tutti ottenendovi culto speciale -la rosa in infinite sue varietà, e ve ne aggiungono eziandio belle ed -esotiche piante. Nè ciò faccia maraviglia, da che il conte Taverna si -piacque di orticoltura e giardinaggio, e Lombardia gli va debitrice -dell’introduzione di più d’una delle piante ornamentali, venute poscia -in voga tra noi, e tra le quali quella bellissima tussilaginea, detta -il _Farsugium grande_. - -Ma ecco il vapore ci è alle spalle; sostiamo. - -Gustata la voluttà di questi sobbalzi dell’onda, progrediamo verso la -meta della nostra odierna peregrinazione. - -Questo paese è Torno col suo bel promontorio. Ebbe un dì stabilimento -degli Umiliati che vi fabbricavano panni. Narra il Cantù, che mentre -Francesi e Svizzeri combatteano contro i Tedeschi, i Tornaschi -favorirono i primi, e quando rimasero sconfitti alla Bicocca (1522), -resistettero ancora, come Brescia nel 1849, e ne corser la sorte. -Perocchè il governatore di Como assalse e mandò a ruba e fuoco Torno, -neppur la chiesa risparmiando; e restò memoria d’una fanciulla che -il fior verginale salvò dirupandosi da una finestra e perendo colla -patria. Lo stesso Cantù verseggiò un’altra pietosa romanza o storia di -sposi annegati, sotto il titolo: _I morti di Torno_. Io mi fo lecito -ridurla a prosa. - -Linda, la bella fanciulla di Torno, era fidanzata a Fernando, quando -questi aveva dovuto partir soldato per la guerra. Si scambiarono i -due giovani i giuramenti d’amore, e, mentre Fernando era alla guerra, -ella attendea e pregava la Vergine e i santi pel suo ritorno. Un dì -finalmente, reduce Fernando dalla Spagna, spediva lettera a Linda che -le annunziava la sua venuta al paese fra sette dì. Ognuno immagina -la gioia della poveretta a tal novella, ognuno le ansie di sì lunga -settimana: alla fine spuntò l’alba dell’ultimo giorno. Spia tutte le -navi, i battelli che solcano il lago; ma egli non viene: finalmente, -alla militare assisa che è in un burchio, più col cuore che coll’occhio -lo divina, lo riconosce... è lui. Ma intanto sul lago si è ingrossato -un fiero temporale, il tuono scoppia, l’acqua diluvia, è un tempo -d’inferno. L’amato burchio avanza lentamente lottando colle onde, e -Linda, a seguir meglio il progresso di esso, a meglio vedere il suo -bene, vola su d’un’eminenza che sta lungo il lago; ma giunta a mezzo -dell’erta, per l’erba molle e bagnata, il piè le scivola, e giù dalla -china precipita nell’onde. La vide Fernando e la conobbe, nè curando -il furiare dei flutti, si slancia in mezzo ad essi, drizzando il -nuoto verso la sua fidanzata. Invano facevano forza di remi i battelli -spiccatisi dal lido e il burchio dove era Fernando, per accostarsi agli -infelici sposi che non si videro più ricomparire. Solo la dimane se ne -ritrovarono i corpi: erano abbracciati insieme nell’amplesso castissimo -di morte. Là venne posta una croce a memoria del pietosissimo caso e il -barcaiuolo che vi transita prega loro la requie eterna. - -Poichè siam presso al porto, ecco vedete là su è la villa Croff: -vi stan presso le ville Righini e l’Antonelli a destra, due operosi -negozianti milanesi che raggranellarono gran fortuna e procacciaronsi -questi agî signorili; a sinistra sono la casa e i giardini a cedriere -sporgenti sul lago appartenenti ai signori Ruspini e da’ quali si -gode di bellissimo panorama. Nella casa di questi signori di Como, -fra qualche altro oggetto d’arte è un marmo egregiamente scolpito dal -Tantardini di Milano, del quale abbiamo già ammirato in Como altre -opere commendevoli. - -Scesi a terra, ci si para avanti la chiesa del paese e più su l’altra -dedicata a San Giovanni Battista, intorno alla quale è pure una -leggenda. Narrasi da que’ pescatori che al tempo delle crociate un -arcivescovo tedesco tornando da Palestina ne riportasse un santo -chiodo e la gamba d’uno degli Innocenti. Fermatosi a Torno, ebbe sì -continuamente contrario il vento, che gli parve riconoscere in ciò la -volontà del cielo ch’ivi lasciasse quelle sante reliquie, e le depose -infatti nella chiesa suddetta di San Giovanni. - -Per questo calle montiamo, montiamo, onde raggiungere l’altipiano a -cui siamo diretti, a Mompiatto. Nè lunga, nè aspra la salita: rivoletti -d’acqua limpida scendono lungo il cammino, che presto ci scorge avanti -la chiesa che sta in cima e dov’era già un chiostro di vergini. Quivi -però le monachelle, più che a _mattinar lo sposo_ divino, come direbbe -l’Alighieri, ed attendere a vita contemplativa, s’abbandonavano -ad amori e baldorie poco canoniche e meno caste; tal che S. Carlo -Borromeo, che alle monache ed a’ frati solea spesso riveder le bucce, -ne lo chiuse, e le suore trasferì al Sacro Monte di Varese a più severa -disciplina. L’episodio ricorda la novella prima della terza giornata -del Decamerone del Boccaccio, fondata sulla vecchia tradizione del -contado toscano che presso a Lamporecchio fosse un convento di monache, -che pel vezzo di divertirsi come quelle di Mompiatto, ebbero il -convento demolito ed esse furono trasferite altrove. - -Sull’ameno altipiano del Mompiatto vengono sovente le brigatelle -villeggianti ad asciolvere allegramente; ma più matte e curiose sono -quelle che vi chiama quella sagra che al due luglio vi si celebra e -dove è tutta la giornata il più lieto via vai, su e giù per l’erte -viuzze, d’uomini e donne e di fanciulli; ed in cima si merenda sotto -gruppi di annose piante; si gozzoviglia e canta finchè calano da’ più -alti monti le ombre, e alla chiesa di San Giovanni spirano i tocchi -dell’avemmaria vespertina. - -Su questo monte, che s’eleva sovra tutte queste ville che si schierano -da Blevio infino a Torno, attira poi la curiosità la _Pietra pendula_, -di forma conica, sulla cui punta sta in bilico un trovante o masso -granitico di due metri d’altezza e di cinque di diametro, che -pretendesi formi sistema col _Poncione di Blevio_, che gli abitanti -chiamano _Nariola_, altro masso più enorme che sporge sul pendio che -tocca appena d’una estremità la terra, solo sorretto dalla punta d’una -roccia calcare, sicchè guardato di fianco, sembra prossimo a rovinare. - - [Illustrazione: La Pliniana.] - - - - -ESCURSIONE DECIMA. - -LA PLINIANA. - - Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. — - Villa Canzi. — La Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso e - riflusso. — Spiegazione del fenomeno. — La Breva e il Tivano. — - L’assassinio di Pier Luigi Farnese. — Giovanni Anguissola. — La - villa e l’attuale proprietaria. - - -I. - -Non erano più i giorni gloriosi della celebre danzatrice, di Maria -Taglioni... Il tempo, questo terribile devastatore della bellezza e -del valore, aveva già da un pezzo chiuso i battenti de’ più cospicui -teatri a quella grande artista che aveva stancato i plausi dei pubblici -più difficili d’Europa, ed eletto soggiorno in Parigi, lasciava deserta -la sua vaghissima villa di Blevio, la quale si specchia nell’onda del -Lario. - -Non erano dunque più gli ammiratori e gli amici di quella illustre -alunna di Tersicore che animavano di loro presenza nell’agosto 1868 i -freschi recessi della suntuosa villeggiatura; ma sì i vispi figliuoli -di mia sorella, a cui era stata locata, ed io che, dopo un’arringa -al Tribunale di Como, ero venuto ad abbracciarli, io di fianco alla -mia buona Emilia, sorridevo alla bravura di Giulio e di Gigi suoi che -maneggiavano il remo, come se fossero nati e cresciuti sempre su quelle -sponde e facevano volare il canotto, leggiero come un alcione, sulla -quieta faccia del lago. - -Avevamo già lasciato addietro quelle ville che al piede di Blevio -abbiam passato in rassegna; già sussurrato mentalmente un vale alla -memoria del povero figlio dell’Inghilterra[12], che assueto al mare, -credette far troppo a sicurtà colle onde del Lario, le quali ogni anno -reclamano il tributo di vittime umane; passata innanzi alla villa -Taverna ed a Torno; già svolto i giardini dei signori Ruspini che -fiancheggiano vagamente Torno; rasentata la villa Matilde dei signori -Juva, piccola ma elegante, da cui uscivano note dolcissime di canto, -come le sa rendere quella esimia dilettante, che a valore potrebbesi -dire artista, che è la signara Matilde Branca, la quale ne è la -proprietaria; e quindi la villa dell’ingegnere Canzi architettata sul -far de’ palagi di Venezia, con finestre e loggie di terra cotta, come -ne è la balaustrata: quattro colpi di remo, ed ecco ci trovammo nel -pieno ed austero seno della Pliniana. - -— La Pliniana! esclamò Emilia. - -Infatti ci riconoscemmo in grado di vederne il fabbricato intero. -Un grandioso loggiato d’ordine dorico prospetta il lago e serve di -vestibolo al palazzo che si addossa al monte con giardino a varii -piani, i quali s’innalzano fino ad una specie di romitaggio, in cui la -solitudine profonda e l’isolamento assoluto della villa ispirano gravi, -melanconiche o appassionate meditazioni. Un torrente che le sta a lato, -dall’altezza di novanta metri balza con bell’effetto dalle roccie e -rumoreggia transitando per l’atrio, per confondersi da ultimo colle -acque del lago. - -— Fu Plinio forse qui ad abitare ed a lasciarvi il suo nome? — mi -domandò Antonietta, la mia eccellente e affettuosa nipote. - -— No — rispos’io. — Plinio il Giovane lasciò nelle opere sue la -descrizione della fontana intermittente, che avrai veduta nella villa -e di cui anzi fa cenno la lapide latina che vi avrai scorta, ma non -capita, e che qui chiama la curiosità del forastiero; ma la villa non -appartenne mai a quell’illustre. - -— Ah sì, la fontana che ha il flusso e riflusso come il mare e che è -inesauribile. - -— Essa ha infatti un’intermittenza; or cresce a ricolmare un bacino, -ed ora, ad occhio veggente, scema; ma questo flusso e riflusso non è -regolare come quello del mare, nè poi è tutta vera la credenza ch’essa -sia inesauribile. Vuolsi inoltre ch’essa abbia relazione col _Buco del -piombo_, che si vede all’opposto versante della montagna che sogguarda -il Piano d’Erba, ma non sono che supposizioni codeste. - -Ora udite quale spiegazione ne dia il detto Plinio, non già per dirvi -che l’abbia azzeccata giusta; ma per darvi un saggio della scienza -fisica d’allora: la traduzione dal latino è del Paravia: - - “C. Plinio a Licinio. - - „Io ti ho recato dalla mia patria il regaluccio di una quistione, - la quale è degnissima della profondità del tuo ingegno. Scaturisce - da un monte una sorgente, scorre fra sassi, si raccoglie in un - loghicciuolo fabbricato per cenarvi; quivi dimorata un tantino, va - a perdersi nel lago di Como (_in Larium lacum decidit_). Mirabile - è la sua natura; tre volte al giorno con invariabili aumenti e - diminuzioni si alza ed abbassa. Ciò si vede apertamente, nè può - vedersi senza un grande diletto. Colà presso tu siedi e mangi, - e bevi anche a quella medesima fonte, da che è freschissima; ed - essa intanto a certi e misurati intervalli o cala o cresce. Poni - all’asciutto un anello o chechessia, l’acqua a poco a poco lo - bagna, e tutto finalmente il ricopre, e si scopre di nuovo e bel - bello rimane all’asciutto. Se ti fermi ad osservar questo giuoco, - il vedrai rinnovarsi e due e tre volte. È forse un qualche occulto - vento, che la bocca e le fauci della sorgente or apre, or chiude, - secondo che entra cacciando l’acqua, o esce cacciato da questa? Il - che noi veggiamo avvenir nei fiaschi e in tutti i vasi di questo - genere, i quali non hanno una libera e súbita uscita. Poichè ancor - questi, benchè capovolti e inchinati, rattenuti da non so qual - vento contrario, ritardano il liquore, il qual non esce in certa - guisa che a frequenti singhiozzi! Forse le leggi dell’oceano son - le medesime che quelle del fonte? E per la stessa cagione che - quello ora s’innalza, or s’abbassa, eziandio questa fonticella con - alterna vicenda ora sporge, or s’arresta? O forse come i fiumi, - che scaricandosi in mare, sono dagli avversi venti e dall’impeto - dell’onda risospinti, evvi qualcosa che ritarda per qualche istante - il corso di questo fonte? O hanno gli interni canali un’assegnata - misura, per cui, mentre si rimettono le perdute acque, il rivo - si fa più scarso e lento, e rimesse che siano, corre più spedito - e copioso? Od evvi, non so quale, interno ed occulto recipiente, - che quando è vuoto desta e sospinge la fonte, quando è pieno la - ritarda e la soffoca? Or tu che il puoi, fa d’investigar le cagioni - che producono questo fenomeno. Per me è anche troppo, se ti ho a - sufficienza dimostrato com’esso avvenga. Addio[13].„ - -L’Amoretti invece, nel suo _Viaggio da Milano ai tre laghi_, dopo aver -notato come i movimenti dell’acqua abbiano un’esatta relazione con -lo spirare del vento, sì che incominciando su que’ monti a spirare -il ponente verso la nona ora del mattino, che quei del lago chiamano -la _Breva_, a quell’ora eziandio incomincia a crescer l’acqua nella -fonte; dice questo crescimento potersi generalmente calcolare di tre -in quattro ore. Infatti ad un’ora, al _Tivano_ del mattino succede -il vento che procede da Como e si denomina la _Breva_[14]. Simile -interviene alla sera. Più cresce il vento, più si alza la fonte; -l’aria è affatto placida, e la fonte punto non s’altera. Or come fa -egli il vento a produrvi sì fatte cose? L’Amoretti, premesso che in -vetta a’ monti soprastanti alla fonte Pliniana v’ha delle caverne o -pozzi naturali, che penetrano nel seno del monte e vi mantengono degli -interni serbatoi d’acqua, spiega il fenomeno in questo modo: “Siavi in -seno del monte uno o più recipienti d’acqua, corrispondenti alle bocche -superiori, i quali all’orlo abbiano delle uscite che portano alla -Pliniana. Soffiando il vento perpendicolarmente, comprime l’acqua e la -spinge all’orlo in maggior copia, e quindi più copiosi sono i canaletti -pei quali portasi alla fonte. Quando il vento cessa, l’acqua si rimette -a livello, e l’interno laghetto, a cui il monte ne somministra cogli -incessanti stillicidi, torna a ricolmarsi d’acqua, che il seguente -vento torna a respinger fuori. Ma quando un forte vento ha soffiato -lungamente, più d’un giorno sta la fonte senz’alterazione, perchè -l’interno recipiente di tropp’acqua è stato privato, e il consueto -spazio di tempo non basta a riempirlo nuovamente. Se questa spiegazione -non soddisfa pienamente, quella mi sembra almeno che soffra minori -difficoltà[15].„ - -— Ma allora chi fabbricò la Pliniana, se il luogo non fu di Plinio? — -chiesero in coro i miei nipoti. - -— La è tutta una storia — risposi io. - -— Contala, zio; contala. - -Giulio e Gigi macchinalmente appena muovevano il loro remo; noi -lentamente intanto approssimandoci ognor più al silenzioso palazzo e -di pochi tratti discosti dallo scalo della Riviera, sospeso ogni altro -movimento, il canotto sostò, ed io m’accinsi a dire la storia che mi -veniva domandata. - - -II. - -— Mi bisogna far viaggiare la vostra mente da queste rive a Piacenza, e -farvi dar addietro, meglio certo di tre secoli, all’anno 1547. - -Pier Luigi Farnese, da non molto creato duca di Piacenza e di Parma -da papa Paolo III, teneva stanza in quella città ed era da essa che -esercitava la sua tirannica signoria. Se egli avesse virtù alcuna, -hanno gli storici taciuto; all’incontro il Varchi ne lasciò orribile -pittura de’ suoi difetti, che del resto erano anche proprî del tempo, e -il Segni poi, altro storico fiorentino, non so con qual fondamento di -verità, ce lo descrisse storpio di mani e di piedi, sicchè bisognava -aiutarlo fino al mangiare; e tuttavia rotto a tutti i vizî. - -Proprio a que’ giorni Spagna e Francia tenevan l’occhio sul paese -nostro, e Carlo V imperatore l’aveva a morte col Farnese, e perchè -lo stimava, se non promotore, complice almeno dell’attentato di Gian -Luigi del Fiesco contro Genova, e perchè, ciò che più gli cuoceva, -scorgesse in lui propensione maggiore per Francia, tanto più che -il Pontefice aveva ottenuto a Orazio Farnese per moglie Diana, -figlia naturale del re di Francia Enrico II. Riuscì facile pertanto -all’imperatore di soffiar dentro gli odî de’ nobili Piacentini, che -lamentavano la passata libertà, e la tirannide attuale mal sapevano -comportare, e si tramò allora una congiura ch’ebbe a capi Girolamo e -Camillo _Pallavicino_, Agostino _Landi_, Giovanni _Anguissola_ e Gian -Luigi _Confalonieri_. Si pretese poi da chi si piace di stranezze e di -bisticci che i nomi loro fossero già preconizzati nella parola _Plac_ -(Placentia), che abbreviata si leggeva impressa nella moneta del Duca. - -Ai dieci di settembre di quell’anno 1547, que’ congiurati, con alcuni -loro aderenti, in numero di trentasette persone, portanti soppanni -armi coperte, côlta l’ora che il Duca avesse pranzato e i suoi ministri -fossero pure a tavola, entrarono alla spicciolata nella cittadella, ove -dimorava Pier Luigi, nullamente impediti dagli svizzeri che vi stavano -a custodia e che di nulla certo erano in sospetto. - -Vuolsi che il Farnese fosse stato, per avvisi venuti da Milano e da -Roma, prevenuto della trama; ma quando incalza il destino, invano vi si -vuole porre ostacolo: egli allora non vi pose attenzione. - -Mentre adunque taluni de’ congiurati, uccidendo alcuni labardieri -svizzeri e tedeschi, si impodestarono delle porte della cittadella e -della sala, Giovanni Anguissola con due fidati suoi compagni penetrò in -quest’ultima dove stava Pier Luigi in ragionamenti con Cesare Fogliano, -e fattoglisi sopra, con poche pugnalate lo freddò, senza provare -resistenza; perocchè il Duca, a causa di sua intemperanza, si fosse -reso quasi infermo agli atti. - -Il popolo e il capitano delle milizie ducali Alessandro da Terni -avrebbero voluto accorrere al parapiglia in fortezza; ma i congiurati -ne avevano prevenuto il colpo alzando il ponte, e Agostino Landi, -rappresentando al popolo il fatto e a lui mostrando il cadavere di Pier -Luigi, gridò Libertà, Libertà, Imperio, ed annunziò l’imminente venuta, -per S. M. Cattolica, di don Ferrante Gonzaga, governatore di Milano, -colle truppe di Cesare, il quale due giorni dopo infatti capitò e prese -possesso della città a nome dell’imperatore. - -Così si intendeva la libertà allora in Italia, e così poteva dire di -noi con ragione alcun tempo dopo il Filicaia: - - Per servir sempre o vincitori o vinti. - - -III. - -Poco frutto veramente raccolse del perpetrato assassinio il conte -Giovanni Anguissola. Perocchè, se egli venne a rifugiarsi a Milano -sotto le tende di Carlo V, il quale malgrado l’aver attizzato la -congiura, non era però meno parente suo per la figliuola Margherita -data in moglie ad Ottavio figlio di Pier Luigi, e se fu poi nominato -al governo di Como; non egli potè tuttavia far tacere il grido della -coscienza che l’accusava assassino, comunque le sue mani si fossero -insanguinate del sangue di un tiranno. - -Papa Paolo III aveva risentito acerbissimo dolore della uccisione -del figliuolo, e il re di Francia egualmente; nè si ritenne dal -dissimularne i fieri risentimenti, se lo stesso suo ambasciatore in -pieno palazzo a Coira ebbe a tirare all’Anguissola una stoccata, che -per altro no’l tolse da questo mondo. Anche il sicario che in abito -da frate lungo tempo fu veduto aggirarsi nelle circostanze di Como, -aspettando luogo e tempo per iscannarlo, ed altri emissarî, con non -dissimili propositi, se non vennero a capo del loro truce mandato, -mantennero pur sempre nell’Anguissola quella paura continua e quelle -agitazioni che gli dovevano turbar l’esistenza. - -Fu allora che nel 1570 egli elesse questo luogo, ove è la fonte -da Plinio il Giovane descritta, a edificarvi questa villa, e -dove, malgrado le naturali bellezze, la cascata e la magnificenza -dell’edifizio, pure è impossibile difendere l’animo da un certo senso -di malinconia. - -Ben poco il conte Giovanni Anguissola potè godere degli ozî non gai che -qui egli si era preparato; la villa poscia venne acquistata dal conte -Fabio Visconti Borromeo, indi dai Canarisi, sinchè pervenne al principe -Emilio Belgiojoso, dove un amor tempestoso gli abbreviò una vita che -era dapprima sembrata così sorridente ed elegante, passando per tal -modo la proprietà della Pliniana alla figliuola sua che impalmò il -milanese marchese Lodovico Trotti. - - -IV. - -La mia storia era finita. - -I miei nipoti ripresero taciturni il remo, virarono la barca e si -scostarono dall’austero luogo. - -Intanto le ombre scendevano giganti sul palazzo e ne’ giardini: al -mio povero occhio, non armato in quell’istante dell’occhialino, parve -per quella tetraggine e per le liane della cascata veder qualcosa -che si agitasse, forse lo sparnazzare di qualche augello notturno, e -l’immaginazione, ch’io medesimo avevo eccitata col richiamo di truci -fatti antichi, mi raffigurò lo spettro del primo signore di quel luogo, -dell’assassino, cioè, di Pier Luigi Farnese. - - - - -ESCURSIONE UNDECIMA. - -DA MOLTRASIO A TORRIGIA. - - Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura - nel 1863. — La villa Buttafava. — Pognana e Palanzo. — - Premenù. — Ancora a Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi, - Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — - Villa Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa Savoja. — La - Minerva, ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. - — Ville Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — - G. B. Lampugnani. — Sonetto a Katinka Evers. — Ville Rocca, - Tarantola, Ottolini, Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. - — Ville Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere dei fratelli - Taroni. — Laglio. — Monumento a Giuseppe Franck. — Villa - Galbiati. — Torrigia. — Villa Cetti. — La punta. - - -Perchè ci tratterremmo ancora in questo seno della Pliniana così severo -e malinconico? Solo ne’ giorni più ardenti del luglio potrebbe fornirci -un freschissimo recesso: or che siamo in pieno autunno, della frescura -non abbiam troppo bisogno. - -E poi, le dolorose memorie che di questa parte conservo, mi fanno dire -coll’Epico latino: _Eheu fuge... fuge litus avarum._ - -È vero che a pochi tratti avvi l’Orrido di Molina, che non è tempo -certo sprecato il visitare e che è dato argomentare non esistesse -in addietro, se nessuno degli scrittori del lago ne fa menzione. È -veramente orrido, come invece quello di Moltrasio, che non lo è, ho -preferito, per maggior verità, appellare Cascata. L’acqua si precipita -per un burrone dall’altezza d’una cinquantina di metri e mette i -brividi addosso a chi vi guarda. - -Presso a Lemna — paese, il cui nome greco, come altri che troveremo -lungo il lago, rivela la presenza un giorno di una colonia greca, -quella forse che vi si dice dedotta da Giulio Cesare — e giù al piede -ove era un gruppo di case e una villa, una notte dell’ottobre 1863, -ospite io a Urio in casa della signora Ostinelli-Turati, sulla sponda -opposta era un furiare di pioggia e di vento, e gli echi dei monti -avevan dopo, in mezzo al silenzio succeduto, ripercosso dall’una -all’altra sponda un forte e cupo rumore. Ognun che l’intese si -domandò che avesse potuto essere. L’indomani mattina il sole riapparso -illuminava a Lemna uno spaventoso disastro. Le acque infiltrandosi tra -la roccia e la terra sovrapposta ve l’avevano staccata interamente; -sicchè nel colmo della notte tutta quanta scivolando improvvisamente in -basso e producendo un borro, o lavina, aveva abbattuto e invaso tutti -i sottoposti casolari, seppellendovi sotto ben quarantacinque persone. -Anche la villa Buttafava fu nella massima parte riempita di fango, e -tale ne fu l’orrore della scena, che i proprietarî se ne debbono essere -disgustati e fu detto infatti che non vi volessero più ritornare. - -Io visitai quel tristissimo e toccante spettacolo l’indomani e vidi -più di un cadavere sterrarsi, più d’un orfano desolarsi, più d’un -superstite reso quasi stupido dal dolore. - -Tutto il terreno franato e melmoso giaceva là; la roccia era nuda e da -essa scendeva un rivolo d’acqua. - -Più avanti sull’alto vi sono i villaggi di Pognana e di Palanzo (nome -pur greco quest’ultimo), ma deserti assai, perchè la più parte de’ loro -abitanti emigrano mercanti girovaghi. Nulla poi offrono che chiamino -a visitarli, se pur non interessi Premenù, che è uno dei soliti -bacini o pozzi che su quest’Alpi si incontrano, ma non ha speciali -particolarità. - -Ritraversiamo pertanto il lago e ritorniamo al sorriso della opposta -sponda. - -Da Moltrasio a Torrigia non è che una serie di leggiadri palazzini. -Disseminate per il paese vi sono case civili di villeggiatura; rasente -il lago vi sono quelle dei signori Salterio, poi degli Invernizzi, a -cui fa seguito la villa del barone Tarchini-Bonfanti, distintissimo -medico milanese. - -Usciti appena dal primo paese, ci si offrono i due corpi di casa -costituenti la villa della Duchessa di Piacenza, illustre dama francese -che s’innamorò dell’Italia, o, a meglio dire, della nostra Lombardia, -e da tanti anni divide il suo soggiorno fra Milano e il lago di Como. -Della villa Pensiero dei conti Belgiojoso, che le vien dopo, già parlai -nella escursione alla Cascata di Moltrasio; così passiamo a quella -che succede, e che si denomina Rosiera: essa appartiene a Giovanni -Casati, uno de’ migliori coreografi de’ nostri tempi, e il nome che le -fu imposto ricorda appunto una delle più applaudite sue composizioni -coreografiche date nel massimo teatro milanese. - -Un grazioso _chalet_ svizzero, ch’era prima del nobile Vitali, fu -ceduto ai signori Pavia e continua la lunga e graziosa sequela delle -ville. Dopo di esso sorge la Partenope, che colla vicina Minerva -venne fabbricata dal signor Ambrogio Robiati, per condurvi il suo -collegio d’educazione maschile che aveva in Milano, e dove largheggiò -cospicue somme a beneficio... di chi le comperò di poi a prezzi -d’assai inferiori. La Partenope è divenuta ora proprietà del conte -Gamberini di Imola, che v’ampliò il giardino, abbellì la casa, tutto -informando alle proprie comodità. La Minerva ha mutato ora nome, quello -assumendo di villa Elena, essendo al presente posseduta dalla russa -contessa Elena Goloubtzoff nata Pahlen, sorella di quella generosissima -contessa Samoyloff, che per tanti anni erogò in Milano gran parte del -suo patrimonio in beneficenze. Essa pure sta annettendovi locali e -migliorie e vi fa erigere scuderie che mancavano, poichè da qualche -anno la via che corre dietro alla villa fu resa carrozzabile infino a -Torrigia. - -Tra la Partenope e la Minerva, l’editore e libraio Gaetano Brigola di -Milano si fabbricò la sua graziosa Igea, e può dire che il commercio -librario, da lui con tanta intelligenza esercitato, _hæc otia fecit_. — -Anche l’ing. cav. Savoja vi eresse a fianco un elegante casino. - -Fa séguito alla Minerva la villa della signora Ostinelli-Turati, -due nomi che ricordano due notorie case librarie, la prima di Como, -la seconda di Milano, nella quale, come già dissi al lettore, ebbi -ospitalità cordialissima e più d’una volta, perchè ad amici della -tempra de’ Turati rifiutare è offesa. Vuolsene ammirare la bella e -buona architettura del cav. Dupuy. - -Vien presso il paesello di Urio, a fianco del quale scorre il torrente -Strona e una grandiosa villa che già apparteneva ai Melzi e poscia di -padrone in padrone capitò alle mani dell’avvocato Peduzzi, che la va -affittando, finchè capiti qualche gran signore che se ne invaghisca e -la ristauri e perfezioni, di che ha veramente bisogno per essere detta -fra le più interessanti del lago. Evvi anche molto terreno addetto, -attissimo a convertirsi in bel giardino, ed ha al piede una bella -darsena, che all’uopo basterebbe a tramutarsi essa sola in villa. - -Quella detta _Jenny_, che seguita, è dei signori Uboldi; quindi la -villa Calcagnini, e dopo altre due spettanti ai signori Taroni, una -cioè al di là della strada, l’altra di qua e respiciente il lago. - -Sofia Fuoco, or fa qualch’anno rinomata danzatrice, uscita dagli -insegnamenti del Blasis, si raccolse qui a Carate in una comoda -villetta a riposarsi sui conquistati lauri teatrali. — Quivi si -tramutò pure da una villeggiatura suburbana di Monza, ch’ebbe cara -finchè fu rallegrata dal sorriso dell’unica figliuoletta Giuditta, -leggiadra, spiritosa e di sè assai promettente, il mio amico dottor G. -B. Lampugnani; ma rapitagli questa da inesorabil morte, più non volle -rivederla, ricercando i conforti di tanta jattura a queste amenissime -rive. Alla consorte sua, quell’esimia artista cantante che fu Katinka -Evers, la quale ne divideva inconsolabile il dolore, io in quel suo -domestico lutto rivolsi questo sonetto. - - Alle lagrime il fren, povera afflitta, - Lascia libero pur, che n’hai ben d’onde: - No, non basta il saper che a più gioconde - Regïoni volò la tua Giuditta. - Solo t’è in cor la verità confitta - Che tu la chiami ed ella non risponde, - Che col tuo bacio il suo più non confonde. - Ch’ella per sempre t’ha quaggiù relitta. - Era sì bella, sì gentil, modesta - E del suo spirto le virtù supreme - Così colpian ogni persona onesta; - Che nell’acerbo duol che il cor ti preme, - Altra parola non so dir che questa: - Povera madre, lagrimiamo insieme. - -Qui pure in Carate hanno ville il signor Rocca, che ristaurò la propria -recentemente; il conte Alfonso Visconti, che dall’angustia dello -spazio seppe trarre il miglior partito, e però chiamolla Ripiego ed -ha assai leggiadra architettura; il Battaglia, il cav. dott. fisico -Francesco Viglezzi, il Tarantola e la Ottolini, tutti accorrenti dalla -ricca Milano; e qui la contessa Sangiuliani, presso la quale a sera -convengono i villeggianti a conversari e danze. Al suo giardino la -piena del lago ritolse, or fa qualch’anno, un chiosco ch’era in riva e -che con tutto il mobiglio una bella notte scomparve, a nuova prova che -il Lario non patisce gli si rubi terreno. Quindi si schierano in bella -mostra le ville Lavizzari, Porro e Antongini, or passata quest’ultima -in proprietà del nostro bravo generale Longoni, che ne abbelliva casa -e giardino col miglior gusto, e che dopo le cure ed esercitazioni -militari quivi - - _Scende_ del campo a tergere - Il nobile sudor[16]. - -È nello stesso paese di Carate che i fratelli Taroni hanno operoso -cantiere per la costruzione di ogni sorta d’imbarcazione del lago: -navi, battelli, canotti, gondole, lancie, quattrassi e sandolini, tutto -vi si fa e con bella eleganza. - -E così eccoci giunti a Laglio, altro paesello montano, senza alcuna -particolarità, come tutti gli altri che discorriamo, costituiti dalla -chiesa e suo campanile, da casupole di pescatori e tutt’al più da una -osteriuccia, dove si eccettui il dottor Casella, del quale avverrà -nella prossima escursione che più intrattenga il lettore. - -È fuori di Laglio che fu collocato il monumento piramidale ad un -medico, Giuseppe Franck, che, transitando sul piroscafo, ognuno crede -possa essere di Pietro, l’illustre, il quale lasciò molte opere della -sua scienza, ma che non è; essendo invece eretto a Giuseppe, figlio, -autore per altro egli pure, ma di meno riputate opere di medicina: nè -si comprende perchè abbiasi voluto funestar con quel segno funebre il -sorriso di questa sponda. - -Affrettiamoci invece a esaminare la villa che succede ed è de’ -Galbiati, che ci avvicina a Torrigia, dove alla punta sporgente -nel lago sorge la villa dei signori Cetti, alla famiglia de’ quali -appartenne il gesuita Francesco Cetti, che a mezzo il secolo scorso -insegnò e dettò opere lodatissime di storia naturale. - -Qui, in antico, forse perchè il lago restringesi, era una torre che -diede per avventura nome al paese, _turris regia_, che aveva un faro, -buono a dirigere a notte le imbarcazioni. Ora a notte questo tratto -pescoso di lago è occupato dalle reti, che calate vi avvertono di loro -presenza coll’agitarsi continuo de’ campanelli, scossi dall’onde o -dal vento, i cui suoni scorrendo monotoni sulla superficie del lago, -producono un singolare effetto per chi ignora che stanno a segnale de’ -pescatori. - -E qui fermandosi la via carrozzabile, arrestiamoci anche noi; -rimanendoci una interessante escursione a compiere da qui, prima di -allontanarci. - - [Illustrazione: Buco dell’Orso.] - - - - -ESCURSIONE DUODECIMA. - -IL BUCO DELL’ORSO. - - Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — Il - cammino. — Il Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — Descrizione. - — Visite di dotti. — Le scarpe di S. Pietro. — Questioni - geologiche. — Paleontologia. — Gallerie o pozzi scoperti dopo. - — La discesa. - - -I. - -Per l’escursione attuale mi risparmio la fatica d’intrattenervi del -Buco dell’Orso con nuovo scritto: parmi ne dirà meglio quello che ne -dettai nell’anno 1864, quando, come già feci sapere, essendo ospite ad -Urio, consegnai nel seguente articolo le impressioni in me prodotte -e le analoghe osservazioni. Doveano essere allora sì pochi i giorni -che m’eran dati ai riposi autunnali, che neppure avevo fatto conto di -procacciarmi questi nuovi e studiosi ricreamenti, a’ quali or chiamo a -parte il lettore. - -Dopo le fatiche autunnali, qui venuto a ragion solo di riposo, a me -sarebbe bastato il solo aspetto di questo tranquillo lago, sospinto -nelle ore mattutine verso Como dall’immanchevole soffio del _Tivano_ -e nelle ore pomeridiane di colà respinto dalla _Breva_, quasi a -giovamento delle cento vele che riconducono a’ paeselli delle riviere -chi è corso per la mercanzia alla città; sarebbe bastata la voluttà di -scivolarne la piana superficie sul burchio o sul canotto, mollemente -adagiato in traccia della curiosa emozione che vi dà l’onda agitata, -come la lasciano i piroscafi percorrenti la lunghezza del lago; -sarebbe bastato in una parola il _dolce far niente_ che ha sì recondite -dolcezze per chi tutto l’anno si trova nel _mare magnum_ della città, -perchè potessi dire ottimamente impiegati i pochi giorni concessi; -ma pure distrazione novella, impreveduta mi attendeva. Lascerò ora i -simpatici ritrovi di parecchie ville che mi si dischiusero amicamente e -che valsero tanto a ingannare deliziosamente le ore della sera, lunghe, -interminabili alla campagna; lascerò le danze e le musiche da cui eran -bandite le ricercate toalette, e piuttosto vi dirò di quella spedizione -che feci in allegra compagnia al _Buco dell’Orso_, spedizione che -interessa tanto il profano, quanto chi si piace di geologiche novità. - - -II. - -A noi fu guida in questa alpestre escursione il bravo dottor Giuseppe -Casella, medico condotto di Laglio e d’altre terre vicine. - -Chi sa quanti nell’udire tal nome si rammenteranno di giorni amenamente -passati sul Lario! Perocchè il dottore Casella, colto e socievole -quant’altri mai, è una vera fortuna per quanti passano i bei giorni -di ottobre ne’ paesi di questo incantevole bacino: egli direbbesi il -tratto d’unione fra l’una famiglia e l’altra, l’autore de’ progetti -di gite e di comitive; senza lui non seguirebbero le ilari carovane -che pellegrinano al _Piano del Tivano_; senza lui infine non avremmo -compiuta l’ascesa al _Buco dell’Orso_. - -Egli aveva data la posta alle varie famiglie villeggianti ad Urio, -Carate e Laglio per la mattina del 5 d’ottobre al paese di Torrigia: -si diceva che le leggiadre signore, che avrebbero fatto parte della -brigata, sarebbero venute in abito d’amazzone, perocchè i greppi su cui -avevasi a inerpicare, le boscaglie che si dovevano transitare avrebbero -dilaniato crinolini e gonne, e di ciò pure ci ripromettevamo spettacolo -sollazzevole; ma di questo fummo compiutamente delusi: al mattino ci -trovammo al convegno in una ventina soltanto, le amazzoni brillarono -per la loro assenza: una sola non era mancata, ma il suo costume,... di -vestiario... ah! il suo costume non era quello che avevamo vagheggiato. - -Il dottor Casella diè il segno della partenza e ci precedette, e noi -ci difilammo dietro a lui. Difilammo è la parola sola che conviene, -perocchè non appena usciti di Torrigia fosse mestieri mettersi per -l’angusto sentiero de’ monti. Presto una viuzza di ciottoli e di -pietruzze acuminate provò il nostro coraggio, perchè difficilmente vi -si potesse reggere; ma vinte le prime scabrosità, si ascese liberamente -per le mille anfrattuosità di quella montagna. E qui notiamo, poichè ne -viene il destro, come sia questa di roccia calcarea bigia azzurrognola, -continuazione più o meno eguale di quella che incomincia appena fuor -di Cernobbio e si prolunga fino all’insù del lago, costituita di -tante sovrapposizioni o grosse lastre dello spessore talvolta d’oltre -il mezzo metro, che valgono assai opportunamente alle costruzioni, -sostituendo la materia laterizia con moltissimo vantaggio di resistenza -e di spesa[17]. L’ombra e la frescura vi è procurata dai frequenti -castani isolati o da macchioni, che vedevamo da montanine e garzonetti -flagellati per farne cadere i già maturi frutti. Fuor di costoro -non eran rotti que’ solenni silenzi che dalla lontana campanella -delle capre che scorazzavano per i più alti dirupi, o dalla monotona -cantilena delle fanciulle che pascolavano su qualche altipiano le loro -magre giovenche. A tratti noi sostavamo a ripigliar lena, ad attendere -i più tardi e ad ammirare i maravigliosi punti prospettici che ci si -venivano mano mano presentando. Di fronte vedevamo il villaggio di -Careno, più su quello di Zelbio, a destra Lemna, Molina e l’orrido suo, -a manca Nesso e la punta di Cavagnola, e quando, voltandosi alquanto -a manca la montuosa via, noi riguardavamo in basso, scorgevamo Brienno -e più in là Argegno, il capoluogo della Valle Intelvi, e quei paeselli -eziandio che dal greco nome accusano quali colonie vi stanziassero un -giorno. - -Una colonna di denso fumo dal mezzo del lago svolgevasi lungamente -per l’aere e pareva come una nuvola leggiera adagiarsi sulla costiera -che ne stava dirimpetto, e noi seguendola coll’occhio potemmo appena -distinguere ch’essa liberavasi da uno dei battelli a vapore che in -quell’ora drizzava la prua verso la punta di Torrigia, perocchè noi -dovessimo essere in quell’istante a seicento metri sopra il livello del -lago. - -Il mattino si faceva alto, e noi, chiedendo consiglio alla voce -imperiosa dello stomaco nostro, ci credevamo vicini alla meta, ma -questa pareva discostarsi ognor più: essa ci era come il fatale -miraggio del deserto. - -Poi si giunse dove il monte s’addentra e si forma come un letto -torrenziale: colà la via si faceva più scabra e il nostro attento -duce ne faceva avvertiti che non dovessimo riguardar in basso se -temevamo delle vertigini, perchè paresse che a noi di sotto la valle -si sprofondasse quasi a picco. Fuvvi un tratto di strada che era tutta -pietra brulla e alquanto declive: a noi fu però mestieri d’addoppiare -le precauzioni; una voce sola era sorta a segnale di scoraggiamento, -ma la parola e l’esempio d’altri vinsero quelle paure, e dieci minuti -dopo, per un sentiero apertoci fra virgulti ed arbusti, ci trovammo -innanzi al _Buco dell’Orso_. Il viaggio aveva durato un’ora e mezzo. -_Italiam! Italiam!_ gridammo noi pure, che ci vedevamo giunti allo -scopo del nostro pellegrinaggio, e in quest’inno di gioia c’entravan -certo di molto gli acuti stimoli della fame. All’essere poetico -preferisco l’essere veritiero. - -Ci sedemmo allora sui massi che sono sparsi avanti l’ingresso -della caverna, e tratte le nostre copiose provvigioni, ci diemmo -ad asciolvere con un appetito che meglio s’accostava alla voracità, -mescendoci del buon vino e dell’acqua limpida e fresca che ci forniva -una polla della caverna stessa. - - -III. - -Poichè fummo tutti rifocillati, ci disponemmo ad entrare nella profonda -cavità, e tutti allora accendemmo il moccolo, di che ognun di noi -doveva esser munito a rompere le tenebre e godere delle bellezze -naturali della natura, e dello spettacolo di che noi eravamo materia a -noi stessi. - -A noi aveva il Casella saviamente consigliato di servirci di questi -moccoli anzi che di torcie a vento o di legni resinosi, e perchè meno -incommodi a portarsi fra quelle sassose latebre, e perchè ci avrebbero -risparmiato d’ingoiarci l’esecrabile fumo che le altre fiaccole -avrebbero mandato per quelle volte. Perdevamo così del pittoresco, -ma innanzi tutto curar ne piacque il più conveniente, e pur di questo -vogliamo essere riconoscenti all’esperto mentore nostro. - -Il Casella e don Baldassare Bernasconi, buon prete di Laglio della più -eccellente pasta, che aveva voluto unirsi alla brigata, ci andavano -innanzi rischiarando ed additando le traccie che avevamo a seguire, -perocchè e i frequenti massi colà trascinati in antico dalle correnti -o là sfranati dalla vôlta superiore, tutti investiti d’un’argilla umida -e sdrucciolevole, e le filtrazioni dell’acqua che formavano rigagnoli, -e le stalattiti della vôlta rendessero lento e pericoloso il passo. -Dapprima avevamo trovato il suolo piano, poi s’era venuto abbassando -con inclinazione sensibile, che ci obbligava a passare carpone per un -angusto varco o pertugio, onde poter progredire. - -Come fummo giunti per entro una certa galleria più vasta, ci -compiacemmo volgere addietro lo sguardo e riguardarci scambievolmente, -e in verità tutti que’ venti giovani, quale in piedi, quale assiso su -d’enorme sasso, tutti il moccolo acceso alla mano, presentavano una -scena curiosa, strana, suscitatrice di un mondo di idee. - -Fu qui che il dottor Casella, a renderci più importante la gita, a -farci comprendere tutto l’interesse che aveva preso la scienza alla -scoperta di quella grotta che a lui primo era dovuta, ad incoraggiarci -a percorrerla interamente, ce ne venne raccontando per filo e per segno -quella storia, che noi procaccerem modo di riassumere sotto brevità. - -Era la state del 1841, quando ad esso dottor Casella, che aveva udito -parlare della esistenza d’una grotta superiormente a Torrigia, cui -la tradizione popolare, che la credeva antica tana di orsi, aveva -imposto il nome di _Buco dell’Orso_, prese vaghezza di rintracciarla. -Associatosi alcuni amici, percorse la montagna, sinchè appunto sul -versante del monte che sovrasta a Brienno, a due terzi di esso, rivolta -a N. N. E., la discopriva. Si presentava quella caverna quasi un ampio -crepaccio apertosi nella roccia, alto metri 2,7, largo quattordici e -profondo dieci, e pareva a prima giunta non dovesse aprire l’adito -ad un lungo cammino. Sgominate le tenebre che vi regnavan perpetue -col mezzo di faci ch’egli aveva seco recate, percorso quel tratto -testè da me ricordato, parevagli avesse qui il suo termine l’antro -che decoravasi di belle stalattiti e corrispondenti stalagmiti, come -veggonsi frequenti nelle varie grotte che s’aprono nelle montagne -che costeggiano questo lago. Se non che, piegando a destra alquanto, -trovava quel pertugio che rivelavagli prolungarsi ulteriormente la -caverna, e cacciatovisi animosamente dentro, si era veduto in quella -più ampia galleria che sì pittorescamente a noi offeriva lo spettacolo -di una processione che ritraeva del misterioso e dell’infernale, -siccome a me rammentava il _facile descensus Averni_ di Virgilio. Le -cristallizzazioni or bianche, or grigie, or giallognole, bizzarre e -spesso trasparenti, venivano riflesse da quella luce con bell’effetto; -ma nulla di più interessante erasi offerto fin là, se si eccettui un -cupo rumorío che richiamò pur la nostra attenzione, prodotto dallo -scorrere di una fiumana dietro le non grosse pareti a destra dell’antro -e che in verità sgomenta, poichè sembra che agevolmente possa -dischiudersi un varco e irrompere ad allagar lo speco. Questa recondita -corrente viene a gittarsi in un lago, che vietò la prima volta al -Casella, ed a’ suoi compagni, come lo contese anche a noi, di andar più -oltre. Dalla bocca dell’antro a questo speco la lunghezza è di passi -370 o metri duecento. - - -IV. - -Da quel dì il _Buco dell’Orso_ fu scopo a frequenti pellegrinaggi -del dott. Casella, e quando nel settembre 1850 vi ritornò con don -Vincenzo Barelli, proposto allora di Laglio, e con altri suoi amici, -il caso lo favorì, poichè, avendo messo allo scoperto un frammento -di costola uscente da quell’intonaco argilloso, lui e il Barelli -consigliava a tentare altre escavazioni, che procacciarono infatti -alcuni denti smisurati ed altre ossa gigantesche, che si ravvisarono -come appartenenti ad animali, la cui specie ora più non esiste. Qualche -tempo dopo il Casella vi scopriva un immane cranio, e questo, come -le ossa già scoperte, veniva riconosciuto essere stato di orso, che -Blumenbach e i naturalisti designano col nome di _Ursus Spæleus_. -Queste spoglie petrefatte vennero dal Casella donate al civico Museo di -Milano, dove, per la rarità di esse, il cranio venne formato in gesso -ed inviato ad altri gabinetti di scienze naturali: tutte poi coordinate -valsero alla ricomposizione d’uno scheletro che è di un grande -interesse per la paleontologia. - -La curiosità nel Casella e nel prete Barelli di ulteriori indagini -crebbe allora ognor più, e trasportatevi due navicelle, o _scarpe di -S. Pietro_, come si chiamano quelle imbarcazioni da quei del lago[18], -poterono navigare tre laghetti, l’ultimo de’ quali, lungo circa -cinquanta braccia, non fu possibile percorrerlo tutto quanto, perchè la -vôlta vien così declinandosi al pelo dell’acqua che l’imbarcazione non -vi può passare. La lunghezza quindi accessibile si valuta a trecento -metri. - -Dopo Casella e Barelli la curiosità dei dotti fu vivamente eccitata, -e da allora trassero a visitar il _Buco dell’Orso_ e il dottor Emilio -Cornalia, che ne lasciò un’accurata descrizione già per noi citata, -e l’abate Antonio Stoppani, che vi consacrò pure una parte nella -sua _Paleontologia Lombarda_, a cui rimandiamo il lettore per le più -proprie informazioni della scienza, e il dott. Giovanni Omboni, e il -prof. F. De Filippi, e il professor L. Patellani, e i fratelli Villa. -A complemento anzi di questo scritto, io verrò spiccando alle memorie -del Cornalia quel tanto che giovi a somministrare più esatte quelle -notizie che hanno più stretta attinenza colla scienza, e così io pure -avrò agevolato il cómpito che mi sono proposto, e il lettore vi avrà di -certo guadagnato, più che con una semplice e inconcludente narrazione. -Riferirò ciò che riguarda alle condizioni del suolo ed alle cause che -produssero l’agglomeramento delle ossa fossili discoperte: le sole -indagini, credo io, che interessi di istituire in argomento. - - -V. - -“Giunti al punto di maggior declivio, scrive adunque il dottor -Cornalia, il suolo comincia a rialzarsi tutto coperto di massi -accatastati l’uno sull’altro. È tra questi giganteschi, ma ancor mal -fermi macigni, che bisogna avanzarsi. Qui pure cominciano i depositi -di argilla alternantisi con croste stalattitiche e strati di sabbie -e ghiaie; le quali stratificazioni solo nelle parti più interne si -mostrano con ordine disposte, lasciando là prendere precisa idea -de’ loro rapporti. Altrove o l’uno o l’altro degli strati manca, -il fossilifero rimanendo il più costante. Le pareti dello speco e i -massi più voluminosi che ne ingombrano il suolo mostrano le striature -che le correnti rovinose e trascinanti ciottoli sogliono imprimere -alla superficie delle roccie che ne sopportano e frenano gli urti. Al -di sopra di questi massi, e lungo tutti i fianchi della grotta, una -crosta stalattitica vela agli occhi dell’osservatore la natura del -terreno; la qual crosta in alcuni luoghi arriva alla grossezza di 0.08 -e più. Spaccata, mostra una serie di zone o strati d’un bell’alabastro -cristallizzato a varî colori, traccie delle successive deposizioni. - -„Più s’interna il torrente, di cui prima s’udiva solo il fragore tra -i sassi profondo, e più comparisce alla superficie aggirandosi per un -piano leggermente declive. — Di là poco un lago di qualche estensione -occupa tutto il fondo che solo con un istrumento adattato alle angustie -del luogo si può traghettare. A nuoto non vi si regge: l’acqua non ha -più di 7 gr. R.[19]. - -„.... Fra la prima raccolta d’acqua e la seconda esistono, come io -prevedeva, altre argille che bisognerà smuovere con regolari scavi... È -nelle vicinanze del primo lago, ove non è necessaria una istraordinaria -innondazione affinchè il livello delle acque s’elevi molto e -v’abbandonino i loro depositi, che si osserva il maggiore numero di -strati. - -„Superiore a tutti si ha uno strato di ghiaia, mista a sabbia -nereggiante. I ciottoli sono in parte della calcarea che forma il -monte, in parte di roccie d’altra natura. Questa sabbia si vede solo -in siti limitati. È dovuta certamente alle ultime innondazioni che -saranno state le più parziali. — Al di sotto delle ghiaie (ed ove -queste non esistono, direttamente allo scoperto) si trova la prima -crosta stalagmitica che s’estende quasi uniformemente da per tutto. -Dopo il deposito calcareo havvi uno strato considerevole di un’argilla -cinericcia d’una purezza e d’una finezza straordinaria. È compenetrata -da molta umidità, sicchè lasciasi facilmente tagliare con una lamina -da coltello e si spoglia in straterelli orizzontali esilissimi e -paralleli. È si tenace da parere elastica, e non contiene nè sabbie, -nè ciottoli, nè avanzi organici; questo deposito arriva anche a un -metro di potenza, e lui oltrepassato si trova un’altra argilla di color -bruno. Questo strato è piccolo (0^m 1) e di poca importanza mancando in -più luoghi. L’un deposito però è sempre assai distinto dall’altro. Ove -l’argilla cinerea manca, la bruna è coperta direttamente dalla crosta -calcarea. Lo strato che più di tutto deve attirare la nostra attenzione -è il sottoposto fossilifero. Consta di un’argilla tutta distinta, -grossolana, mista a del tritume calcareo; il suo colore è il gialliccio -per ossido ferrico; la sua durezza varia, in alcune parti già compatta -passando ad una marna in attualità di formazione. Questo strato -contiene dei ciottoli, taluni anche voluminosi, arrotondati, per lo più -ellittici e deposti col loro piano massimo orizzontale. Questi noduli -non appartengono tutti al calcare bituminoso della montagna, ma altresì -a roccia di diversa natura, e vanno misti a frammenti di stalattiti. -L’argilla gialla costituisce uno strato di circa 0^m 4 di spessore, ed -è in essa che si rinviene la massima parte delle ossa. Continuando gli -scavi, dopo questo strato si trova un’altra crosta stalagmitica simile -per natura e potenza alla prima, sotto la quale si ripete un’argilla -eguale alla fossilifera e che del pari contiene ossa sebbene in minore -abbondanza. È però più compatta, come più anteriore; ed i fossili sono -maggiormente petrificati. La potenza di questo strato non la conosco; -poggiando direttamente sul masso, varierà secondo i luoghi. Nuovi siti -tentati potranno in avvenire fornire differenti cifre per la potenza di -questi strati; dipendendo questi dagli accidenti del suolo. - -„La natura e i rapporti di questi strati ci chiariscono -sufficientemente del modo con cui si depositarono e delle cause che li -produssero. Una corrente alquanto forte, e quale appunto sarà stata la -più antica, fu quella che depose l’argilla ocracea. Lo provano la sua -estensione, i ciottoli che contiene, le grosse ossa cilindriche che -travolse. Gli altri strati indicano correnti più miti, che durarono -però più tempo; infatti sono più limitati in estensione e composti di -finissimo limo esenti di ciottoli e di ghiaie. - -„Questi depositi poi occuparono lungo spazio di tempo a formarsi e -furono separati da lunghi intervalli, come ne sono prova i ripetuti -e grossi strati stalagmitici interposti. La corrente attuale è del -certo un tenue avanzo di quelli, cui gli strati descritti devono la -loro esistenza, e che altre volte avrà sempre o assai di frequente -occupato tutto il lume della caverna. Che se anche attualmente le acque -venissero a crescere a dismisura e la crepa già esistente non bastasse -ad inghiottire quelle che a metà della caverna si inabissano, esse, -occupato tutto il primo basso fondo, si alzerebbero a segno di livello -da uscire dall’apertura attuale della grotta. - -„Nel vedere questa successione di strati tanto simili a quelle -descritte per le caverne ossifere di Francia, di Germania, di Ungheria, -ecc. ecc., ricorre subito alla mente la possibilità della presenza di -ossa fossili. Queste che io rinvenni, e delle quali sotto il rapporto -paleontologico parlerò poi, hanno nel _Buco dell’Orso_ due modi -distinti di giacitura, che però accennano ad una medesima causa: le -correnti. - -„L’uno di essi già indicai per incidenza: la giacitura cioè nel -deposito dell’argilla giallastra inferiore alle prime due. È sulla fine -di questo strato che esse si depositarono, ed anzi molte giacciono alla -sua superficie tra l’argilla gialla e la bruna. Alcune anzi trovansi -già in quest’ultima, e il colore bigio che assunsero indica la loro -giacitura. - -„Anche la seconda argilla, quella che giace al di sotto della più -antica crosta stalattitica, contiene questo avanzo organico, ma in -minor copia: una sola mezza mascella inferiore e qualche osso della -gamba (genere _Ursus_) io vi trovai in tutto fino ad ora. Questi pezzi -sono più che gli altri alterati. - -„Le ossa robuste e solide sono le più numerose; le più fragili -andarono quasi tutte perdute. Sebbene anche delle prime alcune siano -abbondantissime, altre invece rare assai. Così, per esempio, mentre -che raccolsi molte ossa del carpo e del tarso, e falangi (persin le -unghiali), e piccoli molari, trovai appena una vertebra caudale e -qualche incisivo. Forse perchè queste parti assai facili a staccarsi -dal restante scheletro vennero dalle prime correnti in altre direzioni -trascinate e altrove deposte. Una prova che queste ossa debbono -la loro attuale giacitura alle correnti, la trovo in ciò che la -maggior parte si ricetta nei piccoli seni che formano le rientranti -e sporgenti pareti della grotta, e che rimangono per opera de’ massi -difesi dall’impetuosa corrente. Ivi l’acqua, perdendo di sua forza e -diffondendosi più tranquilla, potè deporre le ossa fin là travolte. Un -altro modo di trovarsi le ossa nel _Buco dell’Orso_ merita attenzione, -giacchè spiega l’origine d’una natura particolare di roccie: impasto -di ossami, di frantumi calcari e di marne da tempo celebri lungo le -rive del Mediterraneo, intendo dire delle _breccie ossifere_. Su quei -grossi macigni che dissi occupare per lungo tratto e molto spessore il -suolo della caverna, l’acqua attualmente non scorre o scorrerà solo -nelle epoche di massima innondazione, mentre che in tempi più remoti -facilmente avrà raggiunto quel livello e vi avrà sopra trascinate le -sostanze che travolgeva. Ma le ossa, e le voluminose di preferenza, e -i grossi tritumi di roccia, percorsi alcuni dei meati esistenti tra i -massi, vi si impegnarono e valsero anzi ad arrestare alla lor volta le -sorvegnenti materie che tenevano la medesima via. Il limo, le sabbie -sottili, ecc. passaron oltre per quella specie di filtro. Queste ossa -così non restarono circondate dall’argilla che invase le altre. Che se -però andarono prive d’una materia meccanicamente deposta, valsero ad -attirare e trattenere chimicamente le particelle di carbonato calcare -che le acque del torrente o stillanti contenevano, e di esse se ne -fecero involucro e cemento. Io stesso, non senza fatica, introducendo -delle picche tra gli interstizi dei macigni, riuscii a staccare molte -ossa disordinatamente aggruppate e cementate da un calcare grossolano e -cavernoso. Così ha origine una breccia, alla cui formazione noi siamo -contemporanei e presenti, simile alle descritte da Cuvier[20] e da -altri. — Così anche questo modo di trovarsi delle ossa è spiegato dalle -correnti. Le quali sono provate altresì dalla mancanza di coproliti, -dalla mancanza di quello strato di terra nera, bituminosa, comune in -altre grotte e che s’attribuisce allo sfasciamento delle parti molli -dell’animale; finalmente dalla mancanza delle ossa di animali che -avrebbero potuto servire di cibo a quei primi feroci abitatori della -caverna[21].„ - - -VI. - -Il dottor Casella portò diversa opinione da quella del Cornalia circa -alla causa di queste ossa riunite, ritrovate da quest’ultimo nelle -correnti, e noi, riferendola, pensiamo poter egli alla sua volta avere -ragioni forse maggiori di probabilità. Crede egli adunque che queste -ossa possano aver appartenuto ad animali antidiluviani, giacchè per la -loro mostruosa grandezza appartengono a specie ora affatto perduta. Su -di che io penso non esservi controversia, ed anzi nell’opera di Figuier -_La Terre avant le déluge_, parlando appunto dell’_Ursus Spæleus_, -reca la descrizione e il disegno del cranio di tal animale scoperto -dal Casella, regalato al Museo Civico di Milano, e da questo, come -già avvertimmo, distribuito in esemplari di gesso a varî gabinetti -di scienze naturali, come lo riprodusse istessamente nella sua -_Paleontologia_ l’abate Antonio Stoppani. A quell’epoca tali animali -avranno per molte generazioni trovato rifugio in questa caverna, e -successivamente in essa terminata la loro esistenza o per vecchiaia, -o per alluvione, o per qualunque altra causa dipendente dai grandi -sconvolgimenti geologici. Queste congetture non torrebbero egualmente -che le correnti, introdottesi poscia nella caverna, abbiano ravvolte -quelle ossa di que’ sedimenti che valsero o alla loro fossilizzazione, -od a determinare quelle condizioni nelle quali si rinvennero a’ dì -nostri. E mi pare ancor più probabile una tale supposizione in quanto -mi sembri assai arduo l’immaginare che le correnti intime del monte -possano avere trascinate le ossa intatte e giganti, quali si videro -alcune di esse. L’ipotesi del dottor Cornalia ci obbligherebbe inoltre -a premettere l’esistenza di un’altra località, da dove le correnti -abbian potuto impodestarsi di quelle ossa per poi qui trascinarle; -mentre la capacità di questa tana porge maggior argomento a credere -che servisse prima a ricovero di orsi, come gli abitatori di questi -monti per tradizione ne ebbero sempre credenza, se l’appellarono -il _Buco dell’Orso_, assai prima che il dottor Casella discoprisse -le ossa e queste si riconoscessero della specie _Ursus_, anzi da -tempo immemoriale. Il qual argomento della tradizione deve essere di -importantissima significazione in questa tesi. - - -VII. - -Il medesimo dottor Cornalia, in questo lodato suo studio intorno ad -_Alcune caverne ossifere dei monti del lago di Como_, ne dedusse le -seguenti conclusioni, che è prezzo dell’opera il trascrivere, perchè -speciali nella massima parte al _Buco dell’Orso_ di cui parliamo. - -1.º Anche in Lombardia esistono caverne ossifere identiche a quelle di -Germania, Francia, Inghilterra. Anche fra noi è la calcarea giurese che -le offre. - -2.º Le grotte di questi monti, appendici ad una catena delle nostre -Prealpi (catena Ceresia), riconoscono forse una sola epoca e una sola -causa: l’emersione delle roccie che rialzarono e sconvolsero il calcare -bigio. - -3.º Gli strati che si depositarono nelle caverne spettano o all’epoca -_quadernaria_, o all’epoca _attuale_. - -4.º I fossili del _Buco dell’Orso_ (quadernari) vi furono strascinati -dalle correnti. Lo strato dei fossili, il sito profondo assai ove si -rinvengono (continuamente umido e tenebroso), la mancanza di molte -circostanze fanno preferire quest’opinione all’altra che ammette aver -quegli animali vissuto là entro; — opinione che si adatta assai più ai -depositi moderni delle altre grotte. - -5.º I varî depositi richiesero molto tempo a formarsi. La loro -potenza, l’alternanza colle croste stalagmitiche, lo stato vario di -fossilizzazione delle ossa in rapporto colla profondità lo provano. - -6.º Le ossa trovate spettano quali a specie ancora viventi tra noi, -quali a specie perdute, e quali finalmente ad animali che ora vivono -solo in paese più meridionale. - - -VIII. - -In quanto a me, pellegrino recente al _Buco dell’Orso_, pago degli -studî per altri fatti, mi bastava di constatarli, ma arrestandomi -però sulla sponda del primo lago, perchè non avevo avvertito dapprima -tampoco alla probabilità di tragittare quelle acque interne, e però -non avevo provveduto le opportune imbarcazioni. Quivi nella parete -friabile incidemmo io e i miei compagni i nostri nomi, espressione di -quella contentezza che ci aveva dato la longanimità di avventurarci -per quelle cavità tenebrose ed aspre. Seduti poscia su questi umidi -massi ad asciugarci il sudore della fronte che ci gocciava, prodotto -dal trascinarci a fatica collo stomaco pieno, e rimasti colà alquanto, -ripigliammo poscia la processione del ritorno. Qualche moccolo veniva -già meno, sollecitammo quindi i passi rifacendo il cammino percorso. - -E fu nel ritorno, a distanza di forse sessanta a settanta metri -dell’uscita, che il buon prete Bernasconi mi faceva accorto della -esistenza di un pozzo od apertura, per la quale si poteva calare in una -galleria, sottoposta a quella che percorrevamo e dentro cui mostravasi -pronto a calare, quando noi ne avessimo esternato il desiderio, siccome -quegli che già vi fosse altre volte disceso, ciò che per altro non -volemmo, accontentandoci di quegli schiarimenti ch’egli e il Casella -ci fornirono. Io mi intratterrò alcun poco di questo pozzo, da che -le precedenti relazioni del _Buco dell’Orso_ non ne abbiano fatto -ancora parola e da che potrebbe valere d’argomento ad altre indagini e -discussioni geologiche. La discesa adunque è di circa quindici metri, -e la galleria alla quale si riesce ne percorre circa quaranta, sempre -nel senso stesso della lunghezza della galleria superiore verso N. N. -E., e sempre a massi e piano ineguali, come è superiormente. Quasi -in corrispondenza a questo pozzo se ne vede un altro nella galleria -sottoposta, per il quale si cala ad una terza galleria, scendendovi per -circa altri venti metri. In questa non è calato ancora alcuno, perchè -presenta per avventura pericolo di franamento, nè sarebbe prudente -l’esporsi a vedersi chiusa l’uscita e impossibilitato il ritorno. -Converrebbe all’occorrenza prendere le maggiori precauzioni ed essere -assistiti da più. Tuttavia nel fondo della terza inferiore galleria -sentesi il mugghio delle correnti ancor più forte che non nella prima -o superiore. Forse è la corrente stessa della galleria superiore che -viene a scaricarsi e che forse esce da quelle latébre pel versante -del monte e alimenta l’acqua o fonte detta il _Vermocane_, che serve a -mettere in movimento il mulino che è di poco sopra Brienno. - -Nella galleria intermedia si trovarono e vi sono pure altre ossa della -stessa specie che nella superiore, con questo solo divario che quelle -della galleria superiore sonosi trovate intatte, perchè ravvolte -nelle stratificazioni argillose che le hanno preservate dal contatto -dell’aria, e quelle invece della galleria intermedia si veggono parte -in istato di decomposizione, o tarlate, perchè non vennero ricoperte -da veruno strato. Io ho avuto nelle mani ed esaminate e le une e -le altre, come si conservano dal dottor Casella, e credetti nella -predetta mia osservazione di ravvisare un’induzione di più che avvalora -l’ipotesi del Casella, anzi che quella del Cornalia; perocchè se il -rinvenirsi di tali ossa fosse l’effetto esclusivo delle correnti, tutte -indistintamente le ossa sarebbersi ritrovate involute dai sedimenti -argillosi: mentre invece è lecito di inferire che i petrefatti della -galleria superiore saranno stati ricoperti da tali strati per i -depositi che vi avranno fatto le correnti, e quelli della galleria -intermedia, immuni dal passaggio di esse, saranno rimasti nello stato -primitivo, dove cioè saranno morti gli orsi che in quella caverna -debbono necessariamente un tempo aver avuto ricovero. - -Come poi queste gallerie inferiori siensi formate, io credo di spiegare -dicendo, che tutte le probabilità conducono a ritenere che prima non -fosse che una sola ed ampia caverna, che poi per la caduta di massi -dalla vôlta siansi venute facendo; perocchè percorrerebbero esse -nell’egual senso della galleria superiore quasi la medesima lunghezza. - -Siccome recentissima sia la scoperta di questi altri due pozzi, così -chiamar io reputo su di essi l’attenzione dei nostri geologi e massime -del Cornalia, dello Stoppani e dell’Omboni, i quali forse da una -novella loro visita al _Buco dell’Orso_ potrebbero trarre materia a -nuovi studî non infecondi di buoni risultamenti per la geologia. - - -IX. - -Finalmente, dopo un’ora che eravamo rimasti nell’antro, lieti, ma -inzaccherati e molli degli stillicidi che non avevamo potuto evitare e -de’ rigagnoli nei quali il piede non aveva fatto a meno di scivolare, -via gettando la stearica che tuttavia ardeva, - - Uscimmo quindi a riveder le stelle.... - -come direbbe Dante, o a meglio esser precisi, a riveder il più limpido -sole, il quale era ormai giunto al meriggio. - -Allora riconoscemmo qualche disertore della nostra brigatella che, dati -pochi passi appena nella oscurità della caverna, era tosto ritornato -addietro; scambiata qualche celia e riposatici ancora alquanto, -ripigliammo il primitivo sentiero. - -La discesa a Torrigia fu naturalmente più presta che non era stata la -faticosa salita, e consolata alla pendice del monte dalla apparizione -della leggiadra fanciulla del dottor Casella che ne veniva incontro a -scusare la non involontaria mancanza alla gita. - -Se rivolgendo indietro lo sguardo alla asperità della via, ai disagi -del camminare fra i dirupati meandri della caverna dell’Orso, io -posso essere indotto a dire che non vi tornerei una seconda volta, per -l’adipe che un cotal poco mi si è messa intorno ad accusare l’età che -avanza a gran passi, è altresì indubitabile che io, che tutti che mi -furono compagni in quella gita, conchiudemmo sinceramente assicurando -d’essere lietissimi d’averla fatta. - -Ma prima di chiudere la presente escursione, mi sento in debito di -porgere le mie scuse a quelle cortesi leggitrici che ho per avventura -fatto sbadigliare, loro tenendo un linguaggio arido e tutto di scienza, -esse che si attendevano amenità di racconto. Ma che farci? Il libro -è fatto per tutti i lettori, massime se il libro è del genere del -mio; epperò molteplici e svariatissimi i gusti, e nell’_olla potrida_ -degli argomenti non doveva dimenticare i palati dei geologi e dei -naturalisti. D’altronde fra le molte caverne che ho già avvertito su -questi monti, mi verrà perdonato se almeno scientificamente trattando -di una, avrò chiarito la natura, assai somigliante, delle altre. - - [Illustrazione: Piano del Tivano.] - - - - -ESCURSIONE DECIMATERZA. - -IL PIANO DEL TIVANO. - - La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della Masera. - — Nesso. — Erno, Veleso, Gerbio. — Il Piano del Tivano. - — La brigata del Pian d’Erba. — Il Buco della Nicolina. — - Vallombria. — Il palazzo di Andefleda. — La marcia della - partenza. - - -Se si piglia il piroscafo che vien da Como, allorquando in faccia ad -Argegno la campanella suona e l’impiegato grida — Argegno e Cavagnola -— voi, se volete visitare il _Piano del Tivano_, è qui che dovete -scendere, purchè non prenda capriccio all’Amministrazione di far sosta -a Nesso, come accade in qualche stagione, perchè allora è a Nesso che -converrà smontare. - -Ma d’ordinario la gita al Piano del Tivano non è che l’effetto -di amichevoli concerti e spesso ben anco accada che l’andarvi sia -combinato da amici che villeggino lungo il lago di Como e da amici che -villeggino nel versante opposto del Tivano, cioè nel _Pian d’Erba_. Il -convegno allora è più allegro e il lettore che mi segue lo vedrà. - -Ad ogni modo, se a questo convegno egli giunga col mezzo del vapore -che vien da Como e ne smonti alla Cavagnola, non lasci di visitarne la -modesta osteria: vi beverà buon vino; se no da un pozzo che è nella -cantina ne faccia trarre acqua che troverà freschissima, come in -nessun’altra parte del lago. - -Da Cavagnola, retrocedendo per un sentiero praticato fra’ boschi, -giungerà a Nesso, punto di convegno della brigata che sale al Tivano; -ma se non è giunta ancora e vuol visitare più giù qualche terra fino -ai limiti di Pognana, che ho mentovato già con Palanzo e Lemna, oltre -Nesso troverà un piccol gruppo di case, poi a egual distanza Careno, -e a egual distanza ancora Quarsano. Ma importanza tutti questi luoghi -non hanno, ove eccettui la _Grotta della Masera_ sopra Careno, che può -essere altro punto di passeggiata per chi brama di variare. Ma questa -grotta non ha nè ossa fossili, come il _Buco dell’Orso_ che abbiamo non -ha guari visitato, e neppur ossa d’animali dell’epoca nostra, come il -_Pertugio della Volpe_ che abbiamo visto del pari: tutt’al più alcune -ammoniti che interessano il geologo. Nondimeno ha la particolarità -di un lago e fa veramente piacere su in alto la scoperta d’un capace -bacino d’acqua; qui esso si sprofonda per un cammino di un quarto d’ora -ed ha per fine una voragine. - -Ma ritorniam presto sui nostri passi, onde non farci aspettare da -coloro che ci attendono a Nesso. - -E Nesso, rimpetto a tutti i paeselli che ho testè nominati, è -grossa borgata e si distende per tre fila di case sulla montagna con -bell’effetto per chi la riguarda dal lago: il torrente vi passa per -mezzo con fragore che s’ode anche lontano. Que’ del paese vogliono -che la loro chiesa prepositurale sia stata fondata da Sant’Ermagora: i -passeggeri invece, e massime quelli che dai piroscafi osservano Nesso, -ricordano che Gian Battista Bazzoni, morto in età assai provetta e -dell’amicizia del quale mi onoravo, come ne son ricordevole del cuore, -che aveva al par dell’ingegno eccellente, lo illustrò col suo _Falco -della Rupe_, romanzo, che forse quarant’anni fa ebbe la propria voga, -nè vuol essere ancora dimenticato. - -Ma raccoltici tutti in Nesso, acceleriamo i passi alla volta del Piano -del Tivano. Pigli chi vuole la sua cavalcatura e su e su. - -Si arriva dapprima ad Erno, quindi a Veleso, poscia a Gerbio: il -divertimento della salita è indescrivibile. Noi ci facciamo spettacolo -di noi stessi; la lunga fila della carovana, or si vede spuntar da -un greppo, or interrompersi, or riapparire. Quando è un cappellino -da signora che domina, quando è un gruppo di amici; io resto ultimo, -poichè mi piaccia godere dell’effetto curioso. Poi si intendono parole -interrotte che pervengono da chi è in capo della fila, poi più spiccate -di chi segue, poi un grido di chi incespica, uno scroscio di risa, un -commento, uno scherzo: è un assieme lieto, piacevole, artistico. - -Il Tivano, per chi nol sa, è un’alta montagna che si eleva tra la -Valassina ed il lago di Como: ecco perchè i villeggianti del Pian -d’Erba si dan la posta con quelli del lago per ritrovarsi tutti in cima -al monte e vi traggono, mettendosi per la via che, oltrepassato Canzo, -Asso e Lasnigo, s’inoltra appunto per la Valassina. - -Sulla vetta è una grande spianata erbosa a 1280 metri sul livello del -mare, ed è questa che si designa col nome di _Piano dei Tivano_. - -I nostri contadini ci hanno preceduto colle gerla piene del pranzo; -hanno disposto il luogo dove assiderci: ma que’ del pian d’Erba sono -essi arrivati? Attendiamoli e intanto racconciamo le nostre toalette -scomposte dalla disagiata cavalcatura. - -La piccola banda musicale seco noi venuta apre a un tratto i suoi -concerti; sono gli amici che giungono trafelanti dalla Valassina, -che si son visti spuntare dall’ultimo anfratto, e la musica nostra li -annunzia. - -Allora saluti, strette di mano, baci fra donne, discorsi, complimenti, -pettegolezzi narrati e scambiati: in cinque minuti que’ del Pian d’Erba -han narrato a que’ del lago le storielle tutte del mercato di Lecco, di -quello di Incino, gli episodî erotici, i _cancans_ d’ogni villa; e di -ricambio hanno fatto altrettanto que’ del lago con essi. - -Ma l’appetito ne reclama. Per un po’ si tace, intenti tutti a -smascellare; poi si ripiglia il chiaccherio, si fa anzi, maggiore, -a seconda che i fiaschi di buon vino si vuotano. Levate le mense -improvvisate, incominciano le danze sull’erboso piano e le due brigate -qui convenute si mescono a vivaci polcke, a più concitati valzer, a più -vorticose galoppe. - -Ma anche questa vetta ha le sue curiosità per chi la sale e cerca -di più utile che il ballare sulle ineguali zolle. Il naturalista vi -ravvisa le torbe miste a enormi larici ed a petrolio, e conviene che -l’altipiano potesse un giorno, come fu scritto, essere stato un lago: -i curiosi corrono a vedere il _Buco della Nicolina_, che è una grande -grotta, come le tante altre che ho diggià ricordate. Quando è stata -assai piovosa la stagione, vi si vedono le acque che vi sono dentro -scolate; ma deve essere ben profonda, se nessuno n’ha saputo trovare il -fine. - -Un miglio infatti a distanza di questo Piano del Tivano e ad ostro del -medesimo, è un’altra pianura circondata da scoscesi monti, che solo si -vede in tempo d’estate abitata da’ pastori colle mandre numerose; essa -appellasi Vallombria. Ora in una di quelle montagne si riscontra una -forte e profonda spaccatura, per la quale vien detto che un dì essendo -penetrato un cane, vi sarebbe poscia uscito per il Buco della Nicolina. - -Se mi chiedete poi se anco quassù si piaccia la tradizione di voler -favoleggiare; anche quassù, vi risponderei. Perocchè senza darvi ragion -di sorta, gli alpigiani vi narrino seriamente come vi fosse _ai tempi -antichi_ fabbricato un gran palazzo abitato da Andefleda, moglie del -goto re Teodorico. Qualche cialtrone si sarà divertito alle spalle di -questa buona gente, dandole a bere questa fiaba, e la poco spiritosa -giunteria trovò presa in quegli animi semplici e per essi si è fatta -pretta e indiscutibile storia. - -Ma l’aura imbruna; il cammino che ci resta a scendere vuol più ore: -rifocillati e rinnovati di forze, salutiamo gli amici dell’opposto -versante e disponiamoci a partire. - -La marcia della partenza suona, le resinose torcie a vento ardono -e si squassano; i lampioni si accendono e ne dan nuovo e inatteso -spettacolo; succede un bisbiglio di voci che si salutano, baci che -scoccano, addii che si vanno ripetendo e allontanando delle due -comitive e che gli echi ripercuotono, la canzone si intuona da una -parte e dall’altra per gli opposti versanti, la secondano tutti, e -allegramente si riprendono i sentieri che ci tornano a Nesso, dove i -nostri barcaiuoli ne attendono per ricondurci alle nostre ville. - - - - -ESCURSIONE DECIMAQUARTA. - -LA VALL’INTELVI. - - Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — Sua - parte nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta - del 1806. — Cospirazione del 1833. — Insurrezione nel 1848. — - Andrea Brenta. — I cospiratori del 1854. — L’insurrezione e i - volontarî del 1859. - - -Vale davvero consacrare una buona giornata a percorrere questa -alpestre, ma bella e simpatica parte del territorio comasco. - -Noi proseguendo il cammino nostro da Torrigia, lungo la sinistra -sponda del lago, per certo tratto di riva non rinveniamo più nè ville, -nè case; le prime che rompono la monotonia di quelle roccie, non più -così fiorenti e verdeggianti, come quelle che abbiamo lasciate, sono -i casolari del montuoso Brienno. Quivi furono trovate iscrizioni -romane, di cui una rammenta un Archigene, dal quale si vuol derivata -la denominazione del non discosto paese di Argegno e ne lo si dà per -fondatore. Null’altro offre che valga ricordare. - -È da Argegno che si entra in Vall’Intelvi per due vie; l’una sulla -sinistra del torrente Telo che va a Sant’Anna e Schignano; l’altra -sulla destra, per la quale ponno ascendere carri, e riesce a San -Sisino, a Castiglione e a San Fedele, e da cui si può andare a Lugano: -ambe poi belle di alpestri bellezze. - -È dall’ultima via che si accede al Calvagione, o monte Gionaro, che è -quello che conosciamo già col nome di Generoso. - -Tutta la Vall’Intelvi è bella di prospetti, di naturali bellezze, -di vegetazione; essa è anche interessante per gli episodî delle sue -sommosse, che attestano i suoi abitatori animosi e teneri di libertà. - -Vollero alcuni derivato il suo nome dall’intelligenza de’ suoi figli, -quasi Val d’Intelletto; ma chi nelle carte dell’ottavo secolo la trovò -indicata col nome di _Intellavi_, la volle parola corrotta da _Inter -lacus_, sorgendo essa difatti fra il Lario ed il Ceresio. - -Nella guerra decenne, incominciata col 1118 ed ultimata il 1127 -fra Milano e Como, e nella quale le terre del Lario si scissero -parteggiando per quella o per questa città, questi alpigiani furono -utilissimi difensori di Como, e poscia, al tempo della dominazione -spagnuola, divennero le loro terre feudo dei Marliani. - -Bartolomeo Passerini, curato di Ramponio, terra della Vall’Intelvi, nel -1806, indegnato che Napoleone tradisse la libertà facendosi imperatore, -alzò il vessillo della ribellione: lo seguirono gli altri curati di -Dizasco e Cerano e seco loro trassero altri generosi; ma privi di -armi e d’ogni altro mezzo, pochi gendarmi bastarono a disperderne il -manipolo: e carcerati tutti, decapitati i capi, gli altri, dopo breve -carcere, rimisero in libertà. - -Di sè non diè a parlare la Vall’Intelvi se non nel 1833, quando essa -ruminando una sollevazione ad ajutar la Giovine Italia, il governo -Austriaco vi mandò il commissario Piccinini ad arrestare un Piazzoli, -che si dava per l’anima della cospirazione in quella parte; ma una -fucilata stese morto il commissario, il Piazzoli riparò in Isvizzera e -ogni cosa fu ultimata. - -A maggiori avvenimenti fu teatro invece negli anni 1848 e 1859, quando -la causa dell’italiana indipendenza fu intrapresa seriamente; ma a -narrarli mi valgo di quanto ne scrisse Gaetano Ferrabini e stampò a -beneficio della famiglia di Andrea Brenta, perocchè per essere il -Ferrabini mio cognato, non m’è tolto dal ricordarlo come fervente -patriota, egli essendo stato animoso volontario nelle fazioni patrie -allo Stelvio, dopo d’aver avuto nelle cinque giornate di Milano -mutilato più d’un dito della destra mano dalle sciabole poliziesche. -Come in quel di congiunto, metto franca la mano e senza scrupoli nel -suo sacco[22]. - -Argegno e la sua vallata singolarmente sono assai memorabili, come -dissi, per la loro insurrezione dell’autunno 1848, quando volevasi, -rivoluzionando tutta la parte montuosa della Lombardia, ritentare il -nostro riscatto. - -Quell’ardimentoso rivolgimento, che si potrebbe appellare l’ultimo -disperato sforzo della Lombardia per vendicarsi a libertà, perchè già -chiusa colla peggio la male augurata campagna combattuta dall’armi -sarde contro gli Austriaci colla capitolazione di Milano, fu iniziato -in Argegno da _Andrea Brenta_, nativo di Varenna, ostiere e fornajo -di San Fedele d’Intelvi, ove si stabilì fin dal 1833; uomo, che -comunque di volgar condizione, era nondimeno distinto per l’ardore di -patriottici sentimenti e degno al certo di più vasto ed importante -arringo. Disceso costui, poco dopo la metà dell’ottobre, ad Argegno -con soli quattro determinati compagni (fra cui piacemi segnalare il -prete don Francesco Cavalli, in allora parroco del luogo di Pigra), -vi disarmò subito la imperiale gendarmeria, e cacciandosi poi nella -vallata, la faceva insorgere tutta quanta. - -Que’ gendarmi disarmati si portavano di cheto a Como, ove riferivano -l’accaduto al comandante militare di questa città, generale Wimpfen. Il -27 di quel mese, ordinati da costui, giungevano ad Argegno, trasportati -dai battelli a vapore, più di 700 Austriaci affin di reprimere quel -movimento. — Avviaronsi essi per la strada a destra della valle; -ma giunti appena al luogo detto Cavrano, o Crotto del Piazza, poco -oltre la chiesa di S. Sisino, dovettero far sosta, perchè salutati -da ben nudrita moschetteria dei nostri quivi destramente imboscati, -quantunque non fossero questi che in numero di sette. Erano costoro il -Brenta medesimo, i quattro suoi compagni, e Bernarda Niceforo e Grandi -Andrea detto _Botris_ di Argegno, i quali eransi ad essi aggiunti. — -Si impegnò allora uno scambio non interrotto di fucilate, che lasciò -credere a quelli di parte avversa che assai più numerosi fossero i -sollevati coi quali avevano a fare, e non s’ebbe in quel primo scontro -a lamentare dai nostri alcun danno, nè a perdere, ciò che meglio -importava, la posizione. - -Il mattino del dì susseguente (28), gli Austriaci ripresero primi il -fuoco, senza osare, per altro, avanzarsi oltre il summentovato luogo, -certo sospettando che l’avvisaglia del giorno innanzi accennasse -ad una più estesa partecipazione di tutti i valligiani. — Con molto -accorgimento erano i nostri gagliardi qua e là distribuiti, e dietro le -macchie degli alberi o gli accidenti del terreno montuoso mascherati; -sorprendente era la lestezza che usavano nel ricaricare le bocche -da fuoco; ed a tanto pervenne da ultimo il loro ardimento, che il -summentovato Andrea Grandi, balzato solo fuor d’una macchia, stringendo -sempre il proprio moschetto, simulando che altri molti il seguitassero, -li andava ad alta voce chiamando ed eccitando a buttarsi su’ nemici; a -tal che questi ne furono sgomentati in guisa che gli fuggirono davanti. -E così finalmente procedettero le cose in quel giorno, che verso le -due pomeridiane gli Austriaci, i quali già contavano perdite e feriti -in buon dato, si trovarono costretti a volger le spalle e discendere -precipitosi e nella massima confusione, raccogliendosi a mala pena -in Argegno. — Avevano però prima gli infami, seguendo il barbaro loro -costume, appiccato il fuoco a ventotto cascinali e a due crotti, di cui -uno del Piazza, le rovine del quale veggonsi ancora oggidì. - -In Argegno, a rifarsi della vergognosa ritirata, usarono con quei -terrieri, senza riguardo a sesso ed età, ogni modo di violenze, mali -trattamenti e minaccie; e tolti con loro sette uomini del paese quali -ostaggi, nelle persone di Antonio Cresseri, Francesco Peroni, Adriano -Balzaretti, Santo Scotti, Giovanni Rigatti, Giovanni Santi ed altro di -cui non si ha il nome, s’imbarcarono e si ricondussero a Como. - -Di quei sette statichi, i quali non è a dirsi a quali e quanti insulti -e tormenti avessero, contro il diritto delle genti, a patire per -opera di quei sicarî piuttosto che soldati, basterà rammentare come -venissero tenuti per ben due intere giornate colle mani legate al tergo -e senza cibo, e non ne fossero poi rimessi liberi che sei; l’altro, -il Cresseri, uomo di avanzata età, ammogliato e con figli, essendo -barbaramente fucilato in Como a’ 17 novembre di quell’anno, perchè lo -si volle ritenere proprietario di una pistola sguernita di acciarino, -rinvenuta dietro un muricciolo in Argegno presso cui s’era trovato nel -momento del di lui arresto. — In quella stessa occasione che l’infelice -Cresseri veniva messo a morte, questi avevasi a compagno di pena un -tal De Maestri di Orzinovi, incolpato d’aver donate dodici lire a due -giovani di una famiglia ungherese. - -Il Comitato della Emigrazione Italiana residente in Lugano, al quale -avevano fatto ricapito dal precedente agosto gran parte di coloro -che avevano anteposto l’esiglio al ritornare sotto gli artigli -dell’Austria, venuto a cognizione di quella sollevazione, nella -speranza avesse essa a prendere più vaste proporzioni, decretò -sostenerla; e mandò a tale uopo danaro, armi e munizioni, e più di -400 militi, de’ quali il maggior numero disertori dalle bandiere -dell’Austria, capitanati una parte dal generale D’Apice, l’altra dal -comandante Arcioni. - -Nella Chiesa di S. Sisino, posta a breve distanza sopra Argegno, venne -istituito un governo insurrezionale per la provincia di Como, il quale -assumesse la direzione del movimento e delle operazioni militari; e -allora fu che molti altri paesi del lago insorsero del pari, e corsero -ad ajutare la insurrezione. - -Così provocati in più audace e considerevole modo gli Austriaci, -ritornati in grosso corpo, tentarono essi più volte di penetrare -nella Valle, non per le vie di Argegno soltanto, sibbene da varie -altre direzioni; ma furono sempre e gagliardamente dovunque respinti -con gravissimi loro danni, finchè nel giorno 3 novembre, dopo aver -sostenuto con quelli del lago un breve fuoco, riuscirono, scortati -da due guide di Finanza — Pensa e Melloni — che a loro vergogna van -ricordati, a salire per il Bisbino, e avanzandosi a rapida marcia, -pervennero poi ad impadronirsi delle vette dei monti che fiancheggiano -a sinistra la parte della Vall’Intelvi, la qual si chiama di Schignano, -dal paese di tal nome — ciò che non sarebbe stato loro possibile -certamente, se il generale D’Apice, che fin dal giorno avanti -occupava co’ suoi 200 bravi soldati quelle cime, veduti da lontano -gli Austriaci, non avesse fatto retrocedere la sua truppa infino a -Schignano. — - -È la gente di questo paese assai rimarchevole per islancio, per -coraggio e per costanza in tutto che riguarda alla patria libertà: e -dove il D’Apice avesse fatto debito assegnamento su di essa, avrebbe -indubbiamente trovato nella medesima un validissimo appoggio. Ma egli, -riuniti e fatti schierare sulla piazza comunale tutti gli uomini suoi, -che sommavano, come si è detto, a meglio di 400, ordinò loro la marcia -di ritirata per le gole che transitano al territorio della Svizzera. - -Perchè mai questo generale aveva egli lasciato scoperto il passo alla -Valle dalla parte del Bisbino?.... Perchè non ha poi riparato a tale -mancanza approfittando delle magnifiche posizioni che avrebbe potuto -agevolmente tenere con duecento militi valenti come quelli che erano -sotto i proprî comandi, ed ardentissimi inoltre di battersi per la -libertà d’Italia, e da dove si sarebbe potuto di leggieri, non che -impedire al nemico d’inoltrarsi, respingerlo e sbaragliarlo quantunque -assai superiore di forze; ed ordinava invece, all’appressarsi degli -Austriaci, l’abbandono vigliacco di quel campo senza colpo ferire, -lasciando così ai medesimi libera la via a discendere nella insorta -vallata, che metteva poi tutta in loro balía ed in preda alle loro -vendette? - -Operò così il D’Apice per codardia, ovvero per tradimento?.... Non si -potè da alcuno asserire se per l’una o per l’altro; soltanto corse voce -allora che forti dissidî fossero nati tra lui e il comandante Arcioni: -certo è che egli bruttò la sua fama con quel fatto, che ridusse quella -nobile insurrezione alle proporzioni d’una inutile fazione, che valse a -nuovo pretesto alla bestiale ferocia dei nostri oppressori. - -Perdurando nella lotta con tanto vigore ed entusiasmo fino allora -sostenuta, ed alla quale avevan già presa parte energica molti altri -paesi del lago, è a credersi che, caldi com’erano tuttavia in quei -giorni gli animi lombardi, si sarebbe tradotta in fatto la idea -preconcetta di redimere nuovamente colla rivoluzione la Lombardia. -Perocchè, alimentata la sollevazione e mantenuto inviolabile quel -centro d’opposizione per alcuni mesi ancora, avrebbe di non poco -contribuito alla campagna che si aprì nel marzo del successivo -anno; e divergendo parte delle forze nemiche e costituendo un nucleo -importante, sarebbe stato un freno ai tradimenti che disonestarono in -quell’epoca il nome italiano e la nostra causa, ed un eccitamento a non -vederla finita nella giornata infelice di Novara. - -I pochi dei nostri, quelli cioè di Argegno e della vallata cui s’erano -collegati alcuni Ungheresi disertori dell’Austria, trovatisi soli nel -vasto campo, distesisi in catena pel monte S. Bernardo, sperarono un -momento, dandosi a molestare il nemico che loro stava di fronte, di -potersi ancora sostenere. Ma dopo poche ore di accanito combattimento, -scarsi troppo di numero, privi di chi sapesse con valentia dirigerli, -difettosi affatto di viveri e disperando soccorsi, cessarono, ma -onoratamente, dal loro gagliardo e generoso proposito. - -Gli Austriaci, cui erano toccate nei diversi fatti di quella -rivoluzione considerevoli perdite, baldanzosi di trovarsi finalmente -— senza alcun loro merito — padroni di quei luoghi, si diedero a fare -stragi e mal governo. - -Il Casino, detto dei Signori, posto sulla cresta della montagna alla -destra di Schignano e che dà alla Svizzera, fu da loro saccheggiato: -la povera osteria del Brenta, noto ad essi per il promotore di quella -sollevazione, soqquadrarono tutta quanta e poi diedero alle fiamme, sì -che fu tolta alla diserta famiglia di lui, che s’era di là involata e -ramingava altrove, la speranza perfino del ritorno: fucilarono un tal -Domenico Ceresa detto _Tardett_ di Schignano, che tentava sottrarre -alla loro rapacità i proprî armenti, ed un Ungherese che, diretto alla -Svizzera, si era per quelle vie smarrito. - -La insurrezione per tal guisa soffocata, ebbero la Valle Intelvi -ed Argegno a deplorare in seguito, oltre ad enormi contribuzioni, -la carcerazione e la morte di parecchi individui che furono dei più -risoluti, il cui arresto avvenne nella festa di Pasqua del 1849 in -una osteria di Casasco, chiamata del Foino, dove i medesimi trovavansi -tuttora armati; e ciò in seguito a delazione fatta dalla Gendarmeria di -Castiglione di Intelvi all’I. R. Comando Militare di Como. — Costoro -erano: _Andrea Brenta, Giuseppe Manzoni, detto_ Rossin, _un disertore -ungherese, Giovanni Pizzala, Niceforo e Luigi Bernarda, uno svizzero ed -un varesotto_. - -Meno i primi tre, che furono fucilati nel sesto giorno dopo la suddetta -Pasqua, cioè a mezzo l’aprile (14), gli altri ottennero poi la libertà, -perchè s’avesse anche il dovere di proclamare l’austriaca clemenza. -Taluni di questi ultimi per altro, onde assicurarsi della vita, -dovettero tosto emigrare, conscî che l’Austria non perdona e non oblía. - -Brenta, il caldo patriota, l’iniziatore di quell’insurrezione, andò -incontro alla morte da coraggioso ed intrepido, siccome aveva vissuto. -Egli contava soli 37 anni. Sul luogo del supplizio, che fu il piano -della Camerlata, stringendo la croce, simbolo del comune riscatto, -rivolse al popolo efficaci parole di fede sulla redenzione della patria -nostra, e moriva, come muoiono gli eroi, ricusando aver bendati gli -occhi, poichè il morir per la patria non l’atterriva, e gridando: _Viva -Italia!_ Lo stesso ufficiale austriaco, che dovette comandare di far -fuoco sopra di lui, fu talmente commosso da cotanto patriottismo ed -intrepidezza, ch’ebbe a dire, che se gli fosse stato possibile, avrebbe -voluto ad ogni costo salvar la vita di quel magnanimo. — Mentre veniva -tradotto al luogo della esecuzione, al Giuseppe Manzoni che doveva -subir l’egual pena e che si lamentava di dover per quel modo morire, -così francamente parlava il Brenta: _Taci, e tienti contento, chè anche -tu hai fatta la tua parte!_ - -Queste prove d’eroismo si rinnovarono fortunatamente spesso tra noi -in questi ultimi anni di lotta; e si vorrebbe che a perpetua memoria -si scolpissero i nomi e i fasti gloriosi in marmorei monumenti, e -che il paese non fosse così trascurato, siccome si mostra, della -povera condizione delle famiglie de’ suoi martiri. Chi finora ha -pensato a quella, per esempio, numerosa del Brenta? — Egli lasciava -nella desolazione e nella miseria la moglie e nove teneri figli, che -ancora attendono che la patria paghi inverso di essi il debito della -riconoscenza. - -Ridotta la Valle Intelvi ed Argegno al silenzio, gittati nella -costernazione per la morte di tanti suoi valorosi, non si diedero -i loro abitatori a vigliacco avvilimento; ma chiusi nelle più -generose aspirazioni, tenendo l’occhio alla capitale d’onde muovevano -quotidianamente esempî di ostinata opposizione contra l’austriaco -governo, stettero aspettando che suonasse nuovamente l’ora della -riscossa. Impazienti per altro taluni de’ sunnominati, fra cui l’Andrea -Grandi e un de’ Bernarda, nell’atto che dalla Svizzera, nell’anno -1854, stavano riportando alle loro case le armi che avean ricevuto dal -partito d’azione in Lugano, venivano arrestati e tradotti nelle segrete -di Mantova, da dove, dopo la tortura inquisitoria di quei famigerati -che furono Sanchez e Pichler, uscirono condannati agli ergastoli -di Padova, da cui vennero liberati dall’amnistia del 1857, prima -conseguenza del congresso di Plombières. - -Dieci anni durò la dolorosa prova e l’aspettazione degli animi: spuntò -finalmente il 1859. - -Voci di guerra, mosse primamente dalle sponde della Senna, corsero -presto anche le rive del Lario: il tempo della rivincita si appressava, -quello dell’espiazione per l’Austria era imminente. - -Non tardò essa a scoppiare: noi tutti salutammo felici e benedicemmo -la terribile distruggitrice dell’uman genere, la grande sventura dei -popoli, la guerra: era essa l’unico mezzo onde porre fine alla sventura -ancora più grande e deplorabile, la oppressione straniera. - -Sul principiar della guerra di quell’anno, Argegno, fra i più -ardenti paesi di Lombardia, fremeva attendendo il momento propizio di -infrangere alla sua volta, e per sempre, il giogo della schiavitù. - -Son note le ragioni che servirono a rompere le ostilità fra Piemonte -ed Austria, ad allearsi Sardegna e Francia; son noti i gloriosi -combattimenti dell’armi alleate: io non mi arresterò a tener conto di -essi, onde venir difilato all’argomento mio. - -Giunse il 26 maggio: in quel mattino un battello a vapore percorreva -il lago annunciando ai varî paesi d’ambe le sponde, allo scopo di -farli insorgere, la vittoria riportata dal corpo del prode Garibaldi -a Malnate, terra fra Varese e Como. Ognuno sa come il fatato -Nizzardo, spiccatosi coi Cacciatori delle Alpi da lui comandati dal -nucleo dell’esercito alleato, si fosse condotto pei paesi del Lago -Maggiore a Varese, e di là avesse incominciato una serie di gloriosi -combattimenti, di fatti d’armi arditi e fortunati: e però la notizia -che si diffondeva era di non dubbia importanza. - -Don Battista Rosati, vicario della parrocchiale d’Argegno, uomo -svisceratissimo della sua patria, italiano in cui fu sempre calda -la fede della redenzione di essa, e che molto si adoperò nei tempi -difficili a propagarla in quei dintorni, onde vi fosse prontezza -d’ajuti nel giorno del cimento, messosi in un burchio, andò incontro a -quel piroscafo per aver nuove da Como, e vi raccolse infatti la fausta -novella. - -Ritornato costui alla sponda d’Argegno, non è a dirsi con quale accento -di giubilo e di entusiasmo gridasse a’ suoi conterranei: _Figliuoli, -viva Italia! — l’ora segnata dalla Provvidenza è giunta — vittoria di -Garibaldi a Malnate — il generale Garibaldi colle sue valorose truppe -è in vicinanza di Como. — Ringraziamo Iddio, e facciamo tosto il dover -nostro._ - -E la gente d’Argegno fu pronta e sollecita alla riscossa. Avendo a capo -quel medesimo prete, parecchi, de’ quali i nomi sono: Plinio Peroni, -Giacomo Bernarda, Tomaso Spinelli, Antonio, Luigi e Santino fratelli -Rosati, Costante Ambrosoli, Pasquale Grandi, Carlo Fraquelli, Antonio -Visini, Giacomo e Antonio fratelli Grandi, Ernesto Bernarda, Carlo -Patriarca, Andrea Grandi, Eugenio Zucchi, G. B. Bosisio ed Eugenio -Bernarda — ristrettisi insieme, disarmarono in quel Comune i soldati -austriaci, i finanzieri e i gendarmi; indi percorrendo la valle, dove -si unì loro, prestando energico ajuto, un giovane milanese, l’ingegnere -Tizzoni, che per lavori censuari colà si ritrovava, operarono dovunque -il disarmo delle guardie di Finanza, fecero l’arresto del commissario -di dette guardie in San Fedele d’Intelvi, signor Durini, uomo che -si rese indegno del nome italiano e della illustre famiglia alla -quale appartiene; e sarebbero pur riusciti ad arrestare anche quelle -due guide di Finanza, Pensa e Melloni, che nella rivoluzione della -Vall’Intelvi nel 1848 si erano infamati guidando gli Austriaci nella -detta valle per la via del Bisbino, se costoro, avvertendo al pericolo -che lor sovrastava, non se ne fossero in tempo sottratti. Essi vennero -catturati in appresso per cura della R. Questura di Como. - -Cotali atti della gente di Argegno devono dirsi di sommo ardimento, -considerato che nel giorno 26 maggio si compivano da quel solo paese, -mentre le altre terre del lago se ne stavano ancora titubanti a cagione -che l’Urban, generale dell’Austria, aveva in Como concentrato un corpo -di oltre dodicimila uomini, e si mostrava disposto, bestiale siccome -era, a far man bassa con chichessia avesse mostrato di partecipare -al generale commovimento; talchè da tutti si dicevano impazziti gli -abitanti di Argegno. - -I battelli a vapore del lago, che fin dal mattino di quel dì si -emanciparono dal servizio austriaco, ebbero in detto giorno e nel -susseguente ad unico sito di stazione la riva di Argegno: nè vi fu -modo, finchè gli Austriaci rimasero, che si riconducessero a Como, -dov’erano istantemente richiamati, perchè il capitano di uno di essi, -lo Scannagatta, che collo scampanellar del suo piroscafo e con efficace -parola avea contribuito potentemente a bandir quella sommossa, risoluto -ad ogni audace impresa, seppe persuadere il rifiuto. — E gli abitanti -di questo paese furono i primi altresì che, partendo la notte dal 27 al -28, si portarono a Como per ricevervi festosamente l’invitto Garibaldi -e la valorosa sua armata, alla quale si unirono tosto come volontarî -ventitrè di essi Argegnesi. E qui è da notarsi che la popolazione di -Argegno, sommando soltanto a 650 anime, forniva con quei 23 volontarî -un ben importante contingente alla guerra nazionale. - -Onore pertanto a questa valorosa terra, onore a’ suoi animosi -abitanti!... - -A coloro che, leggendo questo libro, avranno domandato a questa -Escursione la semplice descrizione di luoghi, o romanzesche leggende, -io penso che la narrazione che ho fatto invece di antichi e gloriosi -fatti e della patriottica partecipazione di questa amena e magnifica -valle all’epopea della italiana indipendenza, penso che sarà stato di -largo compenso, come sarà di più efficace eccitamento a percorrerla ed -ammirarla. - - [Illustrazione: Isola Comacina, Balbianello, Bellagio.] - - - - -ESCURSIONE DECIMAQUINTA. - -L’ISOLA COMACINA. - - Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. - — Zocca dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La - processione e la Scorobiessa. — Isola. — La torre del Soccorso. - — Campo. — La villa Delmati. — Dosso di Lavedo. — Balbianello - e la villa Arconati. — Il torrente Perlana. — La Madonna del - Soccorso. - - -Riconducendoci ad Argegno, e da qui movendo all’insù del lago, seguendo -la medesima sponda, dobbiamo questa volta proporre a meta della -nostra peregrinazione questa Isola Comacina, un dì più famosa certo di -quello non lo sia oggidì. Vi troveremo importanti memorie di storici -avvenimenti, che non sarà, per chi ha cuore e amor di studî, discaro di -ricordare. - -Intanto lungheggiando questa sponda, la sua severità, che ebbe, a -vero dire, il suo principio dalla punta di Torrigia, è divertita dalle -bellissime cascate di Camoggia, le cui acque con molto fragore balzan -dalle alture e spumeggianti si gettano nel lago. Una semplice casetta -da contadino sta al piede del monte e testimonia che vi ha chi sfrutta -e que’ pascoli e que’ boschi. - -Dopo un certo tratto silenzioso e disabitato, si presenta Colono, -paesello, come Blevio, Careno, forse Corinto in antico, Palanzo, Lemna -e Nesso che già visitammo, il qual rivela nel suo nome, che ricorda -altresì l’_Edipo a Colono_ di Sofocle, la presenza di una immigrazione -greca; la quale, come già altre volte notai, pur si manifesta nel -nome di altre terre, come Campo, che troverem tra breve, Lenno, Dorio -e Dervio, forse anticamente Delfo; avvalorandosi così la credenza -di coloro che pretesero aver qui, come pur già dissi, Giulio Cesare -dedotta una colonia ellenica di cinquecento uomini di prestanti -famiglie. E pare che gli abitatori di questi paesi serbassero le -costumanze antiche, computando gli anni dai consoli, e rammentando -l’autorità dell’imperatore greco sedente in Costantinopoli, quantunque -non ne avesse su di essi giurisdizione, negli anni di Cristo 571 e 572, -a’ quali accennano due lapidi latine che si distinguono tuttavia in -Lenno, e che riferirò a suo luogo. - -Tuttavia a Colono si hanno traccie sufficienti di colonia romana nei -ricordi di un arco antico, che evidentemente lo attestano di romana -architettura. - -Succede a Colono, Sala, paesello che vive di pescagione e sul confine -del quale ha il suo letto il torrente Premonte, e sulla punta sporgente -nel lago sorge la villa Beccaria, che appartenne a Cesare, l’immortale -autore _Dei Delitti e delle Pene_ e dove vi morì il suo degno figlio -marchese Giulio; e la quale chi la visitò afferma somigliare ad un buon -libro che attiene più che non prometta. - -Tutta questa parte, che forma un certo grazioso bacino, la si può dire -una primavera anche nel verno: la neve, se cala, vi sparisce subito: il -verde vi è costante e però agrumi e ulivi vi allignano, per la mitezza -del clima, all’aperto, nè i fiori han d’uopo di serre: lo stesso che -sul lago Maggiore avviene ne’ dintorni di Cannero, che si trovano -nell’eguale condizione di postura. La calma che anche regna nelle onde -di questo seno, a cui l’isola forma quasi baluardo contro l’ira dei -venti e dei flutti, ha fatto dare a questo tratto dagli abitanti del -paese la denominazione di Zocca dell’Olio. Perocchè davanti a questa -villa Beccaria si schierino a fianco Sala e davanti l’Isola Comacina, a -cui eravamo diretti, e che è anche la sola isola del lago. - -Essa conta tutta una storia; nè è a credersi che la sua estensione -fosse quella che presenta oggidì, dovendo certamente essere stata -maggiore, rôsa quindi all’intorno dalle innondazioni che via ne -trascinarono poco a poco molto terreno. - -Chi conobbe l’itinerario d’Antonino, vuole che dell’Isola Comacina vi -sia fatta menzione: certo all’epoca dell’invasione longobarda cominciò -ad essere teatro di lotte animose e fiere. Un Francione, generale di -Maurizio imperatore d’Oriente, vi si rifuggì e mantenne indipendente, -l’isola appellando Cristopoli, quasi posta sotto la protezione -speciale di Cristo. Ma Autari, re longobardo, la strinse e l’assalì -vigorosamente con numerosa flottiglia, e dopo una gagliarda resistenza -di sei mesi, l’ebbe per onorevole capitolazione di quel prode, che -ottenne di ritirarsi colla moglie a Ravenna. Ricchissimo fu il bottino -che vi fe’, occupandola, il longobardo. - -Successivamente fu l’isola ricovero a Gaidulfo duca di Bergamo, -allorchè si ribellò a re Agilulfo; poi al re Cuniberto, quando dovette -cedere alla prevalenza del duca Alachi di Brescia; quindi alla famiglia -di Ausprando, dove per altro essa fu immolata dal suo nemico Ariberto, -che a maggiore vendetta smantellò anche l’isola che l’aveva ricoverata. - -Quivi pure rifugiavasi la famiglia di Berengario nel 962 dall’irruenza -delle armi del suo più felice competitore Ottone di Germania, e -gli abitanti di queste rive che, parteggiando per quest’ultimo, lo -forzarono alla resa e ne disarmarono il castello, ebbero in premio la -conferma dei diritti di comune all’isola nel seguente documento, che -val la pena di conoscere: - - “In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone, per voler di - Dio, imperatore augusto. - - „Se assentiamo alla domanda degli altri nostri fedeli, molto più - giustamente inclinar dobbiamo le orecchie alle preci della diletta - consorte nostra. Sappiano dunque tutti i fedeli nostri e della - santa Chiesa di Dio presenti e futuri, che Adelaide imperatrice - augusta, moglie nostra, invocò la nostra clemenza, affinchè per - amor suo gli abitanti dell’isola Comasca e del luogo che dicesi - Menaggio ricevessimo sotto la nostra tutela e confermassimo - coll’autorità nostra i privilegi che ebbero dagli antecessori - nostri e da noi stessi aventi l’unzione imperiale, cioè di non far - oste, non aver l’albergario, non dar la curatura, il terratico, - il ripatico, e la decima del nostro regno, nè andar, se non tre - volte l’anno, al placito generale in Milano. Tanto concediamo ecc. - Dato all’ottavo avanti le calende di settembre (25 agosto), anno - dell’incarnazione 962, I dell’impero del piissimo Ottone, indizione - V, in Como.„ - -La giurisdizione politica dell’isola doveva estendersi a que’ giorni, -oltre l’isola propriamente detta, a tutto il tratto da Argegno sino a -Villa di Lenno, dall’una e dall’altra sponda. - -Gli isolani nella guerra dei dieci anni, dal 1118 al 1127, mossa dai -Comaschi a’ Milanesi stati prima amici coi primi, poscia congiuntamente -a Menaggio, Gravedona e a tutte quelle terre del lago ch’erano a queste -vicine, lor si chiarirono avversi; onde i Comaschi ne tiraron vendetta, -desolando molti loro paesi e l’isola, che da allora cessò d’essere -popolata e dal dare a parlare di sè. - -Oggi, a chi la vede, par non credibile che possa essere stata -importante luogo: eppure fu scritto che sul ripiano più elevato -sorgesse il castello, che i pochi abitanti odierni additano ancora ove -fosse; che ben nove chiese vi esistessero e che il vescovo Litigerio vi -avesse collocato perfino una Collegiata di canonici. - -Ruderi ad ogni modo di fortilizî veggonsi tuttavia, che si vanno però -sempre struggendo, per sostituirvi piante e seminagioni, e in una -festa annuale, nel 24 giugno, per antichissima tradizione, si riproduce -intorno ad essa una delle tante assurde e superstiziose scene, onde non -è libero ancora il cristianesimo del contado. - -In quella giornata, sacra a San Giovanni Battista, il clero in -processione vi gira in una gran barca detta la _Scorobiessa_, e negli -anni addietro essa veniva altresì accompagnata dalla rappresentazione -scenica della decollazione del Precursore. - -Raffiguravasi il re Erode, che, in mezzo al suo corteo, comandava -decapitarsi il santo, il qual doveva essere un fantoccio, perchè -realmente si vedeva, al calar del fendente, balzare la testa e il -sangue sprizzare da un otre che vi era predisposto dentro, con immensa -edificazione e gaudio della devota popolazione. - -In seguito della suddetta guerra decenne, gli abitanti, parte -ripararono a Varenna; gli altri si fabbricarono sul lido le loro -case, e il paese che ne uscì appellarono dal luogo che avevan dovuto -abbandonare, Isola, dove risiedette anche la Collegiata che ho testè -ricordata. - -Lasciando Isola, in su spingendo l’occhio, vedesi su d’un greppo un -avanzo di torre, che denominano del Soccorso, di solida costruzione, -quadrata, e che doveva servire o di vedetta o di momentaneo rifugio. - -Subito dopo Isola, è Campo, ove la villa che prima era dei Giovio, -venduta poscia a Tolomeo Gallio, che di ville sul lago n’ebbe più -d’una, ebbe a ritornare di poi ai Giovio; nel 1787 venne da essi ceduta -al cardinale Angelo Durini, che l’ampliò ed arricchì di molto; e forse -è questa la villa del prelato, che, colla scorta dell’Amoretti, io -cercavo a Moltrasio invanamente. - -La superstizione, svegliata dal giuoco dei venti che vi producevano -rumori, tenne lungo tempo disabitata la villa; ma essa ora appartiene -ai signori Delmati, che l’abitano senza tema che diavoli e fantasime vi -facciano ridda e tregenda. - -Proseguendo il cammino, giungesi al Dosso di Lavedo, ov’era prima un -convento di Francescani, che, acquistato dallo splendido cardinale -sunnominato, vi fabbricò un portico sull’eminenza, e ne costituì la -villa che vi si vede, che si noma Balbianello, e spetta adesso al -marchese Arconati. Da questa villa si domina il maraviglioso bacino -della Tremezzina, cui ci tarda di giungere, e più giù il tratto -di lago che abbiam trascorso in questa nostra escursione, la quale -chiuderemo additando all’insù di Spurano ed Ossuccio il Santuario della -Madonna del Soccorso, al quale conduce un’ampia strada fiancheggiata -da quindici cappelle sul far di quelle della Madonna del Monte di -Varese, con entro raffigurati, taluni in plastica, taluni in pittura, -i religiosi misteri. L’opera di queste cappelle è dovuta alla pia -costanza di Timoteo Snider, che fu eremita di questi monti, il quale -e col mendicare e collo insistere presso le famiglie più facoltose, -potè recare ad effetto il suo divisamento. Degli artisti che vi -lavorarono, si addita un Francesco Torriani da Mendrisio per la -cappella dell’Orazione di Gesù nell’Orto, dipinta; e un Agostino Silva, -per le figure non senza merito scolpite in quella che rappresenta la -disputa dei dottori, che è anche la più ricca cappella. Forse è pur -egli l’autore di sculture di altre cappelle. Il Santuario è un bel -tempio cui traggono continuamente, massime alla Madonna di settembre, -i devoti. A mezzo la via, si passa sul torrente Perlana, traversandolo -su di un ponte di legno, e le tumultuose sue acque, che mettono in -movimento de’ mulini, precipitandosi al basso, formano una cascata di -effetto assai pittoresco. - -L’origine del Santuario vogliono che derivi da una effigie mutilata -di sasso rinvenuta colà, Dio sa come, da’ montanari, alla quale, -appiccicata una testa e una figura di bambino, la salutarono Madonna, -la venerarono in una chiesuola; poi, per grazia ricevuta, questa, a -spesa de’ terrieri del lago, fu tramutata nel grandioso Santuario, -conosciuto sotto il nome della Madonna del Soccorso, stato consacrato -nel 1837 dal vescovo di Como, allora monsignor Bonesana. - -Un’altra statua si conserva ed è dipinta e porta infatti questa -iscrizione: _Questa figura è quella che fu depinta quando questa gexia -comenzò ad essere frequentata per li molti miracoli e grazie._ - -Legati e doni arricchirono la chiesa per parte di chi si professò -riconoscente per qualche grazia colà supplicata ed ottenuta. - - - - -ESCURSIONE DECIMASESTA. - -LA TREMEZZINA. - - Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura - Carove e la _Commedia_ di Plinio. — Ville Torri e Vacani. — - Lenno. — Lapidi antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — Il - chiostro di S. Benedetto. — Ville Litta, Barbavara, Carmagnola - e Carcano. — Bolvedro. — Villa Busca. — Le ville Spreafico, - Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi, Campagnani, - Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di Tremezzo. — Albergo - Bazzoni. — _Hôtel garni_. — Grianta. — La grotta. - - -Entrati in questo bacino, che è il più bello, il più ampio e il più -ridente, una vera meraviglia insomma di terra e di acque, par che -il cuore ci si allarghi, che si dilati il polmone a bevere quanto di -questo aere purissimo è capace, e la mente corre a cercare immagini -poetiche e versi che esprimano tutto quell’ineffabile sentimento che -si prova. _Hic ver assiduum, atque alienis mensibus æstas_[23], come -direbbe il Poeta delle Georgiche; ma se poi avviene che al fianco vi -troviate un’Eva qualunque di questo paradiso, l’inno allora vi sgorga -più limpido ed acceso, perocchè l’ammirazione divisa e più accesa si -avvalori, si faccia maggiore. - -Molt’anni addietro, ne’ passeggi che facevo tra questi monti, che -ricingono verdeggianti queste rive; nelle gite del lago, durante il -giorno; nelle sale di conversazione, a notte, non c’era caso, una -giovinetta leggiadra e sola, piena di riserbo e cortese ad un tempo, io -la scontravo sempre, s’anco avessi preferito, al chiudermi la sera in -una sala, lentamente trascorrere in canotto sotto i vaghi palazzini; se -mi giungevano i suoni or mesti, or lieti di Schubert o di Fumagalli, -chiedendo da chi il piano-forte fosse stato tocco, ero certo mi si -dicesse da lei, da quella giovinetta che aveva finito per appellare il -_Genius loci_, per desiderarla in ogni escursione, per non divertirmi -ov’ella non fosse. Era agevole farsi a quella simpatica abitudine. - -Lo seppe ella? Nol so: prima di partire, a mo’ di memoria, mi -chiese de’ versi pel suo _Album_: eccoli, che non so com’io li abbia -conservati. - - O del Lario incantevoli - E benedette sponde, - Ov’io passai dei liberi - Ozî l’ore gioconde, - Qual mai spirto cortese - A voi rivolse il piè - E in voi l’oblio discese, - E cancellarvi dal suo cor potè? - Non io, non io: fra i turbini - Della città ravvolto, - Fra i polverosi codici, - Ne’ studi miei sepolto, - O nel rumor del giorno, - O nel notturno orror, - Sempre fa a voi ritorno - Sull’ale del pensiero il mesto cor. - E veggo allor sorridermi - Il vostro azzurro cielo, - Sento il mitissimo aëre - Scender nel petto anelo, - M’inerpico pei monti - Con fervido desir - Vaghissimi orizzonti, - Non prima immaginati, a discoprir. - E fiso il guardo immobile, - Come se mai non pago, - Nell’onda queta e cerula - Del scintillante lago, - In cui superbe a mille - Come odalische in mar, - Terre, palagi e ville - La lor bellezza alternansi a specchiar. - Poi, come fosse il genio - Di quelle rive amiche, - O come ondina e silfide - Delle canzoni antiche, - Dovunque il guardo io giro, - Nel suo leggiadro vel - Una fanciulla io miro, - Quasi una cara visïon di ciel. - Entro la snella gondola, - Fra i ciclamin’ del monte - D’ogni ruscel sul margine, - Sempre mi sorge a fronte; - E i balli se rammento, - O l’ilare canzon, - Veggo il suo piè, ne sento - E mi accarezza di sua voce il suon. - Anco i vocali avorii - Da lei percossi ascolto, - Seguo il vivace eloquio - Che sì le irradia il volto: - No, questi monti e il lago - Più non potrò veder - Che la gentile immago - Non s’affacci repente al mio pensier. - O del Lario incantevoli - E benedette sponde, - Ov’io passai dei liberi - Ozî l’ore gioconde, - L’anima pellegrina - Sovente a voi verrà - A chieder la divina - Che m’ispiraste arcana voluttà. - O voi, se a quelle floride - Pendici un dì trarrete, - E in quel leggiadro spirito - Se mai v’incontrerete, - Non creder che a me il canto - Fiamma volgar dettò: - — Ella fu a me soltanto - Musa che gli estri accese ed ispirò. — - -La Tremezzina, delle etimologie del cui nome faccio grazia al lettore, -per non infilargliene di marchiane, seguendo i diversi che la pretesero -indovinare, e che forse ebbe il suo nome da Tremezzo, paese che siede -_tra mezzo_ il bellissimo golfo, comprende quel tratto di lago che, -dopo Balbianello, si distende fino a Menaggio, ed è in quanto ai monti -a cui s’addossa tutto ricco della più rigogliosa vegetazione: a campi, -a vigne, a uliveti, a giardini, a quando a quando intersecati da’ -torrenti che portano abbondanti acque al lago; e in quanto alla sponda -del lago, essa non è che una serie continua di ville, di paeselli, di -palazzi, di alberghi, che riflettonsi vagamente nell’onde. - -Passiamoli tutti in rassegna. - -Primo del bacino è il paesello di Villa, interessante a vedersi, -perocchè qui si dica vi fosse, nel luogo ove sorge adesso la villa -dell’ingegnere Carove, la villeggiatura di Plinio il Giovane, ch’egli -chiamava _Commedia_, e della quale dicono si veggano tuttavia avanzi -entro il lago, allorchè limpida è l’onda. Qui vi hanno ville di -presente anche le famiglie Torri e Vacani. - -Procedendo oltre, a breve distanza è Lenno, terricciuola non priva -d’interesse ed ove ci tratterremo alquanto di più. Il suo nome è pur -desunto da Grecia, Lenno, essendo un’isola del mar Egeo già sacra -a Vulcano. Eravi in addietro un tempio periptero, o tutto recinto -da portici, e nella cripta pur sussistente si leggono due lapidi -cristiane, delle quali feci parola nella escursione passata, come -testimonî che i greci qui immigrati continuarono per lungo tempo a -contare gli anni come se ancora fossero stati nella madre patria. - -Eccole: - -_Hic requiescit in pace B. M._ (bonæ memoriæ) _Cyprianus qui vixit in -hoc sæculo annos p. m. XXXII dep. sub. d. VII. octob. ind. V. post -cons. d. n. Justini p. p. aug. ann. VI_, cioè nell’anno sesto dopo -il consolato di Giustino nostro signore perpetuo augusto; lo che -equivarrebbe all’anno 572 di Cristo. - -La seconda: .... _Vixit in hoc sæculo a p. m. XXVI dep. sub..... III -post consulatum Basilii d. n._; e sarebbe nel 545. - -A Lenno è il torrente detto dell’Acquafredda, che si butta nel lago: -più sopra diede già il nome ad un’abbazia di Cistercensi soppressi nel -1785 da Giuseppe II; e chi la visita, salendo il monte, trova compenso -alla fatica nel più superbo panorama che gli si distende avanti. Da -questo chiostro, per sentieri praticati nel monte ed aspri, non par -vero che si giunga poi ad altro edifizio non meno interessante e -bello, il chiostro di S. Benedetto, dove l’architettura della chiesa -dell’undecimo secolo merita essere veduta e dove mirabile del pari e -pittoresca è la veduta. - -Non si lasci Lenno senza volgere lo sguardo alle ville dei Litta, dei -Barbavara, dei Carmagnola e dei Rezia, ora Carcano, che si succedono, -una dell’altra più bella. - -A Bolvedro, altro paesello che segue, havvi la villa più superba de’ -marchesi Busca, dove l’ultimo di essi, Antonio, arricchì di opere -d’arte il palazzo, ivi, fra l’altre, trovandosi quel bellissimo quadro -del mio povero amico, Cesare Poggi, da cui è trattato l’evangelico -episodio l’_Adultera_. Al giardino aggiunse nuove vaghezze. Narrano -que’ di Bolvedro che appena sposa la marchesa Busca-Serbelloni, venuta -a questa sua villa, ne avesse nell’unica notte che vi soggiornò così -turbata la fantasia da creduti fantasmi, che rifattasi subito a Milano, -non vi riportasse in tutta la sua vita più il piede. Lungo queste -sponde abbiam già trovato radicate ubbíe e superstizioni, alimentate -forse da qualche avvenimento di naturali fenomeni e dalla solitudine -che vi regna, ma spariranno certo fra breve. Non così è infatti della -erede ed attuale proprietaria, la gentile contessina Antonietta, figlia -di que’ miei due dilettissimi amici che furono i marchesi Lodovico e -Clementina Busca, rapiti troppo presto entrambi all’amor delle figlie -ed all’affetto degli amici, che le prime letizie di un ben assortito -connubio col giovane conte Sola rese ancora, non ha guari, più soavi -nel soggiorno di questo suo Bolvedro. - -Delle ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi, -Campagnani, Sala, Mainoni, Guy ed altri avrebbesi a dire ed a lungo; -ma come occuparci di tutte? Degne son esse di trovarsi l’una all’altra -vicine e d’essere a Tremezzo, dove è il convegno di tutto il mondo -elegante milanese. La villa Giulini, ora ad altri venduta, fu l’oggetto -di tutte le cure del suo primo proprietario, che lo aveva fatto il più -leggiadro ed olezzante nido. Comodità di casa, ricchezza di serre e -giardino vaghissimo, oh! come lo ha egli potuto mutare col pur elegante -suo palazzino di Milano? - -Nel caffè che si asside in mezzo a queste ville sontuose, riserbatevi -ad entrare a sera, quando i villeggianti vi si danno la posta. Gli -uomini al bigliardo, le signore s’accolgono tutte all’intorno di -una sala a ripetersi gli avvenimenti della giornata, i progetti -dell’indomani, le visite scambiate, i romanzi iniziati, le somme -perdute al giuoco dagli eleganti fannulloni, le divertenti maldicenze, -i pettegolezzi tutti cittadini, che qui concentrati, tramutano la -quiete che vi si viene a ricercare in soggezione e preoccupazione. -Ah! io amerei davvero non mescermi a tanta baraonda, per fruire invece -delle sole dolcezze di questi luoghi. - -Nell’albergo Bazzoni e nell’_Hôtel garni_ si convengono coloro -che non avendo villa propria o possibilità di valersi dell’altrui, -amano tuttavia godere di questo terrestre paradiso che si chiama la -Tremezzina. - -Da qui breve è la via che conduce per boschi a Grianta, paese che -dà ragione agli etimologi, che il nome dedur vorrebbero da _riant_, -sorridente, perchè infatti è amena e lieta per ogni riguardo. Beyle vi -collocò le più interessanti scene del suo bel romanzo la _Chartreuse de -Parme_: io invece ricordo le case signorili dei Riva, dei Mainoni e de’ -Malacrida. - -Montando più in alto si ritrova una delle molte grotte di questi -monti che fiancheggiano il Lario, dove se ben si riguardasse al masso -che vi esiste sconnesso dalla montagna, inorridirebbe pensando alla -possibilità che un dì avesse a staccarsi e rovinar giù nel lago, -suscitandovi uno sconvolgimento pari a quello che il masso staccatosi -nella notte del 4 novembre 1856 di sopra le gallerie di Varenna ebbe -già a produrre, cagionando non pochi danni. - - [Illustrazione: Villa Sommariva o Carlotta.] - - - - -ESCURSIONE DECIMASETTIMA. - -LA VILLA SOMMARIVA. - - La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere d’arte. — - Giardino. — Carlotta di Prussia e il principe di Sax-Meiningen. - — La Cadenabbia. — Albergo di Belvedere. — Ville Brentano, - Noseda, Piatti, duca di Sangro e Seufferheld. — La Majolica. — - L’albergo Righini. — Villa Ricordi. — Maxime Lari. — Questione - filologica. - - -Dicono i Francesi: _à tout seigneur, tout honneur_; e però a questa -villa denominata ancor Sommariva, che per universal sentimento si -estima la più grandiosa e splendida di quante abbellano le ridenti -sponde del Lario, vuolsi, come da quanti visitano questi luoghi, -dedicare una speciale escursione. - -Sorge essa fra Tremezzo e la vicina Cadenabbia, isolata come una -regina a cui le altre dame stieno per reverenza a certa distanza. È -ingiustizia della sorte che non le sia stato conservato il nome del -suo primo proprietario che la fe’ costrurre, del marchese Giorgio -Clerici, cioè, che fu presidente a Milano del Senato e del quale pure -era il magnifico palazzo nella contrada appunto detta de’ Clerici, -convertito ora in sede della Corte d’Appello, dove pitture e dorature -in profusione attestano ancora della immensa ricchezza di sua famiglia; -perocchè il primo merito andrebbe dovuto a questo nome. - -Incominciata essa da quel patrizio, veniva ultimata da Anton Giorgio -suo nipote, che, a dir di Gianbattista Giovio, l’amico di Foscolo, vi -esercitò lo splendore e la magnificenza cinto d’ospiti numerosi e in -banchetti luculei. - -Ma piacque tanto, e per la casa e per i ben disposti giardini, e per -le acque che vi zampillavano, al lodigiano avvocato Sommariva, che -fu tra i direttori della repubblica cisalpina e che vi si arricchì, a -prova che in ogni maniera di governo la fame dell’oro prende sempre i -maggiorenti, che se la fece sua, acquistandola. - -Nè è a dire quanto alla sua volta l’abbellisse ed arricchisse; -dipinti e sculture vi recò de’ più eminenti artisti antichi e moderni. -Parecchi quadri vi si veggono di scuola fiamminga; una bella testa, -di Leonardo; e de’ moderni, l’ira di Achille, del Bossi, e le ceneri -di Temistocle rese alla patria, dell’Appiani; un Marte disarmato dalle -Grazie, del Landi; il bacio di Giulietta e Romeo, di Hayez; e la morte -d’Atala, del Lordon. E di scultura, di antico, un’Andromeda che si -fa passare per opera di greco scalpello; di moderno, il Palamede, -il gruppo Amore e Psiche; e la Maddalena e la Tersicore di Canova, -e diversi suoi modelli; e la fascia in basso rilievo rappresentante -il trionfo d’Alessandro, di Thorwaldsen, allogato al grandissimo -artista da Napoleone il Grande per il Quirinale di Roma e valutato -ben settecentomila lire; un gruppo dell’Acquisti, raffigurante Marte e -Venere; poi nell’attigua chiesuola due monumenti ai Sommariva, padre e -figlio; l’uno eseguito da Pompeo Marchesi, l’altro da Pietro Tenerani -con quattro statue di Luigi Manfredini, e una Deposizione dalla Croce, -di Benedetto Cacciatori. - -A tanta ricchezza d’arte corrisponde la vaghezza del giardino e la -peregrinità delle piante e de’ fiori. - -Vi si ponno spendere insomma nell’ammirazione più ore e partirne -contenti. - -La villa fu anche detta Carlotta, perchè dopo acquistata da una -principessa di Prussia di questo nome, che naturalmente l’aprì ad -ospitarvi spesso regnanti e principi stranieri, e dalla quale, morta -il 30 marzo 1855, passò al marito di lei, il principe Giorgio, duca di -Sax-Meiningen. - -Confina colla bellissima villa l’albergo della Bellavista (Hôtel de -Bellevue) della Cadenabbia, — paese che originò forse da _cà de’ nauli_ -— e il forestiero anche più schifiltoso vi trova tutto e le lautezze e -i comodi degli alberghi svizzeri. - -Dopo l’albergo e le poche case della Cadenabbia, si trovano le ville -Brentano e Noseda, quelle dell’artista Piatti, e accanto, colla -medesima architettura, quella dei duca di Sangro, che rivela che a -quelle due ville presiedette il pensiero d’una fraterna amicizia. -Seguita poi la villa de’ signori Seufferheld, e dopo, il paese -mutandosi in quello della Majolica, segue l’albergo Righini, cui tien -dietro la villa del principe de’ nostri musicali editori, Tito di -Giovanni Ricordi, al quale Euterpe e Melpomene hanno preparato il più -gradito e riposato nido. Vuolsi che il solo spartito del _Trovatore_ di -Verdi abbia, ne’ guadagni fruttati, fornito la spesa di così splendida -villeggiatura. - -Oggi è breve la nostra escursione: ma in ricambio tante bellezze -di natura e d’arte ammirabili ci occupano siffattamente, che è bene -arrestarci e riandarle poi tutte nella memoria: _meminisse juvabit_. - -Immenso è il dominio dell’arte e immenso è il campo a meditare in esso, -come ampio si presenta il bacino allo svolger del lido, appena tocca -la villa Ricordi; e noi quivi fermadoci, pare che il vasto pelago -armonizzi colla vastità del pensiero che accoglie e medita tutte le -meraviglie vedute. - -Da qui si comprende come si potesse credere finora dai più, che -_massimo_ venisse chiamato il Lario, nella Georgica seconda di -Virgilio, leggendone così i versi: - - _An mare, quod supra, memorem, quodque alluit infra?