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-The Project Gutenberg eBook of Il Lago di Como e il Pian d'Erba, by Pier
-Ambrogio Curti
-
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at
-www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you
-will have to check the laws of the country where you are located before
-using this eBook.
-
-Title: Il Lago di Como e il Pian d'Erba
- Escursioni autunnali
-
-Author: Pier Ambrogio Curti
-
-Release Date: July 10, 2021 [eBook #65610]
-
-Language: Italian
-
-Character set encoding: UTF-8
-
-Produced by: Barbara Magni
-
-*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN
-D'ERBA ***
-
- P. A. CURTI
-
-
- IL LAGO DI COMO
- E
- IL PIAN D’ERBA
-
-
- ESCURSIONI AUTUNNALI
-
- ILLUSTRATE DA INCISIONI IN LEGNO.
-
-
- Dal bel rapir mi sento
- Che natura vi diè.
- PARINI.
-
-
-
- MILANO,
- PRESSO L’EDITORE GAETANO BRIGOLA
- —
- 1872
-
-
-
-
- TIP. BERNARDONI.
-
-
-
-
-L’andare in villa, non molt’anni addietro, era di pochi, di que’
-felici soltanto che la fortuna aveva dalla nascita privilegiati, o ne’
-commerci arricchiti: ora gli è, può dirsi, dei più.
-
-S’è così tornati alla manía del basso tempo antico, quando noi s’era
-colonia di que’ famosi prepotenti che erano i Romani. Cicerone —
-tanto per nominare qualcuno d’universal conoscenza — che non era
-tra i più facoltosi, nè da patrizia famiglia nato, s’era appagato
-di una sua velleità e contava nientemeno che ventiquattro ville di
-sua proprietà, quantunque invero non prediligesse che le sue case di
-Tusculo e di Pompei; e Cajo Plinio il Giovane, quello stesso che fu
-delle nostre parti, anzi della città di Como, — senza dir del suo Tusci
-che egli aveva alle pendici dell’Appennino toscano, e del Laurentino
-che possedeva in Romagna sul litorale del Mediterraneo fra le città
-d’Ostia e di Laurento — lungo le sponde ridentissime di questo Lario,
-dove sto per accompagnare il mio lettore, ne aveva due, l’una a Villa,
-che denominò _Commedia_, l’altra prossima a Bellagio, che denominò
-_Tragedia_.
-
-Io perfino, che divido le cure della vita fra le cause, i processi
-criminali e le umane lettere, ma che da Cicerone e da Plinio son per
-merito e ricchezza lontano quanto ci corre dal gregario al generale,
-partecipe della febbre che ha i moderni invaso, mi son passata alla mia
-volta la follia di una villa, piccola sì, ma a me bastevole: _parva sed
-apta mihi_, come direbbe il gran lirico latino.
-
-La manía poi del viaggiare a solo titolo di divertimento è tutta
-propria dei nostri tempi; è il portato inevitabile delle tante vie
-ferrate e de’ vapori che solcano tutti i mari; i Romani l’avevan pure,
-ma pel solo gusto matto di tribolar le nazioni cui portavano la guerra
-e di svaligiarle interamente...
-
-Ma io la piglio forse soverchio da lontano, per ispiegare al mio
-lettore le ragioni di questo libro, nè va bene che l’annoi sin dal
-principio.
-
-Volevo dire adunque che da noi, in Lombardia principalmente, non c’è
-caso: quando arriva l’autunno, si vuol proprio andare alla campagna;
-che noi della capitale — intendo la morale — si sognan tutto l’anno
-le rive del Lario o i placidi e verdeggianti colli del Pian d’Erba, e
-beati se ci possiamo andare! So di chi s’acconcia a scampagnare nella
-catapecchia della nutrice d’alcun suo bambolo; d’altri a condannarsi
-a starsene chiusi nelle case di Milano, purchè si creda che siasi alla
-campagna.
-
-I viaggiatori che ci visitano, non ci lasciano se prima una giornata
-non abbiano passato sul lago di Como, percorrendolo su per i piroscafi
-che vanno e vengono da un capo all’altro; e chi appena lo possa,
-si sofferma non pochi giorni ne’ diversi e veramente confortevoli
-alberghi, che si sono venuti stabilendo ne’ varî punti di queste rive
-popolate di paeselli e di ville leggiadre, che incantano di sè anche
-coloro che han pur visto que’ miracoli di natura che sono i golfi di
-Napoli e di Genova.
-
-Nel Pian d’Erba, è vero, non ci vanno come noi; ma la colpa è tutta
-nostra, che non siamo pur anco giunti a praticarvi strade un po’
-convenienti e, meno ancora, alberghi; perchè tali davvero non ponno
-dirsi que’ che adesso se ne hanno arrogato il nome. Ma la locomotiva
-non tarderà guari a prolungarsi da Seregno almeno ad Erba, e sarà
-allora un’altra cosa; la Brianza superiore non sarà più certo un mito
-pe’ forestieri che saranno stati nella nostra Italia, e il bisogno
-d’impiantarvi adatte stazioni verrà dietro per conseguenza.
-
-Or bene; villeggianti e viaggiatori, nel soggiorno di questi luoghi, si
-domandano bene spesso: dove si va oggi? dove domani?
-
-Il mio libro è la risposta.
-
- Milano, maggio 1872.
-
- [Illustrazione: Castello Baradello.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE PRIMA.
-
-IL BARADELLO.
-
- Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del
- Baradello. — Un cenno geologico. — La storia del castello. —
- Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo del Baradello.
- — Napo della Torre. — La chiesa di San Carpoforo. — Lapide. —
- Villa Venini ora Castellini. — Il collegio alla Camerlata. —
- Opificî industriali. — Ville Larderia, Martignoni, Prudenziana
- e Carloni.
-
-
-I.
-
-Non è alcuno di noi che, giungendo la prima volta in ferrovia alla
-Camerlata, non appena uscito dal vagone, non abbia rivolto lo sguardo
-a quella torre che sta di sopra il colle che sogguarda alla stazione,
-e non sia corso a ricordare le mille storie che nell’infanzia gli
-saranno state raccontate dalla nonna o dalla fante intorno ad essa, e
-con certa curiosità non vi abbia per qualche istante tenuto l’occhio,
-quasi a dirsi: non era dunque una panzana quella che aveva udito del
-_Castell Baravell_, che così appunto nel nostro bisbetico dialetto
-abbiam travisato il nome di Baradello. E siccome una volta almeno anche
-l’ultimo de’ popolani s’è tolto lo spasso di visitare la città de’
-_missoltini_, — così chiamati que’ dolcissimi pesci che dà il Lario,
-quando si misaltano o vengono disseccati —; così non è più adesso pel
-minuto popolo nostro un mito, una favola, un alcun che di immaginoso
-questo _Castell Baravell_, che ha udito le tante volte ne’ suoi giorni
-d’infanzia ricordare.
-
-Ma siccome questo libro non è fatto unicamente per i miei concittadini,
-non mi soffermerò più altro nè a ritessere quella storia della prima
-fanciullezza, nè a sceverarla dalle ubbie e dalle fole immaginate
-all’opportunità dalle serve o bambinaie per aver savî i lor marmocchi;
-così ora toccherò al sodo ed a quel meglio che interessi.
-
-Sia che tu movendo da Milano percorrendo il cammin di ferro che si
-ferma a Camerlata, sia che da Colico tu scenda col piroscafo per il
-lago infino a Como, il castello Baradello ti si annunzia prestamente;
-perocchè egli torreggi sovra il colle, o monte che meglio ti piaccia
-di chiamare, il qual si eleva fuori appena la porta che riesce appunto
-alla via che scorge a Camerlata e per di là a Milano.
-
-Questo colle, io ti consiglio di ascendere, o lettore, nella gita
-che vorrai fare a Como, perocchè di là ti si parerà avanti il più
-superbo panorama che si possa figurare; miracolo di cielo e d’aria,
-vista di città e di paesi, di lago e di ville, di giardini e di
-poggi amenissimi, di palagi e di chiese, di poveri tugurî e di
-vasti stabilimenti industriali, di monti selvosi e di massi e vette
-cinericcie e brulle d’Italia e di Svizzera, che gli è a pochi tratti di
-distanza, ed anche di Savoja, che si fa rappresentare dal nevoso Monte
-Rosa.
-
-
-II.
-
-Sa ognuno di tutti noi come il monte Baradello chiuda il varco al
-Milanese, e non sia vero che girando intorno ad esso si ritrovi la
-strada che passa a Chiasso, primo villaggio della Svizzera italiana:
-parrà strano nondimeno che a falsamente indicarlo fossero appunto
-due scrittori di Como, e di quel valore che nessuno loro ricusa,
-come sono Paolo Giovio, lo storico, o _storicone_, come chi il voglia
-coll’Aretino corbellare[1], e Gastone Rezzonico prosatore e poeta non
-degli ultimi. Scrisse il primo, parlando del Baradello: _in edito jugo
-saxosae viae, quae tendit ad Helvetios_; cantò il secondo:
-
- minacciar dal giogo
- Lo svizzero pedon che incerto move
- Per l’aspro calle i faticosi passi.
-
-Di molto e molto si perdona al poeta, disse Orazio; è vero: ma forse
-non si è disposti ad accordargli la favolosa possa di Atlante di
-prendersi sulle spalle poderose un monte per piantarlo, come gli garba,
-fuor del posto che gli ha assegnato madre natura.
-
-Perchè si chiami Baradello, io potrei dirtene più d’una, chè nulla è
-più agevole che immaginare origini, etimologie: mi basterà invece di
-accennare, come coloro che ne’ varî nomi di radice greca che si trovano
-lungo il lago ne’ paesi — Lemna, Dorio, Nesso, Corenno, Colono, ecc.
-— presumono argomentare essere qui state colonie greche, vogliano
-il nome di Baradello derivare dalle voci _baris deile_ (βαρυς δειλη)
-ossia torre della bass’ora o d’occidente, perchè dietro quelle giogaie
-tramonti il sole; e chi invece dal celtico _Barrdell_, che significa
-_monte piccolo_; e infatti è nome pur dato all’altro monte _Barr_
-presso Lecco, tra Malgrate e Oggiono — Baro —, che Plinio, copiando
-Catone autore antico, non saprei con qual giudizio, pretende avesse
-sul suo culmine una città denominata Barra, donde ne sarebbero venuti i
-Bergamaschi e il nome della Brianza.
-
-Pei geologi può interessare per contrario il sapere come il colle
-Baradello si costituisca di pietra arenaria, non altrimenti che sono
-dell’egual roccia altre colline della provincia, e, stando agli _Atti
-della società patriotica di Milano_ (Vol. III), se ne sarebbe nel
-passato tratto allume e giallamina.
-
-
-III.
-
-Se veniamo alla storia, cose del pari malsicure ne segnano i primordî
-del castello che sovraggiudica questo monte.
-
-L’illustre autore della _Storia della città e diocesi di Como_, Cesare
-Cantù, che, del resto, di notizie del suo lago e della Brianza ne ha
-diffuse per tanti libri, nè sarà certo l’ultima volta che a lui per
-esse ricorrerò, nel far cenno di questa torre quadrata che fra le
-ruine grandeggia di Baradello, la trovò mentovata nel documento di
-Liutprando re, che reca la data del 4 delle none d’aprile dell’anno
-dell’incarnazione 800, primo del regno, indizione X, che, riferito
-in nota a pagina 103 (vol. I, edizione Le Monnier), attesterebbe di
-assai doni da lui largiti alla chiesa de’ santi Carpoforo e compagni
-da lui fondata. Al qual proposito commenta lo storico: _Sebbene troppi
-argomenti abbiamo addotti per giudicarlo, perciò vogliam fare stima che
-chi lo finse avrà procurato, quanto l’ignoranza glielo permetteva, di
-dargli aspetto di verità._
-
-E soggiunge così le altre notizie che concernono il fabbricato:
-
-“L’abate Uspergense veramente ne attribuisce la fabbrica al Barbarossa;
-ma può ben essere che abbia il terribile imperatore fatto risorgere
-quel forte, smantellato dai Milanesi, allorchè Como distrussero. Il
-castello fu abbattuto, sicchè nulla possiamo dedurre dalla sua forma:
-resta una torre massiccia, ma senza porta, nè altro carattere. Chi però
-ne guarda la solidità non troverà improbabile tanta antichità sua. La
-tradizione aggiunge che una via sotterranea guidasse di lassù sino al
-piano: fantasie applicate ad ogni castello, e nel nostro la rende meno
-probabile l’immensa difficoltà! Alla torre si avrà avuto accesso per
-un ballatoio a quella finestra grande che è alla metà; e le fosse, che
-vogliono credere vestigia della strada segreta, saranno state cisterne
-per conservar l’acqua.„
-
-Dei tre castelli che fiancheggiavano la città di Como, e che erano il
-Nuovo sopra San Martino, quel di Carnasino e il Baradello, è certo che
-quest’ultimo fosse il meglio importante.
-
-L’opportunità del luogo (perocchè incomba alla città, e perchè non
-occupata da sue forze e da’ suoi, la rocca le si sarebbe potuto
-rivolger contro, se tenuta da nemici) non lascia dubitare che da
-antichissimo, e prima ancora di re Liutprando, fosse una cittadella su
-quella cima e forse una di quelle ventotto che ricorda il Giovio essere
-state oppugnate in queste parti da Marcello.
-
-Federico Barbarossa la mise di poi in nuovo assetto, e dovea
-chiudere nell’ampia sua cerchia il quartiere per la guarnigione ed
-anche il palazzo ove stanziava il podestà e dove pure albergarono
-quell’imperatore e la sua donna.
-
-Non sarebbe difficile, a chi volesse studiarvi sulle ruine, assegnar il
-luogo del di lui palazzo, se esso fosse nel piano eminente, o se alle
-falde: certo è dato argomentare come esso dalle munizioni traesse il
-nome di _Ca-merlata_.
-
-E ad altro vantaggioso scopo valeva eziandio la torre del Baradello, se
-vuolsi, com’io penso, aggiunger fede a quelle argute osservazioni dello
-storico testè citato, e che pure è prezzo dell’opera il riportare.
-
-“Vi sarete accorti — scrive egli a pagina 47 del volume primo
-dell’opera succitata — come i luoghi principali fossero in punto di
-fortificazioni, così da resistere alla agitata fortuna. Ma poichè
-ognuno per sè era troppo poco o per difendersi o per offendere,
-formavano una maniera di federazione, o fosse colla città principale,
-o contro di quella; ed era perciò mestieri usar qualche guisa per
-comunicarsi uno all’altro i pericoli, le decisioni, le avventure. L’età
-nostra adopera meravigliosi telegrafi, che colla velocità dello sguardo
-tramandano a centinaia di miglia con esattezza le notizie; allora vi
-si doveva supplire con grossolane maniere. Se ti fai a considerare, o
-lettore, le nostre parti, vedrai delle torri sulle punte, sui poggi,
-d’onde lontano possa la vista; or quelli appunto erano i posti su
-cui stavano le scolte per esplorare la campagna e per ricevere e
-tramandare i segni telegrafici. Accadeva un bisogno? doveasi chiamare
-a parlamento, alle armi? comunicar un ordine, una notizia? Bandiere
-di colore diverso e variamente sciorinate, o meglio una o più fiamme
-disposte ne’ luoghi e nelle guise convenute, e replicate di vedetta in
-vedetta, propagavano abbastanza rapidamente le novelle.
-
-“Per questo erano stabilite le torri in modo che una guardasse
-l’altra. Al Baradello, se vogliamo toglierlo come centro de’ segni,
-corrisponde, verso il lago, Torno, o piuttosto quel colle presso
-Pognana che chiamano la Collina della Guardia; indi Argegno, oppure
-la Cavagnola, che potevano comunicare alla Val Intelvi; poi Bellagio,
-che da una parte alla Valassina, dall’altra al ramo di Lecco, da sera
-mandava il cenno alla Val Menaggio e pel castello di Grandola al lago
-di Lugano, e superiormente a Rezzonico, donde alla torre d’Olonio,
-posta all’imboccatura della Valtellina. Da quella potea propagarsi
-all’altra torre, che si vede ancora sopra Samolaco, donde al castel di
-Gordona, feudo vescovile, ed a quel di Chiavenna; e per la Valtellina
-al castello di Domosolo; e per le torri, poste principalmente sul
-vertice degli angoli salienti, fino alla serra che chiudeva i risoluti
-Bormini. Volgendo a nord-ovest, rispondeva al Baradello la torre
-di San Nicolao a sopracapo di Mendrisio, poi forse l’erta ed amena
-cima di San Salvatore, visibile a tutto il Ceresio; poi pel monte
-Cenere tramandavasi il cenno a Bellinzona, al Verbano, alla _Chiusa_
-(la ciosa) dei Lombardi. Verso mezzodì era la posta a Cantù, donde
-propagavasi al Milanese ed alla rôcca del Montorfano, che può a’
-lontanissimi confini della Brianza vedersi. I castelli posti tra mezzo
-apprendevano le novelle di que’ principali.„
-
-Il Castello di Baradello è ricordato come arnese che assai figura
-nelle lotte guelfe e ghibelline del secolo decimoterzo. Sono note
-le guerresche fazioni de’ Torriani e de’ Visconti. I primi, comunque
-usciti dalla Valsássina della provincia di Como, pur essendo di parte
-guelfa, s’erano legati a Milano con amicizia veramente larga. Avversi
-essi ai nobili, ch’erano stati cacciati, ed eletti a capitani del
-popolo, li combattevano con coraggio e valore, e se crudeli nelle ore
-solenni della pugna, erano miti nondimeno e generosi dopo di essa; onde
-la storia registrò quel che Martino della Torre ebbe a dire quando non
-volle trucidare i ghibellini da lui fatti prigionieri: “Poichè non
-ho potuto dar la vita, a nessuno vo’ toglierla.„ Ma espiarono tanta
-generosità; soccombendo a’ Visconti nella battaglia di Desio, Napo
-della Torre ed altri di sua famiglia vennero chiusi in una gabbia del
-Castello Baradello, ed ivi così fieramente trattati da empir di gemiti
-la valle ed a far iscrivere al Cronista: _In castro de Baradeìlo quasi
-canes tractati sunt._
-
-
-IV.
-
-Sovra il colle medesimo del Baradeìlo vedesi ancora a’ dì nostri quella
-chiesa, che più sopra ho menzionata, sacra a San Carpoforo, che si
-vuole in paese sia stata eretta ne’ primi secoli dell’êra cristiana.
-La tradizione pretende che in origine fosse tempio pagano dedicato a
-Mercurio, e venisse poi convertita in chiesa cristiana e vi fossero
-deposti e venerati i santi avanzi di Esanto, Cassio, Severo, Secondo,
-Licinio e Carpoforo, che si dicono qui presso martirizzati per la fede,
-sotto l’impero di Massimiano Erculeo. Siccome poi nella medesima chiesa
-sarebbe, giusta la pia tradizione, sepolto anche Felice, pur chiamato
-santo e che fu il primo vescovo di Como, così alla esistenza di tutte
-queste preziose e venerate reliquie rese testimonianza una latina
-lapide, che or più non sussiste, ma che letta in addietro così suonava:
-
- Huc veniens discat quæ corpora sancta requirat
- Hoc altare tenet, sex tanto lumine splendent.
- Hic sunt Carpoforus, tum Cassius, atque Secundus,
- Et simul Exantus, Licinius atque Severus.
- Hi spernendo viri mortem pro nomine Christi,
- Nec metuendo mori, simul hic voluere reponi.
- At talem numquam potuit quis cernere tumbam
- Hic sanctis, sanctus locus est, multum venerandus,
- Quem nullus cædat, potius sed dona rependat.
- Extat et hic Felix divinis ductus habenis,
- Verum divinum studuit qui dicere primum
- Comi nempe bonus, primus fuit iste patronus:
- In cœlis felix merito sit nomine Felix[2].
-
-Il medesimo re Liutprando, che più sopra ho nominato, e il quale
-restaurò questo tempio e gli fe’, come già dissi, molti doni, vuolsi vi
-facesse da Roma trasferire eziandio i corpi de’ santi Giacinto e Proto.
-
-Mette conto a chi ha asceso il Baradello il visitare questi
-interessanti avanzi. Si conserva tuttavia l’abside rotonda, la torre
-del campanile quadrata, la confessione sotto l’altare, o _scurolo_,
-come si direbbe dal volgo, od altrimenti cripta. All’altare poi si
-ascende per due laterali gradinate.
-
-
-V.
-
-Ora il Baradello non è più calpesto da militi catafratti, ma percorso
-da allegre villanelle e da operosi contadini, perciocchè sia tutto
-ricinto di fertili colli e vi si scorgano signorili ville. A fianco
-della suddescritta chiesa di S. Carpoforo sorge la villa de’ signori
-Venini, ora acquistata dal signor Castellini che ha un suo florido
-collegio di maschile educazione a Camerlata. Non più l’_all’erta_
-delle scolte parte dall’ampia torre, ma la canzone rustica di chi vi
-alberga si diffonde da quelle coltivate alture; non armi accolgonsi,
-ma istrumenti di agricoltura; ed alla bassa Camerlata non fortilizî
-più si ritrovano, ma gli edifizî operosi della ferrovia; e più in giù,
-nella vallata, alla destra di Como, opificî industriali; e al piede
-del colle, verso Garzola, la magnifica villa Larderia, ricca di acque
-che le scaturigini del monte le somministrano; poi quelle altre de’
-Martignoni, della Prudenziana e del dottor Carboni. Così ai frequenti
-gridi di guerra che per quelle vaghe pendici s’udivano ripercossi
-dagli echi de’ monti circostanti, è succeduto il sibilo prolungato ed
-acuto, ma pacifico, della locomotiva che annunzia l’arrivo o che saluta
-la partenza di tanti e quotidiani viaggiatori; alle agitazioni delle
-fazioni e alle intestine discordie tennero dietro le tranquille cure
-e i riposi, a’ quali questi beati recessi, privilegiati da natura,
-sembrano unicamente destinati.
-
- [Illustrazione: Monte Generoso.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE SECONDA.
-
-IL GENEROSO.
-
- La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di S.
- Abbondio. — Il Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo Volta.
- — Chiasso. — Il Crotto e le _polpette_ della Giovannina. —
- L’_Albergo di Mendrisio_. — Dottore e albergatore. — Il Monte
- Generoso. — Salita. — L’albergo del dottor Pasta. — La cura
- dell’aria. — Geologia, flora e fauna. — Il dottor Pasta. —
- L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il Dosso-Bello.
- — La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di Mendrisio.
- — La Cantina di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo Vela. —
- Ligornetto. — Le cave di Arzo. — Le acque solforose di Stabio.
- — San Pietro di Castello. — Romanzo storico.
-
-
-I.
-
-Discesi dalla facile e coltivata eminenza del Baradello, non s’aspetti
-il lettore ch’io lo conduca subitamente al lago e quivi il tragga al
-piroscafo che fumiga, ardente della sua corsa quotidiana a Colico, o
-il faccia entrare nel burchiello, come vorrebbe il navicellaio, che
-ci sollecita, il berretto nell’una e la catena della barca nell’altra
-mano.
-
-Como ha ben altro ad intrattenerlo per un giorno, e anche più, quando
-ami le cose veder per bene, non già solo per la futile soddisfazione di
-poter dire: “ho visto.„
-
-Fuor le mura avrà a vedere la chiesa di S. Fedele e la vicina fabbrica
-di macchine idrauliche del Regazzoni; la basilica di Sant’Abbondio,
-contemporanea a quella di S. Carpoforo, che ha già visitata sul
-Baradello, e che servì di cattedrale insino al 1013, in cui il vescovo
-Alberico v’ebbe a collocare i monaci retti dalla regola di S. Benedetto
-e la cattedrale aprì in città nel Duomo attuale, che pur interessa
-di visitare, come uno dei più insigni monumenti architettonici di
-Lombardia, autore Lorenzo degli Spazzi di Valtellina, compiuto poi
-da Tomaso Rodari di Maroggia, del quale son forse le due porticine
-dei fianchi, di squisitissimo lavoro. Ammirerà in esso diversi buoni
-quadri, fra cui il Natale di Gesù; l’Adorazione dei Magi; i santi
-Cristoforo e Sebastiano e lo stupendo S. Girolamo di Bernardino Luini;
-lo Sposalizio di Maria e la Fuga in Egitto di Gaudenzio Ferrari.
-Nè lasci di dare uno sguardo al Pretorio, che sta a lato del Duomo;
-al santuario del Crocifisso, per la fama che vi chiama a migliaja i
-divoti; al Liceo, dove è interessante il gabinetto di fisica, in cui
-si trovano macchine che servirono a quel sovrano intelletto scopritore
-della pila, ad Alessandro Volta vuo’ dire, al quale nella piazzetta
-prossima al lago venne eretta una statua, mediocre opera di Pompeo
-Marchesi; al Teatro, architettato dal Cusi, ampliato dal Ruspini e co’
-bei dipinti del Pagliano e dello Speluzzi. Veda anche il Camposanto,
-architettato dal Tatti, e in cui si chiudono lodevoli monumenti, fra
-cui uno lodatissimo d’Antonio Tantardini di Milano.
-
-Il ricapito poi per l’intera giornata e per quanto ti avverrà di
-passare in Como, non andrai errato ad eleggerlo all’albergo Volta che,
-in riva al lago, sta presso al luogo d’imbarcazione sui piroscafi.
-Ammodernato, vi si introdussero tutte le lautezze d’un albergo di
-prim’ordine, e il forestiero di qualunque nazione e di qualunque più
-elevata condizione non può che trovarsi a suo bell’agio.
-
-Era indispensabile codesta indicazione; il lasciarla sarebbe stata
-mancanza verso il lettore, ingiustizia verso chi ha dotato Como di uno
-stabilimento, senza cui avevasi ragione, scesi appena dalla Camerlata,
-difilarsi pari pari al vapore, per ire in traccia d’albergo o alla
-Regina d’Inghilterra presso Cernobbio, o alla Cadenabbia, o a Bellagio
-od a Menaggio.
-
-
-II.
-
-Una passeggiata conviene ora che facciamo insieme, la quale avrei
-volontieri riservata, per procedere ordinatamente, allorchè giunti a
-mezzo del lago, che or misuro da Como a Bellagio, ci sarebbe occorso di
-scendere dalla barca o dal vapore ad Argegno, per metterci dentro la
-Valle Intelvi. Ma siccome non intendo di abusare delle gambe del mio
-lettore, nè farlo inerpicare di troppo su per le balze di San Fedele,
-così per giungere all’egual meta, approfittando delle mutate condizioni
-politiche che ricondussero fra noi e i nostri vicini della Svizzera
-le migliori relazioni d’amicizia, perchè già della medesima famiglia,
-onde non sia più mestieri ricorrere a passaporti o ad altri documenti
-personali, usciamo di Como, montiamo adagiati in carrozza il facile
-pendio dell’Olimpino, varchiamo il confine italiano, e, oltrepassato
-Chiasso...
-
-Ma no; prima di oltrepassarlo, d’una promessa ho a sdebitarmi.
-
-Chiasso era dapprima una borgata, che sembrava fatta apposta per
-beneficio di noi Lombardi, che volevamo sdrucciolar fuori dalle mani
-de’ nostri passati dominatori, quando, per un capriccio di poliziotto,
-per un sospetto generato da cattiva digestione del direttore di polizia
-di Milano, ci volevano agguantare. Al di là de’ pilastrini che per
-mezzo di una trave abbarrano il confine, Chiasso si distende, per mezzo
-diviso dalla strada che conduce a Capolago ed a Lugano, fiancheggiato
-da erbosi colli e da montagne popolate da paeselli e casolari, come
-_branco di pecore pascenti_[3], direbbe il nostro Manzoni. Ora Chiasso
-ha bel rilievo da una nascente fabbrica di tabacchi, che prepara sì
-eccellenti cigari, da sembrare che lo faccia espressamente a rendere
-ancora più insopportabili quelli che a noi dà la Regía; ha un albergo;
-e per noi, che non abbiamo l’agio di soggiornarvi, ha il _Crotto della
-Giovannina_, deliziosissimo _chalet_, d’architettura svizzera, che
-il mio ottimo ed ospitale amico, il colonnello federale Costantino
-Bernasconi, ha fabbricato, ma che alla barba sua prese il nome dalla
-sua conduttrice, e che io raccomando a chi transita per Chiasso,
-non a’ gaudenti della vicina Como, che già vi corrono la domenica a
-chiedere le _polpette della Giovannina_, rese celebri oramai, e che
-farebbero venire l’acquolina... no, volevo dire l’absinzio in bocca
-al chiarissimo autore della _Giovinezza di Giulio Cesare_, perchè _di
-color mogano_, com’ei le brama.
-
-La promessa era appunto quella di segnalare questo simpatico recesso,
-a pochi passi dal paese, lungo l’acqua della Falopia che scorre in
-sottil vena, protetto dall’ombra di superbi tigli, fatto più bello e
-più fresco da una cascata pittoresca, e più ricerco pel suo vino di
-Chambery che vi si beve. Non dimenticherò l’ora che vi ho passata, nè
-il ballo della sera, dove al suono dell’organetto, uomini e donne di
-tutte le condizioni repubblicanamente ballonzolavano e si turbinavano
-in certe polke e in certi waltzer, che direbbonsi impossibili, se
-veduti non li avessi. Vidi colà l’elegante dalla cravatta bianca
-irreprensibile e il contrabbandiere in manica di camicia rimboccata
-all’insù del gomito, la guardia di finanza italiana e lo svizzero
-carabiniere, l’impiegato e il contadino, l’operaja e la sguajata
-manutengola del frodo; una baraonda, insomma, vispa, matta e rumorosa
-da comunicarvi, anche vostro malgrado, il buon umore e l’allegria.
-
-
-III.
-
-Dopo ciò, tiriamo dritto.
-
-Passiamo Balerna, villa un dì del vescovo di Como, rivendicata ora dal
-Comune, e arrestiamoci in Mendrisio all’albergo che dal paese assunse
-il nome d’_Albergo di Mendrisio_, del signor Bernardino Pasta, che,
-prima d’essere albergatore fu un egregio pittor di genere, le opere del
-quale andavan spesso assai lodate alle esposizioni di belle arti nel
-palazzo di Brera a Milano. Sono quivi le pazienti cavalcature che ci
-devono condurre sul Generoso; perocchè non abbia detto ancora che lo
-scopo della nostra passeggiata è l’ascesa al Generoso.
-
-E sarà bene che ci informiamo dapprima se l’albergo che sta sopra a
-questo monte abbia ancora qualche camera in libertà; perchè avvenga
-non di rado che inglesi e americani, tedeschi e francesi, italiani e
-svizzeri, tanto in numero vi si trovino, da non lasciarvi uno de’ cento
-e più letti che vi stanno; e in tal caso il signor Pasta Bernardino
-di Mendrisio, fratello al dottor Carlo Pasta, ch’è l’albergatore del
-Generoso, vi potrà allora ospitare degnamente; perocchè vi abbia adesso
-allestito il proprio albergo di tutti i conforti della vita.
-
-Ad ogni modo, salvo a ridirne nel ritorno dal Generoso, noi possiamo
-farvi qui l’asciolvere nostro, mentre staccansi gli asini ed i muli
-dalla greppia e vi s’adattano le selle per le signore, e troveremo il
-nostro conto. La via ne richiamerà almen due ore; l’aria del monte ne
-renderà acuto l’appetito; sarà bene pertanto seguire il mio avviso.
-
-Intanto che facciamo onore alla buona colazione che ci dà il signor
-Pasta, discorriamo un po’ del Generoso, che dovremo ascendere fra
-breve.
-
-Esso è il monte più alto di quel gruppo delle Prealpi che sorge fra
-le valli di Mendrisio e d’Intelvi, e De Welden ne misurò l’altezza
-barometrica della punta meridionale fino a metri 1740, e il ticinese
-Lavezzari quella della punta settentrionale fino a metri 1733 sopra il
-livello del mare[4]. Vien chiamato eziandio Mendrisone e Calvagione,
-con quest’ultimo nome venendo designato da’ valligiani del versante
-lombardo; ed appartiene tanto alla Svizzera italiana che alla nostra
-Lombardia, perchè appunto pria di giungere sulla vetta sta la pietra
-che divide i due territorj. Ma siccome a noi insegnano gli statistici
-che nel dire de’ confini d’un paese, non si abbadi a que’ limiti
-temporanei che può imporre la politica contingente, così certo non andò
-lontano dal vero chi il Monte Generoso, per la maraviglia del panorama
-di cui dispone da’ suoi culmini, ebbe a chiamarlo il Righi lombardo, a
-simiglianza di quello svizzero, che ergesi al di sopra di Zurigo, dove,
-malgrado la sua antica celebrità e la vista de’ sottoposti laghi di
-Zug, dei Quattro Cantoni, di Loverz e di Sempach, e de’ monti elvetici,
-non ha però l’ampiezza dell’orizzonte e la serenità del Generoso,
-ricinto non da brulle roccie, ma da monti coperti di verzura e di
-fiori, e sorridente alle acque del Lario e del Ceresio che si vedono
-scorrergli ai piedi, e più lontano a quelle del lago di Varese coi
-vicini laghetti di Biandronno, di Monate, di Comabbio e di Muzzano, e
-più lontano ancora a quelle del Verbano.
-
-
-IV.
-
-Ma le nostre cavalcature scalpitano, le nostre guide attendono:
-affrettiamoci. Quando discenderemo domani, occuperemo la giornata nel
-visitare gli interessanti dintorni del piano.
-
-La via che scegliamo è la migliore. Se non abbiamo aspettato ad andare
-sul Generoso dalla parte di Vall’Intelvi, a causa del cammino dirupato,
-mai più non ci vorremmo noi avventurare per l’erta e non meno difficile
-via di Maroggio sul lago di Lugano e che passa per Rovio. Pigliamo
-adunque questa stradicciuola che ci scorge a Salorino: sarà la più
-facile, la più amena.
-
-Breve è il tratto che riesce a quel montano paesello, e presto
-lasciatolo addietro, s’entra in una valle e quindi in boschi di
-castagni e faggi, poi si traversano praterie, si rasentano burroni, si
-aprono prospettive mirabili ed incantevoli: dappertutto si svolgono
-quadri d’una natura agreste, ma piena di poesia, onde legittima è
-l’estasi degli artisti, che ad ogni istante vi rinvengono _trovate_ e
-soggetti a studî ed a schizzi. A quando ridente, a quando severa, sia
-che si presentino verdi tappeti smaltati di fiori, sia che si parino
-avanti roccie ed abissi, la via riesce ognora interessante, ed è
-appena se dal tumulto degli affetti che vi tenzonano nell’anima, tutta
-occupata dalle più svariate sensazioni, ora liete or melanconiche, e se
-dalle or sublimi ed or terrene imagini, che vi avvicendano il sorriso
-e la volontà del piangere, l’inno e l’anacreontica, vi richiama il
-tintinnío della campanella del vostro ronzino, o l’inciampar di esso in
-qualche ciottolo importuno.
-
-Non temere, gentile compagna della nostra peregrinazione; nessun
-pericolo si presenta lungo tutta la via; affidati secura alla robusta
-guida che fiancheggia la tua comoda cavalcatura, e tutta e interamente
-godi del nuovo spettacolo che ti si offre davanti.
-
-Ma il filo telegrafico che d’un tratto si vede, ti invita a seguirne
-il corso e presto ti fa scorgere primi i fumajuoli, che mandando
-dalle loro gole colonne di fumo, avvertono che la meta è vicina, che
-l’abitato è imminente.
-
-Ecco, l’albergo si affaccia finalmente; ecco.... lo vedi in tutta la
-sua estensione. Tanta grandiosità ti fa maravigliato e corri subito
-a pensare quanto ardimento sia stato quello di chi osò escogitarlo a
-tanta altezza, poichè siamo a 1209 metri sul livello del mare[5], e
-quanta fede abbia egli avuto nella sua impresa da avventurare tanta
-fortuna.
-
-Questo coraggioso fu il signor Carlo Pasta.
-
-
-V.
-
-Vorrei descrivere l’albergo magnifico a cui siamo arrivati; ma prima
-ne reclama l’attenzione nostra la persona del suo proprietario. Egli
-è venuto incontro a riceverci del miglior garbo possibile; è di lui
-dunque che prima dobbiamo intrattenerci.
-
-Il signor Carlo Pasta non è soltanto albergatore: egli è il dottor
-Pasta. Non è quindi a cercarsi se in lui l’idea di rizzare questo
-magnifico stabilimento sia stata pullulata dall’interesse unicamente:
-egli, se da esso fosse stato mosso soltanto, non l’avrebbe osato;
-vorrei dire di più, sarebbe stato temerario. Medico dotto, egli
-vagheggiò la sua impresa anche a beneficio di chi vorrebbe poi
-ricercare il ristauramento della salute alla salubrità dell’aere. Sì,
-quassù sul Generoso non si viene per cure termali; il buon dottore
-lascia che le acque di queste balze scendano pei due versanti e si
-gittino per una parte nel Lario, per l’altra nel Ceresio; la cura
-ch’egli vi offre è quella dell’aria, ed è la meno incomoda, la meno
-dispendiosa, la più certa. Qui si allargano i polmoni che la bevono,
-si rinnova l’appetito, si rintegrano le forze, si alleggerisce dalle
-cure lo spirito, e si discende poi con tanto tesoro di salute e di buon
-umore da sfidare e le umide brume della bassa e il cumulo, non meno
-infesto, delle cure cittadine.
-
-Lettore, se a te sono aperte le discipline delle scienze naturali,
-il tuo cammino può fornirti inoltre larga materia ad osservazioni e
-studî. Le condizioni geologiche delle roccie e l’abbondanza dei fossili
-possono esercitare assai spesso il tuo martello, se geologo; come la
-ricchissima flora ad ogni momento può arricchire la tua raccolta, se
-botanico.
-
-La natura delle roccie è la calcarea grigia basica dell’êra giurassica;
-più in su per altro si incontrano banchi estesi stratificati di calcare
-rosso ammonitico, e più in su ancora altri banchi di un calcare bianco,
-più comunemente detto majolica, atto a mutarsi in calce eccellente.
-Sulle vette del Generoso, nella roccia di calcare fosco si scoprirono
-conchiglie, _spirifere, terebratule_ e _pentacriniti_, e nel calcare
-rosso molte specie di ammoniti.
-
-Se poi si voglia erborizzare, verrà in copia sotto mano l’aconito,
-l’arnica, la genziana, la belladonna, l’assenzio, i rododendri, le
-rose, gli anemoni, le primule soavi, i ranuncoli, le achillee, le
-sassifraghe, le cinerarie, i candidi asfodeli, il nero veratro, le
-dafni alpine, le rute, le peonie, le silene, le betulle, le orchidee,
-i crisantemi corimbosi, e cento altre specie di piante, che io non
-saprei enumerare, ma delle quali il dotto Lavizzari ha tenuto esatto
-conto colla nomenclatura di Linneo e d’altri botanici[6]. Tutti però,
-anche al nostro occhio profano, col loro abito roseo o cilestro, giallo
-oppur bianco, violaceo o nero, fra tappeti di verzura e con tutte le
-gradazioni dell’iride, cospirano a smaltarci il cammino, a rallegrarci
-la vista, a profumarci l’aere, a compiere l’incanto di sì diverse
-scene. Fra’ cespugli s’ode il zirlare del tordo, su per gli alberi
-il gorgheggiare dell’usignuolo e il trillar della capinera; mentre
-dai greppi inaccessibili modulano i loro canti il passero solitario
-e il codirosso, e lontano lontano s’ode l’intermittente suono delle
-campanelle delle mandre pascolanti sulla montagna.
-
-A tutto ciò aggiungi l’azzurra vôlta de’ cieli, limpida e pura come
-tra’ monti, il bacio dell’aure che ti refrigerano e fanno stormir
-le frondi, le liste argentee dei laghi che ti vengono poco a poco
-apparendo, mano mano che salendo domini l’orizzonte, e ti scompajono
-quindi dietro un colle, per ricomparirti dipoi più estesi.
-
-Io vi consiglio adunque la cura dell’aria del Generoso per una ventina
-di giorni almeno. Dai primi di maggio a tutto settembre lo stabilimento
-del dottor Pasta è a vostra disposizione; con riserva, io credo, che
-lo sia tutto l’anno, quando la ragione e la moda pe’ viaggiatori vi
-trarranno non interrotto concorso, e una via di ferro, come ho udito
-dirsi che intendasi di fare, ne agevolerà la salita.
-
-Questo brav’uomo del dottor Pasta diventa ben presto l’amico e il
-consigliero de’ suoi ospiti. Di gentili e aperte maniere, colto non
-solo ma dotto, voi vivete tranquilli anche sul più leggiero incomodo
-di salute. Tutto ciò costituisce il segreto che attira tanto concorso
-a quest’albergo, sì che non valse a rattenere in Mendrisio più d’un
-Inglese, cui fu dall’alto telegrafato essere tutte occupate le camere
-dell’albergo e i più che cento suoi letti.
-
-Stretta la mano al simpatico albergatore, sul piazzale stesso che sta
-davanti all’albergo, malgrado che la salita vi abbia per avventura
-un po’ affaticati, pure non potete a meno di rivolgervi a scorrere
-d’un’occhiata tutt’all’intorno il superbo e pittoresco orizzonte che vi
-si schiera davanti.
-
-Ma esso vi basti per ora: di quell’orizzonte, ed anche di meglio,
-ci occuperemo nella gita che faremo sulla vetta di questo monte; ora
-piuttosto uno sguardo all’edificio.
-
-La sua ortografia non presenta a primo aspetto eleganza di linee
-architettoniche; ma in compenso il suo disegno è pieno di armonia e
-severo. Sorge a tre piani da un terrazzo, entro il quale sono praticati
-sotterranei, dove è la cucina, la panatteria ed altri locali di
-servizio. Dalla parte opposta al piazzale d’ingresso ve ne ha un altro
-con giardino, e da dove l’occhio si spazia lungo il piano lombardo,
-giù per la china della valle del Po. Quivi è collocato un telescopio
-inglese, intorno al quale sono sempre i numerosi ospiti in traccia del
-più diletto punto di vista. Le città, le grosse borgate, le migliaja
-di villaggi, i santuari co’ loro acuminati campanili, le ferrovie, le
-lunghe linee delle più vaste strade e quelle de’ fiumi, e i bacini de’
-laghi coi fumiganti piroscafi che li solcano, sono disseminati nel più
-stupendo panorama.
-
-Entrati nell’albergo, tutto ammirar dobbiamo distribuito colla migliore
-intelligenza. V’è una vasta sala da pranzo, dove tutti i numerosi
-ospiti convengono all’ora indetta per la _table d’hôte_; una per la
-lettura, e vi stanno libri e giornali d’ogni nazione; un’altra assai
-ben intesa pel bigliardo; e tutte adorne di bei quadri e di specchi e
-addobbate con semplicità ed eleganza.
-
-I tre piani superiori hanno ognuno una propria sala comune di
-ricevimento e numerose camere con eleganti suppellettili ed assai
-soffici letti.
-
-Ho già detto più sopra che i _comforts_ di questo stabilimento
-sono completati da un servizio telegrafico: la posta poi vi giunge
-quotidiana colle lettere e coi giornali.
-
-Se si chiede poi quale il trattamento, la risposta si riassume in una
-parola: squisito. La cucina vi è ottima e scelta; latte, burro e miele
-freschissimi sempre e saporitissimi, quali possono fornire l’erbe
-aromatiche e i fiori della montagna onde si nutrono mandre ed alveari;
-e dopo tutto, la vostra borsa non si spaventi: i prezzi vi sono
-moderatissimi.
-
-L’albergo, insomma, è accessibile a tutti, ed è già molto che in
-mezzo a tanta letizia non si cacci il roditore pensiero che poi vi si
-abbia a far iscontare in danaro gli splendidi orizzonti, le poetiche
-passeggiate e il sottile e salutare aere bevuto.
-
-
-VI.
-
-Cominciamo ora le nostre escursioni, poichè ci siamo riposati e
-rifocillati col copioso pranzo. Come, chiederete voi, ora che il sole
-tramonta?
-
-— Precisamente perchè il sole tramonta.
-
-Entriamo in questo sentiero quasi orizzontale che fiancheggia l’albergo
-e guida in dieci minuti alla spianata dal lato occidentale del monte.
-
-Qui esso declina, qui sotto scintilla l’onda del lago di Lugano,
-ripercossa dai raggi del sole che piega al tramonto.
-
-La scena è stupenda che ti si distende davanti. Nuvoletti frangiati
-d’oro o porporini vagano là sul confine dell’orizzonte, dove il Rosa lo
-chiude colle sue cime candide di neve; lunghe strisce del color della
-viola in altre parti listano il firmamento; il rancio del lembo estremo
-si muterà fra breve nel rosso di fuoco, onde sembra che il
-
- Ministro maggior della natura
-
-pria di calar dietro i monti, ne baci d’un ardente bacio i culmini più
-sublimi.
-
-Voi riguardate a quel solenne occaso, nel silenzio religioso
-di quell’ora; e dalla valle sottoposta, dove l’ombre giganti si
-distendono, sorge e viene insino a voi la squilla vespertina del
-villaggio che saluta il dì che muore.
-
-La brezza aleggia più sollecita e viva...
-
-Il sole è sceso dietro la linea de’ lontani monti: la luna gli succede
-nell’impero del firmamento. — Ritorniamo all’albergo.
-
-Se t’arresti più giorni sul Generoso, non obbliare l’altra vaghissima
-escursione al Dosso-Bello, da dove ti si offriranno le ridenti sponde
-del Lario, colla fila non interrotta di paesi e di ville, e ti verrà
-dato rivedere da lunge la terra che già visitasti del Baradello, e la
-striscia del fumo che libera la locomotiva che da Camerlata muove per
-Monza e Milano.
-
-L’indomani affréttati alla escursione più vagheggiata, fino alla
-vetta cioè del Generoso. È la meta di quanti traggono al già descritto
-albergo: e ben ne vale la pena. Sono alquanto più di cinquecento metri
-di altitudine a montarsi (531); il cammino richiede almeno un’ora e
-mezza.
-
-Non isgomentarti, o lettore, delle prime asperità delle vie aperte sul
-fianco orientale del monte; più agevole si rende di poi la salita,
-mercè le cure del dottor Pasta. Sono cinque anfratti che avrai a
-percorrere, ma dolci, senza vepri nè ciottoloni, in mezzo a pascoli
-ubertosi, ricchi di mandre, che vedete liberamente pascolare, sì che
-non la sete, ma piuttosto la curiosità di trovarvi fra roccie calcari
-una fonte a un chilometro dall’albergo, vi trae a gustar la limpida
-linfa che vi sorge.
-
-Ma lieti e non affaticati, eccoci pervenuti alla vetta. L’ho già
-detto: la punta meridionale è a 1740 metri sul livello del mare e la
-settentrionale è di sei metri più depressa.
-
-Qui sul molle e verde tappeto sediamo, perocchè le infinite meraviglie
-che ad un tratto si rivelano all’esterrefatto sguardo sieno troppe, e
-convenga una ad una distinguerle ed ammirarle.
-
-Ah! voi vi sentite ora maggiori di quel che siete, quasi numi che
-imperate al creato, nel veder tanta e sì stupenda natura svolgersi
-sotto di voi. Ne’ giorni estivi, mentre sul vostro capo si distende
-limpida e serena la vôlta de’ cieli, vedreste adunarsi i nembi
-sotto de’ vostri piedi, scoppiar gli uragani, guizzar le folgori, e
-l’illusione della vostra divinità vi parrebbe più vera.
-
-Ecco: la vetta, come dissi, è partita in due distinte prominenze, l’una
-dall’altra distante di circa trecento metri; questa che sogguarda al
-Lario segna il principio dell’Italia; quella che al Ceresio segna il
-principio della Svizzera. Su quest’ultima veggonsi gli avanzi di un
-segnale trigonometrico che servì per la triangolazione iniziata dagli
-astronomi ai tempi del primo regno d’Italia.
-
-Qui posiamo, esclama pure il Lavizzari, sotto il cielo di Dante, di
-Colombo, di Leonardo, di Raffaello, di Galileo; qui viviamo sul suolo
-di Lutero, di Haller, di Rousseau, di Bernouilli, di Saussure. Qui
-l’anello delle due nazioni; qui la terra dei vulcani tocca la terra dei
-ghiacciai; qui cessano i lauri, i mirti; qui incominciano i licheni,
-gli abeti; qui la rosa delle Alpi si intreccia colla peonia peregrina;
-qui il ranuncolo glaciale s’annoda alla silena insubrica; qui infine la
-flora del Mediterraneo si sposa alla flora germanica.
-
-Girate ora lentamente lo sguardo all’intorno del vastissimo orizzonte.
-Da questa parte, che direi italiana, voi vedete dalle montagne della
-Valtellina, giù giù, seguendo la linea del lago di Como, tutta la
-lunga sequela di quelle, verdeggianti per lo più, che costituiscono
-l’ultimo contrafforto delle Alpi, e dietro le altre sul cui pendio
-s’adagia Bellagio e più giù la Pliniana, il Moncodine o Grigna, il
-Monte Campione ed il Monte Serada o, come più popolarmente è detto, il
-Resegone, onorato di mirabile descrizione da Manzoni.
-
-Pervenuto il vostro occhio alla città dei Plinii e di Volta, più in là
-sospingendolo, per una infinita serie di punti biancheggianti, che sono
-altrettanti paesi, vi trovate a Monza, quindi a Milano, subito di essa
-avvertiti dalla freccia ardita dell’aguglia principale del suo Duomo;
-indi vi si presenta la valle del Po e nel fondo l’azzurra linea degli
-Appennini. Convergete la pupilla a destra e vedrete Varese, Arona,
-Novara, Torino: Crema, Cremona e Vigevano le vedrete del pari al manco
-lato, o in direzione su per giù di Milano.
-
-Poi, a sfondo di quella ove avete distinta Torino, vedete le cime del
-Rosa e del Bianco incoronati di perpetui geli, il Monviso, il Cenisio,
-l’Ortlerspitz, il Mischabel, il Pizzo della Bernina, lo Spluga, il
-Medelser, il Lucmagno, il Gottardo, il Galenstock, il Wetterhorn,
-il Fünsteraarhorn, l’Eiger, il Mönch, la Jungfrau, il Bietschœrner,
-l’Aletschkorn, il Fletschorner, il Mittagshorn, il Weissmies, il
-Cervino, il Winterberg ed altri moltissimi, che dalla vetta di questo
-Generoso vide e nominò quel rinomato naturalista che è G. Studer, nel
-suo _Panorama des Alpes_, disegnato sullo stesso nel 23 settembre 1869,
-e che io sono lieto di possedere.
-
-Verso ponente poi la vista riesce per avventura più pittoresca,
-dominando sulla vasta regione montuosa che dalla Val Sássina si stende
-alla Val Cavargna, scorgendovisi l’estremità del lago di Lugano col
-villaggio di Porlezza, un breve tratto di quel di Como verso Bellagio,
-e belle ondulazioni di monti, e vallate disseminate di villaggi, di
-prati e di boschi, coi più graziosi contrasti di luce e d’ombra, da
-innamorare un pittore.
-
-L’intrepido passeggiero, dove il voglia, potrà nel suo soggiorno sul
-Generoso pigliarsi un bel dì lo spasso di scendere dalla sua vetta alla
-Vall’Intelvi, prendendo il sentiero che mena ad Orimento, indi a San
-Fedele o a Castiglione in due ore e mezza; da dove potrà andare per
-San Fedele e Luino ad Osteno, che si specchia nelle onde del Ceresio,
-oppure per Dizzasco ad Argegno, che si specchia in quelle del Lario.
-
-Ma noi dobbiamo rifare la nostra strada, riedere all’albergo del dottor
-Pasta, dove le cavalcature ci attendono per ridiscendere a Mendrisio.
-
-
-VII.
-
-E poichè siam di nuovo all’_Albergo di Mendrisio_ del signor Bernardino
-Pasta, ch’era una vera necessità per questa grossa borgata (la quale
-vi rammenta la _Gismonda_ di Silvio Pellico), le lautezze che offre e
-le comodità che lo fanno raccomandatissimo ai _touristes_, v’invogliano
-certo a fermarvi una o più giornate.
-
-Nè vi troverete pentiti, da che le vicinanze hanno non dubbie
-attrattive per chi a viaggi od anco alle escursioni di piacere non pone
-scopo il materiale diletto soltanto, ma la ricreazione dello spirito
-eziandio.
-
-A coloro che di quest’ultima sono poco curanti e preferiscono il primo,
-additerò le rinomate cantine di Mendrisio stesso, e avanti tutte quella
-che si denomina il Crotto del monte Generoso, e il buon vino parrà loro
-migliore per la vaghezza del luogo.
-
-Agli altri indicherò visitare dapprima l’Ospizio di Mendrisio
-stesso, aperto agli infermi del Canton Ticino, giusta il volere
-del suo fondatore, il conte Alfonso Turconi. Quivi ammireranno
-un pregevolissimo bassorilievo in istucco dello scultore Pietro
-Bernasconi, e una statua rappresentante il Turconi medesimo, alla lode
-della quale basta pronunziare il nome del suo autore: Vincenzo Vela. —
-_Tanto nomini nullum par elogium!_
-
-E poichè v’ho proferito il suo nome, come non visitarne l’elegante
-edificio, o villa, in Ligornetto, che sta a mezz’ora da Mendrisio
-e sorge in piccola eminenza tutto recinto da giardini, e dove
-quell’egregio si ritrasse troppo presto ad onorato riposo? La cupola
-che si eleva nel mezzo piove la luce sull’ampio locale, dove l’illustre
-artefice raccolse i modelli delle opere principali sue, che il resero
-così illustre, da divider egli meritamente col toscano Dupré lo scettro
-della italiana scultura.
-
-Poi potrete visitare le cave de’ marmi di Arzo, che sono di un
-rosso variegato, e le acque solforose di Stabio efficacissime e che
-solo han d’uopo d’avere decenti stabilimenti che le ministrino, per
-conseguire fama ed affluenza maggiori; e finalmente la storica chiesa
-di San Pietro presso Castello, che dista pure non più di mezz’ora da
-Mendrisio.
-
-La rinomanza della chiesuola non è soltanto per la bella vista che
-vi si gode di parecchie terre svizzere e lombarde, ma altresì per
-un’orrenda strage avvenutavi in que’ miserevoli tempi che ardevano le
-ire fratricide de’ Guelfi e de’ Ghibellini.
-
-Gli è un soggetto da romanzo, e però chiuderò la passeggiata nostra,
-col toglierla di netto dal Lavizzari e ripetervela adesso.
-
-
-VIII.
-
-L’avo dell’illustre letterato Virunio Pontico della famiglia dei
-Busioni di Mendrisio, era Pietro, uomo d’alto affare; e Margherita
-sua moglie era ornamento delle donne de’ suoi tempi. La loro figlia
-Lavinia colla rara sua bellezza destava tale ammirazione, che vedevasi
-costretta ad evitare il pubblico sguardo. Invaghitosi perdutamente
-di costei il ghibellino Vizzardo Rusca, dimandolla sposa, rinunciando
-alla dote, e offrendosi non solo alla pace, ma ad imbrandire le armi
-contro i nemici della famiglia di lei. La supplichevole inchiesta
-fu negata dai genitori; ma Vizzardo, non perdendo la speranza, e
-vagando di nottetempo al modo degli innamorati intorno alla dimora
-della fanciulla, udì una sera da una stanza terrena i genitori di
-Lavinia dire che avrebbero piuttosto strozzata colle mani loro la
-figlia, anzichè concederla sposa a Vizzardo. Questi, fremendo d’amore
-e di sdegno, diessi ad ordire il feroce disegno di esterminare tutta
-la nemica famiglia. Egli uccise nove figli di Pietro; ma non potè
-raggiungere Lavinia, che il padre aveva nascosta entro un sotterraneo,
-ove rimase finchè Vizzardo fu ucciso. Il costui cadavere fu trascinato
-sulla sepoltura dei nove innocenti e quivi lasciato in pasto alle
-fiere. Frattanto moriva il padre, il quale fu sepolto in marmoreo
-avello nella chiesa di San Sisinio alla Torre, sovra un poggio presso
-Mendrisio.
-
-I Ghibellini andavano tessendo insidie a Giorgio, avvenente fanciullo,
-decimoquinto figlio di Pietro, e che fu poi padre di Virunio
-Pontico[7]; volevano farlo divorare dai mastini, che a tal uopo
-nutrivano. A Margherita riescì di celare il prediletto Giorgio ne’ suoi
-poderi di Besazio presso il monte San Giorgio. Ma nel tornarsene a casa
-l’afflitta e irrequieta donna, di nuovo corse indietro per rivedere
-il figlio, e non avendolo tantosto colà trovato, cadde svenuta, nè si
-riebbe se non quando il rivide. Diede allora al figlio molto denaro
-ed un gomitolo di refe (_marsupium pecuniarum auri et glomum rephi
-tradit_)[8], comandandogli di fuggire tanto lungi che non udisse più
-il nome del suo paese. Giorgio recossi a Napoli; e mentre da parecchi
-anni viveva in molto favore della regina Giovanna, la madre, caduta in
-potere degli spietati nemici, veniva tratta da Mendrisio al castello
-di Capolago, e quivi sul lato sinistro della via crudelmente sospesa
-ad un’arbore. L’infelice Margherita, in procinto di morte, implorava
-contro gli uccisori de’ nove innocenti suoi figli un vendicatore. Udito
-l’orrendo fatto, Antonio, altro suo figlio, maggiore di Giorgio, radunò
-la sua fazione, e nella notte di Natale, entrato nella chiesa di San
-Pietro in Castello, trucidò uomini, donne, fanciulli ed il sacerdote
-all’altare; vi lasciò più di cento cadaveri. Questa inaudita strage
-avvenne nel 1390, quando già da dieci anni Antonio e Giorgio erano
-andati in lontano esilio. Lavinia, innocente causa di sì miserandi
-fatti, ricoveratasi a Belluno, ove il fratello Giorgio era capitano
-del presidio, si consacrò a vita claustrale e fu sepolta nella chiesa
-di San Francesco. Antonio, andando peregrino al Santo Sepolcro per
-espiare, secondo l’uso de’ tempi, i suoi delitti, perì in mare.
-
-
-Compiuta così questa gioconda camminata, rifacciamo ora la strada e
-riconduciamoci, piena l’anima di sì svariate impressioni, a Como; nè
-più deviamo quindinnanzi dal proposito delle nostre escursioni per le
-sole terre dal Lario e per quelle dall’Éupili bagnate.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TERZA.
-
-IL NINO.
-
- Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del Mago. —
- Le ville Castiglioni, Sessa, Pertusati e Cornaggia. — Villa
- Angiolini. — Villa Rattazzi. — U. Rattazzi e Maria Bonaparte
- Wyse. — Villa Pedraglio. — Le ville Trubetzkoi, Ricordi e
- Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La villa
- Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio di Blevio. —
- Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, Vigoni e
- Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — Il Nino.
-
-
-Dovrei dedicare questa escursione, più che alla comune de’ miei
-lettori, a que’ beati gaudenti che si chiaman felici allora che hanno
-potuto snidare alcun luogo, in cui il buon vino, o la specialità di
-qualche intingolo o manicaretto li han solleticati. Essi vi danno una
-fama, una celebrità, che si conserva anche quando la ragione più non ne
-esista affatto.
-
-E i beati gaudenti intraprendono pellegrinaggi appositi per visitare
-queste stazioni epicuree: testimonio questo Nino, a cui traggono non
-soltanto i buongustai della vicina Como, ma e da’ paesi più alquanto
-lontani e perfin da Milano. Una bella giornata di primavera o d’estate,
-una festa, il ferragosto, deve essere consacrata a qualche baldoria
-che già abbia il suo principale obbiettivo nella tavola e più ancora
-nel buon vino? La brigata operaja di Milano o di Como per acclamazione
-elegge subito d’andare al Nino.
-
-Seguiamoli noi pure. Avremo noi di tal guisa occasione, più che di
-deliziarci del buon vino, di rapidamente percorrere le ville che sono
-sulla destra sponda del lago infino alle sette città di Blevio, che
-così designansi per celia quelle frazioni d’un unico villaggio che si
-sparpagliano sul monte, infino a quella punta sporgente, che con quella
-che ha di fronte, e che denominasi del Pizzo, accenna al fine del primo
-bacino del lago, il quale si viene ripartendo in tanti bacini, tutti
-aventi peculiari bellezze, qual più vasto, qual meno.
-
-Pigliam la barca pertanto, e il nostro uomo costeggi pur lentamente
-questa sponda, su cui poggia il Nino; chè pria di giugnervi, avremo a
-parlar di più cose.
-
-E poichè ci siamo, vedete là su in alto del monte il paesello di
-Brunate. A me che amo raccogliere le leggende popolari, come ad un
-geologo balzerebbe il cuore di gioja alla scoperta d’un petrefatto, o
-ad un numismatico il ritrovare una medaglia antica, non è possibile
-passar oltre senza narrarvi che lassù raccontino le comari, come la
-figliuola di un possente re d’Inghilterra, a cui fanno il nome di
-Guglielmina, avesse un bel dì (l’epoca però non sanno e tutt’al più
-se ne sbarazzano colla frase d’uso: _ne’ tempi antichi_) a fuggire
-dalla reggia di suo padre, e per farvi vita santa ricoverasse a
-Brunate e vi morisse poscia in odore di santità. E la pia leggenda ha
-sì fonde le radici, che le madri alle quali il latte faccia difetto,
-la invocano protettrice. Quale poi sia la relazione che corra fra la
-santa giovinetta ed il latte, nè esse lo sanno dire, nè m’accingo a
-indovinarlo.
-
-Alla falda del monte v’è la Grotta del Mago che potrebbesi visitare,
-costituita di banchi calcarei che s’incavernano; ma siccome non mi fu
-detto perchè mai così con nome di mistero nominata, voghiamo avanti.
-
-Qui appena usciti dalla cinta del nuovo porto — il quale, se risponde
-forse meglio al bisogno cittadino e varrà fors’anco a infrenare certe
-piene che in passato troppo spesso han nuociuto alla parte di Como
-che si curva intorno al lago, certo poi le ha rapito anche parte della
-vista del lago stesso, e il discapito mi par grande —, passato il borgo
-di Sant’Agostino, incominciano le ville.
-
-E prima la Castiglioni, indi la Sessa, poi la Pertusati; e questa
-che s’avanza sul promontorio detto di Geno è la villa dei Marchesi
-Cornaggia, dove un giorno era un convento di Umiliati, che durò dal
-1225 al 1516, tramutatosi poi in lazzaretto pei colpiti dalla peste,
-onde fu travagliata non solo Como, ma Lombardia tutta sul finir del
-secolo XVI.
-
-Svolta la punta di Geno, si nicchia, come in un angolo che fa il monte,
-la villa Angiolini; ma più in vista vi tien dietro quella che assume
-il nome da quell’eminente uomo di Stato che è il commendatore Urbano
-Rattazzi, a cui ingiustamente tiene Lombardia il broncio per averle
-estese sollecitamente quelle leggi amministrative che aveva il Piemonte
-e che le sarebbero pervenute egualmente più tardi, se non dovevano
-essere un’irrisione il patto dello Statuto patrio che vuol la legge
-eguale per tutti e l’unità nazionale; senza aggiungere che taluno de’
-lombardi deputati d’allora avesse fatto nel Parlamento suonare alta
-la voce che, fossero state anche ottime le leggi austriache che si
-avevano prima, per ciò solo si dovessero mutare. Il più liberale di
-quanti ministri ebbero Piemonte ed Italia, è sventura che scribivendoli
-piovutici in Milano, e impossessatisi de’ nostri giornali, abbiano
-potuto sostituirne l’opinione e, facendo la storia a loro talento,
-avessero a presentare questo illustre personaggio, dal cuore pari allo
-ingegno eccellente, poco men d’un nemico del paese. Il tempo che non è
-così grullo e che non giura nelle parole di questi sicofanti, farà la
-giustizia.
-
-È in questa leggiadra casina che Maria Bonaparte Wyse, bella e colta
-consorte sua, e fra le più riputate scrittrici francesi, dettò le
-più lodate pagine della sua _Louise de Kelner_, in cui tanta parte è
-trasfusa delle amarezze, onde l’anima sua generosa venne dagli stolti
-abbeverata.
-
-Se recinto da maggiori simpatie, alle quali avrebbe avuto diritto
-Urbano Rattazzi, nella quiete di codesta sua villa, dopo le lotte
-parlamentari e le cure di Stato, vi sarebbe più frequente venuto a
-ritemprare lo spirito e rinnovare le forze.
-
-Tien dietro, a poca distanza, la villa Pedraglio, e poi ci si affaccia
-il sospirato Nino.
-
-Diamovi gli ordini pel pranzo, indi proseguiamo a costeggiare questa
-sponda.
-
-Il principe Trubetzkoi, colle mine si preparò lo spazio entro la dura
-roccia del monte per rizzarvi un casino di stile nordico, onde colla
-più sciagurata freddura fu chiamato del principe _Turbascogli_; non è
-forse la postura più allegra ad una villa; l’arido sasso che incumbe
-non vi concede quella gajezza di pensiero, che tutta invece vi ispira
-la villa Mylius, che, se al vero non mi appongo, è tra le meglio intese
-del lago. Casa e giardino vi sono egregiamente distribuiti.
-
-Le ville Ricordi e Artaria hanno del pari i loro pregi: presso a
-queste era la villa Carena, ma un bel dì del novembre 1868 inabissò
-nelle ore meridiane, volendo fortuna che nessuno degli uomini che vi
-lavoravano perisse, perchè appena usciti. Fosse lezione ai molti che
-troppo spesso, ad ampliamento di loro possessi, invadono ciò che spetta
-al lago, il quale non attende a’ loro comodi, ma viene il dì che si
-ripiglia i suoi diritti!
-
-Eccoci a Blevio.
-
-È paese alpestre che non mette conto di ascendere, da che le belle
-ville che adornan la sponda ci seducano meglio; a meno che non
-vogliate visitar quella che più su è dei signori Bocarmé e che dicono
-meritevole di vedersi, e la villa e vaghissimo giardino già Comton
-ed ora spettante al signor F. L. Lattuada, negoziante di Milano; o
-spingendosi ancora più su, noncuranti delle asprezze del cammino, non
-vi prenda curiosità di cercare il _Pertugio di Blevio_, lunga galleria
-orizzontale alta un braccio al più e occupata dalle acque colatizie
-della montagna. Se di siffatte naturali cose voi siete amanti, non
-lasciate allora di volgere la vostra attenzione all’altro speco, o
-spacco verticale, che da quegli alpigiani vien designato col nome
-di _Buco del Nasone_, opportunamente difeso da macigni onde non vi
-precipitino dentro gli armenti che vi pascolano vicino. Forse nel fondo
-di tale speco si potrebbero rinvenire fossili, se fosse possibile di
-praticarvi indagini.
-
-Presso alla chiesa parrocchiale di Blevio è la villa di quella famosa
-danzatrice che fu Maria Taglioni, la quale, fabbricandola, sperò
-passarvi gli ozî dell’età matura, quivi pascendosi delle floride
-memorie che le avrebbero richiamate le corone d’alloro, i ritratti e
-tante altre opime spoglie de’ suoi teatrali trionfi, che qui depose. Ma
-la fortuna, bizzarra e spesso crudele iddia, volle disporre altrimenti.
-
-Così chi avrebbe detto al principe Schuwaloff, che vi eresse vicino
-una graziosa villa con architettura russa, che di essa, come d’ogni
-altra pompa e commodità mondana, sarebbe stato sì presto schivo, e
-colla religione greca de’ suoi padri, l’avesse ad abbandonare per
-rendersi barnabita in Milano, e poscia in Parigi, ove scrisse _La mia
-conversione e la mia vocazione_, ivi morendo nel 1859?.... Legata egli
-questa sua villa del lago a’ suoi compagni di religione, veniva da
-essi venduta a quel dotto intelletto di donna che fu Cristina Trivulzio
-principessa di Belgiojoso, autrice di lodate opere dettate nell’idioma
-francese, e spentasi soltanto nel passato anno 1871. Ora toccò la villa
-in eredità alla figlia Maria maritata al marchese Trotti.
-
-Tengon dietro le ville Belvedere Vigoni e la Sparks, questa
-d’architettura svizzera; ambe leggiadre, e con peculiari
-caratteristiche che le rendono interessanti allo spettatore.
-
-Un’altra villa succede, che ricorda pure entusiasmi teatrali: La Roda
-è detta e fu di quella grande artista cantante che si nomò Giuditta
-Pasta. Apparteneva prima a madama Ribier, la crestaja che a Milano
-fu ricerca da tutto il mondo elegante e accumulò gran fortuna. Venuta
-poi alle mani della celebre cantante, per la quale Bellini scrisse la
-_Norma_ e la _Sonnambula_, cioè i suoi insuperati capolavori musicali,
-la ampliò d’assai, vi fabbricò, vi dispose giardini ed ombre, e fino
-a certo tempo vi accolse anche ospiti e amici, fra cui sovente quella
-gentile e rinomata poetessa che fu Adele Curti, troppo presto rapita
-alle lettere, e troppo presto e ingiustamente dimenticata, anche da
-chi ipocritamente si scagliò su colui che fu creduto averne con offesa
-d’amore accelerato il fine, su colui che invece non ha cessato ancora
-d’amarla, testimonî questi versi, che di lui si leggono stampati
-sulla strenna edita in Napoli, intitolata _Il Vesuvio_, a scopo di
-beneficenza, e dettati ventiquattro anni dopo quella immatura morte.
-
- Sovente l’ora quando è fatta bruna,
- A te pensando che ogni dì più adoro,
- Io chieggo ai raggi dell’argentea luna,
- Se il tuo bel peplo è della luce loro.
-
- Ed alle stelle che la notte aduna,
- Se son le gemme del tuo serto d’oro,
- E se dal ciel se ne dispicca alcuna,
- Io tremo e quasi per dolcezza moro.
-
- Chè penso allor che tu fedel mantenga
- Quella promessa che mi festi pia,
- E che ti prego dal Signor m’ottenga.
-
- E che la stella fuggitiva sia
- L’anima tua, che dall’empireo venga
- A raccoglier la stanca anima mia.
-
-Giuditta Pasta in questi suoi diletti recessi della Roda trascorse i
-suoi anni provetti, ma afflitti però da domestici lutti. Ella anche vi
-morì. Un suo busto, opera egregia dello scalpello del milanese Antonio
-Tantardini, fu da’ Comensi collocato nel loro casino.
-
-Ma l’ora del pranzo ci richiama al Nino.
-
-La mensa, noi, stando in barca, la vediamo apparecchiata sotto un
-pergolato che dà sul lago; così al diletto dei cibi avrem congiunto
-quello non meno grato della vista.
-
-Risparmio la descrizione del Nino: è un’osteria, un _restaurant_, quel
-che volete chiamarlo, di volgare architettura a cui chi giunge non
-fa attenzione. Vi si sbarca, si pon piede su d’un terrazzo, dove son
-disposte tavole per chi vi mangerà o beverà; v’è buona cucina, v’è
-buona cantina; chi ci viene, lo sa, se ne approfitta; nè parte, come da
-tanti altri luoghi, disilluso.
-
-D’altre specialità, che non sieno brigate, canti, giuochi alla morra,
-suoni di qualche menestrello che capita da Como, non vi saprei dire
-veramente.
-
-Il Nino è il ritrovo della buona classe borghese, per definirlo
-in due parole; come per la _haute volée_ è l’albergo della Regina
-d’Inghilterra, che sta alquanto più in su nella sponda opposta, ed al
-quale riserbo condurre il lettore in una prossima escursione.
-
- [Illustrazione: Villa Raimondi.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE QUARTA.
-
-L’OLMO.
-
- San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa
- Barbò. — Il Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. —
- Villa Saporiti, già Villani. — Bonaparte e i deputati di Como.
- — Palazzo Resta. — Ville Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio,
- Belgiojoso, D’Adda e Pisa. — Villa Mondolfo. — L’Olmo del
- marchese Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio il Giovane.
-
-
-La meta di questa escursione è pel contrario un cotal po’
-aristocratica. Non prometto ai lettori di condurli alla scoperta d’un
-_Crotto_, o di qualche elegante albergo: la nostra passeggiata non va
-che di pochi passi fuor del sobborgo Vico, che si distende sulla destra
-sponda del lago, il qual può dirsi in questo suo primo bacino una serie
-non interrotta di ville, che si riflettono con femminile civetteria
-nelle onde.
-
-Ci basti all’uopo noleggiare un burchiello, e così, toccando appena
-dei remi, farlo avanzare lentamente. Nè vi darò l’incomodo di scendere
-ad ogni tratto, chè mi sento d’informarvi d’ogni cosa interessante
-rimanendo in barca seduti.
-
-Quel filare di piante è il pubblico passeggio della città; più dietro
-e per la via che vi fu praticata forse trent’anni fa, si ascende a
-S. Fermo dove ne’ primi di giugno 1859 audacemente i volontarî di
-Garibaldi attaccarono gli austriaci di Urban e li ruppero con prodigi
-infiniti di valore.
-
-Dopo la chiesa di S. Giorgio, che precede al pubblico passeggio,
-incomincia il Borgo Vico e con esso la villa dei marchesi Barbò da
-Soresina, dove un giorno sorse la celebre villa denominata il Museo del
-già ricordato Paolo Giovio, vescovo di Nocera, che, a’ suoi giorni,
-aveva il poco invidiabile coraggio di altamente proclamare aver egli
-a propria disposizione due penne, l’una d’oro per chi ben lo pagava,
-di ferro l’altra per chi ciò non faceva: su per giù del resto il
-mal vezzo di certi giornalisti d’oggidì di mia conoscenza, che senza
-quel coraggio di dirlo, han tuttavia quell’altro di farlo. Or bene
-il Giovio, lo _storicone altissimo_ dell’Aretino, in quella sua villa
-accumulato aveva quante preziosità potè racimolare, sia per doni avuti
-spontaneamente, sia per premi imposti e ricatti. Nella prefazione alle
-sue opere _Ritratti d’uomini illustri_ ne fece una lunga descrizione,
-che, comunque interessante, risparmio al lettore, del quale debbo
-già di troppo esercitar la pazienza col narrargli delle ville che
-sussistono realmente adesso. L’abate Gallio demolì nel 1616 il Museo,
-e la villa che ne sorse sulle rovine si chiamò la Gallia, che ultimò il
-marchese Fossani, ed ha buone pitture del Morazzone e del Bianchi.
-
-Segue la villa Saporiti, che un dì apparteneva ai marchesi Villani
-e figurò allora nel processo intentatosi a Londra contro Carlotta di
-Brunswick, regina d’Inghilterra, del quale dirò parte a parte nella
-ventura escursione, e narra Cesare Cantù che vi alloggiasse nel 1797 il
-generale Bonaparte, prescelta per l’eleganza del suo ammobigliamento,
-e che ai deputati di Como che gli si erano presentati, porgesse franche
-assicurazioni che non sarebbero ni francesi, ni tedeschi, ma italiani.
-Dopo i Villani ebbero la villa i Battaglia.
-
-Sul terreno della Badia di Vico fu eretto il palazzo dei conti Resta;
-più indietro è la villetta elegante dei conti Salazar; ancora lungo
-il lago sorge quella de’ Bellotti; poi quella de’ nobili Mancini,
-dei conti Belgiojoso, dei marchesi Brivio, de’ marchesi D’Adda,
-del banchiere Pisa, e finalmente del conte Sebastiano Mondolfo, che
-coll’orgoglio legittimo consentito dal merito, giusta il concetto
-d’Orazio, _sume superbiam quæsitam meritis_, può come il romano
-Oratore vantarsi incominciare da sè la nobiltà. Colle ingenti somme
-da lui consacrate a scopi di beneficenza, coll’ajutare nazionali
-imprese, egli, triestino, s’è conquistato la cittadinanza milanese e la
-benemerenza nostra.
-
-In questa sua villa, che siede sulle rive ridenti del Lario, trovò
-nell’acquisto un prezioso e grandioso dipinto del pittor Bossi,
-rappresentante l’ingresso del general Pino in Milano da Porta Romana
-alla testa dell’armata italiana reduce dalle campagne napoleoniche del
-nord. Interessantissimo riesce principalmente un tal quadro per tutte
-le foggie di vestir popolare che vi si riscontrano nelle molteplici
-figure che lo popolano, e più ancora per i ritratti dei principali
-personaggi che vi sono rappresentati. Vi si ammirano altresì quattro
-pregevolissimi acquerelli del Migliara, resi ancora più interessanti,
-perchè istoriati da quattro diversi episodî di quel tristissimo tumulto
-che finì coll’eccidio dell’infelice ministro Prina, onde si bruttò la
-storia della mia città.
-
-E così eccoci giunti ora alla meta della nostra odierna escursione:
-all’Olmo.
-
-Possiamo lasciare la barca.
-
-Codesta villeggiatura, veramente principesca, oscura tutte le altre in
-grandiosità e ricchezza. Anche la villa che su questa dell’Olmo o ben
-presso sorgeva, a’ tempi di Plinio, ed era di Caninio Rufo, non era di
-certo inferiore, se non all’odierna grandiosità, certo alla sua amenità
-e vaghezza; e poichè mi son proposto di ricordare storici fatti e
-tradizioni che si collegano a queste ville lariane, mi si permetta che
-io qui trascriva il brano di Plinio il Giovane[9], nel quale l’amico
-Caninio Rufo intrattiene di questa sua villa:
-
- “C. Plinio a Caninio Rufo.
-
-„Che fa Como, tua e mia delizia? Che quell’amenissima tua villetta?
-che quel portico, dove è sempre primavera? Che quell’ombroso boschetto
-di platani? Che quel verde e lucidissimo canale? Che quel sottoposto
-ed util lago? Che quel molle e pur saldo stradon gestatorio? Che quel
-bagno tutto quanto riempito e circondato di sole? Che quel tinello per
-molti e l’altro per pochi? Che le stanze da giorno e quelle da notte?
-Ti godi forse a vicenda or le une or le altre? O, come îl solito, ne
-sei distolto da frequenti corse, a fine di attendere a’ tuoi negozi? Se
-tu ne godi, sei felice e beato; non sei che volgo se ne fai senza.„
-
-Distrutta, non si sa come nè quando, la villetta di Caninio Rufo,
-ora questa più vasta vi sorge, che dicesi dell’Olmo. La fabbricò il
-marchese Innocenzo Odescalchi di Como su’ disegni di quell’illustre
-architetto ticinese che fu Simone Cantoni[10], vi profuse stucchi,
-dorature, specchi e dipinti. V’è in una sala una gran fascia di figure
-scolpite da quell’emulo di Canova che fu Thorwaldsen, e vi sono mille
-altre preziose cose d’arte.
-
-Toccò questa villa in eredità al marchese Giorgio Raimondi, che
-generosissimo vi menò lungo tempo la vita; ma dopo le sventure toccate
-alla insurrezione nostra del 1848, fra le proprietà sequestrate dalla
-stoltezza de’ proconsoli austriaci, questa fu pure dell’Olmo, che, a
-sommo dispregio delle cose nostre e in odio del Raimondi, le dorate
-sale convertirono in caserma, e sallo Iddio di qual modo conciassero
-tutte quelle preziosità.
-
-Sciolti dopo i sequestri, di tanti guasti stomacato forse il marchese
-Raimondi, piacendosi d’altre sue comode e non profanate villeggiature,
-questa più non curò e, se la voce non erra, non ricuserebbe dallo
-spropriarsene.
-
-Qualche regnante o gran ricco che aspiri a trovarsi lungo il Lario una
-delizia — poichè nella amenità di queste terre e di queste acque si
-danno convegni principi e ricchi d’ogni nazione —, vi troverebbe alla
-villeggiatura dell’Olmo il suo conto, e la villeggiatura dell’Olmo
-ritornar potrebbe tuttavia a’ suoi giorni di prosperità e splendore.
-
-
-
-
-ESCURSIONE QUINTA.
-
-IL PERTUGIO DELLA VOLPE.
-
- Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il Sarizzo.
- — Grotte e caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La Zuccotta
- e I Tre Simili. — Il signor G. B. Brambilla. — Villa Caprera
- del signor Loria. — La Tavernola e l’Albergo. — Villa Gonzales.
- — Il capitano De Cristoforis. — La Villa Bignami. — La Villa
- Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il Bisbino. — Il Pertugio
- della Volpe. — Marmi e pietre.
-
-
-Alla campagna, non è sempre a paesi, a mercati, a ville che si ami, a
-ragion di piacevole passeggiata, andare; ma assai spesso ben anco a
-cert’altri luoghi, dove o la natura li rese interessanti, o la loro
-postura concede che si godano panorami od estesi orizzonti. Nè sono
-cotali escursioni le meno piacevoli, anzi il più spesso sono quelle che
-divertono meglio. Il lago di Como e il Pian d’Erba, che noi dobbiamo
-percorrere allegramente insieme, ti presentano, amico lettore, molti e
-amenissimi punti di tal fatta, che saran certo anche per te deliziose
-mete a gite, a refezioni allegre, come lo sono per tanti.
-
-D’ordinario infatti vi si va recando il necessario per la colazione:
-è così buono anche il più semplice companatico quando è ammanito
-dall’appetito, reso più acuto dal lungo cammino fatto a piedi o sul
-dosso di qualche mulo o asinello, e dalla fresca brezza che spira
-sempre dalle frondose selvette, onde si vestono le nostre colline, i
-nostri monti. E quelle chiare, dolci e fresche linfe che scaturiscono
-improvvise dai massi, e, formantisi in rivoletti, scendono così
-seducenti di balza in balza, che t’invitano a gustarle o nel palmo
-della mano, o alla foggia dei biblici soldati di Gedeone, o nella
-barchettina di cuojo.
-
-Qui lungo il lago di Como avviene che nelle corse montane che si
-fanno si trovino altre curiosità, che, anche senza essere geologi e
-naturalisti, richiamano l’attenzione; quali, a mo’ d’esempio, enormi
-massi o trovanti di granito, staccati dal monte e per nulla aventi
-a fare colla natura della roccia di esso. Celebre è quello, a cagion
-d’esempio, che scorgesi a sinistra del lago sull’alpe di S. Primo e che
-molti traggono a vedere, e quelli che vedremo sul monte che sovrasta
-a Blevio. La presenza di tali trovanti ci attesta de’ cataclismi
-avvenuti, come i fossili e le conchiglie, che su per le vette di queste
-Prealpi si trovano, ne lascian credere che veramente un giorno fosse
-questa nostra Lombardia tutta quanta un mare.
-
-Ma di secoli da quel tempo devono essere trascorsi a centinaja.
-
-Diffatti massi erratici si sfruttano dall’industria per fabbriche, e in
-commercio si conoscono sotto il nome di sarizzo; tanto l’uomo sa trar
-profitto di tutto!
-
-Richiamano altresì l’attenzione e de’ geologi e dei profani certe
-grotte e pozzi e caverne che si trovano, come il Pertugio detto della
-volpe, al quale è diretta la nostra peregrinazione odierna; il Buco di
-Blevio e quello appellato del Nasone che gli stanno rimpetto; quello
-dell’Orso su Torrigia, a cui pure ne ho destinata un’altra; e la Grotta
-della Masera sopra Careno e Premenù sopra Pognana, e il Buco della
-Nicolina e quello di Vallombria sovra il piano del Tivano, dove pure
-condurrò più avanti il lettore, e la Tana Selvatica sopra Grandola in
-Val Menaggio e Biancamonda sopra Villeso, per non dir di tutte.
-
-E siccome mi piace serbare un po’ d’ordine in queste nostre escursioni,
-e far in modo che nulla sfugga alla nostra osservazione (s’intende
-nulla del meglio), così, rammentandomi che siam rimasti alla villa del
-marchese Raimondi, denominata l’Olmo, passiamo in rassegna le graziose
-e ricche ville che si vengono succedendo: ci parrà più corta la via,
-per giungere al Pertugio.
-
-Se vi pare di variare, qui potete farne senza della barca; perocchè
-è una buona via abbastanza larga per trascorrervi la carrozza e farvi
-pure lo scambio con quell’altra che le venisse incontro per ricondurvi
-al sentiero che si sale alla montagna. Io per altro ho promesso di
-accennarvi a tutte queste leggiadre casine che si specchiano come vaghe
-odalische nel lago, e tiro dritto in barca.
-
-La prima che s’incontra è il Grumello, villa ora del genovese banchiere
-Celesia, ma che prima fu dei Gallio e poi de’ Giovi. Ha vicino la sua
-darsena, come, quale in un modo, quale in un altro, l’hanno tutte;
-perocchè aver la villa lungo il lago e non possedere la sua lancia, o
-la gondola, o il canotto, o il piccino ed agile sandolino che sfiora
-appena l’acqua, è quanto non averla. La più parte delle passeggiate è
-sul lago, e sovr’esso si trascorre sempre al mattino, meno al meriggio,
-indispensabilmente prima o dopo il desinare. Con taluna di queste
-snelle imbarcazioni si va al mercato di Como, si passa alla posta del
-paese a dare e ritirar le lettere, si rasenta la sponda o si traversa
-per le visite, si va incontro a’ piroscafi per vedervi i passeggieri, o
-per la sola voluttà di farsi cullare dalle grosse onde che nel moversi
-ne fan le ruote; si fanno infine le escursioni di piacere; insomma
-si san sempre trovare le occasioni d’essere in barca; così che possa
-dirsi, senza dare nell’iperbole, che gran parte della giornata la si
-passi sovra il lago.
-
-Eccovi questa villa che è al di là della strada: è la Zuccotta e
-appartiene al signor Giovan Battista Brambilla, banchiere di Milano.
-Innanzi ad essa sarei tratto a farvi un po’ di maldicenza, non a danno
-del suo ultimo possessore, ma a beneficio del suo antecessore, sempre
-nell’interesse della storia; ma preferisco rimandarvi a quel libretto
-divertentissimo che dettò quello svegliato ingegno di Defendente
-Sacchi, molti e molti anni fa, allorchè la Zuccotta era venuta alle
-mani di quel furbissimo abate che fu il professore Pietro Configliachi.
-Il libretto ha per titolo _I tre Simili_, e ci dice come qualmente
-la villa la Zuccotta, acquistata co’ danari d’una signora, rimanesse
-invece con mirabile artificio proprietà dello abate. L’è tutta una
-rappresentazione di prestidigitazione da disgradare Cagliostro. A’
-tempi in cui usciva questa storia per le stampe, gli Austriaci erano
-qui nell’apogeo della loro dominazione; epperò dovette stamparsi alla
-macchia e passarsi dall’uno all’altro, quasi un numero rivoluzionario
-della _Giovine Italia_.
-
-Questa villa era stata edificata dai signori Volpi; il Configliachi,
-da uomo di sottile ingegno, ne l’aveva di molto abbellita; ma chi la
-ridusse alla vaghezza d’oggidì fu l’odierno proprietario di essa signor
-Brambilla, che elevandola fino al sommo della collina e occupando parte
-del Cereseto, che il Cantù dice _lodato per fichi squisiti_, la fece
-tra le migliori onde il lago si pompeggia. Quivi accolse oggetti di
-pittura e di scultura, e deve essere per lui di non poca soddisfazione
-nel vederli innanzi a sè, ripensare che ognun di essi rappresenta una
-commissione da lui data a questo o a quell’artista, e da lui data in
-tempo, quando cioè può valere altresì a beneficenza. Queste cose sono
-omai così poco e da’ pochi comprese, che rilevarle, per lo scrittore è
-un dovere.
-
-Più avanti il medesimo signor Brambilla, traendo partito da qualche
-spazio concessogli dal capriccioso lago, fabbricò un bellissimo
-palazzino, che, in omaggio al Titano d’Italia, intolò Caprera, e non è
-a dirsi come lo fornisse d’elegante suppellettile. L’una sola di queste
-ville oh come appagherebbe le aspirazioni di molti! Ora essa divenne
-proprietà del ricchissimo signor Loria, che la grande fortuna ammassata
-ne’ commerci in Egitto sfrutta degnamente fra noi. Il suo palazzo di
-Milano è tra le migliori e suntuose opere architettoniche del nostro
-tempo.
-
-Dalla Caprera alla Tavernola, già degli Stagnoli, ora di proprietario
-tedesco, non corrono che pochi passi. Quivi è facile trovare chi vi
-affitti, se bramate gustarvi gli ozî lacuali, molto più poi che ora vi
-si è stabilito un albergo. Il luogo è bello, comoda la casa, proprie
-le suppellettili, splendide le vicinanze. Non sarà certo inopportuna
-questa mia designazione. Essa venne architettata da quel valoroso che è
-il Tatti.
-
-La villa Gonzales vi succede. Sorge a testimonio di quanto possa
-l’ingegno anche sopra la nascita e l’educazione di convenzione.
-Il Gonzales, datosi agli appalti e fattosi più volte milionario,
-qui si aveva preparato deliziosissimi ozî e riposi dalle annuali
-fatiche. Spiegò il gusto de’ gran signori dalla natività: le sue
-allogazioni artistiche non sono state mai a casaccio, ma presiedute
-dalla intelligenza. Il Fasanotti, principe de’ nostri paesisti, della
-villa del Gonzales fece uno de’ soliti suoi capolavori. Fu l’onore
-allora della pubblica mostra di belle arti di Brera; ora lo è della
-superba casa del signor Gonzales. Fra gli altri molti oggetti d’arte
-che vi accolse, evvi il bellissimo Ismaele dello Strazza e un bel
-quadro di Sebastiano De Albertis, raffigurante la morte del capitano
-De Cristoforis, avvenuta nella fazione di S. Fermo già ricordata. Ma,
-tanta delizia, contro la comune aspettazione, ora da lui fu ceduta a
-ricco straniero; tanto è vero che l’uomo propone e Iddio dispone.
-
-Poi la villa Bignami, eseguita dietro disegno dell’architetto
-Clerichetti, e basta per dirla di buona architettura; e quindi la Cima,
-che deve la sua esistenza al generale Pino, di cui dissi già addietro
-e avrò a dire nella prossima escursione ancora. Fu in questa villa che
-quel famoso vi moriva nell’anno 1826.
-
-Dietro di queste ultime ville, al di là della strada carrozzabile, che
-ho già sopra ricordata, presso il torrente della Breggia, che passando
-nella Vall’Intelvi, viene presto a buttarsi nel lago, una graziosa
-villetta, che per me ha grandissimo valore, attrae il vostro sguardo.
-Tersicore vorrebbe esser detta, perocchè essa appartenga al suo più
-celebre sacerdote vivente, a Carlo Blasis vuo’ dire, che congiuntamente
-a quella somma artista che fu Annunziata Ramaccini, che gli è
-compagna, portò la R. scuola di perfezionamento di ballo di Milano a
-quell’altezza e fama che ognun sa. Nel Blasis l’insegnamento egregio
-non fu l’effetto soltanto delle tecniche nozioni apprese alla sua
-volta in giovinezza, ma il frutto altresì di quella coltura onde erudì
-lo spirito, e delle dottrine estetiche nelle quali è maestro e per le
-quali potè donare alle lettere e all’arte sua un preziosissimo _Manuale
-della danza_, un filosofico volume _Sull’uomo fisico intellettuale e
-morale_, e infinità d’altri lavori di scienza e di erudizione, che
-il resero l’indispensabile collaboratore di non so quanti giornali
-artistici italiani ed esteri.
-
-Mi conceda il lettore che io dedichi all’amico la versione d’un
-enfatico carme latino che il direttore del _Propagateur du Var_, Dario
-De Rossi, pubblicava in onore di lui. È sì raro che periodici francesi
-riconoscano il merito de’ nostri, che chi legge avrà caro che le pagine
-di prosa ora alterni con versi che sì onorevolmente testimoniano d’un
-nostro concittadino.
-
- Non mai, se il dolce di Calliope labbro
- Mi sorridesse, o da Polinnia il dotto
- Artificio non fosse a me negato
- De’ carmi, o pur se d’imitar col canto
- Mi fosse Orfeo da pio destin concesso;
- Non mai, Blasis, potria le tue virtudi
- Degnamente narrar onde risplendi,
- Siccome astro fulgente in sul creato.
- A la palestra le solerti membra
- Ad addestrar tu insegni, e tu la danza
- Guidi ed al piede la cadenza, e il modo,
- E la posa ed il gesto e ogni movenza,
- Memore ancor dell’arte prisca, apprendi.
- Il diviso dall’orbe irto britanno,
- Ammira e plaude; e quei che pria Colombo
- Sotto l’ardente sol scopriva audace
- Dopo acerbe fortune e l’aspra gente
- Delle Esperidi e quei che del Sequano
- Flutto nobil si fa, popol di Francia,
- Inclito in armi e nel civil costume,
- Blasis, dal genio tuo, da tanta altezza
- Di tua mente commossi, al ciel la lode
- Del tuo nome innalzar e della terra
- Itala che ti fu larga nodrice
- E della tua s’onora inclita fama.
- Te la Gloria sublima e il tuo sembiante
- Ritrae nel marmo. — A che ricordo io mai
- Queste povere cose? — Oh! non da meno
- De’ più gagliardi ingegni, osasti primo
- Tu dell’uomo indagar le meraviglie
- Note appena ridir ed ogni moto
- Dell’animo a che valga e i nostri petti,
- L’abito di natura, onde agli offici
- C’informiam della vita ed alle eccelse
- Regioni ci estolle, o in giù trascina
- E ci offusca le menti e il corpo solve;
- Che mai possa la donna e quanto ingegno
- E nelle membra sue vigore accolga;
- Quali rifulgan per sapere e quali
- Alla patria devoti emergan forti
- Nelle battaglie eroi, o la lor vita
- Abbian dell’Arti al sacro culto intesa.
- Quanto fai, quanto scrivi, a te le menti
- Concilia, o Carlo, e raddolcisce i petti
- Ed è fama così che la prestanza
- De’ tuoi modi squisiti abbia lasciati
- Ricordevoli molti; al par di pianta
- Che frondosa al venir di primavera
- S’incorona di fiori e nell’estiva
- Stagion pendon dai rami i dolci pomi.
- Quivi de’ lor melodïosi canti
- Empion l’aure gli augelli e qui per lungo
- Cammino il vïator stanco riposa
- E le forze a la fresca ombra rintegra.
- O dell’Italia onor, de la severa
- Sofia decoro, lungamente vivi
- All’arte e a’ tuoi, felice! e quando avrai
- Grande e incolume i tuoi giorni compiuti,
- Te Clio, te Euterpe e la virtù non morta
- De la tua patria adducano immortale
- Sovra nuvola ardente in grembo al cielo!
-
-Ma qui ne è forza balzar dalla barca e ascendere il monte che nomano il
-Bisbino. Badiam però che la sua sommità sia libera e serena; perocchè
-quando essa si incorona di nubi, gli è indizio che il cielo si turberà,
-che non tarderà guari a piovere a dirotto:
-
- Se il Bisbin mette il cappello,
- Corri a prendere l’ombrello;
-
-così avvertono, a mo’ di sentenza, quelli del luogo.
-
-Sulle sue pendici seggono le grosse terre di Piazza e di Rovenna, dove
-è anche una bella chiesa e dove, non ricordo in qual tempo dell’anno,
-è una sagra a cui corre gran gente, ma più ancora al Santuario sulla
-vetta.
-
-Più in su è il Pertugio della Volpe.
-
-La vista che al di fuori ci si offre è incantevole: valeva la pena di
-venirvi. Ma descrivervi il panorama non mi calza, da che la descrizione
-è esaurita per chi montò sul Generoso. Tuttavia a chi non garba il
-maggior incomodo di salire fin lassù, questa vista del Pertugio della
-Volpe lo paga certo del minor disturbo.
-
-Entriamo adesso. È una grotta che s’addentra assai e assai: i
-banchi calcarei che vi sorgono e la rendono ineguale, vi palliano
-la lunghezza. Fu misurata novecento metri: sarà vero? Io non mi sto
-fra coloro che si mostran troppo increduli, nè mi voglio, San Tomaso
-novello, metter la mano a sindacare. Parmi migliore civiltà arrendermi
-a chi me la spara grossa... e saran dunque novecento metri di
-lunghezza, e voi credetevi, o lettori; e se no, pigliatevi il gomitolo
-del villano di Barnabò Visconti e misuratela a vostro talento.
-
-Vuolsi ricca questa grotta — alla quale per avventura qualche volpe
-snidata ha dato il nome — di alabastri venati; ma già questi monti
-che fiancheggiano il vaghissimo Lario sono sì larghi depositari di
-marmi e pietre che interessano il naturalista e lo speculatore, che
-se n’avrebbero a scrivere volumi. Intanto godono gran rinomanza il
-marmo bianco di Olgiasca che prolungasi sulla riva opposta del lago,
-ove presso Musso già esistevane una cava; quello nero di Varenna; la
-pietra di Moltrasio che riducesi anche a lamine sottili per grondaie di
-tetti e pavimenti; le lumachelle della Tremezzina e il sarizzo che ho
-testè accennato, e il marmo bindellino che è nel letto del Varrone, e
-moltissimi sassi calcari che alimentano attivissime fornaci.
-
-E qui basti e discendiamo, perchè l’ora si fa tarda.
-
- [Illustrazione: Villa d’Este.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE SESTA.
-
-LA VILLA D’ESTE.
-
- Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa
- Lejnati. — Villa Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. —
- La villa d’Este. — Giorgio IV d’Inghilterra. — La principessa
- di Galles. — Suo processo. — Sua morte. — Sue opere alla villa
- d’Este. — L’Albergo della Regina d’Inghilterra. — L’acqua della
- Coletta.
-
-
-I.
-
-Un giorno m’accadde di dire che un libro ben curioso sarebbe quello che
-s’avesse a fare _Dei misteri del lago di Como_. Già il lettore che mi
-ha seguíto ne ha per avventura intraveduto taluno; ma siccome questo
-volume è destinato a tutt’altro fine, non mi farò a rivelarli adesso,
-limitandomi però a riassumere quelli che sono già caduti nel dominio
-della storia, e che per conseguenza non ponno più esser misteri.
-
-D’altronde, so che il titolo di _Misteri del lago di Como_ piacque
-ad altro scrittore e li ha dettati; non li ho letti, — come si può
-giungere a tutto? — ma suppongo che saranno indubbiamente una storia
-immaginosa, sul tenore delle altre congeneri, — e allora non era quella
-la mia intenzione[11].
-
-Io voleva con quel pensiero alludere alle cento misteriose scene cui
-furono teatro le varie ville che si stendono dall’una e dall’altra
-sponda del lago; scene d’amore, scene di crimini, di romanzo e di
-assisie, burlevoli e più che serie, che a raccorle ed ammannirle vi
-vorrebbe la penna di Sue o di Dumas, di Ponson du Terrail — poichè v’ha
-anche il terribile — o di Gaborieau, i romanzieri alla moda in Francia.
-
-Ora in questa mia escursione non chiamerò il lettore ad assistere a
-scene misteriose, ma ad uno storico avvenimento; quantunque il processo
-cui fece luogo fu ben lungi dallo squarciare interamente il velo di
-tutto quanto si compì fra le pareti della villa d’Este.
-
-
-II.
-
-E prima di tutto non lasciamoci passare queste altre che ci conducono
-alla nostra meta; esse hanno tutto l’interesse al nostro sguardo:
-eleganti, graziose ne accivettano a far omaggio anzitutto alla
-bellezza, poi a monsignor Milione.
-
-La prima è rappresentata nella villa Bolognini, dalla più leggiadra
-e graziosa creatura, cui stia a maraviglia sulla bellissima testa
-la corona ducale; la madre sua, divenuta principessa, ebbe la dedica
-d’un magnifico romanzo di Balzac, in cui le è dato tributo altresì di
-spirito, e quel messere in fatto di spirito poteva ben essere giudice
-competente.
-
-Ma qui ci troviamo in Cernobbio: una parola del paese.
-
-Il nome di esso lo si fa derivare da _cœnobium_, cenobio, da un
-monastero che v’era di cluniacensi, e credo che sia una delle migliori
-e incontrovertibili etimologie. Ai cluniacensi succedettero le monache;
-ma sembra che l’aria del lago e queste naturali maraviglie delle sue
-rive rendano infiammabili gli animi, ardenti i cuori, e che le povere
-recluse fossero facilmente spinte a voluttà e gusti poco ascetici, se
-non soltanto qui, ma anche altrove, come vedremo, l’autorità regia, o
-l’ecclesiastica, se ne dovette ingerire e mandarle a menare quella vita
-altrove. Le monachelle di Cernobbio furono cacciate dal loro ridente
-soggiorno da quel nemico di cocolle e di veli che fu Giuseppe II.
-
-La cronaca ha serbato memoria d’un solo avvenimento di questa borgata,
-che pare dovesse essere un tempo più popolosa e forte. Narrasi che nel
-1433 alcuni uomini di Cernobbio fossero stati tratti per debiti nelle
-carceri di Bellagio; che ad altri loro conterranei fosse entrato il
-ruzzolo di liberarneli, e là recatisi di cheto, ne li avessero cavati
-a forza. Era duca di Milano allora quel prepotente di Filippo Maria
-Visconti, il marito della sventuratissima Beatrice di Tenda, che,
-avuto sentore appena dell’avvenimento, mandò ad istituire il processo,
-sperando scoprire i colpevoli; ma poichè la sapienza di quegli
-inquisitori non giunse a darli nelle mani, il Visconti fece sommaria
-vendetta, desolando tutta la terra di Cernobbio, ch’era assai più
-industriosa, e consegnando alle forche quanti avevano osato opporgli
-resistenza.
-
-L’industria maggiore de’ suoi abitanti è in oggi la pesca e i nauli,
-guidando essi cioè le imbarcazioni de’ molti che affluiscono a bearsi
-delle delizie del Lario, ed eseguendo i trasporti di pietre, calce e
-derrate.
-
-Ho dato omaggio alla bellezza: ora alla ricchezza.
-
-Questa è rappresentata in Cernobbio dalle due ville dei banchieri
-Lejnati e Belinzaghi, che vi raccolsero in esse tutte le opportune
-comodità della vita.
-
-Più oltre un cancello vi annuncia il parco della Villa d’Este.
-
-Il cardinal Gallio, che si pretende nato in Cernobbio, fabbricò questa
-villa che è fra le più grandi e sontuose del lago; tanto così che
-or fan due anni l’imperatrice di tutte le Russie vi trovava comodo
-albergo. Passò di poi in proprietà ai conti Calderari, onde da Garrovo,
-che si chiamava dapprima, si nomò poscia da essi, infino al dì che
-Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, principessa di Galles, venuta
-in Italia nell’anno 1816, eleggendola a propria stanza, vi impose il
-nome di Villa d’Este, che le rimane ancora.
-
-Il general Pino, che sposava una donna dei Calderari, riceveva con essa
-anche la villa; e un bel dì che l’affettuosa sposa attendeva in quegli
-ozj il marito, fece, sulle alture onde si chiude il recinto della villa
-e che per felice combinazione rassomigliavano in minori proporzioni a
-quelle su cui a Tarragona di Spagna si distendevano i fortilizî che il
-marito aveva coll’armi italiane espugnati, rizzare tanti fortini che
-imitassero in piccolo que’ maggiori, così preparando al marito la più
-grata sorpresa. E poichè meglio si ravvivassero in lui quelle grate
-e gloriose memorie, disponeva che gli alunni del collegio militare di
-Milano, istituito a San Luca dal generale Teulié, vi venissero a far
-loro armeggiamenti, attacchi e fuochi con mirabilissimo effetto.
-
-Ma la Villa d’Este fu teatro a scene più importanti di questa, per
-lo scandalo che ne fu fatto per Europa tutta, e che rivelò il famoso
-processo che si compì in Londra nel 1820; e siccome da tutti si chiede
-come, perchè e quando venne dato alla villa il nome che essa ha, come e
-perchè il nome di Regina d’Inghilterra fu imposto al bellissimo albergo
-che nel giardino venne edificato dal barone Ciani, che tutta la villa
-acquistò e vi fabbricò per entro casini, dominato, com’era solito a dir
-egli, dal mal della pietra; così mette conto che io narri questa storia
-scandalosa e più scandaloso processo, compendiandola da’ _Processi
-Celebri_ che la resero ne’ suoi particolari.
-
-
-III.
-
-La vita di disordine e di dissipazione, cui, dopo d’essere uscito
-nel 1781 dalla minorità, s’era interamente abbandonato quel Giorgio
-Augusto Federico, principe di Galles, erede presuntivo della corona
-d’Inghilterra e che fu poi Giorgio IV, rimase così notoria, che di poco
-aggiunse a popolarizzarla il bel romanzo di Gozlan.
-
-I suoi banchetti ricordavano le cene dell’impero di Roma: Fox,
-Sheridan, Brummel, Erskine, Grey e Russel ne erano i compiacenti
-compagni nelle orgie, negli stravizzi, nelle vergogne, come erano i
-più eleganti che costituivano la _fashion_ inglese. Superbi equipaggi,
-amanti di gran prezzo, dispendî pazzi in giardini e palazzi, e
-perfino giunterie di giuoco si alternavano co’ stravizzi nelle più
-ignobili taverne: non una tradizione in lui di quella moralità e
-austerità, nella quale era stato nella fanciullezza cresciuto in corte.
-Carlton-House fu il teatro di tanto scialacquo e dissolutezza.
-
-Non bastavano a sì grandi follie nè la rendita fattagli di
-cinquantamila lire sterline, nè i redditi del ducato di Lancaster. A
-capo di tre anni di sua maggiorità egli aveva già inoltre creato a sè
-un debito di mezzo milione di sterline, vale a dire dodici milioni e
-cinquecentomila franchi. Insorsero i creditori, il re Giorgio III si
-ricusava di pagare, lo scandalo crebbe, e la Camera dei Comuni, dopo
-un dibáttito scandaloso, finì col votare una somma di 161,000 sterline
-(4,025,000 fr.) per pagarne i debiti.
-
-Incappato dipoi nelle reti di una signora Fitz-Hubert, cattolica
-irlandese, costei giunse a farsi segretamente sposare, sebbene un tal
-matrimonio fosse colpito di nullità, contrario essendo alle leggi
-del regno, queste non permettendo a’ principi della famiglia reale
-di contrarlo prima de’ venticinque anni; oltre che il matrimonio del
-principe ereditario con una cattolica lo escludeva dalla successione al
-trono.
-
-Aumentati inoltre i suoi debiti, dai quali punto non aveva ristato,
-fino alla ingente somma di 642,890 sterline, a meglio cioè di sedici
-milioni di franchi, parve al governo non esservi altro riparo che un
-matrimonio legale.
-
-A vincere gli aperti rifiuti opposti dal principe, fu adoperato James
-Harvis, più tardi conte di Malmesbury, esperto negoziatore durante
-le guerre della repubblica e dell’impero francese, le cui _Memorie_,
-lasciate dopo morte, forniscono i più curiosi particolari circa il modo
-da lui usato per condurlo ad accogliere l’offertogli partito.
-
-I creditori, all’uopo sollecitati e divenuti a lui insopportabili,
-determinarono finalmente l’adesione del principe al matrimonio, ch’egli
-chiamava il proprio suicidio.
-
-Gli venne fidanzata Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, figlia di
-quel duca di Brunswick che nel 1792 forzò audacemente le frontiere di
-Francia.
-
-Mirabeau aveva attestato di lei esser amabilissima, spiritosa, bella e
-assai vivace; ma il signor di Malmesbury nel 1794, quando fu conchiuso
-il matrimonio (2 dicembre), la trovò, oltre che già di più di ventisei
-anni, se abbastanza bella e con due stelle di occhi, anche un cotal po’
-triviale, con denti mezzo guasti e spalle impertinenti.
-
-La cronaca del paese mormorava di lei, come di donna leggiera, avida
-di piaceri, e la faceva eroina d’una romanzesca fuga con un giovine
-uffiziale della corte del padre.
-
-Ne completeranno il breve schizzo che ne ho fatto queste bizzarre
-particolarità che si leggono nel giornale dello stesso conte di
-Malmesbury.
-
-“— Il principe, madama, — le disse questo abile negoziatore un giorno —
-è assai delicato per ciò che riguarda la nettezza. — Il giorno dopo la
-principessa comparve assai bene lavata dalla testa ai piedi.„
-
-“Ho avuto, scrive lo stesso Malmesbury, due colloquî colla principessa
-Carolina, uno sulla pulizia e sulla decenza, ed un altro sul riserbo
-nel parlare. Ho procurato, per quanto può farlo un uomo, di convincerla
-della necessità di porre molta attenzione in tutte le parti del suo
-abbigliamento, sia in quello che si vedeva, sia in quello che rimaneva
-ascoso... Sapevo che portava delle sottane grossolane, delle camicie
-ruvide e delle calze di filo, e non fossero neppure ben pulite e
-cambiate abbastanza di frequente!... È singolare come su questo punto
-sia stata trascurata la sua educazione e come sua madre, benchè inglese
-(Augusta, sorella di re Giorgio III), vi abbia fatto poca attenzione.
-L’altro nostro colloquio versò sul modo leggiero con cui parlava della
-duchessa (sua madre), burlandosi sempre di lei e dinanzi a lei... Ella
-capisce tutto ciò, ma lo dimentica...„
-
-Questi erano gli sposi: vediamo i frutti di tal connubio.
-
-
-IV.
-
-Il principe di Galles mandava a Greenwich, a ricevere la sua sposa,
-lady Jersey sua recente amante, ciò che stabiliva fin dai primi
-momenti in costei una acerrima nemica di Carolina, perchè non le aveva
-dissimulato frizzi pungenti che non si perdonano.
-
-Trovo scritto che la prima notte di matrimonio fu degna di questi
-sponsali. Dopo alcune ore, il principe abbandonava il letto nuziale,
-senza dissimulare il suo turbamento, la sua collera e il suo disgusto.
-Che pensare dei misteri di questa notte? Si parlò d’ubbriachezza, di
-trasporti lubrici, di scoperte umilianti.... Checchè ne sia, è certo
-che il principe, ubbriaco come un facchino, passò la maggior parte
-della notte sdraiato, non nel letto nuziale, ma su d’un tappeto.
-
-Dopo tutto, il 7 febbrajo 1796, nove mesi successivi a quella notte,
-Carolina dava alla luce la principessa Carolina Carlotta Augusta di
-Galles.
-
-Ma non fu codesto un anello di ricongiunzione fra i due sposi. Il
-principe di Galles continuò a vivere separato dalla moglie; anzi, dopo
-due lettere scambiatesi fra essi, come a specie di convenzione d’una
-separazione di fatto, la principessa di Galles si ritrasse a Black-Heat
-nel Devonshire, da cui di rado si toglieva per comparire a corte;
-intenta, del resto, alle cure della propria bambina.
-
-Nel 1804 cominciò la maldicenza, incitata da lady Jersey, a esercitarsi
-a di lei danno. Disse di scandalosi amori suoi con lord Eardley, e si
-pretese che William Billy Austin, fanciulletto da lei caritatevolmente
-ricoverato e amato, fosse il frutto di adulteri amori.
-
-La delicata investigazione che si istituì l’assolse completamente, e
-si trovò che il fanciullo era invece dello spedale di Brownlow-Street,
-ed erano suoi genitori Sofia Austin e un falegname di Deptfort,
-conchiudendosi che i di lei accusatori avrebbero meritato di essere
-processati con tutta la severità delle leggi.
-
-Ma ciò non avendo giovato a ritornarle tutta la reverenza dovuta al
-suo grado, molto più che l’investigazione e i suoi risultamenti erano
-stati tenuti segreti, ella ne reclamò al re suo suocero, invocando la
-pubblicità di tutto. _The Book_, che ne fu la raccolta degli atti,
-comparve; ma giunto al potere Perceval, che era stato consigliero
-alla principessa di quella pubblicazione, ne scongiurò lo scandalo e
-soppresse il libro, e diè egualmente soddisfazione a Carolina, operando
-in guisa che Giorgio III e i due fratelli del principe di Galles le
-facessero solenni visite, e che una decisione del consiglio di Stato ne
-confermasse l’innocenza.
-
-Ma gli odî del marito crebbero a dismisura, ed ei le tolse la figlia.
-Ricorse ella, ebbe nuova riconferma d’incolpabilità, ma non riebbe la
-figliuola.
-
-Le fu interdetto allora ricomparire a corte, non potendo il principe,
-divenuto reggente per la demenza del padre, incontrarsi con lei. Ne
-chiese ragione a lui medesimo, ma non n’ebbe risposta tampoco.
-
-La figlia Carlotta veniva destinata dal reggente al principe d’Orange,
-erede presuntivo del trono de’ Paesi Bassi; dovendo mal suo grado
-obbedirvi, in capo lista delle persone che dovevano invitarsi al
-matrimonio la giovinetta scrisse il nome della madre. Giorgio gliela
-ritornò radiandone il nome; ma Carlotta alla sua volta cancellò un
-nome: era quello del futuro sposo, e rinviò al padre la lista. Ella
-andava sposa poco dopo al duca di Sassonia Coburgo.
-
-La principessa di Galles risolse allora di abbandonar l’Inghilterra.
-
-Il Parlamento le fissava l’appannaggio d’annue lire cinquantamila
-sterline; essa non ne accettò che trentacinquemila, e partiva il 9
-aprile 1814, assumendo il nome di contessa di Wolfenbüttel.
-
-Si diresse dapprima al suo paese natio; quindi partì per la Svizzera,
-visitò l’Italia, la Grecia, la Turchia, la Palestina, Tunisi; poi si
-stabiliva a Pesaro, e da ultimo a questa villa Calderari sul lago di
-Como, che ricevette da lei, come già sa il lettore, il nome di Villa
-d’Este.
-
-
-V.
-
-Quale fosse la vita della principessa di Galles all’estero, e
-principalmente su queste rive del lago, non ne è spenta la memoria
-fra noi. V’hanno di molti ancora che rammentano averla veduta, che si
-trovarono ai licenziosi balli cui ella assisteva alla Barona presso
-Milano, che la riconobbero ai veglioni della Scala con travestimenti
-impossibili o toalette sconvenienti; come moltissimi ne levano a cielo
-ancora gli atti infiniti di una inesauribile generosità e carità.
-
-Queste sponde del Lario echeggiano tuttavia degli inni riconoscenti
-alle sue splendide beneficenze. Ella allargò e compì la via che da
-Como metteva alla sua residenza e spese assai denaro in altre opere
-vantaggiose a quel paese.
-
-Se non che l’odio del marito e l’ira de’ nemici da lei lasciati in
-Inghilterra non s’erano tenuti paghi di sua partenza: essi la seguivano
-nelle sue peregrinazioni, nel suo volontario esilio. Neppur si volle
-informarla della morte della figliuola, neppur di quella del suocero
-Giorgio III, avvenuta il 29 gennajo 1820, da lei sapute entrambe
-soltanto a caso.
-
-S’inasprì ancor più la persecuzione contro di lei coll’avvenimento di
-suo marito Giorgio IV al trono. Il suo nome fu tolto dalle preghiere
-della liturgia britannica, e le fu messa, per così dire, a’ fianchi una
-commissione segreta che ne spiasse la vita.
-
-E questa nella sua permanente inchiesta, stabilita fra persone
-influenti in Milano, raccoglieva fatti, circostanze, nomi e
-testimonianze terribili contro di lei.
-
-Carolina, reclamando contro le misure summentovate prese in Inghilterra
-contro di lei, minacciava recarsi a Londra a reclamare i suoi privilegi
-di regina; ve la aizzavano i _whigs_ che avrebbero voluto suscitar con
-ciò gravi imbarazzi al nuovo regno; sconsigliavanla i _tories_ collo
-spauracchio d’uno scandaloso processo. Nulla temendo Carolina, sullo
-scorcio del maggio 1821, arrivò in Francia, deliberata d’incarnare il
-proprio progetto.
-
-Lord Hutchinson le venne incontro, e da parte di lord Liverpool,
-ministro di Giorgio IV, le offriva aumentarle l’appannaggio fino a
-50,000 lire sterline all’anno, purchè restasse fuor d’Inghilterra,
-non assumesse titolo di regina, nè altro spettante alla famiglia reale
-d’Inghilterra.
-
-Ella rispose a questa proferta, imbarcandosi sul pachebotto inglese
-_Principe Leopoldo_ per Londra.
-
-Sbarcata sul suolo inglese, vi fu accolta colle dimostrazioni più
-onorifiche dovute a regina e con entusiasmi che l’accompagnarono fino
-alla capitale, dove passando innanzi alla residenza reale, la folla
-emise all’indirizzo di Giorgio IV formidabili grugniti, modo col quale
-quegli eccentrici isolani esprimono disapprovazione; ma questa marcia
-trionfale veniva arrestata dal ministero in cui sedeva lord Liverpool,
-il quale la sera del sei giugno presentava alla Camera dei Lord un
-messaggio reale, mentre lord Castelreagh faceva altrettanto alla Camera
-dei Comuni, quivi depositando un sacco verde contenente i documenti
-d’accusa contro la regina, che nel messaggio e nelle parole de’
-ministri veniva tuttavia chiamata la principessa di Galles. L’accusa
-era di adulterio.
-
-L’impressione prodotta fu grave, poichè si temesse non fosse per
-riuscire a rinnovare i tempi d’Anna Bolena e Giovanna Grey; ma lord
-Liverpool temperavala, dicendo che il fatto d’un adulterio commesso
-all’estero con uno straniero non costituisse che un’ingiuria in linea
-civile; e voleva con ciò rassicurare i nobili lord che non si sarebbe
-trattato di pena di morte.
-
-Carolina intanto aveva preso alloggio in Brandenburg-House.
-
-Ecco il bill delle pene e delle penalità (_Bill of pains and
-penalties_), che lord Liverpool lesse nel Parlamento:
-
-“Atteso che nell’anno 1814 S. M. Carolina Maria Elisabetta, allora
-principessa di Galles, ed ora regina sposa d’Inghilterra, residente
-allora a Milano, prese al suo servizio il nominato Bartolomeo Bergami
-o Pergami, straniero, di bassa condizione, essendo stato domestico;
-atteso che dopo d’essere il detto Bergami entrato al servizio di
-S. A. R. vi fu tra di loro un’intimità sconveniente e ributtante,
-e che non solo S. A. R. lo innalzò ad un posto eminente nella sua
-casa e lo ammise a rapporti confidenziali colla propria persona,
-ma gli conferì anche gli attestati più straordinarii di favore e di
-distinzione, ottenendo per lui ordini cavallereschi e titoli onorifici,
-conferendogli un preteso ordine di cavalleria, che S. A. R. erasi
-arbitrata di istituire, senza averne nè il diritto, nè la facoltà;
-atteso che la detta A. R., dimenticando sempre più l’elevatezza del
-suo rango ed i suoi doveri verso V. M., non avendo più alcun riguardo
-al suo onore ed al suo carattere, si è condotta col detto Bergami in
-altre occasioni, tanto in pubblico che in privato, con una famigliarità
-indecente ed una singolare libertà nei diversi paesi visitati da S.
-A. R., e che finalmente ha avuto rapporti licenziosi, umilianti ed
-adulteri col detto Bergami, che durarono per lungo lasso di tempo,
-durante il soggiorno di S. A. R. all’estero, con grande scandalo e
-disonore della famiglia reale e di questo regno;
-
-„Volendo, per tali motivi, manifestare la nostra intima convinzione
-che con questa condotta scandalosa, disonorante e viziosa, S. M.
-la regina ha violati i suoi doveri verso V. M. e si è resa indegna
-dell’alto rango di regina sposa di questo regno; volendo attestare un
-giusto rispetto alla dignità della corona ed all’onore della nazione;
-noi umilissimi e fedelissimi sudditi di V. M., lordi spirituali e
-temporali, e così pure i deputati della Camera dei Comuni, raccolti in
-Parlamento, supplichiamo V. M. di ordinare quanto segue:
-
-„Che sia ordinato dalla Eccellentissima Maestà del re, coll’avviso
-e il consenso dei lordi spirituali e temporali e dei deputati della
-Camera dei Comuni, riuniti nel Parlamento al presente convocato, e
-per la loro autorità, che la detta Maestà Carolina Amalia Elisabetta,
-quando sia passato questo atto, abbia ad essere spogliata del titolo di
-regina e di tutti i diritti, privilegi, prerogative ed esenzioni che
-le appartengono come regina sposa di questo regno; che sia dichiarata
-incapace ad esercitare alcuno di questi diritti, a godere alcuna di
-queste prerogative, e di più che il matrimonio fra S. M. il re e la
-detta Carolina Amalia Elisabetta, sia coll’atto presente sciolto per
-sempre, totalmente annullato e reso vano sotto tutti i rapporti ed in
-tutte le conseguenze.„
-
-
-VI.
-
-Il processo fu iniziato e consiglieri della regina furono i signori
-Brougham, che fu poi illustre ministro, Denman, il dottor Lushington,
-John Williams, Tindal e Wildas.
-
-Facciamo grazia a’ lettori delle particolarità della procedura e di
-quanto deposero i testimonî, molti de’ quali chiamati da Milano e
-dalle sponde del Lario circa gli scandali su di esse compiuti dalla
-regina Carolina: sono particolarità indecenti che offenderebbero il
-senso morale loro; ma d’altra parte resta monumento imperituro della
-ingratitudine di molti, tra i quali di un Teodoro Maiocchi e di una
-Dumont cameriera, che furono beneficati da quella donna dissoluta ma ad
-un tempo di generosissimo cuore. Parve si mettessero in sodo gli amori
-suoi con Bergami, aiutati da una sorella di lui, che figurò col nome
-di contessa Oldi, dal fratello creato prefetto di palazzo alla villa
-d’Este e dalla madre che assunse il nome di madama de Livris.
-
-Si parlò del teatro erettosi in questa villa del nostro lago, delle
-rappresentazioni che vi si diedero, in cui la regina era sempre
-l’amante di Bergami, e certi giuochi detti del turco Maometto di
-eccessiva libertà e licenza.
-
-Ciò che per altro fu notato e sorprese, fu il fatto di danari e
-promesse dati e fatte ai testimonî da parte d’uomini indettati col
-governo; onde al popolo inglese e ai difensori della regina rimase
-presa a revocar in dubbio le accuse e proclamarne la innocenza.
-
-“In quanto alla villa d’Este, disse il _Solicitor general_ nella sua
-requisitoria, le deposizioni si accumulano. Là non provengono soltanto
-dai domestici della regina. Dagli operai, dagli artigiani, impiegati
-accidentalmente nella casa o nel giardino, si attestano tali intimità
-che non lasciano il più piccolo dubbio sul commesso adulterio.„
-
-Si seppe tuttavia che de’ molti testimonî chiamati da Cernobbio
-a Londra a deporre in processo, la più parte, memore de’ ricevuti
-beneficî, non le rese ingrata mercede.
-
-In quanto alla generosità, alla carità e alla bontà della principessa,
-messa dai dibattimenti in piena evidenza, il medesimo _Solicitor
-general_ fu costretto dire: “Io sono lontano dal voler contestare
-queste virtù alla regina. Quando rammento di che illustre casa è
-rampollo, non dubito punto che le possieda in tutta l’estensione
-mostrata dalla lettera della testimone (la Dumont). Ma gli è andare
-troppo oltre il dire che la generosità più elevata, la carità più
-estesa, la sensibilità più squisita, non possano cambiarsi nel cuore di
-una donna con un attaccamento ignobile e colpevole.„
-
-La difesa degli avvocati della regina, quella di Brougham
-principalmente, parve splendida; i lordi Erskine, Gray, Rosselyn,
-Harrowby, King e l’Arcivescovo di Thuam vi aggiunsero nelle discussioni
-proprî e vigorosi argomenti in favore.
-
-Si trattava finalmente di venire alla definitiva lettura del bill:
-l’agitazione era immensa, impazientissimo il pubblico di vederne
-il risultamento, perocchè tutto dipendesse da essa. Lo scrutinio fu
-aperto: cent’otto membri avevano votato in favore, novantasette contro.
-Non fu più permesso allora di pensare a mandare alla Camera dei Comuni
-un atto votato con nove voci di maggioranza; e lord Liverpool si vide
-forzato a mettere ai voti il rinvio del bill a sei mesi. Era questa
-la formola consacrata per non parlarsene più e mettere a dormire per
-sempre il processo.
-
-Questa accorta mozione venne votata il nove settembre alla unanimità.
-
-
-VII.
-
-La vittoria fu dunque della regina: essa fu salutata dal popolo con
-frenetica gioia, e le si fecero le più pazze dimostrazioni, con voci di
-morte ai testi Maiocchi e Dumont.
-
-La plebe, portando queste sue gazzarre ovunque, voleva che tutti vi
-pigliassero parte, e, ritrovandoli sul suo cammino, obbligò molti
-aderenti del re ad unirsi ai proprî entusiasmi; ma lord Lauderdale, cui
-fu arrestata dalla plebe la carrozza, costretto da essa a gridare: Viva
-Carolina! se ne trasse con molta disinvoltura e spirito, dicendo: Vi
-auguro a tutti una moglie come la principessa Carolina.
-
-Ma durarono poco i popolari saturnali.
-
-La regina s’era ritirata ancora a Brandenburg-House. Volendo ella nel
-maggio 1821 reclamare di nuovo i diritti di regina sposa, e pretendere
-d’essere pur ella incoronata, l’_Attorney general_ respinse il
-reclamo, che nel di lei interesse era stato presentato dal suo avvocato
-Brougham, sul motivo che nessuna legge accordasse alla regina sposa il
-diritto agli onori dell’incoronazione; e quando nel dì medesimo della
-stessa si presentò a ciascuna delle porte dell’abbazia di Westminster,
-dove veniva celebrata, le si chiese rispettosamente il biglietto
-d’entrata e le fu ricusato l’ingresso. Ella allora, nell’allontanarsi,
-attendevasi una dimostrazione popolare; ma non raccolse che urli e
-fischi sul suo passaggio. Andate a fidarvi dell’aura popolare!
-
-L’umiliazione di Westminster fu per Carolina il colpo mortale. Il 30
-luglio successivo cadeva malata, uscendo dal teatro di Drury-Lane.
-Si vociferò che fosse stata avvelenata in una limonata che vi aveva
-bevuta, quando moriva il 7 agosto; ma la sua morte fu dichiarato
-invece, officialmente, che fosse stata in causa di infiammazione
-intestinale. La malevola insinuazione era la naturale conseguenza degli
-odî che universalmente si conoscevano nutrirsi dal sovrano contro di
-lei.
-
-I suoi beni espresse ella medesima il desiderio che passassero alle
-mani di William Austin, il trovatello, per il quale aveva subíto in
-addietro i primi strali della calunnia, e che la sua salma venisse
-trasportata in patria, essendosi preparato il seguente epitaffio:
-
-“Qui giace Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick, vilipesa regina
-d’Inghilterra.„
-
-Sulle sponde del Lario la sua memoria, ho già detto, è congiunta a
-molte opere di generosità e beneficenza ed alla via che ella aprì da
-Como fino alla sua villa d’Este che aveva eletta a sede de’ suoi poco
-regali amori; e pel filosofo rimane oggetto di meditazione per la
-strana contraddizione ch’ella presentò di grandezza e di bassezza, di
-carità e di corruzione, di virtù e di colpe.
-
-
-VIII.
-
-In questi ultimi anni, nel fianco destro del giardino della Villa
-d’Este, il baron Ciani eresse un magnifico albergo, che dal personaggio
-che que’ luoghi abitò, assunse il nome di _Regina d’Inghilterra_, e
-vi è condotto con tutte quelle commodità onde van lodati gli alberghi
-della Svizzera. Magnifiche piante formano avanti ad esso una specie di
-grato e fresco luogo di passeggio e lettura.
-
-Vi si aggiunse uno stabilimento idroterapico, fornito di doccie a
-soffioni, al quale poteva giovare e l’acqua del torrente Garrovo, che
-dava prima il nome al luogo, e quella leggiermente magnesiaca, che sul
-colle sovrastante ha la sua sorgente e si denomina della _Coletta_; ma
-forse più che a cura di malattia, vi traggono numerosi gli stranieri a
-ricercarvi soggiorno ameno e tranquillo.
-
-La facilità di recarsi a Como, a cui muove più volte al giorno un
-_omnibus_; quella di aversi pure più volte al giorno corrispondenze
-e giornali; la strada Regina, abbastanza valevole a percorrerla
-in carrozza; l’agio di passeggiate montane e di gite sul lago; la
-non ampiezza del bacino, che permette di solcarlo e traversarlo in
-pochi minuti, senza tema di pericoli, rendono quest’albergo assai
-frequentato. Difeso dai venti troppo impetuosi dal promontorio di
-Pizzo che gli sta a fianco, anche a chi meglio si piace di solitudine e
-silenzio è conveniente asilo; ed io più d’una volta vi cercai riposo e
-quiete dalle tumultuose cure dell’avvocare e dai cittadini rumori.
-
-
-
-
-ESCURSIONE SETTIMA.
-
-IL PIZZO.
-
- Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la fabbrica.
- — I conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. —
- Migliorie. — La villa Curié.
-
-
-A Parigi, al _Bois de Boulogne_, che è il convegno delle carrozze più
-ricche, de’ campioni dello _Sport_ e de’ passeggianti e che noi diremmo
-il corso di quella grande capitale, nazionali e stranieri ammirano
-e seguono sempre collo sguardo avido e maravigliati, fra gli altri,
-un equipaggio elegantissimo a cui sono attelate pariglie di superbi
-cavalli, che traggono sempre una gentile signora, che “la dev’essere
-ben ricca„ esclamano sempre quanti l’osservano. Le toalette di essa
-rispondono allo sfarzo dell’equipaggio.
-
-— A chi appartengono equipaggio e toalette? — ognuno domanda e la
-curiosità è ben naturale.
-
-— A madama Elisa Musard — vi si risponde subito da tutte parti, chè a
-Parigi non v’ha persona, io credo, che lo ignori.
-
-Ed ella, madama Musard, la moglie di tale che ottenne una speciale
-celebrità musicale, è la proprietaria pure di questa principesca villa
-che, procedendo dall’albergo della Regina d’Inghilterra, che abbiamo
-appena lasciato, in poco volger di remi vi si presenta sulla punta
-sporgente nel lago e che con quella che le sta di fronte di Torno,
-chiude il primo bacino del lago, il quale abbiamo oramai tutto quanto
-percorso e visitato.
-
-Chi la vide in passato questa magnifica villa, più non la
-riconoscerebbe; tanto la ricca signora la ingentilì, restaurando e
-riducendo a nuovo la casa e le scuderie, e vi profuse cospicue somme
-nell’arricchire il bel giardino a cui natura prestò i più opportuni e
-vaghi accidenti di terreno.
-
-Fabbricata a mezzo circa il secolo decimosesto da Gian Battista
-Speziano da Cremona, senatore, e fatto altresì per tanti meriti
-patrizio di molte città, fra cui di quella di Como, vi apportò tutto
-l’amore ch’egli aveva alla scienza agricola; e compiuta la parte del
-fabbricato, vi avrebbe eziandio raccolto quanto di peregrine produzioni
-gli fosse dato, se non fosse stato da morte arrestato nella esecuzione
-del suo concetto. Passò di poi ai conti Muggiasca, e quel che di questa
-famiglia fu vescovo di Como, e di essa si piacque approfittando della
-pendice del monte a cui la villa s’addossa, vi ingrandì il giardino,
-usando anche delle mine per aprirvi sentieri e vie, onde poterlo tutto
-percorrere agevolmente.
-
-Il conte Giacomo Muggiasca, nipote di lui, poichè fu morto, la villa
-fu acquistata dall’arciduca Ranieri, vicerè del Regno Lombardo-Veneto,
-finchè sopravvenute le fortune politiche e l’italiana indipendenza,
-che ne resero mal proprio alla famiglia sua, che si aveva alienate le
-simpatie del paese, il possedimento, la signora Musard la comperò.
-
-Mai non sarà sembrato a questa signora di dovervi ritrovare tanta
-negligenza di coltivazione e di abitato, pensando riceverla da
-principesca famiglia, e certo vi dovette profondere egregie somme per
-ridurla alla condizione presente. Infatti, per dir del solo giardino,
-non vi trovò che produzioni spontanee delle nostre rive lacuali, e
-tolti i cinquecento cipressi, anche la selva, bella senza dubbio, non
-constava che di pini, di abeti, di lecci, di quercie, di faggi, di
-alberi, di piante insomma tutt’altro che peregrine.
-
-Ora, mercè del signor Villoresi, che vi è preposto a cura, migliorò,
-anche da questo lato d’assai e d’assai la villa. Piante esotiche,
-arbusti rari, fiori ed erbe vaghissime e forestiere vi introdusse
-e coltivò, con quell’amore e dottrina che si può dire tradizionale
-nella sua famiglia. Tuttavia la villa del Pizzo, per essere di quella
-rinomanza e valore a cui ha diritto di aspirare, non ha d’altro
-bisogno che di essere arricchita nel palazzo, già sontuosamente
-addobbato, d’oggetti d’arte insigni, ciò cui del resto la ricchezza
-sfondolata della signora del luogo può facilmente provvedere; ella che
-d’altronde con intelligente generosità s’acquistò già tanti titoli alla
-benemerenza di queste terre circostanti.
-
-Confina colla villa del Pizzo quella modernissima, dell’inglese Curié,
-il quale la nicchiò nella specie di seno che forma la punta che si
-protende nel lago. Con enorme spesa rivestì la nuda roccia e la rese
-tutta quanta verdeggiante per belle e preziose piante, e intorno alla
-ricchissima casa seppe praticarvi un bel giardino ed un elegante parco.
-
-Quivi colla intelligente opera di Gioachimo Curti, che fu padre della
-poetessa Adele, già per me ricordata in una precedente escursione,
-adunò preziosità artistiche; ma resosi defunto chi s’era di questo
-luogo così compiaciuto da erogarvi tanto denaro nel fabbricarsi la
-villa, e passata questa al figlio che milita allo straniero, è appena
-se egli la visiti qualche giorno entro l’anno; e però chi va a vederla
-non vi rinviene quel non so che di indefinito che rivela la vita e la
-presenza del nume famigliare.
-
- [Illustrazione: Cascata di Moltrasio.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE OTTAVA.
-
-LA CASCATA DI MOLTRASIO.
-
- Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio
- episodio. — Villa dei signori Nulli. — La leggenda della Ghita.
- — Perchè si nomi Moltrasio. — La Vignola dei Passalacqua. — E
- la villa Durini? — Geologia. — La Cascata.
-
-
-I.
-
-Io l’ho già detto in non so quale mio scritto, che del lago di Como,
-di questa privilegiata parte d’Italia, benedetta dal sorriso della
-natura, preferisco il bacino di Torno, che è il secondo del lago, e lo
-preferisco pure a quello sì decantato della vaghissima Tremezzina; e
-delle ragioni di siffatta predilezione, a non ripetermi, non mi farò
-qui inutile espositore.
-
-Basti tuttavia a solo complemento di questo esordio il dire che,
-sebben più angusto tale bacino e meno ricercato dell’altro, lo si
-può nondimeno meglio godere, percorrendolo in ogni senso, senza tema
-d’essere sorpresi a mezzo dalla tempesta, e liberi da quella soggezione
-che troppo aristocratici villeggianti impongono, e che vi richiede
-l’impegno di toalette e riguardi che vi infastidiscono e attossicano
-gli ozj autunnali.
-
-Nel bacino di Torno, anzi proprio dicontro a questo paese, dove il
-battello a vapore fa la sua prima ordinaria sosta dopo avere lasciato
-Como, si adagia il bel villaggio di Moltrasio colle sue ville che
-si specchiano nell’onde, coll’ampia strada _della Regina_ che lo
-divide per mezzo, colle sue case scaglionate su per il declivio della
-montagna, co’ suoi _crotti_ estivi pei dilettanti del buon vino,
-massime con quello del Caramazza, osteria e convegno de’ buongustai di
-Como che il preferiscono eziandio al Nino, co’ suoi rigagnoli, colla
-sua cascata, col suo orrido...
-
-Ma non anticipiamo l’argomento... M’ho degli obblighi verso Moltrasio
-da adempiere dapprima: or ringrazio l’occasione che mi si porge di
-sdebitarmi.
-
-Era l’aprile del 1859. I tempi erano grossi, l’orizzonte politico nero,
-le nubi presso a squarciarsi, la folgore a scoppiare; o, per uscir dal
-figurato, stava per incominciare la guerra delle armi sardo-francesi
-contro l’Austria, che doveva redimere l’Italia dalla oppressione
-straniera. La polizia austriaca vedeva dovunque congiure e congiurati,
-e a buoni conti andava pazzamente facendo razzia de’ liberali che,
-non potendo varcare colle altre migliaia i confini per ingrossare le
-fila dell’esercito piemontese, rimanevano ad agitar il paese, a tener
-viva la fiamma della rivoluzione che non cessava di lavorare alla
-cheta. Impossibile pertanto che un pensiero non si degnasse da essa
-di concedere pure a me, che più d’una volta m’aveva fatto l’esagerato
-onore di chiamare ne’ suoi segreti processi verbali _corifeo della
-rivoluzione_.
-
-Aveva in que’ giorni arrestato già un mio fratello, e i miei
-concittadini alla notizia scrollavano la testa; e l’un l’altro
-si mormorava: hanno preso un granchio, doveva essere l’altro; e
-declinavano il mio nome. In verità si giunse a mettermi nel cuore una
-puntura di rimorso, e una mattina, a scandagliare il terreno sul quale
-mi trovava, e all’occorrenza pronto a pagare di me l’equivoco preteso
-dalla pubblica carità, osai picchiare all’ufficio del consigliere
-M... commissario superiore di polizia nel temuto palazzo di Santa
-Margherita. Avevo una scusa, mancando di carta di sicurezza — arnese
-indispensabile a quei tempi di non compianta memoria tanto pel ladro
-che per il galantuomo — e però entrato da quel signore manifestai il
-mio bisogno.
-
-Il consigliere M... era un buon tedesco, una mosca bianca tra
-i cagnotti polizieschi; nè appena avevo aperto bocca, che così
-m’apostrofava:
-
-— Ma ella è malato; m’avevano detto ch’ella fosse in campagna a curare
-la sua salute, perchè mo’ è tornato?
-
-— Hanno arrestato mio fratello, temevo non fosse un equivoco.
-
-— Ma no, no, suo fratello uscirà oggi o domani, ed ella è molto malato,
-vada in campagna... e alzatosi mi fe’ senza perditempo disporre la mia
-_carta di sicurezza_ e consegnandomela, tornò a dirmi:
-
-— Dunque la vada, curi la sua salute.
-
-Guardai commosso in faccia al buon tedesco, gli strinsi la mano e
-risposi:
-
-— Anderò; ma dove in avvenire potesse aver bisogno di me, la mi comandi
-— e me ne andai.
-
-Anche in Polizia gli impiegati tedeschi non erano i peggiori; se
-valesse la pena di rammentar nomi, si vedrebbe che le più nefaste
-memorie di que’ tempi si legano a nomi sventuratamente nostrali.
-
-Qualche ora dopo ebbi un altro amichevole avviso che riguardava la
-_mia salute_; ond’è che quantunque mi sentissi perfettamente, pure
-udendomi, come Don Basilio, gridare _che brutta cera!_ bisognava ben
-che vi credessi, e me ne andassi non _a letto_, come quel messere della
-commedia di Beaumarchais e di Rossini, ma sì a pigliare un po’ l’aria
-balsamica della Svizzera.
-
-L’importante era il varcare i confini; passaporto non avevo nè potevo
-chiedere, se non per la gattabuia, dov’erano già stati dati ordini
-di ricevermi; dunque presi la via di Como e precisamente mi diressi
-a questo bel paese di Moltrasio, da dove a notte una guida m’avrebbe
-fatto passare la montagna per discendere nel Mendrisiotto.
-
-Una bella villetta fiancheggiata da due torricelle a finestrelle a
-sesto acuto, come un castello tradizionale del medio evo, si fa innanzi
-dipinta a nuovo e bagna i proprî piedi nell’acque del Lario: allora
-apparteneva al signor Nulli, bravo e onesto commerciante di Milano,
-che in un colla sua giovane sposa mi accolse, non dirò soltanto con
-patriarcale ospitalità, ma perfino con entusiasmo, in grazia della
-causa che ad essi mi conduceva. Non fu maniera di cordialità e cortesia
-che non mi usassero questi eccellenti cuori, e così mi disposero a
-calcar la via dell’esilio, che per sommo di ventura non doveva essere
-molto lungo, quantunque subito amareggiato da grave malattia.
-
-Oh! io mi rammenterò tutta la vita quella giornata da me trascorsa
-nella villa di Moltrasio! il mio pensiero ed il mio cuore la rammenta
-con dolcezza e con sincera riconoscenza.
-
-Qualche anno dopo, io elessi a stanza autunnale una villa prossima a
-Moltrasio, nel vicin paesello d’Urio: corsi difilato, come voleva il
-cuore, alla villetta delle due torricelle; ma colà più non erano i
-signori Nulli...
-
-Essa è ora di ragione dei conti Belgiojoso, e v’hanno appiccicato, come
-s’usa a tante, un nome, e vien detta _Il Pensiero_. Per me, l’ho detto,
-essa sarà sempre un pensiero di gratitudine.
-
-Rifaceva allora la via nel mio burchiello, che il Bellasio spingeva
-avanti lentamente, quasi ei pure non volesse turbare il mio silenzio
-e la mia penosa meditazione; poi l’accorto barcaiuolo, che sapeva un
-cotal po’ de’ miei gusti prediletti, presumendo fosse tempo di finirla
-colle ubbie, venne a rompere il silenzio.
-
-
-II.
-
-— Vede? Anche qui a quello scoglio — e sospendendo un tratto i remi,
-mi indicava una scogliera che dal lato manco del paese si protende un
-cotal poco — si racconta una storiella, una di quelle ch’ella piacesi
-d’ascoltare. —
-
-Il Bellasio (così chiamato per avventura, altro essendo il suo vero
-nome, perchè venuto da Bellagio, borgata più in su del lago, che
-visiteremo, e la quale sta a capo della punta che divide il Lario in
-due rami, l’uno che scende infine a Como, l’altro che spingesi infino
-a Lecco, da dove poi le sue acque ripiglian il diritto primitivo,
-uscendo di sotto il ponte col nome anteriore di Adda e colla qualità
-di fiume) era un valente barcaiuolo ed a lui più d’una volta mi son
-mostrato avido di leggende e di racconti, come quegli che pur la storia
-anedottica d’ogni terra del Lario e d’ogni villa aveva sulle dita;
-mi aveva messo un giorno il ticchio di descrivere quella storia de’
-misteri del lago, della quale già feci cenno; e vi so dire che se tempo
-e volontà m’avessero bastato, se ne sarebbero dettati più volumi tutti
-pieni e palpitanti d’interesse. Dal santo chiodo e dalla gamba d’un de’
-bambini trucidati dal Re Erode, conservati nella chiesa di San Giovanni
-Battista di Torno, al processo della regina Carolina d’Inghilterra;
-dagli sposi annegati, ricordati dalla ballata del Cantù, al processo
-B.... e alla conversione del principe Petrovich di Schuvaloff, fattosi
-poscia barnabita e di cui si veggono le ville sulla sponda opposta
-vicino a Blevio e che ho già rammentate, sapeva il Bellasio tutto; e
-più d’una volta me ne aveva fatto curiosa imbandigione, nè era sempre
-stata infruttifera a lui la parlantina.
-
-— E che si narra intorno a quella scogliera? — chiesi allora al
-barcaiuolo.
-
-Questi incrociò di nuovo i suoi due remi e più lentamente ancora
-adoperandoli, incominciò:
-
-— Erano i tempi antichi. La Ghita era una bella montanina che abitava
-una casipola lassù presso alla cascata di Moltrasio.
-
-— La cascata? — interrogai io, come uomo che fosse nuovo a quella
-locale particolarità.
-
-— Che? non c’è stato a veder la cascata di Moltrasio? La ci vada che ne
-sarà contento.
-
-Io fermai dentro di me che vi sarei andato all’indomani.
-
-Il Bellasio proseguì:
-
-— Dunque la Ghita in sul pomeriggio d’una giornata era andata giù a
-Cernobbio a trovare non so qual parente e fra una parola e l’altra il
-tramonto approssimava e l’ora della cena pur con esso. — Che ti fermi,
-Ghita, a mangiare con noi un bocconcino? le dice quella parente. —
-Sì, no, è troppo tardi, m’aspetta la mamma — risponde la forosetta e
-intanto la chinava la faccia fatta rossa come una melagrana. Gli è che
-la Ghita, come ella può bene figurarsi, aveva a casa il suo Tonio che
-l’attendeva, un pezzo di giovinotto che le invidiavan tutte le ragazze.
-— To’, siedi: sono agoni che due momenti fa ballonzolavano ancora vivi
-sul tagliere. — E la Ghita, mal resistendo, si sedeva sur un trespolo
-di legno intorno a un desco su cui fumava una soda polenta e gli agoni
-esalavano una fragranza provocante. L’ora così si era fatta tarda,
-quando la Ghita si accommiatò. Ben è vero che qualcuno l’accompagnò
-un piccol tratto di strada fino alla punta del Pizzo, ove è adesso la
-villa del passato Vicerè e ch’ella sa; ma, qui giunta, sentendo venir
-da lunge come uno zufolare d’uomo e credendo che si fosse il proprio
-Tonio che le venisse all’incontro, licenziava l’uomo che l’aveva
-accompagnata col pretesto che in due salti ella sarebbe a casa, nè
-voleva di tanto dargli più incomodo e fatica.
-
-E la Ghita camminava.
-
-La strada allora non era come la vede adesso, così bella che la fu un
-vero beneficio di quella donna caritatevole che è stata la principessa
-di Galles, la regina che per tanto tempo fu la nostra provvidenza; la
-strada era su e giù serpeggiante fra la boscaglia, fitta, scura, che
-chi non fosse stato del paese non ci avrebbe certo a notte trovato il
-conto di uscirne, e se incauto si fosse un po’ tenuto verso il lago,
-avrebbe corso anche il rischio di fiaccarvi il collo; perocchè prima
-che Monsù Curié avesse fabbricato la sua bella palazzina, là vi stavano
-bronchi, massi e precipizî pericolosi mascherati da liane e spine
-secolari.
-
-Era la Ghita giunta poco più avanti ove è appunto la villa Curié, che
-sentissi da una voce sconosciuta intimare:
-
-— Alto, chi va là?
-
-— Son io, son la Ghita di Moltrasio — rispondeva sgomenta la fanciulla.
-
-E l’incognito ridendo allora di un riso satanico, venendole incontro,
-le diceva:
-
-— Ah! ah! a quest’ora qui la Ghita di Moltrasio? Sei venuta ne’ miei
-domini ed è giusto che paghi il tuo pedaggio — e stendeva ver lei la
-mano.
-
-Diede la giovinetta un salto indietro e intimava al temerario:
-
-— Statevi un po’ sul vostro e lasciatemi ir oltre, perchè è tardi e
-sono attesa.
-
-Lo sconosciuto rispose con un ghigno da demonio e mosse invece innanzi
-risoluto per abbrancarla; ma la Ghita, lesta più ancor di lui, in un
-attimo, fatto in cuore un voto alla Madonna a tutela del suo onore,
-spiccò un salto per quei burroni, e quel tristo che la stava per
-afferrare, nè pel bujo aveva avvertito l’imminenza del pericolo,
-fallendogli il piede, giù egli pure precipitò.
-
-Si sentiva tosto dopo un lungo grido come d’uomo cui sia tocco una
-terribile percossa, ed un giovane che muoveva da Moltrasio e l’udiva,
-com’era ben naturale in quella generale quiete della sera, affrettando
-i passi per il sentiero della foresta, giunto presso alla scogliera
-dove il fatto era accaduto, presago in cuore che la sventura avesse
-toccato la fanciulla dell’amor suo, si diè a chiamarla.
-
-— Ghita! Ghita! —
-
-La voce infatti della fanciulla gli rispose. Oh! era lei, proprio
-lei, chè nel cadere per quei burroni la sua gonna s’era impigliata
-fra i rovai e le liane e l’avevan impedita di rovinare giù nel lago
-sfracellata, dove era andato invece a piombare il suo turpe tentatore.
-
-Tonio, il fidanzato della Ghita, espertissimo di que’ greppi, avvertita
-dapprima la fanciulla che non si avesse ad agitare, ma cercasse
-d’attenersi ad alberelli i più robusti, si condusse cautamente presso
-ad essa e protendendole la mano, poichè l’ebbe ad afferrare, giunse in
-breve a districare la sua Ghita e condurla a salvamento; e dopo udito
-il tristo caso, quando presa la sua barca venne sotto alla scogliera
-a cercarvi il mal capitato, nè egli, nè i suoi compagni che recavano
-accesi de’ legni resinosi, ritrovarono il cadavere. Solo un feltro
-galleggiava là vicino e la gente del paese andò divisa nel pensare
-a chi spettasse. I più dicevan che ei fosse un contrabbandiere della
-Svizzera vicina, altri invece e le comari affermarono, pel contrario,
-che potesse essere il demonio, e che la Ghita fosse stata salva per
-il voto alla Madonna. Certo è che ancora la sera, quando il tempo mena
-burrasca, proprio come quella notte che avvenne il triste caso, vedesi
-un fuoco errare su quel greppo, e chi passando lo vede si fa il segno
-della croce, perchè o lo spirito del contrabbandiere o il demonio in
-persona è condannato a qui far la penitenza.
-
-Il Bellasio gittò i remi: io sorrisi per la conclusione della
-storiella e m’accorsi che eravamo giunti agli scaglioni della casa
-de’ miei eccellenti amici, i signori Turati di Urio, che mi ospitavano
-cordialmente.
-
-
-III.
-
-Come avevo stabilito, all’indomani m’avviai a Moltrasio di nuovo,
-alla ricerca della cascata che m’aveva accennato il barcaiuolo.
-Attraversando il paese scaglionato su quel pendio, io, studioso
-dell’antico, ricordai come gli etimologisti pretendano derivare il nome
-del paese da _Monte Raso_, e misurandone tutta la lunghezza coll’occhio
-vedevo l’ampio palazzo dei conti Passalacqua, detto la Vignola,
-architettato da Felice Soave con soverchia semplicità, con giardino
-avanti di esso a varî piani che discendono al lago sempre fiancheggiati
-da cipressi. Volgevo poi lo sguardo da l’un lato e dall’altro della
-villa e cercavo indovinare dove mai avesse potuto sorgere quella del
-baron Durini, citata dall’abate Amoretti nel suo _Viaggio da Milano ai
-tre laghi_, dove questo autore lasciò scritto trovarvisi una magnifica
-raccolta ornitologica.
-
-Passai il paese, e a mano manca, fuori appena di esso, nella parte
-superiore allo stesso si presenta infatti quel grande scoscendimento e
-la cascata d’acqua che que’ del luogo chiamano l’Orrido di Moltrasio,
-ma che non ne ha le condizioni, essendo ben lungi dall’ispirar orrore,
-e da cui scende un torrente che attraversando il paese lo rende
-veramente pittoresco.
-
-Il lettore ne ha l’idea nel disegno veritiero che ne ha tratto
-felicemente il mio amico Curioni: le mie parole non gli apprenderanno
-gran che di più.
-
-Il geologo qui ritrova un grandissimo interesse, e questa linea non
-interrotta di montagne, che comincia dopo Cernobbio e procede lungo
-il lago, è di un calcare bigio azzurrognolo e dell’epoca giurassica,
-di struttura fossile, opportunissima alle costruzioni, facilmente
-sfogliantesi in lastroni fin della grossezza di mezzo metro e con
-qualche rara striscia di calcareo cristallino bianco e qualche vena di
-litantrace. È conosciuta in pratica col nome di pietra di Moltrasio e
-quivi cavansi altresì le ardesie onde copronsi i tetti in molti luoghi.
-
-I cataclismi formidabili in secoli antidiluviani imperversarono
-certamente in tutte queste località, e le ammoniti che ritrova col
-suo martello il geologo, pesci e rettili che si rinvengono sulle cime
-di queste montagne, reliquie dell’_Ursus Spæleus_ raccolte in grotte,
-crepacci spaventosi, burrati e fenditure, e questo dirupamento medesimo
-di Moltrasio con quelli di Molina, di Nesso, di Bellano ed altri molti,
-rivelano que’ tremendi sconvolgimenti naturali, per i quali si esercita
-lo studio ed anco la fantasia di tanti indagatori della natura, così
-spesso traviati dalle disparate dottrine e dai sistemi.
-
-La Caseata di Moltrasio è del più bello e singolare effetto.
-
-Una grossa massa d’acqua gittasi da una grande altezza fra una immensa
-spaccatura di montagna. Superiormente alla caduta sonvi fertili e
-popolati piani; onde rasente al punto di caduta evvi una casipola che,
-a chi riguarda dal basso, molto aggiunge alla vaghezza pittorica del
-luogo. L’acqua, rovesciandosi spumeggiante per quelle dirupate frane,
-forma in basso un piccolo bacino su cui corrono, come ponte, alcune
-tavole, dove sempre il visitatore si arresta nell’ammirazione di quella
-grandiosa naturale maraviglia. Alberi ed alberelli, rampicanti verdi
-e rossi e muschio rivestono qui e qua i grossi massi della frana e
-prestansi mirabilmente a compiere una magnifica scena.
-
-Piena la testa, più che del frastuono dell’acque cadenti, delle
-profonde impressioni lasciatemi dalla vista di sì imponenti bellezze,
-ritornai sul mio cammino, raccolto nelle più svariate meditazioni,
-nullamente distratto tampoco da quell’altro miracolo di cielo ed
-acqua, di colli e monti, di ville e casali, di giardini e di colti
-che mi stava tutt’all’intorno e che costituisce giustamente l’oggetto
-dell’ammirazione e dello stupore anche del forestiero più disilluso.
-
-
-
-
-ESCURSIONE NONA.
-
-MOMPIATTO.
-
- Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora Taverna. — Torno.
- — Storia. — Gli Sposi annegati. — Ville Croff, Righini,
- Antonelli. — La chiesa di S. Giovanni e pia leggenda. —
- Mompiatto. — Le sue monache. — La Pietra pendula e la Nariola.
-
-
-La giornata è serena: lasciamo la sponda di Moltrasio e volgiamo la
-lancia alla opposta di Torno.
-
-Il piroscafo ha già toccato la punta di Geno, su cui siede la villa
-Cornaggia e già dirizza la prora verso Cernobbio, per venire a deporre
-passeggieri nel burchio della _Regina d’Inghilterra_, dell’albergo,
-s’intende, del quale ci siamo già intrattenuti.
-
-La riga di bianco fumo che lascia addietro di sè il vapore ci avverte
-che va sollecito; affrettiamo, che lo vedremo passare dinnanzi a noi e
-giungeremo in tempo di farci cullare dalle grosse onde che solleva col
-volgere delle ampie sue ruote, e passeremo in rivista i passeggieri che
-muovono ai diversi punti del lago.
-
-Intanto eccoci in faccia la villa Taverna sulla sponda destra:
-dirizziamo la punta della lancia alla volta di essa, se vogliamo
-trovarci al sito in cui il piroscafo rallenta; la campanella della
-fermata suona e noi possiamo goderci dello spettacolo che ci siamo
-ripromessi.
-
-Il paesello vicino è Perlasca, terricciuola già fiorente per
-l’industria della lana che vi si esercitava, ammencita ora di molto
-nelle guerre _astute e ladre_, direbbe il Torti, de’ passati tempi. Vi
-è ancora una casetta in cui la tradizione pretende siavi nato Benedetto
-Odescalchi, quegli che fu pontefice sotto il nome di Innocenzo XI,
-da soldato ch’era dapprima. Quivi ad ogni modo era la villeggiatura
-degli Odescalchi e quivi egli veniva al divertimento della caccia, come
-lasciò ricordato in un suo scritto.
-
-Fu nel secolo scorso che venne edificata la villa Tanzi, ora denominata
-dall’attuale suo possessore conte Lodovico Taverna, patrizio milanese,
-che l’eredò da un conte Tanzi, senz’altra ragione, dicesi, che
-quella della simpatia, con un bel gruzzolo insieme di denaro per la
-relativa manutenzione. Fu l’incarnazione di uno di quei bei sogni
-di una notte d’estate che facciamo noi popolani, e la cui realtà non
-avrà già recato tutta quanta la sorpresa al già ricco patrizio, che
-avrebbe fatta a noi. Era in addietro la più bella villa del lago: ora
-si conserva sempre fra quelle che attraggono meglio l’attenzione,
-senza pretendere al primitivo vanto. Delle due ale sporgenti del
-fabbricato, una non è internamente ultimata ancora. Accrescono pregio
-i giardini disposti maestrevolmente, con serre chiudenti peregrinità
-botaniche e fiori d’ogni specie, su tutti ottenendovi culto speciale
-la rosa in infinite sue varietà, e ve ne aggiungono eziandio belle ed
-esotiche piante. Nè ciò faccia maraviglia, da che il conte Taverna si
-piacque di orticoltura e giardinaggio, e Lombardia gli va debitrice
-dell’introduzione di più d’una delle piante ornamentali, venute poscia
-in voga tra noi, e tra le quali quella bellissima tussilaginea, detta
-il _Farsugium grande_.
-
-Ma ecco il vapore ci è alle spalle; sostiamo.
-
-Gustata la voluttà di questi sobbalzi dell’onda, progrediamo verso la
-meta della nostra odierna peregrinazione.
-
-Questo paese è Torno col suo bel promontorio. Ebbe un dì stabilimento
-degli Umiliati che vi fabbricavano panni. Narra il Cantù, che mentre
-Francesi e Svizzeri combatteano contro i Tedeschi, i Tornaschi
-favorirono i primi, e quando rimasero sconfitti alla Bicocca (1522),
-resistettero ancora, come Brescia nel 1849, e ne corser la sorte.
-Perocchè il governatore di Como assalse e mandò a ruba e fuoco Torno,
-neppur la chiesa risparmiando; e restò memoria d’una fanciulla che
-il fior verginale salvò dirupandosi da una finestra e perendo colla
-patria. Lo stesso Cantù verseggiò un’altra pietosa romanza o storia di
-sposi annegati, sotto il titolo: _I morti di Torno_. Io mi fo lecito
-ridurla a prosa.
-
-Linda, la bella fanciulla di Torno, era fidanzata a Fernando, quando
-questi aveva dovuto partir soldato per la guerra. Si scambiarono i
-due giovani i giuramenti d’amore, e, mentre Fernando era alla guerra,
-ella attendea e pregava la Vergine e i santi pel suo ritorno. Un dì
-finalmente, reduce Fernando dalla Spagna, spediva lettera a Linda che
-le annunziava la sua venuta al paese fra sette dì. Ognuno immagina
-la gioia della poveretta a tal novella, ognuno le ansie di sì lunga
-settimana: alla fine spuntò l’alba dell’ultimo giorno. Spia tutte le
-navi, i battelli che solcano il lago; ma egli non viene: finalmente,
-alla militare assisa che è in un burchio, più col cuore che coll’occhio
-lo divina, lo riconosce... è lui. Ma intanto sul lago si è ingrossato
-un fiero temporale, il tuono scoppia, l’acqua diluvia, è un tempo
-d’inferno. L’amato burchio avanza lentamente lottando colle onde, e
-Linda, a seguir meglio il progresso di esso, a meglio vedere il suo
-bene, vola su d’un’eminenza che sta lungo il lago; ma giunta a mezzo
-dell’erta, per l’erba molle e bagnata, il piè le scivola, e giù dalla
-china precipita nell’onde. La vide Fernando e la conobbe, nè curando
-il furiare dei flutti, si slancia in mezzo ad essi, drizzando il
-nuoto verso la sua fidanzata. Invano facevano forza di remi i battelli
-spiccatisi dal lido e il burchio dove era Fernando, per accostarsi agli
-infelici sposi che non si videro più ricomparire. Solo la dimane se ne
-ritrovarono i corpi: erano abbracciati insieme nell’amplesso castissimo
-di morte. Là venne posta una croce a memoria del pietosissimo caso e il
-barcaiuolo che vi transita prega loro la requie eterna.
-
-Poichè siam presso al porto, ecco vedete là su è la villa Croff:
-vi stan presso le ville Righini e l’Antonelli a destra, due operosi
-negozianti milanesi che raggranellarono gran fortuna e procacciaronsi
-questi agî signorili; a sinistra sono la casa e i giardini a cedriere
-sporgenti sul lago appartenenti ai signori Ruspini e da’ quali si
-gode di bellissimo panorama. Nella casa di questi signori di Como,
-fra qualche altro oggetto d’arte è un marmo egregiamente scolpito dal
-Tantardini di Milano, del quale abbiamo già ammirato in Como altre
-opere commendevoli.
-
-Scesi a terra, ci si para avanti la chiesa del paese e più su l’altra
-dedicata a San Giovanni Battista, intorno alla quale è pure una
-leggenda. Narrasi da que’ pescatori che al tempo delle crociate un
-arcivescovo tedesco tornando da Palestina ne riportasse un santo
-chiodo e la gamba d’uno degli Innocenti. Fermatosi a Torno, ebbe sì
-continuamente contrario il vento, che gli parve riconoscere in ciò la
-volontà del cielo ch’ivi lasciasse quelle sante reliquie, e le depose
-infatti nella chiesa suddetta di San Giovanni.
-
-Per questo calle montiamo, montiamo, onde raggiungere l’altipiano a
-cui siamo diretti, a Mompiatto. Nè lunga, nè aspra la salita: rivoletti
-d’acqua limpida scendono lungo il cammino, che presto ci scorge avanti
-la chiesa che sta in cima e dov’era già un chiostro di vergini. Quivi
-però le monachelle, più che a _mattinar lo sposo_ divino, come direbbe
-l’Alighieri, ed attendere a vita contemplativa, s’abbandonavano
-ad amori e baldorie poco canoniche e meno caste; tal che S. Carlo
-Borromeo, che alle monache ed a’ frati solea spesso riveder le bucce,
-ne lo chiuse, e le suore trasferì al Sacro Monte di Varese a più severa
-disciplina. L’episodio ricorda la novella prima della terza giornata
-del Decamerone del Boccaccio, fondata sulla vecchia tradizione del
-contado toscano che presso a Lamporecchio fosse un convento di monache,
-che pel vezzo di divertirsi come quelle di Mompiatto, ebbero il
-convento demolito ed esse furono trasferite altrove.
-
-Sull’ameno altipiano del Mompiatto vengono sovente le brigatelle
-villeggianti ad asciolvere allegramente; ma più matte e curiose sono
-quelle che vi chiama quella sagra che al due luglio vi si celebra e
-dove è tutta la giornata il più lieto via vai, su e giù per l’erte
-viuzze, d’uomini e donne e di fanciulli; ed in cima si merenda sotto
-gruppi di annose piante; si gozzoviglia e canta finchè calano da’ più
-alti monti le ombre, e alla chiesa di San Giovanni spirano i tocchi
-dell’avemmaria vespertina.
-
-Su questo monte, che s’eleva sovra tutte queste ville che si schierano
-da Blevio infino a Torno, attira poi la curiosità la _Pietra pendula_,
-di forma conica, sulla cui punta sta in bilico un trovante o masso
-granitico di due metri d’altezza e di cinque di diametro, che
-pretendesi formi sistema col _Poncione di Blevio_, che gli abitanti
-chiamano _Nariola_, altro masso più enorme che sporge sul pendio che
-tocca appena d’una estremità la terra, solo sorretto dalla punta d’una
-roccia calcare, sicchè guardato di fianco, sembra prossimo a rovinare.
-
- [Illustrazione: La Pliniana.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMA.
-
-LA PLINIANA.
-
- Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. —
- Villa Canzi. — La Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso e
- riflusso. — Spiegazione del fenomeno. — La Breva e il Tivano. —
- L’assassinio di Pier Luigi Farnese. — Giovanni Anguissola. — La
- villa e l’attuale proprietaria.
-
-
-I.
-
-Non erano più i giorni gloriosi della celebre danzatrice, di Maria
-Taglioni... Il tempo, questo terribile devastatore della bellezza e
-del valore, aveva già da un pezzo chiuso i battenti de’ più cospicui
-teatri a quella grande artista che aveva stancato i plausi dei pubblici
-più difficili d’Europa, ed eletto soggiorno in Parigi, lasciava deserta
-la sua vaghissima villa di Blevio, la quale si specchia nell’onda del
-Lario.
-
-Non erano dunque più gli ammiratori e gli amici di quella illustre
-alunna di Tersicore che animavano di loro presenza nell’agosto 1868 i
-freschi recessi della suntuosa villeggiatura; ma sì i vispi figliuoli
-di mia sorella, a cui era stata locata, ed io che, dopo un’arringa
-al Tribunale di Como, ero venuto ad abbracciarli, io di fianco alla
-mia buona Emilia, sorridevo alla bravura di Giulio e di Gigi suoi che
-maneggiavano il remo, come se fossero nati e cresciuti sempre su quelle
-sponde e facevano volare il canotto, leggiero come un alcione, sulla
-quieta faccia del lago.
-
-Avevamo già lasciato addietro quelle ville che al piede di Blevio
-abbiam passato in rassegna; già sussurrato mentalmente un vale alla
-memoria del povero figlio dell’Inghilterra[12], che assueto al mare,
-credette far troppo a sicurtà colle onde del Lario, le quali ogni anno
-reclamano il tributo di vittime umane; passata innanzi alla villa
-Taverna ed a Torno; già svolto i giardini dei signori Ruspini che
-fiancheggiano vagamente Torno; rasentata la villa Matilde dei signori
-Juva, piccola ma elegante, da cui uscivano note dolcissime di canto,
-come le sa rendere quella esimia dilettante, che a valore potrebbesi
-dire artista, che è la signara Matilde Branca, la quale ne è la
-proprietaria; e quindi la villa dell’ingegnere Canzi architettata sul
-far de’ palagi di Venezia, con finestre e loggie di terra cotta, come
-ne è la balaustrata: quattro colpi di remo, ed ecco ci trovammo nel
-pieno ed austero seno della Pliniana.
-
-— La Pliniana! esclamò Emilia.
-
-Infatti ci riconoscemmo in grado di vederne il fabbricato intero.
-Un grandioso loggiato d’ordine dorico prospetta il lago e serve di
-vestibolo al palazzo che si addossa al monte con giardino a varii
-piani, i quali s’innalzano fino ad una specie di romitaggio, in cui la
-solitudine profonda e l’isolamento assoluto della villa ispirano gravi,
-melanconiche o appassionate meditazioni. Un torrente che le sta a lato,
-dall’altezza di novanta metri balza con bell’effetto dalle roccie e
-rumoreggia transitando per l’atrio, per confondersi da ultimo colle
-acque del lago.
-
-— Fu Plinio forse qui ad abitare ed a lasciarvi il suo nome? — mi
-domandò Antonietta, la mia eccellente e affettuosa nipote.
-
-— No — rispos’io. — Plinio il Giovane lasciò nelle opere sue la
-descrizione della fontana intermittente, che avrai veduta nella villa
-e di cui anzi fa cenno la lapide latina che vi avrai scorta, ma non
-capita, e che qui chiama la curiosità del forastiero; ma la villa non
-appartenne mai a quell’illustre.
-
-— Ah sì, la fontana che ha il flusso e riflusso come il mare e che è
-inesauribile.
-
-— Essa ha infatti un’intermittenza; or cresce a ricolmare un bacino,
-ed ora, ad occhio veggente, scema; ma questo flusso e riflusso non è
-regolare come quello del mare, nè poi è tutta vera la credenza ch’essa
-sia inesauribile. Vuolsi inoltre ch’essa abbia relazione col _Buco del
-piombo_, che si vede all’opposto versante della montagna che sogguarda
-il Piano d’Erba, ma non sono che supposizioni codeste.
-
-Ora udite quale spiegazione ne dia il detto Plinio, non già per dirvi
-che l’abbia azzeccata giusta; ma per darvi un saggio della scienza
-fisica d’allora: la traduzione dal latino è del Paravia:
-
- “C. Plinio a Licinio.
-
- „Io ti ho recato dalla mia patria il regaluccio di una quistione,
- la quale è degnissima della profondità del tuo ingegno. Scaturisce
- da un monte una sorgente, scorre fra sassi, si raccoglie in un
- loghicciuolo fabbricato per cenarvi; quivi dimorata un tantino, va
- a perdersi nel lago di Como (_in Larium lacum decidit_). Mirabile
- è la sua natura; tre volte al giorno con invariabili aumenti e
- diminuzioni si alza ed abbassa. Ciò si vede apertamente, nè può
- vedersi senza un grande diletto. Colà presso tu siedi e mangi,
- e bevi anche a quella medesima fonte, da che è freschissima; ed
- essa intanto a certi e misurati intervalli o cala o cresce. Poni
- all’asciutto un anello o chechessia, l’acqua a poco a poco lo
- bagna, e tutto finalmente il ricopre, e si scopre di nuovo e bel
- bello rimane all’asciutto. Se ti fermi ad osservar questo giuoco,
- il vedrai rinnovarsi e due e tre volte. È forse un qualche occulto
- vento, che la bocca e le fauci della sorgente or apre, or chiude,
- secondo che entra cacciando l’acqua, o esce cacciato da questa? Il
- che noi veggiamo avvenir nei fiaschi e in tutti i vasi di questo
- genere, i quali non hanno una libera e súbita uscita. Poichè ancor
- questi, benchè capovolti e inchinati, rattenuti da non so qual
- vento contrario, ritardano il liquore, il qual non esce in certa
- guisa che a frequenti singhiozzi! Forse le leggi dell’oceano son
- le medesime che quelle del fonte? E per la stessa cagione che
- quello ora s’innalza, or s’abbassa, eziandio questa fonticella con
- alterna vicenda ora sporge, or s’arresta? O forse come i fiumi,
- che scaricandosi in mare, sono dagli avversi venti e dall’impeto
- dell’onda risospinti, evvi qualcosa che ritarda per qualche istante
- il corso di questo fonte? O hanno gli interni canali un’assegnata
- misura, per cui, mentre si rimettono le perdute acque, il rivo
- si fa più scarso e lento, e rimesse che siano, corre più spedito
- e copioso? Od evvi, non so quale, interno ed occulto recipiente,
- che quando è vuoto desta e sospinge la fonte, quando è pieno la
- ritarda e la soffoca? Or tu che il puoi, fa d’investigar le cagioni
- che producono questo fenomeno. Per me è anche troppo, se ti ho a
- sufficienza dimostrato com’esso avvenga. Addio[13].„
-
-L’Amoretti invece, nel suo _Viaggio da Milano ai tre laghi_, dopo aver
-notato come i movimenti dell’acqua abbiano un’esatta relazione con
-lo spirare del vento, sì che incominciando su que’ monti a spirare
-il ponente verso la nona ora del mattino, che quei del lago chiamano
-la _Breva_, a quell’ora eziandio incomincia a crescer l’acqua nella
-fonte; dice questo crescimento potersi generalmente calcolare di tre
-in quattro ore. Infatti ad un’ora, al _Tivano_ del mattino succede
-il vento che procede da Como e si denomina la _Breva_[14]. Simile
-interviene alla sera. Più cresce il vento, più si alza la fonte;
-l’aria è affatto placida, e la fonte punto non s’altera. Or come fa
-egli il vento a produrvi sì fatte cose? L’Amoretti, premesso che in
-vetta a’ monti soprastanti alla fonte Pliniana v’ha delle caverne o
-pozzi naturali, che penetrano nel seno del monte e vi mantengono degli
-interni serbatoi d’acqua, spiega il fenomeno in questo modo: “Siavi in
-seno del monte uno o più recipienti d’acqua, corrispondenti alle bocche
-superiori, i quali all’orlo abbiano delle uscite che portano alla
-Pliniana. Soffiando il vento perpendicolarmente, comprime l’acqua e la
-spinge all’orlo in maggior copia, e quindi più copiosi sono i canaletti
-pei quali portasi alla fonte. Quando il vento cessa, l’acqua si rimette
-a livello, e l’interno laghetto, a cui il monte ne somministra cogli
-incessanti stillicidi, torna a ricolmarsi d’acqua, che il seguente
-vento torna a respinger fuori. Ma quando un forte vento ha soffiato
-lungamente, più d’un giorno sta la fonte senz’alterazione, perchè
-l’interno recipiente di tropp’acqua è stato privato, e il consueto
-spazio di tempo non basta a riempirlo nuovamente. Se questa spiegazione
-non soddisfa pienamente, quella mi sembra almeno che soffra minori
-difficoltà[15].„
-
-— Ma allora chi fabbricò la Pliniana, se il luogo non fu di Plinio? —
-chiesero in coro i miei nipoti.
-
-— La è tutta una storia — risposi io.
-
-— Contala, zio; contala.
-
-Giulio e Gigi macchinalmente appena muovevano il loro remo; noi
-lentamente intanto approssimandoci ognor più al silenzioso palazzo e
-di pochi tratti discosti dallo scalo della Riviera, sospeso ogni altro
-movimento, il canotto sostò, ed io m’accinsi a dire la storia che mi
-veniva domandata.
-
-
-II.
-
-— Mi bisogna far viaggiare la vostra mente da queste rive a Piacenza, e
-farvi dar addietro, meglio certo di tre secoli, all’anno 1547.
-
-Pier Luigi Farnese, da non molto creato duca di Piacenza e di Parma
-da papa Paolo III, teneva stanza in quella città ed era da essa che
-esercitava la sua tirannica signoria. Se egli avesse virtù alcuna,
-hanno gli storici taciuto; all’incontro il Varchi ne lasciò orribile
-pittura de’ suoi difetti, che del resto erano anche proprî del tempo, e
-il Segni poi, altro storico fiorentino, non so con qual fondamento di
-verità, ce lo descrisse storpio di mani e di piedi, sicchè bisognava
-aiutarlo fino al mangiare; e tuttavia rotto a tutti i vizî.
-
-Proprio a que’ giorni Spagna e Francia tenevan l’occhio sul paese
-nostro, e Carlo V imperatore l’aveva a morte col Farnese, e perchè
-lo stimava, se non promotore, complice almeno dell’attentato di Gian
-Luigi del Fiesco contro Genova, e perchè, ciò che più gli cuoceva,
-scorgesse in lui propensione maggiore per Francia, tanto più che
-il Pontefice aveva ottenuto a Orazio Farnese per moglie Diana,
-figlia naturale del re di Francia Enrico II. Riuscì facile pertanto
-all’imperatore di soffiar dentro gli odî de’ nobili Piacentini, che
-lamentavano la passata libertà, e la tirannide attuale mal sapevano
-comportare, e si tramò allora una congiura ch’ebbe a capi Girolamo e
-Camillo _Pallavicino_, Agostino _Landi_, Giovanni _Anguissola_ e Gian
-Luigi _Confalonieri_. Si pretese poi da chi si piace di stranezze e di
-bisticci che i nomi loro fossero già preconizzati nella parola _Plac_
-(Placentia), che abbreviata si leggeva impressa nella moneta del Duca.
-
-Ai dieci di settembre di quell’anno 1547, que’ congiurati, con alcuni
-loro aderenti, in numero di trentasette persone, portanti soppanni
-armi coperte, côlta l’ora che il Duca avesse pranzato e i suoi ministri
-fossero pure a tavola, entrarono alla spicciolata nella cittadella, ove
-dimorava Pier Luigi, nullamente impediti dagli svizzeri che vi stavano
-a custodia e che di nulla certo erano in sospetto.
-
-Vuolsi che il Farnese fosse stato, per avvisi venuti da Milano e da
-Roma, prevenuto della trama; ma quando incalza il destino, invano vi si
-vuole porre ostacolo: egli allora non vi pose attenzione.
-
-Mentre adunque taluni de’ congiurati, uccidendo alcuni labardieri
-svizzeri e tedeschi, si impodestarono delle porte della cittadella e
-della sala, Giovanni Anguissola con due fidati suoi compagni penetrò in
-quest’ultima dove stava Pier Luigi in ragionamenti con Cesare Fogliano,
-e fattoglisi sopra, con poche pugnalate lo freddò, senza provare
-resistenza; perocchè il Duca, a causa di sua intemperanza, si fosse
-reso quasi infermo agli atti.
-
-Il popolo e il capitano delle milizie ducali Alessandro da Terni
-avrebbero voluto accorrere al parapiglia in fortezza; ma i congiurati
-ne avevano prevenuto il colpo alzando il ponte, e Agostino Landi,
-rappresentando al popolo il fatto e a lui mostrando il cadavere di Pier
-Luigi, gridò Libertà, Libertà, Imperio, ed annunziò l’imminente venuta,
-per S. M. Cattolica, di don Ferrante Gonzaga, governatore di Milano,
-colle truppe di Cesare, il quale due giorni dopo infatti capitò e prese
-possesso della città a nome dell’imperatore.
-
-Così si intendeva la libertà allora in Italia, e così poteva dire di
-noi con ragione alcun tempo dopo il Filicaia:
-
- Per servir sempre o vincitori o vinti.
-
-
-III.
-
-Poco frutto veramente raccolse del perpetrato assassinio il conte
-Giovanni Anguissola. Perocchè, se egli venne a rifugiarsi a Milano
-sotto le tende di Carlo V, il quale malgrado l’aver attizzato la
-congiura, non era però meno parente suo per la figliuola Margherita
-data in moglie ad Ottavio figlio di Pier Luigi, e se fu poi nominato
-al governo di Como; non egli potè tuttavia far tacere il grido della
-coscienza che l’accusava assassino, comunque le sue mani si fossero
-insanguinate del sangue di un tiranno.
-
-Papa Paolo III aveva risentito acerbissimo dolore della uccisione
-del figliuolo, e il re di Francia egualmente; nè si ritenne dal
-dissimularne i fieri risentimenti, se lo stesso suo ambasciatore in
-pieno palazzo a Coira ebbe a tirare all’Anguissola una stoccata, che
-per altro no’l tolse da questo mondo. Anche il sicario che in abito
-da frate lungo tempo fu veduto aggirarsi nelle circostanze di Como,
-aspettando luogo e tempo per iscannarlo, ed altri emissarî, con non
-dissimili propositi, se non vennero a capo del loro truce mandato,
-mantennero pur sempre nell’Anguissola quella paura continua e quelle
-agitazioni che gli dovevano turbar l’esistenza.
-
-Fu allora che nel 1570 egli elesse questo luogo, ove è la fonte
-da Plinio il Giovane descritta, a edificarvi questa villa, e
-dove, malgrado le naturali bellezze, la cascata e la magnificenza
-dell’edifizio, pure è impossibile difendere l’animo da un certo senso
-di malinconia.
-
-Ben poco il conte Giovanni Anguissola potè godere degli ozî non gai che
-qui egli si era preparato; la villa poscia venne acquistata dal conte
-Fabio Visconti Borromeo, indi dai Canarisi, sinchè pervenne al principe
-Emilio Belgiojoso, dove un amor tempestoso gli abbreviò una vita che
-era dapprima sembrata così sorridente ed elegante, passando per tal
-modo la proprietà della Pliniana alla figliuola sua che impalmò il
-milanese marchese Lodovico Trotti.
-
-
-IV.
-
-La mia storia era finita.
-
-I miei nipoti ripresero taciturni il remo, virarono la barca e si
-scostarono dall’austero luogo.
-
-Intanto le ombre scendevano giganti sul palazzo e ne’ giardini: al
-mio povero occhio, non armato in quell’istante dell’occhialino, parve
-per quella tetraggine e per le liane della cascata veder qualcosa
-che si agitasse, forse lo sparnazzare di qualche augello notturno, e
-l’immaginazione, ch’io medesimo avevo eccitata col richiamo di truci
-fatti antichi, mi raffigurò lo spettro del primo signore di quel luogo,
-dell’assassino, cioè, di Pier Luigi Farnese.
-
-
-
-
-ESCURSIONE UNDECIMA.
-
-DA MOLTRASIO A TORRIGIA.
-
- Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura
- nel 1863. — La villa Buttafava. — Pognana e Palanzo. —
- Premenù. — Ancora a Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi,
- Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. —
- Villa Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa Savoja. — La
- Minerva, ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio.
- — Ville Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. —
- G. B. Lampugnani. — Sonetto a Katinka Evers. — Ville Rocca,
- Tarantola, Ottolini, Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani.
- — Ville Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere dei fratelli
- Taroni. — Laglio. — Monumento a Giuseppe Franck. — Villa
- Galbiati. — Torrigia. — Villa Cetti. — La punta.
-
-
-Perchè ci tratterremmo ancora in questo seno della Pliniana così severo
-e malinconico? Solo ne’ giorni più ardenti del luglio potrebbe fornirci
-un freschissimo recesso: or che siamo in pieno autunno, della frescura
-non abbiam troppo bisogno.
-
-E poi, le dolorose memorie che di questa parte conservo, mi fanno dire
-coll’Epico latino: _Eheu fuge... fuge litus avarum._
-
-È vero che a pochi tratti avvi l’Orrido di Molina, che non è tempo
-certo sprecato il visitare e che è dato argomentare non esistesse
-in addietro, se nessuno degli scrittori del lago ne fa menzione. È
-veramente orrido, come invece quello di Moltrasio, che non lo è, ho
-preferito, per maggior verità, appellare Cascata. L’acqua si precipita
-per un burrone dall’altezza d’una cinquantina di metri e mette i
-brividi addosso a chi vi guarda.
-
-Presso a Lemna — paese, il cui nome greco, come altri che troveremo
-lungo il lago, rivela la presenza un giorno di una colonia greca,
-quella forse che vi si dice dedotta da Giulio Cesare — e giù al piede
-ove era un gruppo di case e una villa, una notte dell’ottobre 1863,
-ospite io a Urio in casa della signora Ostinelli-Turati, sulla sponda
-opposta era un furiare di pioggia e di vento, e gli echi dei monti
-avevan dopo, in mezzo al silenzio succeduto, ripercosso dall’una
-all’altra sponda un forte e cupo rumore. Ognun che l’intese si
-domandò che avesse potuto essere. L’indomani mattina il sole riapparso
-illuminava a Lemna uno spaventoso disastro. Le acque infiltrandosi tra
-la roccia e la terra sovrapposta ve l’avevano staccata interamente;
-sicchè nel colmo della notte tutta quanta scivolando improvvisamente in
-basso e producendo un borro, o lavina, aveva abbattuto e invaso tutti
-i sottoposti casolari, seppellendovi sotto ben quarantacinque persone.
-Anche la villa Buttafava fu nella massima parte riempita di fango, e
-tale ne fu l’orrore della scena, che i proprietarî se ne debbono essere
-disgustati e fu detto infatti che non vi volessero più ritornare.
-
-Io visitai quel tristissimo e toccante spettacolo l’indomani e vidi
-più di un cadavere sterrarsi, più d’un orfano desolarsi, più d’un
-superstite reso quasi stupido dal dolore.
-
-Tutto il terreno franato e melmoso giaceva là; la roccia era nuda e da
-essa scendeva un rivolo d’acqua.
-
-Più avanti sull’alto vi sono i villaggi di Pognana e di Palanzo (nome
-pur greco quest’ultimo), ma deserti assai, perchè la più parte de’ loro
-abitanti emigrano mercanti girovaghi. Nulla poi offrono che chiamino
-a visitarli, se pur non interessi Premenù, che è uno dei soliti
-bacini o pozzi che su quest’Alpi si incontrano, ma non ha speciali
-particolarità.
-
-Ritraversiamo pertanto il lago e ritorniamo al sorriso della opposta
-sponda.
-
-Da Moltrasio a Torrigia non è che una serie di leggiadri palazzini.
-Disseminate per il paese vi sono case civili di villeggiatura; rasente
-il lago vi sono quelle dei signori Salterio, poi degli Invernizzi, a
-cui fa seguito la villa del barone Tarchini-Bonfanti, distintissimo
-medico milanese.
-
-Usciti appena dal primo paese, ci si offrono i due corpi di casa
-costituenti la villa della Duchessa di Piacenza, illustre dama francese
-che s’innamorò dell’Italia, o, a meglio dire, della nostra Lombardia,
-e da tanti anni divide il suo soggiorno fra Milano e il lago di Como.
-Della villa Pensiero dei conti Belgiojoso, che le vien dopo, già parlai
-nella escursione alla Cascata di Moltrasio; così passiamo a quella
-che succede, e che si denomina Rosiera: essa appartiene a Giovanni
-Casati, uno de’ migliori coreografi de’ nostri tempi, e il nome che le
-fu imposto ricorda appunto una delle più applaudite sue composizioni
-coreografiche date nel massimo teatro milanese.
-
-Un grazioso _chalet_ svizzero, ch’era prima del nobile Vitali, fu
-ceduto ai signori Pavia e continua la lunga e graziosa sequela delle
-ville. Dopo di esso sorge la Partenope, che colla vicina Minerva
-venne fabbricata dal signor Ambrogio Robiati, per condurvi il suo
-collegio d’educazione maschile che aveva in Milano, e dove largheggiò
-cospicue somme a beneficio... di chi le comperò di poi a prezzi
-d’assai inferiori. La Partenope è divenuta ora proprietà del conte
-Gamberini di Imola, che v’ampliò il giardino, abbellì la casa, tutto
-informando alle proprie comodità. La Minerva ha mutato ora nome, quello
-assumendo di villa Elena, essendo al presente posseduta dalla russa
-contessa Elena Goloubtzoff nata Pahlen, sorella di quella generosissima
-contessa Samoyloff, che per tanti anni erogò in Milano gran parte del
-suo patrimonio in beneficenze. Essa pure sta annettendovi locali e
-migliorie e vi fa erigere scuderie che mancavano, poichè da qualche
-anno la via che corre dietro alla villa fu resa carrozzabile infino a
-Torrigia.