_ - _Anne lacus tantos? te_ LARI MAXIME; _teque_ - _Fluctibus et fremitu assurgens, Benace, marino?_[24] - -Ma forse il poeta volle dire invece: _te, Lari, Maxime; teque_ etc., -e così ricordare e il Lario e il Verbano, che tuttavia chiamiamo -Maggiore, e il Benaco, che così meglio risponderebbe al concetto -espresso da Virgilio nel _tantos lacus_, perchè due soli laghi, -il Lario e il Benaco non sarebbero, a vero dire, _tanti laghi_. A -coloro poi, i quali a questa lezione oppor volessero che in antico -si chiamasse _Verbanus_ e non _Maximus_ quel lago, potrei rispondere -che, se accademicamente quello fosse il suo nome, potrebbe anche -essere stato che volgarmente venisse detto anche _Maximus_, se poi -italianamente fu da poi appellato Maggiore. - -Congeneri esempî si potrebbero all’uopo recare; ma rammentandomi che il -mio dire non deve essere irto di discettazioni filologiche, abbandono -cui piaccia la nuova questione; chiedendo anche questa volta scusa, se -immemore d’essere un semplice cicerone da campagna, ho dato mano per un -istante alla ferula del pedagogo. - - - - -ESCURSIONE DECIMOTTAVA. - -LA BELLAGINA. - - Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi - Grosgalli. — Il Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa - Besana. — S. Giovanni. — Ville Ciceri, Trotti e Poldi-Pezzoli. - — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — La _Tragedia_, - villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — Marchesino Stanga - vi edifica la villa e que’ della Cavargna la distruggono. — - Ercole Sfondrati la riedifica. — La Sfondrata. — La contessa - di Borgomanero, tradizione. — La villa passa ai Serbelloni. - — Parini vi ospita. — Ora mutata in albergo. — La Crella dei - Frizzoni. — Pescaù. — La villa Giulia, ora albergo. - - -Anche la sponda opposta alla Tremezzina ha le sue vaghezze in questo -bacino, le quali possono rivaleggiare con essa, e noi dalla Cavagnola -dove siamo rimasti nel visitare tale sponda, costeggiamo colla nostra -barca, che l’escursione riescirà amena ed istruttiva. - -Il primo tratto è un po’ malinconico, è vero, e disabitato; ma svoltato -il piccolo promontorio ci vediamo avanti Lézzeno. Ecco il clivo è -più coltivato, il dosso dei monti più selvoso, le case sparpagliate -ne formano il paese e ve n’ha taluna di bella mostra, e quivi soleva -passarvi gli ozî autunnali quel distinto oratore e pubblicista che fu -il prete Ambrogio Ambrosoli, che vi morì il passato anno, il cui busto, -scolpito da Pompeo Marchesi, fu, non ha guari, donato dalla _Gazzetta -di Milano_, arringo ordinario de’ suoi liberali e dotti scritti, alla -Società di mutuo soccorso tipografico della quale fu benemerito. Così -più anni addietro da qui mossero due Mocchetti che ebbero qualche fama -nelle lettere. Con tutto ciò gli abitatori di queste rive ne ripetono -questa cattiva raccomandazione del paese: - - Lezzen dalla mala fortuna, - D’inverno non c’è sol, d’està la luna. - -Avviene tuttavia che vi ci si trovi la particolarità di buoni fichi -in primavera, che son quelli dell’anno precedente, che, non maturati -in autunno, si compiono all’aprirsi della buona stagione dell’anno -successivo. - -Un po’ più all’aprico, dopo Lézzeno, si specchia nel lago la villa -Vigoni; poi segue il gruppo di case denominato Villa; quindi un altro -detto la Cappelletta, dopo la quale si elevano i Sassi Grosgalli, -brulli ed enormi massi e però formanti uno strano contrasto col -rimanente del bacino tutto verdeggiante e sorridente. Scabra ne è la -pendice che va a picco nel lago reso oscuro e tetro da essi, che vi -progettano l’ombra e appena vi si può per aspro sentiero percorrerla. -Sotto di essi, di fronte a Lenno, scavata nel sasso, evvi come un’ampia -grotta, che i paesani chiamano il _Buco de’ Carpi_, forse perchè in -quel riparo abbondano i pesci di questo nome, ed è qui che le genti -de’ luoghi circonvicini narrano una storia pietosa d’amore, che formò -soggetto ad una commovente novella di Antonio Picozzi, la quale provò -anche una volta, dopo la _Guerra di Pret_ del Porta, o la _Fuggitiva_ -del Grossi, la potenza del milanese vernacolo a trattare la cosa più -seria ed anche lagrimosa. - -Se sapessi che il libro non andasse tra le mani di lombardi, sarei -tratto a commettere un reato di contraffazione letteraria, riproducendo -l’intero episodio nel suo bell’originale; ma siccome non sarà così, -debbo chiedere venia al mio concittadino, se le sue belle e toccanti -sestine riassumerò in modestissima prosa. - -Erano i tempi del primo Napoleone, di colui che ci aveva regalata -quella coscrizione militare che colla guerra ne mieteva il fiore -della nostra gioventù; e nella Tremezzina viveva un buono e aitante -giovane, che s’era fidanzato a Teresa, la più leggiadra fanciulla dei -dintorni. Poichè tutti ora sanno come costei fosse bella, per coloro -che capiscono il vernacolo nostro non so trattenermi dal farne loro il -ritratto coi versi del poeta: - - De sedes ann, dersett, minga deppù, - Bianca la carnagion, rosa el faccin, - Folt negher i cavej comè on velù, - Negher i bej oggioni de bambin.... - Dal tutt’insemma con la prima oggiada - Se ghe vedeva l’anima ben fada. - -Erano già intese le nozze che compier dovevansi nel successivo -carnevale, e però la Teresa attendeva a prepararsi il suo corredo. -Ma ecco un dì del settembre il Peppino, che a questo nome rispondeva -l’innamorato garzone, facevasi attendere alquanto e la poverina a -correre a pensar male. Nè l’ingannava il cuore. Cápita il fidanzato -alla fine e tutto conturbato le narra come, côlto dalla coscrizione, -egli debba il posdomani essere a Como all’estrazione del numero ed alla -visita militare. Ognun pensi l’affanno della giovinetta. Il posdomani -arriva, Peppino è a Como, è ritrovato abile al militare servizio, ei -deve giurare.... è soldato e appena gli son concessi tre giorni agli -addii, perchè ei dovrà marciare per la Russia. - -Egli è dunque di ritorno al paese; i tre giorni passano velocissimi -fra i pianti della Teresa e i giuramenti del coscritto: l’ora della -partenza definitiva è suonata. La povera tosa, presaga di sventure, -poichè dentro di sè ella sente - - comè ona vôs - Che tœujendegh el fiaa la ghe dis su: - “Teresa, el tò Peppin tel vedet pu;„ - -non sa staccarsi da lui, e però s’imbarca ella pure con un suo minore -fratello e lo vuole per qualche tratto accompagnare. - -Ma il tempo, triste dapprima, viene facendosi peggiore, l’uragano -imperversa sul lago: - - Han penna ciappaa el largh, che a pocch a pocch - Oltra el piœuv, se destend ona fiadura; - El ciel vers Val d’Intelvi a tocch a tocch - L’è già scur, burrascôs ch’el fa pagura; - Ma el coscritt per la sira a tutt i cost, - Piœuva, tempesta, l’ha de vess al post. - Cress el brutt temp anmò col cress del vent - Ch’el sifola piangend in di orecc; - Ingajarda la sluscia in d’on moment, - Ch’el par che la stravacchen cont i secc; - No se pò pu andà innanz; bœugna cercà - Quai paes o quai riva de prodà. - -Ma il vento ha sbattute le fragili imbarcazioni verso l’opposto lido, -e giunte presso il _Buco dei Carpi_, qui dentro traggonle i rematori -a riparo dalla bufera, attendendo ne passi la furia. Quivi nuova scena -d’amore e di strazio. La Teresa coglie un ciclamino, che sbucciava tra -i crepacci della grotta, e il porge al suo Peppino a memoria sua. Il -vento si è alquanto calmato, il lago può ritentarsi di nuovo; i due -amanti si abbracciano e baciano tra le lagrime e si son detti addio. -Esce prima la barca che si dirizza col coscritta a Como, poi l’altra -della Teresa. Si riguardano mestamente finchè lo possono, poi ognuno se -ne va. La Teresa, di ritorno a casa, trova la madre del suo fidanzato -affranta dal colpo che le è toccato d’esser priva del figlio, indi a -pochi giorni se ne muore. La Teresa vive da allora nel corrotto e nel -duolo, e sola consolazione è al suo cuore visitare talvolta il _Buco -de’ Carpi_, testimonio de’ suoi estremi saluti al suo Peppino, e vi ci -va anche soletta una volta almeno la settimana a nutricarvi il cespo -de’ ciclamini da cui avea spiccato quello ch’ella aveva dato al suo -povero amico. Ma ella pure deperiva in salute. Un venerdì dell’aprile, -anniversario della partenza del suo Peppino, essa, giusta il consueto, -si avviava al _Buco de’ Carpi_: il lago era tranquillo, era l’ora -del vespro, e un pensiero di tristezza, un malore che provava, la -sconsigliavano alla gita; ma l’idea che non andarvi sembrasse cosa -di poco amore alla memoria del suo caro, la prosegue inesorabile. -Essa dunque solca le onde col suo burchio, traversa il lago, vi è -presso, è sull’orlo della grotta, già la prua vi penetra; quand’ecco -un uccellaccio con rumoroso e largo sparnazzare d’ali, vi sbuca -improvviso, rasenta la fronte della Teresa, - - Scappand giò per el lagh alla distesa. - -La povera tosa, per lo spavento dell’inatteso augello, si china onde -schivarlo; il battello a quel suo movimento urta nel masso e si torce, -ella perde l’equilibrio per la scossa, rovescia fuor dello stesso, -gitta uno strido e giù va sotto l’onda. Due volte parve venisse ella -respinta sulla superficie, e due volte risospinta giù, finchè l’onda si -chiuse per sempre su di lei. - -I parenti più non la vedendo ritornare, andavano in cerca di lei, -e dopo lungo affannarsi, trovarono il burchio vuoto, che dondolava -a discrezione dell’onde, ma nulla di lei, per quanto la chiamassero -altamente a voce. Solo due mesi dopo, un pescatore, ritirando le reti, -ne raccolse la inanimata spoglia. Narra il poeta, che lo scheletro -dell’infelice fanciulla stia ora nell’ossario di Lenno presso alla -chiesa e vi appaja ginocchione; che il soldato reduce dalla Russia, -quando credeva aver cessato di soffrire, ebbe il più fiero martirio, -ritrovando morta e la madre e l’amante; sicchè non volesse più vivere -che mesto e sconsolato nella memoria de’ suoi poveri morti. - -Proseguiamo ora l’escursione nostra. - -Oltrepassati i Sassi Grosgalli, si presenta la villa Besana e ritorna -da questo lato pienamente ridente il golfo. Perocchè a breve tratto -si schiera il paese di S. Giovanni colle belle ville dei Crivelli, -ora Ciceri, e de’ Trotti; quest’ultima di stile fra il bizantino e il -lombardo; succeduta poi da quella del nobile Poldi-Pezzoli, che prima -era dei Taverna, più grandiosa e rinnovata da quell’abile architetto -che è il milanese Balzaretti, al quale si debbono i nuovi giardini -pubblici della sua città, e non poche architetture civili, fra cui ne -primeggia la recentissima, appena ultimata, della Cassa di Risparmio in -via Monte di Pietà. La casa qui, o piuttosto palazzo del nobile Poldi, -si costituisce di tre corpi legati insieme da due eleganti terrazzi; il -giardino poi è ricco di piante straniere, tra cui la canna di zucchero, -il sovero, la canfora, l’_olea fragrans_ e boschetti di magnolie che -profuman l’aere tutt’all’intorno. - -Poi v’è una villa Luppia, e da ultimo si chiude a San Giovanni colla -più superba villeggiatura del duca Melzi, che mi reclama maggiori -parole. - -Francesco Melzi D’Eril, che fu vicepresidente della repubblica -italiana e poi duca di Lodi, l’edificò al principiare del secolo -su disegno di quell’esimio artista che fu Giocondo Albertolli, del -quale io già dettai le memorie biografiche e artistiche nel giornale -dell’_Ingegnere-Architetto_ del Saldini di Milano. Come quegli che -ridusse alla sua castigatezza l’arte ornamentale, l’Albertolli vi -portò semplicità di linee architettoniche, ma ad un tempo armoniche e -di gusto. Il proprietario poi l’arricchì internamente d’ogni maniera -d’opera d’arte. A memoria di quel suo antenato, Francesco Melzi, che fu -allievo di Leonardo ed erede dello studio di lui, volle il duca che il -pittore Giuseppe Bossi in quattro sopraporte monocromatiche dipingesse -quattro episodî del sommo Leonardo, e l’opera riuscì egregia. Nell’un -disegno vedesi Leonardo che insegna al Melzi il disegno: nel secondo, -il gran maestro, che recinto da’ suoi scolari sta pingendo il proprio -ritratto; nel terzo, la scena in cui lascia erede il Melzi; nel quarto, -il Melzi che insegna nella scuola eredata da quel grande. — In altre -sale ammiransi dipinti dello stesso Bossi, di Appiani, di Migliara -e di Sanquirico; le statue, il Davide del Fraccaroli, l’Esmeralda, -il busto somigliantissimo di Giocondo Albertolli, e copie de’ famosi -capolavori antichi, il Laocoonte e la Cerere, e i busti di quattro -imperatori romani e di Letizia e Giuseppina Bonaparte; oltre affreschi -pregevolissimi di quel famoso prospettico che fu il sunnominato -Sanquirico, per non dire d’opere di altri minori. Nella cappella -mortuaria, pur disegno dell’Albertolli, e in cui riposano le ceneri -del duca, vedesi l’avello lavorato da Vittorio Nesti; il Salvatore, -scultura del Comolli e un bellissimo cartone del Bossi. - -Ma se è degno di osservazione il palazzo, non ne son meno i -giardini, cui presta la natura del suolo, che è un colle, la cui -cima sovraggiudica il busto d’Alfieri. Il marmoreo gruppo di Dante -e Beatrice, sculto dal suddetto Comolli, è nel mezzo del viale che -costeggia il lago; se poi l’economia dell’opera me lo concedesse, -darei un mezzo trattato di botanica nel descrivere i fiori, le erbe, -le piante che li decorano in tanta copia da essere eziandio altrettanti -vivai per altre ville. - -Ma altre cose degnissime abbiamo a vedere in questa nostra escursione: -affrettiamoci dunque alla vicina borgata di Bellagio. - -Oltre San Giovanni e i giardini della villa Melzi, è Bellagio, che gli -etimologi fanno derivare da _Bilacus_, come a dire fra i due laghi, -non altrimenti che in Isvizzera per la stessa ragione vi è Interlaken, -perchè infatti Bellagio siede sulla punta d’un promontorio, che i -paesani appellano Colunga, appunto perchè quasi una lingua di terra il -cui capo si prolunghi nel pelago, dove il Lario che vien da Colico si -divide in due rami, l’uno quello che già conosciamo e che va a Como, -e l’altro che discende a Lecco. Una tale situazione dà a Bellagio una -particolare vaghezza, nè per essa, nè per le magnifiche ville onde è -lieto e che gli fan corona, e diciamo anche per i due ottimi alberghi, -non vi ha persona che tragga alla Tremezzina, senza che ne traversi -il lago e venga a vedere Bellagio. Tutta questa plaga può contenderla -in bellezze di natura a quelle meraviglie cantate da’ poeti e levate -a cielo da’ forestieri, che sono Posilippo e Mergellina, Portici e -Sorrento. - -Voi vedete allora di che buon gusto dovesse essere Cajo Plinio Cecilio -Secondo, detto il Giovane, nello eleggersi proprio la cima di questa -scogliera che sta a capo del promontorio per erigervi la sua villa -che, a riscontro di quella che nomò _Commedia_ e che ricordammo a -Villa presso a Lenno, come attesta il Giovio, o sul basso lido presso -Varenna, come vorrebbe il Boldoni, appellò _Tragedia_. - -Più tardi, ne’ tempi di mezzo, come le altre terre del lago si facevano -irte di fortilizî e torri, arnesi di guerra giovati spesso a contenere -le rapine degli Elvezî che facevano frequenti scorrerie, ma ben anco a -mantener vive le lotte fraterne e massime contro Como; anche Bellagio -ebbe il suo forte castello, riparo di facinorosi e banditi, il quale -venne poi fatto smantellare da Galeazzo Visconti nel 1375. Risiedeva -allora in Bellagio un capitano del lago, e convien dire che vi facesse -capo ogni terra del Lario, se i cattivi debitori di Cernobbio ve -li abbiamo veduti cacciati nelle carceri di Bellagio, dove i loro -compaesani vennero a trarneli colla forza al tempo di Filippo Visconti, -come narrai quando dissi di quei paesi del primo bacino. - -Ogni traccia di efferatezza sparve dal colle di Bellagio qualche tempo -dopo, quando un Marchesino Stanga, favorito di Lodovico il Moro, vi -edificò una splendidissima villa. Ma non era appena compiuta, che que’ -della Val Cavargna, a vendicar non so qual torto, vennero furibondi e -la misero a ferro ed a fuoco. - -Ercole Sfondrati, duca di Monte Marciano, nipote di papa Gregorio XIV -e capitano suo nella spedizione che fece in ajuto della lega e contro -il Bearnese, dopo le battaglie, avuto a sè infeudato il borgo, riparò -su questo colle e vi rialzò la villa e riordinò i giardini, piantandovi -lecci, quercie, allori, cipressi e pini, che pur esistono in gran -parte, e vi eresse qui e qua sacre cappelle, che or non si veggono più. - -E un edificio esisteva pure verso il lato del ramo del lago che sporge -a Lecco e che dicevasi la Sfondrata; e qui la tradizione del paese -rammenta una di quelle infami memorie di dissolutezza e di crudeltà, -onde in Francia andò tristamente famosa la Torre de Nesle, e in Italia -si ricordano i trabocchetti di Castel dell’Ovo di Giovanna I regina di -Napoli, e che io brevemente riassumo. - -Una Contessa di Borgomanero, forse legata per parentela agli Sfondrati, -e qui dimorata per qualche tempo, abbandonandosi a osceni amori, vuolsi -che facesse pei trabocchetti precipitar giù per le acute balze della -scogliera che sta a picco del lago i mal capitati suoi amatori d’una -notte, a ciò forse non ripetessero intorno le sue brutte lascivie, e -fors’anco troppo presto desiderevole del nuovo; ma di più non se ne sa -dire, e certo allude a questa tradizione la poesia scritta da signora -che da un album dell’albergo della Cadenabbia trascrisse Cesare Cantù, -diligentissimo indagatore d’ogni particolarità del lago, nella seguente -terzina: - - O ti piacesse più, solcando l’acque, - Veder le balze dell’opposto lido, - Ove talor precipitato giacque - Il drudo infido. - -Poscia il feudo passò ai conti della Riviera, signori della Valassina; -ma la villa degli Sfondrati passò per eredità ai Serbelloni, onde -villa Serbelloni si noma in oggi tutto l’ampio recinto che chiude la -vasta casa, che altamente reclama una migliore architettura esterna -e più moderni riattamenti. Come Plinio, ne’ tempi di Roma, Parini -al principiar del secolo nostro veniva nella villa de’ Serbelloni a -ricrearsi e ispirarsi, e ne aveva ben d’onde. - -Estintasi in questi ultimi anni questa patrizia famiglia, ora -l’appigionò Antonio Mella per convertirla in albergo, a soccorso -dell’altro che ha in riva al lago, detto della Gran Brettagna, l’uno e -l’altro forniti di tutte le comodità. - -Un albergo ha pure in questo borgo Melchisedecco Gandola, sotto il nome -di Antico albergo e pensione Genazzini, e vi ha pari importanza e fama. - -Più prossima alla punta è la Crella, villa dei Frizzoni da Bergamo, che -su disegno di Rodolfo Vantini, di stile bramantesco, costò un ingente -patrimonio. Bella, ricca, splendida, non è per avventura così comoda, -come si vuole sia una villeggiatura molto più signorile. - -Per un ampio viale, che fa maravigliare come sia stato praticato -nella roccia, da Pescaù, che sta in cima di Bellagio, si arriva alla -villa Giulia, con dir della quale mi piace chiudere l’escursione per -la Bellagina. Essa sta sul poggio a cavaliere dei due rami del lago -e sorge maestosa, quantunque la facciata più bella riguardi, non -saprei dire perchè, i giardini. Fu il luogo dapprima dei Camozzi, poi -l’acquistò la famiglia Venini sullo scorcio del passato secolo, e don -Pietro vi costruì la villa che volle portasse il nome della moglie, -Giulia, onde ancor si designa, malgrado che divenisse poi proprietà -di Leopoldo, re del Belgio, che vi condusse a grande spesa le acque -e la rese una vera delizia regale, che non lo lusingò per altro così -possentemente, da non cederla in affitto dodicenne al signor Mella che -la tramutò in albergo. Il panorama stupendo che si gode dalla villa -Giulia, dell’un ramo del lago e dell’altro, impreziosito da poggi -fioriti, da grotte, da fontane, da ruscelli, da boschetti, da pratelli -e da piante peregrine, e le attrattive d’ogni maniera che presenta, -rendono questo luogo uno de’ più deliziosi ritrovi che lungo le sponde -del Lario meritino d’essere visitati. - - - - -ESCURSIONE DECIMANONA. - -IL SASSO RANCIO. - - Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. - — Loveno. — Ville Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio, - Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa Galbiati. — La Val Cavargna. - — Porlezza. — Fabbrica di vetro. — Il Castello di Menaggio. — - La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — Ligomana, Plesio e - Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi al Sasso Rancio. - - -Visitata la Bellagina, riconduciamoci all’opposto lido, dove nuove -dolcezze ne attendono. Veramente il bacino della Tremezzina non -s’arresta alla villa Ricordi: non è lungi Menaggio, che vi è compreso, -e merita che vi ci andiamo e vi vediamo le cose interessanti de’ -dintorni. E poichè siam ritornati da questa parte, non lasciamo di -rivolgere l’attenzione al Monte che sta sopra la Tremezzina e si -appella degli Stampi, non per altro, che per la stranissima tradizione -che corre nel paese, che lassù vi sostasse, al cessar del diluvio -universale, l’arca di Noè. D’onde mai traesse origine la fiaba, è -presto detto. Su quel monte, nel masso, si ravvisarono impronte di -zampe d’animali della grandezza perfino di trenta centimetri, come si -trovarono crostacei di tempi antidiluviani: ciò basta perchè il volgo, -amante sempre del maraviglioso, sognasse che non sull’Ararat, ma su -questo culmine posasse l’arca di quel patriarca. - -Oltre le ville che ho rammentate nella escursione della Tremezzina, -la Majolica non offre che meriti vedere e neppur nominare. La -continuazione della via carrozzabile da Majolica a Menaggio è sempre -ne’ pii desideri; ma noi pigliamo il canotto: — è così bello lo -scivolare su d’esso quando è calmo il lago. - -Nondimeno abbiatevi un avvertimento. Se anche un nuvoletto solo turba -il sereno del cielo, non avventuratevi a traversare il lago da Bellagio -alla Tremezzina; a più d’uno quel nuvoletto, non anco giunto a mezzo -del lago, che, come dissi, qui è larghissimo, si dilatò, coprì tutto il -cielo e apportò tempesta, naufragio e morte. Propriamente per dividersi -il lago e formare i due rami, oltre che dalla valle di Menaggio, i -venti vi soffiano e menano furibonda ridda e in nessuna parte del Lario -come qui sono avvenuti tanti disastri. - -Ma poichè ho ricordata la valle di Menaggio, se vi fermate nella -Tremezzina alcun giorno, non lasciate di percorrerla e ne sarete -contenti. Vi troverete su d’un poggio assidersi Loveno, colle belle -villeggiature dei Pensa, dei Garovaglio, degli Alberti, degli Azeglio -e dei Mylius-Vigoni. I Garovaglio vi tengono una copiosa collezione di -pregevoli stampe, massimamente inglesi, e un giardino interessante pei -botanici. - -Nella sua villa Massimo d’Azeglio immaginò e scrisse parte del suo -miglior romanzo _Ettore Fieramosca_, e raccolse alla sua volta buone -stampe e buoni dipinti con quel gusto che ognun conobbe all’illustre -romanziere e paesista. Nel palazzo Mylius vedreste poi preziosità -artistiche ancor maggiori. Intanto vi piacerà l’architettura sua -semplice, opera del Besia: meglio poi le ricchezze dell’interno e -la sua eccellente distribuzione. Non dirò degli arredi, nè di altre -splendidezze: solo restringendomi all’arte, e nella casa e nel giardino -si ammirano statue e gruppi di rinomatissimi scultori, come la Nemesi, -di Thorwaldsen; l’Eva, di Baruzzi; la Ruth, dell’Himos; oltre la madre -di Mosè, del Gandolfi; il David, del Manfredini; il gruppo insigne -della Igea, dell’Argenti. Circa a pitture, ve n’hanno dell’Hayez, -del Servi, del Canella, dell’Uaed; e ad incisioni, tutte le battaglie -napoleoniche del Longhi, ritratte dai famosi affreschi di Appiani. Il -giardino ha rarità di fiori e d’alberi e di prospetti. - -Non lunge da Loveno, mette conto di vedere la bizzarra villa di -Galbiati a Cardano, che non dovrebbe essere negletta dal suo attuale -proprietario. Costò al barone Baldassare Galbiati assaissimo il far -su quest’altura trasportare il gruppo della Clemenza di Tito, da lui -acquistato allo scultore Comolli, ma non è opera che ne francasse la -spesa. Piuttosto se visitate il sepolcreto domestico, vi ammirerete il -monumento eretto dalla pietà del figlio Carlo al padre, collo scalpello -di quell’esimio artista che è Antonio Tantardini. L’Angelo della -Risurrezione che vi raffigurò è di un fortunatissimo ardimento, come -d’una felicissima trovata. Maestra e sapiente ne è l’esecuzione. - -Se amanti di natura alpestre, vi direi di percorrere la Val Cavargna -e poi di spingervi anche a Porlezza a vedervi la fabbrica di vetro de’ -Campioni e a guardare il Ceresio che giunge fino al piede del borgo: ma -io non vuo’ dimenticare il Lario che mi son proposto di farvi conoscere -e però ritorniamo a Menaggio. - -Sovra il paese torreggia il castello, da cui si ha superba la vista -e dove un ricco che l’acquistasse vi troverebbe motivi di magnifica -villa. In basso, viene a gittarsi nel lago la Sanagra, acqua che -dev’essere medicinale, se gli etimologi ne fan derivare il nome da -_Sanat ægros_, cioè sana i malati. Entrando poi nel grosso borgo, -importante per belle case e per commerci ed anche per alberghi, fra cui -primeggia quello del Piantanida, che da Bergamo qui trasportò i suoi -penati e vi adattò da un pajo d’anni tutti i conforti de’ più sontuosi, -ed è da contarsi tra i migliori del lago. - -Sulla piazza è una delle lapidi massime dell’antichità, che così fu -letta: - - _Minicius L. F. Ouf. Exoratus_, - - Flam. Divi Titi Aug. Vespasiani consensu Decurion. tr. mil. IIII - vir. a. p. II. vir. i. d. præf. fabr. Cæsaris et consulis pontif. - sibi et Geminæ q. f. Priscæ uxori et Miniciæ l. f. Bisiæ V. f.[25]. - -Usciti di Menaggio, tenendoci sempre al lago, incontriamo Nobiallo. -Il suo suolo abbonda di gesso, d’alabastro venato e di scagliola -speculare. Levando lo sguardo al monte, scorgonsi i villaggi di -Ligomana, Plesio e Naggio, dove dicono vi sieno vaghissime montanine. -Non arrivai mai fin là, quantunque il bello facilmente mi seduca; ma -d’altronde la comitiva tirava dritto, perchè la meta del nostro cammino -di quel giorno era il _Sasso rancio_, e sarebbe stata poca creanza -lasciare la compagnia. - -Mentre passando per costì ci approssimavamo a questo _Sasso_, più d’uno -mi chiese perchè _rancio_ lo si nomasse, e mi tornò facile il darne la -spiegazione: il colore che tutto copre questa parte di monte è prodotto -dall’ocra di ferro che si contiene nella roccia e che infatti vien -cavato in copia a Gaeta, lì presso. Una signora, che aveva di recente -letto il sentimentale romanzo di Davide Bertolotti, che si intitola -appunto _Il Sasso rancio_, spiegò allora la sua erudizione, ripetendone -brevemente l’intreccio con tanta gravità come fosse stata pretta -storia. - -Giunti al Sasso, vi trovammo un’erta scogliera quasi a picco del lago, -e vi si gode di là una magnifica vista. Vicino vi sono parecchie grotte -che si sprofondano nelle viscere del monte. - -Su pel difficile sentiero, che serba il nome di via della _Regina_, -che è la prosecuzione di quella che costeggia tutta la sponda sinistra -del lago, nel 1799, quando le nostre belle contrade erano infestate -dalle orde russe, un drapello di cavalleria cosacca di Souwarow -volle peritarsi; ma gli irrequieti cavalli, accostumati a liberamente -scorrazzare per le lande dell’Ukrania, sbizzarrendo, diruparono per -que’ greppi, seco traendo nel precipizio anche molti de’ cavalieri. - -Noi invece che v’andammo a piedi non corremmo alcun pericolo; -ricordammo lo storico fatto, misurammo tutta l’altezza del precipizio -e inorridimmo, e vi trovammo invece alla fine della nostra escursione -tutto quel divertimento che desidero a’ lettori. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMA. - -LE FERRIERE DI DONGO. - - Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il - Medeghino. — Le Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa - Polti. — Villa del vescovo di Como. — Chiese di S. Stefano e - S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le miniere di ferro. — I forni - fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le _Frate_. - - -La manía de’ forastieri e villeggianti s’arresta per ordinario alla -Tremezzina, nè più si cura delle altre bellezze del lago superiore. È -ben vero che non c’è più quel sorriso continuo di ville che nella parte -da noi già percorsa abbiam vedute; ma è vero altresì che v’hanno molte -e molte ragioni a non dimenticare anche quest’altra parte del lago, che -forse per l’artista riesce più interessante. Io ne dirò con sollecite -parole de’ principali luoghi, acciò il libro non manchi al suo titolo. - -Secondando sempre la sinistra sponda del lago, passato avanti il -_Sasso rancio_ e San Siro, vedesi su d’un promontorio il paese e -il castello dei Rezzonico, famiglia d’onde uscirono quel Clemente -XIII, al quale il Canova lasciò famoso monumento in Roma, e i conti -Gastone e Antongioseffo, buoni letterati. Il luogo ora è reso ameno -per bellissimo parco fattovi all’intorno, per coltura e per magnifici -limoni che vi fioriscono. - -Proseguendo, scorgesi un altro promontorio che si spinge nel lago e che -un dì portava un castello ed era quello famoso di Musso, che ricorda -le gesta di quel formidabile filibustiere, che fu Gian Giacomo Medici, -detto il Medeghino di Milano. L’ebbero prima i Visconti, quindi il -maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, e in fine, per inganno, il Medici -suddetto, che, fatta incetta della peggior ribaldaglia, vi si stabilì -come in nido sicuro di rapaci avoltoi. A renderla più inespugnabile, -la circondò d’opere militari d’ogni maniera, al compimento delle -quali coll’esempio incoraggiavano perfino le sorelle di lui, Clarina -e Margherita, la qual’ultima, sposa, al conte Giberto Borromeo, fu -poi madre di quel Carlo che divenne arcivescovo di Milano, cardinale -di Santa Chiesa e canonizzato da ultimo come santo. Era da questa -rôcca che il Medeghino, approfittando della debolezza del governo di -Lombardia, che ora stava nelle mani de’ Francesi, or passava a quelle -degli Spagnuoli, ed a tratti ben anco funestato dalle orde alemanne, -colla flottiglia che s’era formata di sette navi grosse a tre vele -e quarant’otto remi, ed aveva armata cadauna perfin di cento uomini, -tutta schiuma di scellerati, spandeva il terrore pel lago e rendevasi -tanto formidabile e potente, da tenere a segno i Grigioni, ai quali -anzi toglieva Chiavenna; da oppor resistenza agli Sforza dapprima, -quindi ben anco all’esercito cesareo, capitanato dal duca di Leyva, -che soleva dire dargli maggior fastidio il Medeghino che non tutto -l’esercito dello Sforza; da trattar da pari co’ principi, battere -moneta, e dopo d’avere assalito il territorio di Lecco, quello della -Valtellina e la Valsolda, intitolavasi conte di Musso e di Lecco, -governatore del lago e della Valsássina. Se Carlo V volle togliersi -questa spina, gli fu giuocoforza venire a patti con lui, concedendogli -forti somme di denaro, il feudo di Marignano col titolo di marchese e -il comando di quell’esercito che gli affidava per abbattere a Siena -l’ultimo avanzo di guelfa libertà. Ciò avveniva nel marzo 1532; e -quando, in seguito a tali atti, egli abbandonava il suo castello -di Musso, i Grigioni, che ne spiavano la partenza, inerpicavansi -su per que’ greppi, impazienti di demolirlo; scortili il Medeghino, -retrocedette, scese a terra e intimò rispettasser il castello finchè -egli fosse in condizione di vederlo; e tanto imposero la sua presenza e -la minaccia, che alla demolizione non si mise la mano che sol quando la -sua nave non fu più veduta per il lago. - -Ora il picco sopra cui il castello si elevava, costituendosi d’un marmo -saccaroide dolomitico, somministra marmi alla fabbrica del duomo di -Como; le molte mine che ne aprirono le viscere, dischiusero un varco -che lascia veder tutta la vallata che riesce a Dongo, e i signori -Manzi, a cui spetta, accomodaronlo come a parco. - -Detto delle sorti di questo castellotto che meritamente servì a -novellieri e romanzieri di largo e fantastico tema, avanzando, s’entra -nel territorio delle Tre Pievi, che comprendeva nella sua giurisdizione -Dongo, Gravedona e Sórico, e che ne’ tempi medievali costituiva di per -sè una piccola repubblica, è vero, ma tale da sapersi far rispettare. -E la piccola repubblica ebbe pure l’istoriografo suo nel vivace -Rebuschini. - -Seguendo il parco dei signori Manzi che abbiam veduto a’ piedi delle -rovine del castel di Musso, perveniamo in mezzo al seno dove sorge -il palazzo di questi medesimi signori e dove siede il paese di Dongo. -Altre case signorili qui vi sono, fra cui quella dei Polti: il vescovo -di Como vi ha pure la sua villeggiatura, acquistata avendo il vescovo -Romanò la villa che già fu di Antonio Cossoni, discendente di quel fra -Daniele Cossoni che fu ministro di Filippo IV di Spagna. - -Qui villeggiava il notajo Sormani di Milano, che si ebbe a’ nostri -giorni la maggior riputazione e clientela, ed al quale i figliuoli -eressero nella parrocchiale di Santo Stefano un monumento. In questa -chiesa vi sono anche mediocri statue del Salterio; affreschi di Giovan -Mauro, Gian Battista e Marco della Rovere, detti i Fiamminghini, vi -sono nell’altra chiesa di Santa Maria. - -Nella vicina valle dell’Albano vi sono ricche miniere di ferro e le -si dan scoperte da un Giacomo di Desio nel 1460, che un’altra pure -discoperse di rame presso Barbignano. - -Nell’archivio de’ Trivulzio di Milano leggesi un documento in cui -è scritto che lo stesso Giacomo di Desio rinvenisse in questa valle -massi di smeraldo e di rubino, forse schisto di color verde e qualche -pirite di rame, certo non di quella grossezza nè tale da farne tavole e -colonne; onde in benemerenza il duca gli assegnasse dieci scudi il mese -di pensione, purchè quelle pietre ad altri non offerisse prima che a -lui, per un prezzo da misurarsi a norma di loro volume; diritto poi da -esso duca ceduto al maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. - -Colle miniere era facile immaginare che presto vi si sarebbero -stabiliti forni fusorî, e infatti furono attivati nel 1465 e furono per -lungo tempo posseduti dai conti Giuliani di Milano. - -I Rubini per altro li acquistarono nel 1790 e vi portarono tali -miglioramenti e incremento all’industria, da poter modellare la -ghisa. Ma più ancora questa industria s’avantaggiò, quando nel 1839 -venne costituita la società Rubini, Scalini e C. che le diè più -ampio svolgimento; per modo che se ne’ primi quarant’anni del secolo -producevano le cave per circa cinquantamila pesi, ora può dirsi che -siasi il ricavo portato a diecimila quintali, di cui un terzo di ghisa, -occupandovisi ben quattrocento operai. - -Visitare queste ferriere deve essere un amenissimo scopo di escursione -a chiunque, sia per chi di questa industria sia intelligente, sia per -qualsiasi profano che pur si interessi all’attivo lavoro ed al curioso -processo, onde la roccia si tritura, il metallo si fonde, si schiumano -le scorie, e poi l’incandescente e liquido ferro trabocca e si distende -come un igneo torrente per le diverse forme che gli si vogliano far -assumere e che raffreddandosi ritiene. - -Quelle terre che si mostrano sopra Dongo non sono indegne d’essere -visitate per chi ama l’arte. Perocchè a Garzeno v’abbian pitture di -Giovanni della Rovere suddetto, altro de’ Fiamminghini; ed a Brenzio -ve n’abbian molte di Isidoro Bianchi da Campione, celebre pittore, -allievo di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, e parecchie -pure de’ Fiamminghini. - -D’una particolarità ancora di questo monte, alle cui pendici è -Dongo, intratterò, e poi per questa escursione imporrò freno allo -scilinguagnolo; ed è che le sue donne, per un voto fatto nella -peste del secolo XVI, vestono da cappuccine, quantunque abbelliscano -il grossolano costume di ricche cinture e finissime trine. Queste -contigie non vietano che attraggano la curiosità di chi visita la -montagna, e che loro si dia il nome di _frate_, appunto per il fratesco -abbigliamento. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMAPRIMA. - -GRAVEDONA. - - Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle - di Lesio. — Gravedona e la sua storia. — La chiesa di San - Vincenzo. — S. Maria del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. — - Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il Sasso acuto. — Domaso. — - Gera. — Sórico. - - -Quanto torto si ha a non comprendere fra la parte di lago, che si -suol meglio ricercare da’ forestieri e villeggianti, questo territorio -delle _Tre Pievi_, già dissi. Esso divide infatti, col resto che già -percorremmo, i bellissimi prospetti e la ricca vegetazione, e forse -forse, perchè protetta a settentrione dall’alta schiena de’ monti che -la difendono dai soffii gelati, ha mitezza di clima maggiore degli -altri inferiori bacini, sicchè i giardini vi abbiano agrumi e fiori, e -la camelia perfino vi alligni e prosperi, l’inverno senz’uopo di stufe. - -Noi, spiccandoci da Dongo, dove siamo restati nella nostra ultima -escursione, e via trascorrendo Consiglio di Rumo e San Gregorio, -giù scendendo, potremmo ammirare buoni dipinti del cavaliere Isidoro -Bianchi, e salendo più in su, ove comincia il Pizzo di Gino, troveremmo -la chiesuola di San Gottardo. Poi ci vediamo davanti la Valle di Lesio, -oltrepassata la quale si sparpaglia sul pendio del monte la grossa -borgata di Gravedona. - -Non fu solo il Rebuschini che ricordò nella sua _Storia delle Tre -Pievi_ gli avvenimenti di Gravedona: altro storico l’aveva preceduto, -Anton Maria Stampa, che fu autore d’una _Storia dell’insigne borgo -di Gravedona, altre volte repubblica_, da lui scritta a bandir la -noja della prigione, perchè, sospettato di torbidi popolari, venne -chiuso nel forte di Fuentes, che sta a capo del lago sulla via di -Chiavenna e intorno al quale si potrebbero spendere molte parole, -se dal mio soggetto non temessi di scostarmi soverchio. Non lasciò -questo scrittore di rimontare a remotissimi tempi del suo insigne -borgo, per isnocciolarne di grosse, e non so da qual codice infatti -imparasse egli come prima Gravedona si appellasse Laricola; ma che poi, -ivi stanziando, un Garbatone, figliuol d’un re Garibaldo anteriore a -Brenno, vi imponesse il proprio nome e fosse il principio d’una serie -di re e di eroi. Di tutto ciò si dispensa d’indicare le fonti: la -tradizione è la sua autorità; ma invano anche questa voi domandereste a -que’ della borgata. - -Il Rebuschini attinge invece a più verosimili tradizioni, e ricorda che -Gravedona sostenesse onorevole parte nelle guerre repubblicane; che nel -tempo del Barbarossa, - - Di cui dolente ancor Milan ragiona, - -come diceva a’ suoi giorni l’Alighieri, nel soggettarsi Lombardia, -preponesse al governo delle _Tre Pievi_ un Amizzone, uomo sanguinario e -rapace, il quale, a togliere ogni motivo ad insurrezione, smantellava -il castello di Gravedona e la Torre di Melia, e così inoltre operasse -da tiranno, che stancati quegli alpigiani ne scuotessero il giogo -ed egli fosse costretto a rifugiarsi in Valtellina. Rammenta pure -come lo stesso Barbarossa, dopo la tregua di Venezia, tornando pel -lago in Germania, venisse da que’ di Gravedona audacemente assalito, -depredandolo delle bandiere e del corredo, e la corona stessa -imperiale, tutta d’oro, caduta pur nelle mani loro, deponessero poi -nella chiesa del Battistero, onde nella pace di Costanza volesse -Federico esclusa dal parteciparne a’ beneficî Gravedona. - -Già toccai della parte dalle _Tre Pievi_ avuta nella guerra -decenne; poi Gravedona divenne feudo del cardinale Tolomeo Gallio, -facoltosissimo ed influente, e che nutrendo pensiero di farne la -capitale della Valtellina, al cui conquisto agognava, vi fabbricò, su -buon disegno del Pellegrini, un grandioso e turrito palazzo, il cui -loggiato si vede da chi viaggia per il lago. È in esso che fu detto che -si volesse trasferire il Concilio ecumenico di Trento; ma non se n’ha -nella storia alcun documento che tale intento comprovi; onde siffatta -pretesa de’ Gravedonesi è suffragata unicamente dalla circostanza che -nel detto palazzo si conservino solenni seggioloni con iscritto su -ciascuno il nome de’ cardinali. - -Dal Gallio passò il feudo alla ducal famiglia d’Alvito di Napoli, -che la più parte del ricco mobigliare, onde istruivasi il palazzo, -si trasportò nella sua casa di questa città e in quella di Genova; -ma a conservare gli eredati diritti vi mantenne un commissario per -amministrare la giustizia. - -Merita qui esser veduta la chiesa parrocchiale di S. Vincenzo, che -si vuole del secolo V, con cripta di stile lombardo, e dove si vede -il sepolcro del dottissimo cardinale Michelangelo Ricci, e tra gli -arredi una pianeta di forma greca a bei ricami, una pace d’argento -del XIV secolo, un calice egregiamente cesellato con molti giri di -santi raffigurati in ismalto, non che una croce grande con ornati e -figurine, lavorata per _Franciscum de Sancto Gregorio da Grabedona_. Nè -si dimentichi di osservare il battistero di Santa Maria del Tiglio, che -si pretende eretto dalla pia regina longobarda Teodolinda, alla quale -per altro si attribuiscono troppe cose, perchè vi si possa credere -sulla parola. Esso battistero è quadrilungo, con tre absidi pentagone -all’esterno e con campanile ottagono di bell’effetto, e internamente -ha una galleria nella parte superiore che lo gira tutt’all’intorno, -e le pareti lasciano intravvedere come già fossero tutte rivestite di -pitture. È qui dove esiste dipinta una Vergine col Bambino, or tutta -rovinata dal tempo, che l’Aimoin nel suo libro _De Gestis Francorum_, -afferma essere stata un tempo per più giorni sfolgorante di celeste -luce. — Oggidì sappiamo quanto valore si abbiano codeste storie e -miracoli, che preti ignoranti e pinzochere accreditano fra le zotiche -popolazioni, come che loro non paja bastevole la buona e sana dottrina -del Cristo a persuaderne la santità della religione. - -Agli amatori dell’arte si ponno additare altresì un buon quadro della -scuola del Guercino nella chiesa de’ Santi Gusmeo e Matteo; nella -vicina terra di Peglio vi hanno i dipinti di Gian Mauro della Rovere, -altro de’ Fiamminghini, che ho già mentovati, fra cui il proprio -ritratto nel battistero; una Madonna del far di Bernardino Luini, -una Santa Rosalia della scuola del Guercino, e minori pitture di un -Antonio Scherino del 1635, di Giovanni Valerio, del Rodriguez, del -Caracciolo di Vercana, terra di questi dintorni; oltre la _Via Crucis_ -e il Trionfo della Morte nell’ossario, dipinti nel 1715 da Alessandro -Valdini; e a Liro, ne’ cui monti scopronsi a Darenco, Caprico e Ledi -tre piccoli laghi; nella chiesa abbandonata di San Giacomo vi sono -affreschi che portano la data del 1412 e il nome di Bernardo Somassi, -al quale appartengono, e che metterebbe conto che fossero esaminati da -chi avesse a ritessere la storia dell’arte italiana, massime ne’ suoi -primi tempi. - -Sovra Gravedona i buoni passeggiatori non lasciano di montare al _Sasso -acuto_, picco, la cui forma è designata dal suo qualificativo, che ha -la vetta rilucente, ed ha sparso il cammino di lucide tormaline. - -Ma non volendoci adesso scostar dal lago, oltre Gravedona si distende, -come in un semicerchio, Domaso, che si presenta più bello e seducente -soggiorno se riguardi al suo vago prospetto ed all’attività de’ -suoi commerci; ma chi non è avvezzo ai troppo vivi scorrazzamenti -della _breva_, che sembra qui s’accolga, quasi l’antro di Eolo, per -poi sprigionarsene sul lago, s’accorge presto che non è sì grato il -dimorarvi. Da un’antica poesia di quell’Anton Maria Stampa che ho -ricordato nella passata escursione, e che il Cantù ha pubblicata, -raccogliesi che a que’ di Domaso venisse a’ suoi giorni appiccicato -vituperevole epiteto, per essere talun del paese trascorso ad alcun -atto d’empietà. Ecco i versi che vi fanno allusione: - - O signori, udite come - A Domaso sia rimaso - Quell’orrendo soprannome - Di cui fe’ poc’anzi acquisto, - Del mozzar le braccia a Cristo. - -Più avanti si incontra Gera, sito di pescatori, e più avanti ancora -Sórico; ma le scialbe faccie de’ suoi abitatori ne avvertono dell’aria -malsana a causa d’acque che vi stagnano; onde sarà bene che noi -retrocediamo, perocchè di malinconie il mio lettore non ha di certo -bisogno, e d’altronde da qui i canneti che vediamo ci annunciano presso -la fine del lago. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMASECONDA. - -REGOLEDO. - - Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. - — Dorio, Carenno e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. — - L’Orrido. — Il Sasso di Morcate. — Riva di Gittana. — Varenna. - — Albergo e villa Venini. — L’Uga e la Capuana. — Il Fiume - Latte. — Regoledo. - - -Poichè siamo a capo del lago, visitiamo rapidamente anche le altre -terre della sponda opposta a quella che abbiamo veduta. - -Prima si presenta Olgiasca; ma non ti rallegra: delle sue pietre -calcaree silicee si fecero le colonne di S. Lorenzo di Milano, e al -nostro tempo quelle dell’Arco del Sempione. Hai appena oltrepassato le -case, che vedi addentrarsi il villaggio di Piona, forse da Peonia de’ -Greci, che ha un piccolo ma pescoso lago, un vecchio ma bel monastero, -ed una chiesa che si pretende esistere fin dal sesto secolo, perchè -un’iscrizione che vi si lesse la disse consacrata da Sant’Agrippino nel -607. - -A poca distanza schierasi sul lido il paese di Colico, e le febbri -che vi dominano sembrano legittimare il suo nome. Ciò malgrado, è -attivissimo scalo, quivi mettendo capo i piroscafi che muovono da -Como e moltissime navi di mercanzia e i molti viaggiatori diretti al -paese di Chiavenna e di Valtellina; come le merci e i viaggiatori che -si dirigono da questi luoghi a Lecco, Como e Milano. Un dì fu contea -eretta dai Visconti pei Sanseverino; poi infeudata dal duca Lodovico -Sforza al proprio cameriere Giovanni Casati, che dovette in seguito -restituirla alla giurisdizione dei Comaschi, che provarono d’avervi -diritto. I Caldarini l’ebbero poscia da Carlo V; e dopo passò prima -ai Pusterla, quindi ad Anton Maria Quadrio e da ultimo a un Rubini di -Dervio. - -Si succedono a Colico tre altre terre con nomi grecanici, Dorio, -Corenno e Dervio, corrotti forse da Dori, Corinto e Delfo; -d’interessante, Corenno presenta un castello di spettanza dei conti -Andreani, e Dervio pure una rôcca di pittoresco effetto. - -Più assai offre argomento di intrattenerci la bella borgata di Bellano, -che vi tien dietro e già fu corte degli arcivescovi di Milano, come ce -lo fe’ sapere quel simpaticissimo ingegno, nativo di questo luogo, che -fu Tomaso Grossi, nel suo _Marco Visconti_. - -Ha bella chiesa del secolo XIV di stile lombardo, a fasce la facciata -di marmo bianco e nero, con bel finestrone rotondo nel mezzo recinto di -fogliami in terra cotta. Se ne dà merito a Giovan da Campione, Antonio -da Castellazzo e Cornelio da Osteno, i quali la architettarono. Or -s’è fatto un bel viale lungo il lago a comodo di passeggiata, e lo si -denominò dal sullodato concittadino poeta e notajo Tomaso Grossi, che -col Manzoni tenne per tanti anni in Milano il primato delle lettere -italiane, alle quali, oltre al _Marco Visconti_ summentovato, che sarà -sempre una bella e cara lettura, diede eziandio un poema dal titolo _I -Lombardi alla prima Crociata_, e le novelle patetiche _Ildegonda_, _La -Fuggitiva_ e _Ulrico e Lida_, nonchè crebbe dicevolmente la collana -de’ poeti vernacoli milanesi colla stessa _Fuggitiva_ in dialetto, -colla _Prineide_ e colla _Pioggia d’oro_[26]. Milano eresse alla sua -memoria una statua nel cortile del Palazzo di Brera, opera di Vincenzo -Vela, perocchè l’ebbe come suo per lunghissimo soggiorno; e Bellano ne -commise il busto allo scalpello di Antonio Tantardini, onde collocarlo -a capo del detto viale. Ma vorrei che l’obolo de’ suoi compaesani e -degli amici ed estimatori che già concorsero, affrettasse l’esecuzione -di questo che poi non è costosissimo monumento. Son già molt’anni che -se ne parla. - -Era pure di Bellano Sigismondo Boldoni, medico ed egregio latinista -e poeta del secolo XVII, avendo scritto in ottave la Caduta dei -Longobardi, e latinamente intorno agli avvenimenti del suo lago. - -Dalla Valsássina, che finisce a Bellano, giunge la Pioverna, torrente -che qui, gettandosi da un’altezza di forse sessanta metri, produce -un orrido cui traggon tutti a vedere. Quando il luogo di sua caduta -apparteneva alla famiglia Fumagalli, dalla quale ero considerato ne’ -miei giorni d’infanzia coll’affetto di figliuolo, e che io, dopo tanta -lontananza di tempo ho sempre nel cuore, su quell’abisso eravi un ponte -sospeso a catene, sul quale essendo, anche perchè paresse malfermo e -dondolasse, si rabbrividiva. - -Io non lo vidi, perchè già rotto nel 1816 da un masso che vi era -rovinato. - -Ora il luogo divenuto proprietà dei signori Gavazzi, questi -usufruttarono di quell’acqua per dar anima e moto ad officine, -setificî, lanificî, cartiere, laminatoi e mulini, essendo ora Bellano -uno de’ paesi del lago più industriosi. - -Poichè vi siamo presso, andiamo ora a vedere Varenna. - -Passiamo pel Sasso di Morcate, cui la mina ha squarciato le viscere, -per continuarvi la strada militare, e giungiamo alla Riva di Gittana, -di cui in addietro appena appena si sapeva da’ barcaiuoli il nome; non -adesso che da tutte parti vi arriva la gente per ascendere a Regoledo, -luogo silvestre non è gran tempo, divenuto oggidì uno de’ più popolati -ritrovi termali. - -Ma prima di ascendervi anche noi, proseguiamo a Varenna, che fu già -nella dipendenza degli arcivescovi di Milano. Già fiorente un dì, non -conta ora più di un migliaio di persone, ciò che non impedisce che viva -tuttavia sul labbro de’ suoi abitatori il ritornello che stereotipa il -carattere de’ suoi abitatori: - - Varenna su uno scoglio, - Del mio non ho, del tuo non voglio; - Ma piena son d’orgoglio. - -La grandiosa villa che quivi avevano gli Isimbardi fu ridotta ad -albergo; i Venini ve l’hanno ancora; il clima è più che proprio a -mantenervi anche fiori e piante esotiche. - -Poco discosta è la fonte Uga, che sgorga da un antro e trascorrendo -sotto di un pergolato di allori, scende e s’unisce alla cascata -artificiale della sottoposta Capuana. - -Finalmente si giunge alla cascata del Fiume Latte, le cui acque, -per un cammino lunghissimo entro le viscere del monte, si gittan poi -spumeggianti e fredde per un’altezza di trecento metri pei dirupi, e -dopo d’avere rumorosamente giovato a mulini, ad una fabbrica di vetri e -ad un filatojo, si confondono coll’acque del lago. - -Retrocediamo ora alla Riva di Gittana e saliamo a Regoledo. - -Chi parlava prima di Regoledo? Francesco Maglia di Milano, fabbricatore -di carta, ritrattosi dal commercio, che abbandonava a’ suoi figli, su -questa deliziosa e facile altura, che è di soli 225 metri sul livello -del mare, vi edificò coraggiosamente un vasto e comodo stabilimento -idroterapico. - -Superate le prime difficoltà che accompagnano sempre qualunque impresa -ardita, Regoledo è divenuta ora una stazione estiva di moda. La sua -posizione felice, il facile modo di giungervi, il buon trattamento, -tutti gli apparecchi e le innovazioni dell’idroterapia, e l’assistenza -d’un medico specialista, vi chiamano la più eletta compagnia, che anche -rinnovandosi, non perde mai di suo valore. - -Da qui si può muovere a stupende escursioni, oltre che sul lago, -anche per la Valsássina, sul Moncodine e sulla Grigna. La vegetazione -che circonda Regoledo è bella e perfino lussureggiante, le acque -son copiose, deliziosi i prospetti, l’aria pura ed eccellente; e -però s’anco il medico non lo ordini, pellegrinate ne’ mesi di luglio -e di agosto a Regoledo e vi ci starete, sotto tutti i riguardi, a -meraviglia. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMATERZA. - -IL MERCATO DI LECCO. - - Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I Marroni. - — Perledo e la Regina Teodolinda. — Lierna. — Olcio. — Villa - Pini. — Mandello. — Abbadia. — La Gessima. — Lodovico Savelli. - — Le Caviate e la Maddalena. — La strada militare. — Onno. - — Parè. — Lecco. — Il Maglio. — Acquate e Pescarenico. — Il - Galeotto. — Il Mercato di Lecco. — Le _robiole_. — Gli alberghi - del _Leon d’Oro_ e della _Croce di Malta_. - - -Noi coglieremo un bel giorno di sabato del mese d’ottobre per -imbarcarci mattinieri sul piroscafo, che partito da Como, non va già, -come d’ordinario, a Colico, ma a Lecco, perchè a chi villeggia lungo -il Lario, come a chi villeggia nella Brianza superiore, il mercato che -si fa a quella piccola ma leggiadra città, è una delle imperscrittibili -mete alle eleganti escursioni. - -Noi abbiamo già dimezzato il cammino, ritrovandoci già oltre la punta -di Bellagio, ed entrati in quel ramo del lago che appunto s’incammina a -Lecco. - -E prima di scostarci da queste sponde, dopo la Sfondrata, oltre quel -gruppo di povere case che si intitola Vassena, il romanzo di Grossi, -che tutti abbiamo letto, ci suggerisce d’occuparci di Limonta, -“terricciuola, — è scritto nel Marco Visconti — pressochè ascosa -fra i castani al guardo di chi, spiccatosi dalla punta di Bellagio -per navigare verso Lecco, la cerca a mezza costa in faccia a Lierna. -Cominciando dall’ottavo secolo fino agli ultimi tempi che fur tolti -i feudi in Lombardia, essa fu soggetta al monastero di Sant’Ambrogio -di Milano, e l’abate, fra gli altri titoli, aveva quello di conte di -Limonta e di Civenna, terra più in alto, al lembo della Valassina.„ I -geologi e gli archeologi ricordano sovrastante a Limonta un masso del -volume di circa cinquanta metri cubi, che sembrerebbe rovinare ad ogni -più lieve scossa, ma che è sorretto invece da tre pietre della medesima -natura. Su questo trovante si leggono scolpite le lettere: - - P. L. D. B. - -che il chiarissimo archeologo cavaliere Bernardino Biondelli, -interpretò per _Pietra Luna di Bellagio_. Infatti si denomina _Pietra -Luna_ un tale trovante e lo si pretende una reliquia del culto celtico, -come qui dal linguaggio celtico si hanno più vestigia in molti nomi di -paesi e monti, come Grianta e Grosgalli. Completerò le notizie intorno -a questa minima terra, ricordando le cave di gesso che son proprio -a lido, e quelle di marmo nero sul fianco del monte; onde gli scoppi -delle mine destano frequentemente gli echi di quest’ultimo contrafforto -delle Alpi; e per coloro che sono alquanto più epicurei, ricordando che -il luogo è celebre pe’ suoi saporiti marroni. Anche la vicina terra di -Civenna divide una tale gustosa particolarità, che un giorno era tutto -a profitto dei detti monaci di Sant’Ambrogio. Qual gaudente non si -sarebbe fatto monaco allora? Le più belle ville, le leccornie migliori, -privilegi d’ogni sorta, immunità, tutto era per essi. - -La citazione del Grossi rammenta Lierna che sta in faccia a Limonta, ed -è paese su’ cui greppi soprastanti si fanno vini che dicono buoni per -chi patisce di gotta e di calcoli, mali oramai resi troppo comuni. - -Più in alto è Perledo, da dove si ha una magnifica vista. Lassù, dicesi -dalla tradizione che la Regina Teodolinda — la quale in tutta questa -parte di Lombardia si ha tutti i momenti e per tutte le occasioni alla -mano —, dopo d’avere abdicato in favore del figlio Adaloaldo, s’avesse -a ritirare per ivi passare nella quiete i vecchi giorni[27]. - -Su questa riva orientale, dopo Lierna, si incontra Olcio, ove si scava -pure marmo nero, del quale parte va alla fabbrica del duomo di Como; -quindi si arriva a Mandello, grosso paese, dove il palazzo Airoldi, ora -Pini, contavasi fra i più suntuosi del lago. - -Oltre Mandello è l’Abbadia, così chiamata per una antica badia che fu -prima de’ Benedettini, e quindi de’ Servi di Maria, e vi son case di -villeggiatura. Più avanti, verso Lecco, è la Gessima, luogo brullo -e sassoso, che trae forse il suo nome dalla roccia propria a far -gesso, e va ricordato da Paolo Giovio pel fatto miserando intervenuto -a Lodovico Savelli, che, essendosi inerpicato per questa scogliera, -scivolatogli il piè, e giù rovinando, potè nella caduta avvinghiarsi -ad un ramo sporgente e colà vi stette, colla forza dell’istinto che -ognuno ha della propria conservazione, per ben cinque ore; finchè, più -non potendovisi sostenere e mancategli le forze, stremate vieppiù dalla -sferza del sole, malgrado che que’ terrieri, inorriditi spettatori di -quella scena, gli avessero disposto sotto letti di felci, di strame e -di materassi, giù lasciandosi andare, prima di toccar terra s’era già -reso cadavere. — Seguono le Caviate e poi la Maddalena, casali ultimi -che rompono l’uniformità della strada militare, la quale da Lecco -dirigesi a Colico e che corre tra il lago e la montagna brulla, cui di -tratto in tratto ha squarciate, per aprirsi il varco, le pendici. - -Sull’opposta riva, rimpetto a Mandello, sorge il paesello di Onno, -dove a notte le ardenti fornaci ti dicono che vi si produce calce; -poscia Parè, sovra cui spuntano que’ picchi che si chiamano i _Corni di -Canzo_, perchè dall’opposto versante sogguardano la grossa borgata di -Canzo, e che stando sui bastioni di Milano, in una limpida giornata, -si veggono a incitamento de’ molti che vi traggono a passare alle -lietissime falde le autunnali vacanze. - -Ma ritraversiamo lo sguardo: Lecco c’è in faccia; la campanella del -piroscafo ci annunzia che ci accostiamo al lido. - -Entrati in questo bel bacino tutto recinto di monti, non è possibile -non ripetere mentalmente il saluto a questi luoghi, che leggemmo nel -capitolo VIII dei _Promessi Sposi_: “Addio, montagne sorgenti dalle -acque ed erette al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto tra -voi, e impresse nella sua mente non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi -più famigliari; torrenti, de’ quali egli distingue lo scroscio come il -suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, -come branco di pecore pascenti; addio!„ - -Con questa soave reminiscenza di Manzoni vi ho invitato a guardare -tutto l’ameno territorio, che sembra, pei tanti paesi che si succedono -senza interruzione, una sola città, fin su a Laorca, da dove per un -risvolto di via si entra nella Valsássina. - -Ma che è codesto cupo e cadenzato rumore — potrà chiedere il lettore -che mai non fu a Lecco — che s’intende lontano? — Gli risponderò coi -superbi versi di Foscolo, che fu in questi luoghi ad ispirarsi, e ch’io -spicco al _Carme delle Grazie_, e il quale tutto spira attica fragranza -e venustà: - - Come quando più gajo Euro provóca - Sull’alba il queto Lario e a quel sussurro - Canta il nocchiero, allegransi i propinqui - Lïuti e molle il flauto si duole - D’innamorati giovani e di ninfe - Sulle gondole erranti; e dalla sponda - Risponde il pastorel colla sua piva. - Per entro i colli rintronano i corni - Terror del capriol, mentre in cadenza - Di Lecco il maglio, domator del bronzo, - Fuma dagli antri ardenti; stupefatto - Pende le reti il pescatore, ed ode. - -È dunque il maglio delle officine di ferro di Castello e San Giovanni, -il cui martellare mi svegliava nel religioso efebeo a’ giorni della mia -adolescenza. - -È, fra tutti i paesi che vedete sparpagliati in questo bel pendio -fiancheggiato dal monte di San Martino e dal Resegone, che stanno -Acquate all’insù, a lido Pescarenico, ove seguirono tante interessanti -scene del romanzo del sommo nostro Manzoni, fatto così popolare che -non v’abbia persona che, giungendo a Lecco, non s’informi d’ogni -luogo in quel libro mentovato. E così pure domanda ognuno dove sia il -_Galeotto_, bella palazzina dove il Manzoni appunto dimorò tanto tempo -quando attendeva a scrivere questa sua opera d’oro, e che sta a mano -destra di Lecco, a poco più d’un quarto di miglia. - -Ma via, scendiamo dal battello che è approdato, tocchiamo la terra -che ha tenuto parola al vaticinio di questo illustre scrittore, -affrettandosi a diventare città; e la è infatti per attività di -commerci, se non per ampiezza, e mettiamoci nel mercato, che già ferve -da più ore. - -Gentili signore e molte nostre cittadine conoscenze lo percorrono su -e giù. A che mai son venuti? Quale attrattiva li ha chiamati? Non è -già la brama di ammirarne le derrate e le merci esposte; chi mai ad -esse ha pensato? Per quanto siano peregrine le _robiole_ o cacini -di Introbbio, che Valsássina vi spedisce, non son esse di certo per -cui sono accorse. Ma per che dunque? La voga. È detto che il mercato -di Lecco sia una gran cosa, massime a’ sabati d’ottobre, e ognun vi -corre che stia in villa, o lungo il lago, o nel vicino Pian d’Erba, o -nella restante Brianza superiore. Gli è che ognuno serve di spettacolo -all’altro: giugne una carrozza, ne giugne un’altra; gli uni attendono -a vederne scendere gli altri; son persone che si conoscono, che si -salutano, che si stringono la mano, si baciano, si scambiano notizie e -complimenti; poi a braccetto si passeggia a veder altri, poi si parla -e si sparla di tutto; si ingombra il caffè; si impegna a fermarsi per -la sera al teatro, che per consueto ha in autunno buona compagnia di -canto; poi, se sì, si va all’albergo, il _Leon d’Oro_ o la _Croce di -Malta_, forniti d’ogni comodità; se no, dopo un pajo d’ore, chi rimonta -in carrozza, chi riascende il vapore; gli uni vanno di qua, gli altri -di là, tutti ritornano alle loro ville a diffondere alla loro volta le -notizie e i pettegolezzi uditi, e a domandarsi spesso: ma infine, che -cosa v’era a Lecco? Perchè vi ci si va? — e malgrado che la risposta -che ognuno si dà a sè stesso non contenga grande costrutto, pure il -sabato successivo vi si ritorna. Andatevi dunque anche voi, o miei -cortesi lettori. - - -ESCURSIONE VENTESIMAQUARTA. - -VALMADRERA. - - Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti - illustri. — La chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. — - Valmadrera. — La Chiesa. — Il trovante utilizzato. — Le Cappelle - della _Via Crucis_. — La villa del signor Egidio Gavazzi. — La - villa del signor Pietro Gavazzi. - - -Essendomi proposto di condurre il mio lettore dal lago di Como al Pian -d’Erba, dopo il mercato di Lecco non l’obbligherò a rifar la via del -lago; ma traversatolo in carrozza sul bel ponte di sotto il quale esce -l’Adda, volgiam verso Malgrate che fronteggia Lecco, dove sono belle -ville, e il colle o promontorio che si spinge nel lago, il qual si -mostra tutto verdeggiante pei giardini che vi si adagiano. Sul vertice -di esso si signoreggia tutto il vaghissimo territorio; e presso vi sono -sparse altre case signorili e ville, e il tenere de’ Fate-bene-fratelli -di Milano, che qui, come a Valmadrera, vi ereditarono dai Mandelli. - -Sempre quegli eterni etimologisti pretendono far credere che Grato -si chiamasse prima questa terra, ma che per una immane strage che vi -fecero i Comaschi nel 1126, mutasse in quello di Malgrate il nome; non -altrimenti, per l’opposto, era accaduto a Malevento ne’ primi tempi -della romana repubblica che una fortunata battaglia facesse alla città -cangiare il nome in Benevento, che serba tuttavia. - -In Malgrate han casa gli Agudio, ed era in essa che Giuseppe Parini, -ospite del canonico Candido Agudio, scriveva gran parte del suo poema -_Il Giorno_. Anche il poeta vernacolo Balestrieri, vi fu ospite -festeggiato e vi conduceva la traduzione in versi milanesi della -_Gerusalemme_ del Tasso; nè certo vi sarà rimasta muta la musa del -fecondissimo abate Passeroni, che pur vi conveniva. - -Nella chiesa parrocchiale, che sta nella parte più alta del paese, -cerchiamovi i due bei dipinti di Cherubino Cornienti, rappresentanti -l’Annunciazione della Vergine e la Natività, e vedendoli, si sente -maggiore il rammarico che sì giovane ne sia stato il loro autore rapito -da morte. - -Lasciato Malgrate, poco avanti si vede a man destra, ed adagiata sulle -pendici boscose del monte, Valmadrera. È un grosso borgo industrioso -per fiorenti setificî, massime quello de’ fratelli Gavazzi, e per -ottima calce che vi si cava; e l’attenzione e curiosità vi son deste -per una bella chiesa, sacra a Sant’Antonio, architettata nel 1814 da -Simone Cantoni, con modificazioni dell’ingegnere Bovara di Lecco, -e nella quale sono affreschi pregevolissimi di Luigi Sabatelli da -Firenze, che vi dipinse la visione dell’Apocalisse, ed un quadro antico -del Lomazzo; un Cristo e Sant’Antonio, scolture di B. Cacciatori; e -per le magnifiche villeggiature del signor Egidio e del signor Pietro -Gavazzi, a non dir di qualche altra del pari interessante. Nè van -dimenticate le cappelle della _Via Crucis_, di cui due condotte pure -a buon fresco dall’egregio pittore Vitale Sala da Cernusco Lombardone, -che in queste parti lasciò altre memorie del suo vigoroso pennello. - -Nella chiesa, oltre i suddetti affreschi del Sabatelli, merita essere -ricordato che le quattro colonne di granito, del diametro ciascuna di -metri due e mezzo e dell’altezza di metri ventisette, che sorreggono -il cornicione e la vôlta a mo’ di cupola o lucernario, si sono tratte -da un trovante ch’era sul monte di Valmadrera, a 1200 piedi sul livello -del lago, che equivale a 1854 su quello del mare. - -Nella villa dei signori fratelli Gavazzi poi molte altre ragioni vi -sono di curioso interesse. - -A parte la bella posizione sua, che dovette indubbiamente costare -assai al suo proprietario, per superare le difficoltà della roccia e -l’ineguaglianza del terreno; tanto la casa, o grandioso palazzo che dir -si dovrebbe, quanto il giardino, sono d’una vaghezza incomparabile. E -siccome non tutto boscoso è il monte che serve di sfondo, ma v’è anche -molta scogliera nuda; così tutta questa delizia si direbbe suscitata -dalla magica bacchetta d’una benefica fata, e il vario genere vi crea -il più grazioso contrasto. - -L’arte addita nell’unito oratorio, che è una rotonda d’ordine corintio, -un monumento eretto alla memoria di Giuseppe Maria Gavazzi, lodevole -opera di Benedetto Cacciatori, e un quadro pure lodevolissimo di -Giuseppe Sabatelli. - -Nel giardino è un bel laghetto, perocchè l’acqua vi accresca vita -e bellezza: vi sono profonde e spaziose grotte, chioschi eleganti -e capanne da pastore, macchie d’alberelli, sabbiosi sentieri, -tappeti erbosi, piante peregrine e fiori; tutto insomma disposto con -meravigliosa sagacità e buon gusto. - -Presso alla sala da pranzo e da essa, mediante un’acconcia vetriata, -si vede il giardino detto d’inverno, dove sono adunate piante e fiori, -che sappiano anche nella stagione inclemente fare di sè bella mostra. -Abbandono il pensiero di venir passando in rassegna le varie peregrine -vegetazioni per tema di voler parere botanico, non lo essendo. Noto per -altro e le stufe opportunamente erette a grandi vetriate col sistema -dell’ingegnere Balzaretti, che nel giardinaggio è veramente maestro, e -la bella fontana. - -Se, in una parola, il lettore vorrà veramente pellegrinare a -Valmadrera, pria d’entrare al vicino Pian d’Erba, vedrà che la villa -dei signori fratelli Gavazzi sorpasserà di molto quell’aspettazione che -le mie povere e disadorne parole gli avranno per avventura ispirata. - -Non si diparta allora da quella borgata senza visitare anche l’altra -villa del signor Pietro Gavazzi. Dal suo belvedere, che domina -il grazioso palazzo, gli verrà dato di ammirare un leggiadrissimo -panorama, di genere affatto diverso da quelli che, dai culmini che già -abbiamo insieme ascesi, ci accadde di vedere spiegati avanti di noi. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMAQUINTA. - -IL MONTE BARO. - - Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. — - Ello. — Ville Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa Paolina. - — La Bellavista del signor Cereda. — Galbiate. — Palazzi - Brioschi e Ballabio. — La villa Sanchioli e l’eco polisillabo. - — Case Curti e Riva. — La chiesa di S. Michele. — La lapide - di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe archeologiche. — L’effigie - immobile. — La Rôcca di Re Desiderio. — La fanciulla nel pozzo. - — Il Monte delle Crocette. - - -Essere in questi dintorni, sentirsi di buona gamba e volontà di veder -cose nuove e provar grate emozioni, e non ascendere a Monte Baro, è -pressochè impossibile. Pellegriniamovi noi pure, amico lettore, più -fortunati se avremo con noi, e meglio ancora se ci saranno compagne -le signore, perchè allora più lieta, svariata e simpatica ci parrà la -gita. - -Eleggiamo la via di Galbiate, che tornerà men faticosa. E tuttavia -questo bel paese è sul ciglio del monte; ma appunto per questo sarà più -divertente l’escursione nostra. - -Mano mano che si ascende, l’orizzonte si allarga. Il ridentissimo -bacino dell’antico Éupili si distende innanzi a noi. È dall’alto -che terrem conto di tutto; intanto le terre che su questo monte, -o piuttosto collina si veggono, sono Bartesate e Villavergano; più -sopra Figina, ove si vede una casa che apparteneva agli Umiliati, e -quindi Ello, che conta diverse villeggiature amenissime de’ Prinetti, -dell’Annoni, del signor Pasquale de’ Vecchi, la villa Paolina, -fabbricata dal general Pino, e quella dei Riva, che ha un giardino -da cui si vede da una parte l’Adda e dall’altra il Pian d’Erba, -e sovratutto quella che già fu del signor Bonomi ed ora è passata -all’ingegnere Cereda, che per me ha la più simpatica postura della -Brianza, come quella che sorga sulla parte più alta e libera del paese -e domini tutto un meraviglioso orizzonte di monti e di colli, di laghi, -di paesi. L’han detta _La Bellavista_; ma siccome è un nome affibbiato -troppo comunemente tra noi a qualunque luogo che appena abbia una -spanna di prospetto o di sfondo, così non rende tutto l’incanto che -realmente possiede. Ben architettato e comodo ne è il palazzo, e -stupendamente da natura mosso e accidentato il giardino, anzi parco che -le sta intorno, ricco di boschetti e rarità botaniche; insomma un vero -Eden. - -Giunti a Galbiate, ci accorgiamo come questo colle separi la valle -dell’Adda da quella dell’Éupili; perocchè dall’opposto versante veggasi -appunto quel fiume, che uscito tale di sotto del ponte di Lecco, -rasenta Olginate e va giù a Brivio. Il duplice orizzonte è pertanto un -pregio di poche località; godiamolo nel mentre raccogliamo il vigore -per compiere la gita montana che abbiamo intrapresa. Guardando giù -per la parte donde siamo venuti, vediamo tutta una serie di laghetti: -quel d’Oggionno e quel d’Annone, che ne è appena diviso da una lingua -di terra che chiaman Isella; quindi quel di Pusiano, poscia a mano -manca quel più piccolo di Alserio. Senza molto dubitare si può essere -indotti a credere che un dì fossero tutti uniti in un sol lago, che -Plinio denomina l’Éupili, e dal quale esce il Lambro, ch’egli chiama il -_Flumen frigidum_, fiume freddo, che ha le proprie scaturigini tra le -montagne della Vallassina. - -In Galbiate poi, passando innanzi a bellissime case e palazzi, si è -tratti a chiedere a chi appartengano: e si sa che sono proprietarî -i Brioschi d’un palazzo, che sta sulla piazza della chiesa, con -magnifiche sale ed ampie cantine, e che già fu del barone Pietro -Custodi, il continuatore della _Storia di Milano_ di P. Verri e il -dotto economista; d’altro i Ballabio, con magnifico giardino verso -Oggionno, e dove si incominciarono scene dolorose di domestico dramma, -nel quale era catastrofe l’affogamento d’un bambino e scena ultima -la Corte delle Assise di Milano per lo snaturato suo padre; quindi la -villa Sanchioli, dove esiste un eco polisillabo, che ripete persino un -intero endecasillabo, e le case de’ Curti e dei Riva. - -Se accadrà al lettore di tornare altra volta in Galbiate, perchè oggi -siam diretti a Monte Baro, girando intorno al colle verso la parte -della valle dell’Adda, non lasci di visitare la chiesa di San Michele -che sta sul pendio verso Lecco. La sua fondazione è attribuita a -Desiderio, l’ultimo re longobardo, e vi godrà di altro nuovo orizzonte, -perchè si vedrà in faccia tutto il territorio di Lecco e il corso -serpeggiante dell’Adda. - -Prima di lasciare Galbiate, decifriamo la lapide che si vede sulla -piazza della chiesa. - -Essa suona così: - - Libertas - Quæ toto non bene venditur auro - Labore lite prætio parta - Galbiatensi viciniæ ac finitimis oppidis - Regia concessione firmata tandem arrisit - Felix dies XVII junii anni MDCLXXI. - Que infeudationis ac omnis inferioris judicii - excusso onere - Populus hic sub potentiss. regis Hispaniarum - Vicaria potestate nempe mediolanensis Senatus - Se immediate redegit. - Tantæ exemptionis memoriæ - Quam Francisci Georgii Ottolini - Regiæ ducalis Cameræ notarii - Autentica scripta privatim asservant - Hujus lapidis retentivæ custodiæ - Publice resignantur - Die XVIII septembris anno MDCLXXI[28]. - -Così impariamo che Galbiate, ch’era una volta dipendenza del feudatario -della Pieve d’Oggionno, ebbe a comperare a’ 17 giugno 1671 la propria -emancipazione. - -Ora ripigliamo la strada pel monte Baro. Essa è montuosa, ma non aspra, -e presto vi si arriva. - -Figuratevi quanto s’esercitasse l’erudizione intorno a questo monte! -S’è detto prima che su questa sua vetta, dove noi ci troviamo adesso, -vi fosse nientemeno che una città e che questa si denominasse Bara, -i cui abitanti andassero poi a fondare Bergamo. Gli è tutto un sogno -codesto, chè nulla rimase che dia presa soltanto ad argomentare che -qualche fondamento avesse di verità, dove s’eccettui il nome del monte. -Ma pure i barbassori che misero innanzi tal fiaba, sono nientemeno -che Plinio il Vecchio, il quale per altro ciò afferma sulla fede di un -vecchio autore, che dice essere Catone. E a Bara e da’ suoi abitatori -si vuole discesa tutta la famiglia briantea. - -Non so poi davvero di qual ragione possa valere a rafforzare questa -pretesa la tradizione di quella vecchia e rozza effigie che si venerava -quassù, e che essendosi tentata da’ divoti di rimovere, onde porla -in luogo più dicevole ed accessibile, non solo non vi riuscirono, ma -rimasero colpiti da cecità. Ciò riferirebbesi ad êra cristiana. Quella -effigie fu rivolta a culto cristiano, e quei di Galbiate vi eressero -anzi una chiesa, nel 1480, che poi ebbero i Francescani, i quali vi -studiarono la riforma del loro ordine, e vi stettero finchè Giuseppe -II, nel 1810, volle sbarazzarsi di frati e di conventi. - -Qui sul monte vuolsi ancora che re Desiderio vi avesse una rôcca; e -qui davanti alla chiesa, non fan più di quattr’anni, che in quel pozzo -che vi si vede, precipitasse un’inconscia fanciulla, credendo riparare -entro il recinto di muro dalla furia d’una buféra. Dicono vi rimanesse -inavvertita ben sette giorni, a capo de’ quali, venuti per cagion d’una -festa gli apparatori e udendo ascendere da quella profondità un gemito, -calati dentro vi rinvenissero viva ancora, sebbene intirizzita, la -poveretta che sopravisse con meraviglia di tutti. - -La vista da questa altura è maravigliosa, più che per la sua estensione -— perchè da oriente è arrestata dalle vette de’ monti che le stanno in -faccia, — per la sua vaghezza. Le digradanti colline che le stan sotto, -i laghi che sembrano gli bacino i piedi, quel di Lecco e l’Adda da una -parte, e quei di Oggionno e d’Annone dall’altra; gli altri leggiadri -bacini, la miriade di paeselli e di casali disseminati per la valle -dell’Adda e dell’Éupili, prestano allo sguardo uno di que’ panorami che -a parole mal si sanno descrivere. - -Una bella selva di faggi sussiste ancora, entro cui i buoni Francescani -s’erano aperta un’incantevole via, che se serviva di delizioso -passeggio a que’ frati, or vale a riposo di chi pellegrina a questa -vetta. - -Più su si sale al cocuzzolo del monte, dove furono infisse nel suolo -tre crocette, che si veggono stando al basso della valle e che a -quel più alto vertice fan dare il nome di Monte delle Crocette. Ivi -naturalmente si allarga ancor più l’orizzonte e spazia vieppiù la -vista. - -Ma l’ora si è fatta alta, e la salita, l’aria sottile del monte ci -hanno reso acuto l’appetito; mano alle provvigioni. Non dimentichi il -lettore la purissima linfa del monte, e con Properzio gridi a chi lo -serve: - - _Et puris manibus sumite fontis aquam._ - - - - -ESCURSIONE VENTESIMASESTA. - -LA VALLE DELL’ORO. - - Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — Il re - Desiderio e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — La Valle - dell’Oro. — Barzaguta. — La cascata. - - -Come già notai in una precedente escursione, anche dai bastioni -orientali della nostra Milano, fra quella lunga fila di montagne di -cerulea lontananza che contermina l’orizzonte, si distingue quel monte -che elevandosi in due acute punte, vien detto dei _Corni di Canzo_, -dal bel paese che loro dà il nome, e che divide la Brianza dalla -Vallassina. Era ad essi che Giovanni Torti, il poeta della _Torre di -Capua_ e dei versi che Manzoni additava come _pochi ma valenti_, faceva -cenno in questi: - - O selvose montagne, o gioghi erbosi, - O di lontan sovreminenti al verde - Cornuti massi, o dolce aere vitale... - -Come appendice di questo monte, si protende un bel declivio che vien -morendo in riva al lago di Annone. Su questo allegro pendío si posa il -villaggio di Civate, o Clivate, come appellavasi in addietro, derivando -la propria denominazione dalla sua stessa postura. - -Fu già Civate una grossa terra, che v’ha chi pretende perfino essere -stata una piccola città, argomentando da alcune vicinanze, come -_Borneu_, che vorrebbe dire Borgo nuovo, Castello o Castelnovo e la -Selva di Diana. Certo in tempi meno rimoti fu signoria degli Abbati -Commendatori del monastero benedettino de’ SS. Pietro e Calocero, il -quale sorge a mezzo del monte che sovraggiudica il paese stesso, e la -storia e la tradizione hanno lasciato e all’eremo ed alla chiesa tutto -ancora quell’interesse che pur l’avevano allorquando l’abbazia era nel -pieno suo fiore. - -Per chi amasse conoscere per filo e per segno della origine del -cenobio e della chiesa, degli scrittori che ne han parlato, fra’ quali -Tristano Calco ed il Fiamma, Bernardino Corio e Ripamonti, per non -dire dei tanti altri, farà bene a consultare le _Memorie storiche_ che -pubblicava l’abate Longoni[29]. - -Tutti i cronisti, scrive codesto autore, citando il Corio, concordano -quindi nell’affermare che Desiderio, l’ultimo re longobardo, innalzasse -la chiesa di S. Pietro per compiere il voto per la guarigione del -figlio Adalgisio od Adelchi, come lo chiama il Manzoni. Desiderio amava -oltremodo questo suo figlio, che viene dipinto da Paolo il Diacono, da -Varnefrido e da Manzoni stesso come duce valoroso; e lo avea in tanta -considerazione, da chiamarlo a parte del regno, dividendo con esso lui -gli onori ed il peso della corona. - -Il Corio narra come Desiderio, dopo la sconfitta avuta da Adriano a -Spoleto, oppure, come meglio si vuole, dopo la fuga e la rotta de’ -Longobardi dispersi dall’esercito franco, si ritirasse colle sue -genti ne’ monti della Brianza ad un luogo detto Montebaro, dove si -fortificasse in modo che di un monte solitario fosse divenuta una vera -città opulenta. È quindi probabilissimo, inferisce il Longoni, che -trovandosi in que’ luoghi andasse a caccia per quei circonvicini monti, -che a quell’epoca erano per le folte selve abbondanti di selvaggina, -e che abbattutosi Algiso in qualche fiera, che viene chiamata nelle -cronache porco selvatico (cinghiale), o fosse assalito da essa, o -nell’ucciderla restasse offeso dalle armi proprie o da quelle di -altro cacciatore di lui seguace. Forse i monaci Benedettini, che si -erano già sparsi nell’Italia e stabiliti negli eremi i più solitari, -soccorsero il giovane Algiso o Adelchi nella sua sventura e lo -curarono con affetto; per cui re Desiderio, mosso dalla premura da essi -addimostrata, fece loro erigere una chiesa più vasta di quella di San -Benedetto, che forse già esisteva, e la dotò di beni. - -Ma il Corio stesso riferiva supposizione diversa, quella cioè che il -Fiamma aveva diggià udito. - -“Questo tempio fece edificare Desiderio a similitudine della Chiesa -Pontificale in Roma. Et la cagione intervenne che, andando un dì -Algisio, suo figliuolo, con assai comitiva et gran numero di carri alla -caccia di porci (cignali) su quel monte dove è edificato il tempio, a -caso ferendo un porco, di subito, per divina volontà, divenne cieco. -La qual cosa intendendo il padre il votò a S. Pietro ad honore di -cui, al figliuolo essendo ritornato il vedere, nel monte predetto -fece edificare il memorato tempio e quello dotò di honoranti redditi, -siccome nei suoi privilegi si contiene e per li quali si vede ancora la -indulgenza che Adriano pontefice gli concesse.„ - -La quale opinione dello storico milanese riceve il suo valore dalla -popolare tradizione che ancora sussiste: perocchè i molti devoti che -traggono a quella chiesa sogliano lavare gli occhi in una fonte di -acqua viva che scaturisce presso alla stessa, e che pretendono sia pur -quella che rese la vista all’infelice Adelchi. - -Ma che c’entrano, chiederà il lettore, tutte queste leggende colla -Valle dell’Oro, di cui vi siete proposto di dire? - -— C’entrano sì, o discreto lettore. - -Perocchè, se visitando il Pian d’Erba, piace a te per avventura fra le -cose meglio interessanti salire a que’ venerabili avanzi dell’antico, -dove tanta storia di nostra casa si può imparare, e sarà certo fra’ -tuoi migliori partiti che ti allegrino il delizioso soggiorno, una -delle due vie che vi conduce, transita appunto per la piccola Valle -che si denomina dell’Oro; ed io, ponendoti al giorno della pietosa -tradizione che ancor ripetesi dalla buona gente della montagna, ho -pensato meglio invaghirti a salire per l’erta scabrosa, prendendo -quel sentiero che parte da Civate, anzi che dal più agiato viottolo -che dalla Croce così detta di Pieve mette fra dirupi e cespugli alla -medesima meta. - - [Illustrazione: Valle dell’Oro.] - -L’orrido pittoresco della Valle dell’Oro è del più bello artistico -che immaginare si possa. Perchè chiamata dell’Oro, non è presto -detto, variando al proposito le sentenze. V’ha chi attribuisce questo -nome alle molte piante d’alloro di cui tutta quanta era un tempo -disseminata; v’ha chi pensa esistesse un giorno qualche aurifera -miniera, ma di traccie non se ne riscontrano; v’ha chi poi lo vorrebbe -derivare — e potrebbe essere probabile — dal cognome di alcuna famiglia -che là ebbe un giorno a possedere. Ma di siffatte investigazioni non -credo possa venirne utile a chichessia e però passo oltre. - -Presso al poggio, designato da quei del paese col nome di _Barzaguta_ -(balza acuta), si discende verso un torrente, le cui acque nella caduta -mettono in movimento mulini e filatoi. Poco dopo ne si para dinanzi una -magnifica cascata, quella appunto di che or ti si offre il disegno. -Il fondo di questa incantevole scena è costituito da due altissime e -smisurate roccie, e le acque, precipitando spumeggianti e rumorose, -formano nel letto del torrente un bel bacino. Al piede di esso l’occhio -si perde in una gola oscura, attonito dapprima per le dirupate frane -e pei pensili massi che sembrano ad ogni istante rovinare, e se mai -ti piglia il talento di ascendere al sommo della cascata, una rozza -gradinata praticata nella roccia ti agevola la salita. - -Oh sì, fra tanto frastuono delle acque cadenti, e fatto maggiore dagli -echi che si ripercuotono, l’anima nostra è compresa da un insolito -sentimento fra la meraviglia e l’orrore; gli svariati effetti di luce, -le tinte ora cariche, ora sfumanti della intera scena, e quelle ombre, -che i pittori chiamerebbero _portate_, e il cupo verde de’ cespugli, -e il gruppo degli alberi, e l’enormità de’ macigni, ne ingigantiscono -così quelle sensazioni che ognun si sente quasi incatenato al luogo e -mal si sa togliersi di colà. - -Il geologo poi in quest’orrido della Valle dell’Oro studia uno dei -fatti più curiosi della sua scienza; cioè il gran banco madreporico, -anzi muraglia di corallo che si stende per tutta la Lombardia, dove -mal distinto dalla dolomia bianca e grigia che può dirsi azoica, dove -conservando le forme di polipaio. - -Valle dell’Oro è pur chiamato quel povero gruppo di capanne, al quale -scorge il sentiero che percorre la costa della rupe, e se il cammino -scabroso ti ha fatto stanco, una polla di limpida e fresc’acqua -colà ritrovi che ti ristora dall’arsura e ti fa cuore a terminare -l’aggradevole pellegrinaggio. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMASETTIMA. - -LA CASA DEL PARINI. - - Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San Fermo. — - Bosisio. — La Chiesa e l’Oratorio — Casa Banfi. — Monumento ad - Appiani e Parini. — Uno stregone dei tempi antichi. — La casa - del Parini. — Lapide commemorativa. — Onta lavata. - - -Discendendo dall’altura di Civate, rasentati i laghi d’Oggionno e di -Annone, de’ quali il lettore s’è già intrattenuto per averli veduti -dalle vette di Galbiate e di Monte Baro, pigliamo la via che mena a -Bosisio, chè oggi la nostra escursione è un caro pellegrinaggio alla -casa in cui nacque quell’intemerato intelletto di Giuseppe Parini, che -fu tanto lume delle italiane lettere e che si recò a sommo di gloria il -poter dire di sè: - - Io volsi - L’Itale Muse a render saggi e buoni - I cittadini miei[30]. - -Vediamo da lungi Annone, che dà nome al lago, ma che non ha importanza -speciale, malgrado la bella chiesa che vi sorge su disegno del Bovara, -di stile jonico. E ad Annone dicono sia venuto il nome da uno dei -trenta duchi longobardi. Se sul Monte Baro e in Civate la tradizione -ricorda la presenza in questi luoghi di Desiderio e di Algiso, nulla di -più facile che anche un altro duce di loro razza sia qui stato e abbia -lasciato a’ posteri memoria di sè in questo paese. - -A mano destra, e addossata alla montagna, è quella parte di territorio -che si denomina ancora la _Squadra dei Mauri_, e anche qui la -tradizione spiega la denominazione, pretendendo stabilita qui una -colonia di Mori... ma in qual tempo? Se ne tolgono d’impaccio questi -fabbricatori di storia, rispondendo: al tempo delle invasioni, che io -mal saprei definire ancora quando fosse, ignorando davvero che i Mori -facessero mai invasioni nelle nostre parti e molto meno in queste. -Compresa in tale Squadra è Cesana o San Fermo, come più propriamente si -nomina, terra vaghissima e ferace, e che si han più dati per ritenere -che avesse un giorno una maggiore importanza. - -Poi via trascorriamo Suello, e di contro a Cesana, pria di giungere a -Pusiano, volgiamo a manca, e dopo breve cammino, girando pur alquanto -intorno al lago di Pusiano, salutiamo Bosisio. - -Un dì, e non è molto, era poverissima terra; ora il comune è de’ -più ricchi, grazie alle torbiere che si trovano sul suo, e che gli -fruttarono e fruttano tuttavia una ingente moneta. Ogni fuoco di questo -paese ha diritto ad una parte di torba; nè avviene qui ciò che altrove -di queste parti si lamenta, che cioè i nullatenenti e i vagabondi si -caccino nell’altrui per i boschi a far legna. E sovrabbonda in tanta -quantità la torba, che ne può esser venduta con larghissimo ed annual -beneficio. - -Tuttavia, malgrado l’antica povertà, non era l’arte nome affatto -straniero in Bosisio, se nella sua chiesa parrocchiale ti veniva -mostrata come preziosità una tavola dipinta da Gaudenzio Ferrari, una -tela di quel più recente ma esimio artista Vitale Sala, di cui vedemmo -già a Valmadrera due freschi, ed un’altra del Narducci nell’Oratorio di -casa Appiani, architettato dal valente Moraglia, dove era un bellissimo -quadro del sullodato Vitale Sala, rappresentante l’Annunciazione di -Maria Vergine; e finalmente nella casa del signor Banfi, dove io fui -l’ospite benvenuto nel 1845, si trovava che il colto proprietario aveva -nel suo grazioso giardino, che digradava al lago di Pusiano, eretto -monumento a due illustri che da Bosisio eran partiti a far parlar -alto di sè stessi il mondo; ad Andrea Appiani, giustamente chiamato -il _Pittor delle Grazie_, ed a Giuseppe Parini. E siffatta reverenza -dimostrava il Banfi quando non s’era per anco da alcuno pensato a -mettere pure una pietra commemorativa là dove l’illustre Poeta era nato -ed aveva abitato; e su di quel monumento scolpiva i versi di lui, ne’ -quali entrambi sono così rammentati, e son questi: - - Te di stirpe gentile - E me di casa popolar, cred’io, - Dall’Éupili natio, - Come fortuna variò di stile, - Guidaron gli avi nostri - De la città fra i clamorosi chiostri. - E noi dall’onde pure, - Dal chiaro cielo e da quell’aere vivo - Seme portammo attivo - Pronto a lavarne da le genti oscure, - Tu Appiani col pennello, - Ed io col plettro seguitando il bello[31]. - -Dirò di più a chiarire la noncuranza. In quell’occasione mi rammento -che, visitato per la prima volta il Pian d’Erba, all’incantevole -vista de’ suoi facili colli, de’ suoi ridenti paesi, de’ tranquilli -suoi laghi, m’erano venuti spontanei sul labbro i versi del cantore -del _Giorno_, della satira mordace e potente, ma elegante e in guanti -gialli, che così questi suoi luoghi salutava, quando, stomacato della -vita politica e cittadina, faceva ad essi ritorno: - - Colli beati e placidi - Che il vago Éupili mio - Cingete con dolcissimo - Insensibil pendio, - Dal bel rapir mi sento - Che natura vi diè, - Ed esule contento - A voi rivolgo il piè[32]. - -E allora, trovandomi a Bosisio, andai percorrendo tutto il paese, -cercando quale delle umili casette che lo costituivano sarebbe stata -quella in cui schiuso aveva gli occhi alla vita il grande poeta; e come -che nessuna mi paresse tale da invitarmi a chiedere se quella fosse, -una comare, cui finalmente mi rivolsi perchè il mio desiderio facesse -pago, incominciò a sbarrarmi gli occhi in faccia, maravigliata dallo -intendere il nome di Parini; poi, quasi vergognando ch’io, straniero, -fossi di lei più esperto del paese, come se raccogliesse in quel punto -tutte le sue memorie, finì col dirmi sbadatamente: - -— Sì, sì; era uno stregone dei tempi antichi. - -Quindi, crollando il capo, mi significò che di più non avrebbe saputo -aggiungervi, e molto meno dove fosse la casa de’ suoi padri. - -Povero Parini! Uno stregone! - - [Illustrazione: Casa del Parini.] - -Pure la natale casetta scoprii finalmente a furia d’inchieste -e d’induzioni; nè presi errore, da che due anni dopo, quando il -sentimento della italiana rigenerazione parlò potente al cuore di -tutti, e cercavamo raffermarci ne’ propositi santi e generosi col -rimettere in onore le glorie del paese, e massime quelle che avevano -gittato negli animi nostri il germe di essi, nelle opere del loro -ingegno a noi lasciate, si impose il nome di Parini alla via dove -sorgeva, e su di essa, in una solenne festa, fra un concorso infinito -di popolo e di villani che non avevano mai sognato prima chi si fosse -e pur allora ne capivano verbo, e fra letture di prose e di versi in -onore di lui, fu collocata una lapide che recava sculte le seguenti -parole: - - A GIUSEPPE PARINI - GLORIA DELL’INGEGNO LOMBARDO - CHE NUOVI SENTIERI APRÌ - ALL’ITALICA POESIA - E LA FE’ POTENTE INTERPRETE - D’ALTI PENSIERI E DI SDEGNI MAGNANIMI - DERISOR SUBLIME DE’ FIACCHI COSTUMI - BANDITOR SINCERO DELLE VERITÀ PIÙ UTILI - MAESTRO D’UNO STILE PELLEGRINO TEMPERATO - CHE OBBEDISCE AL CONCETTO E GLI CRESCE ENERGIA - ALCUNI ESTIMATORI - PERCHÈ QUI DOVE POVERAMENTE NACQUE - E PRIMA S’ISPIRÒ NEL RISO - DI CIEL SÌ LIETO - ABBIA IL NOME DI LUI PERENNE OSSEQUIO - P. NEL MDCCCXLVII. - -L’iscrizione, a mio avviso, avrebbe fatto meglio ad essere più concisa, -e ricordar invece il dì in cui il grande cittadino e poeta nasceva. -Avrebbe almen giovato a qualche cosa. - -Ad ogni modo la generazione presente ha lavata l’onta che Foscolo -gittava al volto della città che l’ospitava, ch’egli acremente chiamava -ne’ _Sepolcri_ - - lasciva - D’evirati cantori allevatrice, - -perchè non ombra, non pietra, non parola avesse posto a Parini: Milano, -nel suo palazzo di Brera, rizzavagli maestoso monumento, affiggeva -memore lapide sulla casa che l’aveva albergato e dava il nome di lui ad -una nuova sua via. - - - - -ESCURSIONE VENTESIMOTTAVA. - -L’ISOLA DE’ CIPRESSI. - - Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in Italia. — Un - mio processo. — Armi di pietra e palafitte lacustri. — Pusiano. - — Villa Conti. — Scene di superstizione. — La Processione - del Venerdì Santo. — L’Isola de’ Cipressi. — Il romanzo di - Bertolotti. - - -Se vivo ancor fosse quell’eccellente uomo di Banfi, presso cui, vi -dissi, ospitai nel 1845, non rifacendo più la via che ne condusse -a Bosisio, dal giardino suo saremmo montati nella barchetta che vi -stava legata, per pigliare il largo su questo lieto e tranquillo lago -di Pusiano, onde condurci al paese che sta quasi di fronte e che gli -diede il nome; ma di lui non resta che la buona memoria in chi lo -conobbe d’anima aperta e cortese. Qui s’era ritirato a fruire d’una -vita calma, dopo aver assistito a’ burrascosi avvenimenti che chiusero -l’êra napoleonica e condussero sciaguratamente in Lombardia l’austriaca -dominazione, che le pesò sul collo per quarantacinque anni; qui gli -consolava gli estremi giorni l’amore d’una figliuola e qui costei vi -soggiorna ora colla corona de’ suoi figliuoli. - -Ritorniamo adunque per la strada primitiva. In pochi minuti il lago ci -riappare. - -Il suo bacino non è grande siccome un giorno, quando abbracciava tutto -quello spazio che segnano da una parte il lago, ora detto d’Oggionno, -e dall’altra quello d’Alserio; esso è quanto avanza del vecchio Éupili; -ma se ha perduto in vastità, ha guadagnato, a mio credere, in vaghezza. -Dall’una sponda corre l’occhio all’altra, e tutti si veggono e contano -i paesi che vi seggono in riva e lo circondan dappresso. - -È inoltre pescoso, e vi si raccolgono specialmente anguille e lucci, -tinche e barbi, arborelle e carpi, e vi si potrebbe ottenere di meglio, -se la piscicoltura non fosse tra noi sì poco curata, o se fosse vissuto -più a lungo quel Giuseppe Conti, che qui con molto amore la coltivava. - -Fu su questo lago che, nel 1820, per la prima volta in Italia fu -visto un battello a vapore; ma al sospettoso governo d’allora, a -quel governo che giunse a farmi sul serio un processo criminale nel -1855, per _perturbazione della pubblica tranquillità contro il nesso -politico dell’impero_ (!), per avere scritto che il finale del terzo -atto del _Profeta_ di Meyerbeer era una _ladra cosa_, essendosi capito -ch’io aveva voluto alludere all’inno nazionale austriaco di Haydn, -da cui quel finale aveva tolto qualche nota; a quel governo parve che -il battello a vapore potesse essere invece qualche macchinazione che -coprisse mene di carbonari; e il battello un bel dì fu riportato via. - -La scienza ha intorno a questo lago fatto qualche scoperta importante. -Da un opuscolo pubblicato da quel dotto naturalista che è Antonio -Villa, e che ha per titolo: _Gite malacologiche e geologiche nella -Brianza e nei dintorni di Lecco_, negli _Atti della Società italiana -di scienze naturali_ (vol. IV, fasc. 6, 1863); non che dal _Fotografo_ -del 2 agosto 1856, in un articolo dei fratelli Antonio e G. B. Villa, -rilevai come nella torba di Bosisio venne trovata dal signor Federico -Landriani, alla profondità di circa tre metri dalla superficie, una -scure riferibile, secondo l’archeologo prof. Biondelli, ai tempi del -primo secolo dell’Impero Romano, di buon metallo e ben lavorato; e -meglio ancora si rinvennero diverse punte di freccia, dell’epoca dei -Galli Celti, di silice, e quindi della più remota antichità, quando -cioè ancora non si conosceva l’arte di lavorare in ferro. Freccie di -pietra silice si rinvennero anche nelle torbiere del lago, nel luogo -detto Comarchia, assieme ad altri arnesi; e l’abate prof. Antonio -Stoppani, presso a quest’Isola de’ Cipressi, nello stesso bacino -del lago, trovò indizi di palafitte, ciò che potrà fornir lume a chi -s’intrattiene intorno alle abitazioni lacustri degli antichi popoli. - -A capo del lago siede la terra di Pusiano. Il palazzo che vi si vede -d’una architettura secentista, apparteneva ai marchesi Carpani; poi -fu comperato dall’Arciduca Ferdinando d’Austria, che di questi luoghi -si piaceva e vi veniva a villeggiare; e da ultimo venne alle mani de’ -signori Conti, che vi aprirono una capace filanda. Apparteneva ad essi -anche il lago, dal quale ho già detto esce il Lambro presso Mojana, che -poco prima vi si era intromesso, ed ora è stato acquistato dal Comune -di Bosisio. - -Altro d’interessante non saprei trovare in Pusiano oltre i suoi -bellissimi dintorni, dove non fosse che per segnalare la buona fede e -l’ignoranza de’ suoi terrieri sfruttata da’ chiesastri, che alle spalle -d’una _Teresotta_, volgarmente conosciuta sotto il nome di _Calimera_ -e d’una sua sorella, _Angiolina_, che danno a bere d’essere ispirate -da Dio, e tenute per sante, le si lasciano catechizzare in piazza e -nella parrocchia, e per le quali traggono credenzoni da tante parti -a portarvi regali e denaro, che scialano in pranzi ed in gallorie. -Qual meraviglia allora che ivi pure si creda alla ciurmeria d’un’altra -santocchia, nomata _Peppinetta_, che fa credere di vivere senza bisogno -di nutrimento? Di queste tre, la più _astuta_ è la _santa Calimera_ -(la serva del Curato), e come tale è anche la prediletta, ed ogni anno -viene, con pubblica solennità, sposata a Gesù Cristo. Ella è poi quella -che ha saputo e sa infondere tale fanatismo nelle masse ignoranti, -che guai a chi osasse dir male di lei: quello sarebbe un uomo perduto, -come lo fu un certo Bosisio, di Morchiuso, che, ad istigazione degli -aderenti di quella santa, molti vogliono che sia stato ammazzato in -mezzo ad una campagna, quantunque i partigiani della _santa_ andassero, -come vanno tuttavia gridando che sia morto di coléra fulminante. Tanto -è vero quanto cantò Lucrezio: - - _Religio peperit scelerosa atque impia facta._ - -Compirò il quadro della superstizione che qui ha attecchito, riferendo -i particolari fornitimi da un mio caro amico della processione del -Venerdì Santo, da lui veduta nell’anno 1870, e che ha la somiglianza -tutta d’una indecente mascherata. - -La processione veniva aperta da un picchetto di guardia nazionale, che -a giusto titolo dovrebbe chiamarsi _guardia del sepolcro_, perocchè -all’infuori di questo giorno essa non esista che sui ruoli. — La musica -d’Asso, dall’uniforme inglese, dalle spalline di maggiore, dall’elmo -polacco e dalla durlindana di dragone, la seguiva facendo risuonare -l’aere di mesti concenti e di marcie funebri. — Subito dopo veniva -la Confraternita di bianco e rosso vestita, tenendosi in mezzo qual -prigioniero un eremita, che, mi si dice, rappresenti S. Miro. — Poi una -miriade di angioletti, portanti ciascuno una lunga asta, in cima alla -quale vi sono i diversi arnesi della passione, vale a dire, tamburo, -dadi, martello, tenaglie, chiodi, corona di spine, spugna, ecc. ecc., -insomma una bottega ambulante di giocattoli. — Coperta la faccia di un -fitto velo, ed a piedi nudi imbrattati di fango, e di qualche altra -cosa, un _ex gendarme austriaco_ faceva da Cireneo, portandosi sulle -spalle una pesantissima croce. - -Qui faccio una digressione per dire che per avere l’onore di -rappresentare il Cireneo e portare la croce, si tiene un’asta pubblica, -che in quest’anno subì un forte ribasso, e fruttò alla Santa Bottega -soltanto L. 5.20, ultima offerta fatta dall’_ex gendarme_, mentre -l’anno antecedente fu deliberata ad un pizzicagnolo per lire 20. - -Ora torniamo alla processione. — Il Cireneo ex gendarme, che un tempo -scortava gli altri, quel venerdì era egli scortato da molti Giudei, -faccie proibite, dalla barba posticcia, e vestiti alla spagnuola con -elmo romano, meno uno che invece dell’elmo ha creduto meglio mettersi -un kepì della nostra artiglieria. Alcuni di questi moderni Giudei -tenevano le loro lancie rivolte con posa comica, mimica e tragica al -Cireneo, nella tema che fuggisse per le campagne col dolce peso dei -due travi formanti una croce; ed il rimanente appuntava le proprie -lancie contro un uomo tutto vestito di rosso, dai capegli e barba di -canapa, dai piedi scalzi trascinantesi una grossa catena, che, se non -vado errato, doveva essere tolta poche ore prima dalla greppia di una -stalla. Costui raffigurava il Cristo che saliva il Golgota, ma non era -il Cristo falegname, bensì un Cristo ciabattino. - -Seguiva il Cristo un’altra Confraternita con alla testa S. Carlo in -abito vescovile ed armato di pastorale. Alla Confraternita tenevan -dietro alcuni vessilli neri, ed il _Velo del tempio_, portati da uomini -vestiti in nero. - -Un’altra musica, quella del signor Perego di Cremnago, faceva eco alla -prima coi suoi funerei concenti. Intanto i preti esilarati da quella -musica intuonavano e cantavano il _Vexilla regis prodeunt_. - -Sotto poi un elegante baldacchino veniva portato da quattro uomini, -vestiti alla foggia di sacerdoti pagani, il cadavere di Cristo, di modo -che nella stessa processione vi si vedevano due Cristi: vivo l’uno, -l’altro morto. - -Le tre Marie seguivano la bara, e dietro ad esse si scorgeva un nugolo -di Santi, tutti in costume, e tra questi qualcuno di mia conoscenza, -cioè, S. Luigi Gonzaga, S. Ambrogio, S. Maria Maddalena, S. Caterina da -Siena, S. Margherita da Cortona, ecc. ecc. - -Quella però che ha fatto destare maggiore ilarità nel pubblico profano, -e che, _incredibile dictu_, ha fatto ridere la stessa Madonna Assunta -che le stava di dietro, fu Santa Rita, la quale sentendosi pungere le -tempie dalla corona di spine che cingevale la testa, dimenticava la -propria santità, e, come gli altri mortali, mandò acuti lai, infino -a che gliela accomodarono per benino ed in modo da non risentirne più -dolore. - -Chiudevano il corteo tutte le Madonne e gli Angeli d’ogni specie. -L’Assunta la vedevi colle braccia alzate ed in atto di volare al cielo. -L’Addolorata, con sette pugnali nel petto, teneva lo sguardo rivolto a -terra, ed era immersa in profondo dolore. L’Immacolata tutta sorridente -mostrava d’essere in un’estasi paradisiaca. - -La processione ritornò in chiesa, e poco dopo il Cireneo, il Cristo, -i Giudei, gli Angioli, i Santi e le Madonne ridiventarono semplici -mortali, contenti di aver dato alla Santa Bottega il loro obolo per -aver fatto la loro parte in commedia. - -Innanzi a tutte queste giullerie, indegne dell’età presente, d’una cosa -almeno si ha diritto di chiedere: e l’autorità intanto che fa? - -Era peccato che su queste sponde del lago non vi fossero belle -imbarcazioni, onde mai non vi si vedessero sopra signori a diporto. -Era appena se si poteva trovare qualche barchetta da pescatore per -remigare all’isola de’ Cipressi, che unica sta nel mezzo di esso e che -abbiamo eletta per iscopo della presente escursione. A cotale difetto -pensò rimediare il Comune di Bosisio, che, volgendo la ricchezza -procacciatagli dalla torba a migliorare le proprie sorti, vi stabilì -eleganti navicelli che invitano ad ascendervi. - -Voghiamo quindi adesso a questa graziosa isoletta. Non ha che -l’estensione di ventiquattro antiche pertiche. Gli alti cipressi e -pioppi, che si vedono sorgere come dall’onde, vi vennero piantati verso -il 1770 dal proprietario di essa, marchese Molo, onde assunse il nome -da quelli alberi, l’Isola de’ Cipressi. Il sullodato signor Giuseppe -Conti, che vi fu dopo il proprietario, non son molt’anni ne aveva -all’estremità praticato un taglio per istabilirvi un vivajo di pesci, -studiosissimo com’era, e come più sopra ricordai, di piscicoltura. -Nell’isola, del resto non si vedono ora particolarità maggiori delle -ombre amiche che invitano a riposo nelle ore più calde del giorno: -_frigus captabis opacum_, e dell’indistinto piacere che si prova di -ritrovarsi in piccol luogo tutto recinto dalle acque. - -Da qui tuttavia, Davide Bertolotti, sentimentale scrittore e poeta, -immaginò un suo gentile romanzo, che intitolò appunto _L’Isola de’ -Cipressi_. - -Il Comune di Bosisio non farebbe, credo io, opera vana ed infeconda, -traendo maggior profitto dalla bella isoletta, erigendovi qualche -casetta e trattoria. Sarebbe certo attrattiva maggiore a visitarla, -sarebbe richiamo pei villeggianti, che ne farebbero meta di passeggiata -e di divertimento. Sapere, come adesso si sa, che nell’isola non -c’è albergo, a pochi entra in capo di andarvi. Le vaghissime isole -del Verbano, perchè fornite di case e di alberghi, sono da tutti -frequentate e levate a cielo, come gemme di quelle acque; e perchè non -lo potrebbe essere di queste l’Isola de’ Cipressi? - - [Illustrazione: Isola dei Cipressi.] - - - - -ESCURSIONE VENTESIMANONA. - -IL BEL DOSSO. - - Corneno. — La _Cà di strii_. — Villa Besana. — Galliano. — - Carella. — Mariaga. — Alpe di Carella. — Il Bel Dosso. — Villa - Graziani. — Longone. — Osteria. — La Malpensata. — Penzano. — - Bindella. — Villa Galimberti. — Proserpio. — Villa Baroggi. — - Inarca. - - -Or lasciamo la vettura e camminiamo su queste magnifiche alture che -seguono dopo Pusiano. - -Il primo paese che veggiamo è Corneno. Bella è la sua posizione e con -qualche buona casa. Isolata ne sorge una, proprietà dei signori Conti, -intorno alla quale corrono le più strambe dicerie. Vuolsi dal volgo -che il diavolo vi faccia a fidanza, che s’odan la notte strascico di -catene e lamenti; chi ne fornisce una storia, chi l’altra: certo si -è che rimase il palazzo, a cui fu appiccicato il nome di _Palazzo del -diavolo_, od anche di _Cà di strii_, molto tempo senza essere abitato, -malgrado la felicissima sua situazione e la vista che vi si gode. - -Io raccolsi la tradizione, e ne feci subbietto d’un racconto nella -mia opera delle _Tradizioni e leggende di Lombardia_; epperò, a non -copiarmi, rimanderò il lettore a quel mio libro, s’egli ne voglia -sapere di più. Anche adesso la _Cà di strii_ non è abitata, ma mi -fu detto che i suoi proprietarî abbian di meglio per villeggiare, -nè quindi si cerchino di dare una smentita, col soggiornarvi, alle -vecchie ed insulse ubbíe del paese. Nella villa Besana, ora proprietà -del dottore Strambio, ed un tempo del pittore Andrea Appiani, su d’un -camino, in una sala, l’illustre pittore disegnò col carbone _Amore che -incatena il Tempo colle rose_, il qual disegno si conserva tuttavia -difeso da cornice. - -Segue Galliano, terricciuola ove son case e giardini signorili. Nel -grandioso giardino attinente l’ampia casa del milanese Paolo Biffi, -notabilità della confetteria e pasticceria, che qui or passa i suoi -vecchi giorni, veggonsi vecchie torri, istoriate da Giovanni Biffi -nella sua narrazione _La Ghita del Carrobio_. In molta prossimità di -Galliano trovansi i villaggi di Carella e Mariaga, pur onorati di -case di villeggiatura. Dietro a questi si distendono ridenti valli -intersecate da acque correnti, ed è in mezzo d’una di esse che la sua -vita d’artista e di poeta passò qualche tempo quel vivace scrittore che -è Antonio Ghislanzoni, togliendo a pigione una villetta, cui veramente -poteva dire _parva sed apta mihi_; e là fui a trovarlo, sempre -constatandogli il buon umore e la vena pronta ai motti, ai frizzi, -alle piccanti osservazioni. È di là che mandava a Verdi, a Petrella -e ad altri maestri i suoi libretti, di là i suoi articoli di critica -musicale al giornale di Ricordi; di là i suoi romanzetti scherzevoli -che ne han fatto di lui il nostro ameno Paul de Kock. - -Sopra queste alte vallate s’alza l’Alpe di Carella, che si può senza -molta fatica ascendere e da dove si corre coll’occhio per un piano -tutto sparso di paesi e di ville, fino a distinguere la freccia -dell’aguglia del Duomo milanese, e più in là tutta la valle del Ticino. - -Io invece non abuserò delle gambe del lettore e, fattolo uscire da -Galliano a una decina di minuti di cammino, batteremo alla porta del -_Bel Dosso_, alla villeggiatura principesca di Francesco Graziani, -il baritono dalla simpaticissima voce, che adoperò a raggranellar -un’ingente fortuna, massime cantando per molti anni di seguito a -Pietroburgo e Londra, e per la quale potè comperarsi questo superbo -ritiro, che prima aveva appartenuto a due miei amici, che morte rapì -nel fiore della loro età e delle speranze, voglio dire Giuseppe Galli -e l’avvocato Paolo Emilio Beretta. Il Graziani vi spese d’aggiunta -un’ingente somma ad abbellirla, a dotarla d’ogni comodità; dirò di più, -a fregiare la casa di ricca e preziosa suppellettile, perocchè, fra le -altre sale, una ne vidi con mobili intarsiati di malachite e con tavolo -tutto di questa pietra; ma il meglio della villa esisteva già, e questo -meglio è la sua posizione che la rende superiore a tutte l’altre, è -l’essere sulla punta di un promontorio, per il che le è dato di tutte -ammirare da un lato le bellezze del bacino dell’Éupili, ossia de’ laghi -che già abbiamo veduti, e dall’altro quelle non minori del Pian d’Erba. - -Dal Bel Dosso si entra nel paese di Longone, dove qualche tempo fa -si trovò un’ara coll’iscrizione: _Herculi invicto V. S. L. M; L. -Domitius Germanus salvo patrono_. Essa fu portata nel giardino della -villa Traversi a Desio. Qui a Longone raccomando l’osteria del paese, -dove chi cerca appagar l’appetito con cibi casalinghi vi è di certo -soddisfattissimo. Spesso l’osteria di Longone è il convegno de’ signori -del Pian d’Erba, a colazioni e pranzi, massime se si possa contare su -qualche lepre che vi si cucina a perfezione. Più sotto è Bindella con -migliore orizzonte, di poco diverso da quello del Bel Dosso, con villa -de’ Galimberti. Nel vicino Penzano due altri egregi artisti, i conjugi -Agostino Dell’Armi e Luigia Ponti, si procacciarono una comoda villa. - -La strada di Longone, che dovremo rimontare per fare una corsa a -Canzo ed Asso, ha principio alla Malpensata, dove riesce la strada -provinciale che viene da Inverigo, per tripartirsi, procedendosi per -un ramo a Pusiano e Lecco, per un altro ad Erba e per il terzo alla -Vallassina. Qui presso al ponte della Malpensata si rinvennero sepolcri -romani colla marca del figulino _R. I. D._ e vasi di terra contenenti -uno specchio metallico, armille, braccialetti e monete dell’epoca -imperiale. - -Arrestandoci per questa escursione a Longone, è impossibile che -non montiamo al vicino villaggio di Proserpio, dove han villa gli -Staurenghi, ora de’ Baroggi. Di qui era l’avv. Pietro Staurenghi, -presso il quale crebbi all’avvocatura, e dove più d’una volta ebbi -cortese ospitalità. - -Facile è correre colla mente a pensare che Proserpio derivi da -Proserpina, la Iddia infernale, che gli scrittori dicono avesse qui -delubro e culto. - -Rammento che il mio maestro ed amico, quando mi ebbe in sua casa, -mi condusse alla non lontana Inarca, breve accolta di casolari che -riguardano verso il lago Segrino, ma che nondimeno ha un superbo -orizzonte. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMA. - -LA VALLASSINA. - - Il lago Segrino. — Canzo. — Il Vespetrò. — I Corni. — La fontana - del Gajumo. — La cascata della Vallategna. — Il torcitojo - Verza. — Scarenna. — La Casa dell’eremita. — Asso. — Lapide - antica. — Arte. — La via al Pian del Tivano. — Pagnano, Fraino, - Caglio, Gemù. — Il Ponte Oscuro. — Lasnigo. — Le donne della - valle. — Le serve. — Onno. — San Carlo e la sua mula. - - -Lasciato addietro Longone, e mettendoci per la bella e spaziosa via, -che da pochi anni fu compiuta, che scorge alla Vallassina, vediamo -subito il Segrino e lo rasentiamo in tutta la sua lunghezza, che -non è molta. Questi eterni chiaccheroni, che sono gli etimologisti, -vorrebbero che il nome venisse a questo lago dal francese _chagrin_, -affanno, quasi che il bacino sia tristo e malinconico. Piacemi -rispondere ad essi anzi tutto che non potei mai comprendere per qual -ragione si ostinino a dir tristo questo lago. Se non è tutt’all’intorno -popolato di villaggi e palazzi, solo a capo del medesimo vedendovisi -abitato, non significa per ciò solo che lo si debba condannare. Se in -luogo del dosso verde e boscoso, che sta dalla riva opposta a quella -che noi percorriamo, sorgessero picchi nudi e ferruginosi, potrebbesi -aver ragione; ma quando invece questo bacino è tutt’all’intorno lieto -di verzura, quantunque solitario, non può dirsi tale da meritarsi -titolo di affannoso. Oltre di ciò, qual bisogno vi sarebbe stato di -tôrre a prestanza al linguaggio francese un vocabolo per battezzarlo? -Segrino finalmente si legge scritto in documenti antichi assai più -della venuta de’ Francesi in Lombardia ai tempi di Carlo VIII, e quindi -Segrino sarà un nome come qualunque altro, e se si sottrae diversamente -all’interpretazione, segue la sorte della maggior parte degli altri -nomi di laghi e di paesi. - -Oltre questo lago ci troviamo a capo del bivio in cui si scinde la -strada della Vallassina; perocchè vediamo l’altra via che mette -a Pontelambro, e che faremo noi pure al ritorno della presente -escursione. - -Dopo due corte miglia da Longone, ci si affaccia Canzo. È borgata -abbastanza grossa, che ha molte case di villeggiatura, sì che in questo -tempo di autunno vi si vegga una vera colonia milanese; tanto così che -venne eretto un teatro, dove si canta l’opera o si recita la commedia -con affluenza di pubblico, e vi si fanno liete feste di ballo. Così -popolato è sempre a sera il caffè, come di giorno frequenti sono gli -equipaggi che da’ paesi circonvicini traggono a scopo di visita o di -passeggiata. Famoso è poi il _vespetrò_ che vi si fabbrica, liquore che -arieggia la _chartreuse_ di Grenoble, la quale ci giunge di Francia e -che è sì ricerca e gustata. - -Succedono, al fianco destro di Canzo, i _Corni_, acuti picchi -altissimi, a metri 1385 sul livello del mare, che a Milano, come già -notai, si veggono; ma colla loro nudità non aggiungono tristezza, -e solo formano contrasto col resto, che è tutto lussureggiante di -vegetazione. - -Erano un dì rinomate le saje di Canzo che vi si fabbricavano; poi -prevalse la seta, e vi ebbero e vi hanno filande e filatoj i Verza ed i -Gavazzi. - -Traggono quei del paese, a titolo di divozione, a San Miro, che fu -nativo di questo borgo, nella prima domenica di agosto, alla sagra che -in onore di questo santo si celebra nel luogo solitario e alpestre che -vien detto la _Fontana del Gajumo_. Come accade in simili circostanze, -si merenda colà allegramente e la divozione si muta in un vero -divertimento. - -Dopo Canzo, seguendo il corso della via che conduce ad Asso, il tuo -cuore si esilara subito in questa nuova e vaghissima valle, dove si -presenta al manco lato Asso, il non men bello paese da cui prende -il nome tutto quell’importante territorio che si appella appunto -Vallassina, e che si vede, come scena teatrale, posar sul fianco del -burrone entro cui rumoreggia il Lambro, che non vi ha molto lontana la -sua scaturigine. - -La cascata della Vallategna, balzante a picco da erta rupe, sulla cui -vetta fa leggiadramente capolino il grande torcitojo dei signori Verza, -spruzza nella sua caduta, colle sue spume minutissime come atomi di -polve, a molti passi i viandanti. Altre cascatelle scendono giù dai -monti selvosi, che quantunque restringano l’orizzonte, pure non tolgono -bellezza alla graziosa valle, i cui facili e verdi declivî si avvivano -di grotte e di abituri, di ville e casali, ed è dimezzata dal Lambro -che vi scorre. Dall’opposta sponda è Scarenna, sopra la quale vi viene -additata la Casa dell’eremita, ove è fama che sul finir del duodecimo -secolo vivesse appunto un sant’uomo che s’era dato ad istruire la -puerizia e contasse fra i suoi alunni anche quel Miro, che fu poi santo -egli pure e che ho mentovato più sopra. - -Pochi passi e siamo ad Asso, il cui nome si suol dedurre dal celtico -_as_, significante sorgente. Ebbe, ne’ tempi efferati, castello di -cui non esiste che la torre in rovina. Un’altra torre, arnese di -guerra, era quella che fu poi convertita in campanile della chiesa -prepositurale. - -Era Asso una delle Pievi che componevano la Martesana; a’ tempi -pagani ebbe culto per Asclepio, nome greco di Esculapio, e forse da -Asclepio derivò il nome suo, avendosene dagli antiquarî ad argomento -l’iscrizione romana trovata in Vallassina fra Onno e Vassena, e che fu -letta così dal dotto archeologo Giovanni Labus - - Genio Asclepii - Lucius Plinius - Burrus et F. Plinius - Ternus votum solvunt. - -Nel medio evo fu Asso, come tutta la Vallassina, della mensa -arcivescovile di Milano. Allo spirare della signoria de’ Visconti -ne appare infeudato Facino Cane, celebre capitano di ventura e primo -marito della sventuratissima Beatrice di Tenda, poi l’altro capitano -Luigi del Verme e via via altri. Ebbe però governo proprio e statuto -indipendente sino all’editto 16 maggio 1765, in cui la Vallassina venne -incorporata al ducato di Milano. - - [Illustrazione: Ponte Oscuro.] - -Visitando Asso, veggasi la prepositurale, dove son dipinti egregiamente -i Misteri del rosario, ed è di Giulio Cesare Campi una pala -rappresentante l’Annunciazione. Qui pure sonvi signorili famiglie, tra -cui i Romagnoli, i Magnocavallo, i Merzario, i Mazza, per non dire di -tutti, ecc. - -Gli è da Asso per Sormanno e per Rezzago che le allegre comitive, messe -insieme dai paesi circonvicini, precedute da fanfare e ribechini, -ascendevano, più frequenti in passato, per il piano del Tivano, e -correvano a vedere quell’imbuto conosciuto sotto il nome del Buco della -Nicolina, dove, provenienti dalle ville del lago di Como, pur salivano -per l’opposto versante altre liete brigatelle a convegno concertato -alla città, e da cui entrambe non si toglievano che a notte fra lo -splendore delle faci resinose, come ho già fatto noto nell’apposita -escursione. - -Fuori appena di Asso, il pittorico è ancor maggiore; perocchè, oltre -le diverse intonazioni risultanti da’ caseggiati civili a’ rustici -commisti, oltre le torri ed i villaggi sovrastanti di Pagnano e di -Fraino ed i verdi altipiani di Caglio e di Gemù, ti si para subito -davanti una scena di bell’effetto nella vista del Ponte Oscuro, che -a certa altezza si gitta da un masso all’altro della roccia, su cui -corre la via che scorge a Valbrona e sotto cui, tra grossi ciottoli e -pietre staccate dalle pareti o rotolate dalle acque, scorre il Lambro, -dinanzi al quale sembra la roccia si sia aperta e divisa per aprirgli -il passaggio. - -A che i pittori e i _toristi_ nostri, domando io, vanno cercando alla -Svizzera scene e paesaggi per i loro quadri, per le loro impressioni, -se la nostra Lombardia e i monti dell’alta nostra Brianza ponno -loro offerirne di solenni e di belle, di svariate, e di ispiratrici -egualmente? - -A chi volesse deliziarsi di maravigliosi punti di vista; a chi -amasse gli erbosi altipiani alternare a’ villaggi, e a’ rugiadosi e -impervi sentieri preferisse ampio e regolare cammino, io consiglierei -volontieri di eleggere la recente strada che traversa tutta la -Vallassina per il corso di ben dieci miglia e riesce a Bellagio, uno -de’ più ameni paesi del Lario. Uscita appena dagli anfratti di Asso, -quella strada ritorna ampia e comoda per Lasnigo, ove hanno villa i -Rusconi ed altri, ed è prosecuzione di quella che dalla Malpensata -conduce, per Longone, a Canzo ed Asso. - -Visitando la Vallassina, a questa vaghezza di natura inanimata, altre -ne troverà della animata il lettore; e senza dire degli uomini d’un -ingegno svegliato, industriosi ed ospitali, i quali più spesso cercando -fortuna al di fuori e colà eziandio stabilendosi, non crebbero guari -fortuna al loro luogo nativo, accennerò delle donne col giudizio che -ne reca un non sospetto autore, l’oblato prevosto Vincenzo Mazza di -Lasnigo, autore d’una storia manoscritta della Valle, veduta dal Cantù. -Esse gli parvero modelli, come di avvenenza, così di costumatezza; -sobrie, pudiche, casalinghe, matronali sì da rimovere qualsiasi licenza -d’atti e di parole, e le fanciulle sanno all’uopo difendersi cogli -zoccoli, con sassi e colle spadine che portano come un’aureola in capo. -E poichè e alla città e altrove si ha tanto difetto di buone serventi, -il buon prevosto vi fa sapere come le donne della Vallassina sieno -ricercate come fantesche, nè v’abbia esempio che una sia stata espulsa -da una casa. Non ho voluto dimenticare questa particolarità della -Vallassina, perocchè ogni dì più cresca il lamento per la mancanza -di buone serventi. Gli aumentati opificî e la corruzione cittadina e -campagnola hanno distratto moltissime di queste donne dal mestiere del -servire che un dì pareva loro sì profittevole cosa. - -Se a riposarsi di tratto in tratto dal cammino avvenga di interrogare -quella buona gente alpestre, s’odono storie e tradizioni, leggende e -fiabe a illustrazione di castelli e di paesi, di genti e di famiglie; -e se non istessi io sull’avviso contro me stesso che di _tradizioni -e leggende_ parecchie son già stato narratore, potrei qui cingermi -la giornea e ripetere quello che ho appreso nella Vallassina, nè il -lettore sarebbe certo sì fortunato di finirla così presto d’esercitar -meco la sua pazienza. Non tacerò tuttavia d’accennar ciò che i -terrieri non chiamano fiaba o tradizione, ma pretta storia e miracolo. -Già toccai alla sfuggita di Onno, terricciuola della Vallassina che -siede sul versante del lago di Lecco; or bene raccontasi che quel -vigile arcivescovo che fu San Carlo Borromeo, nel visitare tutta -la sua diocesi onde conoscerla per l’appunto e recarvi i saggi suoi -povvedimenti, percorrendo questi luoghi aspri e montani, qui presso ad -Onno, cavalcando una mula, precipitasse con essa dentro un profondo -precipizio, ma che per sommo di ventura — essi dicon miracolo — ne -uscisse incolume. - -Ma io debbo, cortese lettore, qui arrestarmi, nè proseguire nella -Vallassina, per non discostarmi troppo dal Pian d’Erba, nei confini del -quale deve restringersi il mio libro. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMAPRIMA. - -CASTELMARTE. - - Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. — - Fabbrica di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti, - Prina e Mambretti. — _Ademprivo._ — Castelmarte. — Ville - Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu Castelmarte capo della - Martesana? — _Castrum Martis._ — Giunteria archeologica. — - Reliquie antiche. - - -Ritornando per la strada percorsa venendo da Longone, giungendo ora -dopo Canzo al bivio che ho già avvertito nella passata escursione, -pigliam la via alla mano destra e presto ci saremo introdotti in una -valletta amena, che il paesano denomina Val di Giano. - -È qui che ci si offre sull’altura a mano destra il paese di Caslino, -che ora fa parlare di sè pe’ suoi cacini, e a cui si va per una bella -strada, presso al luogo detto Mulino San Marco, dove c’è, oltre un -recente filatojo e un mulino, una fabbrica di coltelleria di Dionigi -Carpani, che gode assai credito, massime per certi coltelli da cucina. - -Caslino ha la sua storia, e il prevosto Carlo Annoni ne dettò una dotta -Memoria. Ora vi sono altre filande e filatoj degli Invernizzi, dei -Castelletti, Prina e Mambretti. Bella è la vallata erbosa del comune -che sta dietro il paese, e dove per una specie di _ademprivo_, quelli -abitanti pascolano le capre del cui latte si fanno i cacini suddetti. - -Dalla strada che seguiamo di Canzo, avanzando qualche passo, ci -troviamo ai piedi del colle su cui pompeggia Castelmarte. - -In attesa che si faccia da Pontelambro la strada più ampia e più -comoda, come se ne fa ora iniziatore quell’egregio uomo e rinomato -operatore chirurgico che è il dottor cav. Lamberto Parravicini, -inerpichiamoci per questo boscoso declivio. - -Non lungo è il cammino, e però presto ci troviamo in mezzo al paese. - -Dalle ville degli eredi Bertoglio, del dottor Parravicini sullodato, -che acquistò il luogo che prima era di don Giulio Ferrario, l’autore -del _Costume antico e moderno di tutte le nazioni_ e d’altre opere -dotte, non che da quella del ch. archeologo cav. Bernardino Biondelli -si può godere il più superbo panorama. Distendesi avanti allo sguardo -tutto il Pian d’Erba non solo, ma giù giù la Brianza inferiore co’ -suoi mille paesi e ville; di qui il lago d’Alserio, di là quello di -Pusiano, poi la lunga linea che segna il corso del Lambro, quindi un -confine d’orizzonte che si perde nell’azzurro ondeggiante dei monti, -che del resto non è difficile scernere e nominare. Una volta si montava -a Castelmarte per ammirare le pitture de’ più rinomati artisti moderni -nella villa Bertoglio e la raccolta completa di stampe in quella del -Ferrario; ora invece la ragione principale di curiosità è nella villa -del Biondelli, ove, fra tante pregevoli opere di pittura, di scoltura e -d’incisione, è degno d’osservazione un gabinetto tutto di leggiadrie e -lavori chinesi. - -L’amore che a questi luoghi indusse il dottor cav. Parravicini a -far sua la villa che fu del Ferrario, fa credere che la ridurrà a -quella proprietà e comodità dalla quale s’era venuta discostando -per l’abbandono in cui per tant’anni s’era da eredi e da acquirenti -lasciata. - -In quanto al paese, che dire? Dell’antico non avrei a ripetere che -ciò che sembra una favola, perchè nulla nulla si ha che autorizzi a -crederla una verità, che Castelmarte, cioè, sia stato il capoluogo -della Martesana, che si sa comprendere molte pievi. Chi lo affermò -non lo provò, nè mi fermerò oltre su questa maggiore importanza che a -questa minima terra si vorrebbe aggiungere, cui solo dal nome (_Castrum -Martis_) puossi a maggior ragione arguire che fosse un dì una rôcca e -che vi avesse culto speciale Marte, il Dio della guerra. La sua eccelsa -posizione rendevala propria a vedetta militare ed a luogo di difesa. - -Quanto piglierebbesi volontieri per le orecchie quell’inventore di -fatti e glorie storiche, che, cancellando l’iscrizione della pietra -che si vede incastrata nel muro esterno della parte posteriore della -chiesa, e che forse un giorno avrà coperto una sepoltura, vi sostituì -la seguente menzogna: - - D. O. M. - Ugone Franc. Functo - Esecrandi hostis - Aerumnis Ecclesiæ - Ineundo bello - Hierosolyma red. - Ucitur jam Nicea - Nicomedia Antiochia - Bisantio Vanei Fin. - Boemon Tane. Bald. - Redeun. Trand. com. - Goffredus regens - Palestina gloria - Onusto mortuo in - Sanguine patriæ - Ossibus restitutis - Ubaldo Prinæ - Duci fido socio - Rinaldo Estensi - Ferrariensi principi. - M - -È facile accorgersi dal dirsi l’Ubaldo Prina fido compagno del Rinaldo -da Casa d’Este, personaggio imaginario della _Gerusalemme liberata_ del -Tasso, come anche esso Ubaldo sia figlio della fantasia e della boria -di qualche Prina, de’ quali abbondano questi paesi, e che a costui sia -entrato il matto pensiero di giuntare gli archeologi dell’avvenire e -farsene beffa, per altro non di buon genere. - -Piuttosto segnalerò l’esistenza di altri avanzi antichi incastrati -nei muri esterni della detta chiesa parrocchiale, fra cui, sopra la -porta interna del campanile, un leone in bassorilievo e due tirsi -per istipiti di essa porta, poi nell’alto del campanile un busto di -donna frammezzo a due d’uomini, con sotto alcune parole che si lessero -_Ma.... conisi maximus_ e che appajono di colore oscuro. - -Visto Castelmarte, fra le case Bertoglio e Parravicini evvi una -stradicciuola che ci porta ad una stradetta o scala di ben quattrocento -scaglioni a più riparti, per i quali, a guadagno di tempo, mettiamoci -noi per condurci a Mazonio e Ponte, cui è destinata la ventura nostra -escursione. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMASECONDA. - -PONTELAMBRO. - - Mazonio. — La sua chiesa — Il pittor Ferrabini. — La Fusina. — - Filatoio Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — La Bistonda. - — L’annegato. — Pontelambro. — Case Guaita e Carpani. — Una - lapide nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — Villa Matilde. — - La Plejade de’ poeti politici moderni, sonetti. — Affresco - luinesco distrutto. — Villa Carpani. — Lezza. — Carpesino. - — Arcellasco. — Resica. — Filatoj Ronchetti e Mambretti. — - Brugora. - - -Scesi i quattrocento gradini della scala di Castelmarte, eccoci sulla -via che ne adduce a Mazonio, gruppo di quattro case da contadini, a -capo delle quali è la chiesa della parrocchia, che comprende, oltre -Mazonio, Ponte, Lezza e Carpesino. - -La chiesa è bella, architettata da Simone Cantoni, sebbene non abbia -ancora compiuta la facciata. Non ha quadri di valore, dove eccettui -una tela del milanese Giuseppe Sogni raffigurante Sant’Anna. I freschi -laterali all’altare sarebbero stati rinnovati da Pietro Ferrabini -da Lodi, prospettico e frescante eccellente della scuola del celebre -Sanquirico; ma mentre attendeva a disegnarne i cartoni e ad un tempo -frescava la chiesa a Rancio di Lecco, cadeva da un ponte eretto nella -chiesa, colpito da apoplessia. La posizione della chiesa di Ponte è -piuttosto alta, e dal suo piazzaletto si ha un’allegra vista. Da questo -si discende per una lunga scalea cordonata. Volgendo a destra, si va a -Caslino, incominciando la via a montare. - -La Fusina è un cascinale, ove è cartiera, molino e torchio, che si -presenta da questa parte dopo una casa incompiuta che siede su d’una -specie di dosso, che sarebbe buon sito a casa di campagna, se non fosse -signoreggiata dal vento, ma che non toglie sia nomata Bel Dosso. Fuor -del cascinale, il Lambro ha il suo letto sassoso, e il più spesso con -poc’acqua, sì che si passa a guado, tutt’al più facendo appoggio al -piede di qualche ciottolo più grosso. - -È qui che dirompendosi il letto del torrente nella roccia del suolo -lascia scoperto il fondo granitico, e l’acqua, raccogliendosi in un -canale, va più rapida a mettere in movimento il bello stabilimento di -filatura di seta del signor Ohli, condotto con tutta l’intelligenza e -proprietà d’un vero prussiano, com’egli è. Questo punto chiamasi il -_Zocco Romano_; ma perchè così si chiami non lo chiedete: nè io, nè -quei del paese ve lo sapremmo dire. Certo è di una sua propria alpestre -bellezza il luogo. Varcato il Lambro, s’entra come in una selva, dove, -a mano manca, da un dirupo scende lungo la nuda roccia una vena sottile -d’acqua che forma bacino, d’onde esce un rivolo, e il romantico sito è -designato col poco romantico nome di _Zocco Battista_. Migliore è la -cascata che a qualche centinaio di passi di distanza, a mano destra, -si precipita da un’altezza di forse una sessantina di metri dentro un -bacino assai più vasto e profondo e che s’incaverna di sotto il masso, -e vien detta la _Bistonda_. Poetico è il ritrovo e quasi incamerata -appare la cascata, e il raggio di sole che vi penetra vi si rifrange -bellamente. Narrasi d’un garzone che venuto a bagnarsi in quest’acqua -freschissima, inoltrando di troppo, vi sarebbe perito. Un poeta -sentimentale vi troverebbe il soggetto d’un amore di Ondina, cui il -nuzial talamo sarebbero state le liane della roccia galleggianti sulla -superficie del limpido laghetto. - - [Illustrazione: La Bistonda.] - -Tutto questo tratto solitario che s’addossa al monte, alla metà -del quale corre l’alpestre via che da Caslino guida a Pontelambro, -fiancheggiata da un rigagnolo che lascia parte delle sue linfe acciò -si gittino a dar vaghezza al paesaggio in spumeggianti cascate, è d’una -silvestre bellezza, e le ombre che presta giovano d’assai nella estiva -calura. - -Or ritorneremo sui nostri passi, e dalla scalea della chiesa -volgiamo all’opposto lato che or percorremmo per entrare in Ponte. A -distinguerlo da Ponte di Valtellina gli si aggiunse il nome del fiume -sulla cui sponda siede e che qui lo attraversa con un ponte, da cui -certo il paese si nominò, e che è di un bello e ardito arco ristaurato -in questi ultimi tempi, rendendosene più facile l’accesso col -diminuirne la pendenza verso il paese; il quale va ognor più allargando -la sua via principale che gli corre in mezzo, a scemare i pericoli -de’ rotanti nello scambio ed a rinsanire ognor più le abitazioni. -Continuandosi nelle migliorie, di cui vuol darsi lode al già suo -sindaco, il cav. Giuseppe Guaita, che per esse affrontò ben anco -l’impopolarità, è a sperare che sparisca la brutta fama guadagnatasi -dal paese, che passa per essere copioso di gozzuti, che per altro io -non vidi mai. - -Oltre la casa del predetto signor Guaita, ve n’ha pure altra signorile -del signor Cesare Carpani, al quale molto è debitore il paese per aver -concesso che da’ suoi fondi si derivasse l’acqua eccellente della quale -è ora abbondevolmente fornito; ed altra casa della signora Erminia -Carpani. Dalla prima si gode il prospetto severo della vallata di -Caslino, degna dello studio e del pennello d’un artista. Qui infatti -venivano negli anni scorsi e lo Stefani e il De Albertis e il Castoldi, -che nell’autunno del passato 1871 vi perdette la buona e affettuosa -moglie. Nel camposanto vi fu da lui collocato il monumento, pel quale -io dettai, a memoria della egregia donna, la seguente iscrizione: - - A Giovanna Castoldi-Villa - Che dalla natia Milano - Venuta invano a chiedere - Alla purezza di questo aere - I consueti conforti - Vi moriva addì XVI ottobre MDCCCLXXI - Il marito Guglielmo Castoldi pittore - E i giovanetti figli Romeo e Cesare - Seco portando ovunque - La santa memoria di sue miti virtù - Qui - Dove ne deposero inconsolabili le spoglie - P. Q. P. - -Presso il ponte e lungo il fiume sorge lo stabilimento a filatojo di -seta già del Bonsignori, ora del Bressi; e a notte, allorquando vi si -lavora, quelle tante finestre illuminate in quell’avvallamento in cui -si trova servono di fantastico effetto alla villa Carpani ed alla villa -Matilde, che stanno sulla sponda opposta, le quali s’uniscono ai voti -delle case Cesare Carpani e Guaita, perchè il camino del vapore venga -alzato e sia tolto l’incomodo fumo e il puzzo che in densa colonna si -svolgono da esso. - - [Illustrazione: Villa Matilde a Pontelambro.] - -Nella primavera del 1863 io era ospite del signor Carlo Carpani, -e nel passare questo ponte, rivolgendomi ad ammirare la pittoresca -scena del Lambro dalla parte appunto di Caslino, meravigliavo come mai -nessuno avesse mai pensato a tramutare in villa il brutto casolare che -s’ascondeva tra i peschi e mille altre piante; perocchè la postura -fosse fra le più invidiabili, essendo su facile poggio, avente a -ridosso la montagna boscosa che gli serviva di sfondo magnifico, e al -piede gli si sprofondava il Lambro col più pittoresco effetto; e sì mi -invaghii dell’idea, che in breve ora ne conchiusi per me l’acquisto, -e nel successivo anno s’elevava già su quell’eminenza la piccola -mia villa, cui, in omaggio alla mia sposa, imponevo il nome di villa -Matilde. - -Perdonerà il lettore, se l’affetto ch’io porto a questo loghicciuolo, -al quale ebbi la presunzione d’essere io medesimo architetto, mi trasse -qui a fornirgli il riscontro di sua veduta; nè poi, permettendo ch’io -dica dell’opera mia, concederà che ne parli, togliendo alcuni brani -da un’appendice a stampa del giornale _La Fama_, di quel mio dotto -e dilettissimo amico che è Pietro Cominazzi, e che egli riprodusse a -parte nell’accompagnarmi sette sonetti ad illustrazione di altrettanti -medaglioni di marmo de’ quali decorai, per un mio concetto patriottico -e letterario ad un tempo, la terrena sala. - -“E poichè parlasi del Pian d’Erba non vuole chi traduce[33] lasciarsi -sfuggire il destro di ricordare la _Villa Matilde_, proprietà dello -scrittore di queste lettere, un Casino Svizzero che, quasi grazioso -nido d’augelli, si addossa al monte di San Salvatore non lungi dalle -scaturigini del Lambro e sovrasta al popoloso ed industre borgo di -Ponte. Coll’intuizione del poeta, il Curti scoperse quel sito, sebbene -nascosto tra fittissime piante, e coll’ingegno dell’artista architetto -il cangiò da umile abituro in leggiadra dimora, non angusta, ma -comodissima, sebbene ristretta, togliendo ai massi della montagna lo -spazio che facea d’uopo ad ampliarla ed a compierne la salita ed il -giardino. L’amore alle arti, che il guidò nell’opera bella e sagace, e -diresse ogni cosa dalle bisogne più ricercate alle più umili, il trasse -ad arricchire l’amenissimo soggiorno di squisiti dipinti e di pregiate -scolture, sette delle quali, a bella posta trattate in medaglioni -con cui adornar si piacque un’ampia sala, recano, effigiate dallo -scalpello del Tantardini, del Magni e del Buzzi-Leone, le sembianze -dell’Alfieri, del Monti, del Foscolo, del Parini, del Niccolini, -del Leopardi e del Giusti; oltre un bel gruppo di Giovanni Cabialia, -cresciuto alla scuola di P. Marchesi. Una copiosa biblioteca conforta, -nei riposi del corpo, lo spirito del Poeta, lo ristora delle assidue -ed onorate fatiche del Foro e del Parlamento, e giova a rinvigorire la -memoria dell’erudito, che da quel suo tranquillo e beato asilo scopre -ne’ villaggi circostanti le grandi orme del Popolo Re. Fra i molti -dipinti primeggiano un Salvator Rosa, un Maratti ed un Poussin, e -recano fede del buon gusto e dell’amore del Curti allo stile classico -ed immortale, e fra le opere moderne ha i primi onori un bel ritratto -di donna, di Cesare Poggi e una bella tela del Castoldi, testè ammirata -alla pubblica mostra nel Palazzo di Brera, nella quale si raccoglie -e compenetra il bello per arte e per natura, esternamente visibile, -della villa che abbiamo in guisa rapida e succinta imperfettamente -descritta.„ - -Più tardi, cioè nell’agosto 1870, il medesimo Cominazzi, regalandomi -d’una sua pubblicazione _Plejade dei Poeti Politici Italiani moderni, -medaglioni in marmo nella villa Matilde_[34], ristampando la lettera -suddetta, vi soggiungeva: - -“Ora risalutando la villa e le sembianze dei Poeti, Plejade gloriosa -da te riunita a ricordo di quegli illustri che fecero famosa ai nostri -giorni o poco addietro nel politico arringo l’età che viviamo, pensai -di tributare a ciascheduno di loro, col mio povero verso, l’omaggio di -chi sente e non dimentica, - - VITTORIO ALFIERI. - - _Dello scultore cav. Pietro Magni._ - - Onta e sprezzo a colui che te maestro, - Te non saluta libero poeta, - E nell’opra del tuo terribil estro - L’ingegno reverente non accheta! - Tu per cammino al cieco volgo alpestro - Traevi ardito a generosa meta, - E noi guidavi, tu vigile e destro, - Al raggio singolar del tuo Pianeta: - - Di Libertà il Pianeta, e di quel lume, - — Fiaccola ai vivi, eterna gloria ai morti, — - Inconsumabil fiamma è il tuo volume. - - Or che stupir se Libertà traligna - Quando Italia, non più popol di forti, - Al suo grande Astigian fatta è matrigna! - - GIUSEPPE PARINI. - - _Dello stesso._ - - A te del vizio correttor sagace, - Gentil cantor del _nobile Mattino_, - Cui diede amico il Ciel del Venosino - Arguzia, grazia, fantasia ferace; - - A te la moda, petulante, audace, - Fronda non tolse dell’allôr divino; - Chè fra l’ira di parte è tuo destino - Agli avversi vessilli intimar pace. - - Tu l’aureo stil, le immagini venuste - Chiedi al passato e del saver la fonte, - Chiedi alla nuova età le idee robuste. - - Così d’Arte sovrana il magistero - Stringe, di tempo e d’uom sfidando l’onte, - In connubio immortale il Bello e il Vero. - - VINCENZO MONTI. - - _Dello scultore cav. Antonio Tantardini._ - - Solo una volta il vidi, e ancor mi suona - Dentro la mente quella voce amica: - Non può l’età, che pur nulla perdona, - La sacra cancellar memoria antica: - - Che splendida risorge e par mi dica - Nell’immagine sua: “Fa core e tuona - Contro una gente, che al ben far nimica, - Coll’insulto e l’oblio mi guiderdona. - - Me cantor di Prometeo e di Bassville, - Redivivo Allighier me plaudía Roma, - Chè in quel Sol fisse io primo ho le pupille. - - Per me, per me nell’italo idïoma - Men famosa non è l’ira d’Achille.... - Or si nieghi l’alloro alla mia chioma!„ - - UGO FOSCOLO. - - _Dello scultore Luigi Buzzi-Leone._ - - Spirto inquieto, indomito, iracondo, - Dei mali altrui più che de’ tuoi profeta, - Disdegnoso degli uomini, profondo - Critico e pensator, divin poeta: - - Ond’è che il verso, onde il tuo stil fecondo - D’una tant’aura popolar si allieta? - Ond’è che tu, forse ad altrui secondo, - Della gloria primier tocchi la meta? - - LIBERTÀ e PATRIA, che un amor congiunse, - — E di lor sole poche menti han sazie, — - Le magnanime idee t’ebber dischiuse. - - Quando sull’urna tua scrisser le Muse: - “_Al Cantor de’ Sepolcri e delle Grazie_,„ — - “_Alla Fede immutata_„ Italia aggiunse. - - GIAN. BATT. NICCOLINI. - - _Dello scultore cav. Antonio Tantardini._ - - Veglio, che pensi? Dal sembiante austero - Quanta spirar profetic’aura io miro, - L’aura che un tempo all’italo deliro - L’altrui scoverse menzogner pensiero? - - “Non credete a costei![35] Sogna l’impero, - Sogna e cova nel petto onta e raggiro: - A Libertà, dei Popoli sospiro, - Può il varco aprir la cattedra di Piero?„ - - E il ver dicevi, o generoso Vate; - Colei tradiva, e lo stranier ribaldo - Ribadia le catene a Libertate. - - Col verso intanto vigoroso e caldo - — Tremendo esempio alla più tarda etate — - Tu evocavi la grande ombra di Arnaldo. - - GIACOMO LEOPARDI. - - _Del medesimo._ - - Sofo e Poeta, Te l’Italia inchina - Sublime ingegno, e non bugiarda fama - Di tre favelle imperador ti chiama, - E tre corone al tuo capo destina. - - Di Libertà, che indocile si ostina - Spezzare i ceppi della patria grama, - Svegli nei cor la generosa brama - Colla splendida tua mente indovina. - - Ecco, libera Italia, ed i nepoti - Alzare i marmi al Ghibellin sdegnoso, - Che scopria del futuro i mondi ignoti. - - Ma l’opra è monca... e Tu dal tuo riposo - Sorgi e un inerte popolo riscuoti, - Ad osar pronto ed a compir ritroso. - - GIUSEPPE GIUSTI. - - _Dello scultore cav. P. Magni._ - - D’Archiloco lo strale e d’Aristarco - Il flagello tu vibri acre, temuto, - E collo stil sprezzatamente arguto - Facile t’apri agli intelletti il varco. - - Se il colpo aggiusta l’infallibil arco, - Punge e vellica a un tempo il ferro acuto, - Chè tu mai non obblii, prudente e astuto, - D’ammonir dilettando il doppio incarco. - - Come, o Cantor di _Gingillino_, il verso, - Che dal semplice trae forma e vaghezza, - Nella mente s’addentra e vi si chiude! - - Tal che il tuo dir, sì dall’altrui diverso, - Più volontier s’ascolta, e più s’apprezza, - Quanto si mostra men, la sua virtude. - -Su Ponte, sotto l’arco presso la casa de’ Bonsignori, ora Bressi, eravi -un fresco, riconosciuto come indubbiamente di Bernardino Luini; ma con -imperdonabile incuria di tutti, abbandonato alle ingiurie del tempo e -delle stagioni, in questi ultimi anni deperì e si scrostò talmente, che -l’ultimo resto, fattovi sparire dal signor Bressi, non gli può essere -ascritto a colpa. - -Ora non lasceremo Pontelambro senza ascendere la vicina e magnifica -villa del signor Luigi Carpani, che l’eredò dal padre Carlo, e che fu -già architettata dal Moraglia, con giardino eseguito su disegno di quel -grande prospettico che fu Alessandro Sanquirico. - -Vi precede come una specie di parco, che le aggiunge grandiosità, con -ampio viale fiancheggiato di alti alberi e roseti e tuje, e pel quale -si monta in carrozza alla casa. In essa poi vi sono pregevoli quadri -d’animali, del Londonio; qualche buon Fiammingo; due battaglie, del -Borgognone; una tela d’Arienti ed una del Migliara. Recentemente il -suo attuale proprietario vi recò altri pregevolissimi dipinti di scuole -antiche, come lo Sposalizio di S. Caterina col Bambino, del Padovanino; -una tavola di Cima da Conegliano rappresentante S. Giovanni Battista e -S. Pietro Martire; una figura veneziana, di Gentile Bellini; quattro -quadri di Santi Benedettini, di Daniele Crespi, e due tele di Brill, -una testa del Velasquez, ecc. ecc. — Dallo spiazzo avanti la casa si ha -una superba vista del Pian d’Erba. - -Uscendo dalla villa Carpani, in due passi s’è al paesello di Lezza, -dove era un tempo un convento di Serviti, che il tennero dal 1508 al -1510 e che ora è abbandonato al nitro che ne invade i bei sotterranei. -La piscina che vi fu eretta e coperta di portico, raccoglie l’acqua -fresca e salubre che vi scende dal monte sovrastante. - -Lezza ha estremo bisogno di imitare Pontelambro e di dar mano al -piccone ed al martello e allargare la sua unica via, così angusta da -passarvi appena una carrozza, e causa che i diretti per la Vallassina -abbandonassero affatto questa parte ed eleggessero esclusivamente la -strada di Longone. - -Oltre Lezza, al di là del Lambro, siede Carpesino, che taluni presumono -tragga il nome da _Carpe sinum_, piglia il porto; e se ciò fosse, -sarebbe memoria che sin qui si estendesse l’Éupili. Vi hanno ville i -Nava e i Caldara; più su vi è Brugora come sul ciglio di un pendío, -e per istrade praticate fra’ boschi si va a Proserpio e Longone, che -noi già abbiamo conosciuto; mentre progredendo per la via che qui ne -condusse, si trova Arcellasco, poi la Resica, ove è un filatojo già de’ -Carpani di Ponte, ora dei fratelli Ronchetti; e un altro dei Mambretti; -e finalmente si giugne al ponte della Malpensata. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMATERZA. - -SAN SALVATORE. - - I _Geritt_. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e Genolini. — - Il torrente Bova. — La dara. — San Salvatore. — Il convento. — - Il signor Boselli. — Giovanni Biffi. — Il tronco mellifero. — - La villa Righetti. - - -Da Lezza, per una via ampia sì ma acclive e che mano mano si ascende -scopre miglior orizzonte, perchè rivela da una parte il lago di Pusiano -e dall’altra quello d’Alserio, e con essi i loro vicini paesi, si -arriva a Mornico, villaggio che si confonde con quel di Crevenna, sì -che il nome del primo, più che sulla pietra miliare, non è ripetuto da -alcuno. - -A mezzo per altro di quest’ampia via dove si volge, formando angolo, -s’apre una tal vista, che chi vi avesse a fabbricare una casa vi -troverebbe certo a deliziare lo sguardo. - -Invece meno accorti speculatori, nel sottoposto vallone, vi eressero -casini, tra cui quello detto dei Gerini (_Geritt_), nel quale già -prendeva riposo dalle teatrali fatiche il tenore di bella fama -Bulterini, e da qualche anno quella esimia artista soprano, che è -la signora Enrichetta Berini e il di lei marito Osmondo Meini, basso -cantante di egregia riputazione. In compenso della limitata vista, vi -si gode della piena libertà, perchè fuor dell’accesso e dello sguardo -comune. - -In Crevenna vi sono le ville dei signori Bressi e dei Genolini, e -presso il paese si dirupa in profondo vallone il torrente Bova, che -poi, quando mena le sue acque tumultuose, le gitta nel Lambro poco -disotto a Carpesino. - -Nella villa de’ Genolini, quando apparteneva ai signori Fontana, traeva -frequente ospite amatissimo quel gentile scrittore e poeta, che ognun -conosce in Giulio Carcano, e quivi ispiravasi egli ad inni leggiadri, -de’ quali alcun breve saggio reca il presente mio libro. - -Sul piazzale della chiesa parrocchiale s’apre la via che guida a San -Salvatore. Quantunque essa sia abbastanza erta, pure è ampia e tale da -potersi valere della _dara_, specie di veicolo primitivo trascinato da’ -buoi, di che i proprietarî delle ville che vi sono a quell’altezza si -valgono bene spesso. - -Merita di salire a San Salvatore, che, stando al piano vedesi poggiare -a mezzo la montagna, cui dà il nome, come un nido di aquile. - -Quando si è giunti colà, si trova soddisfatti, perchè dal viale che -sta innanzi al caseggiato si ha uno stupendo panorama, tale da far -riscontro alla cima di Galbiate che gli sta di fronte sull’ultimo -confine del bacino dell’Éupili antico. - -Pervenuto a quell’altezza, al cospetto di sì maravigliosa natura, a voi, -come già a me, correrebbero al labbro i versi del buon Parini: - - Oh beato terreno, - Del vago Éupili mio, - Ecco alfin nel tuo seno - M’accogli; e del natio - Aëre mi circondi, - E il petto avido inondi![36] - -San Salvatore è un convento che già fu de’ Cappuccini, e che dalla loro -soppressione fu tramutato in villeggiatura. L’ebbe il signor Boselli, -rinomato istitutore di Milano, che qui conduceva i suoi convittori a -ritemprare la salute, nelle vacanze autunnali, coll’aere puro che vi -regna; ma sorvenuto il 1848, nelle memorande cinque giornate, caduto -vittima del piombo austriaco, la villa venne dalle leggiadrissime sue -figlie tenuta. - -Visitandola, più d’una volta vi trovai, come vi trovano tutti, il -più grazioso ricevimento dalla gentilissima signora Irene Boselli, -moglie a quel colto scrittore che è Giovanni Biffi, l’autore della -_Ghita del Carrobio_ e del _Prina_, il quale una volta mi fu anche -cicerone del luogo, e mi mostrò parte a parte ogni sala, ogni cella, -e la chiesa, a cui traggono i devoti di Crevenna in certe solennità, -e sulla quale, non saprei con quanto diritto, spiega il Comune pretesa -_ab immemorabili_, additandomi la stanza dove venne ospitato San Carlo -Borromeo e i mobili da lui usati, e via via l’orto, il cascinale e -il viale che poi mette al sentiero che percorre la montagna fino a -Caslino. Quel giorno, sorridendo, dopo avermi condotto presso un gran -tronco d’albero che giaceva in terra, mi ripeteva i versi del Manzoni: - - Stillano miele i tronchi: - Ove copriano i bronchi, - Ivi germoglia il fior; - -ed accennando a quel tronco abbattuto, dicevami come il dì prima -avesse trovato essere stato tutto cavo e pieno del più eletto miele, -che estraeva in due ben capaci recipienti. Da qui egli poi muoveva, -infaticabile Nembrod, a cacciar lepri pei monti, delle quali prese -frequenti fa parte agli amici. - -Il convento di San Salvatore è ora esclusiva proprietà della signora -Boselli-Righetti, figliuola al sullodato istitutore milanese. - -Le comitive allegre ed instancabili, a San Salvatore non fanno spesso -che una prima sosta; perocchè si dirigano sovente dopo per aspro -sentiero al _Buco del Piombo_, cui ho riservata la ventura escursione, -o alla _Colma_, che altro non è che il vertice del monte, dal quale è -dato di spaziare per gli opposti versanti; e lo sguardo, signore da una -parte del Pian d’Erba e della Brianza, dall’altra segue tutta la linea -non meno superba del lago di Como. I coraggiosi son molti, e fra questi -non mancano mai le gentili signore. - - [Illustrazione: Interno del Buco del Piombo.] - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMAQUARTA. - -IL BUCO DEL PIOMBO. - - La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — Aneddoto. — - Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — Concorso di gente. - — I versi di Torti. - - -E noi, poichè siamo già a San Salvatore, continuiamo la via pel _Buco -del Piombo_. È lunga, è aspra, ma retrocedere per pigliar l’altra -dell’opposto ciglione del monte non ne pare conveniente. - -È però cammino ameno e pittoresco, e se i piedi faticano, lo sguardo si -diverte e gode. - -Sorpassiamo gli incidenti del cammino, ed eccoci di sotto al Buco del -Piombo. - -Anni addietro abbisognava di certo coraggio per inerpicarsi fino al -punto, dal quale, per mezzo d’una scala a mano, si poteva penetrare -nell’antro; ma dopo che tutte queste Alpi, come le chiamano quei -del paese, vennero in proprietà del conte Turati, che su di esse vi -stabilì una razza di cavalli, la bisogna è mutata: l’accesso è reso più -praticabile e comodo. - -Non creda il lettore che la caverna per la quale entriamo tenga fede al -suo nome; traccia di piombo non vi si riscontra, nè pare vi sia stato -mai; non diamo però le spese al cervello per indovinarne la ragion -del nome; vi chiaccherarono intorno e scrissero assai e assai, ed un -costrutto non se n’è per anco cavato. Narrasi anzi, a tale proposito, -un aneddoto. Nel vicino convento de’ Cappuccini di San Salvatore, -che abbiamo testè veduto, nella biblioteca del chiostro, stava un -volume legato, sul cui dosso leggevasi il titolo: _Origine del Buco -del Piombo_. La mano d’ogni visitatore correva a togliere il volume -dallo scaffale, curioso di leggervi una tale origine; ma ne rimaneva -scornato: il volume non era che un pezzo di legno foggiato a libro, -fratesco scherzo, del quale si trova il riscontro in Venezia ai Frari, -dove è consimile volume lavorato dal celebre Brustolon. - -Sull’ingresso dell’antro veggonsi avanzi di muraglie e d’arpioni, -onde s’ha a credere che vi fossero applicate porte e che però vi -abitasse gente. Serviva a vedetta militare od a presidio? era rifugio -di predoni o di banditi? ricoveravan qui, com’altri presumono, i -Longobardi cacciati dall’ira de’ Franchi? Non v’è memoria o scritto -che il dica. L’atrio che sarebbe stata la parte abitabile, è spazioso: -ha la larghezza di metri 38, l’altezza di 42 e la lunghezza di 55, -ed è sempre qui che le brigate che vi montano si rifocillano colle -provvigioni di bocca mandate innanzi. - -Ma la caverna si interna e sprofonda per un vano quasi continuo della -larghezza di metri nove e dell’altezza di otto, e vi si può camminare -per circa 188 metri coll’aiuto della luce del giorno; più avanti si va, -si va accendendo qualche torcia, e dopo 18 metri di cammino, si giunge -a un punto dove a destra s’apre altra caverna larga circa metri 1,30, -ed avanzando per una trentina d’altri metri, leggesi una lapide che vi -fu messa, del tenore seguente: - - S. A. I. il Princ. Raineri Vicerè - Consigliere De-Capitani - Ciambellano conte Paar. - Gli 8 maggio 1819. - -Altri si spinsero più in là; trovarono che lo speco ora abbassavasi, -ora rialzavasi; che acque vi correvano in ruscelli o formavano pozze; -finchè non parve andare più avanti, forse essendo anche ciò pericoloso. - -Ho già detto a suo luogo come vi abbia chi opini che questa caverna -vada e s’inoltri fin presso la fonte Pliniana del lago di Como; ma non -sono che pure supposizioni, alle quali nulla porge fondamento. - -Sotto dell’antro, o Buco del Piombo, corre il torrente Bova, per mezzo -a un letto franato e fra roccie, che ne fan quasi un orrido d’artistico -effetto; ma pur di questo torrente ho parlato nella passata escursione. - -La curiosità chiama moltissimi visitatori al Buco del Piombo; dirò -di più: non v’ha villeggiante o forestiero che sia venuto nel Pian -d’Erba, il quale non l’abbia una volta almeno fatto scopo di una sua -pellegrinazione. - -Così lo ricordava il Torti in que’ versi che dal Pian d’Erba dettava: - - O selvose montagne, o gioghi erbosi, - O di lontan sovreminenti al verde - Cornuti massi, o dolce aere vitale, - O dal sol di settembre illuminate - Felici rive, umili poggi e sparsi - Casali e ville, e pascoli e vigneti - Dell’Éupili ridente; o vasto speco - Di nome senza origine, su in alto - A mezzo monte dalle curve strade - Per gran paese riveduto sempre; - O collinetta sovra l’altre amica - Ov’io sedeva a contemplar la mesta - Valle del mio Segrin; voi già mia prima - Delizia e voluttà, di tutto l’anno - Speme e pensier... - -Oh! veramente son questi luoghi tali da ispirare e da accendere gli -estri del poeta; nè vi fu amico delle Muse che a queste delizie del -Pian d’Erba traendo, non se ne sia ispirato, non ne abbia poi ne’ carmi -espresse le soavi dolcezze. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMAQUINTA. - -LA VILLA AMALIA. - - La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria degli - Angeli. — L’avv. Rocco Marliani. — Il palazzo, il giardino e - il bosco. — Il monumento a Parini. — Monti e Foscolo ospiti. — - Episodio della Mascheroniana. — La torre. - - -Ridiscesi a Crevenna, proseguiamo la via che ci condusse da Lezza, e -dopo qualche centinaia di passi, ci ritroviamo ad Erba superiore. - -Noi riserbandoci a veder il paese, per ora arrestiamoci qui davanti -alla villa Amalia, che ha innanzi vaghi tappeti d’erba e vasto -piazzale. Due facciate ha la villa; l’una riguarda al giardino, l’altra -alla corte: a quella cresce grandiosità una gradinata e un padiglione; -a questa bellissimi bassorilievi in terra cotta; ma l’ingresso è per un -cancello da questa parte che sta di fronte ad Erba. La chiesa laterale -ti rammenta subito che un dì potesse essere questo luogo un convento. -Infatti vi fu fabbricato da Guido Carpano e dalla chiesa fu detto di -Santa Maria degli Angeli. - -Francesco Del Conte vi stabilì i Cappuccini; passò di poi ai Filippini; -finchè al principiar del secolo corrente, l’avvocato milanese Rocco -Marliani, consigliere della Corte d’Appello, l’acquistò, e su disegno -di quel valente architetto che fu Leopoldo Polak, vi eresse la sontuosa -villa che, dal nome della propria sposa, appellò Amalia. - -Nel cortile di essa lasciò memoria di ciò nell’iscrizione seguente: - - Rochus Petri Fil. Marlianus - Domo Mediolano - Cœnobi veteris operibus a solo ampliatis - Villam extruxit ornavit - Amaliam - Ex conjugis karissimæ nomine appellandum - Anno 1801[37]. - -E dirimpetto a tal lapide stanno i seguenti versi d’Orazio: - - Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus - Hortus ubi, et tecto vicinus jugis aquæ fons, - Et paulum sylvæ super his foret. Auctius, atque - Dî melius fecere. Bene est. Nihil amplius oro[38]. - -Vi condusse il Marliani artisti ad abbellirla, e di Giuseppe Bossi -infatti vedesi un’Aurora, dipinta nella sala di mezzo del palazzo; -e nel giardino, o a meglio dire, nel bosco che vi fa parte, rizzò -un tempietto sacro alla Prudenza, rappresentata da una statua che vi -sorge nel mezzo, e poco appresso collocò due statue, Diana ed Atteone. -Dove poi l’ombra è più oscura del bosco, eresse un monumento con un -busto, opera di Giuseppe Franchi, tutto recinto di macchie d’alloro, -fiancheggiato da funereo cipresso, e lo consacrò alla memoria di -Giuseppe Parini, che fu sovente ospite venerato del Marliani; e comechè -nel sottoposto sotterraneo ei vi avesse collocato un organo che, tocco, -mandava una mesta armonia, così aveva fatto scolpire sulla base del -monumento a Parini i quattro versi di lui, tolti all’ode _All’inclita -Nice_: - - Qui ferma il passo, e attonito - Udrai del pio cantore - Le commosse reliquie - Sotto la terra argute sibilar. - -E come Parini, qui venivano accolti dalla cordialità e dall’affetto -riverente del Marliani anche Foscolo e Monti, il qual ultimo raccomandò -alla imperitura memoria dei posteri il nome della villa, illustrando -la tomba del grande poeta che vi è conservata, nelle seguenti terzine -della sua _Mascheroniana_: - - I placidi cercai poggi felici - Che con dolce pendío cingon le liete - Dell’Éupili lagune irrigatrici; - - E nel vederli mi sclamai: Salvete, - Piagge dilette al ciel, che al mio Parini - Foste cortesi di vostr’ombre quete! - - Quand’ei fabbro di numeri divini - L’acre bile fe’ dolce, e la vestía - Di tebani concenti e venosini, - - Parea de’ carmi suoi la melodia - Per quell’aura ancor viva; e l’aure e l’onde - E le selve eran tutte un’armonia. - - Parean d’intorno i fior, l’erbe, le fronde - Animarsi e iterarmi in suon pietoso: - Il cantor nostro ov’è? chi lo nasconde? - - Ed ecco in mezzo di recinto ombroso - Sculto un sasso funebre che dicea: - _Ai sacri Mani di Parin riposo_... - - Ed una non so ben se donna o dea - (Tese l’orecchio, aguzzò gli occhi il vate - E spianava le rughe e sorridea) - - Colle dita venia bianco rosate - Spargendolo di fiori e di mortella, - Di rispetto atteggiata e di pietate! - - Bella la guancia in suo pudor; più bella - Sulla fronte splendea l’alma serena - Come in limpido rio raggio di stella. - - Poscia che dati i mirti ebbe a man piena, - Di lauro, che parea lieto fiorisse - Tra le sue man, fe’ al sasso una catena; - - E un sospir trasse affettuoso e disse - Pace eterna all’amico; e te chiamando - I lumi al cielo sì pietosi affisse, - - Che gli occhi anch’io levai, fermo aspettando - Che tu scendessi, e vidi che mortale - Grido agli Eterni non salía più, quando - - Il costei prego a te non giunse; il quale - Se alle porte celesti invan percote, - Per là dentro passar null’altro ha l’ale. - - Riverente in disparte alla devota - Ceremonia assistea, colle tranquille - Luci nel volto della donna immote, - - Uom d’alta cortesia, che il ciel sortille - Più che consorte, amico. Ed ei che vuole - Il voler delle care alme pupille, - - Sol per farle contente eccelsa mole - D’attico gusto ergea, su cui fermato - Pareami in cielo, per gioirne, il sole. - - E _Amalia_ la dicea, dal nome amato - Di colei che del loco era la diva, - E più del cor che al suo congiunse il fato. - - Al pietoso olocausto, a quella viva - Gara d’amor mirando, già di mente - Del mio gir oltre la cagion m’usciva. - - Mossi alfine, e quei colli ove si sente - Tutto il bel di natura abbandonai - L’orme segnando al cor contrarie e lente[39]. - -Fu lunga la citazione, ma in compenso splendida, come splendidi sono -sempre i versi di Vincenzo Monti, al quale l’età più prosaica osa -temeraria levarsi e contendere il lauro di poeta. - -La villa Amalia passò dopo a diversi signori, finchè pervenne al -marchese Massimiliano Stampa Soncino, che vi aggiunse bellezze a -bellezze. - -Dalla torre che vi sta, si può abbracciare collo sguardo il più -stupendo orizzonte ed estasiarsi alla vista di monti e colli, di laghi -e fiumi, di paesi e ville infinite e campagne e boschi. - -Gli amatori di botanica avrebbero per più d’un’ora a deliziarsi -ammirando le infinite camelie di più qualità, boschetti di fusaria -del Giappone, cespugli di azalee e di rododendri, e rose magnifiche, -e mazzi di _olea fragrans_, per non dir d’altri molti e fiori e piante -peregrine, che di loro vaghezza e profumo imparadisan la villa, degna -della ricchezza e nobiltà del suo cortese proprietario, e però va -meritamente tra le più splendide e deliziose della Brianza annoverata. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMASESTA. - -ERBA. - - Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il castello - e la villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente Bocogna. — - Villa Conti. — Erba Inferiore. — Pretura, ufficio telegrafico, - albergo e botteghe. — Il caffè e gli _amaretti_. — Il teatro. - — Ville Clerici e Brivio. — Vill’incino. — Mercato d’Incino. — - _Liciniforum._ — Lapidi. — Ninfeo antico. — Fatti storici. — Il - mercato del giovedì. - - -Questa borgata, che dà il suo nome al bellissimo territorio che -vengo dichiarando al lettore, distendendosi su d’una eminenza a mo’ -d’anfiteatro per quelli che la riguardano venendo dalla Malpensata, fa -sì che alla parte più alta si assegnasse il nome di Erba Superiore, ed -è certo la migliore, perocchè domini una quantità maggiore d’orizzonte, -potendosi spingere l’occhio sin là presso Cesana e Galbiate, e vedere -il Monte Baro, e via via quelle ridenti colline che finiscono alla -Montevecchia, e quella ridente estensione della Brianza co’ suoi -infiniti villaggi; mentre poi da sinistra si posa sui colli placidi e -d’insensibil pendío di Proserpio, colla biancheggiante sua chiesa che -s’avanza fin sull’estremo limite d’un promontorio, su Castelmarte e -sui denti o corni di Canzo e sull’Alpe di Carella che, massime all’ora -del tramonto, si veste delle più calde tinte che mano mano si vengono -trasformando in auree, poi in porporine, quindi in violacee, finchè -l’ombra notturna non le abbia confuse nell’uniforme bruno. - -Era certamente nell’ammirazione di questo stupendo panorama che lo -scrittore d’_Angiola Maria_ esclamava: - - O monti, o vette aeree, - O piani d’Erba, addio! - O valli, o poggi placidi - Dal fertile pendío, - Asil soave e muto - Di rustica beltà; - Io v’amo, io vi saluto - Con mesta voluttà. - - Salvete, o voi tranquille - Innumere borgate, - Liete cosparse ville, - Campagne invidïate! - Io v’amo, e in cor vi sento - Com’inno del mattin, - Come il primiero accento - Dell’italo bambin. - -Erba non può contare, è vero, una storia ricca di avvenimenti; ma -per l’aiuto dato all’armi milanesi alla battaglia da questi ultimi -combattuta contro gli aderenti del Barbarossa nel nove agosto 1160 — -fu una nobile e generosa azione — s’ebbe il diritto di cittadinanza, -che le fu mantenuto anche in seguito e da Ottone Visconti, e dagli -Spagnuoli e dai Tedeschi. Di più ne dice il prevosto Annoni nella sua -_Memoria storica e archeologica intorno al Pian d’Erba_, cui rimando -il lettore, per non essere tratto dall’amore degli storici studî a -cingermi la giornea e mettere a cimento la pazienza di lui. - -Attivamente poi partecipa il suo territorio all’industria che meglio si -fa alla Brianza, alla serica vo’ dire, potendo contare oltre quaranta -filande e quaranta filatoi, e così vien presso agli altri distretti di -Oggionno, di Vimercate e di Lecco, che si additano come i meglio dotati -in Lombardia di congeneri stabilimenti. - -Sull’angolo sinistro d’Erba Superiore sorgeva un tempo, come del resto -si riscontra in ogni terra di qualche importanza, il castello, ora -convertito alla più felice villeggiatura de’ signori Valaperta, dove -più d’una volta vidi ospite quel valoroso campione dell’arte pittorica -moderna che è Francesco Hayez. - -Di sotto al castello si avvalla con grazioso effetto il terreno, epperò -vien detto Pravalle, pel quale un dì precipitavasi il torrente Bocogna, -menando i soliti guasti de’ suoi pari; ma i Valaperta ne rivolsero a -bene le acque, facendole servire ad una filanda o filatoio. - -Sul ciglio dell’opposta eminenza, al di là di Pravalle, si pavoneggia -la elegante villeggiatura de’ signori Conti, che divide coi Valaperta i -vantaggi della fortunatissima posizione. - -Erba Superiore è occupata per lo più da ville o case da villeggiatura: -il movimento principale è nondimeno in Erba Inferiore. La borgata è -dotata di Pretura, di ufficio telegrafico e di albergo: ha tutte le -botteghe occorrevoli al vitto, come in una città; massime le carni vi -si trovano eccellenti dai villeggianti; al suo caffè, elegantemente -riaddobbato di fresco e famoso pe’ suoi _amaretti_, sorta di pasticcini -torrefatti e che contendono il primato con quelli di Saronno, nelle -ore pomeridiane d’autunno vi convengono i signori e le eleganti dei -dintorni, sia venendovi a piedi, sia cogli equipaggi, felici del -vedersi gli uni gli altri; perocchè, del resto, la sosta avvenga in una -via ristretta e senza attrattiva di sorta. - -Sulla vetta dell’eminenza su cui seggono le sue case, il pittor Rosa, -nel grandioso caseggiato da lui fabbricato e che affitta nelle ferie -autunnali a famiglie per lo più milanesi in distinti e ammobigliati -appartamenti, costruì un teatro, nel quale in quella stagione recita -talvolta qualche drammatica compagnia sviata. - -O per la postale, o per sentieri si discende nel sottoposto piano -a Vill’Incino, dove sorge la prepositurale nella cui giurisdizione -è Erba. Scendendo per la prima, al risvolto trovasi la villa già -Clerici, ora Mazzucchetti, che ognun veggendo augura veder tramutato -in albergo, tanto se ne sente il bisogno e propizia ne appaia la -posizione; ed a fianco di essa al principio della via che si interna -e guida a Lezza sorge altra villa de’ signori Brivio ed un filatoio. -Proseguendo invece per la postale, dopo la Clerici, a un centinaio -di passi si è alla suddetta prepositurale. Alquanto più in là è -Incino, o Mercato d’Incino, che, comunque spopolato tutti i dì della -settimana all’infuori del giovedì, in cui v’è l’antichissimo mercato -con opportuni portici e che diè nome al paese, pure ha memoria di fatti -storici. Eravi certo una colonia romana e vi si trovarono sepolcri e -ossa giganti e armature dell’epoca. Chiamavasi allora _Liciniforum_, -ossia foro o mercato di Licinio, dal nome di qualche pretore o patrono -che vi comandava la stazione militare, o la colonia; onde il conservato -nome di per sè vale a scalzare d’ogni fondamento la pretesa di chi -volle collocare _Liciniforum_ nel luogo del poco discosto Parravicino. - -Del tempo romano qui si sterrarono e lessero due lapidi. - -La prima: - - Herculi - C. Metilius - Secundus - Votum Solvit Libens Merito. - -La seconda: - - Jovi Optimo Maximo - Cœsia Tullii Filia - Maxima - Sacerdos - Divae Matidiae[40]. - -Una terza lapide importa poi di qui riferire, come rinvenuta in alcune -escavazioni, perchè forse fa cenno di un ninfeo qui esistito: - - Lymphis Viribus Quintus Vibius - Severus votum solvit. - -Anche più tardi, nel medio-evo, da Landolfo da Cardano, arcivescovo di -Milano (979-998), venne Incino eretto in capitanato, investendone della -suprema autorità un suo fratello, come aveva egualmente fatto degli -altri due capitanati di Carcano e Pirovano con Missaglia. I Comaschi e -i Torriani, combattendo Ottone Visconti arcivescovo di Milano e capo di -parte nobilesca, lo diroccarono. Su queste terre, in età più inoltrata, -fervendo le lotte guelfe e ghibelline, la fazione guelfa portò -desolazione e morte, soqquadrando ogni avere e commettendo i più infami -assassinî. - -Era poi Incino la pieve più vasta ed importante dell’arcivescovato di -Milano, e fino dal 1288 contava sotto la propria giurisdizione sessanta -chiese. Alla sua prepositurale andava inoltre aggiunta una collegiata -di più canonici, che San Carlo, nel 1584, trasferì alla, prossima -chiesa di Vill’Incino, avendo trovato spopolato il paese. Quella chiesa -antica è per altro degnissima, per la sua vetustà, di osservazione. - -Il giovedì, frequentatissimo è ora il mercato anche da’ villeggianti -de’ dintorni; ma verso il meriggio si dirada il concorso, e poco poco -il vecchio mercato di Incino ricade nel primitivo silenzio e nella -solitudine. - -Con tutto ciò vi sono due decenti alberghi, dove trovan alloggio -benestanti famiglie sempre nella stagione autunnale, e alle quali -appunto la quotidiana solitudine toglie soggezione e aggiunge quella -maggiore tranquillità che si accorre appunto dalla città a ricercare in -campagna. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMASETTIMA. - -LA VILLA ADELAIDE. - - Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — Parravicino. - — Ville Parravicini, Belgiojoso e Gariboldi. — La torre - pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia contro il - Barbarossa. — Orsenigo. — Il Carudo. — Le Lische Amare. — - Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’ ladri. — La Retusa. — - Tassera. — La villa Adelaide. - - -Da Erba, salendo la via che corre sotto l’antico castello, ora villa -Valaperta, e volgendo a manca, dietro la villa Conti è la strada che va -a Parravicino e subito s’incontra la villa Maria, della contessa Maria -Lurani. - -Solo prima dirò una parola di Bucinigo e Pomerio, che si comprendono -nel Pian d’Erba; perocchè dopo segua Villalbese, celebre per ottime -castagne e per freschissimi crotti, a cui gli amatori del buon -vino corrono ad ogni lieta occasione, ma che entra in una diversa -circoscrizione da quella del Pian d’Erba; onde avanti di esso mi -convenga arrestarmi, perchè, tratto dalle bellezze dei luoghi, -facilmente sarei fuorviato dal mio cómpito e arriverei presto per -quella via a Como. - -Bucinigo, terricciuola resa vivace da filande e incannatoî, ha più -d’una villa, e fra queste quella de’ signori Vidiserti, che giovami -specialmente ricordare perchè famosa per la sua patriarcale ospitalità, -ivi i moltissimi amici rinvenendo sempre la più graziosa accoglienza. -A noi poco importa di discettare sulla pretesa di coloro che il -nome al paese sia stato lasciato da un _buco iniquo_, che dicono -esistere tuttavia in un giardino, e così appellato perchè nei tempi -delle prepotenze feudali ivi si desse martirio agli infelici che non -entravan nel genio de’ padroni; o sulla contraria opinione di chi -invece dalla terminazione presume aver il nome radice celtica: lasciamo -ai dotti il trarsi d’impaccio. La torre, di cui son superstiti pochi -ruderi, rammenta le lotte fra loro sostenute dalle famiglie Sacco e -Parravicino. - -A Pomerio, vicinissimo, veggonsi avanzi di fortificazioni, che dovevano -esservi necessariamente per rispondere al nome di _post murum_, il -quale d’altronde era nella terminologia militare d’allora. - -A Parravicino, vediamo seguitarsi tre o quattro ville graziose dei -Parravicini, dei Belgiojoso e dei Gariboldi. - -Nel giardino de’ Belgiojoso vedesi una torre pendente, come il -campanile di Pisa e la Carisenda di Bologna, ricordata da Dante nel -canto XXXI dell’_Inferno_. - -Segna essa la dimora de’ Parravicini, che, sbandeggiati dai Rusconi di -Como, qui venuti, diedero origine al villaggio. - -Di Casiglio non vale far cenno, che per dire essere nella sua chiesa il -sepolcro di Beltramino Parravicino, il qual fu vescovo di Como e poi di -Bologna. - -Fuor della strada, è Carcano, che fu già castello forte e sostenne più -assedî, e diè origine alla patrizia famiglia de’ Carcano. In queste -campagne fra Carcano, Orsenigo e Tassera, nel nove agosto 1160 fu -combattuta una fiera battaglia fra gli aderenti di Federico Barbarossa -e quelli de’ Milanesi, e che altri chiamano di Tassera, altri di -Carcano, altri di Orsenigo; ma non importa il nome, mentre giovi invece -conoscere come ne fosse felicissimo risultamento la sconfitta del -Barbarossa e il pieno trionfo de’ Milanesi, determinato dall’improvviso -intervento di quei di Orsenigo ed Erba, ai quali fu in guiderdone -concesso di poi il diritto di cittadinanza. In mezzo a questi campi, -l’arcivescovo Uberto da Pirovano, cantato aveva allora sul carroccio -milanese la messa e tenuta una sacra arringa a’ soldati onde eccitarli -alla pugna contro l’invasore straniero. Nel primo scontro, che fu -terribile, quel sacro carro caduto nelle mani nemiche, veniva distrutto -nel luogo detto il Carudo; ma poi, per l’insperato soccorso, ristorate -d’un tratto le sorti della battaglia, i Milanesi s’erano presa la -rivincita gloriosa. - -L’oste nemica si era spinta fino al lago d’Alserio, breve bacino di -un miglio e un quarto di lunghezza e di mezzo di larghezza, sulla -cui sponda è Alserio piccol paese che gli dà il nome. Era nel pantano -delle Lische Amare che vuolsi s’impigliasse il corsiero del Barbarossa, -onde il tempo perduto a districarsene gli avesse a riuscire fatale. -— Castellazzo, paesello, su d’una facile eminenza, fu così detto -da un forte che i Milanesi vi costrussero nel luglio del 1162 per -contrapporre a quello di Carcano, ove si erano rifugiati, pronti a -rinnovare le offese, i fautori dell’Enobarbo. - -Al piede di questa bella eminenza evvi un casale ed un’osteria, detta -la _Ca’ de’ ladri_: è facile indovinare come la brutta denominazione le -venisse dall’essere il luogo isolato e proprio, massime in addietro, a -ricoverarvi siffatta genìa. - -Tutti questi paesi or sono animati da ville ed opificî, e nella parte -più elevata di questo punto, vicino al lago, evvi la _Retusa_, fonte -limpida, salubre e perenne, usufruttata a muovere macine, e ad animare -stabilimenti di serica industria. - -Affrettiamoci invece a visitare la villa Adelaide, che sorge a Tassera -e presso alla riva del lago d’Alserio. - -Dapprima l’ebbe la famiglia Imbonati, della quale fu ultimo rampollo -quel marchese Carlo, alla cui memoria consacrò Manzoni splendidissimi -versi sciolti, che ora ha il torto di respingere dalle edizioni fatte -sotto gli auspicî suoi; poi l’ereditò il barone Patroni, che, fattala -dall’architetto Clerichetti di Milano ultimare, riducendola a stile -nordico, forse scozzese, diventò fra le più splendide che si conoscano -anche per ricchezza degli interni adornamenti. I giardini sono -egregiamente ordinati; getti d’acque perenni la ravvivano, comunque -non sia tutto ciò giunto, per sentimento degli schifiltosi, a togliere -quell’aria poco allegra che quel seno del lago vi dà. Morto il Patroni -e legata ai Calvi la villa, questi la tennero per poco, vendendola a -un commerciante genovese che volle lucrare togliendovi molti alberi; ma -essa fortunatamente, fin allora chiamata Patroni, dal suo più generoso -proprietario, venne di recente alle mani del cav. Domenico Basevi, -che, profondendovi egregie somme, non solo la restituì al primitivo -splendore, ma ne lo aumentò d’assai. - -Figuri quindi il lettore se non avessi allora ragione di dedicarle una -speciale escursione. - -Oggi essa ha nuovo battesimo, e dal nome della sposa dell’attuale -proprietario, si intitola _Villa Adelaide_. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMOTTAVA. - -MONGUZZO. - - Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate - Rota. — Nobero. — Le sue pesche. — Il Cavolto. — Le fornaci. - — Monguzzo. — Il suo castello e la sua storia. — I marchesi - Rosales. — Villeggiatura Mondolfo. - - -Tanto da questa parte ove ci troviamo, quanto dall’altra parte del -lago d’Alserio, per la via che dalla Vallassina si va ad Inverigo, -si può ascendere sulla vetta del colle su cui signoreggia Monguzzo: -noi attendendo di continuare per la via di Parravicino nella ventura -escursione, scegliamo adesso la seconda. - -Esciti da Vill’Incino, che già vedemmo, ci troviamo, dopo avere -attraversato una strada che si chiude fra i campi, alla via provinciale -della Malpensata, e, volgendo a ritroso di essa, cioè a destra, in poco -tratto di cammino ci troviamo a Pontenuovo, da dove una via riesce -a Merone, quindi a Moiana, Rogeno, Casletto e Garbagnate Rota, paesi -tutti rallegrati da signorili villeggiature, che di poco discosti da -Bosisio chiudono da una parte, all’intorno al lago di Pusiano, quel -territorio che abbiam percorso del Pian d’Erba. Proseguendo poi per -quella onde siam venuti, ci vediamo a Nobero, o Nobile, come altri -chiama questo quadrato di caseggiati aperto da un lato, che, tinto -per la più parte in roseo, ti accenna com’esso appartenga ad un solo -proprietario, al signor dottor Domenico Porro, che personalmente -attendendo alla sapiente direzione dei suoi fondi, ne ottiene i più -fecondi risultamenti. Particolarità di questo villaggio sono le più -eccellenti pesche, sulle quali conta il colono fra i prodotti a sè -dovuti: diritto cotesto limitato a questi terrieri, onde moltiplicate -se ne veggano le piante. - -Prima però d’entrare in Nobero, non sarà inopportuno dare uno sguardo -al _Cavolto_, specie di serbatoio del Lambro, da cui si deduce l’acqua -che va ad irrigare il real parco di Monza, dopo avere percorso una -quindicina di miglia. - -Alle fornaci presso Nobile si fanno mattoni marmorati, valendosi di -un’argilla che si cava dal pendío orientale d’un poggio, che ha un -color plumbeo, e mescendola con altra ordinaria gialla. - -Per una strada praticata nel colle, si monta a Monguzzo. - -Il paese è in felicissima postura, perchè a mattino vede il Pian -d’Erba, a mezzogiorno domina il bacino dell’Éupili, a ponente la -Brianza, e a sera la villa del Soldo, Fabbrica e infiniti altri -paeselli, tutto recinto poi l’orizzonte da una corona azzurra di -montagne, colle onde del lago d’Alserio che gli baciano le pendici del -colle su cui posa. - -In antico fu paese nella podestà dell’arciprete di Monza, che vi -esercitava giurisdizione feudale, come su molte altre terre; quindi -parve luogo a fortilizî, e vi fu fabbricato un acconcio castello, e -Francesco II Sforza lo concedeva in feudo ad Alessando Bentivoglio, -spodestato signore di Bologna e governatore del Milanese, della cui -famiglia è la cappella che in Milano si vede nella chiesa di San -Maurizio del Monastero Maggiore sul corso di porta Magenta. - -Ma quel famigerato prepotente del Gian Giacomo De’ Medici, detto il -Medeghino, del quale già narrai in una passata escursione le ribalde -gesta, lo lasciò per poco godere degli ozî di Monguzzo; perocchè, -parendogliene la rôcca assai propria a’ suoi disegni, un dì, nel -1533, assalitola alla sprovvista, ne cacciò quelli che la presidiavano -pel Bentivoglio, e se ne installò padrone, spargendo d’ogni intorno -per le terre della Brianza, e massime per la Valsorda, il terrore. -E taglieggiava da qui non i massai soltanto, ma anche i signori, che -cercava di imprigionare e non rilasciare che contro enormi riscatti -e teneva in allarme la fortezza di Brivio e massime di Trezzo di più -grande importanza. - -Il Missaglia, amico di questo fiero capitano di ventura e storico di -sue gesta, lo scagiona dall’aver tolto al Bentivoglio il castello, -narrando come all’occupazione di esso fosse stato dallo Sforza medesimo -ordinato, e fornendone le ragioni. “Possedeva, scrive egli, in quel -tempo il castello di Monguzzo come suo proprio Alessandro Bentivoglio, -figliuolo di Giovanni, già signore di Bologna, parente del duca e di -molta autorità appresso lui, uomo di gran sincerità, ma poco inclinato -all’armi. Il castellano, visto con che poca cura e guardia era tenuto -quel luogo dal Bentivoglio, per sue lettere e col mezzo d’amici suoi, -fece intendere al duca con quanta facilità e con quanto suo danno -quel luogo, mal guardato, poteva capitare in mano degli imperiali -(gli Spagnuoli di Carlo V comandati da Antonio De Leyva), offrendosi -quando fosse rimesso alla sua custodia non solo di ben guardarlo, ma -eziandio con la comodità di quello, danneggiare molto i nemici, ed -assicurare quella parte del ducato dalle invasioni degli Spagnuoli; -il che sarebbe stato come un freno a Lecco, tenuto da essi. Il duca, -che, reso il castello di Milano, si trovava in Lodi, tolto dalle mani -degli imperiali e dato alla lega da Lodovico Vistarino, benchè dopo la -prigionia del Morone gli mostrasse poca inclinazione e poco fidasse -di lui, pur conoscendo vere le sue ragioni e dubitando di peggio, -e anco come quel ch’era posto in gran necessità di denari, sentiva -volentieri che quel castello si avesse a guardare senza suo costo. -Scrisse al Bentivoglio che rimettesse il castello alla guardia del -Medici, e le lettere furono inviate a lui stesso, perchè le presentasse -al Bentivoglio. Il Medici accortissimo, conoscendo quanto fosse per -spiacere questo al Bentivoglio, e quanto egli potesse appresso il duca, -dubitò, e ragionevolmente, che se gli mandava le lettere fosse per -riuscire vano il suo disegno; onde con l’aiuto di molti principali del -paese suoi amici fatta una buona raccolta di gente, accostastosi una -notte a Monguzzo, e scalatolo, si appresentò alla rocchetta ove era il -Bentivoglio con la sua famiglia e con le lettere ducali, e con la forza -strinselo ad uscire dal castello[41].„ - -Quando il De Leyva ebbe contezza della caduta di Monguzzo nelle mani -del Medeghino, così se ne dolse, perchè da lui si attendesse maggior -travaglio che non dal Bentivoglio, vi spacciò il conte Lodovico -Belgioioso con buon nerbo di forze onde ritorglielo; ma questi, dopo -varî assalti e perdita d’un centinaio d’uomini, disperando venire a -capo del suo proposito, si levò di là. - -Certo Martino da Mondonico, animoso, ma avido di ricchezza, aveva -saputo entrar nelle grazie del Medici ed ottenuto aveva da lui il -commissariato di alcune tasse e contribuzioni che con durezza esigeva. -Parve al De Leyva di poter guadagnar coll’oro il Mondonico, onde -agevolarsi il conquisto di Monguzzo che gli intercettava la strada da -Lecco a Milano, ed infatti se l’ebbe facilmente a’ suoi interessi. -Ma l’ingordo traditore volle dapprima di compiere il tradimento -arricchirsi, ed abusando del nome del Medici, si impadroniva un bel -dì del castel di Perego. Poichè vi fu penetrato, buttata la maschera, -vi prosciolse i prigionieri e si chiarì al servizio del De Leyva. Il -Medici mandò subito il capitano Pellicione a riprendere il castello, e -l’ebbe coi traditori, i quali condotti a Monguzzo vi vennero appiccati -per la gola, e il Mondonico, posto prima a’ tormenti, fu poi vivo, -siccome si meritava, inruotato. - -Poneva allora il Medeghino in suo luogo castellano di Monguzzo il -fratello Battista; ma poi, quando gli parve trasferirlo a comandare -la più importante fortezza di Lecco della quale s’era insignorito, vi -sostituì il suddetto capitano Pellicione. - -Non mi so che il castello di Monguzzo fosse teatro a ulteriori fatti di -guerra; perocchè buttata, a questo cerbero dalle tre gole, intendo dire -del Medeghino, l’offa da Carlo V, col crearlo marchese di Marignano -e coll’inviarlo altrove a portar guerra, spulezzò il Medeghino pur da -questi luoghi. - -Più tardi il castello apparve tramutato in amenissima villeggiatura, -mercè le cure dei marchesi Rosales alle cui mani pervenne; ma -l’ultimo di essi, che molto di sua fortuna adoperò a pro dell’italiana -indipendenza, nel 1853 la vendette al conte e banchiere Sebastiano -Mondolfo, delle cui sapienti liberalità m’avvenne già di intrattenere, -quando m’ebbi ad occupare dell’altra sua villa in Borgo Vico a Como. - -E liberalità sapienti operò anche qui in questa sua villeggiatura di -Monguzzo, perocchè aprisse a sue spese una scuola, e nel cascinale che -fe’ erigere introducesse molte comodità, per le quali mostrò come pur -i poveri coloni chiamar si debbano, per migliorarli, a partecipare alle -inevitabili esigenze del vivere sociale moderno. - -È una consolazione quando si vede alcuno de’ privilegiati dalla -fortuna, in mezzo agli agî, rammentarsi che v’ha chi soffre e penuria e -gli stende misericorde la mano. Sebastiano Mondolfo ha provato in tante -occasioni d’essere uno di costoro. - - - - -ESCURSIONE TRENTESIMANONA. - -IL SOLDO. - - Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il Soldo - degli Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino e il - parco. — Gli acquedotti. — Casino rustico. — Orsenigo. — Casa - Carcano. — Anzano. — Villa del marchese Carcano. — Piccolo - albergo. — Alzate. — Vecchio castello. — Palazzo Clerici. — - Fabbrica. — Brenna e don Antonio Daverio. - - -A stretto rigore, il colle di Monguzzo, a parer mio, chiuder dovrebbe -il bacino del vecchio Éupili, o, come suolsi oggi dire, del Pian -d’Erba; ma siccome è assai indeterminato anche nella mente di que’ -del paese il confine di questa ridentissima porzione di territorio che -designasi sotto la denominazione di Pian d’Erba, io credo non uscir da’ -limiti che s’è prefisso il mio libro spingendo questa volta la nostra -escursione da questa parte insino alla stupenda villeggiatura del -Soldo. - -E d’altronde fosse anche fuori affatto della cerchia de’ paesi che -dall’universale si assegna approssimativamente al Pian d’Erba, siccome -al Soldo ci va ognuno che venga al Pian d’Erba; così anch’io non posso -a meno che condurvi il mio lettore. - -Vi arriveremo dalla via di Parravicino, alla quale facciamo ritorno, -oltre la _Ca’ de’ ladri_, che abbiamo veduta. - -Lo si scorge presto, perchè esso s’alza tronfio sulla cima della -più lieta eminenza e di là sembra accivettare quanti necessariamente -percorrendo la via che mena alla Valsorda, vi rivolgono lo sguardo. -Altri poggi vi stanno presso, tutti diligentemente coltivati, e di -pertinenza del medesimo signore, del conte Turati, salito per operosi -commerci in filati di cotone a sterminata ricchezza e al patriziato -italiano. - -Allorquando si è sotto la collina del Soldo, vi pare di avere -davanti una scena teatrale: mulino a vento, chioschi e padiglioni, -_chalets_ e _cottages_, introduzioni leggiadre di cose forestiere, -viali, telegrafo, una ben ordinata e splendida vegetazione, il tutto -incoronato dal palazzo che sta in cima. La prima impressione ci avverte -subito che la villa gode di meritata fama. - -Molti rammentano ancora come quivi non fossero prima che una meschina -sodaglia, borri profondi e frane, rovi ed arbusti inutili: non vi aveva -infatti alla sommità del colle che un casolare di ragione del monastero -di Sant’Ambrogio di Cantù. Chi mai avrebbe detto allora che si sarebbe -tramutato tanto squallore nella più gioconda plaga? Questa metamorfosi -prodigiosa, iniziata da don Giacomo Appiani d’Aragona, che ridusse -quell’aspro colle a villa su disegno dell’egregio architetto Moraglia, -del senno del quale già ammirammo in queste nostre escursioni non poche -opere, fu perfezionata dal conte Turati. - -E veramente scrissero i signori Zoncada e Garovaglio nella loro -opera _I giardini dell’alto Milanese e del Comasco_, levando a cielo -il Soldo[42]. Sarebbe difficile, sentenziaron essi, trovare altrove -più stupenda varietà di scene, più ampie vedute, più diverse, e nel -tempo stesso, e qui è il merito dell’uomo, una struttura, un disegno -meglio ideati, più acconci alla qualità del sito, più rispondenti -agli ultimi progressi dell’arte de’ giardini, una coltivazione più -ricca, più lussureggiante, e per certe parti più degna che si pigli -ad esempio. Sono pregi e bellezze che a comprenderle non arriva che -la vista; per la parola è molto ancora se le riesca di lasciarle -indovinare. Que’ viali, que’ passeggi, che larghi, agevoli, spazzati, -girano il poggio serpeggiando con sì dolce movenza e dominando sempre -l’immenso orizzonte; quelle costiere che verdi, fiorite, sparse d’ogni -maniera di piante, si prolungano di qua, di là sì pittoresche fin giù -nella valle; que’ prati, que’ piani ameni dove l’occhio si riposa sì -tranquillo e beato; quel contrasto tra il semplice e il grandioso, il -ridente e l’austero, tra l’arte e la natura, per cui passi dalla rigida -vegetazione delle Alpi alla sfoggiata delle zone più favorite dal sole; -che li vedi affratellarsi, dal vivace padiglione Chinese al chiosco -orientale e al positivo casolare dello svizzero o dell’olandese, dal -ponte di legno che ricorda la primitiva età de’ pastori alle fontane -marmoree, alle statue, opera di famosi scalpelli e documenti della più -alta civiltà; bisogna vederli chi voglia farsene il giusto concetto: -noi non possiamo che rammentare così a sbalzi, come la memoria ci -soccorre, di tante meraviglie quelle pochissime delle quali ci è -rimasta una impressione più profonda, e che per la qualità delle cose -torna meno difficile a comunicarsi altrui. - -Così, per esempio, potrà di leggieri, pare a noi, anche chi mai non la -vide, imaginare quale debba essere il magico effetto di quella serie -di stufe tutte eleganti, tutte magnifiche, che giù giù pel dosso della -collina discendono a gradinata, quasi emiciclo di vasto anfiteatro. -Vi aggiunga colla fantasia i grandi balaustrati che la riparano per -davanti con vasi di classica forma, con piante di rara bellezza; vi -aggiunga grandi e piccole fontane in marmo ai diversi ripiani, belle -tutte, bellissima qualcuna, quella vogliamo dire che raffigura le tre -Grazie, opera di egregio scalpello, che ritrae quanto di più puro seppe -mai creare il cinquecento; vi aggiunga appiè di quel dosso a disuguali -distanze le spelonche, le grotte di vario genere, alte, spaziose, -tortuose, foggiate a galleria, a labirinto, fornite a dovizie d’ogni -comodità, con polle, zampilli, giuochi d’acqua d’ogni sorta, con istipi -a tarsia, busti, are, idoletti, medaglioni, con seggiole, scannelli, -divani, lettucci, tavoli e tavolini d’ottimo gusto; e tutto questo -sotto il più bel cielo che occhio d’uomo possa vedere, e dovrà farsi -certamente un concetto grande di questo luogo incantato. E sempre -maggiore si farà chi consideri le difficoltà senza numero che bisognò -superare per tramutarlo, di selvaggio che era, nella forma e stato -presente. Una sola vogliamo qui accennare che valga per molte, tanto -è grave; vedete quella copia d’acqua volta dall’un capo all’altro de’ -giardini a sì diversi usi in forma qui di fontana, là di ruscello o -di torrente, più giù di lago solcato da gai navicelli? Sul luogo in -origine non se ne avea pur stilla; tutta, tutta quanta si derivò da -lontani monti, e per magnifici acquedotti si condusse per mezzo a -queste terre riarse dal sole con ingente dispendio. - -Essa infatti si condusse con ingente spesa fin dai monti d’Albese, -facendola viaggiare per 9000 metri di tubi di ghisa. - -Lascio agli intelligenti di botanica il tener conto delle ricchezze -d’alberi e fiori d’ogni clima e paese che qui son disseminati, e di -estasiarsi davanti alle loro peregrine specie; io m’accontento di -ammirare i leggiadri colori, di aspirare i soavissimi profumi: accetto -i soli risultamenti e sarà meglio anche pel lettore, che certo non -cercherà al mio libro un trattato di quella scienza. - -Piuttosto non lascerò di accennare che il palazzo, se non è forse -corrispondente in vastità al giardino e parco, ha tuttavia da ospitare -una cinquantina di persone. Il casino rustico che gli sta accanto è -forse migliore nella sua semplicità; presso al casino svizzero vi è -poi uno steccato che racchiude alcuni dei più rari animali indigeni e -forestieri, fra cui primeggiano bellissimi merinos. - -Ah veramente aveva dunque ragione il nostro povero Raiberti, quando -diceva di questa villa essere un _Sold che var un milion_! - -Fra le terre circostanti ho già nella precedente escursione nominato -Orsenigo, quella terra che con Erba trasse in aiuto dell’armi milanesi -contro quelle del Barbarossa: quivi adesso ricorderò la bella casa -Carcano, architettata dal bravo Moraglia. - -Tirando dritto sulla via per la quale siamo venuti, tocchiamo Anzano, -bello per la sua elevata postura e per la villa e grandioso parco del -marchese Carcano; a man destra poi di questo paese, v’è la via che -conduce ad Alzate al principiar della quale or si eresse un piccolo -albergo. In Alzate poi, oltre qualche ricca casa, meritano osservazione -un vecchio castello che si volle reliquia di romana potenza ed il -palazzo Clerici. - -Ma, come che l’escursione nostra fosse bastevolmente lunga per le -tante cose ammirate al _Soldo_, chiudiamola a Fabbrica, dove sulla -eminenza sorge la villa dei conti Durini, che fruisce di bellissima -vista e dalla, quale, vedendo a destra sul ciglio della collina che -per l’opposto versante sogguarda al lago di Montorfano il paese di -Brenna, ivi sapendo come vi sia stato dimenticato parroco quel fior di -dottrina, di patriottismo e di bontà che è Antonio Daverio, mio maestro -di latine ed italiane lettere, mi felicito della diversa e libera -carriera da me poscia nella adolescenza abbracciata. - - - - -ESCURSIONE QUARANTESIMA. - -INVERIGO. - - Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli - e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo Ariberto. — Bacco di - Brianza. — L’albergo. — La Rotonda. — Il castello e la villa - Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — S. Maria della Noce. — - Cremnago. — Villa Perego. — Il Cimitero. - - -Se ci siamo alquanto spinti al di fuori del Pian d’Erba dalla parte di -Parravicino per vedere il Soldo de’ Turati, perchè non ci spingeremo -ora oltre Nobero per ammirare la famosa Rotonda d’Inverigo e l’Orrido -dello stesso paese, che chiamano da ogni dove dalla Brianza brigate di -villeggianti e di curiosi; e la villa Perego di Cremnago? - -Centro Inverigo di tutta la Brianza, sarà per noi il limite ultimo -delle escursioni che ci siam proposti di fare durante gli ozî -autunnali. - -Da Nobero, che abbiam già visitato, per una bella strada si arriva a -Lurago. Quivi è la villa del conte Sormani-Andreani, con bel giardino -a pineti. Dapprima spettava alla patrizia famiglia Crivelli, che vi -risiedeva ed era feudataria d’Inverigo. Posta nella parte alta del -paese, la villa vi pompeggia e chiama lo sguardo di ognuno che passi. - -Poco fuori di Lurago, la via intristisce e si fa fangosa e trascurata -fin oltre Inverigo e puossi dire fino ad Arosio, onde infiniti e -generali i reclami dai moltissimi obbligati a percorrere questo -stradale importante. E se ne riscossero finalmente i comuni limitrofi e -l’autorità, e una nuova strada e più diretta fu ordinata ed appaltata, -e comunque le opere ne procedano lentamente, fra breve sarà tuttavia -un fatto compiuto. A sinistra di Lurago, prima d’arrivare ad Inverigo e -sul ciglio della valle del Lambro, è Lambrugo, ov’era prima un chiostro -di monache, tramutato poi in villa dalla famiglia Galli. Vi villeggia -anche la famiglia Venini. - -Eccoci ad Inverigo. I soliti antiquarî vorrebbero originato il nome -dalle due parole latine in aprico, come a dire un luogo situato -all’aperto ed al sole; ma altri invece pretendono sia nome celtico: -non ci frapponiamo noi a dir la nostra opinione, meglio sembrandoci -d’accettarlo qual è. Piuttosto non sarà privo d’interesse il sapere -come qui nel 1023 l’arcivescovo di Milano, Ariberto d’Intimiano, -celebre nelle nostre storie per la parte presa nelle accanite contese -surte pel celibato de’ preti, possedesse beni, ch’egli poi assegnò al -rinomato monastero di San Dionigi da lui fondato in Milano. - -I colti gaudenti rammentano con maggior piacere che il vino d’Inverigo -godeva fino in antico una tal quale riputazione fra i migliori, e -appoggiano l’erudizione loro coll’autorità d’un poeta di nome Bertucci, -che, arieggiando il Ditirambo del Redi, che ognun comosce, del _Bacco -in Toscana_, scrisse alla sua volta un _Bacco di Brianza_, nel quale si -leggono i seguenti versi, che pone in bocca allo stesso Nume: - - Il terzo infine colma d’Inyerigo - Valentissimo vin, la cui mercede - Al par di Siracusa - Vanta Milano ancora il suo Archimede[43]. - -Ma per associazione di idee, dal buon vino ricorre il pensiero -all’albergo d’Inverigo. Quest’albergo, se non presenta i conforti tutti -dell’eleganza e dell’esigenza forastiera, è nondimeno il migliore di -tutta questa parte della Brianza, onde l’autunno vegga più famiglie -di conto prendervi stanza ed esservi arcicontente. Sostiamoci quindi, -amico lettore, e dopo esserci rifocillati, potremo pigliare le mosse -per ascendere alla Rotonda. - -S’innalza essa sulla parte più elevata della collina, sotto cui si -distende bellissima una valle, come tale pur ricordata nelle sue -opere da Sant’Agostino, disseminata di paesi; la sua facciata, che -giustamente fu detto rassomigliare a’ propilei d’Atene, è però rivolta -a tramontana. - -La fabbricò il marchese e architetto Luigi Cagnola di Milano nell’anno -1813, — quegli cui è dovuta l’architettura dell’Arco del Sempione -di Milano, — e vi spiegò tutta la grandiosità e il gusto classici, -profondendovi egregie somme, a smentita di que’ cialtroni ch’erano -venuti accusandolo d’architettar sempre grandiosamente quando si fosse -trattato di non ispendere danari proprî. - -Il fabbricato ha nel mezzo un’ampia sala circolare, che s’alza gigante -con cupola che costituisce la Rotonda; quindi tutto l’edifizio è -esteriormente riquadrato, poste essendosi agli angoli le camere della -restante abitazione. Il concetto d’una rotonda maestosa fece sì che gli -altri locali fossero ad essa sagrificati. Fu compiuta così un’opera -del più perfetto classicismo, se si vuole; ma dopo ciò, si domandano -molti, cosa vuole, a che serve, perchè qui collocato questo gigantesco -edificio? Come villa ha l’esteriore principesco; ma l’interno, a parte -la sala principale della Rotonda, non vi corrisponde. - -Come nella facciata, così pure nella parte postica, a mezzogiorno, -e che sogguarda la superba valle, vi sono ampie scalee; quella della -facciata poggia sopra un sotterraneo; l’altra su d’un terrazzo recinto -di balaustrata e sorretto da sei gigantesche cariatidi, che sono dello -scalpello di Pompeo Marchesi. - -Fu da esso che il re di Napoli, Ferdinando II, padre dello spodestato, -venuto tra noi, ammirando la sottoposta valle, di non so quante miglia -di circuito, così ben coltivata e ordinata quasi ad aiuole di fiori, -ebbe a chiedere bonariamente al marchese Cagnola, se tutto quel che si -vedeva fosse giardino della sua villa. - - [Illustrazione: Orrido d’Inverigo.] - -Se la collina su cui posa la Rotonda si digrada al paese, dall’opposto -lato risorge ad eminenza, sovra cui è il castello, ora palazzo e -giardino del marchese Luigi Crivelli, che ognun desidera veder meglio -curati, perchè abbian tutte le forme per costituire una delle più -grandiose ville. Ha molti ed annosi cipressi, e su d’un altipiano a -sinistra del palazzo vedesi una colossale statua di Ercole, alquanto -offesa dagli anni, che da’ terrieri si designa col nome di _Gigante_. - -Discendendo la collina de’ Crivelli, pei loro campi si va al bosco, -dove la natura e i cataclismi hanno prodotto siffatte spaccature di -roccia, per dove filtrano e scorrono limpide e fresche acque, che -formano un Orrido dell’effetto il più pittoresco. - -E meglio ancora il produrrebbero, se l’acque più riunite scorressero; -ma come l’età piega al positivo, così parte furono deviate a mettere in -movimento mulini. - -Con tutto ciò all’Orrido d’Inverigo, di proprietà del marchese Luigi -Crivelli suddetto, non v’ha chi venga al paese e che non tragga a -vederlo, sovente convegno ad amiche brigatelle che lo eleggono a luogo -di refezioni e riposo. - -A ponente della villa Crivelli si discende per uno stradone alla -Madonna della Noce, luogo piacevole assai e al quale convengono a -settimanale mercato da tutti i circonvicini paesi. - -Chi ama conoscere le migliori villeggiature e farsi adeguato concetto -della ricchezza de’ loro proprietarî, essendo in Inverigo, non lascia -di fare una scarrozzata a Cremnago, dove sorge il magnifico palazzo -della famiglia Perego. Se gliene è dato l’accesso, potrà il lettore -ammirarlo nelle sue parti tutte; e se nelle ampie scuderie vedrà molti -cavalli e taluni anche pensionati a riposo perpetuo, sorretti persino -da cinghie, potrà cavar argomento del cuore del ricchissimo padrone, -il quale del resto non restrinse alle bestie sole gli effetti della sua -bontà, prima avendola addimostrata nel dotare i suoi coloni di belle e -comode case. - -Il cimitero del paese merita pure di essere veduto. È buona -architettura di Giuseppe Chierichetti, e in esso è il sepolcreto -della famiglia Perego. È questo un’edicola di forma quadrangolare e -cilindrica, e alla parte superiore con gradinata e cupola d’ordine -dorico, colle pareti laterali fregiate di colonne, quattro delle -quali formano il pronao con cornice, architrave e frontone, entro cui -leggesi scolpito _Hypogeum_, e tutto condotto in miarolo rosso. Le -pareti interne sono a stucco lucido, la luce piove dal lucernario della -cupola, e nel fondo è l’altare marmoreo, con un bel gruppo in marmo -di Carrara, rappresentante la Maddalena a’ piedi della Croce, lodevole -opera dello scultore Labus. - -Per ritornare ora al nostro Pian d’Erba, rifacciam la medesima via di -Lurago e Nobero: è più agiata e vi giungeremo più presto. - - - - -CONCLUSIONE. - - -Altri paesi, altre ville, altre meraviglie di natura e d’arte ci -solleticherebbero ad altre escursioni; ma invaderei la Brianza, della -quale già qualche lembo abbiam tocco, e allora mi ci vorrebbe un altro -volume; perocchè per essa a buon dritto potrebbesi citare del pari -quanto l’Ariosto cantò de’ dintorni di Firenze: - - A veder pien di tante ville i colli - Par che il terren ve le germogli, come - Vermene germogliar suole e rampolli: - - Se dentro a un mur sotto un medesmo nome - Fosser raccolti i tuoi palagi sparsi, - Non ti sarian da pareggiar due Rome. - -E Baretti, proprio del suolo della nostra Brianza parlando, lo -chiamava “il più delizioso paese di tutta Italia per la varietà delle -sue vedute, per la placidezza de’ suoi fiumi, per la moltitudine de’ -suoi laghi, ed offre il rezzo dei boschi, la verdura dei prati, il -mormorio delle acque, e quella felice stravaganza che mette la natura -ne’ suoi assortimenti; insomma in questo vaghissimo paese, ovunque -si porti lo sguardo, non si scorgono che paesaggi ornati di tutte le -grazie campestri, la cui contemplazione produce quei momenti di dolce -meditazione, che tengono l’animo in grato riposo.„ - -Io ho promesso condurre il lettore con me lungo le rive del Lario e al -Pian d’Erba; credo avergli attenuta la promessa, mostrandogli quanto di -meglio mi è sembrato. Che se alcuna cosa ho lasciato, se passai avanti -qualche villa, senza farvi entrare il lettore, o, fors’anco senza pur -nominarla, consideri che nell’imbarazzo di ricchezza di luoghi e di -meraviglie in cui ci trovavamo, l’ommissione era agevole a commettersi, -molto più che v’abbian di molti che si ricusin perfino a rivelar le -più semplici cose, quasi che si tratti di violar, parlando, i loro -domestici lari; epperò non mi resta che invocarne la sua indulgenza. - -Ho avuto il pensiero, unendo il mio dire intorno al Pian d’Erba -a quello intorno al lago di Como, di chiamare più specialmente la -curiosità del forastiero sul primo e d’invogliarlo a farne soggetto -delle proprie escursioni; perocchè mi fosse sembrata non troppo nota -questa parte sì bella di nostra Lombardia; e se avrò raggiunto in -qualche modo l’intento, io mi chiamerò soddisfatto. - - -FINE - - - - -INDICE. - - - Introduzione Pag. 5 - - Escursione prima. — IL BARADELLO » 9 - - Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del - Baradello. — Un cenno geologico. — La storia del - castello. — Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo - del Baradello. — Napo della Torre. — La - chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — Villa Venini ora - Castellini. — Il collegio alla Camerlata. — Opificî - industriali. — Ville Larderia, Martignoni, - Prudenziana e Carloni. - - Escursione seconda. — IL GENEROSO » 21 - - La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di - S. Abbondio. — Il Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo - Volta. — Chiasso. — Il Crotto e le _polpette_ della - Giovannina. — L’albergo di Mendrisio. — Dottore - e albergatore. — Il Monte Generoso. — Salita. — L’albergo del - dottor Pasta. — La cura dell’aria. — Geologia, fiora e fauna. — Il - dottor Pasta. — L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il - Dosso-Bello. — La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di - Mendrisio. — Le Cantine di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo - Vela. — Ligornetto. — Le cave di Arzo. — Le acque solforose di - Stabio. — San Pietro di Castello. — Romanzo storico. - - Escursione terza. — IL NINO » 45 - - Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del - Mago. — Le ville Castiglioni, Sessa, Pertusati e - Cornaggia. — Villa Angiolini. — Villa Rattazzi. — U. Rattazzi - e Maria Bonaparte Wyse. — Villa Pedraglio. — Le ville Trubetzkoi, - Ricordi e Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La - villa Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio - di Blevio. — Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, - Vigoni e Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — - Il Nino. - - Escursione quarta. — L’OLMO » 53 - - San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa - Barbò. — Il Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — Villa - Saporiti, già Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. — Palazzo - Resta. — Ville Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, Belgiojoso, - D’Adda e Pisa. — Villa Mondolfo. — L’Olmo del marchese - Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio il Giovane. - - Escursione quinta. — IL PERTUGIO DELLA VOLPE » 59 - - Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il - Sarizzo. — Grotte e Caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La - Zuccotta e _I Tre Simili_. — Il signor G. B. Brambilla. — Villa - Caprera del signor Loria. — La Tavernola e l’Albergo. — Villa - Gonzales. — Il capitano De Cristoforis. — La Villa Bignami. — La - Villa Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il Bisbino. — Il Pertugio - della Volpe. — Marmi e pietre. - - Escursione sesta. — LA VILLA D’ESTE » 69 - - Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa - Lejnati. — Villa Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — La - villa d’Este. — Giorgio IV d’Inghilterra. — La principessa di - Galles. — Suo processo. — Sua morte. — Sue opere alla villa - d’Este. — L’Albergo della Regina d’Inghilterra. — L’acqua - della Coletta. - - Escursione settima. — IL PIZZO » 89 - - Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la - fabbrica. — I conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno - Lombardo-Veneto. — Migliorie. — La villa Curié. - - Escursione ottava. — LA CASCATA DI MOLTRASIO » 93 - - Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio - episodio. — Villa dei signori Nulli. — La leggenda della - Ghita. — Perchè si nomi Moltrasio. — La Vignola dei - Passalacqua. — E la villa Durini? — Geologia. — La - cascata. - - Escursione nona. — MOMPIATTO » 105 - - Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora - Taverna. — Torno. — Storia. — Gli sposi annegati. — Ville - Croff, Righini, Antonelli. — La chiesa di - S. Giovanni e pia leggenda. — Mompiatto. — Le sue monache. — La - Pietra pendula e la Nariola. - - Escursione decima. — LA PLINIANA » 111 - - Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. — - Villa Canzi. — La Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso - e riflusso. — Spiegazione del fenomeno. — La Breva e il - Tivano. — L’assassinio di Pier Luigi Farnese. — Giovanni - Anguissola. — La villa e l’attuale proprietaria. - - Escursione undecima. — DA MOLTRASIO A TORRIGIA » 123 - - Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura - nel 1163. — La villa Buttafava. — Pognana e Palazzo. — - Premenù. — Ancora a Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi, - Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — Villa - Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa Savoja. — La Minerva, - ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. — Ville - Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — G. B. - Lampugnani. — Sonetto a Katinka Evers. — Ville Rocca, Tarantola, - Ottolini, Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. — Ville - Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere dei fratelli Taroni. — - Laglio. — Monumento a Giuseppe Franck. — Villa Galbiati. — - Torrigia. — Villa Cetti. — La punta. - - Escursione duodecima. — IL BUCO DELL’ORSO » 131 - - Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — - Il cammino. — Il Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — - Descrizione. — Visite di dotti. — Le scarpe di S. Pietro. — - Questioni geologiche. — Paleontologia. — Gallerie - o pozzi scoperti dopo. — La discesa. - - Escursione decimaterza. — IL PIANO DEL TIVANO » 155 - - La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della - Masera. — Nesso. — Erno, Veleso, Gerbio. — Il Piano del - Tivano. — La brigata del Pian d’Erba. — Il Buco della - Nicolina. — Vallombria. — Il palazzo di Andefleda. — - La marcia della partenza. - - Escursione decimaquarta. — LA VALL’INTELVI » 161 - - Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — - Sua parte nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta - del 1806. — Cospirazione del 1833. — Insurrezione nel 1848. — - Andrea Brenta. — I cospiratori del 1854. — L’insurrezione - e i volontarî del 1859. - - Escursione decimaquinta. — L’ISOLA COMACINA » 177 - - Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. — - Zocca dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La - processione e la _Scorobiessa_. — Isola. — La torre del - Soccorso. — Campo. — La villa Delmati. — Dosso di Lavedo. — - Balbianello e la villa Arconati. — Il torrente Perlana. — - La Madonna del Soccorso. - - Escursione decimasesta. — LA TREMEZZINA » 185 - - Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura - Carove e la _Commedia_ di Plinio. — Ville Torri e Vacani. — - Lenno. — Lapidi antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — - Il chiostro di S. Benedetto. — Ville Litta, Barbavara, - Carmagnola e Carcano. — Bolvedro. — Villa Busca. — Le ville - Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi, - Campagnani, Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di - Tremezzo. — Albergo Bazzoni. — _Hôtel garni_. — Grianta. — - La grotta. - - Escursione decimasettima. — LA VILLA SOMMARIVA » 193 - - La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere - d’arte. — Giardino. — Carlotta di Prussia e il principe di - Sax-Meiningen. — La Cadenabbia. — Albergo di Belvedere. — - Ville Brentano, Noseda, Piatti, duca di Sangro e - Seufferheld. — La Majolica. — L’albergo Righini. — Villa - Ricordi. — _Maxime Lari._ — Questione filologica. - - Escursione decimottava. — LA BELLAGINA » 201 - - Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi - Grosgalli. — Il Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa - Besana. — S. Giovanni. — Ville Ciceri, Trotti e - Poldi-Pezzoli. — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — - La _Tragedia_, villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — - Marchesino Stanga vi edifica la villa e que’ della Cavargna - la distruggono. — Ercole Sfondrati la riedifica. — La - Sfondrata. — La Contessa di Borgomanero, tradizione. — La - villa passa ai Serbelloni. — Parini vi ospita. — Ora mutata - in albergo. — La Crella dei Frizzoni. — Pescaù. — La villa - Giulia, ora albergo. - - Escursione decimanona. — IL SASSO RANCIO » 211 - - Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. — - Loveno. — Ville Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio, - Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa Galbiati. — La Val - Cavargna. — Porlezza. — Fabbrica di vetro. — Il Castello di - Menaggio. — La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — - Ligomana, Plesio e Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi - al Sasso Rancio. - - Escursione ventesima. — LE FERRIERE DI DONGO » 217 - - Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il - Medeghino. — Le Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa - Polti. — Villa del vescovo di Como. — Chiese di S. Stefano - e S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le miniere di ferro. — - I forni fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le _Frate_. - - Escursione ventesimaprima. — GRAVEDONA » 223 - - Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle - di Lesio. — Gravedona e la sua storia. — La chiesa di San - Vincenzo. — S. Maria del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. — - Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il Sasso acuto. — Domaso. — - Gera. — Sórico. - - Escursione ventesimaseconda. — REGOLEDO » 229 - - Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. — - Dorio, Carenno e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. — - L’Orrido. — Il Sasso di Morcate. — Riva di Gittana. — - Varenna. — Albergo e villa Venini. — L’Uga e la Capuana. — - Il Fiume Latte. — Regoledo. - - Escursione ventesimaterza. — IL MERCATO DI LECCO » 235 - - Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I - Marroni. — Perledo e la Regina Teodolinda. — Lierna. — - Olcio. — Villa Pini. — Mandello. — Abbadia. — La - Gessima. — Lodovico Savelli. — Le Caviate e la Maddalena. — - La strada militare. — Onno. — Parè. — Lecco. — Il Maglio. — - Acquate e Pescarenico. — Il Galeotto. — Il Mercato di - Lecco. — Le _robiole_. — Gli alberghi del _Leon d’Oro_ e - della _Croce di Malta_. - - Escursione ventesimaquarta. — VALMADRERA » 243 - - Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti - illustri. — La chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. — - Valmadrera. — La Chiesa. — Il trovante utilizzato. — Le - Cappelle della _Via Crucis_. — La villa del signor Egidio - Gavazzi. — La villa del signor Pietro Gavazzi. - - Escursione ventesimaquinta. — IL MONTE BARO » 247 - - Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. — - Ello. — Ville Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa - Paolina. — La _Bellavista_ del signor Cereda. — Galbiate. — - Palazzi Brioschi e Ballabio. — La villa Sanchioli e l’eco - polisillabo. — Case Curti e Riva. — La chiesa di S. Michele. — - La lapide di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe archeologiche. — - L’effigie immobile. — La Rocca di Re Desiderio. — La fanciulla - nel pozzo. — Il Monte delle Crocette. - - Escursione ventesimasesta. — LA VALLE DELL’ORO » 253 - - I Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — - Il re Desiderio e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — - La Valle dell’Oro. — Barzaguta. — La cascata. - - Escursione ventesimasettima. — LA CASA DEL PARINI » 259 - - Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San - Fermo. — Bosisio. — La Chiesa e l’Oratorio. — Casa Banfi. — - Monumento ad Appiani e Parini. — Uno stregone dei tempi - antichi. — La casa del Parini. — Lapide commemorativa. — - Onta lavata. - - Escursione ventesimottava. — L’ISOLA DE’ CIPRESSI » 265 - - Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in - Italia. — Un mio processo. — Armi di pietra e palafitte - lacustri. — Pusiano. — Villa Conti. — Scene di - superstizione. — La Processione del Venerdì Santo. — L’Isola - de’ Cipressi. — Il romanzo di Bertolotti. - - Escursione ventesimanona. — IL BEL DOSSO » 273 - - Corneno. — La _Ca’ di strii_. — Villa Besana. — Galliano. — - Carella. — Mariaga. — Alpe di Carella. — Il Bel Dosso. — - Villa Graziani. — Longone. — Osteria. — La Malpensata. — - Penzano. — Bindella. — Villa Galimberti. — Proserpio. — - Villa Baroggi. — Inarca. - - Escursione trentesima. — LA VALLASSINA » 277 - - Il lago Segrino. — Canzo. — Il _Vespetrò_. — I Corni. — - La fontana del Gajumo. — La cascata della Vallategna. — - Il torcitoio Verza. — Scarenna. — La Casa dell’eremita. — - Asso. — Lapide antica. — Arte. — La via al Pian del Tivano. — - Pagnano, Fraino, Caglio, Gemù. — Il Ponte Oscuro. — - Lasnigo. — Le donne della valle. — Le serve. — Onno. — San - Carlo e la sua mula. - - Escursione trentesimaprima. — CASTELMARTE » 285 - - Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. — - Fabbrica di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti, - Prina e Mambretti. — _Ademprivo._ — Castelmarte. — Ville - Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu Castelmarte capo - della Martesana? — _Castrum Martis._ — Giunteria - archeologica. — Reliquie antiche. - - Escursione trentesimaseconda. — PONTELAMBRO » 289 - - Mazonio. — La sua chiesa. — Il pittor Ferrabini. — La - Fusina. — Filatojo Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — - La Bistonda. — L’annegato. — Pontelambro. — Case Guaita e - Carpani. — Una lapide nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — - Villa Matilde. — La Plejade de’ poeti politici moderni, - sonetti. — Affresco luinesco distrutto. — Villa Carpani. — - Lezza. — Carpesino. — Arcellasco. — Resica. — Filatoj - Ronchetti e Mambretti. — Brugora. - - Escursione trentesimaterza. — SAN SALVATORE » 301 - - I _Geritt_. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e - Genolini. — Il torrente Bova. — La dara. — San Salvatore. — - Il convento. — Il signor Boselli. — Giovanni Biffi. — Il - tronco mellifero. — La villa Righetti. - - Escursione trentesimaquarta. — IL BUCO DEL PIOMBO » 305 - - La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — - Aneddoto. — Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — - Concorso di gente. — I versi di Torti. - - Escursione trentesimaquinta. — LA VILLA AMALIA » 309 - - La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria - degli Angeli. — L’avv. Rocco Marliani. — Il palazzo, il - giardino e il bosco. — Il monumento a Parini. — Monti e - Foscolo ospiti. — Episodio della Mascheroniana. — La - torre. - - Escursione trentesimasesta. — ERBA » 315 - - Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il - castello e la villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente - Bocogna. — Villa Conti. — Erba Inferiore. — Pretura, ufficio - telegrafico, albergo e botteghe. — Il caffè e gli _amaretti_. — - Il teatro. — Ville Clerici e Brivio. — Vill’Incino. — Mercato - d’Incino. — _Liciniforum._ — Lapidi. — Ninfeo antico. — - Fatti storici. — Il mercato del giovedì. - - Escursione trentesimasettima. — LA VILLA ADELAIDE » 321 - - Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — - Parravicino. — Ville Parravicini, Belgioioso e Gariboldi. — - La torre pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia - contro il Barbarossa. — Orsenigo. — Il Carudo. — Le - Lische Amare. — Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’ - ladri. — La Retusa. — Tassera. — La villa Adelaide. - - Escursione trentesimottava. — MONGUZZO » 325 - - Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate - Rota. — Nobero. — Le sue pesche. — Il Cavolto. — Le - fornaci. — Monguzzo. — Il suo castello e la sua storia. — - I marchesi Rosales. — Villeggiatura Mondolfo. - - Escursione trentesimanona. — IL SOLDO » 331 - - Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il - Soldo degli Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino - e il parco. — Gli acquedotti. — Casino rustico. — - Orsenigo. — Casa Carcano. — Anzano. — Villa del marchese - Carcano. — Piccolo albergo. — Alzate. — Vecchio - castello. — Palazzo Clerici. — Fabbrica. — Brenna e don - Antonio Daverio. - - Escursione quarantesima. — INVERIGO » 337 - - Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli - e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo Ariberto. — Bacco di - Brianza. — L’albergo. — La Rotonda. — Il castello e la villa - Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — Cremnago. — S. - Maria della Noce. — Villa Perego. — Il Cimitero. - - Conclusione » 343 - - - - -NOTE: - - -[1] Questo è il mordace epigramma od epitaffio che al vescovo di Nocera -preparava quell’indemoniato: - - Qui giace il Giovio storicone altissimo, - Che di tutto sparlò, fuor che dell’asino, - Scusandosi col dir: egli è mio prossimo. - -Ma il Giovio era stato primo a scrivere di lui: - - Qui giace l’Aretin poeta tosco, - Di tutti parlò mal, fuor che di Dio, - Scusandosi col dir: non lo conosco. - -[2] “Chi ricerca le sante spoglie, qui venga e le ritroverà. Questo -altare le chiude in numero di sei che splendono di immensa luce. Qui -sono Carpoforo, Cassio e Secondo, unitamente ad Esanto, Licinio e -Severo. Costoro, dispregiando pel nome di Cristo la morte, nè temendo -morire, vollero qui essere collocati. Nessuno potè mai dividerli -nella tomba: santo e molto venerando essendo questo luogo, che -ognuno rispetti ed anzi onori di doni. Qui da divino consiglio fu pur -trasferito Felice, che pel primo predicò la divina parola; perocchè -egli fu il primo patrono di Como; onde tenendo fede al nome di Felice, -è meritamente felice su nei cieli.