-
-Tra la Partenope e la Minerva, l’editore e libraio Gaetano Brigola di
-Milano si fabbricò la sua graziosa Igea, e può dire che il commercio
-librario, da lui con tanta intelligenza esercitato, _hæc otia fecit_. —
-Anche l’ing. cav. Savoja vi eresse a fianco un elegante casino.
-
-Fa séguito alla Minerva la villa della signora Ostinelli-Turati,
-due nomi che ricordano due notorie case librarie, la prima di Como,
-la seconda di Milano, nella quale, come già dissi al lettore, ebbi
-ospitalità cordialissima e più d’una volta, perchè ad amici della
-tempra de’ Turati rifiutare è offesa. Vuolsene ammirare la bella e
-buona architettura del cav. Dupuy.
-
-Vien presso il paesello di Urio, a fianco del quale scorre il torrente
-Strona e una grandiosa villa che già apparteneva ai Melzi e poscia di
-padrone in padrone capitò alle mani dell’avvocato Peduzzi, che la va
-affittando, finchè capiti qualche gran signore che se ne invaghisca e
-la ristauri e perfezioni, di che ha veramente bisogno per essere detta
-fra le più interessanti del lago. Evvi anche molto terreno addetto,
-attissimo a convertirsi in bel giardino, ed ha al piede una bella
-darsena, che all’uopo basterebbe a tramutarsi essa sola in villa.
-
-Quella detta _Jenny_, che seguita, è dei signori Uboldi; quindi la
-villa Calcagnini, e dopo altre due spettanti ai signori Taroni, una
-cioè al di là della strada, l’altra di qua e respiciente il lago.
-
-Sofia Fuoco, or fa qualch’anno rinomata danzatrice, uscita dagli
-insegnamenti del Blasis, si raccolse qui a Carate in una comoda
-villetta a riposarsi sui conquistati lauri teatrali. — Quivi si
-tramutò pure da una villeggiatura suburbana di Monza, ch’ebbe cara
-finchè fu rallegrata dal sorriso dell’unica figliuoletta Giuditta,
-leggiadra, spiritosa e di sè assai promettente, il mio amico dottor G.
-B. Lampugnani; ma rapitagli questa da inesorabil morte, più non volle
-rivederla, ricercando i conforti di tanta jattura a queste amenissime
-rive. Alla consorte sua, quell’esimia artista cantante che fu Katinka
-Evers, la quale ne divideva inconsolabile il dolore, io in quel suo
-domestico lutto rivolsi questo sonetto.
-
- Alle lagrime il fren, povera afflitta,
- Lascia libero pur, che n’hai ben d’onde:
- No, non basta il saper che a più gioconde
- Regïoni volò la tua Giuditta.
- Solo t’è in cor la verità confitta
- Che tu la chiami ed ella non risponde,
- Che col tuo bacio il suo più non confonde.
- Ch’ella per sempre t’ha quaggiù relitta.
- Era sì bella, sì gentil, modesta
- E del suo spirto le virtù supreme
- Così colpian ogni persona onesta;
- Che nell’acerbo duol che il cor ti preme,
- Altra parola non so dir che questa:
- Povera madre, lagrimiamo insieme.
-
-Qui pure in Carate hanno ville il signor Rocca, che ristaurò la propria
-recentemente; il conte Alfonso Visconti, che dall’angustia dello
-spazio seppe trarre il miglior partito, e però chiamolla Ripiego ed
-ha assai leggiadra architettura; il Battaglia, il cav. dott. fisico
-Francesco Viglezzi, il Tarantola e la Ottolini, tutti accorrenti dalla
-ricca Milano; e qui la contessa Sangiuliani, presso la quale a sera
-convengono i villeggianti a conversari e danze. Al suo giardino la
-piena del lago ritolse, or fa qualch’anno, un chiosco ch’era in riva e
-che con tutto il mobiglio una bella notte scomparve, a nuova prova che
-il Lario non patisce gli si rubi terreno. Quindi si schierano in bella
-mostra le ville Lavizzari, Porro e Antongini, or passata quest’ultima
-in proprietà del nostro bravo generale Longoni, che ne abbelliva casa
-e giardino col miglior gusto, e che dopo le cure ed esercitazioni
-militari quivi
-
- _Scende_ del campo a tergere
- Il nobile sudor[16].
-
-È nello stesso paese di Carate che i fratelli Taroni hanno operoso
-cantiere per la costruzione di ogni sorta d’imbarcazione del lago:
-navi, battelli, canotti, gondole, lancie, quattrassi e sandolini, tutto
-vi si fa e con bella eleganza.
-
-E così eccoci giunti a Laglio, altro paesello montano, senza alcuna
-particolarità, come tutti gli altri che discorriamo, costituiti dalla
-chiesa e suo campanile, da casupole di pescatori e tutt’al più da una
-osteriuccia, dove si eccettui il dottor Casella, del quale avverrà
-nella prossima escursione che più intrattenga il lettore.
-
-È fuori di Laglio che fu collocato il monumento piramidale ad un
-medico, Giuseppe Franck, che, transitando sul piroscafo, ognuno crede
-possa essere di Pietro, l’illustre, il quale lasciò molte opere della
-sua scienza, ma che non è; essendo invece eretto a Giuseppe, figlio,
-autore per altro egli pure, ma di meno riputate opere di medicina: nè
-si comprende perchè abbiasi voluto funestar con quel segno funebre il
-sorriso di questa sponda.
-
-Affrettiamoci invece a esaminare la villa che succede ed è de’
-Galbiati, che ci avvicina a Torrigia, dove alla punta sporgente
-nel lago sorge la villa dei signori Cetti, alla famiglia de’ quali
-appartenne il gesuita Francesco Cetti, che a mezzo il secolo scorso
-insegnò e dettò opere lodatissime di storia naturale.
-
-Qui, in antico, forse perchè il lago restringesi, era una torre che
-diede per avventura nome al paese, _turris regia_, che aveva un faro,
-buono a dirigere a notte le imbarcazioni. Ora a notte questo tratto
-pescoso di lago è occupato dalle reti, che calate vi avvertono di loro
-presenza coll’agitarsi continuo de’ campanelli, scossi dall’onde o
-dal vento, i cui suoni scorrendo monotoni sulla superficie del lago,
-producono un singolare effetto per chi ignora che stanno a segnale de’
-pescatori.
-
-E qui fermandosi la via carrozzabile, arrestiamoci anche noi;
-rimanendoci una interessante escursione a compiere da qui, prima di
-allontanarci.
-
- [Illustrazione: Buco dell’Orso.]
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-ESCURSIONE DUODECIMA.
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-IL BUCO DELL’ORSO.
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- Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — Il
- cammino. — Il Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — Descrizione.
- — Visite di dotti. — Le scarpe di S. Pietro. — Questioni
- geologiche. — Paleontologia. — Gallerie o pozzi scoperti dopo.
- — La discesa.
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-I.
-
-Per l’escursione attuale mi risparmio la fatica d’intrattenervi del
-Buco dell’Orso con nuovo scritto: parmi ne dirà meglio quello che ne
-dettai nell’anno 1864, quando, come già feci sapere, essendo ospite ad
-Urio, consegnai nel seguente articolo le impressioni in me prodotte
-e le analoghe osservazioni. Doveano essere allora sì pochi i giorni
-che m’eran dati ai riposi autunnali, che neppure avevo fatto conto di
-procacciarmi questi nuovi e studiosi ricreamenti, a’ quali or chiamo a
-parte il lettore.
-
-Dopo le fatiche autunnali, qui venuto a ragion solo di riposo, a me
-sarebbe bastato il solo aspetto di questo tranquillo lago, sospinto
-nelle ore mattutine verso Como dall’immanchevole soffio del _Tivano_
-e nelle ore pomeridiane di colà respinto dalla _Breva_, quasi a
-giovamento delle cento vele che riconducono a’ paeselli delle riviere
-chi è corso per la mercanzia alla città; sarebbe bastata la voluttà di
-scivolarne la piana superficie sul burchio o sul canotto, mollemente
-adagiato in traccia della curiosa emozione che vi dà l’onda agitata,
-come la lasciano i piroscafi percorrenti la lunghezza del lago;
-sarebbe bastato in una parola il _dolce far niente_ che ha sì recondite
-dolcezze per chi tutto l’anno si trova nel _mare magnum_ della città,
-perchè potessi dire ottimamente impiegati i pochi giorni concessi;
-ma pure distrazione novella, impreveduta mi attendeva. Lascerò ora i
-simpatici ritrovi di parecchie ville che mi si dischiusero amicamente e
-che valsero tanto a ingannare deliziosamente le ore della sera, lunghe,
-interminabili alla campagna; lascerò le danze e le musiche da cui eran
-bandite le ricercate toalette, e piuttosto vi dirò di quella spedizione
-che feci in allegra compagnia al _Buco dell’Orso_, spedizione che
-interessa tanto il profano, quanto chi si piace di geologiche novità.
-
-
-II.
-
-A noi fu guida in questa alpestre escursione il bravo dottor Giuseppe
-Casella, medico condotto di Laglio e d’altre terre vicine.
-
-Chi sa quanti nell’udire tal nome si rammenteranno di giorni amenamente
-passati sul Lario! Perocchè il dottore Casella, colto e socievole
-quant’altri mai, è una vera fortuna per quanti passano i bei giorni
-di ottobre ne’ paesi di questo incantevole bacino: egli direbbesi il
-tratto d’unione fra l’una famiglia e l’altra, l’autore de’ progetti
-di gite e di comitive; senza lui non seguirebbero le ilari carovane
-che pellegrinano al _Piano del Tivano_; senza lui infine non avremmo
-compiuta l’ascesa al _Buco dell’Orso_.
-
-Egli aveva data la posta alle varie famiglie villeggianti ad Urio,
-Carate e Laglio per la mattina del 5 d’ottobre al paese di Torrigia:
-si diceva che le leggiadre signore, che avrebbero fatto parte della
-brigata, sarebbero venute in abito d’amazzone, perocchè i greppi su cui
-avevasi a inerpicare, le boscaglie che si dovevano transitare avrebbero
-dilaniato crinolini e gonne, e di ciò pure ci ripromettevamo spettacolo
-sollazzevole; ma di questo fummo compiutamente delusi: al mattino ci
-trovammo al convegno in una ventina soltanto, le amazzoni brillarono
-per la loro assenza: una sola non era mancata, ma il suo costume,... di
-vestiario... ah! il suo costume non era quello che avevamo vagheggiato.
-
-Il dottor Casella diè il segno della partenza e ci precedette, e noi
-ci difilammo dietro a lui. Difilammo è la parola sola che conviene,
-perocchè non appena usciti di Torrigia fosse mestieri mettersi per
-l’angusto sentiero de’ monti. Presto una viuzza di ciottoli e di
-pietruzze acuminate provò il nostro coraggio, perchè difficilmente vi
-si potesse reggere; ma vinte le prime scabrosità, si ascese liberamente
-per le mille anfrattuosità di quella montagna. E qui notiamo, poichè ne
-viene il destro, come sia questa di roccia calcarea bigia azzurrognola,
-continuazione più o meno eguale di quella che incomincia appena fuor
-di Cernobbio e si prolunga fino all’insù del lago, costituita di
-tante sovrapposizioni o grosse lastre dello spessore talvolta d’oltre
-il mezzo metro, che valgono assai opportunamente alle costruzioni,
-sostituendo la materia laterizia con moltissimo vantaggio di resistenza
-e di spesa[17]. L’ombra e la frescura vi è procurata dai frequenti
-castani isolati o da macchioni, che vedevamo da montanine e garzonetti
-flagellati per farne cadere i già maturi frutti. Fuor di costoro
-non eran rotti que’ solenni silenzi che dalla lontana campanella
-delle capre che scorazzavano per i più alti dirupi, o dalla monotona
-cantilena delle fanciulle che pascolavano su qualche altipiano le loro
-magre giovenche. A tratti noi sostavamo a ripigliar lena, ad attendere
-i più tardi e ad ammirare i maravigliosi punti prospettici che ci si
-venivano mano mano presentando. Di fronte vedevamo il villaggio di
-Careno, più su quello di Zelbio, a destra Lemna, Molina e l’orrido suo,
-a manca Nesso e la punta di Cavagnola, e quando, voltandosi alquanto
-a manca la montuosa via, noi riguardavamo in basso, scorgevamo Brienno
-e più in là Argegno, il capoluogo della Valle Intelvi, e quei paeselli
-eziandio che dal greco nome accusano quali colonie vi stanziassero un
-giorno.
-
-Una colonna di denso fumo dal mezzo del lago svolgevasi lungamente
-per l’aere e pareva come una nuvola leggiera adagiarsi sulla costiera
-che ne stava dirimpetto, e noi seguendola coll’occhio potemmo appena
-distinguere ch’essa liberavasi da uno dei battelli a vapore che in
-quell’ora drizzava la prua verso la punta di Torrigia, perocchè noi
-dovessimo essere in quell’istante a seicento metri sopra il livello del
-lago.
-
-Il mattino si faceva alto, e noi, chiedendo consiglio alla voce
-imperiosa dello stomaco nostro, ci credevamo vicini alla meta, ma
-questa pareva discostarsi ognor più: essa ci era come il fatale
-miraggio del deserto.
-
-Poi si giunse dove il monte s’addentra e si forma come un letto
-torrenziale: colà la via si faceva più scabra e il nostro attento
-duce ne faceva avvertiti che non dovessimo riguardar in basso se
-temevamo delle vertigini, perchè paresse che a noi di sotto la valle
-si sprofondasse quasi a picco. Fuvvi un tratto di strada che era tutta
-pietra brulla e alquanto declive: a noi fu però mestieri d’addoppiare
-le precauzioni; una voce sola era sorta a segnale di scoraggiamento,
-ma la parola e l’esempio d’altri vinsero quelle paure, e dieci minuti
-dopo, per un sentiero apertoci fra virgulti ed arbusti, ci trovammo
-innanzi al _Buco dell’Orso_. Il viaggio aveva durato un’ora e mezzo.
-_Italiam! Italiam!_ gridammo noi pure, che ci vedevamo giunti allo
-scopo del nostro pellegrinaggio, e in quest’inno di gioia c’entravan
-certo di molto gli acuti stimoli della fame. All’essere poetico
-preferisco l’essere veritiero.
-
-Ci sedemmo allora sui massi che sono sparsi avanti l’ingresso
-della caverna, e tratte le nostre copiose provvigioni, ci diemmo
-ad asciolvere con un appetito che meglio s’accostava alla voracità,
-mescendoci del buon vino e dell’acqua limpida e fresca che ci forniva
-una polla della caverna stessa.
-
-
-III.
-
-Poichè fummo tutti rifocillati, ci disponemmo ad entrare nella profonda
-cavità, e tutti allora accendemmo il moccolo, di che ognun di noi
-doveva esser munito a rompere le tenebre e godere delle bellezze
-naturali della natura, e dello spettacolo di che noi eravamo materia a
-noi stessi.
-
-A noi aveva il Casella saviamente consigliato di servirci di questi
-moccoli anzi che di torcie a vento o di legni resinosi, e perchè meno
-incommodi a portarsi fra quelle sassose latebre, e perchè ci avrebbero
-risparmiato d’ingoiarci l’esecrabile fumo che le altre fiaccole
-avrebbero mandato per quelle volte. Perdevamo così del pittoresco,
-ma innanzi tutto curar ne piacque il più conveniente, e pur di questo
-vogliamo essere riconoscenti all’esperto mentore nostro.
-
-Il Casella e don Baldassare Bernasconi, buon prete di Laglio della più
-eccellente pasta, che aveva voluto unirsi alla brigata, ci andavano
-innanzi rischiarando ed additando le traccie che avevamo a seguire,
-perocchè e i frequenti massi colà trascinati in antico dalle correnti
-o là sfranati dalla vôlta superiore, tutti investiti d’un’argilla umida
-e sdrucciolevole, e le filtrazioni dell’acqua che formavano rigagnoli,
-e le stalattiti della vôlta rendessero lento e pericoloso il passo.
-Dapprima avevamo trovato il suolo piano, poi s’era venuto abbassando
-con inclinazione sensibile, che ci obbligava a passare carpone per un
-angusto varco o pertugio, onde poter progredire.
-
-Come fummo giunti per entro una certa galleria più vasta, ci
-compiacemmo volgere addietro lo sguardo e riguardarci scambievolmente,
-e in verità tutti que’ venti giovani, quale in piedi, quale assiso su
-d’enorme sasso, tutti il moccolo acceso alla mano, presentavano una
-scena curiosa, strana, suscitatrice di un mondo di idee.
-
-Fu qui che il dottor Casella, a renderci più importante la gita, a
-farci comprendere tutto l’interesse che aveva preso la scienza alla
-scoperta di quella grotta che a lui primo era dovuta, ad incoraggiarci
-a percorrerla interamente, ce ne venne raccontando per filo e per segno
-quella storia, che noi procaccerem modo di riassumere sotto brevità.
-
-Era la state del 1841, quando ad esso dottor Casella, che aveva udito
-parlare della esistenza d’una grotta superiormente a Torrigia, cui
-la tradizione popolare, che la credeva antica tana di orsi, aveva
-imposto il nome di _Buco dell’Orso_, prese vaghezza di rintracciarla.
-Associatosi alcuni amici, percorse la montagna, sinchè appunto sul
-versante del monte che sovrasta a Brienno, a due terzi di esso, rivolta
-a N. N. E., la discopriva. Si presentava quella caverna quasi un ampio
-crepaccio apertosi nella roccia, alto metri 2,7, largo quattordici e
-profondo dieci, e pareva a prima giunta non dovesse aprire l’adito
-ad un lungo cammino. Sgominate le tenebre che vi regnavan perpetue
-col mezzo di faci ch’egli aveva seco recate, percorso quel tratto
-testè da me ricordato, parevagli avesse qui il suo termine l’antro
-che decoravasi di belle stalattiti e corrispondenti stalagmiti, come
-veggonsi frequenti nelle varie grotte che s’aprono nelle montagne
-che costeggiano questo lago. Se non che, piegando a destra alquanto,
-trovava quel pertugio che rivelavagli prolungarsi ulteriormente la
-caverna, e cacciatovisi animosamente dentro, si era veduto in quella
-più ampia galleria che sì pittorescamente a noi offeriva lo spettacolo
-di una processione che ritraeva del misterioso e dell’infernale,
-siccome a me rammentava il _facile descensus Averni_ di Virgilio. Le
-cristallizzazioni or bianche, or grigie, or giallognole, bizzarre e
-spesso trasparenti, venivano riflesse da quella luce con bell’effetto;
-ma nulla di più interessante erasi offerto fin là, se si eccettui un
-cupo rumorío che richiamò pur la nostra attenzione, prodotto dallo
-scorrere di una fiumana dietro le non grosse pareti a destra dell’antro
-e che in verità sgomenta, poichè sembra che agevolmente possa
-dischiudersi un varco e irrompere ad allagar lo speco. Questa recondita
-corrente viene a gittarsi in un lago, che vietò la prima volta al
-Casella, ed a’ suoi compagni, come lo contese anche a noi, di andar più
-oltre. Dalla bocca dell’antro a questo speco la lunghezza è di passi
-370 o metri duecento.
-
-
-IV.
-
-Da quel dì il _Buco dell’Orso_ fu scopo a frequenti pellegrinaggi
-del dott. Casella, e quando nel settembre 1850 vi ritornò con don
-Vincenzo Barelli, proposto allora di Laglio, e con altri suoi amici,
-il caso lo favorì, poichè, avendo messo allo scoperto un frammento
-di costola uscente da quell’intonaco argilloso, lui e il Barelli
-consigliava a tentare altre escavazioni, che procacciarono infatti
-alcuni denti smisurati ed altre ossa gigantesche, che si ravvisarono
-come appartenenti ad animali, la cui specie ora più non esiste. Qualche
-tempo dopo il Casella vi scopriva un immane cranio, e questo, come
-le ossa già scoperte, veniva riconosciuto essere stato di orso, che
-Blumenbach e i naturalisti designano col nome di _Ursus Spæleus_.
-Queste spoglie petrefatte vennero dal Casella donate al civico Museo di
-Milano, dove, per la rarità di esse, il cranio venne formato in gesso
-ed inviato ad altri gabinetti di scienze naturali: tutte poi coordinate
-valsero alla ricomposizione d’uno scheletro che è di un grande
-interesse per la paleontologia.
-
-La curiosità nel Casella e nel prete Barelli di ulteriori indagini
-crebbe allora ognor più, e trasportatevi due navicelle, o _scarpe di
-S. Pietro_, come si chiamano quelle imbarcazioni da quei del lago[18],
-poterono navigare tre laghetti, l’ultimo de’ quali, lungo circa
-cinquanta braccia, non fu possibile percorrerlo tutto quanto, perchè la
-vôlta vien così declinandosi al pelo dell’acqua che l’imbarcazione non
-vi può passare. La lunghezza quindi accessibile si valuta a trecento
-metri.
-
-Dopo Casella e Barelli la curiosità dei dotti fu vivamente eccitata,
-e da allora trassero a visitar il _Buco dell’Orso_ e il dottor Emilio
-Cornalia, che ne lasciò un’accurata descrizione già per noi citata,
-e l’abate Antonio Stoppani, che vi consacrò pure una parte nella
-sua _Paleontologia Lombarda_, a cui rimandiamo il lettore per le più
-proprie informazioni della scienza, e il dott. Giovanni Omboni, e il
-prof. F. De Filippi, e il professor L. Patellani, e i fratelli Villa.
-A complemento anzi di questo scritto, io verrò spiccando alle memorie
-del Cornalia quel tanto che giovi a somministrare più esatte quelle
-notizie che hanno più stretta attinenza colla scienza, e così io pure
-avrò agevolato il cómpito che mi sono proposto, e il lettore vi avrà di
-certo guadagnato, più che con una semplice e inconcludente narrazione.
-Riferirò ciò che riguarda alle condizioni del suolo ed alle cause che
-produssero l’agglomeramento delle ossa fossili discoperte: le sole
-indagini, credo io, che interessi di istituire in argomento.
-
-
-V.
-
-“Giunti al punto di maggior declivio, scrive adunque il dottor
-Cornalia, il suolo comincia a rialzarsi tutto coperto di massi
-accatastati l’uno sull’altro. È tra questi giganteschi, ma ancor mal
-fermi macigni, che bisogna avanzarsi. Qui pure cominciano i depositi
-di argilla alternantisi con croste stalattitiche e strati di sabbie
-e ghiaie; le quali stratificazioni solo nelle parti più interne si
-mostrano con ordine disposte, lasciando là prendere precisa idea
-de’ loro rapporti. Altrove o l’uno o l’altro degli strati manca,
-il fossilifero rimanendo il più costante. Le pareti dello speco e i
-massi più voluminosi che ne ingombrano il suolo mostrano le striature
-che le correnti rovinose e trascinanti ciottoli sogliono imprimere
-alla superficie delle roccie che ne sopportano e frenano gli urti. Al
-di sopra di questi massi, e lungo tutti i fianchi della grotta, una
-crosta stalattitica vela agli occhi dell’osservatore la natura del
-terreno; la qual crosta in alcuni luoghi arriva alla grossezza di 0.08
-e più. Spaccata, mostra una serie di zone o strati d’un bell’alabastro
-cristallizzato a varî colori, traccie delle successive deposizioni.
-
-„Più s’interna il torrente, di cui prima s’udiva solo il fragore tra
-i sassi profondo, e più comparisce alla superficie aggirandosi per un
-piano leggermente declive. — Di là poco un lago di qualche estensione
-occupa tutto il fondo che solo con un istrumento adattato alle angustie
-del luogo si può traghettare. A nuoto non vi si regge: l’acqua non ha
-più di 7 gr. R.[19].
-
-„.... Fra la prima raccolta d’acqua e la seconda esistono, come io
-prevedeva, altre argille che bisognerà smuovere con regolari scavi... È
-nelle vicinanze del primo lago, ove non è necessaria una istraordinaria
-innondazione affinchè il livello delle acque s’elevi molto e
-v’abbandonino i loro depositi, che si osserva il maggiore numero di
-strati.
-
-„Superiore a tutti si ha uno strato di ghiaia, mista a sabbia
-nereggiante. I ciottoli sono in parte della calcarea che forma il
-monte, in parte di roccie d’altra natura. Questa sabbia si vede solo
-in siti limitati. È dovuta certamente alle ultime innondazioni che
-saranno state le più parziali. — Al di sotto delle ghiaie (ed ove
-queste non esistono, direttamente allo scoperto) si trova la prima
-crosta stalagmitica che s’estende quasi uniformemente da per tutto.
-Dopo il deposito calcareo havvi uno strato considerevole di un’argilla
-cinericcia d’una purezza e d’una finezza straordinaria. È compenetrata
-da molta umidità, sicchè lasciasi facilmente tagliare con una lamina
-da coltello e si spoglia in straterelli orizzontali esilissimi e
-paralleli. È si tenace da parere elastica, e non contiene nè sabbie,
-nè ciottoli, nè avanzi organici; questo deposito arriva anche a un
-metro di potenza, e lui oltrepassato si trova un’altra argilla di color
-bruno. Questo strato è piccolo (0^m 1) e di poca importanza mancando in
-più luoghi. L’un deposito però è sempre assai distinto dall’altro. Ove
-l’argilla cinerea manca, la bruna è coperta direttamente dalla crosta
-calcarea. Lo strato che più di tutto deve attirare la nostra attenzione
-è il sottoposto fossilifero. Consta di un’argilla tutta distinta,
-grossolana, mista a del tritume calcareo; il suo colore è il gialliccio
-per ossido ferrico; la sua durezza varia, in alcune parti già compatta
-passando ad una marna in attualità di formazione. Questo strato
-contiene dei ciottoli, taluni anche voluminosi, arrotondati, per lo più
-ellittici e deposti col loro piano massimo orizzontale. Questi noduli
-non appartengono tutti al calcare bituminoso della montagna, ma altresì
-a roccia di diversa natura, e vanno misti a frammenti di stalattiti.
-L’argilla gialla costituisce uno strato di circa 0^m 4 di spessore, ed
-è in essa che si rinviene la massima parte delle ossa. Continuando gli
-scavi, dopo questo strato si trova un’altra crosta stalagmitica simile
-per natura e potenza alla prima, sotto la quale si ripete un’argilla
-eguale alla fossilifera e che del pari contiene ossa sebbene in minore
-abbondanza. È però più compatta, come più anteriore; ed i fossili sono
-maggiormente petrificati. La potenza di questo strato non la conosco;
-poggiando direttamente sul masso, varierà secondo i luoghi. Nuovi siti
-tentati potranno in avvenire fornire differenti cifre per la potenza di
-questi strati; dipendendo questi dagli accidenti del suolo.
-
-„La natura e i rapporti di questi strati ci chiariscono
-sufficientemente del modo con cui si depositarono e delle cause che li
-produssero. Una corrente alquanto forte, e quale appunto sarà stata la
-più antica, fu quella che depose l’argilla ocracea. Lo provano la sua
-estensione, i ciottoli che contiene, le grosse ossa cilindriche che
-travolse. Gli altri strati indicano correnti più miti, che durarono
-però più tempo; infatti sono più limitati in estensione e composti di
-finissimo limo esenti di ciottoli e di ghiaie.
-
-„Questi depositi poi occuparono lungo spazio di tempo a formarsi e
-furono separati da lunghi intervalli, come ne sono prova i ripetuti
-e grossi strati stalagmitici interposti. La corrente attuale è del
-certo un tenue avanzo di quelli, cui gli strati descritti devono la
-loro esistenza, e che altre volte avrà sempre o assai di frequente
-occupato tutto il lume della caverna. Che se anche attualmente le acque
-venissero a crescere a dismisura e la crepa già esistente non bastasse
-ad inghiottire quelle che a metà della caverna si inabissano, esse,
-occupato tutto il primo basso fondo, si alzerebbero a segno di livello
-da uscire dall’apertura attuale della grotta.
-
-„Nel vedere questa successione di strati tanto simili a quelle
-descritte per le caverne ossifere di Francia, di Germania, di Ungheria,
-ecc. ecc., ricorre subito alla mente la possibilità della presenza di
-ossa fossili. Queste che io rinvenni, e delle quali sotto il rapporto
-paleontologico parlerò poi, hanno nel _Buco dell’Orso_ due modi
-distinti di giacitura, che però accennano ad una medesima causa: le
-correnti.
-
-„L’uno di essi già indicai per incidenza: la giacitura cioè nel
-deposito dell’argilla giallastra inferiore alle prime due. È sulla fine
-di questo strato che esse si depositarono, ed anzi molte giacciono alla
-sua superficie tra l’argilla gialla e la bruna. Alcune anzi trovansi
-già in quest’ultima, e il colore bigio che assunsero indica la loro
-giacitura.
-
-„Anche la seconda argilla, quella che giace al di sotto della più
-antica crosta stalattitica, contiene questo avanzo organico, ma in
-minor copia: una sola mezza mascella inferiore e qualche osso della
-gamba (genere _Ursus_) io vi trovai in tutto fino ad ora. Questi pezzi
-sono più che gli altri alterati.
-
-„Le ossa robuste e solide sono le più numerose; le più fragili
-andarono quasi tutte perdute. Sebbene anche delle prime alcune siano
-abbondantissime, altre invece rare assai. Così, per esempio, mentre
-che raccolsi molte ossa del carpo e del tarso, e falangi (persin le
-unghiali), e piccoli molari, trovai appena una vertebra caudale e
-qualche incisivo. Forse perchè queste parti assai facili a staccarsi
-dal restante scheletro vennero dalle prime correnti in altre direzioni
-trascinate e altrove deposte. Una prova che queste ossa debbono
-la loro attuale giacitura alle correnti, la trovo in ciò che la
-maggior parte si ricetta nei piccoli seni che formano le rientranti
-e sporgenti pareti della grotta, e che rimangono per opera de’ massi
-difesi dall’impetuosa corrente. Ivi l’acqua, perdendo di sua forza e
-diffondendosi più tranquilla, potè deporre le ossa fin là travolte. Un
-altro modo di trovarsi le ossa nel _Buco dell’Orso_ merita attenzione,
-giacchè spiega l’origine d’una natura particolare di roccie: impasto
-di ossami, di frantumi calcari e di marne da tempo celebri lungo le
-rive del Mediterraneo, intendo dire delle _breccie ossifere_. Su quei
-grossi macigni che dissi occupare per lungo tratto e molto spessore il
-suolo della caverna, l’acqua attualmente non scorre o scorrerà solo
-nelle epoche di massima innondazione, mentre che in tempi più remoti
-facilmente avrà raggiunto quel livello e vi avrà sopra trascinate le
-sostanze che travolgeva. Ma le ossa, e le voluminose di preferenza, e
-i grossi tritumi di roccia, percorsi alcuni dei meati esistenti tra i
-massi, vi si impegnarono e valsero anzi ad arrestare alla lor volta le
-sorvegnenti materie che tenevano la medesima via. Il limo, le sabbie
-sottili, ecc. passaron oltre per quella specie di filtro. Queste ossa
-così non restarono circondate dall’argilla che invase le altre. Che se
-però andarono prive d’una materia meccanicamente deposta, valsero ad
-attirare e trattenere chimicamente le particelle di carbonato calcare
-che le acque del torrente o stillanti contenevano, e di esse se ne
-fecero involucro e cemento. Io stesso, non senza fatica, introducendo
-delle picche tra gli interstizi dei macigni, riuscii a staccare molte
-ossa disordinatamente aggruppate e cementate da un calcare grossolano e
-cavernoso. Così ha origine una breccia, alla cui formazione noi siamo
-contemporanei e presenti, simile alle descritte da Cuvier[20] e da
-altri. — Così anche questo modo di trovarsi delle ossa è spiegato dalle
-correnti. Le quali sono provate altresì dalla mancanza di coproliti,
-dalla mancanza di quello strato di terra nera, bituminosa, comune in
-altre grotte e che s’attribuisce allo sfasciamento delle parti molli
-dell’animale; finalmente dalla mancanza delle ossa di animali che
-avrebbero potuto servire di cibo a quei primi feroci abitatori della
-caverna[21].„
-
-
-VI.
-
-Il dottor Casella portò diversa opinione da quella del Cornalia circa
-alla causa di queste ossa riunite, ritrovate da quest’ultimo nelle
-correnti, e noi, riferendola, pensiamo poter egli alla sua volta avere
-ragioni forse maggiori di probabilità. Crede egli adunque che queste
-ossa possano aver appartenuto ad animali antidiluviani, giacchè per la
-loro mostruosa grandezza appartengono a specie ora affatto perduta. Su
-di che io penso non esservi controversia, ed anzi nell’opera di Figuier
-_La Terre avant le déluge_, parlando appunto dell’_Ursus Spæleus_,
-reca la descrizione e il disegno del cranio di tal animale scoperto
-dal Casella, regalato al Museo Civico di Milano, e da questo, come
-già avvertimmo, distribuito in esemplari di gesso a varî gabinetti
-di scienze naturali, come lo riprodusse istessamente nella sua
-_Paleontologia_ l’abate Antonio Stoppani. A quell’epoca tali animali
-avranno per molte generazioni trovato rifugio in questa caverna, e
-successivamente in essa terminata la loro esistenza o per vecchiaia,
-o per alluvione, o per qualunque altra causa dipendente dai grandi
-sconvolgimenti geologici. Queste congetture non torrebbero egualmente
-che le correnti, introdottesi poscia nella caverna, abbiano ravvolte
-quelle ossa di que’ sedimenti che valsero o alla loro fossilizzazione,
-od a determinare quelle condizioni nelle quali si rinvennero a’ dì
-nostri. E mi pare ancor più probabile una tale supposizione in quanto
-mi sembri assai arduo l’immaginare che le correnti intime del monte
-possano avere trascinate le ossa intatte e giganti, quali si videro
-alcune di esse. L’ipotesi del dottor Cornalia ci obbligherebbe inoltre
-a premettere l’esistenza di un’altra località, da dove le correnti
-abbian potuto impodestarsi di quelle ossa per poi qui trascinarle;
-mentre la capacità di questa tana porge maggior argomento a credere
-che servisse prima a ricovero di orsi, come gli abitatori di questi
-monti per tradizione ne ebbero sempre credenza, se l’appellarono
-il _Buco dell’Orso_, assai prima che il dottor Casella discoprisse
-le ossa e queste si riconoscessero della specie _Ursus_, anzi da
-tempo immemoriale. Il qual argomento della tradizione deve essere di
-importantissima significazione in questa tesi.
-
-
-VII.
-
-Il medesimo dottor Cornalia, in questo lodato suo studio intorno ad
-_Alcune caverne ossifere dei monti del lago di Como_, ne dedusse le
-seguenti conclusioni, che è prezzo dell’opera il trascrivere, perchè
-speciali nella massima parte al _Buco dell’Orso_ di cui parliamo.
-
-1.º Anche in Lombardia esistono caverne ossifere identiche a quelle di
-Germania, Francia, Inghilterra. Anche fra noi è la calcarea giurese che
-le offre.
-
-2.º Le grotte di questi monti, appendici ad una catena delle nostre
-Prealpi (catena Ceresia), riconoscono forse una sola epoca e una sola
-causa: l’emersione delle roccie che rialzarono e sconvolsero il calcare
-bigio.
-
-3.º Gli strati che si depositarono nelle caverne spettano o all’epoca
-_quadernaria_, o all’epoca _attuale_.
-
-4.º I fossili del _Buco dell’Orso_ (quadernari) vi furono strascinati
-dalle correnti. Lo strato dei fossili, il sito profondo assai ove si
-rinvengono (continuamente umido e tenebroso), la mancanza di molte
-circostanze fanno preferire quest’opinione all’altra che ammette aver
-quegli animali vissuto là entro; — opinione che si adatta assai più ai
-depositi moderni delle altre grotte.
-
-5.º I varî depositi richiesero molto tempo a formarsi. La loro
-potenza, l’alternanza colle croste stalagmitiche, lo stato vario di
-fossilizzazione delle ossa in rapporto colla profondità lo provano.
-
-6.º Le ossa trovate spettano quali a specie ancora viventi tra noi,
-quali a specie perdute, e quali finalmente ad animali che ora vivono
-solo in paese più meridionale.
-
-
-VIII.
-
-In quanto a me, pellegrino recente al _Buco dell’Orso_, pago degli
-studî per altri fatti, mi bastava di constatarli, ma arrestandomi
-però sulla sponda del primo lago, perchè non avevo avvertito dapprima
-tampoco alla probabilità di tragittare quelle acque interne, e però
-non avevo provveduto le opportune imbarcazioni. Quivi nella parete
-friabile incidemmo io e i miei compagni i nostri nomi, espressione di
-quella contentezza che ci aveva dato la longanimità di avventurarci
-per quelle cavità tenebrose ed aspre. Seduti poscia su questi umidi
-massi ad asciugarci il sudore della fronte che ci gocciava, prodotto
-dal trascinarci a fatica collo stomaco pieno, e rimasti colà alquanto,
-ripigliammo poscia la processione del ritorno. Qualche moccolo veniva
-già meno, sollecitammo quindi i passi rifacendo il cammino percorso.
-
-E fu nel ritorno, a distanza di forse sessanta a settanta metri
-dell’uscita, che il buon prete Bernasconi mi faceva accorto della
-esistenza di un pozzo od apertura, per la quale si poteva calare in una
-galleria, sottoposta a quella che percorrevamo e dentro cui mostravasi
-pronto a calare, quando noi ne avessimo esternato il desiderio, siccome
-quegli che già vi fosse altre volte disceso, ciò che per altro non
-volemmo, accontentandoci di quegli schiarimenti ch’egli e il Casella
-ci fornirono. Io mi intratterrò alcun poco di questo pozzo, da che
-le precedenti relazioni del _Buco dell’Orso_ non ne abbiano fatto
-ancora parola e da che potrebbe valere d’argomento ad altre indagini e
-discussioni geologiche. La discesa adunque è di circa quindici metri,
-e la galleria alla quale si riesce ne percorre circa quaranta, sempre
-nel senso stesso della lunghezza della galleria superiore verso N. N.
-E., e sempre a massi e piano ineguali, come è superiormente. Quasi
-in corrispondenza a questo pozzo se ne vede un altro nella galleria
-sottoposta, per il quale si cala ad una terza galleria, scendendovi per
-circa altri venti metri. In questa non è calato ancora alcuno, perchè
-presenta per avventura pericolo di franamento, nè sarebbe prudente
-l’esporsi a vedersi chiusa l’uscita e impossibilitato il ritorno.
-Converrebbe all’occorrenza prendere le maggiori precauzioni ed essere
-assistiti da più. Tuttavia nel fondo della terza inferiore galleria
-sentesi il mugghio delle correnti ancor più forte che non nella prima
-o superiore. Forse è la corrente stessa della galleria superiore che
-viene a scaricarsi e che forse esce da quelle latébre pel versante
-del monte e alimenta l’acqua o fonte detta il _Vermocane_, che serve a
-mettere in movimento il mulino che è di poco sopra Brienno.
-
-Nella galleria intermedia si trovarono e vi sono pure altre ossa della
-stessa specie che nella superiore, con questo solo divario che quelle
-della galleria superiore sonosi trovate intatte, perchè ravvolte
-nelle stratificazioni argillose che le hanno preservate dal contatto
-dell’aria, e quelle invece della galleria intermedia si veggono parte
-in istato di decomposizione, o tarlate, perchè non vennero ricoperte
-da veruno strato. Io ho avuto nelle mani ed esaminate e le une e
-le altre, come si conservano dal dottor Casella, e credetti nella
-predetta mia osservazione di ravvisare un’induzione di più che avvalora
-l’ipotesi del Casella, anzi che quella del Cornalia; perocchè se il
-rinvenirsi di tali ossa fosse l’effetto esclusivo delle correnti, tutte
-indistintamente le ossa sarebbersi ritrovate involute dai sedimenti
-argillosi: mentre invece è lecito di inferire che i petrefatti della
-galleria superiore saranno stati ricoperti da tali strati per i
-depositi che vi avranno fatto le correnti, e quelli della galleria
-intermedia, immuni dal passaggio di esse, saranno rimasti nello stato
-primitivo, dove cioè saranno morti gli orsi che in quella caverna
-debbono necessariamente un tempo aver avuto ricovero.
-
-Come poi queste gallerie inferiori siensi formate, io credo di spiegare
-dicendo, che tutte le probabilità conducono a ritenere che prima non
-fosse che una sola ed ampia caverna, che poi per la caduta di massi
-dalla vôlta siansi venute facendo; perocchè percorrerebbero esse
-nell’egual senso della galleria superiore quasi la medesima lunghezza.
-
-Siccome recentissima sia la scoperta di questi altri due pozzi, così
-chiamar io reputo su di essi l’attenzione dei nostri geologi e massime
-del Cornalia, dello Stoppani e dell’Omboni, i quali forse da una
-novella loro visita al _Buco dell’Orso_ potrebbero trarre materia a
-nuovi studî non infecondi di buoni risultamenti per la geologia.
-
-
-IX.
-
-Finalmente, dopo un’ora che eravamo rimasti nell’antro, lieti, ma
-inzaccherati e molli degli stillicidi che non avevamo potuto evitare e
-de’ rigagnoli nei quali il piede non aveva fatto a meno di scivolare,
-via gettando la stearica che tuttavia ardeva,
-
- Uscimmo quindi a riveder le stelle....
-
-come direbbe Dante, o a meglio esser precisi, a riveder il più limpido
-sole, il quale era ormai giunto al meriggio.
-
-Allora riconoscemmo qualche disertore della nostra brigatella che, dati
-pochi passi appena nella oscurità della caverna, era tosto ritornato
-addietro; scambiata qualche celia e riposatici ancora alquanto,
-ripigliammo il primitivo sentiero.
-
-La discesa a Torrigia fu naturalmente più presta che non era stata la
-faticosa salita, e consolata alla pendice del monte dalla apparizione
-della leggiadra fanciulla del dottor Casella che ne veniva incontro a
-scusare la non involontaria mancanza alla gita.
-
-Se rivolgendo indietro lo sguardo alla asperità della via, ai disagi
-del camminare fra i dirupati meandri della caverna dell’Orso, io
-posso essere indotto a dire che non vi tornerei una seconda volta, per
-l’adipe che un cotal poco mi si è messa intorno ad accusare l’età che
-avanza a gran passi, è altresì indubitabile che io, che tutti che mi
-furono compagni in quella gita, conchiudemmo sinceramente assicurando
-d’essere lietissimi d’averla fatta.
-
-Ma prima di chiudere la presente escursione, mi sento in debito di
-porgere le mie scuse a quelle cortesi leggitrici che ho per avventura
-fatto sbadigliare, loro tenendo un linguaggio arido e tutto di scienza,
-esse che si attendevano amenità di racconto. Ma che farci? Il libro
-è fatto per tutti i lettori, massime se il libro è del genere del
-mio; epperò molteplici e svariatissimi i gusti, e nell’_olla potrida_
-degli argomenti non doveva dimenticare i palati dei geologi e dei
-naturalisti. D’altronde fra le molte caverne che ho già avvertito su
-questi monti, mi verrà perdonato se almeno scientificamente trattando
-di una, avrò chiarito la natura, assai somigliante, delle altre.
-
- [Illustrazione: Piano del Tivano.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMATERZA.
-
-IL PIANO DEL TIVANO.
-
- La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della Masera.
- — Nesso. — Erno, Veleso, Gerbio. — Il Piano del Tivano.
- — La brigata del Pian d’Erba. — Il Buco della Nicolina. —
- Vallombria. — Il palazzo di Andefleda. — La marcia della
- partenza.
-
-
-Se si piglia il piroscafo che vien da Como, allorquando in faccia ad
-Argegno la campanella suona e l’impiegato grida — Argegno e Cavagnola
-— voi, se volete visitare il _Piano del Tivano_, è qui che dovete
-scendere, purchè non prenda capriccio all’Amministrazione di far sosta
-a Nesso, come accade in qualche stagione, perchè allora è a Nesso che
-converrà smontare.
-
-Ma d’ordinario la gita al Piano del Tivano non è che l’effetto
-di amichevoli concerti e spesso ben anco accada che l’andarvi sia
-combinato da amici che villeggino lungo il lago di Como e da amici che
-villeggino nel versante opposto del Tivano, cioè nel _Pian d’Erba_. Il
-convegno allora è più allegro e il lettore che mi segue lo vedrà.
-
-Ad ogni modo, se a questo convegno egli giunga col mezzo del vapore
-che vien da Como e ne smonti alla Cavagnola, non lasci di visitarne la
-modesta osteria: vi beverà buon vino; se no da un pozzo che è nella
-cantina ne faccia trarre acqua che troverà freschissima, come in
-nessun’altra parte del lago.
-
-Da Cavagnola, retrocedendo per un sentiero praticato fra’ boschi,
-giungerà a Nesso, punto di convegno della brigata che sale al Tivano;
-ma se non è giunta ancora e vuol visitare più giù qualche terra fino
-ai limiti di Pognana, che ho mentovato già con Palanzo e Lemna, oltre
-Nesso troverà un piccol gruppo di case, poi a egual distanza Careno,
-e a egual distanza ancora Quarsano. Ma importanza tutti questi luoghi
-non hanno, ove eccettui la _Grotta della Masera_ sopra Careno, che può
-essere altro punto di passeggiata per chi brama di variare. Ma questa
-grotta non ha nè ossa fossili, come il _Buco dell’Orso_ che abbiamo non
-ha guari visitato, e neppur ossa d’animali dell’epoca nostra, come il
-_Pertugio della Volpe_ che abbiamo visto del pari: tutt’al più alcune
-ammoniti che interessano il geologo. Nondimeno ha la particolarità
-di un lago e fa veramente piacere su in alto la scoperta d’un capace
-bacino d’acqua; qui esso si sprofonda per un cammino di un quarto d’ora
-ed ha per fine una voragine.
-
-Ma ritorniam presto sui nostri passi, onde non farci aspettare da
-coloro che ci attendono a Nesso.
-
-E Nesso, rimpetto a tutti i paeselli che ho testè nominati, è
-grossa borgata e si distende per tre fila di case sulla montagna con
-bell’effetto per chi la riguarda dal lago: il torrente vi passa per
-mezzo con fragore che s’ode anche lontano. Que’ del paese vogliono
-che la loro chiesa prepositurale sia stata fondata da Sant’Ermagora: i
-passeggeri invece, e massime quelli che dai piroscafi osservano Nesso,
-ricordano che Gian Battista Bazzoni, morto in età assai provetta e
-dell’amicizia del quale mi onoravo, come ne son ricordevole del cuore,
-che aveva al par dell’ingegno eccellente, lo illustrò col suo _Falco
-della Rupe_, romanzo, che forse quarant’anni fa ebbe la propria voga,
-nè vuol essere ancora dimenticato.
-
-Ma raccoltici tutti in Nesso, acceleriamo i passi alla volta del Piano
-del Tivano. Pigli chi vuole la sua cavalcatura e su e su.
-
-Si arriva dapprima ad Erno, quindi a Veleso, poscia a Gerbio: il
-divertimento della salita è indescrivibile. Noi ci facciamo spettacolo
-di noi stessi; la lunga fila della carovana, or si vede spuntar da
-un greppo, or interrompersi, or riapparire. Quando è un cappellino
-da signora che domina, quando è un gruppo di amici; io resto ultimo,
-poichè mi piaccia godere dell’effetto curioso. Poi si intendono parole
-interrotte che pervengono da chi è in capo della fila, poi più spiccate
-di chi segue, poi un grido di chi incespica, uno scroscio di risa, un
-commento, uno scherzo: è un assieme lieto, piacevole, artistico.
-
-Il Tivano, per chi nol sa, è un’alta montagna che si eleva tra la
-Valassina ed il lago di Como: ecco perchè i villeggianti del Pian
-d’Erba si dan la posta con quelli del lago per ritrovarsi tutti in cima
-al monte e vi traggono, mettendosi per la via che, oltrepassato Canzo,
-Asso e Lasnigo, s’inoltra appunto per la Valassina.
-
-Sulla vetta è una grande spianata erbosa a 1280 metri sul livello del
-mare, ed è questa che si designa col nome di _Piano dei Tivano_.
-
-I nostri contadini ci hanno preceduto colle gerla piene del pranzo;
-hanno disposto il luogo dove assiderci: ma que’ del pian d’Erba sono
-essi arrivati? Attendiamoli e intanto racconciamo le nostre toalette
-scomposte dalla disagiata cavalcatura.
-
-La piccola banda musicale seco noi venuta apre a un tratto i suoi
-concerti; sono gli amici che giungono trafelanti dalla Valassina,
-che si son visti spuntare dall’ultimo anfratto, e la musica nostra li
-annunzia.
-
-Allora saluti, strette di mano, baci fra donne, discorsi, complimenti,
-pettegolezzi narrati e scambiati: in cinque minuti que’ del Pian d’Erba
-han narrato a que’ del lago le storielle tutte del mercato di Lecco, di
-quello di Incino, gli episodî erotici, i _cancans_ d’ogni villa; e di
-ricambio hanno fatto altrettanto que’ del lago con essi.
-
-Ma l’appetito ne reclama. Per un po’ si tace, intenti tutti a
-smascellare; poi si ripiglia il chiaccherio, si fa anzi, maggiore,
-a seconda che i fiaschi di buon vino si vuotano. Levate le mense
-improvvisate, incominciano le danze sull’erboso piano e le due brigate
-qui convenute si mescono a vivaci polcke, a più concitati valzer, a più
-vorticose galoppe.
-
-Ma anche questa vetta ha le sue curiosità per chi la sale e cerca
-di più utile che il ballare sulle ineguali zolle. Il naturalista vi
-ravvisa le torbe miste a enormi larici ed a petrolio, e conviene che
-l’altipiano potesse un giorno, come fu scritto, essere stato un lago:
-i curiosi corrono a vedere il _Buco della Nicolina_, che è una grande
-grotta, come le tante altre che ho diggià ricordate. Quando è stata
-assai piovosa la stagione, vi si vedono le acque che vi sono dentro
-scolate; ma deve essere ben profonda, se nessuno n’ha saputo trovare il
-fine.
-
-Un miglio infatti a distanza di questo Piano del Tivano e ad ostro del
-medesimo, è un’altra pianura circondata da scoscesi monti, che solo si
-vede in tempo d’estate abitata da’ pastori colle mandre numerose; essa
-appellasi Vallombria. Ora in una di quelle montagne si riscontra una
-forte e profonda spaccatura, per la quale vien detto che un dì essendo
-penetrato un cane, vi sarebbe poscia uscito per il Buco della Nicolina.
-
-Se mi chiedete poi se anco quassù si piaccia la tradizione di voler
-favoleggiare; anche quassù, vi risponderei. Perocchè senza darvi ragion
-di sorta, gli alpigiani vi narrino seriamente come vi fosse _ai tempi
-antichi_ fabbricato un gran palazzo abitato da Andefleda, moglie del
-goto re Teodorico. Qualche cialtrone si sarà divertito alle spalle di
-questa buona gente, dandole a bere questa fiaba, e la poco spiritosa
-giunteria trovò presa in quegli animi semplici e per essi si è fatta
-pretta e indiscutibile storia.
-
-Ma l’aura imbruna; il cammino che ci resta a scendere vuol più ore:
-rifocillati e rinnovati di forze, salutiamo gli amici dell’opposto
-versante e disponiamoci a partire.
-
-La marcia della partenza suona, le resinose torcie a vento ardono
-e si squassano; i lampioni si accendono e ne dan nuovo e inatteso
-spettacolo; succede un bisbiglio di voci che si salutano, baci che
-scoccano, addii che si vanno ripetendo e allontanando delle due
-comitive e che gli echi ripercuotono, la canzone si intuona da una
-parte e dall’altra per gli opposti versanti, la secondano tutti, e
-allegramente si riprendono i sentieri che ci tornano a Nesso, dove i
-nostri barcaiuoli ne attendono per ricondurci alle nostre ville.
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMAQUARTA.
-
-LA VALL’INTELVI.
-
- Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — Sua
- parte nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta
- del 1806. — Cospirazione del 1833. — Insurrezione nel 1848. —
- Andrea Brenta. — I cospiratori del 1854. — L’insurrezione e i
- volontarî del 1859.
-
-
-Vale davvero consacrare una buona giornata a percorrere questa
-alpestre, ma bella e simpatica parte del territorio comasco.
-
-Noi proseguendo il cammino nostro da Torrigia, lungo la sinistra
-sponda del lago, per certo tratto di riva non rinveniamo più nè ville,
-nè case; le prime che rompono la monotonia di quelle roccie, non più
-così fiorenti e verdeggianti, come quelle che abbiamo lasciate, sono
-i casolari del montuoso Brienno. Quivi furono trovate iscrizioni
-romane, di cui una rammenta un Archigene, dal quale si vuol derivata
-la denominazione del non discosto paese di Argegno e ne lo si dà per
-fondatore. Null’altro offre che valga ricordare.
-
-È da Argegno che si entra in Vall’Intelvi per due vie; l’una sulla
-sinistra del torrente Telo che va a Sant’Anna e Schignano; l’altra
-sulla destra, per la quale ponno ascendere carri, e riesce a San
-Sisino, a Castiglione e a San Fedele, e da cui si può andare a Lugano:
-ambe poi belle di alpestri bellezze.
-
-È dall’ultima via che si accede al Calvagione, o monte Gionaro, che è
-quello che conosciamo già col nome di Generoso.
-
-Tutta la Vall’Intelvi è bella di prospetti, di naturali bellezze,
-di vegetazione; essa è anche interessante per gli episodî delle sue
-sommosse, che attestano i suoi abitatori animosi e teneri di libertà.
-
-Vollero alcuni derivato il suo nome dall’intelligenza de’ suoi figli,
-quasi Val d’Intelletto; ma chi nelle carte dell’ottavo secolo la trovò
-indicata col nome di _Intellavi_, la volle parola corrotta da _Inter
-lacus_, sorgendo essa difatti fra il Lario ed il Ceresio.
-
-Nella guerra decenne, incominciata col 1118 ed ultimata il 1127
-fra Milano e Como, e nella quale le terre del Lario si scissero
-parteggiando per quella o per questa città, questi alpigiani furono
-utilissimi difensori di Como, e poscia, al tempo della dominazione
-spagnuola, divennero le loro terre feudo dei Marliani.
-
-Bartolomeo Passerini, curato di Ramponio, terra della Vall’Intelvi, nel
-1806, indegnato che Napoleone tradisse la libertà facendosi imperatore,
-alzò il vessillo della ribellione: lo seguirono gli altri curati di
-Dizasco e Cerano e seco loro trassero altri generosi; ma privi di
-armi e d’ogni altro mezzo, pochi gendarmi bastarono a disperderne il
-manipolo: e carcerati tutti, decapitati i capi, gli altri, dopo breve
-carcere, rimisero in libertà.
-
-Di sè non diè a parlare la Vall’Intelvi se non nel 1833, quando essa
-ruminando una sollevazione ad ajutar la Giovine Italia, il governo
-Austriaco vi mandò il commissario Piccinini ad arrestare un Piazzoli,
-che si dava per l’anima della cospirazione in quella parte; ma una
-fucilata stese morto il commissario, il Piazzoli riparò in Isvizzera e
-ogni cosa fu ultimata.
-
-A maggiori avvenimenti fu teatro invece negli anni 1848 e 1859, quando
-la causa dell’italiana indipendenza fu intrapresa seriamente; ma a
-narrarli mi valgo di quanto ne scrisse Gaetano Ferrabini e stampò a
-beneficio della famiglia di Andrea Brenta, perocchè per essere il
-Ferrabini mio cognato, non m’è tolto dal ricordarlo come fervente
-patriota, egli essendo stato animoso volontario nelle fazioni patrie
-allo Stelvio, dopo d’aver avuto nelle cinque giornate di Milano
-mutilato più d’un dito della destra mano dalle sciabole poliziesche.
-Come in quel di congiunto, metto franca la mano e senza scrupoli nel
-suo sacco[22].
-
-Argegno e la sua vallata singolarmente sono assai memorabili, come
-dissi, per la loro insurrezione dell’autunno 1848, quando volevasi,
-rivoluzionando tutta la parte montuosa della Lombardia, ritentare il
-nostro riscatto.
-
-Quell’ardimentoso rivolgimento, che si potrebbe appellare l’ultimo
-disperato sforzo della Lombardia per vendicarsi a libertà, perchè già
-chiusa colla peggio la male augurata campagna combattuta dall’armi
-sarde contro gli Austriaci colla capitolazione di Milano, fu iniziato
-in Argegno da _Andrea Brenta_, nativo di Varenna, ostiere e fornajo
-di San Fedele d’Intelvi, ove si stabilì fin dal 1833; uomo, che
-comunque di volgar condizione, era nondimeno distinto per l’ardore di
-patriottici sentimenti e degno al certo di più vasto ed importante
-arringo. Disceso costui, poco dopo la metà dell’ottobre, ad Argegno
-con soli quattro determinati compagni (fra cui piacemi segnalare il
-prete don Francesco Cavalli, in allora parroco del luogo di Pigra),
-vi disarmò subito la imperiale gendarmeria, e cacciandosi poi nella
-vallata, la faceva insorgere tutta quanta.
-
-Que’ gendarmi disarmati si portavano di cheto a Como, ove riferivano
-l’accaduto al comandante militare di questa città, generale Wimpfen. Il
-27 di quel mese, ordinati da costui, giungevano ad Argegno, trasportati
-dai battelli a vapore, più di 700 Austriaci affin di reprimere quel
-movimento. — Avviaronsi essi per la strada a destra della valle;
-ma giunti appena al luogo detto Cavrano, o Crotto del Piazza, poco
-oltre la chiesa di S. Sisino, dovettero far sosta, perchè salutati
-da ben nudrita moschetteria dei nostri quivi destramente imboscati,
-quantunque non fossero questi che in numero di sette. Erano costoro il
-Brenta medesimo, i quattro suoi compagni, e Bernarda Niceforo e Grandi
-Andrea detto _Botris_ di Argegno, i quali eransi ad essi aggiunti. —
-Si impegnò allora uno scambio non interrotto di fucilate, che lasciò
-credere a quelli di parte avversa che assai più numerosi fossero i
-sollevati coi quali avevano a fare, e non s’ebbe in quel primo scontro
-a lamentare dai nostri alcun danno, nè a perdere, ciò che meglio
-importava, la posizione.
-
-Il mattino del dì susseguente (28), gli Austriaci ripresero primi il
-fuoco, senza osare, per altro, avanzarsi oltre il summentovato luogo,
-certo sospettando che l’avvisaglia del giorno innanzi accennasse
-ad una più estesa partecipazione di tutti i valligiani. — Con molto
-accorgimento erano i nostri gagliardi qua e là distribuiti, e dietro le
-macchie degli alberi o gli accidenti del terreno montuoso mascherati;
-sorprendente era la lestezza che usavano nel ricaricare le bocche
-da fuoco; ed a tanto pervenne da ultimo il loro ardimento, che il
-summentovato Andrea Grandi, balzato solo fuor d’una macchia, stringendo
-sempre il proprio moschetto, simulando che altri molti il seguitassero,
-li andava ad alta voce chiamando ed eccitando a buttarsi su’ nemici; a
-tal che questi ne furono sgomentati in guisa che gli fuggirono davanti.
-E così finalmente procedettero le cose in quel giorno, che verso le
-due pomeridiane gli Austriaci, i quali già contavano perdite e feriti
-in buon dato, si trovarono costretti a volger le spalle e discendere
-precipitosi e nella massima confusione, raccogliendosi a mala pena
-in Argegno. — Avevano però prima gli infami, seguendo il barbaro loro
-costume, appiccato il fuoco a ventotto cascinali e a due crotti, di cui
-uno del Piazza, le rovine del quale veggonsi ancora oggidì.
-
-In Argegno, a rifarsi della vergognosa ritirata, usarono con quei
-terrieri, senza riguardo a sesso ed età, ogni modo di violenze, mali
-trattamenti e minaccie; e tolti con loro sette uomini del paese quali
-ostaggi, nelle persone di Antonio Cresseri, Francesco Peroni, Adriano
-Balzaretti, Santo Scotti, Giovanni Rigatti, Giovanni Santi ed altro di
-cui non si ha il nome, s’imbarcarono e si ricondussero a Como.
-
-Di quei sette statichi, i quali non è a dirsi a quali e quanti insulti
-e tormenti avessero, contro il diritto delle genti, a patire per
-opera di quei sicarî piuttosto che soldati, basterà rammentare come
-venissero tenuti per ben due intere giornate colle mani legate al tergo
-e senza cibo, e non ne fossero poi rimessi liberi che sei; l’altro,
-il Cresseri, uomo di avanzata età, ammogliato e con figli, essendo
-barbaramente fucilato in Como a’ 17 novembre di quell’anno, perchè lo
-si volle ritenere proprietario di una pistola sguernita di acciarino,
-rinvenuta dietro un muricciolo in Argegno presso cui s’era trovato nel
-momento del di lui arresto. — In quella stessa occasione che l’infelice
-Cresseri veniva messo a morte, questi avevasi a compagno di pena un
-tal De Maestri di Orzinovi, incolpato d’aver donate dodici lire a due
-giovani di una famiglia ungherese.
-
-Il Comitato della Emigrazione Italiana residente in Lugano, al quale
-avevano fatto ricapito dal precedente agosto gran parte di coloro
-che avevano anteposto l’esiglio al ritornare sotto gli artigli
-dell’Austria, venuto a cognizione di quella sollevazione, nella
-speranza avesse essa a prendere più vaste proporzioni, decretò
-sostenerla; e mandò a tale uopo danaro, armi e munizioni, e più di
-400 militi, de’ quali il maggior numero disertori dalle bandiere
-dell’Austria, capitanati una parte dal generale D’Apice, l’altra dal
-comandante Arcioni.
-
-Nella Chiesa di S. Sisino, posta a breve distanza sopra Argegno, venne
-istituito un governo insurrezionale per la provincia di Como, il quale
-assumesse la direzione del movimento e delle operazioni militari; e
-allora fu che molti altri paesi del lago insorsero del pari, e corsero
-ad ajutare la insurrezione.
-
-Così provocati in più audace e considerevole modo gli Austriaci,
-ritornati in grosso corpo, tentarono essi più volte di penetrare
-nella Valle, non per le vie di Argegno soltanto, sibbene da varie
-altre direzioni; ma furono sempre e gagliardamente dovunque respinti
-con gravissimi loro danni, finchè nel giorno 3 novembre, dopo aver
-sostenuto con quelli del lago un breve fuoco, riuscirono, scortati
-da due guide di Finanza — Pensa e Melloni — che a loro vergogna van
-ricordati, a salire per il Bisbino, e avanzandosi a rapida marcia,
-pervennero poi ad impadronirsi delle vette dei monti che fiancheggiano
-a sinistra la parte della Vall’Intelvi, la qual si chiama di Schignano,
-dal paese di tal nome — ciò che non sarebbe stato loro possibile
-certamente, se il generale D’Apice, che fin dal giorno avanti
-occupava co’ suoi 200 bravi soldati quelle cime, veduti da lontano
-gli Austriaci, non avesse fatto retrocedere la sua truppa infino a
-Schignano. —
-
-È la gente di questo paese assai rimarchevole per islancio, per
-coraggio e per costanza in tutto che riguarda alla patria libertà: e
-dove il D’Apice avesse fatto debito assegnamento su di essa, avrebbe
-indubbiamente trovato nella medesima un validissimo appoggio. Ma egli,
-riuniti e fatti schierare sulla piazza comunale tutti gli uomini suoi,
-che sommavano, come si è detto, a meglio di 400, ordinò loro la marcia
-di ritirata per le gole che transitano al territorio della Svizzera.
-
-Perchè mai questo generale aveva egli lasciato scoperto il passo alla
-Valle dalla parte del Bisbino?.... Perchè non ha poi riparato a tale
-mancanza approfittando delle magnifiche posizioni che avrebbe potuto
-agevolmente tenere con duecento militi valenti come quelli che erano
-sotto i proprî comandi, ed ardentissimi inoltre di battersi per la
-libertà d’Italia, e da dove si sarebbe potuto di leggieri, non che
-impedire al nemico d’inoltrarsi, respingerlo e sbaragliarlo quantunque
-assai superiore di forze; ed ordinava invece, all’appressarsi degli
-Austriaci, l’abbandono vigliacco di quel campo senza colpo ferire,
-lasciando così ai medesimi libera la via a discendere nella insorta
-vallata, che metteva poi tutta in loro balía ed in preda alle loro
-vendette?
-
-Operò così il D’Apice per codardia, ovvero per tradimento?.... Non si
-potè da alcuno asserire se per l’una o per l’altro; soltanto corse voce
-allora che forti dissidî fossero nati tra lui e il comandante Arcioni:
-certo è che egli bruttò la sua fama con quel fatto, che ridusse quella
-nobile insurrezione alle proporzioni d’una inutile fazione, che valse a
-nuovo pretesto alla bestiale ferocia dei nostri oppressori.
-
-Perdurando nella lotta con tanto vigore ed entusiasmo fino allora
-sostenuta, ed alla quale avevan già presa parte energica molti altri
-paesi del lago, è a credersi che, caldi com’erano tuttavia in quei
-giorni gli animi lombardi, si sarebbe tradotta in fatto la idea
-preconcetta di redimere nuovamente colla rivoluzione la Lombardia.
-Perocchè, alimentata la sollevazione e mantenuto inviolabile quel
-centro d’opposizione per alcuni mesi ancora, avrebbe di non poco
-contribuito alla campagna che si aprì nel marzo del successivo
-anno; e divergendo parte delle forze nemiche e costituendo un nucleo
-importante, sarebbe stato un freno ai tradimenti che disonestarono in
-quell’epoca il nome italiano e la nostra causa, ed un eccitamento a non
-vederla finita nella giornata infelice di Novara.
-
-I pochi dei nostri, quelli cioè di Argegno e della vallata cui s’erano
-collegati alcuni Ungheresi disertori dell’Austria, trovatisi soli nel
-vasto campo, distesisi in catena pel monte S. Bernardo, sperarono un
-momento, dandosi a molestare il nemico che loro stava di fronte, di
-potersi ancora sostenere. Ma dopo poche ore di accanito combattimento,
-scarsi troppo di numero, privi di chi sapesse con valentia dirigerli,
-difettosi affatto di viveri e disperando soccorsi, cessarono, ma
-onoratamente, dal loro gagliardo e generoso proposito.
-
-Gli Austriaci, cui erano toccate nei diversi fatti di quella
-rivoluzione considerevoli perdite, baldanzosi di trovarsi finalmente
-— senza alcun loro merito — padroni di quei luoghi, si diedero a fare
-stragi e mal governo.
-
-Il Casino, detto dei Signori, posto sulla cresta della montagna alla
-destra di Schignano e che dà alla Svizzera, fu da loro saccheggiato:
-la povera osteria del Brenta, noto ad essi per il promotore di quella
-sollevazione, soqquadrarono tutta quanta e poi diedero alle fiamme, sì
-che fu tolta alla diserta famiglia di lui, che s’era di là involata e
-ramingava altrove, la speranza perfino del ritorno: fucilarono un tal
-Domenico Ceresa detto _Tardett_ di Schignano, che tentava sottrarre
-alla loro rapacità i proprî armenti, ed un Ungherese che, diretto alla
-Svizzera, si era per quelle vie smarrito.
-
-La insurrezione per tal guisa soffocata, ebbero la Valle Intelvi
-ed Argegno a deplorare in seguito, oltre ad enormi contribuzioni,
-la carcerazione e la morte di parecchi individui che furono dei più
-risoluti, il cui arresto avvenne nella festa di Pasqua del 1849 in
-una osteria di Casasco, chiamata del Foino, dove i medesimi trovavansi
-tuttora armati; e ciò in seguito a delazione fatta dalla Gendarmeria di
-Castiglione di Intelvi all’I. R. Comando Militare di Como. — Costoro
-erano: _Andrea Brenta, Giuseppe Manzoni, detto_ Rossin, _un disertore
-ungherese, Giovanni Pizzala, Niceforo e Luigi Bernarda, uno svizzero ed
-un varesotto_.
-
-Meno i primi tre, che furono fucilati nel sesto giorno dopo la suddetta
-Pasqua, cioè a mezzo l’aprile (14), gli altri ottennero poi la libertà,
-perchè s’avesse anche il dovere di proclamare l’austriaca clemenza.
-Taluni di questi ultimi per altro, onde assicurarsi della vita,
-dovettero tosto emigrare, conscî che l’Austria non perdona e non oblía.
-
-Brenta, il caldo patriota, l’iniziatore di quell’insurrezione, andò
-incontro alla morte da coraggioso ed intrepido, siccome aveva vissuto.
-Egli contava soli 37 anni. Sul luogo del supplizio, che fu il piano
-della Camerlata, stringendo la croce, simbolo del comune riscatto,
-rivolse al popolo efficaci parole di fede sulla redenzione della patria
-nostra, e moriva, come muoiono gli eroi, ricusando aver bendati gli
-occhi, poichè il morir per la patria non l’atterriva, e gridando: _Viva
-Italia!_ Lo stesso ufficiale austriaco, che dovette comandare di far
-fuoco sopra di lui, fu talmente commosso da cotanto patriottismo ed
-intrepidezza, ch’ebbe a dire, che se gli fosse stato possibile, avrebbe
-voluto ad ogni costo salvar la vita di quel magnanimo. — Mentre veniva
-tradotto al luogo della esecuzione, al Giuseppe Manzoni che doveva
-subir l’egual pena e che si lamentava di dover per quel modo morire,
-così francamente parlava il Brenta: _Taci, e tienti contento, chè anche
-tu hai fatta la tua parte!_
-
-Queste prove d’eroismo si rinnovarono fortunatamente spesso tra noi
-in questi ultimi anni di lotta; e si vorrebbe che a perpetua memoria
-si scolpissero i nomi e i fasti gloriosi in marmorei monumenti, e
-che il paese non fosse così trascurato, siccome si mostra, della
-povera condizione delle famiglie de’ suoi martiri. Chi finora ha
-pensato a quella, per esempio, numerosa del Brenta? — Egli lasciava
-nella desolazione e nella miseria la moglie e nove teneri figli, che
-ancora attendono che la patria paghi inverso di essi il debito della
-riconoscenza.
-
-Ridotta la Valle Intelvi ed Argegno al silenzio, gittati nella
-costernazione per la morte di tanti suoi valorosi, non si diedero
-i loro abitatori a vigliacco avvilimento; ma chiusi nelle più
-generose aspirazioni, tenendo l’occhio alla capitale d’onde muovevano
-quotidianamente esempî di ostinata opposizione contra l’austriaco
-governo, stettero aspettando che suonasse nuovamente l’ora della
-riscossa. Impazienti per altro taluni de’ sunnominati, fra cui l’Andrea
-Grandi e un de’ Bernarda, nell’atto che dalla Svizzera, nell’anno
-1854, stavano riportando alle loro case le armi che avean ricevuto dal
-partito d’azione in Lugano, venivano arrestati e tradotti nelle segrete
-di Mantova, da dove, dopo la tortura inquisitoria di quei famigerati
-che furono Sanchez e Pichler, uscirono condannati agli ergastoli
-di Padova, da cui vennero liberati dall’amnistia del 1857, prima
-conseguenza del congresso di Plombières.
-
-Dieci anni durò la dolorosa prova e l’aspettazione degli animi: spuntò
-finalmente il 1859.
-
-Voci di guerra, mosse primamente dalle sponde della Senna, corsero
-presto anche le rive del Lario: il tempo della rivincita si appressava,
-quello dell’espiazione per l’Austria era imminente.
-
-Non tardò essa a scoppiare: noi tutti salutammo felici e benedicemmo
-la terribile distruggitrice dell’uman genere, la grande sventura dei
-popoli, la guerra: era essa l’unico mezzo onde porre fine alla sventura
-ancora più grande e deplorabile, la oppressione straniera.
-
-Sul principiar della guerra di quell’anno, Argegno, fra i più
-ardenti paesi di Lombardia, fremeva attendendo il momento propizio di
-infrangere alla sua volta, e per sempre, il giogo della schiavitù.
-
-Son note le ragioni che servirono a rompere le ostilità fra Piemonte
-ed Austria, ad allearsi Sardegna e Francia; son noti i gloriosi
-combattimenti dell’armi alleate: io non mi arresterò a tener conto di
-essi, onde venir difilato all’argomento mio.
-
-Giunse il 26 maggio: in quel mattino un battello a vapore percorreva
-il lago annunciando ai varî paesi d’ambe le sponde, allo scopo di
-farli insorgere, la vittoria riportata dal corpo del prode Garibaldi
-a Malnate, terra fra Varese e Como. Ognuno sa come il fatato
-Nizzardo, spiccatosi coi Cacciatori delle Alpi da lui comandati dal
-nucleo dell’esercito alleato, si fosse condotto pei paesi del Lago
-Maggiore a Varese, e di là avesse incominciato una serie di gloriosi
-combattimenti, di fatti d’armi arditi e fortunati: e però la notizia
-che si diffondeva era di non dubbia importanza.
-
-Don Battista Rosati, vicario della parrocchiale d’Argegno, uomo
-svisceratissimo della sua patria, italiano in cui fu sempre calda
-la fede della redenzione di essa, e che molto si adoperò nei tempi
-difficili a propagarla in quei dintorni, onde vi fosse prontezza
-d’ajuti nel giorno del cimento, messosi in un burchio, andò incontro a
-quel piroscafo per aver nuove da Como, e vi raccolse infatti la fausta
-novella.
-
-Ritornato costui alla sponda d’Argegno, non è a dirsi con quale accento
-di giubilo e di entusiasmo gridasse a’ suoi conterranei: _Figliuoli,
-viva Italia! — l’ora segnata dalla Provvidenza è giunta — vittoria di
-Garibaldi a Malnate — il generale Garibaldi colle sue valorose truppe
-è in vicinanza di Como. — Ringraziamo Iddio, e facciamo tosto il dover
-nostro._
-
-E la gente d’Argegno fu pronta e sollecita alla riscossa. Avendo a capo
-quel medesimo prete, parecchi, de’ quali i nomi sono: Plinio Peroni,
-Giacomo Bernarda, Tomaso Spinelli, Antonio, Luigi e Santino fratelli
-Rosati, Costante Ambrosoli, Pasquale Grandi, Carlo Fraquelli, Antonio
-Visini, Giacomo e Antonio fratelli Grandi, Ernesto Bernarda, Carlo
-Patriarca, Andrea Grandi, Eugenio Zucchi, G. B. Bosisio ed Eugenio
-Bernarda — ristrettisi insieme, disarmarono in quel Comune i soldati
-austriaci, i finanzieri e i gendarmi; indi percorrendo la valle, dove
-si unì loro, prestando energico ajuto, un giovane milanese, l’ingegnere
-Tizzoni, che per lavori censuari colà si ritrovava, operarono dovunque
-il disarmo delle guardie di Finanza, fecero l’arresto del commissario
-di dette guardie in San Fedele d’Intelvi, signor Durini, uomo che
-si rese indegno del nome italiano e della illustre famiglia alla
-quale appartiene; e sarebbero pur riusciti ad arrestare anche quelle
-due guide di Finanza, Pensa e Melloni, che nella rivoluzione della
-Vall’Intelvi nel 1848 si erano infamati guidando gli Austriaci nella
-detta valle per la via del Bisbino, se costoro, avvertendo al pericolo
-che lor sovrastava, non se ne fossero in tempo sottratti. Essi vennero
-catturati in appresso per cura della R. Questura di Como.
-
-Cotali atti della gente di Argegno devono dirsi di sommo ardimento,
-considerato che nel giorno 26 maggio si compivano da quel solo paese,
-mentre le altre terre del lago se ne stavano ancora titubanti a cagione
-che l’Urban, generale dell’Austria, aveva in Como concentrato un corpo
-di oltre dodicimila uomini, e si mostrava disposto, bestiale siccome
-era, a far man bassa con chichessia avesse mostrato di partecipare
-al generale commovimento; talchè da tutti si dicevano impazziti gli
-abitanti di Argegno.
-
-I battelli a vapore del lago, che fin dal mattino di quel dì si
-emanciparono dal servizio austriaco, ebbero in detto giorno e nel
-susseguente ad unico sito di stazione la riva di Argegno: nè vi fu
-modo, finchè gli Austriaci rimasero, che si riconducessero a Como,
-dov’erano istantemente richiamati, perchè il capitano di uno di essi,
-lo Scannagatta, che collo scampanellar del suo piroscafo e con efficace
-parola avea contribuito potentemente a bandir quella sommossa, risoluto
-ad ogni audace impresa, seppe persuadere il rifiuto. — E gli abitanti
-di questo paese furono i primi altresì che, partendo la notte dal 27 al
-28, si portarono a Como per ricevervi festosamente l’invitto Garibaldi
-e la valorosa sua armata, alla quale si unirono tosto come volontarî
-ventitrè di essi Argegnesi. E qui è da notarsi che la popolazione di
-Argegno, sommando soltanto a 650 anime, forniva con quei 23 volontarî
-un ben importante contingente alla guerra nazionale.
-
-Onore pertanto a questa valorosa terra, onore a’ suoi animosi
-abitanti!...
-
-A coloro che, leggendo questo libro, avranno domandato a questa
-Escursione la semplice descrizione di luoghi, o romanzesche leggende,
-io penso che la narrazione che ho fatto invece di antichi e gloriosi
-fatti e della patriottica partecipazione di questa amena e magnifica
-valle all’epopea della italiana indipendenza, penso che sarà stato di
-largo compenso, come sarà di più efficace eccitamento a percorrerla ed
-ammirarla.
-
- [Illustrazione: Isola Comacina, Balbianello, Bellagio.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMAQUINTA.
-
-L’ISOLA COMACINA.
-
- Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria.
- — Zocca dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La
- processione e la Scorobiessa. — Isola. — La torre del Soccorso.
- — Campo. — La villa Delmati. — Dosso di Lavedo. — Balbianello
- e la villa Arconati. — Il torrente Perlana. — La Madonna del
- Soccorso.
-
-
-Riconducendoci ad Argegno, e da qui movendo all’insù del lago, seguendo
-la medesima sponda, dobbiamo questa volta proporre a meta della
-nostra peregrinazione questa Isola Comacina, un dì più famosa certo di
-quello non lo sia oggidì. Vi troveremo importanti memorie di storici
-avvenimenti, che non sarà, per chi ha cuore e amor di studî, discaro di
-ricordare.
-
-Intanto lungheggiando questa sponda, la sua severità, che ebbe, a
-vero dire, il suo principio dalla punta di Torrigia, è divertita dalle
-bellissime cascate di Camoggia, le cui acque con molto fragore balzan
-dalle alture e spumeggianti si gettano nel lago. Una semplice casetta
-da contadino sta al piede del monte e testimonia che vi ha chi sfrutta
-e que’ pascoli e que’ boschi.
-
-Dopo un certo tratto silenzioso e disabitato, si presenta Colono,
-paesello, come Blevio, Careno, forse Corinto in antico, Palanzo, Lemna
-e Nesso che già visitammo, il qual rivela nel suo nome, che ricorda
-altresì l’_Edipo a Colono_ di Sofocle, la presenza di una immigrazione
-greca; la quale, come già altre volte notai, pur si manifesta nel
-nome di altre terre, come Campo, che troverem tra breve, Lenno, Dorio
-e Dervio, forse anticamente Delfo; avvalorandosi così la credenza
-di coloro che pretesero aver qui, come pur già dissi, Giulio Cesare
-dedotta una colonia ellenica di cinquecento uomini di prestanti
-famiglie. E pare che gli abitatori di questi paesi serbassero le
-costumanze antiche, computando gli anni dai consoli, e rammentando
-l’autorità dell’imperatore greco sedente in Costantinopoli, quantunque
-non ne avesse su di essi giurisdizione, negli anni di Cristo 571 e 572,
-a’ quali accennano due lapidi latine che si distinguono tuttavia in
-Lenno, e che riferirò a suo luogo.
-
-Tuttavia a Colono si hanno traccie sufficienti di colonia romana nei
-ricordi di un arco antico, che evidentemente lo attestano di romana
-architettura.
-
-Succede a Colono, Sala, paesello che vive di pescagione e sul confine
-del quale ha il suo letto il torrente Premonte, e sulla punta sporgente
-nel lago sorge la villa Beccaria, che appartenne a Cesare, l’immortale
-autore _Dei Delitti e delle Pene_ e dove vi morì il suo degno figlio
-marchese Giulio; e la quale chi la visitò afferma somigliare ad un buon
-libro che attiene più che non prometta.
-
-Tutta questa parte, che forma un certo grazioso bacino, la si può dire
-una primavera anche nel verno: la neve, se cala, vi sparisce subito: il
-verde vi è costante e però agrumi e ulivi vi allignano, per la mitezza
-del clima, all’aperto, nè i fiori han d’uopo di serre: lo stesso che
-sul lago Maggiore avviene ne’ dintorni di Cannero, che si trovano
-nell’eguale condizione di postura. La calma che anche regna nelle onde
-di questo seno, a cui l’isola forma quasi baluardo contro l’ira dei
-venti e dei flutti, ha fatto dare a questo tratto dagli abitanti del
-paese la denominazione di Zocca dell’Olio. Perocchè davanti a questa
-villa Beccaria si schierino a fianco Sala e davanti l’Isola Comacina, a
-cui eravamo diretti, e che è anche la sola isola del lago.
-
-Essa conta tutta una storia; nè è a credersi che la sua estensione
-fosse quella che presenta oggidì, dovendo certamente essere stata
-maggiore, rôsa quindi all’intorno dalle innondazioni che via ne
-trascinarono poco a poco molto terreno.
-
-Chi conobbe l’itinerario d’Antonino, vuole che dell’Isola Comacina vi
-sia fatta menzione: certo all’epoca dell’invasione longobarda cominciò
-ad essere teatro di lotte animose e fiere. Un Francione, generale di
-Maurizio imperatore d’Oriente, vi si rifuggì e mantenne indipendente,
-l’isola appellando Cristopoli, quasi posta sotto la protezione
-speciale di Cristo. Ma Autari, re longobardo, la strinse e l’assalì
-vigorosamente con numerosa flottiglia, e dopo una gagliarda resistenza
-di sei mesi, l’ebbe per onorevole capitolazione di quel prode, che
-ottenne di ritirarsi colla moglie a Ravenna. Ricchissimo fu il bottino
-che vi fe’, occupandola, il longobardo.
-
-Successivamente fu l’isola ricovero a Gaidulfo duca di Bergamo,
-allorchè si ribellò a re Agilulfo; poi al re Cuniberto, quando dovette
-cedere alla prevalenza del duca Alachi di Brescia; quindi alla famiglia
-di Ausprando, dove per altro essa fu immolata dal suo nemico Ariberto,
-che a maggiore vendetta smantellò anche l’isola che l’aveva ricoverata.
-
-Quivi pure rifugiavasi la famiglia di Berengario nel 962 dall’irruenza
-delle armi del suo più felice competitore Ottone di Germania, e
-gli abitanti di queste rive che, parteggiando per quest’ultimo, lo
-forzarono alla resa e ne disarmarono il castello, ebbero in premio la
-conferma dei diritti di comune all’isola nel seguente documento, che
-val la pena di conoscere:
-
- “In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone, per voler di
- Dio, imperatore augusto.
-
- „Se assentiamo alla domanda degli altri nostri fedeli, molto più
- giustamente inclinar dobbiamo le orecchie alle preci della diletta
- consorte nostra. Sappiano dunque tutti i fedeli nostri e della
- santa Chiesa di Dio presenti e futuri, che Adelaide imperatrice
- augusta, moglie nostra, invocò la nostra clemenza, affinchè per
- amor suo gli abitanti dell’isola Comasca e del luogo che dicesi
- Menaggio ricevessimo sotto la nostra tutela e confermassimo
- coll’autorità nostra i privilegi che ebbero dagli antecessori
- nostri e da noi stessi aventi l’unzione imperiale, cioè di non far
- oste, non aver l’albergario, non dar la curatura, il terratico,
- il ripatico, e la decima del nostro regno, nè andar, se non tre
- volte l’anno, al placito generale in Milano. Tanto concediamo ecc.
- Dato all’ottavo avanti le calende di settembre (25 agosto), anno
- dell’incarnazione 962, I dell’impero del piissimo Ottone, indizione
- V, in Como.„
-
-La giurisdizione politica dell’isola doveva estendersi a que’ giorni,
-oltre l’isola propriamente detta, a tutto il tratto da Argegno sino a
-Villa di Lenno, dall’una e dall’altra sponda.
-
-Gli isolani nella guerra dei dieci anni, dal 1118 al 1127, mossa dai
-Comaschi a’ Milanesi stati prima amici coi primi, poscia congiuntamente
-a Menaggio, Gravedona e a tutte quelle terre del lago ch’erano a queste
-vicine, lor si chiarirono avversi; onde i Comaschi ne tiraron vendetta,
-desolando molti loro paesi e l’isola, che da allora cessò d’essere
-popolata e dal dare a parlare di sè.
-
-Oggi, a chi la vede, par non credibile che possa essere stata
-importante luogo: eppure fu scritto che sul ripiano più elevato
-sorgesse il castello, che i pochi abitanti odierni additano ancora ove
-fosse; che ben nove chiese vi esistessero e che il vescovo Litigerio vi
-avesse collocato perfino una Collegiata di canonici.
-
-Ruderi ad ogni modo di fortilizî veggonsi tuttavia, che si vanno però
-sempre struggendo, per sostituirvi piante e seminagioni, e in una
-festa annuale, nel 24 giugno, per antichissima tradizione, si riproduce
-intorno ad essa una delle tante assurde e superstiziose scene, onde non
-è libero ancora il cristianesimo del contado.
-
-In quella giornata, sacra a San Giovanni Battista, il clero in
-processione vi gira in una gran barca detta la _Scorobiessa_, e negli
-anni addietro essa veniva altresì accompagnata dalla rappresentazione
-scenica della decollazione del Precursore.
-
-Raffiguravasi il re Erode, che, in mezzo al suo corteo, comandava
-decapitarsi il santo, il qual doveva essere un fantoccio, perchè
-realmente si vedeva, al calar del fendente, balzare la testa e il
-sangue sprizzare da un otre che vi era predisposto dentro, con immensa
-edificazione e gaudio della devota popolazione.
-
-In seguito della suddetta guerra decenne, gli abitanti, parte
-ripararono a Varenna; gli altri si fabbricarono sul lido le loro
-case, e il paese che ne uscì appellarono dal luogo che avevan dovuto
-abbandonare, Isola, dove risiedette anche la Collegiata che ho testè
-ricordata.
-
-Lasciando Isola, in su spingendo l’occhio, vedesi su d’un greppo un
-avanzo di torre, che denominano del Soccorso, di solida costruzione,
-quadrata, e che doveva servire o di vedetta o di momentaneo rifugio.
-
-Subito dopo Isola, è Campo, ove la villa che prima era dei Giovio,
-venduta poscia a Tolomeo Gallio, che di ville sul lago n’ebbe più
-d’una, ebbe a ritornare di poi ai Giovio; nel 1787 venne da essi ceduta
-al cardinale Angelo Durini, che l’ampliò ed arricchì di molto; e forse
-è questa la villa del prelato, che, colla scorta dell’Amoretti, io
-cercavo a Moltrasio invanamente.
-
-La superstizione, svegliata dal giuoco dei venti che vi producevano
-rumori, tenne lungo tempo disabitata la villa; ma essa ora appartiene
-ai signori Delmati, che l’abitano senza tema che diavoli e fantasime vi
-facciano ridda e tregenda.
-
-Proseguendo il cammino, giungesi al Dosso di Lavedo, ov’era prima un
-convento di Francescani, che, acquistato dallo splendido cardinale
-sunnominato, vi fabbricò un portico sull’eminenza, e ne costituì la
-villa che vi si vede, che si noma Balbianello, e spetta adesso al
-marchese Arconati. Da questa villa si domina il maraviglioso bacino
-della Tremezzina, cui ci tarda di giungere, e più giù il tratto
-di lago che abbiam trascorso in questa nostra escursione, la quale
-chiuderemo additando all’insù di Spurano ed Ossuccio il Santuario della
-Madonna del Soccorso, al quale conduce un’ampia strada fiancheggiata
-da quindici cappelle sul far di quelle della Madonna del Monte di
-Varese, con entro raffigurati, taluni in plastica, taluni in pittura,
-i religiosi misteri. L’opera di queste cappelle è dovuta alla pia
-costanza di Timoteo Snider, che fu eremita di questi monti, il quale
-e col mendicare e collo insistere presso le famiglie più facoltose,
-potè recare ad effetto il suo divisamento. Degli artisti che vi
-lavorarono, si addita un Francesco Torriani da Mendrisio per la
-cappella dell’Orazione di Gesù nell’Orto, dipinta; e un Agostino Silva,
-per le figure non senza merito scolpite in quella che rappresenta la
-disputa dei dottori, che è anche la più ricca cappella. Forse è pur
-egli l’autore di sculture di altre cappelle. Il Santuario è un bel
-tempio cui traggono continuamente, massime alla Madonna di settembre,
-i devoti. A mezzo la via, si passa sul torrente Perlana, traversandolo
-su di un ponte di legno, e le tumultuose sue acque, che mettono in
-movimento de’ mulini, precipitandosi al basso, formano una cascata di
-effetto assai pittoresco.
-
-L’origine del Santuario vogliono che derivi da una effigie mutilata
-di sasso rinvenuta colà, Dio sa come, da’ montanari, alla quale,
-appiccicata una testa e una figura di bambino, la salutarono Madonna,
-la venerarono in una chiesuola; poi, per grazia ricevuta, questa, a
-spesa de’ terrieri del lago, fu tramutata nel grandioso Santuario,
-conosciuto sotto il nome della Madonna del Soccorso, stato consacrato
-nel 1837 dal vescovo di Como, allora monsignor Bonesana.
-
-Un’altra statua si conserva ed è dipinta e porta infatti questa
-iscrizione: _Questa figura è quella che fu depinta quando questa gexia
-comenzò ad essere frequentata per li molti miracoli e grazie._
-
-Legati e doni arricchirono la chiesa per parte di chi si professò
-riconoscente per qualche grazia colà supplicata ed ottenuta.
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMASESTA.
-
-LA TREMEZZINA.
-
- Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura
- Carove e la _Commedia_ di Plinio. — Ville Torri e Vacani. —
- Lenno. — Lapidi antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — Il
- chiostro di S. Benedetto. — Ville Litta, Barbavara, Carmagnola
- e Carcano. — Bolvedro. — Villa Busca. — Le ville Spreafico,
- Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi, Campagnani,
- Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di Tremezzo. — Albergo
- Bazzoni. — _Hôtel garni_. — Grianta. — La grotta.
-
-
-Entrati in questo bacino, che è il più bello, il più ampio e il più
-ridente, una vera meraviglia insomma di terra e di acque, par che
-il cuore ci si allarghi, che si dilati il polmone a bevere quanto di
-questo aere purissimo è capace, e la mente corre a cercare immagini
-poetiche e versi che esprimano tutto quell’ineffabile sentimento che
-si prova. _Hic ver assiduum, atque alienis mensibus æstas_[23], come
-direbbe il Poeta delle Georgiche; ma se poi avviene che al fianco vi
-troviate un’Eva qualunque di questo paradiso, l’inno allora vi sgorga
-più limpido ed acceso, perocchè l’ammirazione divisa e più accesa si
-avvalori, si faccia maggiore.
-
-Molt’anni addietro, ne’ passeggi che facevo tra questi monti, che
-ricingono verdeggianti queste rive; nelle gite del lago, durante il
-giorno; nelle sale di conversazione, a notte, non c’era caso, una
-giovinetta leggiadra e sola, piena di riserbo e cortese ad un tempo, io
-la scontravo sempre, s’anco avessi preferito, al chiudermi la sera in
-una sala, lentamente trascorrere in canotto sotto i vaghi palazzini; se
-mi giungevano i suoni or mesti, or lieti di Schubert o di Fumagalli,
-chiedendo da chi il piano-forte fosse stato tocco, ero certo mi si
-dicesse da lei, da quella giovinetta che aveva finito per appellare il
-_Genius loci_, per desiderarla in ogni escursione, per non divertirmi
-ov’ella non fosse. Era agevole farsi a quella simpatica abitudine.
-
-Lo seppe ella? Nol so: prima di partire, a mo’ di memoria, mi
-chiese de’ versi pel suo _Album_: eccoli, che non so com’io li abbia
-conservati.
-
- O del Lario incantevoli
- E benedette sponde,
- Ov’io passai dei liberi
- Ozî l’ore gioconde,
- Qual mai spirto cortese
- A voi rivolse il piè
- E in voi l’oblio discese,
- E cancellarvi dal suo cor potè?
- Non io, non io: fra i turbini
- Della città ravvolto,
- Fra i polverosi codici,
- Ne’ studi miei sepolto,
- O nel rumor del giorno,
- O nel notturno orror,
- Sempre fa a voi ritorno
- Sull’ale del pensiero il mesto cor.
- E veggo allor sorridermi
- Il vostro azzurro cielo,
- Sento il mitissimo aëre
- Scender nel petto anelo,
- M’inerpico pei monti
- Con fervido desir
- Vaghissimi orizzonti,
- Non prima immaginati, a discoprir.
- E fiso il guardo immobile,
- Come se mai non pago,
- Nell’onda queta e cerula
- Del scintillante lago,
- In cui superbe a mille
- Come odalische in mar,
- Terre, palagi e ville
- La lor bellezza alternansi a specchiar.
- Poi, come fosse il genio
- Di quelle rive amiche,
- O come ondina e silfide
- Delle canzoni antiche,
- Dovunque il guardo io giro,
- Nel suo leggiadro vel
- Una fanciulla io miro,
- Quasi una cara visïon di ciel.
- Entro la snella gondola,
- Fra i ciclamin’ del monte
- D’ogni ruscel sul margine,
- Sempre mi sorge a fronte;
- E i balli se rammento,
- O l’ilare canzon,
- Veggo il suo piè, ne sento
- E mi accarezza di sua voce il suon.
- Anco i vocali avorii
- Da lei percossi ascolto,
- Seguo il vivace eloquio
- Che sì le irradia il volto:
- No, questi monti e il lago
- Più non potrò veder
- Che la gentile immago
- Non s’affacci repente al mio pensier.
- O del Lario incantevoli
- E benedette sponde,
- Ov’io passai dei liberi
- Ozî l’ore gioconde,
- L’anima pellegrina
- Sovente a voi verrà
- A chieder la divina
- Che m’ispiraste arcana voluttà.
- O voi, se a quelle floride
- Pendici un dì trarrete,
- E in quel leggiadro spirito
- Se mai v’incontrerete,
- Non creder che a me il canto
- Fiamma volgar dettò:
- — Ella fu a me soltanto
- Musa che gli estri accese ed ispirò. —
-
-La Tremezzina, delle etimologie del cui nome faccio grazia al lettore,
-per non infilargliene di marchiane, seguendo i diversi che la pretesero
-indovinare, e che forse ebbe il suo nome da Tremezzo, paese che siede
-_tra mezzo_ il bellissimo golfo, comprende quel tratto di lago che,
-dopo Balbianello, si distende fino a Menaggio, ed è in quanto ai monti
-a cui s’addossa tutto ricco della più rigogliosa vegetazione: a campi,
-a vigne, a uliveti, a giardini, a quando a quando intersecati da’
-torrenti che portano abbondanti acque al lago; e in quanto alla sponda
-del lago, essa non è che una serie continua di ville, di paeselli, di
-palazzi, di alberghi, che riflettonsi vagamente nell’onde.
-
-Passiamoli tutti in rassegna.
-
-Primo del bacino è il paesello di Villa, interessante a vedersi,
-perocchè qui si dica vi fosse, nel luogo ove sorge adesso la villa
-dell’ingegnere Carove, la villeggiatura di Plinio il Giovane, ch’egli
-chiamava _Commedia_, e della quale dicono si veggano tuttavia avanzi
-entro il lago, allorchè limpida è l’onda. Qui vi hanno ville di
-presente anche le famiglie Torri e Vacani.
-
-Procedendo oltre, a breve distanza è Lenno, terricciuola non priva
-d’interesse ed ove ci tratterremo alquanto di più. Il suo nome è pur
-desunto da Grecia, Lenno, essendo un’isola del mar Egeo già sacra
-a Vulcano. Eravi in addietro un tempio periptero, o tutto recinto
-da portici, e nella cripta pur sussistente si leggono due lapidi
-cristiane, delle quali feci parola nella escursione passata, come
-testimonî che i greci qui immigrati continuarono per lungo tempo a
-contare gli anni come se ancora fossero stati nella madre patria.
-
-Eccole:
-
-_Hic requiescit in pace B. M._ (bonæ memoriæ) _Cyprianus qui vixit in
-hoc sæculo annos p. m. XXXII dep. sub. d. VII. octob. ind. V. post
-cons. d. n. Justini p. p. aug. ann. VI_, cioè nell’anno sesto dopo
-il consolato di Giustino nostro signore perpetuo augusto; lo che
-equivarrebbe all’anno 572 di Cristo.
-
-La seconda: .... _Vixit in hoc sæculo a p. m. XXVI dep. sub..... III
-post consulatum Basilii d. n._; e sarebbe nel 545.
-
-A Lenno è il torrente detto dell’Acquafredda, che si butta nel lago:
-più sopra diede già il nome ad un’abbazia di Cistercensi soppressi nel
-1785 da Giuseppe II; e chi la visita, salendo il monte, trova compenso
-alla fatica nel più superbo panorama che gli si distende avanti. Da
-questo chiostro, per sentieri praticati nel monte ed aspri, non par
-vero che si giunga poi ad altro edifizio non meno interessante e
-bello, il chiostro di S. Benedetto, dove l’architettura della chiesa
-dell’undecimo secolo merita essere veduta e dove mirabile del pari e
-pittoresca è la veduta.
-
-Non si lasci Lenno senza volgere lo sguardo alle ville dei Litta, dei
-Barbavara, dei Carmagnola e dei Rezia, ora Carcano, che si succedono,
-una dell’altra più bella.
-
-A Bolvedro, altro paesello che segue, havvi la villa più superba de’
-marchesi Busca, dove l’ultimo di essi, Antonio, arricchì di opere
-d’arte il palazzo, ivi, fra l’altre, trovandosi quel bellissimo quadro
-del mio povero amico, Cesare Poggi, da cui è trattato l’evangelico
-episodio l’_Adultera_. Al giardino aggiunse nuove vaghezze. Narrano
-que’ di Bolvedro che appena sposa la marchesa Busca-Serbelloni, venuta
-a questa sua villa, ne avesse nell’unica notte che vi soggiornò così
-turbata la fantasia da creduti fantasmi, che rifattasi subito a Milano,
-non vi riportasse in tutta la sua vita più il piede. Lungo queste
-sponde abbiam già trovato radicate ubbíe e superstizioni, alimentate
-forse da qualche avvenimento di naturali fenomeni e dalla solitudine
-che vi regna, ma spariranno certo fra breve. Non così è infatti della
-erede ed attuale proprietaria, la gentile contessina Antonietta, figlia
-di que’ miei due dilettissimi amici che furono i marchesi Lodovico e
-Clementina Busca, rapiti troppo presto entrambi all’amor delle figlie
-ed all’affetto degli amici, che le prime letizie di un ben assortito
-connubio col giovane conte Sola rese ancora, non ha guari, più soavi
-nel soggiorno di questo suo Bolvedro.
-
-Delle ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi,
-Campagnani, Sala, Mainoni, Guy ed altri avrebbesi a dire ed a lungo;
-ma come occuparci di tutte? Degne son esse di trovarsi l’una all’altra
-vicine e d’essere a Tremezzo, dove è il convegno di tutto il mondo
-elegante milanese. La villa Giulini, ora ad altri venduta, fu l’oggetto
-di tutte le cure del suo primo proprietario, che lo aveva fatto il più
-leggiadro ed olezzante nido. Comodità di casa, ricchezza di serre e
-giardino vaghissimo, oh! come lo ha egli potuto mutare col pur elegante
-suo palazzino di Milano?
-
-Nel caffè che si asside in mezzo a queste ville sontuose, riserbatevi
-ad entrare a sera, quando i villeggianti vi si danno la posta. Gli
-uomini al bigliardo, le signore s’accolgono tutte all’intorno di
-una sala a ripetersi gli avvenimenti della giornata, i progetti
-dell’indomani, le visite scambiate, i romanzi iniziati, le somme
-perdute al giuoco dagli eleganti fannulloni, le divertenti maldicenze,
-i pettegolezzi tutti cittadini, che qui concentrati, tramutano la
-quiete che vi si viene a ricercare in soggezione e preoccupazione.
-Ah! io amerei davvero non mescermi a tanta baraonda, per fruire invece
-delle sole dolcezze di questi luoghi.
-
-Nell’albergo Bazzoni e nell’_Hôtel garni_ si convengono coloro
-che non avendo villa propria o possibilità di valersi dell’altrui,
-amano tuttavia godere di questo terrestre paradiso che si chiama la
-Tremezzina.
-
-Da qui breve è la via che conduce per boschi a Grianta, paese che
-dà ragione agli etimologi, che il nome dedur vorrebbero da _riant_,
-sorridente, perchè infatti è amena e lieta per ogni riguardo. Beyle vi
-collocò le più interessanti scene del suo bel romanzo la _Chartreuse de
-Parme_: io invece ricordo le case signorili dei Riva, dei Mainoni e de’
-Malacrida.
-
-Montando più in alto si ritrova una delle molte grotte di questi
-monti che fiancheggiano il Lario, dove se ben si riguardasse al masso
-che vi esiste sconnesso dalla montagna, inorridirebbe pensando alla
-possibilità che un dì avesse a staccarsi e rovinar giù nel lago,
-suscitandovi uno sconvolgimento pari a quello che il masso staccatosi
-nella notte del 4 novembre 1856 di sopra le gallerie di Varenna ebbe
-già a produrre, cagionando non pochi danni.
-
- [Illustrazione: Villa Sommariva o Carlotta.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMASETTIMA.
-
-LA VILLA SOMMARIVA.
-
- La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere d’arte. —
- Giardino. — Carlotta di Prussia e il principe di Sax-Meiningen.
- — La Cadenabbia. — Albergo di Belvedere. — Ville Brentano,
- Noseda, Piatti, duca di Sangro e Seufferheld. — La Majolica. —
- L’albergo Righini. — Villa Ricordi. — Maxime Lari. — Questione
- filologica.
-
-
-Dicono i Francesi: _à tout seigneur, tout honneur_; e però a questa
-villa denominata ancor Sommariva, che per universal sentimento si
-estima la più grandiosa e splendida di quante abbellano le ridenti
-sponde del Lario, vuolsi, come da quanti visitano questi luoghi,
-dedicare una speciale escursione.
-
-Sorge essa fra Tremezzo e la vicina Cadenabbia, isolata come una
-regina a cui le altre dame stieno per reverenza a certa distanza. È
-ingiustizia della sorte che non le sia stato conservato il nome del
-suo primo proprietario che la fe’ costrurre, del marchese Giorgio
-Clerici, cioè, che fu presidente a Milano del Senato e del quale pure
-era il magnifico palazzo nella contrada appunto detta de’ Clerici,
-convertito ora in sede della Corte d’Appello, dove pitture e dorature
-in profusione attestano ancora della immensa ricchezza di sua famiglia;
-perocchè il primo merito andrebbe dovuto a questo nome.
-
-Incominciata essa da quel patrizio, veniva ultimata da Anton Giorgio
-suo nipote, che, a dir di Gianbattista Giovio, l’amico di Foscolo, vi
-esercitò lo splendore e la magnificenza cinto d’ospiti numerosi e in
-banchetti luculei.
-
-Ma piacque tanto, e per la casa e per i ben disposti giardini, e per
-le acque che vi zampillavano, al lodigiano avvocato Sommariva, che
-fu tra i direttori della repubblica cisalpina e che vi si arricchì, a
-prova che in ogni maniera di governo la fame dell’oro prende sempre i
-maggiorenti, che se la fece sua, acquistandola.
-
-Nè è a dire quanto alla sua volta l’abbellisse ed arricchisse;
-dipinti e sculture vi recò de’ più eminenti artisti antichi e moderni.
-Parecchi quadri vi si veggono di scuola fiamminga; una bella testa,
-di Leonardo; e de’ moderni, l’ira di Achille, del Bossi, e le ceneri
-di Temistocle rese alla patria, dell’Appiani; un Marte disarmato dalle
-Grazie, del Landi; il bacio di Giulietta e Romeo, di Hayez; e la morte
-d’Atala, del Lordon. E di scultura, di antico, un’Andromeda che si
-fa passare per opera di greco scalpello; di moderno, il Palamede,
-il gruppo Amore e Psiche; e la Maddalena e la Tersicore di Canova,
-e diversi suoi modelli; e la fascia in basso rilievo rappresentante
-il trionfo d’Alessandro, di Thorwaldsen, allogato al grandissimo
-artista da Napoleone il Grande per il Quirinale di Roma e valutato
-ben settecentomila lire; un gruppo dell’Acquisti, raffigurante Marte e
-Venere; poi nell’attigua chiesuola due monumenti ai Sommariva, padre e
-figlio; l’uno eseguito da Pompeo Marchesi, l’altro da Pietro Tenerani
-con quattro statue di Luigi Manfredini, e una Deposizione dalla Croce,
-di Benedetto Cacciatori.
-
-A tanta ricchezza d’arte corrisponde la vaghezza del giardino e la
-peregrinità delle piante e de’ fiori.
-
-Vi si ponno spendere insomma nell’ammirazione più ore e partirne
-contenti.
-
-La villa fu anche detta Carlotta, perchè dopo acquistata da una
-principessa di Prussia di questo nome, che naturalmente l’aprì ad
-ospitarvi spesso regnanti e principi stranieri, e dalla quale, morta
-il 30 marzo 1855, passò al marito di lei, il principe Giorgio, duca di
-Sax-Meiningen.
-
-Confina colla bellissima villa l’albergo della Bellavista (Hôtel de
-Bellevue) della Cadenabbia, — paese che originò forse da _cà de’ nauli_
-— e il forestiero anche più schifiltoso vi trova tutto e le lautezze e
-i comodi degli alberghi svizzeri.
-
-Dopo l’albergo e le poche case della Cadenabbia, si trovano le ville
-Brentano e Noseda, quelle dell’artista Piatti, e accanto, colla
-medesima architettura, quella dei duca di Sangro, che rivela che a
-quelle due ville presiedette il pensiero d’una fraterna amicizia.
-Seguita poi la villa de’ signori Seufferheld, e dopo, il paese
-mutandosi in quello della Majolica, segue l’albergo Righini, cui tien
-dietro la villa del principe de’ nostri musicali editori, Tito di
-Giovanni Ricordi, al quale Euterpe e Melpomene hanno preparato il più
-gradito e riposato nido. Vuolsi che il solo spartito del _Trovatore_ di
-Verdi abbia, ne’ guadagni fruttati, fornito la spesa di così splendida
-villeggiatura.
-
-Oggi è breve la nostra escursione: ma in ricambio tante bellezze
-di natura e d’arte ammirabili ci occupano siffattamente, che è bene
-arrestarci e riandarle poi tutte nella memoria: _meminisse juvabit_.
-
-Immenso è il dominio dell’arte e immenso è il campo a meditare in esso,
-come ampio si presenta il bacino allo svolger del lido, appena tocca
-la villa Ricordi; e noi quivi fermadoci, pare che il vasto pelago
-armonizzi colla vastità del pensiero che accoglie e medita tutte le
-meraviglie vedute.
-
-Da qui si comprende come si potesse credere finora dai più, che
-_massimo_ venisse chiamato il Lario, nella Georgica seconda di
-Virgilio, leggendone così i versi:
-
- _An mare, quod supra, memorem, quodque alluit infra?_
- _Anne lacus tantos? te_ LARI MAXIME; _teque_
- _Fluctibus et fremitu assurgens, Benace, marino?_[24]
-
-Ma forse il poeta volle dire invece: _te, Lari, Maxime; teque_ etc.,
-e così ricordare e il Lario e il Verbano, che tuttavia chiamiamo
-Maggiore, e il Benaco, che così meglio risponderebbe al concetto
-espresso da Virgilio nel _tantos lacus_, perchè due soli laghi,
-il Lario e il Benaco non sarebbero, a vero dire, _tanti laghi_. A
-coloro poi, i quali a questa lezione oppor volessero che in antico
-si chiamasse _Verbanus_ e non _Maximus_ quel lago, potrei rispondere
-che, se accademicamente quello fosse il suo nome, potrebbe anche
-essere stato che volgarmente venisse detto anche _Maximus_, se poi
-italianamente fu da poi appellato Maggiore.
-
-Congeneri esempî si potrebbero all’uopo recare; ma rammentandomi che il
-mio dire non deve essere irto di discettazioni filologiche, abbandono
-cui piaccia la nuova questione; chiedendo anche questa volta scusa, se
-immemore d’essere un semplice cicerone da campagna, ho dato mano per un
-istante alla ferula del pedagogo.
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMOTTAVA.
-
-LA BELLAGINA.
-
- Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi
- Grosgalli. — Il Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa
- Besana. — S. Giovanni. — Ville Ciceri, Trotti e Poldi-Pezzoli.
- — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — La _Tragedia_,
- villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — Marchesino Stanga
- vi edifica la villa e que’ della Cavargna la distruggono. —
- Ercole Sfondrati la riedifica. — La Sfondrata. — La contessa
- di Borgomanero, tradizione. — La villa passa ai Serbelloni.
- — Parini vi ospita. — Ora mutata in albergo. — La Crella dei
- Frizzoni. — Pescaù. — La villa Giulia, ora albergo.
-
-
-Anche la sponda opposta alla Tremezzina ha le sue vaghezze in questo
-bacino, le quali possono rivaleggiare con essa, e noi dalla Cavagnola
-dove siamo rimasti nel visitare tale sponda, costeggiamo colla nostra
-barca, che l’escursione riescirà amena ed istruttiva.
-
-Il primo tratto è un po’ malinconico, è vero, e disabitato; ma svoltato
-il piccolo promontorio ci vediamo avanti Lézzeno. Ecco il clivo è
-più coltivato, il dosso dei monti più selvoso, le case sparpagliate
-ne formano il paese e ve n’ha taluna di bella mostra, e quivi soleva
-passarvi gli ozî autunnali quel distinto oratore e pubblicista che fu
-il prete Ambrogio Ambrosoli, che vi morì il passato anno, il cui busto,
-scolpito da Pompeo Marchesi, fu, non ha guari, donato dalla _Gazzetta
-di Milano_, arringo ordinario de’ suoi liberali e dotti scritti, alla
-Società di mutuo soccorso tipografico della quale fu benemerito. Così
-più anni addietro da qui mossero due Mocchetti che ebbero qualche fama
-nelle lettere. Con tutto ciò gli abitatori di queste rive ne ripetono
-questa cattiva raccomandazione del paese:
-
- Lezzen dalla mala fortuna,
- D’inverno non c’è sol, d’està la luna.
-
-Avviene tuttavia che vi ci si trovi la particolarità di buoni fichi
-in primavera, che son quelli dell’anno precedente, che, non maturati
-in autunno, si compiono all’aprirsi della buona stagione dell’anno
-successivo.
-
-Un po’ più all’aprico, dopo Lézzeno, si specchia nel lago la villa
-Vigoni; poi segue il gruppo di case denominato Villa; quindi un altro
-detto la Cappelletta, dopo la quale si elevano i Sassi Grosgalli,
-brulli ed enormi massi e però formanti uno strano contrasto col
-rimanente del bacino tutto verdeggiante e sorridente. Scabra ne è la
-pendice che va a picco nel lago reso oscuro e tetro da essi, che vi
-progettano l’ombra e appena vi si può per aspro sentiero percorrerla.
-Sotto di essi, di fronte a Lenno, scavata nel sasso, evvi come un’ampia
-grotta, che i paesani chiamano il _Buco de’ Carpi_, forse perchè in
-quel riparo abbondano i pesci di questo nome, ed è qui che le genti
-de’ luoghi circonvicini narrano una storia pietosa d’amore, che formò
-soggetto ad una commovente novella di Antonio Picozzi, la quale provò
-anche una volta, dopo la _Guerra di Pret_ del Porta, o la _Fuggitiva_
-del Grossi, la potenza del milanese vernacolo a trattare la cosa più
-seria ed anche lagrimosa.
-
-Se sapessi che il libro non andasse tra le mani di lombardi, sarei
-tratto a commettere un reato di contraffazione letteraria, riproducendo
-l’intero episodio nel suo bell’originale; ma siccome non sarà così,
-debbo chiedere venia al mio concittadino, se le sue belle e toccanti
-sestine riassumerò in modestissima prosa.
-
-Erano i tempi del primo Napoleone, di colui che ci aveva regalata
-quella coscrizione militare che colla guerra ne mieteva il fiore
-della nostra gioventù; e nella Tremezzina viveva un buono e aitante
-giovane, che s’era fidanzato a Teresa, la più leggiadra fanciulla dei
-dintorni. Poichè tutti ora sanno come costei fosse bella, per coloro
-che capiscono il vernacolo nostro non so trattenermi dal farne loro il
-ritratto coi versi del poeta:
-
- De sedes ann, dersett, minga deppù,
- Bianca la carnagion, rosa el faccin,
- Folt negher i cavej comè on velù,
- Negher i bej oggioni de bambin....
- Dal tutt’insemma con la prima oggiada
- Se ghe vedeva l’anima ben fada.
-
-Erano già intese le nozze che compier dovevansi nel successivo
-carnevale, e però la Teresa attendeva a prepararsi il suo corredo.
-Ma ecco un dì del settembre il Peppino, che a questo nome rispondeva
-l’innamorato garzone, facevasi attendere alquanto e la poverina a
-correre a pensar male. Nè l’ingannava il cuore. Cápita il fidanzato
-alla fine e tutto conturbato le narra come, côlto dalla coscrizione,
-egli debba il posdomani essere a Como all’estrazione del numero ed alla
-visita militare. Ognun pensi l’affanno della giovinetta. Il posdomani
-arriva, Peppino è a Como, è ritrovato abile al militare servizio, ei
-deve giurare.... è soldato e appena gli son concessi tre giorni agli
-addii, perchè ei dovrà marciare per la Russia.
-
-Egli è dunque di ritorno al paese; i tre giorni passano velocissimi
-fra i pianti della Teresa e i giuramenti del coscritto: l’ora della
-partenza definitiva è suonata. La povera tosa, presaga di sventure,
-poichè dentro di sè ella sente
-
- comè ona vôs
- Che tœujendegh el fiaa la ghe dis su:
- “Teresa, el tò Peppin tel vedet pu;„
-
-non sa staccarsi da lui, e però s’imbarca ella pure con un suo minore
-fratello e lo vuole per qualche tratto accompagnare.
-
-Ma il tempo, triste dapprima, viene facendosi peggiore, l’uragano
-imperversa sul lago:
-
- Han penna ciappaa el largh, che a pocch a pocch
- Oltra el piœuv, se destend ona fiadura;
- El ciel vers Val d’Intelvi a tocch a tocch
- L’è già scur, burrascôs ch’el fa pagura;
- Ma el coscritt per la sira a tutt i cost,
- Piœuva, tempesta, l’ha de vess al post.
- Cress el brutt temp anmò col cress del vent
- Ch’el sifola piangend in di orecc;
- Ingajarda la sluscia in d’on moment,
- Ch’el par che la stravacchen cont i secc;
- No se pò pu andà innanz; bœugna cercà
- Quai paes o quai riva de prodà.
-
-Ma il vento ha sbattute le fragili imbarcazioni verso l’opposto lido,
-e giunte presso il _Buco dei Carpi_, qui dentro traggonle i rematori
-a riparo dalla bufera, attendendo ne passi la furia. Quivi nuova scena
-d’amore e di strazio. La Teresa coglie un ciclamino, che sbucciava tra
-i crepacci della grotta, e il porge al suo Peppino a memoria sua. Il
-vento si è alquanto calmato, il lago può ritentarsi di nuovo; i due
-amanti si abbracciano e baciano tra le lagrime e si son detti addio.
-Esce prima la barca che si dirizza col coscritta a Como, poi l’altra
-della Teresa. Si riguardano mestamente finchè lo possono, poi ognuno se
-ne va. La Teresa, di ritorno a casa, trova la madre del suo fidanzato
-affranta dal colpo che le è toccato d’esser priva del figlio, indi a
-pochi giorni se ne muore. La Teresa vive da allora nel corrotto e nel
-duolo, e sola consolazione è al suo cuore visitare talvolta il _Buco
-de’ Carpi_, testimonio de’ suoi estremi saluti al suo Peppino, e vi ci
-va anche soletta una volta almeno la settimana a nutricarvi il cespo
-de’ ciclamini da cui avea spiccato quello ch’ella aveva dato al suo
-povero amico. Ma ella pure deperiva in salute. Un venerdì dell’aprile,
-anniversario della partenza del suo Peppino, essa, giusta il consueto,
-si avviava al _Buco de’ Carpi_: il lago era tranquillo, era l’ora
-del vespro, e un pensiero di tristezza, un malore che provava, la
-sconsigliavano alla gita; ma l’idea che non andarvi sembrasse cosa
-di poco amore alla memoria del suo caro, la prosegue inesorabile.
-Essa dunque solca le onde col suo burchio, traversa il lago, vi è
-presso, è sull’orlo della grotta, già la prua vi penetra; quand’ecco
-un uccellaccio con rumoroso e largo sparnazzare d’ali, vi sbuca
-improvviso, rasenta la fronte della Teresa,
-
- Scappand giò per el lagh alla distesa.
-
-La povera tosa, per lo spavento dell’inatteso augello, si china onde
-schivarlo; il battello a quel suo movimento urta nel masso e si torce,
-ella perde l’equilibrio per la scossa, rovescia fuor dello stesso,
-gitta uno strido e giù va sotto l’onda. Due volte parve venisse ella
-respinta sulla superficie, e due volte risospinta giù, finchè l’onda si
-chiuse per sempre su di lei.
-
-I parenti più non la vedendo ritornare, andavano in cerca di lei,
-e dopo lungo affannarsi, trovarono il burchio vuoto, che dondolava
-a discrezione dell’onde, ma nulla di lei, per quanto la chiamassero
-altamente a voce. Solo due mesi dopo, un pescatore, ritirando le reti,
-ne raccolse la inanimata spoglia. Narra il poeta, che lo scheletro
-dell’infelice fanciulla stia ora nell’ossario di Lenno presso alla
-chiesa e vi appaja ginocchione; che il soldato reduce dalla Russia,
-quando credeva aver cessato di soffrire, ebbe il più fiero martirio,
-ritrovando morta e la madre e l’amante; sicchè non volesse più vivere
-che mesto e sconsolato nella memoria de’ suoi poveri morti.
-
-Proseguiamo ora l’escursione nostra.
-
-Oltrepassati i Sassi Grosgalli, si presenta la villa Besana e ritorna
-da questo lato pienamente ridente il golfo. Perocchè a breve tratto
-si schiera il paese di S. Giovanni colle belle ville dei Crivelli,
-ora Ciceri, e de’ Trotti; quest’ultima di stile fra il bizantino e il
-lombardo; succeduta poi da quella del nobile Poldi-Pezzoli, che prima
-era dei Taverna, più grandiosa e rinnovata da quell’abile architetto
-che è il milanese Balzaretti, al quale si debbono i nuovi giardini
-pubblici della sua città, e non poche architetture civili, fra cui ne
-primeggia la recentissima, appena ultimata, della Cassa di Risparmio in
-via Monte di Pietà. La casa qui, o piuttosto palazzo del nobile Poldi,
-si costituisce di tre corpi legati insieme da due eleganti terrazzi; il
-giardino poi è ricco di piante straniere, tra cui la canna di zucchero,
-il sovero, la canfora, l’_olea fragrans_ e boschetti di magnolie che
-profuman l’aere tutt’all’intorno.
-
-Poi v’è una villa Luppia, e da ultimo si chiude a San Giovanni colla
-più superba villeggiatura del duca Melzi, che mi reclama maggiori
-parole.
-
-Francesco Melzi D’Eril, che fu vicepresidente della repubblica
-italiana e poi duca di Lodi, l’edificò al principiare del secolo
-su disegno di quell’esimio artista che fu Giocondo Albertolli, del
-quale io già dettai le memorie biografiche e artistiche nel giornale
-dell’_Ingegnere-Architetto_ del Saldini di Milano. Come quegli che
-ridusse alla sua castigatezza l’arte ornamentale, l’Albertolli vi
-portò semplicità di linee architettoniche, ma ad un tempo armoniche e
-di gusto. Il proprietario poi l’arricchì internamente d’ogni maniera
-d’opera d’arte. A memoria di quel suo antenato, Francesco Melzi, che fu
-allievo di Leonardo ed erede dello studio di lui, volle il duca che il
-pittore Giuseppe Bossi in quattro sopraporte monocromatiche dipingesse
-quattro episodî del sommo Leonardo, e l’opera riuscì egregia. Nell’un
-disegno vedesi Leonardo che insegna al Melzi il disegno: nel secondo,
-il gran maestro, che recinto da’ suoi scolari sta pingendo il proprio
-ritratto; nel terzo, la scena in cui lascia erede il Melzi; nel quarto,
-il Melzi che insegna nella scuola eredata da quel grande. — In altre
-sale ammiransi dipinti dello stesso Bossi, di Appiani, di Migliara
-e di Sanquirico; le statue, il Davide del Fraccaroli, l’Esmeralda,
-il busto somigliantissimo di Giocondo Albertolli, e copie de’ famosi
-capolavori antichi, il Laocoonte e la Cerere, e i busti di quattro
-imperatori romani e di Letizia e Giuseppina Bonaparte; oltre affreschi
-pregevolissimi di quel famoso prospettico che fu il sunnominato
-Sanquirico, per non dire d’opere di altri minori. Nella cappella
-mortuaria, pur disegno dell’Albertolli, e in cui riposano le ceneri
-del duca, vedesi l’avello lavorato da Vittorio Nesti; il Salvatore,
-scultura del Comolli e un bellissimo cartone del Bossi.
-
-Ma se è degno di osservazione il palazzo, non ne son meno i
-giardini, cui presta la natura del suolo, che è un colle, la cui
-cima sovraggiudica il busto d’Alfieri. Il marmoreo gruppo di Dante
-e Beatrice, sculto dal suddetto Comolli, è nel mezzo del viale che
-costeggia il lago; se poi l’economia dell’opera me lo concedesse,
-darei un mezzo trattato di botanica nel descrivere i fiori, le erbe,
-le piante che li decorano in tanta copia da essere eziandio altrettanti
-vivai per altre ville.
-
-Ma altre cose degnissime abbiamo a vedere in questa nostra escursione:
-affrettiamoci dunque alla vicina borgata di Bellagio.
-
-Oltre San Giovanni e i giardini della villa Melzi, è Bellagio, che gli
-etimologi fanno derivare da _Bilacus_, come a dire fra i due laghi,
-non altrimenti che in Isvizzera per la stessa ragione vi è Interlaken,
-perchè infatti Bellagio siede sulla punta d’un promontorio, che i
-paesani appellano Colunga, appunto perchè quasi una lingua di terra il
-cui capo si prolunghi nel pelago, dove il Lario che vien da Colico si
-divide in due rami, l’uno quello che già conosciamo e che va a Como,
-e l’altro che discende a Lecco. Una tale situazione dà a Bellagio una
-particolare vaghezza, nè per essa, nè per le magnifiche ville onde è
-lieto e che gli fan corona, e diciamo anche per i due ottimi alberghi,
-non vi ha persona che tragga alla Tremezzina, senza che ne traversi
-il lago e venga a vedere Bellagio. Tutta questa plaga può contenderla
-in bellezze di natura a quelle meraviglie cantate da’ poeti e levate
-a cielo da’ forestieri, che sono Posilippo e Mergellina, Portici e
-Sorrento.
-
-Voi vedete allora di che buon gusto dovesse essere Cajo Plinio Cecilio
-Secondo, detto il Giovane, nello eleggersi proprio la cima di questa
-scogliera che sta a capo del promontorio per erigervi la sua villa
-che, a riscontro di quella che nomò _Commedia_ e che ricordammo a
-Villa presso a Lenno, come attesta il Giovio, o sul basso lido presso
-Varenna, come vorrebbe il Boldoni, appellò _Tragedia_.
-
-Più tardi, ne’ tempi di mezzo, come le altre terre del lago si facevano
-irte di fortilizî e torri, arnesi di guerra giovati spesso a contenere
-le rapine degli Elvezî che facevano frequenti scorrerie, ma ben anco a
-mantener vive le lotte fraterne e massime contro Como; anche Bellagio
-ebbe il suo forte castello, riparo di facinorosi e banditi, il quale
-venne poi fatto smantellare da Galeazzo Visconti nel 1375. Risiedeva
-allora in Bellagio un capitano del lago, e convien dire che vi facesse
-capo ogni terra del Lario, se i cattivi debitori di Cernobbio ve
-li abbiamo veduti cacciati nelle carceri di Bellagio, dove i loro
-compaesani vennero a trarneli colla forza al tempo di Filippo Visconti,
-come narrai quando dissi di quei paesi del primo bacino.
-
-Ogni traccia di efferatezza sparve dal colle di Bellagio qualche tempo
-dopo, quando un Marchesino Stanga, favorito di Lodovico il Moro, vi
-edificò una splendidissima villa. Ma non era appena compiuta, che que’
-della Val Cavargna, a vendicar non so qual torto, vennero furibondi e
-la misero a ferro ed a fuoco.
-
-Ercole Sfondrati, duca di Monte Marciano, nipote di papa Gregorio XIV
-e capitano suo nella spedizione che fece in ajuto della lega e contro
-il Bearnese, dopo le battaglie, avuto a sè infeudato il borgo, riparò
-su questo colle e vi rialzò la villa e riordinò i giardini, piantandovi
-lecci, quercie, allori, cipressi e pini, che pur esistono in gran
-parte, e vi eresse qui e qua sacre cappelle, che or non si veggono più.
-
-E un edificio esisteva pure verso il lato del ramo del lago che sporge
-a Lecco e che dicevasi la Sfondrata; e qui la tradizione del paese
-rammenta una di quelle infami memorie di dissolutezza e di crudeltà,
-onde in Francia andò tristamente famosa la Torre de Nesle, e in Italia
-si ricordano i trabocchetti di Castel dell’Ovo di Giovanna I regina di
-Napoli, e che io brevemente riassumo.
-
-Una Contessa di Borgomanero, forse legata per parentela agli Sfondrati,
-e qui dimorata per qualche tempo, abbandonandosi a osceni amori, vuolsi
-che facesse pei trabocchetti precipitar giù per le acute balze della
-scogliera che sta a picco del lago i mal capitati suoi amatori d’una
-notte, a ciò forse non ripetessero intorno le sue brutte lascivie, e
-fors’anco troppo presto desiderevole del nuovo; ma di più non se ne sa
-dire, e certo allude a questa tradizione la poesia scritta da signora
-che da un album dell’albergo della Cadenabbia trascrisse Cesare Cantù,
-diligentissimo indagatore d’ogni particolarità del lago, nella seguente
-terzina:
-
- O ti piacesse più, solcando l’acque,
- Veder le balze dell’opposto lido,
- Ove talor precipitato giacque
- Il drudo infido.
-
-Poscia il feudo passò ai conti della Riviera, signori della Valassina;
-ma la villa degli Sfondrati passò per eredità ai Serbelloni, onde
-villa Serbelloni si noma in oggi tutto l’ampio recinto che chiude la
-vasta casa, che altamente reclama una migliore architettura esterna
-e più moderni riattamenti. Come Plinio, ne’ tempi di Roma, Parini
-al principiar del secolo nostro veniva nella villa de’ Serbelloni a
-ricrearsi e ispirarsi, e ne aveva ben d’onde.
-
-Estintasi in questi ultimi anni questa patrizia famiglia, ora
-l’appigionò Antonio Mella per convertirla in albergo, a soccorso
-dell’altro che ha in riva al lago, detto della Gran Brettagna, l’uno e
-l’altro forniti di tutte le comodità.
-
-Un albergo ha pure in questo borgo Melchisedecco Gandola, sotto il nome
-di Antico albergo e pensione Genazzini, e vi ha pari importanza e fama.
-
-Più prossima alla punta è la Crella, villa dei Frizzoni da Bergamo, che
-su disegno di Rodolfo Vantini, di stile bramantesco, costò un ingente
-patrimonio. Bella, ricca, splendida, non è per avventura così comoda,
-come si vuole sia una villeggiatura molto più signorile.
-
-Per un ampio viale, che fa maravigliare come sia stato praticato
-nella roccia, da Pescaù, che sta in cima di Bellagio, si arriva alla
-villa Giulia, con dir della quale mi piace chiudere l’escursione per
-la Bellagina. Essa sta sul poggio a cavaliere dei due rami del lago
-e sorge maestosa, quantunque la facciata più bella riguardi, non
-saprei dire perchè, i giardini. Fu il luogo dapprima dei Camozzi, poi
-l’acquistò la famiglia Venini sullo scorcio del passato secolo, e don
-Pietro vi costruì la villa che volle portasse il nome della moglie,
-Giulia, onde ancor si designa, malgrado che divenisse poi proprietà
-di Leopoldo, re del Belgio, che vi condusse a grande spesa le acque
-e la rese una vera delizia regale, che non lo lusingò per altro così
-possentemente, da non cederla in affitto dodicenne al signor Mella che
-la tramutò in albergo. Il panorama stupendo che si gode dalla villa
-Giulia, dell’un ramo del lago e dell’altro, impreziosito da poggi
-fioriti, da grotte, da fontane, da ruscelli, da boschetti, da pratelli
-e da piante peregrine, e le attrattive d’ogni maniera che presenta,
-rendono questo luogo uno de’ più deliziosi ritrovi che lungo le sponde
-del Lario meritino d’essere visitati.
-
-
-
-
-ESCURSIONE DECIMANONA.
-
-IL SASSO RANCIO.
-
- Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio.
- — Loveno. — Ville Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio,
- Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa Galbiati. — La Val Cavargna.
- — Porlezza. — Fabbrica di vetro. — Il Castello di Menaggio. —
- La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — Ligomana, Plesio e
- Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi al Sasso Rancio.
-
-
-Visitata la Bellagina, riconduciamoci all’opposto lido, dove nuove
-dolcezze ne attendono. Veramente il bacino della Tremezzina non
-s’arresta alla villa Ricordi: non è lungi Menaggio, che vi è compreso,
-e merita che vi ci andiamo e vi vediamo le cose interessanti de’
-dintorni. E poichè siam ritornati da questa parte, non lasciamo di
-rivolgere l’attenzione al Monte che sta sopra la Tremezzina e si
-appella degli Stampi, non per altro, che per la stranissima tradizione
-che corre nel paese, che lassù vi sostasse, al cessar del diluvio
-universale, l’arca di Noè. D’onde mai traesse origine la fiaba, è
-presto detto. Su quel monte, nel masso, si ravvisarono impronte di
-zampe d’animali della grandezza perfino di trenta centimetri, come si
-trovarono crostacei di tempi antidiluviani: ciò basta perchè il volgo,
-amante sempre del maraviglioso, sognasse che non sull’Ararat, ma su
-questo culmine posasse l’arca di quel patriarca.
-
-Oltre le ville che ho rammentate nella escursione della Tremezzina,
-la Majolica non offre che meriti vedere e neppur nominare. La
-continuazione della via carrozzabile da Majolica a Menaggio è sempre
-ne’ pii desideri; ma noi pigliamo il canotto: — è così bello lo
-scivolare su d’esso quando è calmo il lago.
-
-Nondimeno abbiatevi un avvertimento. Se anche un nuvoletto solo turba
-il sereno del cielo, non avventuratevi a traversare il lago da Bellagio
-alla Tremezzina; a più d’uno quel nuvoletto, non anco giunto a mezzo
-del lago, che, come dissi, qui è larghissimo, si dilatò, coprì tutto il
-cielo e apportò tempesta, naufragio e morte. Propriamente per dividersi
-il lago e formare i due rami, oltre che dalla valle di Menaggio, i
-venti vi soffiano e menano furibonda ridda e in nessuna parte del Lario
-come qui sono avvenuti tanti disastri.
-
-Ma poichè ho ricordata la valle di Menaggio, se vi fermate nella
-Tremezzina alcun giorno, non lasciate di percorrerla e ne sarete
-contenti. Vi troverete su d’un poggio assidersi Loveno, colle belle
-villeggiature dei Pensa, dei Garovaglio, degli Alberti, degli Azeglio
-e dei Mylius-Vigoni. I Garovaglio vi tengono una copiosa collezione di
-pregevoli stampe, massimamente inglesi, e un giardino interessante pei
-botanici.
-
-Nella sua villa Massimo d’Azeglio immaginò e scrisse parte del suo
-miglior romanzo _Ettore Fieramosca_, e raccolse alla sua volta buone
-stampe e buoni dipinti con quel gusto che ognun conobbe all’illustre
-romanziere e paesista. Nel palazzo Mylius vedreste poi preziosità
-artistiche ancor maggiori. Intanto vi piacerà l’architettura sua
-semplice, opera del Besia: meglio poi le ricchezze dell’interno e
-la sua eccellente distribuzione. Non dirò degli arredi, nè di altre
-splendidezze: solo restringendomi all’arte, e nella casa e nel giardino
-si ammirano statue e gruppi di rinomatissimi scultori, come la Nemesi,
-di Thorwaldsen; l’Eva, di Baruzzi; la Ruth, dell’Himos; oltre la madre
-di Mosè, del Gandolfi; il David, del Manfredini; il gruppo insigne
-della Igea, dell’Argenti. Circa a pitture, ve n’hanno dell’Hayez,
-del Servi, del Canella, dell’Uaed; e ad incisioni, tutte le battaglie
-napoleoniche del Longhi, ritratte dai famosi affreschi di Appiani. Il
-giardino ha rarità di fiori e d’alberi e di prospetti.
-
-Non lunge da Loveno, mette conto di vedere la bizzarra villa di
-Galbiati a Cardano, che non dovrebbe essere negletta dal suo attuale
-proprietario. Costò al barone Baldassare Galbiati assaissimo il far
-su quest’altura trasportare il gruppo della Clemenza di Tito, da lui
-acquistato allo scultore Comolli, ma non è opera che ne francasse la
-spesa. Piuttosto se visitate il sepolcreto domestico, vi ammirerete il
-monumento eretto dalla pietà del figlio Carlo al padre, collo scalpello
-di quell’esimio artista che è Antonio Tantardini. L’Angelo della
-Risurrezione che vi raffigurò è di un fortunatissimo ardimento, come
-d’una felicissima trovata. Maestra e sapiente ne è l’esecuzione.
-
-Se amanti di natura alpestre, vi direi di percorrere la Val Cavargna
-e poi di spingervi anche a Porlezza a vedervi la fabbrica di vetro de’
-Campioni e a guardare il Ceresio che giunge fino al piede del borgo: ma
-io non vuo’ dimenticare il Lario che mi son proposto di farvi conoscere
-e però ritorniamo a Menaggio.
-
-Sovra il paese torreggia il castello, da cui si ha superba la vista
-e dove un ricco che l’acquistasse vi troverebbe motivi di magnifica
-villa. In basso, viene a gittarsi nel lago la Sanagra, acqua che
-dev’essere medicinale, se gli etimologi ne fan derivare il nome da
-_Sanat ægros_, cioè sana i malati. Entrando poi nel grosso borgo,
-importante per belle case e per commerci ed anche per alberghi, fra cui
-primeggia quello del Piantanida, che da Bergamo qui trasportò i suoi
-penati e vi adattò da un pajo d’anni tutti i conforti de’ più sontuosi,
-ed è da contarsi tra i migliori del lago.
-
-Sulla piazza è una delle lapidi massime dell’antichità, che così fu
-letta:
-
- _Minicius L. F. Ouf. Exoratus_,
-
- Flam. Divi Titi Aug. Vespasiani consensu Decurion. tr. mil. IIII
- vir. a. p. II. vir. i. d. præf. fabr. Cæsaris et consulis pontif.
- sibi et Geminæ q. f. Priscæ uxori et Miniciæ l. f. Bisiæ V. f.[25].
-
-Usciti di Menaggio, tenendoci sempre al lago, incontriamo Nobiallo.
-Il suo suolo abbonda di gesso, d’alabastro venato e di scagliola
-speculare. Levando lo sguardo al monte, scorgonsi i villaggi di
-Ligomana, Plesio e Naggio, dove dicono vi sieno vaghissime montanine.
-Non arrivai mai fin là, quantunque il bello facilmente mi seduca; ma
-d’altronde la comitiva tirava dritto, perchè la meta del nostro cammino
-di quel giorno era il _Sasso rancio_, e sarebbe stata poca creanza
-lasciare la compagnia.
-
-Mentre passando per costì ci approssimavamo a questo _Sasso_, più d’uno
-mi chiese perchè _rancio_ lo si nomasse, e mi tornò facile il darne la
-spiegazione: il colore che tutto copre questa parte di monte è prodotto
-dall’ocra di ferro che si contiene nella roccia e che infatti vien
-cavato in copia a Gaeta, lì presso. Una signora, che aveva di recente
-letto il sentimentale romanzo di Davide Bertolotti, che si intitola
-appunto _Il Sasso rancio_, spiegò allora la sua erudizione, ripetendone
-brevemente l’intreccio con tanta gravità come fosse stata pretta
-storia.
-
-Giunti al Sasso, vi trovammo un’erta scogliera quasi a picco del lago,
-e vi si gode di là una magnifica vista. Vicino vi sono parecchie grotte
-che si sprofondano nelle viscere del monte.
-
-Su pel difficile sentiero, che serba il nome di via della _Regina_,
-che è la prosecuzione di quella che costeggia tutta la sponda sinistra
-del lago, nel 1799, quando le nostre belle contrade erano infestate
-dalle orde russe, un drapello di cavalleria cosacca di Souwarow
-volle peritarsi; ma gli irrequieti cavalli, accostumati a liberamente
-scorrazzare per le lande dell’Ukrania, sbizzarrendo, diruparono per
-que’ greppi, seco traendo nel precipizio anche molti de’ cavalieri.
-
-Noi invece che v’andammo a piedi non corremmo alcun pericolo;
-ricordammo lo storico fatto, misurammo tutta l’altezza del precipizio
-e inorridimmo, e vi trovammo invece alla fine della nostra escursione
-tutto quel divertimento che desidero a’ lettori.
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMA.
-
-LE FERRIERE DI DONGO.
-
- Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il
- Medeghino. — Le Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa
- Polti. — Villa del vescovo di Como. — Chiese di S. Stefano e
- S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le miniere di ferro. — I forni
- fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le _Frate_.
-
-
-La manía de’ forastieri e villeggianti s’arresta per ordinario alla
-Tremezzina, nè più si cura delle altre bellezze del lago superiore. È
-ben vero che non c’è più quel sorriso continuo di ville che nella parte
-da noi già percorsa abbiam vedute; ma è vero altresì che v’hanno molte
-e molte ragioni a non dimenticare anche quest’altra parte del lago, che
-forse per l’artista riesce più interessante. Io ne dirò con sollecite
-parole de’ principali luoghi, acciò il libro non manchi al suo titolo.
-
-Secondando sempre la sinistra sponda del lago, passato avanti il
-_Sasso rancio_ e San Siro, vedesi su d’un promontorio il paese e
-il castello dei Rezzonico, famiglia d’onde uscirono quel Clemente
-XIII, al quale il Canova lasciò famoso monumento in Roma, e i conti
-Gastone e Antongioseffo, buoni letterati. Il luogo ora è reso ameno
-per bellissimo parco fattovi all’intorno, per coltura e per magnifici
-limoni che vi fioriscono.
-
-Proseguendo, scorgesi un altro promontorio che si spinge nel lago e che
-un dì portava un castello ed era quello famoso di Musso, che ricorda
-le gesta di quel formidabile filibustiere, che fu Gian Giacomo Medici,
-detto il Medeghino di Milano. L’ebbero prima i Visconti, quindi il
-maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, e in fine, per inganno, il Medici
-suddetto, che, fatta incetta della peggior ribaldaglia, vi si stabilì
-come in nido sicuro di rapaci avoltoi. A renderla più inespugnabile,
-la circondò d’opere militari d’ogni maniera, al compimento delle
-quali coll’esempio incoraggiavano perfino le sorelle di lui, Clarina
-e Margherita, la qual’ultima, sposa, al conte Giberto Borromeo, fu
-poi madre di quel Carlo che divenne arcivescovo di Milano, cardinale
-di Santa Chiesa e canonizzato da ultimo come santo. Era da questa
-rôcca che il Medeghino, approfittando della debolezza del governo di
-Lombardia, che ora stava nelle mani de’ Francesi, or passava a quelle
-degli Spagnuoli, ed a tratti ben anco funestato dalle orde alemanne,
-colla flottiglia che s’era formata di sette navi grosse a tre vele
-e quarant’otto remi, ed aveva armata cadauna perfin di cento uomini,
-tutta schiuma di scellerati, spandeva il terrore pel lago e rendevasi
-tanto formidabile e potente, da tenere a segno i Grigioni, ai quali
-anzi toglieva Chiavenna; da oppor resistenza agli Sforza dapprima,
-quindi ben anco all’esercito cesareo, capitanato dal duca di Leyva,
-che soleva dire dargli maggior fastidio il Medeghino che non tutto
-l’esercito dello Sforza; da trattar da pari co’ principi, battere
-moneta, e dopo d’avere assalito il territorio di Lecco, quello della
-Valtellina e la Valsolda, intitolavasi conte di Musso e di Lecco,
-governatore del lago e della Valsássina. Se Carlo V volle togliersi
-questa spina, gli fu giuocoforza venire a patti con lui, concedendogli
-forti somme di denaro, il feudo di Marignano col titolo di marchese e
-il comando di quell’esercito che gli affidava per abbattere a Siena
-l’ultimo avanzo di guelfa libertà. Ciò avveniva nel marzo 1532; e
-quando, in seguito a tali atti, egli abbandonava il suo castello
-di Musso, i Grigioni, che ne spiavano la partenza, inerpicavansi
-su per que’ greppi, impazienti di demolirlo; scortili il Medeghino,
-retrocedette, scese a terra e intimò rispettasser il castello finchè
-egli fosse in condizione di vederlo; e tanto imposero la sua presenza e
-la minaccia, che alla demolizione non si mise la mano che sol quando la
-sua nave non fu più veduta per il lago.
-
-Ora il picco sopra cui il castello si elevava, costituendosi d’un marmo
-saccaroide dolomitico, somministra marmi alla fabbrica del duomo di
-Como; le molte mine che ne aprirono le viscere, dischiusero un varco
-che lascia veder tutta la vallata che riesce a Dongo, e i signori
-Manzi, a cui spetta, accomodaronlo come a parco.
-
-Detto delle sorti di questo castellotto che meritamente servì a
-novellieri e romanzieri di largo e fantastico tema, avanzando, s’entra
-nel territorio delle Tre Pievi, che comprendeva nella sua giurisdizione
-Dongo, Gravedona e Sórico, e che ne’ tempi medievali costituiva di per
-sè una piccola repubblica, è vero, ma tale da sapersi far rispettare.
-E la piccola repubblica ebbe pure l’istoriografo suo nel vivace
-Rebuschini.
-
-Seguendo il parco dei signori Manzi che abbiam veduto a’ piedi delle
-rovine del castel di Musso, perveniamo in mezzo al seno dove sorge
-il palazzo di questi medesimi signori e dove siede il paese di Dongo.
-Altre case signorili qui vi sono, fra cui quella dei Polti: il vescovo
-di Como vi ha pure la sua villeggiatura, acquistata avendo il vescovo
-Romanò la villa che già fu di Antonio Cossoni, discendente di quel fra
-Daniele Cossoni che fu ministro di Filippo IV di Spagna.
-
-Qui villeggiava il notajo Sormani di Milano, che si ebbe a’ nostri
-giorni la maggior riputazione e clientela, ed al quale i figliuoli
-eressero nella parrocchiale di Santo Stefano un monumento. In questa
-chiesa vi sono anche mediocri statue del Salterio; affreschi di Giovan
-Mauro, Gian Battista e Marco della Rovere, detti i Fiamminghini, vi
-sono nell’altra chiesa di Santa Maria.
-
-Nella vicina valle dell’Albano vi sono ricche miniere di ferro e le
-si dan scoperte da un Giacomo di Desio nel 1460, che un’altra pure
-discoperse di rame presso Barbignano.
-
-Nell’archivio de’ Trivulzio di Milano leggesi un documento in cui
-è scritto che lo stesso Giacomo di Desio rinvenisse in questa valle
-massi di smeraldo e di rubino, forse schisto di color verde e qualche
-pirite di rame, certo non di quella grossezza nè tale da farne tavole e
-colonne; onde in benemerenza il duca gli assegnasse dieci scudi il mese
-di pensione, purchè quelle pietre ad altri non offerisse prima che a
-lui, per un prezzo da misurarsi a norma di loro volume; diritto poi da
-esso duca ceduto al maresciallo Gian Giacomo Trivulzio.
-
-Colle miniere era facile immaginare che presto vi si sarebbero
-stabiliti forni fusorî, e infatti furono attivati nel 1465 e furono per
-lungo tempo posseduti dai conti Giuliani di Milano.
-
-I Rubini per altro li acquistarono nel 1790 e vi portarono tali
-miglioramenti e incremento all’industria, da poter modellare la
-ghisa. Ma più ancora questa industria s’avantaggiò, quando nel 1839
-venne costituita la società Rubini, Scalini e C. che le diè più
-ampio svolgimento; per modo che se ne’ primi quarant’anni del secolo
-producevano le cave per circa cinquantamila pesi, ora può dirsi che
-siasi il ricavo portato a diecimila quintali, di cui un terzo di ghisa,
-occupandovisi ben quattrocento operai.
-
-Visitare queste ferriere deve essere un amenissimo scopo di escursione
-a chiunque, sia per chi di questa industria sia intelligente, sia per
-qualsiasi profano che pur si interessi all’attivo lavoro ed al curioso
-processo, onde la roccia si tritura, il metallo si fonde, si schiumano
-le scorie, e poi l’incandescente e liquido ferro trabocca e si distende
-come un igneo torrente per le diverse forme che gli si vogliano far
-assumere e che raffreddandosi ritiene.
-
-Quelle terre che si mostrano sopra Dongo non sono indegne d’essere
-visitate per chi ama l’arte. Perocchè a Garzeno v’abbian pitture di
-Giovanni della Rovere suddetto, altro de’ Fiamminghini; ed a Brenzio
-ve n’abbian molte di Isidoro Bianchi da Campione, celebre pittore,
-allievo di Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone, e parecchie
-pure de’ Fiamminghini.
-
-D’una particolarità ancora di questo monte, alle cui pendici è
-Dongo, intratterò, e poi per questa escursione imporrò freno allo
-scilinguagnolo; ed è che le sue donne, per un voto fatto nella
-peste del secolo XVI, vestono da cappuccine, quantunque abbelliscano
-il grossolano costume di ricche cinture e finissime trine. Queste
-contigie non vietano che attraggano la curiosità di chi visita la
-montagna, e che loro si dia il nome di _frate_, appunto per il fratesco
-abbigliamento.
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMAPRIMA.
-
-GRAVEDONA.
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- Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle
- di Lesio. — Gravedona e la sua storia. — La chiesa di San
- Vincenzo. — S. Maria del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. —
- Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il Sasso acuto. — Domaso. —
- Gera. — Sórico.
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-Quanto torto si ha a non comprendere fra la parte di lago, che si
-suol meglio ricercare da’ forestieri e villeggianti, questo territorio
-delle _Tre Pievi_, già dissi. Esso divide infatti, col resto che già
-percorremmo, i bellissimi prospetti e la ricca vegetazione, e forse
-forse, perchè protetta a settentrione dall’alta schiena de’ monti che
-la difendono dai soffii gelati, ha mitezza di clima maggiore degli
-altri inferiori bacini, sicchè i giardini vi abbiano agrumi e fiori, e
-la camelia perfino vi alligni e prosperi, l’inverno senz’uopo di stufe.
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-Noi, spiccandoci da Dongo, dove siamo restati nella nostra ultima
-escursione, e via trascorrendo Consiglio di Rumo e San Gregorio,
-giù scendendo, potremmo ammirare buoni dipinti del cavaliere Isidoro
-Bianchi, e salendo più in su, ove comincia il Pizzo di Gino, troveremmo
-la chiesuola di San Gottardo. Poi ci vediamo davanti la Valle di Lesio,
-oltrepassata la quale si sparpaglia sul pendio del monte la grossa
-borgata di Gravedona.
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-Non fu solo il Rebuschini che ricordò nella sua _Storia delle Tre
-Pievi_ gli avvenimenti di Gravedona: altro storico l’aveva preceduto,
-Anton Maria Stampa, che fu autore d’una _Storia dell’insigne borgo
-di Gravedona, altre volte repubblica_, da lui scritta a bandir la
-noja della prigione, perchè, sospettato di torbidi popolari, venne
-chiuso nel forte di Fuentes, che sta a capo del lago sulla via di
-Chiavenna e intorno al quale si potrebbero spendere molte parole,
-se dal mio soggetto non temessi di scostarmi soverchio. Non lasciò
-questo scrittore di rimontare a remotissimi tempi del suo insigne
-borgo, per isnocciolarne di grosse, e non so da qual codice infatti
-imparasse egli come prima Gravedona si appellasse Laricola; ma che poi,
-ivi stanziando, un Garbatone, figliuol d’un re Garibaldo anteriore a
-Brenno, vi imponesse il proprio nome e fosse il principio d’una serie
-di re e di eroi. Di tutto ciò si dispensa d’indicare le fonti: la
-tradizione è la sua autorità; ma invano anche questa voi domandereste a
-que’ della borgata.
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-Il Rebuschini attinge invece a più verosimili tradizioni, e ricorda che
-Gravedona sostenesse onorevole parte nelle guerre repubblicane; che nel
-tempo del Barbarossa,
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- Di cui dolente ancor Milan ragiona,
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-come diceva a’ suoi giorni l’Alighieri, nel soggettarsi Lombardia,
-preponesse al governo delle _Tre Pievi_ un Amizzone, uomo sanguinario e
-rapace, il quale, a togliere ogni motivo ad insurrezione, smantellava
-il castello di Gravedona e la Torre di Melia, e così inoltre operasse
-da tiranno, che stancati quegli alpigiani ne scuotessero il giogo
-ed egli fosse costretto a rifugiarsi in Valtellina. Rammenta pure
-come lo stesso Barbarossa, dopo la tregua di Venezia, tornando pel
-lago in Germania, venisse da que’ di Gravedona audacemente assalito,
-depredandolo delle bandiere e del corredo, e la corona stessa
-imperiale, tutta d’oro, caduta pur nelle mani loro, deponessero poi
-nella chiesa del Battistero, onde nella pace di Costanza volesse
-Federico esclusa dal parteciparne a’ beneficî Gravedona.
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-Già toccai della parte dalle _Tre Pievi_ avuta nella guerra
-decenne; poi Gravedona divenne feudo del cardinale Tolomeo Gallio,
-facoltosissimo ed influente, e che nutrendo pensiero di farne la
-capitale della Valtellina, al cui conquisto agognava, vi fabbricò, su
-buon disegno del Pellegrini, un grandioso e turrito palazzo, il cui
-loggiato si vede da chi viaggia per il lago. È in esso che fu detto che
-si volesse trasferire il Concilio ecumenico di Trento; ma non se n’ha
-nella storia alcun documento che tale intento comprovi; onde siffatta
-pretesa de’ Gravedonesi è suffragata unicamente dalla circostanza che
-nel detto palazzo si conservino solenni seggioloni con iscritto su
-ciascuno il nome de’ cardinali.
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-Dal Gallio passò il feudo alla ducal famiglia d’Alvito di Napoli,
-che la più parte del ricco mobigliare, onde istruivasi il palazzo,
-si trasportò nella sua casa di questa città e in quella di Genova;
-ma a conservare gli eredati diritti vi mantenne un commissario per
-amministrare la giustizia.
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-Merita qui esser veduta la chiesa parrocchiale di S. Vincenzo, che
-si vuole del secolo V, con cripta di stile lombardo, e dove si vede
-il sepolcro del dottissimo cardinale Michelangelo Ricci, e tra gli
-arredi una pianeta di forma greca a bei ricami, una pace d’argento
-del XIV secolo, un calice egregiamente cesellato con molti giri di
-santi raffigurati in ismalto, non che una croce grande con ornati e
-figurine, lavorata per _Franciscum de Sancto Gregorio da Grabedona_. Nè
-si dimentichi di osservare il battistero di Santa Maria del Tiglio, che
-si pretende eretto dalla pia regina longobarda Teodolinda, alla quale
-per altro si attribuiscono troppe cose, perchè vi si possa credere
-sulla parola. Esso battistero è quadrilungo, con tre absidi pentagone
-all’esterno e con campanile ottagono di bell’effetto, e internamente
-ha una galleria nella parte superiore che lo gira tutt’all’intorno,
-e le pareti lasciano intravvedere come già fossero tutte rivestite di
-pitture. È qui dove esiste dipinta una Vergine col Bambino, or tutta
-rovinata dal tempo, che l’Aimoin nel suo libro _De Gestis Francorum_,
-afferma essere stata un tempo per più giorni sfolgorante di celeste
-luce. — Oggidì sappiamo quanto valore si abbiano codeste storie e
-miracoli, che preti ignoranti e pinzochere accreditano fra le zotiche
-popolazioni, come che loro non paja bastevole la buona e sana dottrina
-del Cristo a persuaderne la santità della religione.
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-Agli amatori dell’arte si ponno additare altresì un buon quadro della
-scuola del Guercino nella chiesa de’ Santi Gusmeo e Matteo; nella
-vicina terra di Peglio vi hanno i dipinti di Gian Mauro della Rovere,
-altro de’ Fiamminghini, che ho già mentovati, fra cui il proprio
-ritratto nel battistero; una Madonna del far di Bernardino Luini,
-una Santa Rosalia della scuola del Guercino, e minori pitture di un
-Antonio Scherino del 1635, di Giovanni Valerio, del Rodriguez, del
-Caracciolo di Vercana, terra di questi dintorni; oltre la _Via Crucis_
-e il Trionfo della Morte nell’ossario, dipinti nel 1715 da Alessandro
-Valdini; e a Liro, ne’ cui monti scopronsi a Darenco, Caprico e Ledi
-tre piccoli laghi; nella chiesa abbandonata di San Giacomo vi sono
-affreschi che portano la data del 1412 e il nome di Bernardo Somassi,
-al quale appartengono, e che metterebbe conto che fossero esaminati da
-chi avesse a ritessere la storia dell’arte italiana, massime ne’ suoi
-primi tempi.
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-Sovra Gravedona i buoni passeggiatori non lasciano di montare al _Sasso
-acuto_, picco, la cui forma è designata dal suo qualificativo, che ha
-la vetta rilucente, ed ha sparso il cammino di lucide tormaline.
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-Ma non volendoci adesso scostar dal lago, oltre Gravedona si distende,
-come in un semicerchio, Domaso, che si presenta più bello e seducente
-soggiorno se riguardi al suo vago prospetto ed all’attività de’
-suoi commerci; ma chi non è avvezzo ai troppo vivi scorrazzamenti
-della _breva_, che sembra qui s’accolga, quasi l’antro di Eolo, per
-poi sprigionarsene sul lago, s’accorge presto che non è sì grato il
-dimorarvi. Da un’antica poesia di quell’Anton Maria Stampa che ho
-ricordato nella passata escursione, e che il Cantù ha pubblicata,
-raccogliesi che a que’ di Domaso venisse a’ suoi giorni appiccicato
-vituperevole epiteto, per essere talun del paese trascorso ad alcun
-atto d’empietà. Ecco i versi che vi fanno allusione:
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- O signori, udite come
- A Domaso sia rimaso
- Quell’orrendo soprannome
- Di cui fe’ poc’anzi acquisto,
- Del mozzar le braccia a Cristo.
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-Più avanti si incontra Gera, sito di pescatori, e più avanti ancora
-Sórico; ma le scialbe faccie de’ suoi abitatori ne avvertono dell’aria
-malsana a causa d’acque che vi stagnano; onde sarà bene che noi
-retrocediamo, perocchè di malinconie il mio lettore non ha di certo
-bisogno, e d’altronde da qui i canneti che vediamo ci annunciano presso
-la fine del lago.
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-ESCURSIONE VENTESIMASECONDA.
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-REGOLEDO.
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- Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni.
- — Dorio, Carenno e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. —
- L’Orrido. — Il Sasso di Morcate. — Riva di Gittana. — Varenna.
- — Albergo e villa Venini. — L’Uga e la Capuana. — Il Fiume
- Latte. — Regoledo.
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-Poichè siamo a capo del lago, visitiamo rapidamente anche le altre
-terre della sponda opposta a quella che abbiamo veduta.
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-Prima si presenta Olgiasca; ma non ti rallegra: delle sue pietre
-calcaree silicee si fecero le colonne di S. Lorenzo di Milano, e al
-nostro tempo quelle dell’Arco del Sempione. Hai appena oltrepassato le
-case, che vedi addentrarsi il villaggio di Piona, forse da Peonia de’
-Greci, che ha un piccolo ma pescoso lago, un vecchio ma bel monastero,
-ed una chiesa che si pretende esistere fin dal sesto secolo, perchè
-un’iscrizione che vi si lesse la disse consacrata da Sant’Agrippino nel
-607.
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-A poca distanza schierasi sul lido il paese di Colico, e le febbri
-che vi dominano sembrano legittimare il suo nome. Ciò malgrado, è
-attivissimo scalo, quivi mettendo capo i piroscafi che muovono da
-Como e moltissime navi di mercanzia e i molti viaggiatori diretti al
-paese di Chiavenna e di Valtellina; come le merci e i viaggiatori che
-si dirigono da questi luoghi a Lecco, Como e Milano. Un dì fu contea
-eretta dai Visconti pei Sanseverino; poi infeudata dal duca Lodovico
-Sforza al proprio cameriere Giovanni Casati, che dovette in seguito
-restituirla alla giurisdizione dei Comaschi, che provarono d’avervi
-diritto. I Caldarini l’ebbero poscia da Carlo V; e dopo passò prima
-ai Pusterla, quindi ad Anton Maria Quadrio e da ultimo a un Rubini di
-Dervio.
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-Si succedono a Colico tre altre terre con nomi grecanici, Dorio,
-Corenno e Dervio, corrotti forse da Dori, Corinto e Delfo;
-d’interessante, Corenno presenta un castello di spettanza dei conti
-Andreani, e Dervio pure una rôcca di pittoresco effetto.
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-Più assai offre argomento di intrattenerci la bella borgata di Bellano,
-che vi tien dietro e già fu corte degli arcivescovi di Milano, come ce
-lo fe’ sapere quel simpaticissimo ingegno, nativo di questo luogo, che
-fu Tomaso Grossi, nel suo _Marco Visconti_.
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-Ha bella chiesa del secolo XIV di stile lombardo, a fasce la facciata
-di marmo bianco e nero, con bel finestrone rotondo nel mezzo recinto di
-fogliami in terra cotta. Se ne dà merito a Giovan da Campione, Antonio
-da Castellazzo e Cornelio da Osteno, i quali la architettarono. Or
-s’è fatto un bel viale lungo il lago a comodo di passeggiata, e lo si
-denominò dal sullodato concittadino poeta e notajo Tomaso Grossi, che
-col Manzoni tenne per tanti anni in Milano il primato delle lettere
-italiane, alle quali, oltre al _Marco Visconti_ summentovato, che sarà
-sempre una bella e cara lettura, diede eziandio un poema dal titolo _I
-Lombardi alla prima Crociata_, e le novelle patetiche _Ildegonda_, _La
-Fuggitiva_ e _Ulrico e Lida_, nonchè crebbe dicevolmente la collana
-de’ poeti vernacoli milanesi colla stessa _Fuggitiva_ in dialetto,
-colla _Prineide_ e colla _Pioggia d’oro_[26]. Milano eresse alla sua
-memoria una statua nel cortile del Palazzo di Brera, opera di Vincenzo
-Vela, perocchè l’ebbe come suo per lunghissimo soggiorno; e Bellano ne
-commise il busto allo scalpello di Antonio Tantardini, onde collocarlo
-a capo del detto viale. Ma vorrei che l’obolo de’ suoi compaesani e
-degli amici ed estimatori che già concorsero, affrettasse l’esecuzione
-di questo che poi non è costosissimo monumento. Son già molt’anni che
-se ne parla.
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-Era pure di Bellano Sigismondo Boldoni, medico ed egregio latinista
-e poeta del secolo XVII, avendo scritto in ottave la Caduta dei
-Longobardi, e latinamente intorno agli avvenimenti del suo lago.
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-Dalla Valsássina, che finisce a Bellano, giunge la Pioverna, torrente
-che qui, gettandosi da un’altezza di forse sessanta metri, produce
-un orrido cui traggon tutti a vedere. Quando il luogo di sua caduta
-apparteneva alla famiglia Fumagalli, dalla quale ero considerato ne’
-miei giorni d’infanzia coll’affetto di figliuolo, e che io, dopo tanta
-lontananza di tempo ho sempre nel cuore, su quell’abisso eravi un ponte
-sospeso a catene, sul quale essendo, anche perchè paresse malfermo e
-dondolasse, si rabbrividiva.
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-Io non lo vidi, perchè già rotto nel 1816 da un masso che vi era
-rovinato.
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-Ora il luogo divenuto proprietà dei signori Gavazzi, questi
-usufruttarono di quell’acqua per dar anima e moto ad officine,
-setificî, lanificî, cartiere, laminatoi e mulini, essendo ora Bellano
-uno de’ paesi del lago più industriosi.
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-Poichè vi siamo presso, andiamo ora a vedere Varenna.
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-Passiamo pel Sasso di Morcate, cui la mina ha squarciato le viscere,
-per continuarvi la strada militare, e giungiamo alla Riva di Gittana,
-di cui in addietro appena appena si sapeva da’ barcaiuoli il nome; non
-adesso che da tutte parti vi arriva la gente per ascendere a Regoledo,
-luogo silvestre non è gran tempo, divenuto oggidì uno de’ più popolati
-ritrovi termali.
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-Ma prima di ascendervi anche noi, proseguiamo a Varenna, che fu già
-nella dipendenza degli arcivescovi di Milano. Già fiorente un dì, non
-conta ora più di un migliaio di persone, ciò che non impedisce che viva
-tuttavia sul labbro de’ suoi abitatori il ritornello che stereotipa il
-carattere de’ suoi abitatori:
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- Varenna su uno scoglio,
- Del mio non ho, del tuo non voglio;
- Ma piena son d’orgoglio.
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-La grandiosa villa che quivi avevano gli Isimbardi fu ridotta ad
-albergo; i Venini ve l’hanno ancora; il clima è più che proprio a
-mantenervi anche fiori e piante esotiche.
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-Poco discosta è la fonte Uga, che sgorga da un antro e trascorrendo
-sotto di un pergolato di allori, scende e s’unisce alla cascata
-artificiale della sottoposta Capuana.
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-Finalmente si giunge alla cascata del Fiume Latte, le cui acque,
-per un cammino lunghissimo entro le viscere del monte, si gittan poi
-spumeggianti e fredde per un’altezza di trecento metri pei dirupi, e
-dopo d’avere rumorosamente giovato a mulini, ad una fabbrica di vetri e
-ad un filatojo, si confondono coll’acque del lago.
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-Retrocediamo ora alla Riva di Gittana e saliamo a Regoledo.
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-Chi parlava prima di Regoledo? Francesco Maglia di Milano, fabbricatore
-di carta, ritrattosi dal commercio, che abbandonava a’ suoi figli, su
-questa deliziosa e facile altura, che è di soli 225 metri sul livello
-del mare, vi edificò coraggiosamente un vasto e comodo stabilimento
-idroterapico.
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-Superate le prime difficoltà che accompagnano sempre qualunque impresa
-ardita, Regoledo è divenuta ora una stazione estiva di moda. La sua
-posizione felice, il facile modo di giungervi, il buon trattamento,
-tutti gli apparecchi e le innovazioni dell’idroterapia, e l’assistenza
-d’un medico specialista, vi chiamano la più eletta compagnia, che anche
-rinnovandosi, non perde mai di suo valore.
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-Da qui si può muovere a stupende escursioni, oltre che sul lago,
-anche per la Valsássina, sul Moncodine e sulla Grigna. La vegetazione
-che circonda Regoledo è bella e perfino lussureggiante, le acque
-son copiose, deliziosi i prospetti, l’aria pura ed eccellente; e
-però s’anco il medico non lo ordini, pellegrinate ne’ mesi di luglio
-e di agosto a Regoledo e vi ci starete, sotto tutti i riguardi, a
-meraviglia.
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-ESCURSIONE VENTESIMATERZA.
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-IL MERCATO DI LECCO.
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- Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I Marroni.
- — Perledo e la Regina Teodolinda. — Lierna. — Olcio. — Villa
- Pini. — Mandello. — Abbadia. — La Gessima. — Lodovico Savelli.
- — Le Caviate e la Maddalena. — La strada militare. — Onno.
- — Parè. — Lecco. — Il Maglio. — Acquate e Pescarenico. — Il
- Galeotto. — Il Mercato di Lecco. — Le _robiole_. — Gli alberghi
- del _Leon d’Oro_ e della _Croce di Malta_.
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-Noi coglieremo un bel giorno di sabato del mese d’ottobre per
-imbarcarci mattinieri sul piroscafo, che partito da Como, non va già,
-come d’ordinario, a Colico, ma a Lecco, perchè a chi villeggia lungo
-il Lario, come a chi villeggia nella Brianza superiore, il mercato che
-si fa a quella piccola ma leggiadra città, è una delle imperscrittibili
-mete alle eleganti escursioni.
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-Noi abbiamo già dimezzato il cammino, ritrovandoci già oltre la punta
-di Bellagio, ed entrati in quel ramo del lago che appunto s’incammina a
-Lecco.
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-E prima di scostarci da queste sponde, dopo la Sfondrata, oltre quel
-gruppo di povere case che si intitola Vassena, il romanzo di Grossi,
-che tutti abbiamo letto, ci suggerisce d’occuparci di Limonta,
-“terricciuola, — è scritto nel Marco Visconti — pressochè ascosa
-fra i castani al guardo di chi, spiccatosi dalla punta di Bellagio
-per navigare verso Lecco, la cerca a mezza costa in faccia a Lierna.
-Cominciando dall’ottavo secolo fino agli ultimi tempi che fur tolti
-i feudi in Lombardia, essa fu soggetta al monastero di Sant’Ambrogio
-di Milano, e l’abate, fra gli altri titoli, aveva quello di conte di
-Limonta e di Civenna, terra più in alto, al lembo della Valassina.„ I
-geologi e gli archeologi ricordano sovrastante a Limonta un masso del
-volume di circa cinquanta metri cubi, che sembrerebbe rovinare ad ogni
-più lieve scossa, ma che è sorretto invece da tre pietre della medesima
-natura. Su questo trovante si leggono scolpite le lettere:
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- P. L. D. B.
-
-che il chiarissimo archeologo cavaliere Bernardino Biondelli,
-interpretò per _Pietra Luna di Bellagio_. Infatti si denomina _Pietra
-Luna_ un tale trovante e lo si pretende una reliquia del culto celtico,
-come qui dal linguaggio celtico si hanno più vestigia in molti nomi di
-paesi e monti, come Grianta e Grosgalli. Completerò le notizie intorno
-a questa minima terra, ricordando le cave di gesso che son proprio
-a lido, e quelle di marmo nero sul fianco del monte; onde gli scoppi
-delle mine destano frequentemente gli echi di quest’ultimo contrafforto
-delle Alpi; e per coloro che sono alquanto più epicurei, ricordando che
-il luogo è celebre pe’ suoi saporiti marroni. Anche la vicina terra di
-Civenna divide una tale gustosa particolarità, che un giorno era tutto
-a profitto dei detti monaci di Sant’Ambrogio. Qual gaudente non si
-sarebbe fatto monaco allora? Le più belle ville, le leccornie migliori,
-privilegi d’ogni sorta, immunità, tutto era per essi.
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-La citazione del Grossi rammenta Lierna che sta in faccia a Limonta, ed
-è paese su’ cui greppi soprastanti si fanno vini che dicono buoni per
-chi patisce di gotta e di calcoli, mali oramai resi troppo comuni.
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-Più in alto è Perledo, da dove si ha una magnifica vista. Lassù, dicesi
-dalla tradizione che la Regina Teodolinda — la quale in tutta questa
-parte di Lombardia si ha tutti i momenti e per tutte le occasioni alla
-mano —, dopo d’avere abdicato in favore del figlio Adaloaldo, s’avesse
-a ritirare per ivi passare nella quiete i vecchi giorni[27].
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-Su questa riva orientale, dopo Lierna, si incontra Olcio, ove si scava
-pure marmo nero, del quale parte va alla fabbrica del duomo di Como;
-quindi si arriva a Mandello, grosso paese, dove il palazzo Airoldi, ora
-Pini, contavasi fra i più suntuosi del lago.
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-Oltre Mandello è l’Abbadia, così chiamata per una antica badia che fu
-prima de’ Benedettini, e quindi de’ Servi di Maria, e vi son case di
-villeggiatura. Più avanti, verso Lecco, è la Gessima, luogo brullo
-e sassoso, che trae forse il suo nome dalla roccia propria a far
-gesso, e va ricordato da Paolo Giovio pel fatto miserando intervenuto
-a Lodovico Savelli, che, essendosi inerpicato per questa scogliera,
-scivolatogli il piè, e giù rovinando, potè nella caduta avvinghiarsi
-ad un ramo sporgente e colà vi stette, colla forza dell’istinto che
-ognuno ha della propria conservazione, per ben cinque ore; finchè, più
-non potendovisi sostenere e mancategli le forze, stremate vieppiù dalla
-sferza del sole, malgrado che que’ terrieri, inorriditi spettatori di
-quella scena, gli avessero disposto sotto letti di felci, di strame e
-di materassi, giù lasciandosi andare, prima di toccar terra s’era già
-reso cadavere. — Seguono le Caviate e poi la Maddalena, casali ultimi
-che rompono l’uniformità della strada militare, la quale da Lecco
-dirigesi a Colico e che corre tra il lago e la montagna brulla, cui di
-tratto in tratto ha squarciate, per aprirsi il varco, le pendici.
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-Sull’opposta riva, rimpetto a Mandello, sorge il paesello di Onno,
-dove a notte le ardenti fornaci ti dicono che vi si produce calce;
-poscia Parè, sovra cui spuntano que’ picchi che si chiamano i _Corni di
-Canzo_, perchè dall’opposto versante sogguardano la grossa borgata di
-Canzo, e che stando sui bastioni di Milano, in una limpida giornata,
-si veggono a incitamento de’ molti che vi traggono a passare alle
-lietissime falde le autunnali vacanze.
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-Ma ritraversiamo lo sguardo: Lecco c’è in faccia; la campanella del
-piroscafo ci annunzia che ci accostiamo al lido.
-
-Entrati in questo bel bacino tutto recinto di monti, non è possibile
-non ripetere mentalmente il saluto a questi luoghi, che leggemmo nel
-capitolo VIII dei _Promessi Sposi_: “Addio, montagne sorgenti dalle
-acque ed erette al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto tra
-voi, e impresse nella sua mente non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi
-più famigliari; torrenti, de’ quali egli distingue lo scroscio come il
-suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio,
-come branco di pecore pascenti; addio!„
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-Con questa soave reminiscenza di Manzoni vi ho invitato a guardare
-tutto l’ameno territorio, che sembra, pei tanti paesi che si succedono
-senza interruzione, una sola città, fin su a Laorca, da dove per un
-risvolto di via si entra nella Valsássina.
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-Ma che è codesto cupo e cadenzato rumore — potrà chiedere il lettore
-che mai non fu a Lecco — che s’intende lontano? — Gli risponderò coi
-superbi versi di Foscolo, che fu in questi luoghi ad ispirarsi, e ch’io
-spicco al _Carme delle Grazie_, e il quale tutto spira attica fragranza
-e venustà:
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- Come quando più gajo Euro provóca
- Sull’alba il queto Lario e a quel sussurro
- Canta il nocchiero, allegransi i propinqui
- Lïuti e molle il flauto si duole
- D’innamorati giovani e di ninfe
- Sulle gondole erranti; e dalla sponda
- Risponde il pastorel colla sua piva.
- Per entro i colli rintronano i corni
- Terror del capriol, mentre in cadenza
- Di Lecco il maglio, domator del bronzo,
- Fuma dagli antri ardenti; stupefatto
- Pende le reti il pescatore, ed ode.
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-È dunque il maglio delle officine di ferro di Castello e San Giovanni,
-il cui martellare mi svegliava nel religioso efebeo a’ giorni della mia
-adolescenza.
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-È, fra tutti i paesi che vedete sparpagliati in questo bel pendio
-fiancheggiato dal monte di San Martino e dal Resegone, che stanno
-Acquate all’insù, a lido Pescarenico, ove seguirono tante interessanti
-scene del romanzo del sommo nostro Manzoni, fatto così popolare che
-non v’abbia persona che, giungendo a Lecco, non s’informi d’ogni
-luogo in quel libro mentovato. E così pure domanda ognuno dove sia il
-_Galeotto_, bella palazzina dove il Manzoni appunto dimorò tanto tempo
-quando attendeva a scrivere questa sua opera d’oro, e che sta a mano
-destra di Lecco, a poco più d’un quarto di miglia.
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-Ma via, scendiamo dal battello che è approdato, tocchiamo la terra
-che ha tenuto parola al vaticinio di questo illustre scrittore,
-affrettandosi a diventare città; e la è infatti per attività di
-commerci, se non per ampiezza, e mettiamoci nel mercato, che già ferve
-da più ore.
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-Gentili signore e molte nostre cittadine conoscenze lo percorrono su
-e giù. A che mai son venuti? Quale attrattiva li ha chiamati? Non è
-già la brama di ammirarne le derrate e le merci esposte; chi mai ad
-esse ha pensato? Per quanto siano peregrine le _robiole_ o cacini
-di Introbbio, che Valsássina vi spedisce, non son esse di certo per
-cui sono accorse. Ma per che dunque? La voga. È detto che il mercato
-di Lecco sia una gran cosa, massime a’ sabati d’ottobre, e ognun vi
-corre che stia in villa, o lungo il lago, o nel vicino Pian d’Erba, o
-nella restante Brianza superiore. Gli è che ognuno serve di spettacolo
-all’altro: giugne una carrozza, ne giugne un’altra; gli uni attendono
-a vederne scendere gli altri; son persone che si conoscono, che si
-salutano, che si stringono la mano, si baciano, si scambiano notizie e
-complimenti; poi a braccetto si passeggia a veder altri, poi si parla
-e si sparla di tutto; si ingombra il caffè; si impegna a fermarsi per
-la sera al teatro, che per consueto ha in autunno buona compagnia di
-canto; poi, se sì, si va all’albergo, il _Leon d’Oro_ o la _Croce di
-Malta_, forniti d’ogni comodità; se no, dopo un pajo d’ore, chi rimonta
-in carrozza, chi riascende il vapore; gli uni vanno di qua, gli altri
-di là, tutti ritornano alle loro ville a diffondere alla loro volta le
-notizie e i pettegolezzi uditi, e a domandarsi spesso: ma infine, che
-cosa v’era a Lecco? Perchè vi ci si va? — e malgrado che la risposta
-che ognuno si dà a sè stesso non contenga grande costrutto, pure il
-sabato successivo vi si ritorna. Andatevi dunque anche voi, o miei
-cortesi lettori.
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMAQUARTA.
-
-VALMADRERA.
-
- Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti
- illustri. — La chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. —
- Valmadrera. — La Chiesa. — Il trovante utilizzato. — Le Cappelle
- della _Via Crucis_. — La villa del signor Egidio Gavazzi. — La
- villa del signor Pietro Gavazzi.
-
-
-Essendomi proposto di condurre il mio lettore dal lago di Como al Pian
-d’Erba, dopo il mercato di Lecco non l’obbligherò a rifar la via del
-lago; ma traversatolo in carrozza sul bel ponte di sotto il quale esce
-l’Adda, volgiam verso Malgrate che fronteggia Lecco, dove sono belle
-ville, e il colle o promontorio che si spinge nel lago, il qual si
-mostra tutto verdeggiante pei giardini che vi si adagiano. Sul vertice
-di esso si signoreggia tutto il vaghissimo territorio; e presso vi sono
-sparse altre case signorili e ville, e il tenere de’ Fate-bene-fratelli
-di Milano, che qui, come a Valmadrera, vi ereditarono dai Mandelli.
-
-Sempre quegli eterni etimologisti pretendono far credere che Grato
-si chiamasse prima questa terra, ma che per una immane strage che vi
-fecero i Comaschi nel 1126, mutasse in quello di Malgrate il nome; non
-altrimenti, per l’opposto, era accaduto a Malevento ne’ primi tempi
-della romana repubblica che una fortunata battaglia facesse alla città
-cangiare il nome in Benevento, che serba tuttavia.
-
-In Malgrate han casa gli Agudio, ed era in essa che Giuseppe Parini,
-ospite del canonico Candido Agudio, scriveva gran parte del suo poema
-_Il Giorno_. Anche il poeta vernacolo Balestrieri, vi fu ospite
-festeggiato e vi conduceva la traduzione in versi milanesi della
-_Gerusalemme_ del Tasso; nè certo vi sarà rimasta muta la musa del
-fecondissimo abate Passeroni, che pur vi conveniva.
-
-Nella chiesa parrocchiale, che sta nella parte più alta del paese,
-cerchiamovi i due bei dipinti di Cherubino Cornienti, rappresentanti
-l’Annunciazione della Vergine e la Natività, e vedendoli, si sente
-maggiore il rammarico che sì giovane ne sia stato il loro autore rapito
-da morte.
-
-Lasciato Malgrate, poco avanti si vede a man destra, ed adagiata sulle
-pendici boscose del monte, Valmadrera. È un grosso borgo industrioso
-per fiorenti setificî, massime quello de’ fratelli Gavazzi, e per
-ottima calce che vi si cava; e l’attenzione e curiosità vi son deste
-per una bella chiesa, sacra a Sant’Antonio, architettata nel 1814 da
-Simone Cantoni, con modificazioni dell’ingegnere Bovara di Lecco,
-e nella quale sono affreschi pregevolissimi di Luigi Sabatelli da
-Firenze, che vi dipinse la visione dell’Apocalisse, ed un quadro antico
-del Lomazzo; un Cristo e Sant’Antonio, scolture di B. Cacciatori; e
-per le magnifiche villeggiature del signor Egidio e del signor Pietro
-Gavazzi, a non dir di qualche altra del pari interessante. Nè van
-dimenticate le cappelle della _Via Crucis_, di cui due condotte pure
-a buon fresco dall’egregio pittore Vitale Sala da Cernusco Lombardone,
-che in queste parti lasciò altre memorie del suo vigoroso pennello.
-
-Nella chiesa, oltre i suddetti affreschi del Sabatelli, merita essere
-ricordato che le quattro colonne di granito, del diametro ciascuna di
-metri due e mezzo e dell’altezza di metri ventisette, che sorreggono
-il cornicione e la vôlta a mo’ di cupola o lucernario, si sono tratte
-da un trovante ch’era sul monte di Valmadrera, a 1200 piedi sul livello
-del lago, che equivale a 1854 su quello del mare.
-
-Nella villa dei signori fratelli Gavazzi poi molte altre ragioni vi
-sono di curioso interesse.
-
-A parte la bella posizione sua, che dovette indubbiamente costare
-assai al suo proprietario, per superare le difficoltà della roccia e
-l’ineguaglianza del terreno; tanto la casa, o grandioso palazzo che dir
-si dovrebbe, quanto il giardino, sono d’una vaghezza incomparabile. E
-siccome non tutto boscoso è il monte che serve di sfondo, ma v’è anche
-molta scogliera nuda; così tutta questa delizia si direbbe suscitata
-dalla magica bacchetta d’una benefica fata, e il vario genere vi crea
-il più grazioso contrasto.
-
-L’arte addita nell’unito oratorio, che è una rotonda d’ordine corintio,
-un monumento eretto alla memoria di Giuseppe Maria Gavazzi, lodevole
-opera di Benedetto Cacciatori, e un quadro pure lodevolissimo di
-Giuseppe Sabatelli.
-
-Nel giardino è un bel laghetto, perocchè l’acqua vi accresca vita
-e bellezza: vi sono profonde e spaziose grotte, chioschi eleganti
-e capanne da pastore, macchie d’alberelli, sabbiosi sentieri,
-tappeti erbosi, piante peregrine e fiori; tutto insomma disposto con
-meravigliosa sagacità e buon gusto.
-
-Presso alla sala da pranzo e da essa, mediante un’acconcia vetriata,
-si vede il giardino detto d’inverno, dove sono adunate piante e fiori,
-che sappiano anche nella stagione inclemente fare di sè bella mostra.
-Abbandono il pensiero di venir passando in rassegna le varie peregrine
-vegetazioni per tema di voler parere botanico, non lo essendo. Noto per
-altro e le stufe opportunamente erette a grandi vetriate col sistema
-dell’ingegnere Balzaretti, che nel giardinaggio è veramente maestro, e
-la bella fontana.
-
-Se, in una parola, il lettore vorrà veramente pellegrinare a
-Valmadrera, pria d’entrare al vicino Pian d’Erba, vedrà che la villa
-dei signori fratelli Gavazzi sorpasserà di molto quell’aspettazione che
-le mie povere e disadorne parole gli avranno per avventura ispirata.
-
-Non si diparta allora da quella borgata senza visitare anche l’altra
-villa del signor Pietro Gavazzi. Dal suo belvedere, che domina
-il grazioso palazzo, gli verrà dato di ammirare un leggiadrissimo
-panorama, di genere affatto diverso da quelli che, dai culmini che già
-abbiamo insieme ascesi, ci accadde di vedere spiegati avanti di noi.
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMAQUINTA.
-
-IL MONTE BARO.
-
- Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. —
- Ello. — Ville Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa Paolina.
- — La Bellavista del signor Cereda. — Galbiate. — Palazzi
- Brioschi e Ballabio. — La villa Sanchioli e l’eco polisillabo.
- — Case Curti e Riva. — La chiesa di S. Michele. — La lapide
- di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe archeologiche. — L’effigie
- immobile. — La Rôcca di Re Desiderio. — La fanciulla nel pozzo.
- — Il Monte delle Crocette.
-
-
-Essere in questi dintorni, sentirsi di buona gamba e volontà di veder
-cose nuove e provar grate emozioni, e non ascendere a Monte Baro, è
-pressochè impossibile. Pellegriniamovi noi pure, amico lettore, più
-fortunati se avremo con noi, e meglio ancora se ci saranno compagne
-le signore, perchè allora più lieta, svariata e simpatica ci parrà la
-gita.
-
-Eleggiamo la via di Galbiate, che tornerà men faticosa. E tuttavia
-questo bel paese è sul ciglio del monte; ma appunto per questo sarà più
-divertente l’escursione nostra.
-
-Mano mano che si ascende, l’orizzonte si allarga. Il ridentissimo
-bacino dell’antico Éupili si distende innanzi a noi. È dall’alto
-che terrem conto di tutto; intanto le terre che su questo monte,
-o piuttosto collina si veggono, sono Bartesate e Villavergano; più
-sopra Figina, ove si vede una casa che apparteneva agli Umiliati, e
-quindi Ello, che conta diverse villeggiature amenissime de’ Prinetti,
-dell’Annoni, del signor Pasquale de’ Vecchi, la villa Paolina,
-fabbricata dal general Pino, e quella dei Riva, che ha un giardino
-da cui si vede da una parte l’Adda e dall’altra il Pian d’Erba,
-e sovratutto quella che già fu del signor Bonomi ed ora è passata
-all’ingegnere Cereda, che per me ha la più simpatica postura della
-Brianza, come quella che sorga sulla parte più alta e libera del paese
-e domini tutto un meraviglioso orizzonte di monti e di colli, di laghi,
-di paesi. L’han detta _La Bellavista_; ma siccome è un nome affibbiato
-troppo comunemente tra noi a qualunque luogo che appena abbia una
-spanna di prospetto o di sfondo, così non rende tutto l’incanto che
-realmente possiede. Ben architettato e comodo ne è il palazzo, e
-stupendamente da natura mosso e accidentato il giardino, anzi parco che
-le sta intorno, ricco di boschetti e rarità botaniche; insomma un vero
-Eden.