„ - -[3] _Promessi Sposi_, Cap. VIII. - -[4] Vedi _Bullettino del Club alpino Italiano_ (che si pubblica, in -Torino), N. 13 del secondo semestre 1868, in un articolo dell’ingegnere -Edoardo Kramer. Nello specchio delle ordinate che si vede in fine, -oltre la misura fattane dal De Welden, si dà quella di Dufour, che è di -soli metri 1698; di Oriani, che è di metri 1738, e del Lavizzari, che è -di metri 1739. - -[5] LAVIZZARI, pag. 14. - -[6] _Il Monte Generoso ed i suoi dintorni_, del dottor Luigi Lavizzari. -Lugano, tipografia Veladini, 1869. - -[7] Nato nel 1490, in Belluno, fu uomo erudito nelle lettere greche -e latine. Secondo il costume de’ letterati di que’ tempi, si impose -questo nome togliendolo dalla famiglia Da Ponte quivi illustre. -Fu precettore de’ figli di Lodovico Sforza, compose molte opere in -greco e latino, che ignoro se pubblicate, e si meritò che Belluno gli -decretasse una statua di bronzo. - -[8] Sussiste tuttavia in Lombardia una frase imaginosa, che riesce -identica a questa simbolica tradizione del gomitolo di refe consegnato -da Margherita al figliuolo Giorgio. _Va distante un gomitolo di refe_ -significa appunto presso noi: va molto e molto lontano. - -[9] C. PLINII. _Epistol._, Lib. 1-3. - -[10] Ne dettai la biografia nell’_Ingegnere Architetto_, giornale che -si pubblica in Milano da B. Saldini. - -[11] _I Misteri del Lario_, Racconto di Giuseppe Arnaud. Milano, 1867, -pubblicato nel giornale _La Lombardia_. - -[12] Una lapide incastrata nel muro di cinta d’un giardino ricorda -il dolorosissimo caso di Enrico Lok, annegato in cospetto de’ proprî -parenti e della moglie, che nulla poterono fare per lui! - - GULIELMUS LOK - ANGLUS - SUBMERSUS - IN CONSPECTU - PARENTUM - ET CONJUGIS - 14 SEPT. 1832 AET. 33 - -[13] C. PLINII CÆCILII SECUNDI. _Epistol._ Lib. IV, Cap. XXX. - -[14] _Tivano_ è così detto sul lago il vento boreale o di tramontana. -Ordinariamente è regolare, facendosi sentire in tempo di notte -e cessando alla mattina poco prima dell’alzarsi del sole. Cessa -egualmente la sua regolarità a mezzo il settembre. Lo stesso dicasi -della _Breva_ che succede al _Tivano_, e che si fa sentire dopo il -meriggio, aiutando le imbarcazioni che a vela spiegata ritornano da -Como. - -[15] AMORETTI. _Viaggio da Milano ai tre laghi_. Milano, 1817, pag. 271. - -[16] MANZONI. _Adelchi_. - -[17] Questa roccia è quella stessa che forma il secondo dei cinque -gruppi, di cui pare si componga la zona giurese nelle Alpi Lombarde e -che giace tra l’arenaria rossa di Varenna, di S. Martino e d’Introbbio -che le sta sotto, e il calcare bigio azzurrognolo talvolta arenaceo con -fossili (Viggiù, Arzo, Saltrio) che lo ricopre. (Dott. Emilio Cornalia: -_Su alcune caverne ossifere dei monti del Lago di Como_, inserte nei -_Nuovi Annali delle Scienze naturali di Bologna_, fascicolo di gennaio -e febbraio 1850 e riprodotte da lui nel _Manuale della provincia di -Como_ per l’anno bisestile 1852.) - -[18] Le _scarpe di S. Pietro_, così appellate forse da ciò che il -principe degli Apostoli, alla chiamata di Cristo, camminò sul lago di -Tiberiade, non sono altro che due imbarcazioni a foggia di lunga spola -da tessitore, collegate insieme, oblunghe, cioè, e strette. Chiuse -tutte e reggendovisi sopra, quasi servendosi di scarpa, è impossibile -che anche per bufera si affondino. - -[19] Per altro il dottor Casella ci assicurò d’avere il primo laghetto -passato a nuoto in una delle prime sue visite. - -[20] _Ossements fossiles._ Tom. IV. - -[21] _Su alcune caverne ossifere_, ecc., superiormente citate. - -[22] _Argegno e la Vall’Intelvi_, negli anni 1848 e 1859 per Gaetano -Ferrabini. Milano 1860. Tip. Fratelli Borroni. - -[23] VIRGILIO. _Georgica II_, e si potrebbe così tradurre: - - Perpetua qui la primavera ride, - E la state ne’ mesi ancor non suoi. - -[24] Eccone la versione: - - Forse che il mar, che l’una e l’altra sponda - Bagna io qui rammento? O i tanti laghi, - E te, massimo Lario, e te, o Benaco, - Che pari al mar, gonfi i tuoi flutti e fremi? - -[25] Eccone la versione: “Minicio Esorato, figlio di Lucio, della -tribù Oufentina, flamine del divo Tito Augusto Vespasiano, per consenso -dei decurioni, tribuno de’ soldati, quatuorviro con podestà di edile, -duumviro di giustizia, prefetto dei fabbri di Cesare e del Console, -pontefice, a sè ed alla moglie Geminia Prisca figlia di Quinto ed a -Minicia Bisia figlia di Lucio, vivente fece.„ - -[26] Io ne dettai la biografia, che fu mandata innanzi alle _Opere -complete_ sue pubblicate in Milano da Ernesto Oliva ed al _Marco -Visconti_, edito pure più volte in Milano da Amalia Bettoni. - -[27] Di questa Regina vedi il bello ed elegante studio fattone nelle -_Donne illustri_, da quel gentile e colto intelletto di donna che fu -Adele Curti. - -[28] “La libertà, che mal si vende per tutto l’oro, con fatica, litigio -e denaro acquistata, a quella di Galbiate ed alle terre finittime -arrise per regia concessione finalmente. Felice il giorno 17 giugno -dell’anno 1671, nel quale, scosso il peso dell’infeudazione e d’ogni -inferiore giurisdizione, questo popolo si ridusse direttamente sotto -la vicaria podestà del potentissimo re delle Spagne e del Senato. -La memoria di tanto riscatto, conservata privatamente negli scritti -autentici di Francesco Giorgio Ottolini, notajo della Regia Camera -ducale, viene pubblicamente affidata alla salda custodia di questa -lapide il giorno diciotto settembre dell’anno 1671.„ - -[29] _Memorie storiche_ della Chiesa ed Abbazia di S. Pietro al Monte, -e del Monastero di S. Calocero in Civate, raccolte dall’abate Giacinto -Longoni. Milano, 1850, tip. G. B. Radaelli. - -[30] Al barone De Martini. Ediz. Reina. - -[31] _Frammenti d’Ode_ ad Andrea Appiani. - -[32] Ode: _La Vita Rustica_. - -[33] Il mio amico Cominazzi aveva tradotte pel suo giornale due mie -lettere francesi ch’io aveva dettate per le _Matinées Italiennes_, che -si stampavano in Firenze. - -[34] Milano, Tip. Guglielmini. - -[35] La Corte di Roma. - -[36] _La salubrità dell’aria._ Ode. - -[37] Rocco Marliani, figlio di Pietro, di Milano, ampliato il vecchio -convento, eresse ed ornò la villa, che volle si chiamasse Amalia dal -nome della sua carissima consorte, 1801. - -[38] _Satira VI._ Lib. II. Gargallo così li traduce: - - Un discreto poder, nè già sì vasto, - Che avesse un orticello, e una fontana - D’acqua perenne, a la magion vicina; - Un po’ di bosco ancor per giunta; ed ecco - Tutto qual era il voto mio. Gli dei - Han fatto meglio e più: sien benedetti! - . . . . . . . altro non chieggo. - -[39] Canto IV. Edizione Resnati. - -[40] Matidia era nipote di Trajano e suocera di Adriano; epperò qui la -veggiamo divinizzata. - -[41] _Vita di Gian Giacomo Medici_, di Marcantonio Missaglia. Milano, -ediz. Colombo, 1854. - -[42] Presso l’editore B. Saldini di Milano. - -[43] Intende parlare del marchese Pietro Caravaggi, la cui famiglia -molto possedeva in Inverigo, e il quale fu professore nelle matematiche -presso l’università di Pavia, e morì nell’anno 1688. - - - - - -Nota del Trascrittore - -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo -senza annotazione minimi errori tipografici. - -*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN D'ERBA *** - -Updated editions will replace the previous one--the old editions will -be renamed. - -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the -United States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. - -START: FULL LICENSE - -THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK - -To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase "Project -Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg-tm License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. - -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project -Gutenberg-tm electronic works - -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. 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Hart was the originator of the Project -Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of -volunteer support. - -Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. 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If you -are not located in the United States, you will have to check the laws of the -country where you are located before using this eBook. -</div> - -<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: Il Lago di Como e il Pian d'Erba</p> -<p style='display:block; margin-top:0; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:0;'>Escursioni autunnali</p> - -<div style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Pier Ambrogio Curti</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'>Release Date: July 10, 2021 [eBook #65610]</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'>Language: Italian</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'>Character set encoding: UTF-8</div> - -<div style='display:block; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Produced by: Barbara Magni</div> - -<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN D'ERBA ***</div> - -<div class="booktitle"> -<h1> -IL LAGO DI COMO E IL PIAN D’ERBA -<span class="smaller">ESCURSIONI AUTUNNALI</span> -</h1> -</div> - -<hr class="silver" /> - -<div class="titlepage"> -<p class="x-large"> -P. A. CURTI -</p> - -<p class="pad2 main-t"> -IL LAGO DI COMO<br /> -<span class="x-small">E</span><br /> -IL PIAN D’ERBA -</p> - -<p class="pad1 large"> -ESCURSIONI AUTUNNALI -</p> - -<p class="pad2 small"> -ILLUSTRATE DA INCISIONI IN LEGNO. -</p> - -<div class="poem-container"> -<div class="poem inl"><div class="stanza"> -<p class="i01">Dal bel rapir mi sento</p> -<p class="i01">Che natura vi diè.</p> -<p class="i07"> <span class="smcap">Parini.</span></p> -</div></div> -</div> - -<p class="pad4"> -<span class="large g">MILANO,</span><br /> -<span class="small">PRESSO L’EDITORE GAETANO BRIGOLA</span><br /> -—<br /> -1872 -</p> -</div> - -<div class="verso"> -<hr class="mid" /> -<p> -TIP. BERNARDONI. -</p> -<hr class="mid" /> -</div> - -<div class="somm"> -<hr /> -<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p> -<hr /> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span> -</p> - -<h2 id="intro" class="hidden">Introduzione -</h2> -</div> - -<p> -L’andare in villa, non molt’anni addietro, era di -pochi, di que’ felici soltanto che la fortuna aveva dalla -nascita privilegiati, o ne’ commerci arricchiti: ora gli -è, può dirsi, dei più. -</p> - -<p> -S’è così tornati alla manía del basso tempo antico, -quando noi s’era colonia di que’ famosi prepotenti che -erano i Romani. Cicerone — tanto per nominare qualcuno -d’universal conoscenza — che non era tra i più -facoltosi, nè da patrizia famiglia nato, s’era appagato di -una sua velleità e contava nientemeno che ventiquattro -ville di sua proprietà, quantunque invero non prediligesse -che le sue case di Tusculo e di Pompei; e Cajo -Plinio il Giovane, quello stesso che fu delle nostre parti, -anzi della città di Como, — senza dir del suo Tusci che -<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span> -egli aveva alle pendici dell’Appennino toscano, e del -Laurentino che possedeva in Romagna sul litorale del -Mediterraneo fra le città d’Ostia e di Laurento — lungo -le sponde ridentissime di questo Lario, dove sto -per accompagnare il mio lettore, ne aveva due, l’una -a Villa, che denominò <i>Commedia</i>, l’altra prossima a -Bellagio, che denominò <i>Tragedia</i>. -</p> - -<p> -Io perfino, che divido le cure della vita fra le cause, -i processi criminali e le umane lettere, ma che da Cicerone -e da Plinio son per merito e ricchezza lontano -quanto ci corre dal gregario al generale, partecipe -della febbre che ha i moderni invaso, mi son passata -alla mia volta la follia di una villa, piccola sì, ma a -me bastevole: <i>parva sed apta mihi</i>, come direbbe il -gran lirico latino. -</p> - -<p> -La manía poi del viaggiare a solo titolo di divertimento -è tutta propria dei nostri tempi; è il portato -inevitabile delle tante vie ferrate e de’ vapori che solcano -tutti i mari; i Romani l’avevan pure, ma pel solo -gusto matto di tribolar le nazioni cui portavano la -guerra e di svaligiarle interamente... -</p> - -<p> -Ma io la piglio forse soverchio da lontano, per ispiegare -al mio lettore le ragioni di questo libro, nè va -bene che l’annoi sin dal principio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span> -</p> - -<p> -Volevo dire adunque che da noi, in Lombardia principalmente, -non c’è caso: quando arriva l’autunno, si -vuol proprio andare alla campagna; che noi della capitale — intendo -la morale — si sognan tutto l’anno le -rive del Lario o i placidi e verdeggianti colli del Pian -d’Erba, e beati se ci possiamo andare! So di chi s’acconcia -a scampagnare nella catapecchia della nutrice -d’alcun suo bambolo; d’altri a condannarsi a starsene -chiusi nelle case di Milano, purchè si creda che siasi -alla campagna. -</p> - -<p> -I viaggiatori che ci visitano, non ci lasciano se prima -una giornata non abbiano passato sul lago di Como, -percorrendolo su per i piroscafi che vanno e vengono -da un capo all’altro; e chi appena lo possa, si sofferma -non pochi giorni ne’ diversi e veramente confortevoli -alberghi, che si sono venuti stabilendo ne’ varî punti -di queste rive popolate di paeselli e di ville leggiadre, -che incantano di sè anche coloro che han pur visto -que’ miracoli di natura che sono i golfi di Napoli e di -Genova. -</p> - -<p> -Nel Pian d’Erba, è vero, non ci vanno come noi; -ma la colpa è tutta nostra, che non siamo pur anco -giunti a praticarvi strade un po’ convenienti e, meno -ancora, alberghi; perchè tali davvero non ponno dirsi -<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span> -que’ che adesso se ne hanno arrogato il nome. Ma la -locomotiva non tarderà guari a prolungarsi da Seregno -almeno ad Erba, e sarà allora un’altra cosa; la -Brianza superiore non sarà più certo un mito pe’ forestieri -che saranno stati nella nostra Italia, e il bisogno -d’impiantarvi adatte stazioni verrà dietro per conseguenza. -</p> - -<p> -Or bene; villeggianti e viaggiatori, nel soggiorno di -questi luoghi, si domandano bene spesso: dove si va -oggi? dove domani? -</p> - -<p> -Il mio libro è la risposta. -</p> - -<p class="indl"> -Milano, maggio 1872. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-008b"></a> - <img src="images/ill-008b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Castello Baradello.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span> -</p> - -<h2 id="esc1">ESCURSIONE PRIMA. -<span class="smaller">IL BARADELLO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del Baradello. — Un -cenno geologico. — La storia del castello. — Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo -del Baradello. — Napo della Torre. — La -chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — Villa Venini ora Castellini. — Il -collegio alla Camerlata. — Opificî industriali. — Ville Larderia, Martignoni, -Prudenziana e Carloni. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Non è alcuno di noi che, giungendo la prima volta -in ferrovia alla Camerlata, non appena uscito dal vagone, -non abbia rivolto lo sguardo a quella torre che -sta di sopra il colle che sogguarda alla stazione, e non -sia corso a ricordare le mille storie che nell’infanzia -gli saranno state raccontate dalla nonna o dalla fante -intorno ad essa, e con certa curiosità non vi abbia per -qualche istante tenuto l’occhio, quasi a dirsi: non era -dunque una panzana quella che aveva udito del <i>Castell -Baravell</i>, che così appunto nel nostro bisbetico dialetto -abbiam travisato il nome di Baradello. E siccome una -volta almeno anche l’ultimo de’ popolani s’è tolto lo -<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span> -spasso di visitare la città de’ <i>missoltini</i>, — così chiamati -que’ dolcissimi pesci che dà il Lario, quando si misaltano -o vengono disseccati —; così non è più adesso -pel minuto popolo nostro un mito, una favola, un alcun -che di immaginoso questo <i>Castell Baravell</i>, che ha udito -le tante volte ne’ suoi giorni d’infanzia ricordare. -</p> - -<p> -Ma siccome questo libro non è fatto unicamente per -i miei concittadini, non mi soffermerò più altro nè a -ritessere quella storia della prima fanciullezza, nè a -sceverarla dalle ubbie e dalle fole immaginate all’opportunità -dalle serve o bambinaie per aver savî i lor -marmocchi; così ora toccherò al sodo ed a quel meglio -che interessi. -</p> - -<p> -Sia che tu movendo da Milano percorrendo il cammin -di ferro che si ferma a Camerlata, sia che da Colico -tu scenda col piroscafo per il lago infino a Como, -il castello Baradello ti si annunzia prestamente; perocchè -egli torreggi sovra il colle, o monte che meglio -ti piaccia di chiamare, il qual si eleva fuori appena la -porta che riesce appunto alla via che scorge a Camerlata -e per di là a Milano. -</p> - -<p> -Questo colle, io ti consiglio di ascendere, o lettore, -nella gita che vorrai fare a Como, perocchè di là ti si -parerà avanti il più superbo panorama che si possa -figurare; miracolo di cielo e d’aria, vista di città e di -paesi, di lago e di ville, di giardini e di poggi amenissimi, -di palagi e di chiese, di poveri tugurî e di vasti -stabilimenti industriali, di monti selvosi e di massi e -vette cinericcie e brulle d’Italia e di Svizzera, che gli è -a pochi tratti di distanza, ed anche di Savoja, che si -fa rappresentare dal nevoso Monte Rosa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span> -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Sa ognuno di tutti noi come il monte Baradello -chiuda il varco al Milanese, e non sia vero che girando -intorno ad esso si ritrovi la strada che passa a -Chiasso, primo villaggio della Svizzera italiana: parrà -strano nondimeno che a falsamente indicarlo fossero -appunto due scrittori di Como, e di quel valore che -nessuno loro ricusa, come sono Paolo Giovio, lo storico, -o <i>storicone</i>, come chi il voglia coll’Aretino corbellare<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>, -e Gastone Rezzonico prosatore e poeta non degli ultimi. -Scrisse il primo, parlando del Baradello: <i>in edito -jugo saxosae viae, quae tendit ad Helvetios</i>; cantò il -secondo: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i07"> minacciar dal giogo</p> -<p class="i01">Lo svizzero pedon che incerto move</p> -<p class="i01">Per l’aspro calle i faticosi passi.</p> -</div></div> - -<p> -Di molto e molto si perdona al poeta, disse Orazio; -è vero: ma forse non si è disposti ad accordargli la -<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span> -favolosa possa di Atlante di prendersi sulle spalle poderose -un monte per piantarlo, come gli garba, fuor -del posto che gli ha assegnato madre natura. -</p> - -<p> -Perchè si chiami Baradello, io potrei dirtene più -d’una, chè nulla è più agevole che immaginare origini, -etimologie: mi basterà invece di accennare, come coloro -che ne’ varî nomi di radice greca che si trovano lungo -il lago ne’ paesi — Lemna, Dorio, Nesso, Corenno, Colono, -ecc. — presumono argomentare essere qui state -colonie greche, vogliano il nome di Baradello derivare -dalle voci <i>baris deile</i> (βαρυς δειλη) ossia torre della -bass’ora o d’occidente, perchè dietro quelle giogaie -tramonti il sole; e chi invece dal celtico <i>Barrdell</i>, che -significa <i>monte piccolo</i>; e infatti è nome pur dato all’altro -monte <i>Barr</i> presso Lecco, tra Malgrate e Oggiono — Baro —, -che Plinio, copiando Catone autore -antico, non saprei con qual giudizio, pretende avesse -sul suo culmine una città denominata Barra, donde ne -sarebbero venuti i Bergamaschi e il nome della Brianza. -</p> - -<p> -Pei geologi può interessare per contrario il sapere -come il colle Baradello si costituisca di pietra arenaria, -non altrimenti che sono dell’egual roccia altre colline -della provincia, e, stando agli <i>Atti della società patriotica -di Milano</i> (Vol. III), se ne sarebbe nel passato -tratto allume e giallamina. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Se veniamo alla storia, cose del pari malsicure ne -segnano i primordî del castello che sovraggiudica questo -monte. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span> -</p> - -<p> -L’illustre autore della <i>Storia della città e diocesi -di Como</i>, Cesare Cantù, che, del resto, di notizie del -suo lago e della Brianza ne ha diffuse per tanti libri, -nè sarà certo l’ultima volta che a lui per esse ricorrerò, -nel far cenno di questa torre quadrata che fra -le ruine grandeggia di Baradello, la trovò mentovata -nel documento di Liutprando re, che reca la data del 4 -delle none d’aprile dell’anno dell’incarnazione 800, -primo del regno, indizione X, che, riferito in nota a -pagina 103 (vol. I, edizione Le Monnier), attesterebbe -di assai doni da lui largiti alla chiesa de’ santi Carpoforo -e compagni da lui fondata. Al qual proposito commenta -lo storico: <i>Sebbene troppi argomenti abbiamo -addotti per giudicarlo, perciò vogliam fare stima che -chi lo finse avrà procurato, quanto l’ignoranza glielo -permetteva, di dargli aspetto di verità.</i> -</p> - -<p> -E soggiunge così le altre notizie che concernono il -fabbricato: -</p> - -<p> -“L’abate Uspergense veramente ne attribuisce la -fabbrica al Barbarossa; ma può ben essere che abbia -il terribile imperatore fatto risorgere quel forte, smantellato -dai Milanesi, allorchè Como distrussero. Il castello -fu abbattuto, sicchè nulla possiamo dedurre dalla -sua forma: resta una torre massiccia, ma senza porta, -nè altro carattere. Chi però ne guarda la solidità non -troverà improbabile tanta antichità sua. La tradizione -aggiunge che una via sotterranea guidasse di lassù sino -al piano: fantasie applicate ad ogni castello, e nel nostro -la rende meno probabile l’immensa difficoltà! Alla -torre si avrà avuto accesso per un ballatoio a quella -finestra grande che è alla metà; e le fosse, che vogliono -<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span> -credere vestigia della strada segreta, saranno state cisterne -per conservar l’acqua.„ -</p> - -<p> -Dei tre castelli che fiancheggiavano la città di Como, -e che erano il Nuovo sopra San Martino, quel di Carnasino -e il Baradello, è certo che quest’ultimo fosse il -meglio importante. -</p> - -<p> -L’opportunità del luogo (perocchè incomba alla città, -e perchè non occupata da sue forze e da’ suoi, la rocca -le si sarebbe potuto rivolger contro, se tenuta da nemici) -non lascia dubitare che da antichissimo, e prima -ancora di re Liutprando, fosse una cittadella su quella -cima e forse una di quelle ventotto che ricorda il Giovio -essere state oppugnate in queste parti da Marcello. -</p> - -<p> -Federico Barbarossa la mise di poi in nuovo assetto, -e dovea chiudere nell’ampia sua cerchia il quartiere -per la guarnigione ed anche il palazzo ove stanziava -il podestà e dove pure albergarono quell’imperatore e -la sua donna. -</p> - -<p> -Non sarebbe difficile, a chi volesse studiarvi sulle -ruine, assegnar il luogo del di lui palazzo, se esso fosse -nel piano eminente, o se alle falde: certo è dato argomentare -come esso dalle munizioni traesse il nome di -<i>Ca-merlata</i>. -</p> - -<p> -E ad altro vantaggioso scopo valeva eziandio la torre -del Baradello, se vuolsi, com’io penso, aggiunger fede -a quelle argute osservazioni dello storico testè citato, -e che pure è prezzo dell’opera il riportare. -</p> - -<p> -“Vi sarete accorti — scrive egli a pagina 47 del volume -primo dell’opera succitata — come i luoghi principali -fossero in punto di fortificazioni, così da resistere -alla agitata fortuna. Ma poichè ognuno per sè era troppo -<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span> -poco o per difendersi o per offendere, formavano una -maniera di federazione, o fosse colla città principale, -o contro di quella; ed era perciò mestieri usar qualche -guisa per comunicarsi uno all’altro i pericoli, le decisioni, -le avventure. L’età nostra adopera meravigliosi -telegrafi, che colla velocità dello sguardo tramandano -a centinaia di miglia con esattezza le notizie; allora vi -si doveva supplire con grossolane maniere. Se ti fai -a considerare, o lettore, le nostre parti, vedrai delle -torri sulle punte, sui poggi, d’onde lontano possa la -vista; or quelli appunto erano i posti su cui stavano -le scolte per esplorare la campagna e per ricevere e -tramandare i segni telegrafici. Accadeva un bisogno? -doveasi chiamare a parlamento, alle armi? comunicar -un ordine, una notizia? Bandiere di colore diverso e -variamente sciorinate, o meglio una o più fiamme disposte -ne’ luoghi e nelle guise convenute, e replicate -di vedetta in vedetta, propagavano abbastanza rapidamente -le novelle. -</p> - -<p> -“Per questo erano stabilite le torri in modo che una -guardasse l’altra. Al Baradello, se vogliamo toglierlo -come centro de’ segni, corrisponde, verso il lago, Torno, -o piuttosto quel colle presso Pognana che chiamano la -Collina della Guardia; indi Argegno, oppure la Cavagnola, -che potevano comunicare alla Val Intelvi; poi -Bellagio, che da una parte alla Valassina, dall’altra -al ramo di Lecco, da sera mandava il cenno alla Val -Menaggio e pel castello di Grandola al lago di Lugano, -e superiormente a Rezzonico, donde alla torre d’Olonio, -posta all’imboccatura della Valtellina. Da quella -potea propagarsi all’altra torre, che si vede ancora -<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span> -sopra Samolaco, donde al castel di Gordona, feudo vescovile, -ed a quel di Chiavenna; e per la Valtellina al -castello di Domosolo; e per le torri, poste principalmente -sul vertice degli angoli salienti, fino alla serra che -chiudeva i risoluti Bormini. Volgendo a nord-ovest, -rispondeva al Baradello la torre di San Nicolao a sopracapo -di Mendrisio, poi forse l’erta ed amena cima -di San Salvatore, visibile a tutto il Ceresio; poi pel -monte Cenere tramandavasi il cenno a Bellinzona, al -Verbano, alla <i>Chiusa</i> (la ciosa) dei Lombardi. Verso -mezzodì era la posta a Cantù, donde propagavasi al -Milanese ed alla rôcca del Montorfano, che può a’ lontanissimi -confini della Brianza vedersi. I castelli posti -tra mezzo apprendevano le novelle di que’ principali.„ -</p> - -<p> -Il Castello di Baradello è ricordato come arnese che -assai figura nelle lotte guelfe e ghibelline del secolo -decimoterzo. Sono note le guerresche fazioni de’ Torriani -e de’ Visconti. I primi, comunque usciti dalla Valsássina -della provincia di Como, pur essendo di parte -guelfa, s’erano legati a Milano con amicizia veramente -larga. Avversi essi ai nobili, ch’erano stati cacciati, ed -eletti a capitani del popolo, li combattevano con coraggio -e valore, e se crudeli nelle ore solenni della pugna, -erano miti nondimeno e generosi dopo di essa; onde la -storia registrò quel che Martino della Torre ebbe a -dire quando non volle trucidare i ghibellini da lui fatti -prigionieri: “Poichè non ho potuto dar la vita, a nessuno -vo’ toglierla.„ Ma espiarono tanta generosità; soccombendo -a’ Visconti nella battaglia di Desio, Napo -della Torre ed altri di sua famiglia vennero chiusi in -una gabbia del Castello Baradello, ed ivi così fieramente -<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span> -trattati da empir di gemiti la valle ed a far iscrivere al -Cronista: <i>In castro de Baradeìlo quasi canes tractati -sunt.</i> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Sovra il colle medesimo del Baradeìlo vedesi ancora -a’ dì nostri quella chiesa, che più sopra ho menzionata, -sacra a San Carpoforo, che si vuole in paese sia stata -eretta ne’ primi secoli dell’êra cristiana. La tradizione -pretende che in origine fosse tempio pagano dedicato a -Mercurio, e venisse poi convertita in chiesa cristiana e -vi fossero deposti e venerati i santi avanzi di Esanto, -Cassio, Severo, Secondo, Licinio e Carpoforo, che si -dicono qui presso martirizzati per la fede, sotto l’impero -di Massimiano Erculeo. Siccome poi nella medesima -chiesa sarebbe, giusta la pia tradizione, sepolto -anche Felice, pur chiamato santo e che fu il primo -vescovo di Como, così alla esistenza di tutte queste -preziose e venerate reliquie rese testimonianza una latina -lapide, che or più non sussiste, ma che letta in -addietro così suonava: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Huc veniens discat quæ corpora sancta requirat</p> -<p class="i01">Hoc altare tenet, sex tanto lumine splendent.</p> -<p class="i01">Hic sunt Carpoforus, tum Cassius, atque Secundus,</p> -<p class="i01">Et simul Exantus, Licinius atque Severus.</p> -<p class="i01">Hi spernendo viri mortem pro nomine Christi,</p> -<p class="i01">Nec metuendo mori, simul hic voluere reponi.</p> -<p class="i01">At talem numquam potuit quis cernere tumbam</p> -<p class="i01">Hic sanctis, sanctus locus est, multum venerandus,</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span></p> -<p class="i01">Quem nullus cædat, potius sed dona rependat.</p> -<p class="i01">Extat et hic Felix divinis ductus habenis,</p> -<p class="i01">Verum divinum studuit qui dicere primum</p> -<p class="i01">Comi nempe bonus, primus fuit iste patronus:</p> -<p class="i01">In cœlis felix merito sit nomine Felix<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Il medesimo re Liutprando, che più sopra ho nominato, -e il quale restaurò questo tempio e gli fe’, come -già dissi, molti doni, vuolsi vi facesse da Roma trasferire -eziandio i corpi de’ santi Giacinto e Proto. -</p> - -<p> -Mette conto a chi ha asceso il Baradello il visitare -questi interessanti avanzi. Si conserva tuttavia l’abside -rotonda, la torre del campanile quadrata, la confessione -sotto l’altare, o <i>scurolo</i>, come si direbbe dal volgo, od -altrimenti cripta. All’altare poi si ascende per due laterali -gradinate. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Ora il Baradello non è più calpesto da militi catafratti, -ma percorso da allegre villanelle e da operosi -<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span> -contadini, perciocchè sia tutto ricinto di fertili colli e -vi si scorgano signorili ville. A fianco della suddescritta -chiesa di S. Carpoforo sorge la villa de’ signori Venini, -ora acquistata dal signor Castellini che ha un suo florido -collegio di maschile educazione a Camerlata. Non -più l’<i>all’erta</i> delle scolte parte dall’ampia torre, ma -la canzone rustica di chi vi alberga si diffonde da -quelle coltivate alture; non armi accolgonsi, ma istrumenti -di agricoltura; ed alla bassa Camerlata non fortilizî -più si ritrovano, ma gli edifizî operosi della ferrovia; -e più in giù, nella vallata, alla destra di Como, -opificî industriali; e al piede del colle, verso Garzola, -la magnifica villa Larderia, ricca di acque che le scaturigini -del monte le somministrano; poi quelle altre -de’ Martignoni, della Prudenziana e del dottor Carboni. -Così ai frequenti gridi di guerra che per quelle vaghe -pendici s’udivano ripercossi dagli echi de’ monti circostanti, -è succeduto il sibilo prolungato ed acuto, ma pacifico, -della locomotiva che annunzia l’arrivo o che -saluta la partenza di tanti e quotidiani viaggiatori; alle -agitazioni delle fazioni e alle intestine discordie tennero -dietro le tranquille cure e i riposi, a’ quali questi beati -recessi, privilegiati da natura, sembrano unicamente -destinati. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-020b"></a> - <img src="images/ill-020b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Monte Generoso.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span></p> - -<h2 id="esc2">ESCURSIONE SECONDA. -<span class="smaller">IL GENEROSO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di S. Abbondio. — Il -Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo Volta. — Chiasso. — Il -Crotto e le <i>polpette</i> della Giovannina. — L’<i>Albergo di Mendrisio</i>. — Dottore -e albergatore. — Il Monte Generoso. — Salita. — L’albergo del -dottor Pasta. — La cura dell’aria. — Geologia, flora e fauna. — Il dottor -Pasta. — L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il Dosso-Bello. -— La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di Mendrisio. — La Cantina -di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo Vela. — Ligornetto. — Le -cave di Arzo. — Le acque solforose di Stabio. — San Pietro di Castello. -— Romanzo storico. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Discesi dalla facile e coltivata eminenza del Baradello, -non s’aspetti il lettore ch’io lo conduca subitamente -al lago e quivi il tragga al piroscafo che fumiga, -ardente della sua corsa quotidiana a Colico, o il faccia -entrare nel burchiello, come vorrebbe il navicellaio, che -ci sollecita, il berretto nell’una e la catena della barca -nell’altra mano. -</p> - -<p> -Como ha ben altro ad intrattenerlo per un giorno, -e anche più, quando ami le cose veder per bene, non -già solo per la futile soddisfazione di poter dire: “ho -visto.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span> -</p> - -<p> -Fuor le mura avrà a vedere la chiesa di S. Fedele -e la vicina fabbrica di macchine idrauliche del Regazzoni; -la basilica di Sant’Abbondio, contemporanea a -quella di S. Carpoforo, che ha già visitata sul Baradello, -e che servì di cattedrale insino al 1013, in cui -il vescovo Alberico v’ebbe a collocare i monaci retti -dalla regola di S. Benedetto e la cattedrale aprì in -città nel Duomo attuale, che pur interessa di visitare, -come uno dei più insigni monumenti architettonici -di Lombardia, autore Lorenzo degli Spazzi di -Valtellina, compiuto poi da Tomaso Rodari di Maroggia, -del quale son forse le due porticine dei fianchi, -di squisitissimo lavoro. Ammirerà in esso diversi buoni -quadri, fra cui il Natale di Gesù; l’Adorazione dei -Magi; i santi Cristoforo e Sebastiano e lo stupendo -S. Girolamo di Bernardino Luini; lo Sposalizio di Maria -e la Fuga in Egitto di Gaudenzio Ferrari. Nè lasci -di dare uno sguardo al Pretorio, che sta a lato del -Duomo; al santuario del Crocifisso, per la fama che vi -chiama a migliaja i divoti; al Liceo, dove è interessante -il gabinetto di fisica, in cui si trovano macchine -che servirono a quel sovrano intelletto scopritore -della pila, ad Alessandro Volta vuo’ dire, al quale nella -piazzetta prossima al lago venne eretta una statua, -mediocre opera di Pompeo Marchesi; al Teatro, architettato -dal Cusi, ampliato dal Ruspini e co’ bei dipinti -del Pagliano e dello Speluzzi. Veda anche il Camposanto, -architettato dal Tatti, e in cui si chiudono lodevoli -monumenti, fra cui uno lodatissimo d’Antonio -Tantardini di Milano. -</p> - -<p> -Il ricapito poi per l’intera giornata e per quanto -<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span> -ti avverrà di passare in Como, non andrai errato ad -eleggerlo all’albergo Volta che, in riva al lago, sta -presso al luogo d’imbarcazione sui piroscafi. Ammodernato, -vi si introdussero tutte le lautezze d’un albergo -di prim’ordine, e il forestiero di qualunque nazione -e di qualunque più elevata condizione non può -che trovarsi a suo bell’agio. -</p> - -<p> -Era indispensabile codesta indicazione; il lasciarla -sarebbe stata mancanza verso il lettore, ingiustizia -verso chi ha dotato Como di uno stabilimento, senza -cui avevasi ragione, scesi appena dalla Camerlata, difilarsi -pari pari al vapore, per ire in traccia d’albergo -o alla Regina d’Inghilterra presso Cernobbio, o alla -Cadenabbia, o a Bellagio od a Menaggio. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -Una passeggiata conviene ora che facciamo insieme, -la quale avrei volontieri riservata, per procedere ordinatamente, -allorchè giunti a mezzo del lago, che or misuro -da Como a Bellagio, ci sarebbe occorso di scendere -dalla barca o dal vapore ad Argegno, per metterci -dentro la Valle Intelvi. Ma siccome non intendo di -abusare delle gambe del mio lettore, nè farlo inerpicare -di troppo su per le balze di San Fedele, così per -giungere all’egual meta, approfittando delle mutate -condizioni politiche che ricondussero fra noi e i nostri -vicini della Svizzera le migliori relazioni d’amicizia, -perchè già della medesima famiglia, onde non sia più -mestieri ricorrere a passaporti o ad altri documenti -<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span> -personali, usciamo di Como, montiamo adagiati in carrozza -il facile pendio dell’Olimpino, varchiamo il confine -italiano, e, oltrepassato Chiasso... -</p> - -<p> -Ma no; prima di oltrepassarlo, d’una promessa ho -a sdebitarmi. -</p> - -<p> -Chiasso era dapprima una borgata, che sembrava -fatta apposta per beneficio di noi Lombardi, che volevamo -sdrucciolar fuori dalle mani de’ nostri passati dominatori, -quando, per un capriccio di poliziotto, per un -sospetto generato da cattiva digestione del direttore di -polizia di Milano, ci volevano agguantare. Al di là de’ pilastrini -che per mezzo di una trave abbarrano il confine, -Chiasso si distende, per mezzo diviso dalla strada che -conduce a Capolago ed a Lugano, fiancheggiato da erbosi -colli e da montagne popolate da paeselli e casolari, -come <i>branco di pecore pascenti</i><a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>, direbbe il nostro Manzoni. -Ora Chiasso ha bel rilievo da una nascente fabbrica -di tabacchi, che prepara sì eccellenti cigari, da -sembrare che lo faccia espressamente a rendere ancora -più insopportabili quelli che a noi dà la Regía; ha un -albergo; e per noi, che non abbiamo l’agio di soggiornarvi, -ha il <i>Crotto della Giovannina</i>, deliziosissimo -<i>chalet</i>, d’architettura svizzera, che il mio ottimo ed -ospitale amico, il colonnello federale Costantino Bernasconi, -ha fabbricato, ma che alla barba sua prese il -nome dalla sua conduttrice, e che io raccomando a -chi transita per Chiasso, non a’ gaudenti della vicina -Como, che già vi corrono la domenica a chiedere le -<i>polpette della Giovannina</i>, rese celebri oramai, e che farebbero -<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span> -venire l’acquolina... no, volevo dire l’absinzio -in bocca al chiarissimo autore della <i>Giovinezza di -Giulio Cesare</i>, perchè <i>di color mogano</i>, com’ei le brama. -</p> - -<p> -La promessa era appunto quella di segnalare questo -simpatico recesso, a pochi passi dal paese, lungo l’acqua -della Falopia che scorre in sottil vena, protetto dall’ombra -di superbi tigli, fatto più bello e più fresco da -una cascata pittoresca, e più ricerco pel suo vino di -Chambery che vi si beve. Non dimenticherò l’ora che -vi ho passata, nè il ballo della sera, dove al suono dell’organetto, -uomini e donne di tutte le condizioni repubblicanamente -ballonzolavano e si turbinavano in -certe polke e in certi waltzer, che direbbonsi impossibili, -se veduti non li avessi. Vidi colà l’elegante dalla -cravatta bianca irreprensibile e il contrabbandiere in -manica di camicia rimboccata all’insù del gomito, la -guardia di finanza italiana e lo svizzero carabiniere, -l’impiegato e il contadino, l’operaja e la sguajata manutengola -del frodo; una baraonda, insomma, vispa, -matta e rumorosa da comunicarvi, anche vostro malgrado, -il buon umore e l’allegria. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Dopo ciò, tiriamo dritto. -</p> - -<p> -Passiamo Balerna, villa un dì del vescovo di Como, -rivendicata ora dal Comune, e arrestiamoci in Mendrisio -all’albergo che dal paese assunse il nome d’<i>Albergo -di Mendrisio</i>, del signor Bernardino Pasta, che, -prima d’essere albergatore fu un egregio pittor di genere, -<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span> -le opere del quale andavan spesso assai lodate alle -esposizioni di belle arti nel palazzo di Brera a -Milano. Sono quivi le pazienti cavalcature che ci devono -condurre sul Generoso; perocchè non abbia detto -ancora che lo scopo della nostra passeggiata è l’ascesa -al Generoso. -</p> - -<p> -E sarà bene che ci informiamo dapprima se l’albergo che -sta sopra a questo monte abbia ancora qualche camera -in libertà; perchè avvenga non di rado che inglesi -e americani, tedeschi e francesi, italiani e svizzeri, -tanto in numero vi si trovino, da non lasciarvi uno -de’ cento e più letti che vi stanno; e in tal caso il signor -Pasta Bernardino di Mendrisio, fratello al dottor -Carlo Pasta, ch’è l’albergatore del Generoso, vi -potrà allora ospitare degnamente; perocchè vi abbia -adesso allestito il proprio albergo di tutti i conforti -della vita. -</p> - -<p> -Ad ogni modo, salvo a ridirne nel ritorno dal Generoso, -noi possiamo farvi qui l’asciolvere nostro, mentre -staccansi gli asini ed i muli dalla greppia e vi -s’adattano le selle per le signore, e troveremo il nostro -conto. La via ne richiamerà almen due ore; l’aria del -monte ne renderà acuto l’appetito; sarà bene pertanto -seguire il mio avviso. -</p> - -<p> -Intanto che facciamo onore alla buona colazione che -ci dà il signor Pasta, discorriamo un po’ del Generoso, -che dovremo ascendere fra breve. -</p> - -<p> -Esso è il monte più alto di quel gruppo delle Prealpi -che sorge fra le valli di Mendrisio e d’Intelvi, e -De Welden ne misurò l’altezza barometrica della punta -meridionale fino a metri 1740, e il ticinese Lavezzari -<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span> -quella della punta settentrionale fino a metri 1733 sopra -il livello del mare<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>. Vien chiamato eziandio Mendrisone -e Calvagione, con quest’ultimo nome venendo -designato da’ valligiani del versante lombardo; ed appartiene -tanto alla Svizzera italiana che alla nostra -Lombardia, perchè appunto pria di giungere sulla vetta -sta la pietra che divide i due territorj. Ma siccome a -noi insegnano gli statistici che nel dire de’ confini d’un -paese, non si abbadi a que’ limiti temporanei che può -imporre la politica contingente, così certo non andò -lontano dal vero chi il Monte Generoso, per la maraviglia -del panorama di cui dispone da’ suoi culmini, -ebbe a chiamarlo il Righi lombardo, a simiglianza di -quello svizzero, che ergesi al di sopra di Zurigo, dove, -malgrado la sua antica celebrità e la vista de’ sottoposti -laghi di Zug, dei Quattro Cantoni, di Loverz e -di Sempach, e de’ monti elvetici, non ha però l’ampiezza -dell’orizzonte e la serenità del Generoso, ricinto -non da brulle roccie, ma da monti coperti di verzura e -di fiori, e sorridente alle acque del Lario e del Ceresio -che si vedono scorrergli ai piedi, e più lontano a -quelle del lago di Varese coi vicini laghetti di Biandronno, -di Monate, di Comabbio e di Muzzano, e più -lontano ancora a quelle del Verbano. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Ma le nostre cavalcature scalpitano, le nostre guide -attendono: affrettiamoci. Quando discenderemo domani, -occuperemo la giornata nel visitare gli interessanti -dintorni del piano. -</p> - -<p> -La via che scegliamo è la migliore. Se non abbiamo -aspettato ad andare sul Generoso dalla parte di Vall’Intelvi, -a causa del cammino dirupato, mai più non ci -vorremmo noi avventurare per l’erta e non meno difficile -via di Maroggio sul lago di Lugano e che passa -per Rovio. Pigliamo adunque questa stradicciuola che -ci scorge a Salorino: sarà la più facile, la più amena. -</p> - -<p> -Breve è il tratto che riesce a quel montano paesello, -e presto lasciatolo addietro, s’entra in una valle e -quindi in boschi di castagni e faggi, poi si traversano -praterie, si rasentano burroni, si aprono prospettive -mirabili ed incantevoli: dappertutto si svolgono quadri -d’una natura agreste, ma piena di poesia, onde legittima -è l’estasi degli artisti, che ad ogni istante vi rinvengono -<i>trovate</i> e soggetti a studî ed a schizzi. A quando -ridente, a quando severa, sia che si presentino verdi -tappeti smaltati di fiori, sia che si parino avanti roccie -ed abissi, la via riesce ognora interessante, ed è -appena se dal tumulto degli affetti che vi tenzonano -nell’anima, tutta occupata dalle più svariate sensazioni, -ora liete or melanconiche, e se dalle or sublimi ed or -terrene imagini, che vi avvicendano il sorriso e la volontà -del piangere, l’inno e l’anacreontica, vi richiama -<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span> -il tintinnío della campanella del vostro ronzino, o -l’inciampar di esso in qualche ciottolo importuno. -</p> - -<p> -Non temere, gentile compagna della nostra peregrinazione; -nessun pericolo si presenta lungo tutta la -via; affidati secura alla robusta guida che fiancheggia -la tua comoda cavalcatura, e tutta e interamente godi -del nuovo spettacolo che ti si offre davanti. -</p> - -<p> -Ma il filo telegrafico che d’un tratto si vede, ti invita -a seguirne il corso e presto ti fa scorgere primi -i fumajuoli, che mandando dalle loro gole colonne di -fumo, avvertono che la meta è vicina, che l’abitato è -imminente. -</p> - -<p> -Ecco, l’albergo si affaccia finalmente; ecco.... lo -vedi in tutta la sua estensione. Tanta grandiosità ti fa -maravigliato e corri subito a pensare quanto ardimento -sia stato quello di chi osò escogitarlo a tanta -altezza, poichè siamo a 1209 metri sul livello del mare<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>, -e quanta fede abbia egli avuto nella sua impresa da -avventurare tanta fortuna. -</p> - -<p> -Questo coraggioso fu il signor Carlo Pasta. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Vorrei descrivere l’albergo magnifico a cui siamo -arrivati; ma prima ne reclama l’attenzione nostra la -persona del suo proprietario. Egli è venuto incontro -a riceverci del miglior garbo possibile; è di lui dunque -che prima dobbiamo intrattenerci. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span> -</p> - -<p> -Il signor Carlo Pasta non è soltanto albergatore: egli -è il dottor Pasta. Non è quindi a cercarsi se in lui -l’idea di rizzare questo magnifico stabilimento sia stata -pullulata dall’interesse unicamente: egli, se da esso -fosse stato mosso soltanto, non l’avrebbe osato; vorrei -dire di più, sarebbe stato temerario. Medico dotto, egli -vagheggiò la sua impresa anche a beneficio di chi vorrebbe -poi ricercare il ristauramento della salute alla -salubrità dell’aere. Sì, quassù sul Generoso non si -viene per cure termali; il buon dottore lascia che le -acque di queste balze scendano pei due versanti e si -gittino per una parte nel Lario, per l’altra nel Ceresio; -la cura ch’egli vi offre è quella dell’aria, ed è la -meno incomoda, la meno dispendiosa, la più certa. Qui -si allargano i polmoni che la bevono, si rinnova l’appetito, -si rintegrano le forze, si alleggerisce dalle cure lo -spirito, e si discende poi con tanto tesoro di salute e -di buon umore da sfidare e le umide brume della bassa -e il cumulo, non meno infesto, delle cure cittadine. -</p> - -<p> -Lettore, se a te sono aperte le discipline delle scienze -naturali, il tuo cammino può fornirti inoltre larga materia -ad osservazioni e studî. Le condizioni geologiche -delle roccie e l’abbondanza dei fossili possono esercitare -assai spesso il tuo martello, se geologo; come la -ricchissima flora ad ogni momento può arricchire la tua -raccolta, se botanico. -</p> - -<p> -La natura delle roccie è la calcarea grigia basica -dell’êra giurassica; più in su per altro si incontrano -banchi estesi stratificati di calcare rosso ammonitico, -e più in su ancora altri banchi di un calcare bianco, -più comunemente detto majolica, atto a mutarsi in -<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span> -calce eccellente. Sulle vette del Generoso, nella roccia -di calcare fosco si scoprirono conchiglie, <i>spirifere, terebratule</i> -e <i>pentacriniti</i>, e nel calcare rosso molte specie -di ammoniti. -</p> - -<p> -Se poi si voglia erborizzare, verrà in copia sotto -mano l’aconito, l’arnica, la genziana, la belladonna, -l’assenzio, i rododendri, le rose, gli anemoni, le primule -soavi, i ranuncoli, le achillee, le sassifraghe, le -cinerarie, i candidi asfodeli, il nero veratro, le dafni -alpine, le rute, le peonie, le silene, le betulle, le orchidee, -i crisantemi corimbosi, e cento altre specie di -piante, che io non saprei enumerare, ma delle quali il -dotto Lavizzari ha tenuto esatto conto colla nomenclatura -di Linneo e d’altri botanici<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>. Tutti però, anche -al nostro occhio profano, col loro abito roseo o -cilestro, giallo oppur bianco, violaceo o nero, fra tappeti -di verzura e con tutte le gradazioni dell’iride, cospirano -a smaltarci il cammino, a rallegrarci la vista, -a profumarci l’aere, a compiere l’incanto di sì diverse -scene. Fra’ cespugli s’ode il zirlare del tordo, su per -gli alberi il gorgheggiare dell’usignuolo e il trillar -della capinera; mentre dai greppi inaccessibili modulano -i loro canti il passero solitario e il codirosso, -e lontano lontano s’ode l’intermittente suono delle -campanelle delle mandre pascolanti sulla montagna. -</p> - -<p> -A tutto ciò aggiungi l’azzurra vôlta de’ cieli, limpida -e pura come tra’ monti, il bacio dell’aure che ti refrigerano -<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span> -e fanno stormir le frondi, le liste argentee dei -laghi che ti vengono poco a poco apparendo, mano -mano che salendo domini l’orizzonte, e ti scompajono -quindi dietro un colle, per ricomparirti dipoi più -estesi. -</p> - -<p> -Io vi consiglio adunque la cura dell’aria del Generoso -per una ventina di giorni almeno. Dai primi di -maggio a tutto settembre lo stabilimento del dottor -Pasta è a vostra disposizione; con riserva, io credo, -che lo sia tutto l’anno, quando la ragione e la moda -pe’ viaggiatori vi trarranno non interrotto concorso, e -una via di ferro, come ho udito dirsi che intendasi di -fare, ne agevolerà la salita. -</p> - -<p> -Questo brav’uomo del dottor Pasta diventa ben presto -l’amico e il consigliero de’ suoi ospiti. Di gentili e -aperte maniere, colto non solo ma dotto, voi vivete -tranquilli anche sul più leggiero incomodo di salute. -Tutto ciò costituisce il segreto che attira tanto concorso -a quest’albergo, sì che non valse a rattenere in Mendrisio -più d’un Inglese, cui fu dall’alto telegrafato essere -tutte occupate le camere dell’albergo e i più che -cento suoi letti. -</p> - -<p> -Stretta la mano al simpatico albergatore, sul piazzale -stesso che sta davanti all’albergo, malgrado che -la salita vi abbia per avventura un po’ affaticati, pure -non potete a meno di rivolgervi a scorrere d’un’occhiata -tutt’all’intorno il superbo e pittoresco orizzonte -che vi si schiera davanti. -</p> - -<p> -Ma esso vi basti per ora: di quell’orizzonte, ed anche -di meglio, ci occuperemo nella gita che faremo -sulla vetta di questo monte; ora piuttosto uno sguardo -all’edificio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span> -</p> - -<p> -La sua ortografia non presenta a primo aspetto eleganza -di linee architettoniche; ma in compenso il suo -disegno è pieno di armonia e severo. Sorge a tre piani -da un terrazzo, entro il quale sono praticati sotterranei, -dove è la cucina, la panatteria ed altri locali di -servizio. Dalla parte opposta al piazzale d’ingresso ve -ne ha un altro con giardino, e da dove l’occhio si -spazia lungo il piano lombardo, giù per la china della -valle del Po. Quivi è collocato un telescopio inglese, -intorno al quale sono sempre i numerosi ospiti in traccia -del più diletto punto di vista. Le città, le grosse -borgate, le migliaja di villaggi, i santuari co’ loro acuminati -campanili, le ferrovie, le lunghe linee delle -più vaste strade e quelle de’ fiumi, e i bacini de’ laghi -coi fumiganti piroscafi che li solcano, sono disseminati -nel più stupendo panorama. -</p> - -<p> -Entrati nell’albergo, tutto ammirar dobbiamo distribuito -colla migliore intelligenza. V’è una vasta sala -da pranzo, dove tutti i numerosi ospiti convengono all’ora -indetta per la <i>table d’hôte</i>; una per la lettura, e -vi stanno libri e giornali d’ogni nazione; un’altra assai -ben intesa pel bigliardo; e tutte adorne di bei quadri -e di specchi e addobbate con semplicità ed eleganza. -</p> - -<p> -I tre piani superiori hanno ognuno una propria sala -comune di ricevimento e numerose camere con eleganti -suppellettili ed assai soffici letti. -</p> - -<p> -Ho già detto più sopra che i <i>comforts</i> di questo stabilimento -sono completati da un servizio telegrafico: -la posta poi vi giunge quotidiana colle lettere e coi -giornali. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span> -</p> - -<p> -Se si chiede poi quale il trattamento, la risposta si -riassume in una parola: squisito. La cucina vi è ottima -e scelta; latte, burro e miele freschissimi sempre e -saporitissimi, quali possono fornire l’erbe aromatiche -e i fiori della montagna onde si nutrono mandre ed -alveari; e dopo tutto, la vostra borsa non si spaventi: -i prezzi vi sono moderatissimi. -</p> - -<p> -L’albergo, insomma, è accessibile a tutti, ed è già -molto che in mezzo a tanta letizia non si cacci il roditore -pensiero che poi vi si abbia a far iscontare in -danaro gli splendidi orizzonti, le poetiche passeggiate -e il sottile e salutare aere bevuto. -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Cominciamo ora le nostre escursioni, poichè ci siamo -riposati e rifocillati col copioso pranzo. Come, chiederete -voi, ora che il sole tramonta? -</p> - -<p> -— Precisamente perchè il sole tramonta. -</p> - -<p> -Entriamo in questo sentiero quasi orizzontale che -fiancheggia l’albergo e guida in dieci minuti alla spianata -dal lato occidentale del monte. -</p> - -<p> -Qui esso declina, qui sotto scintilla l’onda del lago -di Lugano, ripercossa dai raggi del sole che piega al -tramonto. -</p> - -<p> -La scena è stupenda che ti si distende davanti. Nuvoletti -frangiati d’oro o porporini vagano là sul confine -dell’orizzonte, dove il Rosa lo chiude colle sue cime -candide di neve; lunghe strisce del color della viola in -altre parti listano il firmamento; il rancio del lembo -<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span> -estremo si muterà fra breve nel rosso di fuoco, onde -sembra che il -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Ministro maggior della natura</p> -</div></div> - -<p> -pria di calar dietro i monti, ne baci d’un ardente bacio -i culmini più sublimi. -</p> - -<p> -Voi riguardate a quel solenne occaso, nel silenzio -religioso di quell’ora; e dalla valle sottoposta, dove -l’ombre giganti si distendono, sorge e viene insino a -voi la squilla vespertina del villaggio che saluta il dì -che muore. -</p> - -<p> -La brezza aleggia più sollecita e viva... -</p> - -<p> -Il sole è sceso dietro la linea de’ lontani monti: la -luna gli succede nell’impero del firmamento. — Ritorniamo -all’albergo. -</p> - -<p> -Se t’arresti più giorni sul Generoso, non obbliare -l’altra vaghissima escursione al Dosso-Bello, da dove ti -si offriranno le ridenti sponde del Lario, colla fila non -interrotta di paesi e di ville, e ti verrà dato rivedere -da lunge la terra che già visitasti del Baradello, e la -striscia del fumo che libera la locomotiva che da Camerlata -muove per Monza e Milano. -</p> - -<p> -L’indomani affréttati alla escursione più vagheggiata, -fino alla vetta cioè del Generoso. È la meta di quanti -traggono al già descritto albergo: e ben ne vale la pena. -Sono alquanto più di cinquecento metri di altitudine -a montarsi (531); il cammino richiede almeno un’ora e -mezza. -</p> - -<p> -Non isgomentarti, o lettore, delle prime asperità delle -vie aperte sul fianco orientale del monte; più agevole -si rende di poi la salita, mercè le cure del dottor Pasta. -<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span> -Sono cinque anfratti che avrai a percorrere, ma dolci, -senza vepri nè ciottoloni, in mezzo a pascoli ubertosi, -ricchi di mandre, che vedete liberamente pascolare, sì -che non la sete, ma piuttosto la curiosità di trovarvi fra -roccie calcari una fonte a un chilometro dall’albergo, -vi trae a gustar la limpida linfa che vi sorge. -</p> - -<p> -Ma lieti e non affaticati, eccoci pervenuti alla vetta. -L’ho già detto: la punta meridionale è a 1740 metri -sul livello del mare e la settentrionale è di sei metri -più depressa. -</p> - -<p> -Qui sul molle e verde tappeto sediamo, perocchè le -infinite meraviglie che ad un tratto si rivelano all’esterrefatto -sguardo sieno troppe, e convenga una ad -una distinguerle ed ammirarle. -</p> - -<p> -Ah! voi vi sentite ora maggiori di quel che siete, quasi -numi che imperate al creato, nel veder tanta e sì stupenda -natura svolgersi sotto di voi. Ne’ giorni estivi, -mentre sul vostro capo si distende limpida e serena la -vôlta de’ cieli, vedreste adunarsi i nembi sotto de’ vostri -piedi, scoppiar gli uragani, guizzar le folgori, e l’illusione -della vostra divinità vi parrebbe più vera. -</p> - -<p> -Ecco: la vetta, come dissi, è partita in due distinte -prominenze, l’una dall’altra distante di circa trecento -metri; questa che sogguarda al Lario segna il principio -dell’Italia; quella che al Ceresio segna il principio -della Svizzera. Su quest’ultima veggonsi gli avanzi di -un segnale trigonometrico che servì per la triangolazione -iniziata dagli astronomi ai tempi del primo regno -d’Italia. -</p> - -<p> -Qui posiamo, esclama pure il Lavizzari, sotto il cielo -di Dante, di Colombo, di Leonardo, di Raffaello, di Galileo; -<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span> -qui viviamo sul suolo di Lutero, di Haller, di Rousseau, -di Bernouilli, di Saussure. Qui l’anello delle due -nazioni; qui la terra dei vulcani tocca la terra dei -ghiacciai; qui cessano i lauri, i mirti; qui incominciano -i licheni, gli abeti; qui la rosa delle Alpi si intreccia -colla peonia peregrina; qui il ranuncolo glaciale s’annoda -alla silena insubrica; qui infine la flora del Mediterraneo -si sposa alla flora germanica. -</p> - -<p> -Girate ora lentamente lo sguardo all’intorno del vastissimo -orizzonte. Da questa parte, che direi italiana, -voi vedete dalle montagne della Valtellina, giù giù, -seguendo la linea del lago di Como, tutta la lunga sequela -di quelle, verdeggianti per lo più, che costituiscono -l’ultimo contrafforto delle Alpi, e dietro le altre -sul cui pendio s’adagia Bellagio e più giù la Pliniana, -il Moncodine o Grigna, il Monte Campione ed il Monte -Serada o, come più popolarmente è detto, il Resegone, -onorato di mirabile descrizione da Manzoni. -</p> - -<p> -Pervenuto il vostro occhio alla città dei Plinii e di -Volta, più in là sospingendolo, per una infinita serie -di punti biancheggianti, che sono altrettanti paesi, vi -trovate a Monza, quindi a Milano, subito di essa avvertiti -dalla freccia ardita dell’aguglia principale del suo -Duomo; indi vi si presenta la valle del Po e nel fondo -l’azzurra linea degli Appennini. Convergete la pupilla a -destra e vedrete Varese, Arona, Novara, Torino: Crema, -Cremona e Vigevano le vedrete del pari al manco -lato, o in direzione su per giù di Milano. -</p> - -<p> -Poi, a sfondo di quella ove avete distinta Torino, vedete -le cime del Rosa e del Bianco incoronati di perpetui -geli, il Monviso, il Cenisio, l’Ortlerspitz, il Mischabel, -<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span> -il Pizzo della Bernina, lo Spluga, il Medelser, il -Lucmagno, il Gottardo, il Galenstock, il Wetterhorn, -il Fünsteraarhorn, l’Eiger, il Mönch, la Jungfrau, il -Bietschœrner, l’Aletschkorn, il Fletschorner, il Mittagshorn, -il Weissmies, il Cervino, il Winterberg ed altri -moltissimi, che dalla vetta di questo Generoso vide e -nominò quel rinomato naturalista che è G. Studer, nel -suo <i>Panorama des Alpes</i>, disegnato sullo stesso nel 23 -settembre 1869, e che io sono lieto di possedere. -</p> - -<p> -Verso ponente poi la vista riesce per avventura più -pittoresca, dominando sulla vasta regione montuosa che -dalla Val Sássina si stende alla Val Cavargna, scorgendovisi -l’estremità del lago di Lugano col villaggio -di Porlezza, un breve tratto di quel di Como verso -Bellagio, e belle ondulazioni di monti, e vallate disseminate -di villaggi, di prati e di boschi, coi più graziosi -contrasti di luce e d’ombra, da innamorare un -pittore. -</p> - -<p> -L’intrepido passeggiero, dove il voglia, potrà nel suo -soggiorno sul Generoso pigliarsi un bel dì lo spasso di -scendere dalla sua vetta alla Vall’Intelvi, prendendo -il sentiero che mena ad Orimento, indi a San Fedele o a -Castiglione in due ore e mezza; da dove potrà andare -per San Fedele e Luino ad Osteno, che si specchia nelle -onde del Ceresio, oppure per Dizzasco ad Argegno, che -si specchia in quelle del Lario. -</p> - -<p> -Ma noi dobbiamo rifare la nostra strada, riedere all’albergo -del dottor Pasta, dove le cavalcature ci attendono -per ridiscendere a Mendrisio. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span> -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -E poichè siam di nuovo all’<i>Albergo di Mendrisio</i> del -signor Bernardino Pasta, ch’era una vera necessità per -questa grossa borgata (la quale vi rammenta la <i>Gismonda</i> -di Silvio Pellico), le lautezze che offre e le comodità -che lo fanno raccomandatissimo ai <i>touristes</i>, -v’invogliano certo a fermarvi una o più giornate. -</p> - -<p> -Nè vi troverete pentiti, da che le vicinanze hanno -non dubbie attrattive per chi a viaggi od anco alle -escursioni di piacere non pone scopo il materiale diletto -soltanto, ma la ricreazione dello spirito eziandio. -</p> - -<p> -A coloro che di quest’ultima sono poco curanti e -preferiscono il primo, additerò le rinomate cantine di -Mendrisio stesso, e avanti tutte quella che si denomina -il Crotto del monte Generoso, e il buon vino parrà -loro migliore per la vaghezza del luogo. -</p> - -<p> -Agli altri indicherò visitare dapprima l’Ospizio di -Mendrisio stesso, aperto agli infermi del Canton Ticino, -giusta il volere del suo fondatore, il conte Alfonso Turconi. -Quivi ammireranno un pregevolissimo bassorilievo -in istucco dello scultore Pietro Bernasconi, e una statua -rappresentante il Turconi medesimo, alla lode della -quale basta pronunziare il nome del suo autore: Vincenzo -Vela. — <i>Tanto nomini nullum par elogium!</i> -</p> - -<p> -E poichè v’ho proferito il suo nome, come non visitarne -l’elegante edificio, o villa, in Ligornetto, che sta -a mezz’ora da Mendrisio e sorge in piccola eminenza -tutto recinto da giardini, e dove quell’egregio si ritrasse -<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span> -troppo presto ad onorato riposo? La cupola che si eleva -nel mezzo piove la luce sull’ampio locale, dove l’illustre -artefice raccolse i modelli delle opere principali -sue, che il resero così illustre, da divider egli meritamente -col toscano Dupré lo scettro della italiana -scultura. -</p> - -<p> -Poi potrete visitare le cave de’ marmi di Arzo, che -sono di un rosso variegato, e le acque solforose di Stabio -efficacissime e che solo han d’uopo d’avere decenti -stabilimenti che le ministrino, per conseguire fama ed -affluenza maggiori; e finalmente la storica chiesa di -San Pietro presso Castello, che dista pure non più di -mezz’ora da Mendrisio. -</p> - -<p> -La rinomanza della chiesuola non è soltanto per la -bella vista che vi si gode di parecchie terre svizzere e -lombarde, ma altresì per un’orrenda strage avvenutavi -in que’ miserevoli tempi che ardevano le ire fratricide -de’ Guelfi e de’ Ghibellini. -</p> - -<p> -Gli è un soggetto da romanzo, e però chiuderò la -passeggiata nostra, col toglierla di netto dal Lavizzari -e ripetervela adesso. -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -L’avo dell’illustre letterato Virunio Pontico della famiglia -dei Busioni di Mendrisio, era Pietro, uomo d’alto -affare; e Margherita sua moglie era ornamento delle -donne de’ suoi tempi. La loro figlia Lavinia colla rara -sua bellezza destava tale ammirazione, che vedevasi costretta -ad evitare il pubblico sguardo. Invaghitosi perdutamente -<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span> -di costei il ghibellino Vizzardo Rusca, dimandolla -sposa, rinunciando alla dote, e offrendosi non solo -alla pace, ma ad imbrandire le armi contro i nemici della -famiglia di lei. La supplichevole inchiesta fu negata dai -genitori; ma Vizzardo, non perdendo la speranza, e vagando -di nottetempo al modo degli innamorati intorno -alla dimora della fanciulla, udì una sera da una stanza -terrena i genitori di Lavinia dire che avrebbero piuttosto -strozzata colle mani loro la figlia, anzichè concederla -sposa a Vizzardo. Questi, fremendo d’amore e di -sdegno, diessi ad ordire il feroce disegno di esterminare -tutta la nemica famiglia. Egli uccise nove figli di Pietro; -ma non potè raggiungere Lavinia, che il padre aveva -nascosta entro un sotterraneo, ove rimase finchè Vizzardo -fu ucciso. Il costui cadavere fu trascinato sulla -sepoltura dei nove innocenti e quivi lasciato in pasto -alle fiere. Frattanto moriva il padre, il quale fu sepolto -in marmoreo avello nella chiesa di San Sisinio alla -Torre, sovra un poggio presso Mendrisio. -</p> - -<p> -I Ghibellini andavano tessendo insidie a Giorgio, avvenente -fanciullo, decimoquinto figlio di Pietro, e che -fu poi padre di Virunio Pontico<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>; volevano farlo divorare -dai mastini, che a tal uopo nutrivano. A Margherita -riescì di celare il prediletto Giorgio ne’ suoi poderi -<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span> -di Besazio presso il monte San Giorgio. Ma nel tornarsene -a casa l’afflitta e irrequieta donna, di nuovo corse indietro -per rivedere il figlio, e non avendolo tantosto -colà trovato, cadde svenuta, nè si riebbe se non quando -il rivide. Diede allora al figlio molto denaro ed un gomitolo -di refe (<i>marsupium pecuniarum auri et glomum -rephi tradit</i>)<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>, comandandogli di fuggire tanto lungi che -non udisse più il nome del suo paese. Giorgio recossi -a Napoli; e mentre da parecchi anni viveva in molto -favore della regina Giovanna, la madre, caduta in potere -degli spietati nemici, veniva tratta da Mendrisio al -castello di Capolago, e quivi sul lato sinistro della via -crudelmente sospesa ad un’arbore. L’infelice Margherita, -in procinto di morte, implorava contro gli uccisori -de’ nove innocenti suoi figli un vendicatore. Udito l’orrendo -fatto, Antonio, altro suo figlio, maggiore di Giorgio, -radunò la sua fazione, e nella notte di Natale, -entrato nella chiesa di San Pietro in Castello, trucidò -uomini, donne, fanciulli ed il sacerdote all’altare; vi -lasciò più di cento cadaveri. Questa inaudita strage -avvenne nel 1390, quando già da dieci anni Antonio e -Giorgio erano andati in lontano esilio. Lavinia, innocente -causa di sì miserandi fatti, ricoveratasi a Belluno, -ove il fratello Giorgio era capitano del presidio, si -consacrò a vita claustrale e fu sepolta nella chiesa di -<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span> -San Francesco. Antonio, andando peregrino al Santo -Sepolcro per espiare, secondo l’uso de’ tempi, i suoi delitti, -perì in mare. -</p> - -<hr class="tbs" /> - -<p> -Compiuta così questa gioconda camminata, rifacciamo -ora la strada e riconduciamoci, piena l’anima -di sì svariate impressioni, a Como; nè più deviamo -quindinnanzi dal proposito delle nostre escursioni per -le sole terre dal Lario e per quelle dall’Éupili bagnate. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span></p> - -<h2 id="esc3">ESCURSIONE TERZA. -<span class="smaller">IL NINO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del Mago. — Le ville -Castiglioni, Sessa, Pertusati e Cornaggia. — Villa Angiolini. — Villa -Rattazzi. — U. Rattazzi e Maria Bonaparte Wyse. — Villa Pedraglio. — Le -ville Trubetzkoi, Ricordi e Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La -villa Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio -di Blevio. — Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, Vigoni -e Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — Il Nino. -</p> -</div> - -<p> -Dovrei dedicare questa escursione, più che alla -comune de’ miei lettori, a que’ beati gaudenti che si -chiaman felici allora che hanno potuto snidare alcun -luogo, in cui il buon vino, o la specialità di qualche -intingolo o manicaretto li han solleticati. Essi vi danno -una fama, una celebrità, che si conserva anche quando -la ragione più non ne esista affatto. -</p> - -<p> -E i beati gaudenti intraprendono pellegrinaggi appositi -per visitare queste stazioni epicuree: testimonio -questo Nino, a cui traggono non soltanto i buongustai -della vicina Como, ma e da’ paesi più alquanto lontani -e perfin da Milano. Una bella giornata di primavera -o d’estate, una festa, il ferragosto, deve essere consacrata -<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span> -a qualche baldoria che già abbia il suo principale -obbiettivo nella tavola e più ancora nel buon vino? La -brigata operaja di Milano o di Como per acclamazione -elegge subito d’andare al Nino. -</p> - -<p> -Seguiamoli noi pure. Avremo noi di tal guisa occasione, -più che di deliziarci del buon vino, di rapidamente -percorrere le ville che sono sulla destra sponda -del lago infino alle sette città di Blevio, che così designansi -per celia quelle frazioni d’un unico villaggio che -si sparpagliano sul monte, infino a quella punta sporgente, -che con quella che ha di fronte, e che denominasi -del Pizzo, accenna al fine del primo bacino del -lago, il quale si viene ripartendo in tanti bacini, tutti -aventi peculiari bellezze, qual più vasto, qual meno. -</p> - -<p> -Pigliam la barca pertanto, e il nostro uomo costeggi -pur lentamente questa sponda, su cui poggia il Nino; -chè pria di giugnervi, avremo a parlar di più cose. -</p> - -<p> -E poichè ci siamo, vedete là su in alto del monte il -paesello di Brunate. A me che amo raccogliere le leggende -popolari, come ad un geologo balzerebbe il cuore -di gioja alla scoperta d’un petrefatto, o ad un numismatico -il ritrovare una medaglia antica, non è possibile -passar oltre senza narrarvi che lassù raccontino le comari, -come la figliuola di un possente re d’Inghilterra, -a cui fanno il nome di Guglielmina, avesse un bel dì -(l’epoca però non sanno e tutt’al più se ne sbarazzano -colla frase d’uso: <i>ne’ tempi antichi</i>) a fuggire dalla reggia -di suo padre, e per farvi vita santa ricoverasse -a Brunate e vi morisse poscia in odore di santità. E -la pia leggenda ha sì fonde le radici, che le madri alle -quali il latte faccia difetto, la invocano protettrice. -<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span> -Quale poi sia la relazione che corra fra la santa giovinetta -ed il latte, nè esse lo sanno dire, nè m’accingo -a indovinarlo. -</p> - -<p> -Alla falda del monte v’è la Grotta del Mago che -potrebbesi visitare, costituita di banchi calcarei che -s’incavernano; ma siccome non mi fu detto perchè -mai così con nome di mistero nominata, voghiamo -avanti. -</p> - -<p> -Qui appena usciti dalla cinta del nuovo porto — il -quale, se risponde forse meglio al bisogno cittadino e -varrà fors’anco a infrenare certe piene che in passato -troppo spesso han nuociuto alla parte di Como -che si curva intorno al lago, certo poi le ha rapito anche -parte della vista del lago stesso, e il discapito mi -par grande —, passato il borgo di Sant’Agostino, incominciano -le ville. -</p> - -<p> -E prima la Castiglioni, indi la Sessa, poi la Pertusati; -e questa che s’avanza sul promontorio detto di Geno -è la villa dei Marchesi Cornaggia, dove un giorno era -un convento di Umiliati, che durò dal 1225 al 1516, -tramutatosi poi in lazzaretto pei colpiti dalla peste, -onde fu travagliata non solo Como, ma Lombardia tutta -sul finir del secolo XVI. -</p> - -<p> -Svolta la punta di Geno, si nicchia, come in un -angolo che fa il monte, la villa Angiolini; ma più in -vista vi tien dietro quella che assume il nome da quell’eminente -uomo di Stato che è il commendatore Urbano -Rattazzi, a cui ingiustamente tiene Lombardia il -broncio per averle estese sollecitamente quelle leggi -amministrative che aveva il Piemonte e che le sarebbero -pervenute egualmente più tardi, se non dovevano essere -<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span> -un’irrisione il patto dello Statuto patrio che vuol -la legge eguale per tutti e l’unità nazionale; senza -aggiungere che taluno de’ lombardi deputati d’allora -avesse fatto nel Parlamento suonare alta la voce che, -fossero state anche ottime le leggi austriache che si -avevano prima, per ciò solo si dovessero mutare. Il più -liberale di quanti ministri ebbero Piemonte ed Italia, -è sventura che scribivendoli piovutici in Milano, e impossessatisi -de’ nostri giornali, abbiano potuto sostituirne -l’opinione e, facendo la storia a loro talento, -avessero a presentare questo illustre personaggio, dal -cuore pari allo ingegno eccellente, poco men d’un nemico -del paese. Il tempo che non è così grullo e che -non giura nelle parole di questi sicofanti, farà la giustizia. -</p> - -<p> -È in questa leggiadra casina che Maria Bonaparte -Wyse, bella e colta consorte sua, e fra le più riputate -scrittrici francesi, dettò le più lodate pagine della sua -<i>Louise de Kelner</i>, in cui tanta parte è trasfusa delle -amarezze, onde l’anima sua generosa venne dagli stolti -abbeverata. -</p> - -<p> -Se recinto da maggiori simpatie, alle quali avrebbe -avuto diritto Urbano Rattazzi, nella quiete di codesta -sua villa, dopo le lotte parlamentari e le cure di Stato, -vi sarebbe più frequente venuto a ritemprare lo spirito -e rinnovare le forze. -</p> - -<p> -Tien dietro, a poca distanza, la villa Pedraglio, e -poi ci si affaccia il sospirato Nino. -</p> - -<p> -Diamovi gli ordini pel pranzo, indi proseguiamo a -costeggiare questa sponda. -</p> - -<p> -Il principe Trubetzkoi, colle mine si preparò lo spazio -<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span> -entro la dura roccia del monte per rizzarvi un casino -di stile nordico, onde colla più sciagurata freddura fu -chiamato del principe <i>Turbascogli</i>; non è forse la postura -più allegra ad una villa; l’arido sasso che incumbe -non vi concede quella gajezza di pensiero, che tutta -invece vi ispira la villa Mylius, che, se al vero non mi -appongo, è tra le meglio intese del lago. Casa e giardino -vi sono egregiamente distribuiti. -</p> - -<p> -Le ville Ricordi e Artaria hanno del pari i loro pregi: -presso a queste era la villa Carena, ma un bel dì del -novembre 1868 inabissò nelle ore meridiane, volendo -fortuna che nessuno degli uomini che vi lavoravano -perisse, perchè appena usciti. Fosse lezione ai molti -che troppo spesso, ad ampliamento di loro possessi, invadono -ciò che spetta al lago, il quale non attende a’ -loro comodi, ma viene il dì che si ripiglia i suoi diritti! -</p> - -<p> -Eccoci a Blevio. -</p> - -<p> -È paese alpestre che non mette conto di ascendere, -da che le belle ville che adornan la sponda ci seducano -meglio; a meno che non vogliate visitar quella che più -su è dei signori Bocarmé e che dicono meritevole di -vedersi, e la villa e vaghissimo giardino già Comton ed -ora spettante al signor F. L. Lattuada, negoziante di -Milano; o spingendosi ancora più su, noncuranti delle -asprezze del cammino, non vi prenda curiosità di cercare -il <i>Pertugio di Blevio</i>, lunga galleria orizzontale -alta un braccio al più e occupata dalle acque colatizie -della montagna. Se di siffatte naturali cose voi siete -amanti, non lasciate allora di volgere la vostra attenzione -all’altro speco, o spacco verticale, che da quegli -alpigiani vien designato col nome di <i>Buco del Nasone</i>, -<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span> -opportunamente difeso da macigni onde non vi precipitino -dentro gli armenti che vi pascolano vicino. Forse -nel fondo di tale speco si potrebbero rinvenire fossili, -se fosse possibile di praticarvi indagini. -</p> - -<p> -Presso alla chiesa parrocchiale di Blevio è la villa -di quella famosa danzatrice che fu Maria Taglioni, la -quale, fabbricandola, sperò passarvi gli ozî dell’età -matura, quivi pascendosi delle floride memorie che le -avrebbero richiamate le corone d’alloro, i ritratti e -tante altre opime spoglie de’ suoi teatrali trionfi, che -qui depose. Ma la fortuna, bizzarra e spesso crudele -iddia, volle disporre altrimenti. -</p> - -<p> -Così chi avrebbe detto al principe Schuwaloff, che vi -eresse vicino una graziosa villa con architettura russa, -che di essa, come d’ogni altra pompa e commodità -mondana, sarebbe stato sì presto schivo, e colla religione -greca de’ suoi padri, l’avesse ad abbandonare -per rendersi barnabita in Milano, e poscia in Parigi, -ove scrisse <i>La mia conversione e la mia vocazione</i>, ivi -morendo nel 1859?.... Legata egli questa sua villa -del lago a’ suoi compagni di religione, veniva da essi -venduta a quel dotto intelletto di donna che fu Cristina -Trivulzio principessa di Belgiojoso, autrice di lodate -opere dettate nell’idioma francese, e spentasi -soltanto nel passato anno 1871. Ora toccò la villa in -eredità alla figlia Maria maritata al marchese Trotti. -</p> - -<p> -Tengon dietro le ville Belvedere Vigoni e la Sparks, -questa d’architettura svizzera; ambe leggiadre, e con -peculiari caratteristiche che le rendono interessanti allo -spettatore. -</p> - -<p> -Un’altra villa succede, che ricorda pure entusiasmi -<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span> -teatrali: La Roda è detta e fu di quella grande artista -cantante che si nomò Giuditta Pasta. Apparteneva prima -a madama Ribier, la crestaja che a Milano fu ricerca -da tutto il mondo elegante e accumulò gran fortuna. -Venuta poi alle mani della celebre cantante, per la -quale Bellini scrisse la <i>Norma</i> e la <i>Sonnambula</i>, cioè i -suoi insuperati capolavori musicali, la ampliò d’assai, -vi fabbricò, vi dispose giardini ed ombre, e fino a certo -tempo vi accolse anche ospiti e amici, fra cui sovente -quella gentile e rinomata poetessa che fu Adele Curti, -troppo presto rapita alle lettere, e troppo presto e ingiustamente -dimenticata, anche da chi ipocritamente -si scagliò su colui che fu creduto averne con offesa -d’amore accelerato il fine, su colui che invece non ha -cessato ancora d’amarla, testimonî questi versi, che di -lui si leggono stampati sulla strenna edita in Napoli, -intitolata <i>Il Vesuvio</i>, a scopo di beneficenza, e dettati -ventiquattro anni dopo quella immatura morte. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Sovente l’ora quando è fatta bruna,</p> -<p class="i02"> A te pensando che ogni dì più adoro,</p> -<p class="i02"> Io chieggo ai raggi dell’argentea luna,</p> -<p class="i02"> Se il tuo bel peplo è della luce loro.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ed alle stelle che la notte aduna,</p> -<p class="i02"> Se son le gemme del tuo serto d’oro,</p> -<p class="i02"> E se dal ciel se ne dispicca alcuna,</p> -<p class="i02"> Io tremo e quasi per dolcezza moro.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Chè penso allor che tu fedel mantenga</p> -<p class="i02"> Quella promessa che mi festi pia,</p> -<p class="i02"> E che ti prego dal Signor m’ottenga.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">E che la stella fuggitiva sia</p> -<p class="i02"> L’anima tua, che dall’empireo venga</p> -<p class="i02"> A raccoglier la stanca anima mia.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span> -</p> - -<p> -Giuditta Pasta in questi suoi diletti recessi della -Roda trascorse i suoi anni provetti, ma afflitti però -da domestici lutti. Ella anche vi morì. Un suo busto, -opera egregia dello scalpello del milanese Antonio Tantardini, -fu da’ Comensi collocato nel loro casino. -</p> - -<p> -Ma l’ora del pranzo ci richiama al Nino. -</p> - -<p> -La mensa, noi, stando in barca, la vediamo apparecchiata -sotto un pergolato che dà sul lago; così al diletto -dei cibi avrem congiunto quello non meno grato -della vista. -</p> - -<p> -Risparmio la descrizione del Nino: è un’osteria, un -<i>restaurant</i>, quel che volete chiamarlo, di volgare architettura -a cui chi giunge non fa attenzione. Vi si sbarca, -si pon piede su d’un terrazzo, dove son disposte -tavole per chi vi mangerà o beverà; v’è buona cucina, -v’è buona cantina; chi ci viene, lo sa, se ne approfitta; -nè parte, come da tanti altri luoghi, disilluso. -</p> - -<p> -D’altre specialità, che non sieno brigate, canti, giuochi -alla morra, suoni di qualche menestrello che capita -da Como, non vi saprei dire veramente. -</p> - -<p> -Il Nino è il ritrovo della buona classe borghese, -per definirlo in due parole; come per la <i>haute volée</i> è -l’albergo della Regina d’Inghilterra, che sta alquanto -più in su nella sponda opposta, ed al quale riserbo condurre -il lettore in una prossima escursione. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-052b"></a> - <img src="images/ill-052b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Villa Raimondi.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span></p> - -<h2 id="esc4">ESCURSIONE QUARTA. -<span class="smaller">L’OLMO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa Barbò. — Il -Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — Villa Saporiti, già -Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. — Palazzo Resta. — Ville -Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, Belgiojoso, D’Adda e Pisa. — Villa -Mondolfo. — L’Olmo del marchese Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio -il Giovane. -</p> -</div> - -<p> -La meta di questa escursione è pel contrario un cotal -po’ aristocratica. Non prometto ai lettori di condurli -alla scoperta d’un <i>Crotto</i>, o di qualche elegante albergo: -la nostra passeggiata non va che di pochi passi fuor del -sobborgo Vico, che si distende sulla destra sponda del -lago, il qual può dirsi in questo suo primo bacino una -serie non interrotta di ville, che si riflettono con femminile -civetteria nelle onde. -</p> - -<p> -Ci basti all’uopo noleggiare un burchiello, e così, -toccando appena dei remi, farlo avanzare lentamente. -Nè vi darò l’incomodo di scendere ad ogni tratto, chè -mi sento d’informarvi d’ogni cosa interessante rimanendo -in barca seduti. -</p> - -<p> -Quel filare di piante è il pubblico passeggio della -città; più dietro e per la via che vi fu praticata forse -<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span> -trent’anni fa, si ascende a S. Fermo dove ne’ primi di -giugno 1859 audacemente i volontarî di Garibaldi attaccarono -gli austriaci di Urban e li ruppero con prodigi -infiniti di valore. -</p> - -<p> -Dopo la chiesa di S. Giorgio, che precede al pubblico passeggio, -incomincia il Borgo Vico e con esso la villa dei -marchesi Barbò da Soresina, dove un giorno sorse la -celebre villa denominata il Museo del già ricordato -Paolo Giovio, vescovo di Nocera, che, a’ suoi giorni, -aveva il poco invidiabile coraggio di altamente proclamare -aver egli a propria disposizione due penne, l’una -d’oro per chi ben lo pagava, di ferro l’altra per chi -ciò non faceva: su per giù del resto il mal vezzo di -certi giornalisti d’oggidì di mia conoscenza, che senza -quel coraggio di dirlo, han tuttavia quell’altro di farlo. -Or bene il Giovio, lo <i>storicone altissimo</i> dell’Aretino, in -quella sua villa accumulato aveva quante preziosità potè -racimolare, sia per doni avuti spontaneamente, sia per -premi imposti e ricatti. Nella prefazione alle sue opere -<i>Ritratti d’uomini illustri</i> ne fece una lunga descrizione, -che, comunque interessante, risparmio al lettore, del -quale debbo già di troppo esercitar la pazienza col narrargli -delle ville che sussistono realmente adesso. L’abate -Gallio demolì nel 1616 il Museo, e la villa che ne -sorse sulle rovine si chiamò la Gallia, che ultimò il -marchese Fossani, ed ha buone pitture del Morazzone -e del Bianchi. -</p> - -<p> -Segue la villa Saporiti, che un dì apparteneva ai -marchesi Villani e figurò allora nel processo intentatosi -a Londra contro Carlotta di Brunswick, regina d’Inghilterra, -del quale dirò parte a parte nella ventura -<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span> -escursione, e narra Cesare Cantù che vi alloggiasse -nel 1797 il generale Bonaparte, prescelta per l’eleganza -del suo ammobigliamento, e che ai deputati di -Como che gli si erano presentati, porgesse franche assicurazioni -che non sarebbero ni francesi, ni tedeschi, -ma italiani. Dopo i Villani ebbero la villa i Battaglia. -</p> - -<p> -Sul terreno della Badia di Vico fu eretto il palazzo -dei conti Resta; più indietro è la villetta elegante dei -conti Salazar; ancora lungo il lago sorge quella de’ Bellotti; -poi quella de’ nobili Mancini, dei conti Belgiojoso, -dei marchesi Brivio, de’ marchesi D’Adda, del banchiere -Pisa, e finalmente del conte Sebastiano Mondolfo, che -coll’orgoglio legittimo consentito dal merito, giusta il -concetto d’Orazio, <i>sume superbiam quæsitam meritis</i>, -può come il romano Oratore vantarsi incominciare da -sè la nobiltà. Colle ingenti somme da lui consacrate a -scopi di beneficenza, coll’ajutare nazionali imprese, egli, -triestino, s’è conquistato la cittadinanza milanese e la -benemerenza nostra. -</p> - -<p> -In questa sua villa, che siede sulle rive ridenti del -Lario, trovò nell’acquisto un prezioso e grandioso dipinto -del pittor Bossi, rappresentante l’ingresso del -general Pino in Milano da Porta Romana alla testa -dell’armata italiana reduce dalle campagne napoleoniche -del nord. Interessantissimo riesce principalmente -un tal quadro per tutte le foggie di vestir popolare che -vi si riscontrano nelle molteplici figure che lo popolano, -e più ancora per i ritratti dei principali personaggi che -vi sono rappresentati. Vi si ammirano altresì quattro -pregevolissimi acquerelli del Migliara, resi ancora più -interessanti, perchè istoriati da quattro diversi episodî -<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span> -di quel tristissimo tumulto che finì coll’eccidio dell’infelice -ministro Prina, onde si bruttò la storia della -mia città. -</p> - -<p> -E così eccoci giunti ora alla meta della nostra -odierna escursione: all’Olmo. -</p> - -<p> -Possiamo lasciare la barca. -</p> - -<p> -Codesta villeggiatura, veramente principesca, oscura -tutte le altre in grandiosità e ricchezza. Anche la villa -che su questa dell’Olmo o ben presso sorgeva, a’ tempi -di Plinio, ed era di Caninio Rufo, non era di certo -inferiore, se non all’odierna grandiosità, certo alla sua -amenità e vaghezza; e poichè mi son proposto di ricordare -storici fatti e tradizioni che si collegano a queste -ville lariane, mi si permetta che io qui trascriva il -brano di Plinio il Giovane<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>, nel quale l’amico Caninio -Rufo intrattiene di questa sua villa: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p class="center"> -“C. Plinio a Caninio Rufo. -</p> - -<p> -„Che fa Como, tua e mia delizia? Che quell’amenissima -tua villetta? che quel portico, dove è sempre -primavera? Che quell’ombroso boschetto di platani? -Che quel verde e lucidissimo canale? Che quel sottoposto -ed util lago? Che quel molle e pur saldo stradon -gestatorio? Che quel bagno tutto quanto riempito e -circondato di sole? Che quel tinello per molti e l’altro -per pochi? Che le stanze da giorno e quelle da notte? -Ti godi forse a vicenda or le une or le altre? O, come -<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span> -îl solito, ne sei distolto da frequenti corse, a fine di -attendere a’ tuoi negozi? Se tu ne godi, sei felice e -beato; non sei che volgo se ne fai senza.„ -</p> -</div> - -<p> -Distrutta, non si sa come nè quando, la villetta di -Caninio Rufo, ora questa più vasta vi sorge, che dicesi -dell’Olmo. La fabbricò il marchese Innocenzo -Odescalchi di Como su’ disegni di quell’illustre architetto -ticinese che fu Simone Cantoni<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>, vi profuse -stucchi, dorature, specchi e dipinti. V’è in una sala -una gran fascia di figure scolpite da quell’emulo di -Canova che fu Thorwaldsen, e vi sono mille altre preziose -cose d’arte. -</p> - -<p> -Toccò questa villa in eredità al marchese Giorgio -Raimondi, che generosissimo vi menò lungo tempo la -vita; ma dopo le sventure toccate alla insurrezione -nostra del 1848, fra le proprietà sequestrate dalla -stoltezza de’ proconsoli austriaci, questa fu pure dell’Olmo, -che, a sommo dispregio delle cose nostre e in -odio del Raimondi, le dorate sale convertirono in caserma, -e sallo Iddio di qual modo conciassero tutte -quelle preziosità. -</p> - -<p> -Sciolti dopo i sequestri, di tanti guasti stomacato -forse il marchese Raimondi, piacendosi d’altre sue comode -e non profanate villeggiature, questa più non curò -e, se la voce non erra, non ricuserebbe dallo spropriarsene. -</p> - -<p> -Qualche regnante o gran ricco che aspiri a trovarsi -<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span> -lungo il Lario una delizia — poichè nella amenità di -queste terre e di queste acque si danno convegni principi -e ricchi d’ogni nazione —, vi troverebbe alla villeggiatura -dell’Olmo il suo conto, e la villeggiatura dell’Olmo -ritornar potrebbe tuttavia a’ suoi giorni di -prosperità e splendore. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span></p> - -<h2 id="esc5">ESCURSIONE QUINTA. -<span class="smaller">IL PERTUGIO DELLA VOLPE.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il Sarizzo. — Grotte -e caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La Zuccotta e I Tre Simili. — Il -signor G. B. Brambilla. — Villa Caprera del signor Loria. — La -Tavernola e l’Albergo. — Villa Gonzales. — Il capitano De Cristoforis. — La -Villa Bignami. — La Villa Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il -Bisbino. — Il Pertugio della Volpe. — Marmi e pietre. -</p> -</div> - -<p> -Alla campagna, non è sempre a paesi, a mercati, a -ville che si ami, a ragion di piacevole passeggiata, andare; -ma assai spesso ben anco a cert’altri luoghi, dove -o la natura li rese interessanti, o la loro postura concede -che si godano panorami od estesi orizzonti. Nè -sono cotali escursioni le meno piacevoli, anzi il più -spesso sono quelle che divertono meglio. Il lago di -Como e il Pian d’Erba, che noi dobbiamo percorrere -allegramente insieme, ti presentano, amico lettore, -molti e amenissimi punti di tal fatta, che saran certo -anche per te deliziose mete a gite, a refezioni allegre, -come lo sono per tanti. -</p> - -<p> -D’ordinario infatti vi si va recando il necessario per -la colazione: è così buono anche il più semplice companatico -quando è ammanito dall’appetito, reso più acuto -<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span> -dal lungo cammino fatto a piedi o sul dosso di qualche -mulo o asinello, e dalla fresca brezza che spira -sempre dalle frondose selvette, onde si vestono le nostre -colline, i nostri monti. E quelle chiare, dolci e -fresche linfe che scaturiscono improvvise dai massi, e, -formantisi in rivoletti, scendono così seducenti di balza -in balza, che t’invitano a gustarle o nel palmo della -mano, o alla foggia dei biblici soldati di Gedeone, o -nella barchettina di cuojo. -</p> - -<p> -Qui lungo il lago di Como avviene che nelle corse -montane che si fanno si trovino altre curiosità, che, -anche senza essere geologi e naturalisti, richiamano -l’attenzione; quali, a mo’ d’esempio, enormi massi o -trovanti di granito, staccati dal monte e per nulla -aventi a fare colla natura della roccia di esso. Celebre -è quello, a cagion d’esempio, che scorgesi a sinistra -del lago sull’alpe di S. Primo e che molti traggono a -vedere, e quelli che vedremo sul monte che sovrasta a -Blevio. La presenza di tali trovanti ci attesta de’ cataclismi -avvenuti, come i fossili e le conchiglie, che su -per le vette di queste Prealpi si trovano, ne lascian -credere che veramente un giorno fosse questa nostra -Lombardia tutta quanta un mare. -</p> - -<p> -Ma di secoli da quel tempo devono essere trascorsi -a centinaja. -</p> - -<p> -Diffatti massi erratici si sfruttano dall’industria per -fabbriche, e in commercio si conoscono sotto il nome -di sarizzo; tanto l’uomo sa trar profitto di tutto! -</p> - -<p> -Richiamano altresì l’attenzione e de’ geologi e dei -profani certe grotte e pozzi e caverne che si trovano, -come il Pertugio detto della volpe, al quale è diretta -<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span> -la nostra peregrinazione odierna; il Buco di Blevio e -quello appellato del Nasone che gli stanno rimpetto; -quello dell’Orso su Torrigia, a cui pure ne ho destinata -un’altra; e la Grotta della Masera sopra Careno -e Premenù sopra Pognana, e il Buco della Nicolina e -quello di Vallombria sovra il piano del Tivano, dove -pure condurrò più avanti il lettore, e la Tana Selvatica -sopra Grandola in Val Menaggio e Biancamonda sopra -Villeso, per non dir di tutte. -</p> - -<p> -E siccome mi piace serbare un po’ d’ordine in queste -nostre escursioni, e far in modo che nulla sfugga -alla nostra osservazione (s’intende nulla del meglio), -così, rammentandomi che siam rimasti alla villa del -marchese Raimondi, denominata l’Olmo, passiamo in -rassegna le graziose e ricche ville che si vengono succedendo: -ci parrà più corta la via, per giungere al -Pertugio. -</p> - -<p> -Se vi pare di variare, qui potete farne senza della -barca; perocchè è una buona via abbastanza larga per -trascorrervi la carrozza e farvi pure lo scambio con -quell’altra che le venisse incontro per ricondurvi al -sentiero che si sale alla montagna. Io per altro ho -promesso di accennarvi a tutte queste leggiadre casine -che si specchiano come vaghe odalische nel lago, e tiro -dritto in barca. -</p> - -<p> -La prima che s’incontra è il Grumello, villa ora -del genovese banchiere Celesia, ma che prima fu dei -Gallio e poi de’ Giovi. Ha vicino la sua darsena, come, -quale in un modo, quale in un altro, l’hanno tutte; -perocchè aver la villa lungo il lago e non possedere -la sua lancia, o la gondola, o il canotto, o il piccino ed -<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span> -agile sandolino che sfiora appena l’acqua, è quanto non -averla. La più parte delle passeggiate è sul lago, e -sovr’esso si trascorre sempre al mattino, meno al meriggio, -indispensabilmente prima o dopo il desinare. -Con taluna di queste snelle imbarcazioni si va al mercato -di Como, si passa alla posta del paese a dare e -ritirar le lettere, si rasenta la sponda o si traversa -per le visite, si va incontro a’ piroscafi per vedervi i -passeggieri, o per la sola voluttà di farsi cullare dalle -grosse onde che nel moversi ne fan le ruote; si fanno -infine le escursioni di piacere; insomma si san sempre -trovare le occasioni d’essere in barca; così che possa -dirsi, senza dare nell’iperbole, che gran parte della -giornata la si passi sovra il lago. -</p> - -<p> -Eccovi questa villa che è al di là della strada: è la -Zuccotta e appartiene al signor Giovan Battista Brambilla, -banchiere di Milano. Innanzi ad essa sarei tratto -a farvi un po’ di maldicenza, non a danno del suo ultimo -possessore, ma a beneficio del suo antecessore, -sempre nell’interesse della storia; ma preferisco rimandarvi -a quel libretto divertentissimo che dettò -quello svegliato ingegno di Defendente Sacchi, molti -e molti anni fa, allorchè la Zuccotta era venuta alle -mani di quel furbissimo abate che fu il professore -Pietro Configliachi. Il libretto ha per titolo <i>I tre Simili</i>, -e ci dice come qualmente la villa la Zuccotta, -acquistata co’ danari d’una signora, rimanesse invece -con mirabile artificio proprietà dello abate. L’è tutta -una rappresentazione di prestidigitazione da disgradare -Cagliostro. A’ tempi in cui usciva questa storia per le -stampe, gli Austriaci erano qui nell’apogeo della loro -<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span> -dominazione; epperò dovette stamparsi alla macchia e -passarsi dall’uno all’altro, quasi un numero rivoluzionario -della <i>Giovine Italia</i>. -</p> - -<p> -Questa villa era stata edificata dai signori Volpi; il -Configliachi, da uomo di sottile ingegno, ne l’aveva di -molto abbellita; ma chi la ridusse alla vaghezza d’oggidì -fu l’odierno proprietario di essa signor Brambilla, -che elevandola fino al sommo della collina e occupando -parte del Cereseto, che il Cantù dice <i>lodato per fichi -squisiti</i>, la fece tra le migliori onde il lago si pompeggia. -Quivi accolse oggetti di pittura e di scultura, -e deve essere per lui di non poca soddisfazione nel vederli -innanzi a sè, ripensare che ognun di essi rappresenta -una commissione da lui data a questo o a quell’artista, -e da lui data in tempo, quando cioè può -valere altresì a beneficenza. Queste cose sono omai così -poco e da’ pochi comprese, che rilevarle, per lo scrittore -è un dovere. -</p> - -<p> -Più avanti il medesimo signor Brambilla, traendo -partito da qualche spazio concessogli dal capriccioso -lago, fabbricò un bellissimo palazzino, che, in omaggio -al Titano d’Italia, intolò Caprera, e non è a dirsi come -lo fornisse d’elegante suppellettile. L’una sola di queste -ville oh come appagherebbe le aspirazioni di molti! -Ora essa divenne proprietà del ricchissimo signor Loria, -che la grande fortuna ammassata ne’ commerci in -Egitto sfrutta degnamente fra noi. Il suo palazzo di -Milano è tra le migliori e suntuose opere architettoniche -del nostro tempo. -</p> - -<p> -Dalla Caprera alla Tavernola, già degli Stagnoli, ora -di proprietario tedesco, non corrono che pochi passi. -<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span> -Quivi è facile trovare chi vi affitti, se bramate gustarvi -gli ozî lacuali, molto più poi che ora vi si è stabilito -un albergo. Il luogo è bello, comoda la casa, proprie -le suppellettili, splendide le vicinanze. Non sarà certo -inopportuna questa mia designazione. Essa venne architettata -da quel valoroso che è il Tatti. -</p> - -<p> -La villa Gonzales vi succede. Sorge a testimonio di -quanto possa l’ingegno anche sopra la nascita e l’educazione -di convenzione. Il Gonzales, datosi agli appalti -e fattosi più volte milionario, qui si aveva preparato -deliziosissimi ozî e riposi dalle annuali fatiche. Spiegò -il gusto de’ gran signori dalla natività: le sue allogazioni -artistiche non sono state mai a casaccio, ma presiedute -dalla intelligenza. Il Fasanotti, principe de’ nostri paesisti, -della villa del Gonzales fece uno de’ soliti suoi capolavori. -Fu l’onore allora della pubblica mostra di belle -arti di Brera; ora lo è della superba casa del signor -Gonzales. Fra gli altri molti oggetti d’arte che vi accolse, -evvi il bellissimo Ismaele dello Strazza e un bel -quadro di Sebastiano De Albertis, raffigurante la morte -del capitano De Cristoforis, avvenuta nella fazione di -S. Fermo già ricordata. Ma, tanta delizia, contro la -comune aspettazione, ora da lui fu ceduta a ricco straniero; -tanto è vero che l’uomo propone e Iddio dispone. -</p> - -<p> -Poi la villa Bignami, eseguita dietro disegno dell’architetto -Clerichetti, e basta per dirla di buona architettura; -e quindi la Cima, che deve la sua esistenza al -generale Pino, di cui dissi già addietro e avrò a dire -nella prossima escursione ancora. Fu in questa villa -che quel famoso vi moriva nell’anno 1826. -</p> - -<p> -Dietro di queste ultime ville, al di là della strada -<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span> -carrozzabile, che ho già sopra ricordata, presso il torrente -della Breggia, che passando nella Vall’Intelvi, -viene presto a buttarsi nel lago, una graziosa villetta, -che per me ha grandissimo valore, attrae il vostro -sguardo. Tersicore vorrebbe esser detta, perocchè essa -appartenga al suo più celebre sacerdote vivente, a Carlo -Blasis vuo’ dire, che congiuntamente a quella somma -artista che fu Annunziata Ramaccini, che gli è compagna, -portò la R. scuola di perfezionamento di ballo -di Milano a quell’altezza e fama che ognun sa. Nel -Blasis l’insegnamento egregio non fu l’effetto soltanto -delle tecniche nozioni apprese alla sua volta in giovinezza, -ma il frutto altresì di quella coltura onde erudì -lo spirito, e delle dottrine estetiche nelle quali è maestro -e per le quali potè donare alle lettere e all’arte -sua un preziosissimo <i>Manuale della danza</i>, un filosofico -volume <i>Sull’uomo fisico intellettuale e morale</i>, e infinità -d’altri lavori di scienza e di erudizione, che il resero -l’indispensabile collaboratore di non so quanti giornali -artistici italiani ed esteri. -</p> - -<p> -Mi conceda il lettore che io dedichi all’amico la -versione d’un enfatico carme latino che il direttore del -<i>Propagateur du Var</i>, Dario De Rossi, pubblicava in -onore di lui. È sì raro che periodici francesi riconoscano -il merito de’ nostri, che chi legge avrà caro che -le pagine di prosa ora alterni con versi che sì onorevolmente -testimoniano d’un nostro concittadino. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Non mai, se il dolce di Calliope labbro</p> -<p class="i02"> Mi sorridesse, o da Polinnia il dotto</p> -<p class="i02"> Artificio non fosse a me negato</p> -<p class="i02"> De’ carmi, o pur se d’imitar col canto</p> -<p class="i02"> Mi fosse Orfeo da pio destin concesso;</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span></p> -<p class="i02"> Non mai, Blasis, potria le tue virtudi</p> -<p class="i02"> Degnamente narrar onde risplendi,</p> -<p class="i02"> Siccome astro fulgente in sul creato.</p> -<p class="i02"> A la palestra le solerti membra</p> -<p class="i02"> Ad addestrar tu insegni, e tu la danza</p> -<p class="i02"> Guidi ed al piede la cadenza, e il modo,</p> -<p class="i02"> E la posa ed il gesto e ogni movenza,</p> -<p class="i02"> Memore ancor dell’arte prisca, apprendi.</p> -<p class="i01">Il diviso dall’orbe irto britanno,</p> -<p class="i02"> Ammira e plaude; e quei che pria Colombo</p> -<p class="i02"> Sotto l’ardente sol scopriva audace</p> -<p class="i02"> Dopo acerbe fortune e l’aspra gente</p> -<p class="i02"> Delle Esperidi e quei che del Sequano</p> -<p class="i02"> Flutto nobil si fa, popol di Francia,</p> -<p class="i02"> Inclito in armi e nel civil costume,</p> -<p class="i02"> Blasis, dal genio tuo, da tanta altezza</p> -<p class="i02"> Di tua mente commossi, al ciel la lode</p> -<p class="i02"> Del tuo nome innalzar e della terra</p> -<p class="i02"> Itala che ti fu larga nodrice</p> -<p class="i02"> E della tua s’onora inclita fama.</p> -<p class="i01">Te la Gloria sublima e il tuo sembiante</p> -<p class="i02"> Ritrae nel marmo. — A che ricordo io mai</p> -<p class="i02"> Queste povere cose? — Oh! non da meno</p> -<p class="i02"> De’ più gagliardi ingegni, osasti primo</p> -<p class="i02"> Tu dell’uomo indagar le meraviglie</p> -<p class="i02"> Note appena ridir ed ogni moto</p> -<p class="i02"> Dell’animo a che valga e i nostri petti,</p> -<p class="i02"> L’abito di natura, onde agli offici</p> -<p class="i02"> C’informiam della vita ed alle eccelse</p> -<p class="i02"> Regioni ci estolle, o in giù trascina</p> -<p class="i02"> E ci offusca le menti e il corpo solve;</p> -<p class="i02"> Che mai possa la donna e quanto ingegno</p> -<p class="i02"> E nelle membra sue vigore accolga;</p> -<p class="i02"> Quali rifulgan per sapere e quali</p> -<p class="i02"> Alla patria devoti emergan forti</p> -<p class="i02"> Nelle battaglie eroi, o la lor vita</p> -<p class="i02"> Abbian dell’Arti al sacro culto intesa.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span></p> -<p class="i01">Quanto fai, quanto scrivi, a te le menti</p> -<p class="i02"> Concilia, o Carlo, e raddolcisce i petti</p> -<p class="i02"> Ed è fama così che la prestanza</p> -<p class="i02"> De’ tuoi modi squisiti abbia lasciati</p> -<p class="i02"> Ricordevoli molti; al par di pianta</p> -<p class="i02"> Che frondosa al venir di primavera</p> -<p class="i02"> S’incorona di fiori e nell’estiva</p> -<p class="i02"> Stagion pendon dai rami i dolci pomi.</p> -<p class="i02"> Quivi de’ lor melodïosi canti</p> -<p class="i02"> Empion l’aure gli augelli e qui per lungo</p> -<p class="i02"> Cammino il vïator stanco riposa</p> -<p class="i02"> E le forze a la fresca ombra rintegra.</p> -<p class="i01">O dell’Italia onor, de la severa</p> -<p class="i02"> Sofia decoro, lungamente vivi</p> -<p class="i02"> All’arte e a’ tuoi, felice! e quando avrai</p> -<p class="i02"> Grande e incolume i tuoi giorni compiuti,</p> -<p class="i02"> Te Clio, te Euterpe e la virtù non morta</p> -<p class="i02"> De la tua patria adducano immortale</p> -<p class="i02"> Sovra nuvola ardente in grembo al cielo!</p> -</div></div> - -<p> -Ma qui ne è forza balzar dalla barca e ascendere il -monte che nomano il Bisbino. Badiam però che la sua -sommità sia libera e serena; perocchè quando essa si -incorona di nubi, gli è indizio che il cielo si turberà, -che non tarderà guari a piovere a dirotto: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Se il Bisbin mette il cappello,</p> -<p class="i01">Corri a prendere l’ombrello;</p> -</div></div> - -<p> -così avvertono, a mo’ di sentenza, quelli del luogo. -</p> - -<p> -Sulle sue pendici seggono le grosse terre di Piazza e -di Rovenna, dove è anche una bella chiesa e dove, non -ricordo in qual tempo dell’anno, è una sagra a cui -corre gran gente, ma più ancora al Santuario sulla -vetta. -</p> - -<p> -Più in su è il Pertugio della Volpe. -</p> - -<p> -La vista che al di fuori ci si offre è incantevole: valeva -<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span> -la pena di venirvi. Ma descrivervi il panorama non -mi calza, da che la descrizione è esaurita per chi montò -sul Generoso. Tuttavia a chi non garba il maggior incomodo -di salire fin lassù, questa vista del Pertugio -della Volpe lo paga certo del minor disturbo. -</p> - -<p> -Entriamo adesso. È una grotta che s’addentra assai -e assai: i banchi calcarei che vi sorgono e la rendono -ineguale, vi palliano la lunghezza. Fu misurata novecento -metri: sarà vero? Io non mi sto fra coloro che -si mostran troppo increduli, nè mi voglio, San Tomaso -novello, metter la mano a sindacare. Parmi migliore -civiltà arrendermi a chi me la spara grossa... e saran -dunque novecento metri di lunghezza, e voi credetevi, -o lettori; e se no, pigliatevi il gomitolo del villano di -Barnabò Visconti e misuratela a vostro talento. -</p> - -<p> -Vuolsi ricca questa grotta — alla quale per avventura -qualche volpe snidata ha dato il nome — di alabastri -venati; ma già questi monti che fiancheggiano il -vaghissimo Lario sono sì larghi depositari di marmi e -pietre che interessano il naturalista e lo speculatore, -che se n’avrebbero a scrivere volumi. Intanto godono -gran rinomanza il marmo bianco di Olgiasca che prolungasi -sulla riva opposta del lago, ove presso Musso -già esistevane una cava; quello nero di Varenna; la -pietra di Moltrasio che riducesi anche a lamine sottili -per grondaie di tetti e pavimenti; le lumachelle della -Tremezzina e il sarizzo che ho testè accennato, e il -marmo bindellino che è nel letto del Varrone, e moltissimi -sassi calcari che alimentano attivissime fornaci. -</p> - -<p> -E qui basti e discendiamo, perchè l’ora si fa tarda. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-068b"></a> - <img src="images/ill-068b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Villa d’Este.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span></p> - -<h2 id="esc6">ESCURSIONE SESTA. -<span class="smaller">LA VILLA D’ESTE.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa Lejnati. — Villa -Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — La villa d’Este. — Giorgio -IV d’Inghilterra. — La principessa di Galles. — Suo processo. — Sua -morte. — Sue opere alla villa d’Este. — L’Albergo della Regina -d’Inghilterra. — L’acqua della Coletta. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Un giorno m’accadde di dire che un libro ben curioso -sarebbe quello che s’avesse a fare <i>Dei misteri del -lago di Como</i>. Già il lettore che mi ha seguíto ne ha -per avventura intraveduto taluno; ma siccome questo -volume è destinato a tutt’altro fine, non mi farò a rivelarli -adesso, limitandomi però a riassumere quelli che -sono già caduti nel dominio della storia, e che per conseguenza -non ponno più esser misteri. -</p> - -<p> -D’altronde, so che il titolo di <i>Misteri del lago di -Como</i> piacque ad altro scrittore e li ha dettati; non -li ho letti, — come si può giungere a tutto? — ma -suppongo che saranno indubbiamente una storia immaginosa, -<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span> -sul tenore delle altre congeneri, — e allora -non era quella la mia intenzione<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>. -</p> - -<p> -Io voleva con quel pensiero alludere alle cento misteriose -scene cui furono teatro le varie ville che si stendono -dall’una e dall’altra sponda del lago; scene d’amore, -scene di crimini, di romanzo e di assisie, burlevoli -e più che serie, che a raccorle ed ammannirle vi -vorrebbe la penna di Sue o di Dumas, di Ponson du -Terrail — poichè v’ha anche il terribile — o di Gaborieau, -i romanzieri alla moda in Francia. -</p> - -<p> -Ora in questa mia escursione non chiamerò il lettore -ad assistere a scene misteriose, ma ad uno storico avvenimento; -quantunque il processo cui fece luogo fu ben -lungi dallo squarciare interamente il velo di tutto -quanto si compì fra le pareti della villa d’Este. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -E prima di tutto non lasciamoci passare queste altre -che ci conducono alla nostra meta; esse hanno -tutto l’interesse al nostro sguardo: eleganti, graziose -ne accivettano a far omaggio anzitutto alla bellezza, -poi a monsignor Milione. -</p> - -<p> -La prima è rappresentata nella villa Bolognini, dalla -più leggiadra e graziosa creatura, cui stia a maraviglia -sulla bellissima testa la corona ducale; la madre sua, -divenuta principessa, ebbe la dedica d’un magnifico -<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span> -romanzo di Balzac, in cui le è dato tributo altresì di -spirito, e quel messere in fatto di spirito poteva ben -essere giudice competente. -</p> - -<p> -Ma qui ci troviamo in Cernobbio: una parola del -paese. -</p> - -<p> -Il nome di esso lo si fa derivare da <i>cœnobium</i>, cenobio, -da un monastero che v’era di cluniacensi, e -credo che sia una delle migliori e incontrovertibili etimologie. -Ai cluniacensi succedettero le monache; ma -sembra che l’aria del lago e queste naturali maraviglie -delle sue rive rendano infiammabili gli animi, ardenti -i cuori, e che le povere recluse fossero facilmente -spinte a voluttà e gusti poco ascetici, se non soltanto -qui, ma anche altrove, come vedremo, l’autorità regia, -o l’ecclesiastica, se ne dovette ingerire e mandarle a -menare quella vita altrove. Le monachelle di Cernobbio -furono cacciate dal loro ridente soggiorno da quel -nemico di cocolle e di veli che fu Giuseppe II. -</p> - -<p> -La cronaca ha serbato memoria d’un solo avvenimento -di questa borgata, che pare dovesse essere un -tempo più popolosa e forte. Narrasi che nel 1433 -alcuni uomini di Cernobbio fossero stati tratti per debiti -nelle carceri di Bellagio; che ad altri loro conterranei -fosse entrato il ruzzolo di liberarneli, e là recatisi -di cheto, ne li avessero cavati a forza. Era duca -di Milano allora quel prepotente di Filippo Maria Visconti, -il marito della sventuratissima Beatrice di Tenda, -che, avuto sentore appena dell’avvenimento, mandò -ad istituire il processo, sperando scoprire i colpevoli; -ma poichè la sapienza di quegli inquisitori non giunse -a darli nelle mani, il Visconti fece sommaria vendetta, -<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span> -desolando tutta la terra di Cernobbio, ch’era assai più -industriosa, e consegnando alle forche quanti avevano -osato opporgli resistenza. -</p> - -<p> -L’industria maggiore de’ suoi abitanti è in oggi la -pesca e i nauli, guidando essi cioè le imbarcazioni de’ -molti che affluiscono a bearsi delle delizie del Lario, -ed eseguendo i trasporti di pietre, calce e derrate. -</p> - -<p> -Ho dato omaggio alla bellezza: ora alla ricchezza. -</p> - -<p> -Questa è rappresentata in Cernobbio dalle due ville -dei banchieri Lejnati e Belinzaghi, che vi raccolsero in -esse tutte le opportune comodità della vita. -</p> - -<p> -Più oltre un cancello vi annuncia il parco della Villa -d’Este. -</p> - -<p> -Il cardinal Gallio, che si pretende nato in Cernobbio, -fabbricò questa villa che è fra le più grandi e sontuose -del lago; tanto così che or fan due anni l’imperatrice -di tutte le Russie vi trovava comodo albergo. -Passò di poi in proprietà ai conti Calderari, onde da -Garrovo, che si chiamava dapprima, si nomò poscia da -essi, infino al dì che Carolina Amelia Elisabetta di -Brunswick, principessa di Galles, venuta in Italia nell’anno -1816, eleggendola a propria stanza, vi impose -il nome di Villa d’Este, che le rimane ancora. -</p> - -<p> -Il general Pino, che sposava una donna dei Calderari, -riceveva con essa anche la villa; e un bel dì che -l’affettuosa sposa attendeva in quegli ozj il marito, fece, -sulle alture onde si chiude il recinto della villa e che -per felice combinazione rassomigliavano in minori proporzioni -a quelle su cui a Tarragona di Spagna si -distendevano i fortilizî che il marito aveva coll’armi -italiane espugnati, rizzare tanti fortini che imitassero -<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span> -in piccolo que’ maggiori, così preparando al marito la -più grata sorpresa. E poichè meglio si ravvivassero in -lui quelle grate e gloriose memorie, disponeva che gli -alunni del collegio militare di Milano, istituito a San -Luca dal generale Teulié, vi venissero a far loro armeggiamenti, -attacchi e fuochi con mirabilissimo effetto. -</p> - -<p> -Ma la Villa d’Este fu teatro a scene più importanti -di questa, per lo scandalo che ne fu fatto per Europa -tutta, e che rivelò il famoso processo che si compì in -Londra nel 1820; e siccome da tutti si chiede come, -perchè e quando venne dato alla villa il nome che essa -ha, come e perchè il nome di Regina d’Inghilterra fu -imposto al bellissimo albergo che nel giardino venne -edificato dal barone Ciani, che tutta la villa acquistò -e vi fabbricò per entro casini, dominato, com’era solito -a dir egli, dal mal della pietra; così mette conto -che io narri questa storia scandalosa e più scandaloso -processo, compendiandola da’ <i>Processi Celebri</i> che la -resero ne’ suoi particolari. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -La vita di disordine e di dissipazione, cui, dopo d’essere -uscito nel 1781 dalla minorità, s’era interamente -abbandonato quel Giorgio Augusto Federico, principe -di Galles, erede presuntivo della corona d’Inghilterra -e che fu poi Giorgio IV, rimase così notoria, che di poco -aggiunse a popolarizzarla il bel romanzo di Gozlan. -</p> - -<p> -I suoi banchetti ricordavano le cene dell’impero di -Roma: Fox, Sheridan, Brummel, Erskine, Grey e Russel -<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span> -ne erano i compiacenti compagni nelle orgie, negli -stravizzi, nelle vergogne, come erano i più eleganti che -costituivano la <i>fashion</i> inglese. Superbi equipaggi, -amanti di gran prezzo, dispendî pazzi in giardini e palazzi, -e perfino giunterie di giuoco si alternavano co’ -stravizzi nelle più ignobili taverne: non una tradizione -in lui di quella moralità e austerità, nella quale era -stato nella fanciullezza cresciuto in corte. Carlton-House -fu il teatro di tanto scialacquo e dissolutezza. -</p> - -<p> -Non bastavano a sì grandi follie nè la rendita fattagli -di cinquantamila lire sterline, nè i redditi del ducato -di Lancaster. A capo di tre anni di sua maggiorità egli -aveva già inoltre creato a sè un debito di mezzo milione -di sterline, vale a dire dodici milioni e cinquecentomila -franchi. Insorsero i creditori, il re Giorgio III si ricusava -di pagare, lo scandalo crebbe, e la Camera dei -Comuni, dopo un dibáttito scandaloso, finì col votare -una somma di 161,000 sterline (4,025,000 fr.) per pagarne -i debiti. -</p> - -<p> -Incappato dipoi nelle reti di una signora Fitz-Hubert, -cattolica irlandese, costei giunse a farsi segretamente -sposare, sebbene un tal matrimonio fosse colpito -di nullità, contrario essendo alle leggi del regno, queste -non permettendo a’ principi della famiglia reale di -contrarlo prima de’ venticinque anni; oltre che il matrimonio -del principe ereditario con una cattolica lo -escludeva dalla successione al trono. -</p> - -<p> -Aumentati inoltre i suoi debiti, dai quali punto non -aveva ristato, fino alla ingente somma di 642,890 sterline, -a meglio cioè di sedici milioni di franchi, parve -al governo non esservi altro riparo che un matrimonio -legale. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span> -</p> - -<p> -A vincere gli aperti rifiuti opposti dal principe, fu -adoperato James Harvis, più tardi conte di Malmesbury, -esperto negoziatore durante le guerre della repubblica -e dell’impero francese, le cui <i>Memorie</i>, lasciate -dopo morte, forniscono i più curiosi particolari circa il -modo da lui usato per condurlo ad accogliere l’offertogli -partito. -</p> - -<p> -I creditori, all’uopo sollecitati e divenuti a lui insopportabili, -determinarono finalmente l’adesione del -principe al matrimonio, ch’egli chiamava il proprio suicidio. -</p> - -<p> -Gli venne fidanzata Carolina Amelia Elisabetta di -Brunswick, figlia di quel duca di Brunswick che nel 1792 -forzò audacemente le frontiere di Francia. -</p> - -<p> -Mirabeau aveva attestato di lei esser amabilissima, -spiritosa, bella e assai vivace; ma il signor di Malmesbury -nel 1794, quando fu conchiuso il matrimonio (2 -dicembre), la trovò, oltre che già di più di ventisei -anni, se abbastanza bella e con due stelle di occhi, anche -un cotal po’ triviale, con denti mezzo guasti e -spalle impertinenti. -</p> - -<p> -La cronaca del paese mormorava di lei, come di donna -leggiera, avida di piaceri, e la faceva eroina d’una romanzesca -fuga con un giovine uffiziale della corte del -padre. -</p> - -<p> -Ne completeranno il breve schizzo che ne ho fatto -queste bizzarre particolarità che si leggono nel giornale -dello stesso conte di Malmesbury. -</p> - -<p> -“— Il principe, madama, — le disse questo abile -negoziatore un giorno — è assai delicato per ciò che -riguarda la nettezza. — Il giorno dopo la principessa -comparve assai bene lavata dalla testa ai piedi.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span> -</p> - -<p> -“Ho avuto, scrive lo stesso Malmesbury, due colloquî -colla principessa Carolina, uno sulla pulizia e sulla -decenza, ed un altro sul riserbo nel parlare. Ho procurato, -per quanto può farlo un uomo, di convincerla -della necessità di porre molta attenzione in tutte le -parti del suo abbigliamento, sia in quello che si vedeva, -sia in quello che rimaneva ascoso... Sapevo che -portava delle sottane grossolane, delle camicie ruvide -e delle calze di filo, e non fossero neppure ben pulite -e cambiate abbastanza di frequente!... È singolare -come su questo punto sia stata trascurata la sua educazione -e come sua madre, benchè inglese (Augusta, -sorella di re Giorgio III), vi abbia fatto poca attenzione. -L’altro nostro colloquio versò sul modo leggiero -con cui parlava della duchessa (sua madre), burlandosi -sempre di lei e dinanzi a lei... Ella capisce tutto ciò, -ma lo dimentica...„ -</p> - -<p> -Questi erano gli sposi: vediamo i frutti di tal connubio. -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Il principe di Galles mandava a Greenwich, a ricevere -la sua sposa, lady Jersey sua recente amante, ciò -che stabiliva fin dai primi momenti in costei una acerrima -nemica di Carolina, perchè non le aveva dissimulato -frizzi pungenti che non si perdonano. -</p> - -<p> -Trovo scritto che la prima notte di matrimonio fu -degna di questi sponsali. Dopo alcune ore, il principe -abbandonava il letto nuziale, senza dissimulare il suo -<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span> -turbamento, la sua collera e il suo disgusto. Che pensare -dei misteri di questa notte? Si parlò d’ubbriachezza, -di trasporti lubrici, di scoperte umilianti.... -Checchè ne sia, è certo che il principe, ubbriaco come -un facchino, passò la maggior parte della notte sdraiato, -non nel letto nuziale, ma su d’un tappeto. -</p> - -<p> -Dopo tutto, il 7 febbrajo 1796, nove mesi successivi -a quella notte, Carolina dava alla luce la principessa -Carolina Carlotta Augusta di Galles. -</p> - -<p> -Ma non fu codesto un anello di ricongiunzione fra i -due sposi. Il principe di Galles continuò a vivere separato -dalla moglie; anzi, dopo due lettere scambiatesi -fra essi, come a specie di convenzione d’una separazione -di fatto, la principessa di Galles si ritrasse a -Black-Heat nel Devonshire, da cui di rado si toglieva -per comparire a corte; intenta, del resto, alle cure -della propria bambina. -</p> - -<p> -Nel 1804 cominciò la maldicenza, incitata da lady -Jersey, a esercitarsi a di lei danno. Disse di scandalosi -amori suoi con lord Eardley, e si pretese che William -Billy Austin, fanciulletto da lei caritatevolmente ricoverato -e amato, fosse il frutto di adulteri amori. -</p> - -<p> -La delicata investigazione che si istituì l’assolse completamente, -e si trovò che il fanciullo era invece dello -spedale di Brownlow-Street, ed erano suoi genitori -Sofia Austin e un falegname di Deptfort, conchiudendosi -che i di lei accusatori avrebbero meritato di essere -processati con tutta la severità delle leggi. -</p> - -<p> -Ma ciò non avendo giovato a ritornarle tutta la reverenza -dovuta al suo grado, molto più che l’investigazione -e i suoi risultamenti erano stati tenuti segreti, -<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span> -ella ne reclamò al re suo suocero, invocando la pubblicità -di tutto. <i>The Book</i>, che ne fu la raccolta degli -atti, comparve; ma giunto al potere Perceval, che era -stato consigliero alla principessa di quella pubblicazione, -ne scongiurò lo scandalo e soppresse il libro, e diè egualmente -soddisfazione a Carolina, operando in guisa che -Giorgio III e i due fratelli del principe di Galles le -facessero solenni visite, e che una decisione del consiglio -di Stato ne confermasse l’innocenza. -</p> - -<p> -Ma gli odî del marito crebbero a dismisura, ed ei -le tolse la figlia. Ricorse ella, ebbe nuova riconferma -d’incolpabilità, ma non riebbe la figliuola. -</p> - -<p> -Le fu interdetto allora ricomparire a corte, non -potendo il principe, divenuto reggente per la demenza -del padre, incontrarsi con lei. Ne chiese ragione a lui -medesimo, ma non n’ebbe risposta tampoco. -</p> - -<p> -La figlia Carlotta veniva destinata dal reggente al -principe d’Orange, erede presuntivo del trono de’ Paesi -Bassi; dovendo mal suo grado obbedirvi, in capo lista -delle persone che dovevano invitarsi al matrimonio la -giovinetta scrisse il nome della madre. Giorgio gliela -ritornò radiandone il nome; ma Carlotta alla sua volta -cancellò un nome: era quello del futuro sposo, e rinviò -al padre la lista. Ella andava sposa poco dopo al duca -di Sassonia Coburgo. -</p> - -<p> -La principessa di Galles risolse allora di abbandonar -l’Inghilterra. -</p> - -<p> -Il Parlamento le fissava l’appannaggio d’annue lire -cinquantamila sterline; essa non ne accettò che trentacinquemila, -e partiva il 9 aprile 1814, assumendo il -nome di contessa di Wolfenbüttel. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span> -</p> - -<p> -Si diresse dapprima al suo paese natio; quindi partì -per la Svizzera, visitò l’Italia, la Grecia, la Turchia, -la Palestina, Tunisi; poi si stabiliva a Pesaro, e da -ultimo a questa villa Calderari sul lago di Como, che -ricevette da lei, come già sa il lettore, il nome di Villa -d’Este. -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -Quale fosse la vita della principessa di Galles all’estero, -e principalmente su queste rive del lago, non -ne è spenta la memoria fra noi. V’hanno di molti ancora -che rammentano averla veduta, che si trovarono -ai licenziosi balli cui ella assisteva alla Barona presso -Milano, che la riconobbero ai veglioni della Scala con -travestimenti impossibili o toalette sconvenienti; come -moltissimi ne levano a cielo ancora gli atti infiniti di -una inesauribile generosità e carità. -</p> - -<p> -Queste sponde del Lario echeggiano tuttavia degli -inni riconoscenti alle sue splendide beneficenze. Ella -allargò e compì la via che da Como metteva alla sua -residenza e spese assai denaro in altre opere vantaggiose -a quel paese. -</p> - -<p> -Se non che l’odio del marito e l’ira de’ nemici da -lei lasciati in Inghilterra non s’erano tenuti paghi di -sua partenza: essi la seguivano nelle sue peregrinazioni, -nel suo volontario esilio. Neppur si volle informarla -della morte della figliuola, neppur di quella del suocero -Giorgio III, avvenuta il 29 gennajo 1820, da lei -sapute entrambe soltanto a caso. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span> -</p> - -<p> -S’inasprì ancor più la persecuzione contro di lei -coll’avvenimento di suo marito Giorgio IV al trono. -Il suo nome fu tolto dalle preghiere della liturgia -britannica, e le fu messa, per così dire, a’ fianchi -una commissione segreta che ne spiasse la vita. -</p> - -<p> -E questa nella sua permanente inchiesta, stabilita -fra persone influenti in Milano, raccoglieva fatti, circostanze, -nomi e testimonianze terribili contro di lei. -</p> - -<p> -Carolina, reclamando contro le misure summentovate -prese in Inghilterra contro di lei, minacciava recarsi a -Londra a reclamare i suoi privilegi di regina; ve la aizzavano -i <i>whigs</i> che avrebbero voluto suscitar con ciò -gravi imbarazzi al nuovo regno; sconsigliavanla i <i>tories</i> -collo spauracchio d’uno scandaloso processo. Nulla temendo -Carolina, sullo scorcio del maggio 1821, arrivò -in Francia, deliberata d’incarnare il proprio progetto. -</p> - -<p> -Lord Hutchinson le venne incontro, e da parte di -lord Liverpool, ministro di Giorgio IV, le offriva aumentarle -l’appannaggio fino a 50,000 lire sterline all’anno, -purchè restasse fuor d’Inghilterra, non assumesse titolo -di regina, nè altro spettante alla famiglia reale d’Inghilterra. -</p> - -<p> -Ella rispose a questa proferta, imbarcandosi sul pachebotto -inglese <i>Principe Leopoldo</i> per Londra. -</p> - -<p> -Sbarcata sul suolo inglese, vi fu accolta colle dimostrazioni -più onorifiche dovute a regina e con entusiasmi -che l’accompagnarono fino alla capitale, dove -passando innanzi alla residenza reale, la folla emise -all’indirizzo di Giorgio IV formidabili grugniti, modo -col quale quegli eccentrici isolani esprimono disapprovazione; -ma questa marcia trionfale veniva arrestata -<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span> -dal ministero in cui sedeva lord Liverpool, il quale la -sera del sei giugno presentava alla Camera dei Lord -un messaggio reale, mentre lord Castelreagh faceva altrettanto -alla Camera dei Comuni, quivi depositando -un sacco verde contenente i documenti d’accusa contro -la regina, che nel messaggio e nelle parole de’ ministri -veniva tuttavia chiamata la principessa di Galles. L’accusa -era di adulterio. -</p> - -<p> -L’impressione prodotta fu grave, poichè si temesse -non fosse per riuscire a rinnovare i tempi d’Anna Bolena -e Giovanna Grey; ma lord Liverpool temperavala, -dicendo che il fatto d’un adulterio commesso all’estero -con uno straniero non costituisse che un’ingiuria in -linea civile; e voleva con ciò rassicurare i nobili lord -che non si sarebbe trattato di pena di morte. -</p> - -<p> -Carolina intanto aveva preso alloggio in Brandenburg-House. -</p> - -<p> -Ecco il bill delle pene e delle penalità (<i>Bill of pains -and penalties</i>), che lord Liverpool lesse nel Parlamento: -</p> - -<p> -“Atteso che nell’anno 1814 S. M. Carolina Maria -Elisabetta, allora principessa di Galles, ed ora regina -sposa d’Inghilterra, residente allora a Milano, prese al -suo servizio il nominato Bartolomeo Bergami o Pergami, -straniero, di bassa condizione, essendo stato domestico; -atteso che dopo d’essere il detto Bergami entrato al -servizio di S. A. R. vi fu tra di loro un’intimità sconveniente -e ributtante, e che non solo S. A. R. lo innalzò -ad un posto eminente nella sua casa e lo ammise a rapporti -confidenziali colla propria persona, ma gli conferì -anche gli attestati più straordinarii di favore e di distinzione, -ottenendo per lui ordini cavallereschi e titoli -<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span> -onorifici, conferendogli un preteso ordine di cavalleria, -che S. A. R. erasi arbitrata di istituire, senza averne -nè il diritto, nè la facoltà; atteso che la detta A. R., -dimenticando sempre più l’elevatezza del suo rango ed -i suoi doveri verso V. M., non avendo più alcun riguardo -al suo onore ed al suo carattere, si è condotta col detto -Bergami in altre occasioni, tanto in pubblico che in -privato, con una famigliarità indecente ed una singolare -libertà nei diversi paesi visitati da S. A. R., e che -finalmente ha avuto rapporti licenziosi, umilianti ed -adulteri col detto Bergami, che durarono per lungo lasso -di tempo, durante il soggiorno di S. A. R. all’estero, -con grande scandalo e disonore della famiglia reale e -di questo regno; -</p> - -<p> -„Volendo, per tali motivi, manifestare la nostra intima -convinzione che con questa condotta scandalosa, -disonorante e viziosa, S. M. la regina ha violati i suoi -doveri verso V. M. e si è resa indegna dell’alto rango -di regina sposa di questo regno; volendo attestare un -giusto rispetto alla dignità della corona ed all’onore -della nazione; noi umilissimi e fedelissimi sudditi di -V. M., lordi spirituali e temporali, e così pure i deputati -della Camera dei Comuni, raccolti in Parlamento, -supplichiamo V. M. di ordinare quanto segue: -</p> - -<p> -„Che sia ordinato dalla Eccellentissima Maestà del -re, coll’avviso e il consenso dei lordi spirituali e temporali -e dei deputati della Camera dei Comuni, riuniti -nel Parlamento al presente convocato, e per la loro -autorità, che la detta Maestà Carolina Amalia Elisabetta, -quando sia passato questo atto, abbia ad essere -spogliata del titolo di regina e di tutti i diritti, privilegi, -<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span> -prerogative ed esenzioni che le appartengono come -regina sposa di questo regno; che sia dichiarata incapace -ad esercitare alcuno di questi diritti, a godere -alcuna di queste prerogative, e di più che il matrimonio -fra S. M. il re e la detta Carolina Amalia Elisabetta, -sia coll’atto presente sciolto per sempre, totalmente -annullato e reso vano sotto tutti i rapporti ed in tutte -le conseguenze.„ -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Il processo fu iniziato e consiglieri della regina furono -i signori Brougham, che fu poi illustre ministro, Denman, -il dottor Lushington, John Williams, Tindal e -Wildas. -</p> - -<p> -Facciamo grazia a’ lettori delle particolarità della -procedura e di quanto deposero i testimonî, molti de’ -quali chiamati da Milano e dalle sponde del Lario circa -gli scandali su di esse compiuti dalla regina Carolina: -sono particolarità indecenti che offenderebbero il senso -morale loro; ma d’altra parte resta monumento imperituro -della ingratitudine di molti, tra i quali di un Teodoro -Maiocchi e di una Dumont cameriera, che furono -beneficati da quella donna dissoluta ma ad un tempo -di generosissimo cuore. Parve si mettessero in sodo gli -amori suoi con Bergami, aiutati da una sorella di lui, -che figurò col nome di contessa Oldi, dal fratello -creato prefetto di palazzo alla villa d’Este e dalla -madre che assunse il nome di madama de Livris. -</p> - -<p> -Si parlò del teatro erettosi in questa villa del nostro -lago, delle rappresentazioni che vi si diedero, in cui la -<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span> -regina era sempre l’amante di Bergami, e certi giuochi -detti del turco Maometto di eccessiva libertà e licenza. -</p> - -<p> -Ciò che per altro fu notato e sorprese, fu il fatto di -danari e promesse dati e fatte ai testimonî da parte -d’uomini indettati col governo; onde al popolo inglese -e ai difensori della regina rimase presa a revocar in -dubbio le accuse e proclamarne la innocenza. -</p> - -<p> -“In quanto alla villa d’Este, disse il <i>Solicitor general</i> -nella sua requisitoria, le deposizioni si accumulano. Là -non provengono soltanto dai domestici della regina. -Dagli operai, dagli artigiani, impiegati accidentalmente -nella casa o nel giardino, si attestano tali intimità che -non lasciano il più piccolo dubbio sul commesso adulterio.„ -</p> - -<p> -Si seppe tuttavia che de’ molti testimonî chiamati -da Cernobbio a Londra a deporre in processo, la più -parte, memore de’ ricevuti beneficî, non le rese ingrata -mercede. -</p> - -<p> -In quanto alla generosità, alla carità e alla bontà -della principessa, messa dai dibattimenti in piena evidenza, -il medesimo <i>Solicitor general</i> fu costretto dire: -“Io sono lontano dal voler contestare queste virtù alla -regina. Quando rammento di che illustre casa è rampollo, -non dubito punto che le possieda in tutta l’estensione -mostrata dalla lettera della testimone (la Dumont). -Ma gli è andare troppo oltre il dire che la generosità -più elevata, la carità più estesa, la sensibilità più squisita, -non possano cambiarsi nel cuore di una donna con -un attaccamento ignobile e colpevole.„ -</p> - -<p> -La difesa degli avvocati della regina, quella di Brougham -principalmente, parve splendida; i lordi Erskine, -<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span> -Gray, Rosselyn, Harrowby, King e l’Arcivescovo di -Thuam vi aggiunsero nelle discussioni proprî e vigorosi -argomenti in favore. -</p> - -<p> -Si trattava finalmente di venire alla definitiva lettura -del bill: l’agitazione era immensa, impazientissimo -il pubblico di vederne il risultamento, perocchè tutto -dipendesse da essa. Lo scrutinio fu aperto: cent’otto -membri avevano votato in favore, novantasette contro. -Non fu più permesso allora di pensare a mandare alla -Camera dei Comuni un atto votato con nove voci di -maggioranza; e lord Liverpool si vide forzato a mettere -ai voti il rinvio del bill a sei mesi. Era questa la formola -consacrata per non parlarsene più e mettere a -dormire per sempre il processo. -</p> - -<p> -Questa accorta mozione venne votata il nove settembre -alla unanimità. -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -La vittoria fu dunque della regina: essa fu salutata -dal popolo con frenetica gioia, e le si fecero le più -pazze dimostrazioni, con voci di morte ai testi Maiocchi -e Dumont. -</p> - -<p> -La plebe, portando queste sue gazzarre ovunque, -voleva che tutti vi pigliassero parte, e, ritrovandoli -sul suo cammino, obbligò molti aderenti del re ad -unirsi ai proprî entusiasmi; ma lord Lauderdale, cui -fu arrestata dalla plebe la carrozza, costretto da essa -a gridare: Viva Carolina! se ne trasse con molta disinvoltura -e spirito, dicendo: Vi auguro a tutti una -moglie come la principessa Carolina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span> -</p> - -<p> -Ma durarono poco i popolari saturnali. -</p> - -<p> -La regina s’era ritirata ancora a Brandenburg-House. -Volendo ella nel maggio 1821 reclamare di nuovo i diritti -di regina sposa, e pretendere d’essere pur ella incoronata, -l’<i>Attorney general</i> respinse il reclamo, che nel -di lei interesse era stato presentato dal suo avvocato -Brougham, sul motivo che nessuna legge accordasse alla -regina sposa il diritto agli onori dell’incoronazione; e -quando nel dì medesimo della stessa si presentò a ciascuna -delle porte dell’abbazia di Westminster, dove veniva -celebrata, le si chiese rispettosamente il biglietto -d’entrata e le fu ricusato l’ingresso. Ella allora, nell’allontanarsi, -attendevasi una dimostrazione popolare; -ma non raccolse che urli e fischi sul suo passaggio. -Andate a fidarvi dell’aura popolare! -</p> - -<p> -L’umiliazione di Westminster fu per Carolina il colpo -mortale. Il 30 luglio successivo cadeva malata, uscendo -dal teatro di Drury-Lane. Si vociferò che fosse stata -avvelenata in una limonata che vi aveva bevuta, quando -moriva il 7 agosto; ma la sua morte fu dichiarato invece, -officialmente, che fosse stata in causa di infiammazione -intestinale. La malevola insinuazione era la -naturale conseguenza degli odî che universalmente si -conoscevano nutrirsi dal sovrano contro di lei. -</p> - -<p> -I suoi beni espresse ella medesima il desiderio che -passassero alle mani di William Austin, il trovatello, -per il quale aveva subíto in addietro i primi strali -della calunnia, e che la sua salma venisse trasportata -in patria, essendosi preparato il seguente epitaffio: -</p> - -<p> -“Qui giace Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, -vilipesa regina d’Inghilterra.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span> -</p> - -<p> -Sulle sponde del Lario la sua memoria, ho già detto, -è congiunta a molte opere di generosità e beneficenza -ed alla via che ella aprì da Como fino alla sua villa -d’Este che aveva eletta a sede de’ suoi poco regali -amori; e pel filosofo rimane oggetto di meditazione per -la strana contraddizione ch’ella presentò di grandezza -e di bassezza, di carità e di corruzione, di virtù e di -colpe. -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -In questi ultimi anni, nel fianco destro del giardino -della Villa d’Este, il baron Ciani eresse un magnifico -albergo, che dal personaggio che que’ luoghi abitò, assunse -il nome di <i>Regina d’Inghilterra</i>, e vi è condotto -con tutte quelle commodità onde van lodati gli alberghi -della Svizzera. Magnifiche piante formano avanti -ad esso una specie di grato e fresco luogo di passeggio -e lettura. -</p> - -<p> -Vi si aggiunse uno stabilimento idroterapico, fornito -di doccie a soffioni, al quale poteva giovare e l’acqua -del torrente Garrovo, che dava prima il nome al luogo, -e quella leggiermente magnesiaca, che sul colle sovrastante -ha la sua sorgente e si denomina della <i>Coletta</i>; -ma forse più che a cura di malattia, vi traggono numerosi -gli stranieri a ricercarvi soggiorno ameno e -tranquillo. -</p> - -<p> -La facilità di recarsi a Como, a cui muove più volte -al giorno un <i>omnibus</i>; quella di aversi pure più volte -al giorno corrispondenze e giornali; la strada Regina, -abbastanza valevole a percorrerla in carrozza; l’agio -<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span> -di passeggiate montane e di gite sul lago; la non ampiezza -del bacino, che permette di solcarlo e traversarlo -in pochi minuti, senza tema di pericoli, rendono quest’albergo -assai frequentato. Difeso dai venti troppo -impetuosi dal promontorio di Pizzo che gli sta a fianco, -anche a chi meglio si piace di solitudine e silenzio è -conveniente asilo; ed io più d’una volta vi cercai riposo -e quiete dalle tumultuose cure dell’avvocare e -dai cittadini rumori. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span></p> - -<h2 id="esc7">ESCURSIONE SETTIMA. -<span class="smaller">IL PIZZO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la fabbrica. — I -conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. — Migliorie. — La -villa Curié. -</p> -</div> - -<p> -A Parigi, al <i>Bois de Boulogne</i>, che è il convegno -delle carrozze più ricche, de’ campioni dello <i>Sport</i> e -de’ passeggianti e che noi diremmo il corso di quella -grande capitale, nazionali e stranieri ammirano e seguono -sempre collo sguardo avido e maravigliati, fra -gli altri, un equipaggio elegantissimo a cui sono attelate -pariglie di superbi cavalli, che traggono sempre -una gentile signora, che “la dev’essere ben ricca„ -esclamano sempre quanti l’osservano. Le toalette di -essa rispondono allo sfarzo dell’equipaggio. -</p> - -<p> -— A chi appartengono equipaggio e toalette? — ognuno -domanda e la curiosità è ben naturale. -</p> - -<p> -— A madama Elisa Musard — vi si risponde subito -da tutte parti, chè a Parigi non v’ha persona, io -credo, che lo ignori. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span> -</p> - -<p> -Ed ella, madama Musard, la moglie di tale che ottenne -una speciale celebrità musicale, è la proprietaria -pure di questa principesca villa che, procedendo dall’albergo -della Regina d’Inghilterra, che abbiamo appena -lasciato, in poco volger di remi vi si presenta -sulla punta sporgente nel lago e che con quella che -le sta di fronte di Torno, chiude il primo bacino del -lago, il quale abbiamo oramai tutto quanto percorso -e visitato. -</p> - -<p> -Chi la vide in passato questa magnifica villa, più -non la riconoscerebbe; tanto la ricca signora la ingentilì, -restaurando e riducendo a nuovo la casa e le scuderie, -e vi profuse cospicue somme nell’arricchire il bel -giardino a cui natura prestò i più opportuni e vaghi -accidenti di terreno. -</p> - -<p> -Fabbricata a mezzo circa il secolo decimosesto da -Gian Battista Speziano da Cremona, senatore, e fatto -altresì per tanti meriti patrizio di molte città, fra cui -di quella di Como, vi apportò tutto l’amore ch’egli -aveva alla scienza agricola; e compiuta la parte del -fabbricato, vi avrebbe eziandio raccolto quanto di peregrine -produzioni gli fosse dato, se non fosse stato -da morte arrestato nella esecuzione del suo concetto. -Passò di poi ai conti Muggiasca, e quel che di questa -famiglia fu vescovo di Como, e di essa si piacque approfittando -della pendice del monte a cui la villa s’addossa, -vi ingrandì il giardino, usando anche delle mine -per aprirvi sentieri e vie, onde poterlo tutto percorrere -agevolmente. -</p> - -<p> -Il conte Giacomo Muggiasca, nipote di lui, poichè -fu morto, la villa fu acquistata dall’arciduca Ranieri, -<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span> -vicerè del Regno Lombardo-Veneto, finchè sopravvenute -le fortune politiche e l’italiana indipendenza, che -ne resero mal proprio alla famiglia sua, che si aveva -alienate le simpatie del paese, il possedimento, la signora -Musard la comperò. -</p> - -<p> -Mai non sarà sembrato a questa signora di dovervi -ritrovare tanta negligenza di coltivazione e di abitato, -pensando riceverla da principesca famiglia, e certo vi -dovette profondere egregie somme per ridurla alla -condizione presente. Infatti, per dir del solo giardino, -non vi trovò che produzioni spontanee delle nostre rive -lacuali, e tolti i cinquecento cipressi, anche la selva, -bella senza dubbio, non constava che di pini, di abeti, -di lecci, di quercie, di faggi, di alberi, di piante insomma -tutt’altro che peregrine. -</p> - -<p> -Ora, mercè del signor Villoresi, che vi è preposto a -cura, migliorò, anche da questo lato d’assai e d’assai -la villa. Piante esotiche, arbusti rari, fiori ed erbe vaghissime -e forestiere vi introdusse e coltivò, con quell’amore -e dottrina che si può dire tradizionale nella -sua famiglia. Tuttavia la villa del Pizzo, per essere di -quella rinomanza e valore a cui ha diritto di aspirare, -non ha d’altro bisogno che di essere arricchita nel -palazzo, già sontuosamente addobbato, d’oggetti d’arte -insigni, ciò cui del resto la ricchezza sfondolata della -signora del luogo può facilmente provvedere; ella che -d’altronde con intelligente generosità s’acquistò già -tanti titoli alla benemerenza di queste terre circostanti. -</p> - -<p> -Confina colla villa del Pizzo quella modernissima, -dell’inglese Curié, il quale la nicchiò nella specie di -<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span> -seno che forma la punta che si protende nel lago. Con -enorme spesa rivestì la nuda roccia e la rese tutta -quanta verdeggiante per belle e preziose piante, e intorno -alla ricchissima casa seppe praticarvi un bel -giardino ed un elegante parco. -</p> - -<p> -Quivi colla intelligente opera di Gioachimo Curti, -che fu padre della poetessa Adele, già per me ricordata -in una precedente escursione, adunò preziosità artistiche; -ma resosi defunto chi s’era di questo luogo -così compiaciuto da erogarvi tanto denaro nel fabbricarsi -la villa, e passata questa al figlio che milita allo -straniero, è appena se egli la visiti qualche giorno -entro l’anno; e però chi va a vederla non vi rinviene -quel non so che di indefinito che rivela la vita e la -presenza del nume famigliare. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-092b"></a> - <img src="images/ill-092b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Cascata di Moltrasio.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span></p> - -<h2 id="esc8">ESCURSIONE OTTAVA. -<span class="smaller">LA CASCATA DI MOLTRASIO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio episodio. — Villa -dei signori Nulli. — La leggenda della Ghita. — Perchè si nomi -Moltrasio. — La Vignola dei Passalacqua. — E la villa Durini? — Geologia. — La -Cascata. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Io l’ho già detto in non so quale mio scritto, che -del lago di Como, di questa privilegiata parte d’Italia, -benedetta dal sorriso della natura, preferisco il bacino -di Torno, che è il secondo del lago, e lo preferisco pure a -quello sì decantato della vaghissima Tremezzina; e -delle ragioni di siffatta predilezione, a non ripetermi, -non mi farò qui inutile espositore. -</p> - -<p> -Basti tuttavia a solo complemento di questo esordio il -dire che, sebben più angusto tale bacino e meno -ricercato dell’altro, lo si può nondimeno meglio godere, -percorrendolo in ogni senso, senza tema d’essere -sorpresi a mezzo dalla tempesta, e liberi da quella soggezione -che troppo aristocratici villeggianti impongono, -<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span> -e che vi richiede l’impegno di toalette e riguardi che -vi infastidiscono e attossicano gli ozj autunnali. -</p> - -<p> -Nel bacino di Torno, anzi proprio dicontro a questo -paese, dove il battello a vapore fa la sua prima ordinaria -sosta dopo avere lasciato Como, si adagia il bel -villaggio di Moltrasio colle sue ville che si specchiano -nell’onde, coll’ampia strada <i>della Regina</i> che lo divide -per mezzo, colle sue case scaglionate su per il declivio -della montagna, co’ suoi <i>crotti</i> estivi pei dilettanti del -buon vino, massime con quello del Caramazza, osteria -e convegno de’ buongustai di Como che il preferiscono -eziandio al Nino, co’ suoi rigagnoli, colla sua cascata, -col suo orrido... -</p> - -<p> -Ma non anticipiamo l’argomento... M’ho degli obblighi -verso Moltrasio da adempiere dapprima: or ringrazio -l’occasione che mi si porge di sdebitarmi. -</p> - -<p> -Era l’aprile del 1859. I tempi erano grossi, l’orizzonte -politico nero, le nubi presso a squarciarsi, la -folgore a scoppiare; o, per uscir dal figurato, stava per -incominciare la guerra delle armi sardo-francesi contro -l’Austria, che doveva redimere l’Italia dalla oppressione -straniera. La polizia austriaca vedeva dovunque congiure -e congiurati, e a buoni conti andava pazzamente -facendo razzia de’ liberali che, non potendo varcare -colle altre migliaia i confini per ingrossare le fila dell’esercito -piemontese, rimanevano ad agitar il paese, a -tener viva la fiamma della rivoluzione che non cessava -di lavorare alla cheta. Impossibile pertanto che un pensiero -non si degnasse da essa di concedere pure a me, -che più d’una volta m’aveva fatto l’esagerato onore di -chiamare ne’ suoi segreti processi verbali <i>corifeo della -rivoluzione</i>. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span> -</p> - -<p> -Aveva in que’ giorni arrestato già un mio fratello, e -i miei concittadini alla notizia scrollavano la testa; e -l’un l’altro si mormorava: hanno preso un granchio, -doveva essere l’altro; e declinavano il mio nome. In -verità si giunse a mettermi nel cuore una puntura di -rimorso, e una mattina, a scandagliare il terreno sul -quale mi trovava, e all’occorrenza pronto a pagare di -me l’equivoco preteso dalla pubblica carità, osai picchiare -all’ufficio del consigliere M... commissario superiore -di polizia nel temuto palazzo di Santa Margherita. -Avevo una scusa, mancando di carta di sicurezza — arnese -indispensabile a quei tempi di non compianta memoria -tanto pel ladro che per il galantuomo — e però -entrato da quel signore manifestai il mio bisogno. -</p> - -<p> -Il consigliere M... era un buon tedesco, una mosca -bianca tra i cagnotti polizieschi; nè appena avevo -aperto bocca, che così m’apostrofava: -</p> - -<p> -— Ma ella è malato; m’avevano detto ch’ella fosse -in campagna a curare la sua salute, perchè mo’ è -tornato? -</p> - -<p> -— Hanno arrestato mio fratello, temevo non fosse -un equivoco. -</p> - -<p> -— Ma no, no, suo fratello uscirà oggi o domani, ed -ella è molto malato, vada in campagna... e alzatosi mi -fe’ senza perditempo disporre la mia <i>carta di sicurezza</i> -e consegnandomela, tornò a dirmi: -</p> - -<p> -— Dunque la vada, curi la sua salute. -</p> - -<p> -Guardai commosso in faccia al buon tedesco, gli -strinsi la mano e risposi: -</p> - -<p> -— Anderò; ma dove in avvenire potesse aver bisogno -di me, la mi comandi — e me ne andai. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span> -</p> - -<p> -Anche in Polizia gli impiegati tedeschi non erano i -peggiori; se valesse la pena di rammentar nomi, si vedrebbe -che le più nefaste memorie di que’ tempi si legano -a nomi sventuratamente nostrali. -</p> - -<p> -Qualche ora dopo ebbi un altro amichevole avviso -che riguardava la <i>mia salute</i>; ond’è che quantunque -mi sentissi perfettamente, pure udendomi, come Don -Basilio, gridare <i>che brutta cera!</i> bisognava ben che vi -credessi, e me ne andassi non <i>a letto</i>, come quel messere -della commedia di Beaumarchais e di Rossini, ma -sì a pigliare un po’ l’aria balsamica della Svizzera. -</p> - -<p> -L’importante era il varcare i confini; passaporto non -avevo nè potevo chiedere, se non per la gattabuia, dov’erano -già stati dati ordini di ricevermi; dunque presi -la via di Como e precisamente mi diressi a questo bel -paese di Moltrasio, da dove a notte una guida m’avrebbe -fatto passare la montagna per discendere nel Mendrisiotto. -</p> - -<p> -Una bella villetta fiancheggiata da due torricelle a -finestrelle a sesto acuto, come un castello tradizionale -del medio evo, si fa innanzi dipinta a nuovo e bagna -i proprî piedi nell’acque del Lario: allora apparteneva -al signor Nulli, bravo e onesto commerciante di Milano, -che in un colla sua giovane sposa mi accolse, non dirò -soltanto con patriarcale ospitalità, ma perfino con entusiasmo, -in grazia della causa che ad essi mi conduceva. -Non fu maniera di cordialità e cortesia che -non mi usassero questi eccellenti cuori, e così mi disposero -a calcar la via dell’esilio, che per sommo di -ventura non doveva essere molto lungo, quantunque -subito amareggiato da grave malattia. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span> -</p> - -<p> -Oh! io mi rammenterò tutta la vita quella giornata -da me trascorsa nella villa di Moltrasio! il mio pensiero -ed il mio cuore la rammenta con dolcezza e con sincera -riconoscenza. -</p> - -<p> -Qualche anno dopo, io elessi a stanza autunnale una -villa prossima a Moltrasio, nel vicin paesello d’Urio: -corsi difilato, come voleva il cuore, alla villetta delle -due torricelle; ma colà più non erano i signori Nulli... -</p> - -<p> -Essa è ora di ragione dei conti Belgiojoso, e v’hanno -appiccicato, come s’usa a tante, un nome, e vien detta -<i>Il Pensiero</i>. Per me, l’ho detto, essa sarà sempre un -pensiero di gratitudine. -</p> - -<p> -Rifaceva allora la via nel mio burchiello, che il Bellasio -spingeva avanti lentamente, quasi ei pure non -volesse turbare il mio silenzio e la mia penosa meditazione; -poi l’accorto barcaiuolo, che sapeva un cotal -po’ de’ miei gusti prediletti, presumendo fosse tempo di -finirla colle ubbie, venne a rompere il silenzio. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -— Vede? Anche qui a quello scoglio — e sospendendo -un tratto i remi, mi indicava una scogliera che dal lato -manco del paese si protende un cotal poco — si racconta -una storiella, una di quelle ch’ella piacesi d’ascoltare. — -</p> - -<p> -Il Bellasio (così chiamato per avventura, altro essendo -il suo vero nome, perchè venuto da Bellagio, -borgata più in su del lago, che visiteremo, e la quale -sta a capo della punta che divide il Lario in due rami, -<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span> -l’uno che scende infine a Como, l’altro che spingesi -infino a Lecco, da dove poi le sue acque ripiglian il -diritto primitivo, uscendo di sotto il ponte col nome -anteriore di Adda e colla qualità di fiume) era un -valente barcaiuolo ed a lui più d’una volta mi son -mostrato avido di leggende e di racconti, come quegli -che pur la storia anedottica d’ogni terra del Lario e -d’ogni villa aveva sulle dita; mi aveva messo un giorno -il ticchio di descrivere quella storia de’ misteri del -lago, della quale già feci cenno; e vi so dire che se -tempo e volontà m’avessero bastato, se ne sarebbero -dettati più volumi tutti pieni e palpitanti d’interesse. -Dal santo chiodo e dalla gamba d’un de’ bambini trucidati -dal Re Erode, conservati nella chiesa di San -Giovanni Battista di Torno, al processo della regina -Carolina d’Inghilterra; dagli sposi annegati, ricordati -dalla ballata del Cantù, al processo B.... e alla conversione -del principe Petrovich di Schuvaloff, fattosi -poscia barnabita e di cui si veggono le ville sulla -sponda opposta vicino a Blevio e che ho già rammentate, -sapeva il Bellasio tutto; e più d’una volta me ne -aveva fatto curiosa imbandigione, nè era sempre stata -infruttifera a lui la parlantina. -</p> - -<p> -— E che si narra intorno a quella scogliera? — chiesi -allora al barcaiuolo. -</p> - -<p> -Questi incrociò di nuovo i suoi due remi e più lentamente -ancora adoperandoli, incominciò: -</p> - -<p> -— Erano i tempi antichi. La Ghita era una bella -montanina che abitava una casipola lassù presso alla -cascata di Moltrasio. -</p> - -<p> -— La cascata? — interrogai io, come uomo che -fosse nuovo a quella locale particolarità. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span> -</p> - -<p> -— Che? non c’è stato a veder la cascata di Moltrasio? -La ci vada che ne sarà contento. -</p> - -<p> -Io fermai dentro di me che vi sarei andato all’indomani. -</p> - -<p> -Il Bellasio proseguì: -</p> - -<p> -— Dunque la Ghita in sul pomeriggio d’una giornata -era andata giù a Cernobbio a trovare non so qual parente -e fra una parola e l’altra il tramonto approssimava -e l’ora della cena pur con esso. — Che ti fermi, -Ghita, a mangiare con noi un bocconcino? le dice quella -parente. — Sì, no, è troppo tardi, m’aspetta la mamma — risponde -la forosetta e intanto la chinava la faccia -fatta rossa come una melagrana. Gli è che la Ghita, -come ella può bene figurarsi, aveva a casa il suo Tonio -che l’attendeva, un pezzo di giovinotto che le invidiavan -tutte le ragazze. — To’, siedi: sono agoni che due momenti -fa ballonzolavano ancora vivi sul tagliere. — E -la Ghita, mal resistendo, si sedeva sur un trespolo di -legno intorno a un desco su cui fumava una soda polenta -e gli agoni esalavano una fragranza provocante. L’ora -così si era fatta tarda, quando la Ghita si accommiatò. -Ben è vero che qualcuno l’accompagnò un piccol tratto -di strada fino alla punta del Pizzo, ove è adesso la villa -del passato Vicerè e ch’ella sa; ma, qui giunta, sentendo -venir da lunge come uno zufolare d’uomo e -credendo che si fosse il proprio Tonio che le venisse -all’incontro, licenziava l’uomo che l’aveva accompagnata -col pretesto che in due salti ella sarebbe a casa, -nè voleva di tanto dargli più incomodo e fatica. -</p> - -<p> -E la Ghita camminava. -</p> - -<p> -La strada allora non era come la vede adesso, così -<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span> -bella che la fu un vero beneficio di quella donna caritatevole -che è stata la principessa di Galles, la regina -che per tanto tempo fu la nostra provvidenza; la strada -era su e giù serpeggiante fra la boscaglia, fitta, scura, -che chi non fosse stato del paese non ci avrebbe certo -a notte trovato il conto di uscirne, e se incauto si fosse -un po’ tenuto verso il lago, avrebbe corso anche il rischio -di fiaccarvi il collo; perocchè prima che Monsù -Curié avesse fabbricato la sua bella palazzina, là vi -stavano bronchi, massi e precipizî pericolosi mascherati -da liane e spine secolari. -</p> - -<p> -Era la Ghita giunta poco più avanti ove è appunto -la villa Curié, che sentissi da una voce sconosciuta intimare: -</p> - -<p> -— Alto, chi va là? -</p> - -<p> -— Son io, son la Ghita di Moltrasio — rispondeva -sgomenta la fanciulla. -</p> - -<p> -E l’incognito ridendo allora di un riso satanico, venendole -incontro, le diceva: -</p> - -<p> -— Ah! ah! a quest’ora qui la Ghita di Moltrasio? -Sei venuta ne’ miei domini ed è giusto che paghi il tuo -pedaggio — e stendeva ver lei la mano. -</p> - -<p> -Diede la giovinetta un salto indietro e intimava al -temerario: -</p> - -<p> -— Statevi un po’ sul vostro e lasciatemi ir oltre, -perchè è tardi e sono attesa. -</p> - -<p> -Lo sconosciuto rispose con un ghigno da demonio e -mosse invece innanzi risoluto per abbrancarla; ma la -Ghita, lesta più ancor di lui, in un attimo, fatto in cuore -un voto alla Madonna a tutela del suo onore, spiccò -un salto per quei burroni, e quel tristo che la stava -<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span> -per afferrare, nè pel bujo aveva avvertito l’imminenza -del pericolo, fallendogli il piede, giù egli pure precipitò. -</p> - -<p> -Si sentiva tosto dopo un lungo grido come d’uomo -cui sia tocco una terribile percossa, ed un giovane che -muoveva da Moltrasio e l’udiva, com’era ben naturale -in quella generale quiete della sera, affrettando i passi -per il sentiero della foresta, giunto presso alla scogliera -dove il fatto era accaduto, presago in cuore che la -sventura avesse toccato la fanciulla dell’amor suo, si -diè a chiamarla. -</p> - -<p> -— Ghita! Ghita! — -</p> - -<p> -La voce infatti della fanciulla gli rispose. Oh! era lei, -proprio lei, chè nel cadere per quei burroni la sua -gonna s’era impigliata fra i rovai e le liane e l’avevan -impedita di rovinare giù nel lago sfracellata, dove era -andato invece a piombare il suo turpe tentatore. -</p> - -<p> -Tonio, il fidanzato della Ghita, espertissimo di que’ -greppi, avvertita dapprima la fanciulla che non si -avesse ad agitare, ma cercasse d’attenersi ad alberelli -i più robusti, si condusse cautamente presso ad essa e -protendendole la mano, poichè l’ebbe ad afferrare, -giunse in breve a districare la sua Ghita e condurla a -salvamento; e dopo udito il tristo caso, quando presa -la sua barca venne sotto alla scogliera a cercarvi il mal -capitato, nè egli, nè i suoi compagni che recavano accesi -de’ legni resinosi, ritrovarono il cadavere. Solo un -feltro galleggiava là vicino e la gente del paese andò -divisa nel pensare a chi spettasse. I più dicevan che ei -fosse un contrabbandiere della Svizzera vicina, altri -invece e le comari affermarono, pel contrario, che potesse -essere il demonio, e che la Ghita fosse stata salva -<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span> -per il voto alla Madonna. Certo è che ancora la sera, -quando il tempo mena burrasca, proprio come quella -notte che avvenne il triste caso, vedesi un fuoco errare -su quel greppo, e chi passando lo vede si fa il segno -della croce, perchè o lo spirito del contrabbandiere o -il demonio in persona è condannato a qui far la penitenza. -</p> - -<p> -Il Bellasio gittò i remi: io sorrisi per la conclusione -della storiella e m’accorsi che eravamo giunti agli scaglioni -della casa de’ miei eccellenti amici, i signori Turati -di Urio, che mi ospitavano cordialmente. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Come avevo stabilito, all’indomani m’avviai a Moltrasio -di nuovo, alla ricerca della cascata che m’aveva -accennato il barcaiuolo. Attraversando il paese scaglionato -su quel pendio, io, studioso dell’antico, ricordai -come gli etimologisti pretendano derivare il nome del -paese da <i>Monte Raso</i>, e misurandone tutta la lunghezza -coll’occhio vedevo l’ampio palazzo dei conti -Passalacqua, detto la Vignola, architettato da Felice -Soave con soverchia semplicità, con giardino avanti -di esso a varî piani che discendono al lago sempre -fiancheggiati da cipressi. Volgevo poi lo sguardo da -l’un lato e dall’altro della villa e cercavo indovinare -dove mai avesse potuto sorgere quella del baron Durini, -citata dall’abate Amoretti nel suo <i>Viaggio da Milano -ai tre laghi</i>, dove questo autore lasciò scritto -trovarvisi una magnifica raccolta ornitologica. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span> -</p> - -<p> -Passai il paese, e a mano manca, fuori appena di -esso, nella parte superiore allo stesso si presenta infatti -quel grande scoscendimento e la cascata d’acqua che -que’ del luogo chiamano l’Orrido di Moltrasio, ma che -non ne ha le condizioni, essendo ben lungi dall’ispirar -orrore, e da cui scende un torrente che attraversando -il paese lo rende veramente pittoresco. -</p> - -<p> -Il lettore ne ha l’idea nel disegno veritiero che ne -ha tratto felicemente il mio amico Curioni: le mie parole -non gli apprenderanno gran che di più. -</p> - -<p> -Il geologo qui ritrova un grandissimo interesse, e -questa linea non interrotta di montagne, che comincia -dopo Cernobbio e procede lungo il lago, è di un calcare -bigio azzurrognolo e dell’epoca giurassica, di struttura -fossile, opportunissima alle costruzioni, facilmente -sfogliantesi in lastroni fin della grossezza di mezzo metro -e con qualche rara striscia di calcareo cristallino -bianco e qualche vena di litantrace. È conosciuta in -pratica col nome di pietra di Moltrasio e quivi cavansi -altresì le ardesie onde copronsi i tetti in molti luoghi. -</p> - -<p> -I cataclismi formidabili in secoli antidiluviani imperversarono -certamente in tutte queste località, e le ammoniti -che ritrova col suo martello il geologo, pesci e -rettili che si rinvengono sulle cime di queste montagne, -reliquie dell’<i>Ursus Spæleus</i> raccolte in grotte, crepacci -spaventosi, burrati e fenditure, e questo dirupamento -medesimo di Moltrasio con quelli di Molina, di Nesso, -di Bellano ed altri molti, rivelano que’ tremendi sconvolgimenti -naturali, per i quali si esercita lo studio ed -anco la fantasia di tanti indagatori della natura, così -spesso traviati dalle disparate dottrine e dai sistemi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span> -</p> - -<p> -La Caseata di Moltrasio è del più bello e singolare -effetto. -</p> - -<p> -Una grossa massa d’acqua gittasi da una grande altezza -fra una immensa spaccatura di montagna. Superiormente -alla caduta sonvi fertili e popolati piani; -onde rasente al punto di caduta evvi una casipola che, -a chi riguarda dal basso, molto aggiunge alla vaghezza -pittorica del luogo. L’acqua, rovesciandosi spumeggiante -per quelle dirupate frane, forma in basso un piccolo -bacino su cui corrono, come ponte, alcune tavole, -dove sempre il visitatore si arresta nell’ammirazione di -quella grandiosa naturale maraviglia. Alberi ed alberelli, -rampicanti verdi e rossi e muschio rivestono qui -e qua i grossi massi della frana e prestansi mirabilmente -a compiere una magnifica scena. -</p> - -<p> -Piena la testa, più che del frastuono dell’acque cadenti, -delle profonde impressioni lasciatemi dalla vista -di sì imponenti bellezze, ritornai sul mio cammino, -raccolto nelle più svariate meditazioni, nullamente distratto -tampoco da quell’altro miracolo di cielo ed -acqua, di colli e monti, di ville e casali, di giardini e -di colti che mi stava tutt’all’intorno e che costituisce -giustamente l’oggetto dell’ammirazione e dello stupore -anche del forestiero più disilluso. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span></p> - -<h2 id="esc9">ESCURSIONE NONA. -<span class="smaller">MOMPIATTO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora Taverna. — Torno. — Storia. — Gli -Sposi annegati. — Ville Croff, Righini, Antonelli. — La chiesa di -S. Giovanni e pia leggenda. — Mompiatto. — Le sue monache. — La -Pietra pendula e la Nariola. -</p> -</div> - -<p> -La giornata è serena: lasciamo la sponda di Moltrasio -e volgiamo la lancia alla opposta di Torno. -</p> - -<p> -Il piroscafo ha già toccato la punta di Geno, su cui -siede la villa Cornaggia e già dirizza la prora verso -Cernobbio, per venire a deporre passeggieri nel burchio -della <i>Regina d’Inghilterra</i>, dell’albergo, s’intende, -del quale ci siamo già intrattenuti. -</p> - -<p> -La riga di bianco fumo che lascia addietro di sè il -vapore ci avverte che va sollecito; affrettiamo, che lo -vedremo passare dinnanzi a noi e giungeremo in tempo -di farci cullare dalle grosse onde che solleva col volgere -delle ampie sue ruote, e passeremo in rivista i -passeggieri che muovono ai diversi punti del lago. -</p> - -<p> -Intanto eccoci in faccia la villa Taverna sulla sponda -destra: dirizziamo la punta della lancia alla volta di -<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span> -essa, se vogliamo trovarci al sito in cui il piroscafo rallenta; -la campanella della fermata suona e noi possiamo -goderci dello spettacolo che ci siamo ripromessi. -</p> - -<p> -Il paesello vicino è Perlasca, terricciuola già fiorente -per l’industria della lana che vi si esercitava, ammencita -ora di molto nelle guerre <i>astute e ladre</i>, direbbe -il Torti, de’ passati tempi. Vi è ancora una casetta -in cui la tradizione pretende siavi nato Benedetto Odescalchi, -quegli che fu pontefice sotto il nome di Innocenzo -XI, da soldato ch’era dapprima. Quivi ad ogni -modo era la villeggiatura degli Odescalchi e quivi egli -veniva al divertimento della caccia, come lasciò ricordato -in un suo scritto. -</p> - -<p> -Fu nel secolo scorso che venne edificata la villa -Tanzi, ora denominata dall’attuale suo possessore conte -Lodovico Taverna, patrizio milanese, che l’eredò da un -conte Tanzi, senz’altra ragione, dicesi, che quella della -simpatia, con un bel gruzzolo insieme di denaro per la -relativa manutenzione. Fu l’incarnazione di uno di -quei bei sogni di una notte d’estate che facciamo noi -popolani, e la cui realtà non avrà già recato tutta -quanta la sorpresa al già ricco patrizio, che avrebbe -fatta a noi. Era in addietro la più bella villa del -lago: ora si conserva sempre fra quelle che attraggono -meglio l’attenzione, senza pretendere al primitivo -vanto. Delle due ale sporgenti del fabbricato, una non -è internamente ultimata ancora. Accrescono pregio i -giardini disposti maestrevolmente, con serre chiudenti -peregrinità botaniche e fiori d’ogni specie, su tutti -ottenendovi culto speciale la rosa in infinite sue varietà, -e ve ne aggiungono eziandio belle ed esotiche -<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span> -piante. Nè ciò faccia maraviglia, da che il conte Taverna -si piacque di orticoltura e giardinaggio, e Lombardia -gli va debitrice dell’introduzione di più d’una -delle piante ornamentali, venute poscia in voga tra -noi, e tra le quali quella bellissima tussilaginea, detta -il <i>Farsugium grande</i>. -</p> - -<p> -Ma ecco il vapore ci è alle spalle; sostiamo. -</p> - -<p> -Gustata la voluttà di questi sobbalzi dell’onda, progrediamo -verso la meta della nostra odierna peregrinazione. -</p> - -<p> -Questo paese è Torno col suo bel promontorio. Ebbe -un dì stabilimento degli Umiliati che vi fabbricavano -panni. Narra il Cantù, che mentre Francesi e Svizzeri -combatteano contro i Tedeschi, i Tornaschi favorirono -i primi, e quando rimasero sconfitti alla Bicocca (1522), -resistettero ancora, come Brescia nel 1849, e ne corser -la sorte. Perocchè il governatore di Como assalse e -mandò a ruba e fuoco Torno, neppur la chiesa risparmiando; -e restò memoria d’una fanciulla che il fior -verginale salvò dirupandosi da una finestra e perendo -colla patria. Lo stesso Cantù verseggiò un’altra pietosa -romanza o storia di sposi annegati, sotto il titolo: -<i>I morti di Torno</i>. Io mi fo lecito ridurla a prosa. -</p> - -<p> -Linda, la bella fanciulla di Torno, era fidanzata a -Fernando, quando questi aveva dovuto partir soldato -per la guerra. Si scambiarono i due giovani i giuramenti -d’amore, e, mentre Fernando era alla guerra, ella -attendea e pregava la Vergine e i santi pel suo ritorno. -Un dì finalmente, reduce Fernando dalla Spagna, spediva -lettera a Linda che le annunziava la sua venuta -al paese fra sette dì. Ognuno immagina la gioia della -<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span> -poveretta a tal novella, ognuno le ansie di sì lunga settimana: -alla fine spuntò l’alba dell’ultimo giorno. Spia -tutte le navi, i battelli che solcano il lago; ma egli non -viene: finalmente, alla militare assisa che è in un burchio, -più col cuore che coll’occhio lo divina, lo riconosce... -è lui. Ma intanto sul lago si è ingrossato un fiero -temporale, il tuono scoppia, l’acqua diluvia, è un tempo -d’inferno. L’amato burchio avanza lentamente lottando -colle onde, e Linda, a seguir meglio il progresso di esso, -a meglio vedere il suo bene, vola su d’un’eminenza che -sta lungo il lago; ma giunta a mezzo dell’erta, per -l’erba molle e bagnata, il piè le scivola, e giù dalla -china precipita nell’onde. La vide Fernando e la conobbe, -nè curando il furiare dei flutti, si slancia in -mezzo ad essi, drizzando il nuoto verso la sua fidanzata. -Invano facevano forza di remi i battelli spiccatisi -dal lido e il burchio dove era Fernando, per accostarsi -agli infelici sposi che non si videro più ricomparire. -Solo la dimane se ne ritrovarono i corpi: erano abbracciati -insieme nell’amplesso castissimo di morte. -Là venne posta una croce a memoria del pietosissimo -caso e il barcaiuolo che vi transita prega loro la requie -eterna. -</p> - -<p> -Poichè siam presso al porto, ecco vedete là su è la -villa Croff: vi stan presso le ville Righini e l’Antonelli -a destra, due operosi negozianti milanesi che raggranellarono -gran fortuna e procacciaronsi questi agî signorili; -a sinistra sono la casa e i giardini a cedriere -sporgenti sul lago appartenenti ai signori Ruspini e -da’ quali si gode di bellissimo panorama. Nella casa di -questi signori di Como, fra qualche altro oggetto d’arte -<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span> -è un marmo egregiamente scolpito dal Tantardini di -Milano, del quale abbiamo già ammirato in Como altre -opere commendevoli. -</p> - -<p> -Scesi a terra, ci si para avanti la chiesa del paese e -più su l’altra dedicata a San Giovanni Battista, intorno -alla quale è pure una leggenda. Narrasi da que’ pescatori -che al tempo delle crociate un arcivescovo tedesco -tornando da Palestina ne riportasse un santo chiodo e -la gamba d’uno degli Innocenti. Fermatosi a Torno, -ebbe sì continuamente contrario il vento, che gli parve riconoscere -in ciò la volontà del cielo ch’ivi lasciasse -quelle sante reliquie, e le depose infatti nella chiesa -suddetta di San Giovanni. -</p> - -<p> -Per questo calle montiamo, montiamo, onde raggiungere -l’altipiano a cui siamo diretti, a Mompiatto. Nè -lunga, nè aspra la salita: rivoletti d’acqua limpida -scendono lungo il cammino, che presto ci scorge avanti -la chiesa che sta in cima e dov’era già un chiostro di -vergini. Quivi però le monachelle, più che a <i>mattinar -lo sposo</i> divino, come direbbe l’Alighieri, ed attendere -a vita contemplativa, s’abbandonavano ad amori e baldorie -poco canoniche e meno caste; tal che S. Carlo -Borromeo, che alle monache ed a’ frati solea spesso -riveder le bucce, ne lo chiuse, e le suore trasferì al -Sacro Monte di Varese a più severa disciplina. L’episodio -ricorda la novella prima della terza giornata del -Decamerone del Boccaccio, fondata sulla vecchia tradizione -del contado toscano che presso a Lamporecchio -fosse un convento di monache, che pel vezzo di divertirsi -come quelle di Mompiatto, ebbero il convento demolito -ed esse furono trasferite altrove. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span> -</p> - -<p> -Sull’ameno altipiano del Mompiatto vengono sovente -le brigatelle villeggianti ad asciolvere allegramente; -ma più matte e curiose sono quelle che vi chiama quella -sagra che al due luglio vi si celebra e dove è tutta la -giornata il più lieto via vai, su e giù per l’erte viuzze, -d’uomini e donne e di fanciulli; ed in cima si merenda -sotto gruppi di annose piante; si gozzoviglia e canta -finchè calano da’ più alti monti le ombre, e alla chiesa -di San Giovanni spirano i tocchi dell’avemmaria vespertina. -</p> - -<p> -Su questo monte, che s’eleva sovra tutte queste ville -che si schierano da Blevio infino a Torno, attira poi la -curiosità la <i>Pietra pendula</i>, di forma conica, sulla cui -punta sta in bilico un trovante o masso granitico di -due metri d’altezza e di cinque di diametro, che pretendesi -formi sistema col <i>Poncione di Blevio</i>, che gli -abitanti chiamano <i>Nariola</i>, altro masso più enorme che -sporge sul pendio che tocca appena d’una estremità la -terra, solo sorretto dalla punta d’una roccia calcare, -sicchè guardato di fianco, sembra prossimo a rovinare. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-110b"></a> - <img src="images/ill-110b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">La Pliniana.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span></p> - -<h2 id="esc10">ESCURSIONE DECIMA. -<span class="smaller">LA PLINIANA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. — Villa Canzi. — La -Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso e riflusso. — Spiegazione -del fenomeno. — La Breva e il Tivano. — L’assassinio di Pier Luigi -Farnese. — Giovanni Anguissola. — La villa e l’attuale proprietaria. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Non erano più i giorni gloriosi della celebre danzatrice, -di Maria Taglioni... Il tempo, questo terribile -devastatore della bellezza e del valore, aveva già da un -pezzo chiuso i battenti de’ più cospicui teatri a quella -grande artista che aveva stancato i plausi dei pubblici -più difficili d’Europa, ed eletto soggiorno in Parigi, lasciava -deserta la sua vaghissima villa di Blevio, la quale -si specchia nell’onda del Lario. -</p> - -<p> -Non erano dunque più gli ammiratori e gli amici di -quella illustre alunna di Tersicore che animavano di -loro presenza nell’agosto 1868 i freschi recessi della -suntuosa villeggiatura; ma sì i vispi figliuoli di mia sorella, -<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span> -a cui era stata locata, ed io che, dopo un’arringa -al Tribunale di Como, ero venuto ad abbracciarli, io di -fianco alla mia buona Emilia, sorridevo alla bravura di -Giulio e di Gigi suoi che maneggiavano il remo, come -se fossero nati e cresciuti sempre su quelle sponde e -facevano volare il canotto, leggiero come un alcione, -sulla quieta faccia del lago. -</p> - -<p> -Avevamo già lasciato addietro quelle ville che al -piede di Blevio abbiam passato in rassegna; già sussurrato -mentalmente un vale alla memoria del povero -figlio dell’Inghilterra<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a>, che assueto al mare, credette -far troppo a sicurtà colle onde del Lario, le quali ogni -anno reclamano il tributo di vittime umane; passata -innanzi alla villa Taverna ed a Torno; già svolto i giardini -dei signori Ruspini che fiancheggiano vagamente -Torno; rasentata la villa Matilde dei signori Juva, piccola -ma elegante, da cui uscivano note dolcissime di -canto, come le sa rendere quella esimia dilettante, che -a valore potrebbesi dire artista, che è la signara Matilde -Branca, la quale ne è la proprietaria; e quindi -la villa dell’ingegnere Canzi architettata sul far de’ -<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span> -palagi di Venezia, con finestre e loggie di terra cotta, -come ne è la balaustrata: quattro colpi di remo, ed -ecco ci trovammo nel pieno ed austero seno della -Pliniana. -</p> - -<p> -— La Pliniana! esclamò Emilia. -</p> - -<p> -Infatti ci riconoscemmo in grado di vederne il fabbricato -intero. Un grandioso loggiato d’ordine dorico -prospetta il lago e serve di vestibolo al palazzo che si -addossa al monte con giardino a varii piani, i quali -s’innalzano fino ad una specie di romitaggio, in cui la -solitudine profonda e l’isolamento assoluto della villa -ispirano gravi, melanconiche o appassionate meditazioni. -Un torrente che le sta a lato, dall’altezza di -novanta metri balza con bell’effetto dalle roccie e rumoreggia -transitando per l’atrio, per confondersi da -ultimo colle acque del lago. -</p> - -<p> -— Fu Plinio forse qui ad abitare ed a lasciarvi il -suo nome? — mi domandò Antonietta, la mia eccellente -e affettuosa nipote. -</p> - -<p> -— No — rispos’io. — Plinio il Giovane lasciò nelle -opere sue la descrizione della fontana intermittente, -che avrai veduta nella villa e di cui anzi fa cenno la -lapide latina che vi avrai scorta, ma non capita, e -che qui chiama la curiosità del forastiero; ma la villa -non appartenne mai a quell’illustre. -</p> - -<p> -— Ah sì, la fontana che ha il flusso e riflusso come -il mare e che è inesauribile. -</p> - -<p> -— Essa ha infatti un’intermittenza; or cresce a ricolmare -un bacino, ed ora, ad occhio veggente, scema; -ma questo flusso e riflusso non è regolare come quello -del mare, nè poi è tutta vera la credenza ch’essa sia -<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span> -inesauribile. Vuolsi inoltre ch’essa abbia relazione col -<i>Buco del piombo</i>, che si vede all’opposto versante della -montagna che sogguarda il Piano d’Erba, ma non sono -che supposizioni codeste. -</p> - -<p> -Ora udite quale spiegazione ne dia il detto Plinio, -non già per dirvi che l’abbia azzeccata giusta; ma per -darvi un saggio della scienza fisica d’allora: la traduzione -dal latino è del Paravia: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p class="indl"> -“C. Plinio a Licinio. -</p> - -<p> -„Io ti ho recato dalla mia patria il regaluccio di una -quistione, la quale è degnissima della profondità del -tuo ingegno. Scaturisce da un monte una sorgente, -scorre fra sassi, si raccoglie in un loghicciuolo fabbricato -per cenarvi; quivi dimorata un tantino, va a -perdersi nel lago di Como (<i>in Larium lacum decidit</i>). -Mirabile è la sua natura; tre volte al giorno con invariabili -aumenti e diminuzioni si alza ed abbassa. Ciò si -vede apertamente, nè può vedersi senza un grande diletto. -Colà presso tu siedi e mangi, e bevi anche a quella -medesima fonte, da che è freschissima; ed essa intanto -a certi e misurati intervalli o cala o cresce. Poni all’asciutto -un anello o chechessia, l’acqua a poco a poco -lo bagna, e tutto finalmente il ricopre, e si scopre di -nuovo e bel bello rimane all’asciutto. Se ti fermi ad -osservar questo giuoco, il vedrai rinnovarsi e due e tre -volte. È forse un qualche occulto vento, che la bocca -e le fauci della sorgente or apre, or chiude, secondo -che entra cacciando l’acqua, o esce cacciato da questa? -Il che noi veggiamo avvenir nei fiaschi e in tutti i vasi -di questo genere, i quali non hanno una libera e súbita -<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span> -uscita. Poichè ancor questi, benchè capovolti e inchinati, -rattenuti da non so qual vento contrario, ritardano il -liquore, il qual non esce in certa guisa che a frequenti -singhiozzi! Forse le leggi dell’oceano son le medesime -che quelle del fonte? E per la stessa cagione che quello -ora s’innalza, or s’abbassa, eziandio questa fonticella -con alterna vicenda ora sporge, or s’arresta? O forse -come i fiumi, che scaricandosi in mare, sono dagli avversi -venti e dall’impeto dell’onda risospinti, evvi qualcosa -che ritarda per qualche istante il corso di questo -fonte? O hanno gli interni canali un’assegnata misura, -per cui, mentre si rimettono le perdute acque, il rivo -si fa più scarso e lento, e rimesse che siano, corre più -spedito e copioso? Od evvi, non so quale, interno ed -occulto recipiente, che quando è vuoto desta e sospinge -la fonte, quando è pieno la ritarda e la soffoca? Or tu -che il puoi, fa d’investigar le cagioni che producono -questo fenomeno. Per me è anche troppo, se ti ho a -sufficienza dimostrato com’esso avvenga. Addio<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>.„ -</p> -</div> - -<p> -L’Amoretti invece, nel suo <i>Viaggio da Milano ai -tre laghi</i>, dopo aver notato come i movimenti dell’acqua -abbiano un’esatta relazione con lo spirare del -vento, sì che incominciando su que’ monti a spirare -il ponente verso la nona ora del mattino, che quei -del lago chiamano la <i>Breva</i>, a quell’ora eziandio incomincia -a crescer l’acqua nella fonte; dice questo -crescimento potersi generalmente calcolare di tre in -quattro ore. Infatti ad un’ora, al <i>Tivano</i> del mattino -<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span> -succede il vento che procede da Como e si denomina la -<i>Breva</i><a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>. Simile interviene alla sera. Più cresce il -vento, più si alza la fonte; l’aria è affatto placida, e -la fonte punto non s’altera. Or come fa egli il vento -a produrvi sì fatte cose? L’Amoretti, premesso che -in vetta a’ monti soprastanti alla fonte Pliniana v’ha -delle caverne o pozzi naturali, che penetrano nel -seno del monte e vi mantengono degli interni serbatoi -d’acqua, spiega il fenomeno in questo modo: -“Siavi in seno del monte uno o più recipienti d’acqua, -corrispondenti alle bocche superiori, i quali all’orlo -abbiano delle uscite che portano alla Pliniana. Soffiando -il vento perpendicolarmente, comprime l’acqua e la -spinge all’orlo in maggior copia, e quindi più copiosi -sono i canaletti pei quali portasi alla fonte. Quando il -vento cessa, l’acqua si rimette a livello, e l’interno laghetto, -a cui il monte ne somministra cogli incessanti -stillicidi, torna a ricolmarsi d’acqua, che il seguente -vento torna a respinger fuori. Ma quando un forte vento -ha soffiato lungamente, più d’un giorno sta la fonte -senz’alterazione, perchè l’interno recipiente di tropp’acqua -è stato privato, e il consueto spazio di tempo -non basta a riempirlo nuovamente. Se questa spiegazione -<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span> -non soddisfa pienamente, quella mi sembra almeno -che soffra minori difficoltà<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>.„ -</p> - -<p> -— Ma allora chi fabbricò la Pliniana, se il luogo non -fu di Plinio? — chiesero in coro i miei nipoti. -</p> - -<p> -— La è tutta una storia — risposi io. -</p> - -<p> -— Contala, zio; contala. -</p> - -<p> -Giulio e Gigi macchinalmente appena muovevano il -loro remo; noi lentamente intanto approssimandoci -ognor più al silenzioso palazzo e di pochi tratti discosti -dallo scalo della Riviera, sospeso ogni altro movimento, -il canotto sostò, ed io m’accinsi a dire la storia che mi -veniva domandata. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -— Mi bisogna far viaggiare la vostra mente da queste -rive a Piacenza, e farvi dar addietro, meglio certo -di tre secoli, all’anno 1547. -</p> - -<p> -Pier Luigi Farnese, da non molto creato duca di -Piacenza e di Parma da papa Paolo III, teneva stanza -in quella città ed era da essa che esercitava la sua tirannica -signoria. Se egli avesse virtù alcuna, hanno gli -storici taciuto; all’incontro il Varchi ne lasciò orribile -pittura de’ suoi difetti, che del resto erano anche proprî -del tempo, e il Segni poi, altro storico fiorentino, -non so con qual fondamento di verità, ce lo descrisse -storpio di mani e di piedi, sicchè bisognava aiutarlo -fino al mangiare; e tuttavia rotto a tutti i vizî. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span> -</p> - -<p> -Proprio a que’ giorni Spagna e Francia tenevan l’occhio -sul paese nostro, e Carlo V imperatore l’aveva a -morte col Farnese, e perchè lo stimava, se non promotore, -complice almeno dell’attentato di Gian Luigi del -Fiesco contro Genova, e perchè, ciò che più gli cuoceva, -scorgesse in lui propensione maggiore per Francia, tanto -più che il Pontefice aveva ottenuto a Orazio Farnese -per moglie Diana, figlia naturale del re di Francia Enrico -II. Riuscì facile pertanto all’imperatore di soffiar -dentro gli odî de’ nobili Piacentini, che lamentavano la -passata libertà, e la tirannide attuale mal sapevano comportare, -e si tramò allora una congiura ch’ebbe a capi -Girolamo e Camillo <i>Pallavicino</i>, Agostino <i>Landi</i>, Giovanni -<i>Anguissola</i> e Gian Luigi <i>Confalonieri</i>. Si pretese poi -da chi si piace di stranezze e di bisticci che i nomi -loro fossero già preconizzati nella parola <i>Plac</i> (Placentia), -che abbreviata si leggeva impressa nella moneta -del Duca. -</p> - -<p> -Ai dieci di settembre di quell’anno 1547, que’ congiurati, -con alcuni loro aderenti, in numero di trentasette -persone, portanti soppanni armi coperte, côlta -l’ora che il Duca avesse pranzato e i suoi ministri fossero -pure a tavola, entrarono alla spicciolata nella cittadella, -ove dimorava Pier Luigi, nullamente impediti -dagli svizzeri che vi stavano a custodia e che di nulla -certo erano in sospetto. -</p> - -<p> -Vuolsi che il Farnese fosse stato, per avvisi venuti -da Milano e da Roma, prevenuto della trama; ma -quando incalza il destino, invano vi si vuole porre -ostacolo: egli allora non vi pose attenzione. -</p> - -<p> -Mentre adunque taluni de’ congiurati, uccidendo alcuni -<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span> -labardieri svizzeri e tedeschi, si impodestarono -delle porte della cittadella e della sala, Giovanni Anguissola -con due fidati suoi compagni penetrò in quest’ultima -dove stava Pier Luigi in ragionamenti con -Cesare Fogliano, e fattoglisi sopra, con poche pugnalate -lo freddò, senza provare resistenza; perocchè il -Duca, a causa di sua intemperanza, si fosse reso quasi -infermo agli atti. -</p> - -<p> -Il popolo e il capitano delle milizie ducali Alessandro -da Terni avrebbero voluto accorrere al parapiglia in -fortezza; ma i congiurati ne avevano prevenuto il colpo -alzando il ponte, e Agostino Landi, rappresentando al -popolo il fatto e a lui mostrando il cadavere di Pier -Luigi, gridò Libertà, Libertà, Imperio, ed annunziò -l’imminente venuta, per S. M. Cattolica, di don Ferrante -Gonzaga, governatore di Milano, colle truppe di -Cesare, il quale due giorni dopo infatti capitò e prese -possesso della città a nome dell’imperatore. -</p> - -<p> -Così si intendeva la libertà allora in Italia, e così -poteva dire di noi con ragione alcun tempo dopo il Filicaia: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Per servir sempre o vincitori o vinti.</p> -</div></div> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Poco frutto veramente raccolse del perpetrato assassinio -il conte Giovanni Anguissola. Perocchè, se egli -venne a rifugiarsi a Milano sotto le tende di Carlo V, -il quale malgrado l’aver attizzato la congiura, non era -però meno parente suo per la figliuola Margherita data -<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span> -in moglie ad Ottavio figlio di Pier Luigi, e se fu poi -nominato al governo di Como; non egli potè tuttavia -far tacere il grido della coscienza che l’accusava assassino, -comunque le sue mani si fossero insanguinate -del sangue di un tiranno. -</p> - -<p> -Papa Paolo III aveva risentito acerbissimo dolore -della uccisione del figliuolo, e il re di Francia egualmente; -nè si ritenne dal dissimularne i fieri risentimenti, -se lo stesso suo ambasciatore in pieno palazzo a Coira -ebbe a tirare all’Anguissola una stoccata, che per altro -no’l tolse da questo mondo. Anche il sicario che in -abito da frate lungo tempo fu veduto aggirarsi nelle -circostanze di Como, aspettando luogo e tempo per -iscannarlo, ed altri emissarî, con non dissimili propositi, -se non vennero a capo del loro truce mandato, -mantennero pur sempre nell’Anguissola quella paura -continua e quelle agitazioni che gli dovevano turbar -l’esistenza. -</p> - -<p> -Fu allora che nel 1570 egli elesse questo luogo, ove -è la fonte da Plinio il Giovane descritta, a edificarvi -questa villa, e dove, malgrado le naturali bellezze, la -cascata e la magnificenza dell’edifizio, pure è impossibile -difendere l’animo da un certo senso di malinconia. -</p> - -<p> -Ben poco il conte Giovanni Anguissola potè godere -degli ozî non gai che qui egli si era preparato; la villa -poscia venne acquistata dal conte Fabio Visconti Borromeo, -indi dai Canarisi, sinchè pervenne al principe -Emilio Belgiojoso, dove un amor tempestoso gli abbreviò -una vita che era dapprima sembrata così sorridente -ed elegante, passando per tal modo la proprietà della -Pliniana alla figliuola sua che impalmò il milanese -marchese Lodovico Trotti. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -La mia storia era finita. -</p> - -<p> -I miei nipoti ripresero taciturni il remo, virarono la -barca e si scostarono dall’austero luogo. -</p> - -<p> -Intanto le ombre scendevano giganti sul palazzo e -ne’ giardini: al mio povero occhio, non armato in quell’istante -dell’occhialino, parve per quella tetraggine e -per le liane della cascata veder qualcosa che si agitasse, -forse lo sparnazzare di qualche augello notturno, -e l’immaginazione, ch’io medesimo avevo eccitata col -richiamo di truci fatti antichi, mi raffigurò lo spettro -del primo signore di quel luogo, dell’assassino, cioè, di -Pier Luigi Farnese. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span></p> - -<h2 id="esc11">ESCURSIONE UNDECIMA. -<span class="smaller">DA MOLTRASIO A TORRIGIA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura nel 1863. — La -villa Buttafava. — Pognana e Palanzo. — Premenù. — Ancora a -Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi, Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — Villa -Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa -Savoja. — La Minerva, ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. — Ville -Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — G. B. Lampugnani. — Sonetto -a Katinka Evers. — Ville Rocca, Tarantola, Ottolini, -Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. — Ville Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere -dei fratelli Taroni. — Laglio. — Monumento a Giuseppe -Franck. — Villa Galbiati. — Torrigia. — Villa Cetti. — La punta. -</p> -</div> - -<p> -Perchè ci tratterremmo ancora in questo seno della -Pliniana così severo e malinconico? Solo ne’ giorni più -ardenti del luglio potrebbe fornirci un freschissimo -recesso: or che siamo in pieno autunno, della frescura -non abbiam troppo bisogno. -</p> - -<p> -E poi, le dolorose memorie che di questa parte -conservo, mi fanno dire coll’Epico latino: <i>Eheu fuge... -fuge litus avarum.</i> -</p> - -<p> -È vero che a pochi tratti avvi l’Orrido di Molina, -che non è tempo certo sprecato il visitare e che è -dato argomentare non esistesse in addietro, se nessuno -degli scrittori del lago ne fa menzione. È veramente -<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span> -orrido, come invece quello di Moltrasio, che non lo -è, ho preferito, per maggior verità, appellare Cascata. -L’acqua si precipita per un burrone dall’altezza d’una -cinquantina di metri e mette i brividi addosso a chi -vi guarda. -</p> - -<p> -Presso a Lemna — paese, il cui nome greco, come -altri che troveremo lungo il lago, rivela la presenza -un giorno di una colonia greca, quella forse che vi si -dice dedotta da Giulio Cesare — e giù al piede ove -era un gruppo di case e una villa, una notte dell’ottobre -1863, ospite io a Urio in casa della signora Ostinelli-Turati, -sulla sponda opposta era un furiare di -pioggia e di vento, e gli echi dei monti avevan dopo, -in mezzo al silenzio succeduto, ripercosso dall’una all’altra sponda un forte e cupo rumore. Ognun che -l’intese si domandò che avesse potuto essere. L’indomani -mattina il sole riapparso illuminava a Lemna -uno spaventoso disastro. Le acque infiltrandosi tra la -roccia e la terra sovrapposta ve l’avevano staccata -interamente; sicchè nel colmo della notte tutta quanta -scivolando improvvisamente in basso e producendo un -borro, o lavina, aveva abbattuto e invaso tutti i sottoposti -casolari, seppellendovi sotto ben quarantacinque -persone. Anche la villa Buttafava fu nella massima -parte riempita di fango, e tale ne fu l’orrore della scena, -che i proprietarî se ne debbono essere disgustati e -fu detto infatti che non vi volessero più ritornare. -</p> - -<p> -Io visitai quel tristissimo e toccante spettacolo l’indomani -e vidi più di un cadavere sterrarsi, più d’un -orfano desolarsi, più d’un superstite reso quasi stupido -dal dolore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span> -</p> - -<p> -Tutto il terreno franato e melmoso giaceva là; la -roccia era nuda e da essa scendeva un rivolo d’acqua. -</p> - -<p> -Più avanti sull’alto vi sono i villaggi di Pognana e -di Palanzo (nome pur greco quest’ultimo), ma deserti -assai, perchè la più parte de’ loro abitanti emigrano -mercanti girovaghi. Nulla poi offrono che chiamino a -visitarli, se pur non interessi Premenù, che è uno dei -soliti bacini o pozzi che su quest’Alpi si incontrano, -ma non ha speciali particolarità. -</p> - -<p> -Ritraversiamo pertanto il lago e ritorniamo al sorriso -della opposta sponda. -</p> - -<p> -Da Moltrasio a Torrigia non è che una serie di leggiadri -palazzini. Disseminate per il paese vi sono case -civili di villeggiatura; rasente il lago vi sono quelle dei -signori Salterio, poi degli Invernizzi, a cui fa seguito -la villa del barone Tarchini-Bonfanti, distintissimo -medico milanese. -</p> - -<p> -Usciti appena dal primo paese, ci si offrono i due -corpi di casa costituenti la villa della Duchessa di -Piacenza, illustre dama francese che s’innamorò dell’Italia, -o, a meglio dire, della nostra Lombardia, e -da tanti anni divide il suo soggiorno fra Milano e il -lago di Como. Della villa Pensiero dei conti Belgiojoso, -che le vien dopo, già parlai nella escursione alla Cascata -di Moltrasio; così passiamo a quella che succede, -e che si denomina Rosiera: essa appartiene a Giovanni -Casati, uno de’ migliori coreografi de’ nostri tempi, e -il nome che le fu imposto ricorda appunto una delle -più applaudite sue composizioni coreografiche date nel -massimo teatro milanese. -</p> - -<p> -Un grazioso <i>chalet</i> svizzero, ch’era prima del nobile -<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span> -Vitali, fu ceduto ai signori Pavia e continua la lunga e -graziosa sequela delle ville. Dopo di esso sorge la Partenope, -che colla vicina Minerva venne fabbricata dal -signor Ambrogio Robiati, per condurvi il suo collegio -d’educazione maschile che aveva in Milano, e dove largheggiò -cospicue somme a beneficio... di chi le comperò -di poi a prezzi d’assai inferiori. La Partenope è divenuta -ora proprietà del conte Gamberini di Imola, che -v’ampliò il giardino, abbellì la casa, tutto informando -alle proprie comodità. La Minerva ha mutato ora nome, -quello assumendo di villa Elena, essendo al presente -posseduta dalla russa contessa Elena Goloubtzoff nata -Pahlen, sorella di quella generosissima contessa Samoyloff, -che per tanti anni erogò in Milano gran parte -del suo patrimonio in beneficenze. Essa pure sta annettendovi -locali e migliorie e vi fa erigere scuderie che -mancavano, poichè da qualche anno la via che corre -dietro alla villa fu resa carrozzabile infino a Torrigia. -</p> - -<p> -Tra la Partenope e la Minerva, l’editore e libraio -Gaetano Brigola di Milano si fabbricò la sua graziosa -Igea, e può dire che il commercio librario, da lui con -tanta intelligenza esercitato, <i>hæc otia fecit</i>. — Anche -l’ing. cav. Savoja vi eresse a fianco un elegante casino. -</p> - -<p> -Fa séguito alla Minerva la villa della signora Ostinelli-Turati, -due nomi che ricordano due notorie case -librarie, la prima di Como, la seconda di Milano, nella -quale, come già dissi al lettore, ebbi ospitalità cordialissima -e più d’una volta, perchè ad amici della tempra -de’ Turati rifiutare è offesa. Vuolsene ammirare la -bella e buona architettura del cav. Dupuy. -</p> - -<p> -Vien presso il paesello di Urio, a fianco del quale -<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span> -scorre il torrente Strona e una grandiosa villa che -già apparteneva ai Melzi e poscia di padrone in padrone -capitò alle mani dell’avvocato Peduzzi, che la -va affittando, finchè capiti qualche gran signore che -se ne invaghisca e la ristauri e perfezioni, di che ha -veramente bisogno per essere detta fra le più interessanti -del lago. Evvi anche molto terreno addetto, attissimo -a convertirsi in bel giardino, ed ha al piede -una bella darsena, che all’uopo basterebbe a tramutarsi -essa sola in villa. -</p> - -<p> -Quella detta <i>Jenny</i>, che seguita, è dei signori Uboldi; -quindi la villa Calcagnini, e dopo altre due spettanti -ai signori Taroni, una cioè al di là della strada, l’altra -di qua e respiciente il lago. -</p> - -<p> -Sofia Fuoco, or fa qualch’anno rinomata danzatrice, -uscita dagli insegnamenti del Blasis, si raccolse qui a -Carate in una comoda villetta a riposarsi sui conquistati -lauri teatrali. — Quivi si tramutò pure da una villeggiatura -suburbana di Monza, ch’ebbe cara finchè fu -rallegrata dal sorriso dell’unica figliuoletta Giuditta, -leggiadra, spiritosa e di sè assai promettente, il mio -amico dottor G. B. Lampugnani; ma rapitagli questa -da inesorabil morte, più non volle rivederla, ricercando -i conforti di tanta jattura a queste amenissime rive. Alla -consorte sua, quell’esimia artista cantante che fu Katinka -Evers, la quale ne divideva inconsolabile il dolore, -io in quel suo domestico lutto rivolsi questo sonetto. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Alle lagrime il fren, povera afflitta,</p> -<p class="i02"> Lascia libero pur, che n’hai ben d’onde:</p> -<p class="i02"> No, non basta il saper che a più gioconde</p> -<p class="i02"> Regïoni volò la tua Giuditta.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span></p> -<p class="i01">Solo t’è in cor la verità confitta</p> -<p class="i02"> Che tu la chiami ed ella non risponde,</p> -<p class="i02"> Che col tuo bacio il suo più non confonde.</p> -<p class="i02"> Ch’ella per sempre t’ha quaggiù relitta.</p> -<p class="i01">Era sì bella, sì gentil, modesta</p> -<p class="i02"> E del suo spirto le virtù supreme</p> -<p class="i02"> Così colpian ogni persona onesta;</p> -<p class="i01">Che nell’acerbo duol che il cor ti preme,</p> -<p class="i02"> Altra parola non so dir che questa:</p> -<p class="i02"> Povera madre, lagrimiamo insieme.</p> -</div></div> - -<p> -Qui pure in Carate hanno ville il signor Rocca, che -ristaurò la propria recentemente; il conte Alfonso Visconti, -che dall’angustia dello spazio seppe trarre il -miglior partito, e però chiamolla Ripiego ed ha assai -leggiadra architettura; il Battaglia, il cav. dott. fisico -Francesco Viglezzi, il Tarantola e la Ottolini, tutti accorrenti -dalla ricca Milano; e qui la contessa Sangiuliani, -presso la quale a sera convengono i villeggianti -a conversari e danze. Al suo giardino la piena del lago -ritolse, or fa qualch’anno, un chiosco ch’era in riva e -che con tutto il mobiglio una bella notte scomparve, a -nuova prova che il Lario non patisce gli si rubi terreno. -Quindi si schierano in bella mostra le ville Lavizzari, -Porro e Antongini, or passata quest’ultima in proprietà -del nostro bravo generale Longoni, che ne abbelliva -casa e giardino col miglior gusto, e che dopo -le cure ed esercitazioni militari quivi -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Scende</i> del campo a tergere</p> -<p class="i01">Il nobile sudor<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -È nello stesso paese di Carate che i fratelli Taroni -<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span> -hanno operoso cantiere per la costruzione di ogni sorta -d’imbarcazione del lago: navi, battelli, canotti, gondole, -lancie, quattrassi e sandolini, tutto vi si fa e con bella -eleganza. -</p> - -<p> -E così eccoci giunti a Laglio, altro paesello montano, -senza alcuna particolarità, come tutti gli altri -che discorriamo, costituiti dalla chiesa e suo campanile, -da casupole di pescatori e tutt’al più da una osteriuccia, -dove si eccettui il dottor Casella, del quale -avverrà nella prossima escursione che più intrattenga -il lettore. -</p> - -<p> -È fuori di Laglio che fu collocato il monumento piramidale -ad un medico, Giuseppe Franck, che, transitando -sul piroscafo, ognuno crede possa essere di Pietro, -l’illustre, il quale lasciò molte opere della sua scienza, -ma che non è; essendo invece eretto a Giuseppe, figlio, -autore per altro egli pure, ma di meno riputate opere -di medicina: nè si comprende perchè abbiasi voluto -funestar con quel segno funebre il sorriso di questa -sponda. -</p> - -<p> -Affrettiamoci invece a esaminare la villa che succede -ed è de’ Galbiati, che ci avvicina a Torrigia, dove alla -punta sporgente nel lago sorge la villa dei signori Cetti, -alla famiglia de’ quali appartenne il gesuita Francesco -Cetti, che a mezzo il secolo scorso insegnò e dettò -opere lodatissime di storia naturale. -</p> - -<p> -Qui, in antico, forse perchè il lago restringesi, era -una torre che diede per avventura nome al paese, <i>turris -regia</i>, che aveva un faro, buono a dirigere a notte -le imbarcazioni. Ora a notte questo tratto pescoso di -lago è occupato dalle reti, che calate vi avvertono di -<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span> -loro presenza coll’agitarsi continuo de’ campanelli, -scossi dall’onde o dal vento, i cui suoni scorrendo -monotoni sulla superficie del lago, producono un singolare -effetto per chi ignora che stanno a segnale de’ -pescatori. -</p> - -<p> -E qui fermandosi la via carrozzabile, arrestiamoci -anche noi; rimanendoci una interessante escursione a -compiere da qui, prima di allontanarci. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-130b"></a> - <img src="images/ill-130b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Buco dell’Orso.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span></p> - -<h2 id="esc12">ESCURSIONE DUODECIMA. -<span class="smaller">IL BUCO DELL’ORSO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — Il cammino. — Il -Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — Descrizione. — Visite di dotti. — Le -scarpe di S. Pietro. — Questioni geologiche. — Paleontologia. — Gallerie -o pozzi scoperti dopo. — La discesa. -</p> -</div> - -<h3>I.</h3> - -<p> -Per l’escursione attuale mi risparmio la fatica d’intrattenervi -del Buco dell’Orso con nuovo scritto: parmi -ne dirà meglio quello che ne dettai nell’anno 1864, -quando, come già feci sapere, essendo ospite ad Urio, -consegnai nel seguente articolo le impressioni in me -prodotte e le analoghe osservazioni. Doveano essere allora -sì pochi i giorni che m’eran dati ai riposi autunnali, -che neppure avevo fatto conto di procacciarmi -questi nuovi e studiosi ricreamenti, a’ quali or chiamo -a parte il lettore. -</p> - -<p> -Dopo le fatiche autunnali, qui venuto a ragion solo -di riposo, a me sarebbe bastato il solo aspetto di questo -tranquillo lago, sospinto nelle ore mattutine verso -Como dall’immanchevole soffio del <i>Tivano</i> e nelle ore -<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span> -pomeridiane di colà respinto dalla <i>Breva</i>, quasi a giovamento -delle cento vele che riconducono a’ paeselli delle -riviere chi è corso per la mercanzia alla città; sarebbe -bastata la voluttà di scivolarne la piana superficie sul -burchio o sul canotto, mollemente adagiato in traccia -della curiosa emozione che vi dà l’onda agitata, come -la lasciano i piroscafi percorrenti la lunghezza del lago; -sarebbe bastato in una parola il <i>dolce far niente</i> che -ha sì recondite dolcezze per chi tutto l’anno si trova -nel <i>mare magnum</i> della città, perchè potessi dire ottimamente -impiegati i pochi giorni concessi; ma pure -distrazione novella, impreveduta mi attendeva. Lascerò -ora i simpatici ritrovi di parecchie ville che -mi si dischiusero amicamente e che valsero tanto a -ingannare deliziosamente le ore della sera, lunghe, interminabili -alla campagna; lascerò le danze e le musiche -da cui eran bandite le ricercate toalette, e piuttosto -vi dirò di quella spedizione che feci in allegra -compagnia al <i>Buco dell’Orso</i>, spedizione che interessa -tanto il profano, quanto chi si piace di geologiche -novità. -</p> - -<h3>II.</h3> - -<p> -A noi fu guida in questa alpestre escursione il bravo -dottor Giuseppe Casella, medico condotto di Laglio e -d’altre terre vicine. -</p> - -<p> -Chi sa quanti nell’udire tal nome si rammenteranno -di giorni amenamente passati sul Lario! Perocchè il -dottore Casella, colto e socievole quant’altri mai, è -una vera fortuna per quanti passano i bei giorni di -<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span> -ottobre ne’ paesi di questo incantevole bacino: egli -direbbesi il tratto d’unione fra l’una famiglia e l’altra, -l’autore de’ progetti di gite e di comitive; senza lui -non seguirebbero le ilari carovane che pellegrinano al -<i>Piano del Tivano</i>; senza lui infine non avremmo compiuta -l’ascesa al <i>Buco dell’Orso</i>. -</p> - -<p> -Egli aveva data la posta alle varie famiglie villeggianti -ad Urio, Carate e Laglio per la mattina del -5 d’ottobre al paese di Torrigia: si diceva che le leggiadre -signore, che avrebbero fatto parte della brigata, -sarebbero venute in abito d’amazzone, perocchè i -greppi su cui avevasi a inerpicare, le boscaglie che si -dovevano transitare avrebbero dilaniato crinolini e -gonne, e di ciò pure ci ripromettevamo spettacolo sollazzevole; -ma di questo fummo compiutamente delusi: -al mattino ci trovammo al convegno in una ventina -soltanto, le amazzoni brillarono per la loro assenza: -una sola non era mancata, ma il suo costume,... di -vestiario... ah! il suo costume non era quello che avevamo -vagheggiato. -</p> - -<p> -Il dottor Casella diè il segno della partenza e ci -precedette, e noi ci difilammo dietro a lui. Difilammo -è la parola sola che conviene, perocchè non appena -usciti di Torrigia fosse mestieri mettersi per l’angusto -sentiero de’ monti. Presto una viuzza di ciottoli e di -pietruzze acuminate provò il nostro coraggio, perchè -difficilmente vi si potesse reggere; ma vinte le prime -scabrosità, si ascese liberamente per le mille anfrattuosità -di quella montagna. E qui notiamo, poichè ne -viene il destro, come sia questa di roccia calcarea -bigia azzurrognola, continuazione più o meno eguale -<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span> -di quella che incomincia appena fuor di Cernobbio e -si prolunga fino all’insù del lago, costituita di tante -sovrapposizioni o grosse lastre dello spessore talvolta -d’oltre il mezzo metro, che valgono assai opportunamente -alle costruzioni, sostituendo la materia laterizia -con moltissimo vantaggio di resistenza e di spesa<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>. -L’ombra e la frescura vi è procurata dai frequenti -castani isolati o da macchioni, che vedevamo da montanine -e garzonetti flagellati per farne cadere i già -maturi frutti. Fuor di costoro non eran rotti que’ solenni -silenzi che dalla lontana campanella delle capre -che scorazzavano per i più alti dirupi, o dalla monotona -cantilena delle fanciulle che pascolavano su qualche -altipiano le loro magre giovenche. A tratti noi -sostavamo a ripigliar lena, ad attendere i più tardi e -ad ammirare i maravigliosi punti prospettici che ci si -venivano mano mano presentando. Di fronte vedevamo -il villaggio di Careno, più su quello di Zelbio, a destra -Lemna, Molina e l’orrido suo, a manca Nesso e la -punta di Cavagnola, e quando, voltandosi alquanto a -manca la montuosa via, noi riguardavamo in basso, -<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span> -scorgevamo Brienno e più in là Argegno, il capoluogo -della Valle Intelvi, e quei paeselli eziandio che dal -greco nome accusano quali colonie vi stanziassero un -giorno. -</p> - -<p> -Una colonna di denso fumo dal mezzo del lago svolgevasi -lungamente per l’aere e pareva come una nuvola -leggiera adagiarsi sulla costiera che ne stava -dirimpetto, e noi seguendola coll’occhio potemmo appena -distinguere ch’essa liberavasi da uno dei battelli -a vapore che in quell’ora drizzava la prua verso la -punta di Torrigia, perocchè noi dovessimo essere in -quell’istante a seicento metri sopra il livello del lago. -</p> - -<p> -Il mattino si faceva alto, e noi, chiedendo consiglio -alla voce imperiosa dello stomaco nostro, ci credevamo -vicini alla meta, ma questa pareva discostarsi ognor -più: essa ci era come il fatale miraggio del deserto. -</p> - -<p> -Poi si giunse dove il monte s’addentra e si forma -come un letto torrenziale: colà la via si faceva più -scabra e il nostro attento duce ne faceva avvertiti che -non dovessimo riguardar in basso se temevamo delle -vertigini, perchè paresse che a noi di sotto la valle si -sprofondasse quasi a picco. Fuvvi un tratto di strada -che era tutta pietra brulla e alquanto declive: a noi -fu però mestieri d’addoppiare le precauzioni; una voce -sola era sorta a segnale di scoraggiamento, ma la -parola e l’esempio d’altri vinsero quelle paure, e dieci -minuti dopo, per un sentiero apertoci fra virgulti ed -arbusti, ci trovammo innanzi al <i>Buco dell’Orso</i>. Il viaggio -aveva durato un’ora e mezzo. <i>Italiam! Italiam!</i> -gridammo noi pure, che ci vedevamo giunti allo scopo -del nostro pellegrinaggio, e in quest’inno di gioia c’entravan -<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span> -certo di molto gli acuti stimoli della fame. All’essere -poetico preferisco l’essere veritiero. -</p> - -<p> -Ci sedemmo allora sui massi che sono sparsi avanti -l’ingresso della caverna, e tratte le nostre copiose -provvigioni, ci diemmo ad asciolvere con un appetito -che meglio s’accostava alla voracità, mescendoci del -buon vino e dell’acqua limpida e fresca che ci forniva -una polla della caverna stessa. -</p> - -<h3>III.</h3> - -<p> -Poichè fummo tutti rifocillati, ci disponemmo ad entrare -nella profonda cavità, e tutti allora accendemmo -il moccolo, di che ognun di noi doveva esser munito -a rompere le tenebre e godere delle bellezze naturali -della natura, e dello spettacolo di che noi eravamo -materia a noi stessi. -</p> - -<p> -A noi aveva il Casella saviamente consigliato di -servirci di questi moccoli anzi che di torcie a vento -o di legni resinosi, e perchè meno incommodi a portarsi -fra quelle sassose latebre, e perchè ci avrebbero -risparmiato d’ingoiarci l’esecrabile fumo che le altre -fiaccole avrebbero mandato per quelle volte. Perdevamo -così del pittoresco, ma innanzi tutto curar ne -piacque il più conveniente, e pur di questo vogliamo -essere riconoscenti all’esperto mentore nostro. -</p> - -<p> -Il Casella e don Baldassare Bernasconi, buon prete -di Laglio della più eccellente pasta, che aveva voluto -unirsi alla brigata, ci andavano innanzi rischiarando -ed additando le traccie che avevamo a seguire, perocchè -<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span> -e i frequenti massi colà trascinati in antico dalle -correnti o là sfranati dalla vôlta superiore, tutti investiti -d’un’argilla umida e sdrucciolevole, e le filtrazioni dell’acqua che formavano rigagnoli, e le stalattiti -della vôlta rendessero lento e pericoloso il passo. Dapprima -avevamo trovato il suolo piano, poi s’era venuto -abbassando con inclinazione sensibile, che ci obbligava -a passare carpone per un angusto varco o pertugio, -onde poter progredire. -</p> - -<p> -Come fummo giunti per entro una certa galleria -più vasta, ci compiacemmo volgere addietro lo sguardo -e riguardarci scambievolmente, e in verità tutti que’ -venti giovani, quale in piedi, quale assiso su d’enorme -sasso, tutti il moccolo acceso alla mano, presentavano -una scena curiosa, strana, suscitatrice di un mondo di -idee. -</p> - -<p> -Fu qui che il dottor Casella, a renderci più importante -la gita, a farci comprendere tutto l’interesse che -aveva preso la scienza alla scoperta di quella grotta -che a lui primo era dovuta, ad incoraggiarci a percorrerla -interamente, ce ne venne raccontando per filo e -per segno quella storia, che noi procaccerem modo di -riassumere sotto brevità. -</p> - -<p> -Era la state del 1841, quando ad esso dottor Casella, -che aveva udito parlare della esistenza d’una -grotta superiormente a Torrigia, cui la tradizione popolare, -che la credeva antica tana di orsi, aveva imposto -il nome di <i>Buco dell’Orso</i>, prese vaghezza di -rintracciarla. Associatosi alcuni amici, percorse la montagna, -sinchè appunto sul versante del monte che sovrasta -a Brienno, a due terzi di esso, rivolta a N. N. E., -<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span> -la discopriva. Si presentava quella caverna quasi un -ampio crepaccio apertosi nella roccia, alto metri 2,7, -largo quattordici e profondo dieci, e pareva a prima -giunta non dovesse aprire l’adito ad un lungo cammino. -Sgominate le tenebre che vi regnavan perpetue -col mezzo di faci ch’egli aveva seco recate, percorso quel -tratto testè da me ricordato, parevagli avesse qui -il suo termine l’antro che decoravasi di belle -stalattiti e corrispondenti stalagmiti, come veggonsi -frequenti nelle varie grotte che s’aprono nelle montagne -che costeggiano questo lago. Se non che, piegando -a destra alquanto, trovava quel pertugio che -rivelavagli prolungarsi ulteriormente la caverna, e cacciatovisi -animosamente dentro, si era veduto in quella -più ampia galleria che sì pittorescamente a noi offeriva -lo spettacolo di una processione che ritraeva del -misterioso e dell’infernale, siccome a me rammentava -il <i>facile descensus Averni</i> di Virgilio. Le cristallizzazioni -or bianche, or grigie, or giallognole, bizzarre e -spesso trasparenti, venivano riflesse da quella luce con -bell’effetto; ma nulla di più interessante erasi offerto fin -là, se si eccettui un cupo rumorío che richiamò -pur la nostra attenzione, prodotto dallo scorrere di -una fiumana dietro le non grosse pareti a destra dell’antro e che in verità sgomenta, poichè sembra che -agevolmente possa dischiudersi un varco e irrompere -ad allagar lo speco. Questa recondita corrente viene a -gittarsi in un lago, che vietò la prima volta al Casella, -ed a’ suoi compagni, come lo contese anche a noi, di -andar più oltre. Dalla bocca dell’antro a questo speco -la lunghezza è di passi 370 o metri duecento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span> -</p> - -<h3>IV.</h3> - -<p> -Da quel dì il <i>Buco dell’Orso</i> fu scopo a frequenti -pellegrinaggi del dott. Casella, e quando nel settembre -1850 vi ritornò con don Vincenzo Barelli, proposto -allora di Laglio, e con altri suoi amici, il caso lo favorì, -poichè, avendo messo allo scoperto un frammento di -costola uscente da quell’intonaco argilloso, lui e il -Barelli consigliava a tentare altre escavazioni, che -procacciarono infatti alcuni denti smisurati ed altre -ossa gigantesche, che si ravvisarono come appartenenti -ad animali, la cui specie ora più non esiste. Qualche -tempo dopo il Casella vi scopriva un immane cranio, -e questo, come le ossa già scoperte, veniva riconosciuto -essere stato di orso, che Blumenbach e i naturalisti -designano col nome di <i>Ursus Spæleus</i>. Queste -spoglie petrefatte vennero dal Casella donate al civico -Museo di Milano, dove, per la rarità di esse, il cranio venne -formato in gesso ed inviato ad altri gabinetti -di scienze naturali: tutte poi coordinate valsero alla -ricomposizione d’uno scheletro che è di un grande interesse -per la paleontologia. -</p> - -<p> -La curiosità nel Casella e nel prete Barelli di ulteriori -indagini crebbe allora ognor più, e trasportatevi -due navicelle, o <i>scarpe di S. Pietro</i>, come si chiamano quelle -imbarcazioni da quei del lago<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>, poterono navigare -<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span> -tre laghetti, l’ultimo de’ quali, lungo circa cinquanta -braccia, non fu possibile percorrerlo tutto -quanto, perchè la vôlta vien così declinandosi al pelo -dell’acqua che l’imbarcazione non vi può passare. -La lunghezza quindi accessibile si valuta a trecento -metri. -</p> - -<p> -Dopo Casella e Barelli la curiosità dei dotti fu vivamente -eccitata, e da allora trassero a visitar il <i>Buco -dell’Orso</i> e il dottor Emilio Cornalia, che ne lasciò -un’accurata descrizione già per noi citata, e l’abate -Antonio Stoppani, che vi consacrò pure una parte -nella sua <i>Paleontologia Lombarda</i>, a cui rimandiamo -il lettore per le più proprie informazioni della scienza, -e il dott. Giovanni Omboni, e il prof. F. De Filippi, e il -professor L. Patellani, e i fratelli Villa. A complemento -anzi di questo scritto, io verrò spiccando alle -memorie del Cornalia quel tanto che giovi a somministrare -più esatte quelle notizie che hanno più stretta -attinenza colla scienza, e così io pure avrò agevolato -il cómpito che mi sono proposto, e il lettore vi avrà -di certo guadagnato, più che con una semplice e inconcludente -narrazione. Riferirò ciò che riguarda alle -condizioni del suolo ed alle cause che produssero l’agglomeramento -delle ossa fossili discoperte: le sole indagini, -credo io, che interessi di istituire in argomento. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span> -</p> - -<h3>V.</h3> - -<p> -“Giunti al punto di maggior declivio, scrive adunque il dottor Cornalia, il suolo comincia a rialzarsi -tutto coperto di massi accatastati l’uno sull’altro. È -tra questi giganteschi, ma ancor mal fermi macigni, -che bisogna avanzarsi. Qui pure cominciano i depositi di -argilla alternantisi con croste stalattitiche e strati di sabbie -e ghiaie; le quali stratificazioni solo nelle parti -più interne si mostrano con ordine disposte, lasciando -là prendere precisa idea de’ loro rapporti. Altrove o -l’uno o l’altro degli strati manca, il fossilifero rimanendo -il più costante. Le pareti dello speco e i massi -più voluminosi che ne ingombrano il suolo mostrano -le striature che le correnti rovinose e trascinanti ciottoli -sogliono imprimere alla superficie delle roccie che -ne sopportano e frenano gli urti. Al di sopra di questi -massi, e lungo tutti i fianchi della grotta, una crosta -stalattitica vela agli occhi dell’osservatore la natura -del terreno; la qual crosta in alcuni luoghi arriva alla -grossezza di 0.08 e più. Spaccata, mostra una serie -di zone o strati d’un bell’alabastro cristallizzato a varî -colori, traccie delle successive deposizioni. -</p> - -<p> -„Più s’interna il torrente, di cui prima s’udiva solo -il fragore tra i sassi profondo, e più comparisce alla -superficie aggirandosi per un piano leggermente declive. — Di -là poco un lago di qualche estensione occupa tutto -il fondo che solo con un istrumento adattato alle -<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span> -angustie del luogo si può traghettare. A nuoto non vi -si regge: l’acqua non ha più di 7 gr. R.<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>. -</p> - -<p> -„.... Fra la prima raccolta d’acqua e la seconda -esistono, come io prevedeva, altre argille che bisognerà -smuovere con regolari scavi... È nelle vicinanze del -primo lago, ove non è necessaria una istraordinaria -innondazione affinchè il livello delle acque s’elevi molto -e v’abbandonino i loro depositi, che si osserva il maggiore -numero di strati. -</p> - -<p> -„Superiore a tutti si ha uno strato di ghiaia, mista -a sabbia nereggiante. I ciottoli sono in parte della -calcarea che forma il monte, in parte di roccie d’altra -natura. Questa sabbia si vede solo in siti limitati. È -dovuta certamente alle ultime innondazioni che saranno -state le più parziali. — Al di sotto delle ghiaie (ed -ove queste non esistono, direttamente allo scoperto) si -trova la prima crosta stalagmitica che s’estende quasi -uniformemente da per tutto. Dopo il deposito calcareo -havvi uno strato considerevole di un’argilla cinericcia -d’una purezza e d’una finezza straordinaria. È compenetrata -da molta umidità, sicchè lasciasi facilmente -tagliare con una lamina da coltello e si spoglia in straterelli -orizzontali esilissimi e paralleli. È si tenace da -parere elastica, e non contiene nè sabbie, nè ciottoli, -nè avanzi organici; questo deposito arriva anche a un -metro di potenza, e lui oltrepassato si trova un’altra -argilla di color bruno. Questo strato è piccolo (0<sup>m</sup> 1) e -<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span> -di poca importanza mancando in più luoghi. L’un deposito -però è sempre assai distinto dall’altro. Ove l’argilla -cinerea manca, la bruna è coperta direttamente -dalla crosta calcarea. Lo strato che più di tutto deve -attirare la nostra attenzione è il sottoposto fossilifero. -Consta di un’argilla tutta distinta, grossolana, mista -a del tritume calcareo; il suo colore è il gialliccio per -ossido ferrico; la sua durezza varia, in alcune parti già -compatta passando ad una marna in attualità di formazione. -Questo strato contiene dei ciottoli, taluni anche -voluminosi, arrotondati, per lo più ellittici e deposti -col loro piano massimo orizzontale. Questi noduli -non appartengono tutti al calcare bituminoso della -montagna, ma altresì a roccia di diversa natura, e -vanno misti a frammenti di stalattiti. L’argilla gialla -costituisce uno strato di circa 0<sup>m</sup> 4 di spessore, ed è -in essa che si rinviene la massima parte delle ossa. -Continuando gli scavi, dopo questo strato si trova un’altra -crosta stalagmitica simile per natura e potenza -alla prima, sotto la quale si ripete un’argilla eguale -alla fossilifera e che del pari contiene ossa sebbene -in minore abbondanza. È però più compatta, come più -anteriore; ed i fossili sono maggiormente petrificati. -La potenza di questo strato non la conosco; poggiando -direttamente sul masso, varierà secondo i luoghi. Nuovi -siti tentati potranno in avvenire fornire differenti cifre -per la potenza di questi strati; dipendendo questi dagli -accidenti del suolo. -</p> - -<p> -„La natura e i rapporti di questi strati ci chiariscono -sufficientemente del modo con cui si depositarono -e delle cause che li produssero. Una corrente -<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span> -alquanto forte, e quale appunto sarà stata la più antica, -fu quella che depose l’argilla ocracea. Lo provano la -sua estensione, i ciottoli che contiene, le grosse -ossa cilindriche che travolse. Gli altri strati indicano -correnti più miti, che durarono però più tempo; infatti -sono più limitati in estensione e composti di finissimo -limo esenti di ciottoli e di ghiaie. -</p> - -<p> -„Questi depositi poi occuparono lungo spazio di -tempo a formarsi e furono separati da lunghi intervalli, -come ne sono prova i ripetuti e grossi strati -stalagmitici interposti. La corrente attuale è del certo -un tenue avanzo di quelli, cui gli strati descritti devono -la loro esistenza, e che altre volte avrà sempre -o assai di frequente occupato tutto il lume della caverna. -Che se anche attualmente le acque venissero a -crescere a dismisura e la crepa già esistente non bastasse -ad inghiottire quelle che a metà della caverna -si inabissano, esse, occupato tutto il primo basso fondo, -si alzerebbero a segno di livello da uscire dall’apertura -attuale della grotta. -</p> - -<p> -„Nel vedere questa successione di strati tanto simili -a quelle descritte per le caverne ossifere di Francia, -di Germania, di Ungheria, ecc. ecc., ricorre subito -alla mente la possibilità della presenza di ossa fossili. -Queste che io rinvenni, e delle quali sotto il rapporto -paleontologico parlerò poi, hanno nel <i>Buco dell’Orso</i> -due modi distinti di giacitura, che però accennano ad -una medesima causa: le correnti. -</p> - -<p> -„L’uno di essi già indicai per incidenza: la giacitura -cioè nel deposito dell’argilla giallastra inferiore alle -prime due. È sulla fine di questo strato che esse -<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span> -si depositarono, ed anzi molte giacciono alla sua superficie -tra l’argilla gialla e la bruna. Alcune anzi trovansi -già in quest’ultima, e il colore bigio che assunsero -indica la loro giacitura. -</p> - -<p> -„Anche la seconda argilla, quella che giace al di -sotto della più antica crosta stalattitica, contiene questo -avanzo organico, ma in minor copia: una sola -mezza mascella inferiore e qualche osso della gamba -(genere <i>Ursus</i>) io vi trovai in tutto fino ad ora. Questi -pezzi sono più che gli altri alterati. -</p> - -<p> -„Le ossa robuste e solide sono le più numerose; le -più fragili andarono quasi tutte perdute. Sebbene anche -delle prime alcune siano abbondantissime, altre -invece rare assai. Così, per esempio, mentre che raccolsi -molte ossa del carpo e del tarso, e falangi (persin -le unghiali), e piccoli molari, trovai appena una -vertebra caudale e qualche incisivo. Forse perchè queste -parti assai facili a staccarsi dal restante scheletro -vennero dalle prime correnti in altre direzioni trascinate -e altrove deposte. Una prova che queste ossa -debbono la loro attuale giacitura alle correnti, la trovo -in ciò che la maggior parte si ricetta nei piccoli seni -che formano le rientranti e sporgenti pareti della -grotta, e che rimangono per opera de’ massi difesi -dall’impetuosa corrente. Ivi l’acqua, perdendo di sua -forza e diffondendosi più tranquilla, potè deporre le -ossa fin là travolte. Un altro modo di trovarsi le ossa -nel <i>Buco dell’Orso</i> merita attenzione, giacchè spiega -l’origine d’una natura particolare di roccie: impasto -di ossami, di frantumi calcari e di marne da tempo -celebri lungo le rive del Mediterraneo, intendo dire -<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span> -delle <i>breccie ossifere</i>. Su quei grossi macigni che dissi -occupare per lungo tratto e molto spessore il suolo -della caverna, l’acqua attualmente non scorre o scorrerà -solo nelle epoche di massima innondazione, mentre -che in tempi più remoti facilmente avrà raggiunto -quel livello e vi avrà sopra trascinate le sostanze che -travolgeva. Ma le ossa, e le voluminose di preferenza, -e i grossi tritumi di roccia, percorsi alcuni dei meati -esistenti tra i massi, vi si impegnarono e valsero anzi -ad arrestare alla lor volta le sorvegnenti materie che -tenevano la medesima via. Il limo, le sabbie sottili, ecc. -passaron oltre per quella specie di filtro. Queste ossa -così non restarono circondate dall’argilla che invase le -altre. Che se però andarono prive d’una materia meccanicamente -deposta, valsero ad attirare e trattenere -chimicamente le particelle di carbonato calcare che le -acque del torrente o stillanti contenevano, e di esse -se ne fecero involucro e cemento. Io stesso, non senza -fatica, introducendo delle picche tra gli interstizi dei -macigni, riuscii a staccare molte ossa disordinatamente -aggruppate e cementate da un calcare grossolano e -cavernoso. Così ha origine una breccia, alla cui formazione -noi siamo contemporanei e presenti, simile alle -descritte da Cuvier<a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a> e da altri. — Così anche questo -modo di trovarsi delle ossa è spiegato dalle correnti. -Le quali sono provate altresì dalla mancanza di coproliti, -dalla mancanza di quello strato di terra nera, bituminosa, -comune in altre grotte e che s’attribuisce -allo sfasciamento delle parti molli dell’animale; finalmente -<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span> -dalla mancanza delle ossa di animali che avrebbero -potuto servire di cibo a quei primi feroci abitatori -della caverna<a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>.„ -</p> - -<h3>VI.</h3> - -<p> -Il dottor Casella portò diversa opinione da quella -del Cornalia circa alla causa di queste ossa riunite, ritrovate -da quest’ultimo nelle correnti, e noi, riferendola, -pensiamo poter egli alla sua volta avere ragioni -forse maggiori di probabilità. Crede egli adunque che -queste ossa possano aver appartenuto ad animali antidiluviani, -giacchè per la loro mostruosa grandezza appartengono -a specie ora affatto perduta. Su di che -io penso non esservi controversia, ed anzi nell’opera -di Figuier <i>La Terre avant le déluge</i>, parlando appunto -dell’<i>Ursus Spæleus</i>, reca la descrizione e il disegno del -cranio di tal animale scoperto dal Casella, regalato al -Museo Civico di Milano, e da questo, come già avvertimmo, -distribuito in esemplari di gesso a varî gabinetti -di scienze naturali, come lo riprodusse istessamente -nella sua <i>Paleontologia</i> l’abate Antonio Stoppani. -A quell’epoca tali animali avranno per molte generazioni -trovato rifugio in questa caverna, e successivamente -in essa terminata la loro esistenza o per vecchiaia, -o per alluvione, o per qualunque altra causa -dipendente dai grandi sconvolgimenti geologici. Queste -<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span> -congetture non torrebbero egualmente che le correnti, -introdottesi poscia nella caverna, abbiano ravvolte -quelle ossa di que’ sedimenti che valsero o alla loro -fossilizzazione, od a determinare quelle condizioni nelle -quali si rinvennero a’ dì nostri. E mi pare ancor più -probabile una tale supposizione in quanto mi sembri -assai arduo l’immaginare che le correnti intime del -monte possano avere trascinate le ossa intatte e giganti, -quali si videro alcune di esse. L’ipotesi del dottor -Cornalia ci obbligherebbe inoltre a premettere -l’esistenza di un’altra località, da dove le correnti -abbian potuto impodestarsi di quelle ossa per poi qui -trascinarle; mentre la capacità di questa tana porge -maggior argomento a credere che servisse prima a ricovero -di orsi, come gli abitatori di questi monti per -tradizione ne ebbero sempre credenza, se l’appellarono -il <i>Buco dell’Orso</i>, assai prima che il dottor Casella discoprisse -le ossa e queste si riconoscessero della specie -<i>Ursus</i>, anzi da tempo immemoriale. Il qual argomento -della tradizione deve essere di importantissima significazione -in questa tesi. -</p> - -<h3>VII.</h3> - -<p> -Il medesimo dottor Cornalia, in questo lodato suo -studio intorno ad <i>Alcune caverne ossifere dei monti del -lago di Como</i>, ne dedusse le seguenti conclusioni, che -è prezzo dell’opera il trascrivere, perchè speciali nella -massima parte al <i>Buco dell’Orso</i> di cui parliamo. -</p> - -<p> -1.º Anche in Lombardia esistono caverne ossifere -<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span> -identiche a quelle di Germania, Francia, Inghilterra. -Anche fra noi è la calcarea giurese che le offre. -</p> - -<p> -2.º Le grotte di questi monti, appendici ad una catena -delle nostre Prealpi (catena Ceresia), riconoscono -forse una sola epoca e una sola causa: l’emersione -delle roccie che rialzarono e sconvolsero il calcare -bigio. -</p> - -<p> -3.º Gli strati che si depositarono nelle caverne spettano -o all’epoca <i>quadernaria</i>, o all’epoca <i>attuale</i>. -</p> - -<p> -4.º I fossili del <i>Buco dell’Orso</i> (quadernari) vi furono -strascinati dalle correnti. Lo strato dei fossili, -il sito profondo assai ove si rinvengono (continuamente -umido e tenebroso), la mancanza di molte circostanze -fanno preferire quest’opinione all’altra che ammette -aver quegli animali vissuto là entro; — opinione che -si adatta assai più ai depositi moderni delle altre -grotte. -</p> - -<p> -5.º I varî depositi richiesero molto tempo a formarsi. -La loro potenza, l’alternanza colle croste stalagmitiche, -lo stato vario di fossilizzazione delle ossa in rapporto -colla profondità lo provano. -</p> - -<p> -6.º Le ossa trovate spettano quali a specie ancora -viventi tra noi, quali a specie perdute, e quali finalmente -ad animali che ora vivono solo in paese più -meridionale. -</p> - -<h3>VIII.