-
-Giunti a Galbiate, ci accorgiamo come questo colle separi la valle
-dell’Adda da quella dell’Éupili; perocchè dall’opposto versante veggasi
-appunto quel fiume, che uscito tale di sotto del ponte di Lecco,
-rasenta Olginate e va giù a Brivio. Il duplice orizzonte è pertanto un
-pregio di poche località; godiamolo nel mentre raccogliamo il vigore
-per compiere la gita montana che abbiamo intrapresa. Guardando giù
-per la parte donde siamo venuti, vediamo tutta una serie di laghetti:
-quel d’Oggionno e quel d’Annone, che ne è appena diviso da una lingua
-di terra che chiaman Isella; quindi quel di Pusiano, poscia a mano
-manca quel più piccolo di Alserio. Senza molto dubitare si può essere
-indotti a credere che un dì fossero tutti uniti in un sol lago, che
-Plinio denomina l’Éupili, e dal quale esce il Lambro, ch’egli chiama il
-_Flumen frigidum_, fiume freddo, che ha le proprie scaturigini tra le
-montagne della Vallassina.
-
-In Galbiate poi, passando innanzi a bellissime case e palazzi, si è
-tratti a chiedere a chi appartengano: e si sa che sono proprietarî
-i Brioschi d’un palazzo, che sta sulla piazza della chiesa, con
-magnifiche sale ed ampie cantine, e che già fu del barone Pietro
-Custodi, il continuatore della _Storia di Milano_ di P. Verri e il
-dotto economista; d’altro i Ballabio, con magnifico giardino verso
-Oggionno, e dove si incominciarono scene dolorose di domestico dramma,
-nel quale era catastrofe l’affogamento d’un bambino e scena ultima
-la Corte delle Assise di Milano per lo snaturato suo padre; quindi la
-villa Sanchioli, dove esiste un eco polisillabo, che ripete persino un
-intero endecasillabo, e le case de’ Curti e dei Riva.
-
-Se accadrà al lettore di tornare altra volta in Galbiate, perchè oggi
-siam diretti a Monte Baro, girando intorno al colle verso la parte
-della valle dell’Adda, non lasci di visitare la chiesa di San Michele
-che sta sul pendio verso Lecco. La sua fondazione è attribuita a
-Desiderio, l’ultimo re longobardo, e vi godrà di altro nuovo orizzonte,
-perchè si vedrà in faccia tutto il territorio di Lecco e il corso
-serpeggiante dell’Adda.
-
-Prima di lasciare Galbiate, decifriamo la lapide che si vede sulla
-piazza della chiesa.
-
-Essa suona così:
-
- Libertas
- Quæ toto non bene venditur auro
- Labore lite prætio parta
- Galbiatensi viciniæ ac finitimis oppidis
- Regia concessione firmata tandem arrisit
- Felix dies XVII junii anni MDCLXXI.
- Que infeudationis ac omnis inferioris judicii
- excusso onere
- Populus hic sub potentiss. regis Hispaniarum
- Vicaria potestate nempe mediolanensis Senatus
- Se immediate redegit.
- Tantæ exemptionis memoriæ
- Quam Francisci Georgii Ottolini
- Regiæ ducalis Cameræ notarii
- Autentica scripta privatim asservant
- Hujus lapidis retentivæ custodiæ
- Publice resignantur
- Die XVIII septembris anno MDCLXXI[28].
-
-Così impariamo che Galbiate, ch’era una volta dipendenza del feudatario
-della Pieve d’Oggionno, ebbe a comperare a’ 17 giugno 1671 la propria
-emancipazione.
-
-Ora ripigliamo la strada pel monte Baro. Essa è montuosa, ma non aspra,
-e presto vi si arriva.
-
-Figuratevi quanto s’esercitasse l’erudizione intorno a questo monte!
-S’è detto prima che su questa sua vetta, dove noi ci troviamo adesso,
-vi fosse nientemeno che una città e che questa si denominasse Bara,
-i cui abitanti andassero poi a fondare Bergamo. Gli è tutto un sogno
-codesto, chè nulla rimase che dia presa soltanto ad argomentare che
-qualche fondamento avesse di verità, dove s’eccettui il nome del monte.
-Ma pure i barbassori che misero innanzi tal fiaba, sono nientemeno
-che Plinio il Vecchio, il quale per altro ciò afferma sulla fede di un
-vecchio autore, che dice essere Catone. E a Bara e da’ suoi abitatori
-si vuole discesa tutta la famiglia briantea.
-
-Non so poi davvero di qual ragione possa valere a rafforzare questa
-pretesa la tradizione di quella vecchia e rozza effigie che si venerava
-quassù, e che essendosi tentata da’ divoti di rimovere, onde porla
-in luogo più dicevole ed accessibile, non solo non vi riuscirono, ma
-rimasero colpiti da cecità. Ciò riferirebbesi ad êra cristiana. Quella
-effigie fu rivolta a culto cristiano, e quei di Galbiate vi eressero
-anzi una chiesa, nel 1480, che poi ebbero i Francescani, i quali vi
-studiarono la riforma del loro ordine, e vi stettero finchè Giuseppe
-II, nel 1810, volle sbarazzarsi di frati e di conventi.
-
-Qui sul monte vuolsi ancora che re Desiderio vi avesse una rôcca; e
-qui davanti alla chiesa, non fan più di quattr’anni, che in quel pozzo
-che vi si vede, precipitasse un’inconscia fanciulla, credendo riparare
-entro il recinto di muro dalla furia d’una buféra. Dicono vi rimanesse
-inavvertita ben sette giorni, a capo de’ quali, venuti per cagion d’una
-festa gli apparatori e udendo ascendere da quella profondità un gemito,
-calati dentro vi rinvenissero viva ancora, sebbene intirizzita, la
-poveretta che sopravisse con meraviglia di tutti.
-
-La vista da questa altura è maravigliosa, più che per la sua estensione
-— perchè da oriente è arrestata dalle vette de’ monti che le stanno in
-faccia, — per la sua vaghezza. Le digradanti colline che le stan sotto,
-i laghi che sembrano gli bacino i piedi, quel di Lecco e l’Adda da una
-parte, e quei di Oggionno e d’Annone dall’altra; gli altri leggiadri
-bacini, la miriade di paeselli e di casali disseminati per la valle
-dell’Adda e dell’Éupili, prestano allo sguardo uno di que’ panorami che
-a parole mal si sanno descrivere.
-
-Una bella selva di faggi sussiste ancora, entro cui i buoni Francescani
-s’erano aperta un’incantevole via, che se serviva di delizioso
-passeggio a que’ frati, or vale a riposo di chi pellegrina a questa
-vetta.
-
-Più su si sale al cocuzzolo del monte, dove furono infisse nel suolo
-tre crocette, che si veggono stando al basso della valle e che a
-quel più alto vertice fan dare il nome di Monte delle Crocette. Ivi
-naturalmente si allarga ancor più l’orizzonte e spazia vieppiù la
-vista.
-
-Ma l’ora si è fatta alta, e la salita, l’aria sottile del monte ci
-hanno reso acuto l’appetito; mano alle provvigioni. Non dimentichi il
-lettore la purissima linfa del monte, e con Properzio gridi a chi lo
-serve:
-
- _Et puris manibus sumite fontis aquam._
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMASESTA.
-
-LA VALLE DELL’ORO.
-
- Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — Il re
- Desiderio e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — La Valle
- dell’Oro. — Barzaguta. — La cascata.
-
-
-Come già notai in una precedente escursione, anche dai bastioni
-orientali della nostra Milano, fra quella lunga fila di montagne di
-cerulea lontananza che contermina l’orizzonte, si distingue quel monte
-che elevandosi in due acute punte, vien detto dei _Corni di Canzo_,
-dal bel paese che loro dà il nome, e che divide la Brianza dalla
-Vallassina. Era ad essi che Giovanni Torti, il poeta della _Torre di
-Capua_ e dei versi che Manzoni additava come _pochi ma valenti_, faceva
-cenno in questi:
-
- O selvose montagne, o gioghi erbosi,
- O di lontan sovreminenti al verde
- Cornuti massi, o dolce aere vitale...
-
-Come appendice di questo monte, si protende un bel declivio che vien
-morendo in riva al lago di Annone. Su questo allegro pendío si posa il
-villaggio di Civate, o Clivate, come appellavasi in addietro, derivando
-la propria denominazione dalla sua stessa postura.
-
-Fu già Civate una grossa terra, che v’ha chi pretende perfino essere
-stata una piccola città, argomentando da alcune vicinanze, come
-_Borneu_, che vorrebbe dire Borgo nuovo, Castello o Castelnovo e la
-Selva di Diana. Certo in tempi meno rimoti fu signoria degli Abbati
-Commendatori del monastero benedettino de’ SS. Pietro e Calocero, il
-quale sorge a mezzo del monte che sovraggiudica il paese stesso, e la
-storia e la tradizione hanno lasciato e all’eremo ed alla chiesa tutto
-ancora quell’interesse che pur l’avevano allorquando l’abbazia era nel
-pieno suo fiore.
-
-Per chi amasse conoscere per filo e per segno della origine del
-cenobio e della chiesa, degli scrittori che ne han parlato, fra’ quali
-Tristano Calco ed il Fiamma, Bernardino Corio e Ripamonti, per non
-dire dei tanti altri, farà bene a consultare le _Memorie storiche_ che
-pubblicava l’abate Longoni[29].
-
-Tutti i cronisti, scrive codesto autore, citando il Corio, concordano
-quindi nell’affermare che Desiderio, l’ultimo re longobardo, innalzasse
-la chiesa di S. Pietro per compiere il voto per la guarigione del
-figlio Adalgisio od Adelchi, come lo chiama il Manzoni. Desiderio amava
-oltremodo questo suo figlio, che viene dipinto da Paolo il Diacono, da
-Varnefrido e da Manzoni stesso come duce valoroso; e lo avea in tanta
-considerazione, da chiamarlo a parte del regno, dividendo con esso lui
-gli onori ed il peso della corona.
-
-Il Corio narra come Desiderio, dopo la sconfitta avuta da Adriano a
-Spoleto, oppure, come meglio si vuole, dopo la fuga e la rotta de’
-Longobardi dispersi dall’esercito franco, si ritirasse colle sue
-genti ne’ monti della Brianza ad un luogo detto Montebaro, dove si
-fortificasse in modo che di un monte solitario fosse divenuta una vera
-città opulenta. È quindi probabilissimo, inferisce il Longoni, che
-trovandosi in que’ luoghi andasse a caccia per quei circonvicini monti,
-che a quell’epoca erano per le folte selve abbondanti di selvaggina,
-e che abbattutosi Algiso in qualche fiera, che viene chiamata nelle
-cronache porco selvatico (cinghiale), o fosse assalito da essa, o
-nell’ucciderla restasse offeso dalle armi proprie o da quelle di
-altro cacciatore di lui seguace. Forse i monaci Benedettini, che si
-erano già sparsi nell’Italia e stabiliti negli eremi i più solitari,
-soccorsero il giovane Algiso o Adelchi nella sua sventura e lo
-curarono con affetto; per cui re Desiderio, mosso dalla premura da essi
-addimostrata, fece loro erigere una chiesa più vasta di quella di San
-Benedetto, che forse già esisteva, e la dotò di beni.
-
-Ma il Corio stesso riferiva supposizione diversa, quella cioè che il
-Fiamma aveva diggià udito.
-
-“Questo tempio fece edificare Desiderio a similitudine della Chiesa
-Pontificale in Roma. Et la cagione intervenne che, andando un dì
-Algisio, suo figliuolo, con assai comitiva et gran numero di carri alla
-caccia di porci (cignali) su quel monte dove è edificato il tempio, a
-caso ferendo un porco, di subito, per divina volontà, divenne cieco.
-La qual cosa intendendo il padre il votò a S. Pietro ad honore di
-cui, al figliuolo essendo ritornato il vedere, nel monte predetto
-fece edificare il memorato tempio e quello dotò di honoranti redditi,
-siccome nei suoi privilegi si contiene e per li quali si vede ancora la
-indulgenza che Adriano pontefice gli concesse.„
-
-La quale opinione dello storico milanese riceve il suo valore dalla
-popolare tradizione che ancora sussiste: perocchè i molti devoti che
-traggono a quella chiesa sogliano lavare gli occhi in una fonte di
-acqua viva che scaturisce presso alla stessa, e che pretendono sia pur
-quella che rese la vista all’infelice Adelchi.
-
-Ma che c’entrano, chiederà il lettore, tutte queste leggende colla
-Valle dell’Oro, di cui vi siete proposto di dire?
-
-— C’entrano sì, o discreto lettore.
-
-Perocchè, se visitando il Pian d’Erba, piace a te per avventura fra le
-cose meglio interessanti salire a que’ venerabili avanzi dell’antico,
-dove tanta storia di nostra casa si può imparare, e sarà certo fra’
-tuoi migliori partiti che ti allegrino il delizioso soggiorno, una
-delle due vie che vi conduce, transita appunto per la piccola Valle
-che si denomina dell’Oro; ed io, ponendoti al giorno della pietosa
-tradizione che ancor ripetesi dalla buona gente della montagna, ho
-pensato meglio invaghirti a salire per l’erta scabrosa, prendendo
-quel sentiero che parte da Civate, anzi che dal più agiato viottolo
-che dalla Croce così detta di Pieve mette fra dirupi e cespugli alla
-medesima meta.
-
- [Illustrazione: Valle dell’Oro.]
-
-L’orrido pittoresco della Valle dell’Oro è del più bello artistico
-che immaginare si possa. Perchè chiamata dell’Oro, non è presto
-detto, variando al proposito le sentenze. V’ha chi attribuisce questo
-nome alle molte piante d’alloro di cui tutta quanta era un tempo
-disseminata; v’ha chi pensa esistesse un giorno qualche aurifera
-miniera, ma di traccie non se ne riscontrano; v’ha chi poi lo vorrebbe
-derivare — e potrebbe essere probabile — dal cognome di alcuna famiglia
-che là ebbe un giorno a possedere. Ma di siffatte investigazioni non
-credo possa venirne utile a chichessia e però passo oltre.
-
-Presso al poggio, designato da quei del paese col nome di _Barzaguta_
-(balza acuta), si discende verso un torrente, le cui acque nella caduta
-mettono in movimento mulini e filatoi. Poco dopo ne si para dinanzi una
-magnifica cascata, quella appunto di che or ti si offre il disegno.
-Il fondo di questa incantevole scena è costituito da due altissime e
-smisurate roccie, e le acque, precipitando spumeggianti e rumorose,
-formano nel letto del torrente un bel bacino. Al piede di esso l’occhio
-si perde in una gola oscura, attonito dapprima per le dirupate frane
-e pei pensili massi che sembrano ad ogni istante rovinare, e se mai
-ti piglia il talento di ascendere al sommo della cascata, una rozza
-gradinata praticata nella roccia ti agevola la salita.
-
-Oh sì, fra tanto frastuono delle acque cadenti, e fatto maggiore dagli
-echi che si ripercuotono, l’anima nostra è compresa da un insolito
-sentimento fra la meraviglia e l’orrore; gli svariati effetti di luce,
-le tinte ora cariche, ora sfumanti della intera scena, e quelle ombre,
-che i pittori chiamerebbero _portate_, e il cupo verde de’ cespugli,
-e il gruppo degli alberi, e l’enormità de’ macigni, ne ingigantiscono
-così quelle sensazioni che ognun si sente quasi incatenato al luogo e
-mal si sa togliersi di colà.
-
-Il geologo poi in quest’orrido della Valle dell’Oro studia uno dei
-fatti più curiosi della sua scienza; cioè il gran banco madreporico,
-anzi muraglia di corallo che si stende per tutta la Lombardia, dove
-mal distinto dalla dolomia bianca e grigia che può dirsi azoica, dove
-conservando le forme di polipaio.
-
-Valle dell’Oro è pur chiamato quel povero gruppo di capanne, al quale
-scorge il sentiero che percorre la costa della rupe, e se il cammino
-scabroso ti ha fatto stanco, una polla di limpida e fresc’acqua
-colà ritrovi che ti ristora dall’arsura e ti fa cuore a terminare
-l’aggradevole pellegrinaggio.
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMASETTIMA.
-
-LA CASA DEL PARINI.
-
- Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San Fermo. —
- Bosisio. — La Chiesa e l’Oratorio — Casa Banfi. — Monumento ad
- Appiani e Parini. — Uno stregone dei tempi antichi. — La casa
- del Parini. — Lapide commemorativa. — Onta lavata.
-
-
-Discendendo dall’altura di Civate, rasentati i laghi d’Oggionno e di
-Annone, de’ quali il lettore s’è già intrattenuto per averli veduti
-dalle vette di Galbiate e di Monte Baro, pigliamo la via che mena a
-Bosisio, chè oggi la nostra escursione è un caro pellegrinaggio alla
-casa in cui nacque quell’intemerato intelletto di Giuseppe Parini, che
-fu tanto lume delle italiane lettere e che si recò a sommo di gloria il
-poter dire di sè:
-
- Io volsi
- L’Itale Muse a render saggi e buoni
- I cittadini miei[30].
-
-Vediamo da lungi Annone, che dà nome al lago, ma che non ha importanza
-speciale, malgrado la bella chiesa che vi sorge su disegno del Bovara,
-di stile jonico. E ad Annone dicono sia venuto il nome da uno dei
-trenta duchi longobardi. Se sul Monte Baro e in Civate la tradizione
-ricorda la presenza in questi luoghi di Desiderio e di Algiso, nulla di
-più facile che anche un altro duce di loro razza sia qui stato e abbia
-lasciato a’ posteri memoria di sè in questo paese.
-
-A mano destra, e addossata alla montagna, è quella parte di territorio
-che si denomina ancora la _Squadra dei Mauri_, e anche qui la
-tradizione spiega la denominazione, pretendendo stabilita qui una
-colonia di Mori... ma in qual tempo? Se ne tolgono d’impaccio questi
-fabbricatori di storia, rispondendo: al tempo delle invasioni, che io
-mal saprei definire ancora quando fosse, ignorando davvero che i Mori
-facessero mai invasioni nelle nostre parti e molto meno in queste.
-Compresa in tale Squadra è Cesana o San Fermo, come più propriamente si
-nomina, terra vaghissima e ferace, e che si han più dati per ritenere
-che avesse un giorno una maggiore importanza.
-
-Poi via trascorriamo Suello, e di contro a Cesana, pria di giungere a
-Pusiano, volgiamo a manca, e dopo breve cammino, girando pur alquanto
-intorno al lago di Pusiano, salutiamo Bosisio.
-
-Un dì, e non è molto, era poverissima terra; ora il comune è de’
-più ricchi, grazie alle torbiere che si trovano sul suo, e che gli
-fruttarono e fruttano tuttavia una ingente moneta. Ogni fuoco di questo
-paese ha diritto ad una parte di torba; nè avviene qui ciò che altrove
-di queste parti si lamenta, che cioè i nullatenenti e i vagabondi si
-caccino nell’altrui per i boschi a far legna. E sovrabbonda in tanta
-quantità la torba, che ne può esser venduta con larghissimo ed annual
-beneficio.
-
-Tuttavia, malgrado l’antica povertà, non era l’arte nome affatto
-straniero in Bosisio, se nella sua chiesa parrocchiale ti veniva
-mostrata come preziosità una tavola dipinta da Gaudenzio Ferrari, una
-tela di quel più recente ma esimio artista Vitale Sala, di cui vedemmo
-già a Valmadrera due freschi, ed un’altra del Narducci nell’Oratorio di
-casa Appiani, architettato dal valente Moraglia, dove era un bellissimo
-quadro del sullodato Vitale Sala, rappresentante l’Annunciazione di
-Maria Vergine; e finalmente nella casa del signor Banfi, dove io fui
-l’ospite benvenuto nel 1845, si trovava che il colto proprietario aveva
-nel suo grazioso giardino, che digradava al lago di Pusiano, eretto
-monumento a due illustri che da Bosisio eran partiti a far parlar
-alto di sè stessi il mondo; ad Andrea Appiani, giustamente chiamato
-il _Pittor delle Grazie_, ed a Giuseppe Parini. E siffatta reverenza
-dimostrava il Banfi quando non s’era per anco da alcuno pensato a
-mettere pure una pietra commemorativa là dove l’illustre Poeta era nato
-ed aveva abitato; e su di quel monumento scolpiva i versi di lui, ne’
-quali entrambi sono così rammentati, e son questi:
-
- Te di stirpe gentile
- E me di casa popolar, cred’io,
- Dall’Éupili natio,
- Come fortuna variò di stile,
- Guidaron gli avi nostri
- De la città fra i clamorosi chiostri.
- E noi dall’onde pure,
- Dal chiaro cielo e da quell’aere vivo
- Seme portammo attivo
- Pronto a lavarne da le genti oscure,
- Tu Appiani col pennello,
- Ed io col plettro seguitando il bello[31].
-
-Dirò di più a chiarire la noncuranza. In quell’occasione mi rammento
-che, visitato per la prima volta il Pian d’Erba, all’incantevole
-vista de’ suoi facili colli, de’ suoi ridenti paesi, de’ tranquilli
-suoi laghi, m’erano venuti spontanei sul labbro i versi del cantore
-del _Giorno_, della satira mordace e potente, ma elegante e in guanti
-gialli, che così questi suoi luoghi salutava, quando, stomacato della
-vita politica e cittadina, faceva ad essi ritorno:
-
- Colli beati e placidi
- Che il vago Éupili mio
- Cingete con dolcissimo
- Insensibil pendio,
- Dal bel rapir mi sento
- Che natura vi diè,
- Ed esule contento
- A voi rivolgo il piè[32].
-
-E allora, trovandomi a Bosisio, andai percorrendo tutto il paese,
-cercando quale delle umili casette che lo costituivano sarebbe stata
-quella in cui schiuso aveva gli occhi alla vita il grande poeta; e come
-che nessuna mi paresse tale da invitarmi a chiedere se quella fosse,
-una comare, cui finalmente mi rivolsi perchè il mio desiderio facesse
-pago, incominciò a sbarrarmi gli occhi in faccia, maravigliata dallo
-intendere il nome di Parini; poi, quasi vergognando ch’io, straniero,
-fossi di lei più esperto del paese, come se raccogliesse in quel punto
-tutte le sue memorie, finì col dirmi sbadatamente:
-
-— Sì, sì; era uno stregone dei tempi antichi.
-
-Quindi, crollando il capo, mi significò che di più non avrebbe saputo
-aggiungervi, e molto meno dove fosse la casa de’ suoi padri.
-
-Povero Parini! Uno stregone!
-
- [Illustrazione: Casa del Parini.]
-
-Pure la natale casetta scoprii finalmente a furia d’inchieste
-e d’induzioni; nè presi errore, da che due anni dopo, quando il
-sentimento della italiana rigenerazione parlò potente al cuore di
-tutti, e cercavamo raffermarci ne’ propositi santi e generosi col
-rimettere in onore le glorie del paese, e massime quelle che avevano
-gittato negli animi nostri il germe di essi, nelle opere del loro
-ingegno a noi lasciate, si impose il nome di Parini alla via dove
-sorgeva, e su di essa, in una solenne festa, fra un concorso infinito
-di popolo e di villani che non avevano mai sognato prima chi si fosse
-e pur allora ne capivano verbo, e fra letture di prose e di versi in
-onore di lui, fu collocata una lapide che recava sculte le seguenti
-parole:
-
- A GIUSEPPE PARINI
- GLORIA DELL’INGEGNO LOMBARDO
- CHE NUOVI SENTIERI APRÌ
- ALL’ITALICA POESIA
- E LA FE’ POTENTE INTERPRETE
- D’ALTI PENSIERI E DI SDEGNI MAGNANIMI
- DERISOR SUBLIME DE’ FIACCHI COSTUMI
- BANDITOR SINCERO DELLE VERITÀ PIÙ UTILI
- MAESTRO D’UNO STILE PELLEGRINO TEMPERATO
- CHE OBBEDISCE AL CONCETTO E GLI CRESCE ENERGIA
- ALCUNI ESTIMATORI
- PERCHÈ QUI DOVE POVERAMENTE NACQUE
- E PRIMA S’ISPIRÒ NEL RISO
- DI CIEL SÌ LIETO
- ABBIA IL NOME DI LUI PERENNE OSSEQUIO
- P. NEL MDCCCXLVII.
-
-L’iscrizione, a mio avviso, avrebbe fatto meglio ad essere più concisa,
-e ricordar invece il dì in cui il grande cittadino e poeta nasceva.
-Avrebbe almen giovato a qualche cosa.
-
-Ad ogni modo la generazione presente ha lavata l’onta che Foscolo
-gittava al volto della città che l’ospitava, ch’egli acremente chiamava
-ne’ _Sepolcri_
-
- lasciva
- D’evirati cantori allevatrice,
-
-perchè non ombra, non pietra, non parola avesse posto a Parini: Milano,
-nel suo palazzo di Brera, rizzavagli maestoso monumento, affiggeva
-memore lapide sulla casa che l’aveva albergato e dava il nome di lui ad
-una nuova sua via.
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMOTTAVA.
-
-L’ISOLA DE’ CIPRESSI.
-
- Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in Italia. — Un
- mio processo. — Armi di pietra e palafitte lacustri. — Pusiano.
- — Villa Conti. — Scene di superstizione. — La Processione
- del Venerdì Santo. — L’Isola de’ Cipressi. — Il romanzo di
- Bertolotti.
-
-
-Se vivo ancor fosse quell’eccellente uomo di Banfi, presso cui, vi
-dissi, ospitai nel 1845, non rifacendo più la via che ne condusse
-a Bosisio, dal giardino suo saremmo montati nella barchetta che vi
-stava legata, per pigliare il largo su questo lieto e tranquillo lago
-di Pusiano, onde condurci al paese che sta quasi di fronte e che gli
-diede il nome; ma di lui non resta che la buona memoria in chi lo
-conobbe d’anima aperta e cortese. Qui s’era ritirato a fruire d’una
-vita calma, dopo aver assistito a’ burrascosi avvenimenti che chiusero
-l’êra napoleonica e condussero sciaguratamente in Lombardia l’austriaca
-dominazione, che le pesò sul collo per quarantacinque anni; qui gli
-consolava gli estremi giorni l’amore d’una figliuola e qui costei vi
-soggiorna ora colla corona de’ suoi figliuoli.
-
-Ritorniamo adunque per la strada primitiva. In pochi minuti il lago ci
-riappare.
-
-Il suo bacino non è grande siccome un giorno, quando abbracciava tutto
-quello spazio che segnano da una parte il lago, ora detto d’Oggionno,
-e dall’altra quello d’Alserio; esso è quanto avanza del vecchio Éupili;
-ma se ha perduto in vastità, ha guadagnato, a mio credere, in vaghezza.
-Dall’una sponda corre l’occhio all’altra, e tutti si veggono e contano
-i paesi che vi seggono in riva e lo circondan dappresso.
-
-È inoltre pescoso, e vi si raccolgono specialmente anguille e lucci,
-tinche e barbi, arborelle e carpi, e vi si potrebbe ottenere di meglio,
-se la piscicoltura non fosse tra noi sì poco curata, o se fosse vissuto
-più a lungo quel Giuseppe Conti, che qui con molto amore la coltivava.
-
-Fu su questo lago che, nel 1820, per la prima volta in Italia fu
-visto un battello a vapore; ma al sospettoso governo d’allora, a
-quel governo che giunse a farmi sul serio un processo criminale nel
-1855, per _perturbazione della pubblica tranquillità contro il nesso
-politico dell’impero_ (!), per avere scritto che il finale del terzo
-atto del _Profeta_ di Meyerbeer era una _ladra cosa_, essendosi capito
-ch’io aveva voluto alludere all’inno nazionale austriaco di Haydn,
-da cui quel finale aveva tolto qualche nota; a quel governo parve che
-il battello a vapore potesse essere invece qualche macchinazione che
-coprisse mene di carbonari; e il battello un bel dì fu riportato via.
-
-La scienza ha intorno a questo lago fatto qualche scoperta importante.
-Da un opuscolo pubblicato da quel dotto naturalista che è Antonio
-Villa, e che ha per titolo: _Gite malacologiche e geologiche nella
-Brianza e nei dintorni di Lecco_, negli _Atti della Società italiana
-di scienze naturali_ (vol. IV, fasc. 6, 1863); non che dal _Fotografo_
-del 2 agosto 1856, in un articolo dei fratelli Antonio e G. B. Villa,
-rilevai come nella torba di Bosisio venne trovata dal signor Federico
-Landriani, alla profondità di circa tre metri dalla superficie, una
-scure riferibile, secondo l’archeologo prof. Biondelli, ai tempi del
-primo secolo dell’Impero Romano, di buon metallo e ben lavorato; e
-meglio ancora si rinvennero diverse punte di freccia, dell’epoca dei
-Galli Celti, di silice, e quindi della più remota antichità, quando
-cioè ancora non si conosceva l’arte di lavorare in ferro. Freccie di
-pietra silice si rinvennero anche nelle torbiere del lago, nel luogo
-detto Comarchia, assieme ad altri arnesi; e l’abate prof. Antonio
-Stoppani, presso a quest’Isola de’ Cipressi, nello stesso bacino
-del lago, trovò indizi di palafitte, ciò che potrà fornir lume a chi
-s’intrattiene intorno alle abitazioni lacustri degli antichi popoli.
-
-A capo del lago siede la terra di Pusiano. Il palazzo che vi si vede
-d’una architettura secentista, apparteneva ai marchesi Carpani; poi
-fu comperato dall’Arciduca Ferdinando d’Austria, che di questi luoghi
-si piaceva e vi veniva a villeggiare; e da ultimo venne alle mani de’
-signori Conti, che vi aprirono una capace filanda. Apparteneva ad essi
-anche il lago, dal quale ho già detto esce il Lambro presso Mojana, che
-poco prima vi si era intromesso, ed ora è stato acquistato dal Comune
-di Bosisio.
-
-Altro d’interessante non saprei trovare in Pusiano oltre i suoi
-bellissimi dintorni, dove non fosse che per segnalare la buona fede e
-l’ignoranza de’ suoi terrieri sfruttata da’ chiesastri, che alle spalle
-d’una _Teresotta_, volgarmente conosciuta sotto il nome di _Calimera_
-e d’una sua sorella, _Angiolina_, che danno a bere d’essere ispirate
-da Dio, e tenute per sante, le si lasciano catechizzare in piazza e
-nella parrocchia, e per le quali traggono credenzoni da tante parti
-a portarvi regali e denaro, che scialano in pranzi ed in gallorie.
-Qual meraviglia allora che ivi pure si creda alla ciurmeria d’un’altra
-santocchia, nomata _Peppinetta_, che fa credere di vivere senza bisogno
-di nutrimento? Di queste tre, la più _astuta_ è la _santa Calimera_
-(la serva del Curato), e come tale è anche la prediletta, ed ogni anno
-viene, con pubblica solennità, sposata a Gesù Cristo. Ella è poi quella
-che ha saputo e sa infondere tale fanatismo nelle masse ignoranti,
-che guai a chi osasse dir male di lei: quello sarebbe un uomo perduto,
-come lo fu un certo Bosisio, di Morchiuso, che, ad istigazione degli
-aderenti di quella santa, molti vogliono che sia stato ammazzato in
-mezzo ad una campagna, quantunque i partigiani della _santa_ andassero,
-come vanno tuttavia gridando che sia morto di coléra fulminante. Tanto
-è vero quanto cantò Lucrezio:
-
- _Religio peperit scelerosa atque impia facta._
-
-Compirò il quadro della superstizione che qui ha attecchito, riferendo
-i particolari fornitimi da un mio caro amico della processione del
-Venerdì Santo, da lui veduta nell’anno 1870, e che ha la somiglianza
-tutta d’una indecente mascherata.
-
-La processione veniva aperta da un picchetto di guardia nazionale, che
-a giusto titolo dovrebbe chiamarsi _guardia del sepolcro_, perocchè
-all’infuori di questo giorno essa non esista che sui ruoli. — La musica
-d’Asso, dall’uniforme inglese, dalle spalline di maggiore, dall’elmo
-polacco e dalla durlindana di dragone, la seguiva facendo risuonare
-l’aere di mesti concenti e di marcie funebri. — Subito dopo veniva
-la Confraternita di bianco e rosso vestita, tenendosi in mezzo qual
-prigioniero un eremita, che, mi si dice, rappresenti S. Miro. — Poi una
-miriade di angioletti, portanti ciascuno una lunga asta, in cima alla
-quale vi sono i diversi arnesi della passione, vale a dire, tamburo,
-dadi, martello, tenaglie, chiodi, corona di spine, spugna, ecc. ecc.,
-insomma una bottega ambulante di giocattoli. — Coperta la faccia di un
-fitto velo, ed a piedi nudi imbrattati di fango, e di qualche altra
-cosa, un _ex gendarme austriaco_ faceva da Cireneo, portandosi sulle
-spalle una pesantissima croce.
-
-Qui faccio una digressione per dire che per avere l’onore di
-rappresentare il Cireneo e portare la croce, si tiene un’asta pubblica,
-che in quest’anno subì un forte ribasso, e fruttò alla Santa Bottega
-soltanto L. 5.20, ultima offerta fatta dall’_ex gendarme_, mentre
-l’anno antecedente fu deliberata ad un pizzicagnolo per lire 20.
-
-Ora torniamo alla processione. — Il Cireneo ex gendarme, che un tempo
-scortava gli altri, quel venerdì era egli scortato da molti Giudei,
-faccie proibite, dalla barba posticcia, e vestiti alla spagnuola con
-elmo romano, meno uno che invece dell’elmo ha creduto meglio mettersi
-un kepì della nostra artiglieria. Alcuni di questi moderni Giudei
-tenevano le loro lancie rivolte con posa comica, mimica e tragica al
-Cireneo, nella tema che fuggisse per le campagne col dolce peso dei
-due travi formanti una croce; ed il rimanente appuntava le proprie
-lancie contro un uomo tutto vestito di rosso, dai capegli e barba di
-canapa, dai piedi scalzi trascinantesi una grossa catena, che, se non
-vado errato, doveva essere tolta poche ore prima dalla greppia di una
-stalla. Costui raffigurava il Cristo che saliva il Golgota, ma non era
-il Cristo falegname, bensì un Cristo ciabattino.
-
-Seguiva il Cristo un’altra Confraternita con alla testa S. Carlo in
-abito vescovile ed armato di pastorale. Alla Confraternita tenevan
-dietro alcuni vessilli neri, ed il _Velo del tempio_, portati da uomini
-vestiti in nero.
-
-Un’altra musica, quella del signor Perego di Cremnago, faceva eco alla
-prima coi suoi funerei concenti. Intanto i preti esilarati da quella
-musica intuonavano e cantavano il _Vexilla regis prodeunt_.
-
-Sotto poi un elegante baldacchino veniva portato da quattro uomini,
-vestiti alla foggia di sacerdoti pagani, il cadavere di Cristo, di modo
-che nella stessa processione vi si vedevano due Cristi: vivo l’uno,
-l’altro morto.
-
-Le tre Marie seguivano la bara, e dietro ad esse si scorgeva un nugolo
-di Santi, tutti in costume, e tra questi qualcuno di mia conoscenza,
-cioè, S. Luigi Gonzaga, S. Ambrogio, S. Maria Maddalena, S. Caterina da
-Siena, S. Margherita da Cortona, ecc. ecc.
-
-Quella però che ha fatto destare maggiore ilarità nel pubblico profano,
-e che, _incredibile dictu_, ha fatto ridere la stessa Madonna Assunta
-che le stava di dietro, fu Santa Rita, la quale sentendosi pungere le
-tempie dalla corona di spine che cingevale la testa, dimenticava la
-propria santità, e, come gli altri mortali, mandò acuti lai, infino
-a che gliela accomodarono per benino ed in modo da non risentirne più
-dolore.
-
-Chiudevano il corteo tutte le Madonne e gli Angeli d’ogni specie.
-L’Assunta la vedevi colle braccia alzate ed in atto di volare al cielo.
-L’Addolorata, con sette pugnali nel petto, teneva lo sguardo rivolto a
-terra, ed era immersa in profondo dolore. L’Immacolata tutta sorridente
-mostrava d’essere in un’estasi paradisiaca.
-
-La processione ritornò in chiesa, e poco dopo il Cireneo, il Cristo,
-i Giudei, gli Angioli, i Santi e le Madonne ridiventarono semplici
-mortali, contenti di aver dato alla Santa Bottega il loro obolo per
-aver fatto la loro parte in commedia.
-
-Innanzi a tutte queste giullerie, indegne dell’età presente, d’una cosa
-almeno si ha diritto di chiedere: e l’autorità intanto che fa?
-
-Era peccato che su queste sponde del lago non vi fossero belle
-imbarcazioni, onde mai non vi si vedessero sopra signori a diporto.
-Era appena se si poteva trovare qualche barchetta da pescatore per
-remigare all’isola de’ Cipressi, che unica sta nel mezzo di esso e che
-abbiamo eletta per iscopo della presente escursione. A cotale difetto
-pensò rimediare il Comune di Bosisio, che, volgendo la ricchezza
-procacciatagli dalla torba a migliorare le proprie sorti, vi stabilì
-eleganti navicelli che invitano ad ascendervi.
-
-Voghiamo quindi adesso a questa graziosa isoletta. Non ha che
-l’estensione di ventiquattro antiche pertiche. Gli alti cipressi e
-pioppi, che si vedono sorgere come dall’onde, vi vennero piantati verso
-il 1770 dal proprietario di essa, marchese Molo, onde assunse il nome
-da quelli alberi, l’Isola de’ Cipressi. Il sullodato signor Giuseppe
-Conti, che vi fu dopo il proprietario, non son molt’anni ne aveva
-all’estremità praticato un taglio per istabilirvi un vivajo di pesci,
-studiosissimo com’era, e come più sopra ricordai, di piscicoltura.
-Nell’isola, del resto non si vedono ora particolarità maggiori delle
-ombre amiche che invitano a riposo nelle ore più calde del giorno:
-_frigus captabis opacum_, e dell’indistinto piacere che si prova di
-ritrovarsi in piccol luogo tutto recinto dalle acque.
-
-Da qui tuttavia, Davide Bertolotti, sentimentale scrittore e poeta,
-immaginò un suo gentile romanzo, che intitolò appunto _L’Isola de’
-Cipressi_.
-
-Il Comune di Bosisio non farebbe, credo io, opera vana ed infeconda,
-traendo maggior profitto dalla bella isoletta, erigendovi qualche
-casetta e trattoria. Sarebbe certo attrattiva maggiore a visitarla,
-sarebbe richiamo pei villeggianti, che ne farebbero meta di passeggiata
-e di divertimento. Sapere, come adesso si sa, che nell’isola non
-c’è albergo, a pochi entra in capo di andarvi. Le vaghissime isole
-del Verbano, perchè fornite di case e di alberghi, sono da tutti
-frequentate e levate a cielo, come gemme di quelle acque; e perchè non
-lo potrebbe essere di queste l’Isola de’ Cipressi?
-
- [Illustrazione: Isola dei Cipressi.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE VENTESIMANONA.
-
-IL BEL DOSSO.
-
- Corneno. — La _Cà di strii_. — Villa Besana. — Galliano. —
- Carella. — Mariaga. — Alpe di Carella. — Il Bel Dosso. — Villa
- Graziani. — Longone. — Osteria. — La Malpensata. — Penzano. —
- Bindella. — Villa Galimberti. — Proserpio. — Villa Baroggi. —
- Inarca.
-
-
-Or lasciamo la vettura e camminiamo su queste magnifiche alture che
-seguono dopo Pusiano.
-
-Il primo paese che veggiamo è Corneno. Bella è la sua posizione e con
-qualche buona casa. Isolata ne sorge una, proprietà dei signori Conti,
-intorno alla quale corrono le più strambe dicerie. Vuolsi dal volgo
-che il diavolo vi faccia a fidanza, che s’odan la notte strascico di
-catene e lamenti; chi ne fornisce una storia, chi l’altra: certo si
-è che rimase il palazzo, a cui fu appiccicato il nome di _Palazzo del
-diavolo_, od anche di _Cà di strii_, molto tempo senza essere abitato,
-malgrado la felicissima sua situazione e la vista che vi si gode.
-
-Io raccolsi la tradizione, e ne feci subbietto d’un racconto nella
-mia opera delle _Tradizioni e leggende di Lombardia_; epperò, a non
-copiarmi, rimanderò il lettore a quel mio libro, s’egli ne voglia
-sapere di più. Anche adesso la _Cà di strii_ non è abitata, ma mi
-fu detto che i suoi proprietarî abbian di meglio per villeggiare,
-nè quindi si cerchino di dare una smentita, col soggiornarvi, alle
-vecchie ed insulse ubbíe del paese. Nella villa Besana, ora proprietà
-del dottore Strambio, ed un tempo del pittore Andrea Appiani, su d’un
-camino, in una sala, l’illustre pittore disegnò col carbone _Amore che
-incatena il Tempo colle rose_, il qual disegno si conserva tuttavia
-difeso da cornice.
-
-Segue Galliano, terricciuola ove son case e giardini signorili. Nel
-grandioso giardino attinente l’ampia casa del milanese Paolo Biffi,
-notabilità della confetteria e pasticceria, che qui or passa i suoi
-vecchi giorni, veggonsi vecchie torri, istoriate da Giovanni Biffi
-nella sua narrazione _La Ghita del Carrobio_. In molta prossimità di
-Galliano trovansi i villaggi di Carella e Mariaga, pur onorati di
-case di villeggiatura. Dietro a questi si distendono ridenti valli
-intersecate da acque correnti, ed è in mezzo d’una di esse che la sua
-vita d’artista e di poeta passò qualche tempo quel vivace scrittore che
-è Antonio Ghislanzoni, togliendo a pigione una villetta, cui veramente
-poteva dire _parva sed apta mihi_; e là fui a trovarlo, sempre
-constatandogli il buon umore e la vena pronta ai motti, ai frizzi,
-alle piccanti osservazioni. È di là che mandava a Verdi, a Petrella
-e ad altri maestri i suoi libretti, di là i suoi articoli di critica
-musicale al giornale di Ricordi; di là i suoi romanzetti scherzevoli
-che ne han fatto di lui il nostro ameno Paul de Kock.
-
-Sopra queste alte vallate s’alza l’Alpe di Carella, che si può senza
-molta fatica ascendere e da dove si corre coll’occhio per un piano
-tutto sparso di paesi e di ville, fino a distinguere la freccia
-dell’aguglia del Duomo milanese, e più in là tutta la valle del Ticino.
-
-Io invece non abuserò delle gambe del lettore e, fattolo uscire da
-Galliano a una decina di minuti di cammino, batteremo alla porta del
-_Bel Dosso_, alla villeggiatura principesca di Francesco Graziani,
-il baritono dalla simpaticissima voce, che adoperò a raggranellar
-un’ingente fortuna, massime cantando per molti anni di seguito a
-Pietroburgo e Londra, e per la quale potè comperarsi questo superbo
-ritiro, che prima aveva appartenuto a due miei amici, che morte rapì
-nel fiore della loro età e delle speranze, voglio dire Giuseppe Galli
-e l’avvocato Paolo Emilio Beretta. Il Graziani vi spese d’aggiunta
-un’ingente somma ad abbellirla, a dotarla d’ogni comodità; dirò di più,
-a fregiare la casa di ricca e preziosa suppellettile, perocchè, fra le
-altre sale, una ne vidi con mobili intarsiati di malachite e con tavolo
-tutto di questa pietra; ma il meglio della villa esisteva già, e questo
-meglio è la sua posizione che la rende superiore a tutte l’altre, è
-l’essere sulla punta di un promontorio, per il che le è dato di tutte
-ammirare da un lato le bellezze del bacino dell’Éupili, ossia de’ laghi
-che già abbiamo veduti, e dall’altro quelle non minori del Pian d’Erba.
-
-Dal Bel Dosso si entra nel paese di Longone, dove qualche tempo fa
-si trovò un’ara coll’iscrizione: _Herculi invicto V. S. L. M; L.
-Domitius Germanus salvo patrono_. Essa fu portata nel giardino della
-villa Traversi a Desio. Qui a Longone raccomando l’osteria del paese,
-dove chi cerca appagar l’appetito con cibi casalinghi vi è di certo
-soddisfattissimo. Spesso l’osteria di Longone è il convegno de’ signori
-del Pian d’Erba, a colazioni e pranzi, massime se si possa contare su
-qualche lepre che vi si cucina a perfezione. Più sotto è Bindella con
-migliore orizzonte, di poco diverso da quello del Bel Dosso, con villa
-de’ Galimberti. Nel vicino Penzano due altri egregi artisti, i conjugi
-Agostino Dell’Armi e Luigia Ponti, si procacciarono una comoda villa.
-
-La strada di Longone, che dovremo rimontare per fare una corsa a
-Canzo ed Asso, ha principio alla Malpensata, dove riesce la strada
-provinciale che viene da Inverigo, per tripartirsi, procedendosi per
-un ramo a Pusiano e Lecco, per un altro ad Erba e per il terzo alla
-Vallassina. Qui presso al ponte della Malpensata si rinvennero sepolcri
-romani colla marca del figulino _R. I. D._ e vasi di terra contenenti
-uno specchio metallico, armille, braccialetti e monete dell’epoca
-imperiale.
-
-Arrestandoci per questa escursione a Longone, è impossibile che
-non montiamo al vicino villaggio di Proserpio, dove han villa gli
-Staurenghi, ora de’ Baroggi. Di qui era l’avv. Pietro Staurenghi,
-presso il quale crebbi all’avvocatura, e dove più d’una volta ebbi
-cortese ospitalità.
-
-Facile è correre colla mente a pensare che Proserpio derivi da
-Proserpina, la Iddia infernale, che gli scrittori dicono avesse qui
-delubro e culto.
-
-Rammento che il mio maestro ed amico, quando mi ebbe in sua casa,
-mi condusse alla non lontana Inarca, breve accolta di casolari che
-riguardano verso il lago Segrino, ma che nondimeno ha un superbo
-orizzonte.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMA.
-
-LA VALLASSINA.
-
- Il lago Segrino. — Canzo. — Il Vespetrò. — I Corni. — La fontana
- del Gajumo. — La cascata della Vallategna. — Il torcitojo
- Verza. — Scarenna. — La Casa dell’eremita. — Asso. — Lapide
- antica. — Arte. — La via al Pian del Tivano. — Pagnano, Fraino,
- Caglio, Gemù. — Il Ponte Oscuro. — Lasnigo. — Le donne della
- valle. — Le serve. — Onno. — San Carlo e la sua mula.
-
-
-Lasciato addietro Longone, e mettendoci per la bella e spaziosa via,
-che da pochi anni fu compiuta, che scorge alla Vallassina, vediamo
-subito il Segrino e lo rasentiamo in tutta la sua lunghezza, che
-non è molta. Questi eterni chiaccheroni, che sono gli etimologisti,
-vorrebbero che il nome venisse a questo lago dal francese _chagrin_,
-affanno, quasi che il bacino sia tristo e malinconico. Piacemi
-rispondere ad essi anzi tutto che non potei mai comprendere per qual
-ragione si ostinino a dir tristo questo lago. Se non è tutt’all’intorno
-popolato di villaggi e palazzi, solo a capo del medesimo vedendovisi
-abitato, non significa per ciò solo che lo si debba condannare. Se in
-luogo del dosso verde e boscoso, che sta dalla riva opposta a quella
-che noi percorriamo, sorgessero picchi nudi e ferruginosi, potrebbesi
-aver ragione; ma quando invece questo bacino è tutt’all’intorno lieto
-di verzura, quantunque solitario, non può dirsi tale da meritarsi
-titolo di affannoso. Oltre di ciò, qual bisogno vi sarebbe stato di
-tôrre a prestanza al linguaggio francese un vocabolo per battezzarlo?
-Segrino finalmente si legge scritto in documenti antichi assai più
-della venuta de’ Francesi in Lombardia ai tempi di Carlo VIII, e quindi
-Segrino sarà un nome come qualunque altro, e se si sottrae diversamente
-all’interpretazione, segue la sorte della maggior parte degli altri
-nomi di laghi e di paesi.
-
-Oltre questo lago ci troviamo a capo del bivio in cui si scinde la
-strada della Vallassina; perocchè vediamo l’altra via che mette
-a Pontelambro, e che faremo noi pure al ritorno della presente
-escursione.
-
-Dopo due corte miglia da Longone, ci si affaccia Canzo. È borgata
-abbastanza grossa, che ha molte case di villeggiatura, sì che in questo
-tempo di autunno vi si vegga una vera colonia milanese; tanto così che
-venne eretto un teatro, dove si canta l’opera o si recita la commedia
-con affluenza di pubblico, e vi si fanno liete feste di ballo. Così
-popolato è sempre a sera il caffè, come di giorno frequenti sono gli
-equipaggi che da’ paesi circonvicini traggono a scopo di visita o di
-passeggiata. Famoso è poi il _vespetrò_ che vi si fabbrica, liquore che
-arieggia la _chartreuse_ di Grenoble, la quale ci giunge di Francia e
-che è sì ricerca e gustata.
-
-Succedono, al fianco destro di Canzo, i _Corni_, acuti picchi
-altissimi, a metri 1385 sul livello del mare, che a Milano, come già
-notai, si veggono; ma colla loro nudità non aggiungono tristezza,
-e solo formano contrasto col resto, che è tutto lussureggiante di
-vegetazione.
-
-Erano un dì rinomate le saje di Canzo che vi si fabbricavano; poi
-prevalse la seta, e vi ebbero e vi hanno filande e filatoj i Verza ed i
-Gavazzi.
-
-Traggono quei del paese, a titolo di divozione, a San Miro, che fu
-nativo di questo borgo, nella prima domenica di agosto, alla sagra che
-in onore di questo santo si celebra nel luogo solitario e alpestre che
-vien detto la _Fontana del Gajumo_. Come accade in simili circostanze,
-si merenda colà allegramente e la divozione si muta in un vero
-divertimento.
-
-Dopo Canzo, seguendo il corso della via che conduce ad Asso, il tuo
-cuore si esilara subito in questa nuova e vaghissima valle, dove si
-presenta al manco lato Asso, il non men bello paese da cui prende
-il nome tutto quell’importante territorio che si appella appunto
-Vallassina, e che si vede, come scena teatrale, posar sul fianco del
-burrone entro cui rumoreggia il Lambro, che non vi ha molto lontana la
-sua scaturigine.
-
-La cascata della Vallategna, balzante a picco da erta rupe, sulla cui
-vetta fa leggiadramente capolino il grande torcitojo dei signori Verza,
-spruzza nella sua caduta, colle sue spume minutissime come atomi di
-polve, a molti passi i viandanti. Altre cascatelle scendono giù dai
-monti selvosi, che quantunque restringano l’orizzonte, pure non tolgono
-bellezza alla graziosa valle, i cui facili e verdi declivî si avvivano
-di grotte e di abituri, di ville e casali, ed è dimezzata dal Lambro
-che vi scorre. Dall’opposta sponda è Scarenna, sopra la quale vi viene
-additata la Casa dell’eremita, ove è fama che sul finir del duodecimo
-secolo vivesse appunto un sant’uomo che s’era dato ad istruire la
-puerizia e contasse fra i suoi alunni anche quel Miro, che fu poi santo
-egli pure e che ho mentovato più sopra.
-
-Pochi passi e siamo ad Asso, il cui nome si suol dedurre dal celtico
-_as_, significante sorgente. Ebbe, ne’ tempi efferati, castello di
-cui non esiste che la torre in rovina. Un’altra torre, arnese di
-guerra, era quella che fu poi convertita in campanile della chiesa
-prepositurale.
-
-Era Asso una delle Pievi che componevano la Martesana; a’ tempi
-pagani ebbe culto per Asclepio, nome greco di Esculapio, e forse da
-Asclepio derivò il nome suo, avendosene dagli antiquarî ad argomento
-l’iscrizione romana trovata in Vallassina fra Onno e Vassena, e che fu
-letta così dal dotto archeologo Giovanni Labus
-
- Genio Asclepii
- Lucius Plinius
- Burrus et F. Plinius
- Ternus votum solvunt.
-
-Nel medio evo fu Asso, come tutta la Vallassina, della mensa
-arcivescovile di Milano. Allo spirare della signoria de’ Visconti
-ne appare infeudato Facino Cane, celebre capitano di ventura e primo
-marito della sventuratissima Beatrice di Tenda, poi l’altro capitano
-Luigi del Verme e via via altri. Ebbe però governo proprio e statuto
-indipendente sino all’editto 16 maggio 1765, in cui la Vallassina venne
-incorporata al ducato di Milano.
-
- [Illustrazione: Ponte Oscuro.]
-
-Visitando Asso, veggasi la prepositurale, dove son dipinti egregiamente
-i Misteri del rosario, ed è di Giulio Cesare Campi una pala
-rappresentante l’Annunciazione. Qui pure sonvi signorili famiglie, tra
-cui i Romagnoli, i Magnocavallo, i Merzario, i Mazza, per non dire di
-tutti, ecc.
-
-Gli è da Asso per Sormanno e per Rezzago che le allegre comitive, messe
-insieme dai paesi circonvicini, precedute da fanfare e ribechini,
-ascendevano, più frequenti in passato, per il piano del Tivano, e
-correvano a vedere quell’imbuto conosciuto sotto il nome del Buco della
-Nicolina, dove, provenienti dalle ville del lago di Como, pur salivano
-per l’opposto versante altre liete brigatelle a convegno concertato
-alla città, e da cui entrambe non si toglievano che a notte fra lo
-splendore delle faci resinose, come ho già fatto noto nell’apposita
-escursione.
-
-Fuori appena di Asso, il pittorico è ancor maggiore; perocchè, oltre
-le diverse intonazioni risultanti da’ caseggiati civili a’ rustici
-commisti, oltre le torri ed i villaggi sovrastanti di Pagnano e di
-Fraino ed i verdi altipiani di Caglio e di Gemù, ti si para subito
-davanti una scena di bell’effetto nella vista del Ponte Oscuro, che
-a certa altezza si gitta da un masso all’altro della roccia, su cui
-corre la via che scorge a Valbrona e sotto cui, tra grossi ciottoli e
-pietre staccate dalle pareti o rotolate dalle acque, scorre il Lambro,
-dinanzi al quale sembra la roccia si sia aperta e divisa per aprirgli
-il passaggio.
-
-A che i pittori e i _toristi_ nostri, domando io, vanno cercando alla
-Svizzera scene e paesaggi per i loro quadri, per le loro impressioni,
-se la nostra Lombardia e i monti dell’alta nostra Brianza ponno
-loro offerirne di solenni e di belle, di svariate, e di ispiratrici
-egualmente?
-
-A chi volesse deliziarsi di maravigliosi punti di vista; a chi
-amasse gli erbosi altipiani alternare a’ villaggi, e a’ rugiadosi e
-impervi sentieri preferisse ampio e regolare cammino, io consiglierei
-volontieri di eleggere la recente strada che traversa tutta la
-Vallassina per il corso di ben dieci miglia e riesce a Bellagio, uno
-de’ più ameni paesi del Lario. Uscita appena dagli anfratti di Asso,
-quella strada ritorna ampia e comoda per Lasnigo, ove hanno villa i
-Rusconi ed altri, ed è prosecuzione di quella che dalla Malpensata
-conduce, per Longone, a Canzo ed Asso.
-
-Visitando la Vallassina, a questa vaghezza di natura inanimata, altre
-ne troverà della animata il lettore; e senza dire degli uomini d’un
-ingegno svegliato, industriosi ed ospitali, i quali più spesso cercando
-fortuna al di fuori e colà eziandio stabilendosi, non crebbero guari
-fortuna al loro luogo nativo, accennerò delle donne col giudizio che
-ne reca un non sospetto autore, l’oblato prevosto Vincenzo Mazza di
-Lasnigo, autore d’una storia manoscritta della Valle, veduta dal Cantù.
-Esse gli parvero modelli, come di avvenenza, così di costumatezza;
-sobrie, pudiche, casalinghe, matronali sì da rimovere qualsiasi licenza
-d’atti e di parole, e le fanciulle sanno all’uopo difendersi cogli
-zoccoli, con sassi e colle spadine che portano come un’aureola in capo.
-E poichè e alla città e altrove si ha tanto difetto di buone serventi,
-il buon prevosto vi fa sapere come le donne della Vallassina sieno
-ricercate come fantesche, nè v’abbia esempio che una sia stata espulsa
-da una casa. Non ho voluto dimenticare questa particolarità della
-Vallassina, perocchè ogni dì più cresca il lamento per la mancanza
-di buone serventi. Gli aumentati opificî e la corruzione cittadina e
-campagnola hanno distratto moltissime di queste donne dal mestiere del
-servire che un dì pareva loro sì profittevole cosa.
-
-Se a riposarsi di tratto in tratto dal cammino avvenga di interrogare
-quella buona gente alpestre, s’odono storie e tradizioni, leggende e
-fiabe a illustrazione di castelli e di paesi, di genti e di famiglie;
-e se non istessi io sull’avviso contro me stesso che di _tradizioni
-e leggende_ parecchie son già stato narratore, potrei qui cingermi
-la giornea e ripetere quello che ho appreso nella Vallassina, nè il
-lettore sarebbe certo sì fortunato di finirla così presto d’esercitar
-meco la sua pazienza. Non tacerò tuttavia d’accennar ciò che i
-terrieri non chiamano fiaba o tradizione, ma pretta storia e miracolo.
-Già toccai alla sfuggita di Onno, terricciuola della Vallassina che
-siede sul versante del lago di Lecco; or bene raccontasi che quel
-vigile arcivescovo che fu San Carlo Borromeo, nel visitare tutta
-la sua diocesi onde conoscerla per l’appunto e recarvi i saggi suoi
-povvedimenti, percorrendo questi luoghi aspri e montani, qui presso ad
-Onno, cavalcando una mula, precipitasse con essa dentro un profondo
-precipizio, ma che per sommo di ventura — essi dicon miracolo — ne
-uscisse incolume.
-
-Ma io debbo, cortese lettore, qui arrestarmi, nè proseguire nella
-Vallassina, per non discostarmi troppo dal Pian d’Erba, nei confini del
-quale deve restringersi il mio libro.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMAPRIMA.
-
-CASTELMARTE.
-
- Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. —
- Fabbrica di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti,
- Prina e Mambretti. — _Ademprivo._ — Castelmarte. — Ville
- Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu Castelmarte capo della
- Martesana? — _Castrum Martis._ — Giunteria archeologica. —
- Reliquie antiche.
-
-
-Ritornando per la strada percorsa venendo da Longone, giungendo ora
-dopo Canzo al bivio che ho già avvertito nella passata escursione,
-pigliam la via alla mano destra e presto ci saremo introdotti in una
-valletta amena, che il paesano denomina Val di Giano.
-
-È qui che ci si offre sull’altura a mano destra il paese di Caslino,
-che ora fa parlare di sè pe’ suoi cacini, e a cui si va per una bella
-strada, presso al luogo detto Mulino San Marco, dove c’è, oltre un
-recente filatojo e un mulino, una fabbrica di coltelleria di Dionigi
-Carpani, che gode assai credito, massime per certi coltelli da cucina.
-
-Caslino ha la sua storia, e il prevosto Carlo Annoni ne dettò una dotta
-Memoria. Ora vi sono altre filande e filatoj degli Invernizzi, dei
-Castelletti, Prina e Mambretti. Bella è la vallata erbosa del comune
-che sta dietro il paese, e dove per una specie di _ademprivo_, quelli
-abitanti pascolano le capre del cui latte si fanno i cacini suddetti.
-
-Dalla strada che seguiamo di Canzo, avanzando qualche passo, ci
-troviamo ai piedi del colle su cui pompeggia Castelmarte.
-
-In attesa che si faccia da Pontelambro la strada più ampia e più
-comoda, come se ne fa ora iniziatore quell’egregio uomo e rinomato
-operatore chirurgico che è il dottor cav. Lamberto Parravicini,
-inerpichiamoci per questo boscoso declivio.
-
-Non lungo è il cammino, e però presto ci troviamo in mezzo al paese.
-
-Dalle ville degli eredi Bertoglio, del dottor Parravicini sullodato,
-che acquistò il luogo che prima era di don Giulio Ferrario, l’autore
-del _Costume antico e moderno di tutte le nazioni_ e d’altre opere
-dotte, non che da quella del ch. archeologo cav. Bernardino Biondelli
-si può godere il più superbo panorama. Distendesi avanti allo sguardo
-tutto il Pian d’Erba non solo, ma giù giù la Brianza inferiore co’
-suoi mille paesi e ville; di qui il lago d’Alserio, di là quello di
-Pusiano, poi la lunga linea che segna il corso del Lambro, quindi un
-confine d’orizzonte che si perde nell’azzurro ondeggiante dei monti,
-che del resto non è difficile scernere e nominare. Una volta si montava
-a Castelmarte per ammirare le pitture de’ più rinomati artisti moderni
-nella villa Bertoglio e la raccolta completa di stampe in quella del
-Ferrario; ora invece la ragione principale di curiosità è nella villa
-del Biondelli, ove, fra tante pregevoli opere di pittura, di scoltura e
-d’incisione, è degno d’osservazione un gabinetto tutto di leggiadrie e
-lavori chinesi.
-
-L’amore che a questi luoghi indusse il dottor cav. Parravicini a
-far sua la villa che fu del Ferrario, fa credere che la ridurrà a
-quella proprietà e comodità dalla quale s’era venuta discostando
-per l’abbandono in cui per tant’anni s’era da eredi e da acquirenti
-lasciata.
-
-In quanto al paese, che dire? Dell’antico non avrei a ripetere che
-ciò che sembra una favola, perchè nulla nulla si ha che autorizzi a
-crederla una verità, che Castelmarte, cioè, sia stato il capoluogo
-della Martesana, che si sa comprendere molte pievi. Chi lo affermò
-non lo provò, nè mi fermerò oltre su questa maggiore importanza che a
-questa minima terra si vorrebbe aggiungere, cui solo dal nome (_Castrum
-Martis_) puossi a maggior ragione arguire che fosse un dì una rôcca e
-che vi avesse culto speciale Marte, il Dio della guerra. La sua eccelsa
-posizione rendevala propria a vedetta militare ed a luogo di difesa.
-
-Quanto piglierebbesi volontieri per le orecchie quell’inventore di
-fatti e glorie storiche, che, cancellando l’iscrizione della pietra
-che si vede incastrata nel muro esterno della parte posteriore della
-chiesa, e che forse un giorno avrà coperto una sepoltura, vi sostituì
-la seguente menzogna:
-
- D. O. M.
- Ugone Franc. Functo
- Esecrandi hostis
- Aerumnis Ecclesiæ
- Ineundo bello
- Hierosolyma red.
- Ucitur jam Nicea
- Nicomedia Antiochia
- Bisantio Vanei Fin.
- Boemon Tane. Bald.
- Redeun. Trand. com.
- Goffredus regens
- Palestina gloria
- Onusto mortuo in
- Sanguine patriæ
- Ossibus restitutis
- Ubaldo Prinæ
- Duci fido socio
- Rinaldo Estensi
- Ferrariensi principi.
- M
-
-È facile accorgersi dal dirsi l’Ubaldo Prina fido compagno del Rinaldo
-da Casa d’Este, personaggio imaginario della _Gerusalemme liberata_ del
-Tasso, come anche esso Ubaldo sia figlio della fantasia e della boria
-di qualche Prina, de’ quali abbondano questi paesi, e che a costui sia
-entrato il matto pensiero di giuntare gli archeologi dell’avvenire e
-farsene beffa, per altro non di buon genere.
-
-Piuttosto segnalerò l’esistenza di altri avanzi antichi incastrati
-nei muri esterni della detta chiesa parrocchiale, fra cui, sopra la
-porta interna del campanile, un leone in bassorilievo e due tirsi
-per istipiti di essa porta, poi nell’alto del campanile un busto di
-donna frammezzo a due d’uomini, con sotto alcune parole che si lessero
-_Ma.... conisi maximus_ e che appajono di colore oscuro.
-
-Visto Castelmarte, fra le case Bertoglio e Parravicini evvi una
-stradicciuola che ci porta ad una stradetta o scala di ben quattrocento
-scaglioni a più riparti, per i quali, a guadagno di tempo, mettiamoci
-noi per condurci a Mazonio e Ponte, cui è destinata la ventura nostra
-escursione.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMASECONDA.
-
-PONTELAMBRO.
-
- Mazonio. — La sua chiesa — Il pittor Ferrabini. — La Fusina. —
- Filatoio Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — La Bistonda.
- — L’annegato. — Pontelambro. — Case Guaita e Carpani. — Una
- lapide nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — Villa Matilde. —
- La Plejade de’ poeti politici moderni, sonetti. — Affresco
- luinesco distrutto. — Villa Carpani. — Lezza. — Carpesino.
- — Arcellasco. — Resica. — Filatoj Ronchetti e Mambretti. —
- Brugora.
-
-
-Scesi i quattrocento gradini della scala di Castelmarte, eccoci sulla
-via che ne adduce a Mazonio, gruppo di quattro case da contadini, a
-capo delle quali è la chiesa della parrocchia, che comprende, oltre
-Mazonio, Ponte, Lezza e Carpesino.
-
-La chiesa è bella, architettata da Simone Cantoni, sebbene non abbia
-ancora compiuta la facciata. Non ha quadri di valore, dove eccettui
-una tela del milanese Giuseppe Sogni raffigurante Sant’Anna. I freschi
-laterali all’altare sarebbero stati rinnovati da Pietro Ferrabini
-da Lodi, prospettico e frescante eccellente della scuola del celebre
-Sanquirico; ma mentre attendeva a disegnarne i cartoni e ad un tempo
-frescava la chiesa a Rancio di Lecco, cadeva da un ponte eretto nella
-chiesa, colpito da apoplessia. La posizione della chiesa di Ponte è
-piuttosto alta, e dal suo piazzaletto si ha un’allegra vista. Da questo
-si discende per una lunga scalea cordonata. Volgendo a destra, si va a
-Caslino, incominciando la via a montare.
-
-La Fusina è un cascinale, ove è cartiera, molino e torchio, che si
-presenta da questa parte dopo una casa incompiuta che siede su d’una
-specie di dosso, che sarebbe buon sito a casa di campagna, se non fosse
-signoreggiata dal vento, ma che non toglie sia nomata Bel Dosso. Fuor
-del cascinale, il Lambro ha il suo letto sassoso, e il più spesso con
-poc’acqua, sì che si passa a guado, tutt’al più facendo appoggio al
-piede di qualche ciottolo più grosso.
-
-È qui che dirompendosi il letto del torrente nella roccia del suolo
-lascia scoperto il fondo granitico, e l’acqua, raccogliendosi in un
-canale, va più rapida a mettere in movimento il bello stabilimento di
-filatura di seta del signor Ohli, condotto con tutta l’intelligenza e
-proprietà d’un vero prussiano, com’egli è. Questo punto chiamasi il
-_Zocco Romano_; ma perchè così si chiami non lo chiedete: nè io, nè
-quei del paese ve lo sapremmo dire. Certo è di una sua propria alpestre
-bellezza il luogo. Varcato il Lambro, s’entra come in una selva, dove,
-a mano manca, da un dirupo scende lungo la nuda roccia una vena sottile
-d’acqua che forma bacino, d’onde esce un rivolo, e il romantico sito è
-designato col poco romantico nome di _Zocco Battista_. Migliore è la
-cascata che a qualche centinaio di passi di distanza, a mano destra,
-si precipita da un’altezza di forse una sessantina di metri dentro un
-bacino assai più vasto e profondo e che s’incaverna di sotto il masso,
-e vien detta la _Bistonda_. Poetico è il ritrovo e quasi incamerata
-appare la cascata, e il raggio di sole che vi penetra vi si rifrange
-bellamente. Narrasi d’un garzone che venuto a bagnarsi in quest’acqua
-freschissima, inoltrando di troppo, vi sarebbe perito. Un poeta
-sentimentale vi troverebbe il soggetto d’un amore di Ondina, cui il
-nuzial talamo sarebbero state le liane della roccia galleggianti sulla
-superficie del limpido laghetto.
-
- [Illustrazione: La Bistonda.]
-
-Tutto questo tratto solitario che s’addossa al monte, alla metà
-del quale corre l’alpestre via che da Caslino guida a Pontelambro,
-fiancheggiata da un rigagnolo che lascia parte delle sue linfe acciò
-si gittino a dar vaghezza al paesaggio in spumeggianti cascate, è d’una
-silvestre bellezza, e le ombre che presta giovano d’assai nella estiva
-calura.
-
-Or ritorneremo sui nostri passi, e dalla scalea della chiesa
-volgiamo all’opposto lato che or percorremmo per entrare in Ponte. A
-distinguerlo da Ponte di Valtellina gli si aggiunse il nome del fiume
-sulla cui sponda siede e che qui lo attraversa con un ponte, da cui
-certo il paese si nominò, e che è di un bello e ardito arco ristaurato
-in questi ultimi tempi, rendendosene più facile l’accesso col
-diminuirne la pendenza verso il paese; il quale va ognor più allargando
-la sua via principale che gli corre in mezzo, a scemare i pericoli
-de’ rotanti nello scambio ed a rinsanire ognor più le abitazioni.
-Continuandosi nelle migliorie, di cui vuol darsi lode al già suo
-sindaco, il cav. Giuseppe Guaita, che per esse affrontò ben anco
-l’impopolarità, è a sperare che sparisca la brutta fama guadagnatasi
-dal paese, che passa per essere copioso di gozzuti, che per altro io
-non vidi mai.
-
-Oltre la casa del predetto signor Guaita, ve n’ha pure altra signorile
-del signor Cesare Carpani, al quale molto è debitore il paese per aver
-concesso che da’ suoi fondi si derivasse l’acqua eccellente della quale
-è ora abbondevolmente fornito; ed altra casa della signora Erminia
-Carpani. Dalla prima si gode il prospetto severo della vallata di
-Caslino, degna dello studio e del pennello d’un artista. Qui infatti
-venivano negli anni scorsi e lo Stefani e il De Albertis e il Castoldi,
-che nell’autunno del passato 1871 vi perdette la buona e affettuosa
-moglie. Nel camposanto vi fu da lui collocato il monumento, pel quale
-io dettai, a memoria della egregia donna, la seguente iscrizione:
-
- A Giovanna Castoldi-Villa
- Che dalla natia Milano
- Venuta invano a chiedere
- Alla purezza di questo aere
- I consueti conforti
- Vi moriva addì XVI ottobre MDCCCLXXI
- Il marito Guglielmo Castoldi pittore
- E i giovanetti figli Romeo e Cesare
- Seco portando ovunque
- La santa memoria di sue miti virtù
- Qui
- Dove ne deposero inconsolabili le spoglie
- P. Q. P.
-
-Presso il ponte e lungo il fiume sorge lo stabilimento a filatojo di
-seta già del Bonsignori, ora del Bressi; e a notte, allorquando vi si
-lavora, quelle tante finestre illuminate in quell’avvallamento in cui
-si trova servono di fantastico effetto alla villa Carpani ed alla villa
-Matilde, che stanno sulla sponda opposta, le quali s’uniscono ai voti
-delle case Cesare Carpani e Guaita, perchè il camino del vapore venga
-alzato e sia tolto l’incomodo fumo e il puzzo che in densa colonna si
-svolgono da esso.
-
- [Illustrazione: Villa Matilde a Pontelambro.]
-
-Nella primavera del 1863 io era ospite del signor Carlo Carpani,
-e nel passare questo ponte, rivolgendomi ad ammirare la pittoresca
-scena del Lambro dalla parte appunto di Caslino, meravigliavo come mai
-nessuno avesse mai pensato a tramutare in villa il brutto casolare che
-s’ascondeva tra i peschi e mille altre piante; perocchè la postura
-fosse fra le più invidiabili, essendo su facile poggio, avente a
-ridosso la montagna boscosa che gli serviva di sfondo magnifico, e al
-piede gli si sprofondava il Lambro col più pittoresco effetto; e sì mi
-invaghii dell’idea, che in breve ora ne conchiusi per me l’acquisto,
-e nel successivo anno s’elevava già su quell’eminenza la piccola
-mia villa, cui, in omaggio alla mia sposa, imponevo il nome di villa
-Matilde.
-
-Perdonerà il lettore, se l’affetto ch’io porto a questo loghicciuolo,
-al quale ebbi la presunzione d’essere io medesimo architetto, mi trasse
-qui a fornirgli il riscontro di sua veduta; nè poi, permettendo ch’io
-dica dell’opera mia, concederà che ne parli, togliendo alcuni brani
-da un’appendice a stampa del giornale _La Fama_, di quel mio dotto
-e dilettissimo amico che è Pietro Cominazzi, e che egli riprodusse a
-parte nell’accompagnarmi sette sonetti ad illustrazione di altrettanti
-medaglioni di marmo de’ quali decorai, per un mio concetto patriottico
-e letterario ad un tempo, la terrena sala.
-
-“E poichè parlasi del Pian d’Erba non vuole chi traduce[33] lasciarsi
-sfuggire il destro di ricordare la _Villa Matilde_, proprietà dello
-scrittore di queste lettere, un Casino Svizzero che, quasi grazioso
-nido d’augelli, si addossa al monte di San Salvatore non lungi dalle
-scaturigini del Lambro e sovrasta al popoloso ed industre borgo di
-Ponte. Coll’intuizione del poeta, il Curti scoperse quel sito, sebbene
-nascosto tra fittissime piante, e coll’ingegno dell’artista architetto
-il cangiò da umile abituro in leggiadra dimora, non angusta, ma
-comodissima, sebbene ristretta, togliendo ai massi della montagna lo
-spazio che facea d’uopo ad ampliarla ed a compierne la salita ed il
-giardino. L’amore alle arti, che il guidò nell’opera bella e sagace, e
-diresse ogni cosa dalle bisogne più ricercate alle più umili, il trasse
-ad arricchire l’amenissimo soggiorno di squisiti dipinti e di pregiate
-scolture, sette delle quali, a bella posta trattate in medaglioni
-con cui adornar si piacque un’ampia sala, recano, effigiate dallo
-scalpello del Tantardini, del Magni e del Buzzi-Leone, le sembianze
-dell’Alfieri, del Monti, del Foscolo, del Parini, del Niccolini,
-del Leopardi e del Giusti; oltre un bel gruppo di Giovanni Cabialia,
-cresciuto alla scuola di P. Marchesi. Una copiosa biblioteca conforta,
-nei riposi del corpo, lo spirito del Poeta, lo ristora delle assidue
-ed onorate fatiche del Foro e del Parlamento, e giova a rinvigorire la
-memoria dell’erudito, che da quel suo tranquillo e beato asilo scopre
-ne’ villaggi circostanti le grandi orme del Popolo Re. Fra i molti
-dipinti primeggiano un Salvator Rosa, un Maratti ed un Poussin, e
-recano fede del buon gusto e dell’amore del Curti allo stile classico
-ed immortale, e fra le opere moderne ha i primi onori un bel ritratto
-di donna, di Cesare Poggi e una bella tela del Castoldi, testè ammirata
-alla pubblica mostra nel Palazzo di Brera, nella quale si raccoglie
-e compenetra il bello per arte e per natura, esternamente visibile,
-della villa che abbiamo in guisa rapida e succinta imperfettamente
-descritta.„
-
-Più tardi, cioè nell’agosto 1870, il medesimo Cominazzi, regalandomi
-d’una sua pubblicazione _Plejade dei Poeti Politici Italiani moderni,
-medaglioni in marmo nella villa Matilde_[34], ristampando la lettera
-suddetta, vi soggiungeva:
-
-“Ora risalutando la villa e le sembianze dei Poeti, Plejade gloriosa
-da te riunita a ricordo di quegli illustri che fecero famosa ai nostri
-giorni o poco addietro nel politico arringo l’età che viviamo, pensai
-di tributare a ciascheduno di loro, col mio povero verso, l’omaggio di
-chi sente e non dimentica,
-
- VITTORIO ALFIERI.
-
- _Dello scultore cav. Pietro Magni._
-
- Onta e sprezzo a colui che te maestro,
- Te non saluta libero poeta,
- E nell’opra del tuo terribil estro
- L’ingegno reverente non accheta!
- Tu per cammino al cieco volgo alpestro
- Traevi ardito a generosa meta,
- E noi guidavi, tu vigile e destro,
- Al raggio singolar del tuo Pianeta:
-
- Di Libertà il Pianeta, e di quel lume,
- — Fiaccola ai vivi, eterna gloria ai morti, —
- Inconsumabil fiamma è il tuo volume.
-
- Or che stupir se Libertà traligna
- Quando Italia, non più popol di forti,
- Al suo grande Astigian fatta è matrigna!
-
- GIUSEPPE PARINI.
-
- _Dello stesso._
-
- A te del vizio correttor sagace,
- Gentil cantor del _nobile Mattino_,
- Cui diede amico il Ciel del Venosino
- Arguzia, grazia, fantasia ferace;
-
- A te la moda, petulante, audace,
- Fronda non tolse dell’allôr divino;
- Chè fra l’ira di parte è tuo destino
- Agli avversi vessilli intimar pace.
-
- Tu l’aureo stil, le immagini venuste
- Chiedi al passato e del saver la fonte,
- Chiedi alla nuova età le idee robuste.
-
- Così d’Arte sovrana il magistero
- Stringe, di tempo e d’uom sfidando l’onte,
- In connubio immortale il Bello e il Vero.
-
- VINCENZO MONTI.
-
- _Dello scultore cav. Antonio Tantardini._
-
- Solo una volta il vidi, e ancor mi suona
- Dentro la mente quella voce amica:
- Non può l’età, che pur nulla perdona,
- La sacra cancellar memoria antica:
-
- Che splendida risorge e par mi dica
- Nell’immagine sua: “Fa core e tuona
- Contro una gente, che al ben far nimica,
- Coll’insulto e l’oblio mi guiderdona.
-
- Me cantor di Prometeo e di Bassville,
- Redivivo Allighier me plaudía Roma,
- Chè in quel Sol fisse io primo ho le pupille.
-
- Per me, per me nell’italo idïoma
- Men famosa non è l’ira d’Achille....
- Or si nieghi l’alloro alla mia chioma!„
-
- UGO FOSCOLO.
-
- _Dello scultore Luigi Buzzi-Leone._
-
- Spirto inquieto, indomito, iracondo,
- Dei mali altrui più che de’ tuoi profeta,
- Disdegnoso degli uomini, profondo
- Critico e pensator, divin poeta:
-
- Ond’è che il verso, onde il tuo stil fecondo
- D’una tant’aura popolar si allieta?
- Ond’è che tu, forse ad altrui secondo,
- Della gloria primier tocchi la meta?
-
- LIBERTÀ e PATRIA, che un amor congiunse,
- — E di lor sole poche menti han sazie, —
- Le magnanime idee t’ebber dischiuse.
-
- Quando sull’urna tua scrisser le Muse:
- “_Al Cantor de’ Sepolcri e delle Grazie_,„ —
- “_Alla Fede immutata_„ Italia aggiunse.
-
- GIAN. BATT. NICCOLINI.
-
- _Dello scultore cav. Antonio Tantardini._
-
- Veglio, che pensi? Dal sembiante austero
- Quanta spirar profetic’aura io miro,
- L’aura che un tempo all’italo deliro
- L’altrui scoverse menzogner pensiero?
-
- “Non credete a costei![35] Sogna l’impero,
- Sogna e cova nel petto onta e raggiro:
- A Libertà, dei Popoli sospiro,
- Può il varco aprir la cattedra di Piero?„
-
- E il ver dicevi, o generoso Vate;
- Colei tradiva, e lo stranier ribaldo
- Ribadia le catene a Libertate.
-
- Col verso intanto vigoroso e caldo
- — Tremendo esempio alla più tarda etate —
- Tu evocavi la grande ombra di Arnaldo.
-
- GIACOMO LEOPARDI.
-
- _Del medesimo._
-
- Sofo e Poeta, Te l’Italia inchina
- Sublime ingegno, e non bugiarda fama
- Di tre favelle imperador ti chiama,
- E tre corone al tuo capo destina.
-
- Di Libertà, che indocile si ostina
- Spezzare i ceppi della patria grama,
- Svegli nei cor la generosa brama
- Colla splendida tua mente indovina.
-
- Ecco, libera Italia, ed i nepoti
- Alzare i marmi al Ghibellin sdegnoso,
- Che scopria del futuro i mondi ignoti.
-
- Ma l’opra è monca... e Tu dal tuo riposo
- Sorgi e un inerte popolo riscuoti,
- Ad osar pronto ed a compir ritroso.
-
- GIUSEPPE GIUSTI.
-
- _Dello scultore cav. P. Magni._
-
- D’Archiloco lo strale e d’Aristarco
- Il flagello tu vibri acre, temuto,
- E collo stil sprezzatamente arguto
- Facile t’apri agli intelletti il varco.
-
- Se il colpo aggiusta l’infallibil arco,
- Punge e vellica a un tempo il ferro acuto,
- Chè tu mai non obblii, prudente e astuto,
- D’ammonir dilettando il doppio incarco.
-
- Come, o Cantor di _Gingillino_, il verso,
- Che dal semplice trae forma e vaghezza,
- Nella mente s’addentra e vi si chiude!
-
- Tal che il tuo dir, sì dall’altrui diverso,
- Più volontier s’ascolta, e più s’apprezza,
- Quanto si mostra men, la sua virtude.
-
-Su Ponte, sotto l’arco presso la casa de’ Bonsignori, ora Bressi, eravi
-un fresco, riconosciuto come indubbiamente di Bernardino Luini; ma con
-imperdonabile incuria di tutti, abbandonato alle ingiurie del tempo e
-delle stagioni, in questi ultimi anni deperì e si scrostò talmente, che
-l’ultimo resto, fattovi sparire dal signor Bressi, non gli può essere
-ascritto a colpa.
-
-Ora non lasceremo Pontelambro senza ascendere la vicina e magnifica
-villa del signor Luigi Carpani, che l’eredò dal padre Carlo, e che fu
-già architettata dal Moraglia, con giardino eseguito su disegno di quel
-grande prospettico che fu Alessandro Sanquirico.
-
-Vi precede come una specie di parco, che le aggiunge grandiosità, con
-ampio viale fiancheggiato di alti alberi e roseti e tuje, e pel quale
-si monta in carrozza alla casa. In essa poi vi sono pregevoli quadri
-d’animali, del Londonio; qualche buon Fiammingo; due battaglie, del
-Borgognone; una tela d’Arienti ed una del Migliara. Recentemente il
-suo attuale proprietario vi recò altri pregevolissimi dipinti di scuole
-antiche, come lo Sposalizio di S. Caterina col Bambino, del Padovanino;
-una tavola di Cima da Conegliano rappresentante S. Giovanni Battista e
-S. Pietro Martire; una figura veneziana, di Gentile Bellini; quattro
-quadri di Santi Benedettini, di Daniele Crespi, e due tele di Brill,
-una testa del Velasquez, ecc. ecc. — Dallo spiazzo avanti la casa si ha
-una superba vista del Pian d’Erba.
-
-Uscendo dalla villa Carpani, in due passi s’è al paesello di Lezza,
-dove era un tempo un convento di Serviti, che il tennero dal 1508 al
-1510 e che ora è abbandonato al nitro che ne invade i bei sotterranei.
-La piscina che vi fu eretta e coperta di portico, raccoglie l’acqua
-fresca e salubre che vi scende dal monte sovrastante.
-
-Lezza ha estremo bisogno di imitare Pontelambro e di dar mano al
-piccone ed al martello e allargare la sua unica via, così angusta da
-passarvi appena una carrozza, e causa che i diretti per la Vallassina
-abbandonassero affatto questa parte ed eleggessero esclusivamente la
-strada di Longone.
-
-Oltre Lezza, al di là del Lambro, siede Carpesino, che taluni presumono
-tragga il nome da _Carpe sinum_, piglia il porto; e se ciò fosse,
-sarebbe memoria che sin qui si estendesse l’Éupili. Vi hanno ville i
-Nava e i Caldara; più su vi è Brugora come sul ciglio di un pendío,
-e per istrade praticate fra’ boschi si va a Proserpio e Longone, che
-noi già abbiamo conosciuto; mentre progredendo per la via che qui ne
-condusse, si trova Arcellasco, poi la Resica, ove è un filatojo già de’
-Carpani di Ponte, ora dei fratelli Ronchetti; e un altro dei Mambretti;
-e finalmente si giugne al ponte della Malpensata.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMATERZA.
-
-SAN SALVATORE.
-
- I _Geritt_. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e Genolini. —
- Il torrente Bova. — La dara. — San Salvatore. — Il convento. —
- Il signor Boselli. — Giovanni Biffi. — Il tronco mellifero. —
- La villa Righetti.
-
-
-Da Lezza, per una via ampia sì ma acclive e che mano mano si ascende
-scopre miglior orizzonte, perchè rivela da una parte il lago di Pusiano
-e dall’altra quello d’Alserio, e con essi i loro vicini paesi, si
-arriva a Mornico, villaggio che si confonde con quel di Crevenna, sì
-che il nome del primo, più che sulla pietra miliare, non è ripetuto da
-alcuno.
-
-A mezzo per altro di quest’ampia via dove si volge, formando angolo,
-s’apre una tal vista, che chi vi avesse a fabbricare una casa vi
-troverebbe certo a deliziare lo sguardo.
-
-Invece meno accorti speculatori, nel sottoposto vallone, vi eressero
-casini, tra cui quello detto dei Gerini (_Geritt_), nel quale già
-prendeva riposo dalle teatrali fatiche il tenore di bella fama
-Bulterini, e da qualche anno quella esimia artista soprano, che è
-la signora Enrichetta Berini e il di lei marito Osmondo Meini, basso
-cantante di egregia riputazione. In compenso della limitata vista, vi
-si gode della piena libertà, perchè fuor dell’accesso e dello sguardo
-comune.
-
-In Crevenna vi sono le ville dei signori Bressi e dei Genolini, e
-presso il paese si dirupa in profondo vallone il torrente Bova, che
-poi, quando mena le sue acque tumultuose, le gitta nel Lambro poco
-disotto a Carpesino.
-
-Nella villa de’ Genolini, quando apparteneva ai signori Fontana, traeva
-frequente ospite amatissimo quel gentile scrittore e poeta, che ognun
-conosce in Giulio Carcano, e quivi ispiravasi egli ad inni leggiadri,
-de’ quali alcun breve saggio reca il presente mio libro.
-
-Sul piazzale della chiesa parrocchiale s’apre la via che guida a San
-Salvatore. Quantunque essa sia abbastanza erta, pure è ampia e tale da
-potersi valere della _dara_, specie di veicolo primitivo trascinato da’
-buoi, di che i proprietarî delle ville che vi sono a quell’altezza si
-valgono bene spesso.
-
-Merita di salire a San Salvatore, che, stando al piano vedesi poggiare
-a mezzo la montagna, cui dà il nome, come un nido di aquile.
-
-Quando si è giunti colà, si trova soddisfatti, perchè dal viale che
-sta innanzi al caseggiato si ha uno stupendo panorama, tale da far
-riscontro alla cima di Galbiate che gli sta di fronte sull’ultimo
-confine del bacino dell’Éupili antico.
-
-Pervenuto a quell’altezza, al cospetto di sì maravigliosa natura, a voi,
-come già a me, correrebbero al labbro i versi del buon Parini:
-
- Oh beato terreno,
- Del vago Éupili mio,
- Ecco alfin nel tuo seno
- M’accogli; e del natio
- Aëre mi circondi,
- E il petto avido inondi![36]
-
-San Salvatore è un convento che già fu de’ Cappuccini, e che dalla loro
-soppressione fu tramutato in villeggiatura. L’ebbe il signor Boselli,
-rinomato istitutore di Milano, che qui conduceva i suoi convittori a
-ritemprare la salute, nelle vacanze autunnali, coll’aere puro che vi
-regna; ma sorvenuto il 1848, nelle memorande cinque giornate, caduto
-vittima del piombo austriaco, la villa venne dalle leggiadrissime sue
-figlie tenuta.
-
-Visitandola, più d’una volta vi trovai, come vi trovano tutti, il
-più grazioso ricevimento dalla gentilissima signora Irene Boselli,
-moglie a quel colto scrittore che è Giovanni Biffi, l’autore della
-_Ghita del Carrobio_ e del _Prina_, il quale una volta mi fu anche
-cicerone del luogo, e mi mostrò parte a parte ogni sala, ogni cella,
-e la chiesa, a cui traggono i devoti di Crevenna in certe solennità,
-e sulla quale, non saprei con quanto diritto, spiega il Comune pretesa
-_ab immemorabili_, additandomi la stanza dove venne ospitato San Carlo
-Borromeo e i mobili da lui usati, e via via l’orto, il cascinale e
-il viale che poi mette al sentiero che percorre la montagna fino a
-Caslino. Quel giorno, sorridendo, dopo avermi condotto presso un gran
-tronco d’albero che giaceva in terra, mi ripeteva i versi del Manzoni:
-
- Stillano miele i tronchi:
- Ove copriano i bronchi,
- Ivi germoglia il fior;
-
-ed accennando a quel tronco abbattuto, dicevami come il dì prima
-avesse trovato essere stato tutto cavo e pieno del più eletto miele,
-che estraeva in due ben capaci recipienti. Da qui egli poi muoveva,
-infaticabile Nembrod, a cacciar lepri pei monti, delle quali prese
-frequenti fa parte agli amici.
-
-Il convento di San Salvatore è ora esclusiva proprietà della signora
-Boselli-Righetti, figliuola al sullodato istitutore milanese.
-
-Le comitive allegre ed instancabili, a San Salvatore non fanno spesso
-che una prima sosta; perocchè si dirigano sovente dopo per aspro
-sentiero al _Buco del Piombo_, cui ho riservata la ventura escursione,
-o alla _Colma_, che altro non è che il vertice del monte, dal quale è
-dato di spaziare per gli opposti versanti; e lo sguardo, signore da una
-parte del Pian d’Erba e della Brianza, dall’altra segue tutta la linea
-non meno superba del lago di Como. I coraggiosi son molti, e fra questi
-non mancano mai le gentili signore.
-
- [Illustrazione: Interno del Buco del Piombo.]
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMAQUARTA.
-
-IL BUCO DEL PIOMBO.
-
- La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — Aneddoto. —
- Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — Concorso di gente.
- — I versi di Torti.
-
-
-E noi, poichè siamo già a San Salvatore, continuiamo la via pel _Buco
-del Piombo_. È lunga, è aspra, ma retrocedere per pigliar l’altra
-dell’opposto ciglione del monte non ne pare conveniente.
-
-È però cammino ameno e pittoresco, e se i piedi faticano, lo sguardo si
-diverte e gode.
-
-Sorpassiamo gli incidenti del cammino, ed eccoci di sotto al Buco del
-Piombo.
-
-Anni addietro abbisognava di certo coraggio per inerpicarsi fino al
-punto, dal quale, per mezzo d’una scala a mano, si poteva penetrare
-nell’antro; ma dopo che tutte queste Alpi, come le chiamano quei
-del paese, vennero in proprietà del conte Turati, che su di esse vi
-stabilì una razza di cavalli, la bisogna è mutata: l’accesso è reso più
-praticabile e comodo.
-
-Non creda il lettore che la caverna per la quale entriamo tenga fede al
-suo nome; traccia di piombo non vi si riscontra, nè pare vi sia stato
-mai; non diamo però le spese al cervello per indovinarne la ragion
-del nome; vi chiaccherarono intorno e scrissero assai e assai, ed un
-costrutto non se n’è per anco cavato. Narrasi anzi, a tale proposito,
-un aneddoto. Nel vicino convento de’ Cappuccini di San Salvatore,
-che abbiamo testè veduto, nella biblioteca del chiostro, stava un
-volume legato, sul cui dosso leggevasi il titolo: _Origine del Buco
-del Piombo_. La mano d’ogni visitatore correva a togliere il volume
-dallo scaffale, curioso di leggervi una tale origine; ma ne rimaneva
-scornato: il volume non era che un pezzo di legno foggiato a libro,
-fratesco scherzo, del quale si trova il riscontro in Venezia ai Frari,
-dove è consimile volume lavorato dal celebre Brustolon.
-
-Sull’ingresso dell’antro veggonsi avanzi di muraglie e d’arpioni,
-onde s’ha a credere che vi fossero applicate porte e che però vi
-abitasse gente. Serviva a vedetta militare od a presidio? era rifugio
-di predoni o di banditi? ricoveravan qui, com’altri presumono, i
-Longobardi cacciati dall’ira de’ Franchi? Non v’è memoria o scritto
-che il dica. L’atrio che sarebbe stata la parte abitabile, è spazioso:
-ha la larghezza di metri 38, l’altezza di 42 e la lunghezza di 55,
-ed è sempre qui che le brigate che vi montano si rifocillano colle
-provvigioni di bocca mandate innanzi.