</h3> - -<p> -In quanto a me, pellegrino recente al <i>Buco dell’Orso</i>, -pago degli studî per altri fatti, mi bastava di constatarli, -<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span> -ma arrestandomi però sulla sponda del primo -lago, perchè non avevo avvertito dapprima tampoco -alla probabilità di tragittare quelle acque interne, e -però non avevo provveduto le opportune imbarcazioni. -Quivi nella parete friabile incidemmo io e i miei compagni -i nostri nomi, espressione di quella contentezza -che ci aveva dato la longanimità di avventurarci per -quelle cavità tenebrose ed aspre. Seduti poscia su questi -umidi massi ad asciugarci il sudore della fronte che -ci gocciava, prodotto dal trascinarci a fatica collo stomaco -pieno, e rimasti colà alquanto, ripigliammo poscia -la processione del ritorno. Qualche moccolo veniva -già meno, sollecitammo quindi i passi rifacendo il cammino -percorso. -</p> - -<p> -E fu nel ritorno, a distanza di forse sessanta a settanta -metri dell’uscita, che il buon prete Bernasconi -mi faceva accorto della esistenza di un pozzo od apertura, -per la quale si poteva calare in una galleria, -sottoposta a quella che percorrevamo e dentro cui -mostravasi pronto a calare, quando noi ne avessimo -esternato il desiderio, siccome quegli che già vi fosse altre -volte disceso, ciò che per altro non volemmo, -accontentandoci di quegli schiarimenti ch’egli e il -Casella ci fornirono. Io mi intratterrò alcun poco di -questo pozzo, da che le precedenti relazioni del <i>Buco -dell’Orso</i> non ne abbiano fatto ancora parola e da -che potrebbe valere d’argomento ad altre indagini e -discussioni geologiche. La discesa adunque è di circa -quindici metri, e la galleria alla quale si riesce ne percorre -circa quaranta, sempre nel senso stesso della -lunghezza della galleria superiore verso N. N. E., e -<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span> -sempre a massi e piano ineguali, come è superiormente. -Quasi in corrispondenza a questo pozzo se ne -vede un altro nella galleria sottoposta, per il quale si -cala ad una terza galleria, scendendovi per circa altri -venti metri. In questa non è calato ancora alcuno, -perchè presenta per avventura pericolo di franamento, -nè sarebbe prudente l’esporsi a vedersi chiusa l’uscita -e impossibilitato il ritorno. Converrebbe all’occorrenza -prendere le maggiori precauzioni ed essere assistiti -da più. Tuttavia nel fondo della terza inferiore galleria -sentesi il mugghio delle correnti ancor più forte -che non nella prima o superiore. Forse è la corrente -stessa della galleria superiore che viene a scaricarsi e -che forse esce da quelle latébre pel versante del monte -e alimenta l’acqua o fonte detta il <i>Vermocane</i>, che -serve a mettere in movimento il mulino che è di poco -sopra Brienno. -</p> - -<p> -Nella galleria intermedia si trovarono e vi sono -pure altre ossa della stessa specie che nella superiore, -con questo solo divario che quelle della galleria superiore -sonosi trovate intatte, perchè ravvolte nelle -stratificazioni argillose che le hanno preservate dal -contatto dell’aria, e quelle invece della galleria intermedia -si veggono parte in istato di decomposizione, o -tarlate, perchè non vennero ricoperte da veruno strato. -Io ho avuto nelle mani ed esaminate e le une e le altre, -come si conservano dal dottor Casella, e credetti -nella predetta mia osservazione di ravvisare un’induzione -di più che avvalora l’ipotesi del Casella, anzi -che quella del Cornalia; perocchè se il rinvenirsi di -tali ossa fosse l’effetto esclusivo delle correnti, tutte -<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span> -indistintamente le ossa sarebbersi ritrovate involute -dai sedimenti argillosi: mentre invece è lecito di inferire -che i petrefatti della galleria superiore saranno -stati ricoperti da tali strati per i depositi che vi -avranno fatto le correnti, e quelli della galleria intermedia, -immuni dal passaggio di esse, saranno rimasti -nello stato primitivo, dove cioè saranno morti gli -orsi che in quella caverna debbono necessariamente -un tempo aver avuto ricovero. -</p> - -<p> -Come poi queste gallerie inferiori siensi formate, -io credo di spiegare dicendo, che tutte le probabilità -conducono a ritenere che prima non fosse che una -sola ed ampia caverna, che poi per la caduta di massi -dalla vôlta siansi venute facendo; perocchè percorrerebbero -esse nell’egual senso della galleria superiore -quasi la medesima lunghezza. -</p> - -<p> -Siccome recentissima sia la scoperta di questi altri -due pozzi, così chiamar io reputo su di essi l’attenzione -dei nostri geologi e massime del Cornalia, dello -Stoppani e dell’Omboni, i quali forse da una novella -loro visita al <i>Buco dell’Orso</i> potrebbero trarre materia -a nuovi studî non infecondi di buoni risultamenti -per la geologia. -</p> - -<h3>IX.</h3> - -<p> -Finalmente, dopo un’ora che eravamo rimasti nell’antro, -lieti, ma inzaccherati e molli degli stillicidi -che non avevamo potuto evitare e de’ rigagnoli nei -<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span> -quali il piede non aveva fatto a meno di scivolare, via -gettando la stearica che tuttavia ardeva, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Uscimmo quindi a riveder le stelle....</p> -</div></div> - -<p> -come direbbe Dante, o a meglio esser precisi, a riveder -il più limpido sole, il quale era ormai giunto al -meriggio. -</p> - -<p> -Allora riconoscemmo qualche disertore della nostra -brigatella che, dati pochi passi appena nella oscurità -della caverna, era tosto ritornato addietro; scambiata -qualche celia e riposatici ancora alquanto, ripigliammo -il primitivo sentiero. -</p> - -<p> -La discesa a Torrigia fu naturalmente più presta -che non era stata la faticosa salita, e consolata alla -pendice del monte dalla apparizione della leggiadra -fanciulla del dottor Casella che ne veniva incontro a -scusare la non involontaria mancanza alla gita. -</p> - -<p> -Se rivolgendo indietro lo sguardo alla asperità della -via, ai disagi del camminare fra i dirupati meandri -della caverna dell’Orso, io posso essere indotto a dire -che non vi tornerei una seconda volta, per l’adipe -che un cotal poco mi si è messa intorno ad accusare -l’età che avanza a gran passi, è altresì indubitabile -che io, che tutti che mi furono compagni in quella -gita, conchiudemmo sinceramente assicurando d’essere -lietissimi d’averla fatta. -</p> - -<p> -Ma prima di chiudere la presente escursione, mi -sento in debito di porgere le mie scuse a quelle cortesi -leggitrici che ho per avventura fatto sbadigliare, -loro tenendo un linguaggio arido e tutto di scienza, -esse che si attendevano amenità di racconto. Ma che -<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span> -farci? Il libro è fatto per tutti i lettori, massime se il -libro è del genere del mio; epperò molteplici e svariatissimi -i gusti, e nell’<i>olla potrida</i> degli argomenti non doveva -dimenticare i palati dei geologi e dei naturalisti. -D’altronde fra le molte caverne che ho già avvertito -su questi monti, mi verrà perdonato se almeno scientificamente -trattando di una, avrò chiarito la natura, -assai somigliante, delle altre. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-154b"></a> - <img src="images/ill-154b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Piano del Tivano.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span></p> - -<h2 id="esc13">ESCURSIONE DECIMATERZA. -<span class="smaller">IL PIANO DEL TIVANO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della Masera. — Nesso. — Erno, -Veleso, Gerbio. — Il Piano del Tivano. — La brigata -del Pian d’Erba. — Il Buco della Nicolina. — Vallombria. — Il palazzo -di Andefleda. — La marcia della partenza. -</p> -</div> - -<p> -Se si piglia il piroscafo che vien da Como, allorquando -in faccia ad Argegno la campanella suona e -l’impiegato grida — Argegno e Cavagnola — voi, se -volete visitare il <i>Piano del Tivano</i>, è qui che dovete -scendere, purchè non prenda capriccio all’Amministrazione -di far sosta a Nesso, come accade in qualche -stagione, perchè allora è a Nesso che converrà smontare. -</p> - -<p> -Ma d’ordinario la gita al Piano del Tivano non è -che l’effetto di amichevoli concerti e spesso ben anco -accada che l’andarvi sia combinato da amici che villeggino -lungo il lago di Como e da amici che villeggino -nel versante opposto del Tivano, cioè nel <i>Pian d’Erba</i>. -Il convegno allora è più allegro e il lettore che mi segue -lo vedrà. -</p> - -<p> -Ad ogni modo, se a questo convegno egli giunga col -<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span> -mezzo del vapore che vien da Como e ne smonti alla -Cavagnola, non lasci di visitarne la modesta osteria: -vi beverà buon vino; se no da un pozzo che è nella -cantina ne faccia trarre acqua che troverà freschissima, -come in nessun’altra parte del lago. -</p> - -<p> -Da Cavagnola, retrocedendo per un sentiero praticato -fra’ boschi, giungerà a Nesso, punto di convegno -della brigata che sale al Tivano; ma se non è giunta -ancora e vuol visitare più giù qualche terra fino ai limiti -di Pognana, che ho mentovato già con Palanzo e -Lemna, oltre Nesso troverà un piccol gruppo di case, -poi a egual distanza Careno, e a egual distanza ancora -Quarsano. Ma importanza tutti questi luoghi non hanno, -ove eccettui la <i>Grotta della Masera</i> sopra Careno, che -può essere altro punto di passeggiata per chi brama -di variare. Ma questa grotta non ha nè ossa fossili, -come il <i>Buco dell’Orso</i> che abbiamo non ha guari visitato, -e neppur ossa d’animali dell’epoca nostra, come -il <i>Pertugio della Volpe</i> che abbiamo visto del pari: tutt’al -più alcune ammoniti che interessano il geologo. -Nondimeno ha la particolarità di un lago e fa veramente -piacere su in alto la scoperta d’un capace bacino -d’acqua; qui esso si sprofonda per un cammino -di un quarto d’ora ed ha per fine una voragine. -</p> - -<p> -Ma ritorniam presto sui nostri passi, onde non farci -aspettare da coloro che ci attendono a Nesso. -</p> - -<p> -E Nesso, rimpetto a tutti i paeselli che ho testè -nominati, è grossa borgata e si distende per tre fila di -case sulla montagna con bell’effetto per chi la riguarda -dal lago: il torrente vi passa per mezzo con fragore -che s’ode anche lontano. Que’ del paese vogliono che -<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span> -la loro chiesa prepositurale sia stata fondata da Sant’Ermagora: i passeggeri invece, e massime quelli che -dai piroscafi osservano Nesso, ricordano che Gian Battista -Bazzoni, morto in età assai provetta e dell’amicizia -del quale mi onoravo, come ne son ricordevole -del cuore, che aveva al par dell’ingegno eccellente, lo -illustrò col suo <i>Falco della Rupe</i>, romanzo, che forse -quarant’anni fa ebbe la propria voga, nè vuol essere -ancora dimenticato. -</p> - -<p> -Ma raccoltici tutti in Nesso, acceleriamo i passi -alla volta del Piano del Tivano. Pigli chi vuole la sua -cavalcatura e su e su. -</p> - -<p> -Si arriva dapprima ad Erno, quindi a Veleso, poscia -a Gerbio: il divertimento della salita è indescrivibile. -Noi ci facciamo spettacolo di noi stessi; la lunga fila -della carovana, or si vede spuntar da un greppo, or -interrompersi, or riapparire. Quando è un cappellino -da signora che domina, quando è un gruppo di amici; -io resto ultimo, poichè mi piaccia godere dell’effetto -curioso. Poi si intendono parole interrotte che pervengono -da chi è in capo della fila, poi più spiccate di -chi segue, poi un grido di chi incespica, uno scroscio -di risa, un commento, uno scherzo: è un assieme lieto, -piacevole, artistico. -</p> - -<p> -Il Tivano, per chi nol sa, è un’alta montagna che -si eleva tra la Valassina ed il lago di Como: ecco perchè -i villeggianti del Pian d’Erba si dan la posta con -quelli del lago per ritrovarsi tutti in cima al monte e -vi traggono, mettendosi per la via che, oltrepassato -Canzo, Asso e Lasnigo, s’inoltra appunto per la Valassina. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span> -</p> - -<p> -Sulla vetta è una grande spianata erbosa a 1280 -metri sul livello del mare, ed è questa che si designa -col nome di <i>Piano dei Tivano</i>. -</p> - -<p> -I nostri contadini ci hanno preceduto colle gerla -piene del pranzo; hanno disposto il luogo dove assiderci: -ma que’ del pian d’Erba sono essi arrivati? Attendiamoli -e intanto racconciamo le nostre toalette -scomposte dalla disagiata cavalcatura. -</p> - -<p> -La piccola banda musicale seco noi venuta apre a -un tratto i suoi concerti; sono gli amici che giungono -trafelanti dalla Valassina, che si son visti spuntare -dall’ultimo anfratto, e la musica nostra li annunzia. -</p> - -<p> -Allora saluti, strette di mano, baci fra donne, discorsi, -complimenti, pettegolezzi narrati e scambiati: -in cinque minuti que’ del Pian d’Erba han narrato a -que’ del lago le storielle tutte del mercato di Lecco, di -quello di Incino, gli episodî erotici, i <i>cancans</i> d’ogni -villa; e di ricambio hanno fatto altrettanto que’ del -lago con essi. -</p> - -<p> -Ma l’appetito ne reclama. Per un po’ si tace, intenti -tutti a smascellare; poi si ripiglia il chiaccherio, si fa -anzi, maggiore, a seconda che i fiaschi di buon vino si -vuotano. Levate le mense improvvisate, incominciano -le danze sull’erboso piano e le due brigate qui convenute -si mescono a vivaci polcke, a più concitati valzer, -a più vorticose galoppe. -</p> - -<p> -Ma anche questa vetta ha le sue curiosità per chi -la sale e cerca di più utile che il ballare sulle ineguali -zolle. Il naturalista vi ravvisa le torbe miste a enormi -larici ed a petrolio, e conviene che l’altipiano potesse -un giorno, come fu scritto, essere stato un lago: i curiosi -<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span> -corrono a vedere il <i>Buco della Nicolina</i>, che è -una grande grotta, come le tante altre che ho diggià -ricordate. Quando è stata assai piovosa la stagione, vi -si vedono le acque che vi sono dentro scolate; ma deve -essere ben profonda, se nessuno n’ha saputo trovare -il fine. -</p> - -<p> -Un miglio infatti a distanza di questo Piano del -Tivano e ad ostro del medesimo, è un’altra pianura -circondata da scoscesi monti, che solo si vede in -tempo d’estate abitata da’ pastori colle mandre numerose; -essa appellasi Vallombria. Ora in una di quelle -montagne si riscontra una forte e profonda spaccatura, -per la quale vien detto che un dì essendo penetrato -un cane, vi sarebbe poscia uscito per il Buco della -Nicolina. -</p> - -<p> -Se mi chiedete poi se anco quassù si piaccia la tradizione -di voler favoleggiare; anche quassù, vi risponderei. -Perocchè senza darvi ragion di sorta, gli alpigiani -vi narrino seriamente come vi fosse <i>ai tempi antichi</i> -fabbricato un gran palazzo abitato da Andefleda, moglie -del goto re Teodorico. Qualche cialtrone si sarà divertito -alle spalle di questa buona gente, dandole a bere -questa fiaba, e la poco spiritosa giunteria trovò presa -in quegli animi semplici e per essi si è fatta pretta e -indiscutibile storia. -</p> - -<p> -Ma l’aura imbruna; il cammino che ci resta a scendere -vuol più ore: rifocillati e rinnovati di forze, salutiamo -gli amici dell’opposto versante e disponiamoci -a partire. -</p> - -<p> -La marcia della partenza suona, le resinose torcie a -vento ardono e si squassano; i lampioni si accendono -<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span> -e ne dan nuovo e inatteso spettacolo; succede un bisbiglio di voci che si salutano, baci che scoccano, addii -che si vanno ripetendo e allontanando delle due comitive e che gli echi ripercuotono, la canzone si intuona -da una parte e dall’altra per gli opposti versanti, la -secondano tutti, e allegramente si riprendono i sentieri -che ci tornano a Nesso, dove i nostri barcaiuoli ne -attendono per ricondurci alle nostre ville. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span></p> - -<h2 id="esc14">ESCURSIONE DECIMAQUARTA. -<span class="smaller">LA VALL’INTELVI.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — Sua parte -nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta del 1806. — Cospirazione -del 1833. — Insurrezione nel 1848. — Andrea Brenta. — I cospiratori -del 1854. — L’insurrezione e i volontarî del 1859. -</p> -</div> - -<p> -Vale davvero consacrare una buona giornata a percorrere -questa alpestre, ma bella e simpatica parte del -territorio comasco. -</p> - -<p> -Noi proseguendo il cammino nostro da Torrigia, -lungo la sinistra sponda del lago, per certo tratto -di riva non rinveniamo più nè ville, nè case; le prime -che rompono la monotonia di quelle roccie, non più -così fiorenti e verdeggianti, come quelle che abbiamo -lasciate, sono i casolari del montuoso Brienno. Quivi -furono trovate iscrizioni romane, di cui una rammenta -un Archigene, dal quale si vuol derivata la denominazione -del non discosto paese di Argegno e ne lo si dà -per fondatore. Null’altro offre che valga ricordare. -</p> - -<p> -È da Argegno che si entra in Vall’Intelvi per due -vie; l’una sulla sinistra del torrente Telo che va a -Sant’Anna e Schignano; l’altra sulla destra, per la -<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span> -quale ponno ascendere carri, e riesce a San Sisino, a -Castiglione e a San Fedele, e da cui si può andare a -Lugano: ambe poi belle di alpestri bellezze. -</p> - -<p> -È dall’ultima via che si accede al Calvagione, o -monte Gionaro, che è quello che conosciamo già col -nome di Generoso. -</p> - -<p> -Tutta la Vall’Intelvi è bella di prospetti, di naturali -bellezze, di vegetazione; essa è anche interessante -per gli episodî delle sue sommosse, che attestano i suoi -abitatori animosi e teneri di libertà. -</p> - -<p> -Vollero alcuni derivato il suo nome dall’intelligenza -de’ suoi figli, quasi Val d’Intelletto; ma chi nelle carte -dell’ottavo secolo la trovò indicata col nome di <i>Intellavi</i>, -la volle parola corrotta da <i>Inter lacus</i>, sorgendo -essa difatti fra il Lario ed il Ceresio. -</p> - -<p> -Nella guerra decenne, incominciata col 1118 ed ultimata -il 1127 fra Milano e Como, e nella quale le -terre del Lario si scissero parteggiando per quella o -per questa città, questi alpigiani furono utilissimi difensori -di Como, e poscia, al tempo della dominazione -spagnuola, divennero le loro terre feudo dei Marliani. -</p> - -<p> -Bartolomeo Passerini, curato di Ramponio, terra -della Vall’Intelvi, nel 1806, indegnato che Napoleone -tradisse la libertà facendosi imperatore, alzò il vessillo -della ribellione: lo seguirono gli altri curati di Dizasco -e Cerano e seco loro trassero altri generosi; ma privi -di armi e d’ogni altro mezzo, pochi gendarmi bastarono -a disperderne il manipolo: e carcerati tutti, decapitati -i capi, gli altri, dopo breve carcere, rimisero in -libertà. -</p> - -<p> -Di sè non diè a parlare la Vall’Intelvi se non nel -<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span> -1833, quando essa ruminando una sollevazione ad ajutar -la Giovine Italia, il governo Austriaco vi mandò il -commissario Piccinini ad arrestare un Piazzoli, che si -dava per l’anima della cospirazione in quella parte; -ma una fucilata stese morto il commissario, il Piazzoli -riparò in Isvizzera e ogni cosa fu ultimata. -</p> - -<p> -A maggiori avvenimenti fu teatro invece negli anni -1848 e 1859, quando la causa dell’italiana indipendenza -fu intrapresa seriamente; ma a narrarli mi valgo di -quanto ne scrisse Gaetano Ferrabini e stampò a beneficio -della famiglia di Andrea Brenta, perocchè per -essere il Ferrabini mio cognato, non m’è tolto dal ricordarlo -come fervente patriota, egli essendo stato animoso -volontario nelle fazioni patrie allo Stelvio, dopo -d’aver avuto nelle cinque giornate di Milano mutilato -più d’un dito della destra mano dalle sciabole poliziesche. -Come in quel di congiunto, metto franca la mano -e senza scrupoli nel suo sacco<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>. -</p> - -<p> -Argegno e la sua vallata singolarmente sono assai -memorabili, come dissi, per la loro insurrezione dell’autunno 1848, quando volevasi, rivoluzionando tutta -la parte montuosa della Lombardia, ritentare il nostro -riscatto. -</p> - -<p> -Quell’ardimentoso rivolgimento, che si potrebbe appellare -l’ultimo disperato sforzo della Lombardia per -vendicarsi a libertà, perchè già chiusa colla peggio la -male augurata campagna combattuta dall’armi sarde -contro gli Austriaci colla capitolazione di Milano, fu -<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span> -iniziato in Argegno da <i>Andrea Brenta</i>, nativo di Varenna, -ostiere e fornajo di San Fedele d’Intelvi, ove si -stabilì fin dal 1833; uomo, che comunque di volgar -condizione, era nondimeno distinto per l’ardore di patriottici -sentimenti e degno al certo di più vasto ed -importante arringo. Disceso costui, poco dopo la metà -dell’ottobre, ad Argegno con soli quattro determinati -compagni (fra cui piacemi segnalare il prete don Francesco -Cavalli, in allora parroco del luogo di Pigra), vi -disarmò subito la imperiale gendarmeria, e cacciandosi -poi nella vallata, la faceva insorgere tutta quanta. -</p> - -<p> -Que’ gendarmi disarmati si portavano di cheto a -Como, ove riferivano l’accaduto al comandante militare -di questa città, generale Wimpfen. Il 27 di quel -mese, ordinati da costui, giungevano ad Argegno, trasportati -dai battelli a vapore, più di 700 Austriaci -affin di reprimere quel movimento. — Avviaronsi essi -per la strada a destra della valle; ma giunti appena -al luogo detto Cavrano, o Crotto del Piazza, poco oltre -la chiesa di S. Sisino, dovettero far sosta, perchè salutati -da ben nudrita moschetteria dei nostri quivi destramente -imboscati, quantunque non fossero questi -che in numero di sette. Erano costoro il Brenta medesimo, -i quattro suoi compagni, e Bernarda Niceforo -e Grandi Andrea detto <i>Botris</i> di Argegno, i quali -eransi ad essi aggiunti. — Si impegnò allora uno -scambio non interrotto di fucilate, che lasciò credere -a quelli di parte avversa che assai più numerosi fossero -i sollevati coi quali avevano a fare, e non s’ebbe -in quel primo scontro a lamentare dai nostri alcun -danno, nè a perdere, ciò che meglio importava, la posizione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span> -</p> - -<p> -Il mattino del dì susseguente (28), gli Austriaci ripresero -primi il fuoco, senza osare, per altro, avanzarsi -oltre il summentovato luogo, certo sospettando che -l’avvisaglia del giorno innanzi accennasse ad una più -estesa partecipazione di tutti i valligiani. — Con molto -accorgimento erano i nostri gagliardi qua e là distribuiti, -e dietro le macchie degli alberi o gli accidenti -del terreno montuoso mascherati; sorprendente era la -lestezza che usavano nel ricaricare le bocche da fuoco; -ed a tanto pervenne da ultimo il loro ardimento, che -il summentovato Andrea Grandi, balzato solo fuor -d’una macchia, stringendo sempre il proprio moschetto, -simulando che altri molti il seguitassero, li andava -ad alta voce chiamando ed eccitando a buttarsi su’ nemici; -a tal che questi ne furono sgomentati in guisa -che gli fuggirono davanti. E così finalmente procedettero -le cose in quel giorno, che verso le due pomeridiane -gli Austriaci, i quali già contavano perdite e -feriti in buon dato, si trovarono costretti a volger le -spalle e discendere precipitosi e nella massima confusione, -raccogliendosi a mala pena in Argegno. — Avevano -però prima gli infami, seguendo il barbaro loro -costume, appiccato il fuoco a ventotto cascinali e a -due crotti, di cui uno del Piazza, le rovine del quale -veggonsi ancora oggidì. -</p> - -<p> -In Argegno, a rifarsi della vergognosa ritirata, usarono -con quei terrieri, senza riguardo a sesso ed età, -ogni modo di violenze, mali trattamenti e minaccie; e -tolti con loro sette uomini del paese quali ostaggi, nelle -persone di Antonio Cresseri, Francesco Peroni, Adriano -Balzaretti, Santo Scotti, Giovanni Rigatti, Giovanni -<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span> -Santi ed altro di cui non si ha il nome, s’imbarcarono -e si ricondussero a Como. -</p> - -<p> -Di quei sette statichi, i quali non è a dirsi a quali -e quanti insulti e tormenti avessero, contro il diritto -delle genti, a patire per opera di quei sicarî piuttosto -che soldati, basterà rammentare come venissero tenuti -per ben due intere giornate colle mani legate al tergo -e senza cibo, e non ne fossero poi rimessi liberi che -sei; l’altro, il Cresseri, uomo di avanzata età, ammogliato -e con figli, essendo barbaramente fucilato in -Como a’ 17 novembre di quell’anno, perchè lo si volle -ritenere proprietario di una pistola sguernita di acciarino, -rinvenuta dietro un muricciolo in Argegno presso -cui s’era trovato nel momento del di lui arresto. — In -quella stessa occasione che l’infelice Cresseri veniva -messo a morte, questi avevasi a compagno di pena un -tal De Maestri di Orzinovi, incolpato d’aver donate -dodici lire a due giovani di una famiglia ungherese. -</p> - -<p> -Il Comitato della Emigrazione Italiana residente in -Lugano, al quale avevano fatto ricapito dal precedente -agosto gran parte di coloro che avevano anteposto l’esiglio -al ritornare sotto gli artigli dell’Austria, venuto -a cognizione di quella sollevazione, nella speranza -avesse essa a prendere più vaste proporzioni, decretò -sostenerla; e mandò a tale uopo danaro, armi e munizioni, -e più di 400 militi, de’ quali il maggior numero -disertori dalle bandiere dell’Austria, capitanati una -parte dal generale D’Apice, l’altra dal comandante -Arcioni. -</p> - -<p> -Nella Chiesa di S. Sisino, posta a breve distanza -sopra Argegno, venne istituito un governo insurrezionale -<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span> -per la provincia di Como, il quale assumesse la -direzione del movimento e delle operazioni militari; e -allora fu che molti altri paesi del lago insorsero del -pari, e corsero ad ajutare la insurrezione. -</p> - -<p> -Così provocati in più audace e considerevole modo -gli Austriaci, ritornati in grosso corpo, tentarono essi -più volte di penetrare nella Valle, non per le vie di -Argegno soltanto, sibbene da varie altre direzioni; ma -furono sempre e gagliardamente dovunque respinti con -gravissimi loro danni, finchè nel giorno 3 novembre, -dopo aver sostenuto con quelli del lago un breve fuoco, -riuscirono, scortati da due guide di Finanza — Pensa -e Melloni — che a loro vergogna van ricordati, a salire -per il Bisbino, e avanzandosi a rapida marcia, -pervennero poi ad impadronirsi delle vette dei monti -che fiancheggiano a sinistra la parte della Vall’Intelvi, -la qual si chiama di Schignano, dal paese di tal nome — ciò che non sarebbe stato loro possibile certamente, -se il generale D’Apice, che fin dal giorno avanti occupava -co’ suoi 200 bravi soldati quelle cime, veduti da -lontano gli Austriaci, non avesse fatto retrocedere la -sua truppa infino a Schignano. — -</p> - -<p> -È la gente di questo paese assai rimarchevole per -islancio, per coraggio e per costanza in tutto che riguarda -alla patria libertà: e dove il D’Apice avesse -fatto debito assegnamento su di essa, avrebbe indubbiamente -trovato nella medesima un validissimo appoggio. -Ma egli, riuniti e fatti schierare sulla piazza -comunale tutti gli uomini suoi, che sommavano, come -si è detto, a meglio di 400, ordinò loro la marcia di -ritirata per le gole che transitano al territorio della -Svizzera. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span> -</p> - -<p> -Perchè mai questo generale aveva egli lasciato scoperto -il passo alla Valle dalla parte del Bisbino?.... -Perchè non ha poi riparato a tale mancanza approfittando -delle magnifiche posizioni che avrebbe potuto -agevolmente tenere con duecento militi valenti come -quelli che erano sotto i proprî comandi, ed ardentissimi -inoltre di battersi per la libertà d’Italia, e da -dove si sarebbe potuto di leggieri, non che impedire al -nemico d’inoltrarsi, respingerlo e sbaragliarlo quantunque -assai superiore di forze; ed ordinava invece, -all’appressarsi degli Austriaci, l’abbandono vigliacco di -quel campo senza colpo ferire, lasciando così ai medesimi -libera la via a discendere nella insorta vallata, -che metteva poi tutta in loro balía ed in preda alle -loro vendette? -</p> - -<p> -Operò così il D’Apice per codardia, ovvero per tradimento?.... Non si potè da alcuno asserire se per -l’una o per l’altro; soltanto corse voce allora che forti -dissidî fossero nati tra lui e il comandante Arcioni: -certo è che egli bruttò la sua fama con quel fatto, che -ridusse quella nobile insurrezione alle proporzioni d’una -inutile fazione, che valse a nuovo pretesto alla bestiale -ferocia dei nostri oppressori. -</p> - -<p> -Perdurando nella lotta con tanto vigore ed entusiasmo -fino allora sostenuta, ed alla quale avevan già -presa parte energica molti altri paesi del lago, è a -credersi che, caldi com’erano tuttavia in quei giorni -gli animi lombardi, si sarebbe tradotta in fatto la idea -preconcetta di redimere nuovamente colla rivoluzione -la Lombardia. Perocchè, alimentata la sollevazione e -mantenuto inviolabile quel centro d’opposizione per -<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span> -alcuni mesi ancora, avrebbe di non poco contribuito -alla campagna che si aprì nel marzo del successivo -anno; e divergendo parte delle forze nemiche e costituendo -un nucleo importante, sarebbe stato un freno ai -tradimenti che disonestarono in quell’epoca il nome -italiano e la nostra causa, ed un eccitamento a non -vederla finita nella giornata infelice di Novara. -</p> - -<p> -I pochi dei nostri, quelli cioè di Argegno e della -vallata cui s’erano collegati alcuni Ungheresi disertori -dell’Austria, trovatisi soli nel vasto campo, distesisi -in catena pel monte S. Bernardo, sperarono un -momento, dandosi a molestare il nemico che loro stava -di fronte, di potersi ancora sostenere. Ma dopo poche -ore di accanito combattimento, scarsi troppo di numero, -privi di chi sapesse con valentia dirigerli, difettosi affatto -di viveri e disperando soccorsi, cessarono, ma -onoratamente, dal loro gagliardo e generoso proposito. -</p> - -<p> -Gli Austriaci, cui erano toccate nei diversi fatti di -quella rivoluzione considerevoli perdite, baldanzosi di -trovarsi finalmente — senza alcun loro merito — padroni -di quei luoghi, si diedero a fare stragi e mal -governo. -</p> - -<p> -Il Casino, detto dei Signori, posto sulla cresta della -montagna alla destra di Schignano e che dà alla Svizzera, -fu da loro saccheggiato: la povera osteria del -Brenta, noto ad essi per il promotore di quella sollevazione, -soqquadrarono tutta quanta e poi diedero alle -fiamme, sì che fu tolta alla diserta famiglia di lui, che -s’era di là involata e ramingava altrove, la speranza -perfino del ritorno: fucilarono un tal Domenico Ceresa -detto <i>Tardett</i> di Schignano, che tentava sottrarre alla -<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span> -loro rapacità i proprî armenti, ed un Ungherese che, -diretto alla Svizzera, si era per quelle vie smarrito. -</p> - -<p> -La insurrezione per tal guisa soffocata, ebbero la -Valle Intelvi ed Argegno a deplorare in seguito, oltre -ad enormi contribuzioni, la carcerazione e la morte di -parecchi individui che furono dei più risoluti, il cui -arresto avvenne nella festa di Pasqua del 1849 in una -osteria di Casasco, chiamata del Foino, dove i medesimi -trovavansi tuttora armati; e ciò in seguito a delazione -fatta dalla Gendarmeria di Castiglione di Intelvi all’I. -R. Comando Militare di Como. — Costoro erano: <i>Andrea -Brenta, Giuseppe Manzoni, detto</i> Rossin, <i>un disertore -ungherese, Giovanni Pizzala, Niceforo e Luigi -Bernarda, uno svizzero ed un varesotto</i>. -</p> - -<p> -Meno i primi tre, che furono fucilati nel sesto giorno -dopo la suddetta Pasqua, cioè a mezzo l’aprile (14), gli -altri ottennero poi la libertà, perchè s’avesse anche il -dovere di proclamare l’austriaca clemenza. Taluni di -questi ultimi per altro, onde assicurarsi della vita, dovettero -tosto emigrare, conscî che l’Austria non perdona -e non oblía. -</p> - -<p> -Brenta, il caldo patriota, l’iniziatore di quell’insurrezione, -andò incontro alla morte da coraggioso ed -intrepido, siccome aveva vissuto. Egli contava soli 37 -anni. Sul luogo del supplizio, che fu il piano della Camerlata, -stringendo la croce, simbolo del comune riscatto, -rivolse al popolo efficaci parole di fede sulla -redenzione della patria nostra, e moriva, come muoiono -gli eroi, ricusando aver bendati gli occhi, poichè -il morir per la patria non l’atterriva, e gridando: <i>Viva -Italia!</i> Lo stesso ufficiale austriaco, che dovette comandare -<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span> -di far fuoco sopra di lui, fu talmente commosso -da cotanto patriottismo ed intrepidezza, ch’ebbe a dire, -che se gli fosse stato possibile, avrebbe voluto ad ogni -costo salvar la vita di quel magnanimo. — Mentre veniva -tradotto al luogo della esecuzione, al Giuseppe -Manzoni che doveva subir l’egual pena e che si lamentava -di dover per quel modo morire, così francamente -parlava il Brenta: <i>Taci, e tienti contento, chè anche tu -hai fatta la tua parte!</i> -</p> - -<p> -Queste prove d’eroismo si rinnovarono fortunatamente -spesso tra noi in questi ultimi anni di lotta; e -si vorrebbe che a perpetua memoria si scolpissero i -nomi e i fasti gloriosi in marmorei monumenti, e che -il paese non fosse così trascurato, siccome si mostra, -della povera condizione delle famiglie de’ suoi martiri. -Chi finora ha pensato a quella, per esempio, numerosa -del Brenta? — Egli lasciava nella desolazione e nella -miseria la moglie e nove teneri figli, che ancora attendono -che la patria paghi inverso di essi il debito -della riconoscenza. -</p> - -<p> -Ridotta la Valle Intelvi ed Argegno al silenzio, gittati -nella costernazione per la morte di tanti suoi valorosi, -non si diedero i loro abitatori a vigliacco avvilimento; -ma chiusi nelle più generose aspirazioni, -tenendo l’occhio alla capitale d’onde muovevano quotidianamente -esempî di ostinata opposizione contra -l’austriaco governo, stettero aspettando che suonasse -nuovamente l’ora della riscossa. Impazienti per altro -taluni de’ sunnominati, fra cui l’Andrea Grandi e un -de’ Bernarda, nell’atto che dalla Svizzera, nell’anno -1854, stavano riportando alle loro case le armi che -<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span> -avean ricevuto dal partito d’azione in Lugano, venivano -arrestati e tradotti nelle segrete di Mantova, da -dove, dopo la tortura inquisitoria di quei famigerati -che furono Sanchez e Pichler, uscirono condannati -agli ergastoli di Padova, da cui vennero liberati dall’amnistia del 1857, prima conseguenza del congresso -di Plombières. -</p> - -<p> -Dieci anni durò la dolorosa prova e l’aspettazione -degli animi: spuntò finalmente il 1859. -</p> - -<p> -Voci di guerra, mosse primamente dalle sponde della -Senna, corsero presto anche le rive del Lario: il tempo -della rivincita si appressava, quello dell’espiazione per -l’Austria era imminente. -</p> - -<p> -Non tardò essa a scoppiare: noi tutti salutammo felici -e benedicemmo la terribile distruggitrice dell’uman -genere, la grande sventura dei popoli, la guerra: era -essa l’unico mezzo onde porre fine alla sventura ancora -più grande e deplorabile, la oppressione straniera. -</p> - -<p> -Sul principiar della guerra di quell’anno, Argegno, -fra i più ardenti paesi di Lombardia, fremeva attendendo -il momento propizio di infrangere alla sua volta, -e per sempre, il giogo della schiavitù. -</p> - -<p> -Son note le ragioni che servirono a rompere le ostilità -fra Piemonte ed Austria, ad allearsi Sardegna e -Francia; son noti i gloriosi combattimenti dell’armi -alleate: io non mi arresterò a tener conto di essi, onde -venir difilato all’argomento mio. -</p> - -<p> -Giunse il 26 maggio: in quel mattino un battello a -vapore percorreva il lago annunciando ai varî paesi -d’ambe le sponde, allo scopo di farli insorgere, la vittoria -riportata dal corpo del prode Garibaldi a Malnate, -<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span> -terra fra Varese e Como. Ognuno sa come il -fatato Nizzardo, spiccatosi coi Cacciatori delle Alpi da -lui comandati dal nucleo dell’esercito alleato, si fosse -condotto pei paesi del Lago Maggiore a Varese, e di -là avesse incominciato una serie di gloriosi combattimenti, -di fatti d’armi arditi e fortunati: e però la notizia -che si diffondeva era di non dubbia importanza. -</p> - -<p> -Don Battista Rosati, vicario della parrocchiale d’Argegno, -uomo svisceratissimo della sua patria, italiano -in cui fu sempre calda la fede della redenzione di essa, -e che molto si adoperò nei tempi difficili a propagarla -in quei dintorni, onde vi fosse prontezza d’ajuti nel -giorno del cimento, messosi in un burchio, andò incontro -a quel piroscafo per aver nuove da Como, e vi -raccolse infatti la fausta novella. -</p> - -<p> -Ritornato costui alla sponda d’Argegno, non è a dirsi -con quale accento di giubilo e di entusiasmo gridasse -a’ suoi conterranei: <i>Figliuoli, viva Italia! — l’ora segnata -dalla Provvidenza è giunta — vittoria di Garibaldi -a Malnate — il generale Garibaldi colle sue valorose -truppe è in vicinanza di Como. — Ringraziamo -Iddio, e facciamo tosto il dover nostro.</i> -</p> - -<p> -E la gente d’Argegno fu pronta e sollecita alla riscossa. -Avendo a capo quel medesimo prete, parecchi, -de’ quali i nomi sono: Plinio Peroni, Giacomo Bernarda, -Tomaso Spinelli, Antonio, Luigi e Santino fratelli Rosati, -Costante Ambrosoli, Pasquale Grandi, Carlo -Fraquelli, Antonio Visini, Giacomo e Antonio fratelli -Grandi, Ernesto Bernarda, Carlo Patriarca, Andrea -Grandi, Eugenio Zucchi, G. B. Bosisio ed Eugenio -Bernarda — ristrettisi insieme, disarmarono in quel -<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span> -Comune i soldati austriaci, i finanzieri e i gendarmi; -indi percorrendo la valle, dove si unì loro, prestando -energico ajuto, un giovane milanese, l’ingegnere Tizzoni, -che per lavori censuari colà si ritrovava, operarono -dovunque il disarmo delle guardie di Finanza, -fecero l’arresto del commissario di dette guardie in -San Fedele d’Intelvi, signor Durini, uomo che si rese -indegno del nome italiano e della illustre famiglia alla -quale appartiene; e sarebbero pur riusciti ad arrestare -anche quelle due guide di Finanza, Pensa e Melloni, -che nella rivoluzione della Vall’Intelvi nel 1848 si -erano infamati guidando gli Austriaci nella detta valle -per la via del Bisbino, se costoro, avvertendo al pericolo -che lor sovrastava, non se ne fossero in tempo -sottratti. Essi vennero catturati in appresso per cura -della R. Questura di Como. -</p> - -<p> -Cotali atti della gente di Argegno devono dirsi di -sommo ardimento, considerato che nel giorno 26 maggio -si compivano da quel solo paese, mentre le altre -terre del lago se ne stavano ancora titubanti a cagione -che l’Urban, generale dell’Austria, aveva in Como concentrato -un corpo di oltre dodicimila uomini, e si mostrava -disposto, bestiale siccome era, a far man bassa -con chichessia avesse mostrato di partecipare al generale -commovimento; talchè da tutti si dicevano impazziti -gli abitanti di Argegno. -</p> - -<p> -I battelli a vapore del lago, che fin dal mattino di -quel dì si emanciparono dal servizio austriaco, ebbero -in detto giorno e nel susseguente ad unico sito di stazione -la riva di Argegno: nè vi fu modo, finchè gli Austriaci -rimasero, che si riconducessero a Como, dov’erano -<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span> -istantemente richiamati, perchè il capitano di uno -di essi, lo Scannagatta, che collo scampanellar del -suo piroscafo e con efficace parola avea contribuito -potentemente a bandir quella sommossa, risoluto ad -ogni audace impresa, seppe persuadere il rifiuto. — E -gli abitanti di questo paese furono i primi altresì che, -partendo la notte dal 27 al 28, si portarono a Como -per ricevervi festosamente l’invitto Garibaldi e la valorosa -sua armata, alla quale si unirono tosto come -volontarî ventitrè di essi Argegnesi. E qui è da notarsi -che la popolazione di Argegno, sommando soltanto a -650 anime, forniva con quei 23 volontarî un ben importante -contingente alla guerra nazionale. -</p> - -<p> -Onore pertanto a questa valorosa terra, onore a’ suoi -animosi abitanti!... -</p> - -<p> -A coloro che, leggendo questo libro, avranno domandato -a questa Escursione la semplice descrizione -di luoghi, o romanzesche leggende, io penso che la narrazione -che ho fatto invece di antichi e gloriosi fatti e -della patriottica partecipazione di questa amena e magnifica -valle all’epopea della italiana indipendenza, -penso che sarà stato di largo compenso, come sarà di -più efficace eccitamento a percorrerla ed ammirarla. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-176b"></a> - <img src="images/ill-176b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Isola Comacina, Balbianello, Bellagio.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span></p> - -<h2 id="esc15">ESCURSIONE DECIMAQUINTA. -<span class="smaller">L’ISOLA COMACINA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. — Zocca -dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La processione e la -Scorobiessa. — Isola. — La torre del Soccorso. — Campo. — La villa -Delmati. — Dosso di Lavedo. — Balbianello e la villa Arconati. — Il -torrente Perlana. — La Madonna del Soccorso. -</p> -</div> - -<p> -Riconducendoci ad Argegno, e da qui movendo all’insù -del lago, seguendo la medesima sponda, dobbiamo -questa volta proporre a meta della nostra peregrinazione -questa Isola Comacina, un dì più famosa -certo di quello non lo sia oggidì. Vi troveremo importanti -memorie di storici avvenimenti, che non sarà, per -chi ha cuore e amor di studî, discaro di ricordare. -</p> - -<p> -Intanto lungheggiando questa sponda, la sua severità, -che ebbe, a vero dire, il suo principio dalla punta -di Torrigia, è divertita dalle bellissime cascate di Camoggia, -le cui acque con molto fragore balzan dalle -alture e spumeggianti si gettano nel lago. Una semplice -casetta da contadino sta al piede del monte e testimonia -che vi ha chi sfrutta e que’ pascoli e que’ boschi. -</p> - -<p> -Dopo un certo tratto silenzioso e disabitato, si presenta -<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span> -Colono, paesello, come Blevio, Careno, forse -Corinto in antico, Palanzo, Lemna e Nesso che già visitammo, -il qual rivela nel suo nome, che ricorda altresì -l’<i>Edipo a Colono</i> di Sofocle, la presenza di una -immigrazione greca; la quale, come già altre volte notai, -pur si manifesta nel nome di altre terre, come -Campo, che troverem tra breve, Lenno, Dorio e Dervio, -forse anticamente Delfo; avvalorandosi così la credenza -di coloro che pretesero aver qui, come pur già -dissi, Giulio Cesare dedotta una colonia ellenica di -cinquecento uomini di prestanti famiglie. E pare che -gli abitatori di questi paesi serbassero le costumanze -antiche, computando gli anni dai consoli, e rammentando -l’autorità dell’imperatore greco sedente in Costantinopoli, -quantunque non ne avesse su di essi giurisdizione, -negli anni di Cristo 571 e 572, a’ quali -accennano due lapidi latine che si distinguono tuttavia -in Lenno, e che riferirò a suo luogo. -</p> - -<p> -Tuttavia a Colono si hanno traccie sufficienti di colonia -romana nei ricordi di un arco antico, che evidentemente -lo attestano di romana architettura. -</p> - -<p> -Succede a Colono, Sala, paesello che vive di pescagione -e sul confine del quale ha il suo letto il torrente -Premonte, e sulla punta sporgente nel lago sorge la -villa Beccaria, che appartenne a Cesare, l’immortale -autore <i>Dei Delitti e delle Pene</i> e dove vi morì il suo -degno figlio marchese Giulio; e la quale chi la visitò -afferma somigliare ad un buon libro che attiene più -che non prometta. -</p> - -<p> -Tutta questa parte, che forma un certo grazioso bacino, -la si può dire una primavera anche nel verno: la -<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span> -neve, se cala, vi sparisce subito: il verde vi è costante -e però agrumi e ulivi vi allignano, per la mitezza del -clima, all’aperto, nè i fiori han d’uopo di serre: lo -stesso che sul lago Maggiore avviene ne’ dintorni di -Cannero, che si trovano nell’eguale condizione di postura. -La calma che anche regna nelle onde di questo -seno, a cui l’isola forma quasi baluardo contro l’ira -dei venti e dei flutti, ha fatto dare a questo tratto -dagli abitanti del paese la denominazione di Zocca -dell’Olio. Perocchè davanti a questa villa Beccaria si -schierino a fianco Sala e davanti l’Isola Comacina, a cui -eravamo diretti, e che è anche la sola isola del lago. -</p> - -<p> -Essa conta tutta una storia; nè è a credersi che la -sua estensione fosse quella che presenta oggidì, dovendo certamente essere stata maggiore, rôsa quindi -all’intorno dalle innondazioni che via ne trascinarono -poco a poco molto terreno. -</p> - -<p> -Chi conobbe l’itinerario d’Antonino, vuole che dell’Isola Comacina vi sia fatta menzione: certo all’epoca -dell’invasione longobarda cominciò ad essere teatro di -lotte animose e fiere. Un Francione, generale di Maurizio -imperatore d’Oriente, vi si rifuggì e mantenne indipendente, -l’isola appellando Cristopoli, quasi posta -sotto la protezione speciale di Cristo. Ma Autari, re -longobardo, la strinse e l’assalì vigorosamente con numerosa -flottiglia, e dopo una gagliarda resistenza di -sei mesi, l’ebbe per onorevole capitolazione di quel -prode, che ottenne di ritirarsi colla moglie a Ravenna. -Ricchissimo fu il bottino che vi fe’, occupandola, il longobardo. -</p> - -<p> -Successivamente fu l’isola ricovero a Gaidulfo duca -<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span> -di Bergamo, allorchè si ribellò a re Agilulfo; poi al re -Cuniberto, quando dovette cedere alla prevalenza del -duca Alachi di Brescia; quindi alla famiglia di Ausprando, -dove per altro essa fu immolata dal suo nemico -Ariberto, che a maggiore vendetta smantellò anche -l’isola che l’aveva ricoverata. -</p> - -<p> -Quivi pure rifugiavasi la famiglia di Berengario nel -962 dall’irruenza delle armi del suo più felice competitore -Ottone di Germania, e gli abitanti di queste -rive che, parteggiando per quest’ultimo, lo forzarono -alla resa e ne disarmarono il castello, ebbero in premio -la conferma dei diritti di comune all’isola nel seguente -documento, che val la pena di conoscere: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p> -“In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone, -per voler di Dio, imperatore augusto. -</p> - -<p> -„Se assentiamo alla domanda degli altri nostri fedeli, -molto più giustamente inclinar dobbiamo le orecchie -alle preci della diletta consorte nostra. Sappiano -dunque tutti i fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio -presenti e futuri, che Adelaide imperatrice augusta, -moglie nostra, invocò la nostra clemenza, affinchè per -amor suo gli abitanti dell’isola Comasca e del luogo -che dicesi Menaggio ricevessimo sotto la nostra tutela -e confermassimo coll’autorità nostra i privilegi che -ebbero dagli antecessori nostri e da noi stessi aventi -l’unzione imperiale, cioè di non far oste, non aver l’albergario, -non dar la curatura, il terratico, il ripatico, -e la decima del nostro regno, nè andar, se non tre -volte l’anno, al placito generale in Milano. Tanto concediamo -ecc. Dato all’ottavo avanti le calende di settembre -(25 agosto), anno dell’incarnazione 962, I dell’impero -del piissimo Ottone, indizione V, in Como.„ -</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span> -</p> - -<p> -La giurisdizione politica dell’isola doveva estendersi -a que’ giorni, oltre l’isola propriamente detta, a tutto -il tratto da Argegno sino a Villa di Lenno, dall’una -e dall’altra sponda. -</p> - -<p> -Gli isolani nella guerra dei dieci anni, dal 1118 al -1127, mossa dai Comaschi a’ Milanesi stati prima -amici coi primi, poscia congiuntamente a Menaggio, -Gravedona e a tutte quelle terre del lago ch’erano a -queste vicine, lor si chiarirono avversi; onde i Comaschi -ne tiraron vendetta, desolando molti loro paesi e -l’isola, che da allora cessò d’essere popolata e dal -dare a parlare di sè. -</p> - -<p> -Oggi, a chi la vede, par non credibile che possa essere -stata importante luogo: eppure fu scritto che sul -ripiano più elevato sorgesse il castello, che i pochi abitanti -odierni additano ancora ove fosse; che ben nove -chiese vi esistessero e che il vescovo Litigerio vi avesse -collocato perfino una Collegiata di canonici. -</p> - -<p> -Ruderi ad ogni modo di fortilizî veggonsi tuttavia, -che si vanno però sempre struggendo, per sostituirvi -piante e seminagioni, e in una festa annuale, nel 24 -giugno, per antichissima tradizione, si riproduce intorno -ad essa una delle tante assurde e superstiziose -scene, onde non è libero ancora il cristianesimo del -contado. -</p> - -<p> -In quella giornata, sacra a San Giovanni Battista, il -clero in processione vi gira in una gran barca detta la -<i>Scorobiessa</i>, e negli anni addietro essa veniva altresì -accompagnata dalla rappresentazione scenica della decollazione -del Precursore. -</p> - -<p> -Raffiguravasi il re Erode, che, in mezzo al suo corteo, -<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span> -comandava decapitarsi il santo, il qual doveva essere -un fantoccio, perchè realmente si vedeva, al -calar del fendente, balzare la testa e il sangue sprizzare -da un otre che vi era predisposto dentro, con immensa -edificazione e gaudio della devota popolazione. -</p> - -<p> -In seguito della suddetta guerra decenne, gli abitanti, -parte ripararono a Varenna; gli altri si fabbricarono -sul lido le loro case, e il paese che ne uscì -appellarono dal luogo che avevan dovuto abbandonare, -Isola, dove risiedette anche la Collegiata che ho -testè ricordata. -</p> - -<p> -Lasciando Isola, in su spingendo l’occhio, vedesi su -d’un greppo un avanzo di torre, che denominano del -Soccorso, di solida costruzione, quadrata, e che doveva -servire o di vedetta o di momentaneo rifugio. -</p> - -<p> -Subito dopo Isola, è Campo, ove la villa che prima -era dei Giovio, venduta poscia a Tolomeo Gallio, che di -ville sul lago n’ebbe più d’una, ebbe a ritornare di poi -ai Giovio; nel 1787 venne da essi ceduta al cardinale -Angelo Durini, che l’ampliò ed arricchì di molto; e -forse è questa la villa del prelato, che, colla scorta -dell’Amoretti, io cercavo a Moltrasio invanamente. -</p> - -<p> -La superstizione, svegliata dal giuoco dei venti che -vi producevano rumori, tenne lungo tempo disabitata -la villa; ma essa ora appartiene ai signori Delmati, che -l’abitano senza tema che diavoli e fantasime vi facciano -ridda e tregenda. -</p> - -<p> -Proseguendo il cammino, giungesi al Dosso di Lavedo, -ov’era prima un convento di Francescani, che, -acquistato dallo splendido cardinale sunnominato, vi -fabbricò un portico sull’eminenza, e ne costituì la villa -<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span> -che vi si vede, che si noma Balbianello, e spetta adesso -al marchese Arconati. Da questa villa si domina il maraviglioso -bacino della Tremezzina, cui ci tarda di -giungere, e più giù il tratto di lago che abbiam trascorso -in questa nostra escursione, la quale chiuderemo -additando all’insù di Spurano ed Ossuccio il Santuario -della Madonna del Soccorso, al quale conduce un’ampia -strada fiancheggiata da quindici cappelle sul far di -quelle della Madonna del Monte di Varese, con entro -raffigurati, taluni in plastica, taluni in pittura, i religiosi -misteri. L’opera di queste cappelle è dovuta alla -pia costanza di Timoteo Snider, che fu eremita di questi -monti, il quale e col mendicare e collo insistere -presso le famiglie più facoltose, potè recare ad effetto -il suo divisamento. Degli artisti che vi lavorarono, si -addita un Francesco Torriani da Mendrisio per la cappella -dell’Orazione di Gesù nell’Orto, dipinta; e un Agostino -Silva, per le figure non senza merito scolpite in -quella che rappresenta la disputa dei dottori, che è -anche la più ricca cappella. Forse è pur egli l’autore -di sculture di altre cappelle. Il Santuario è un bel -tempio cui traggono continuamente, massime alla Madonna -di settembre, i devoti. A mezzo la via, si passa -sul torrente Perlana, traversandolo su di un ponte di -legno, e le tumultuose sue acque, che mettono in movimento -de’ mulini, precipitandosi al basso, formano -una cascata di effetto assai pittoresco. -</p> - -<p> -L’origine del Santuario vogliono che derivi da una -effigie mutilata di sasso rinvenuta colà, Dio sa come, -da’ montanari, alla quale, appiccicata una testa e una -figura di bambino, la salutarono Madonna, la venerarono -<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span> -in una chiesuola; poi, per grazia ricevuta, questa, -a spesa de’ terrieri del lago, fu tramutata nel grandioso -Santuario, conosciuto sotto il nome della Madonna -del Soccorso, stato consacrato nel 1837 dal vescovo -di Como, allora monsignor Bonesana. -</p> - -<p> -Un’altra statua si conserva ed è dipinta e porta infatti -questa iscrizione: <i>Questa figura è quella che fu -depinta quando questa gexia comenzò ad essere frequentata -per li molti miracoli e grazie.</i> -</p> - -<p> -Legati e doni arricchirono la chiesa per parte di chi -si professò riconoscente per qualche grazia colà supplicata -ed ottenuta. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span></p> - -<h2 id="esc16">ESCURSIONE DECIMASESTA. -<span class="smaller">LA TREMEZZINA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura Carove -e la <i>Commedia</i> di Plinio. — Ville Torri e Vacani. — Lenno. — Lapidi -antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — Il chiostro di S. Benedetto. — Ville -Litta, Barbavara, Carmagnola e Carcano. — Bolvedro. — Villa -Busca. — Le ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De -Orchi, Campagnani, Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di Tremezzo. -— Albergo Bazzoni. — <i>Hôtel garni</i>. — Grianta. — La grotta. -</p> -</div> - -<p> -Entrati in questo bacino, che è il più bello, il più -ampio e il più ridente, una vera meraviglia insomma di -terra e di acque, par che il cuore ci si allarghi, che si -dilati il polmone a bevere quanto di questo aere purissimo -è capace, e la mente corre a cercare immagini -poetiche e versi che esprimano tutto quell’ineffabile -sentimento che si prova. <i>Hic ver assiduum, atque alienis -mensibus æstas</i><a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>, come direbbe il Poeta delle -Georgiche; ma se poi avviene che al fianco vi troviate -un’Eva qualunque di questo paradiso, l’inno allora vi -sgorga più limpido ed acceso, perocchè l’ammirazione -divisa e più accesa si avvalori, si faccia maggiore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span> -</p> - -<p> -Molt’anni addietro, ne’ passeggi che facevo tra questi -monti, che ricingono verdeggianti queste rive; nelle -gite del lago, durante il giorno; nelle sale di conversazione, -a notte, non c’era caso, una giovinetta leggiadra -e sola, piena di riserbo e cortese ad un tempo, io -la scontravo sempre, s’anco avessi preferito, al chiudermi -la sera in una sala, lentamente trascorrere in -canotto sotto i vaghi palazzini; se mi giungevano i -suoni or mesti, or lieti di Schubert o di Fumagalli, -chiedendo da chi il piano-forte fosse stato tocco, ero -certo mi si dicesse da lei, da quella giovinetta che -aveva finito per appellare il <i>Genius loci</i>, per desiderarla -in ogni escursione, per non divertirmi ov’ella non -fosse. Era agevole farsi a quella simpatica abitudine. -</p> - -<p> -Lo seppe ella? Nol so: prima di partire, a mo’ di -memoria, mi chiese de’ versi pel suo <i>Album</i>: eccoli, -che non so com’io li abbia conservati. -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O del Lario incantevoli</p> -<p class="i02"> E benedette sponde,</p> -<p class="i02"> Ov’io passai dei liberi</p> -<p class="i02"> Ozî l’ore gioconde,</p> -<p class="i02"> Qual mai spirto cortese</p> -<p class="i02"> A voi rivolse il piè</p> -<p class="i02"> E in voi l’oblio discese,</p> -<p class="i02"> E cancellarvi dal suo cor potè?</p> -<p class="i01">Non io, non io: fra i turbini</p> -<p class="i02"> Della città ravvolto,</p> -<p class="i02"> Fra i polverosi codici,</p> -<p class="i02"> Ne’ studi miei sepolto,</p> -<p class="i02"> O nel rumor del giorno,</p> -<p class="i02"> O nel notturno orror,</p> -<p class="i02"> Sempre fa a voi ritorno</p> -<p class="i02"> Sull’ale del pensiero il mesto cor.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span></p> -<p class="i01">E veggo allor sorridermi</p> -<p class="i02"> Il vostro azzurro cielo,</p> -<p class="i02"> Sento il mitissimo aëre</p> -<p class="i02"> Scender nel petto anelo,</p> -<p class="i02"> M’inerpico pei monti</p> -<p class="i02"> Con fervido desir</p> -<p class="i02"> Vaghissimi orizzonti,</p> -<p class="i02"> Non prima immaginati, a discoprir.</p> -<p class="i01">E fiso il guardo immobile,</p> -<p class="i02"> Come se mai non pago,</p> -<p class="i02"> Nell’onda queta e cerula</p> -<p class="i02"> Del scintillante lago,</p> -<p class="i02"> In cui superbe a mille</p> -<p class="i02"> Come odalische in mar,</p> -<p class="i02"> Terre, palagi e ville</p> -<p class="i02"> La lor bellezza alternansi a specchiar.</p> -<p class="i01">Poi, come fosse il genio</p> -<p class="i02"> Di quelle rive amiche,</p> -<p class="i02"> O come ondina e silfide</p> -<p class="i02"> Delle canzoni antiche,</p> -<p class="i02"> Dovunque il guardo io giro,</p> -<p class="i02"> Nel suo leggiadro vel</p> -<p class="i02"> Una fanciulla io miro,</p> -<p class="i02"> Quasi una cara visïon di ciel.</p> -<p class="i01">Entro la snella gondola,</p> -<p class="i02"> Fra i ciclamin’ del monte</p> -<p class="i02"> D’ogni ruscel sul margine,</p> -<p class="i02"> Sempre mi sorge a fronte;</p> -<p class="i02"> E i balli se rammento,</p> -<p class="i02"> O l’ilare canzon,</p> -<p class="i02"> Veggo il suo piè, ne sento</p> -<p class="i02"> E mi accarezza di sua voce il suon.</p> -<p class="i01">Anco i vocali avorii</p> -<p class="i02"> Da lei percossi ascolto,</p> -<p class="i02"> Seguo il vivace eloquio</p> -<p class="i02"> Che sì le irradia il volto:</p> -<p class="i02"> No, questi monti e il lago</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span></p> -<p class="i02"> Più non potrò veder</p> -<p class="i02"> Che la gentile immago</p> -<p class="i02"> Non s’affacci repente al mio pensier.</p> -<p class="i01">O del Lario incantevoli</p> -<p class="i02"> E benedette sponde,</p> -<p class="i02"> Ov’io passai dei liberi</p> -<p class="i02"> Ozî l’ore gioconde,</p> -<p class="i02"> L’anima pellegrina</p> -<p class="i02"> Sovente a voi verrà</p> -<p class="i02"> A chieder la divina</p> -<p class="i02"> Che m’ispiraste arcana voluttà.</p> -<p class="i01">O voi, se a quelle floride</p> -<p class="i02"> Pendici un dì trarrete,</p> -<p class="i02"> E in quel leggiadro spirito</p> -<p class="i02"> Se mai v’incontrerete,</p> -<p class="i02"> Non creder che a me il canto</p> -<p class="i02"> Fiamma volgar dettò:</p> -<p class="i02"> — Ella fu a me soltanto</p> -<p class="i02"> Musa che gli estri accese ed ispirò. —</p> -</div></div> - -<p> -La Tremezzina, delle etimologie del cui nome faccio -grazia al lettore, per non infilargliene di marchiane, -seguendo i diversi che la pretesero indovinare, e che -forse ebbe il suo nome da Tremezzo, paese che siede <i>tra -mezzo</i> il bellissimo golfo, comprende quel tratto di lago -che, dopo Balbianello, si distende fino a Menaggio, ed -è in quanto ai monti a cui s’addossa tutto ricco della -più rigogliosa vegetazione: a campi, a vigne, a uliveti, -a giardini, a quando a quando intersecati da’ torrenti -che portano abbondanti acque al lago; e in quanto alla -sponda del lago, essa non è che una serie continua di -ville, di paeselli, di palazzi, di alberghi, che riflettonsi -vagamente nell’onde. -</p> - -<p> -Passiamoli tutti in rassegna. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span> -</p> - -<p> -Primo del bacino è il paesello di Villa, interessante -a vedersi, perocchè qui si dica vi fosse, nel luogo ove -sorge adesso la villa dell’ingegnere Carove, la villeggiatura -di Plinio il Giovane, ch’egli chiamava <i>Commedia</i>, -e della quale dicono si veggano tuttavia avanzi -entro il lago, allorchè limpida è l’onda. Qui vi hanno -ville di presente anche le famiglie Torri e Vacani. -</p> - -<p> -Procedendo oltre, a breve distanza è Lenno, terricciuola -non priva d’interesse ed ove ci tratterremo alquanto -di più. Il suo nome è pur desunto da Grecia, -Lenno, essendo un’isola del mar Egeo già sacra a Vulcano. -Eravi in addietro un tempio periptero, o tutto -recinto da portici, e nella cripta pur sussistente si leggono -due lapidi cristiane, delle quali feci parola nella -escursione passata, come testimonî che i greci qui immigrati -continuarono per lungo tempo a contare gli -anni come se ancora fossero stati nella madre patria. -</p> - -<p> -Eccole: -</p> - -<p> -<i>Hic requiescit in pace B. M.</i> (bonæ memoriæ) <i>Cyprianus -qui vixit in hoc sæculo annos p. m. XXXII -dep. sub. d. VII. octob. ind. V. post cons. d. n. Justini -p. p. aug. ann. VI</i>, cioè nell’anno sesto dopo il consolato -di Giustino nostro signore perpetuo augusto; lo -che equivarrebbe all’anno 572 di Cristo. -</p> - -<p> -La seconda: .... <i>Vixit in hoc sæculo a p. m. XXVI -dep. sub..... III post consulatum Basilii d. n.</i>; e sarebbe -nel 545. -</p> - -<p> -A Lenno è il torrente detto dell’Acquafredda, che si -butta nel lago: più sopra diede già il nome ad un’abbazia -di Cistercensi soppressi nel 1785 da Giuseppe II; -e chi la visita, salendo il monte, trova compenso alla -<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span> -fatica nel più superbo panorama che gli si distende -avanti. Da questo chiostro, per sentieri praticati nel -monte ed aspri, non par vero che si giunga poi ad altro -edifizio non meno interessante e bello, il chiostro -di S. Benedetto, dove l’architettura della chiesa dell’undecimo -secolo merita essere veduta e dove mirabile -del pari e pittoresca è la veduta. -</p> - -<p> -Non si lasci Lenno senza volgere lo sguardo alle -ville dei Litta, dei Barbavara, dei Carmagnola e dei -Rezia, ora Carcano, che si succedono, una dell’altra -più bella. -</p> - -<p> -A Bolvedro, altro paesello che segue, havvi la villa -più superba de’ marchesi Busca, dove l’ultimo di essi, -Antonio, arricchì di opere d’arte il palazzo, ivi, fra -l’altre, trovandosi quel bellissimo quadro del mio povero -amico, Cesare Poggi, da cui è trattato l’evangelico -episodio l’<i>Adultera</i>. Al giardino aggiunse nuove -vaghezze. Narrano que’ di Bolvedro che appena sposa -la marchesa Busca-Serbelloni, venuta a questa sua -villa, ne avesse nell’unica notte che vi soggiornò così -turbata la fantasia da creduti fantasmi, che rifattasi -subito a Milano, non vi riportasse in tutta la sua vita -più il piede. Lungo queste sponde abbiam già trovato -radicate ubbíe e superstizioni, alimentate forse da -qualche avvenimento di naturali fenomeni e dalla solitudine -che vi regna, ma spariranno certo fra breve. -Non così è infatti della erede ed attuale proprietaria, la -gentile contessina Antonietta, figlia di que’ miei due dilettissimi -amici che furono i marchesi Lodovico e Clementina -Busca, rapiti troppo presto entrambi all’amor -delle figlie ed all’affetto degli amici, che le prime letizie -<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span> -di un ben assortito connubio col giovane conte -Sola rese ancora, non ha guari, più soavi nel soggiorno -di questo suo Bolvedro. -</p> - -<p> -Delle ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della -Tela, De Orchi, Campagnani, Sala, Mainoni, Guy ed -altri avrebbesi a dire ed a lungo; ma come occuparci -di tutte? Degne son esse di trovarsi l’una all’altra vicine -e d’essere a Tremezzo, dove è il convegno di tutto il -mondo elegante milanese. La villa Giulini, ora ad altri -venduta, fu l’oggetto di tutte le cure del suo primo -proprietario, che lo aveva fatto il più leggiadro ed -olezzante nido. Comodità di casa, ricchezza di serre e -giardino vaghissimo, oh! come lo ha egli potuto mutare -col pur elegante suo palazzino di Milano? -</p> - -<p> -Nel caffè che si asside in mezzo a queste ville sontuose, -riserbatevi ad entrare a sera, quando i villeggianti -vi si danno la posta. Gli uomini al bigliardo, le -signore s’accolgono tutte all’intorno di una sala a ripetersi -gli avvenimenti della giornata, i progetti dell’indomani, -le visite scambiate, i romanzi iniziati, le -somme perdute al giuoco dagli eleganti fannulloni, le -divertenti maldicenze, i pettegolezzi tutti cittadini, che -qui concentrati, tramutano la quiete che vi si viene a -ricercare in soggezione e preoccupazione. Ah! io amerei -davvero non mescermi a tanta baraonda, per fruire -invece delle sole dolcezze di questi luoghi. -</p> - -<p> -Nell’albergo Bazzoni e nell’<i>Hôtel garni</i> si convengono -coloro che non avendo villa propria o possibilità -di valersi dell’altrui, amano tuttavia godere di questo -terrestre paradiso che si chiama la Tremezzina. -</p> - -<p> -Da qui breve è la via che conduce per boschi a -<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span> -Grianta, paese che dà ragione agli etimologi, che il -nome dedur vorrebbero da <i>riant</i>, sorridente, perchè infatti -è amena e lieta per ogni riguardo. Beyle vi collocò -le più interessanti scene del suo bel romanzo la -<i>Chartreuse de Parme</i>: io invece ricordo le case signorili -dei Riva, dei Mainoni e de’ Malacrida. -</p> - -<p> -Montando più in alto si ritrova una delle molte -grotte di questi monti che fiancheggiano il Lario, dove -se ben si riguardasse al masso che vi esiste sconnesso -dalla montagna, inorridirebbe pensando alla possibilità -che un dì avesse a staccarsi e rovinar giù nel lago, -suscitandovi uno sconvolgimento pari a quello che il -masso staccatosi nella notte del 4 novembre 1856 di -sopra le gallerie di Varenna ebbe già a produrre, cagionando -non pochi danni. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-192b"></a> - <img src="images/ill-192b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Villa Sommariva o Carlotta.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span></p> - -<h2 id="esc17">ESCURSIONE DECIMASETTIMA. -<span class="smaller">LA VILLA SOMMARIVA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere d’arte. — Giardino. — Carlotta -di Prussia e il principe di Sax-Meiningen. — La Cadenabbia. — Albergo -di Belvedere. — Ville Brentano, Noseda, Piatti, -duca di Sangro e Seufferheld. — La Majolica. — L’albergo Righini. — Villa -Ricordi. — Maxime Lari. — Questione filologica. -</p> -</div> - -<p> -Dicono i Francesi: <i>à tout seigneur, tout honneur</i>; e -però a questa villa denominata ancor Sommariva, che -per universal sentimento si estima la più grandiosa e -splendida di quante abbellano le ridenti sponde del -Lario, vuolsi, come da quanti visitano questi luoghi, -dedicare una speciale escursione. -</p> - -<p> -Sorge essa fra Tremezzo e la vicina Cadenabbia, isolata -come una regina a cui le altre dame stieno per -reverenza a certa distanza. È ingiustizia della sorte -che non le sia stato conservato il nome del suo primo -proprietario che la fe’ costrurre, del marchese Giorgio -Clerici, cioè, che fu presidente a Milano del Senato -e del quale pure era il magnifico palazzo nella contrada -appunto detta de’ Clerici, convertito ora in sede -della Corte d’Appello, dove pitture e dorature in profusione -<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span> -attestano ancora della immensa ricchezza di -sua famiglia; perocchè il primo merito andrebbe dovuto -a questo nome. -</p> - -<p> -Incominciata essa da quel patrizio, veniva ultimata -da Anton Giorgio suo nipote, che, a dir di Gianbattista -Giovio, l’amico di Foscolo, vi esercitò lo splendore -e la magnificenza cinto d’ospiti numerosi e in -banchetti luculei. -</p> - -<p> -Ma piacque tanto, e per la casa e per i ben disposti -giardini, e per le acque che vi zampillavano, al lodigiano -avvocato Sommariva, che fu tra i direttori della -repubblica cisalpina e che vi si arricchì, a prova che -in ogni maniera di governo la fame dell’oro prende -sempre i maggiorenti, che se la fece sua, acquistandola. -</p> - -<p> -Nè è a dire quanto alla sua volta l’abbellisse ed arricchisse; -dipinti e sculture vi recò de’ più eminenti -artisti antichi e moderni. Parecchi quadri vi si veggono -di scuola fiamminga; una bella testa, di Leonardo; e -de’ moderni, l’ira di Achille, del Bossi, e le ceneri di -Temistocle rese alla patria, dell’Appiani; un Marte disarmato -dalle Grazie, del Landi; il bacio di Giulietta e -Romeo, di Hayez; e la morte d’Atala, del Lordon. E di -scultura, di antico, un’Andromeda che si fa passare per -opera di greco scalpello; di moderno, il Palamede, il -gruppo Amore e Psiche; e la Maddalena e la Tersicore -di Canova, e diversi suoi modelli; e la fascia in basso -rilievo rappresentante il trionfo d’Alessandro, di Thorwaldsen, -allogato al grandissimo artista da Napoleone -il Grande per il Quirinale di Roma e valutato ben settecentomila -lire; un gruppo dell’Acquisti, raffigurante -Marte e Venere; poi nell’attigua chiesuola due monumenti -<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span> -ai Sommariva, padre e figlio; l’uno eseguito da -Pompeo Marchesi, l’altro da Pietro Tenerani con quattro -statue di Luigi Manfredini, e una Deposizione dalla -Croce, di Benedetto Cacciatori. -</p> - -<p> -A tanta ricchezza d’arte corrisponde la vaghezza -del giardino e la peregrinità delle piante e de’ fiori. -</p> - -<p> -Vi si ponno spendere insomma nell’ammirazione più -ore e partirne contenti. -</p> - -<p> -La villa fu anche detta Carlotta, perchè dopo acquistata -da una principessa di Prussia di questo nome, -che naturalmente l’aprì ad ospitarvi spesso regnanti e -principi stranieri, e dalla quale, morta il 30 marzo -1855, passò al marito di lei, il principe Giorgio, duca -di Sax-Meiningen. -</p> - -<p> -Confina colla bellissima villa l’albergo della Bellavista -(Hôtel de Bellevue) della Cadenabbia, — paese -che originò forse da <i>cà de’ nauli</i> — e il forestiero anche -più schifiltoso vi trova tutto e le lautezze e i comodi -degli alberghi svizzeri. -</p> - -<p> -Dopo l’albergo e le poche case della Cadenabbia, si -trovano le ville Brentano e Noseda, quelle dell’artista -Piatti, e accanto, colla medesima architettura, quella -dei duca di Sangro, che rivela che a quelle due ville -presiedette il pensiero d’una fraterna amicizia. Seguita -poi la villa de’ signori Seufferheld, e dopo, il paese mutandosi -in quello della Majolica, segue l’albergo Righini, -cui tien dietro la villa del principe de’ nostri musicali -editori, Tito di Giovanni Ricordi, al quale Euterpe e -Melpomene hanno preparato il più gradito e riposato -nido. Vuolsi che il solo spartito del <i>Trovatore</i> di Verdi -abbia, ne’ guadagni fruttati, fornito la spesa di così -splendida villeggiatura. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span> -</p> - -<p> -Oggi è breve la nostra escursione: ma in ricambio -tante bellezze di natura e d’arte ammirabili ci occupano -siffattamente, che è bene arrestarci e riandarle -poi tutte nella memoria: <i>meminisse juvabit</i>. -</p> - -<p> -Immenso è il dominio dell’arte e immenso è il campo -a meditare in esso, come ampio si presenta il bacino -allo svolger del lido, appena tocca la villa Ricordi; e -noi quivi fermadoci, pare che il vasto pelago armonizzi -colla vastità del pensiero che accoglie e medita tutte -le meraviglie vedute. -</p> - -<p> -Da qui si comprende come si potesse credere finora -dai più, che <i>massimo</i> venisse chiamato il Lario, nella -Georgica seconda di Virgilio, leggendone così i versi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>An mare, quod supra, memorem, quodque alluit infra?</i></p> -<p class="i01"><i>Anne lacus tantos? te</i> <span class="smcap">Lari maxime</span>; <i>teque</i></p> -<p class="i01"><i>Fluctibus et fremitu assurgens, Benace, marino?</i><a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a></p> -</div></div> - -<p> -Ma forse il poeta volle dire invece: <i>te, Lari, Maxime; -teque</i> etc., e così ricordare e il Lario e il Verbano, -che tuttavia chiamiamo Maggiore, e il Benaco, che così -meglio risponderebbe al concetto espresso da Virgilio -nel <i>tantos lacus</i>, perchè due soli laghi, il Lario e il -Benaco non sarebbero, a vero dire, <i>tanti laghi</i>. A coloro -poi, i quali a questa lezione oppor volessero che -in antico si chiamasse <i>Verbanus</i> e non <i>Maximus</i> quel -<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span> -lago, potrei rispondere che, se accademicamente quello -fosse il suo nome, potrebbe anche essere stato che -volgarmente venisse detto anche <i>Maximus</i>, se poi italianamente -fu da poi appellato Maggiore. -</p> - -<p> -Congeneri esempî si potrebbero all’uopo recare; ma -rammentandomi che il mio dire non deve essere irto -di discettazioni filologiche, abbandono cui piaccia la -nuova questione; chiedendo anche questa volta scusa, -se immemore d’essere un semplice cicerone da campagna, -ho dato mano per un istante alla ferula del pedagogo. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span></p> - -<h2 id="esc18">ESCURSIONE DECIMOTTAVA. -<span class="smaller">LA BELLAGINA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi Grosgalli. — Il -Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa Besana. — S. Giovanni. — Ville -Ciceri, Trotti e Poldi-Pezzoli. — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — La -<i>Tragedia</i>, villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — Marchesino -Stanga vi edifica la villa e que’ della Cavargna la distruggono. — Ercole -Sfondrati la riedifica. — La Sfondrata. — La contessa -di Borgomanero, tradizione. — La villa passa ai Serbelloni. — Parini vi -ospita. — Ora mutata in albergo. — La Crella dei Frizzoni. — Pescaù. — La -villa Giulia, ora albergo. -</p> -</div> - -<p> -Anche la sponda opposta alla Tremezzina ha le sue -vaghezze in questo bacino, le quali possono rivaleggiare -con essa, e noi dalla Cavagnola dove siamo rimasti -nel visitare tale sponda, costeggiamo colla nostra -barca, che l’escursione riescirà amena ed istruttiva. -</p> - -<p> -Il primo tratto è un po’ malinconico, è vero, e disabitato; -ma svoltato il piccolo promontorio ci vediamo -avanti Lézzeno. Ecco il clivo è più coltivato, il dosso -dei monti più selvoso, le case sparpagliate ne formano -il paese e ve n’ha taluna di bella mostra, e quivi soleva -passarvi gli ozî autunnali quel distinto oratore e -pubblicista che fu il prete Ambrogio Ambrosoli, che vi -<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span> -morì il passato anno, il cui busto, scolpito da Pompeo -Marchesi, fu, non ha guari, donato dalla <i>Gazzetta di Milano</i>, -arringo ordinario de’ suoi liberali e dotti scritti, -alla Società di mutuo soccorso tipografico della quale -fu benemerito. Così più anni addietro da qui mossero -due Mocchetti che ebbero qualche fama nelle lettere. -Con tutto ciò gli abitatori di queste rive ne ripetono -questa cattiva raccomandazione del paese: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Lezzen dalla mala fortuna,</p> -<p class="i01">D’inverno non c’è sol, d’està la luna.</p> -</div></div> - -<p> -Avviene tuttavia che vi ci si trovi la particolarità di -buoni fichi in primavera, che son quelli dell’anno precedente, -che, non maturati in autunno, si compiono all’aprirsi -della buona stagione dell’anno successivo. -</p> - -<p> -Un po’ più all’aprico, dopo Lézzeno, si specchia nel -lago la villa Vigoni; poi segue il gruppo di case denominato -Villa; quindi un altro detto la Cappelletta, -dopo la quale si elevano i Sassi Grosgalli, brulli ed -enormi massi e però formanti uno strano contrasto -col rimanente del bacino tutto verdeggiante e sorridente. -Scabra ne è la pendice che va a picco nel lago -reso oscuro e tetro da essi, che vi progettano l’ombra -e appena vi si può per aspro sentiero percorrerla. -Sotto di essi, di fronte a Lenno, scavata nel sasso, evvi -come un’ampia grotta, che i paesani chiamano il <i>Buco -de’ Carpi</i>, forse perchè in quel riparo abbondano i -pesci di questo nome, ed è qui che le genti de’ luoghi -circonvicini narrano una storia pietosa d’amore, che -formò soggetto ad una commovente novella di Antonio -Picozzi, la quale provò anche una volta, dopo la <i>Guerra -<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span> -di Pret</i> del Porta, o la <i>Fuggitiva</i> del Grossi, la potenza -del milanese vernacolo a trattare la cosa più seria ed -anche lagrimosa. -</p> - -<p> -Se sapessi che il libro non andasse tra le mani di -lombardi, sarei tratto a commettere un reato di contraffazione -letteraria, riproducendo l’intero episodio -nel suo bell’originale; ma siccome non sarà così, debbo -chiedere venia al mio concittadino, se le sue belle e -toccanti sestine riassumerò in modestissima prosa. -</p> - -<p> -Erano i tempi del primo Napoleone, di colui che ci -aveva regalata quella coscrizione militare che colla -guerra ne mieteva il fiore della nostra gioventù; e -nella Tremezzina viveva un buono e aitante giovane, -che s’era fidanzato a Teresa, la più leggiadra fanciulla -dei dintorni. Poichè tutti ora sanno come costei fosse -bella, per coloro che capiscono il vernacolo nostro non -so trattenermi dal farne loro il ritratto coi versi del -poeta: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">De sedes ann, dersett, minga deppù,</p> -<p class="i02"> Bianca la carnagion, rosa el faccin,</p> -<p class="i02"> Folt negher i cavej comè on velù,</p> -<p class="i02"> Negher i bej oggioni de bambin....</p> -<p class="i02"> Dal tutt’insemma con la prima oggiada</p> -<p class="i02"> Se ghe vedeva l’anima ben fada.</p> -</div></div> - -<p> -Erano già intese le nozze che compier dovevansi -nel successivo carnevale, e però la Teresa attendeva a -prepararsi il suo corredo. Ma ecco un dì del settembre -il Peppino, che a questo nome rispondeva l’innamorato -garzone, facevasi attendere alquanto e la poverina a -correre a pensar male. Nè l’ingannava il cuore. Cápita -il fidanzato alla fine e tutto conturbato le narra come, -<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span> -côlto dalla coscrizione, egli debba il posdomani essere -a Como all’estrazione del numero ed alla visita militare. -Ognun pensi l’affanno della giovinetta. Il posdomani -arriva, Peppino è a Como, è ritrovato abile al -militare servizio, ei deve giurare.... è soldato e appena -gli son concessi tre giorni agli addii, perchè ei -dovrà marciare per la Russia. -</p> - -<p> -Egli è dunque di ritorno al paese; i tre giorni passano -velocissimi fra i pianti della Teresa e i giuramenti -del coscritto: l’ora della partenza definitiva è suonata. -La povera tosa, presaga di sventure, poichè dentro di -sè ella sente -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> comè ona vôs</p> -<p class="i01">Che tœujendegh el fiaa la ghe dis su:</p> -<p class="i01">“Teresa, el tò Peppin tel vedet pu;„</p> -</div></div> - -<p> -non sa staccarsi da lui, e però s’imbarca ella pure con -un suo minore fratello e lo vuole per qualche tratto -accompagnare. -</p> - -<p> -Ma il tempo, triste dapprima, viene facendosi peggiore, -l’uragano imperversa sul lago: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Han penna ciappaa el largh, che a pocch a pocch</p> -<p class="i02"> Oltra el piœuv, se destend ona fiadura;</p> -<p class="i02"> El ciel vers Val d’Intelvi a tocch a tocch</p> -<p class="i02"> L’è già scur, burrascôs ch’el fa pagura;</p> -<p class="i02"> Ma el coscritt per la sira a tutt i cost,</p> -<p class="i02"> Piœuva, tempesta, l’ha de vess al post.</p> -<p class="i01">Cress el brutt temp anmò col cress del vent</p> -<p class="i02"> Ch’el sifola piangend in di orecc;</p> -<p class="i02"> Ingajarda la sluscia in d’on moment,</p> -<p class="i02"> Ch’el par che la stravacchen cont i secc;</p> -<p class="i02"> No se pò pu andà innanz; bœugna cercà</p> -<p class="i02"> Quai paes o quai riva de prodà.</p> -</div></div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span> -</p> - -<p> -Ma il vento ha sbattute le fragili imbarcazioni -verso l’opposto lido, e giunte presso il <i>Buco dei -Carpi</i>, qui dentro traggonle i rematori a riparo dalla -bufera, attendendo ne passi la furia. Quivi nuova scena -d’amore e di strazio. La Teresa coglie un ciclamino, -che sbucciava tra i crepacci della grotta, e il porge al -suo Peppino a memoria sua. Il vento si è alquanto -calmato, il lago può ritentarsi di nuovo; i due amanti -si abbracciano e baciano tra le lagrime e si son detti -addio. Esce prima la barca che si dirizza col coscritta -a Como, poi l’altra della Teresa. Si riguardano mestamente -finchè lo possono, poi ognuno se ne va. La Teresa, -di ritorno a casa, trova la madre del suo fidanzato -affranta dal colpo che le è toccato d’esser priva -del figlio, indi a pochi giorni se ne muore. La Teresa -vive da allora nel corrotto e nel duolo, e sola consolazione -è al suo cuore visitare talvolta il <i>Buco de’ Carpi</i>, -testimonio de’ suoi estremi saluti al suo Peppino, e vi -ci va anche soletta una volta almeno la settimana a -nutricarvi il cespo de’ ciclamini da cui avea spiccato -quello ch’ella aveva dato al suo povero amico. Ma ella -pure deperiva in salute. Un venerdì dell’aprile, anniversario -della partenza del suo Peppino, essa, giusta il -consueto, si avviava al <i>Buco de’ Carpi</i>: il lago era tranquillo, -era l’ora del vespro, e un pensiero di tristezza, -un malore che provava, la sconsigliavano alla gita; ma -l’idea che non andarvi sembrasse cosa di poco amore -alla memoria del suo caro, la prosegue inesorabile. -Essa dunque solca le onde col suo burchio, traversa il -lago, vi è presso, è sull’orlo della grotta, già la prua -vi penetra; quand’ecco un uccellaccio con rumoroso e -<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span> -largo sparnazzare d’ali, vi sbuca improvviso, rasenta -la fronte della Teresa, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Scappand giò per el lagh alla distesa.</p> -</div></div> - -<p> -La povera tosa, per lo spavento dell’inatteso augello, -si china onde schivarlo; il battello a quel suo movimento -urta nel masso e si torce, ella perde l’equilibrio per la scossa, rovescia fuor dello stesso, gitta uno -strido e giù va sotto l’onda. Due volte parve venisse -ella respinta sulla superficie, e due volte risospinta -giù, finchè l’onda si chiuse per sempre su di lei. -</p> - -<p> -I parenti più non la vedendo ritornare, andavano -in cerca di lei, e dopo lungo affannarsi, trovarono il -burchio vuoto, che dondolava a discrezione dell’onde, -ma nulla di lei, per quanto la chiamassero altamente -a voce. Solo due mesi dopo, un pescatore, ritirando le -reti, ne raccolse la inanimata spoglia. Narra il poeta, -che lo scheletro dell’infelice fanciulla stia ora nell’ossario -di Lenno presso alla chiesa e vi appaja ginocchione; -che il soldato reduce dalla Russia, quando -credeva aver cessato di soffrire, ebbe il più fiero martirio, -ritrovando morta e la madre e l’amante; sicchè -non volesse più vivere che mesto e sconsolato nella -memoria de’ suoi poveri morti. -</p> - -<p> -Proseguiamo ora l’escursione nostra. -</p> - -<p> -Oltrepassati i Sassi Grosgalli, si presenta la villa -Besana e ritorna da questo lato pienamente ridente il -golfo. Perocchè a breve tratto si schiera il paese di -S. Giovanni colle belle ville dei Crivelli, ora Ciceri, e -de’ Trotti; quest’ultima di stile fra il bizantino e il -lombardo; succeduta poi da quella del nobile Poldi-Pezzoli, -<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span> -che prima era dei Taverna, più grandiosa e -rinnovata da quell’abile architetto che è il milanese -Balzaretti, al quale si debbono i nuovi giardini pubblici -della sua città, e non poche architetture civili, fra cui -ne primeggia la recentissima, appena ultimata, della -Cassa di Risparmio in via Monte di Pietà. La casa qui, -o piuttosto palazzo del nobile Poldi, si costituisce di -tre corpi legati insieme da due eleganti terrazzi; il -giardino poi è ricco di piante straniere, tra cui la -canna di zucchero, il sovero, la canfora, l’<i>olea fragrans</i> -e boschetti di magnolie che profuman l’aere -tutt’all’intorno. -</p> - -<p> -Poi v’è una villa Luppia, e da ultimo si chiude a -San Giovanni colla più superba villeggiatura del duca -Melzi, che mi reclama maggiori parole. -</p> - -<p> -Francesco Melzi D’Eril, che fu vicepresidente della -repubblica italiana e poi duca di Lodi, l’edificò al -principiare del secolo su disegno di quell’esimio artista -che fu Giocondo Albertolli, del quale io già dettai -le memorie biografiche e artistiche nel giornale -dell’<i>Ingegnere-Architetto</i> del Saldini di Milano. Come -quegli che ridusse alla sua castigatezza l’arte ornamentale, -l’Albertolli vi portò semplicità di linee architettoniche, -ma ad un tempo armoniche e di gusto. -Il proprietario poi l’arricchì internamente d’ogni maniera -d’opera d’arte. A memoria di quel suo antenato, -Francesco Melzi, che fu allievo di Leonardo ed erede -dello studio di lui, volle il duca che il pittore Giuseppe -Bossi in quattro sopraporte monocromatiche dipingesse -quattro episodî del sommo Leonardo, e l’opera -riuscì egregia. Nell’un disegno vedesi Leonardo -<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span> -che insegna al Melzi il disegno: nel secondo, il gran -maestro, che recinto da’ suoi scolari sta pingendo il -proprio ritratto; nel terzo, la scena in cui lascia erede -il Melzi; nel quarto, il Melzi che insegna nella scuola -eredata da quel grande. — In altre sale ammiransi -dipinti dello stesso Bossi, di Appiani, di Migliara e di -Sanquirico; le statue, il Davide del Fraccaroli, l’Esmeralda, -il busto somigliantissimo di Giocondo Albertolli, -e copie de’ famosi capolavori antichi, il Laocoonte -e la Cerere, e i busti di quattro imperatori romani -e di Letizia e Giuseppina Bonaparte; oltre affreschi -pregevolissimi di quel famoso prospettico che fu il -sunnominato Sanquirico, per non dire d’opere di altri -minori. Nella cappella mortuaria, pur disegno dell’Albertolli, -e in cui riposano le ceneri del duca, vedesi -l’avello lavorato da Vittorio Nesti; il Salvatore, scultura -del Comolli e un bellissimo cartone del Bossi. -</p> - -<p> -Ma se è degno di osservazione il palazzo, non ne son -meno i giardini, cui presta la natura del suolo, che è -un colle, la cui cima sovraggiudica il busto d’Alfieri. -Il marmoreo gruppo di Dante e Beatrice, sculto dal -suddetto Comolli, è nel mezzo del viale che costeggia -il lago; se poi l’economia dell’opera me lo concedesse, -darei un mezzo trattato di botanica nel descrivere i -fiori, le erbe, le piante che li decorano in tanta copia -da essere eziandio altrettanti vivai per altre ville. -</p> - -<p> -Ma altre cose degnissime abbiamo a vedere in questa -nostra escursione: affrettiamoci dunque alla vicina -borgata di Bellagio. -</p> - -<p> -Oltre San Giovanni e i giardini della villa Melzi, è -Bellagio, che gli etimologi fanno derivare da <i>Bilacus</i>, -<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span> -come a dire fra i due laghi, non altrimenti che in -Isvizzera per la stessa ragione vi è Interlaken, perchè -infatti Bellagio siede sulla punta d’un promontorio, -che i paesani appellano Colunga, appunto perchè quasi -una lingua di terra il cui capo si prolunghi nel pelago, -dove il Lario che vien da Colico si divide in due rami, -l’uno quello che già conosciamo e che va a Como, e -l’altro che discende a Lecco. Una tale situazione dà a -Bellagio una particolare vaghezza, nè per essa, nè per -le magnifiche ville onde è lieto e che gli fan corona, -e diciamo anche per i due ottimi alberghi, non vi ha -persona che tragga alla Tremezzina, senza che ne traversi il lago e venga a vedere Bellagio. Tutta questa -plaga può contenderla in bellezze di natura a quelle -meraviglie cantate da’ poeti e levate a cielo da’ forestieri, -che sono Posilippo e Mergellina, Portici e Sorrento. -</p> - -<p> -Voi vedete allora di che buon gusto dovesse essere -Cajo Plinio Cecilio Secondo, detto il Giovane, nello -eleggersi proprio la cima di questa scogliera che sta a -capo del promontorio per erigervi la sua villa che, a -riscontro di quella che nomò <i>Commedia</i> e che ricordammo -a Villa presso a Lenno, come attesta il Giovio, -o sul basso lido presso Varenna, come vorrebbe il -Boldoni, appellò <i>Tragedia</i>. -</p> - -<p> -Più tardi, ne’ tempi di mezzo, come le altre terre -del lago si facevano irte di fortilizî e torri, arnesi di -guerra giovati spesso a contenere le rapine degli Elvezî -che facevano frequenti scorrerie, ma ben anco a mantener -vive le lotte fraterne e massime contro Como; -anche Bellagio ebbe il suo forte castello, riparo di facinorosi -<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span> -e banditi, il quale venne poi fatto smantellare -da Galeazzo Visconti nel 1375. Risiedeva allora in -Bellagio un capitano del lago, e convien dire che vi -facesse capo ogni terra del Lario, se i cattivi debitori -di Cernobbio ve li abbiamo veduti cacciati nelle carceri -di Bellagio, dove i loro compaesani vennero a -trarneli colla forza al tempo di Filippo Visconti, come -narrai quando dissi di quei paesi del primo bacino. -</p> - -<p> -Ogni traccia di efferatezza sparve dal colle di Bellagio -qualche tempo dopo, quando un Marchesino Stanga, -favorito di Lodovico il Moro, vi edificò una splendidissima -villa. Ma non era appena compiuta, che que’ -della Val Cavargna, a vendicar non so qual torto, vennero -furibondi e la misero a ferro ed a fuoco. -</p> - -<p> -Ercole Sfondrati, duca di Monte Marciano, nipote -di papa Gregorio XIV e capitano suo nella spedizione -che fece in ajuto della lega e contro il Bearnese, dopo -le battaglie, avuto a sè infeudato il borgo, riparò su -questo colle e vi rialzò la villa e riordinò i giardini, -piantandovi lecci, quercie, allori, cipressi e pini, che -pur esistono in gran parte, e vi eresse qui e qua sacre -cappelle, che or non si veggono più. -</p> - -<p> -E un edificio esisteva pure verso il lato del ramo -del lago che sporge a Lecco e che dicevasi la Sfondrata; -e qui la tradizione del paese rammenta una di -quelle infami memorie di dissolutezza e di crudeltà, -onde in Francia andò tristamente famosa la Torre de -Nesle, e in Italia si ricordano i trabocchetti di Castel -dell’Ovo di Giovanna I regina di Napoli, e che io brevemente -riassumo. -</p> - -<p> -Una Contessa di Borgomanero, forse legata per parentela -<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span> -agli Sfondrati, e qui dimorata per qualche -tempo, abbandonandosi a osceni amori, vuolsi che facesse -pei trabocchetti precipitar giù per le acute balze -della scogliera che sta a picco del lago i mal capitati -suoi amatori d’una notte, a ciò forse non ripetessero -intorno le sue brutte lascivie, e fors’anco troppo presto -desiderevole del nuovo; ma di più non se ne sa -dire, e certo allude a questa tradizione la poesia -scritta da signora che da un album dell’albergo della -Cadenabbia trascrisse Cesare Cantù, diligentissimo indagatore -d’ogni particolarità del lago, nella seguente -terzina: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O ti piacesse più, solcando l’acque,</p> -<p class="i02"> Veder le balze dell’opposto lido,</p> -<p class="i02"> Ove talor precipitato giacque</p> -<p class="i09"> Il drudo infido.</p> -</div></div> - -<p> -Poscia il feudo passò ai conti della Riviera, signori -della Valassina; ma la villa degli Sfondrati passò per -eredità ai Serbelloni, onde villa Serbelloni si noma -in oggi tutto l’ampio recinto che chiude la vasta -casa, che altamente reclama una migliore architettura -esterna e più moderni riattamenti. Come Plinio, ne’ -tempi di Roma, Parini al principiar del secolo nostro -veniva nella villa de’ Serbelloni a ricrearsi e ispirarsi, -e ne aveva ben d’onde. -</p> - -<p> -Estintasi in questi ultimi anni questa patrizia famiglia, -ora l’appigionò Antonio Mella per convertirla in -albergo, a soccorso dell’altro che ha in riva al lago, -detto della Gran Brettagna, l’uno e l’altro forniti di -tutte le comodità. -</p> - -<p> -Un albergo ha pure in questo borgo Melchisedecco -<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span> -Gandola, sotto il nome di Antico albergo e pensione -Genazzini, e vi ha pari importanza e fama. -</p> - -<p> -Più prossima alla punta è la Crella, villa dei Frizzoni -da Bergamo, che su disegno di Rodolfo Vantini, di -stile bramantesco, costò un ingente patrimonio. Bella, -ricca, splendida, non è per avventura così comoda, -come si vuole sia una villeggiatura molto più signorile. -</p> - -<p> -Per un ampio viale, che fa maravigliare come sia -stato praticato nella roccia, da Pescaù, che sta in -cima di Bellagio, si arriva alla villa Giulia, con dir -della quale mi piace chiudere l’escursione per la Bellagina. -Essa sta sul poggio a cavaliere dei due rami -del lago e sorge maestosa, quantunque la facciata più -bella riguardi, non saprei dire perchè, i giardini. Fu -il luogo dapprima dei Camozzi, poi l’acquistò la famiglia -Venini sullo scorcio del passato secolo, e don Pietro -vi costruì la villa che volle portasse il nome della -moglie, Giulia, onde ancor si designa, malgrado che -divenisse poi proprietà di Leopoldo, re del Belgio, che -vi condusse a grande spesa le acque e la rese una -vera delizia regale, che non lo lusingò per altro così -possentemente, da non cederla in affitto dodicenne al -signor Mella che la tramutò in albergo. Il panorama -stupendo che si gode dalla villa Giulia, dell’un ramo -del lago e dell’altro, impreziosito da poggi fioriti, da -grotte, da fontane, da ruscelli, da boschetti, da pratelli -e da piante peregrine, e le attrattive d’ogni maniera -che presenta, rendono questo luogo uno de’ più -deliziosi ritrovi che lungo le sponde del Lario meritino -d’essere visitati. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span></p> - -<h2 id="esc19">ESCURSIONE DECIMANONA. -<span class="smaller">IL SASSO RANCIO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. — Loveno. — Ville -Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio, Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa -Galbiati. — La Val Cavargna. — Porlezza. — Fabbrica -di vetro. — Il Castello di Menaggio. — La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — Ligomana, -Plesio e Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi -al Sasso Rancio. -</p> -</div> - -<p> -Visitata la Bellagina, riconduciamoci all’opposto -lido, dove nuove dolcezze ne attendono. Veramente il -bacino della Tremezzina non s’arresta alla villa Ricordi: -non è lungi Menaggio, che vi è compreso, e -merita che vi ci andiamo e vi vediamo le cose interessanti -de’ dintorni. E poichè siam ritornati da questa -parte, non lasciamo di rivolgere l’attenzione al Monte -che sta sopra la Tremezzina e si appella degli Stampi, -non per altro, che per la stranissima tradizione che -corre nel paese, che lassù vi sostasse, al cessar del diluvio -universale, l’arca di Noè. D’onde mai traesse -origine la fiaba, è presto detto. Su quel monte, nel -masso, si ravvisarono impronte di zampe d’animali -della grandezza perfino di trenta centimetri, come si -<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span> -trovarono crostacei di tempi antidiluviani: ciò basta -perchè il volgo, amante sempre del maraviglioso, sognasse -che non sull’Ararat, ma su questo culmine posasse -l’arca di quel patriarca. -</p> - -<p> -Oltre le ville che ho rammentate nella escursione della -Tremezzina, la Majolica non offre che meriti vedere -e neppur nominare. La continuazione della via -carrozzabile da Majolica a Menaggio è sempre ne’ pii -desideri; ma noi pigliamo il canotto: — è così bello -lo scivolare su d’esso quando è calmo il lago. -</p> - -<p> -Nondimeno abbiatevi un avvertimento. Se anche un -nuvoletto solo turba il sereno del cielo, non avventuratevi -a traversare il lago da Bellagio alla Tremezzina; -a più d’uno quel nuvoletto, non anco giunto a mezzo -del lago, che, come dissi, qui è larghissimo, si dilatò, -coprì tutto il cielo e apportò tempesta, naufragio e -morte. Propriamente per dividersi il lago e formare i -due rami, oltre che dalla valle di Menaggio, i venti vi -soffiano e menano furibonda ridda e in nessuna parte -del Lario come qui sono avvenuti tanti disastri. -</p> - -<p> -Ma poichè ho ricordata la valle di Menaggio, se vi -fermate nella Tremezzina alcun giorno, non lasciate di percorrerla -e ne sarete contenti. Vi troverete su d’un -poggio assidersi Loveno, colle belle villeggiature dei -Pensa, dei Garovaglio, degli Alberti, degli Azeglio e -dei Mylius-Vigoni. I Garovaglio vi tengono una copiosa -collezione di pregevoli stampe, massimamente inglesi, -e un giardino interessante pei botanici. -</p> - -<p> -Nella sua villa Massimo d’Azeglio immaginò e scrisse -parte del suo miglior romanzo <i>Ettore Fieramosca</i>, e -raccolse alla sua volta buone stampe e buoni dipinti -<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span> -con quel gusto che ognun conobbe all’illustre romanziere -e paesista. Nel palazzo Mylius vedreste poi preziosità -artistiche ancor maggiori. Intanto vi piacerà -l’architettura sua semplice, opera del Besia: meglio poi -le ricchezze dell’interno e la sua eccellente distribuzione. -Non dirò degli arredi, nè di altre splendidezze: -solo restringendomi all’arte, e nella casa e nel giardino -si ammirano statue e gruppi di rinomatissimi scultori, -come la Nemesi, di Thorwaldsen; l’Eva, di Baruzzi; -la Ruth, dell’Himos; oltre la madre di Mosè, del Gandolfi; -il David, del Manfredini; il gruppo insigne della -Igea, dell’Argenti. Circa a pitture, ve n’hanno dell’Hayez, -del Servi, del Canella, dell’Uaed; e ad incisioni, -tutte le battaglie napoleoniche del Longhi, -ritratte dai famosi affreschi di Appiani. Il giardino ha -rarità di fiori e d’alberi e di prospetti. -</p> - -<p> -Non lunge da Loveno, mette conto di vedere la bizzarra -villa di Galbiati a Cardano, che non dovrebbe -essere negletta dal suo attuale proprietario. Costò al -barone Baldassare Galbiati assaissimo il far su quest’altura -trasportare il gruppo della Clemenza di Tito, -da lui acquistato allo scultore Comolli, ma non è opera -che ne francasse la spesa. Piuttosto se visitate il sepolcreto -domestico, vi ammirerete il monumento eretto -dalla pietà del figlio Carlo al padre, collo scalpello di -quell’esimio artista che è Antonio Tantardini. L’Angelo -della Risurrezione che vi raffigurò è di un fortunatissimo -ardimento, come d’una felicissima trovata. Maestra -e sapiente ne è l’esecuzione. -</p> - -<p> -Se amanti di natura alpestre, vi direi di percorrere -la Val Cavargna e poi di spingervi anche a Porlezza a -<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span> -vedervi la fabbrica di vetro de’ Campioni e a guardare -il Ceresio che giunge fino al piede del borgo: ma io -non vuo’ dimenticare il Lario che mi son proposto di -farvi conoscere e però ritorniamo a Menaggio. -</p> - -<p> -Sovra il paese torreggia il castello, da cui si ha superba -la vista e dove un ricco che l’acquistasse vi troverebbe -motivi di magnifica villa. In basso, viene a -gittarsi nel lago la Sanagra, acqua che dev’essere medicinale, -se gli etimologi ne fan derivare il nome da -<i>Sanat ægros</i>, cioè sana i malati. Entrando poi nel -grosso borgo, importante per belle case e per commerci -ed anche per alberghi, fra cui primeggia quello del -Piantanida, che da Bergamo qui trasportò i suoi -penati e vi adattò da un pajo d’anni tutti i conforti -de’ più sontuosi, ed è da contarsi tra i migliori del -lago. -</p> - -<p> -Sulla piazza è una delle lapidi massime dell’antichità, -che così fu letta: -</p> - -<div class="blockquote"> -<p class="center"> -<i>Minicius L. F. Ouf. Exoratus</i>, -</p> - -<p> -Flam. Divi Titi Aug. Vespasiani consensu Decurion. tr. -mil. IIII vir. a. p. II. vir. i. d. præf. fabr. Cæsaris et -consulis pontif. sibi et Geminæ q. f. Priscæ uxori et Miniciæ -l. f. Bisiæ V. f.<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>. -</p> -</div> - -<p> -Usciti di Menaggio, tenendoci sempre al lago, incontriamo -<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span> -Nobiallo. Il suo suolo abbonda di gesso, d’alabastro -venato e di scagliola speculare. Levando lo -sguardo al monte, scorgonsi i villaggi di Ligomana, -Plesio e Naggio, dove dicono vi sieno vaghissime montanine. -Non arrivai mai fin là, quantunque il bello facilmente -mi seduca; ma d’altronde la comitiva tirava -dritto, perchè la meta del nostro cammino di quel -giorno era il <i>Sasso rancio</i>, e sarebbe stata poca -creanza lasciare la compagnia. -</p> - -<p> -Mentre passando per costì ci approssimavamo a questo -<i>Sasso</i>, più d’uno mi chiese perchè <i>rancio</i> lo si nomasse, -e mi tornò facile il darne la spiegazione: il colore -che tutto copre questa parte di monte è prodotto -dall’ocra di ferro che si contiene nella roccia e che -infatti vien cavato in copia a Gaeta, lì presso. Una signora, -che aveva di recente letto il sentimentale romanzo -di Davide Bertolotti, che si intitola appunto <i>Il -Sasso rancio</i>, spiegò allora la sua erudizione, ripetendone -brevemente l’intreccio con tanta gravità come -fosse stata pretta storia. -</p> - -<p> -Giunti al Sasso, vi trovammo un’erta scogliera quasi -a picco del lago, e vi si gode di là una magnifica vista. -Vicino vi sono parecchie grotte che si sprofondano -nelle viscere del monte. -</p> - -<p> -Su pel difficile sentiero, che serba il nome di via della -<i>Regina</i>, che è la prosecuzione di quella che costeggia -tutta la sponda sinistra del lago, nel 1799, quando le -nostre belle contrade erano infestate dalle orde russe, -un drapello di cavalleria cosacca di Souwarow volle -peritarsi; ma gli irrequieti cavalli, accostumati a liberamente -scorrazzare per le lande dell’Ukrania, sbizzarrendo, -<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span> -diruparono per que’ greppi, seco traendo nel -precipizio anche molti de’ cavalieri. -</p> - -<p> -Noi invece che v’andammo a piedi non corremmo -alcun pericolo; ricordammo lo storico fatto, misurammo -tutta l’altezza del precipizio e inorridimmo, e -vi trovammo invece alla fine della nostra escursione -tutto quel divertimento che desidero a’ lettori. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span></p> - -<h2 id="esc20">ESCURSIONE VENTESIMA. -<span class="smaller">LE FERRIERE DI DONGO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il Medeghino. — Le -Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa Polti. — Villa del vescovo -di Como. — Chiese di S. Stefano e S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le -miniere di ferro. — I forni fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le -<i>Frate</i>. -</p> -</div> - -<p> -La manía de’ forastieri e villeggianti s’arresta per -ordinario alla Tremezzina, nè più si cura delle altre -bellezze del lago superiore. È ben vero che non c’è più -quel sorriso continuo di ville che nella parte da noi -già percorsa abbiam vedute; ma è vero altresì che -v’hanno molte e molte ragioni a non dimenticare anche -quest’altra parte del lago, che forse per l’artista -riesce più interessante. Io ne dirò con sollecite parole -de’ principali luoghi, acciò il libro non manchi al suo -titolo. -</p> - -<p> -Secondando sempre la sinistra sponda del lago, passato -avanti il <i>Sasso rancio</i> e San Siro, vedesi su d’un -promontorio il paese e il castello dei Rezzonico, famiglia -d’onde uscirono quel Clemente XIII, al quale il -Canova lasciò famoso monumento in Roma, e i conti -<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span> -Gastone e Antongioseffo, buoni letterati. Il luogo ora -è reso ameno per bellissimo parco fattovi all’intorno, -per coltura e per magnifici limoni che vi fioriscono. -</p> - -<p> -Proseguendo, scorgesi un altro promontorio che si -spinge nel lago e che un dì portava un castello ed era -quello famoso di Musso, che ricorda le gesta di quel formidabile -filibustiere, che fu Gian Giacomo Medici, detto -il Medeghino di Milano. L’ebbero prima i Visconti, -quindi il maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, e in fine, -per inganno, il Medici suddetto, che, fatta incetta della -peggior ribaldaglia, vi si stabilì come in nido sicuro di -rapaci avoltoi. A renderla più inespugnabile, la circondò -d’opere militari d’ogni maniera, al compimento -delle quali coll’esempio incoraggiavano perfino le sorelle -di lui, Clarina e Margherita, la qual’ultima, sposa, -al conte Giberto Borromeo, fu poi madre di quel Carlo -che divenne arcivescovo di Milano, cardinale di Santa -Chiesa e canonizzato da ultimo come santo. Era da -questa rôcca che il Medeghino, approfittando della debolezza -del governo di Lombardia, che ora stava nelle -mani de’ Francesi, or passava a quelle degli Spagnuoli, -ed a tratti ben anco funestato dalle orde alemanne, -colla flottiglia che s’era formata di sette navi grosse a -tre vele e quarant’otto remi, ed aveva armata cadauna -perfin di cento uomini, tutta schiuma di scellerati, -spandeva il terrore pel lago e rendevasi tanto formidabile -e potente, da tenere a segno i Grigioni, ai quali -anzi toglieva Chiavenna; da oppor resistenza agli Sforza -dapprima, quindi ben anco all’esercito cesareo, capitanato -dal duca di Leyva, che soleva dire dargli maggior -fastidio il Medeghino che non tutto l’esercito dello -<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span> -Sforza; da trattar da pari co’ principi, battere moneta, -e dopo d’avere assalito il territorio di Lecco, quello -della Valtellina e la Valsolda, intitolavasi conte di -Musso e di Lecco, governatore del lago e della Valsássina. -Se Carlo V volle togliersi questa spina, gli fu -giuocoforza venire a patti con lui, concedendogli forti -somme di denaro, il feudo di Marignano col titolo di -marchese e il comando di quell’esercito che gli affidava -per abbattere a Siena l’ultimo avanzo di guelfa -libertà. Ciò avveniva nel marzo 1532; e quando, in -seguito a tali atti, egli abbandonava il suo castello di -Musso, i Grigioni, che ne spiavano la partenza, inerpicavansi -su per que’ greppi, impazienti di demolirlo; -scortili il Medeghino, retrocedette, scese a terra e intimò -rispettasser il castello finchè egli fosse in condizione -di vederlo; e tanto imposero la sua presenza e -la minaccia, che alla demolizione non si mise la -mano che sol quando la sua nave non fu più veduta -per il lago. -</p> - -<p> -Ora il picco sopra cui il castello si elevava, costituendosi -d’un marmo saccaroide dolomitico, somministra -marmi alla fabbrica del duomo di Como; le molte mine -che ne aprirono le viscere, dischiusero un varco che -lascia veder tutta la vallata che riesce a Dongo, e i signori -Manzi, a cui spetta, accomodaronlo come a parco. -</p> - -<p> -Detto delle sorti di questo castellotto che meritamente -servì a novellieri e romanzieri di largo e fantastico -tema, avanzando, s’entra nel territorio delle -Tre Pievi, che comprendeva nella sua giurisdizione -Dongo, Gravedona e Sórico, e che ne’ tempi medievali -costituiva di per sè una piccola repubblica, è vero, ma -<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span> -tale da sapersi far rispettare. E la piccola repubblica -ebbe pure l’istoriografo suo nel vivace Rebuschini. -</p> - -<p> -Seguendo il parco dei signori Manzi che abbiam veduto -a’ piedi delle rovine del castel di Musso, perveniamo -in mezzo al seno dove sorge il palazzo di questi -medesimi signori e dove siede il paese di Dongo. Altre -case signorili qui vi sono, fra cui quella dei Polti: il -vescovo di Como vi ha pure la sua villeggiatura, acquistata -avendo il vescovo Romanò la villa che già fu di -Antonio Cossoni, discendente di quel fra Daniele Cossoni -che fu ministro di Filippo IV di Spagna. -</p> - -<p> -Qui villeggiava il notajo Sormani di Milano, che si -ebbe a’ nostri giorni la maggior riputazione e clientela, -ed al quale i figliuoli eressero nella parrocchiale di -Santo Stefano un monumento. In questa chiesa vi sono -anche mediocri statue del Salterio; affreschi di Giovan -Mauro, Gian Battista e Marco della Rovere, detti i -Fiamminghini, vi sono nell’altra chiesa di Santa Maria. -</p> - -<p> -Nella vicina valle dell’Albano vi sono ricche miniere -di ferro e le si dan scoperte da un Giacomo di Desio -nel 1460, che un’altra pure discoperse di rame presso -Barbignano. -</p> - -<p> -Nell’archivio de’ Trivulzio di Milano leggesi un documento -in cui è scritto che lo stesso Giacomo di Desio -rinvenisse in questa valle massi di smeraldo e di rubino, -forse schisto di color verde e qualche pirite di -rame, certo non di quella grossezza nè tale da farne -tavole e colonne; onde in benemerenza il duca gli assegnasse -dieci scudi il mese di pensione, purchè quelle -pietre ad altri non offerisse prima che a lui, per un -prezzo da misurarsi a norma di loro volume; diritto -<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span> -poi da esso duca ceduto al maresciallo Gian Giacomo Trivulzio. -</p> - -<p> -Colle miniere era facile immaginare che presto vi -si sarebbero stabiliti forni fusorî, e infatti furono attivati -nel 1465 e furono per lungo tempo posseduti dai -conti Giuliani di Milano. -</p> - -<p> -I Rubini per altro li acquistarono nel 1790 e vi -portarono tali miglioramenti e incremento all’industria, -da poter modellare la ghisa. Ma più ancora questa -industria s’avantaggiò, quando nel 1839 venne costituita -la società Rubini, Scalini e C. che le diè più -ampio svolgimento; per modo che se ne’ primi quarant’anni -del secolo producevano le cave per circa cinquantamila -pesi, ora può dirsi che siasi il ricavo portato -a diecimila quintali, di cui un terzo di ghisa, -occupandovisi ben quattrocento operai. -</p> - -<p> -Visitare queste ferriere deve essere un amenissimo -scopo di escursione a chiunque, sia per chi di questa -industria sia intelligente, sia per qualsiasi profano che -pur si interessi all’attivo lavoro ed al curioso processo, -onde la roccia si tritura, il metallo si fonde, si schiumano -le scorie, e poi l’incandescente e liquido ferro -trabocca e si distende come un igneo torrente per le -diverse forme che gli si vogliano far assumere e che -raffreddandosi ritiene. -</p> - -<p> -Quelle terre che si mostrano sopra Dongo non sono -indegne d’essere visitate per chi ama l’arte. Perocchè -a Garzeno v’abbian pitture di Giovanni della Rovere -suddetto, altro de’ Fiamminghini; ed a Brenzio ve n’abbian -molte di Isidoro Bianchi da Campione, celebre -pittore, allievo di Pier Francesco Mazzucchelli detto -il Morazzone, e parecchie pure de’ Fiamminghini. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span> -</p> - -<p> -D’una particolarità ancora di questo monte, alle cui -pendici è Dongo, intratterò, e poi per questa escursione -imporrò freno allo scilinguagnolo; ed è che le sue -donne, per un voto fatto nella peste del secolo XVI, -vestono da cappuccine, quantunque abbelliscano il -grossolano costume di ricche cinture e finissime trine. -Queste contigie non vietano che attraggano la curiosità -di chi visita la montagna, e che loro si dia il -nome di <i>frate</i>, appunto per il fratesco abbigliamento. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span></p> - -<h2 id="esc21">ESCURSIONE VENTESIMAPRIMA. -<span class="smaller">GRAVEDONA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle -di Lesio. — Gravedona -e la sua storia. — La chiesa di San Vincenzo. — S. Maria -del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. — Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il -Sasso acuto. — Domaso. — Gera. — Sórico. -</p> -</div> - -<p> -Quanto torto si ha a non comprendere fra la parte -di lago, che si suol meglio ricercare da’ forestieri e villeggianti, -questo territorio delle <i>Tre Pievi</i>, già dissi. -Esso divide infatti, col resto che già percorremmo, i -bellissimi prospetti e la ricca vegetazione, e forse -forse, perchè protetta a settentrione dall’alta schiena -de’ monti che la difendono dai soffii gelati, ha mitezza -di clima maggiore degli altri inferiori bacini, sicchè i -giardini vi abbiano agrumi e fiori, e la camelia perfino -vi alligni e prosperi, l’inverno senz’uopo di stufe. -</p> - -<p> -Noi, spiccandoci da Dongo, dove siamo restati nella -nostra ultima escursione, e via trascorrendo Consiglio -di Rumo e San Gregorio, giù scendendo, potremmo -ammirare buoni dipinti del cavaliere Isidoro Bianchi, -e salendo più in su, ove comincia il Pizzo di Gino, -troveremmo la chiesuola di San Gottardo. Poi ci vediamo -<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span> -davanti la Valle di Lesio, oltrepassata la quale -si sparpaglia sul pendio del monte la grossa borgata -di Gravedona. -</p> - -<p> -Non fu solo il Rebuschini che ricordò nella sua <i>Storia -delle Tre Pievi</i> gli avvenimenti di Gravedona: altro -storico l’aveva preceduto, Anton Maria Stampa, che fu -autore d’una <i>Storia dell’insigne borgo di Gravedona, -altre volte repubblica</i>, da lui scritta a bandir la noja -della prigione, perchè, sospettato di torbidi popolari, -venne chiuso nel forte di Fuentes, che sta a capo del -lago sulla via di Chiavenna e intorno al quale si potrebbero -spendere molte parole, se dal mio soggetto -non temessi di scostarmi soverchio. Non lasciò questo -scrittore di rimontare a remotissimi tempi del suo insigne -borgo, per isnocciolarne di grosse, e non so da -qual codice infatti imparasse egli come prima Gravedona -si appellasse Laricola; ma che poi, ivi stanziando, -un Garbatone, figliuol d’un re Garibaldo anteriore a -Brenno, vi imponesse il proprio nome e fosse il principio -d’una serie di re e di eroi. Di tutto ciò si dispensa -d’indicare le fonti: la tradizione è la sua autorità; ma -invano anche questa voi domandereste a que’ della -borgata. -</p> - -<p> -Il Rebuschini attinge invece a più verosimili tradizioni, -e ricorda che Gravedona sostenesse onorevole -parte nelle guerre repubblicane; che nel tempo del -Barbarossa, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Di cui dolente ancor Milan ragiona,</p> -</div></div> - -<p> -come diceva a’ suoi giorni l’Alighieri, nel soggettarsi -Lombardia, preponesse al governo delle <i>Tre Pievi</i> un -<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span> -Amizzone, uomo sanguinario e rapace, il quale, a togliere -ogni motivo ad insurrezione, smantellava il castello -di Gravedona e la Torre di Melia, e così inoltre -operasse da tiranno, che stancati quegli alpigiani ne -scuotessero il giogo ed egli fosse costretto a rifugiarsi -in Valtellina. Rammenta pure come lo stesso Barbarossa, -dopo la tregua di Venezia, tornando pel lago -in Germania, venisse da que’ di Gravedona audacemente -assalito, depredandolo delle bandiere e del corredo, -e la corona stessa imperiale, tutta d’oro, caduta -pur nelle mani loro, deponessero poi nella chiesa del -Battistero, onde nella pace di Costanza volesse Federico -esclusa dal parteciparne a’ beneficî Gravedona. -</p> - -<p> -Già toccai della parte dalle <i>Tre Pievi</i> avuta nella -guerra decenne; poi Gravedona divenne feudo del cardinale -Tolomeo Gallio, facoltosissimo ed influente, e -che nutrendo pensiero di farne la capitale della Valtellina, -al cui conquisto agognava, vi fabbricò, su buon -disegno del Pellegrini, un grandioso e turrito palazzo, -il cui loggiato si vede da chi viaggia per il lago. È in -esso che fu detto che si volesse trasferire il Concilio -ecumenico di Trento; ma non se n’ha nella storia -alcun documento che tale intento comprovi; onde siffatta -pretesa de’ Gravedonesi è suffragata unicamente -dalla circostanza che nel detto palazzo si conservino -solenni seggioloni con iscritto su ciascuno il nome de’ -cardinali. -</p> - -<p> -Dal Gallio passò il feudo alla ducal famiglia d’Alvito -di Napoli, che la più parte del ricco mobigliare, onde -istruivasi il palazzo, si trasportò nella sua casa di questa -città e in quella di Genova; ma a conservare gli -<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span> -eredati diritti vi mantenne un commissario per amministrare -la giustizia. -</p> - -<p> -Merita qui esser veduta la chiesa parrocchiale di -S. Vincenzo, che si vuole del secolo V, con cripta di -stile lombardo, e dove si vede il sepolcro del dottissimo -cardinale Michelangelo Ricci, e tra gli arredi una pianeta -di forma greca a bei ricami, una pace d’argento -del XIV secolo, un calice egregiamente cesellato con -molti giri di santi raffigurati in ismalto, non che una -croce grande con ornati e figurine, lavorata per <i>Franciscum de Sancto Gregorio da Grabedona</i>. Nè si dimentichi -di osservare il battistero di Santa Maria del -Tiglio, che si pretende eretto dalla pia regina longobarda -Teodolinda, alla quale per altro si attribuiscono -troppe cose, perchè vi si possa credere sulla parola. -Esso battistero è quadrilungo, con tre absidi pentagone -all’esterno e con campanile ottagono di bell’effetto, -e internamente ha una galleria nella parte superiore -che lo gira tutt’all’intorno, e le pareti lasciano intravvedere -come già fossero tutte rivestite di pitture. -È qui dove esiste dipinta una Vergine col Bambino, or -tutta rovinata dal tempo, che l’Aimoin nel suo libro -<i>De Gestis Francorum</i>, afferma essere stata un tempo -per più giorni sfolgorante di celeste luce. — Oggidì sappiamo -quanto valore si abbiano codeste storie e miracoli, -che preti ignoranti e pinzochere accreditano -fra le zotiche popolazioni, come che loro non paja bastevole -la buona e sana dottrina del Cristo a persuaderne -la santità della religione. -</p> - -<p> -Agli amatori dell’arte si ponno additare altresì un -buon quadro della scuola del Guercino nella chiesa de’ -<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span> -Santi Gusmeo e Matteo; nella vicina terra di Peglio -vi hanno i dipinti di Gian Mauro della Rovere, altro -de’ Fiamminghini, che ho già mentovati, fra cui il proprio -ritratto nel battistero; una Madonna del far di -Bernardino Luini, una Santa Rosalia della scuola del -Guercino, e minori pitture di un Antonio Scherino del -1635, di Giovanni Valerio, del Rodriguez, del Caracciolo -di Vercana, terra di questi dintorni; oltre la <i>Via -Crucis</i> e il Trionfo della Morte nell’ossario, dipinti nel -1715 da Alessandro Valdini; e a Liro, ne’ cui monti -scopronsi a Darenco, Caprico e Ledi tre piccoli laghi; -nella chiesa abbandonata di San Giacomo vi sono affreschi -che portano la data del 1412 e il nome di -Bernardo Somassi, al quale appartengono, e che metterebbe -conto che fossero esaminati da chi avesse a -ritessere la storia dell’arte italiana, massime ne’ suoi -primi tempi. -</p> - -<p> -Sovra Gravedona i buoni passeggiatori non lasciano -di montare al <i>Sasso acuto</i>, picco, la cui forma è designata -dal suo qualificativo, che ha la vetta rilucente, -ed ha sparso il cammino di lucide tormaline. -</p> - -<p> -Ma non volendoci adesso scostar dal lago, oltre Gravedona -si distende, come in un semicerchio, Domaso, -che si presenta più bello e seducente soggiorno se riguardi -al suo vago prospetto ed all’attività de’ suoi -commerci; ma chi non è avvezzo ai troppo vivi scorrazzamenti -della <i>breva</i>, che sembra qui s’accolga, quasi -l’antro di Eolo, per poi sprigionarsene sul lago, s’accorge -presto che non è sì grato il dimorarvi. Da un’antica -poesia di quell’Anton Maria Stampa che ho ricordato -nella passata escursione, e che il Cantù ha -<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span> -pubblicata, raccogliesi che a que’ di Domaso venisse -a’ suoi giorni appiccicato vituperevole epiteto, per essere -talun del paese trascorso ad alcun atto d’empietà. -Ecco i versi che vi fanno allusione: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O signori, udite come</p> -<p class="i02"> A Domaso sia rimaso</p> -<p class="i02"> Quell’orrendo soprannome</p> -<p class="i02"> Di cui fe’ poc’anzi acquisto,</p> -<p class="i02"> Del mozzar le braccia a Cristo.