-
-Ma la caverna si interna e sprofonda per un vano quasi continuo della
-larghezza di metri nove e dell’altezza di otto, e vi si può camminare
-per circa 188 metri coll’aiuto della luce del giorno; più avanti si va,
-si va accendendo qualche torcia, e dopo 18 metri di cammino, si giunge
-a un punto dove a destra s’apre altra caverna larga circa metri 1,30,
-ed avanzando per una trentina d’altri metri, leggesi una lapide che vi
-fu messa, del tenore seguente:
-
- S. A. I. il Princ. Raineri Vicerè
- Consigliere De-Capitani
- Ciambellano conte Paar.
- Gli 8 maggio 1819.
-
-Altri si spinsero più in là; trovarono che lo speco ora abbassavasi,
-ora rialzavasi; che acque vi correvano in ruscelli o formavano pozze;
-finchè non parve andare più avanti, forse essendo anche ciò pericoloso.
-
-Ho già detto a suo luogo come vi abbia chi opini che questa caverna
-vada e s’inoltri fin presso la fonte Pliniana del lago di Como; ma non
-sono che pure supposizioni, alle quali nulla porge fondamento.
-
-Sotto dell’antro, o Buco del Piombo, corre il torrente Bova, per mezzo
-a un letto franato e fra roccie, che ne fan quasi un orrido d’artistico
-effetto; ma pur di questo torrente ho parlato nella passata escursione.
-
-La curiosità chiama moltissimi visitatori al Buco del Piombo; dirò
-di più: non v’ha villeggiante o forestiero che sia venuto nel Pian
-d’Erba, il quale non l’abbia una volta almeno fatto scopo di una sua
-pellegrinazione.
-
-Così lo ricordava il Torti in que’ versi che dal Pian d’Erba dettava:
-
- O selvose montagne, o gioghi erbosi,
- O di lontan sovreminenti al verde
- Cornuti massi, o dolce aere vitale,
- O dal sol di settembre illuminate
- Felici rive, umili poggi e sparsi
- Casali e ville, e pascoli e vigneti
- Dell’Éupili ridente; o vasto speco
- Di nome senza origine, su in alto
- A mezzo monte dalle curve strade
- Per gran paese riveduto sempre;
- O collinetta sovra l’altre amica
- Ov’io sedeva a contemplar la mesta
- Valle del mio Segrin; voi già mia prima
- Delizia e voluttà, di tutto l’anno
- Speme e pensier...
-
-Oh! veramente son questi luoghi tali da ispirare e da accendere gli
-estri del poeta; nè vi fu amico delle Muse che a queste delizie del
-Pian d’Erba traendo, non se ne sia ispirato, non ne abbia poi ne’ carmi
-espresse le soavi dolcezze.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMAQUINTA.
-
-LA VILLA AMALIA.
-
- La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria degli
- Angeli. — L’avv. Rocco Marliani. — Il palazzo, il giardino e
- il bosco. — Il monumento a Parini. — Monti e Foscolo ospiti. —
- Episodio della Mascheroniana. — La torre.
-
-
-Ridiscesi a Crevenna, proseguiamo la via che ci condusse da Lezza, e
-dopo qualche centinaia di passi, ci ritroviamo ad Erba superiore.
-
-Noi riserbandoci a veder il paese, per ora arrestiamoci qui davanti
-alla villa Amalia, che ha innanzi vaghi tappeti d’erba e vasto
-piazzale. Due facciate ha la villa; l’una riguarda al giardino, l’altra
-alla corte: a quella cresce grandiosità una gradinata e un padiglione;
-a questa bellissimi bassorilievi in terra cotta; ma l’ingresso è per un
-cancello da questa parte che sta di fronte ad Erba. La chiesa laterale
-ti rammenta subito che un dì potesse essere questo luogo un convento.
-Infatti vi fu fabbricato da Guido Carpano e dalla chiesa fu detto di
-Santa Maria degli Angeli.
-
-Francesco Del Conte vi stabilì i Cappuccini; passò di poi ai Filippini;
-finchè al principiar del secolo corrente, l’avvocato milanese Rocco
-Marliani, consigliere della Corte d’Appello, l’acquistò, e su disegno
-di quel valente architetto che fu Leopoldo Polak, vi eresse la sontuosa
-villa che, dal nome della propria sposa, appellò Amalia.
-
-Nel cortile di essa lasciò memoria di ciò nell’iscrizione seguente:
-
- Rochus Petri Fil. Marlianus
- Domo Mediolano
- Cœnobi veteris operibus a solo ampliatis
- Villam extruxit ornavit
- Amaliam
- Ex conjugis karissimæ nomine appellandum
- Anno 1801[37].
-
-E dirimpetto a tal lapide stanno i seguenti versi d’Orazio:
-
- Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus
- Hortus ubi, et tecto vicinus jugis aquæ fons,
- Et paulum sylvæ super his foret. Auctius, atque
- Dî melius fecere. Bene est. Nihil amplius oro[38].
-
-Vi condusse il Marliani artisti ad abbellirla, e di Giuseppe Bossi
-infatti vedesi un’Aurora, dipinta nella sala di mezzo del palazzo;
-e nel giardino, o a meglio dire, nel bosco che vi fa parte, rizzò
-un tempietto sacro alla Prudenza, rappresentata da una statua che vi
-sorge nel mezzo, e poco appresso collocò due statue, Diana ed Atteone.
-Dove poi l’ombra è più oscura del bosco, eresse un monumento con un
-busto, opera di Giuseppe Franchi, tutto recinto di macchie d’alloro,
-fiancheggiato da funereo cipresso, e lo consacrò alla memoria di
-Giuseppe Parini, che fu sovente ospite venerato del Marliani; e comechè
-nel sottoposto sotterraneo ei vi avesse collocato un organo che, tocco,
-mandava una mesta armonia, così aveva fatto scolpire sulla base del
-monumento a Parini i quattro versi di lui, tolti all’ode _All’inclita
-Nice_:
-
- Qui ferma il passo, e attonito
- Udrai del pio cantore
- Le commosse reliquie
- Sotto la terra argute sibilar.
-
-E come Parini, qui venivano accolti dalla cordialità e dall’affetto
-riverente del Marliani anche Foscolo e Monti, il qual ultimo raccomandò
-alla imperitura memoria dei posteri il nome della villa, illustrando
-la tomba del grande poeta che vi è conservata, nelle seguenti terzine
-della sua _Mascheroniana_:
-
- I placidi cercai poggi felici
- Che con dolce pendío cingon le liete
- Dell’Éupili lagune irrigatrici;
-
- E nel vederli mi sclamai: Salvete,
- Piagge dilette al ciel, che al mio Parini
- Foste cortesi di vostr’ombre quete!
-
- Quand’ei fabbro di numeri divini
- L’acre bile fe’ dolce, e la vestía
- Di tebani concenti e venosini,
-
- Parea de’ carmi suoi la melodia
- Per quell’aura ancor viva; e l’aure e l’onde
- E le selve eran tutte un’armonia.
-
- Parean d’intorno i fior, l’erbe, le fronde
- Animarsi e iterarmi in suon pietoso:
- Il cantor nostro ov’è? chi lo nasconde?
-
- Ed ecco in mezzo di recinto ombroso
- Sculto un sasso funebre che dicea:
- _Ai sacri Mani di Parin riposo_...
-
- Ed una non so ben se donna o dea
- (Tese l’orecchio, aguzzò gli occhi il vate
- E spianava le rughe e sorridea)
-
- Colle dita venia bianco rosate
- Spargendolo di fiori e di mortella,
- Di rispetto atteggiata e di pietate!
-
- Bella la guancia in suo pudor; più bella
- Sulla fronte splendea l’alma serena
- Come in limpido rio raggio di stella.
-
- Poscia che dati i mirti ebbe a man piena,
- Di lauro, che parea lieto fiorisse
- Tra le sue man, fe’ al sasso una catena;
-
- E un sospir trasse affettuoso e disse
- Pace eterna all’amico; e te chiamando
- I lumi al cielo sì pietosi affisse,
-
- Che gli occhi anch’io levai, fermo aspettando
- Che tu scendessi, e vidi che mortale
- Grido agli Eterni non salía più, quando
-
- Il costei prego a te non giunse; il quale
- Se alle porte celesti invan percote,
- Per là dentro passar null’altro ha l’ale.
-
- Riverente in disparte alla devota
- Ceremonia assistea, colle tranquille
- Luci nel volto della donna immote,
-
- Uom d’alta cortesia, che il ciel sortille
- Più che consorte, amico. Ed ei che vuole
- Il voler delle care alme pupille,
-
- Sol per farle contente eccelsa mole
- D’attico gusto ergea, su cui fermato
- Pareami in cielo, per gioirne, il sole.
-
- E _Amalia_ la dicea, dal nome amato
- Di colei che del loco era la diva,
- E più del cor che al suo congiunse il fato.
-
- Al pietoso olocausto, a quella viva
- Gara d’amor mirando, già di mente
- Del mio gir oltre la cagion m’usciva.
-
- Mossi alfine, e quei colli ove si sente
- Tutto il bel di natura abbandonai
- L’orme segnando al cor contrarie e lente[39].
-
-Fu lunga la citazione, ma in compenso splendida, come splendidi sono
-sempre i versi di Vincenzo Monti, al quale l’età più prosaica osa
-temeraria levarsi e contendere il lauro di poeta.
-
-La villa Amalia passò dopo a diversi signori, finchè pervenne al
-marchese Massimiliano Stampa Soncino, che vi aggiunse bellezze a
-bellezze.
-
-Dalla torre che vi sta, si può abbracciare collo sguardo il più
-stupendo orizzonte ed estasiarsi alla vista di monti e colli, di laghi
-e fiumi, di paesi e ville infinite e campagne e boschi.
-
-Gli amatori di botanica avrebbero per più d’un’ora a deliziarsi
-ammirando le infinite camelie di più qualità, boschetti di fusaria
-del Giappone, cespugli di azalee e di rododendri, e rose magnifiche,
-e mazzi di _olea fragrans_, per non dir d’altri molti e fiori e piante
-peregrine, che di loro vaghezza e profumo imparadisan la villa, degna
-della ricchezza e nobiltà del suo cortese proprietario, e però va
-meritamente tra le più splendide e deliziose della Brianza annoverata.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMASESTA.
-
-ERBA.
-
- Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il castello
- e la villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente Bocogna. —
- Villa Conti. — Erba Inferiore. — Pretura, ufficio telegrafico,
- albergo e botteghe. — Il caffè e gli _amaretti_. — Il teatro.
- — Ville Clerici e Brivio. — Vill’incino. — Mercato d’Incino. —
- _Liciniforum._ — Lapidi. — Ninfeo antico. — Fatti storici. — Il
- mercato del giovedì.
-
-
-Questa borgata, che dà il suo nome al bellissimo territorio che
-vengo dichiarando al lettore, distendendosi su d’una eminenza a mo’
-d’anfiteatro per quelli che la riguardano venendo dalla Malpensata, fa
-sì che alla parte più alta si assegnasse il nome di Erba Superiore, ed
-è certo la migliore, perocchè domini una quantità maggiore d’orizzonte,
-potendosi spingere l’occhio sin là presso Cesana e Galbiate, e vedere
-il Monte Baro, e via via quelle ridenti colline che finiscono alla
-Montevecchia, e quella ridente estensione della Brianza co’ suoi
-infiniti villaggi; mentre poi da sinistra si posa sui colli placidi e
-d’insensibil pendío di Proserpio, colla biancheggiante sua chiesa che
-s’avanza fin sull’estremo limite d’un promontorio, su Castelmarte e
-sui denti o corni di Canzo e sull’Alpe di Carella che, massime all’ora
-del tramonto, si veste delle più calde tinte che mano mano si vengono
-trasformando in auree, poi in porporine, quindi in violacee, finchè
-l’ombra notturna non le abbia confuse nell’uniforme bruno.
-
-Era certamente nell’ammirazione di questo stupendo panorama che lo
-scrittore d’_Angiola Maria_ esclamava:
-
- O monti, o vette aeree,
- O piani d’Erba, addio!
- O valli, o poggi placidi
- Dal fertile pendío,
- Asil soave e muto
- Di rustica beltà;
- Io v’amo, io vi saluto
- Con mesta voluttà.
-
- Salvete, o voi tranquille
- Innumere borgate,
- Liete cosparse ville,
- Campagne invidïate!
- Io v’amo, e in cor vi sento
- Com’inno del mattin,
- Come il primiero accento
- Dell’italo bambin.
-
-Erba non può contare, è vero, una storia ricca di avvenimenti; ma
-per l’aiuto dato all’armi milanesi alla battaglia da questi ultimi
-combattuta contro gli aderenti del Barbarossa nel nove agosto 1160 —
-fu una nobile e generosa azione — s’ebbe il diritto di cittadinanza,
-che le fu mantenuto anche in seguito e da Ottone Visconti, e dagli
-Spagnuoli e dai Tedeschi. Di più ne dice il prevosto Annoni nella sua
-_Memoria storica e archeologica intorno al Pian d’Erba_, cui rimando
-il lettore, per non essere tratto dall’amore degli storici studî a
-cingermi la giornea e mettere a cimento la pazienza di lui.
-
-Attivamente poi partecipa il suo territorio all’industria che meglio si
-fa alla Brianza, alla serica vo’ dire, potendo contare oltre quaranta
-filande e quaranta filatoi, e così vien presso agli altri distretti di
-Oggionno, di Vimercate e di Lecco, che si additano come i meglio dotati
-in Lombardia di congeneri stabilimenti.
-
-Sull’angolo sinistro d’Erba Superiore sorgeva un tempo, come del resto
-si riscontra in ogni terra di qualche importanza, il castello, ora
-convertito alla più felice villeggiatura de’ signori Valaperta, dove
-più d’una volta vidi ospite quel valoroso campione dell’arte pittorica
-moderna che è Francesco Hayez.
-
-Di sotto al castello si avvalla con grazioso effetto il terreno, epperò
-vien detto Pravalle, pel quale un dì precipitavasi il torrente Bocogna,
-menando i soliti guasti de’ suoi pari; ma i Valaperta ne rivolsero a
-bene le acque, facendole servire ad una filanda o filatoio.
-
-Sul ciglio dell’opposta eminenza, al di là di Pravalle, si pavoneggia
-la elegante villeggiatura de’ signori Conti, che divide coi Valaperta i
-vantaggi della fortunatissima posizione.
-
-Erba Superiore è occupata per lo più da ville o case da villeggiatura:
-il movimento principale è nondimeno in Erba Inferiore. La borgata è
-dotata di Pretura, di ufficio telegrafico e di albergo: ha tutte le
-botteghe occorrevoli al vitto, come in una città; massime le carni vi
-si trovano eccellenti dai villeggianti; al suo caffè, elegantemente
-riaddobbato di fresco e famoso pe’ suoi _amaretti_, sorta di pasticcini
-torrefatti e che contendono il primato con quelli di Saronno, nelle
-ore pomeridiane d’autunno vi convengono i signori e le eleganti dei
-dintorni, sia venendovi a piedi, sia cogli equipaggi, felici del
-vedersi gli uni gli altri; perocchè, del resto, la sosta avvenga in una
-via ristretta e senza attrattiva di sorta.
-
-Sulla vetta dell’eminenza su cui seggono le sue case, il pittor Rosa,
-nel grandioso caseggiato da lui fabbricato e che affitta nelle ferie
-autunnali a famiglie per lo più milanesi in distinti e ammobigliati
-appartamenti, costruì un teatro, nel quale in quella stagione recita
-talvolta qualche drammatica compagnia sviata.
-
-O per la postale, o per sentieri si discende nel sottoposto piano
-a Vill’Incino, dove sorge la prepositurale nella cui giurisdizione
-è Erba. Scendendo per la prima, al risvolto trovasi la villa già
-Clerici, ora Mazzucchetti, che ognun veggendo augura veder tramutato
-in albergo, tanto se ne sente il bisogno e propizia ne appaia la
-posizione; ed a fianco di essa al principio della via che si interna
-e guida a Lezza sorge altra villa de’ signori Brivio ed un filatoio.
-Proseguendo invece per la postale, dopo la Clerici, a un centinaio
-di passi si è alla suddetta prepositurale. Alquanto più in là è
-Incino, o Mercato d’Incino, che, comunque spopolato tutti i dì della
-settimana all’infuori del giovedì, in cui v’è l’antichissimo mercato
-con opportuni portici e che diè nome al paese, pure ha memoria di fatti
-storici. Eravi certo una colonia romana e vi si trovarono sepolcri e
-ossa giganti e armature dell’epoca. Chiamavasi allora _Liciniforum_,
-ossia foro o mercato di Licinio, dal nome di qualche pretore o patrono
-che vi comandava la stazione militare, o la colonia; onde il conservato
-nome di per sè vale a scalzare d’ogni fondamento la pretesa di chi
-volle collocare _Liciniforum_ nel luogo del poco discosto Parravicino.
-
-Del tempo romano qui si sterrarono e lessero due lapidi.
-
-La prima:
-
- Herculi
- C. Metilius
- Secundus
- Votum Solvit Libens Merito.
-
-La seconda:
-
- Jovi Optimo Maximo
- Cœsia Tullii Filia
- Maxima
- Sacerdos
- Divae Matidiae[40].
-
-Una terza lapide importa poi di qui riferire, come rinvenuta in alcune
-escavazioni, perchè forse fa cenno di un ninfeo qui esistito:
-
- Lymphis Viribus Quintus Vibius
- Severus votum solvit.
-
-Anche più tardi, nel medio-evo, da Landolfo da Cardano, arcivescovo di
-Milano (979-998), venne Incino eretto in capitanato, investendone della
-suprema autorità un suo fratello, come aveva egualmente fatto degli
-altri due capitanati di Carcano e Pirovano con Missaglia. I Comaschi e
-i Torriani, combattendo Ottone Visconti arcivescovo di Milano e capo di
-parte nobilesca, lo diroccarono. Su queste terre, in età più inoltrata,
-fervendo le lotte guelfe e ghibelline, la fazione guelfa portò
-desolazione e morte, soqquadrando ogni avere e commettendo i più infami
-assassinî.
-
-Era poi Incino la pieve più vasta ed importante dell’arcivescovato di
-Milano, e fino dal 1288 contava sotto la propria giurisdizione sessanta
-chiese. Alla sua prepositurale andava inoltre aggiunta una collegiata
-di più canonici, che San Carlo, nel 1584, trasferì alla, prossima
-chiesa di Vill’Incino, avendo trovato spopolato il paese. Quella chiesa
-antica è per altro degnissima, per la sua vetustà, di osservazione.
-
-Il giovedì, frequentatissimo è ora il mercato anche da’ villeggianti
-de’ dintorni; ma verso il meriggio si dirada il concorso, e poco poco
-il vecchio mercato di Incino ricade nel primitivo silenzio e nella
-solitudine.
-
-Con tutto ciò vi sono due decenti alberghi, dove trovan alloggio
-benestanti famiglie sempre nella stagione autunnale, e alle quali
-appunto la quotidiana solitudine toglie soggezione e aggiunge quella
-maggiore tranquillità che si accorre appunto dalla città a ricercare in
-campagna.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMASETTIMA.
-
-LA VILLA ADELAIDE.
-
- Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — Parravicino.
- — Ville Parravicini, Belgiojoso e Gariboldi. — La torre
- pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia contro il
- Barbarossa. — Orsenigo. — Il Carudo. — Le Lische Amare. —
- Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’ ladri. — La Retusa. —
- Tassera. — La villa Adelaide.
-
-
-Da Erba, salendo la via che corre sotto l’antico castello, ora villa
-Valaperta, e volgendo a manca, dietro la villa Conti è la strada che va
-a Parravicino e subito s’incontra la villa Maria, della contessa Maria
-Lurani.
-
-Solo prima dirò una parola di Bucinigo e Pomerio, che si comprendono
-nel Pian d’Erba; perocchè dopo segua Villalbese, celebre per ottime
-castagne e per freschissimi crotti, a cui gli amatori del buon
-vino corrono ad ogni lieta occasione, ma che entra in una diversa
-circoscrizione da quella del Pian d’Erba; onde avanti di esso mi
-convenga arrestarmi, perchè, tratto dalle bellezze dei luoghi,
-facilmente sarei fuorviato dal mio cómpito e arriverei presto per
-quella via a Como.
-
-Bucinigo, terricciuola resa vivace da filande e incannatoî, ha più
-d’una villa, e fra queste quella de’ signori Vidiserti, che giovami
-specialmente ricordare perchè famosa per la sua patriarcale ospitalità,
-ivi i moltissimi amici rinvenendo sempre la più graziosa accoglienza.
-A noi poco importa di discettare sulla pretesa di coloro che il
-nome al paese sia stato lasciato da un _buco iniquo_, che dicono
-esistere tuttavia in un giardino, e così appellato perchè nei tempi
-delle prepotenze feudali ivi si desse martirio agli infelici che non
-entravan nel genio de’ padroni; o sulla contraria opinione di chi
-invece dalla terminazione presume aver il nome radice celtica: lasciamo
-ai dotti il trarsi d’impaccio. La torre, di cui son superstiti pochi
-ruderi, rammenta le lotte fra loro sostenute dalle famiglie Sacco e
-Parravicino.
-
-A Pomerio, vicinissimo, veggonsi avanzi di fortificazioni, che dovevano
-esservi necessariamente per rispondere al nome di _post murum_, il
-quale d’altronde era nella terminologia militare d’allora.
-
-A Parravicino, vediamo seguitarsi tre o quattro ville graziose dei
-Parravicini, dei Belgiojoso e dei Gariboldi.
-
-Nel giardino de’ Belgiojoso vedesi una torre pendente, come il
-campanile di Pisa e la Carisenda di Bologna, ricordata da Dante nel
-canto XXXI dell’_Inferno_.
-
-Segna essa la dimora de’ Parravicini, che, sbandeggiati dai Rusconi di
-Como, qui venuti, diedero origine al villaggio.
-
-Di Casiglio non vale far cenno, che per dire essere nella sua chiesa il
-sepolcro di Beltramino Parravicino, il qual fu vescovo di Como e poi di
-Bologna.
-
-Fuor della strada, è Carcano, che fu già castello forte e sostenne più
-assedî, e diè origine alla patrizia famiglia de’ Carcano. In queste
-campagne fra Carcano, Orsenigo e Tassera, nel nove agosto 1160 fu
-combattuta una fiera battaglia fra gli aderenti di Federico Barbarossa
-e quelli de’ Milanesi, e che altri chiamano di Tassera, altri di
-Carcano, altri di Orsenigo; ma non importa il nome, mentre giovi invece
-conoscere come ne fosse felicissimo risultamento la sconfitta del
-Barbarossa e il pieno trionfo de’ Milanesi, determinato dall’improvviso
-intervento di quei di Orsenigo ed Erba, ai quali fu in guiderdone
-concesso di poi il diritto di cittadinanza. In mezzo a questi campi,
-l’arcivescovo Uberto da Pirovano, cantato aveva allora sul carroccio
-milanese la messa e tenuta una sacra arringa a’ soldati onde eccitarli
-alla pugna contro l’invasore straniero. Nel primo scontro, che fu
-terribile, quel sacro carro caduto nelle mani nemiche, veniva distrutto
-nel luogo detto il Carudo; ma poi, per l’insperato soccorso, ristorate
-d’un tratto le sorti della battaglia, i Milanesi s’erano presa la
-rivincita gloriosa.
-
-L’oste nemica si era spinta fino al lago d’Alserio, breve bacino di
-un miglio e un quarto di lunghezza e di mezzo di larghezza, sulla
-cui sponda è Alserio piccol paese che gli dà il nome. Era nel pantano
-delle Lische Amare che vuolsi s’impigliasse il corsiero del Barbarossa,
-onde il tempo perduto a districarsene gli avesse a riuscire fatale.
-— Castellazzo, paesello, su d’una facile eminenza, fu così detto
-da un forte che i Milanesi vi costrussero nel luglio del 1162 per
-contrapporre a quello di Carcano, ove si erano rifugiati, pronti a
-rinnovare le offese, i fautori dell’Enobarbo.
-
-Al piede di questa bella eminenza evvi un casale ed un’osteria, detta
-la _Ca’ de’ ladri_: è facile indovinare come la brutta denominazione le
-venisse dall’essere il luogo isolato e proprio, massime in addietro, a
-ricoverarvi siffatta genìa.
-
-Tutti questi paesi or sono animati da ville ed opificî, e nella parte
-più elevata di questo punto, vicino al lago, evvi la _Retusa_, fonte
-limpida, salubre e perenne, usufruttata a muovere macine, e ad animare
-stabilimenti di serica industria.
-
-Affrettiamoci invece a visitare la villa Adelaide, che sorge a Tassera
-e presso alla riva del lago d’Alserio.
-
-Dapprima l’ebbe la famiglia Imbonati, della quale fu ultimo rampollo
-quel marchese Carlo, alla cui memoria consacrò Manzoni splendidissimi
-versi sciolti, che ora ha il torto di respingere dalle edizioni fatte
-sotto gli auspicî suoi; poi l’ereditò il barone Patroni, che, fattala
-dall’architetto Clerichetti di Milano ultimare, riducendola a stile
-nordico, forse scozzese, diventò fra le più splendide che si conoscano
-anche per ricchezza degli interni adornamenti. I giardini sono
-egregiamente ordinati; getti d’acque perenni la ravvivano, comunque
-non sia tutto ciò giunto, per sentimento degli schifiltosi, a togliere
-quell’aria poco allegra che quel seno del lago vi dà. Morto il Patroni
-e legata ai Calvi la villa, questi la tennero per poco, vendendola a
-un commerciante genovese che volle lucrare togliendovi molti alberi; ma
-essa fortunatamente, fin allora chiamata Patroni, dal suo più generoso
-proprietario, venne di recente alle mani del cav. Domenico Basevi,
-che, profondendovi egregie somme, non solo la restituì al primitivo
-splendore, ma ne lo aumentò d’assai.
-
-Figuri quindi il lettore se non avessi allora ragione di dedicarle una
-speciale escursione.
-
-Oggi essa ha nuovo battesimo, e dal nome della sposa dell’attuale
-proprietario, si intitola _Villa Adelaide_.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMOTTAVA.
-
-MONGUZZO.
-
- Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate
- Rota. — Nobero. — Le sue pesche. — Il Cavolto. — Le fornaci.
- — Monguzzo. — Il suo castello e la sua storia. — I marchesi
- Rosales. — Villeggiatura Mondolfo.
-
-
-Tanto da questa parte ove ci troviamo, quanto dall’altra parte del
-lago d’Alserio, per la via che dalla Vallassina si va ad Inverigo,
-si può ascendere sulla vetta del colle su cui signoreggia Monguzzo:
-noi attendendo di continuare per la via di Parravicino nella ventura
-escursione, scegliamo adesso la seconda.
-
-Esciti da Vill’Incino, che già vedemmo, ci troviamo, dopo avere
-attraversato una strada che si chiude fra i campi, alla via provinciale
-della Malpensata, e, volgendo a ritroso di essa, cioè a destra, in poco
-tratto di cammino ci troviamo a Pontenuovo, da dove una via riesce
-a Merone, quindi a Moiana, Rogeno, Casletto e Garbagnate Rota, paesi
-tutti rallegrati da signorili villeggiature, che di poco discosti da
-Bosisio chiudono da una parte, all’intorno al lago di Pusiano, quel
-territorio che abbiam percorso del Pian d’Erba. Proseguendo poi per
-quella onde siam venuti, ci vediamo a Nobero, o Nobile, come altri
-chiama questo quadrato di caseggiati aperto da un lato, che, tinto
-per la più parte in roseo, ti accenna com’esso appartenga ad un solo
-proprietario, al signor dottor Domenico Porro, che personalmente
-attendendo alla sapiente direzione dei suoi fondi, ne ottiene i più
-fecondi risultamenti. Particolarità di questo villaggio sono le più
-eccellenti pesche, sulle quali conta il colono fra i prodotti a sè
-dovuti: diritto cotesto limitato a questi terrieri, onde moltiplicate
-se ne veggano le piante.
-
-Prima però d’entrare in Nobero, non sarà inopportuno dare uno sguardo
-al _Cavolto_, specie di serbatoio del Lambro, da cui si deduce l’acqua
-che va ad irrigare il real parco di Monza, dopo avere percorso una
-quindicina di miglia.
-
-Alle fornaci presso Nobile si fanno mattoni marmorati, valendosi di
-un’argilla che si cava dal pendío orientale d’un poggio, che ha un
-color plumbeo, e mescendola con altra ordinaria gialla.
-
-Per una strada praticata nel colle, si monta a Monguzzo.
-
-Il paese è in felicissima postura, perchè a mattino vede il Pian
-d’Erba, a mezzogiorno domina il bacino dell’Éupili, a ponente la
-Brianza, e a sera la villa del Soldo, Fabbrica e infiniti altri
-paeselli, tutto recinto poi l’orizzonte da una corona azzurra di
-montagne, colle onde del lago d’Alserio che gli baciano le pendici del
-colle su cui posa.
-
-In antico fu paese nella podestà dell’arciprete di Monza, che vi
-esercitava giurisdizione feudale, come su molte altre terre; quindi
-parve luogo a fortilizî, e vi fu fabbricato un acconcio castello, e
-Francesco II Sforza lo concedeva in feudo ad Alessando Bentivoglio,
-spodestato signore di Bologna e governatore del Milanese, della cui
-famiglia è la cappella che in Milano si vede nella chiesa di San
-Maurizio del Monastero Maggiore sul corso di porta Magenta.
-
-Ma quel famigerato prepotente del Gian Giacomo De’ Medici, detto il
-Medeghino, del quale già narrai in una passata escursione le ribalde
-gesta, lo lasciò per poco godere degli ozî di Monguzzo; perocchè,
-parendogliene la rôcca assai propria a’ suoi disegni, un dì, nel
-1533, assalitola alla sprovvista, ne cacciò quelli che la presidiavano
-pel Bentivoglio, e se ne installò padrone, spargendo d’ogni intorno
-per le terre della Brianza, e massime per la Valsorda, il terrore.
-E taglieggiava da qui non i massai soltanto, ma anche i signori, che
-cercava di imprigionare e non rilasciare che contro enormi riscatti
-e teneva in allarme la fortezza di Brivio e massime di Trezzo di più
-grande importanza.
-
-Il Missaglia, amico di questo fiero capitano di ventura e storico di
-sue gesta, lo scagiona dall’aver tolto al Bentivoglio il castello,
-narrando come all’occupazione di esso fosse stato dallo Sforza medesimo
-ordinato, e fornendone le ragioni. “Possedeva, scrive egli, in quel
-tempo il castello di Monguzzo come suo proprio Alessandro Bentivoglio,
-figliuolo di Giovanni, già signore di Bologna, parente del duca e di
-molta autorità appresso lui, uomo di gran sincerità, ma poco inclinato
-all’armi. Il castellano, visto con che poca cura e guardia era tenuto
-quel luogo dal Bentivoglio, per sue lettere e col mezzo d’amici suoi,
-fece intendere al duca con quanta facilità e con quanto suo danno
-quel luogo, mal guardato, poteva capitare in mano degli imperiali
-(gli Spagnuoli di Carlo V comandati da Antonio De Leyva), offrendosi
-quando fosse rimesso alla sua custodia non solo di ben guardarlo, ma
-eziandio con la comodità di quello, danneggiare molto i nemici, ed
-assicurare quella parte del ducato dalle invasioni degli Spagnuoli;
-il che sarebbe stato come un freno a Lecco, tenuto da essi. Il duca,
-che, reso il castello di Milano, si trovava in Lodi, tolto dalle mani
-degli imperiali e dato alla lega da Lodovico Vistarino, benchè dopo la
-prigionia del Morone gli mostrasse poca inclinazione e poco fidasse
-di lui, pur conoscendo vere le sue ragioni e dubitando di peggio,
-e anco come quel ch’era posto in gran necessità di denari, sentiva
-volentieri che quel castello si avesse a guardare senza suo costo.
-Scrisse al Bentivoglio che rimettesse il castello alla guardia del
-Medici, e le lettere furono inviate a lui stesso, perchè le presentasse
-al Bentivoglio. Il Medici accortissimo, conoscendo quanto fosse per
-spiacere questo al Bentivoglio, e quanto egli potesse appresso il duca,
-dubitò, e ragionevolmente, che se gli mandava le lettere fosse per
-riuscire vano il suo disegno; onde con l’aiuto di molti principali del
-paese suoi amici fatta una buona raccolta di gente, accostastosi una
-notte a Monguzzo, e scalatolo, si appresentò alla rocchetta ove era il
-Bentivoglio con la sua famiglia e con le lettere ducali, e con la forza
-strinselo ad uscire dal castello[41].„
-
-Quando il De Leyva ebbe contezza della caduta di Monguzzo nelle mani
-del Medeghino, così se ne dolse, perchè da lui si attendesse maggior
-travaglio che non dal Bentivoglio, vi spacciò il conte Lodovico
-Belgioioso con buon nerbo di forze onde ritorglielo; ma questi, dopo
-varî assalti e perdita d’un centinaio d’uomini, disperando venire a
-capo del suo proposito, si levò di là.
-
-Certo Martino da Mondonico, animoso, ma avido di ricchezza, aveva
-saputo entrar nelle grazie del Medici ed ottenuto aveva da lui il
-commissariato di alcune tasse e contribuzioni che con durezza esigeva.
-Parve al De Leyva di poter guadagnar coll’oro il Mondonico, onde
-agevolarsi il conquisto di Monguzzo che gli intercettava la strada da
-Lecco a Milano, ed infatti se l’ebbe facilmente a’ suoi interessi.
-Ma l’ingordo traditore volle dapprima di compiere il tradimento
-arricchirsi, ed abusando del nome del Medici, si impadroniva un bel
-dì del castel di Perego. Poichè vi fu penetrato, buttata la maschera,
-vi prosciolse i prigionieri e si chiarì al servizio del De Leyva. Il
-Medici mandò subito il capitano Pellicione a riprendere il castello, e
-l’ebbe coi traditori, i quali condotti a Monguzzo vi vennero appiccati
-per la gola, e il Mondonico, posto prima a’ tormenti, fu poi vivo,
-siccome si meritava, inruotato.
-
-Poneva allora il Medeghino in suo luogo castellano di Monguzzo il
-fratello Battista; ma poi, quando gli parve trasferirlo a comandare
-la più importante fortezza di Lecco della quale s’era insignorito, vi
-sostituì il suddetto capitano Pellicione.
-
-Non mi so che il castello di Monguzzo fosse teatro a ulteriori fatti di
-guerra; perocchè buttata, a questo cerbero dalle tre gole, intendo dire
-del Medeghino, l’offa da Carlo V, col crearlo marchese di Marignano
-e coll’inviarlo altrove a portar guerra, spulezzò il Medeghino pur da
-questi luoghi.
-
-Più tardi il castello apparve tramutato in amenissima villeggiatura,
-mercè le cure dei marchesi Rosales alle cui mani pervenne; ma
-l’ultimo di essi, che molto di sua fortuna adoperò a pro dell’italiana
-indipendenza, nel 1853 la vendette al conte e banchiere Sebastiano
-Mondolfo, delle cui sapienti liberalità m’avvenne già di intrattenere,
-quando m’ebbi ad occupare dell’altra sua villa in Borgo Vico a Como.
-
-E liberalità sapienti operò anche qui in questa sua villeggiatura di
-Monguzzo, perocchè aprisse a sue spese una scuola, e nel cascinale che
-fe’ erigere introducesse molte comodità, per le quali mostrò come pur
-i poveri coloni chiamar si debbano, per migliorarli, a partecipare alle
-inevitabili esigenze del vivere sociale moderno.
-
-È una consolazione quando si vede alcuno de’ privilegiati dalla
-fortuna, in mezzo agli agî, rammentarsi che v’ha chi soffre e penuria e
-gli stende misericorde la mano. Sebastiano Mondolfo ha provato in tante
-occasioni d’essere uno di costoro.
-
-
-
-
-ESCURSIONE TRENTESIMANONA.
-
-IL SOLDO.
-
- Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il Soldo
- degli Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino e il
- parco. — Gli acquedotti. — Casino rustico. — Orsenigo. — Casa
- Carcano. — Anzano. — Villa del marchese Carcano. — Piccolo
- albergo. — Alzate. — Vecchio castello. — Palazzo Clerici. —
- Fabbrica. — Brenna e don Antonio Daverio.
-
-
-A stretto rigore, il colle di Monguzzo, a parer mio, chiuder dovrebbe
-il bacino del vecchio Éupili, o, come suolsi oggi dire, del Pian
-d’Erba; ma siccome è assai indeterminato anche nella mente di que’
-del paese il confine di questa ridentissima porzione di territorio che
-designasi sotto la denominazione di Pian d’Erba, io credo non uscir da’
-limiti che s’è prefisso il mio libro spingendo questa volta la nostra
-escursione da questa parte insino alla stupenda villeggiatura del
-Soldo.
-
-E d’altronde fosse anche fuori affatto della cerchia de’ paesi che
-dall’universale si assegna approssimativamente al Pian d’Erba, siccome
-al Soldo ci va ognuno che venga al Pian d’Erba; così anch’io non posso
-a meno che condurvi il mio lettore.
-
-Vi arriveremo dalla via di Parravicino, alla quale facciamo ritorno,
-oltre la _Ca’ de’ ladri_, che abbiamo veduta.
-
-Lo si scorge presto, perchè esso s’alza tronfio sulla cima della
-più lieta eminenza e di là sembra accivettare quanti necessariamente
-percorrendo la via che mena alla Valsorda, vi rivolgono lo sguardo.
-Altri poggi vi stanno presso, tutti diligentemente coltivati, e di
-pertinenza del medesimo signore, del conte Turati, salito per operosi
-commerci in filati di cotone a sterminata ricchezza e al patriziato
-italiano.
-
-Allorquando si è sotto la collina del Soldo, vi pare di avere
-davanti una scena teatrale: mulino a vento, chioschi e padiglioni,
-_chalets_ e _cottages_, introduzioni leggiadre di cose forestiere,
-viali, telegrafo, una ben ordinata e splendida vegetazione, il tutto
-incoronato dal palazzo che sta in cima. La prima impressione ci avverte
-subito che la villa gode di meritata fama.
-
-Molti rammentano ancora come quivi non fossero prima che una meschina
-sodaglia, borri profondi e frane, rovi ed arbusti inutili: non vi aveva
-infatti alla sommità del colle che un casolare di ragione del monastero
-di Sant’Ambrogio di Cantù. Chi mai avrebbe detto allora che si sarebbe
-tramutato tanto squallore nella più gioconda plaga? Questa metamorfosi
-prodigiosa, iniziata da don Giacomo Appiani d’Aragona, che ridusse
-quell’aspro colle a villa su disegno dell’egregio architetto Moraglia,
-del senno del quale già ammirammo in queste nostre escursioni non poche
-opere, fu perfezionata dal conte Turati.
-
-E veramente scrissero i signori Zoncada e Garovaglio nella loro
-opera _I giardini dell’alto Milanese e del Comasco_, levando a cielo
-il Soldo[42]. Sarebbe difficile, sentenziaron essi, trovare altrove
-più stupenda varietà di scene, più ampie vedute, più diverse, e nel
-tempo stesso, e qui è il merito dell’uomo, una struttura, un disegno
-meglio ideati, più acconci alla qualità del sito, più rispondenti
-agli ultimi progressi dell’arte de’ giardini, una coltivazione più
-ricca, più lussureggiante, e per certe parti più degna che si pigli
-ad esempio. Sono pregi e bellezze che a comprenderle non arriva che
-la vista; per la parola è molto ancora se le riesca di lasciarle
-indovinare. Que’ viali, que’ passeggi, che larghi, agevoli, spazzati,
-girano il poggio serpeggiando con sì dolce movenza e dominando sempre
-l’immenso orizzonte; quelle costiere che verdi, fiorite, sparse d’ogni
-maniera di piante, si prolungano di qua, di là sì pittoresche fin giù
-nella valle; que’ prati, que’ piani ameni dove l’occhio si riposa sì
-tranquillo e beato; quel contrasto tra il semplice e il grandioso, il
-ridente e l’austero, tra l’arte e la natura, per cui passi dalla rigida
-vegetazione delle Alpi alla sfoggiata delle zone più favorite dal sole;
-che li vedi affratellarsi, dal vivace padiglione Chinese al chiosco
-orientale e al positivo casolare dello svizzero o dell’olandese, dal
-ponte di legno che ricorda la primitiva età de’ pastori alle fontane
-marmoree, alle statue, opera di famosi scalpelli e documenti della più
-alta civiltà; bisogna vederli chi voglia farsene il giusto concetto:
-noi non possiamo che rammentare così a sbalzi, come la memoria ci
-soccorre, di tante meraviglie quelle pochissime delle quali ci è
-rimasta una impressione più profonda, e che per la qualità delle cose
-torna meno difficile a comunicarsi altrui.
-
-Così, per esempio, potrà di leggieri, pare a noi, anche chi mai non la
-vide, imaginare quale debba essere il magico effetto di quella serie
-di stufe tutte eleganti, tutte magnifiche, che giù giù pel dosso della
-collina discendono a gradinata, quasi emiciclo di vasto anfiteatro.
-Vi aggiunga colla fantasia i grandi balaustrati che la riparano per
-davanti con vasi di classica forma, con piante di rara bellezza; vi
-aggiunga grandi e piccole fontane in marmo ai diversi ripiani, belle
-tutte, bellissima qualcuna, quella vogliamo dire che raffigura le tre
-Grazie, opera di egregio scalpello, che ritrae quanto di più puro seppe
-mai creare il cinquecento; vi aggiunga appiè di quel dosso a disuguali
-distanze le spelonche, le grotte di vario genere, alte, spaziose,
-tortuose, foggiate a galleria, a labirinto, fornite a dovizie d’ogni
-comodità, con polle, zampilli, giuochi d’acqua d’ogni sorta, con istipi
-a tarsia, busti, are, idoletti, medaglioni, con seggiole, scannelli,
-divani, lettucci, tavoli e tavolini d’ottimo gusto; e tutto questo
-sotto il più bel cielo che occhio d’uomo possa vedere, e dovrà farsi
-certamente un concetto grande di questo luogo incantato. E sempre
-maggiore si farà chi consideri le difficoltà senza numero che bisognò
-superare per tramutarlo, di selvaggio che era, nella forma e stato
-presente. Una sola vogliamo qui accennare che valga per molte, tanto
-è grave; vedete quella copia d’acqua volta dall’un capo all’altro de’
-giardini a sì diversi usi in forma qui di fontana, là di ruscello o
-di torrente, più giù di lago solcato da gai navicelli? Sul luogo in
-origine non se ne avea pur stilla; tutta, tutta quanta si derivò da
-lontani monti, e per magnifici acquedotti si condusse per mezzo a
-queste terre riarse dal sole con ingente dispendio.
-
-Essa infatti si condusse con ingente spesa fin dai monti d’Albese,
-facendola viaggiare per 9000 metri di tubi di ghisa.
-
-Lascio agli intelligenti di botanica il tener conto delle ricchezze
-d’alberi e fiori d’ogni clima e paese che qui son disseminati, e di
-estasiarsi davanti alle loro peregrine specie; io m’accontento di
-ammirare i leggiadri colori, di aspirare i soavissimi profumi: accetto
-i soli risultamenti e sarà meglio anche pel lettore, che certo non
-cercherà al mio libro un trattato di quella scienza.
-
-Piuttosto non lascerò di accennare che il palazzo, se non è forse
-corrispondente in vastità al giardino e parco, ha tuttavia da ospitare
-una cinquantina di persone. Il casino rustico che gli sta accanto è
-forse migliore nella sua semplicità; presso al casino svizzero vi è
-poi uno steccato che racchiude alcuni dei più rari animali indigeni e
-forestieri, fra cui primeggiano bellissimi merinos.
-
-Ah veramente aveva dunque ragione il nostro povero Raiberti, quando
-diceva di questa villa essere un _Sold che var un milion_!
-
-Fra le terre circostanti ho già nella precedente escursione nominato
-Orsenigo, quella terra che con Erba trasse in aiuto dell’armi milanesi
-contro quelle del Barbarossa: quivi adesso ricorderò la bella casa
-Carcano, architettata dal bravo Moraglia.
-
-Tirando dritto sulla via per la quale siamo venuti, tocchiamo Anzano,
-bello per la sua elevata postura e per la villa e grandioso parco del
-marchese Carcano; a man destra poi di questo paese, v’è la via che
-conduce ad Alzate al principiar della quale or si eresse un piccolo
-albergo. In Alzate poi, oltre qualche ricca casa, meritano osservazione
-un vecchio castello che si volle reliquia di romana potenza ed il
-palazzo Clerici.
-
-Ma, come che l’escursione nostra fosse bastevolmente lunga per le
-tante cose ammirate al _Soldo_, chiudiamola a Fabbrica, dove sulla
-eminenza sorge la villa dei conti Durini, che fruisce di bellissima
-vista e dalla, quale, vedendo a destra sul ciglio della collina che
-per l’opposto versante sogguarda al lago di Montorfano il paese di
-Brenna, ivi sapendo come vi sia stato dimenticato parroco quel fior di
-dottrina, di patriottismo e di bontà che è Antonio Daverio, mio maestro
-di latine ed italiane lettere, mi felicito della diversa e libera
-carriera da me poscia nella adolescenza abbracciata.
-
-
-
-
-ESCURSIONE QUARANTESIMA.
-
-INVERIGO.
-
- Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli
- e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo Ariberto. — Bacco di
- Brianza. — L’albergo. — La Rotonda. — Il castello e la villa
- Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — S. Maria della Noce. —
- Cremnago. — Villa Perego. — Il Cimitero.
-
-
-Se ci siamo alquanto spinti al di fuori del Pian d’Erba dalla parte di
-Parravicino per vedere il Soldo de’ Turati, perchè non ci spingeremo
-ora oltre Nobero per ammirare la famosa Rotonda d’Inverigo e l’Orrido
-dello stesso paese, che chiamano da ogni dove dalla Brianza brigate di
-villeggianti e di curiosi; e la villa Perego di Cremnago?
-
-Centro Inverigo di tutta la Brianza, sarà per noi il limite ultimo
-delle escursioni che ci siam proposti di fare durante gli ozî
-autunnali.
-
-Da Nobero, che abbiam già visitato, per una bella strada si arriva a
-Lurago. Quivi è la villa del conte Sormani-Andreani, con bel giardino
-a pineti. Dapprima spettava alla patrizia famiglia Crivelli, che vi
-risiedeva ed era feudataria d’Inverigo. Posta nella parte alta del
-paese, la villa vi pompeggia e chiama lo sguardo di ognuno che passi.
-
-Poco fuori di Lurago, la via intristisce e si fa fangosa e trascurata
-fin oltre Inverigo e puossi dire fino ad Arosio, onde infiniti e
-generali i reclami dai moltissimi obbligati a percorrere questo
-stradale importante. E se ne riscossero finalmente i comuni limitrofi e
-l’autorità, e una nuova strada e più diretta fu ordinata ed appaltata,
-e comunque le opere ne procedano lentamente, fra breve sarà tuttavia
-un fatto compiuto. A sinistra di Lurago, prima d’arrivare ad Inverigo e
-sul ciglio della valle del Lambro, è Lambrugo, ov’era prima un chiostro
-di monache, tramutato poi in villa dalla famiglia Galli. Vi villeggia
-anche la famiglia Venini.
-
-Eccoci ad Inverigo. I soliti antiquarî vorrebbero originato il nome
-dalle due parole latine in aprico, come a dire un luogo situato
-all’aperto ed al sole; ma altri invece pretendono sia nome celtico:
-non ci frapponiamo noi a dir la nostra opinione, meglio sembrandoci
-d’accettarlo qual è. Piuttosto non sarà privo d’interesse il sapere
-come qui nel 1023 l’arcivescovo di Milano, Ariberto d’Intimiano,
-celebre nelle nostre storie per la parte presa nelle accanite contese
-surte pel celibato de’ preti, possedesse beni, ch’egli poi assegnò al
-rinomato monastero di San Dionigi da lui fondato in Milano.
-
-I colti gaudenti rammentano con maggior piacere che il vino d’Inverigo
-godeva fino in antico una tal quale riputazione fra i migliori, e
-appoggiano l’erudizione loro coll’autorità d’un poeta di nome Bertucci,
-che, arieggiando il Ditirambo del Redi, che ognun comosce, del _Bacco
-in Toscana_, scrisse alla sua volta un _Bacco di Brianza_, nel quale si
-leggono i seguenti versi, che pone in bocca allo stesso Nume:
-
- Il terzo infine colma d’Inyerigo
- Valentissimo vin, la cui mercede
- Al par di Siracusa
- Vanta Milano ancora il suo Archimede[43].
-
-Ma per associazione di idee, dal buon vino ricorre il pensiero
-all’albergo d’Inverigo. Quest’albergo, se non presenta i conforti tutti
-dell’eleganza e dell’esigenza forastiera, è nondimeno il migliore di
-tutta questa parte della Brianza, onde l’autunno vegga più famiglie
-di conto prendervi stanza ed esservi arcicontente. Sostiamoci quindi,
-amico lettore, e dopo esserci rifocillati, potremo pigliare le mosse
-per ascendere alla Rotonda.
-
-S’innalza essa sulla parte più elevata della collina, sotto cui si
-distende bellissima una valle, come tale pur ricordata nelle sue
-opere da Sant’Agostino, disseminata di paesi; la sua facciata, che
-giustamente fu detto rassomigliare a’ propilei d’Atene, è però rivolta
-a tramontana.
-
-La fabbricò il marchese e architetto Luigi Cagnola di Milano nell’anno
-1813, — quegli cui è dovuta l’architettura dell’Arco del Sempione
-di Milano, — e vi spiegò tutta la grandiosità e il gusto classici,
-profondendovi egregie somme, a smentita di que’ cialtroni ch’erano
-venuti accusandolo d’architettar sempre grandiosamente quando si fosse
-trattato di non ispendere danari proprî.
-
-Il fabbricato ha nel mezzo un’ampia sala circolare, che s’alza gigante
-con cupola che costituisce la Rotonda; quindi tutto l’edifizio è
-esteriormente riquadrato, poste essendosi agli angoli le camere della
-restante abitazione. Il concetto d’una rotonda maestosa fece sì che gli
-altri locali fossero ad essa sagrificati. Fu compiuta così un’opera
-del più perfetto classicismo, se si vuole; ma dopo ciò, si domandano
-molti, cosa vuole, a che serve, perchè qui collocato questo gigantesco
-edificio? Come villa ha l’esteriore principesco; ma l’interno, a parte
-la sala principale della Rotonda, non vi corrisponde.
-
-Come nella facciata, così pure nella parte postica, a mezzogiorno,
-e che sogguarda la superba valle, vi sono ampie scalee; quella della
-facciata poggia sopra un sotterraneo; l’altra su d’un terrazzo recinto
-di balaustrata e sorretto da sei gigantesche cariatidi, che sono dello
-scalpello di Pompeo Marchesi.
-
-Fu da esso che il re di Napoli, Ferdinando II, padre dello spodestato,
-venuto tra noi, ammirando la sottoposta valle, di non so quante miglia
-di circuito, così ben coltivata e ordinata quasi ad aiuole di fiori,
-ebbe a chiedere bonariamente al marchese Cagnola, se tutto quel che si
-vedeva fosse giardino della sua villa.
-
- [Illustrazione: Orrido d’Inverigo.]
-
-Se la collina su cui posa la Rotonda si digrada al paese, dall’opposto
-lato risorge ad eminenza, sovra cui è il castello, ora palazzo e
-giardino del marchese Luigi Crivelli, che ognun desidera veder meglio
-curati, perchè abbian tutte le forme per costituire una delle più
-grandiose ville. Ha molti ed annosi cipressi, e su d’un altipiano a
-sinistra del palazzo vedesi una colossale statua di Ercole, alquanto
-offesa dagli anni, che da’ terrieri si designa col nome di _Gigante_.
-
-Discendendo la collina de’ Crivelli, pei loro campi si va al bosco,
-dove la natura e i cataclismi hanno prodotto siffatte spaccature di
-roccia, per dove filtrano e scorrono limpide e fresche acque, che
-formano un Orrido dell’effetto il più pittoresco.
-
-E meglio ancora il produrrebbero, se l’acque più riunite scorressero;
-ma come l’età piega al positivo, così parte furono deviate a mettere in
-movimento mulini.
-
-Con tutto ciò all’Orrido d’Inverigo, di proprietà del marchese Luigi
-Crivelli suddetto, non v’ha chi venga al paese e che non tragga a
-vederlo, sovente convegno ad amiche brigatelle che lo eleggono a luogo
-di refezioni e riposo.
-
-A ponente della villa Crivelli si discende per uno stradone alla
-Madonna della Noce, luogo piacevole assai e al quale convengono a
-settimanale mercato da tutti i circonvicini paesi.
-
-Chi ama conoscere le migliori villeggiature e farsi adeguato concetto
-della ricchezza de’ loro proprietarî, essendo in Inverigo, non lascia
-di fare una scarrozzata a Cremnago, dove sorge il magnifico palazzo
-della famiglia Perego. Se gliene è dato l’accesso, potrà il lettore
-ammirarlo nelle sue parti tutte; e se nelle ampie scuderie vedrà molti
-cavalli e taluni anche pensionati a riposo perpetuo, sorretti persino
-da cinghie, potrà cavar argomento del cuore del ricchissimo padrone,
-il quale del resto non restrinse alle bestie sole gli effetti della sua
-bontà, prima avendola addimostrata nel dotare i suoi coloni di belle e
-comode case.
-
-Il cimitero del paese merita pure di essere veduto. È buona
-architettura di Giuseppe Chierichetti, e in esso è il sepolcreto
-della famiglia Perego. È questo un’edicola di forma quadrangolare e
-cilindrica, e alla parte superiore con gradinata e cupola d’ordine
-dorico, colle pareti laterali fregiate di colonne, quattro delle
-quali formano il pronao con cornice, architrave e frontone, entro cui
-leggesi scolpito _Hypogeum_, e tutto condotto in miarolo rosso. Le
-pareti interne sono a stucco lucido, la luce piove dal lucernario della
-cupola, e nel fondo è l’altare marmoreo, con un bel gruppo in marmo
-di Carrara, rappresentante la Maddalena a’ piedi della Croce, lodevole
-opera dello scultore Labus.
-
-Per ritornare ora al nostro Pian d’Erba, rifacciam la medesima via di
-Lurago e Nobero: è più agiata e vi giungeremo più presto.
-
-
-
-
-CONCLUSIONE.
-
-
-Altri paesi, altre ville, altre meraviglie di natura e d’arte ci
-solleticherebbero ad altre escursioni; ma invaderei la Brianza, della
-quale già qualche lembo abbiam tocco, e allora mi ci vorrebbe un altro
-volume; perocchè per essa a buon dritto potrebbesi citare del pari
-quanto l’Ariosto cantò de’ dintorni di Firenze:
-
- A veder pien di tante ville i colli
- Par che il terren ve le germogli, come
- Vermene germogliar suole e rampolli:
-
- Se dentro a un mur sotto un medesmo nome
- Fosser raccolti i tuoi palagi sparsi,
- Non ti sarian da pareggiar due Rome.
-
-E Baretti, proprio del suolo della nostra Brianza parlando, lo
-chiamava “il più delizioso paese di tutta Italia per la varietà delle
-sue vedute, per la placidezza de’ suoi fiumi, per la moltitudine de’
-suoi laghi, ed offre il rezzo dei boschi, la verdura dei prati, il
-mormorio delle acque, e quella felice stravaganza che mette la natura
-ne’ suoi assortimenti; insomma in questo vaghissimo paese, ovunque
-si porti lo sguardo, non si scorgono che paesaggi ornati di tutte le
-grazie campestri, la cui contemplazione produce quei momenti di dolce
-meditazione, che tengono l’animo in grato riposo.„
-
-Io ho promesso condurre il lettore con me lungo le rive del Lario e al
-Pian d’Erba; credo avergli attenuta la promessa, mostrandogli quanto di
-meglio mi è sembrato. Che se alcuna cosa ho lasciato, se passai avanti
-qualche villa, senza farvi entrare il lettore, o, fors’anco senza pur
-nominarla, consideri che nell’imbarazzo di ricchezza di luoghi e di
-meraviglie in cui ci trovavamo, l’ommissione era agevole a commettersi,
-molto più che v’abbian di molti che si ricusin perfino a rivelar le
-più semplici cose, quasi che si tratti di violar, parlando, i loro
-domestici lari; epperò non mi resta che invocarne la sua indulgenza.
-
-Ho avuto il pensiero, unendo il mio dire intorno al Pian d’Erba
-a quello intorno al lago di Como, di chiamare più specialmente la
-curiosità del forastiero sul primo e d’invogliarlo a farne soggetto
-delle proprie escursioni; perocchè mi fosse sembrata non troppo nota
-questa parte sì bella di nostra Lombardia; e se avrò raggiunto in
-qualche modo l’intento, io mi chiamerò soddisfatto.
-
-
-FINE
-
-
-
-
-INDICE.
-
-
- Introduzione Pag. 5
-
- Escursione prima. — IL BARADELLO » 9
-
- Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del
- Baradello. — Un cenno geologico. — La storia del
- castello. — Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo
- del Baradello. — Napo della Torre. — La
- chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — Villa Venini ora
- Castellini. — Il collegio alla Camerlata. — Opificî
- industriali. — Ville Larderia, Martignoni,
- Prudenziana e Carloni.
-
- Escursione seconda. — IL GENEROSO » 21
-
- La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di
- S. Abbondio. — Il Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo
- Volta. — Chiasso. — Il Crotto e le _polpette_ della
- Giovannina. — L’albergo di Mendrisio. — Dottore
- e albergatore. — Il Monte Generoso. — Salita. — L’albergo del
- dottor Pasta. — La cura dell’aria. — Geologia, fiora e fauna. — Il
- dottor Pasta. — L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il
- Dosso-Bello. — La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di
- Mendrisio. — Le Cantine di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo
- Vela. — Ligornetto. — Le cave di Arzo. — Le acque solforose di
- Stabio. — San Pietro di Castello. — Romanzo storico.
-
- Escursione terza. — IL NINO » 45
-
- Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del
- Mago. — Le ville Castiglioni, Sessa, Pertusati e
- Cornaggia. — Villa Angiolini. — Villa Rattazzi. — U. Rattazzi
- e Maria Bonaparte Wyse. — Villa Pedraglio. — Le ville Trubetzkoi,
- Ricordi e Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La
- villa Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio
- di Blevio. — Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff,
- Vigoni e Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. —
- Il Nino.
-
- Escursione quarta. — L’OLMO » 53
-
- San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa
- Barbò. — Il Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — Villa
- Saporiti, già Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. — Palazzo
- Resta. — Ville Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, Belgiojoso,
- D’Adda e Pisa. — Villa Mondolfo. — L’Olmo del marchese
- Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio il Giovane.
-
- Escursione quinta. — IL PERTUGIO DELLA VOLPE » 59
-
- Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il
- Sarizzo. — Grotte e Caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La
- Zuccotta e _I Tre Simili_. — Il signor G. B. Brambilla. — Villa
- Caprera del signor Loria. — La Tavernola e l’Albergo. — Villa
- Gonzales. — Il capitano De Cristoforis. — La Villa Bignami. — La
- Villa Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il Bisbino. — Il Pertugio
- della Volpe. — Marmi e pietre.
-
- Escursione sesta. — LA VILLA D’ESTE » 69
-
- Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa
- Lejnati. — Villa Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — La
- villa d’Este. — Giorgio IV d’Inghilterra. — La principessa di
- Galles. — Suo processo. — Sua morte. — Sue opere alla villa
- d’Este. — L’Albergo della Regina d’Inghilterra. — L’acqua
- della Coletta.
-
- Escursione settima. — IL PIZZO » 89
-
- Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la
- fabbrica. — I conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno
- Lombardo-Veneto. — Migliorie. — La villa Curié.
-
- Escursione ottava. — LA CASCATA DI MOLTRASIO » 93
-
- Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio
- episodio. — Villa dei signori Nulli. — La leggenda della
- Ghita. — Perchè si nomi Moltrasio. — La Vignola dei
- Passalacqua. — E la villa Durini? — Geologia. — La
- cascata.
-
- Escursione nona. — MOMPIATTO » 105
-
- Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora
- Taverna. — Torno. — Storia. — Gli sposi annegati. — Ville
- Croff, Righini, Antonelli. — La chiesa di
- S. Giovanni e pia leggenda. — Mompiatto. — Le sue monache. — La
- Pietra pendula e la Nariola.
-
- Escursione decima. — LA PLINIANA » 111
-
- Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. —
- Villa Canzi. — La Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso
- e riflusso. — Spiegazione del fenomeno. — La Breva e il
- Tivano. — L’assassinio di Pier Luigi Farnese. — Giovanni
- Anguissola. — La villa e l’attuale proprietaria.
-
- Escursione undecima. — DA MOLTRASIO A TORRIGIA » 123
-
- Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura
- nel 1163. — La villa Buttafava. — Pognana e Palazzo. —
- Premenù. — Ancora a Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi,
- Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — Villa
- Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa Savoja. — La Minerva,
- ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. — Ville
- Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — G. B.
- Lampugnani. — Sonetto a Katinka Evers. — Ville Rocca, Tarantola,
- Ottolini, Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. — Ville
- Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere dei fratelli Taroni. —
- Laglio. — Monumento a Giuseppe Franck. — Villa Galbiati. —
- Torrigia. — Villa Cetti. — La punta.
-
- Escursione duodecima. — IL BUCO DELL’ORSO » 131
-
- Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. —
- Il cammino. — Il Buco dell’Orso. — Sua scoperta. —
- Descrizione. — Visite di dotti. — Le scarpe di S. Pietro. —
- Questioni geologiche. — Paleontologia. — Gallerie
- o pozzi scoperti dopo. — La discesa.
-
- Escursione decimaterza. — IL PIANO DEL TIVANO » 155
-
- La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della
- Masera. — Nesso. — Erno, Veleso, Gerbio. — Il Piano del
- Tivano. — La brigata del Pian d’Erba. — Il Buco della
- Nicolina. — Vallombria. — Il palazzo di Andefleda. —
- La marcia della partenza.
-
- Escursione decimaquarta. — LA VALL’INTELVI » 161
-
- Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. —
- Sua parte nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta
- del 1806. — Cospirazione del 1833. — Insurrezione nel 1848. —
- Andrea Brenta. — I cospiratori del 1854. — L’insurrezione
- e i volontarî del 1859.
-
- Escursione decimaquinta. — L’ISOLA COMACINA » 177
-
- Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. —
- Zocca dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La
- processione e la _Scorobiessa_. — Isola. — La torre del
- Soccorso. — Campo. — La villa Delmati. — Dosso di Lavedo. —
- Balbianello e la villa Arconati. — Il torrente Perlana. —
- La Madonna del Soccorso.
-
- Escursione decimasesta. — LA TREMEZZINA » 185
-
- Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura
- Carove e la _Commedia_ di Plinio. — Ville Torri e Vacani. —
- Lenno. — Lapidi antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. —
- Il chiostro di S. Benedetto. — Ville Litta, Barbavara,
- Carmagnola e Carcano. — Bolvedro. — Villa Busca. — Le ville
- Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi,
- Campagnani, Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di
- Tremezzo. — Albergo Bazzoni. — _Hôtel garni_. — Grianta. —
- La grotta.
-
- Escursione decimasettima. — LA VILLA SOMMARIVA » 193
-
- La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere
- d’arte. — Giardino. — Carlotta di Prussia e il principe di
- Sax-Meiningen. — La Cadenabbia. — Albergo di Belvedere. —
- Ville Brentano, Noseda, Piatti, duca di Sangro e
- Seufferheld. — La Majolica. — L’albergo Righini. — Villa
- Ricordi. — _Maxime Lari._ — Questione filologica.
-
- Escursione decimottava. — LA BELLAGINA » 201
-
- Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi
- Grosgalli. — Il Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa
- Besana. — S. Giovanni. — Ville Ciceri, Trotti e
- Poldi-Pezzoli. — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. —
- La _Tragedia_, villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. —
- Marchesino Stanga vi edifica la villa e que’ della Cavargna
- la distruggono. — Ercole Sfondrati la riedifica. — La
- Sfondrata. — La Contessa di Borgomanero, tradizione. — La
- villa passa ai Serbelloni. — Parini vi ospita. — Ora mutata
- in albergo. — La Crella dei Frizzoni. — Pescaù. — La villa
- Giulia, ora albergo.
-
- Escursione decimanona. — IL SASSO RANCIO » 211
-
- Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. —
- Loveno. — Ville Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio,
- Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa Galbiati. — La Val
- Cavargna. — Porlezza. — Fabbrica di vetro. — Il Castello di
- Menaggio. — La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. —
- Ligomana, Plesio e Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi
- al Sasso Rancio.
-
- Escursione ventesima. — LE FERRIERE DI DONGO » 217
-
- Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il
- Medeghino. — Le Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa
- Polti. — Villa del vescovo di Como. — Chiese di S. Stefano
- e S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le miniere di ferro. —
- I forni fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le _Frate_.
-
- Escursione ventesimaprima. — GRAVEDONA » 223
-
- Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle
- di Lesio. — Gravedona e la sua storia. — La chiesa di San
- Vincenzo. — S. Maria del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. —
- Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il Sasso acuto. — Domaso. —
- Gera. — Sórico.
-
- Escursione ventesimaseconda. — REGOLEDO » 229
-
- Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. —
- Dorio, Carenno e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. —
- L’Orrido. — Il Sasso di Morcate. — Riva di Gittana. —
- Varenna. — Albergo e villa Venini. — L’Uga e la Capuana. —
- Il Fiume Latte. — Regoledo.
-
- Escursione ventesimaterza. — IL MERCATO DI LECCO » 235
-
- Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I
- Marroni. — Perledo e la Regina Teodolinda. — Lierna. —
- Olcio. — Villa Pini. — Mandello. — Abbadia. — La
- Gessima. — Lodovico Savelli. — Le Caviate e la Maddalena. —
- La strada militare. — Onno. — Parè. — Lecco. — Il Maglio. —
- Acquate e Pescarenico. — Il Galeotto. — Il Mercato di
- Lecco. — Le _robiole_. — Gli alberghi del _Leon d’Oro_ e
- della _Croce di Malta_.
-
- Escursione ventesimaquarta. — VALMADRERA » 243
-
- Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti
- illustri. — La chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. —
- Valmadrera. — La Chiesa. — Il trovante utilizzato. — Le
- Cappelle della _Via Crucis_. — La villa del signor Egidio
- Gavazzi. — La villa del signor Pietro Gavazzi.
-
- Escursione ventesimaquinta. — IL MONTE BARO » 247
-
- Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. —
- Ello. — Ville Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa
- Paolina. — La _Bellavista_ del signor Cereda. — Galbiate. —
- Palazzi Brioschi e Ballabio. — La villa Sanchioli e l’eco
- polisillabo. — Case Curti e Riva. — La chiesa di S. Michele. —
- La lapide di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe archeologiche. —
- L’effigie immobile. — La Rocca di Re Desiderio. — La fanciulla
- nel pozzo. — Il Monte delle Crocette.
-
- Escursione ventesimasesta. — LA VALLE DELL’ORO » 253
-
- I Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. —
- Il re Desiderio e Adelchi. — La tradizione del miracolo. —
- La Valle dell’Oro. — Barzaguta. — La cascata.
-
- Escursione ventesimasettima. — LA CASA DEL PARINI » 259
-
- Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San
- Fermo. — Bosisio. — La Chiesa e l’Oratorio. — Casa Banfi. —
- Monumento ad Appiani e Parini. — Uno stregone dei tempi
- antichi. — La casa del Parini. — Lapide commemorativa. —
- Onta lavata.
-
- Escursione ventesimottava. — L’ISOLA DE’ CIPRESSI » 265
-
- Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in
- Italia. — Un mio processo. — Armi di pietra e palafitte
- lacustri. — Pusiano. — Villa Conti. — Scene di
- superstizione. — La Processione del Venerdì Santo. — L’Isola
- de’ Cipressi. — Il romanzo di Bertolotti.
-
- Escursione ventesimanona. — IL BEL DOSSO » 273
-
- Corneno. — La _Ca’ di strii_. — Villa Besana. — Galliano. —
- Carella. — Mariaga. — Alpe di Carella. — Il Bel Dosso. —
- Villa Graziani. — Longone. — Osteria. — La Malpensata. —
- Penzano. — Bindella. — Villa Galimberti. — Proserpio. —
- Villa Baroggi. — Inarca.
-
- Escursione trentesima. — LA VALLASSINA » 277
-
- Il lago Segrino. — Canzo. — Il _Vespetrò_. — I Corni. —
- La fontana del Gajumo. — La cascata della Vallategna. —
- Il torcitoio Verza. — Scarenna. — La Casa dell’eremita. —
- Asso. — Lapide antica. — Arte. — La via al Pian del Tivano. —
- Pagnano, Fraino, Caglio, Gemù. — Il Ponte Oscuro. —
- Lasnigo. — Le donne della valle. — Le serve. — Onno. — San
- Carlo e la sua mula.
-
- Escursione trentesimaprima. — CASTELMARTE » 285
-
- Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. —
- Fabbrica di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti,
- Prina e Mambretti. — _Ademprivo._ — Castelmarte. — Ville
- Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu Castelmarte capo
- della Martesana? — _Castrum Martis._ — Giunteria
- archeologica. — Reliquie antiche.
-
- Escursione trentesimaseconda. — PONTELAMBRO » 289
-
- Mazonio. — La sua chiesa. — Il pittor Ferrabini. — La
- Fusina. — Filatojo Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. —
- La Bistonda. — L’annegato. — Pontelambro. — Case Guaita e
- Carpani. — Una lapide nel Camposanto. — Filatojo Bressi. —
- Villa Matilde. — La Plejade de’ poeti politici moderni,
- sonetti. — Affresco luinesco distrutto. — Villa Carpani. —
- Lezza. — Carpesino. — Arcellasco. — Resica. — Filatoj
- Ronchetti e Mambretti. — Brugora.
-
- Escursione trentesimaterza. — SAN SALVATORE » 301
-
- I _Geritt_. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e
- Genolini. — Il torrente Bova. — La dara. — San Salvatore. —
- Il convento. — Il signor Boselli. — Giovanni Biffi. — Il
- tronco mellifero. — La villa Righetti.
-
- Escursione trentesimaquarta. — IL BUCO DEL PIOMBO » 305
-
- La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? —
- Aneddoto. — Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. —
- Concorso di gente. — I versi di Torti.
-
- Escursione trentesimaquinta. — LA VILLA AMALIA » 309
-
- La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria
- degli Angeli. — L’avv. Rocco Marliani. — Il palazzo, il
- giardino e il bosco. — Il monumento a Parini. — Monti e
- Foscolo ospiti. — Episodio della Mascheroniana. — La
- torre.
-
- Escursione trentesimasesta. — ERBA » 315
-
- Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il
- castello e la villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente
- Bocogna. — Villa Conti. — Erba Inferiore. — Pretura, ufficio
- telegrafico, albergo e botteghe. — Il caffè e gli _amaretti_. —
- Il teatro. — Ville Clerici e Brivio. — Vill’Incino. — Mercato
- d’Incino. — _Liciniforum._ — Lapidi. — Ninfeo antico. —
- Fatti storici. — Il mercato del giovedì.
-
- Escursione trentesimasettima. — LA VILLA ADELAIDE » 321
-
- Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. —
- Parravicino. — Ville Parravicini, Belgioioso e Gariboldi. —
- La torre pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia
- contro il Barbarossa. — Orsenigo. — Il Carudo. — Le
- Lische Amare. — Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’
- ladri. — La Retusa. — Tassera. — La villa Adelaide.
-
- Escursione trentesimottava. — MONGUZZO » 325
-
- Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate
- Rota. — Nobero. — Le sue pesche. — Il Cavolto. — Le
- fornaci. — Monguzzo. — Il suo castello e la sua storia. —
- I marchesi Rosales. — Villeggiatura Mondolfo.
-
- Escursione trentesimanona. — IL SOLDO » 331
-
- Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il
- Soldo degli Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino
- e il parco. — Gli acquedotti. — Casino rustico. —
- Orsenigo. — Casa Carcano. — Anzano. — Villa del marchese
- Carcano. — Piccolo albergo. — Alzate. — Vecchio
- castello. — Palazzo Clerici. — Fabbrica. — Brenna e don
- Antonio Daverio.
-
- Escursione quarantesima. — INVERIGO » 337
-
- Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli
- e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo Ariberto. — Bacco di
- Brianza. — L’albergo. — La Rotonda. — Il castello e la villa
- Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — Cremnago. — S.
- Maria della Noce. — Villa Perego. — Il Cimitero.
-
- Conclusione » 343
-
-
-
-
-NOTE:
-
-
-[1] Questo è il mordace epigramma od epitaffio che al vescovo di Nocera
-preparava quell’indemoniato:
-
- Qui giace il Giovio storicone altissimo,
- Che di tutto sparlò, fuor che dell’asino,
- Scusandosi col dir: egli è mio prossimo.
-
-Ma il Giovio era stato primo a scrivere di lui:
-
- Qui giace l’Aretin poeta tosco,
- Di tutti parlò mal, fuor che di Dio,
- Scusandosi col dir: non lo conosco.
-
-[2] “Chi ricerca le sante spoglie, qui venga e le ritroverà. Questo
-altare le chiude in numero di sei che splendono di immensa luce. Qui
-sono Carpoforo, Cassio e Secondo, unitamente ad Esanto, Licinio e
-Severo. Costoro, dispregiando pel nome di Cristo la morte, nè temendo
-morire, vollero qui essere collocati. Nessuno potè mai dividerli
-nella tomba: santo e molto venerando essendo questo luogo, che
-ognuno rispetti ed anzi onori di doni. Qui da divino consiglio fu pur
-trasferito Felice, che pel primo predicò la divina parola; perocchè
-egli fu il primo patrono di Como; onde tenendo fede al nome di Felice,
-è meritamente felice su nei cieli.„
-
-[3] _Promessi Sposi_, Cap. VIII.
-
-[4] Vedi _Bullettino del Club alpino Italiano_ (che si pubblica, in
-Torino), N. 13 del secondo semestre 1868, in un articolo dell’ingegnere
-Edoardo Kramer. Nello specchio delle ordinate che si vede in fine,
-oltre la misura fattane dal De Welden, si dà quella di Dufour, che è di
-soli metri 1698; di Oriani, che è di metri 1738, e del Lavizzari, che è
-di metri 1739.
-
-[5] LAVIZZARI, pag. 14.
-
-[6] _Il Monte Generoso ed i suoi dintorni_, del dottor Luigi Lavizzari.
-Lugano, tipografia Veladini, 1869.
-
-[7] Nato nel 1490, in Belluno, fu uomo erudito nelle lettere greche
-e latine. Secondo il costume de’ letterati di que’ tempi, si impose
-questo nome togliendolo dalla famiglia Da Ponte quivi illustre.
-Fu precettore de’ figli di Lodovico Sforza, compose molte opere in
-greco e latino, che ignoro se pubblicate, e si meritò che Belluno gli
-decretasse una statua di bronzo.
-
-[8] Sussiste tuttavia in Lombardia una frase imaginosa, che riesce
-identica a questa simbolica tradizione del gomitolo di refe consegnato
-da Margherita al figliuolo Giorgio. _Va distante un gomitolo di refe_
-significa appunto presso noi: va molto e molto lontano.
-
-[9] C. PLINII. _Epistol._, Lib. 1-3.
-
-[10] Ne dettai la biografia nell’_Ingegnere Architetto_, giornale che
-si pubblica in Milano da B. Saldini.
-
-[11] _I Misteri del Lario_, Racconto di Giuseppe Arnaud. Milano, 1867,
-pubblicato nel giornale _La Lombardia_.
-
-[12] Una lapide incastrata nel muro di cinta d’un giardino ricorda
-il dolorosissimo caso di Enrico Lok, annegato in cospetto de’ proprî
-parenti e della moglie, che nulla poterono fare per lui!
-
- GULIELMUS LOK
- ANGLUS
- SUBMERSUS
- IN CONSPECTU
- PARENTUM
- ET CONJUGIS
- 14 SEPT. 1832 AET. 33
-
-[13] C. PLINII CÆCILII SECUNDI. _Epistol._ Lib. IV, Cap. XXX.
-
-[14] _Tivano_ è così detto sul lago il vento boreale o di tramontana.
-Ordinariamente è regolare, facendosi sentire in tempo di notte
-e cessando alla mattina poco prima dell’alzarsi del sole. Cessa
-egualmente la sua regolarità a mezzo il settembre. Lo stesso dicasi
-della _Breva_ che succede al _Tivano_, e che si fa sentire dopo il
-meriggio, aiutando le imbarcazioni che a vela spiegata ritornano da
-Como.
-
-[15] AMORETTI. _Viaggio da Milano ai tre laghi_. Milano, 1817, pag. 271.
-
-[16] MANZONI. _Adelchi_.
-
-[17] Questa roccia è quella stessa che forma il secondo dei cinque
-gruppi, di cui pare si componga la zona giurese nelle Alpi Lombarde e
-che giace tra l’arenaria rossa di Varenna, di S. Martino e d’Introbbio
-che le sta sotto, e il calcare bigio azzurrognolo talvolta arenaceo con
-fossili (Viggiù, Arzo, Saltrio) che lo ricopre. (Dott. Emilio Cornalia:
-_Su alcune caverne ossifere dei monti del Lago di Como_, inserte nei
-_Nuovi Annali delle Scienze naturali di Bologna_, fascicolo di gennaio
-e febbraio 1850 e riprodotte da lui nel _Manuale della provincia di
-Como_ per l’anno bisestile 1852.)
-
-[18] Le _scarpe di S. Pietro_, così appellate forse da ciò che il
-principe degli Apostoli, alla chiamata di Cristo, camminò sul lago di
-Tiberiade, non sono altro che due imbarcazioni a foggia di lunga spola
-da tessitore, collegate insieme, oblunghe, cioè, e strette. Chiuse
-tutte e reggendovisi sopra, quasi servendosi di scarpa, è impossibile
-che anche per bufera si affondino.
-
-[19] Per altro il dottor Casella ci assicurò d’avere il primo laghetto
-passato a nuoto in una delle prime sue visite.
-
-[20] _Ossements fossiles._ Tom. IV.
-
-[21] _Su alcune caverne ossifere_, ecc., superiormente citate.
-
-[22] _Argegno e la Vall’Intelvi_, negli anni 1848 e 1859 per Gaetano
-Ferrabini. Milano 1860. Tip. Fratelli Borroni.
-
-[23] VIRGILIO. _Georgica II_, e si potrebbe così tradurre:
-
- Perpetua qui la primavera ride,
- E la state ne’ mesi ancor non suoi.
-
-[24] Eccone la versione:
-
- Forse che il mar, che l’una e l’altra sponda
- Bagna io qui rammento? O i tanti laghi,
- E te, massimo Lario, e te, o Benaco,
- Che pari al mar, gonfi i tuoi flutti e fremi?
-
-[25] Eccone la versione: “Minicio Esorato, figlio di Lucio, della
-tribù Oufentina, flamine del divo Tito Augusto Vespasiano, per consenso
-dei decurioni, tribuno de’ soldati, quatuorviro con podestà di edile,
-duumviro di giustizia, prefetto dei fabbri di Cesare e del Console,
-pontefice, a sè ed alla moglie Geminia Prisca figlia di Quinto ed a
-Minicia Bisia figlia di Lucio, vivente fece.„
-
-[26] Io ne dettai la biografia, che fu mandata innanzi alle _Opere
-complete_ sue pubblicate in Milano da Ernesto Oliva ed al _Marco
-Visconti_, edito pure più volte in Milano da Amalia Bettoni.
-
-[27] Di questa Regina vedi il bello ed elegante studio fattone nelle
-_Donne illustri_, da quel gentile e colto intelletto di donna che fu
-Adele Curti.
-
-[28] “La libertà, che mal si vende per tutto l’oro, con fatica, litigio
-e denaro acquistata, a quella di Galbiate ed alle terre finittime
-arrise per regia concessione finalmente. Felice il giorno 17 giugno
-dell’anno 1671, nel quale, scosso il peso dell’infeudazione e d’ogni
-inferiore giurisdizione, questo popolo si ridusse direttamente sotto
-la vicaria podestà del potentissimo re delle Spagne e del Senato.
-La memoria di tanto riscatto, conservata privatamente negli scritti
-autentici di Francesco Giorgio Ottolini, notajo della Regia Camera
-ducale, viene pubblicamente affidata alla salda custodia di questa
-lapide il giorno diciotto settembre dell’anno 1671.„
-
-[29] _Memorie storiche_ della Chiesa ed Abbazia di S. Pietro al Monte,
-e del Monastero di S. Calocero in Civate, raccolte dall’abate Giacinto
-Longoni. Milano, 1850, tip. G. B. Radaelli.
-
-[30] Al barone De Martini. Ediz. Reina.
-
-[31] _Frammenti d’Ode_ ad Andrea Appiani.
-
-[32] Ode: _La Vita Rustica_.
-
-[33] Il mio amico Cominazzi aveva tradotte pel suo giornale due mie
-lettere francesi ch’io aveva dettate per le _Matinées Italiennes_, che
-si stampavano in Firenze.
-
-[34] Milano, Tip. Guglielmini.
-
-[35] La Corte di Roma.
-
-[36] _La salubrità dell’aria._ Ode.
-
-[37] Rocco Marliani, figlio di Pietro, di Milano, ampliato il vecchio
-convento, eresse ed ornò la villa, che volle si chiamasse Amalia dal
-nome della sua carissima consorte, 1801.
-
-[38] _Satira VI._ Lib. II. Gargallo così li traduce:
-
- Un discreto poder, nè già sì vasto,
- Che avesse un orticello, e una fontana
- D’acqua perenne, a la magion vicina;
- Un po’ di bosco ancor per giunta; ed ecco
- Tutto qual era il voto mio. Gli dei
- Han fatto meglio e più: sien benedetti!
- . . . . . . . altro non chieggo.
-
-[39] Canto IV. Edizione Resnati.
-
-[40] Matidia era nipote di Trajano e suocera di Adriano; epperò qui la
-veggiamo divinizzata.
-
-[41] _Vita di Gian Giacomo Medici_, di Marcantonio Missaglia. Milano,
-ediz. Colombo, 1854.
-
-[42] Presso l’editore B. Saldini di Milano.
-
-[43] Intende parlare del marchese Pietro Caravaggi, la cui famiglia
-molto possedeva in Inverigo, e il quale fu professore nelle matematiche
-presso l’università di Pavia, e morì nell’anno 1688.
-
-
-
-
-
-Nota del Trascrittore
-
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
-senza annotazione minimi errori tipografici.
-
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-
-<div style='text-align:center; font-size:1.2em; font-weight:bold'>The Project Gutenberg eBook of Il Lago di Como e il Pian d'Erba, by Pier Ambrogio Curti</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This eBook is for the use of anyone anywhere in the United States and
-most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions
-whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms
-of the Project Gutenberg License included with this eBook or online
-at <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>. If you
-are not located in the United States, you will have to check the laws of the
-country where you are located before using this eBook.
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-
-<p style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:0; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Title: Il Lago di Como e il Pian d'Erba</p>
-<p style='display:block; margin-top:0; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:0;'>Escursioni autunnali</p>
-
-<div style='display:block; margin-top:1em; margin-bottom:1em; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Author: Pier Ambrogio Curti</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Release Date: July 10, 2021 [eBook #65610]</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Language: Italian</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>Character set encoding: UTF-8</div>
-
-<div style='display:block; margin-left:2em; text-indent:-2em'>Produced by: Barbara Magni</div>
-
-<div style='margin-top:2em; margin-bottom:4em'>*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN D'ERBA ***</div>
-
-<div class="booktitle">
-<h1>
-IL LAGO DI COMO E IL PIAN D’ERBA
-<span class="smaller">ESCURSIONI AUTUNNALI</span>
-</h1>
-</div>
-
-<hr class="silver" />
-
-<div class="titlepage">
-<p class="x-large">
-P. A. CURTI
-</p>
-
-<p class="pad2 main-t">
-IL LAGO DI COMO<br />
-<span class="x-small">E</span><br />
-IL PIAN D’ERBA
-</p>
-
-<p class="pad1 large">
-ESCURSIONI AUTUNNALI
-</p>
-
-<p class="pad2 small">
-ILLUSTRATE DA INCISIONI IN LEGNO.
-</p>
-
-<div class="poem-container">
-<div class="poem inl"><div class="stanza">
-<p class="i01">Dal bel rapir mi sento</p>
-<p class="i01">Che natura vi diè.</p>
-<p class="i07"> <span class="smcap">Parini.</span></p>
-</div></div>
-</div>
-
-<p class="pad4">
-<span class="large g">MILANO,</span><br />
-<span class="small">PRESSO L’EDITORE GAETANO BRIGOLA</span><br />
-—<br />
-1872
-</p>
-</div>
-
-<div class="verso">
-<hr class="mid" />
-<p>
-TIP. BERNARDONI.
-</p>
-<hr class="mid" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<hr />
-<p class="center x-large"><a href="#indice" id="indfront">INDICE</a></p>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_5">[5]</span>
-</p>
-
-<h2 id="intro" class="hidden">Introduzione
-</h2>
-</div>
-
-<p>
-L’andare in villa, non molt’anni addietro, era di
-pochi, di que’ felici soltanto che la fortuna aveva dalla
-nascita privilegiati, o ne’ commerci arricchiti: ora gli
-è, può dirsi, dei più.
-</p>
-
-<p>
-S’è così tornati alla manía del basso tempo antico,
-quando noi s’era colonia di que’ famosi prepotenti che
-erano i Romani. Cicerone — tanto per nominare qualcuno
-d’universal conoscenza — che non era tra i più
-facoltosi, nè da patrizia famiglia nato, s’era appagato di
-una sua velleità e contava nientemeno che ventiquattro
-ville di sua proprietà, quantunque invero non prediligesse
-che le sue case di Tusculo e di Pompei; e Cajo
-Plinio il Giovane, quello stesso che fu delle nostre parti,
-anzi della città di Como, — senza dir del suo Tusci che
-<span class="pagenum" id="Page_6">[6]</span>
-egli aveva alle pendici dell’Appennino toscano, e del
-Laurentino che possedeva in Romagna sul litorale del
-Mediterraneo fra le città d’Ostia e di Laurento — lungo
-le sponde ridentissime di questo Lario, dove sto
-per accompagnare il mio lettore, ne aveva due, l’una
-a Villa, che denominò <i>Commedia</i>, l’altra prossima a
-Bellagio, che denominò <i>Tragedia</i>.
-</p>
-
-<p>
-Io perfino, che divido le cure della vita fra le cause,
-i processi criminali e le umane lettere, ma che da Cicerone
-e da Plinio son per merito e ricchezza lontano
-quanto ci corre dal gregario al generale, partecipe
-della febbre che ha i moderni invaso, mi son passata
-alla mia volta la follia di una villa, piccola sì, ma a
-me bastevole: <i>parva sed apta mihi</i>, come direbbe il
-gran lirico latino.
-</p>
-
-<p>
-La manía poi del viaggiare a solo titolo di divertimento
-è tutta propria dei nostri tempi; è il portato
-inevitabile delle tante vie ferrate e de’ vapori che solcano
-tutti i mari; i Romani l’avevan pure, ma pel solo
-gusto matto di tribolar le nazioni cui portavano la
-guerra e di svaligiarle interamente...
-</p>
-
-<p>
-Ma io la piglio forse soverchio da lontano, per ispiegare
-al mio lettore le ragioni di questo libro, nè va
-bene che l’annoi sin dal principio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_7">[7]</span>
-</p>
-
-<p>
-Volevo dire adunque che da noi, in Lombardia principalmente,
-non c’è caso: quando arriva l’autunno, si
-vuol proprio andare alla campagna; che noi della capitale — intendo
-la morale — si sognan tutto l’anno le
-rive del Lario o i placidi e verdeggianti colli del Pian
-d’Erba, e beati se ci possiamo andare! So di chi s’acconcia
-a scampagnare nella catapecchia della nutrice
-d’alcun suo bambolo; d’altri a condannarsi a starsene
-chiusi nelle case di Milano, purchè si creda che siasi
-alla campagna.
-</p>
-
-<p>
-I viaggiatori che ci visitano, non ci lasciano se prima
-una giornata non abbiano passato sul lago di Como,
-percorrendolo su per i piroscafi che vanno e vengono
-da un capo all’altro; e chi appena lo possa, si sofferma
-non pochi giorni ne’ diversi e veramente confortevoli
-alberghi, che si sono venuti stabilendo ne’ varî punti
-di queste rive popolate di paeselli e di ville leggiadre,
-che incantano di sè anche coloro che han pur visto
-que’ miracoli di natura che sono i golfi di Napoli e di
-Genova.
-</p>
-
-<p>
-Nel Pian d’Erba, è vero, non ci vanno come noi;
-ma la colpa è tutta nostra, che non siamo pur anco
-giunti a praticarvi strade un po’ convenienti e, meno
-ancora, alberghi; perchè tali davvero non ponno dirsi
-<span class="pagenum" id="Page_8">[8]</span>
-que’ che adesso se ne hanno arrogato il nome. Ma la
-locomotiva non tarderà guari a prolungarsi da Seregno
-almeno ad Erba, e sarà allora un’altra cosa; la
-Brianza superiore non sarà più certo un mito pe’ forestieri
-che saranno stati nella nostra Italia, e il bisogno
-d’impiantarvi adatte stazioni verrà dietro per conseguenza.
-</p>
-
-<p>
-Or bene; villeggianti e viaggiatori, nel soggiorno di
-questi luoghi, si domandano bene spesso: dove si va
-oggi? dove domani?
-</p>
-
-<p>
-Il mio libro è la risposta.
-</p>
-
-<p class="indl">
-Milano, maggio 1872.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-008b"></a>
- <img src="images/ill-008b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Castello Baradello.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_9">[9]</span>
-</p>
-
-<h2 id="esc1">ESCURSIONE PRIMA.
-<span class="smaller">IL BARADELLO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del Baradello. — Un
-cenno geologico. — La storia del castello. — Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo
-del Baradello. — Napo della Torre. — La
-chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — Villa Venini ora Castellini. — Il
-collegio alla Camerlata. — Opificî industriali. — Ville Larderia, Martignoni,
-Prudenziana e Carloni.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Non è alcuno di noi che, giungendo la prima volta
-in ferrovia alla Camerlata, non appena uscito dal vagone,
-non abbia rivolto lo sguardo a quella torre che
-sta di sopra il colle che sogguarda alla stazione, e non
-sia corso a ricordare le mille storie che nell’infanzia
-gli saranno state raccontate dalla nonna o dalla fante
-intorno ad essa, e con certa curiosità non vi abbia per
-qualche istante tenuto l’occhio, quasi a dirsi: non era
-dunque una panzana quella che aveva udito del <i>Castell
-Baravell</i>, che così appunto nel nostro bisbetico dialetto
-abbiam travisato il nome di Baradello. E siccome una
-volta almeno anche l’ultimo de’ popolani s’è tolto lo
-<span class="pagenum" id="Page_10">[10]</span>
-spasso di visitare la città de’ <i>missoltini</i>, — così chiamati
-que’ dolcissimi pesci che dà il Lario, quando si misaltano
-o vengono disseccati —; così non è più adesso
-pel minuto popolo nostro un mito, una favola, un alcun
-che di immaginoso questo <i>Castell Baravell</i>, che ha udito
-le tante volte ne’ suoi giorni d’infanzia ricordare.
-</p>
-
-<p>
-Ma siccome questo libro non è fatto unicamente per
-i miei concittadini, non mi soffermerò più altro nè a
-ritessere quella storia della prima fanciullezza, nè a
-sceverarla dalle ubbie e dalle fole immaginate all’opportunità
-dalle serve o bambinaie per aver savî i lor
-marmocchi; così ora toccherò al sodo ed a quel meglio
-che interessi.
-</p>
-
-<p>
-Sia che tu movendo da Milano percorrendo il cammin
-di ferro che si ferma a Camerlata, sia che da Colico
-tu scenda col piroscafo per il lago infino a Como,
-il castello Baradello ti si annunzia prestamente; perocchè
-egli torreggi sovra il colle, o monte che meglio
-ti piaccia di chiamare, il qual si eleva fuori appena la
-porta che riesce appunto alla via che scorge a Camerlata
-e per di là a Milano.
-</p>
-
-<p>
-Questo colle, io ti consiglio di ascendere, o lettore,
-nella gita che vorrai fare a Como, perocchè di là ti si
-parerà avanti il più superbo panorama che si possa
-figurare; miracolo di cielo e d’aria, vista di città e di
-paesi, di lago e di ville, di giardini e di poggi amenissimi,
-di palagi e di chiese, di poveri tugurî e di vasti
-stabilimenti industriali, di monti selvosi e di massi e
-vette cinericcie e brulle d’Italia e di Svizzera, che gli è
-a pochi tratti di distanza, ed anche di Savoja, che si
-fa rappresentare dal nevoso Monte Rosa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_11">[11]</span>
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Sa ognuno di tutti noi come il monte Baradello
-chiuda il varco al Milanese, e non sia vero che girando
-intorno ad esso si ritrovi la strada che passa a
-Chiasso, primo villaggio della Svizzera italiana: parrà
-strano nondimeno che a falsamente indicarlo fossero
-appunto due scrittori di Como, e di quel valore che
-nessuno loro ricusa, come sono Paolo Giovio, lo storico,
-o <i>storicone</i>, come chi il voglia coll’Aretino corbellare<a class="tag" id="tag1" href="#note1">[1]</a>,
-e Gastone Rezzonico prosatore e poeta non degli ultimi.
-Scrisse il primo, parlando del Baradello: <i>in edito
-jugo saxosae viae, quae tendit ad Helvetios</i>; cantò il
-secondo:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i07"> minacciar dal giogo</p>
-<p class="i01">Lo svizzero pedon che incerto move</p>
-<p class="i01">Per l’aspro calle i faticosi passi.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Di molto e molto si perdona al poeta, disse Orazio;
-è vero: ma forse non si è disposti ad accordargli la
-<span class="pagenum" id="Page_12">[12]</span>
-favolosa possa di Atlante di prendersi sulle spalle poderose
-un monte per piantarlo, come gli garba, fuor
-del posto che gli ha assegnato madre natura.
-</p>
-
-<p>
-Perchè si chiami Baradello, io potrei dirtene più
-d’una, chè nulla è più agevole che immaginare origini,
-etimologie: mi basterà invece di accennare, come coloro
-che ne’ varî nomi di radice greca che si trovano lungo
-il lago ne’ paesi — Lemna, Dorio, Nesso, Corenno, Colono,
-ecc. — presumono argomentare essere qui state
-colonie greche, vogliano il nome di Baradello derivare
-dalle voci <i>baris deile</i> (βαρυς δειλη) ossia torre della
-bass’ora o d’occidente, perchè dietro quelle giogaie
-tramonti il sole; e chi invece dal celtico <i>Barrdell</i>, che
-significa <i>monte piccolo</i>; e infatti è nome pur dato all’altro
-monte <i>Barr</i> presso Lecco, tra Malgrate e Oggiono — Baro —,
-che Plinio, copiando Catone autore
-antico, non saprei con qual giudizio, pretende avesse
-sul suo culmine una città denominata Barra, donde ne
-sarebbero venuti i Bergamaschi e il nome della Brianza.
-</p>
-
-<p>
-Pei geologi può interessare per contrario il sapere
-come il colle Baradello si costituisca di pietra arenaria,
-non altrimenti che sono dell’egual roccia altre colline
-della provincia, e, stando agli <i>Atti della società patriotica
-di Milano</i> (Vol. III), se ne sarebbe nel passato
-tratto allume e giallamina.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Se veniamo alla storia, cose del pari malsicure ne
-segnano i primordî del castello che sovraggiudica questo
-monte.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_13">[13]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’illustre autore della <i>Storia della città e diocesi
-di Como</i>, Cesare Cantù, che, del resto, di notizie del
-suo lago e della Brianza ne ha diffuse per tanti libri,
-nè sarà certo l’ultima volta che a lui per esse ricorrerò,
-nel far cenno di questa torre quadrata che fra
-le ruine grandeggia di Baradello, la trovò mentovata
-nel documento di Liutprando re, che reca la data del 4
-delle none d’aprile dell’anno dell’incarnazione 800,
-primo del regno, indizione X, che, riferito in nota a
-pagina 103 (vol. I, edizione Le Monnier), attesterebbe
-di assai doni da lui largiti alla chiesa de’ santi Carpoforo
-e compagni da lui fondata. Al qual proposito commenta
-lo storico: <i>Sebbene troppi argomenti abbiamo
-addotti per giudicarlo, perciò vogliam fare stima che
-chi lo finse avrà procurato, quanto l’ignoranza glielo
-permetteva, di dargli aspetto di verità.</i>
-</p>
-
-<p>
-E soggiunge così le altre notizie che concernono il
-fabbricato:
-</p>
-
-<p>
-“L’abate Uspergense veramente ne attribuisce la
-fabbrica al Barbarossa; ma può ben essere che abbia
-il terribile imperatore fatto risorgere quel forte, smantellato
-dai Milanesi, allorchè Como distrussero. Il castello
-fu abbattuto, sicchè nulla possiamo dedurre dalla
-sua forma: resta una torre massiccia, ma senza porta,
-nè altro carattere. Chi però ne guarda la solidità non
-troverà improbabile tanta antichità sua. La tradizione
-aggiunge che una via sotterranea guidasse di lassù sino
-al piano: fantasie applicate ad ogni castello, e nel nostro
-la rende meno probabile l’immensa difficoltà! Alla
-torre si avrà avuto accesso per un ballatoio a quella
-finestra grande che è alla metà; e le fosse, che vogliono
-<span class="pagenum" id="Page_14">[14]</span>
-credere vestigia della strada segreta, saranno state cisterne
-per conservar l’acqua.„
-</p>
-
-<p>
-Dei tre castelli che fiancheggiavano la città di Como,
-e che erano il Nuovo sopra San Martino, quel di Carnasino
-e il Baradello, è certo che quest’ultimo fosse il
-meglio importante.
-</p>
-
-<p>
-L’opportunità del luogo (perocchè incomba alla città,
-e perchè non occupata da sue forze e da’ suoi, la rocca
-le si sarebbe potuto rivolger contro, se tenuta da nemici)
-non lascia dubitare che da antichissimo, e prima
-ancora di re Liutprando, fosse una cittadella su quella
-cima e forse una di quelle ventotto che ricorda il Giovio
-essere state oppugnate in queste parti da Marcello.
-</p>
-
-<p>
-Federico Barbarossa la mise di poi in nuovo assetto,
-e dovea chiudere nell’ampia sua cerchia il quartiere
-per la guarnigione ed anche il palazzo ove stanziava
-il podestà e dove pure albergarono quell’imperatore e
-la sua donna.
-</p>
-
-<p>
-Non sarebbe difficile, a chi volesse studiarvi sulle
-ruine, assegnar il luogo del di lui palazzo, se esso fosse
-nel piano eminente, o se alle falde: certo è dato argomentare
-come esso dalle munizioni traesse il nome di
-<i>Ca-merlata</i>.
-</p>
-
-<p>
-E ad altro vantaggioso scopo valeva eziandio la torre
-del Baradello, se vuolsi, com’io penso, aggiunger fede
-a quelle argute osservazioni dello storico testè citato,
-e che pure è prezzo dell’opera il riportare.
-</p>
-
-<p>
-“Vi sarete accorti — scrive egli a pagina 47 del volume
-primo dell’opera succitata — come i luoghi principali
-fossero in punto di fortificazioni, così da resistere
-alla agitata fortuna. Ma poichè ognuno per sè era troppo
-<span class="pagenum" id="Page_15">[15]</span>
-poco o per difendersi o per offendere, formavano una
-maniera di federazione, o fosse colla città principale,
-o contro di quella; ed era perciò mestieri usar qualche
-guisa per comunicarsi uno all’altro i pericoli, le decisioni,
-le avventure. L’età nostra adopera meravigliosi
-telegrafi, che colla velocità dello sguardo tramandano
-a centinaia di miglia con esattezza le notizie; allora vi
-si doveva supplire con grossolane maniere. Se ti fai
-a considerare, o lettore, le nostre parti, vedrai delle
-torri sulle punte, sui poggi, d’onde lontano possa la
-vista; or quelli appunto erano i posti su cui stavano
-le scolte per esplorare la campagna e per ricevere e
-tramandare i segni telegrafici. Accadeva un bisogno?
-doveasi chiamare a parlamento, alle armi? comunicar
-un ordine, una notizia? Bandiere di colore diverso e
-variamente sciorinate, o meglio una o più fiamme disposte
-ne’ luoghi e nelle guise convenute, e replicate
-di vedetta in vedetta, propagavano abbastanza rapidamente
-le novelle.
-</p>
-
-<p>
-“Per questo erano stabilite le torri in modo che una
-guardasse l’altra. Al Baradello, se vogliamo toglierlo
-come centro de’ segni, corrisponde, verso il lago, Torno,
-o piuttosto quel colle presso Pognana che chiamano la
-Collina della Guardia; indi Argegno, oppure la Cavagnola,
-che potevano comunicare alla Val Intelvi; poi
-Bellagio, che da una parte alla Valassina, dall’altra
-al ramo di Lecco, da sera mandava il cenno alla Val
-Menaggio e pel castello di Grandola al lago di Lugano,
-e superiormente a Rezzonico, donde alla torre d’Olonio,
-posta all’imboccatura della Valtellina. Da quella
-potea propagarsi all’altra torre, che si vede ancora
-<span class="pagenum" id="Page_16">[16]</span>
-sopra Samolaco, donde al castel di Gordona, feudo vescovile,
-ed a quel di Chiavenna; e per la Valtellina al
-castello di Domosolo; e per le torri, poste principalmente
-sul vertice degli angoli salienti, fino alla serra che
-chiudeva i risoluti Bormini. Volgendo a nord-ovest,
-rispondeva al Baradello la torre di San Nicolao a sopracapo
-di Mendrisio, poi forse l’erta ed amena cima
-di San Salvatore, visibile a tutto il Ceresio; poi pel
-monte Cenere tramandavasi il cenno a Bellinzona, al
-Verbano, alla <i>Chiusa</i> (la ciosa) dei Lombardi. Verso
-mezzodì era la posta a Cantù, donde propagavasi al
-Milanese ed alla rôcca del Montorfano, che può a’ lontanissimi
-confini della Brianza vedersi. I castelli posti
-tra mezzo apprendevano le novelle di que’ principali.„
-</p>
-
-<p>
-Il Castello di Baradello è ricordato come arnese che
-assai figura nelle lotte guelfe e ghibelline del secolo
-decimoterzo. Sono note le guerresche fazioni de’ Torriani
-e de’ Visconti. I primi, comunque usciti dalla Valsássina
-della provincia di Como, pur essendo di parte
-guelfa, s’erano legati a Milano con amicizia veramente
-larga. Avversi essi ai nobili, ch’erano stati cacciati, ed
-eletti a capitani del popolo, li combattevano con coraggio
-e valore, e se crudeli nelle ore solenni della pugna,
-erano miti nondimeno e generosi dopo di essa; onde la
-storia registrò quel che Martino della Torre ebbe a
-dire quando non volle trucidare i ghibellini da lui fatti
-prigionieri: “Poichè non ho potuto dar la vita, a nessuno
-vo’ toglierla.„ Ma espiarono tanta generosità; soccombendo
-a’ Visconti nella battaglia di Desio, Napo
-della Torre ed altri di sua famiglia vennero chiusi in
-una gabbia del Castello Baradello, ed ivi così fieramente
-<span class="pagenum" id="Page_17">[17]</span>
-trattati da empir di gemiti la valle ed a far iscrivere al
-Cronista: <i>In castro de Baradeìlo quasi canes tractati
-sunt.</i>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Sovra il colle medesimo del Baradeìlo vedesi ancora
-a’ dì nostri quella chiesa, che più sopra ho menzionata,
-sacra a San Carpoforo, che si vuole in paese sia stata
-eretta ne’ primi secoli dell’êra cristiana. La tradizione
-pretende che in origine fosse tempio pagano dedicato a
-Mercurio, e venisse poi convertita in chiesa cristiana e
-vi fossero deposti e venerati i santi avanzi di Esanto,
-Cassio, Severo, Secondo, Licinio e Carpoforo, che si
-dicono qui presso martirizzati per la fede, sotto l’impero
-di Massimiano Erculeo. Siccome poi nella medesima
-chiesa sarebbe, giusta la pia tradizione, sepolto
-anche Felice, pur chiamato santo e che fu il primo
-vescovo di Como, così alla esistenza di tutte queste
-preziose e venerate reliquie rese testimonianza una latina
-lapide, che or più non sussiste, ma che letta in
-addietro così suonava:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Huc veniens discat quæ corpora sancta requirat</p>
-<p class="i01">Hoc altare tenet, sex tanto lumine splendent.</p>
-<p class="i01">Hic sunt Carpoforus, tum Cassius, atque Secundus,</p>
-<p class="i01">Et simul Exantus, Licinius atque Severus.</p>
-<p class="i01">Hi spernendo viri mortem pro nomine Christi,</p>
-<p class="i01">Nec metuendo mori, simul hic voluere reponi.</p>
-<p class="i01">At talem numquam potuit quis cernere tumbam</p>
-<p class="i01">Hic sanctis, sanctus locus est, multum venerandus,</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_18">[18]</span></p>
-<p class="i01">Quem nullus cædat, potius sed dona rependat.</p>
-<p class="i01">Extat et hic Felix divinis ductus habenis,</p>
-<p class="i01">Verum divinum studuit qui dicere primum</p>
-<p class="i01">Comi nempe bonus, primus fuit iste patronus:</p>
-<p class="i01">In cœlis felix merito sit nomine Felix<a class="tag" id="tag2" href="#note2">[2]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Il medesimo re Liutprando, che più sopra ho nominato,
-e il quale restaurò questo tempio e gli fe’, come
-già dissi, molti doni, vuolsi vi facesse da Roma trasferire
-eziandio i corpi de’ santi Giacinto e Proto.
-</p>
-
-<p>
-Mette conto a chi ha asceso il Baradello il visitare
-questi interessanti avanzi. Si conserva tuttavia l’abside
-rotonda, la torre del campanile quadrata, la confessione
-sotto l’altare, o <i>scurolo</i>, come si direbbe dal volgo, od
-altrimenti cripta. All’altare poi si ascende per due laterali
-gradinate.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Ora il Baradello non è più calpesto da militi catafratti,
-ma percorso da allegre villanelle e da operosi
-<span class="pagenum" id="Page_19">[19]</span>
-contadini, perciocchè sia tutto ricinto di fertili colli e
-vi si scorgano signorili ville. A fianco della suddescritta
-chiesa di S. Carpoforo sorge la villa de’ signori Venini,
-ora acquistata dal signor Castellini che ha un suo florido
-collegio di maschile educazione a Camerlata. Non
-più l’<i>all’erta</i> delle scolte parte dall’ampia torre, ma
-la canzone rustica di chi vi alberga si diffonde da
-quelle coltivate alture; non armi accolgonsi, ma istrumenti
-di agricoltura; ed alla bassa Camerlata non fortilizî
-più si ritrovano, ma gli edifizî operosi della ferrovia;
-e più in giù, nella vallata, alla destra di Como,
-opificî industriali; e al piede del colle, verso Garzola,
-la magnifica villa Larderia, ricca di acque che le scaturigini
-del monte le somministrano; poi quelle altre
-de’ Martignoni, della Prudenziana e del dottor Carboni.
-Così ai frequenti gridi di guerra che per quelle vaghe
-pendici s’udivano ripercossi dagli echi de’ monti circostanti,
-è succeduto il sibilo prolungato ed acuto, ma pacifico,
-della locomotiva che annunzia l’arrivo o che
-saluta la partenza di tanti e quotidiani viaggiatori; alle
-agitazioni delle fazioni e alle intestine discordie tennero
-dietro le tranquille cure e i riposi, a’ quali questi beati
-recessi, privilegiati da natura, sembrano unicamente
-destinati.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-020b"></a>
- <img src="images/ill-020b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Monte Generoso.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_21">[21]</span></p>
-
-<h2 id="esc2">ESCURSIONE SECONDA.
-<span class="smaller">IL GENEROSO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di S. Abbondio. — Il
-Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo Volta. — Chiasso. — Il
-Crotto e le <i>polpette</i> della Giovannina. — L’<i>Albergo di Mendrisio</i>. — Dottore
-e albergatore. — Il Monte Generoso. — Salita. — L’albergo del
-dottor Pasta. — La cura dell’aria. — Geologia, flora e fauna. — Il dottor
-Pasta. — L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il Dosso-Bello.
-— La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di Mendrisio. — La Cantina
-di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo Vela. — Ligornetto. — Le
-cave di Arzo. — Le acque solforose di Stabio. — San Pietro di Castello.
-— Romanzo storico.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Discesi dalla facile e coltivata eminenza del Baradello,
-non s’aspetti il lettore ch’io lo conduca subitamente
-al lago e quivi il tragga al piroscafo che fumiga,
-ardente della sua corsa quotidiana a Colico, o il faccia
-entrare nel burchiello, come vorrebbe il navicellaio, che
-ci sollecita, il berretto nell’una e la catena della barca
-nell’altra mano.
-</p>
-
-<p>
-Como ha ben altro ad intrattenerlo per un giorno,
-e anche più, quando ami le cose veder per bene, non
-già solo per la futile soddisfazione di poter dire: “ho
-visto.„
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_22">[22]</span>
-</p>
-
-<p>
-Fuor le mura avrà a vedere la chiesa di S. Fedele
-e la vicina fabbrica di macchine idrauliche del Regazzoni;
-la basilica di Sant’Abbondio, contemporanea a
-quella di S. Carpoforo, che ha già visitata sul Baradello,
-e che servì di cattedrale insino al 1013, in cui
-il vescovo Alberico v’ebbe a collocare i monaci retti
-dalla regola di S. Benedetto e la cattedrale aprì in
-città nel Duomo attuale, che pur interessa di visitare,
-come uno dei più insigni monumenti architettonici
-di Lombardia, autore Lorenzo degli Spazzi di
-Valtellina, compiuto poi da Tomaso Rodari di Maroggia,
-del quale son forse le due porticine dei fianchi,
-di squisitissimo lavoro. Ammirerà in esso diversi buoni
-quadri, fra cui il Natale di Gesù; l’Adorazione dei
-Magi; i santi Cristoforo e Sebastiano e lo stupendo
-S. Girolamo di Bernardino Luini; lo Sposalizio di Maria
-e la Fuga in Egitto di Gaudenzio Ferrari. Nè lasci
-di dare uno sguardo al Pretorio, che sta a lato del
-Duomo; al santuario del Crocifisso, per la fama che vi
-chiama a migliaja i divoti; al Liceo, dove è interessante
-il gabinetto di fisica, in cui si trovano macchine
-che servirono a quel sovrano intelletto scopritore
-della pila, ad Alessandro Volta vuo’ dire, al quale nella
-piazzetta prossima al lago venne eretta una statua,
-mediocre opera di Pompeo Marchesi; al Teatro, architettato
-dal Cusi, ampliato dal Ruspini e co’ bei dipinti
-del Pagliano e dello Speluzzi. Veda anche il Camposanto,
-architettato dal Tatti, e in cui si chiudono lodevoli
-monumenti, fra cui uno lodatissimo d’Antonio
-Tantardini di Milano.
-</p>
-
-<p>
-Il ricapito poi per l’intera giornata e per quanto
-<span class="pagenum" id="Page_23">[23]</span>
-ti avverrà di passare in Como, non andrai errato ad
-eleggerlo all’albergo Volta che, in riva al lago, sta
-presso al luogo d’imbarcazione sui piroscafi. Ammodernato,
-vi si introdussero tutte le lautezze d’un albergo
-di prim’ordine, e il forestiero di qualunque nazione
-e di qualunque più elevata condizione non può
-che trovarsi a suo bell’agio.
-</p>
-
-<p>
-Era indispensabile codesta indicazione; il lasciarla
-sarebbe stata mancanza verso il lettore, ingiustizia
-verso chi ha dotato Como di uno stabilimento, senza
-cui avevasi ragione, scesi appena dalla Camerlata, difilarsi
-pari pari al vapore, per ire in traccia d’albergo
-o alla Regina d’Inghilterra presso Cernobbio, o alla
-Cadenabbia, o a Bellagio od a Menaggio.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-Una passeggiata conviene ora che facciamo insieme,
-la quale avrei volontieri riservata, per procedere ordinatamente,
-allorchè giunti a mezzo del lago, che or misuro
-da Como a Bellagio, ci sarebbe occorso di scendere
-dalla barca o dal vapore ad Argegno, per metterci
-dentro la Valle Intelvi. Ma siccome non intendo di
-abusare delle gambe del mio lettore, nè farlo inerpicare
-di troppo su per le balze di San Fedele, così per
-giungere all’egual meta, approfittando delle mutate
-condizioni politiche che ricondussero fra noi e i nostri
-vicini della Svizzera le migliori relazioni d’amicizia,
-perchè già della medesima famiglia, onde non sia più
-mestieri ricorrere a passaporti o ad altri documenti
-<span class="pagenum" id="Page_24">[24]</span>
-personali, usciamo di Como, montiamo adagiati in carrozza
-il facile pendio dell’Olimpino, varchiamo il confine
-italiano, e, oltrepassato Chiasso...
-</p>
-
-<p>
-Ma no; prima di oltrepassarlo, d’una promessa ho
-a sdebitarmi.
-</p>
-
-<p>
-Chiasso era dapprima una borgata, che sembrava
-fatta apposta per beneficio di noi Lombardi, che volevamo
-sdrucciolar fuori dalle mani de’ nostri passati dominatori,
-quando, per un capriccio di poliziotto, per un
-sospetto generato da cattiva digestione del direttore di
-polizia di Milano, ci volevano agguantare. Al di là de’ pilastrini
-che per mezzo di una trave abbarrano il confine,
-Chiasso si distende, per mezzo diviso dalla strada che
-conduce a Capolago ed a Lugano, fiancheggiato da erbosi
-colli e da montagne popolate da paeselli e casolari,
-come <i>branco di pecore pascenti</i><a class="tag" id="tag3" href="#note3">[3]</a>, direbbe il nostro Manzoni.
-Ora Chiasso ha bel rilievo da una nascente fabbrica
-di tabacchi, che prepara sì eccellenti cigari, da
-sembrare che lo faccia espressamente a rendere ancora
-più insopportabili quelli che a noi dà la Regía; ha un
-albergo; e per noi, che non abbiamo l’agio di soggiornarvi,
-ha il <i>Crotto della Giovannina</i>, deliziosissimo
-<i>chalet</i>, d’architettura svizzera, che il mio ottimo ed
-ospitale amico, il colonnello federale Costantino Bernasconi,
-ha fabbricato, ma che alla barba sua prese il
-nome dalla sua conduttrice, e che io raccomando a
-chi transita per Chiasso, non a’ gaudenti della vicina
-Como, che già vi corrono la domenica a chiedere le
-<i>polpette della Giovannina</i>, rese celebri oramai, e che farebbero
-<span class="pagenum" id="Page_25">[25]</span>
-venire l’acquolina... no, volevo dire l’absinzio
-in bocca al chiarissimo autore della <i>Giovinezza di
-Giulio Cesare</i>, perchè <i>di color mogano</i>, com’ei le brama.
-</p>
-
-<p>
-La promessa era appunto quella di segnalare questo
-simpatico recesso, a pochi passi dal paese, lungo l’acqua
-della Falopia che scorre in sottil vena, protetto dall’ombra
-di superbi tigli, fatto più bello e più fresco da
-una cascata pittoresca, e più ricerco pel suo vino di
-Chambery che vi si beve. Non dimenticherò l’ora che
-vi ho passata, nè il ballo della sera, dove al suono dell’organetto,
-uomini e donne di tutte le condizioni repubblicanamente
-ballonzolavano e si turbinavano in
-certe polke e in certi waltzer, che direbbonsi impossibili,
-se veduti non li avessi. Vidi colà l’elegante dalla
-cravatta bianca irreprensibile e il contrabbandiere in
-manica di camicia rimboccata all’insù del gomito, la
-guardia di finanza italiana e lo svizzero carabiniere,
-l’impiegato e il contadino, l’operaja e la sguajata manutengola
-del frodo; una baraonda, insomma, vispa,
-matta e rumorosa da comunicarvi, anche vostro malgrado,
-il buon umore e l’allegria.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Dopo ciò, tiriamo dritto.
-</p>
-
-<p>
-Passiamo Balerna, villa un dì del vescovo di Como,
-rivendicata ora dal Comune, e arrestiamoci in Mendrisio
-all’albergo che dal paese assunse il nome d’<i>Albergo
-di Mendrisio</i>, del signor Bernardino Pasta, che,
-prima d’essere albergatore fu un egregio pittor di genere,
-<span class="pagenum" id="Page_26">[26]</span>
-le opere del quale andavan spesso assai lodate alle
-esposizioni di belle arti nel palazzo di Brera a
-Milano. Sono quivi le pazienti cavalcature che ci devono
-condurre sul Generoso; perocchè non abbia detto
-ancora che lo scopo della nostra passeggiata è l’ascesa
-al Generoso.
-</p>
-
-<p>
-E sarà bene che ci informiamo dapprima se l’albergo che
-sta sopra a questo monte abbia ancora qualche camera
-in libertà; perchè avvenga non di rado che inglesi
-e americani, tedeschi e francesi, italiani e svizzeri,
-tanto in numero vi si trovino, da non lasciarvi uno
-de’ cento e più letti che vi stanno; e in tal caso il signor
-Pasta Bernardino di Mendrisio, fratello al dottor
-Carlo Pasta, ch’è l’albergatore del Generoso, vi
-potrà allora ospitare degnamente; perocchè vi abbia
-adesso allestito il proprio albergo di tutti i conforti
-della vita.
-</p>
-
-<p>
-Ad ogni modo, salvo a ridirne nel ritorno dal Generoso,
-noi possiamo farvi qui l’asciolvere nostro, mentre
-staccansi gli asini ed i muli dalla greppia e vi
-s’adattano le selle per le signore, e troveremo il nostro
-conto. La via ne richiamerà almen due ore; l’aria del
-monte ne renderà acuto l’appetito; sarà bene pertanto
-seguire il mio avviso.
-</p>
-
-<p>
-Intanto che facciamo onore alla buona colazione che
-ci dà il signor Pasta, discorriamo un po’ del Generoso,
-che dovremo ascendere fra breve.
-</p>
-
-<p>
-Esso è il monte più alto di quel gruppo delle Prealpi
-che sorge fra le valli di Mendrisio e d’Intelvi, e
-De Welden ne misurò l’altezza barometrica della punta
-meridionale fino a metri 1740, e il ticinese Lavezzari
-<span class="pagenum" id="Page_27">[27]</span>
-quella della punta settentrionale fino a metri 1733 sopra
-il livello del mare<a class="tag" id="tag4" href="#note4">[4]</a>. Vien chiamato eziandio Mendrisone
-e Calvagione, con quest’ultimo nome venendo
-designato da’ valligiani del versante lombardo; ed appartiene
-tanto alla Svizzera italiana che alla nostra
-Lombardia, perchè appunto pria di giungere sulla vetta
-sta la pietra che divide i due territorj. Ma siccome a
-noi insegnano gli statistici che nel dire de’ confini d’un
-paese, non si abbadi a que’ limiti temporanei che può
-imporre la politica contingente, così certo non andò
-lontano dal vero chi il Monte Generoso, per la maraviglia
-del panorama di cui dispone da’ suoi culmini,
-ebbe a chiamarlo il Righi lombardo, a simiglianza di
-quello svizzero, che ergesi al di sopra di Zurigo, dove,
-malgrado la sua antica celebrità e la vista de’ sottoposti
-laghi di Zug, dei Quattro Cantoni, di Loverz e
-di Sempach, e de’ monti elvetici, non ha però l’ampiezza
-dell’orizzonte e la serenità del Generoso, ricinto
-non da brulle roccie, ma da monti coperti di verzura e
-di fiori, e sorridente alle acque del Lario e del Ceresio
-che si vedono scorrergli ai piedi, e più lontano a
-quelle del lago di Varese coi vicini laghetti di Biandronno,
-di Monate, di Comabbio e di Muzzano, e più
-lontano ancora a quelle del Verbano.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_28">[28]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Ma le nostre cavalcature scalpitano, le nostre guide
-attendono: affrettiamoci. Quando discenderemo domani,
-occuperemo la giornata nel visitare gli interessanti
-dintorni del piano.
-</p>
-
-<p>
-La via che scegliamo è la migliore. Se non abbiamo
-aspettato ad andare sul Generoso dalla parte di Vall’Intelvi,
-a causa del cammino dirupato, mai più non ci
-vorremmo noi avventurare per l’erta e non meno difficile
-via di Maroggio sul lago di Lugano e che passa
-per Rovio. Pigliamo adunque questa stradicciuola che
-ci scorge a Salorino: sarà la più facile, la più amena.
-</p>
-
-<p>
-Breve è il tratto che riesce a quel montano paesello,
-e presto lasciatolo addietro, s’entra in una valle e
-quindi in boschi di castagni e faggi, poi si traversano
-praterie, si rasentano burroni, si aprono prospettive
-mirabili ed incantevoli: dappertutto si svolgono quadri
-d’una natura agreste, ma piena di poesia, onde legittima
-è l’estasi degli artisti, che ad ogni istante vi rinvengono
-<i>trovate</i> e soggetti a studî ed a schizzi. A quando
-ridente, a quando severa, sia che si presentino verdi
-tappeti smaltati di fiori, sia che si parino avanti roccie
-ed abissi, la via riesce ognora interessante, ed è
-appena se dal tumulto degli affetti che vi tenzonano
-nell’anima, tutta occupata dalle più svariate sensazioni,
-ora liete or melanconiche, e se dalle or sublimi ed or
-terrene imagini, che vi avvicendano il sorriso e la volontà
-del piangere, l’inno e l’anacreontica, vi richiama
-<span class="pagenum" id="Page_29">[29]</span>
-il tintinnío della campanella del vostro ronzino, o
-l’inciampar di esso in qualche ciottolo importuno.
-</p>
-
-<p>
-Non temere, gentile compagna della nostra peregrinazione;
-nessun pericolo si presenta lungo tutta la
-via; affidati secura alla robusta guida che fiancheggia
-la tua comoda cavalcatura, e tutta e interamente godi
-del nuovo spettacolo che ti si offre davanti.
-</p>
-
-<p>
-Ma il filo telegrafico che d’un tratto si vede, ti invita
-a seguirne il corso e presto ti fa scorgere primi
-i fumajuoli, che mandando dalle loro gole colonne di
-fumo, avvertono che la meta è vicina, che l’abitato è
-imminente.
-</p>
-
-<p>
-Ecco, l’albergo si affaccia finalmente; ecco.... lo
-vedi in tutta la sua estensione. Tanta grandiosità ti fa
-maravigliato e corri subito a pensare quanto ardimento
-sia stato quello di chi osò escogitarlo a tanta
-altezza, poichè siamo a 1209 metri sul livello del mare<a class="tag" id="tag5" href="#note5">[5]</a>,
-e quanta fede abbia egli avuto nella sua impresa da
-avventurare tanta fortuna.
-</p>
-
-<p>
-Questo coraggioso fu il signor Carlo Pasta.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Vorrei descrivere l’albergo magnifico a cui siamo
-arrivati; ma prima ne reclama l’attenzione nostra la
-persona del suo proprietario. Egli è venuto incontro
-a riceverci del miglior garbo possibile; è di lui dunque
-che prima dobbiamo intrattenerci.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_30">[30]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il signor Carlo Pasta non è soltanto albergatore: egli
-è il dottor Pasta. Non è quindi a cercarsi se in lui
-l’idea di rizzare questo magnifico stabilimento sia stata
-pullulata dall’interesse unicamente: egli, se da esso
-fosse stato mosso soltanto, non l’avrebbe osato; vorrei
-dire di più, sarebbe stato temerario. Medico dotto, egli
-vagheggiò la sua impresa anche a beneficio di chi vorrebbe
-poi ricercare il ristauramento della salute alla
-salubrità dell’aere. Sì, quassù sul Generoso non si
-viene per cure termali; il buon dottore lascia che le
-acque di queste balze scendano pei due versanti e si
-gittino per una parte nel Lario, per l’altra nel Ceresio;
-la cura ch’egli vi offre è quella dell’aria, ed è la
-meno incomoda, la meno dispendiosa, la più certa. Qui
-si allargano i polmoni che la bevono, si rinnova l’appetito,
-si rintegrano le forze, si alleggerisce dalle cure lo
-spirito, e si discende poi con tanto tesoro di salute e
-di buon umore da sfidare e le umide brume della bassa
-e il cumulo, non meno infesto, delle cure cittadine.
-</p>
-
-<p>
-Lettore, se a te sono aperte le discipline delle scienze
-naturali, il tuo cammino può fornirti inoltre larga materia
-ad osservazioni e studî. Le condizioni geologiche
-delle roccie e l’abbondanza dei fossili possono esercitare
-assai spesso il tuo martello, se geologo; come la
-ricchissima flora ad ogni momento può arricchire la tua
-raccolta, se botanico.
-</p>
-
-<p>
-La natura delle roccie è la calcarea grigia basica
-dell’êra giurassica; più in su per altro si incontrano
-banchi estesi stratificati di calcare rosso ammonitico,
-e più in su ancora altri banchi di un calcare bianco,
-più comunemente detto majolica, atto a mutarsi in
-<span class="pagenum" id="Page_31">[31]</span>
-calce eccellente. Sulle vette del Generoso, nella roccia
-di calcare fosco si scoprirono conchiglie, <i>spirifere, terebratule</i>
-e <i>pentacriniti</i>, e nel calcare rosso molte specie
-di ammoniti.
-</p>
-
-<p>
-Se poi si voglia erborizzare, verrà in copia sotto
-mano l’aconito, l’arnica, la genziana, la belladonna,
-l’assenzio, i rododendri, le rose, gli anemoni, le primule
-soavi, i ranuncoli, le achillee, le sassifraghe, le
-cinerarie, i candidi asfodeli, il nero veratro, le dafni
-alpine, le rute, le peonie, le silene, le betulle, le orchidee,
-i crisantemi corimbosi, e cento altre specie di
-piante, che io non saprei enumerare, ma delle quali il
-dotto Lavizzari ha tenuto esatto conto colla nomenclatura
-di Linneo e d’altri botanici<a class="tag" id="tag6" href="#note6">[6]</a>. Tutti però, anche
-al nostro occhio profano, col loro abito roseo o
-cilestro, giallo oppur bianco, violaceo o nero, fra tappeti
-di verzura e con tutte le gradazioni dell’iride, cospirano
-a smaltarci il cammino, a rallegrarci la vista,
-a profumarci l’aere, a compiere l’incanto di sì diverse
-scene. Fra’ cespugli s’ode il zirlare del tordo, su per
-gli alberi il gorgheggiare dell’usignuolo e il trillar
-della capinera; mentre dai greppi inaccessibili modulano
-i loro canti il passero solitario e il codirosso,
-e lontano lontano s’ode l’intermittente suono delle
-campanelle delle mandre pascolanti sulla montagna.
-</p>
-
-<p>
-A tutto ciò aggiungi l’azzurra vôlta de’ cieli, limpida
-e pura come tra’ monti, il bacio dell’aure che ti refrigerano
-<span class="pagenum" id="Page_32">[32]</span>
-e fanno stormir le frondi, le liste argentee dei
-laghi che ti vengono poco a poco apparendo, mano
-mano che salendo domini l’orizzonte, e ti scompajono
-quindi dietro un colle, per ricomparirti dipoi più
-estesi.
-</p>
-
-<p>
-Io vi consiglio adunque la cura dell’aria del Generoso
-per una ventina di giorni almeno. Dai primi di
-maggio a tutto settembre lo stabilimento del dottor
-Pasta è a vostra disposizione; con riserva, io credo,
-che lo sia tutto l’anno, quando la ragione e la moda
-pe’ viaggiatori vi trarranno non interrotto concorso, e
-una via di ferro, come ho udito dirsi che intendasi di
-fare, ne agevolerà la salita.
-</p>
-
-<p>
-Questo brav’uomo del dottor Pasta diventa ben presto
-l’amico e il consigliero de’ suoi ospiti. Di gentili e
-aperte maniere, colto non solo ma dotto, voi vivete
-tranquilli anche sul più leggiero incomodo di salute.
-Tutto ciò costituisce il segreto che attira tanto concorso
-a quest’albergo, sì che non valse a rattenere in Mendrisio
-più d’un Inglese, cui fu dall’alto telegrafato essere
-tutte occupate le camere dell’albergo e i più che
-cento suoi letti.
-</p>
-
-<p>
-Stretta la mano al simpatico albergatore, sul piazzale
-stesso che sta davanti all’albergo, malgrado che
-la salita vi abbia per avventura un po’ affaticati, pure
-non potete a meno di rivolgervi a scorrere d’un’occhiata
-tutt’all’intorno il superbo e pittoresco orizzonte
-che vi si schiera davanti.
-</p>
-
-<p>
-Ma esso vi basti per ora: di quell’orizzonte, ed anche
-di meglio, ci occuperemo nella gita che faremo
-sulla vetta di questo monte; ora piuttosto uno sguardo
-all’edificio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_33">[33]</span>
-</p>
-
-<p>
-La sua ortografia non presenta a primo aspetto eleganza
-di linee architettoniche; ma in compenso il suo
-disegno è pieno di armonia e severo. Sorge a tre piani
-da un terrazzo, entro il quale sono praticati sotterranei,
-dove è la cucina, la panatteria ed altri locali di
-servizio. Dalla parte opposta al piazzale d’ingresso ve
-ne ha un altro con giardino, e da dove l’occhio si
-spazia lungo il piano lombardo, giù per la china della
-valle del Po. Quivi è collocato un telescopio inglese,
-intorno al quale sono sempre i numerosi ospiti in traccia
-del più diletto punto di vista. Le città, le grosse
-borgate, le migliaja di villaggi, i santuari co’ loro acuminati
-campanili, le ferrovie, le lunghe linee delle
-più vaste strade e quelle de’ fiumi, e i bacini de’ laghi
-coi fumiganti piroscafi che li solcano, sono disseminati
-nel più stupendo panorama.
-</p>
-
-<p>
-Entrati nell’albergo, tutto ammirar dobbiamo distribuito
-colla migliore intelligenza. V’è una vasta sala
-da pranzo, dove tutti i numerosi ospiti convengono all’ora
-indetta per la <i>table d’hôte</i>; una per la lettura, e
-vi stanno libri e giornali d’ogni nazione; un’altra assai
-ben intesa pel bigliardo; e tutte adorne di bei quadri
-e di specchi e addobbate con semplicità ed eleganza.
-</p>
-
-<p>
-I tre piani superiori hanno ognuno una propria sala
-comune di ricevimento e numerose camere con eleganti
-suppellettili ed assai soffici letti.
-</p>
-
-<p>
-Ho già detto più sopra che i <i>comforts</i> di questo stabilimento
-sono completati da un servizio telegrafico:
-la posta poi vi giunge quotidiana colle lettere e coi
-giornali.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_34">[34]</span>
-</p>
-
-<p>
-Se si chiede poi quale il trattamento, la risposta si
-riassume in una parola: squisito. La cucina vi è ottima
-e scelta; latte, burro e miele freschissimi sempre e
-saporitissimi, quali possono fornire l’erbe aromatiche
-e i fiori della montagna onde si nutrono mandre ed
-alveari; e dopo tutto, la vostra borsa non si spaventi:
-i prezzi vi sono moderatissimi.
-</p>
-
-<p>
-L’albergo, insomma, è accessibile a tutti, ed è già
-molto che in mezzo a tanta letizia non si cacci il roditore
-pensiero che poi vi si abbia a far iscontare in
-danaro gli splendidi orizzonti, le poetiche passeggiate
-e il sottile e salutare aere bevuto.
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Cominciamo ora le nostre escursioni, poichè ci siamo
-riposati e rifocillati col copioso pranzo. Come, chiederete
-voi, ora che il sole tramonta?
-</p>
-
-<p>
-— Precisamente perchè il sole tramonta.
-</p>
-
-<p>
-Entriamo in questo sentiero quasi orizzontale che
-fiancheggia l’albergo e guida in dieci minuti alla spianata
-dal lato occidentale del monte.
-</p>
-
-<p>
-Qui esso declina, qui sotto scintilla l’onda del lago
-di Lugano, ripercossa dai raggi del sole che piega al
-tramonto.
-</p>
-
-<p>
-La scena è stupenda che ti si distende davanti. Nuvoletti
-frangiati d’oro o porporini vagano là sul confine
-dell’orizzonte, dove il Rosa lo chiude colle sue cime
-candide di neve; lunghe strisce del color della viola in
-altre parti listano il firmamento; il rancio del lembo
-<span class="pagenum" id="Page_35">[35]</span>
-estremo si muterà fra breve nel rosso di fuoco, onde
-sembra che il
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Ministro maggior della natura</p>
-</div></div>
-
-<p>
-pria di calar dietro i monti, ne baci d’un ardente bacio
-i culmini più sublimi.
-</p>
-
-<p>
-Voi riguardate a quel solenne occaso, nel silenzio
-religioso di quell’ora; e dalla valle sottoposta, dove
-l’ombre giganti si distendono, sorge e viene insino a
-voi la squilla vespertina del villaggio che saluta il dì
-che muore.
-</p>
-
-<p>
-La brezza aleggia più sollecita e viva...
-</p>
-
-<p>
-Il sole è sceso dietro la linea de’ lontani monti: la
-luna gli succede nell’impero del firmamento. — Ritorniamo
-all’albergo.
-</p>
-
-<p>
-Se t’arresti più giorni sul Generoso, non obbliare
-l’altra vaghissima escursione al Dosso-Bello, da dove ti
-si offriranno le ridenti sponde del Lario, colla fila non
-interrotta di paesi e di ville, e ti verrà dato rivedere
-da lunge la terra che già visitasti del Baradello, e la
-striscia del fumo che libera la locomotiva che da Camerlata
-muove per Monza e Milano.
-</p>
-
-<p>
-L’indomani affréttati alla escursione più vagheggiata,
-fino alla vetta cioè del Generoso. È la meta di quanti
-traggono al già descritto albergo: e ben ne vale la pena.
-Sono alquanto più di cinquecento metri di altitudine
-a montarsi (531); il cammino richiede almeno un’ora e
-mezza.
-</p>
-
-<p>
-Non isgomentarti, o lettore, delle prime asperità delle
-vie aperte sul fianco orientale del monte; più agevole
-si rende di poi la salita, mercè le cure del dottor Pasta.
-<span class="pagenum" id="Page_36">[36]</span>
-Sono cinque anfratti che avrai a percorrere, ma dolci,
-senza vepri nè ciottoloni, in mezzo a pascoli ubertosi,
-ricchi di mandre, che vedete liberamente pascolare, sì
-che non la sete, ma piuttosto la curiosità di trovarvi fra
-roccie calcari una fonte a un chilometro dall’albergo,
-vi trae a gustar la limpida linfa che vi sorge.
-</p>
-
-<p>
-Ma lieti e non affaticati, eccoci pervenuti alla vetta.
-L’ho già detto: la punta meridionale è a 1740 metri
-sul livello del mare e la settentrionale è di sei metri
-più depressa.
-</p>
-
-<p>
-Qui sul molle e verde tappeto sediamo, perocchè le
-infinite meraviglie che ad un tratto si rivelano all’esterrefatto
-sguardo sieno troppe, e convenga una ad
-una distinguerle ed ammirarle.
-</p>
-
-<p>
-Ah! voi vi sentite ora maggiori di quel che siete, quasi
-numi che imperate al creato, nel veder tanta e sì stupenda
-natura svolgersi sotto di voi. Ne’ giorni estivi,
-mentre sul vostro capo si distende limpida e serena la
-vôlta de’ cieli, vedreste adunarsi i nembi sotto de’ vostri
-piedi, scoppiar gli uragani, guizzar le folgori, e l’illusione
-della vostra divinità vi parrebbe più vera.
-</p>
-
-<p>
-Ecco: la vetta, come dissi, è partita in due distinte
-prominenze, l’una dall’altra distante di circa trecento
-metri; questa che sogguarda al Lario segna il principio
-dell’Italia; quella che al Ceresio segna il principio
-della Svizzera. Su quest’ultima veggonsi gli avanzi di
-un segnale trigonometrico che servì per la triangolazione
-iniziata dagli astronomi ai tempi del primo regno
-d’Italia.
-</p>
-
-<p>
-Qui posiamo, esclama pure il Lavizzari, sotto il cielo
-di Dante, di Colombo, di Leonardo, di Raffaello, di Galileo;
-<span class="pagenum" id="Page_37">[37]</span>
-qui viviamo sul suolo di Lutero, di Haller, di Rousseau,
-di Bernouilli, di Saussure. Qui l’anello delle due
-nazioni; qui la terra dei vulcani tocca la terra dei
-ghiacciai; qui cessano i lauri, i mirti; qui incominciano
-i licheni, gli abeti; qui la rosa delle Alpi si intreccia
-colla peonia peregrina; qui il ranuncolo glaciale s’annoda
-alla silena insubrica; qui infine la flora del Mediterraneo
-si sposa alla flora germanica.
-</p>
-
-<p>
-Girate ora lentamente lo sguardo all’intorno del vastissimo
-orizzonte. Da questa parte, che direi italiana,
-voi vedete dalle montagne della Valtellina, giù giù,
-seguendo la linea del lago di Como, tutta la lunga sequela
-di quelle, verdeggianti per lo più, che costituiscono
-l’ultimo contrafforto delle Alpi, e dietro le altre
-sul cui pendio s’adagia Bellagio e più giù la Pliniana,
-il Moncodine o Grigna, il Monte Campione ed il Monte
-Serada o, come più popolarmente è detto, il Resegone,
-onorato di mirabile descrizione da Manzoni.
-</p>
-
-<p>
-Pervenuto il vostro occhio alla città dei Plinii e di
-Volta, più in là sospingendolo, per una infinita serie
-di punti biancheggianti, che sono altrettanti paesi, vi
-trovate a Monza, quindi a Milano, subito di essa avvertiti
-dalla freccia ardita dell’aguglia principale del suo
-Duomo; indi vi si presenta la valle del Po e nel fondo
-l’azzurra linea degli Appennini. Convergete la pupilla a
-destra e vedrete Varese, Arona, Novara, Torino: Crema,
-Cremona e Vigevano le vedrete del pari al manco
-lato, o in direzione su per giù di Milano.
-</p>
-
-<p>
-Poi, a sfondo di quella ove avete distinta Torino, vedete
-le cime del Rosa e del Bianco incoronati di perpetui
-geli, il Monviso, il Cenisio, l’Ortlerspitz, il Mischabel,
-<span class="pagenum" id="Page_38">[38]</span>
-il Pizzo della Bernina, lo Spluga, il Medelser, il
-Lucmagno, il Gottardo, il Galenstock, il Wetterhorn,
-il Fünsteraarhorn, l’Eiger, il Mönch, la Jungfrau, il
-Bietschœrner, l’Aletschkorn, il Fletschorner, il Mittagshorn,
-il Weissmies, il Cervino, il Winterberg ed altri
-moltissimi, che dalla vetta di questo Generoso vide e
-nominò quel rinomato naturalista che è G. Studer, nel
-suo <i>Panorama des Alpes</i>, disegnato sullo stesso nel 23
-settembre 1869, e che io sono lieto di possedere.
-</p>
-
-<p>
-Verso ponente poi la vista riesce per avventura più
-pittoresca, dominando sulla vasta regione montuosa che
-dalla Val Sássina si stende alla Val Cavargna, scorgendovisi
-l’estremità del lago di Lugano col villaggio
-di Porlezza, un breve tratto di quel di Como verso
-Bellagio, e belle ondulazioni di monti, e vallate disseminate
-di villaggi, di prati e di boschi, coi più graziosi
-contrasti di luce e d’ombra, da innamorare un
-pittore.
-</p>
-
-<p>
-L’intrepido passeggiero, dove il voglia, potrà nel suo
-soggiorno sul Generoso pigliarsi un bel dì lo spasso di
-scendere dalla sua vetta alla Vall’Intelvi, prendendo
-il sentiero che mena ad Orimento, indi a San Fedele o a
-Castiglione in due ore e mezza; da dove potrà andare
-per San Fedele e Luino ad Osteno, che si specchia nelle
-onde del Ceresio, oppure per Dizzasco ad Argegno, che
-si specchia in quelle del Lario.
-</p>
-
-<p>
-Ma noi dobbiamo rifare la nostra strada, riedere all’albergo
-del dottor Pasta, dove le cavalcature ci attendono
-per ridiscendere a Mendrisio.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_39">[39]</span>
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-E poichè siam di nuovo all’<i>Albergo di Mendrisio</i> del
-signor Bernardino Pasta, ch’era una vera necessità per
-questa grossa borgata (la quale vi rammenta la <i>Gismonda</i>
-di Silvio Pellico), le lautezze che offre e le comodità
-che lo fanno raccomandatissimo ai <i>touristes</i>,
-v’invogliano certo a fermarvi una o più giornate.
-</p>
-
-<p>
-Nè vi troverete pentiti, da che le vicinanze hanno
-non dubbie attrattive per chi a viaggi od anco alle
-escursioni di piacere non pone scopo il materiale diletto
-soltanto, ma la ricreazione dello spirito eziandio.
-</p>
-
-<p>
-A coloro che di quest’ultima sono poco curanti e
-preferiscono il primo, additerò le rinomate cantine di
-Mendrisio stesso, e avanti tutte quella che si denomina
-il Crotto del monte Generoso, e il buon vino parrà
-loro migliore per la vaghezza del luogo.
-</p>
-
-<p>
-Agli altri indicherò visitare dapprima l’Ospizio di
-Mendrisio stesso, aperto agli infermi del Canton Ticino,
-giusta il volere del suo fondatore, il conte Alfonso Turconi.
-Quivi ammireranno un pregevolissimo bassorilievo
-in istucco dello scultore Pietro Bernasconi, e una statua
-rappresentante il Turconi medesimo, alla lode della
-quale basta pronunziare il nome del suo autore: Vincenzo
-Vela. — <i>Tanto nomini nullum par elogium!</i>
-</p>
-
-<p>
-E poichè v’ho proferito il suo nome, come non visitarne
-l’elegante edificio, o villa, in Ligornetto, che sta
-a mezz’ora da Mendrisio e sorge in piccola eminenza
-tutto recinto da giardini, e dove quell’egregio si ritrasse
-<span class="pagenum" id="Page_40">[40]</span>
-troppo presto ad onorato riposo? La cupola che si eleva
-nel mezzo piove la luce sull’ampio locale, dove l’illustre
-artefice raccolse i modelli delle opere principali
-sue, che il resero così illustre, da divider egli meritamente
-col toscano Dupré lo scettro della italiana
-scultura.
-</p>
-
-<p>
-Poi potrete visitare le cave de’ marmi di Arzo, che
-sono di un rosso variegato, e le acque solforose di Stabio
-efficacissime e che solo han d’uopo d’avere decenti
-stabilimenti che le ministrino, per conseguire fama ed
-affluenza maggiori; e finalmente la storica chiesa di
-San Pietro presso Castello, che dista pure non più di
-mezz’ora da Mendrisio.
-</p>
-
-<p>
-La rinomanza della chiesuola non è soltanto per la
-bella vista che vi si gode di parecchie terre svizzere e
-lombarde, ma altresì per un’orrenda strage avvenutavi
-in que’ miserevoli tempi che ardevano le ire fratricide
-de’ Guelfi e de’ Ghibellini.
-</p>
-
-<p>
-Gli è un soggetto da romanzo, e però chiuderò la
-passeggiata nostra, col toglierla di netto dal Lavizzari
-e ripetervela adesso.
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-L’avo dell’illustre letterato Virunio Pontico della famiglia
-dei Busioni di Mendrisio, era Pietro, uomo d’alto
-affare; e Margherita sua moglie era ornamento delle
-donne de’ suoi tempi. La loro figlia Lavinia colla rara
-sua bellezza destava tale ammirazione, che vedevasi costretta
-ad evitare il pubblico sguardo. Invaghitosi perdutamente
-<span class="pagenum" id="Page_41">[41]</span>
-di costei il ghibellino Vizzardo Rusca, dimandolla
-sposa, rinunciando alla dote, e offrendosi non solo
-alla pace, ma ad imbrandire le armi contro i nemici della
-famiglia di lei. La supplichevole inchiesta fu negata dai
-genitori; ma Vizzardo, non perdendo la speranza, e vagando
-di nottetempo al modo degli innamorati intorno
-alla dimora della fanciulla, udì una sera da una stanza
-terrena i genitori di Lavinia dire che avrebbero piuttosto
-strozzata colle mani loro la figlia, anzichè concederla
-sposa a Vizzardo. Questi, fremendo d’amore e di
-sdegno, diessi ad ordire il feroce disegno di esterminare
-tutta la nemica famiglia. Egli uccise nove figli di Pietro;
-ma non potè raggiungere Lavinia, che il padre aveva
-nascosta entro un sotterraneo, ove rimase finchè Vizzardo
-fu ucciso. Il costui cadavere fu trascinato sulla
-sepoltura dei nove innocenti e quivi lasciato in pasto
-alle fiere. Frattanto moriva il padre, il quale fu sepolto
-in marmoreo avello nella chiesa di San Sisinio alla
-Torre, sovra un poggio presso Mendrisio.
-</p>
-
-<p>
-I Ghibellini andavano tessendo insidie a Giorgio, avvenente
-fanciullo, decimoquinto figlio di Pietro, e che
-fu poi padre di Virunio Pontico<a class="tag" id="tag7" href="#note7">[7]</a>; volevano farlo divorare
-dai mastini, che a tal uopo nutrivano. A Margherita
-riescì di celare il prediletto Giorgio ne’ suoi poderi
-<span class="pagenum" id="Page_42">[42]</span>
-di Besazio presso il monte San Giorgio. Ma nel tornarsene
-a casa l’afflitta e irrequieta donna, di nuovo corse indietro
-per rivedere il figlio, e non avendolo tantosto
-colà trovato, cadde svenuta, nè si riebbe se non quando
-il rivide. Diede allora al figlio molto denaro ed un gomitolo
-di refe (<i>marsupium pecuniarum auri et glomum
-rephi tradit</i>)<a class="tag" id="tag8" href="#note8">[8]</a>, comandandogli di fuggire tanto lungi che
-non udisse più il nome del suo paese. Giorgio recossi
-a Napoli; e mentre da parecchi anni viveva in molto
-favore della regina Giovanna, la madre, caduta in potere
-degli spietati nemici, veniva tratta da Mendrisio al
-castello di Capolago, e quivi sul lato sinistro della via
-crudelmente sospesa ad un’arbore. L’infelice Margherita,
-in procinto di morte, implorava contro gli uccisori
-de’ nove innocenti suoi figli un vendicatore. Udito l’orrendo
-fatto, Antonio, altro suo figlio, maggiore di Giorgio,
-radunò la sua fazione, e nella notte di Natale,
-entrato nella chiesa di San Pietro in Castello, trucidò
-uomini, donne, fanciulli ed il sacerdote all’altare; vi
-lasciò più di cento cadaveri. Questa inaudita strage
-avvenne nel 1390, quando già da dieci anni Antonio e
-Giorgio erano andati in lontano esilio. Lavinia, innocente
-causa di sì miserandi fatti, ricoveratasi a Belluno,
-ove il fratello Giorgio era capitano del presidio, si
-consacrò a vita claustrale e fu sepolta nella chiesa di
-<span class="pagenum" id="Page_43">[43]</span>
-San Francesco. Antonio, andando peregrino al Santo
-Sepolcro per espiare, secondo l’uso de’ tempi, i suoi delitti,
-perì in mare.
-</p>
-
-<hr class="tbs" />
-
-<p>
-Compiuta così questa gioconda camminata, rifacciamo
-ora la strada e riconduciamoci, piena l’anima
-di sì svariate impressioni, a Como; nè più deviamo
-quindinnanzi dal proposito delle nostre escursioni per
-le sole terre dal Lario e per quelle dall’Éupili bagnate.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_45">[45]</span></p>
-
-<h2 id="esc3">ESCURSIONE TERZA.
-<span class="smaller">IL NINO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del Mago. — Le ville
-Castiglioni, Sessa, Pertusati e Cornaggia. — Villa Angiolini. — Villa
-Rattazzi. — U. Rattazzi e Maria Bonaparte Wyse. — Villa Pedraglio. — Le
-ville Trubetzkoi, Ricordi e Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La
-villa Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio
-di Blevio. — Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, Vigoni
-e Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — Il Nino.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Dovrei dedicare questa escursione, più che alla
-comune de’ miei lettori, a que’ beati gaudenti che si
-chiaman felici allora che hanno potuto snidare alcun
-luogo, in cui il buon vino, o la specialità di qualche
-intingolo o manicaretto li han solleticati. Essi vi danno
-una fama, una celebrità, che si conserva anche quando
-la ragione più non ne esista affatto.
-</p>
-
-<p>
-E i beati gaudenti intraprendono pellegrinaggi appositi
-per visitare queste stazioni epicuree: testimonio
-questo Nino, a cui traggono non soltanto i buongustai
-della vicina Como, ma e da’ paesi più alquanto lontani
-e perfin da Milano. Una bella giornata di primavera
-o d’estate, una festa, il ferragosto, deve essere consacrata
-<span class="pagenum" id="Page_46">[46]</span>
-a qualche baldoria che già abbia il suo principale
-obbiettivo nella tavola e più ancora nel buon vino? La
-brigata operaja di Milano o di Como per acclamazione
-elegge subito d’andare al Nino.
-</p>
-
-<p>
-Seguiamoli noi pure. Avremo noi di tal guisa occasione,
-più che di deliziarci del buon vino, di rapidamente
-percorrere le ville che sono sulla destra sponda
-del lago infino alle sette città di Blevio, che così designansi
-per celia quelle frazioni d’un unico villaggio che
-si sparpagliano sul monte, infino a quella punta sporgente,
-che con quella che ha di fronte, e che denominasi
-del Pizzo, accenna al fine del primo bacino del
-lago, il quale si viene ripartendo in tanti bacini, tutti
-aventi peculiari bellezze, qual più vasto, qual meno.
-</p>
-
-<p>
-Pigliam la barca pertanto, e il nostro uomo costeggi
-pur lentamente questa sponda, su cui poggia il Nino;
-chè pria di giugnervi, avremo a parlar di più cose.
-</p>
-
-<p>
-E poichè ci siamo, vedete là su in alto del monte il
-paesello di Brunate. A me che amo raccogliere le leggende
-popolari, come ad un geologo balzerebbe il cuore
-di gioja alla scoperta d’un petrefatto, o ad un numismatico
-il ritrovare una medaglia antica, non è possibile
-passar oltre senza narrarvi che lassù raccontino le comari,
-come la figliuola di un possente re d’Inghilterra,
-a cui fanno il nome di Guglielmina, avesse un bel dì
-(l’epoca però non sanno e tutt’al più se ne sbarazzano
-colla frase d’uso: <i>ne’ tempi antichi</i>) a fuggire dalla reggia
-di suo padre, e per farvi vita santa ricoverasse
-a Brunate e vi morisse poscia in odore di santità. E
-la pia leggenda ha sì fonde le radici, che le madri alle
-quali il latte faccia difetto, la invocano protettrice.
-<span class="pagenum" id="Page_47">[47]</span>
-Quale poi sia la relazione che corra fra la santa giovinetta
-ed il latte, nè esse lo sanno dire, nè m’accingo
-a indovinarlo.
-</p>
-
-<p>
-Alla falda del monte v’è la Grotta del Mago che
-potrebbesi visitare, costituita di banchi calcarei che
-s’incavernano; ma siccome non mi fu detto perchè
-mai così con nome di mistero nominata, voghiamo
-avanti.
-</p>
-
-<p>
-Qui appena usciti dalla cinta del nuovo porto — il
-quale, se risponde forse meglio al bisogno cittadino e
-varrà fors’anco a infrenare certe piene che in passato
-troppo spesso han nuociuto alla parte di Como
-che si curva intorno al lago, certo poi le ha rapito anche
-parte della vista del lago stesso, e il discapito mi
-par grande —, passato il borgo di Sant’Agostino, incominciano
-le ville.
-</p>
-
-<p>
-E prima la Castiglioni, indi la Sessa, poi la Pertusati;
-e questa che s’avanza sul promontorio detto di Geno
-è la villa dei Marchesi Cornaggia, dove un giorno era
-un convento di Umiliati, che durò dal 1225 al 1516,
-tramutatosi poi in lazzaretto pei colpiti dalla peste,
-onde fu travagliata non solo Como, ma Lombardia tutta
-sul finir del secolo XVI.
-</p>
-
-<p>
-Svolta la punta di Geno, si nicchia, come in un
-angolo che fa il monte, la villa Angiolini; ma più in
-vista vi tien dietro quella che assume il nome da quell’eminente
-uomo di Stato che è il commendatore Urbano
-Rattazzi, a cui ingiustamente tiene Lombardia il
-broncio per averle estese sollecitamente quelle leggi
-amministrative che aveva il Piemonte e che le sarebbero
-pervenute egualmente più tardi, se non dovevano essere
-<span class="pagenum" id="Page_48">[48]</span>
-un’irrisione il patto dello Statuto patrio che vuol
-la legge eguale per tutti e l’unità nazionale; senza
-aggiungere che taluno de’ lombardi deputati d’allora
-avesse fatto nel Parlamento suonare alta la voce che,
-fossero state anche ottime le leggi austriache che si
-avevano prima, per ciò solo si dovessero mutare. Il più
-liberale di quanti ministri ebbero Piemonte ed Italia,
-è sventura che scribivendoli piovutici in Milano, e impossessatisi
-de’ nostri giornali, abbiano potuto sostituirne
-l’opinione e, facendo la storia a loro talento,
-avessero a presentare questo illustre personaggio, dal
-cuore pari allo ingegno eccellente, poco men d’un nemico
-del paese. Il tempo che non è così grullo e che
-non giura nelle parole di questi sicofanti, farà la giustizia.
-</p>
-
-<p>
-È in questa leggiadra casina che Maria Bonaparte
-Wyse, bella e colta consorte sua, e fra le più riputate
-scrittrici francesi, dettò le più lodate pagine della sua
-<i>Louise de Kelner</i>, in cui tanta parte è trasfusa delle
-amarezze, onde l’anima sua generosa venne dagli stolti
-abbeverata.
-</p>
-
-<p>
-Se recinto da maggiori simpatie, alle quali avrebbe
-avuto diritto Urbano Rattazzi, nella quiete di codesta
-sua villa, dopo le lotte parlamentari e le cure di Stato,
-vi sarebbe più frequente venuto a ritemprare lo spirito
-e rinnovare le forze.
-</p>
-
-<p>
-Tien dietro, a poca distanza, la villa Pedraglio, e
-poi ci si affaccia il sospirato Nino.
-</p>
-
-<p>
-Diamovi gli ordini pel pranzo, indi proseguiamo a
-costeggiare questa sponda.
-</p>
-
-<p>
-Il principe Trubetzkoi, colle mine si preparò lo spazio
-<span class="pagenum" id="Page_49">[49]</span>
-entro la dura roccia del monte per rizzarvi un casino
-di stile nordico, onde colla più sciagurata freddura fu
-chiamato del principe <i>Turbascogli</i>; non è forse la postura
-più allegra ad una villa; l’arido sasso che incumbe
-non vi concede quella gajezza di pensiero, che tutta
-invece vi ispira la villa Mylius, che, se al vero non mi
-appongo, è tra le meglio intese del lago. Casa e giardino
-vi sono egregiamente distribuiti.
-</p>
-
-<p>
-Le ville Ricordi e Artaria hanno del pari i loro pregi:
-presso a queste era la villa Carena, ma un bel dì del
-novembre 1868 inabissò nelle ore meridiane, volendo
-fortuna che nessuno degli uomini che vi lavoravano
-perisse, perchè appena usciti. Fosse lezione ai molti
-che troppo spesso, ad ampliamento di loro possessi, invadono
-ciò che spetta al lago, il quale non attende a’
-loro comodi, ma viene il dì che si ripiglia i suoi diritti!
-</p>
-
-<p>
-Eccoci a Blevio.
-</p>
-
-<p>
-È paese alpestre che non mette conto di ascendere,
-da che le belle ville che adornan la sponda ci seducano
-meglio; a meno che non vogliate visitar quella che più
-su è dei signori Bocarmé e che dicono meritevole di
-vedersi, e la villa e vaghissimo giardino già Comton ed
-ora spettante al signor F. L. Lattuada, negoziante di
-Milano; o spingendosi ancora più su, noncuranti delle
-asprezze del cammino, non vi prenda curiosità di cercare
-il <i>Pertugio di Blevio</i>, lunga galleria orizzontale
-alta un braccio al più e occupata dalle acque colatizie
-della montagna. Se di siffatte naturali cose voi siete
-amanti, non lasciate allora di volgere la vostra attenzione
-all’altro speco, o spacco verticale, che da quegli
-alpigiani vien designato col nome di <i>Buco del Nasone</i>,
-<span class="pagenum" id="Page_50">[50]</span>
-opportunamente difeso da macigni onde non vi precipitino
-dentro gli armenti che vi pascolano vicino. Forse
-nel fondo di tale speco si potrebbero rinvenire fossili,
-se fosse possibile di praticarvi indagini.
-</p>
-
-<p>
-Presso alla chiesa parrocchiale di Blevio è la villa
-di quella famosa danzatrice che fu Maria Taglioni, la
-quale, fabbricandola, sperò passarvi gli ozî dell’età
-matura, quivi pascendosi delle floride memorie che le
-avrebbero richiamate le corone d’alloro, i ritratti e
-tante altre opime spoglie de’ suoi teatrali trionfi, che
-qui depose. Ma la fortuna, bizzarra e spesso crudele
-iddia, volle disporre altrimenti.
-</p>
-
-<p>
-Così chi avrebbe detto al principe Schuwaloff, che vi
-eresse vicino una graziosa villa con architettura russa,
-che di essa, come d’ogni altra pompa e commodità
-mondana, sarebbe stato sì presto schivo, e colla religione
-greca de’ suoi padri, l’avesse ad abbandonare
-per rendersi barnabita in Milano, e poscia in Parigi,
-ove scrisse <i>La mia conversione e la mia vocazione</i>, ivi
-morendo nel 1859?.... Legata egli questa sua villa
-del lago a’ suoi compagni di religione, veniva da essi
-venduta a quel dotto intelletto di donna che fu Cristina
-Trivulzio principessa di Belgiojoso, autrice di lodate
-opere dettate nell’idioma francese, e spentasi
-soltanto nel passato anno 1871. Ora toccò la villa in
-eredità alla figlia Maria maritata al marchese Trotti.
-</p>
-
-<p>
-Tengon dietro le ville Belvedere Vigoni e la Sparks,
-questa d’architettura svizzera; ambe leggiadre, e con
-peculiari caratteristiche che le rendono interessanti allo
-spettatore.
-</p>
-
-<p>
-Un’altra villa succede, che ricorda pure entusiasmi
-<span class="pagenum" id="Page_51">[51]</span>
-teatrali: La Roda è detta e fu di quella grande artista
-cantante che si nomò Giuditta Pasta. Apparteneva prima
-a madama Ribier, la crestaja che a Milano fu ricerca
-da tutto il mondo elegante e accumulò gran fortuna.
-Venuta poi alle mani della celebre cantante, per la
-quale Bellini scrisse la <i>Norma</i> e la <i>Sonnambula</i>, cioè i
-suoi insuperati capolavori musicali, la ampliò d’assai,
-vi fabbricò, vi dispose giardini ed ombre, e fino a certo
-tempo vi accolse anche ospiti e amici, fra cui sovente
-quella gentile e rinomata poetessa che fu Adele Curti,
-troppo presto rapita alle lettere, e troppo presto e ingiustamente
-dimenticata, anche da chi ipocritamente
-si scagliò su colui che fu creduto averne con offesa
-d’amore accelerato il fine, su colui che invece non ha
-cessato ancora d’amarla, testimonî questi versi, che di
-lui si leggono stampati sulla strenna edita in Napoli,
-intitolata <i>Il Vesuvio</i>, a scopo di beneficenza, e dettati
-ventiquattro anni dopo quella immatura morte.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Sovente l’ora quando è fatta bruna,</p>
-<p class="i02"> A te pensando che ogni dì più adoro,</p>
-<p class="i02"> Io chieggo ai raggi dell’argentea luna,</p>
-<p class="i02"> Se il tuo bel peplo è della luce loro.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ed alle stelle che la notte aduna,</p>
-<p class="i02"> Se son le gemme del tuo serto d’oro,</p>
-<p class="i02"> E se dal ciel se ne dispicca alcuna,</p>
-<p class="i02"> Io tremo e quasi per dolcezza moro.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Chè penso allor che tu fedel mantenga</p>
-<p class="i02"> Quella promessa che mi festi pia,</p>
-<p class="i02"> E che ti prego dal Signor m’ottenga.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">E che la stella fuggitiva sia</p>
-<p class="i02"> L’anima tua, che dall’empireo venga</p>
-<p class="i02"> A raccoglier la stanca anima mia.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_52">[52]</span>
-</p>
-
-<p>
-Giuditta Pasta in questi suoi diletti recessi della
-Roda trascorse i suoi anni provetti, ma afflitti però
-da domestici lutti. Ella anche vi morì. Un suo busto,
-opera egregia dello scalpello del milanese Antonio Tantardini,
-fu da’ Comensi collocato nel loro casino.
-</p>
-
-<p>
-Ma l’ora del pranzo ci richiama al Nino.
-</p>
-
-<p>
-La mensa, noi, stando in barca, la vediamo apparecchiata
-sotto un pergolato che dà sul lago; così al diletto
-dei cibi avrem congiunto quello non meno grato
-della vista.
-</p>
-
-<p>
-Risparmio la descrizione del Nino: è un’osteria, un
-<i>restaurant</i>, quel che volete chiamarlo, di volgare architettura
-a cui chi giunge non fa attenzione. Vi si sbarca,
-si pon piede su d’un terrazzo, dove son disposte
-tavole per chi vi mangerà o beverà; v’è buona cucina,
-v’è buona cantina; chi ci viene, lo sa, se ne approfitta;
-nè parte, come da tanti altri luoghi, disilluso.
-</p>
-
-<p>
-D’altre specialità, che non sieno brigate, canti, giuochi
-alla morra, suoni di qualche menestrello che capita
-da Como, non vi saprei dire veramente.
-</p>
-
-<p>
-Il Nino è il ritrovo della buona classe borghese,
-per definirlo in due parole; come per la <i>haute volée</i> è
-l’albergo della Regina d’Inghilterra, che sta alquanto
-più in su nella sponda opposta, ed al quale riserbo condurre
-il lettore in una prossima escursione.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-052b"></a>
- <img src="images/ill-052b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Villa Raimondi.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_53">[53]</span></p>
-
-<h2 id="esc4">ESCURSIONE QUARTA.
-<span class="smaller">L’OLMO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa Barbò. — Il
-Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — Villa Saporiti, già
-Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. — Palazzo Resta. — Ville
-Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, Belgiojoso, D’Adda e Pisa. — Villa
-Mondolfo. — L’Olmo del marchese Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio
-il Giovane.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-La meta di questa escursione è pel contrario un cotal
-po’ aristocratica. Non prometto ai lettori di condurli
-alla scoperta d’un <i>Crotto</i>, o di qualche elegante albergo:
-la nostra passeggiata non va che di pochi passi fuor del
-sobborgo Vico, che si distende sulla destra sponda del
-lago, il qual può dirsi in questo suo primo bacino una
-serie non interrotta di ville, che si riflettono con femminile
-civetteria nelle onde.
-</p>
-
-<p>
-Ci basti all’uopo noleggiare un burchiello, e così,
-toccando appena dei remi, farlo avanzare lentamente.
-Nè vi darò l’incomodo di scendere ad ogni tratto, chè
-mi sento d’informarvi d’ogni cosa interessante rimanendo
-in barca seduti.
-</p>
-
-<p>
-Quel filare di piante è il pubblico passeggio della
-città; più dietro e per la via che vi fu praticata forse
-<span class="pagenum" id="Page_54">[54]</span>
-trent’anni fa, si ascende a S. Fermo dove ne’ primi di
-giugno 1859 audacemente i volontarî di Garibaldi attaccarono
-gli austriaci di Urban e li ruppero con prodigi
-infiniti di valore.
-</p>
-
-<p>
-Dopo la chiesa di S. Giorgio, che precede al pubblico passeggio,
-incomincia il Borgo Vico e con esso la villa dei
-marchesi Barbò da Soresina, dove un giorno sorse la
-celebre villa denominata il Museo del già ricordato
-Paolo Giovio, vescovo di Nocera, che, a’ suoi giorni,
-aveva il poco invidiabile coraggio di altamente proclamare
-aver egli a propria disposizione due penne, l’una
-d’oro per chi ben lo pagava, di ferro l’altra per chi
-ciò non faceva: su per giù del resto il mal vezzo di
-certi giornalisti d’oggidì di mia conoscenza, che senza
-quel coraggio di dirlo, han tuttavia quell’altro di farlo.
-Or bene il Giovio, lo <i>storicone altissimo</i> dell’Aretino, in
-quella sua villa accumulato aveva quante preziosità potè
-racimolare, sia per doni avuti spontaneamente, sia per
-premi imposti e ricatti. Nella prefazione alle sue opere
-<i>Ritratti d’uomini illustri</i> ne fece una lunga descrizione,
-che, comunque interessante, risparmio al lettore, del
-quale debbo già di troppo esercitar la pazienza col narrargli
-delle ville che sussistono realmente adesso. L’abate
-Gallio demolì nel 1616 il Museo, e la villa che ne
-sorse sulle rovine si chiamò la Gallia, che ultimò il
-marchese Fossani, ed ha buone pitture del Morazzone
-e del Bianchi.
-</p>
-
-<p>
-Segue la villa Saporiti, che un dì apparteneva ai
-marchesi Villani e figurò allora nel processo intentatosi
-a Londra contro Carlotta di Brunswick, regina d’Inghilterra,
-del quale dirò parte a parte nella ventura
-<span class="pagenum" id="Page_55">[55]</span>
-escursione, e narra Cesare Cantù che vi alloggiasse
-nel 1797 il generale Bonaparte, prescelta per l’eleganza
-del suo ammobigliamento, e che ai deputati di
-Como che gli si erano presentati, porgesse franche assicurazioni
-che non sarebbero ni francesi, ni tedeschi,
-ma italiani. Dopo i Villani ebbero la villa i Battaglia.
-</p>
-
-<p>
-Sul terreno della Badia di Vico fu eretto il palazzo
-dei conti Resta; più indietro è la villetta elegante dei
-conti Salazar; ancora lungo il lago sorge quella de’ Bellotti;
-poi quella de’ nobili Mancini, dei conti Belgiojoso,
-dei marchesi Brivio, de’ marchesi D’Adda, del banchiere
-Pisa, e finalmente del conte Sebastiano Mondolfo, che
-coll’orgoglio legittimo consentito dal merito, giusta il
-concetto d’Orazio, <i>sume superbiam quæsitam meritis</i>,
-può come il romano Oratore vantarsi incominciare da
-sè la nobiltà. Colle ingenti somme da lui consacrate a
-scopi di beneficenza, coll’ajutare nazionali imprese, egli,
-triestino, s’è conquistato la cittadinanza milanese e la
-benemerenza nostra.
-</p>
-
-<p>
-In questa sua villa, che siede sulle rive ridenti del
-Lario, trovò nell’acquisto un prezioso e grandioso dipinto
-del pittor Bossi, rappresentante l’ingresso del
-general Pino in Milano da Porta Romana alla testa
-dell’armata italiana reduce dalle campagne napoleoniche
-del nord. Interessantissimo riesce principalmente
-un tal quadro per tutte le foggie di vestir popolare che
-vi si riscontrano nelle molteplici figure che lo popolano,
-e più ancora per i ritratti dei principali personaggi che
-vi sono rappresentati. Vi si ammirano altresì quattro
-pregevolissimi acquerelli del Migliara, resi ancora più
-interessanti, perchè istoriati da quattro diversi episodî
-<span class="pagenum" id="Page_56">[56]</span>
-di quel tristissimo tumulto che finì coll’eccidio dell’infelice
-ministro Prina, onde si bruttò la storia della
-mia città.
-</p>
-
-<p>
-E così eccoci giunti ora alla meta della nostra
-odierna escursione: all’Olmo.
-</p>
-
-<p>
-Possiamo lasciare la barca.
-</p>
-
-<p>
-Codesta villeggiatura, veramente principesca, oscura
-tutte le altre in grandiosità e ricchezza. Anche la villa
-che su questa dell’Olmo o ben presso sorgeva, a’ tempi
-di Plinio, ed era di Caninio Rufo, non era di certo
-inferiore, se non all’odierna grandiosità, certo alla sua
-amenità e vaghezza; e poichè mi son proposto di ricordare
-storici fatti e tradizioni che si collegano a queste
-ville lariane, mi si permetta che io qui trascriva il
-brano di Plinio il Giovane<a class="tag" id="tag9" href="#note9">[9]</a>, nel quale l’amico Caninio
-Rufo intrattiene di questa sua villa:
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p class="center">
-“C. Plinio a Caninio Rufo.
-</p>
-
-<p>
-„Che fa Como, tua e mia delizia? Che quell’amenissima
-tua villetta? che quel portico, dove è sempre
-primavera? Che quell’ombroso boschetto di platani?
-Che quel verde e lucidissimo canale? Che quel sottoposto
-ed util lago? Che quel molle e pur saldo stradon
-gestatorio? Che quel bagno tutto quanto riempito e
-circondato di sole? Che quel tinello per molti e l’altro
-per pochi? Che le stanze da giorno e quelle da notte?
-Ti godi forse a vicenda or le une or le altre? O, come
-<span class="pagenum" id="Page_57">[57]</span>
-îl solito, ne sei distolto da frequenti corse, a fine di
-attendere a’ tuoi negozi? Se tu ne godi, sei felice e
-beato; non sei che volgo se ne fai senza.„
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Distrutta, non si sa come nè quando, la villetta di
-Caninio Rufo, ora questa più vasta vi sorge, che dicesi
-dell’Olmo. La fabbricò il marchese Innocenzo
-Odescalchi di Como su’ disegni di quell’illustre architetto
-ticinese che fu Simone Cantoni<a class="tag" id="tag10" href="#note10">[10]</a>, vi profuse
-stucchi, dorature, specchi e dipinti. V’è in una sala
-una gran fascia di figure scolpite da quell’emulo di
-Canova che fu Thorwaldsen, e vi sono mille altre preziose
-cose d’arte.
-</p>
-
-<p>
-Toccò questa villa in eredità al marchese Giorgio
-Raimondi, che generosissimo vi menò lungo tempo la
-vita; ma dopo le sventure toccate alla insurrezione
-nostra del 1848, fra le proprietà sequestrate dalla
-stoltezza de’ proconsoli austriaci, questa fu pure dell’Olmo,
-che, a sommo dispregio delle cose nostre e in
-odio del Raimondi, le dorate sale convertirono in caserma,
-e sallo Iddio di qual modo conciassero tutte
-quelle preziosità.
-</p>
-
-<p>
-Sciolti dopo i sequestri, di tanti guasti stomacato
-forse il marchese Raimondi, piacendosi d’altre sue comode
-e non profanate villeggiature, questa più non curò
-e, se la voce non erra, non ricuserebbe dallo spropriarsene.
-</p>
-
-<p>
-Qualche regnante o gran ricco che aspiri a trovarsi
-<span class="pagenum" id="Page_58">[58]</span>
-lungo il Lario una delizia — poichè nella amenità di
-queste terre e di queste acque si danno convegni principi
-e ricchi d’ogni nazione —, vi troverebbe alla villeggiatura
-dell’Olmo il suo conto, e la villeggiatura dell’Olmo
-ritornar potrebbe tuttavia a’ suoi giorni di
-prosperità e splendore.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_59">[59]</span></p>
-
-<h2 id="esc5">ESCURSIONE QUINTA.
-<span class="smaller">IL PERTUGIO DELLA VOLPE.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il Sarizzo. — Grotte
-e caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La Zuccotta e I Tre Simili. — Il
-signor G. B. Brambilla. — Villa Caprera del signor Loria. — La
-Tavernola e l’Albergo. — Villa Gonzales. — Il capitano De Cristoforis. — La
-Villa Bignami. — La Villa Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il
-Bisbino. — Il Pertugio della Volpe. — Marmi e pietre.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Alla campagna, non è sempre a paesi, a mercati, a
-ville che si ami, a ragion di piacevole passeggiata, andare;
-ma assai spesso ben anco a cert’altri luoghi, dove
-o la natura li rese interessanti, o la loro postura concede
-che si godano panorami od estesi orizzonti. Nè
-sono cotali escursioni le meno piacevoli, anzi il più
-spesso sono quelle che divertono meglio. Il lago di
-Como e il Pian d’Erba, che noi dobbiamo percorrere
-allegramente insieme, ti presentano, amico lettore,
-molti e amenissimi punti di tal fatta, che saran certo
-anche per te deliziose mete a gite, a refezioni allegre,
-come lo sono per tanti.
-</p>
-
-<p>
-D’ordinario infatti vi si va recando il necessario per
-la colazione: è così buono anche il più semplice companatico
-quando è ammanito dall’appetito, reso più acuto
-<span class="pagenum" id="Page_60">[60]</span>
-dal lungo cammino fatto a piedi o sul dosso di qualche
-mulo o asinello, e dalla fresca brezza che spira
-sempre dalle frondose selvette, onde si vestono le nostre
-colline, i nostri monti. E quelle chiare, dolci e
-fresche linfe che scaturiscono improvvise dai massi, e,
-formantisi in rivoletti, scendono così seducenti di balza
-in balza, che t’invitano a gustarle o nel palmo della
-mano, o alla foggia dei biblici soldati di Gedeone, o
-nella barchettina di cuojo.
-</p>
-
-<p>
-Qui lungo il lago di Como avviene che nelle corse
-montane che si fanno si trovino altre curiosità, che,
-anche senza essere geologi e naturalisti, richiamano
-l’attenzione; quali, a mo’ d’esempio, enormi massi o
-trovanti di granito, staccati dal monte e per nulla
-aventi a fare colla natura della roccia di esso. Celebre
-è quello, a cagion d’esempio, che scorgesi a sinistra
-del lago sull’alpe di S. Primo e che molti traggono a
-vedere, e quelli che vedremo sul monte che sovrasta a
-Blevio. La presenza di tali trovanti ci attesta de’ cataclismi
-avvenuti, come i fossili e le conchiglie, che su
-per le vette di queste Prealpi si trovano, ne lascian
-credere che veramente un giorno fosse questa nostra
-Lombardia tutta quanta un mare.
-</p>
-
-<p>
-Ma di secoli da quel tempo devono essere trascorsi
-a centinaja.
-</p>
-
-<p>
-Diffatti massi erratici si sfruttano dall’industria per
-fabbriche, e in commercio si conoscono sotto il nome
-di sarizzo; tanto l’uomo sa trar profitto di tutto!
-</p>
-
-<p>
-Richiamano altresì l’attenzione e de’ geologi e dei
-profani certe grotte e pozzi e caverne che si trovano,
-come il Pertugio detto della volpe, al quale è diretta
-<span class="pagenum" id="Page_61">[61]</span>
-la nostra peregrinazione odierna; il Buco di Blevio e
-quello appellato del Nasone che gli stanno rimpetto;
-quello dell’Orso su Torrigia, a cui pure ne ho destinata
-un’altra; e la Grotta della Masera sopra Careno
-e Premenù sopra Pognana, e il Buco della Nicolina e
-quello di Vallombria sovra il piano del Tivano, dove
-pure condurrò più avanti il lettore, e la Tana Selvatica
-sopra Grandola in Val Menaggio e Biancamonda sopra
-Villeso, per non dir di tutte.
-</p>
-
-<p>
-E siccome mi piace serbare un po’ d’ordine in queste
-nostre escursioni, e far in modo che nulla sfugga
-alla nostra osservazione (s’intende nulla del meglio),
-così, rammentandomi che siam rimasti alla villa del
-marchese Raimondi, denominata l’Olmo, passiamo in
-rassegna le graziose e ricche ville che si vengono succedendo:
-ci parrà più corta la via, per giungere al
-Pertugio.
-</p>
-
-<p>
-Se vi pare di variare, qui potete farne senza della
-barca; perocchè è una buona via abbastanza larga per
-trascorrervi la carrozza e farvi pure lo scambio con
-quell’altra che le venisse incontro per ricondurvi al
-sentiero che si sale alla montagna. Io per altro ho
-promesso di accennarvi a tutte queste leggiadre casine
-che si specchiano come vaghe odalische nel lago, e tiro
-dritto in barca.
-</p>
-
-<p>
-La prima che s’incontra è il Grumello, villa ora
-del genovese banchiere Celesia, ma che prima fu dei
-Gallio e poi de’ Giovi. Ha vicino la sua darsena, come,
-quale in un modo, quale in un altro, l’hanno tutte;
-perocchè aver la villa lungo il lago e non possedere
-la sua lancia, o la gondola, o il canotto, o il piccino ed
-<span class="pagenum" id="Page_62">[62]</span>
-agile sandolino che sfiora appena l’acqua, è quanto non
-averla. La più parte delle passeggiate è sul lago, e
-sovr’esso si trascorre sempre al mattino, meno al meriggio,
-indispensabilmente prima o dopo il desinare.
-Con taluna di queste snelle imbarcazioni si va al mercato
-di Como, si passa alla posta del paese a dare e
-ritirar le lettere, si rasenta la sponda o si traversa
-per le visite, si va incontro a’ piroscafi per vedervi i
-passeggieri, o per la sola voluttà di farsi cullare dalle
-grosse onde che nel moversi ne fan le ruote; si fanno
-infine le escursioni di piacere; insomma si san sempre
-trovare le occasioni d’essere in barca; così che possa
-dirsi, senza dare nell’iperbole, che gran parte della
-giornata la si passi sovra il lago.
-</p>
-
-<p>
-Eccovi questa villa che è al di là della strada: è la
-Zuccotta e appartiene al signor Giovan Battista Brambilla,
-banchiere di Milano. Innanzi ad essa sarei tratto
-a farvi un po’ di maldicenza, non a danno del suo ultimo
-possessore, ma a beneficio del suo antecessore,
-sempre nell’interesse della storia; ma preferisco rimandarvi
-a quel libretto divertentissimo che dettò
-quello svegliato ingegno di Defendente Sacchi, molti
-e molti anni fa, allorchè la Zuccotta era venuta alle
-mani di quel furbissimo abate che fu il professore
-Pietro Configliachi. Il libretto ha per titolo <i>I tre Simili</i>,
-e ci dice come qualmente la villa la Zuccotta,
-acquistata co’ danari d’una signora, rimanesse invece
-con mirabile artificio proprietà dello abate. L’è tutta
-una rappresentazione di prestidigitazione da disgradare
-Cagliostro. A’ tempi in cui usciva questa storia per le
-stampe, gli Austriaci erano qui nell’apogeo della loro
-<span class="pagenum" id="Page_63">[63]</span>
-dominazione; epperò dovette stamparsi alla macchia e
-passarsi dall’uno all’altro, quasi un numero rivoluzionario
-della <i>Giovine Italia</i>.
-</p>
-
-<p>
-Questa villa era stata edificata dai signori Volpi; il
-Configliachi, da uomo di sottile ingegno, ne l’aveva di
-molto abbellita; ma chi la ridusse alla vaghezza d’oggidì
-fu l’odierno proprietario di essa signor Brambilla,
-che elevandola fino al sommo della collina e occupando
-parte del Cereseto, che il Cantù dice <i>lodato per fichi
-squisiti</i>, la fece tra le migliori onde il lago si pompeggia.
-Quivi accolse oggetti di pittura e di scultura,
-e deve essere per lui di non poca soddisfazione nel vederli
-innanzi a sè, ripensare che ognun di essi rappresenta
-una commissione da lui data a questo o a quell’artista,
-e da lui data in tempo, quando cioè può
-valere altresì a beneficenza. Queste cose sono omai così
-poco e da’ pochi comprese, che rilevarle, per lo scrittore
-è un dovere.
-</p>
-
-<p>
-Più avanti il medesimo signor Brambilla, traendo
-partito da qualche spazio concessogli dal capriccioso
-lago, fabbricò un bellissimo palazzino, che, in omaggio
-al Titano d’Italia, intolò Caprera, e non è a dirsi come
-lo fornisse d’elegante suppellettile. L’una sola di queste
-ville oh come appagherebbe le aspirazioni di molti!
-Ora essa divenne proprietà del ricchissimo signor Loria,
-che la grande fortuna ammassata ne’ commerci in
-Egitto sfrutta degnamente fra noi. Il suo palazzo di
-Milano è tra le migliori e suntuose opere architettoniche
-del nostro tempo.
-</p>
-
-<p>
-Dalla Caprera alla Tavernola, già degli Stagnoli, ora
-di proprietario tedesco, non corrono che pochi passi.
-<span class="pagenum" id="Page_64">[64]</span>
-Quivi è facile trovare chi vi affitti, se bramate gustarvi
-gli ozî lacuali, molto più poi che ora vi si è stabilito
-un albergo. Il luogo è bello, comoda la casa, proprie
-le suppellettili, splendide le vicinanze. Non sarà certo
-inopportuna questa mia designazione. Essa venne architettata
-da quel valoroso che è il Tatti.
-</p>
-
-<p>
-La villa Gonzales vi succede. Sorge a testimonio di
-quanto possa l’ingegno anche sopra la nascita e l’educazione
-di convenzione. Il Gonzales, datosi agli appalti
-e fattosi più volte milionario, qui si aveva preparato
-deliziosissimi ozî e riposi dalle annuali fatiche. Spiegò
-il gusto de’ gran signori dalla natività: le sue allogazioni
-artistiche non sono state mai a casaccio, ma presiedute
-dalla intelligenza. Il Fasanotti, principe de’ nostri paesisti,
-della villa del Gonzales fece uno de’ soliti suoi capolavori.
-Fu l’onore allora della pubblica mostra di belle
-arti di Brera; ora lo è della superba casa del signor
-Gonzales. Fra gli altri molti oggetti d’arte che vi accolse,
-evvi il bellissimo Ismaele dello Strazza e un bel
-quadro di Sebastiano De Albertis, raffigurante la morte
-del capitano De Cristoforis, avvenuta nella fazione di
-S. Fermo già ricordata. Ma, tanta delizia, contro la
-comune aspettazione, ora da lui fu ceduta a ricco straniero;
-tanto è vero che l’uomo propone e Iddio dispone.
-</p>
-
-<p>
-Poi la villa Bignami, eseguita dietro disegno dell’architetto
-Clerichetti, e basta per dirla di buona architettura;
-e quindi la Cima, che deve la sua esistenza al
-generale Pino, di cui dissi già addietro e avrò a dire
-nella prossima escursione ancora. Fu in questa villa
-che quel famoso vi moriva nell’anno 1826.
-</p>
-
-<p>
-Dietro di queste ultime ville, al di là della strada
-<span class="pagenum" id="Page_65">[65]</span>
-carrozzabile, che ho già sopra ricordata, presso il torrente
-della Breggia, che passando nella Vall’Intelvi,
-viene presto a buttarsi nel lago, una graziosa villetta,
-che per me ha grandissimo valore, attrae il vostro
-sguardo. Tersicore vorrebbe esser detta, perocchè essa
-appartenga al suo più celebre sacerdote vivente, a Carlo
-Blasis vuo’ dire, che congiuntamente a quella somma
-artista che fu Annunziata Ramaccini, che gli è compagna,
-portò la R. scuola di perfezionamento di ballo
-di Milano a quell’altezza e fama che ognun sa. Nel
-Blasis l’insegnamento egregio non fu l’effetto soltanto
-delle tecniche nozioni apprese alla sua volta in giovinezza,
-ma il frutto altresì di quella coltura onde erudì
-lo spirito, e delle dottrine estetiche nelle quali è maestro
-e per le quali potè donare alle lettere e all’arte
-sua un preziosissimo <i>Manuale della danza</i>, un filosofico
-volume <i>Sull’uomo fisico intellettuale e morale</i>, e infinità
-d’altri lavori di scienza e di erudizione, che il resero
-l’indispensabile collaboratore di non so quanti giornali
-artistici italiani ed esteri.