</p> -</div></div> - -<p> -Più avanti si incontra Gera, sito di pescatori, e più -avanti ancora Sórico; ma le scialbe faccie de’ suoi abitatori -ne avvertono dell’aria malsana a causa d’acque -che vi stagnano; onde sarà bene che noi retrocediamo, -perocchè di malinconie il mio lettore non ha di certo -bisogno, e d’altronde da qui i canneti che vediamo ci -annunciano presso la fine del lago. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span></p> - -<h2 id="esc22">ESCURSIONE VENTESIMASECONDA. -<span class="smaller">REGOLEDO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. — Dorio, Carenno -e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. — L’Orrido. — Il Sasso -di Morcate. — Riva di Gittana. — Varenna. — Albergo e villa Venini. — L’Uga -e la Capuana. — Il Fiume Latte. — Regoledo. -</p> -</div> - -<p> -Poichè siamo a capo del lago, visitiamo rapidamente -anche le altre terre della sponda opposta a quella che -abbiamo veduta. -</p> - -<p> -Prima si presenta Olgiasca; ma non ti rallegra: delle -sue pietre calcaree silicee si fecero le colonne di S. Lorenzo -di Milano, e al nostro tempo quelle dell’Arco -del Sempione. Hai appena oltrepassato le case, che -vedi addentrarsi il villaggio di Piona, forse da Peonia -de’ Greci, che ha un piccolo ma pescoso lago, un vecchio -ma bel monastero, ed una chiesa che si pretende -esistere fin dal sesto secolo, perchè un’iscrizione che vi -si lesse la disse consacrata da Sant’Agrippino nel 607. -</p> - -<p> -A poca distanza schierasi sul lido il paese di Colico, -e le febbri che vi dominano sembrano legittimare il -suo nome. Ciò malgrado, è attivissimo scalo, quivi mettendo -capo i piroscafi che muovono da Como e moltissime -<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span> -navi di mercanzia e i molti viaggiatori diretti al -paese di Chiavenna e di Valtellina; come le merci e i -viaggiatori che si dirigono da questi luoghi a Lecco, -Como e Milano. Un dì fu contea eretta dai Visconti -pei Sanseverino; poi infeudata dal duca Lodovico Sforza -al proprio cameriere Giovanni Casati, che dovette in -seguito restituirla alla giurisdizione dei Comaschi, che -provarono d’avervi diritto. I Caldarini l’ebbero poscia -da Carlo V; e dopo passò prima ai Pusterla, quindi -ad Anton Maria Quadrio e da ultimo a un Rubini di -Dervio. -</p> - -<p> -Si succedono a Colico tre altre terre con nomi grecanici, -Dorio, Corenno e Dervio, corrotti forse da Dori, -Corinto e Delfo; d’interessante, Corenno presenta un -castello di spettanza dei conti Andreani, e Dervio pure -una rôcca di pittoresco effetto. -</p> - -<p> -Più assai offre argomento di intrattenerci la bella -borgata di Bellano, che vi tien dietro e già fu corte -degli arcivescovi di Milano, come ce lo fe’ sapere quel -simpaticissimo ingegno, nativo di questo luogo, che fu -Tomaso Grossi, nel suo <i>Marco Visconti</i>. -</p> - -<p> -Ha bella chiesa del secolo XIV di stile lombardo, a -fasce la facciata di marmo bianco e nero, con bel finestrone -rotondo nel mezzo recinto di fogliami in terra -cotta. Se ne dà merito a Giovan da Campione, Antonio -da Castellazzo e Cornelio da Osteno, i quali la architettarono. -Or s’è fatto un bel viale lungo il lago a -comodo di passeggiata, e lo si denominò dal sullodato -concittadino poeta e notajo Tomaso Grossi, che col -Manzoni tenne per tanti anni in Milano il primato -delle lettere italiane, alle quali, oltre al <i>Marco Visconti</i> -<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span> -summentovato, che sarà sempre una bella e cara -lettura, diede eziandio un poema dal titolo <i>I Lombardi -alla prima Crociata</i>, e le novelle patetiche <i>Ildegonda</i>, -<i>La Fuggitiva</i> e <i>Ulrico e Lida</i>, nonchè crebbe dicevolmente -la collana de’ poeti vernacoli milanesi colla -stessa <i>Fuggitiva</i> in dialetto, colla <i>Prineide</i> e colla <i>Pioggia -d’oro</i><a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>. Milano eresse alla sua memoria una statua -nel cortile del Palazzo di Brera, opera di Vincenzo -Vela, perocchè l’ebbe come suo per lunghissimo soggiorno; -e Bellano ne commise il busto allo scalpello -di Antonio Tantardini, onde collocarlo a capo del detto -viale. Ma vorrei che l’obolo de’ suoi compaesani e degli -amici ed estimatori che già concorsero, affrettasse -l’esecuzione di questo che poi non è costosissimo monumento. -Son già molt’anni che se ne parla. -</p> - -<p> -Era pure di Bellano Sigismondo Boldoni, medico ed -egregio latinista e poeta del secolo XVII, avendo -scritto in ottave la Caduta dei Longobardi, e latinamente -intorno agli avvenimenti del suo lago. -</p> - -<p> -Dalla Valsássina, che finisce a Bellano, giunge la -Pioverna, torrente che qui, gettandosi da un’altezza -di forse sessanta metri, produce un orrido cui traggon -tutti a vedere. Quando il luogo di sua caduta apparteneva -alla famiglia Fumagalli, dalla quale ero -considerato ne’ miei giorni d’infanzia coll’affetto di -figliuolo, e che io, dopo tanta lontananza di tempo ho -<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span> -sempre nel cuore, su quell’abisso eravi un ponte sospeso -a catene, sul quale essendo, anche perchè paresse -malfermo e dondolasse, si rabbrividiva. -</p> - -<p> -Io non lo vidi, perchè già rotto nel 1816 da un -masso che vi era rovinato. -</p> - -<p> -Ora il luogo divenuto proprietà dei signori Gavazzi, -questi usufruttarono di quell’acqua per dar anima -e moto ad officine, setificî, lanificî, cartiere, laminatoi -e mulini, essendo ora Bellano uno de’ paesi del lago -più industriosi. -</p> - -<p> -Poichè vi siamo presso, andiamo ora a vedere Varenna. -</p> - -<p> -Passiamo pel Sasso di Morcate, cui la mina ha squarciato -le viscere, per continuarvi la strada militare, e -giungiamo alla Riva di Gittana, di cui in addietro appena -appena si sapeva da’ barcaiuoli il nome; non -adesso che da tutte parti vi arriva la gente per ascendere -a Regoledo, luogo silvestre non è gran tempo, divenuto -oggidì uno de’ più popolati ritrovi termali. -</p> - -<p> -Ma prima di ascendervi anche noi, proseguiamo a -Varenna, che fu già nella dipendenza degli arcivescovi -di Milano. Già fiorente un dì, non conta ora più -di un migliaio di persone, ciò che non impedisce che -viva tuttavia sul labbro de’ suoi abitatori il ritornello -che stereotipa il carattere de’ suoi abitatori: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Varenna su uno scoglio,</p> -<p class="i01">Del mio non ho, del tuo non voglio;</p> -<p class="i01">Ma piena son d’orgoglio.</p> -</div></div> - -<p> -La grandiosa villa che quivi avevano gli Isimbardi -fu ridotta ad albergo; i Venini ve l’hanno ancora; il -<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span> -clima è più che proprio a mantenervi anche fiori e -piante esotiche. -</p> - -<p> -Poco discosta è la fonte Uga, che sgorga da un antro -e trascorrendo sotto di un pergolato di allori, -scende e s’unisce alla cascata artificiale della sottoposta -Capuana. -</p> - -<p> -Finalmente si giunge alla cascata del Fiume Latte, -le cui acque, per un cammino lunghissimo entro le viscere -del monte, si gittan poi spumeggianti e fredde -per un’altezza di trecento metri pei dirupi, e dopo -d’avere rumorosamente giovato a mulini, ad una fabbrica -di vetri e ad un filatojo, si confondono coll’acque -del lago. -</p> - -<p> -Retrocediamo ora alla Riva di Gittana e saliamo a -Regoledo. -</p> - -<p> -Chi parlava prima di Regoledo? Francesco Maglia -di Milano, fabbricatore di carta, ritrattosi dal commercio, -che abbandonava a’ suoi figli, su questa deliziosa -e facile altura, che è di soli 225 metri sul -livello del mare, vi edificò coraggiosamente un vasto -e comodo stabilimento idroterapico. -</p> - -<p> -Superate le prime difficoltà che accompagnano sempre -qualunque impresa ardita, Regoledo è divenuta -ora una stazione estiva di moda. La sua posizione felice, -il facile modo di giungervi, il buon trattamento, -tutti gli apparecchi e le innovazioni dell’idroterapia, -e l’assistenza d’un medico specialista, vi chiamano la -più eletta compagnia, che anche rinnovandosi, non -perde mai di suo valore. -</p> - -<p> -Da qui si può muovere a stupende escursioni, oltre -che sul lago, anche per la Valsássina, sul Moncodine -<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span> -e sulla Grigna. La vegetazione che circonda Regoledo -è bella e perfino lussureggiante, le acque son copiose, -deliziosi i prospetti, l’aria pura ed eccellente; e però -s’anco il medico non lo ordini, pellegrinate ne’ mesi -di luglio e di agosto a Regoledo e vi ci starete, sotto -tutti i riguardi, a meraviglia. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span></p> - -<h2 id="esc23">ESCURSIONE VENTESIMATERZA. -<span class="smaller">IL MERCATO DI LECCO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I Marroni. — Perledo -e la Regina Teodolinda. — Lierna. — Olcio. — Villa -Pini. — Mandello. — Abbadia. — La -Gessima. — Lodovico Savelli. — Le Caviate -e la Maddalena. — La strada militare. — Onno. — Parè. — Lecco. — Il -Maglio. — Acquate e Pescarenico. — Il Galeotto. — Il Mercato di -Lecco. — Le <i>robiole</i>. — Gli alberghi del <i>Leon d’Oro</i> e della <i>Croce di -Malta</i>. -</p> -</div> - -<p> -Noi coglieremo un bel giorno di sabato del mese -d’ottobre per imbarcarci mattinieri sul piroscafo, che -partito da Como, non va già, come d’ordinario, a Colico, -ma a Lecco, perchè a chi villeggia lungo il Lario, -come a chi villeggia nella Brianza superiore, il mercato -che si fa a quella piccola ma leggiadra città, è -una delle imperscrittibili mete alle eleganti escursioni. -</p> - -<p> -Noi abbiamo già dimezzato il cammino, ritrovandoci -già oltre la punta di Bellagio, ed entrati in quel ramo -del lago che appunto s’incammina a Lecco. -</p> - -<p> -E prima di scostarci da queste sponde, dopo la Sfondrata, -oltre quel gruppo di povere case che si intitola -Vassena, il romanzo di Grossi, che tutti abbiamo letto, -ci suggerisce d’occuparci di Limonta, “terricciuola, — è -<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span> -scritto nel Marco Visconti — pressochè ascosa fra i -castani al guardo di chi, spiccatosi dalla punta di Bellagio -per navigare verso Lecco, la cerca a mezza costa -in faccia a Lierna. Cominciando dall’ottavo secolo fino -agli ultimi tempi che fur tolti i feudi in Lombardia, -essa fu soggetta al monastero di Sant’Ambrogio di Milano, -e l’abate, fra gli altri titoli, aveva quello di conte -di Limonta e di Civenna, terra più in alto, al lembo -della Valassina.„ I geologi e gli archeologi ricordano -sovrastante a Limonta un masso del volume di circa -cinquanta metri cubi, che sembrerebbe rovinare ad -ogni più lieve scossa, ma che è sorretto invece da tre -pietre della medesima natura. Su questo trovante si -leggono scolpite le lettere: -</p> - -<p class="center"> -P. L. D. B. -</p> - -<p> -che il chiarissimo archeologo cavaliere Bernardino -Biondelli, interpretò per <i>Pietra Luna di Bellagio</i>. Infatti -si denomina <i>Pietra Luna</i> un tale trovante e lo si -pretende una reliquia del culto celtico, come qui dal -linguaggio celtico si hanno più vestigia in molti nomi -di paesi e monti, come Grianta e Grosgalli. Completerò -le notizie intorno a questa minima terra, ricordando le -cave di gesso che son proprio a lido, e quelle di marmo -nero sul fianco del monte; onde gli scoppi delle mine -destano frequentemente gli echi di quest’ultimo contrafforto -delle Alpi; e per coloro che sono alquanto più -epicurei, ricordando che il luogo è celebre pe’ suoi saporiti -marroni. Anche la vicina terra di Civenna divide -una tale gustosa particolarità, che un giorno era tutto -a profitto dei detti monaci di Sant’Ambrogio. Qual -<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span> -gaudente non si sarebbe fatto monaco allora? Le più -belle ville, le leccornie migliori, privilegi d’ogni sorta, -immunità, tutto era per essi. -</p> - -<p> -La citazione del Grossi rammenta Lierna che sta in -faccia a Limonta, ed è paese su’ cui greppi soprastanti -si fanno vini che dicono buoni per chi patisce di gotta -e di calcoli, mali oramai resi troppo comuni. -</p> - -<p> -Più in alto è Perledo, da dove si ha una magnifica -vista. Lassù, dicesi dalla tradizione che la Regina Teodolinda — la -quale in tutta questa parte di Lombardia -si ha tutti i momenti e per tutte le occasioni alla -mano —, dopo d’avere abdicato in favore del figlio -Adaloaldo, s’avesse a ritirare per ivi passare nella -quiete i vecchi giorni<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>. -</p> - -<p> -Su questa riva orientale, dopo Lierna, si incontra -Olcio, ove si scava pure marmo nero, del quale parte -va alla fabbrica del duomo di Como; quindi si arriva -a Mandello, grosso paese, dove il palazzo Airoldi, ora -Pini, contavasi fra i più suntuosi del lago. -</p> - -<p> -Oltre Mandello è l’Abbadia, così chiamata per una -antica badia che fu prima de’ Benedettini, e quindi -de’ Servi di Maria, e vi son case di villeggiatura. Più -avanti, verso Lecco, è la Gessima, luogo brullo e sassoso, -che trae forse il suo nome dalla roccia propria a far -gesso, e va ricordato da Paolo Giovio pel fatto miserando -intervenuto a Lodovico Savelli, che, essendosi -inerpicato per questa scogliera, scivolatogli il piè, e giù -<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span> -rovinando, potè nella caduta avvinghiarsi ad un ramo -sporgente e colà vi stette, colla forza dell’istinto che -ognuno ha della propria conservazione, per ben cinque -ore; finchè, più non potendovisi sostenere e mancategli -le forze, stremate vieppiù dalla sferza del sole, malgrado -che que’ terrieri, inorriditi spettatori di quella -scena, gli avessero disposto sotto letti di felci, di strame -e di materassi, giù lasciandosi andare, prima di toccar -terra s’era già reso cadavere. — Seguono le Caviate e -poi la Maddalena, casali ultimi che rompono l’uniformità -della strada militare, la quale da Lecco dirigesi -a Colico e che corre tra il lago e la montagna brulla, -cui di tratto in tratto ha squarciate, per aprirsi il -varco, le pendici. -</p> - -<p> -Sull’opposta riva, rimpetto a Mandello, sorge il paesello di Onno, dove a notte le ardenti fornaci ti dicono -che vi si produce calce; poscia Parè, sovra cui spuntano -que’ picchi che si chiamano i <i>Corni di Canzo</i>, perchè -dall’opposto versante sogguardano la grossa borgata -di Canzo, e che stando sui bastioni di Milano, in una -limpida giornata, si veggono a incitamento de’ molti che -vi traggono a passare alle lietissime falde le autunnali -vacanze. -</p> - -<p> -Ma ritraversiamo lo sguardo: Lecco c’è in faccia; -la campanella del piroscafo ci annunzia che ci accostiamo -al lido. -</p> - -<p> -Entrati in questo bel bacino tutto recinto di monti, -non è possibile non ripetere mentalmente il saluto a -questi luoghi, che leggemmo nel capitolo VIII dei <i>Promessi -Sposi</i>: “Addio, montagne sorgenti dalle acque -ed erette al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto -<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span> -tra voi, e impresse nella sua mente non meno che lo -sia l’aspetto de’ suoi più famigliari; torrenti, de’ quali -egli distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come -branco di pecore pascenti; addio!„ -</p> - -<p> -Con questa soave reminiscenza di Manzoni vi ho invitato a guardare tutto l’ameno territorio, che sembra, -pei tanti paesi che si succedono senza interruzione, una -sola città, fin su a Laorca, da dove per un risvolto di -via si entra nella Valsássina. -</p> - -<p> -Ma che è codesto cupo e cadenzato rumore — potrà -chiedere il lettore che mai non fu a Lecco — che s’intende lontano? — Gli risponderò coi superbi versi di -Foscolo, che fu in questi luoghi ad ispirarsi, e ch’io -spicco al <i>Carme delle Grazie</i>, e il quale tutto spira -attica fragranza e venustà: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Come quando più gajo Euro provóca</p> -<p class="i01">Sull’alba il queto Lario e a quel sussurro</p> -<p class="i01">Canta il nocchiero, allegransi i propinqui</p> -<p class="i01">Lïuti e molle il flauto si duole</p> -<p class="i01">D’innamorati giovani e di ninfe</p> -<p class="i01">Sulle gondole erranti; e dalla sponda</p> -<p class="i01">Risponde il pastorel colla sua piva.</p> -<p class="i01">Per entro i colli rintronano i corni</p> -<p class="i01">Terror del capriol, mentre in cadenza</p> -<p class="i01">Di Lecco il maglio, domator del bronzo,</p> -<p class="i01">Fuma dagli antri ardenti; stupefatto</p> -<p class="i01">Pende le reti il pescatore, ed ode.</p> -</div></div> - -<p> -È dunque il maglio delle officine di ferro di Castello -e San Giovanni, il cui martellare mi svegliava nel religioso -efebeo a’ giorni della mia adolescenza. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span> -</p> - -<p> -È, fra tutti i paesi che vedete sparpagliati in questo -bel pendio fiancheggiato dal monte di San Martino e -dal Resegone, che stanno Acquate all’insù, a lido -Pescarenico, ove seguirono tante interessanti scene -del romanzo del sommo nostro Manzoni, fatto così popolare -che non v’abbia persona che, giungendo a -Lecco, non s’informi d’ogni luogo in quel libro mentovato. -E così pure domanda ognuno dove sia il <i>Galeotto</i>, -bella palazzina dove il Manzoni appunto dimorò -tanto tempo quando attendeva a scrivere questa sua -opera d’oro, e che sta a mano destra di Lecco, a poco -più d’un quarto di miglia. -</p> - -<p> -Ma via, scendiamo dal battello che è approdato, -tocchiamo la terra che ha tenuto parola al vaticinio -di questo illustre scrittore, affrettandosi a diventare -città; e la è infatti per attività di commerci, se non -per ampiezza, e mettiamoci nel mercato, che già ferve -da più ore. -</p> - -<p> -Gentili signore e molte nostre cittadine conoscenze -lo percorrono su e giù. A che mai son venuti? Quale -attrattiva li ha chiamati? Non è già la brama di ammirarne -le derrate e le merci esposte; chi mai ad esse -ha pensato? Per quanto siano peregrine le <i>robiole</i> o -cacini di Introbbio, che Valsássina vi spedisce, non son -esse di certo per cui sono accorse. Ma per che dunque? -La voga. È detto che il mercato di Lecco sia una gran -cosa, massime a’ sabati d’ottobre, e ognun vi corre che -stia in villa, o lungo il lago, o nel vicino Pian d’Erba, -o nella restante Brianza superiore. Gli è che ognuno -serve di spettacolo all’altro: giugne una carrozza, ne -giugne un’altra; gli uni attendono a vederne scendere -<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span> -gli altri; son persone che si conoscono, che si salutano, -che si stringono la mano, si baciano, si scambiano notizie -e complimenti; poi a braccetto si passeggia a -veder altri, poi si parla e si sparla di tutto; si ingombra -il caffè; si impegna a fermarsi per la sera al teatro, -che per consueto ha in autunno buona compagnia -di canto; poi, se sì, si va all’albergo, il <i>Leon d’Oro</i> o -la <i>Croce di Malta</i>, forniti d’ogni comodità; se no, dopo -un pajo d’ore, chi rimonta in carrozza, chi riascende -il vapore; gli uni vanno di qua, gli altri di là, tutti -ritornano alle loro ville a diffondere alla loro volta le -notizie e i pettegolezzi uditi, e a domandarsi spesso: -ma infine, che cosa v’era a Lecco? Perchè vi ci si -va? — e malgrado che la risposta che ognuno si dà a -sè stesso non contenga grande costrutto, pure il sabato -successivo vi si ritorna. Andatevi dunque anche -voi, o miei cortesi lettori. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span></p> - -<h2 id="esc24">ESCURSIONE VENTESIMAQUARTA. -<span class="smaller">VALMADRERA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti illustri. — La -chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. — Valmadrera. — La Chiesa. — Il -trovante utilizzato. — Le Cappelle della <i>Via Crucis</i>. — La villa -del signor Egidio Gavazzi. — La villa del signor Pietro Gavazzi. -</p> -</div> - -<p> -Essendomi proposto di condurre il mio lettore dal -lago di Como al Pian d’Erba, dopo il mercato di Lecco -non l’obbligherò a rifar la via del lago; ma traversatolo -in carrozza sul bel ponte di sotto il quale esce l’Adda, -volgiam verso Malgrate che fronteggia Lecco, dove -sono belle ville, e il colle o promontorio che si spinge -nel lago, il qual si mostra tutto verdeggiante pei giardini -che vi si adagiano. Sul vertice di esso si signoreggia -tutto il vaghissimo territorio; e presso vi sono -sparse altre case signorili e ville, e il tenere de’ Fate-bene-fratelli -di Milano, che qui, come a Valmadrera, -vi ereditarono dai Mandelli. -</p> - -<p> -Sempre quegli eterni etimologisti pretendono far -credere che Grato si chiamasse prima questa terra, -ma che per una immane strage che vi fecero i Comaschi -<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span> -nel 1126, mutasse in quello di Malgrate il nome; -non altrimenti, per l’opposto, era accaduto a Malevento -ne’ primi tempi della romana repubblica che una -fortunata battaglia facesse alla città cangiare il nome -in Benevento, che serba tuttavia. -</p> - -<p> -In Malgrate han casa gli Agudio, ed era in essa che -Giuseppe Parini, ospite del canonico Candido Agudio, -scriveva gran parte del suo poema <i>Il Giorno</i>. Anche -il poeta vernacolo Balestrieri, vi fu ospite festeggiato e -vi conduceva la traduzione in versi milanesi della <i>Gerusalemme</i> -del Tasso; nè certo vi sarà rimasta muta -la musa del fecondissimo abate Passeroni, che pur vi -conveniva. -</p> - -<p> -Nella chiesa parrocchiale, che sta nella parte più -alta del paese, cerchiamovi i due bei dipinti di Cherubino -Cornienti, rappresentanti l’Annunciazione della -Vergine e la Natività, e vedendoli, si sente maggiore il -rammarico che sì giovane ne sia stato il loro autore -rapito da morte. -</p> - -<p> -Lasciato Malgrate, poco avanti si vede a man destra, -ed adagiata sulle pendici boscose del monte, Valmadrera. -È un grosso borgo industrioso per fiorenti -setificî, massime quello de’ fratelli Gavazzi, e per ottima -calce che vi si cava; e l’attenzione e curiosità vi -son deste per una bella chiesa, sacra a Sant’Antonio, -architettata nel 1814 da Simone Cantoni, con modificazioni -dell’ingegnere Bovara di Lecco, e nella quale -sono affreschi pregevolissimi di Luigi Sabatelli da Firenze, -che vi dipinse la visione dell’Apocalisse, ed un -quadro antico del Lomazzo; un Cristo e Sant’Antonio, -scolture di B. Cacciatori; e per le magnifiche villeggiature -<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span> -del signor Egidio e del signor Pietro Gavazzi, -a non dir di qualche altra del pari interessante. Nè -van dimenticate le cappelle della <i>Via Crucis</i>, di cui -due condotte pure a buon fresco dall’egregio pittore -Vitale Sala da Cernusco Lombardone, che in queste -parti lasciò altre memorie del suo vigoroso pennello. -</p> - -<p> -Nella chiesa, oltre i suddetti affreschi del Sabatelli, -merita essere ricordato che le quattro colonne di granito, -del diametro ciascuna di metri due e mezzo e dell’altezza -di metri ventisette, che sorreggono il cornicione -e la vôlta a mo’ di cupola o lucernario, si sono -tratte da un trovante ch’era sul monte di Valmadrera, -a 1200 piedi sul livello del lago, che equivale a 1854 -su quello del mare. -</p> - -<p> -Nella villa dei signori fratelli Gavazzi poi molte altre -ragioni vi sono di curioso interesse. -</p> - -<p> -A parte la bella posizione sua, che dovette indubbiamente -costare assai al suo proprietario, per superare -le difficoltà della roccia e l’ineguaglianza del terreno; -tanto la casa, o grandioso palazzo che dir si dovrebbe, -quanto il giardino, sono d’una vaghezza incomparabile. -E siccome non tutto boscoso è il monte che serve di -sfondo, ma v’è anche molta scogliera nuda; così tutta -questa delizia si direbbe suscitata dalla magica bacchetta -d’una benefica fata, e il vario genere vi crea il -più grazioso contrasto. -</p> - -<p> -L’arte addita nell’unito oratorio, che è una rotonda -d’ordine corintio, un monumento eretto alla memoria -di Giuseppe Maria Gavazzi, lodevole opera di Benedetto -Cacciatori, e un quadro pure lodevolissimo di -Giuseppe Sabatelli. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span> -</p> - -<p> -Nel giardino è un bel laghetto, perocchè l’acqua vi -accresca vita e bellezza: vi sono profonde e spaziose -grotte, chioschi eleganti e capanne da pastore, macchie -d’alberelli, sabbiosi sentieri, tappeti erbosi, piante peregrine -e fiori; tutto insomma disposto con meravigliosa -sagacità e buon gusto. -</p> - -<p> -Presso alla sala da pranzo e da essa, mediante -un’acconcia vetriata, si vede il giardino detto d’inverno, -dove sono adunate piante e fiori, che sappiano anche -nella stagione inclemente fare di sè bella mostra. Abbandono -il pensiero di venir passando in rassegna le -varie peregrine vegetazioni per tema di voler parere -botanico, non lo essendo. Noto per altro e le stufe opportunamente -erette a grandi vetriate col sistema dell’ingegnere -Balzaretti, che nel giardinaggio è veramente -maestro, e la bella fontana. -</p> - -<p> -Se, in una parola, il lettore vorrà veramente pellegrinare -a Valmadrera, pria d’entrare al vicino Pian -d’Erba, vedrà che la villa dei signori fratelli Gavazzi -sorpasserà di molto quell’aspettazione che le mie povere -e disadorne parole gli avranno per avventura -ispirata. -</p> - -<p> -Non si diparta allora da quella borgata senza visitare anche l’altra villa del signor Pietro Gavazzi. Dal -suo belvedere, che domina il grazioso palazzo, gli -verrà dato di ammirare un leggiadrissimo panorama, -di genere affatto diverso da quelli che, dai culmini -che già abbiamo insieme ascesi, ci accadde di vedere -spiegati avanti di noi. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span></p> - -<h2 id="esc25">ESCURSIONE VENTESIMAQUINTA. -<span class="smaller">IL MONTE BARO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. — Ello. — Ville -Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa Paolina. — La Bellavista -del signor Cereda. — Galbiate. — Palazzi Brioschi e Ballabio. — La -villa Sanchioli e l’eco polisillabo. — Case Curti e Riva. — La chiesa di -S. Michele. — La lapide di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe -archeologiche. — L’effigie -immobile. — La Rôcca di Re Desiderio. — La fanciulla -nel pozzo. — Il Monte delle Crocette. -</p> -</div> - -<p> -Essere in questi dintorni, sentirsi di buona gamba -e volontà di veder cose nuove e provar grate emozioni, -e non ascendere a Monte Baro, è pressochè impossibile. -Pellegriniamovi noi pure, amico lettore, più fortunati -se avremo con noi, e meglio ancora se ci saranno -compagne le signore, perchè allora più lieta, -svariata e simpatica ci parrà la gita. -</p> - -<p> -Eleggiamo la via di Galbiate, che tornerà men faticosa. -E tuttavia questo bel paese è sul ciglio del -monte; ma appunto per questo sarà più divertente -l’escursione nostra. -</p> - -<p> -Mano mano che si ascende, l’orizzonte si allarga. Il -ridentissimo bacino dell’antico Éupili si distende innanzi -a noi. È dall’alto che terrem conto di tutto; intanto le terre che su questo monte, o piuttosto collina -<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span> -si veggono, sono Bartesate e Villavergano; più sopra -Figina, ove si vede una casa che apparteneva agli Umiliati, -e quindi Ello, che conta diverse villeggiature -amenissime de’ Prinetti, dell’Annoni, del signor Pasquale -de’ Vecchi, la villa Paolina, fabbricata dal general -Pino, e quella dei Riva, che ha un giardino da -cui si vede da una parte l’Adda e dall’altra il Pian -d’Erba, e sovratutto quella che già fu del signor Bonomi -ed ora è passata all’ingegnere Cereda, che per -me ha la più simpatica postura della Brianza, come -quella che sorga sulla parte più alta e libera del paese -e domini tutto un meraviglioso orizzonte di monti e -di colli, di laghi, di paesi. L’han detta <i>La Bellavista</i>; -ma siccome è un nome affibbiato troppo comunemente -tra noi a qualunque luogo che appena abbia una -spanna di prospetto o di sfondo, così non rende tutto -l’incanto che realmente possiede. Ben architettato e -comodo ne è il palazzo, e stupendamente da natura -mosso e accidentato il giardino, anzi parco che le sta -intorno, ricco di boschetti e rarità botaniche; insomma -un vero Eden. -</p> - -<p> -Giunti a Galbiate, ci accorgiamo come questo colle -separi la valle dell’Adda da quella dell’Éupili; perocchè -dall’opposto versante veggasi appunto quel fiume, -che uscito tale di sotto del ponte di Lecco, rasenta -Olginate e va giù a Brivio. Il duplice orizzonte è pertanto -un pregio di poche località; godiamolo nel mentre -raccogliamo il vigore per compiere la gita montana -che abbiamo intrapresa. Guardando giù per la parte -donde siamo venuti, vediamo tutta una serie di laghetti: -quel d’Oggionno e quel d’Annone, che ne è -<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span> -appena diviso da una lingua di terra che chiaman -Isella; quindi quel di Pusiano, poscia a mano manca -quel più piccolo di Alserio. Senza molto dubitare si -può essere indotti a credere che un dì fossero tutti -uniti in un sol lago, che Plinio denomina l’Éupili, e -dal quale esce il Lambro, ch’egli chiama il <i>Flumen -frigidum</i>, fiume freddo, che ha le proprie scaturigini -tra le montagne della Vallassina. -</p> - -<p> -In Galbiate poi, passando innanzi a bellissime case e -palazzi, si è tratti a chiedere a chi appartengano: e si -sa che sono proprietarî i Brioschi d’un palazzo, che sta -sulla piazza della chiesa, con magnifiche sale ed ampie -cantine, e che già fu del barone Pietro Custodi, il continuatore -della <i>Storia di Milano</i> di P. Verri e il dotto -economista; d’altro i Ballabio, con magnifico giardino -verso Oggionno, e dove si incominciarono scene dolorose -di domestico dramma, nel quale era catastrofe -l’affogamento d’un bambino e scena ultima la Corte -delle Assise di Milano per lo snaturato suo padre; -quindi la villa Sanchioli, dove esiste un eco polisillabo, -che ripete persino un intero endecasillabo, e le case -de’ Curti e dei Riva. -</p> - -<p> -Se accadrà al lettore di tornare altra volta in Galbiate, -perchè oggi siam diretti a Monte Baro, girando -intorno al colle verso la parte della valle dell’Adda, -non lasci di visitare la chiesa di San Michele che sta -sul pendio verso Lecco. La sua fondazione è attribuita -a Desiderio, l’ultimo re longobardo, e vi godrà di altro -nuovo orizzonte, perchè si vedrà in faccia tutto il territorio -di Lecco e il corso serpeggiante dell’Adda. -</p> - -<p> -Prima di lasciare Galbiate, decifriamo la lapide che -si vede sulla piazza della chiesa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span> -</p> - -<p> -Essa suona così: -</p> - -<p class="center"> -Libertas<br /> -Quæ toto non bene venditur auro<br /> -Labore lite prætio parta<br /> -Galbiatensi viciniæ ac finitimis oppidis<br /> -Regia concessione firmata tandem arrisit<br /> -Felix dies XVII junii anni MDCLXXI.<br /> -Que infeudationis ac omnis inferioris judicii<br /> -excusso onere<br /> -Populus hic sub potentiss. regis Hispaniarum<br /> -Vicaria potestate nempe mediolanensis Senatus<br /> -Se immediate redegit.<br /> -Tantæ exemptionis memoriæ<br /> -Quam Francisci Georgii Ottolini<br /> -Regiæ ducalis Cameræ notarii<br /> -Autentica scripta privatim asservant<br /> -Hujus lapidis retentivæ custodiæ<br /> -Publice resignantur<br /> -Die XVIII septembris anno MDCLXXI<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>. -</p> - -<p> -Così impariamo che Galbiate, ch’era una volta dipendenza -del feudatario della Pieve d’Oggionno, ebbe -a comperare a’ 17 giugno 1671 la propria emancipazione. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span> -</p> - -<p> -Ora ripigliamo la strada pel monte Baro. Essa è -montuosa, ma non aspra, e presto vi si arriva. -</p> - -<p> -Figuratevi quanto s’esercitasse l’erudizione intorno -a questo monte! S’è detto prima che su questa sua -vetta, dove noi ci troviamo adesso, vi fosse nientemeno -che una città e che questa si denominasse Bara, i cui -abitanti andassero poi a fondare Bergamo. Gli è tutto -un sogno codesto, chè nulla rimase che dia presa soltanto -ad argomentare che qualche fondamento avesse -di verità, dove s’eccettui il nome del monte. Ma pure i -barbassori che misero innanzi tal fiaba, sono nientemeno -che Plinio il Vecchio, il quale per altro ciò afferma -sulla fede di un vecchio autore, che dice essere -Catone. E a Bara e da’ suoi abitatori si vuole discesa -tutta la famiglia briantea. -</p> - -<p> -Non so poi davvero di qual ragione possa valere a -rafforzare questa pretesa la tradizione di quella vecchia -e rozza effigie che si venerava quassù, e che essendosi -tentata da’ divoti di rimovere, onde porla in -luogo più dicevole ed accessibile, non solo non vi riuscirono, -ma rimasero colpiti da cecità. Ciò riferirebbesi -ad êra cristiana. Quella effigie fu rivolta a culto cristiano, -e quei di Galbiate vi eressero anzi una chiesa, -nel 1480, che poi ebbero i Francescani, i quali vi studiarono -la riforma del loro ordine, e vi stettero finchè -Giuseppe II, nel 1810, volle sbarazzarsi di frati e di -conventi. -</p> - -<p> -Qui sul monte vuolsi ancora che re Desiderio vi -avesse una rôcca; e qui davanti alla chiesa, non fan più -di quattr’anni, che in quel pozzo che vi si vede, precipitasse -un’inconscia fanciulla, credendo riparare entro -<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span> -il recinto di muro dalla furia d’una buféra. Dicono vi -rimanesse inavvertita ben sette giorni, a capo de’ quali, -venuti per cagion d’una festa gli apparatori e udendo -ascendere da quella profondità un gemito, calati dentro -vi rinvenissero viva ancora, sebbene intirizzita, la -poveretta che sopravisse con meraviglia di tutti. -</p> - -<p> -La vista da questa altura è maravigliosa, più che -per la sua estensione — perchè da oriente è arrestata -dalle vette de’ monti che le stanno in faccia, — per la -sua vaghezza. Le digradanti colline che le stan sotto, -i laghi che sembrano gli bacino i piedi, quel di Lecco -e l’Adda da una parte, e quei di Oggionno e d’Annone -dall’altra; gli altri leggiadri bacini, la miriade di paeselli -e di casali disseminati per la valle dell’Adda e -dell’Éupili, prestano allo sguardo uno di que’ panorami -che a parole mal si sanno descrivere. -</p> - -<p> -Una bella selva di faggi sussiste ancora, entro cui i -buoni Francescani s’erano aperta un’incantevole via, -che se serviva di delizioso passeggio a que’ frati, or -vale a riposo di chi pellegrina a questa vetta. -</p> - -<p> -Più su si sale al cocuzzolo del monte, dove furono -infisse nel suolo tre crocette, che si veggono stando al -basso della valle e che a quel più alto vertice fan dare -il nome di Monte delle Crocette. Ivi naturalmente si -allarga ancor più l’orizzonte e spazia vieppiù la vista. -</p> - -<p> -Ma l’ora si è fatta alta, e la salita, l’aria sottile del -monte ci hanno reso acuto l’appetito; mano alle provvigioni. -Non dimentichi il lettore la purissima linfa -del monte, e con Properzio gridi a chi lo serve: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Et puris manibus sumite fontis aquam.</i></p> -</div></div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span></p> - -<h2 id="esc26">ESCURSIONE VENTESIMASESTA. -<span class="smaller">LA VALLE DELL’ORO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — Il re Desiderio -e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — La Valle dell’Oro. — Barzaguta. — La -cascata. -</p> -</div> - -<p> -Come già notai in una precedente escursione, anche -dai bastioni orientali della nostra Milano, fra quella -lunga fila di montagne di cerulea lontananza che contermina -l’orizzonte, si distingue quel monte che elevandosi -in due acute punte, vien detto dei <i>Corni di -Canzo</i>, dal bel paese che loro dà il nome, e che divide -la Brianza dalla Vallassina. Era ad essi che Giovanni -Torti, il poeta della <i>Torre di Capua</i> e dei versi che -Manzoni additava come <i>pochi ma valenti</i>, faceva cenno -in questi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O selvose montagne, o gioghi erbosi,</p> -<p class="i01">O di lontan sovreminenti al verde</p> -<p class="i01">Cornuti massi, o dolce aere vitale...</p> -</div></div> - -<p> -Come appendice di questo monte, si protende un bel -declivio che vien morendo in riva al lago di Annone. -Su questo allegro pendío si posa il villaggio di Civate, -<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span> -o Clivate, come appellavasi in addietro, derivando la -propria denominazione dalla sua stessa postura. -</p> - -<p> -Fu già Civate una grossa terra, che v’ha chi pretende -perfino essere stata una piccola città, argomentando -da alcune vicinanze, come <i>Borneu</i>, che vorrebbe dire -Borgo nuovo, Castello o Castelnovo e la Selva di -Diana. Certo in tempi meno rimoti fu signoria degli -Abbati Commendatori del monastero benedettino de’ -SS. Pietro e Calocero, il quale sorge a mezzo del monte -che sovraggiudica il paese stesso, e la storia e la tradizione -hanno lasciato e all’eremo ed alla chiesa tutto -ancora quell’interesse che pur l’avevano allorquando -l’abbazia era nel pieno suo fiore. -</p> - -<p> -Per chi amasse conoscere per filo e per segno della -origine del cenobio e della chiesa, degli scrittori che -ne han parlato, fra’ quali Tristano Calco ed il Fiamma, -Bernardino Corio e Ripamonti, per non dire dei -tanti altri, farà bene a consultare le <i>Memorie storiche</i> -che pubblicava l’abate Longoni<a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>. -</p> - -<p> -Tutti i cronisti, scrive codesto autore, citando il -Corio, concordano quindi nell’affermare che Desiderio, -l’ultimo re longobardo, innalzasse la chiesa di S. Pietro -per compiere il voto per la guarigione del figlio -Adalgisio od Adelchi, come lo chiama il Manzoni. Desiderio -amava oltremodo questo suo figlio, che viene -dipinto da Paolo il Diacono, da Varnefrido e da Manzoni -<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span> -stesso come duce valoroso; e lo avea in tanta considerazione, -da chiamarlo a parte del regno, dividendo -con esso lui gli onori ed il peso della corona. -</p> - -<p> -Il Corio narra come Desiderio, dopo la sconfitta -avuta da Adriano a Spoleto, oppure, come meglio si -vuole, dopo la fuga e la rotta de’ Longobardi dispersi -dall’esercito franco, si ritirasse colle sue genti ne’ monti -della Brianza ad un luogo detto Montebaro, dove si -fortificasse in modo che di un monte solitario fosse divenuta -una vera città opulenta. È quindi probabilissimo, -inferisce il Longoni, che trovandosi in que’ luoghi -andasse a caccia per quei circonvicini monti, che a -quell’epoca erano per le folte selve abbondanti di selvaggina, -e che abbattutosi Algiso in qualche fiera, che -viene chiamata nelle cronache porco selvatico (cinghiale), -o fosse assalito da essa, o nell’ucciderla restasse -offeso dalle armi proprie o da quelle di altro -cacciatore di lui seguace. Forse i monaci Benedettini, -che si erano già sparsi nell’Italia e stabiliti negli eremi -i più solitari, soccorsero il giovane Algiso o Adelchi -nella sua sventura e lo curarono con affetto; per cui -re Desiderio, mosso dalla premura da essi addimostrata, -fece loro erigere una chiesa più vasta di quella di San -Benedetto, che forse già esisteva, e la dotò di beni. -</p> - -<p> -Ma il Corio stesso riferiva supposizione diversa, -quella cioè che il Fiamma aveva diggià udito. -</p> - -<p> -“Questo tempio fece edificare Desiderio a similitudine -della Chiesa Pontificale in Roma. Et la cagione -intervenne che, andando un dì Algisio, suo figliuolo, -con assai comitiva et gran numero di carri alla caccia -di porci (cignali) su quel monte dove è edificato il -<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span> -tempio, a caso ferendo un porco, di subito, per divina -volontà, divenne cieco. La qual cosa intendendo il padre -il votò a S. Pietro ad honore di cui, al figliuolo -essendo ritornato il vedere, nel monte predetto fece -edificare il memorato tempio e quello dotò di honoranti -redditi, siccome nei suoi privilegi si contiene e -per li quali si vede ancora la indulgenza che Adriano -pontefice gli concesse.„ -</p> - -<p> -La quale opinione dello storico milanese riceve il -suo valore dalla popolare tradizione che ancora sussiste: -perocchè i molti devoti che traggono a quella chiesa -sogliano lavare gli occhi in una fonte di acqua viva -che scaturisce presso alla stessa, e che pretendono sia -pur quella che rese la vista all’infelice Adelchi. -</p> - -<p> -Ma che c’entrano, chiederà il lettore, tutte queste -leggende colla Valle dell’Oro, di cui vi siete proposto -di dire? -</p> - -<p> -— C’entrano sì, o discreto lettore. -</p> - -<p> -Perocchè, se visitando il Pian d’Erba, piace a te per -avventura fra le cose meglio interessanti salire a que’ -venerabili avanzi dell’antico, dove tanta storia di nostra -casa si può imparare, e sarà certo fra’ tuoi migliori -partiti che ti allegrino il delizioso soggiorno, una delle -due vie che vi conduce, transita appunto per la piccola -Valle che si denomina dell’Oro; ed io, ponendoti -al giorno della pietosa tradizione che ancor ripetesi -dalla buona gente della montagna, ho pensato meglio -invaghirti a salire per l’erta scabrosa, prendendo quel -sentiero che parte da Civate, anzi che dal più agiato -viottolo che dalla Croce così detta di Pieve mette fra -dirupi e cespugli alla medesima meta. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-256b"></a> - <img src="images/ill-256b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Valle dell’Oro.</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span> -</p> - -<p> -L’orrido pittoresco della Valle dell’Oro è del più -bello artistico che immaginare si possa. Perchè chiamata -dell’Oro, non è presto detto, variando al proposito -le sentenze. V’ha chi attribuisce questo nome alle -molte piante d’alloro di cui tutta quanta era un tempo -disseminata; v’ha chi pensa esistesse un giorno qualche -aurifera miniera, ma di traccie non se ne riscontrano; -v’ha chi poi lo vorrebbe derivare — e potrebbe -essere probabile — dal cognome di alcuna famiglia che -là ebbe un giorno a possedere. Ma di siffatte investigazioni -non credo possa venirne utile a chichessia e -però passo oltre. -</p> - -<p> -Presso al poggio, designato da quei del paese col -nome di <i>Barzaguta</i> (balza acuta), si discende verso un -torrente, le cui acque nella caduta mettono in movimento -mulini e filatoi. Poco dopo ne si para dinanzi -una magnifica cascata, quella appunto di che or ti si -offre il disegno. Il fondo di questa incantevole scena è -costituito da due altissime e smisurate roccie, e le acque, -precipitando spumeggianti e rumorose, formano -nel letto del torrente un bel bacino. Al piede di esso -l’occhio si perde in una gola oscura, attonito dapprima -per le dirupate frane e pei pensili massi che sembrano -ad ogni istante rovinare, e se mai ti piglia il talento -di ascendere al sommo della cascata, una rozza gradinata -praticata nella roccia ti agevola la salita. -</p> - -<p> -Oh sì, fra tanto frastuono delle acque cadenti, e fatto -maggiore dagli echi che si ripercuotono, l’anima nostra -è compresa da un insolito sentimento fra la meraviglia -e l’orrore; gli svariati effetti di luce, le tinte ora cariche, -ora sfumanti della intera scena, e quelle ombre, -<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span> -che i pittori chiamerebbero <i>portate</i>, e il cupo verde -de’ cespugli, e il gruppo degli alberi, e l’enormità de’ -macigni, ne ingigantiscono così quelle sensazioni che -ognun si sente quasi incatenato al luogo e mal si sa -togliersi di colà. -</p> - -<p> -Il geologo poi in quest’orrido della Valle dell’Oro -studia uno dei fatti più curiosi della sua scienza; cioè -il gran banco madreporico, anzi muraglia di corallo -che si stende per tutta la Lombardia, dove mal distinto -dalla dolomia bianca e grigia che può dirsi azoica, -dove conservando le forme di polipaio. -</p> - -<p> -Valle dell’Oro è pur chiamato quel povero gruppo -di capanne, al quale scorge il sentiero che percorre la -costa della rupe, e se il cammino scabroso ti ha fatto -stanco, una polla di limpida e fresc’acqua colà ritrovi -che ti ristora dall’arsura e ti fa cuore a terminare -l’aggradevole pellegrinaggio. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span></p> - -<h2 id="esc27">ESCURSIONE VENTESIMASETTIMA. -<span class="smaller">LA CASA DEL PARINI.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San Fermo. — Bosisio. — La -Chiesa e l’Oratorio — Casa Banfi. — Monumento ad Appiani -e Parini. — Uno stregone dei tempi antichi. — La casa del Parini. — Lapide -commemorativa. — Onta lavata. -</p> -</div> - -<p> -Discendendo dall’altura di Civate, rasentati i laghi -d’Oggionno e di Annone, de’ quali il lettore s’è già -intrattenuto per averli veduti dalle vette di Galbiate -e di Monte Baro, pigliamo la via che mena a Bosisio, -chè oggi la nostra escursione è un caro pellegrinaggio -alla casa in cui nacque quell’intemerato intelletto di -Giuseppe Parini, che fu tanto lume delle italiane lettere -e che si recò a sommo di gloria il poter dire -di sè: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i12"> Io volsi</p> -<p class="i01">L’Itale Muse a render saggi e buoni</p> -<p class="i01">I cittadini miei<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Vediamo da lungi Annone, che dà nome al lago, ma -che non ha importanza speciale, malgrado la bella -<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span> -chiesa che vi sorge su disegno del Bovara, di stile jonico. -E ad Annone dicono sia venuto il nome da uno -dei trenta duchi longobardi. Se sul Monte Baro e in -Civate la tradizione ricorda la presenza in questi luoghi -di Desiderio e di Algiso, nulla di più facile che -anche un altro duce di loro razza sia qui stato e abbia -lasciato a’ posteri memoria di sè in questo paese. -</p> - -<p> -A mano destra, e addossata alla montagna, è quella -parte di territorio che si denomina ancora la <i>Squadra -dei Mauri</i>, e anche qui la tradizione spiega la denominazione, -pretendendo stabilita qui una colonia di -Mori... ma in qual tempo? Se ne tolgono d’impaccio -questi fabbricatori di storia, rispondendo: al tempo -delle invasioni, che io mal saprei definire ancora -quando fosse, ignorando davvero che i Mori facessero -mai invasioni nelle nostre parti e molto meno in queste. -Compresa in tale Squadra è Cesana o San Fermo, -come più propriamente si nomina, terra vaghissima e -ferace, e che si han più dati per ritenere che avesse -un giorno una maggiore importanza. -</p> - -<p> -Poi via trascorriamo Suello, e di contro a Cesana, -pria di giungere a Pusiano, volgiamo a manca, e dopo -breve cammino, girando pur alquanto intorno al lago -di Pusiano, salutiamo Bosisio. -</p> - -<p> -Un dì, e non è molto, era poverissima terra; ora il -comune è de’ più ricchi, grazie alle torbiere che si trovano -sul suo, e che gli fruttarono e fruttano tuttavia -una ingente moneta. Ogni fuoco di questo paese ha -diritto ad una parte di torba; nè avviene qui ciò che -altrove di queste parti si lamenta, che cioè i nullatenenti -e i vagabondi si caccino nell’altrui per i boschi -<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span> -a far legna. E sovrabbonda in tanta quantità la torba, -che ne può esser venduta con larghissimo ed annual -beneficio. -</p> - -<p> -Tuttavia, malgrado l’antica povertà, non era l’arte -nome affatto straniero in Bosisio, se nella sua chiesa -parrocchiale ti veniva mostrata come preziosità una -tavola dipinta da Gaudenzio Ferrari, una tela di quel -più recente ma esimio artista Vitale Sala, di cui vedemmo -già a Valmadrera due freschi, ed un’altra del -Narducci nell’Oratorio di casa Appiani, architettato dal -valente Moraglia, dove era un bellissimo quadro del -sullodato Vitale Sala, rappresentante l’Annunciazione -di Maria Vergine; e finalmente nella casa del signor -Banfi, dove io fui l’ospite benvenuto nel 1845, si trovava -che il colto proprietario aveva nel suo grazioso -giardino, che digradava al lago di Pusiano, eretto monumento -a due illustri che da Bosisio eran partiti a far -parlar alto di sè stessi il mondo; ad Andrea Appiani, -giustamente chiamato il <i>Pittor delle Grazie</i>, ed a Giuseppe -Parini. E siffatta reverenza dimostrava il Banfi -quando non s’era per anco da alcuno pensato a mettere -pure una pietra commemorativa là dove l’illustre -Poeta era nato ed aveva abitato; e su di quel monumento -scolpiva i versi di lui, ne’ quali entrambi sono -così rammentati, e son questi: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Te di stirpe gentile</p> -<p class="i02"> E me di casa popolar, cred’io,</p> -<p class="i02"> Dall’Éupili natio,</p> -<p class="i02"> Come fortuna variò di stile,</p> -<p class="i02"> Guidaron gli avi nostri</p> -<p class="i02"> De la città fra i clamorosi chiostri.</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span></p> -<p class="i01">E noi dall’onde pure,</p> -<p class="i02"> Dal chiaro cielo e da quell’aere vivo</p> -<p class="i02"> Seme portammo attivo</p> -<p class="i02"> Pronto a lavarne da le genti oscure,</p> -<p class="i02"> Tu Appiani col pennello,</p> -<p class="i02"> Ed io col plettro seguitando il bello<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Dirò di più a chiarire la noncuranza. In quell’occasione -mi rammento che, visitato per la prima volta il -Pian d’Erba, all’incantevole vista de’ suoi facili colli, -de’ suoi ridenti paesi, de’ tranquilli suoi laghi, m’erano -venuti spontanei sul labbro i versi del cantore del -<i>Giorno</i>, della satira mordace e potente, ma elegante e -in guanti gialli, che così questi suoi luoghi salutava, -quando, stomacato della vita politica e cittadina, faceva -ad essi ritorno: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Colli beati e placidi</p> -<p class="i02"> Che il vago Éupili mio</p> -<p class="i02"> Cingete con dolcissimo</p> -<p class="i02"> Insensibil pendio,</p> -<p class="i02"> Dal bel rapir mi sento</p> -<p class="i02"> Che natura vi diè,</p> -<p class="i02"> Ed esule contento</p> -<p class="i02"> A voi rivolgo il piè<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -E allora, trovandomi a Bosisio, andai percorrendo -tutto il paese, cercando quale delle umili casette che lo -costituivano sarebbe stata quella in cui schiuso aveva -gli occhi alla vita il grande poeta; e come che nessuna -<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span> -mi paresse tale da invitarmi a chiedere se quella fosse, -una comare, cui finalmente mi rivolsi perchè il mio -desiderio facesse pago, incominciò a sbarrarmi gli occhi -in faccia, maravigliata dallo intendere il nome di -Parini; poi, quasi vergognando ch’io, straniero, fossi -di lei più esperto del paese, come se raccogliesse in -quel punto tutte le sue memorie, finì col dirmi sbadatamente: -</p> - -<p> -— Sì, sì; era uno stregone dei tempi antichi. -</p> - -<p> -Quindi, crollando il capo, mi significò che di più non -avrebbe saputo aggiungervi, e molto meno dove fosse -la casa de’ suoi padri. -</p> - -<p> -Povero Parini! Uno stregone! -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-262b"></a> - <img src="images/ill-262b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Casa del Parini.</p> -</div> - -<p> -Pure la natale casetta scoprii finalmente a furia -d’inchieste e d’induzioni; nè presi errore, da che due -anni dopo, quando il sentimento della italiana rigenerazione -parlò potente al cuore di tutti, e cercavamo -raffermarci ne’ propositi santi e generosi col rimettere -in onore le glorie del paese, e massime quelle che avevano -gittato negli animi nostri il germe di essi, nelle -opere del loro ingegno a noi lasciate, si impose il nome -di Parini alla via dove sorgeva, e su di essa, in una -solenne festa, fra un concorso infinito di popolo e di -villani che non avevano mai sognato prima chi si fosse -e pur allora ne capivano verbo, e fra letture di prose -e di versi in onore di lui, fu collocata una lapide che -recava sculte le seguenti parole: -</p> - -<p class="center"> -<span class="smcap lowercase">A GIUSEPPE PARINI<br /> -GLORIA DELL’INGEGNO LOMBARDO<br /> -CHE NUOVI SENTIERI APRÌ<br /> -ALL’ITALICA POESIA<br /> -<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span> -E LA FE’ POTENTE INTERPRETE<br /> -D’ALTI PENSIERI E DI SDEGNI MAGNANIMI<br /> -DERISOR SUBLIME DE’ FIACCHI COSTUMI<br /> -BANDITOR SINCERO DELLE VERITÀ PIÙ UTILI<br /> -MAESTRO D’UNO STILE PELLEGRINO TEMPERATO<br /> -CHE OBBEDISCE AL CONCETTO E GLI CRESCE ENERGIA<br /> -ALCUNI ESTIMATORI<br /> -PERCHÈ QUI DOVE POVERAMENTE NACQUE<br /> -E PRIMA S’ISPIRÒ NEL RISO<br /> -DI CIEL SÌ LIETO<br /> -ABBIA IL NOME DI LUI PERENNE OSSEQUIO<br /> -P. NEL MDCCCXLVII.</span> -</p> - -<p> -L’iscrizione, a mio avviso, avrebbe fatto meglio ad -essere più concisa, e ricordar invece il dì in cui il -grande cittadino e poeta nasceva. Avrebbe almen giovato -a qualche cosa. -</p> - -<p> -Ad ogni modo la generazione presente ha lavata -l’onta che Foscolo gittava al volto della città che l’ospitava, -ch’egli acremente chiamava ne’ <i>Sepolcri</i> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i09"> lasciva</p> -<p class="i01">D’evirati cantori allevatrice,</p> -</div></div> - -<p> -perchè non ombra, non pietra, non parola avesse posto -a Parini: Milano, nel suo palazzo di Brera, rizzavagli -maestoso monumento, affiggeva memore lapide -sulla casa che l’aveva albergato e dava il nome di lui -ad una nuova sua via. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span></p> - -<h2 id="esc28">ESCURSIONE VENTESIMOTTAVA. -<span class="smaller">L’ISOLA DE’ CIPRESSI.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in Italia. — Un mio processo. — Armi -di pietra e palafitte lacustri. — Pusiano. — Villa Conti. — Scene -di superstizione. — La Processione del Venerdì Santo. — L’Isola -de’ Cipressi. — Il romanzo di Bertolotti. -</p> -</div> - -<p> -Se vivo ancor fosse quell’eccellente uomo di Banfi, -presso cui, vi dissi, ospitai nel 1845, non rifacendo -più la via che ne condusse a Bosisio, dal giardino suo -saremmo montati nella barchetta che vi stava legata, -per pigliare il largo su questo lieto e tranquillo lago -di Pusiano, onde condurci al paese che sta quasi di -fronte e che gli diede il nome; ma di lui non resta -che la buona memoria in chi lo conobbe d’anima -aperta e cortese. Qui s’era ritirato a fruire d’una vita -calma, dopo aver assistito a’ burrascosi avvenimenti -che chiusero l’êra napoleonica e condussero sciaguratamente -in Lombardia l’austriaca dominazione, che le -pesò sul collo per quarantacinque anni; qui gli consolava -gli estremi giorni l’amore d’una figliuola e qui -costei vi soggiorna ora colla corona de’ suoi figliuoli. -</p> - -<p> -Ritorniamo adunque per la strada primitiva. In pochi -minuti il lago ci riappare. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span> -</p> - -<p> -Il suo bacino non è grande siccome un giorno, -quando abbracciava tutto quello spazio che segnano -da una parte il lago, ora detto d’Oggionno, e dall’altra -quello d’Alserio; esso è quanto avanza del vecchio Éupili; -ma se ha perduto in vastità, ha guadagnato, a -mio credere, in vaghezza. Dall’una sponda corre l’occhio -all’altra, e tutti si veggono e contano i paesi che -vi seggono in riva e lo circondan dappresso. -</p> - -<p> -È inoltre pescoso, e vi si raccolgono specialmente -anguille e lucci, tinche e barbi, arborelle e carpi, e -vi si potrebbe ottenere di meglio, se la piscicoltura non -fosse tra noi sì poco curata, o se fosse vissuto più a -lungo quel Giuseppe Conti, che qui con molto amore -la coltivava. -</p> - -<p> -Fu su questo lago che, nel 1820, per la prima volta -in Italia fu visto un battello a vapore; ma al sospettoso -governo d’allora, a quel governo che giunse a farmi -sul serio un processo criminale nel 1855, per <i>perturbazione -della pubblica tranquillità contro il nesso politico -dell’impero</i> (!), per avere scritto che il finale del -terzo atto del <i>Profeta</i> di Meyerbeer era una <i>ladra cosa</i>, -essendosi capito ch’io aveva voluto alludere all’inno -nazionale austriaco di Haydn, da cui quel finale aveva -tolto qualche nota; a quel governo parve che il battello -a vapore potesse essere invece qualche macchinazione -che coprisse mene di carbonari; e il battello un -bel dì fu riportato via. -</p> - -<p> -La scienza ha intorno a questo lago fatto qualche -scoperta importante. Da un opuscolo pubblicato da quel -dotto naturalista che è Antonio Villa, e che ha per -titolo: <i>Gite malacologiche e geologiche nella Brianza e -<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span> -nei dintorni di Lecco</i>, negli <i>Atti della Società italiana -di scienze naturali</i> (vol. IV, fasc. 6, 1863); non che dal -<i>Fotografo</i> del 2 agosto 1856, in un articolo dei fratelli -Antonio e G. B. Villa, rilevai come nella torba di Bosisio -venne trovata dal signor Federico Landriani, alla -profondità di circa tre metri dalla superficie, una scure -riferibile, secondo l’archeologo prof. Biondelli, ai tempi -del primo secolo dell’Impero Romano, di buon metallo -e ben lavorato; e meglio ancora si rinvennero diverse -punte di freccia, dell’epoca dei Galli Celti, di silice, e -quindi della più remota antichità, quando cioè ancora -non si conosceva l’arte di lavorare in ferro. Freccie -di pietra silice si rinvennero anche nelle torbiere -del lago, nel luogo detto Comarchia, assieme ad altri -arnesi; e l’abate prof. Antonio Stoppani, presso a quest’Isola -de’ Cipressi, nello stesso bacino del lago, trovò -indizi di palafitte, ciò che potrà fornir lume a chi s’intrattiene -intorno alle abitazioni lacustri degli antichi -popoli. -</p> - -<p> -A capo del lago siede la terra di Pusiano. Il palazzo -che vi si vede d’una architettura secentista, apparteneva -ai marchesi Carpani; poi fu comperato dall’Arciduca -Ferdinando d’Austria, che di questi luoghi si -piaceva e vi veniva a villeggiare; e da ultimo venne -alle mani de’ signori Conti, che vi aprirono una capace -filanda. Apparteneva ad essi anche il lago, dal quale -ho già detto esce il Lambro presso Mojana, che poco -prima vi si era intromesso, ed ora è stato acquistato -dal Comune di Bosisio. -</p> - -<p> -Altro d’interessante non saprei trovare in Pusiano -oltre i suoi bellissimi dintorni, dove non fosse che per -<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span> -segnalare la buona fede e l’ignoranza de’ suoi terrieri -sfruttata da’ chiesastri, che alle spalle d’una <i>Teresotta</i>, -volgarmente conosciuta sotto il nome di <i>Calimera</i> e -d’una sua sorella, <i>Angiolina</i>, che danno a bere d’essere -ispirate da Dio, e tenute per sante, le si lasciano -catechizzare in piazza e nella parrocchia, e per le -quali traggono credenzoni da tante parti a portarvi -regali e denaro, che scialano in pranzi ed in gallorie. -Qual meraviglia allora che ivi pure si creda alla ciurmeria -d’un’altra santocchia, nomata <i>Peppinetta</i>, che -fa credere di vivere senza bisogno di nutrimento? Di -queste tre, la più <i>astuta</i> è la <i>santa Calimera</i> (la serva -del Curato), e come tale è anche la prediletta, ed ogni -anno viene, con pubblica solennità, sposata a Gesù -Cristo. Ella è poi quella che ha saputo e sa infondere -tale fanatismo nelle masse ignoranti, che guai a chi -osasse dir male di lei: quello sarebbe un uomo perduto, -come lo fu un certo Bosisio, di Morchiuso, che, -ad istigazione degli aderenti di quella santa, molti vogliono -che sia stato ammazzato in mezzo ad una campagna, -quantunque i partigiani della <i>santa</i> andassero, -come vanno tuttavia gridando che sia morto di coléra -fulminante. Tanto è vero quanto cantò Lucrezio: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Religio peperit scelerosa atque impia facta.</i></p> -</div></div> - -<p> -Compirò il quadro della superstizione che qui ha -attecchito, riferendo i particolari fornitimi da un mio -caro amico della processione del Venerdì Santo, da -lui veduta nell’anno 1870, e che ha la somiglianza -tutta d’una indecente mascherata. -</p> - -<p> -La processione veniva aperta da un picchetto di -<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span> -guardia nazionale, che a giusto titolo dovrebbe chiamarsi -<i>guardia del sepolcro</i>, perocchè all’infuori di -questo giorno essa non esista che sui ruoli. — La -musica d’Asso, dall’uniforme inglese, dalle spalline -di maggiore, dall’elmo polacco e dalla durlindana -di dragone, la seguiva facendo risuonare l’aere di -mesti concenti e di marcie funebri. — Subito dopo -veniva la Confraternita di bianco e rosso vestita, tenendosi -in mezzo qual prigioniero un eremita, che, mi -si dice, rappresenti S. Miro. — Poi una miriade di -angioletti, portanti ciascuno una lunga asta, in cima -alla quale vi sono i diversi arnesi della passione, vale -a dire, tamburo, dadi, martello, tenaglie, chiodi, corona -di spine, spugna, ecc. ecc., insomma una bottega -ambulante di giocattoli. — Coperta la faccia di un fitto -velo, ed a piedi nudi imbrattati di fango, e di qualche -altra cosa, un <i>ex gendarme austriaco</i> faceva da Cireneo, -portandosi sulle spalle una pesantissima croce. -</p> - -<p> -Qui faccio una digressione per dire che per avere -l’onore di rappresentare il Cireneo e portare la croce, -si tiene un’asta pubblica, che in quest’anno subì un -forte ribasso, e fruttò alla Santa Bottega soltanto -L. 5.20, ultima offerta fatta dall’<i>ex gendarme</i>, mentre -l’anno antecedente fu deliberata ad un pizzicagnolo -per lire 20. -</p> - -<p> -Ora torniamo alla processione. — Il Cireneo ex gendarme, -che un tempo scortava gli altri, quel venerdì -era egli scortato da molti Giudei, faccie proibite, dalla -barba posticcia, e vestiti alla spagnuola con elmo romano, -meno uno che invece dell’elmo ha creduto meglio -mettersi un kepì della nostra artiglieria. Alcuni -<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span> -di questi moderni Giudei tenevano le loro lancie rivolte -con posa comica, mimica e tragica al Cireneo, nella -tema che fuggisse per le campagne col dolce peso dei -due travi formanti una croce; ed il rimanente appuntava -le proprie lancie contro un uomo tutto vestito di -rosso, dai capegli e barba di canapa, dai piedi scalzi -trascinantesi una grossa catena, che, se non vado errato, -doveva essere tolta poche ore prima dalla greppia -di una stalla. Costui raffigurava il Cristo che saliva -il Golgota, ma non era il Cristo falegname, bensì un -Cristo ciabattino. -</p> - -<p> -Seguiva il Cristo un’altra Confraternita con alla -testa S. Carlo in abito vescovile ed armato di pastorale. -Alla Confraternita tenevan dietro alcuni vessilli -neri, ed il <i>Velo del tempio</i>, portati da uomini vestiti -in nero. -</p> - -<p> -Un’altra musica, quella del signor Perego di Cremnago, -faceva eco alla prima coi suoi funerei concenti. -Intanto i preti esilarati da quella musica intuonavano -e cantavano il <i>Vexilla regis prodeunt</i>. -</p> - -<p> -Sotto poi un elegante baldacchino veniva portato da -quattro uomini, vestiti alla foggia di sacerdoti pagani, -il cadavere di Cristo, di modo che nella stessa processione -vi si vedevano due Cristi: vivo l’uno, l’altro -morto. -</p> - -<p> -Le tre Marie seguivano la bara, e dietro ad esse si -scorgeva un nugolo di Santi, tutti in costume, e tra -questi qualcuno di mia conoscenza, cioè, S. Luigi Gonzaga, -S. Ambrogio, S. Maria Maddalena, S. Caterina -da Siena, S. Margherita da Cortona, ecc. ecc. -</p> - -<p> -Quella però che ha fatto destare maggiore ilarità -<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span> -nel pubblico profano, e che, <i>incredibile dictu</i>, ha fatto -ridere la stessa Madonna Assunta che le stava di dietro, -fu Santa Rita, la quale sentendosi pungere le -tempie dalla corona di spine che cingevale la testa, -dimenticava la propria santità, e, come gli altri mortali, -mandò acuti lai, infino a che gliela accomodarono -per benino ed in modo da non risentirne più dolore. -</p> - -<p> -Chiudevano il corteo tutte le Madonne e gli Angeli -d’ogni specie. L’Assunta la vedevi colle braccia alzate -ed in atto di volare al cielo. L’Addolorata, con sette -pugnali nel petto, teneva lo sguardo rivolto a terra, -ed era immersa in profondo dolore. L’Immacolata tutta -sorridente mostrava d’essere in un’estasi paradisiaca. -</p> - -<p> -La processione ritornò in chiesa, e poco dopo il Cireneo, -il Cristo, i Giudei, gli Angioli, i Santi e le Madonne -ridiventarono semplici mortali, contenti di aver -dato alla Santa Bottega il loro obolo per aver fatto la -loro parte in commedia. -</p> - -<p> -Innanzi a tutte queste giullerie, indegne dell’età -presente, d’una cosa almeno si ha diritto di chiedere: -e l’autorità intanto che fa? -</p> - -<p> -Era peccato che su queste sponde del lago non vi -fossero belle imbarcazioni, onde mai non vi si vedessero -sopra signori a diporto. Era appena se si poteva -trovare qualche barchetta da pescatore per remigare -all’isola de’ Cipressi, che unica sta nel mezzo di esso -e che abbiamo eletta per iscopo della presente escursione. -A cotale difetto pensò rimediare il Comune di -Bosisio, che, volgendo la ricchezza procacciatagli dalla -torba a migliorare le proprie sorti, vi stabilì eleganti -navicelli che invitano ad ascendervi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span> -</p> - -<p> -Voghiamo quindi adesso a questa graziosa isoletta. -Non ha che l’estensione di ventiquattro antiche pertiche. -Gli alti cipressi e pioppi, che si vedono sorgere -come dall’onde, vi vennero piantati verso il 1770 dal -proprietario di essa, marchese Molo, onde assunse il -nome da quelli alberi, l’Isola de’ Cipressi. Il sullodato -signor Giuseppe Conti, che vi fu dopo il proprietario, -non son molt’anni ne aveva all’estremità praticato -un taglio per istabilirvi un vivajo di pesci, studiosissimo -com’era, e come più sopra ricordai, di piscicoltura. -Nell’isola, del resto non si vedono ora particolarità -maggiori delle ombre amiche che invitano a riposo -nelle ore più calde del giorno: <i>frigus captabis opacum</i>, -e dell’indistinto piacere che si prova di ritrovarsi in -piccol luogo tutto recinto dalle acque. -</p> - -<p> -Da qui tuttavia, Davide Bertolotti, sentimentale -scrittore e poeta, immaginò un suo gentile romanzo, -che intitolò appunto <i>L’Isola de’ Cipressi</i>. -</p> - -<p> -Il Comune di Bosisio non farebbe, credo io, opera -vana ed infeconda, traendo maggior profitto dalla bella -isoletta, erigendovi qualche casetta e trattoria. Sarebbe -certo attrattiva maggiore a visitarla, sarebbe -richiamo pei villeggianti, che ne farebbero meta di -passeggiata e di divertimento. Sapere, come adesso si -sa, che nell’isola non c’è albergo, a pochi entra in -capo di andarvi. Le vaghissime isole del Verbano, perchè -fornite di case e di alberghi, sono da tutti frequentate -e levate a cielo, come gemme di quelle acque; -e perchè non lo potrebbe essere di queste l’Isola de’ -Cipressi? -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-272a"></a> - <img src="images/ill-272a.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Isola dei Cipressi.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span></p> - -<h2 id="esc29">ESCURSIONE VENTESIMANONA. -<span class="smaller">IL BEL DOSSO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Corneno. — La <i>Cà di strii</i>. — Villa Besana. — Galliano. — Carella. — Mariaga. — Alpe -di Carella. — Il Bel Dosso. — Villa Graziani. — Longone. — Osteria. — La -Malpensata. — Penzano. — Bindella. — Villa -Galimberti. — Proserpio. — Villa Baroggi. — Inarca. -</p> -</div> - -<p> -Or lasciamo la vettura e camminiamo su queste -magnifiche alture che seguono dopo Pusiano. -</p> - -<p> -Il primo paese che veggiamo è Corneno. Bella è la -sua posizione e con qualche buona casa. Isolata ne -sorge una, proprietà dei signori Conti, intorno alla -quale corrono le più strambe dicerie. Vuolsi dal volgo -che il diavolo vi faccia a fidanza, che s’odan la notte -strascico di catene e lamenti; chi ne fornisce una storia, -chi l’altra: certo si è che rimase il palazzo, a cui -fu appiccicato il nome di <i>Palazzo del diavolo</i>, od anche -di <i>Cà di strii</i>, molto tempo senza essere abitato, malgrado -la felicissima sua situazione e la vista che vi si -gode. -</p> - -<p> -Io raccolsi la tradizione, e ne feci subbietto d’un -racconto nella mia opera delle <i>Tradizioni e leggende di -Lombardia</i>; epperò, a non copiarmi, rimanderò il lettore -a quel mio libro, s’egli ne voglia sapere di più. -Anche adesso la <i>Cà di strii</i> non è abitata, ma mi fu -<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span> -detto che i suoi proprietarî abbian di meglio per villeggiare, -nè quindi si cerchino di dare una smentita, -col soggiornarvi, alle vecchie ed insulse ubbíe del -paese. Nella villa Besana, ora proprietà del dottore -Strambio, ed un tempo del pittore Andrea Appiani, su -d’un camino, in una sala, l’illustre pittore disegnò col -carbone <i>Amore che incatena il Tempo colle rose</i>, il qual -disegno si conserva tuttavia difeso da cornice. -</p> - -<p> -Segue Galliano, terricciuola ove son case e giardini -signorili. Nel grandioso giardino attinente l’ampia casa -del milanese Paolo Biffi, notabilità della confetteria e -pasticceria, che qui or passa i suoi vecchi giorni, veggonsi -vecchie torri, istoriate da Giovanni Biffi nella -sua narrazione <i>La Ghita del Carrobio</i>. In molta prossimità -di Galliano trovansi i villaggi di Carella e Mariaga, -pur onorati di case di villeggiatura. Dietro a -questi si distendono ridenti valli intersecate da acque -correnti, ed è in mezzo d’una di esse che la sua vita -d’artista e di poeta passò qualche tempo quel vivace -scrittore che è Antonio Ghislanzoni, togliendo a pigione -una villetta, cui veramente poteva dire <i>parva sed -apta mihi</i>; e là fui a trovarlo, sempre constatandogli -il buon umore e la vena pronta ai motti, ai frizzi, alle -piccanti osservazioni. È di là che mandava a Verdi, a -Petrella e ad altri maestri i suoi libretti, di là i suoi -articoli di critica musicale al giornale di Ricordi; di -là i suoi romanzetti scherzevoli che ne han fatto di lui -il nostro ameno Paul de Kock. -</p> - -<p> -Sopra queste alte vallate s’alza l’Alpe di Carella, -che si può senza molta fatica ascendere e da dove si -corre coll’occhio per un piano tutto sparso di paesi e -<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span> -di ville, fino a distinguere la freccia dell’aguglia del -Duomo milanese, e più in là tutta la valle del Ticino. -</p> - -<p> -Io invece non abuserò delle gambe del lettore e, fattolo -uscire da Galliano a una decina di minuti di -cammino, batteremo alla porta del <i>Bel Dosso</i>, alla -villeggiatura principesca di Francesco Graziani, il baritono -dalla simpaticissima voce, che adoperò a raggranellar -un’ingente fortuna, massime cantando per -molti anni di seguito a Pietroburgo e Londra, e per -la quale potè comperarsi questo superbo ritiro, che -prima aveva appartenuto a due miei amici, che morte -rapì nel fiore della loro età e delle speranze, voglio -dire Giuseppe Galli e l’avvocato Paolo Emilio Beretta. -Il Graziani vi spese d’aggiunta un’ingente somma ad -abbellirla, a dotarla d’ogni comodità; dirò di più, a -fregiare la casa di ricca e preziosa suppellettile, perocchè, -fra le altre sale, una ne vidi con mobili intarsiati -di malachite e con tavolo tutto di questa pietra; -ma il meglio della villa esisteva già, e questo meglio è -la sua posizione che la rende superiore a tutte l’altre, -è l’essere sulla punta di un promontorio, per il che -le è dato di tutte ammirare da un lato le bellezze del -bacino dell’Éupili, ossia de’ laghi che già abbiamo veduti, -e dall’altro quelle non minori del Pian d’Erba. -</p> - -<p> -Dal Bel Dosso si entra nel paese di Longone, dove -qualche tempo fa si trovò un’ara coll’iscrizione: <i>Herculi -invicto V. S. L. M; L. Domitius Germanus salvo -patrono</i>. Essa fu portata nel giardino della villa Traversi -a Desio. Qui a Longone raccomando l’osteria del -paese, dove chi cerca appagar l’appetito con cibi casalinghi -vi è di certo soddisfattissimo. Spesso l’osteria -<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span> -di Longone è il convegno de’ signori del Pian d’Erba, -a colazioni e pranzi, massime se si possa contare su -qualche lepre che vi si cucina a perfezione. Più sotto -è Bindella con migliore orizzonte, di poco diverso da -quello del Bel Dosso, con villa de’ Galimberti. Nel vicino -Penzano due altri egregi artisti, i conjugi Agostino -Dell’Armi e Luigia Ponti, si procacciarono una -comoda villa. -</p> - -<p> -La strada di Longone, che dovremo rimontare per -fare una corsa a Canzo ed Asso, ha principio alla Malpensata, -dove riesce la strada provinciale che viene da -Inverigo, per tripartirsi, procedendosi per un ramo a -Pusiano e Lecco, per un altro ad Erba e per il terzo alla -Vallassina. Qui presso al ponte della Malpensata -si rinvennero sepolcri romani colla marca del figulino -<i>R. I. D.</i> e vasi di terra contenenti uno specchio metallico, -armille, braccialetti e monete dell’epoca imperiale. -</p> - -<p> -Arrestandoci per questa escursione a Longone, è -impossibile che non montiamo al vicino villaggio di -Proserpio, dove han villa gli Staurenghi, ora de’ Baroggi. -Di qui era l’avv. Pietro Staurenghi, presso il -quale crebbi all’avvocatura, e dove più d’una volta -ebbi cortese ospitalità. -</p> - -<p> -Facile è correre colla mente a pensare che Proserpio -derivi da Proserpina, la Iddia infernale, che gli -scrittori dicono avesse qui delubro e culto. -</p> - -<p> -Rammento che il mio maestro ed amico, quando mi -ebbe in sua casa, mi condusse alla non lontana Inarca, -breve accolta di casolari che riguardano verso il lago -Segrino, ma che nondimeno ha un superbo orizzonte. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span></p> - -<h2 id="esc30">ESCURSIONE TRENTESIMA. -<span class="smaller">LA VALLASSINA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il lago Segrino. — Canzo. — Il Vespetrò. — I Corni. — La fontana del -Gajumo. — La cascata della Vallategna. — Il torcitojo Verza. — Scarenna. — La -Casa dell’eremita. — Asso. — Lapide antica. — Arte. — La -via al Pian del Tivano. — Pagnano, Fraino, Caglio, Gemù. — Il -Ponte Oscuro. — Lasnigo. — Le donne della valle. — Le serve. — Onno. — San -Carlo e la sua mula. -</p> -</div> - -<p> -Lasciato addietro Longone, e mettendoci per la -bella e spaziosa via, che da pochi anni fu compiuta, -che scorge alla Vallassina, vediamo subito il Segrino e -lo rasentiamo in tutta la sua lunghezza, che non è -molta. Questi eterni chiaccheroni, che sono gli etimologisti, -vorrebbero che il nome venisse a questo lago -dal francese <i>chagrin</i>, affanno, quasi che il bacino sia -tristo e malinconico. Piacemi rispondere ad essi anzi -tutto che non potei mai comprendere per qual ragione -si ostinino a dir tristo questo lago. Se non è -tutt’all’intorno popolato di villaggi e palazzi, solo a -capo del medesimo vedendovisi abitato, non significa -per ciò solo che lo si debba condannare. Se in luogo -del dosso verde e boscoso, che sta dalla riva opposta -a quella che noi percorriamo, sorgessero picchi nudi e -<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span> -ferruginosi, potrebbesi aver ragione; ma quando invece -questo bacino è tutt’all’intorno lieto di verzura, -quantunque solitario, non può dirsi tale da meritarsi -titolo di affannoso. Oltre di ciò, qual bisogno vi sarebbe -stato di tôrre a prestanza al linguaggio francese -un vocabolo per battezzarlo? Segrino finalmente si -legge scritto in documenti antichi assai più della venuta -de’ Francesi in Lombardia ai tempi di Carlo VIII, -e quindi Segrino sarà un nome come qualunque altro, -e se si sottrae diversamente all’interpretazione, segue -la sorte della maggior parte degli altri nomi di laghi -e di paesi. -</p> - -<p> -Oltre questo lago ci troviamo a capo del bivio in -cui si scinde la strada della Vallassina; perocchè vediamo -l’altra via che mette a Pontelambro, e che -faremo noi pure al ritorno della presente escursione. -</p> - -<p> -Dopo due corte miglia da Longone, ci si affaccia -Canzo. È borgata abbastanza grossa, che ha molte -case di villeggiatura, sì che in questo tempo di autunno -vi si vegga una vera colonia milanese; tanto così -che venne eretto un teatro, dove si canta l’opera o si -recita la commedia con affluenza di pubblico, e vi si -fanno liete feste di ballo. Così popolato è sempre a -sera il caffè, come di giorno frequenti sono gli equipaggi -che da’ paesi circonvicini traggono a scopo di -visita o di passeggiata. Famoso è poi il <i>vespetrò</i> che -vi si fabbrica, liquore che arieggia la <i>chartreuse</i> di -Grenoble, la quale ci giunge di Francia e che è sì ricerca -e gustata. -</p> - -<p> -Succedono, al fianco destro di Canzo, i <i>Corni</i>, acuti -picchi altissimi, a metri 1385 sul livello del mare, che -<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span> -a Milano, come già notai, si veggono; ma colla loro -nudità non aggiungono tristezza, e solo formano contrasto -col resto, che è tutto lussureggiante di vegetazione. -</p> - -<p> -Erano un dì rinomate le saje di Canzo che vi si -fabbricavano; poi prevalse la seta, e vi ebbero e vi -hanno filande e filatoj i Verza ed i Gavazzi. -</p> - -<p> -Traggono quei del paese, a titolo di divozione, a -San Miro, che fu nativo di questo borgo, nella prima -domenica di agosto, alla sagra che in onore di questo -santo si celebra nel luogo solitario e alpestre che vien -detto la <i>Fontana del Gajumo</i>. Come accade in simili -circostanze, si merenda colà allegramente e la divozione -si muta in un vero divertimento. -</p> - -<p> -Dopo Canzo, seguendo il corso della via che conduce -ad Asso, il tuo cuore si esilara subito in questa -nuova e vaghissima valle, dove si presenta al manco -lato Asso, il non men bello paese da cui prende il -nome tutto quell’importante territorio che si appella -appunto Vallassina, e che si vede, come scena teatrale, -posar sul fianco del burrone entro cui rumoreggia -il Lambro, che non vi ha molto lontana la sua -scaturigine. -</p> - -<p> -La cascata della Vallategna, balzante a picco da -erta rupe, sulla cui vetta fa leggiadramente capolino -il grande torcitojo dei signori Verza, spruzza nella -sua caduta, colle sue spume minutissime come atomi -di polve, a molti passi i viandanti. Altre cascatelle -scendono giù dai monti selvosi, che quantunque restringano -l’orizzonte, pure non tolgono bellezza alla -graziosa valle, i cui facili e verdi declivî si avvivano -<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span> -di grotte e di abituri, di ville e casali, ed è dimezzata -dal Lambro che vi scorre. Dall’opposta sponda è Scarenna, sopra la quale vi viene additata la Casa dell’eremita, -ove è fama che sul finir del duodecimo secolo -vivesse appunto un sant’uomo che s’era dato ad istruire -la puerizia e contasse fra i suoi alunni anche quel -Miro, che fu poi santo egli pure e che ho mentovato -più sopra. -</p> - -<p> -Pochi passi e siamo ad Asso, il cui nome si suol dedurre -dal celtico <i>as</i>, significante sorgente. Ebbe, ne’ -tempi efferati, castello di cui non esiste che la torre -in rovina. Un’altra torre, arnese di guerra, era quella -che fu poi convertita in campanile della chiesa prepositurale. -</p> - -<p> -Era Asso una delle Pievi che componevano la Martesana; -a’ tempi pagani ebbe culto per Asclepio, nome -greco di Esculapio, e forse da Asclepio derivò il nome -suo, avendosene dagli antiquarî ad argomento l’iscrizione -romana trovata in Vallassina fra Onno e Vassena, -e che fu letta così dal dotto archeologo Giovanni -Labus -</p> - -<p class="center"> -Genio Asclepii<br /> -Lucius Plinius<br /> -Burrus et F. Plinius<br /> -Ternus votum solvunt. -</p> - -<p> -Nel medio evo fu Asso, come tutta la Vallassina, -della mensa arcivescovile di Milano. Allo spirare della -signoria de’ Visconti ne appare infeudato Facino Cane, -celebre capitano di ventura e primo marito della sventuratissima -Beatrice di Tenda, poi l’altro capitano -<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span> -Luigi del Verme e via via altri. Ebbe però governo -proprio e statuto indipendente sino all’editto 16 maggio -1765, in cui la Vallassina venne incorporata al -ducato di Milano. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-280b"></a> - <img src="images/ill-280b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Ponte Oscuro.</p> -</div> - -<p> -Visitando Asso, veggasi la prepositurale, dove son -dipinti egregiamente i Misteri del rosario, ed è di -Giulio Cesare Campi una pala rappresentante l’Annunciazione. -Qui pure sonvi signorili famiglie, tra cui -i Romagnoli, i Magnocavallo, i Merzario, i Mazza, per -non dire di tutti, ecc. -</p> - -<p> -Gli è da Asso per Sormanno e per Rezzago che le -allegre comitive, messe insieme dai paesi circonvicini, -precedute da fanfare e ribechini, ascendevano, più frequenti -in passato, per il piano del Tivano, e correvano -a vedere quell’imbuto conosciuto sotto il nome -del Buco della Nicolina, dove, provenienti dalle ville -del lago di Como, pur salivano per l’opposto versante -altre liete brigatelle a convegno concertato alla città, -e da cui entrambe non si toglievano che a notte fra lo -splendore delle faci resinose, come ho già fatto noto -nell’apposita escursione. -</p> - -<p> -Fuori appena di Asso, il pittorico è ancor maggiore; -perocchè, oltre le diverse intonazioni risultanti da’ caseggiati -civili a’ rustici commisti, oltre le torri ed i -villaggi sovrastanti di Pagnano e di Fraino ed i verdi -altipiani di Caglio e di Gemù, ti si para subito davanti -una scena di bell’effetto nella vista del Ponte -Oscuro, che a certa altezza si gitta da un masso all’altro della roccia, su cui corre la via che scorge a -Valbrona e sotto cui, tra grossi ciottoli e pietre staccate -dalle pareti o rotolate dalle acque, scorre il Lambro, -<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span> -dinanzi al quale sembra la roccia si sia aperta e -divisa per aprirgli il passaggio. -</p> - -<p> -A che i pittori e i <i>toristi</i> nostri, domando io, vanno -cercando alla Svizzera scene e paesaggi per i loro -quadri, per le loro impressioni, se la nostra Lombardia -e i monti dell’alta nostra Brianza ponno loro -offerirne di solenni e di belle, di svariate, e di ispiratrici -egualmente? -</p> - -<p> -A chi volesse deliziarsi di maravigliosi punti di vista; -a chi amasse gli erbosi altipiani alternare a’ villaggi, -e a’ rugiadosi e impervi sentieri preferisse ampio -e regolare cammino, io consiglierei volontieri di eleggere -la recente strada che traversa tutta la Vallassina -per il corso di ben dieci miglia e riesce a Bellagio, -uno de’ più ameni paesi del Lario. Uscita appena dagli -anfratti di Asso, quella strada ritorna ampia e comoda -per Lasnigo, ove hanno villa i Rusconi ed altri, -ed è prosecuzione di quella che dalla Malpensata -conduce, per Longone, a Canzo ed Asso. -</p> - -<p> -Visitando la Vallassina, a questa vaghezza di natura -inanimata, altre ne troverà della animata il lettore; -e senza dire degli uomini d’un ingegno svegliato, industriosi -ed ospitali, i quali più spesso cercando fortuna -al di fuori e colà eziandio stabilendosi, non crebbero -guari fortuna al loro luogo nativo, accennerò -delle donne col giudizio che ne reca un non sospetto -autore, l’oblato prevosto Vincenzo Mazza di Lasnigo, -autore d’una storia manoscritta della Valle, veduta -dal Cantù. Esse gli parvero modelli, come di avvenenza, -così di costumatezza; sobrie, pudiche, casalinghe, -matronali sì da rimovere qualsiasi licenza d’atti -<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span> -e di parole, e le fanciulle sanno all’uopo difendersi -cogli zoccoli, con sassi e colle spadine che portano -come un’aureola in capo. E poichè e alla città e altrove -si ha tanto difetto di buone serventi, il buon -prevosto vi fa sapere come le donne della Vallassina -sieno ricercate come fantesche, nè v’abbia esempio che -una sia stata espulsa da una casa. Non ho voluto dimenticare -questa particolarità della Vallassina, perocchè -ogni dì più cresca il lamento per la mancanza di -buone serventi. Gli aumentati opificî e la corruzione -cittadina e campagnola hanno distratto moltissime di -queste donne dal mestiere del servire che un dì pareva -loro sì profittevole cosa. -</p> - -<p> -Se a riposarsi di tratto in tratto dal cammino avvenga -di interrogare quella buona gente alpestre, s’odono -storie e tradizioni, leggende e fiabe a illustrazione -di castelli e di paesi, di genti e di famiglie; e se non -istessi io sull’avviso contro me stesso che di <i>tradizioni -e leggende</i> parecchie son già stato narratore, potrei -qui cingermi la giornea e ripetere quello che ho appreso nella Vallassina, nè il lettore sarebbe certo sì -fortunato di finirla così presto d’esercitar meco la sua -pazienza. Non tacerò tuttavia d’accennar ciò che i -terrieri non chiamano fiaba o tradizione, ma pretta -storia e miracolo. Già toccai alla sfuggita di Onno, -terricciuola della Vallassina che siede sul versante del -lago di Lecco; or bene raccontasi che quel vigile arcivescovo -che fu San Carlo Borromeo, nel visitare -tutta la sua diocesi onde conoscerla per l’appunto e -recarvi i saggi suoi povvedimenti, percorrendo questi -luoghi aspri e montani, qui presso ad Onno, cavalcando -<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span> -una mula, precipitasse con essa dentro un profondo -precipizio, ma che per sommo di ventura — essi dicon -miracolo — ne uscisse incolume. -</p> - -<p> -Ma io debbo, cortese lettore, qui arrestarmi, nè -proseguire nella Vallassina, per non discostarmi troppo -dal Pian d’Erba, nei confini del quale deve restringersi -il mio libro. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span></p> - -<h2 id="esc31">ESCURSIONE TRENTESIMAPRIMA. -<span class="smaller">CASTELMARTE.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. — Fabbrica -di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti, Prina e Mambretti. — <i>Ademprivo.</i> — Castelmarte. — Ville -Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu -Castelmarte capo della Martesana? — <i>Castrum Martis.</i> — Giunteria -archeologica. — Reliquie antiche. -</p> -</div> - -<p> -Ritornando per la strada percorsa venendo da Longone, -giungendo ora dopo Canzo al bivio che ho già -avvertito nella passata escursione, pigliam la via alla -mano destra e presto ci saremo introdotti in una valletta -amena, che il paesano denomina Val di Giano. -</p> - -<p> -È qui che ci si offre sull’altura a mano destra il -paese di Caslino, che ora fa parlare di sè pe’ suoi cacini, -e a cui si va per una bella strada, presso al luogo -detto Mulino San Marco, dove c’è, oltre un recente -filatojo e un mulino, una fabbrica di coltelleria di Dionigi -Carpani, che gode assai credito, massime per certi -coltelli da cucina. -</p> - -<p> -Caslino ha la sua storia, e il prevosto Carlo Annoni -ne dettò una dotta Memoria. Ora vi sono altre filande -e filatoj degli Invernizzi, dei Castelletti, Prina e Mambretti. -Bella è la vallata erbosa del comune che sta -dietro il paese, e dove per una specie di <i>ademprivo</i>, -<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span> -quelli abitanti pascolano le capre del cui latte si -fanno i cacini suddetti. -</p> - -<p> -Dalla strada che seguiamo di Canzo, avanzando -qualche passo, ci troviamo ai piedi del colle su cui -pompeggia Castelmarte. -</p> - -<p> -In attesa che si faccia da Pontelambro la strada -più ampia e più comoda, come se ne fa ora iniziatore -quell’egregio uomo e rinomato operatore chirurgico -che è il dottor cav. Lamberto Parravicini, inerpichiamoci -per questo boscoso declivio. -</p> - -<p> -Non lungo è il cammino, e però presto ci troviamo -in mezzo al paese. -</p> - -<p> -Dalle ville degli eredi Bertoglio, del dottor Parravicini -sullodato, che acquistò il luogo che prima era di -don Giulio Ferrario, l’autore del <i>Costume antico e moderno -di tutte le nazioni</i> e d’altre opere dotte, non che -da quella del ch. archeologo cav. Bernardino Biondelli -si può godere il più superbo panorama. Distendesi -avanti allo sguardo tutto il Pian d’Erba non solo, ma -giù giù la Brianza inferiore co’ suoi mille paesi e ville; -di qui il lago d’Alserio, di là quello di Pusiano, poi la -lunga linea che segna il corso del Lambro, quindi un -confine d’orizzonte che si perde nell’azzurro ondeggiante -dei monti, che del resto non è difficile scernere e nominare. -Una volta si montava a Castelmarte per ammirare -le pitture de’ più rinomati artisti moderni nella -villa Bertoglio e la raccolta completa di stampe in quella -del Ferrario; ora invece la ragione principale di curiosità -è nella villa del Biondelli, ove, fra tante pregevoli -opere di pittura, di scoltura e d’incisione, è -degno d’osservazione un gabinetto tutto di leggiadrie -e lavori chinesi. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span> -</p> - -<p> -L’amore che a questi luoghi indusse il dottor cav. -Parravicini a far sua la villa che fu del Ferrario, fa -credere che la ridurrà a quella proprietà e comodità -dalla quale s’era venuta discostando per l’abbandono in -cui per tant’anni s’era da eredi e da acquirenti lasciata. -</p> - -<p> -In quanto al paese, che dire? Dell’antico non avrei -a ripetere che ciò che sembra una favola, perchè nulla -nulla si ha che autorizzi a crederla una verità, che -Castelmarte, cioè, sia stato il capoluogo della Martesana, -che si sa comprendere molte pievi. Chi lo affermò -non lo provò, nè mi fermerò oltre su questa maggiore -importanza che a questa minima terra si vorrebbe -aggiungere, cui solo dal nome (<i>Castrum Martis</i>) puossi -a maggior ragione arguire che fosse un dì una rôcca e -che vi avesse culto speciale Marte, il Dio della guerra. -La sua eccelsa posizione rendevala propria a vedetta -militare ed a luogo di difesa. -</p> - -<p> -Quanto piglierebbesi volontieri per le orecchie quell’inventore -di fatti e glorie storiche, che, cancellando -l’iscrizione della pietra che si vede incastrata nel muro -esterno della parte posteriore della chiesa, e che forse -un giorno avrà coperto una sepoltura, vi sostituì la seguente -menzogna: -</p> - -<p class="center"> -D. O. M.<br /> -Ugone Franc. Functo<br /> -Esecrandi hostis<br /> -Aerumnis Ecclesiæ<br /> -Ineundo bello<br /> -Hierosolyma red.<br /> -Ucitur jam Nicea<br /> -Nicomedia Antiochia<br /> -Bisantio Vanei Fin.<br /> -Boemon Tane. Bald.<br /> -<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span> -Redeun. Trand. com.<br /> -Goffredus regens<br /> -Palestina gloria<br /> -Onusto mortuo in<br /> -Sanguine patriæ<br /> -Ossibus restitutis<br /> -Ubaldo Prinæ<br /> -Duci fido socio<br /> -Rinaldo Estensi<br /> -Ferrariensi principi.<br /> -M -</p> - -<p> -È facile accorgersi dal dirsi l’Ubaldo Prina fido -compagno del Rinaldo da Casa d’Este, personaggio -imaginario della <i>Gerusalemme liberata</i> del Tasso, come -anche esso Ubaldo sia figlio della fantasia e della boria -di qualche Prina, de’ quali abbondano questi paesi, -e che a costui sia entrato il matto pensiero di giuntare -gli archeologi dell’avvenire e farsene beffa, per altro -non di buon genere. -</p> - -<p> -Piuttosto segnalerò l’esistenza di altri avanzi antichi -incastrati nei muri esterni della detta chiesa parrocchiale, -fra cui, sopra la porta interna del campanile, un -leone in bassorilievo e due tirsi per istipiti di essa -porta, poi nell’alto del campanile un busto di donna -frammezzo a due d’uomini, con sotto alcune parole -che si lessero <i>Ma.... conisi maximus</i> e che appajono -di colore oscuro. -</p> - -<p> -Visto Castelmarte, fra le case Bertoglio e Parravicini -evvi una stradicciuola che ci porta ad una stradetta -o scala di ben quattrocento scaglioni a più riparti, -per i quali, a guadagno di tempo, mettiamoci -noi per condurci a Mazonio e Ponte, cui è destinata -la ventura nostra escursione. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span></p> - -<h2 id="esc32">ESCURSIONE TRENTESIMASECONDA. -<span class="smaller">PONTELAMBRO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Mazonio. — La sua chiesa — Il pittor Ferrabini. — La Fusina. — Filatoio -Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — La Bistonda. — L’annegato. — Pontelambro. — Case -Guaita e Carpani. — Una lapide -nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — Villa Matilde. — La Plejade de’ -poeti politici moderni, sonetti. — Affresco luinesco distrutto. — Villa -Carpani. — Lezza. — Carpesino. — Arcellasco. — Resica. — Filatoj -Ronchetti e Mambretti. — Brugora. -</p> -</div> - -<p> -Scesi i quattrocento gradini della scala di Castelmarte, -eccoci sulla via che ne adduce a Mazonio, -gruppo di quattro case da contadini, a capo delle -quali è la chiesa della parrocchia, che comprende, -oltre Mazonio, Ponte, Lezza e Carpesino. -</p> - -<p> -La chiesa è bella, architettata da Simone Cantoni, -sebbene non abbia ancora compiuta la facciata. Non -ha quadri di valore, dove eccettui una tela del milanese -Giuseppe Sogni raffigurante Sant’Anna. I freschi -laterali all’altare sarebbero stati rinnovati da Pietro -Ferrabini da Lodi, prospettico e frescante eccellente -della scuola del celebre Sanquirico; ma mentre attendeva -a disegnarne i cartoni e ad un tempo frescava la -chiesa a Rancio di Lecco, cadeva da un ponte eretto -nella chiesa, colpito da apoplessia. La posizione della -<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span> -chiesa di Ponte è piuttosto alta, e dal suo piazzaletto -si ha un’allegra vista. Da questo si discende per una -lunga scalea cordonata. Volgendo a destra, si va a Caslino, -incominciando la via a montare. -</p> - -<p> -La Fusina è un cascinale, ove è cartiera, molino e -torchio, che si presenta da questa parte dopo una casa -incompiuta che siede su d’una specie di dosso, che sarebbe -buon sito a casa di campagna, se non fosse signoreggiata -dal vento, ma che non toglie sia nomata -Bel Dosso. Fuor del cascinale, il Lambro ha il suo -letto sassoso, e il più spesso con poc’acqua, sì che si -passa a guado, tutt’al più facendo appoggio al piede -di qualche ciottolo più grosso. -</p> - -<p> -È qui che dirompendosi il letto del torrente nella -roccia del suolo lascia scoperto il fondo granitico, e -l’acqua, raccogliendosi in un canale, va più rapida a -mettere in movimento il bello stabilimento di filatura -di seta del signor Ohli, condotto con tutta l’intelligenza -e proprietà d’un vero prussiano, com’egli è. -Questo punto chiamasi il <i>Zocco Romano</i>; ma perchè -così si chiami non lo chiedete: nè io, nè quei del paese -ve lo sapremmo dire. Certo è di una sua propria alpestre -bellezza il luogo. Varcato il Lambro, s’entra come -in una selva, dove, a mano manca, da un dirupo scende -lungo la nuda roccia una vena sottile d’acqua che -forma bacino, d’onde esce un rivolo, e il romantico -sito è designato col poco romantico nome di <i>Zocco -Battista</i>. Migliore è la cascata che a qualche centinaio -di passi di distanza, a mano destra, si precipita da -un’altezza di forse una sessantina di metri dentro un -bacino assai più vasto e profondo e che s’incaverna di -<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span> -sotto il masso, e vien detta la <i>Bistonda</i>. Poetico è il -ritrovo e quasi incamerata appare la cascata, e il raggio di sole che vi penetra vi si rifrange bellamente. -Narrasi d’un garzone che venuto a bagnarsi in quest’acqua freschissima, inoltrando di troppo, vi sarebbe -perito. Un poeta sentimentale vi troverebbe il soggetto -d’un amore di Ondina, cui il nuzial talamo sarebbero -state le liane della roccia galleggianti sulla superficie -del limpido laghetto. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-290b"></a> - <img src="images/ill-290b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">La Bistonda.</p> -</div> - -<p> -Tutto questo tratto solitario che s’addossa al monte, -alla metà del quale corre l’alpestre via che da Caslino -guida a Pontelambro, fiancheggiata da un rigagnolo -che lascia parte delle sue linfe acciò si gittino a dar -vaghezza al paesaggio in spumeggianti cascate, è d’una -silvestre bellezza, e le ombre che presta giovano d’assai -nella estiva calura. -</p> - -<p> -Or ritorneremo sui nostri passi, e dalla scalea della -chiesa volgiamo all’opposto lato che or percorremmo -per entrare in Ponte. A distinguerlo da Ponte di Valtellina -gli si aggiunse il nome del fiume sulla cui -sponda siede e che qui lo attraversa con un ponte, da -cui certo il paese si nominò, e che è di un bello e ardito -arco ristaurato in questi ultimi tempi, rendendosene -più facile l’accesso col diminuirne la pendenza -verso il paese; il quale va ognor più allargando la sua -via principale che gli corre in mezzo, a scemare i pericoli -de’ rotanti nello scambio ed a rinsanire ognor -più le abitazioni. Continuandosi nelle migliorie, di cui -vuol darsi lode al già suo sindaco, il cav. Giuseppe -Guaita, che per esse affrontò ben anco l’impopolarità, -è a sperare che sparisca la brutta fama guadagnatasi -<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span> -dal paese, che passa per essere copioso di gozzuti, che -per altro io non vidi mai. -</p> - -<p> -Oltre la casa del predetto signor Guaita, ve n’ha -pure altra signorile del signor Cesare Carpani, al quale -molto è debitore il paese per aver concesso che da’ suoi -fondi si derivasse l’acqua eccellente della quale è ora -abbondevolmente fornito; ed altra casa della signora -Erminia Carpani. Dalla prima si gode il prospetto severo -della vallata di Caslino, degna dello studio e del -pennello d’un artista. Qui infatti venivano negli anni -scorsi e lo Stefani e il De Albertis e il Castoldi, che -nell’autunno del passato 1871 vi perdette la buona e -affettuosa moglie. Nel camposanto vi fu da lui collocato -il monumento, pel quale io dettai, a memoria -della egregia donna, la seguente iscrizione: -</p> - -<p class="center"> -A Giovanna Castoldi-Villa<br /> -Che dalla natia Milano<br /> -Venuta invano a chiedere<br /> -Alla purezza di questo aere<br /> -I consueti conforti<br /> -Vi moriva addì XVI ottobre MDCCCLXXI<br /> -Il marito Guglielmo Castoldi pittore<br /> -E i giovanetti figli Romeo e Cesare<br /> -Seco portando ovunque<br /> -La santa memoria di sue miti virtù<br /> -Qui<br /> -Dove ne deposero inconsolabili le spoglie<br /> -P. Q. P. -</p> - -<p> -Presso il ponte e lungo il fiume sorge lo stabilimento -a filatojo di seta già del Bonsignori, ora del Bressi; -e a notte, allorquando vi si lavora, quelle tante finestre -illuminate in quell’avvallamento in cui si trova -<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span> -servono di fantastico effetto alla villa Carpani ed alla -villa Matilde, che stanno sulla sponda opposta, le quali -s’uniscono ai voti delle case Cesare Carpani e Guaita, -perchè il camino del vapore venga alzato e sia tolto -l’incomodo fumo e il puzzo che in densa colonna si -svolgono da esso. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-292b"></a> - <img src="images/ill-292b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Villa Matilde a Pontelambro.</p> -</div> - -<p> -Nella primavera del 1863 io era ospite del signor -Carlo Carpani, e nel passare questo ponte, rivolgendomi -ad ammirare la pittoresca scena del Lambro dalla -parte appunto di Caslino, meravigliavo come mai nessuno -avesse mai pensato a tramutare in villa il brutto -casolare che s’ascondeva tra i peschi e mille altre -piante; perocchè la postura fosse fra le più invidiabili, -essendo su facile poggio, avente a ridosso la montagna -boscosa che gli serviva di sfondo magnifico, e al piede -gli si sprofondava il Lambro col più pittoresco effetto; -e sì mi invaghii dell’idea, che in breve ora ne conchiusi -per me l’acquisto, e nel successivo anno s’elevava già -su quell’eminenza la piccola mia villa, cui, in omaggio -alla mia sposa, imponevo il nome di villa Matilde. -</p> - -<p> -Perdonerà il lettore, se l’affetto ch’io porto a questo -loghicciuolo, al quale ebbi la presunzione d’essere io -medesimo architetto, mi trasse qui a fornirgli il riscontro -di sua veduta; nè poi, permettendo ch’io dica -dell’opera mia, concederà che ne parli, togliendo alcuni -brani da un’appendice a stampa del giornale <i>La -Fama</i>, di quel mio dotto e dilettissimo amico che è -Pietro Cominazzi, e che egli riprodusse a parte nell’accompagnarmi -sette sonetti ad illustrazione di altrettanti -medaglioni di marmo de’ quali decorai, per un -mio concetto patriottico e letterario ad un tempo, la -terrena sala. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span> -</p> - -<p> -“E poichè parlasi del Pian d’Erba non vuole chi -traduce<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a> lasciarsi sfuggire il destro di ricordare la -<i>Villa Matilde</i>, proprietà dello scrittore di queste lettere, -un Casino Svizzero che, quasi grazioso nido d’augelli, -si addossa al monte di San Salvatore non lungi -dalle scaturigini del Lambro e sovrasta al popoloso ed -industre borgo di Ponte. Coll’intuizione del poeta, il -Curti scoperse quel sito, sebbene nascosto tra fittissime -piante, e coll’ingegno dell’artista architetto il cangiò -da umile abituro in leggiadra dimora, non angusta, -ma comodissima, sebbene ristretta, togliendo ai massi -della montagna lo spazio che facea d’uopo ad ampliarla -ed a compierne la salita ed il giardino. L’amore alle -arti, che il guidò nell’opera bella e sagace, e diresse -ogni cosa dalle bisogne più ricercate alle più umili, il -trasse ad arricchire l’amenissimo soggiorno di squisiti -dipinti e di pregiate scolture, sette delle quali, a bella -posta trattate in medaglioni con cui adornar si piacque -un’ampia sala, recano, effigiate dallo scalpello del -Tantardini, del Magni e del Buzzi-Leone, le sembianze -dell’Alfieri, del Monti, del Foscolo, del Parini, del Niccolini, -del Leopardi e del Giusti; oltre un bel gruppo -di Giovanni Cabialia, cresciuto alla scuola di P. Marchesi. Una copiosa biblioteca conforta, nei riposi del -corpo, lo spirito del Poeta, lo ristora delle assidue ed -onorate fatiche del Foro e del Parlamento, e giova a -rinvigorire la memoria dell’erudito, che da quel suo -<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span> -tranquillo e beato asilo scopre ne’ villaggi circostanti -le grandi orme del Popolo Re. Fra i molti dipinti primeggiano -un Salvator Rosa, un Maratti ed un Poussin, -e recano fede del buon gusto e dell’amore del Curti -allo stile classico ed immortale, e fra le opere moderne -ha i primi onori un bel ritratto di donna, di Cesare -Poggi e una bella tela del Castoldi, testè ammirata -alla pubblica mostra nel Palazzo di Brera, nella quale -si raccoglie e compenetra il bello per arte e per natura, -esternamente visibile, della villa che abbiamo in -guisa rapida e succinta imperfettamente descritta.„ -</p> - -<p> -Più tardi, cioè nell’agosto 1870, il medesimo Cominazzi, -regalandomi d’una sua pubblicazione <i>Plejade dei -Poeti Politici Italiani moderni, medaglioni in marmo -nella villa Matilde</i><a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>, ristampando la lettera suddetta, -vi soggiungeva: -</p> - -<p> -“Ora risalutando la villa e le sembianze dei Poeti, -Plejade gloriosa da te riunita a ricordo di quegli illustri -che fecero famosa ai nostri giorni o poco addietro -nel politico arringo l’età che viviamo, pensai di tributare -a ciascheduno di loro, col mio povero verso, l’omaggio -di chi sente e non dimentica, -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">VITTORIO ALFIERI.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Dello scultore cav. Pietro Magni.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Onta e sprezzo a colui che te maestro,</p> -<p class="i02"> Te non saluta libero poeta,</p> -<p class="i02"> E nell’opra del tuo terribil estro</p> -<p class="i02"> L’ingegno reverente non accheta!</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span></p> -<p class="i01">Tu per cammino al cieco volgo alpestro</p> -<p class="i02"> Traevi ardito a generosa meta,</p> -<p class="i02"> E noi guidavi, tu vigile e destro,</p> -<p class="i02"> Al raggio singolar del tuo Pianeta:</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Di Libertà il Pianeta, e di quel lume,</p> -<p class="i02"> — Fiaccola ai vivi, eterna gloria ai morti, —</p> -<p class="i02"> Inconsumabil fiamma è il tuo volume.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Or che stupir se Libertà traligna</p> -<p class="i02"> Quando Italia, non più popol di forti,</p> -<p class="i02"> Al suo grande Astigian fatta è matrigna!</p> -</div></div> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">GIUSEPPE PARINI.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Dello stesso.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">A te del vizio correttor sagace,</p> -<p class="i02"> Gentil cantor del <i>nobile Mattino</i>,</p> -<p class="i02"> Cui diede amico il Ciel del Venosino</p> -<p class="i02"> Arguzia, grazia, fantasia ferace;</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">A te la moda, petulante, audace,</p> -<p class="i02"> Fronda non tolse dell’allôr divino;</p> -<p class="i02"> Chè fra l’ira di parte è tuo destino</p> -<p class="i02"> Agli avversi vessilli intimar pace.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Tu l’aureo stil, le immagini venuste</p> -<p class="i02"> Chiedi al passato e del saver la fonte,</p> -<p class="i02"> Chiedi alla nuova età le idee robuste.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Così d’Arte sovrana il magistero</p> -<p class="i02"> Stringe, di tempo e d’uom sfidando l’onte,</p> -<p class="i02"> In connubio immortale il Bello e il Vero.</p> -</div></div> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">VINCENZO MONTI.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Dello scultore cav. Antonio Tantardini.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Solo una volta il vidi, e ancor mi suona</p> -<p class="i02"> Dentro la mente quella voce amica:</p> -<p class="i02"> Non può l’età, che pur nulla perdona,</p> -<p class="i02"> La sacra cancellar memoria antica:</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Che splendida risorge e par mi dica</p> -<p class="i02"> Nell’immagine sua: “Fa core e tuona</p> -<p class="i02"> Contro una gente, che al ben far nimica,</p> -<p class="i02"> Coll’insulto e l’oblio mi guiderdona.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Me cantor di Prometeo e di Bassville,</p> -<p class="i02"> Redivivo Allighier me plaudía Roma,</p> -<p class="i02"> Chè in quel Sol fisse io primo ho le pupille.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Per me, per me nell’italo idïoma</p> -<p class="i02"> Men famosa non è l’ira d’Achille....</p> -<p class="i02"> Or si nieghi l’alloro alla mia chioma!„</p> -</div></div> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">UGO FOSCOLO.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Dello scultore Luigi Buzzi-Leone.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Spirto inquieto, indomito, iracondo,</p> -<p class="i02"> Dei mali altrui più che de’ tuoi profeta,</p> -<p class="i02"> Disdegnoso degli uomini, profondo</p> -<p class="i02"> Critico e pensator, divin poeta:</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ond’è che il verso, onde il tuo stil fecondo</p> -<p class="i02"> D’una tant’aura popolar si allieta?</p> -<p class="i02"> Ond’è che tu, forse ad altrui secondo,</p> -<p class="i02"> Della gloria primier tocchi la meta?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="smcap">Libertà</span> e <span class="smcap">Patria</span>, che un amor congiunse,</p> -<p class="i02"> — E di lor sole poche menti han sazie, —</p> -<p class="i02"> Le magnanime idee t’ebber dischiuse.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Quando sull’urna tua scrisser le Muse:</p> -<p class="i02"> “<i>Al Cantor de’ Sepolcri e delle Grazie</i>,„ —</p> -<p class="i02"> “<i>Alla Fede immutata</i>„ Italia aggiunse.</p> -</div></div> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">GIAN. BATT. NICCOLINI.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Dello scultore cav. Antonio Tantardini.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Veglio, che pensi? Dal sembiante austero</p> -<p class="i02"> Quanta spirar profetic’aura io miro,</p> -<p class="i02"> L’aura che un tempo all’italo deliro</p> -<p class="i02"> L’altrui scoverse menzogner pensiero?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">“Non credete a costei!<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a> Sogna l’impero,</p> -<p class="i02"> Sogna e cova nel petto onta e raggiro:</p> -<p class="i02"> A Libertà, dei Popoli sospiro,</p> -<p class="i02"> Può il varco aprir la cattedra di Piero?„</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">E il ver dicevi, o generoso Vate;</p> -<p class="i02"> Colei tradiva, e lo stranier ribaldo</p> -<p class="i02"> Ribadia le catene a Libertate.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Col verso intanto vigoroso e caldo</p> -<p class="i02"> — Tremendo esempio alla più tarda etate —</p> -<p class="i02"> Tu evocavi la grande ombra di Arnaldo.</p> -</div></div> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">GIACOMO LEOPARDI.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Del medesimo.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Sofo e Poeta, Te l’Italia inchina</p> -<p class="i02"> Sublime ingegno, e non bugiarda fama</p> -<p class="i02"> Di tre favelle imperador ti chiama,</p> -<p class="i02"> E tre corone al tuo capo destina.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Di Libertà, che indocile si ostina</p> -<p class="i02"> Spezzare i ceppi della patria grama,</p> -<p class="i02"> Svegli nei cor la generosa brama</p> -<p class="i02"> Colla splendida tua mente indovina.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ecco, libera Italia, ed i nepoti</p> -<p class="i02"> Alzare i marmi al Ghibellin sdegnoso,</p> -<p class="i02"> Che scopria del futuro i mondi ignoti.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ma l’opra è monca... e Tu dal tuo riposo</p> -<p class="i02"> Sorgi e un inerte popolo riscuoti,</p> -<p class="i02"> Ad osar pronto ed a compir ritroso.</p> -</div></div> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i04">GIUSEPPE GIUSTI.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><i>Dello scultore cav. P. Magni.</i></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">D’Archiloco lo strale e d’Aristarco</p> -<p class="i02"> Il flagello tu vibri acre, temuto,</p> -<p class="i02"> E collo stil sprezzatamente arguto</p> -<p class="i02"> Facile t’apri agli intelletti il varco.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Se il colpo aggiusta l’infallibil arco,</p> -<p class="i02"> Punge e vellica a un tempo il ferro acuto,</p> -<p class="i02"> Chè tu mai non obblii, prudente e astuto,</p> -<p class="i02"> D’ammonir dilettando il doppio incarco.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Come, o Cantor di <i>Gingillino</i>, il verso,</p> -<p class="i02"> Che dal semplice trae forma e vaghezza,</p> -<p class="i02"> Nella mente s’addentra e vi si chiude!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Tal che il tuo dir, sì dall’altrui diverso,</p> -<p class="i02"> Più volontier s’ascolta, e più s’apprezza,</p> -<p class="i02"> Quanto si mostra men, la sua virtude.</p> -</div></div> - -<p> -Su Ponte, sotto l’arco presso la casa de’ Bonsignori, -ora Bressi, eravi un fresco, riconosciuto come indubbiamente -di Bernardino Luini; ma con imperdonabile -incuria di tutti, abbandonato alle ingiurie del tempo e -delle stagioni, in questi ultimi anni deperì e si scrostò -talmente, che l’ultimo resto, fattovi sparire dal signor -Bressi, non gli può essere ascritto a colpa. -</p> - -<p> -Ora non lasceremo Pontelambro senza ascendere la -vicina e magnifica villa del signor Luigi Carpani, che -l’eredò dal padre Carlo, e che fu già architettata dal -Moraglia, con giardino eseguito su disegno di quel -grande prospettico che fu Alessandro Sanquirico. -</p> - -<p> -Vi precede come una specie di parco, che le aggiunge -grandiosità, con ampio viale fiancheggiato di -alti alberi e roseti e tuje, e pel quale si monta in carrozza -alla casa. In essa poi vi sono pregevoli quadri -d’animali, del Londonio; qualche buon Fiammingo; -due battaglie, del Borgognone; una tela d’Arienti ed -una del Migliara. Recentemente il suo attuale proprietario -vi recò altri pregevolissimi dipinti di scuole -antiche, come lo Sposalizio di S. Caterina col Bambino, -del Padovanino; una tavola di Cima da Conegliano -<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span> -rappresentante S. Giovanni Battista e S. Pietro -Martire; una figura veneziana, di Gentile Bellini; quattro -quadri di Santi Benedettini, di Daniele Crespi, e -due tele di Brill, una testa del Velasquez, ecc. ecc. — Dallo -spiazzo avanti la casa si ha una superba vista -del Pian d’Erba. -</p> - -<p> -Uscendo dalla villa Carpani, in due passi s’è al -paesello di Lezza, dove era un tempo un convento di -Serviti, che il tennero dal 1508 al 1510 e che ora è -abbandonato al nitro che ne invade i bei sotterranei. -La piscina che vi fu eretta e coperta di portico, raccoglie -l’acqua fresca e salubre che vi scende dal monte -sovrastante. -</p> - -<p> -Lezza ha estremo bisogno di imitare Pontelambro e -di dar mano al piccone ed al martello e allargare la -sua unica via, così angusta da passarvi appena una -carrozza, e causa che i diretti per la Vallassina abbandonassero -affatto questa parte ed eleggessero esclusivamente -la strada di Longone. -</p> - -<p> -Oltre Lezza, al di là del Lambro, siede Carpesino, -che taluni presumono tragga il nome da <i>Carpe sinum</i>, -piglia il porto; e se ciò fosse, sarebbe memoria che -sin qui si estendesse l’Éupili. Vi hanno ville i Nava -e i Caldara; più su vi è Brugora come sul ciglio di -un pendío, e per istrade praticate fra’ boschi si va a -Proserpio e Longone, che noi già abbiamo conosciuto; -mentre progredendo per la via che qui ne condusse, -si trova Arcellasco, poi la Resica, ove è un filatojo già -de’ Carpani di Ponte, ora dei fratelli Ronchetti; e un -altro dei Mambretti; e finalmente si giugne al ponte -della Malpensata. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span></p> - -<h2 id="esc33">ESCURSIONE TRENTESIMATERZA. -<span class="smaller">SAN SALVATORE.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -I <i>Geritt</i>. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e Genolini. — Il torrente -Bova. — La dara. — San Salvatore. — Il convento. — Il signor -Boselli. — Giovanni Biffi. — Il tronco mellifero. — La villa Righetti. -</p> -</div> - -<p> -Da Lezza, per una via ampia sì ma acclive e che -mano mano si ascende scopre miglior orizzonte, perchè -rivela da una parte il lago di Pusiano e dall’altra -quello d’Alserio, e con essi i loro vicini paesi, si arriva -a Mornico, villaggio che si confonde con quel di -Crevenna, sì che il nome del primo, più che sulla pietra -miliare, non è ripetuto da alcuno. -</p> - -<p> -A mezzo per altro di quest’ampia via dove si volge, -formando angolo, s’apre una tal vista, che chi vi avesse -a fabbricare una casa vi troverebbe certo a deliziare -lo sguardo. -</p> - -<p> -Invece meno accorti speculatori, nel sottoposto vallone, -vi eressero casini, tra cui quello detto dei Gerini -(<i>Geritt</i>), nel quale già prendeva riposo dalle teatrali -fatiche il tenore di bella fama Bulterini, e da qualche -anno quella esimia artista soprano, che è la signora -<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span> -Enrichetta Berini e il di lei marito Osmondo Meini, -basso cantante di egregia riputazione. In compenso -della limitata vista, vi si gode della piena libertà, -perchè fuor dell’accesso e dello sguardo comune. -</p> - -<p> -In Crevenna vi sono le ville dei signori Bressi e dei -Genolini, e presso il paese si dirupa in profondo vallone -il torrente Bova, che poi, quando mena le sue -acque tumultuose, le gitta nel Lambro poco disotto a -Carpesino. -</p> - -<p> -Nella villa de’ Genolini, quando apparteneva ai signori -Fontana, traeva frequente ospite amatissimo quel -gentile scrittore e poeta, che ognun conosce in Giulio -Carcano, e quivi ispiravasi egli ad inni leggiadri, de’ -quali alcun breve saggio reca il presente mio libro. -</p> - -<p> -Sul piazzale della chiesa parrocchiale s’apre la via -che guida a San Salvatore. Quantunque essa sia abbastanza -erta, pure è ampia e tale da potersi valere -della <i>dara</i>, specie di veicolo primitivo trascinato da’ -buoi, di che i proprietarî delle ville che vi sono a quell’altezza si valgono bene spesso. -</p> - -<p> -Merita di salire a San Salvatore, che, stando al piano -vedesi poggiare a mezzo la montagna, cui dà il nome, -come un nido di aquile. -</p> - -<p> -Quando si è giunti colà, si trova soddisfatti, perchè -dal viale che sta innanzi al caseggiato si ha uno stupendo -panorama, tale da far riscontro alla cima di -Galbiate che gli sta di fronte sull’ultimo confine del -bacino dell’Éupili antico. -</p> - -<p> -Pervenuto a quell’altezza, al cospetto di sì maravigliosa -natura, a voi, come già a me, correrebbero al -labbro i versi del buon Parini: -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span> -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Oh beato terreno,</p> -<p class="i02"> Del vago Éupili mio,</p> -<p class="i02"> Ecco alfin nel tuo seno</p> -<p class="i02"> M’accogli; e del natio</p> -<p class="i02"> Aëre mi circondi,</p> -<p class="i02"> E il petto avido inondi!<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a></p> -</div></div> - -<p> -San Salvatore è un convento che già fu de’ Cappuccini, -e che dalla loro soppressione fu tramutato in villeggiatura. -L’ebbe il signor Boselli, rinomato istitutore -di Milano, che qui conduceva i suoi convittori a ritemprare -la salute, nelle vacanze autunnali, coll’aere -puro che vi regna; ma sorvenuto il 1848, nelle memorande -cinque giornate, caduto vittima del piombo -austriaco, la villa venne dalle leggiadrissime sue figlie -tenuta. -</p> - -<p> -Visitandola, più d’una volta vi trovai, come vi trovano -tutti, il più grazioso ricevimento dalla gentilissima -signora Irene Boselli, moglie a quel colto scrittore -che è Giovanni Biffi, l’autore della <i>Ghita del Carrobio</i> -e del <i>Prina</i>, il quale una volta mi fu anche cicerone -del luogo, e mi mostrò parte a parte ogni sala, ogni -cella, e la chiesa, a cui traggono i devoti di Crevenna -in certe solennità, e sulla quale, non saprei con quanto -diritto, spiega il Comune pretesa <i>ab immemorabili</i>, additandomi -la stanza dove venne ospitato San Carlo -Borromeo e i mobili da lui usati, e via via l’orto, il -cascinale e il viale che poi mette al sentiero che percorre -la montagna fino a Caslino. Quel giorno, sorridendo, -dopo avermi condotto presso un gran tronco -<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span> -d’albero che giaceva in terra, mi ripeteva i versi del -Manzoni: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Stillano miele i tronchi:</p> -<p class="i01">Ove copriano i bronchi,</p> -<p class="i01">Ivi germoglia il fior;</p> -</div></div> - -<p> -ed accennando a quel tronco abbattuto, dicevami come -il dì prima avesse trovato essere stato tutto cavo e -pieno del più eletto miele, che estraeva in due ben -capaci recipienti. Da qui egli poi muoveva, infaticabile -Nembrod, a cacciar lepri pei monti, delle quali prese -frequenti fa parte agli amici. -</p> - -<p> -Il convento di San Salvatore è ora esclusiva proprietà -della signora Boselli-Righetti, figliuola al sullodato -istitutore milanese. -</p> - -<p> -Le comitive allegre ed instancabili, a San Salvatore -non fanno spesso che una prima sosta; perocchè si dirigano -sovente dopo per aspro sentiero al <i>Buco del -Piombo</i>, cui ho riservata la ventura escursione, o alla -<i>Colma</i>, che altro non è che il vertice del monte, dal -quale è dato di spaziare per gli opposti versanti; e lo -sguardo, signore da una parte del Pian d’Erba e della -Brianza, dall’altra segue tutta la linea non meno superba -del lago di Como. I coraggiosi son molti, e fra -questi non mancano mai le gentili signore. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-304b"></a> - <img src="images/ill-304b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Interno del Buco del Piombo.</p> -</div> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span></p> - -<h2 id="esc34">ESCURSIONE TRENTESIMAQUARTA. -<span class="smaller">IL BUCO DEL PIOMBO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — Aneddoto. — Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — Concorso -di gente. — I versi -di Torti. -</p> -</div> - -<p> -E noi, poichè siamo già a San Salvatore, continuiamo -la via pel <i>Buco del Piombo</i>. È lunga, è aspra, -ma retrocedere per pigliar l’altra dell’opposto ciglione -del monte non ne pare conveniente. -</p> - -<p> -È però cammino ameno e pittoresco, e se i piedi -faticano, lo sguardo si diverte e gode. -</p> - -<p> -Sorpassiamo gli incidenti del cammino, ed eccoci di -sotto al Buco del Piombo. -</p> - -<p> -Anni addietro abbisognava di certo coraggio per -inerpicarsi fino al punto, dal quale, per mezzo d’una -scala a mano, si poteva penetrare nell’antro; ma dopo -che tutte queste Alpi, come le chiamano quei del paese, -vennero in proprietà del conte Turati, che su di esse -vi stabilì una razza di cavalli, la bisogna è mutata: -l’accesso è reso più praticabile e comodo. -</p> - -<p> -Non creda il lettore che la caverna per la quale -entriamo tenga fede al suo nome; traccia di piombo -<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span> -non vi si riscontra, nè pare vi sia stato mai; non -diamo però le spese al cervello per indovinarne la -ragion del nome; vi chiaccherarono intorno e scrissero -assai e assai, ed un costrutto non se n’è per anco -cavato. Narrasi anzi, a tale proposito, un aneddoto. -Nel vicino convento de’ Cappuccini di San Salvatore, -che abbiamo testè veduto, nella biblioteca del chiostro, -stava un volume legato, sul cui dosso leggevasi il titolo: -<i>Origine del Buco del Piombo</i>. La mano d’ogni -visitatore correva a togliere il volume dallo scaffale, -curioso di leggervi una tale origine; ma ne rimaneva -scornato: il volume non era che un pezzo di legno foggiato -a libro, fratesco scherzo, del quale si trova il -riscontro in Venezia ai Frari, dove è consimile volume -lavorato dal celebre Brustolon. -</p> - -<p> -Sull’ingresso dell’antro veggonsi avanzi di muraglie -e d’arpioni, onde s’ha a credere che vi fossero applicate -porte e che però vi abitasse gente. Serviva a vedetta -militare od a presidio? era rifugio di predoni o -di banditi? ricoveravan qui, com’altri presumono, i -Longobardi cacciati dall’ira de’ Franchi? Non v’è memoria -o scritto che il dica. L’atrio che sarebbe stata -la parte abitabile, è spazioso: ha la larghezza di metri -38, l’altezza di 42 e la lunghezza di 55, ed è sempre -qui che le brigate che vi montano si rifocillano -colle provvigioni di bocca mandate innanzi. -</p> - -<p> -Ma la caverna si interna e sprofonda per un vano -quasi continuo della larghezza di metri nove e dell’altezza -di otto, e vi si può camminare per circa 188 -metri coll’aiuto della luce del giorno; più avanti si va, -si va accendendo qualche torcia, e dopo 18 metri di -<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span> -cammino, si giunge a un punto dove a destra s’apre -altra caverna larga circa metri 1,30, ed avanzando per -una trentina d’altri metri, leggesi una lapide che vi -fu messa, del tenore seguente: -</p> - -<p class="center"> -S. A. I. il Princ. Raineri Vicerè<br /> -Consigliere De-Capitani<br /> -Ciambellano conte Paar.<br /> -Gli 8 maggio 1819. -</p> - -<p> -Altri si spinsero più in là; trovarono che lo speco ora -abbassavasi, ora rialzavasi; che acque vi correvano in -ruscelli o formavano pozze; finchè non parve andare -più avanti, forse essendo anche ciò pericoloso. -</p> - -<p> -Ho già detto a suo luogo come vi abbia chi opini -che questa caverna vada e s’inoltri fin presso la fonte -Pliniana del lago di Como; ma non sono che pure supposizioni, -alle quali nulla porge fondamento. -</p> - -<p> -Sotto dell’antro, o Buco del Piombo, corre il torrente -Bova, per mezzo a un letto franato e fra roccie, che -ne fan quasi un orrido d’artistico effetto; ma pur di -questo torrente ho parlato nella passata escursione. -</p> - -<p> -La curiosità chiama moltissimi visitatori al Buco del -Piombo; dirò di più: non v’ha villeggiante o forestiero -che sia venuto nel Pian d’Erba, il quale non l’abbia -una volta almeno fatto scopo di una sua pellegrinazione. -</p> - -<p> -Così lo ricordava il Torti in que’ versi che dal Pian -d’Erba dettava: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O selvose montagne, o gioghi erbosi,</p> -<p class="i02"> O di lontan sovreminenti al verde</p> -<p class="i02"> Cornuti massi, o dolce aere vitale,</p> -<p class="i02"> O dal sol di settembre illuminate</p> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span></p> -<p class="i02"> Felici rive, umili poggi e sparsi</p> -<p class="i02"> Casali e ville, e pascoli e vigneti</p> -<p class="i02"> Dell’Éupili ridente; o vasto speco</p> -<p class="i02"> Di nome senza origine, su in alto</p> -<p class="i02"> A mezzo monte dalle curve strade</p> -<p class="i02"> Per gran paese riveduto sempre;</p> -<p class="i02"> O collinetta sovra l’altre amica</p> -<p class="i02"> Ov’io sedeva a contemplar la mesta</p> -<p class="i02"> Valle del mio Segrin; voi già mia prima</p> -<p class="i02"> Delizia e voluttà, di tutto l’anno</p> -<p class="i02"> Speme e pensier...</p> -</div></div> - -<p> -Oh! veramente son questi luoghi tali da ispirare e -da accendere gli estri del poeta; nè vi fu amico delle -Muse che a queste delizie del Pian d’Erba traendo, -non se ne sia ispirato, non ne abbia poi ne’ carmi -espresse le soavi dolcezze. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span></p> - -<h2 id="esc35">ESCURSIONE TRENTESIMAQUINTA. -<span class="smaller">LA VILLA AMALIA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria degli Angeli. — L’avv. -Rocco Marliani. — Il palazzo, il giardino e il bosco. — Il -monumento a Parini. — Monti e Foscolo ospiti. — Episodio -della Mascheroniana. — La torre. -</p> -</div> - -<p> -Ridiscesi a Crevenna, proseguiamo la via che ci condusse -da Lezza, e dopo qualche centinaia di passi, ci -ritroviamo ad Erba superiore. -</p> - -<p> -Noi riserbandoci a veder il paese, per ora arrestiamoci -qui davanti alla villa Amalia, che ha innanzi -vaghi tappeti d’erba e vasto piazzale. Due facciate ha -la villa; l’una riguarda al giardino, l’altra alla corte: -a quella cresce grandiosità una gradinata e un padiglione; -a questa bellissimi bassorilievi in terra cotta; -ma l’ingresso è per un cancello da questa parte che -sta di fronte ad Erba. La chiesa laterale ti rammenta -subito che un dì potesse essere questo luogo un convento. -Infatti vi fu fabbricato da Guido Carpano e -dalla chiesa fu detto di Santa Maria degli Angeli. -</p> - -<p> -Francesco Del Conte vi stabilì i Cappuccini; passò di -poi ai Filippini; finchè al principiar del secolo corrente, -<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span> -l’avvocato milanese Rocco Marliani, consigliere -della Corte d’Appello, l’acquistò, e su disegno di quel -valente architetto che fu Leopoldo Polak, vi eresse la -sontuosa villa che, dal nome della propria sposa, appellò -Amalia. -</p> - -<p> -Nel cortile di essa lasciò memoria di ciò nell’iscrizione -seguente: -</p> - -<p class="center"> -Rochus Petri Fil. Marlianus<br /> -Domo Mediolano<br /> -Cœnobi veteris operibus a solo ampliatis<br /> -Villam extruxit ornavit<br /> -Amaliam<br /> -Ex conjugis karissimæ nomine appellandum<br /> -Anno 1801<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>. -</p> - -<p> -E dirimpetto a tal lapide stanno i seguenti versi -d’Orazio: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus</p> -<p class="i02"> Hortus ubi, et tecto vicinus jugis aquæ fons,</p> -<p class="i02"> Et paulum sylvæ super his foret. Auctius, atque</p> -<p class="i02"> Dî melius fecere. Bene est. Nihil amplius oro<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Vi condusse il Marliani artisti ad abbellirla, e di -<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span> -Giuseppe Bossi infatti vedesi un’Aurora, dipinta nella -sala di mezzo del palazzo; e nel giardino, o a meglio -dire, nel bosco che vi fa parte, rizzò un tempietto sacro -alla Prudenza, rappresentata da una statua che vi -sorge nel mezzo, e poco appresso collocò due statue, -Diana ed Atteone. Dove poi l’ombra è più oscura del -bosco, eresse un monumento con un busto, opera di -Giuseppe Franchi, tutto recinto di macchie d’alloro, -fiancheggiato da funereo cipresso, e lo consacrò alla -memoria di Giuseppe Parini, che fu sovente ospite -venerato del Marliani; e comechè nel sottoposto sotterraneo -ei vi avesse collocato un organo che, tocco, -mandava una mesta armonia, così aveva fatto scolpire -sulla base del monumento a Parini i quattro versi di -lui, tolti all’ode <i>All’inclita Nice</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Qui ferma il passo, e attonito</p> -<p class="i02"> Udrai del pio cantore</p> -<p class="i02"> Le commosse reliquie</p> -<p class="i02"> Sotto la terra argute sibilar.</p> -</div></div> - -<p> -E come Parini, qui venivano accolti dalla cordialità -e dall’affetto riverente del Marliani anche Foscolo e -Monti, il qual ultimo raccomandò alla imperitura memoria -dei posteri il nome della villa, illustrando la -tomba del grande poeta che vi è conservata, nelle seguenti -terzine della sua <i>Mascheroniana</i>: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">I placidi cercai poggi felici</p> -<p class="i02"> Che con dolce pendío cingon le liete</p> -<p class="i02"> Dell’Éupili lagune irrigatrici;</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">E nel vederli mi sclamai: Salvete,</p> -<p class="i02"> Piagge dilette al ciel, che al mio Parini</p> -<p class="i02"> Foste cortesi di vostr’ombre quete!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Quand’ei fabbro di numeri divini</p> -<p class="i02"> L’acre bile fe’ dolce, e la vestía</p> -<p class="i02"> Di tebani concenti e venosini,</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Parea de’ carmi suoi la melodia</p> -<p class="i02"> Per quell’aura ancor viva; e l’aure e l’onde</p> -<p class="i02"> E le selve eran tutte un’armonia.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Parean d’intorno i fior, l’erbe, le fronde</p> -<p class="i02"> Animarsi e iterarmi in suon pietoso:</p> -<p class="i02"> Il cantor nostro ov’è? chi lo nasconde?</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ed ecco in mezzo di recinto ombroso</p> -<p class="i02"> Sculto un sasso funebre che dicea:</p> -<p class="i02"> <i>Ai sacri Mani di Parin riposo</i>...</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Ed una non so ben se donna o dea</p> -<p class="i02"> (Tese l’orecchio, aguzzò gli occhi il vate</p> -<p class="i02"> E spianava le rughe e sorridea)</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Colle dita venia bianco rosate</p> -<p class="i02"> Spargendolo di fiori e di mortella,</p> -<p class="i02"> Di rispetto atteggiata e di pietate!</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Bella la guancia in suo pudor; più bella</p> -<p class="i02"> Sulla fronte splendea l’alma serena</p> -<p class="i02"> Come in limpido rio raggio di stella.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Poscia che dati i mirti ebbe a man piena,</p> -<p class="i02"> Di lauro, che parea lieto fiorisse</p> -<p class="i02"> Tra le sue man, fe’ al sasso una catena;</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">E un sospir trasse affettuoso e disse</p> -<p class="i02"> Pace eterna all’amico; e te chiamando</p> -<p class="i02"> I lumi al cielo sì pietosi affisse,</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Che gli occhi anch’io levai, fermo aspettando</p> -<p class="i02"> Che tu scendessi, e vidi che mortale</p> -<p class="i02"> Grido agli Eterni non salía più, quando</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span></p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Il costei prego a te non giunse; il quale</p> -<p class="i02"> Se alle porte celesti invan percote,</p> -<p class="i02"> Per là dentro passar null’altro ha l’ale.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Riverente in disparte alla devota</p> -<p class="i02"> Ceremonia assistea, colle tranquille</p> -<p class="i02"> Luci nel volto della donna immote,</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Uom d’alta cortesia, che il ciel sortille</p> -<p class="i02"> Più che consorte, amico. Ed ei che vuole</p> -<p class="i02"> Il voler delle care alme pupille,</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Sol per farle contente eccelsa mole</p> -<p class="i02"> D’attico gusto ergea, su cui fermato</p> -<p class="i02"> Pareami in cielo, per gioirne, il sole.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">E <i>Amalia</i> la dicea, dal nome amato</p> -<p class="i02"> Di colei che del loco era la diva,</p> -<p class="i02"> E più del cor che al suo congiunse il fato.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Al pietoso olocausto, a quella viva</p> -<p class="i02"> Gara d’amor mirando, già di mente</p> -<p class="i02"> Del mio gir oltre la cagion m’usciva.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Mossi alfine, e quei colli ove si sente</p> -<p class="i02"> Tutto il bel di natura abbandonai</p> -<p class="i02"> L’orme segnando al cor contrarie e lente<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Fu lunga la citazione, ma in compenso splendida, -come splendidi sono sempre i versi di Vincenzo Monti, -al quale l’età più prosaica osa temeraria levarsi e -contendere il lauro di poeta. -</p> - -<p> -La villa Amalia passò dopo a diversi signori, finchè -pervenne al marchese Massimiliano Stampa Soncino, -che vi aggiunse bellezze a bellezze. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span> -</p> - -<p> -Dalla torre che vi sta, si può abbracciare collo -sguardo il più stupendo orizzonte ed estasiarsi alla -vista di monti e colli, di laghi e fiumi, di paesi e ville -infinite e campagne e boschi. -</p> - -<p> -Gli amatori di botanica avrebbero per più d’un’ora -a deliziarsi ammirando le infinite camelie di più qualità, -boschetti di fusaria del Giappone, cespugli di azalee -e di rododendri, e rose magnifiche, e mazzi di <i>olea -fragrans</i>, per non dir d’altri molti e fiori e piante peregrine, -che di loro vaghezza e profumo imparadisan -la villa, degna della ricchezza e nobiltà del suo cortese -proprietario, e però va meritamente tra le più splendide -e deliziose della Brianza annoverata. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span></p> - -<h2 id="esc36">ESCURSIONE TRENTESIMASESTA. -<span class="smaller">ERBA.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il castello e la -villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente Bocogna. — Villa Conti. — Erba -Inferiore. — Pretura, ufficio telegrafico, albergo e botteghe. — Il -caffè e gli <i>amaretti</i>. — Il teatro. — Ville Clerici e Brivio. — Vill’incino. — Mercato -d’Incino. — <i>Liciniforum.</i> — Lapidi. — Ninfeo antico. — Fatti -storici. — Il mercato del giovedì. -</p> -</div> - -<p> -Questa borgata, che dà il suo nome al bellissimo -territorio che vengo dichiarando al lettore, distendendosi -su d’una eminenza a mo’ d’anfiteatro per quelli -che la riguardano venendo dalla Malpensata, fa sì che -alla parte più alta si assegnasse il nome di Erba Superiore, -ed è certo la migliore, perocchè domini una -quantità maggiore d’orizzonte, potendosi spingere -l’occhio sin là presso Cesana e Galbiate, e vedere il -Monte Baro, e via via quelle ridenti colline che finiscono -alla Montevecchia, e quella ridente estensione -della Brianza co’ suoi infiniti villaggi; mentre poi da -sinistra si posa sui colli placidi e d’insensibil pendío -di Proserpio, colla biancheggiante sua chiesa che s’avanza -fin sull’estremo limite d’un promontorio, su Castelmarte -e sui denti o corni di Canzo e sull’Alpe di -Carella che, massime all’ora del tramonto, si veste -<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span> -delle più calde tinte che mano mano si vengono trasformando -in auree, poi in porporine, quindi in violacee, -finchè l’ombra notturna non le abbia confuse nell’uniforme -bruno. -</p> - -<p> -Era certamente nell’ammirazione di questo stupendo -panorama che lo scrittore d’<i>Angiola Maria</i> -esclamava: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">O monti, o vette aeree,</p> -<p class="i02"> O piani d’Erba, addio!</p> -<p class="i02"> O valli, o poggi placidi</p> -<p class="i02"> Dal fertile pendío,</p> -<p class="i02"> Asil soave e muto</p> -<p class="i02"> Di rustica beltà;</p> -<p class="i02"> Io v’amo, io vi saluto</p> -<p class="i02"> Con mesta voluttà.</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Salvete, o voi tranquille</p> -<p class="i02"> Innumere borgate,</p> -<p class="i02"> Liete cosparse ville,</p> -<p class="i02"> Campagne invidïate!</p> -<p class="i02"> Io v’amo, e in cor vi sento</p> -<p class="i02"> Com’inno del mattin,</p> -<p class="i02"> Come il primiero accento</p> -<p class="i02"> Dell’italo bambin.</p> -</div></div> - -<p> -Erba non può contare, è vero, una storia ricca di -avvenimenti; ma per l’aiuto dato all’armi milanesi -alla battaglia da questi ultimi combattuta contro gli -aderenti del Barbarossa nel nove agosto 1160 — fu -una nobile e generosa azione — s’ebbe il diritto di -cittadinanza, che le fu mantenuto anche in seguito e -da Ottone Visconti, e dagli Spagnuoli e dai Tedeschi. -Di più ne dice il prevosto Annoni nella sua <i>Memoria -storica e archeologica intorno al Pian d’Erba</i>, cui rimando -<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span> -il lettore, per non essere tratto dall’amore degli -storici studî a cingermi la giornea e mettere a -cimento la pazienza di lui. -</p> - -<p> -Attivamente poi partecipa il suo territorio all’industria -che meglio si fa alla Brianza, alla serica vo’ dire, -potendo contare oltre quaranta filande e quaranta -filatoi, e così vien presso agli altri distretti di Oggionno, -di Vimercate e di Lecco, che si additano come -i meglio dotati in Lombardia di congeneri stabilimenti. -</p> - -<p> -Sull’angolo sinistro d’Erba Superiore sorgeva un -tempo, come del resto si riscontra in ogni terra di -qualche importanza, il castello, ora convertito alla più -felice villeggiatura de’ signori Valaperta, dove più -d’una volta vidi ospite quel valoroso campione dell’arte pittorica moderna che è Francesco Hayez. -</p> - -<p> -Di sotto al castello si avvalla con grazioso effetto il -terreno, epperò vien detto Pravalle, pel quale un dì -precipitavasi il torrente Bocogna, menando i soliti -guasti de’ suoi pari; ma i Valaperta ne rivolsero a -bene le acque, facendole servire ad una filanda o -filatoio. -</p> - -<p> -Sul ciglio dell’opposta eminenza, al di là di Pravalle, -si pavoneggia la elegante villeggiatura de’ signori -Conti, che divide coi Valaperta i vantaggi della fortunatissima -posizione. -</p> - -<p> -Erba Superiore è occupata per lo più da ville o case -da villeggiatura: il movimento principale è nondimeno -in Erba Inferiore. La borgata è dotata di Pretura, di -ufficio telegrafico e di albergo: ha tutte le botteghe -occorrevoli al vitto, come in una città; massime le -carni vi si trovano eccellenti dai villeggianti; al suo -<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span> -caffè, elegantemente riaddobbato di fresco e famoso pe’ -suoi <i>amaretti</i>, sorta di pasticcini torrefatti e che contendono -il primato con quelli di Saronno, nelle ore -pomeridiane d’autunno vi convengono i signori e le -eleganti dei dintorni, sia venendovi a piedi, sia cogli -equipaggi, felici del vedersi gli uni gli altri; perocchè, -del resto, la sosta avvenga in una via ristretta e senza -attrattiva di sorta. -</p> - -<p> -Sulla vetta dell’eminenza su cui seggono le sue case, -il pittor Rosa, nel grandioso caseggiato da lui fabbricato -e che affitta nelle ferie autunnali a famiglie per -lo più milanesi in distinti e ammobigliati appartamenti, -costruì un teatro, nel quale in quella stagione -recita talvolta qualche drammatica compagnia sviata. -</p> - -<p> -O per la postale, o per sentieri si discende nel sottoposto -piano a Vill’Incino, dove sorge la prepositurale -nella cui giurisdizione è Erba. Scendendo per la -prima, al risvolto trovasi la villa già Clerici, ora -Mazzucchetti, che ognun veggendo augura veder tramutato -in albergo, tanto se ne sente il bisogno e propizia -ne appaia la posizione; ed a fianco di essa al -principio della via che si interna e guida a Lezza sorge -altra villa de’ signori Brivio ed un filatoio. Proseguendo -invece per la postale, dopo la Clerici, a un centinaio -di passi si è alla suddetta prepositurale. Alquanto più -in là è Incino, o Mercato d’Incino, che, comunque -spopolato tutti i dì della settimana all’infuori del giovedì, -in cui v’è l’antichissimo mercato con opportuni -portici e che diè nome al paese, pure ha memoria di -fatti storici. Eravi certo una colonia romana e vi si -trovarono sepolcri e ossa giganti e armature dell’epoca. -<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span> -Chiamavasi allora <i>Liciniforum</i>, ossia foro o mercato -di Licinio, dal nome di qualche pretore o patrono che -vi comandava la stazione militare, o la colonia; onde -il conservato nome di per sè vale a scalzare d’ogni -fondamento la pretesa di chi volle collocare <i>Liciniforum</i> -nel luogo del poco discosto Parravicino. -</p> - -<p> -Del tempo romano qui si sterrarono e lessero due -lapidi. -</p> - -<p> -La prima: -</p> - -<p class="center"> -Herculi<br /> -C. Metilius<br /> -Secundus<br /> -Votum Solvit Libens Merito. -</p> - -<p> -La seconda: -</p> - -<p class="center"> -Jovi Optimo Maximo<br /> -Cœsia Tullii Filia<br /> -Maxima<br /> -Sacerdos<br /> -Divae Matidiae<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a>. -</p> - -<p> -Una terza lapide importa poi di qui riferire, come -rinvenuta in alcune escavazioni, perchè forse fa cenno -di un ninfeo qui esistito: -</p> - -<p class="center"> -Lymphis Viribus Quintus Vibius<br /> -Severus votum solvit. -</p> - -<p> -Anche più tardi, nel medio-evo, da Landolfo da Cardano, -arcivescovo di Milano (979-998), venne Incino -eretto in capitanato, investendone della suprema autorità -un suo fratello, come aveva egualmente fatto -<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span> -degli altri due capitanati di Carcano e Pirovano con -Missaglia. I Comaschi e i Torriani, combattendo Ottone -Visconti arcivescovo di Milano e capo di parte -nobilesca, lo diroccarono. Su queste terre, in età più -inoltrata, fervendo le lotte guelfe e ghibelline, la fazione -guelfa portò desolazione e morte, soqquadrando ogni -avere e commettendo i più infami assassinî. -</p> - -<p> -Era poi Incino la pieve più vasta ed importante -dell’arcivescovato di Milano, e fino dal 1288 contava -sotto la propria giurisdizione sessanta chiese. Alla sua prepositurale -andava inoltre aggiunta una collegiata -di più canonici, che San Carlo, nel 1584, trasferì alla, -prossima chiesa di Vill’Incino, avendo trovato spopolato -il paese. Quella chiesa antica è per altro degnissima, -per la sua vetustà, di osservazione. -</p> - -<p> -Il giovedì, frequentatissimo è ora il mercato anche -da’ villeggianti de’ dintorni; ma verso il meriggio si -dirada il concorso, e poco poco il vecchio mercato di -Incino ricade nel primitivo silenzio e nella solitudine. -</p> - -<p> -Con tutto ciò vi sono due decenti alberghi, dove trovan -alloggio benestanti famiglie sempre nella stagione -autunnale, e alle quali appunto la quotidiana solitudine -toglie soggezione e aggiunge quella maggiore -tranquillità che si accorre appunto dalla città a ricercare -in campagna. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span></p> - -<h2 id="esc37">ESCURSIONE TRENTESIMASETTIMA. -<span class="smaller">LA VILLA ADELAIDE.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — Parravicino. — Ville -Parravicini, Belgiojoso e Gariboldi. — La torre pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia -contro il Barbarossa. — Orsenigo. — Il -Carudo. — Le Lische Amare. — Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’ -ladri. — La Retusa. — Tassera. — La villa Adelaide. -</p> -</div> - -<p> -Da Erba, salendo la via che corre sotto l’antico castello, -ora villa Valaperta, e volgendo a manca, dietro -la villa Conti è la strada che va a Parravicino e subito -s’incontra la villa Maria, della contessa Maria Lurani. -</p> - -<p> -Solo prima dirò una parola di Bucinigo e Pomerio, -che si comprendono nel Pian d’Erba; perocchè dopo -segua Villalbese, celebre per ottime castagne e per -freschissimi crotti, a cui gli amatori del buon vino corrono -ad ogni lieta occasione, ma che entra in una diversa -circoscrizione da quella del Pian d’Erba; onde -avanti di esso mi convenga arrestarmi, perchè, tratto -dalle bellezze dei luoghi, facilmente sarei fuorviato dal -mio cómpito e arriverei presto per quella via a Como. -</p> - -<p> -Bucinigo, terricciuola resa vivace da filande e incannatoî, -ha più d’una villa, e fra queste quella de’ signori -Vidiserti, che giovami specialmente ricordare perchè -famosa per la sua patriarcale ospitalità, ivi i moltissimi -<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span> -amici rinvenendo sempre la più graziosa accoglienza. -A noi poco importa di discettare sulla pretesa -di coloro che il nome al paese sia stato lasciato da un -<i>buco iniquo</i>, che dicono esistere tuttavia in un giardino, -e così appellato perchè nei tempi delle prepotenze feudali -ivi si desse martirio agli infelici che non entravan -nel genio de’ padroni; o sulla contraria opinione di chi -invece dalla terminazione presume aver il nome radice -celtica: lasciamo ai dotti il trarsi d’impaccio. La torre, -di cui son superstiti pochi ruderi, rammenta le lotte -fra loro sostenute dalle famiglie Sacco e Parravicino. -</p> - -<p> -A Pomerio, vicinissimo, veggonsi avanzi di fortificazioni, -che dovevano esservi necessariamente per rispondere -al nome di <i>post murum</i>, il quale d’altronde -era nella terminologia militare d’allora. -</p> - -<p> -A Parravicino, vediamo seguitarsi tre o quattro ville -graziose dei Parravicini, dei Belgiojoso e dei Gariboldi. -</p> - -<p> -Nel giardino de’ Belgiojoso vedesi una torre pendente, -come il campanile di Pisa e la Carisenda di Bologna, -ricordata da Dante nel canto XXXI dell’<i>Inferno</i>. -</p> - -<p> -Segna essa la dimora de’ Parravicini, che, sbandeggiati -dai Rusconi di Como, qui venuti, diedero origine -al villaggio. -</p> - -<p> -Di Casiglio non vale far cenno, che per dire essere -nella sua chiesa il sepolcro di Beltramino Parravicino, -il qual fu vescovo di Como e poi di Bologna. -</p> - -<p> -Fuor della strada, è Carcano, che fu già castello -forte e sostenne più assedî, e diè origine alla patrizia -famiglia de’ Carcano. In queste campagne fra Carcano, -Orsenigo e Tassera, nel nove agosto 1160 fu combattuta -una fiera battaglia fra gli aderenti di Federico -<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span> -Barbarossa e quelli de’ Milanesi, e che altri chiamano -di Tassera, altri di Carcano, altri di Orsenigo; ma non -importa il nome, mentre giovi invece conoscere come -ne fosse felicissimo risultamento la sconfitta del Barbarossa -e il pieno trionfo de’ Milanesi, determinato dall’improvviso -intervento di quei di Orsenigo ed Erba, -ai quali fu in guiderdone concesso di poi il diritto di -cittadinanza. In mezzo a questi campi, l’arcivescovo -Uberto da Pirovano, cantato aveva allora sul carroccio -milanese la messa e tenuta una sacra arringa a’ soldati -onde eccitarli alla pugna contro l’invasore straniero. -Nel primo scontro, che fu terribile, quel sacro -carro caduto nelle mani nemiche, veniva distrutto nel -luogo detto il Carudo; ma poi, per l’insperato soccorso, -ristorate d’un tratto le sorti della battaglia, i -Milanesi s’erano presa la rivincita gloriosa. -</p> - -<p> -L’oste nemica si era spinta fino al lago d’Alserio, -breve bacino di un miglio e un quarto di lunghezza e -di mezzo di larghezza, sulla cui sponda è Alserio piccol -paese che gli dà il nome. Era nel pantano delle Lische -Amare che vuolsi s’impigliasse il corsiero del Barbarossa, -onde il tempo perduto a districarsene gli avesse -a riuscire fatale. — Castellazzo, paesello, su d’una facile -eminenza, fu così detto da un forte che i Milanesi -vi costrussero nel luglio del 1162 per contrapporre a -quello di Carcano, ove si erano rifugiati, pronti a rinnovare -le offese, i fautori dell’Enobarbo. -</p> - -<p> -Al piede di questa bella eminenza evvi un casale ed -un’osteria, detta la <i>Ca’ de’ ladri</i>: è facile indovinare -come la brutta denominazione le venisse dall’essere il -luogo isolato e proprio, massime in addietro, a ricoverarvi -siffatta genìa. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span> -</p> - -<p> -Tutti questi paesi or sono animati da ville ed opificî, -e nella parte più elevata di questo punto, vicino -al lago, evvi la <i>Retusa</i>, fonte limpida, salubre e perenne, -usufruttata a muovere macine, e ad animare -stabilimenti di serica industria. -</p> - -<p> -Affrettiamoci invece a visitare la villa Adelaide, che -sorge a Tassera e presso alla riva del lago d’Alserio. -</p> - -<p> -Dapprima l’ebbe la famiglia Imbonati, della quale fu -ultimo rampollo quel marchese Carlo, alla cui memoria -consacrò Manzoni splendidissimi versi sciolti, che ora -ha il torto di respingere dalle edizioni fatte sotto gli -auspicî suoi; poi l’ereditò il barone Patroni, che, fattala -dall’architetto Clerichetti di Milano ultimare, riducendola -a stile nordico, forse scozzese, diventò fra le -più splendide che si conoscano anche per ricchezza degli -interni adornamenti. I giardini sono egregiamente -ordinati; getti d’acque perenni la ravvivano, comunque -non sia tutto ciò giunto, per sentimento degli schifiltosi, -a togliere quell’aria poco allegra che quel seno -del lago vi dà. Morto il Patroni e legata ai Calvi la -villa, questi la tennero per poco, vendendola a un commerciante -genovese che volle lucrare togliendovi molti -alberi; ma essa fortunatamente, fin allora chiamata -Patroni, dal suo più generoso proprietario, venne di -recente alle mani del cav. Domenico Basevi, che, profondendovi -egregie somme, non solo la restituì al primitivo -splendore, ma ne lo aumentò d’assai. -</p> - -<p> -Figuri quindi il lettore se non avessi allora ragione di -dedicarle una speciale escursione. -</p> - -<p> -Oggi essa ha nuovo battesimo, e dal nome della sposa -dell’attuale proprietario, si intitola <i>Villa Adelaide</i>. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span></p> - -<h2 id="esc38">ESCURSIONE TRENTESIMOTTAVA. -<span class="smaller">MONGUZZO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate Rota. — Nobero. — Le -sue pesche. — Il Cavolto. — Le fornaci. — Monguzzo. — Il -suo castello e la sua storia. — I marchesi Rosales. — Villeggiatura -Mondolfo. -</p> -</div> - -<p> -Tanto da questa parte ove ci troviamo, quanto dall’altra parte del lago d’Alserio, per la via che dalla -Vallassina si va ad Inverigo, si può ascendere sulla -vetta del colle su cui signoreggia Monguzzo: noi attendendo -di continuare per la via di Parravicino nella -ventura escursione, scegliamo adesso la seconda. -</p> - -<p> -Esciti da Vill’Incino, che già vedemmo, ci troviamo, -dopo avere attraversato una strada che si chiude fra -i campi, alla via provinciale della Malpensata, e, volgendo -a ritroso di essa, cioè a destra, in poco tratto -di cammino ci troviamo a Pontenuovo, da dove una -via riesce a Merone, quindi a Moiana, Rogeno, Casletto -e Garbagnate Rota, paesi tutti rallegrati da -signorili villeggiature, che di poco discosti da Bosisio -chiudono da una parte, all’intorno al lago di Pusiano, -quel territorio che abbiam percorso del Pian d’Erba. -Proseguendo poi per quella onde siam venuti, ci vediamo -a Nobero, o Nobile, come altri chiama questo -<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span> -quadrato di caseggiati aperto da un lato, che, tinto per -la più parte in roseo, ti accenna com’esso appartenga -ad un solo proprietario, al signor dottor Domenico -Porro, che personalmente attendendo alla sapiente -direzione dei suoi fondi, ne ottiene i più fecondi risultamenti. -Particolarità di questo villaggio sono le più -eccellenti pesche, sulle quali conta il colono fra i prodotti -a sè dovuti: diritto cotesto limitato a questi -terrieri, onde moltiplicate se ne veggano le piante. -</p> - -<p> -Prima però d’entrare in Nobero, non sarà inopportuno -dare uno sguardo al <i>Cavolto</i>, specie di serbatoio del -Lambro, da cui si deduce l’acqua che va ad irrigare -il real parco di Monza, dopo avere percorso una -quindicina di miglia. -</p> - -<p> -Alle fornaci presso Nobile si fanno mattoni marmorati, -valendosi di un’argilla che si cava dal pendío -orientale d’un poggio, che ha un color plumbeo, e mescendola -con altra ordinaria gialla. -</p> - -<p> -Per una strada praticata nel colle, si monta a Monguzzo. -</p> - -<p> -Il paese è in felicissima postura, perchè a mattino -vede il Pian d’Erba, a mezzogiorno domina il bacino dell’Éupili, a ponente la Brianza, e a sera la villa del -Soldo, Fabbrica e infiniti altri paeselli, tutto recinto poi -l’orizzonte da una corona azzurra di montagne, -colle onde del lago d’Alserio che gli baciano le pendici -del colle su cui posa. -</p> - -<p> -In antico fu paese nella podestà dell’arciprete di -Monza, che vi esercitava giurisdizione feudale, come -su molte altre terre; quindi parve luogo a fortilizî, e -vi fu fabbricato un acconcio castello, e Francesco II -<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span> -Sforza lo concedeva in feudo ad Alessando Bentivoglio, -spodestato signore di Bologna e governatore del -Milanese, della cui famiglia è la cappella che in Milano -si vede nella chiesa di San Maurizio del Monastero -Maggiore sul corso di porta Magenta. -</p> - -<p> -Ma quel famigerato prepotente del Gian Giacomo -De’ Medici, detto il Medeghino, del quale già narrai -in una passata escursione le ribalde gesta, lo lasciò -per poco godere degli ozî di Monguzzo; perocchè, parendogliene -la rôcca assai propria a’ suoi disegni, un -dì, nel 1533, assalitola alla sprovvista, ne cacciò quelli -che la presidiavano pel Bentivoglio, e se ne installò -padrone, spargendo d’ogni intorno per le terre della -Brianza, e massime per la Valsorda, il terrore. E taglieggiava -da qui non i massai soltanto, ma anche i -signori, che cercava di imprigionare e non rilasciare -che contro enormi riscatti e teneva in allarme la fortezza -di Brivio e massime di Trezzo di più grande -importanza. -</p> - -<p> -Il Missaglia, amico di questo fiero capitano di ventura -e storico di sue gesta, lo scagiona dall’aver -tolto al Bentivoglio il castello, narrando come all’occupazione -di esso fosse stato dallo Sforza medesimo -ordinato, e fornendone le ragioni. “Possedeva, scrive -egli, in quel tempo il castello di Monguzzo come suo -proprio Alessandro Bentivoglio, figliuolo di Giovanni, -già signore di Bologna, parente del duca e di molta -autorità appresso lui, uomo di gran sincerità, ma poco -inclinato all’armi. Il castellano, visto con che poca -cura e guardia era tenuto quel luogo dal Bentivoglio, -per sue lettere e col mezzo d’amici suoi, fece intendere -<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span> -al duca con quanta facilità e con quanto suo -danno quel luogo, mal guardato, poteva capitare in -mano degli imperiali (gli Spagnuoli di Carlo V comandati -da Antonio De Leyva), offrendosi quando fosse rimesso -alla sua custodia non solo di ben guardarlo, ma -eziandio con la comodità di quello, danneggiare molto -i nemici, ed assicurare quella parte del ducato dalle -invasioni degli Spagnuoli; il che sarebbe stato come -un freno a Lecco, tenuto da essi. Il duca, che, reso il -castello di Milano, si trovava in Lodi, tolto dalle mani -degli imperiali e dato alla lega da Lodovico Vistarino, -benchè dopo la prigionia del Morone gli mostrasse -poca inclinazione e poco fidasse di lui, pur conoscendo -vere le sue ragioni e dubitando di peggio, e anco come -quel ch’era posto in gran necessità di denari, sentiva -volentieri che quel castello si avesse a guardare senza -suo costo. Scrisse al Bentivoglio che rimettesse il castello -alla guardia del Medici, e le lettere furono -inviate a lui stesso, perchè le presentasse al Bentivoglio. -Il Medici accortissimo, conoscendo quanto fosse -per spiacere questo al Bentivoglio, e quanto egli potesse -appresso il duca, dubitò, e ragionevolmente, che -se gli mandava le lettere fosse per riuscire vano il suo -disegno; onde con l’aiuto di molti principali del paese -suoi amici fatta una buona raccolta di gente, accostastosi -una notte a Monguzzo, e scalatolo, si appresentò -alla rocchetta ove era il Bentivoglio con la sua famiglia -e con le lettere ducali, e con la forza strinselo ad -uscire dal castello<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>.„ -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span> -</p> - -<p> -Quando il De Leyva ebbe contezza della caduta di -Monguzzo nelle mani del Medeghino, così se ne dolse, -perchè da lui si attendesse maggior travaglio che non -dal Bentivoglio, vi spacciò il conte Lodovico Belgioioso -con buon nerbo di forze onde ritorglielo; ma questi, -dopo varî assalti e perdita d’un centinaio d’uomini, -disperando venire a capo del suo proposito, si levò di là. -</p> - -<p> -Certo Martino da Mondonico, animoso, ma avido di -ricchezza, aveva saputo entrar nelle grazie del Medici -ed ottenuto aveva da lui il commissariato di alcune -tasse e contribuzioni che con durezza esigeva. Parve -al De Leyva di poter guadagnar coll’oro il Mondonico, -onde agevolarsi il conquisto di Monguzzo che gli intercettava -la strada da Lecco a Milano, ed infatti se -l’ebbe facilmente a’ suoi interessi. Ma l’ingordo traditore -volle dapprima di compiere il tradimento arricchirsi, -ed abusando del nome del Medici, si impadroniva -un bel dì del castel di Perego. Poichè vi fu -penetrato, buttata la maschera, vi prosciolse i prigionieri -e si chiarì al servizio del De Leyva. Il Medici -mandò subito il capitano Pellicione a riprendere il -castello, e l’ebbe coi traditori, i quali condotti a Monguzzo -vi vennero appiccati per la gola, e il Mondonico, -posto prima a’ tormenti, fu poi vivo, siccome si meritava, -inruotato. -</p> - -<p> -Poneva allora il Medeghino in suo luogo castellano -di Monguzzo il fratello Battista; ma poi, quando gli -parve trasferirlo a comandare la più importante fortezza -di Lecco della quale s’era insignorito, vi sostituì -il suddetto capitano Pellicione. -</p> - -<p> -Non mi so che il castello di Monguzzo fosse teatro -<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span> -a ulteriori fatti di guerra; perocchè buttata, a questo -cerbero dalle tre gole, intendo dire del Medeghino, -l’offa da Carlo V, col crearlo marchese di Marignano e -coll’inviarlo altrove a portar guerra, spulezzò il Medeghino -pur da questi luoghi. -</p> - -<p> -Più tardi il castello apparve tramutato in amenissima -villeggiatura, mercè le cure dei marchesi Rosales -alle cui mani pervenne; ma l’ultimo di essi, che molto -di sua fortuna adoperò a pro dell’italiana indipendenza, -nel 1853 la vendette al conte e banchiere Sebastiano -Mondolfo, delle cui sapienti liberalità m’avvenne -già di intrattenere, quando m’ebbi ad occupare -dell’altra sua villa in Borgo Vico a Como. -</p> - -<p> -E liberalità sapienti operò anche qui in questa sua -villeggiatura di Monguzzo, perocchè aprisse a sue spese una -scuola, e nel cascinale che fe’ erigere introducesse -molte comodità, per le quali mostrò come pur i poveri -coloni chiamar si debbano, per migliorarli, a partecipare -alle inevitabili esigenze del vivere sociale -moderno. -</p> - -<p> -È una consolazione quando si vede alcuno de’ privilegiati -dalla fortuna, in mezzo agli agî, rammentarsi -che v’ha chi soffre e penuria e gli stende misericorde -la mano. Sebastiano Mondolfo ha provato in tante occasioni -d’essere uno di costoro. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span></p> - -<h2 id="esc39">ESCURSIONE TRENTESIMANONA. -<span class="smaller">IL SOLDO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il Soldo degli -Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino e il parco. — Gli acquedotti. — Casino -rustico. — Orsenigo. — Casa Carcano. — Anzano. — Villa -del marchese Carcano. — Piccolo albergo. — Alzate. — Vecchio -castello. — Palazzo Clerici. — Fabbrica. — Brenna e don Antonio Daverio. -</p> -</div> - -<p> -A stretto rigore, il colle di Monguzzo, a parer mio, -chiuder dovrebbe il bacino del vecchio Éupili, o, -come suolsi oggi dire, del Pian d’Erba; ma siccome è -assai indeterminato anche nella mente di que’ del -paese il confine di questa ridentissima porzione di -territorio che designasi sotto la denominazione di Pian -d’Erba, io credo non uscir da’ limiti che s’è prefisso -il mio libro spingendo questa volta la nostra escursione -da questa parte insino alla stupenda villeggiatura -del Soldo. -</p> - -<p> -E d’altronde fosse anche fuori affatto della cerchia -de’ paesi che dall’universale si assegna approssimativamente -al Pian d’Erba, siccome al Soldo ci va ognuno che -venga al Pian d’Erba; così anch’io non posso a -meno che condurvi il mio lettore. -</p> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span> -</p> - -<p> -Vi arriveremo dalla via di Parravicino, alla quale -facciamo ritorno, oltre la <i>Ca’ de’ ladri</i>, che abbiamo -veduta. -</p> - -<p> -Lo si scorge presto, perchè esso s’alza tronfio sulla -cima della più lieta eminenza e di là sembra accivettare -quanti necessariamente percorrendo la via che mena -alla Valsorda, vi rivolgono lo sguardo. Altri poggi vi -stanno presso, tutti diligentemente coltivati, e di pertinenza -del medesimo signore, del conte Turati, salito -per operosi commerci in filati di cotone a sterminata -ricchezza e al patriziato italiano. -</p> - -<p> -Allorquando si è sotto la collina del Soldo, vi pare -di avere davanti una scena teatrale: mulino a vento, -chioschi e padiglioni, <i>chalets</i> e <i>cottages</i>, introduzioni -leggiadre di cose forestiere, viali, telegrafo, una ben -ordinata e splendida vegetazione, il tutto incoronato -dal palazzo che sta in cima. La prima impressione ci -avverte subito che la villa gode di meritata fama. -</p> - -<p> -Molti rammentano ancora come quivi non fossero -prima che una meschina sodaglia, borri profondi e -frane, rovi ed arbusti inutili: non vi aveva infatti alla -sommità del colle che un casolare di ragione del monastero -di Sant’Ambrogio di Cantù. Chi mai avrebbe -detto allora che si sarebbe tramutato tanto squallore -nella più gioconda plaga? Questa metamorfosi prodigiosa, -iniziata da don Giacomo Appiani d’Aragona, -che ridusse quell’aspro colle a villa su disegno dell’egregio -architetto Moraglia, del senno del quale già -ammirammo in queste nostre escursioni non poche -opere, fu perfezionata dal conte Turati. -</p> - -<p> -E veramente scrissero i signori Zoncada e Garovaglio -<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span> -nella loro opera <i>I giardini dell’alto Milanese e del -Comasco</i>, levando a cielo il Soldo<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>. Sarebbe difficile, -sentenziaron essi, trovare altrove più stupenda varietà -di scene, più ampie vedute, più diverse, e nel tempo -stesso, e qui è il merito dell’uomo, una struttura, un -disegno meglio ideati, più acconci alla qualità del -sito, più rispondenti agli ultimi progressi dell’arte de’ -giardini, una coltivazione più ricca, più lussureggiante, -e per certe parti più degna che si pigli ad -esempio. Sono pregi e bellezze che a comprenderle -non arriva che la vista; per la parola è molto ancora -se le riesca di lasciarle indovinare. Que’ viali, que’ passeggi, -che larghi, agevoli, spazzati, girano il poggio -serpeggiando con sì dolce movenza e dominando sempre -l’immenso orizzonte; quelle costiere che verdi, -fiorite, sparse d’ogni maniera di piante, si prolungano -di qua, di là sì pittoresche fin giù nella valle; que’ -prati, que’ piani ameni dove l’occhio si riposa sì tranquillo -e beato; quel contrasto tra il semplice e il -grandioso, il ridente e l’austero, tra l’arte e la natura, -per cui passi dalla rigida vegetazione delle Alpi alla -sfoggiata delle zone più favorite dal sole; che li vedi -affratellarsi, dal vivace padiglione Chinese al chiosco -orientale e al positivo casolare dello svizzero o dell’olandese, -dal ponte di legno che ricorda la primitiva -età de’ pastori alle fontane marmoree, alle statue, -opera di famosi scalpelli e documenti della più alta -civiltà; bisogna vederli chi voglia farsene il giusto -concetto: noi non possiamo che rammentare così a -<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span> -sbalzi, come la memoria ci soccorre, di tante meraviglie -quelle pochissime delle quali ci è rimasta una impressione -più profonda, e che per la qualità delle cose -torna meno difficile a comunicarsi altrui. -</p> - -<p> -Così, per esempio, potrà di leggieri, pare a noi, anche -chi mai non la vide, imaginare quale debba essere -il magico effetto di quella serie di stufe tutte eleganti, tutte magnifiche, che giù giù pel dosso della -collina discendono a gradinata, quasi emiciclo di vasto -anfiteatro. Vi aggiunga colla fantasia i grandi balaustrati -che la riparano per davanti con vasi di classica -forma, con piante di rara bellezza; vi aggiunga grandi -e piccole fontane in marmo ai diversi ripiani, belle -tutte, bellissima qualcuna, quella vogliamo dire che -raffigura le tre Grazie, opera di egregio scalpello, che -ritrae quanto di più puro seppe mai creare il cinquecento; -vi aggiunga appiè di quel dosso a disuguali distanze -le spelonche, le grotte di vario genere, alte, -spaziose, tortuose, foggiate a galleria, a labirinto, fornite -a dovizie d’ogni comodità, con polle, zampilli, -giuochi d’acqua d’ogni sorta, con istipi a tarsia, busti, -are, idoletti, medaglioni, con seggiole, scannelli, divani, -lettucci, tavoli e tavolini d’ottimo gusto; e tutto -questo sotto il più bel cielo che occhio d’uomo possa -vedere, e dovrà farsi certamente un concetto grande -di questo luogo incantato. E sempre maggiore si farà -chi consideri le difficoltà senza numero che bisognò -superare per tramutarlo, di selvaggio che era, nella -forma e stato presente. Una sola vogliamo qui accennare -che valga per molte, tanto è grave; vedete quella -copia d’acqua volta dall’un capo all’altro de’ giardini -<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span> -a sì diversi usi in forma qui di fontana, là di ruscello -o di torrente, più giù di lago solcato da gai navicelli? -Sul luogo in origine non se ne avea pur stilla; tutta, -tutta quanta si derivò da lontani monti, e per magnifici -acquedotti si condusse per mezzo a queste terre -riarse dal sole con ingente dispendio. -</p> - -<p> -Essa infatti si condusse con ingente spesa fin dai -monti d’Albese, facendola viaggiare per 9000 metri di -tubi di ghisa. -</p> - -<p> -Lascio agli intelligenti di botanica il tener conto -delle ricchezze d’alberi e fiori d’ogni clima e paese -che qui son disseminati, e di estasiarsi davanti alle -loro peregrine specie; io m’accontento di ammirare i -leggiadri colori, di aspirare i soavissimi profumi: accetto -i soli risultamenti e sarà meglio anche pel lettore, -che certo non cercherà al mio libro un trattato -di quella scienza. -</p> - -<p> -Piuttosto non lascerò di accennare che il palazzo, se -non è forse corrispondente in vastità al giardino e -parco, ha tuttavia da ospitare una cinquantina di persone. Il casino rustico che gli sta accanto è forse migliore -nella sua semplicità; presso al casino svizzero -vi è poi uno steccato che racchiude alcuni dei più rari -animali indigeni e forestieri, fra cui primeggiano bellissimi -merinos. -</p> - -<p> -Ah veramente aveva dunque ragione il nostro povero -Raiberti, quando diceva di questa villa essere un -<i>Sold che var un milion</i>! -</p> - -<p> -Fra le terre circostanti ho già nella precedente -escursione nominato Orsenigo, quella terra che con -Erba trasse in aiuto dell’armi milanesi contro quelle -<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span> -del Barbarossa: quivi adesso ricorderò la bella casa -Carcano, architettata dal bravo Moraglia. -</p> - -<p> -Tirando dritto sulla via per la quale siamo venuti, -tocchiamo Anzano, bello per la sua elevata postura e -per la villa e grandioso parco del marchese Carcano; -a man destra poi di questo paese, v’è la via che conduce -ad Alzate al principiar della quale or si eresse -un piccolo albergo. In Alzate poi, oltre qualche ricca -casa, meritano osservazione un vecchio castello che si -volle reliquia di romana potenza ed il palazzo Clerici. -</p> - -<p> -Ma, come che l’escursione nostra fosse bastevolmente -lunga per le tante cose ammirate al <i>Soldo</i>, chiudiamola -a Fabbrica, dove sulla eminenza sorge la villa dei -conti Durini, che fruisce di bellissima vista e dalla, -quale, vedendo a destra sul ciglio della collina che per -l’opposto versante sogguarda al lago di Montorfano il -paese di Brenna, ivi sapendo come vi sia stato dimenticato -parroco quel fior di dottrina, di patriottismo e -di bontà che è Antonio Daverio, mio maestro di latine -ed italiane lettere, mi felicito della diversa e libera -carriera da me poscia nella adolescenza abbracciata. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span></p> - -<h2 id="esc40">ESCURSIONE QUARANTESIMA. -<span class="smaller">INVERIGO.</span></h2> -</div> - -<div class="blockchap"> -<p> -Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo -Ariberto. — Bacco di Brianza. — L’albergo. — La -Rotonda. — Il castello e la villa Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — S. -Maria della Noce. — Cremnago. — Villa Perego. — Il -Cimitero. -</p> -</div> - -<p> -Se ci siamo alquanto spinti al di fuori del Pian -d’Erba dalla parte di Parravicino per vedere il Soldo -de’ Turati, perchè non ci spingeremo ora oltre Nobero -per ammirare la famosa Rotonda d’Inverigo e l’Orrido -dello stesso paese, che chiamano da ogni dove dalla -Brianza brigate di villeggianti e di curiosi; e la villa -Perego di Cremnago? -</p> - -<p> -Centro Inverigo di tutta la Brianza, sarà per noi il -limite ultimo delle escursioni che ci siam proposti di -fare durante gli ozî autunnali. -</p> - -<p> -Da Nobero, che abbiam già visitato, per una bella -strada si arriva a Lurago. Quivi è la villa del conte -Sormani-Andreani, con bel giardino a pineti. Dapprima -spettava alla patrizia famiglia Crivelli, che vi -risiedeva ed era feudataria d’Inverigo. Posta nella -<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span> -parte alta del paese, la villa vi pompeggia e chiama -lo sguardo di ognuno che passi. -</p> - -<p> -Poco fuori di Lurago, la via intristisce e si fa fangosa -e trascurata fin oltre Inverigo e puossi dire fino -ad Arosio, onde infiniti e generali i reclami dai moltissimi -obbligati a percorrere questo stradale importante. -E se ne riscossero finalmente i comuni limitrofi -e l’autorità, e una nuova strada e più diretta fu ordinata -ed appaltata, e comunque le opere ne procedano -lentamente, fra breve sarà tuttavia un fatto compiuto. -A sinistra di Lurago, prima d’arrivare ad Inverigo e -sul ciglio della valle del Lambro, è Lambrugo, ov’era -prima un chiostro di monache, tramutato poi in villa -dalla famiglia Galli. Vi villeggia anche la famiglia -Venini. -</p> - -<p> -Eccoci ad Inverigo. I soliti antiquarî vorrebbero -originato il nome dalle due parole latine in aprico, -come a dire un luogo situato all’aperto ed al sole; ma -altri invece pretendono sia nome celtico: non ci frapponiamo -noi a dir la nostra opinione, meglio sembrandoci -d’accettarlo qual è. Piuttosto non sarà privo d’interesse -il sapere come qui nel 1023 l’arcivescovo di Milano, -Ariberto d’Intimiano, celebre nelle nostre storie -per la parte presa nelle accanite contese surte pel celibato -de’ preti, possedesse beni, ch’egli poi assegnò -al rinomato monastero di San Dionigi da lui fondato -in Milano. -</p> - -<p> -I colti gaudenti rammentano con maggior piacere -che il vino d’Inverigo godeva fino in antico una tal -quale riputazione fra i migliori, e appoggiano l’erudizione -loro coll’autorità d’un poeta di nome Bertucci, -<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span> -che, arieggiando il Ditirambo del Redi, che ognun comosce, -del <i>Bacco in Toscana</i>, scrisse alla sua volta un -<i>Bacco di Brianza</i>, nel quale si leggono i seguenti -versi, che pone in bocca allo stesso Nume: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Il terzo infine colma d’Inyerigo</p> -<p class="i02"> Valentissimo vin, la cui mercede</p> -<p class="i02"> Al par di Siracusa</p> -<p class="i02"> Vanta Milano ancora il suo Archimede<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>.</p> -</div></div> - -<p> -Ma per associazione di idee, dal buon vino ricorre il -pensiero all’albergo d’Inverigo. Quest’albergo, se non -presenta i conforti tutti dell’eleganza e dell’esigenza -forastiera, è nondimeno il migliore di tutta questa -parte della Brianza, onde l’autunno vegga più famiglie -di conto prendervi stanza ed esservi arcicontente. -Sostiamoci quindi, amico lettore, e dopo esserci rifocillati, -potremo pigliare le mosse per ascendere alla -Rotonda. -</p> - -<p> -S’innalza essa sulla parte più elevata della collina, -sotto cui si distende bellissima una valle, come tale -pur ricordata nelle sue opere da Sant’Agostino, disseminata -di paesi; la sua facciata, che giustamente fu -detto rassomigliare a’ propilei d’Atene, è però rivolta -a tramontana. -</p> - -<p> -La fabbricò il marchese e architetto Luigi Cagnola -di Milano nell’anno 1813, — quegli cui è dovuta l’architettura -<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span> -dell’Arco del Sempione di Milano, — e vi -spiegò tutta la grandiosità e il gusto classici, profondendovi -egregie somme, a smentita di que’ cialtroni -ch’erano venuti accusandolo d’architettar sempre grandiosamente -quando si fosse trattato di non ispendere -danari proprî. -</p> - -<p> -Il fabbricato ha nel mezzo un’ampia sala circolare, -che s’alza gigante con cupola che costituisce la Rotonda; -quindi tutto l’edifizio è esteriormente riquadrato, -poste essendosi agli angoli le camere della restante -abitazione. Il concetto d’una rotonda maestosa -fece sì che gli altri locali fossero ad essa sagrificati. -Fu compiuta così un’opera del più perfetto classicismo, -se si vuole; ma dopo ciò, si domandano molti, cosa -vuole, a che serve, perchè qui collocato questo gigantesco -edificio? Come villa ha l’esteriore principesco; -ma l’interno, a parte la sala principale della Rotonda, -non vi corrisponde. -</p> - -<p> -Come nella facciata, così pure nella parte postica, -a mezzogiorno, e che sogguarda la superba valle, vi -sono ampie scalee; quella della facciata poggia sopra -un sotterraneo; l’altra su d’un terrazzo recinto di -balaustrata e sorretto da sei gigantesche cariatidi, che -sono dello scalpello di Pompeo Marchesi. -</p> - -<p> -Fu da esso che il re di Napoli, Ferdinando II, padre -dello spodestato, venuto tra noi, ammirando la -sottoposta valle, di non so quante miglia di circuito, -così ben coltivata e ordinata quasi ad aiuole di fiori, -ebbe a chiedere bonariamente al marchese Cagnola, -se tutto quel che si vedeva fosse giardino della sua -villa. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-340b"></a> - <img src="images/ill-340b.jpg" alt="" /> -<p class="caption">Orrido d’Inverigo.</p> -</div> - -<p> -<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span> -</p> - -<p> -Se la collina su cui posa la Rotonda si digrada al -paese, dall’opposto lato risorge ad eminenza, sovra cui -è il castello, ora palazzo e giardino del marchese Luigi -Crivelli, che ognun desidera veder meglio curati, perchè -abbian tutte le forme per costituire una delle più -grandiose ville. Ha molti ed annosi cipressi, e su d’un -altipiano a sinistra del palazzo vedesi una colossale -statua di Ercole, alquanto offesa dagli anni, che da’ -terrieri si designa col nome di <i>Gigante</i>. -</p> - -<p> -Discendendo la collina de’ Crivelli, pei loro campi -si va al bosco, dove la natura e i cataclismi hanno -prodotto siffatte spaccature di roccia, per dove filtrano -e scorrono limpide e fresche acque, che formano -un Orrido dell’effetto il più pittoresco. -</p> - -<p> -E meglio ancora il produrrebbero, se l’acque più -riunite scorressero; ma come l’età piega al positivo, -così parte furono deviate a mettere in movimento -mulini. -</p> - -<p> -Con tutto ciò all’Orrido d’Inverigo, di proprietà del -marchese Luigi Crivelli suddetto, non v’ha chi venga -al paese e che non tragga a vederlo, sovente convegno -ad amiche brigatelle che lo eleggono a luogo di -refezioni e riposo. -</p> - -<p> -A ponente della villa Crivelli si discende per uno -stradone alla Madonna della Noce, luogo piacevole assai -e al quale convengono a settimanale mercato da -tutti i circonvicini paesi. -</p> - -<p> -Chi ama conoscere le migliori villeggiature e farsi -adeguato concetto della ricchezza de’ loro proprietarî, -essendo in Inverigo, non lascia di fare una scarrozzata -a Cremnago, dove sorge il magnifico palazzo della famiglia -<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span> -Perego. Se gliene è dato l’accesso, potrà il lettore -ammirarlo nelle sue parti tutte; e se nelle ampie -scuderie vedrà molti cavalli e taluni anche pensionati -a riposo perpetuo, sorretti persino da cinghie, potrà -cavar argomento del cuore del ricchissimo padrone, il -quale del resto non restrinse alle bestie sole gli effetti -della sua bontà, prima avendola addimostrata nel dotare -i suoi coloni di belle e comode case. -</p> - -<p> -Il cimitero del paese merita pure di essere veduto. -È buona architettura di Giuseppe Chierichetti, e in -esso è il sepolcreto della famiglia Perego. È questo un’edicola di forma quadrangolare e cilindrica, e alla -parte superiore con gradinata e cupola d’ordine dorico, -colle pareti laterali fregiate di colonne, quattro -delle quali formano il pronao con cornice, architrave -e frontone, entro cui leggesi scolpito <i>Hypogeum</i>, e -tutto condotto in miarolo rosso. Le pareti interne -sono a stucco lucido, la luce piove dal lucernario -della cupola, e nel fondo è l’altare marmoreo, con -un bel gruppo in marmo di Carrara, rappresentante -la Maddalena a’ piedi della Croce, lodevole opera dello -scultore Labus. -</p> - -<p> -Per ritornare ora al nostro Pian d’Erba, rifacciam -la medesima via di Lurago e Nobero: è più agiata e -vi giungeremo più presto. -</p> - -<div class="chapter"> -<p><span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span></p> - -<h2 id="conclusione">CONCLUSIONE.</h2> -</div> - -<p> -Altri paesi, altre ville, altre meraviglie di natura -e d’arte ci solleticherebbero ad altre escursioni; ma -invaderei la Brianza, della quale già qualche lembo -abbiam tocco, e allora mi ci vorrebbe un altro volume; -perocchè per essa a buon dritto potrebbesi citare del -pari quanto l’Ariosto cantò de’ dintorni di Firenze: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">A veder pien di tante ville i colli</p> -<p class="i02"> Par che il terren ve le germogli, come</p> -<p class="i02"> Vermene germogliar suole e rampolli:</p> - -</div><div class="stanza"> -<p class="i01">Se dentro a un mur sotto un medesmo nome</p> -<p class="i02"> Fosser raccolti i tuoi palagi sparsi,</p> -<p class="i02"> Non ti sarian da pareggiar due Rome.</p> -</div></div> - -<p> -E Baretti, proprio del suolo della nostra Brianza -parlando, lo chiamava “il più delizioso paese di tutta -Italia per la varietà delle sue vedute, per la placidezza -de’ suoi fiumi, per la moltitudine de’ suoi laghi, -ed offre il rezzo dei boschi, la verdura dei prati, il -mormorio delle acque, e quella felice stravaganza che -mette la natura ne’ suoi assortimenti; insomma in questo -vaghissimo paese, ovunque si porti lo sguardo, non -si scorgono che paesaggi ornati di tutte le grazie campestri, -la cui contemplazione produce quei momenti -di dolce meditazione, che tengono l’animo in grato -riposo.„ -</p> - -<p> -Io ho promesso condurre il lettore con me lungo le -rive del Lario e al Pian d’Erba; credo avergli attenuta -la promessa, mostrandogli quanto di meglio mi è -<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span> -sembrato. Che se alcuna cosa ho lasciato, se passai -avanti qualche villa, senza farvi entrare il lettore, o, -fors’anco senza pur nominarla, consideri che nell’imbarazzo -di ricchezza di luoghi e di meraviglie in cui -ci trovavamo, l’ommissione era agevole a commettersi, -molto più che v’abbian di molti che si ricusin perfino -a rivelar le più semplici cose, quasi che si tratti di -violar, parlando, i loro domestici lari; epperò non mi -resta che invocarne la sua indulgenza. -</p> - -<p> -Ho avuto il pensiero, unendo il mio dire intorno al -Pian d’Erba a quello intorno al lago di Como, di -chiamare più specialmente la curiosità del forastiero -sul primo e d’invogliarlo a farne soggetto delle proprie -escursioni; perocchè mi fosse sembrata non troppo -nota questa parte sì bella di nostra Lombardia; e se -avrò raggiunto in qualche modo l’intento, io mi chiamerò -soddisfatto. -</p> - -<div class="figcenter"><a id="fill-344"></a> - <img src="images/ill-344.jpg" alt="FINE" /> -</div> - -<div class="somm"> -<p> -<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span> -</p> - -<h2><a id="indice" href="#indfront"> -INDICE.</a></h2> - -<table class="indice" summary=""> - <tr> - <td>Introduzione</td> <td class="pag"><a href="#intro">Pag. 5</a></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione prima. — <span class="smcap lowercase">IL BARADELLO </span></td> <td class="pag"><a href="#esc1">9</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del Baradello. — Un cenno geologico. — La storia del castello. — Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo del Baradello. — Napo della Torre. — La chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — Villa Venini ora Castellini. — Il collegio alla Camerlata. — Opificî industriali. — Ville Larderia, Martignoni, Prudenziana e Carloni.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione seconda. — <span class="smcap lowercase">IL GENEROSO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc2">21</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di S. Abbondio. — Il Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo Volta. — Chiasso. — Il Crotto e le <i>polpette</i> della Giovannina. — L’albergo di Mendrisio. — Dottore e albergatore. — Il Monte Generoso. — Salita. — L’albergo del dottor Pasta. — La cura dell’aria. — Geologia, fiora e fauna. — Il dottor Pasta. — L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il Dosso-Bello. — La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di Mendrisio. — Le Cantine di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo Vela. — Ligornetto. — Le cave di Arzo. — Le acque solforose di Stabio. — San Pietro di Castello. — Romanzo storico.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione terza. — <span class="smcap lowercase">IL NINO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc3">45</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del Mago. — Le ville Castiglioni, Sessa, Pertusati e Cornaggia. — Villa Angiolini. — Villa Rattazzi. — U. Rattazzi e Maria Bonaparte Wyse. — Villa Pedraglio. — Le ville Trubetzkoi, Ricordi e Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La villa Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio di Blevio. — Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, Vigoni e Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — Il Nino.</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione quarta. — <span class="smcap lowercase">L’OLMO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc4">53</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa Barbò. — Il Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — Villa Saporiti, già Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. — Palazzo Resta. — Ville Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, Belgiojoso, D’Adda e Pisa. — Villa Mondolfo. — L’Olmo del marchese Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio il Giovane.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione quinta. — <span class="smcap lowercase">IL PERTUGIO DELLA VOLPE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc5">59</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il Sarizzo. — Grotte e Caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La Zuccotta e <i>I Tre Simili</i>. — Il signor G. B. Brambilla. — Villa Caprera del signor Loria. — La Tavernola e l’Albergo. — Villa Gonzales. — Il capitano De Cristoforis. — La Villa Bignami. — La Villa Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il Bisbino. — Il Pertugio della Volpe. — Marmi e pietre.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione sesta. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA D’ESTE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc6">69</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa Lejnati. — Villa Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — La villa d’Este. — Giorgio IV d’Inghilterra. — La principessa di Galles. — Suo processo. — Sua morte. — Sue opere alla villa d’Este. — L’Albergo della Regina d’Inghilterra. — L’acqua della Coletta.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione settima. — <span class="smcap lowercase">IL PIZZO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc7">89</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la fabbrica. — I conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. — Migliorie. — La villa Curié.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ottava. — <span class="smcap lowercase">LA CASCATA DI MOLTRASIO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc8">93</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio episodio. — Villa dei signori Nulli. — La leggenda della Ghita. — Perchè si nomi Moltrasio. — La Vignola dei Passalacqua. — E la villa Durini? — Geologia. — La cascata.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione nona. — <span class="smcap lowercase">MOMPIATTO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc9">105</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora Taverna. — Torno. — Storia. — Gli sposi annegati. — Ville Croff, Righini, Antonelli. — La chiesa di S. Giovanni e pia leggenda. — Mompiatto. — Le sue monache. — La Pietra pendula e la Nariola.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decima. — <span class="smcap lowercase">LA PLINIANA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc10">111</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. — Villa Canzi. — La Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso e riflusso. — Spiegazione del fenomeno. — La Breva e il Tivano. — L’assassinio di Pier Luigi Farnese. — Giovanni Anguissola. — La villa e l’attuale proprietaria.</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione undecima. — <span class="smcap lowercase">DA MOLTRASIO A TORRIGIA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc11">123</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura nel 1163. — La villa Buttafava. — Pognana e Palazzo. — Premenù. — Ancora a Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi, Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — Villa Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa Savoja. — La Minerva, ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. — Ville Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — G. B. Lampugnani. — Sonetto a Katinka Evers. — Ville Rocca, Tarantola, Ottolini, Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. — Ville Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere dei fratelli Taroni. — Laglio. — Monumento a Giuseppe Franck. — Villa Galbiati. — Torrigia. — Villa Cetti. — La punta.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione duodecima. — <span class="smcap lowercase">IL BUCO DELL’ORSO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc12">131</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — Il cammino. — Il Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — Descrizione. — Visite di dotti. — Le scarpe di S. Pietro. — Questioni geologiche. — Paleontologia. — Gallerie o pozzi scoperti dopo. — La discesa.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimaterza. — <span class="smcap lowercase">IL PIANO DEL TIVANO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc13">155</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della Masera. — Nesso. — Erno, Veleso, Gerbio. — Il Piano del Tivano. — La brigata del Pian d’Erba. — Il Buco della Nicolina. — Vallombria. — Il palazzo di Andefleda. — La marcia della partenza.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimaquarta. — <span class="smcap lowercase">LA VALL’INTELVI</span></td> <td class="pag"><a href="#esc14">161</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — Sua parte nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta del 1806. — Cospirazione del 1833. — Insurrezione nel 1848. — Andrea Brenta. — I cospiratori del 1854. — L’insurrezione e i volontarî del 1859.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimaquinta. — <span class="smcap lowercase">L’ISOLA COMACINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc15">177</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. — Zocca dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La processione e la <i>Scorobiessa</i>. — Isola. — La torre del Soccorso. — Campo. — La villa Delmati. — Dosso di Lavedo. — Balbianello e la villa Arconati. — Il torrente Perlana. — La Madonna del Soccorso.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimasesta. — <span class="smcap lowercase">LA TREMEZZINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc16">185</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura Carove e la <i>Commedia</i> di Plinio. — Ville Torri e Vacani. — Lenno. — Lapidi antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — Il chiostro di S. Benedetto. — Ville Litta, Barbavara, Carmagnola e Carcano. — Bolvedro. — Villa Busca. — Le ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi, Campagnani, Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di Tremezzo. — Albergo Bazzoni. — <i>Hôtel garni</i>. — Grianta. — La grotta.</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimasettima. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA SOMMARIVA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc17">193</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere d’arte. — Giardino. — Carlotta di Prussia e il principe di Sax-Meiningen. — La Cadenabbia. — Albergo di Belvedere. — Ville Brentano, Noseda, Piatti, duca di Sangro e Seufferheld. — La Majolica. — L’albergo Righini. — Villa Ricordi. — <i>Maxime Lari.</i> — Questione filologica.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimottava. — <span class="smcap lowercase">LA BELLAGINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc18">201</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi Grosgalli. — Il Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa Besana. — S. Giovanni. — Ville Ciceri, Trotti e Poldi-Pezzoli. — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — La <i>Tragedia</i>, villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — Marchesino Stanga vi edifica la villa e que’ della Cavargna la distruggono. — Ercole Sfondrati la riedifica. — La Sfondrata. — La Contessa di Borgomanero, tradizione. — La villa passa ai Serbelloni. — Parini vi ospita. — Ora mutata in albergo. — La Crella dei Frizzoni. — Pescaù. — La villa Giulia, ora albergo.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione decimanona. — <span class="smcap lowercase">IL SASSO RANCIO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc19">211</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. — Loveno. — Ville Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio, Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa Galbiati. — La Val Cavargna. — Porlezza. — Fabbrica di vetro. — Il Castello di Menaggio. — La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — Ligomana, Plesio e Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi al Sasso Rancio.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesima. — <span class="smcap lowercase">LE FERRIERE DI DONGO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc20">217</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il Medeghino. — Le Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa Polti. — Villa del vescovo di Como. — Chiese di S. Stefano e S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le miniere di ferro. — I forni fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le <i>Frate</i>.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimaprima. — <span class="smcap lowercase">GRAVEDONA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc21">223</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle di Lesio. — Gravedona e la sua storia. — La chiesa di San Vincenzo. — S. Maria del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. — Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il Sasso acuto. — Domaso. — Gera. — Sórico.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimaseconda. — <span class="smcap lowercase">REGOLEDO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc22">229</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. — Dorio, Carenno e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. — L’Orrido. — Il Sasso di Morcate. — Riva di Gittana. — Varenna. — Albergo e villa Venini. — L’Uga e la Capuana. — Il Fiume Latte. — Regoledo.</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimaterza. — <span class="smcap lowercase">IL MERCATO DI LECCO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc23">235</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I Marroni. — Perledo e la Regina Teodolinda. — Lierna. — Olcio. — Villa Pini. — Mandello. — Abbadia. — La Gessima. — Lodovico Savelli. — Le Caviate e la Maddalena. — La strada militare. — Onno. — Parè. — Lecco. — Il Maglio. — Acquate e Pescarenico. — Il Galeotto. — Il Mercato di Lecco. — Le <i>robiole</i>. — Gli alberghi del <i>Leon d’Oro</i> e della <i>Croce di Malta</i>.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimaquarta. — <span class="smcap lowercase">VALMADRERA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc24">243</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti illustri. — La chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. — Valmadrera. — La Chiesa. — Il trovante utilizzato. — Le Cappelle della <i>Via Crucis</i>. — La villa del signor Egidio Gavazzi. — La villa del signor Pietro Gavazzi.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimaquinta. — <span class="smcap lowercase">IL MONTE BARO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc25">247</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. — Ello. — Ville Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa Paolina. — La <i>Bellavista</i> del signor Cereda. — Galbiate. — Palazzi Brioschi e Ballabio. — La villa Sanchioli e l’eco polisillabo. — Case Curti e Riva. — La chiesa di S. Michele. — La lapide di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe archeologiche. — L’effigie immobile. — La Rocca di Re Desiderio. — La fanciulla nel pozzo. — Il Monte delle Crocette.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimasesta. — <span class="smcap lowercase">LA VALLE DELL’ORO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc26">253</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">I Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — Il re Desiderio e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — La Valle dell’Oro. — Barzaguta. — La cascata.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimasettima. — <span class="smcap lowercase">LA CASA DEL PARINI</span></td> <td class="pag"><a href="#esc27">259</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San Fermo. — Bosisio. — La Chiesa e l’Oratorio. — Casa Banfi. — Monumento ad Appiani e Parini. — Uno stregone dei tempi antichi. — La casa del Parini. — Lapide commemorativa. — Onta lavata.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimottava. — <span class="smcap lowercase">L’ISOLA DE’ CIPRESSI</span></td> <td class="pag"><a href="#esc28">265</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in Italia. — Un mio processo. — Armi di pietra e palafitte lacustri. — Pusiano. — Villa Conti. — Scene di superstizione. — La Processione del Venerdì Santo. — L’Isola de’ Cipressi. — Il romanzo di Bertolotti.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione ventesimanona. — <span class="smcap lowercase">IL BEL DOSSO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc29">273</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Corneno. — La <i>Ca’ di strii</i>. — Villa Besana. — Galliano. — Carella. — Mariaga. — Alpe di Carella. — Il Bel Dosso. — Villa Graziani. — Longone. — Osteria. — La Malpensata. — Penzano. — Bindella. — Villa Galimberti. — Proserpio. — Villa Baroggi. — Inarca.</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesima. — <span class="smcap lowercase">LA VALLASSINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc30">277</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il lago Segrino. — Canzo. — Il <i>Vespetrò</i>. — I Corni. — La fontana del Gajumo. — La cascata della Vallategna. — Il torcitoio Verza. — Scarenna. — La Casa dell’eremita. — Asso. — Lapide antica. — Arte. — La via al Pian del Tivano. — Pagnano, Fraino, Caglio, Gemù. — Il Ponte Oscuro. — Lasnigo. — Le donne della valle. — Le serve. — Onno. — San Carlo e la sua mula.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimaprima. — <span class="smcap lowercase">CASTELMARTE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc31">285</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. — Fabbrica di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti, Prina e Mambretti. — <i>Ademprivo.</i> — Castelmarte. — Ville Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu Castelmarte capo della Martesana? — <i>Castrum Martis.</i> — Giunteria archeologica. — Reliquie antiche.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimaseconda. — <span class="smcap lowercase">PONTELAMBRO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc32">289</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Mazonio. — La sua chiesa. — Il pittor Ferrabini. — La Fusina. — Filatojo Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — La Bistonda. — L’annegato. — Pontelambro. — Case Guaita e Carpani. — Una lapide nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — Villa Matilde. — La Plejade de’ poeti politici moderni, sonetti. — Affresco luinesco distrutto. — Villa Carpani. — Lezza. — Carpesino. — Arcellasco. — Resica. — Filatoj Ronchetti e Mambretti. — Brugora.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimaterza. — <span class="smcap lowercase">SAN SALVATORE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc33">301</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">I <i>Geritt</i>. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e Genolini. — Il torrente Bova. — La dara. — San Salvatore. — Il convento. — Il signor Boselli. — Giovanni Biffi. — Il tronco mellifero. — La villa Righetti.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimaquarta. — <span class="smcap lowercase">IL BUCO DEL PIOMBO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc34">305</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — Aneddoto. — Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — Concorso di gente. — I versi di Torti.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimaquinta. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA AMALIA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc35">309</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria degli Angeli. — L’avv. Rocco Marliani. — Il palazzo, il giardino e il bosco. — Il monumento a Parini. — Monti e Foscolo ospiti. — Episodio della Mascheroniana. — La torre.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimasesta. — <span class="smcap lowercase">ERBA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc36">315</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il castello e la villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente Bocogna. — Villa Conti. — Erba Inferiore. — Pretura, ufficio telegrafico, albergo e botteghe. — Il caffè e gli <i>amaretti</i>. — Il teatro. — Ville Clerici e Brivio. — Vill’Incino. — Mercato d’Incino. — <i>Liciniforum.</i> — Lapidi. — Ninfeo antico. — Fatti storici. — Il mercato del giovedì.</td> - </tr> - <tr> - <td><span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span></td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimasettima. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA ADELAIDE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc37">321</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — Parravicino. — Ville Parravicini, Belgioioso e Gariboldi. — La torre pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia contro il Barbarossa. — Orsenigo. — Il Carudo. — Le Lische Amare. — Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’ ladri. — La Retusa. — Tassera. — La villa Adelaide.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimottava. — <span class="smcap lowercase">MONGUZZO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc38">325</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate Rota. — Nobero. — Le sue pesche. — Il Cavolto. — Le fornaci. — Monguzzo. — Il suo castello e la sua storia. — I marchesi Rosales. — Villeggiatura Mondolfo.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione trentesimanona. — <span class="smcap lowercase">IL SOLDO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc39">331</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il Soldo degli Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino e il parco. — Gli acquedotti. — Casino rustico. — Orsenigo. — Casa Carcano. — Anzano. — Villa del marchese Carcano. — Piccolo albergo. — Alzate. — Vecchio castello. — Palazzo Clerici. — Fabbrica. — Brenna e don Antonio Daverio.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Escursione quarantesima. — <span class="smcap lowercase">INVERIGO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc40">337</a></td> - </tr> - <tr> - <td colspan="2" class="csum">Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo Ariberto. — Bacco di Brianza. — L’albergo. — La Rotonda. — Il castello e la villa Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — Cremnago. — S. Maria della Noce. — Villa Perego. — Il Cimitero.</td> - </tr> - <tr> - <td> </td> - </tr> - <tr> - <td>Conclusione</td> <td class="pag"><a href="#conclusione">343</a></td> - </tr> -</table> -<hr /> -</div> - -<div class="footnotes"> - -<h2> -NOTE: -</h2> - -<div class="footnote" id="note1"> -<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>. </span>Questo è il mordace epigramma od epitaffio che al vescovo di -Nocera preparava quell’indemoniato: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Qui giace il Giovio storicone altissimo,</p> -<p class="i02"> Che di tutto sparlò, fuor che dell’asino,</p> -<p class="i02"> Scusandosi col dir: egli è mio prossimo.</p> -</div></div> - -<p> -Ma il Giovio era stato primo a scrivere di lui: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Qui giace l’Aretin poeta tosco,</p> -<p class="i02"> Di tutti parlò mal, fuor che di Dio,</p> -<p class="i02"> Scusandosi col dir: non lo conosco.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note2"> -<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>. </span>“Chi ricerca le sante spoglie, qui venga e le ritroverà. -Questo altare le chiude in numero di sei che splendono di immensa -luce. Qui sono Carpoforo, Cassio e Secondo, unitamente -ad Esanto, Licinio e Severo. Costoro, dispregiando pel nome -di Cristo la morte, nè temendo morire, vollero qui essere collocati. -Nessuno potè mai dividerli nella tomba: santo e molto -venerando essendo questo luogo, che ognuno rispetti ed anzi -onori di doni. Qui da divino consiglio fu pur trasferito Felice, -che pel primo predicò la divina parola; perocchè egli fu il primo -patrono di Como; onde tenendo fede al nome di Felice, è meritamente -felice su nei cieli.„</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note3"> -<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>. </span><i>Promessi Sposi</i>, Cap. VIII.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note4"> -<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>. </span>Vedi <i>Bullettino del Club alpino Italiano</i> (che si pubblica, -in Torino), N. 13 del secondo semestre 1868, in un articolo dell’ingegnere -Edoardo Kramer. Nello specchio delle ordinate -che si vede in fine, oltre la misura fattane dal De Welden, si -dà quella di Dufour, che è di soli metri 1698; di Oriani, che -è di metri 1738, e del Lavizzari, che è di metri 1739.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note5"> -<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>. </span><span class="smcap">Lavizzari</span>, pag. 14.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note6"> -<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>. </span><i>Il Monte Generoso ed i suoi dintorni</i>, del dottor Luigi Lavizzari. -Lugano, tipografia Veladini, 1869.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note7"> -<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>. </span>Nato nel 1490, in Belluno, fu uomo erudito nelle lettere -greche e latine. Secondo il costume de’ letterati di que’ tempi, -si impose questo nome togliendolo dalla famiglia Da Ponte -quivi illustre. Fu precettore de’ figli di Lodovico Sforza, compose -molte opere in greco e latino, che ignoro se pubblicate, -e si meritò che Belluno gli decretasse una statua di bronzo.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note8"> -<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>. </span>Sussiste tuttavia in Lombardia una frase imaginosa, che -riesce identica a questa simbolica tradizione del gomitolo di -refe consegnato da Margherita al figliuolo Giorgio. <i>Va distante -un gomitolo di refe</i> significa appunto presso noi: va -molto e molto lontano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note9"> -<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>. </span><span class="smcap">C. Plinii</span>. <i>Epistol.</i>, Lib. 1-3.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note10"> -<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>. </span>Ne dettai la biografia nell’<i>Ingegnere Architetto</i>, giornale -che si pubblica in Milano da B. Saldini.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note11"> -<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>. </span><i>I Misteri del Lario</i>, Racconto di Giuseppe Arnaud. Milano, -1867, pubblicato nel giornale <i>La Lombardia</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note12"> -<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>. </span>Una lapide incastrata nel muro di cinta d’un giardino -ricorda il dolorosissimo caso di Enrico Lok, annegato in cospetto -de’ proprî parenti e della moglie, che nulla poterono -fare per lui! -</p> - -<p class="center"> -<span class="smcap lowercase">GULIELMUS LOK<br /> -ANGLUS<br /> -SUBMERSUS<br /> -IN CONSPECTU<br /> -PARENTUM<br /> -ET CONJUGIS<br /> -14 SEPT. 1832 AET. 33</span> -</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note13"> -<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>. </span><span class="smcap">C. Plinii Cæcilii Secundi</span>. <i>Epistol.</i> Lib. IV, Cap. XXX.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note14"> -<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>. </span><i>Tivano</i> è così detto sul lago il vento boreale o di tramontana. -Ordinariamente è regolare, facendosi sentire in tempo -di notte e cessando alla mattina poco prima dell’alzarsi del -sole. Cessa egualmente la sua regolarità a mezzo il settembre. -Lo stesso dicasi della <i>Breva</i> che succede al <i>Tivano</i>, e che si -fa sentire dopo il meriggio, aiutando le imbarcazioni che a -vela spiegata ritornano da Como.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note15"> -<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>. </span><span class="smcap">Amoretti</span>. <i>Viaggio da Milano ai tre laghi</i>. Milano, 1817, -pag. 271.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note16"> -<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>. </span><span class="smcap">Manzoni.</span> <i>Adelchi</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note17"> -<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>. </span>Questa roccia è quella stessa che forma il secondo dei -cinque gruppi, di cui pare si componga la zona giurese nelle -Alpi Lombarde e che giace tra l’arenaria rossa di Varenna, -di S. Martino e d’Introbbio che le sta sotto, e il calcare bigio -azzurrognolo talvolta arenaceo con fossili (Viggiù, Arzo, Saltrio) -che lo ricopre. (Dott. Emilio Cornalia: <i>Su alcune caverne -ossifere dei monti del Lago di Como</i>, inserte nei <i>Nuovi Annali -delle Scienze naturali di Bologna</i>, fascicolo di gennaio e -febbraio 1850 e riprodotte da lui nel <i>Manuale della provincia -di Como</i> per l’anno bisestile 1852.)</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note18"> -<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>. </span>Le <i>scarpe di S. Pietro</i>, così appellate forse da ciò che il -principe degli Apostoli, alla chiamata di Cristo, camminò sul -lago di Tiberiade, non sono altro che due imbarcazioni a foggia -di lunga spola da tessitore, collegate insieme, oblunghe, -cioè, e strette. Chiuse tutte e reggendovisi sopra, quasi servendosi -di scarpa, è impossibile che anche per bufera si -affondino.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note19"> -<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>. </span>Per altro il dottor Casella ci assicurò d’avere il primo -laghetto passato a nuoto in una delle prime sue visite.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note20"> -<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>. </span><i>Ossements fossiles.</i> Tom. IV.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note21"> -<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>. </span><i>Su alcune caverne ossifere</i>, ecc., superiormente citate.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note22"> -<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>. </span><i>Argegno e la Vall’Intelvi</i>, negli anni 1848 e 1859 per -Gaetano Ferrabini. Milano 1860. Tip. Fratelli Borroni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note23"> -<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>. </span><span class="smcap">Virgilio.</span> <i>Georgica II</i>, e si potrebbe così tradurre: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Perpetua qui la primavera ride,</p> -<p class="i01">E la state ne’ mesi ancor non suoi.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note24"> -<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>. </span>Eccone la versione: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Forse che il mar, che l’una e l’altra sponda</p> -<p class="i01">Bagna io qui rammento? O i tanti laghi,</p> -<p class="i01">E te, massimo Lario, e te, o Benaco,</p> -<p class="i01">Che pari al mar, gonfi i tuoi flutti e fremi?</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note25"> -<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>. </span>Eccone la versione: “Minicio Esorato, figlio di Lucio, -della tribù Oufentina, flamine del divo Tito Augusto Vespasiano, -per consenso dei decurioni, tribuno de’ soldati, quatuorviro -con podestà di edile, duumviro di giustizia, prefetto dei -fabbri di Cesare e del Console, pontefice, a sè ed alla moglie -Geminia Prisca figlia di Quinto ed a Minicia Bisia figlia di -Lucio, vivente fece.„</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note26"> -<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>. </span>Io ne dettai la biografia, che fu mandata innanzi alle -<i>Opere complete</i> sue pubblicate in Milano da Ernesto Oliva -ed al <i>Marco Visconti</i>, edito pure più volte in Milano da Amalia -Bettoni.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note27"> -<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>. </span>Di questa Regina vedi il bello ed elegante studio fattone -nelle <i>Donne illustri</i>, da quel gentile e colto intelletto di donna -che fu Adele Curti.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note28"> -<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>. </span>“La libertà, che mal si vende per tutto l’oro, con fatica, -litigio e denaro acquistata, a quella di Galbiate ed alle terre -finittime arrise per regia concessione finalmente. Felice il -giorno 17 giugno dell’anno 1671, nel quale, scosso il peso -dell’infeudazione e d’ogni inferiore giurisdizione, questo popolo -si ridusse direttamente sotto la vicaria podestà del potentissimo -re delle Spagne e del Senato. La memoria di -tanto riscatto, conservata privatamente negli scritti autentici -di Francesco Giorgio Ottolini, notajo della Regia Camera -ducale, viene pubblicamente affidata alla salda custodia di -questa lapide il giorno diciotto settembre dell’anno 1671.„</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note29"> -<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>. </span><i>Memorie storiche</i> della Chiesa ed Abbazia di S. Pietro al -Monte, e del Monastero di S. Calocero in Civate, raccolte -dall’abate Giacinto Longoni. Milano, 1850, tip. G. B. Radaelli.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note30"> -<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>. </span>Al barone De Martini. Ediz. Reina.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note31"> -<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>. </span><i>Frammenti d’Ode</i> ad Andrea Appiani.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note32"> -<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>. </span>Ode: <i>La Vita Rustica</i>.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note33"> -<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>. </span>Il mio amico Cominazzi aveva tradotte pel suo giornale -due mie lettere francesi ch’io aveva dettate per le <i>Matinées -Italiennes</i>, che si stampavano in Firenze.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note34"> -<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>. </span>Milano, Tip. Guglielmini.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note35"> -<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>. </span>La Corte di Roma.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note36"> -<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>. </span><i>La salubrità dell’aria.</i> Ode.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note37"> -<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>. </span>Rocco Marliani, figlio di Pietro, di Milano, ampliato il -vecchio convento, eresse ed ornò la villa, che volle si chiamasse -Amalia dal nome della sua carissima consorte, 1801.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note38"> -<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>. </span><i>Satira VI.</i> Lib. II. Gargallo così li traduce: -</p> - -<div class="poem"><div class="stanza"> -<p class="i01">Un discreto poder, nè già sì vasto,</p> -<p class="i02"> Che avesse un orticello, e una fontana</p> -<p class="i02"> D’acqua perenne, a la magion vicina;</p> -<p class="i02"> Un po’ di bosco ancor per giunta; ed ecco</p> -<p class="i02"> Tutto qual era il voto mio. Gli dei</p> -<p class="i02"> Han fatto meglio e più: sien benedetti!</p> -<p class="i02"> <span class="dotted">. . . . . . .</span> altro non chieggo.</p> -</div></div> -</div> - -<div class="footnote" id="note39"> -<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>. </span>Canto IV. Edizione Resnati.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note40"> -<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>. </span>Matidia era nipote di Trajano e suocera di Adriano; -epperò qui la veggiamo divinizzata.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note41"> -<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>. </span><i>Vita di Gian Giacomo Medici</i>, di Marcantonio Missaglia. -Milano, ediz. Colombo, 1854.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note42"> -<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>. </span>Presso l’editore B. Saldini di Milano.</p> -</div> - -<div class="footnote" id="note43"> -<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>. </span>Intende parlare del marchese Pietro Caravaggi, la cui -famiglia molto possedeva in Inverigo, e il quale fu professore -nelle matematiche presso l’università di Pavia, e morì nell’anno 1688.</p> -</div> -</div> - -<div class="tnote"> -<p class="tntitle"> -Nota del Trascrittore -</p> - -<p> -Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione -minimi errori tipografici. -</p> - -<p class="covernote"> -Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio. -</p> -</div> - -<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN D'ERBA ***</div> -<div style='text-align:left'> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Updated editions will replace the previous one—the old editions will -be renamed. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright -law means that no one owns a United States copyright in these works, -so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United -States without permission and without paying copyright -royalties. 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Redistribution is subject to the trademark -license, especially commercial redistribution. -</div> - -<div style='margin:0.83em 0; font-size:1.1em; text-align:center'>START: FULL LICENSE<br /> -<span style='font-size:smaller'>THE FULL PROJECT GUTENBERG LICENSE<br /> -PLEASE READ THIS BEFORE YOU DISTRIBUTE OR USE THIS WORK</span> -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -To protect the Project Gutenberg™ mission of promoting the free -distribution of electronic works, by using or distributing this work -(or any other work associated in any way with the phrase “Project -Gutenberg”), you agree to comply with all the terms of the Full -Project Gutenberg™ License available with this file or online at -www.gutenberg.org/license. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg™ -electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to -and accept all the terms of this license and intellectual property -(trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all -the terms of this agreement, you must cease using and return or -destroy all copies of Project Gutenberg™ electronic works in your -possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a -Project Gutenberg™ electronic work and you do not agree to be bound -by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person -or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -1.B. “Project Gutenberg” is a registered trademark. It may only be -used on or associated in any way with an electronic work by people who -agree to be bound by the terms of this agreement. 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Information about the Mission of Project Gutenberg™ -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ is synonymous with the free distribution of -electronic works in formats readable by the widest variety of -computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It -exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations -from people in all walks of life. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Volunteers and financial support to provide volunteers with the -assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s -goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will -remain freely available for generations to come. In 2001, the Project -Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure -and permanent future for Project Gutenberg™ and future -generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see -Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit -501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the -state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal -Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification -number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by -U.S. federal laws and your state’s laws. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, -Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up -to date contact information can be found at the Foundation’s website -and official page at www.gutenberg.org/contact -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread -public support and donations to carry out its mission of -increasing the number of public domain and licensed works that can be -freely distributed in machine-readable form accessible by the widest -array of equipment including outdated equipment. Many small donations -($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt -status with the IRS. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -The Foundation is committed to complying with the laws regulating -charities and charitable donations in all 50 states of the United -States. Compliance requirements are not uniform and it takes a -considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up -with these requirements. 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Donations are accepted in a number of other -ways including checks, online payments and credit card donations. To -donate, please visit: www.gutenberg.org/donate -</div> - -<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'> -Section 5. General Information About Project Gutenberg™ electronic works -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Professor Michael S. Hart was the originator of the Project -Gutenberg™ concept of a library of electronic works that could be -freely shared with anyone. For forty years, he produced and -distributed Project Gutenberg™ eBooks with only a loose network of -volunteer support. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Project Gutenberg™ eBooks are often created from several printed -editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in -the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not -necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper -edition. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -Most people start at our website which has the main PG search -facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. -</div> - -<div style='display:block; margin:1em 0'> -This website includes information about Project Gutenberg™, -including how to make donations to the Project Gutenberg Literary -Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to -subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks. -</div> - -</div> - -</body> -</html> diff --git a/old/65610-h/images/cover.jpg b/old/65610-h/images/cover.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 5722cc7..0000000 --- a/old/65610-h/images/cover.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-008b.jpg b/old/65610-h/images/ill-008b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 279a37d..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-008b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-020b.jpg b/old/65610-h/images/ill-020b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 096d276..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-020b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-052b.jpg b/old/65610-h/images/ill-052b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 1e6c132..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-052b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-068b.jpg b/old/65610-h/images/ill-068b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index a94a036..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-068b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-092b.jpg b/old/65610-h/images/ill-092b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 497d612..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-092b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-110b.jpg b/old/65610-h/images/ill-110b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index e139df5..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-110b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-130b.jpg b/old/65610-h/images/ill-130b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 3a59a5d..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-130b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-154b.jpg b/old/65610-h/images/ill-154b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 4b988dc..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-154b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-176b.jpg b/old/65610-h/images/ill-176b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index ad75e85..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-176b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-192b.jpg b/old/65610-h/images/ill-192b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index fe0a028..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-192b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-256b.jpg b/old/65610-h/images/ill-256b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 80df56c..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-256b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-262b.jpg b/old/65610-h/images/ill-262b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index f45abaa..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-262b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-272a.jpg b/old/65610-h/images/ill-272a.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 30951e9..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-272a.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-280b.jpg b/old/65610-h/images/ill-280b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index d891958..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-280b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-290b.jpg b/old/65610-h/images/ill-290b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index 92764e8..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-290b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-292b.jpg b/old/65610-h/images/ill-292b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index c6ffe33..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-292b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-304b.jpg b/old/65610-h/images/ill-304b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index f8a3fb5..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-304b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-340b.jpg b/old/65610-h/images/ill-340b.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index ffebfc3..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-340b.jpg +++ /dev/null diff --git a/old/65610-h/images/ill-344.jpg b/old/65610-h/images/ill-344.jpg Binary files differdeleted file mode 100644 index cae3711..0000000 --- a/old/65610-h/images/ill-344.jpg +++ /dev/null |