-</p>
-
-<p>
-Mi conceda il lettore che io dedichi all’amico la
-versione d’un enfatico carme latino che il direttore del
-<i>Propagateur du Var</i>, Dario De Rossi, pubblicava in
-onore di lui. È sì raro che periodici francesi riconoscano
-il merito de’ nostri, che chi legge avrà caro che
-le pagine di prosa ora alterni con versi che sì onorevolmente
-testimoniano d’un nostro concittadino.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Non mai, se il dolce di Calliope labbro</p>
-<p class="i02"> Mi sorridesse, o da Polinnia il dotto</p>
-<p class="i02"> Artificio non fosse a me negato</p>
-<p class="i02"> De’ carmi, o pur se d’imitar col canto</p>
-<p class="i02"> Mi fosse Orfeo da pio destin concesso;</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_66">[66]</span></p>
-<p class="i02"> Non mai, Blasis, potria le tue virtudi</p>
-<p class="i02"> Degnamente narrar onde risplendi,</p>
-<p class="i02"> Siccome astro fulgente in sul creato.</p>
-<p class="i02"> A la palestra le solerti membra</p>
-<p class="i02"> Ad addestrar tu insegni, e tu la danza</p>
-<p class="i02"> Guidi ed al piede la cadenza, e il modo,</p>
-<p class="i02"> E la posa ed il gesto e ogni movenza,</p>
-<p class="i02"> Memore ancor dell’arte prisca, apprendi.</p>
-<p class="i01">Il diviso dall’orbe irto britanno,</p>
-<p class="i02"> Ammira e plaude; e quei che pria Colombo</p>
-<p class="i02"> Sotto l’ardente sol scopriva audace</p>
-<p class="i02"> Dopo acerbe fortune e l’aspra gente</p>
-<p class="i02"> Delle Esperidi e quei che del Sequano</p>
-<p class="i02"> Flutto nobil si fa, popol di Francia,</p>
-<p class="i02"> Inclito in armi e nel civil costume,</p>
-<p class="i02"> Blasis, dal genio tuo, da tanta altezza</p>
-<p class="i02"> Di tua mente commossi, al ciel la lode</p>
-<p class="i02"> Del tuo nome innalzar e della terra</p>
-<p class="i02"> Itala che ti fu larga nodrice</p>
-<p class="i02"> E della tua s’onora inclita fama.</p>
-<p class="i01">Te la Gloria sublima e il tuo sembiante</p>
-<p class="i02"> Ritrae nel marmo. — A che ricordo io mai</p>
-<p class="i02"> Queste povere cose? — Oh! non da meno</p>
-<p class="i02"> De’ più gagliardi ingegni, osasti primo</p>
-<p class="i02"> Tu dell’uomo indagar le meraviglie</p>
-<p class="i02"> Note appena ridir ed ogni moto</p>
-<p class="i02"> Dell’animo a che valga e i nostri petti,</p>
-<p class="i02"> L’abito di natura, onde agli offici</p>
-<p class="i02"> C’informiam della vita ed alle eccelse</p>
-<p class="i02"> Regioni ci estolle, o in giù trascina</p>
-<p class="i02"> E ci offusca le menti e il corpo solve;</p>
-<p class="i02"> Che mai possa la donna e quanto ingegno</p>
-<p class="i02"> E nelle membra sue vigore accolga;</p>
-<p class="i02"> Quali rifulgan per sapere e quali</p>
-<p class="i02"> Alla patria devoti emergan forti</p>
-<p class="i02"> Nelle battaglie eroi, o la lor vita</p>
-<p class="i02"> Abbian dell’Arti al sacro culto intesa.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_67">[67]</span></p>
-<p class="i01">Quanto fai, quanto scrivi, a te le menti</p>
-<p class="i02"> Concilia, o Carlo, e raddolcisce i petti</p>
-<p class="i02"> Ed è fama così che la prestanza</p>
-<p class="i02"> De’ tuoi modi squisiti abbia lasciati</p>
-<p class="i02"> Ricordevoli molti; al par di pianta</p>
-<p class="i02"> Che frondosa al venir di primavera</p>
-<p class="i02"> S’incorona di fiori e nell’estiva</p>
-<p class="i02"> Stagion pendon dai rami i dolci pomi.</p>
-<p class="i02"> Quivi de’ lor melodïosi canti</p>
-<p class="i02"> Empion l’aure gli augelli e qui per lungo</p>
-<p class="i02"> Cammino il vïator stanco riposa</p>
-<p class="i02"> E le forze a la fresca ombra rintegra.</p>
-<p class="i01">O dell’Italia onor, de la severa</p>
-<p class="i02"> Sofia decoro, lungamente vivi</p>
-<p class="i02"> All’arte e a’ tuoi, felice! e quando avrai</p>
-<p class="i02"> Grande e incolume i tuoi giorni compiuti,</p>
-<p class="i02"> Te Clio, te Euterpe e la virtù non morta</p>
-<p class="i02"> De la tua patria adducano immortale</p>
-<p class="i02"> Sovra nuvola ardente in grembo al cielo!</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma qui ne è forza balzar dalla barca e ascendere il
-monte che nomano il Bisbino. Badiam però che la sua
-sommità sia libera e serena; perocchè quando essa si
-incorona di nubi, gli è indizio che il cielo si turberà,
-che non tarderà guari a piovere a dirotto:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Se il Bisbin mette il cappello,</p>
-<p class="i01">Corri a prendere l’ombrello;</p>
-</div></div>
-
-<p>
-così avvertono, a mo’ di sentenza, quelli del luogo.
-</p>
-
-<p>
-Sulle sue pendici seggono le grosse terre di Piazza e
-di Rovenna, dove è anche una bella chiesa e dove, non
-ricordo in qual tempo dell’anno, è una sagra a cui
-corre gran gente, ma più ancora al Santuario sulla
-vetta.
-</p>
-
-<p>
-Più in su è il Pertugio della Volpe.
-</p>
-
-<p>
-La vista che al di fuori ci si offre è incantevole: valeva
-<span class="pagenum" id="Page_68">[68]</span>
-la pena di venirvi. Ma descrivervi il panorama non
-mi calza, da che la descrizione è esaurita per chi montò
-sul Generoso. Tuttavia a chi non garba il maggior incomodo
-di salire fin lassù, questa vista del Pertugio
-della Volpe lo paga certo del minor disturbo.
-</p>
-
-<p>
-Entriamo adesso. È una grotta che s’addentra assai
-e assai: i banchi calcarei che vi sorgono e la rendono
-ineguale, vi palliano la lunghezza. Fu misurata novecento
-metri: sarà vero? Io non mi sto fra coloro che
-si mostran troppo increduli, nè mi voglio, San Tomaso
-novello, metter la mano a sindacare. Parmi migliore
-civiltà arrendermi a chi me la spara grossa... e saran
-dunque novecento metri di lunghezza, e voi credetevi,
-o lettori; e se no, pigliatevi il gomitolo del villano di
-Barnabò Visconti e misuratela a vostro talento.
-</p>
-
-<p>
-Vuolsi ricca questa grotta — alla quale per avventura
-qualche volpe snidata ha dato il nome — di alabastri
-venati; ma già questi monti che fiancheggiano il
-vaghissimo Lario sono sì larghi depositari di marmi e
-pietre che interessano il naturalista e lo speculatore,
-che se n’avrebbero a scrivere volumi. Intanto godono
-gran rinomanza il marmo bianco di Olgiasca che prolungasi
-sulla riva opposta del lago, ove presso Musso
-già esistevane una cava; quello nero di Varenna; la
-pietra di Moltrasio che riducesi anche a lamine sottili
-per grondaie di tetti e pavimenti; le lumachelle della
-Tremezzina e il sarizzo che ho testè accennato, e il
-marmo bindellino che è nel letto del Varrone, e moltissimi
-sassi calcari che alimentano attivissime fornaci.
-</p>
-
-<p>
-E qui basti e discendiamo, perchè l’ora si fa tarda.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-068b"></a>
- <img src="images/ill-068b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Villa d’Este.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_69">[69]</span></p>
-
-<h2 id="esc6">ESCURSIONE SESTA.
-<span class="smaller">LA VILLA D’ESTE.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa Lejnati. — Villa
-Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — La villa d’Este. — Giorgio
-IV d’Inghilterra. — La principessa di Galles. — Suo processo. — Sua
-morte. — Sue opere alla villa d’Este. — L’Albergo della Regina
-d’Inghilterra. — L’acqua della Coletta.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Un giorno m’accadde di dire che un libro ben curioso
-sarebbe quello che s’avesse a fare <i>Dei misteri del
-lago di Como</i>. Già il lettore che mi ha seguíto ne ha
-per avventura intraveduto taluno; ma siccome questo
-volume è destinato a tutt’altro fine, non mi farò a rivelarli
-adesso, limitandomi però a riassumere quelli che
-sono già caduti nel dominio della storia, e che per conseguenza
-non ponno più esser misteri.
-</p>
-
-<p>
-D’altronde, so che il titolo di <i>Misteri del lago di
-Como</i> piacque ad altro scrittore e li ha dettati; non
-li ho letti, — come si può giungere a tutto? — ma
-suppongo che saranno indubbiamente una storia immaginosa,
-<span class="pagenum" id="Page_70">[70]</span>
-sul tenore delle altre congeneri, — e allora
-non era quella la mia intenzione<a class="tag" id="tag11" href="#note11">[11]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Io voleva con quel pensiero alludere alle cento misteriose
-scene cui furono teatro le varie ville che si stendono
-dall’una e dall’altra sponda del lago; scene d’amore,
-scene di crimini, di romanzo e di assisie, burlevoli
-e più che serie, che a raccorle ed ammannirle vi
-vorrebbe la penna di Sue o di Dumas, di Ponson du
-Terrail — poichè v’ha anche il terribile — o di Gaborieau,
-i romanzieri alla moda in Francia.
-</p>
-
-<p>
-Ora in questa mia escursione non chiamerò il lettore
-ad assistere a scene misteriose, ma ad uno storico avvenimento;
-quantunque il processo cui fece luogo fu ben
-lungi dallo squarciare interamente il velo di tutto
-quanto si compì fra le pareti della villa d’Este.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-E prima di tutto non lasciamoci passare queste altre
-che ci conducono alla nostra meta; esse hanno
-tutto l’interesse al nostro sguardo: eleganti, graziose
-ne accivettano a far omaggio anzitutto alla bellezza,
-poi a monsignor Milione.
-</p>
-
-<p>
-La prima è rappresentata nella villa Bolognini, dalla
-più leggiadra e graziosa creatura, cui stia a maraviglia
-sulla bellissima testa la corona ducale; la madre sua,
-divenuta principessa, ebbe la dedica d’un magnifico
-<span class="pagenum" id="Page_71">[71]</span>
-romanzo di Balzac, in cui le è dato tributo altresì di
-spirito, e quel messere in fatto di spirito poteva ben
-essere giudice competente.
-</p>
-
-<p>
-Ma qui ci troviamo in Cernobbio: una parola del
-paese.
-</p>
-
-<p>
-Il nome di esso lo si fa derivare da <i>cœnobium</i>, cenobio,
-da un monastero che v’era di cluniacensi, e
-credo che sia una delle migliori e incontrovertibili etimologie.
-Ai cluniacensi succedettero le monache; ma
-sembra che l’aria del lago e queste naturali maraviglie
-delle sue rive rendano infiammabili gli animi, ardenti
-i cuori, e che le povere recluse fossero facilmente
-spinte a voluttà e gusti poco ascetici, se non soltanto
-qui, ma anche altrove, come vedremo, l’autorità regia,
-o l’ecclesiastica, se ne dovette ingerire e mandarle a
-menare quella vita altrove. Le monachelle di Cernobbio
-furono cacciate dal loro ridente soggiorno da quel
-nemico di cocolle e di veli che fu Giuseppe II.
-</p>
-
-<p>
-La cronaca ha serbato memoria d’un solo avvenimento
-di questa borgata, che pare dovesse essere un
-tempo più popolosa e forte. Narrasi che nel 1433
-alcuni uomini di Cernobbio fossero stati tratti per debiti
-nelle carceri di Bellagio; che ad altri loro conterranei
-fosse entrato il ruzzolo di liberarneli, e là recatisi
-di cheto, ne li avessero cavati a forza. Era duca
-di Milano allora quel prepotente di Filippo Maria Visconti,
-il marito della sventuratissima Beatrice di Tenda,
-che, avuto sentore appena dell’avvenimento, mandò
-ad istituire il processo, sperando scoprire i colpevoli;
-ma poichè la sapienza di quegli inquisitori non giunse
-a darli nelle mani, il Visconti fece sommaria vendetta,
-<span class="pagenum" id="Page_72">[72]</span>
-desolando tutta la terra di Cernobbio, ch’era assai più
-industriosa, e consegnando alle forche quanti avevano
-osato opporgli resistenza.
-</p>
-
-<p>
-L’industria maggiore de’ suoi abitanti è in oggi la
-pesca e i nauli, guidando essi cioè le imbarcazioni de’
-molti che affluiscono a bearsi delle delizie del Lario,
-ed eseguendo i trasporti di pietre, calce e derrate.
-</p>
-
-<p>
-Ho dato omaggio alla bellezza: ora alla ricchezza.
-</p>
-
-<p>
-Questa è rappresentata in Cernobbio dalle due ville
-dei banchieri Lejnati e Belinzaghi, che vi raccolsero in
-esse tutte le opportune comodità della vita.
-</p>
-
-<p>
-Più oltre un cancello vi annuncia il parco della Villa
-d’Este.
-</p>
-
-<p>
-Il cardinal Gallio, che si pretende nato in Cernobbio,
-fabbricò questa villa che è fra le più grandi e sontuose
-del lago; tanto così che or fan due anni l’imperatrice
-di tutte le Russie vi trovava comodo albergo.
-Passò di poi in proprietà ai conti Calderari, onde da
-Garrovo, che si chiamava dapprima, si nomò poscia da
-essi, infino al dì che Carolina Amelia Elisabetta di
-Brunswick, principessa di Galles, venuta in Italia nell’anno
-1816, eleggendola a propria stanza, vi impose
-il nome di Villa d’Este, che le rimane ancora.
-</p>
-
-<p>
-Il general Pino, che sposava una donna dei Calderari,
-riceveva con essa anche la villa; e un bel dì che
-l’affettuosa sposa attendeva in quegli ozj il marito, fece,
-sulle alture onde si chiude il recinto della villa e che
-per felice combinazione rassomigliavano in minori proporzioni
-a quelle su cui a Tarragona di Spagna si
-distendevano i fortilizî che il marito aveva coll’armi
-italiane espugnati, rizzare tanti fortini che imitassero
-<span class="pagenum" id="Page_73">[73]</span>
-in piccolo que’ maggiori, così preparando al marito la
-più grata sorpresa. E poichè meglio si ravvivassero in
-lui quelle grate e gloriose memorie, disponeva che gli
-alunni del collegio militare di Milano, istituito a San
-Luca dal generale Teulié, vi venissero a far loro armeggiamenti,
-attacchi e fuochi con mirabilissimo effetto.
-</p>
-
-<p>
-Ma la Villa d’Este fu teatro a scene più importanti
-di questa, per lo scandalo che ne fu fatto per Europa
-tutta, e che rivelò il famoso processo che si compì in
-Londra nel 1820; e siccome da tutti si chiede come,
-perchè e quando venne dato alla villa il nome che essa
-ha, come e perchè il nome di Regina d’Inghilterra fu
-imposto al bellissimo albergo che nel giardino venne
-edificato dal barone Ciani, che tutta la villa acquistò
-e vi fabbricò per entro casini, dominato, com’era solito
-a dir egli, dal mal della pietra; così mette conto
-che io narri questa storia scandalosa e più scandaloso
-processo, compendiandola da’ <i>Processi Celebri</i> che la
-resero ne’ suoi particolari.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-La vita di disordine e di dissipazione, cui, dopo d’essere
-uscito nel 1781 dalla minorità, s’era interamente
-abbandonato quel Giorgio Augusto Federico, principe
-di Galles, erede presuntivo della corona d’Inghilterra
-e che fu poi Giorgio IV, rimase così notoria, che di poco
-aggiunse a popolarizzarla il bel romanzo di Gozlan.
-</p>
-
-<p>
-I suoi banchetti ricordavano le cene dell’impero di
-Roma: Fox, Sheridan, Brummel, Erskine, Grey e Russel
-<span class="pagenum" id="Page_74">[74]</span>
-ne erano i compiacenti compagni nelle orgie, negli
-stravizzi, nelle vergogne, come erano i più eleganti che
-costituivano la <i>fashion</i> inglese. Superbi equipaggi,
-amanti di gran prezzo, dispendî pazzi in giardini e palazzi,
-e perfino giunterie di giuoco si alternavano co’
-stravizzi nelle più ignobili taverne: non una tradizione
-in lui di quella moralità e austerità, nella quale era
-stato nella fanciullezza cresciuto in corte. Carlton-House
-fu il teatro di tanto scialacquo e dissolutezza.
-</p>
-
-<p>
-Non bastavano a sì grandi follie nè la rendita fattagli
-di cinquantamila lire sterline, nè i redditi del ducato
-di Lancaster. A capo di tre anni di sua maggiorità egli
-aveva già inoltre creato a sè un debito di mezzo milione
-di sterline, vale a dire dodici milioni e cinquecentomila
-franchi. Insorsero i creditori, il re Giorgio III si ricusava
-di pagare, lo scandalo crebbe, e la Camera dei
-Comuni, dopo un dibáttito scandaloso, finì col votare
-una somma di 161,000 sterline (4,025,000 fr.) per pagarne
-i debiti.
-</p>
-
-<p>
-Incappato dipoi nelle reti di una signora Fitz-Hubert,
-cattolica irlandese, costei giunse a farsi segretamente
-sposare, sebbene un tal matrimonio fosse colpito
-di nullità, contrario essendo alle leggi del regno, queste
-non permettendo a’ principi della famiglia reale di
-contrarlo prima de’ venticinque anni; oltre che il matrimonio
-del principe ereditario con una cattolica lo
-escludeva dalla successione al trono.
-</p>
-
-<p>
-Aumentati inoltre i suoi debiti, dai quali punto non
-aveva ristato, fino alla ingente somma di 642,890 sterline,
-a meglio cioè di sedici milioni di franchi, parve
-al governo non esservi altro riparo che un matrimonio
-legale.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_75">[75]</span>
-</p>
-
-<p>
-A vincere gli aperti rifiuti opposti dal principe, fu
-adoperato James Harvis, più tardi conte di Malmesbury,
-esperto negoziatore durante le guerre della repubblica
-e dell’impero francese, le cui <i>Memorie</i>, lasciate
-dopo morte, forniscono i più curiosi particolari circa il
-modo da lui usato per condurlo ad accogliere l’offertogli
-partito.
-</p>
-
-<p>
-I creditori, all’uopo sollecitati e divenuti a lui insopportabili,
-determinarono finalmente l’adesione del
-principe al matrimonio, ch’egli chiamava il proprio suicidio.
-</p>
-
-<p>
-Gli venne fidanzata Carolina Amelia Elisabetta di
-Brunswick, figlia di quel duca di Brunswick che nel 1792
-forzò audacemente le frontiere di Francia.
-</p>
-
-<p>
-Mirabeau aveva attestato di lei esser amabilissima,
-spiritosa, bella e assai vivace; ma il signor di Malmesbury
-nel 1794, quando fu conchiuso il matrimonio (2
-dicembre), la trovò, oltre che già di più di ventisei
-anni, se abbastanza bella e con due stelle di occhi, anche
-un cotal po’ triviale, con denti mezzo guasti e
-spalle impertinenti.
-</p>
-
-<p>
-La cronaca del paese mormorava di lei, come di donna
-leggiera, avida di piaceri, e la faceva eroina d’una romanzesca
-fuga con un giovine uffiziale della corte del
-padre.
-</p>
-
-<p>
-Ne completeranno il breve schizzo che ne ho fatto
-queste bizzarre particolarità che si leggono nel giornale
-dello stesso conte di Malmesbury.
-</p>
-
-<p>
-“— Il principe, madama, — le disse questo abile
-negoziatore un giorno — è assai delicato per ciò che
-riguarda la nettezza. — Il giorno dopo la principessa
-comparve assai bene lavata dalla testa ai piedi.„
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_76">[76]</span>
-</p>
-
-<p>
-“Ho avuto, scrive lo stesso Malmesbury, due colloquî
-colla principessa Carolina, uno sulla pulizia e sulla
-decenza, ed un altro sul riserbo nel parlare. Ho procurato,
-per quanto può farlo un uomo, di convincerla
-della necessità di porre molta attenzione in tutte le
-parti del suo abbigliamento, sia in quello che si vedeva,
-sia in quello che rimaneva ascoso... Sapevo che
-portava delle sottane grossolane, delle camicie ruvide
-e delle calze di filo, e non fossero neppure ben pulite
-e cambiate abbastanza di frequente!... È singolare
-come su questo punto sia stata trascurata la sua educazione
-e come sua madre, benchè inglese (Augusta,
-sorella di re Giorgio III), vi abbia fatto poca attenzione.
-L’altro nostro colloquio versò sul modo leggiero
-con cui parlava della duchessa (sua madre), burlandosi
-sempre di lei e dinanzi a lei... Ella capisce tutto ciò,
-ma lo dimentica...„
-</p>
-
-<p>
-Questi erano gli sposi: vediamo i frutti di tal connubio.
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Il principe di Galles mandava a Greenwich, a ricevere
-la sua sposa, lady Jersey sua recente amante, ciò
-che stabiliva fin dai primi momenti in costei una acerrima
-nemica di Carolina, perchè non le aveva dissimulato
-frizzi pungenti che non si perdonano.
-</p>
-
-<p>
-Trovo scritto che la prima notte di matrimonio fu
-degna di questi sponsali. Dopo alcune ore, il principe
-abbandonava il letto nuziale, senza dissimulare il suo
-<span class="pagenum" id="Page_77">[77]</span>
-turbamento, la sua collera e il suo disgusto. Che pensare
-dei misteri di questa notte? Si parlò d’ubbriachezza,
-di trasporti lubrici, di scoperte umilianti....
-Checchè ne sia, è certo che il principe, ubbriaco come
-un facchino, passò la maggior parte della notte sdraiato,
-non nel letto nuziale, ma su d’un tappeto.
-</p>
-
-<p>
-Dopo tutto, il 7 febbrajo 1796, nove mesi successivi
-a quella notte, Carolina dava alla luce la principessa
-Carolina Carlotta Augusta di Galles.
-</p>
-
-<p>
-Ma non fu codesto un anello di ricongiunzione fra i
-due sposi. Il principe di Galles continuò a vivere separato
-dalla moglie; anzi, dopo due lettere scambiatesi
-fra essi, come a specie di convenzione d’una separazione
-di fatto, la principessa di Galles si ritrasse a
-Black-Heat nel Devonshire, da cui di rado si toglieva
-per comparire a corte; intenta, del resto, alle cure
-della propria bambina.
-</p>
-
-<p>
-Nel 1804 cominciò la maldicenza, incitata da lady
-Jersey, a esercitarsi a di lei danno. Disse di scandalosi
-amori suoi con lord Eardley, e si pretese che William
-Billy Austin, fanciulletto da lei caritatevolmente ricoverato
-e amato, fosse il frutto di adulteri amori.
-</p>
-
-<p>
-La delicata investigazione che si istituì l’assolse completamente,
-e si trovò che il fanciullo era invece dello
-spedale di Brownlow-Street, ed erano suoi genitori
-Sofia Austin e un falegname di Deptfort, conchiudendosi
-che i di lei accusatori avrebbero meritato di essere
-processati con tutta la severità delle leggi.
-</p>
-
-<p>
-Ma ciò non avendo giovato a ritornarle tutta la reverenza
-dovuta al suo grado, molto più che l’investigazione
-e i suoi risultamenti erano stati tenuti segreti,
-<span class="pagenum" id="Page_78">[78]</span>
-ella ne reclamò al re suo suocero, invocando la pubblicità
-di tutto. <i>The Book</i>, che ne fu la raccolta degli
-atti, comparve; ma giunto al potere Perceval, che era
-stato consigliero alla principessa di quella pubblicazione,
-ne scongiurò lo scandalo e soppresse il libro, e diè egualmente
-soddisfazione a Carolina, operando in guisa che
-Giorgio III e i due fratelli del principe di Galles le
-facessero solenni visite, e che una decisione del consiglio
-di Stato ne confermasse l’innocenza.
-</p>
-
-<p>
-Ma gli odî del marito crebbero a dismisura, ed ei
-le tolse la figlia. Ricorse ella, ebbe nuova riconferma
-d’incolpabilità, ma non riebbe la figliuola.
-</p>
-
-<p>
-Le fu interdetto allora ricomparire a corte, non
-potendo il principe, divenuto reggente per la demenza
-del padre, incontrarsi con lei. Ne chiese ragione a lui
-medesimo, ma non n’ebbe risposta tampoco.
-</p>
-
-<p>
-La figlia Carlotta veniva destinata dal reggente al
-principe d’Orange, erede presuntivo del trono de’ Paesi
-Bassi; dovendo mal suo grado obbedirvi, in capo lista
-delle persone che dovevano invitarsi al matrimonio la
-giovinetta scrisse il nome della madre. Giorgio gliela
-ritornò radiandone il nome; ma Carlotta alla sua volta
-cancellò un nome: era quello del futuro sposo, e rinviò
-al padre la lista. Ella andava sposa poco dopo al duca
-di Sassonia Coburgo.
-</p>
-
-<p>
-La principessa di Galles risolse allora di abbandonar
-l’Inghilterra.
-</p>
-
-<p>
-Il Parlamento le fissava l’appannaggio d’annue lire
-cinquantamila sterline; essa non ne accettò che trentacinquemila,
-e partiva il 9 aprile 1814, assumendo il
-nome di contessa di Wolfenbüttel.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_79">[79]</span>
-</p>
-
-<p>
-Si diresse dapprima al suo paese natio; quindi partì
-per la Svizzera, visitò l’Italia, la Grecia, la Turchia,
-la Palestina, Tunisi; poi si stabiliva a Pesaro, e da
-ultimo a questa villa Calderari sul lago di Como, che
-ricevette da lei, come già sa il lettore, il nome di Villa
-d’Este.
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-Quale fosse la vita della principessa di Galles all’estero,
-e principalmente su queste rive del lago, non
-ne è spenta la memoria fra noi. V’hanno di molti ancora
-che rammentano averla veduta, che si trovarono
-ai licenziosi balli cui ella assisteva alla Barona presso
-Milano, che la riconobbero ai veglioni della Scala con
-travestimenti impossibili o toalette sconvenienti; come
-moltissimi ne levano a cielo ancora gli atti infiniti di
-una inesauribile generosità e carità.
-</p>
-
-<p>
-Queste sponde del Lario echeggiano tuttavia degli
-inni riconoscenti alle sue splendide beneficenze. Ella
-allargò e compì la via che da Como metteva alla sua
-residenza e spese assai denaro in altre opere vantaggiose
-a quel paese.
-</p>
-
-<p>
-Se non che l’odio del marito e l’ira de’ nemici da
-lei lasciati in Inghilterra non s’erano tenuti paghi di
-sua partenza: essi la seguivano nelle sue peregrinazioni,
-nel suo volontario esilio. Neppur si volle informarla
-della morte della figliuola, neppur di quella del suocero
-Giorgio III, avvenuta il 29 gennajo 1820, da lei
-sapute entrambe soltanto a caso.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_80">[80]</span>
-</p>
-
-<p>
-S’inasprì ancor più la persecuzione contro di lei
-coll’avvenimento di suo marito Giorgio IV al trono.
-Il suo nome fu tolto dalle preghiere della liturgia
-britannica, e le fu messa, per così dire, a’ fianchi
-una commissione segreta che ne spiasse la vita.
-</p>
-
-<p>
-E questa nella sua permanente inchiesta, stabilita
-fra persone influenti in Milano, raccoglieva fatti, circostanze,
-nomi e testimonianze terribili contro di lei.
-</p>
-
-<p>
-Carolina, reclamando contro le misure summentovate
-prese in Inghilterra contro di lei, minacciava recarsi a
-Londra a reclamare i suoi privilegi di regina; ve la aizzavano
-i <i>whigs</i> che avrebbero voluto suscitar con ciò
-gravi imbarazzi al nuovo regno; sconsigliavanla i <i>tories</i>
-collo spauracchio d’uno scandaloso processo. Nulla temendo
-Carolina, sullo scorcio del maggio 1821, arrivò
-in Francia, deliberata d’incarnare il proprio progetto.
-</p>
-
-<p>
-Lord Hutchinson le venne incontro, e da parte di
-lord Liverpool, ministro di Giorgio IV, le offriva aumentarle
-l’appannaggio fino a 50,000 lire sterline all’anno,
-purchè restasse fuor d’Inghilterra, non assumesse titolo
-di regina, nè altro spettante alla famiglia reale d’Inghilterra.
-</p>
-
-<p>
-Ella rispose a questa proferta, imbarcandosi sul pachebotto
-inglese <i>Principe Leopoldo</i> per Londra.
-</p>
-
-<p>
-Sbarcata sul suolo inglese, vi fu accolta colle dimostrazioni
-più onorifiche dovute a regina e con entusiasmi
-che l’accompagnarono fino alla capitale, dove
-passando innanzi alla residenza reale, la folla emise
-all’indirizzo di Giorgio IV formidabili grugniti, modo
-col quale quegli eccentrici isolani esprimono disapprovazione;
-ma questa marcia trionfale veniva arrestata
-<span class="pagenum" id="Page_81">[81]</span>
-dal ministero in cui sedeva lord Liverpool, il quale la
-sera del sei giugno presentava alla Camera dei Lord
-un messaggio reale, mentre lord Castelreagh faceva altrettanto
-alla Camera dei Comuni, quivi depositando
-un sacco verde contenente i documenti d’accusa contro
-la regina, che nel messaggio e nelle parole de’ ministri
-veniva tuttavia chiamata la principessa di Galles. L’accusa
-era di adulterio.
-</p>
-
-<p>
-L’impressione prodotta fu grave, poichè si temesse
-non fosse per riuscire a rinnovare i tempi d’Anna Bolena
-e Giovanna Grey; ma lord Liverpool temperavala,
-dicendo che il fatto d’un adulterio commesso all’estero
-con uno straniero non costituisse che un’ingiuria in
-linea civile; e voleva con ciò rassicurare i nobili lord
-che non si sarebbe trattato di pena di morte.
-</p>
-
-<p>
-Carolina intanto aveva preso alloggio in Brandenburg-House.
-</p>
-
-<p>
-Ecco il bill delle pene e delle penalità (<i>Bill of pains
-and penalties</i>), che lord Liverpool lesse nel Parlamento:
-</p>
-
-<p>
-“Atteso che nell’anno 1814 S. M. Carolina Maria
-Elisabetta, allora principessa di Galles, ed ora regina
-sposa d’Inghilterra, residente allora a Milano, prese al
-suo servizio il nominato Bartolomeo Bergami o Pergami,
-straniero, di bassa condizione, essendo stato domestico;
-atteso che dopo d’essere il detto Bergami entrato al
-servizio di S. A. R. vi fu tra di loro un’intimità sconveniente
-e ributtante, e che non solo S. A. R. lo innalzò
-ad un posto eminente nella sua casa e lo ammise a rapporti
-confidenziali colla propria persona, ma gli conferì
-anche gli attestati più straordinarii di favore e di distinzione,
-ottenendo per lui ordini cavallereschi e titoli
-<span class="pagenum" id="Page_82">[82]</span>
-onorifici, conferendogli un preteso ordine di cavalleria,
-che S. A. R. erasi arbitrata di istituire, senza averne
-nè il diritto, nè la facoltà; atteso che la detta A. R.,
-dimenticando sempre più l’elevatezza del suo rango ed
-i suoi doveri verso V. M., non avendo più alcun riguardo
-al suo onore ed al suo carattere, si è condotta col detto
-Bergami in altre occasioni, tanto in pubblico che in
-privato, con una famigliarità indecente ed una singolare
-libertà nei diversi paesi visitati da S. A. R., e che
-finalmente ha avuto rapporti licenziosi, umilianti ed
-adulteri col detto Bergami, che durarono per lungo lasso
-di tempo, durante il soggiorno di S. A. R. all’estero,
-con grande scandalo e disonore della famiglia reale e
-di questo regno;
-</p>
-
-<p>
-„Volendo, per tali motivi, manifestare la nostra intima
-convinzione che con questa condotta scandalosa,
-disonorante e viziosa, S. M. la regina ha violati i suoi
-doveri verso V. M. e si è resa indegna dell’alto rango
-di regina sposa di questo regno; volendo attestare un
-giusto rispetto alla dignità della corona ed all’onore
-della nazione; noi umilissimi e fedelissimi sudditi di
-V. M., lordi spirituali e temporali, e così pure i deputati
-della Camera dei Comuni, raccolti in Parlamento,
-supplichiamo V. M. di ordinare quanto segue:
-</p>
-
-<p>
-„Che sia ordinato dalla Eccellentissima Maestà del
-re, coll’avviso e il consenso dei lordi spirituali e temporali
-e dei deputati della Camera dei Comuni, riuniti
-nel Parlamento al presente convocato, e per la loro
-autorità, che la detta Maestà Carolina Amalia Elisabetta,
-quando sia passato questo atto, abbia ad essere
-spogliata del titolo di regina e di tutti i diritti, privilegi,
-<span class="pagenum" id="Page_83">[83]</span>
-prerogative ed esenzioni che le appartengono come
-regina sposa di questo regno; che sia dichiarata incapace
-ad esercitare alcuno di questi diritti, a godere
-alcuna di queste prerogative, e di più che il matrimonio
-fra S. M. il re e la detta Carolina Amalia Elisabetta,
-sia coll’atto presente sciolto per sempre, totalmente
-annullato e reso vano sotto tutti i rapporti ed in tutte
-le conseguenze.„
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Il processo fu iniziato e consiglieri della regina furono
-i signori Brougham, che fu poi illustre ministro, Denman,
-il dottor Lushington, John Williams, Tindal e
-Wildas.
-</p>
-
-<p>
-Facciamo grazia a’ lettori delle particolarità della
-procedura e di quanto deposero i testimonî, molti de’
-quali chiamati da Milano e dalle sponde del Lario circa
-gli scandali su di esse compiuti dalla regina Carolina:
-sono particolarità indecenti che offenderebbero il senso
-morale loro; ma d’altra parte resta monumento imperituro
-della ingratitudine di molti, tra i quali di un Teodoro
-Maiocchi e di una Dumont cameriera, che furono
-beneficati da quella donna dissoluta ma ad un tempo
-di generosissimo cuore. Parve si mettessero in sodo gli
-amori suoi con Bergami, aiutati da una sorella di lui,
-che figurò col nome di contessa Oldi, dal fratello
-creato prefetto di palazzo alla villa d’Este e dalla
-madre che assunse il nome di madama de Livris.
-</p>
-
-<p>
-Si parlò del teatro erettosi in questa villa del nostro
-lago, delle rappresentazioni che vi si diedero, in cui la
-<span class="pagenum" id="Page_84">[84]</span>
-regina era sempre l’amante di Bergami, e certi giuochi
-detti del turco Maometto di eccessiva libertà e licenza.
-</p>
-
-<p>
-Ciò che per altro fu notato e sorprese, fu il fatto di
-danari e promesse dati e fatte ai testimonî da parte
-d’uomini indettati col governo; onde al popolo inglese
-e ai difensori della regina rimase presa a revocar in
-dubbio le accuse e proclamarne la innocenza.
-</p>
-
-<p>
-“In quanto alla villa d’Este, disse il <i>Solicitor general</i>
-nella sua requisitoria, le deposizioni si accumulano. Là
-non provengono soltanto dai domestici della regina.
-Dagli operai, dagli artigiani, impiegati accidentalmente
-nella casa o nel giardino, si attestano tali intimità che
-non lasciano il più piccolo dubbio sul commesso adulterio.„
-</p>
-
-<p>
-Si seppe tuttavia che de’ molti testimonî chiamati
-da Cernobbio a Londra a deporre in processo, la più
-parte, memore de’ ricevuti beneficî, non le rese ingrata
-mercede.
-</p>
-
-<p>
-In quanto alla generosità, alla carità e alla bontà
-della principessa, messa dai dibattimenti in piena evidenza,
-il medesimo <i>Solicitor general</i> fu costretto dire:
-“Io sono lontano dal voler contestare queste virtù alla
-regina. Quando rammento di che illustre casa è rampollo,
-non dubito punto che le possieda in tutta l’estensione
-mostrata dalla lettera della testimone (la Dumont).
-Ma gli è andare troppo oltre il dire che la generosità
-più elevata, la carità più estesa, la sensibilità più squisita,
-non possano cambiarsi nel cuore di una donna con
-un attaccamento ignobile e colpevole.„
-</p>
-
-<p>
-La difesa degli avvocati della regina, quella di Brougham
-principalmente, parve splendida; i lordi Erskine,
-<span class="pagenum" id="Page_85">[85]</span>
-Gray, Rosselyn, Harrowby, King e l’Arcivescovo di
-Thuam vi aggiunsero nelle discussioni proprî e vigorosi
-argomenti in favore.
-</p>
-
-<p>
-Si trattava finalmente di venire alla definitiva lettura
-del bill: l’agitazione era immensa, impazientissimo
-il pubblico di vederne il risultamento, perocchè tutto
-dipendesse da essa. Lo scrutinio fu aperto: cent’otto
-membri avevano votato in favore, novantasette contro.
-Non fu più permesso allora di pensare a mandare alla
-Camera dei Comuni un atto votato con nove voci di
-maggioranza; e lord Liverpool si vide forzato a mettere
-ai voti il rinvio del bill a sei mesi. Era questa la formola
-consacrata per non parlarsene più e mettere a
-dormire per sempre il processo.
-</p>
-
-<p>
-Questa accorta mozione venne votata il nove settembre
-alla unanimità.
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-La vittoria fu dunque della regina: essa fu salutata
-dal popolo con frenetica gioia, e le si fecero le più
-pazze dimostrazioni, con voci di morte ai testi Maiocchi
-e Dumont.
-</p>
-
-<p>
-La plebe, portando queste sue gazzarre ovunque,
-voleva che tutti vi pigliassero parte, e, ritrovandoli
-sul suo cammino, obbligò molti aderenti del re ad
-unirsi ai proprî entusiasmi; ma lord Lauderdale, cui
-fu arrestata dalla plebe la carrozza, costretto da essa
-a gridare: Viva Carolina! se ne trasse con molta disinvoltura
-e spirito, dicendo: Vi auguro a tutti una
-moglie come la principessa Carolina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_86">[86]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma durarono poco i popolari saturnali.
-</p>
-
-<p>
-La regina s’era ritirata ancora a Brandenburg-House.
-Volendo ella nel maggio 1821 reclamare di nuovo i diritti
-di regina sposa, e pretendere d’essere pur ella incoronata,
-l’<i>Attorney general</i> respinse il reclamo, che nel
-di lei interesse era stato presentato dal suo avvocato
-Brougham, sul motivo che nessuna legge accordasse alla
-regina sposa il diritto agli onori dell’incoronazione; e
-quando nel dì medesimo della stessa si presentò a ciascuna
-delle porte dell’abbazia di Westminster, dove veniva
-celebrata, le si chiese rispettosamente il biglietto
-d’entrata e le fu ricusato l’ingresso. Ella allora, nell’allontanarsi,
-attendevasi una dimostrazione popolare;
-ma non raccolse che urli e fischi sul suo passaggio.
-Andate a fidarvi dell’aura popolare!
-</p>
-
-<p>
-L’umiliazione di Westminster fu per Carolina il colpo
-mortale. Il 30 luglio successivo cadeva malata, uscendo
-dal teatro di Drury-Lane. Si vociferò che fosse stata
-avvelenata in una limonata che vi aveva bevuta, quando
-moriva il 7 agosto; ma la sua morte fu dichiarato invece,
-officialmente, che fosse stata in causa di infiammazione
-intestinale. La malevola insinuazione era la
-naturale conseguenza degli odî che universalmente si
-conoscevano nutrirsi dal sovrano contro di lei.
-</p>
-
-<p>
-I suoi beni espresse ella medesima il desiderio che
-passassero alle mani di William Austin, il trovatello,
-per il quale aveva subíto in addietro i primi strali
-della calunnia, e che la sua salma venisse trasportata
-in patria, essendosi preparato il seguente epitaffio:
-</p>
-
-<p>
-“Qui giace Carolina Amelia Elisabetta di Brunswick,
-vilipesa regina d’Inghilterra.„
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_87">[87]</span>
-</p>
-
-<p>
-Sulle sponde del Lario la sua memoria, ho già detto,
-è congiunta a molte opere di generosità e beneficenza
-ed alla via che ella aprì da Como fino alla sua villa
-d’Este che aveva eletta a sede de’ suoi poco regali
-amori; e pel filosofo rimane oggetto di meditazione per
-la strana contraddizione ch’ella presentò di grandezza
-e di bassezza, di carità e di corruzione, di virtù e di
-colpe.
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-In questi ultimi anni, nel fianco destro del giardino
-della Villa d’Este, il baron Ciani eresse un magnifico
-albergo, che dal personaggio che que’ luoghi abitò, assunse
-il nome di <i>Regina d’Inghilterra</i>, e vi è condotto
-con tutte quelle commodità onde van lodati gli alberghi
-della Svizzera. Magnifiche piante formano avanti
-ad esso una specie di grato e fresco luogo di passeggio
-e lettura.
-</p>
-
-<p>
-Vi si aggiunse uno stabilimento idroterapico, fornito
-di doccie a soffioni, al quale poteva giovare e l’acqua
-del torrente Garrovo, che dava prima il nome al luogo,
-e quella leggiermente magnesiaca, che sul colle sovrastante
-ha la sua sorgente e si denomina della <i>Coletta</i>;
-ma forse più che a cura di malattia, vi traggono numerosi
-gli stranieri a ricercarvi soggiorno ameno e
-tranquillo.
-</p>
-
-<p>
-La facilità di recarsi a Como, a cui muove più volte
-al giorno un <i>omnibus</i>; quella di aversi pure più volte
-al giorno corrispondenze e giornali; la strada Regina,
-abbastanza valevole a percorrerla in carrozza; l’agio
-<span class="pagenum" id="Page_88">[88]</span>
-di passeggiate montane e di gite sul lago; la non ampiezza
-del bacino, che permette di solcarlo e traversarlo
-in pochi minuti, senza tema di pericoli, rendono quest’albergo
-assai frequentato. Difeso dai venti troppo
-impetuosi dal promontorio di Pizzo che gli sta a fianco,
-anche a chi meglio si piace di solitudine e silenzio è
-conveniente asilo; ed io più d’una volta vi cercai riposo
-e quiete dalle tumultuose cure dell’avvocare e
-dai cittadini rumori.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_89">[89]</span></p>
-
-<h2 id="esc7">ESCURSIONE SETTIMA.
-<span class="smaller">IL PIZZO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la fabbrica. — I
-conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. — Migliorie. — La
-villa Curié.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-A Parigi, al <i>Bois de Boulogne</i>, che è il convegno
-delle carrozze più ricche, de’ campioni dello <i>Sport</i> e
-de’ passeggianti e che noi diremmo il corso di quella
-grande capitale, nazionali e stranieri ammirano e seguono
-sempre collo sguardo avido e maravigliati, fra
-gli altri, un equipaggio elegantissimo a cui sono attelate
-pariglie di superbi cavalli, che traggono sempre
-una gentile signora, che “la dev’essere ben ricca„
-esclamano sempre quanti l’osservano. Le toalette di
-essa rispondono allo sfarzo dell’equipaggio.
-</p>
-
-<p>
-— A chi appartengono equipaggio e toalette? — ognuno
-domanda e la curiosità è ben naturale.
-</p>
-
-<p>
-— A madama Elisa Musard — vi si risponde subito
-da tutte parti, chè a Parigi non v’ha persona, io
-credo, che lo ignori.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_90">[90]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ed ella, madama Musard, la moglie di tale che ottenne
-una speciale celebrità musicale, è la proprietaria
-pure di questa principesca villa che, procedendo dall’albergo
-della Regina d’Inghilterra, che abbiamo appena
-lasciato, in poco volger di remi vi si presenta
-sulla punta sporgente nel lago e che con quella che
-le sta di fronte di Torno, chiude il primo bacino del
-lago, il quale abbiamo oramai tutto quanto percorso
-e visitato.
-</p>
-
-<p>
-Chi la vide in passato questa magnifica villa, più
-non la riconoscerebbe; tanto la ricca signora la ingentilì,
-restaurando e riducendo a nuovo la casa e le scuderie,
-e vi profuse cospicue somme nell’arricchire il bel
-giardino a cui natura prestò i più opportuni e vaghi
-accidenti di terreno.
-</p>
-
-<p>
-Fabbricata a mezzo circa il secolo decimosesto da
-Gian Battista Speziano da Cremona, senatore, e fatto
-altresì per tanti meriti patrizio di molte città, fra cui
-di quella di Como, vi apportò tutto l’amore ch’egli
-aveva alla scienza agricola; e compiuta la parte del
-fabbricato, vi avrebbe eziandio raccolto quanto di peregrine
-produzioni gli fosse dato, se non fosse stato
-da morte arrestato nella esecuzione del suo concetto.
-Passò di poi ai conti Muggiasca, e quel che di questa
-famiglia fu vescovo di Como, e di essa si piacque approfittando
-della pendice del monte a cui la villa s’addossa,
-vi ingrandì il giardino, usando anche delle mine
-per aprirvi sentieri e vie, onde poterlo tutto percorrere
-agevolmente.
-</p>
-
-<p>
-Il conte Giacomo Muggiasca, nipote di lui, poichè
-fu morto, la villa fu acquistata dall’arciduca Ranieri,
-<span class="pagenum" id="Page_91">[91]</span>
-vicerè del Regno Lombardo-Veneto, finchè sopravvenute
-le fortune politiche e l’italiana indipendenza, che
-ne resero mal proprio alla famiglia sua, che si aveva
-alienate le simpatie del paese, il possedimento, la signora
-Musard la comperò.
-</p>
-
-<p>
-Mai non sarà sembrato a questa signora di dovervi
-ritrovare tanta negligenza di coltivazione e di abitato,
-pensando riceverla da principesca famiglia, e certo vi
-dovette profondere egregie somme per ridurla alla
-condizione presente. Infatti, per dir del solo giardino,
-non vi trovò che produzioni spontanee delle nostre rive
-lacuali, e tolti i cinquecento cipressi, anche la selva,
-bella senza dubbio, non constava che di pini, di abeti,
-di lecci, di quercie, di faggi, di alberi, di piante insomma
-tutt’altro che peregrine.
-</p>
-
-<p>
-Ora, mercè del signor Villoresi, che vi è preposto a
-cura, migliorò, anche da questo lato d’assai e d’assai
-la villa. Piante esotiche, arbusti rari, fiori ed erbe vaghissime
-e forestiere vi introdusse e coltivò, con quell’amore
-e dottrina che si può dire tradizionale nella
-sua famiglia. Tuttavia la villa del Pizzo, per essere di
-quella rinomanza e valore a cui ha diritto di aspirare,
-non ha d’altro bisogno che di essere arricchita nel
-palazzo, già sontuosamente addobbato, d’oggetti d’arte
-insigni, ciò cui del resto la ricchezza sfondolata della
-signora del luogo può facilmente provvedere; ella che
-d’altronde con intelligente generosità s’acquistò già
-tanti titoli alla benemerenza di queste terre circostanti.
-</p>
-
-<p>
-Confina colla villa del Pizzo quella modernissima,
-dell’inglese Curié, il quale la nicchiò nella specie di
-<span class="pagenum" id="Page_92">[92]</span>
-seno che forma la punta che si protende nel lago. Con
-enorme spesa rivestì la nuda roccia e la rese tutta
-quanta verdeggiante per belle e preziose piante, e intorno
-alla ricchissima casa seppe praticarvi un bel
-giardino ed un elegante parco.
-</p>
-
-<p>
-Quivi colla intelligente opera di Gioachimo Curti,
-che fu padre della poetessa Adele, già per me ricordata
-in una precedente escursione, adunò preziosità artistiche;
-ma resosi defunto chi s’era di questo luogo
-così compiaciuto da erogarvi tanto denaro nel fabbricarsi
-la villa, e passata questa al figlio che milita allo
-straniero, è appena se egli la visiti qualche giorno
-entro l’anno; e però chi va a vederla non vi rinviene
-quel non so che di indefinito che rivela la vita e la
-presenza del nume famigliare.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-092b"></a>
- <img src="images/ill-092b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Cascata di Moltrasio.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_93">[93]</span></p>
-
-<h2 id="esc8">ESCURSIONE OTTAVA.
-<span class="smaller">LA CASCATA DI MOLTRASIO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio episodio. — Villa
-dei signori Nulli. — La leggenda della Ghita. — Perchè si nomi
-Moltrasio. — La Vignola dei Passalacqua. — E la villa Durini? — Geologia. — La
-Cascata.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Io l’ho già detto in non so quale mio scritto, che
-del lago di Como, di questa privilegiata parte d’Italia,
-benedetta dal sorriso della natura, preferisco il bacino
-di Torno, che è il secondo del lago, e lo preferisco pure a
-quello sì decantato della vaghissima Tremezzina; e
-delle ragioni di siffatta predilezione, a non ripetermi,
-non mi farò qui inutile espositore.
-</p>
-
-<p>
-Basti tuttavia a solo complemento di questo esordio il
-dire che, sebben più angusto tale bacino e meno
-ricercato dell’altro, lo si può nondimeno meglio godere,
-percorrendolo in ogni senso, senza tema d’essere
-sorpresi a mezzo dalla tempesta, e liberi da quella soggezione
-che troppo aristocratici villeggianti impongono,
-<span class="pagenum" id="Page_94">[94]</span>
-e che vi richiede l’impegno di toalette e riguardi che
-vi infastidiscono e attossicano gli ozj autunnali.
-</p>
-
-<p>
-Nel bacino di Torno, anzi proprio dicontro a questo
-paese, dove il battello a vapore fa la sua prima ordinaria
-sosta dopo avere lasciato Como, si adagia il bel
-villaggio di Moltrasio colle sue ville che si specchiano
-nell’onde, coll’ampia strada <i>della Regina</i> che lo divide
-per mezzo, colle sue case scaglionate su per il declivio
-della montagna, co’ suoi <i>crotti</i> estivi pei dilettanti del
-buon vino, massime con quello del Caramazza, osteria
-e convegno de’ buongustai di Como che il preferiscono
-eziandio al Nino, co’ suoi rigagnoli, colla sua cascata,
-col suo orrido...
-</p>
-
-<p>
-Ma non anticipiamo l’argomento... M’ho degli obblighi
-verso Moltrasio da adempiere dapprima: or ringrazio
-l’occasione che mi si porge di sdebitarmi.
-</p>
-
-<p>
-Era l’aprile del 1859. I tempi erano grossi, l’orizzonte
-politico nero, le nubi presso a squarciarsi, la
-folgore a scoppiare; o, per uscir dal figurato, stava per
-incominciare la guerra delle armi sardo-francesi contro
-l’Austria, che doveva redimere l’Italia dalla oppressione
-straniera. La polizia austriaca vedeva dovunque congiure
-e congiurati, e a buoni conti andava pazzamente
-facendo razzia de’ liberali che, non potendo varcare
-colle altre migliaia i confini per ingrossare le fila dell’esercito
-piemontese, rimanevano ad agitar il paese, a
-tener viva la fiamma della rivoluzione che non cessava
-di lavorare alla cheta. Impossibile pertanto che un pensiero
-non si degnasse da essa di concedere pure a me,
-che più d’una volta m’aveva fatto l’esagerato onore di
-chiamare ne’ suoi segreti processi verbali <i>corifeo della
-rivoluzione</i>.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_95">[95]</span>
-</p>
-
-<p>
-Aveva in que’ giorni arrestato già un mio fratello, e
-i miei concittadini alla notizia scrollavano la testa; e
-l’un l’altro si mormorava: hanno preso un granchio,
-doveva essere l’altro; e declinavano il mio nome. In
-verità si giunse a mettermi nel cuore una puntura di
-rimorso, e una mattina, a scandagliare il terreno sul
-quale mi trovava, e all’occorrenza pronto a pagare di
-me l’equivoco preteso dalla pubblica carità, osai picchiare
-all’ufficio del consigliere M... commissario superiore
-di polizia nel temuto palazzo di Santa Margherita.
-Avevo una scusa, mancando di carta di sicurezza — arnese
-indispensabile a quei tempi di non compianta memoria
-tanto pel ladro che per il galantuomo — e però
-entrato da quel signore manifestai il mio bisogno.
-</p>
-
-<p>
-Il consigliere M... era un buon tedesco, una mosca
-bianca tra i cagnotti polizieschi; nè appena avevo
-aperto bocca, che così m’apostrofava:
-</p>
-
-<p>
-— Ma ella è malato; m’avevano detto ch’ella fosse
-in campagna a curare la sua salute, perchè mo’ è
-tornato?
-</p>
-
-<p>
-— Hanno arrestato mio fratello, temevo non fosse
-un equivoco.
-</p>
-
-<p>
-— Ma no, no, suo fratello uscirà oggi o domani, ed
-ella è molto malato, vada in campagna... e alzatosi mi
-fe’ senza perditempo disporre la mia <i>carta di sicurezza</i>
-e consegnandomela, tornò a dirmi:
-</p>
-
-<p>
-— Dunque la vada, curi la sua salute.
-</p>
-
-<p>
-Guardai commosso in faccia al buon tedesco, gli
-strinsi la mano e risposi:
-</p>
-
-<p>
-— Anderò; ma dove in avvenire potesse aver bisogno
-di me, la mi comandi — e me ne andai.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_96">[96]</span>
-</p>
-
-<p>
-Anche in Polizia gli impiegati tedeschi non erano i
-peggiori; se valesse la pena di rammentar nomi, si vedrebbe
-che le più nefaste memorie di que’ tempi si legano
-a nomi sventuratamente nostrali.
-</p>
-
-<p>
-Qualche ora dopo ebbi un altro amichevole avviso
-che riguardava la <i>mia salute</i>; ond’è che quantunque
-mi sentissi perfettamente, pure udendomi, come Don
-Basilio, gridare <i>che brutta cera!</i> bisognava ben che vi
-credessi, e me ne andassi non <i>a letto</i>, come quel messere
-della commedia di Beaumarchais e di Rossini, ma
-sì a pigliare un po’ l’aria balsamica della Svizzera.
-</p>
-
-<p>
-L’importante era il varcare i confini; passaporto non
-avevo nè potevo chiedere, se non per la gattabuia, dov’erano
-già stati dati ordini di ricevermi; dunque presi
-la via di Como e precisamente mi diressi a questo bel
-paese di Moltrasio, da dove a notte una guida m’avrebbe
-fatto passare la montagna per discendere nel Mendrisiotto.
-</p>
-
-<p>
-Una bella villetta fiancheggiata da due torricelle a
-finestrelle a sesto acuto, come un castello tradizionale
-del medio evo, si fa innanzi dipinta a nuovo e bagna
-i proprî piedi nell’acque del Lario: allora apparteneva
-al signor Nulli, bravo e onesto commerciante di Milano,
-che in un colla sua giovane sposa mi accolse, non dirò
-soltanto con patriarcale ospitalità, ma perfino con entusiasmo,
-in grazia della causa che ad essi mi conduceva.
-Non fu maniera di cordialità e cortesia che
-non mi usassero questi eccellenti cuori, e così mi disposero
-a calcar la via dell’esilio, che per sommo di
-ventura non doveva essere molto lungo, quantunque
-subito amareggiato da grave malattia.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_97">[97]</span>
-</p>
-
-<p>
-Oh! io mi rammenterò tutta la vita quella giornata
-da me trascorsa nella villa di Moltrasio! il mio pensiero
-ed il mio cuore la rammenta con dolcezza e con sincera
-riconoscenza.
-</p>
-
-<p>
-Qualche anno dopo, io elessi a stanza autunnale una
-villa prossima a Moltrasio, nel vicin paesello d’Urio:
-corsi difilato, come voleva il cuore, alla villetta delle
-due torricelle; ma colà più non erano i signori Nulli...
-</p>
-
-<p>
-Essa è ora di ragione dei conti Belgiojoso, e v’hanno
-appiccicato, come s’usa a tante, un nome, e vien detta
-<i>Il Pensiero</i>. Per me, l’ho detto, essa sarà sempre un
-pensiero di gratitudine.
-</p>
-
-<p>
-Rifaceva allora la via nel mio burchiello, che il Bellasio
-spingeva avanti lentamente, quasi ei pure non
-volesse turbare il mio silenzio e la mia penosa meditazione;
-poi l’accorto barcaiuolo, che sapeva un cotal
-po’ de’ miei gusti prediletti, presumendo fosse tempo di
-finirla colle ubbie, venne a rompere il silenzio.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-— Vede? Anche qui a quello scoglio — e sospendendo
-un tratto i remi, mi indicava una scogliera che dal lato
-manco del paese si protende un cotal poco — si racconta
-una storiella, una di quelle ch’ella piacesi d’ascoltare.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-Il Bellasio (così chiamato per avventura, altro essendo
-il suo vero nome, perchè venuto da Bellagio,
-borgata più in su del lago, che visiteremo, e la quale
-sta a capo della punta che divide il Lario in due rami,
-<span class="pagenum" id="Page_98">[98]</span>
-l’uno che scende infine a Como, l’altro che spingesi
-infino a Lecco, da dove poi le sue acque ripiglian il
-diritto primitivo, uscendo di sotto il ponte col nome
-anteriore di Adda e colla qualità di fiume) era un
-valente barcaiuolo ed a lui più d’una volta mi son
-mostrato avido di leggende e di racconti, come quegli
-che pur la storia anedottica d’ogni terra del Lario e
-d’ogni villa aveva sulle dita; mi aveva messo un giorno
-il ticchio di descrivere quella storia de’ misteri del
-lago, della quale già feci cenno; e vi so dire che se
-tempo e volontà m’avessero bastato, se ne sarebbero
-dettati più volumi tutti pieni e palpitanti d’interesse.
-Dal santo chiodo e dalla gamba d’un de’ bambini trucidati
-dal Re Erode, conservati nella chiesa di San
-Giovanni Battista di Torno, al processo della regina
-Carolina d’Inghilterra; dagli sposi annegati, ricordati
-dalla ballata del Cantù, al processo B.... e alla conversione
-del principe Petrovich di Schuvaloff, fattosi
-poscia barnabita e di cui si veggono le ville sulla
-sponda opposta vicino a Blevio e che ho già rammentate,
-sapeva il Bellasio tutto; e più d’una volta me ne
-aveva fatto curiosa imbandigione, nè era sempre stata
-infruttifera a lui la parlantina.
-</p>
-
-<p>
-— E che si narra intorno a quella scogliera? — chiesi
-allora al barcaiuolo.
-</p>
-
-<p>
-Questi incrociò di nuovo i suoi due remi e più lentamente
-ancora adoperandoli, incominciò:
-</p>
-
-<p>
-— Erano i tempi antichi. La Ghita era una bella
-montanina che abitava una casipola lassù presso alla
-cascata di Moltrasio.
-</p>
-
-<p>
-— La cascata? — interrogai io, come uomo che
-fosse nuovo a quella locale particolarità.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_99">[99]</span>
-</p>
-
-<p>
-— Che? non c’è stato a veder la cascata di Moltrasio?
-La ci vada che ne sarà contento.
-</p>
-
-<p>
-Io fermai dentro di me che vi sarei andato all’indomani.
-</p>
-
-<p>
-Il Bellasio proseguì:
-</p>
-
-<p>
-— Dunque la Ghita in sul pomeriggio d’una giornata
-era andata giù a Cernobbio a trovare non so qual parente
-e fra una parola e l’altra il tramonto approssimava
-e l’ora della cena pur con esso. — Che ti fermi,
-Ghita, a mangiare con noi un bocconcino? le dice quella
-parente. — Sì, no, è troppo tardi, m’aspetta la mamma — risponde
-la forosetta e intanto la chinava la faccia
-fatta rossa come una melagrana. Gli è che la Ghita,
-come ella può bene figurarsi, aveva a casa il suo Tonio
-che l’attendeva, un pezzo di giovinotto che le invidiavan
-tutte le ragazze. — To’, siedi: sono agoni che due momenti
-fa ballonzolavano ancora vivi sul tagliere. — E
-la Ghita, mal resistendo, si sedeva sur un trespolo di
-legno intorno a un desco su cui fumava una soda polenta
-e gli agoni esalavano una fragranza provocante. L’ora
-così si era fatta tarda, quando la Ghita si accommiatò.
-Ben è vero che qualcuno l’accompagnò un piccol tratto
-di strada fino alla punta del Pizzo, ove è adesso la villa
-del passato Vicerè e ch’ella sa; ma, qui giunta, sentendo
-venir da lunge come uno zufolare d’uomo e
-credendo che si fosse il proprio Tonio che le venisse
-all’incontro, licenziava l’uomo che l’aveva accompagnata
-col pretesto che in due salti ella sarebbe a casa,
-nè voleva di tanto dargli più incomodo e fatica.
-</p>
-
-<p>
-E la Ghita camminava.
-</p>
-
-<p>
-La strada allora non era come la vede adesso, così
-<span class="pagenum" id="Page_100">[100]</span>
-bella che la fu un vero beneficio di quella donna caritatevole
-che è stata la principessa di Galles, la regina
-che per tanto tempo fu la nostra provvidenza; la strada
-era su e giù serpeggiante fra la boscaglia, fitta, scura,
-che chi non fosse stato del paese non ci avrebbe certo
-a notte trovato il conto di uscirne, e se incauto si fosse
-un po’ tenuto verso il lago, avrebbe corso anche il rischio
-di fiaccarvi il collo; perocchè prima che Monsù
-Curié avesse fabbricato la sua bella palazzina, là vi
-stavano bronchi, massi e precipizî pericolosi mascherati
-da liane e spine secolari.
-</p>
-
-<p>
-Era la Ghita giunta poco più avanti ove è appunto
-la villa Curié, che sentissi da una voce sconosciuta intimare:
-</p>
-
-<p>
-— Alto, chi va là?
-</p>
-
-<p>
-— Son io, son la Ghita di Moltrasio — rispondeva
-sgomenta la fanciulla.
-</p>
-
-<p>
-E l’incognito ridendo allora di un riso satanico, venendole
-incontro, le diceva:
-</p>
-
-<p>
-— Ah! ah! a quest’ora qui la Ghita di Moltrasio?
-Sei venuta ne’ miei domini ed è giusto che paghi il tuo
-pedaggio — e stendeva ver lei la mano.
-</p>
-
-<p>
-Diede la giovinetta un salto indietro e intimava al
-temerario:
-</p>
-
-<p>
-— Statevi un po’ sul vostro e lasciatemi ir oltre,
-perchè è tardi e sono attesa.
-</p>
-
-<p>
-Lo sconosciuto rispose con un ghigno da demonio e
-mosse invece innanzi risoluto per abbrancarla; ma la
-Ghita, lesta più ancor di lui, in un attimo, fatto in cuore
-un voto alla Madonna a tutela del suo onore, spiccò
-un salto per quei burroni, e quel tristo che la stava
-<span class="pagenum" id="Page_101">[101]</span>
-per afferrare, nè pel bujo aveva avvertito l’imminenza
-del pericolo, fallendogli il piede, giù egli pure precipitò.
-</p>
-
-<p>
-Si sentiva tosto dopo un lungo grido come d’uomo
-cui sia tocco una terribile percossa, ed un giovane che
-muoveva da Moltrasio e l’udiva, com’era ben naturale
-in quella generale quiete della sera, affrettando i passi
-per il sentiero della foresta, giunto presso alla scogliera
-dove il fatto era accaduto, presago in cuore che la
-sventura avesse toccato la fanciulla dell’amor suo, si
-diè a chiamarla.
-</p>
-
-<p>
-— Ghita! Ghita!&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-La voce infatti della fanciulla gli rispose. Oh! era lei,
-proprio lei, chè nel cadere per quei burroni la sua
-gonna s’era impigliata fra i rovai e le liane e l’avevan
-impedita di rovinare giù nel lago sfracellata, dove era
-andato invece a piombare il suo turpe tentatore.
-</p>
-
-<p>
-Tonio, il fidanzato della Ghita, espertissimo di que’
-greppi, avvertita dapprima la fanciulla che non si
-avesse ad agitare, ma cercasse d’attenersi ad alberelli
-i più robusti, si condusse cautamente presso ad essa e
-protendendole la mano, poichè l’ebbe ad afferrare,
-giunse in breve a districare la sua Ghita e condurla a
-salvamento; e dopo udito il tristo caso, quando presa
-la sua barca venne sotto alla scogliera a cercarvi il mal
-capitato, nè egli, nè i suoi compagni che recavano accesi
-de’ legni resinosi, ritrovarono il cadavere. Solo un
-feltro galleggiava là vicino e la gente del paese andò
-divisa nel pensare a chi spettasse. I più dicevan che ei
-fosse un contrabbandiere della Svizzera vicina, altri
-invece e le comari affermarono, pel contrario, che potesse
-essere il demonio, e che la Ghita fosse stata salva
-<span class="pagenum" id="Page_102">[102]</span>
-per il voto alla Madonna. Certo è che ancora la sera,
-quando il tempo mena burrasca, proprio come quella
-notte che avvenne il triste caso, vedesi un fuoco errare
-su quel greppo, e chi passando lo vede si fa il segno
-della croce, perchè o lo spirito del contrabbandiere o
-il demonio in persona è condannato a qui far la penitenza.
-</p>
-
-<p>
-Il Bellasio gittò i remi: io sorrisi per la conclusione
-della storiella e m’accorsi che eravamo giunti agli scaglioni
-della casa de’ miei eccellenti amici, i signori Turati
-di Urio, che mi ospitavano cordialmente.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Come avevo stabilito, all’indomani m’avviai a Moltrasio
-di nuovo, alla ricerca della cascata che m’aveva
-accennato il barcaiuolo. Attraversando il paese scaglionato
-su quel pendio, io, studioso dell’antico, ricordai
-come gli etimologisti pretendano derivare il nome del
-paese da <i>Monte Raso</i>, e misurandone tutta la lunghezza
-coll’occhio vedevo l’ampio palazzo dei conti
-Passalacqua, detto la Vignola, architettato da Felice
-Soave con soverchia semplicità, con giardino avanti
-di esso a varî piani che discendono al lago sempre
-fiancheggiati da cipressi. Volgevo poi lo sguardo da
-l’un lato e dall’altro della villa e cercavo indovinare
-dove mai avesse potuto sorgere quella del baron Durini,
-citata dall’abate Amoretti nel suo <i>Viaggio da Milano
-ai tre laghi</i>, dove questo autore lasciò scritto
-trovarvisi una magnifica raccolta ornitologica.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_103">[103]</span>
-</p>
-
-<p>
-Passai il paese, e a mano manca, fuori appena di
-esso, nella parte superiore allo stesso si presenta infatti
-quel grande scoscendimento e la cascata d’acqua che
-que’ del luogo chiamano l’Orrido di Moltrasio, ma che
-non ne ha le condizioni, essendo ben lungi dall’ispirar
-orrore, e da cui scende un torrente che attraversando
-il paese lo rende veramente pittoresco.
-</p>
-
-<p>
-Il lettore ne ha l’idea nel disegno veritiero che ne
-ha tratto felicemente il mio amico Curioni: le mie parole
-non gli apprenderanno gran che di più.
-</p>
-
-<p>
-Il geologo qui ritrova un grandissimo interesse, e
-questa linea non interrotta di montagne, che comincia
-dopo Cernobbio e procede lungo il lago, è di un calcare
-bigio azzurrognolo e dell’epoca giurassica, di struttura
-fossile, opportunissima alle costruzioni, facilmente
-sfogliantesi in lastroni fin della grossezza di mezzo metro
-e con qualche rara striscia di calcareo cristallino
-bianco e qualche vena di litantrace. È conosciuta in
-pratica col nome di pietra di Moltrasio e quivi cavansi
-altresì le ardesie onde copronsi i tetti in molti luoghi.
-</p>
-
-<p>
-I cataclismi formidabili in secoli antidiluviani imperversarono
-certamente in tutte queste località, e le ammoniti
-che ritrova col suo martello il geologo, pesci e
-rettili che si rinvengono sulle cime di queste montagne,
-reliquie dell’<i>Ursus Spæleus</i> raccolte in grotte, crepacci
-spaventosi, burrati e fenditure, e questo dirupamento
-medesimo di Moltrasio con quelli di Molina, di Nesso,
-di Bellano ed altri molti, rivelano que’ tremendi sconvolgimenti
-naturali, per i quali si esercita lo studio ed
-anco la fantasia di tanti indagatori della natura, così
-spesso traviati dalle disparate dottrine e dai sistemi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_104">[104]</span>
-</p>
-
-<p>
-La Caseata di Moltrasio è del più bello e singolare
-effetto.
-</p>
-
-<p>
-Una grossa massa d’acqua gittasi da una grande altezza
-fra una immensa spaccatura di montagna. Superiormente
-alla caduta sonvi fertili e popolati piani;
-onde rasente al punto di caduta evvi una casipola che,
-a chi riguarda dal basso, molto aggiunge alla vaghezza
-pittorica del luogo. L’acqua, rovesciandosi spumeggiante
-per quelle dirupate frane, forma in basso un piccolo
-bacino su cui corrono, come ponte, alcune tavole,
-dove sempre il visitatore si arresta nell’ammirazione di
-quella grandiosa naturale maraviglia. Alberi ed alberelli,
-rampicanti verdi e rossi e muschio rivestono qui
-e qua i grossi massi della frana e prestansi mirabilmente
-a compiere una magnifica scena.
-</p>
-
-<p>
-Piena la testa, più che del frastuono dell’acque cadenti,
-delle profonde impressioni lasciatemi dalla vista
-di sì imponenti bellezze, ritornai sul mio cammino,
-raccolto nelle più svariate meditazioni, nullamente distratto
-tampoco da quell’altro miracolo di cielo ed
-acqua, di colli e monti, di ville e casali, di giardini e
-di colti che mi stava tutt’all’intorno e che costituisce
-giustamente l’oggetto dell’ammirazione e dello stupore
-anche del forestiero più disilluso.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_105">[105]</span></p>
-
-<h2 id="esc9">ESCURSIONE NONA.
-<span class="smaller">MOMPIATTO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora Taverna. — Torno. — Storia. — Gli
-Sposi annegati. — Ville Croff, Righini, Antonelli. — La chiesa di
-S. Giovanni e pia leggenda. — Mompiatto. — Le sue monache. — La
-Pietra pendula e la Nariola.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-La giornata è serena: lasciamo la sponda di Moltrasio
-e volgiamo la lancia alla opposta di Torno.
-</p>
-
-<p>
-Il piroscafo ha già toccato la punta di Geno, su cui
-siede la villa Cornaggia e già dirizza la prora verso
-Cernobbio, per venire a deporre passeggieri nel burchio
-della <i>Regina d’Inghilterra</i>, dell’albergo, s’intende,
-del quale ci siamo già intrattenuti.
-</p>
-
-<p>
-La riga di bianco fumo che lascia addietro di sè il
-vapore ci avverte che va sollecito; affrettiamo, che lo
-vedremo passare dinnanzi a noi e giungeremo in tempo
-di farci cullare dalle grosse onde che solleva col volgere
-delle ampie sue ruote, e passeremo in rivista i
-passeggieri che muovono ai diversi punti del lago.
-</p>
-
-<p>
-Intanto eccoci in faccia la villa Taverna sulla sponda
-destra: dirizziamo la punta della lancia alla volta di
-<span class="pagenum" id="Page_106">[106]</span>
-essa, se vogliamo trovarci al sito in cui il piroscafo rallenta;
-la campanella della fermata suona e noi possiamo
-goderci dello spettacolo che ci siamo ripromessi.
-</p>
-
-<p>
-Il paesello vicino è Perlasca, terricciuola già fiorente
-per l’industria della lana che vi si esercitava, ammencita
-ora di molto nelle guerre <i>astute e ladre</i>, direbbe
-il Torti, de’ passati tempi. Vi è ancora una casetta
-in cui la tradizione pretende siavi nato Benedetto Odescalchi,
-quegli che fu pontefice sotto il nome di Innocenzo
-XI, da soldato ch’era dapprima. Quivi ad ogni
-modo era la villeggiatura degli Odescalchi e quivi egli
-veniva al divertimento della caccia, come lasciò ricordato
-in un suo scritto.
-</p>
-
-<p>
-Fu nel secolo scorso che venne edificata la villa
-Tanzi, ora denominata dall’attuale suo possessore conte
-Lodovico Taverna, patrizio milanese, che l’eredò da un
-conte Tanzi, senz’altra ragione, dicesi, che quella della
-simpatia, con un bel gruzzolo insieme di denaro per la
-relativa manutenzione. Fu l’incarnazione di uno di
-quei bei sogni di una notte d’estate che facciamo noi
-popolani, e la cui realtà non avrà già recato tutta
-quanta la sorpresa al già ricco patrizio, che avrebbe
-fatta a noi. Era in addietro la più bella villa del
-lago: ora si conserva sempre fra quelle che attraggono
-meglio l’attenzione, senza pretendere al primitivo
-vanto. Delle due ale sporgenti del fabbricato, una non
-è internamente ultimata ancora. Accrescono pregio i
-giardini disposti maestrevolmente, con serre chiudenti
-peregrinità botaniche e fiori d’ogni specie, su tutti
-ottenendovi culto speciale la rosa in infinite sue varietà,
-e ve ne aggiungono eziandio belle ed esotiche
-<span class="pagenum" id="Page_107">[107]</span>
-piante. Nè ciò faccia maraviglia, da che il conte Taverna
-si piacque di orticoltura e giardinaggio, e Lombardia
-gli va debitrice dell’introduzione di più d’una
-delle piante ornamentali, venute poscia in voga tra
-noi, e tra le quali quella bellissima tussilaginea, detta
-il <i>Farsugium grande</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ma ecco il vapore ci è alle spalle; sostiamo.
-</p>
-
-<p>
-Gustata la voluttà di questi sobbalzi dell’onda, progrediamo
-verso la meta della nostra odierna peregrinazione.
-</p>
-
-<p>
-Questo paese è Torno col suo bel promontorio. Ebbe
-un dì stabilimento degli Umiliati che vi fabbricavano
-panni. Narra il Cantù, che mentre Francesi e Svizzeri
-combatteano contro i Tedeschi, i Tornaschi favorirono
-i primi, e quando rimasero sconfitti alla Bicocca (1522),
-resistettero ancora, come Brescia nel 1849, e ne corser
-la sorte. Perocchè il governatore di Como assalse e
-mandò a ruba e fuoco Torno, neppur la chiesa risparmiando;
-e restò memoria d’una fanciulla che il fior
-verginale salvò dirupandosi da una finestra e perendo
-colla patria. Lo stesso Cantù verseggiò un’altra pietosa
-romanza o storia di sposi annegati, sotto il titolo:
-<i>I morti di Torno</i>. Io mi fo lecito ridurla a prosa.
-</p>
-
-<p>
-Linda, la bella fanciulla di Torno, era fidanzata a
-Fernando, quando questi aveva dovuto partir soldato
-per la guerra. Si scambiarono i due giovani i giuramenti
-d’amore, e, mentre Fernando era alla guerra, ella
-attendea e pregava la Vergine e i santi pel suo ritorno.
-Un dì finalmente, reduce Fernando dalla Spagna, spediva
-lettera a Linda che le annunziava la sua venuta
-al paese fra sette dì. Ognuno immagina la gioia della
-<span class="pagenum" id="Page_108">[108]</span>
-poveretta a tal novella, ognuno le ansie di sì lunga settimana:
-alla fine spuntò l’alba dell’ultimo giorno. Spia
-tutte le navi, i battelli che solcano il lago; ma egli non
-viene: finalmente, alla militare assisa che è in un burchio,
-più col cuore che coll’occhio lo divina, lo riconosce...
-è lui. Ma intanto sul lago si è ingrossato un fiero
-temporale, il tuono scoppia, l’acqua diluvia, è un tempo
-d’inferno. L’amato burchio avanza lentamente lottando
-colle onde, e Linda, a seguir meglio il progresso di esso,
-a meglio vedere il suo bene, vola su d’un’eminenza che
-sta lungo il lago; ma giunta a mezzo dell’erta, per
-l’erba molle e bagnata, il piè le scivola, e giù dalla
-china precipita nell’onde. La vide Fernando e la conobbe,
-nè curando il furiare dei flutti, si slancia in
-mezzo ad essi, drizzando il nuoto verso la sua fidanzata.
-Invano facevano forza di remi i battelli spiccatisi
-dal lido e il burchio dove era Fernando, per accostarsi
-agli infelici sposi che non si videro più ricomparire.
-Solo la dimane se ne ritrovarono i corpi: erano abbracciati
-insieme nell’amplesso castissimo di morte.
-Là venne posta una croce a memoria del pietosissimo
-caso e il barcaiuolo che vi transita prega loro la requie
-eterna.
-</p>
-
-<p>
-Poichè siam presso al porto, ecco vedete là su è la
-villa Croff: vi stan presso le ville Righini e l’Antonelli
-a destra, due operosi negozianti milanesi che raggranellarono
-gran fortuna e procacciaronsi questi agî signorili;
-a sinistra sono la casa e i giardini a cedriere
-sporgenti sul lago appartenenti ai signori Ruspini e
-da’ quali si gode di bellissimo panorama. Nella casa di
-questi signori di Como, fra qualche altro oggetto d’arte
-<span class="pagenum" id="Page_109">[109]</span>
-è un marmo egregiamente scolpito dal Tantardini di
-Milano, del quale abbiamo già ammirato in Como altre
-opere commendevoli.
-</p>
-
-<p>
-Scesi a terra, ci si para avanti la chiesa del paese e
-più su l’altra dedicata a San Giovanni Battista, intorno
-alla quale è pure una leggenda. Narrasi da que’ pescatori
-che al tempo delle crociate un arcivescovo tedesco
-tornando da Palestina ne riportasse un santo chiodo e
-la gamba d’uno degli Innocenti. Fermatosi a Torno,
-ebbe sì continuamente contrario il vento, che gli parve riconoscere
-in ciò la volontà del cielo ch’ivi lasciasse
-quelle sante reliquie, e le depose infatti nella chiesa
-suddetta di San Giovanni.
-</p>
-
-<p>
-Per questo calle montiamo, montiamo, onde raggiungere
-l’altipiano a cui siamo diretti, a Mompiatto. Nè
-lunga, nè aspra la salita: rivoletti d’acqua limpida
-scendono lungo il cammino, che presto ci scorge avanti
-la chiesa che sta in cima e dov’era già un chiostro di
-vergini. Quivi però le monachelle, più che a <i>mattinar
-lo sposo</i> divino, come direbbe l’Alighieri, ed attendere
-a vita contemplativa, s’abbandonavano ad amori e baldorie
-poco canoniche e meno caste; tal che S. Carlo
-Borromeo, che alle monache ed a’ frati solea spesso
-riveder le bucce, ne lo chiuse, e le suore trasferì al
-Sacro Monte di Varese a più severa disciplina. L’episodio
-ricorda la novella prima della terza giornata del
-Decamerone del Boccaccio, fondata sulla vecchia tradizione
-del contado toscano che presso a Lamporecchio
-fosse un convento di monache, che pel vezzo di divertirsi
-come quelle di Mompiatto, ebbero il convento demolito
-ed esse furono trasferite altrove.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_110">[110]</span>
-</p>
-
-<p>
-Sull’ameno altipiano del Mompiatto vengono sovente
-le brigatelle villeggianti ad asciolvere allegramente;
-ma più matte e curiose sono quelle che vi chiama quella
-sagra che al due luglio vi si celebra e dove è tutta la
-giornata il più lieto via vai, su e giù per l’erte viuzze,
-d’uomini e donne e di fanciulli; ed in cima si merenda
-sotto gruppi di annose piante; si gozzoviglia e canta
-finchè calano da’ più alti monti le ombre, e alla chiesa
-di San Giovanni spirano i tocchi dell’avemmaria vespertina.
-</p>
-
-<p>
-Su questo monte, che s’eleva sovra tutte queste ville
-che si schierano da Blevio infino a Torno, attira poi la
-curiosità la <i>Pietra pendula</i>, di forma conica, sulla cui
-punta sta in bilico un trovante o masso granitico di
-due metri d’altezza e di cinque di diametro, che pretendesi
-formi sistema col <i>Poncione di Blevio</i>, che gli
-abitanti chiamano <i>Nariola</i>, altro masso più enorme che
-sporge sul pendio che tocca appena d’una estremità la
-terra, solo sorretto dalla punta d’una roccia calcare,
-sicchè guardato di fianco, sembra prossimo a rovinare.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-110b"></a>
- <img src="images/ill-110b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">La Pliniana.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_111">[111]</span></p>
-
-<h2 id="esc10">ESCURSIONE DECIMA.
-<span class="smaller">LA PLINIANA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. — Villa Canzi. — La
-Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso e riflusso. — Spiegazione
-del fenomeno. — La Breva e il Tivano. — L’assassinio di Pier Luigi
-Farnese. — Giovanni Anguissola. — La villa e l’attuale proprietaria.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Non erano più i giorni gloriosi della celebre danzatrice,
-di Maria Taglioni... Il tempo, questo terribile
-devastatore della bellezza e del valore, aveva già da un
-pezzo chiuso i battenti de’ più cospicui teatri a quella
-grande artista che aveva stancato i plausi dei pubblici
-più difficili d’Europa, ed eletto soggiorno in Parigi, lasciava
-deserta la sua vaghissima villa di Blevio, la quale
-si specchia nell’onda del Lario.
-</p>
-
-<p>
-Non erano dunque più gli ammiratori e gli amici di
-quella illustre alunna di Tersicore che animavano di
-loro presenza nell’agosto 1868 i freschi recessi della
-suntuosa villeggiatura; ma sì i vispi figliuoli di mia sorella,
-<span class="pagenum" id="Page_112">[112]</span>
-a cui era stata locata, ed io che, dopo un’arringa
-al Tribunale di Como, ero venuto ad abbracciarli, io di
-fianco alla mia buona Emilia, sorridevo alla bravura di
-Giulio e di Gigi suoi che maneggiavano il remo, come
-se fossero nati e cresciuti sempre su quelle sponde e
-facevano volare il canotto, leggiero come un alcione,
-sulla quieta faccia del lago.
-</p>
-
-<p>
-Avevamo già lasciato addietro quelle ville che al
-piede di Blevio abbiam passato in rassegna; già sussurrato
-mentalmente un vale alla memoria del povero
-figlio dell’Inghilterra<a class="tag" id="tag12" href="#note12">[12]</a>, che assueto al mare, credette
-far troppo a sicurtà colle onde del Lario, le quali ogni
-anno reclamano il tributo di vittime umane; passata
-innanzi alla villa Taverna ed a Torno; già svolto i giardini
-dei signori Ruspini che fiancheggiano vagamente
-Torno; rasentata la villa Matilde dei signori Juva, piccola
-ma elegante, da cui uscivano note dolcissime di
-canto, come le sa rendere quella esimia dilettante, che
-a valore potrebbesi dire artista, che è la signara Matilde
-Branca, la quale ne è la proprietaria; e quindi
-la villa dell’ingegnere Canzi architettata sul far de’
-<span class="pagenum" id="Page_113">[113]</span>
-palagi di Venezia, con finestre e loggie di terra cotta,
-come ne è la balaustrata: quattro colpi di remo, ed
-ecco ci trovammo nel pieno ed austero seno della
-Pliniana.
-</p>
-
-<p>
-— La Pliniana! esclamò Emilia.
-</p>
-
-<p>
-Infatti ci riconoscemmo in grado di vederne il fabbricato
-intero. Un grandioso loggiato d’ordine dorico
-prospetta il lago e serve di vestibolo al palazzo che si
-addossa al monte con giardino a varii piani, i quali
-s’innalzano fino ad una specie di romitaggio, in cui la
-solitudine profonda e l’isolamento assoluto della villa
-ispirano gravi, melanconiche o appassionate meditazioni.
-Un torrente che le sta a lato, dall’altezza di
-novanta metri balza con bell’effetto dalle roccie e rumoreggia
-transitando per l’atrio, per confondersi da
-ultimo colle acque del lago.
-</p>
-
-<p>
-— Fu Plinio forse qui ad abitare ed a lasciarvi il
-suo nome? — mi domandò Antonietta, la mia eccellente
-e affettuosa nipote.
-</p>
-
-<p>
-— No — rispos’io. — Plinio il Giovane lasciò nelle
-opere sue la descrizione della fontana intermittente,
-che avrai veduta nella villa e di cui anzi fa cenno la
-lapide latina che vi avrai scorta, ma non capita, e
-che qui chiama la curiosità del forastiero; ma la villa
-non appartenne mai a quell’illustre.
-</p>
-
-<p>
-— Ah sì, la fontana che ha il flusso e riflusso come
-il mare e che è inesauribile.
-</p>
-
-<p>
-— Essa ha infatti un’intermittenza; or cresce a ricolmare
-un bacino, ed ora, ad occhio veggente, scema;
-ma questo flusso e riflusso non è regolare come quello
-del mare, nè poi è tutta vera la credenza ch’essa sia
-<span class="pagenum" id="Page_114">[114]</span>
-inesauribile. Vuolsi inoltre ch’essa abbia relazione col
-<i>Buco del piombo</i>, che si vede all’opposto versante della
-montagna che sogguarda il Piano d’Erba, ma non sono
-che supposizioni codeste.
-</p>
-
-<p>
-Ora udite quale spiegazione ne dia il detto Plinio,
-non già per dirvi che l’abbia azzeccata giusta; ma per
-darvi un saggio della scienza fisica d’allora: la traduzione
-dal latino è del Paravia:
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p class="indl">
-“C. Plinio a Licinio.
-</p>
-
-<p>
-„Io ti ho recato dalla mia patria il regaluccio di una
-quistione, la quale è degnissima della profondità del
-tuo ingegno. Scaturisce da un monte una sorgente,
-scorre fra sassi, si raccoglie in un loghicciuolo fabbricato
-per cenarvi; quivi dimorata un tantino, va a
-perdersi nel lago di Como (<i>in Larium lacum decidit</i>).
-Mirabile è la sua natura; tre volte al giorno con invariabili
-aumenti e diminuzioni si alza ed abbassa. Ciò si
-vede apertamente, nè può vedersi senza un grande diletto.
-Colà presso tu siedi e mangi, e bevi anche a quella
-medesima fonte, da che è freschissima; ed essa intanto
-a certi e misurati intervalli o cala o cresce. Poni all’asciutto
-un anello o chechessia, l’acqua a poco a poco
-lo bagna, e tutto finalmente il ricopre, e si scopre di
-nuovo e bel bello rimane all’asciutto. Se ti fermi ad
-osservar questo giuoco, il vedrai rinnovarsi e due e tre
-volte. È forse un qualche occulto vento, che la bocca
-e le fauci della sorgente or apre, or chiude, secondo
-che entra cacciando l’acqua, o esce cacciato da questa?
-Il che noi veggiamo avvenir nei fiaschi e in tutti i vasi
-di questo genere, i quali non hanno una libera e súbita
-<span class="pagenum" id="Page_115">[115]</span>
-uscita. Poichè ancor questi, benchè capovolti e inchinati,
-rattenuti da non so qual vento contrario, ritardano il
-liquore, il qual non esce in certa guisa che a frequenti
-singhiozzi! Forse le leggi dell’oceano son le medesime
-che quelle del fonte? E per la stessa cagione che quello
-ora s’innalza, or s’abbassa, eziandio questa fonticella
-con alterna vicenda ora sporge, or s’arresta? O forse
-come i fiumi, che scaricandosi in mare, sono dagli avversi
-venti e dall’impeto dell’onda risospinti, evvi qualcosa
-che ritarda per qualche istante il corso di questo
-fonte? O hanno gli interni canali un’assegnata misura,
-per cui, mentre si rimettono le perdute acque, il rivo
-si fa più scarso e lento, e rimesse che siano, corre più
-spedito e copioso? Od evvi, non so quale, interno ed
-occulto recipiente, che quando è vuoto desta e sospinge
-la fonte, quando è pieno la ritarda e la soffoca? Or tu
-che il puoi, fa d’investigar le cagioni che producono
-questo fenomeno. Per me è anche troppo, se ti ho a
-sufficienza dimostrato com’esso avvenga. Addio<a class="tag" id="tag13" href="#note13">[13]</a>.„
-</p>
-</div>
-
-<p>
-L’Amoretti invece, nel suo <i>Viaggio da Milano ai
-tre laghi</i>, dopo aver notato come i movimenti dell’acqua
-abbiano un’esatta relazione con lo spirare del
-vento, sì che incominciando su que’ monti a spirare
-il ponente verso la nona ora del mattino, che quei
-del lago chiamano la <i>Breva</i>, a quell’ora eziandio incomincia
-a crescer l’acqua nella fonte; dice questo
-crescimento potersi generalmente calcolare di tre in
-quattro ore. Infatti ad un’ora, al <i>Tivano</i> del mattino
-<span class="pagenum" id="Page_116">[116]</span>
-succede il vento che procede da Como e si denomina la
-<i>Breva</i><a class="tag" id="tag14" href="#note14">[14]</a>. Simile interviene alla sera. Più cresce il
-vento, più si alza la fonte; l’aria è affatto placida, e
-la fonte punto non s’altera. Or come fa egli il vento
-a produrvi sì fatte cose? L’Amoretti, premesso che
-in vetta a’ monti soprastanti alla fonte Pliniana v’ha
-delle caverne o pozzi naturali, che penetrano nel
-seno del monte e vi mantengono degli interni serbatoi
-d’acqua, spiega il fenomeno in questo modo:
-“Siavi in seno del monte uno o più recipienti d’acqua,
-corrispondenti alle bocche superiori, i quali all’orlo
-abbiano delle uscite che portano alla Pliniana. Soffiando
-il vento perpendicolarmente, comprime l’acqua e la
-spinge all’orlo in maggior copia, e quindi più copiosi
-sono i canaletti pei quali portasi alla fonte. Quando il
-vento cessa, l’acqua si rimette a livello, e l’interno laghetto,
-a cui il monte ne somministra cogli incessanti
-stillicidi, torna a ricolmarsi d’acqua, che il seguente
-vento torna a respinger fuori. Ma quando un forte vento
-ha soffiato lungamente, più d’un giorno sta la fonte
-senz’alterazione, perchè l’interno recipiente di tropp’acqua
-è stato privato, e il consueto spazio di tempo
-non basta a riempirlo nuovamente. Se questa spiegazione
-<span class="pagenum" id="Page_117">[117]</span>
-non soddisfa pienamente, quella mi sembra almeno
-che soffra minori difficoltà<a class="tag" id="tag15" href="#note15">[15]</a>.„
-</p>
-
-<p>
-— Ma allora chi fabbricò la Pliniana, se il luogo non
-fu di Plinio? — chiesero in coro i miei nipoti.
-</p>
-
-<p>
-— La è tutta una storia — risposi io.
-</p>
-
-<p>
-— Contala, zio; contala.
-</p>
-
-<p>
-Giulio e Gigi macchinalmente appena muovevano il
-loro remo; noi lentamente intanto approssimandoci
-ognor più al silenzioso palazzo e di pochi tratti discosti
-dallo scalo della Riviera, sospeso ogni altro movimento,
-il canotto sostò, ed io m’accinsi a dire la storia che mi
-veniva domandata.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-— Mi bisogna far viaggiare la vostra mente da queste
-rive a Piacenza, e farvi dar addietro, meglio certo
-di tre secoli, all’anno 1547.
-</p>
-
-<p>
-Pier Luigi Farnese, da non molto creato duca di
-Piacenza e di Parma da papa Paolo III, teneva stanza
-in quella città ed era da essa che esercitava la sua tirannica
-signoria. Se egli avesse virtù alcuna, hanno gli
-storici taciuto; all’incontro il Varchi ne lasciò orribile
-pittura de’ suoi difetti, che del resto erano anche proprî
-del tempo, e il Segni poi, altro storico fiorentino,
-non so con qual fondamento di verità, ce lo descrisse
-storpio di mani e di piedi, sicchè bisognava aiutarlo
-fino al mangiare; e tuttavia rotto a tutti i vizî.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_118">[118]</span>
-</p>
-
-<p>
-Proprio a que’ giorni Spagna e Francia tenevan l’occhio
-sul paese nostro, e Carlo V imperatore l’aveva a
-morte col Farnese, e perchè lo stimava, se non promotore,
-complice almeno dell’attentato di Gian Luigi del
-Fiesco contro Genova, e perchè, ciò che più gli cuoceva,
-scorgesse in lui propensione maggiore per Francia, tanto
-più che il Pontefice aveva ottenuto a Orazio Farnese
-per moglie Diana, figlia naturale del re di Francia Enrico
-II. Riuscì facile pertanto all’imperatore di soffiar
-dentro gli odî de’ nobili Piacentini, che lamentavano la
-passata libertà, e la tirannide attuale mal sapevano comportare,
-e si tramò allora una congiura ch’ebbe a capi
-Girolamo e Camillo <i>Pallavicino</i>, Agostino <i>Landi</i>, Giovanni
-<i>Anguissola</i> e Gian Luigi <i>Confalonieri</i>. Si pretese poi
-da chi si piace di stranezze e di bisticci che i nomi
-loro fossero già preconizzati nella parola <i>Plac</i> (Placentia),
-che abbreviata si leggeva impressa nella moneta
-del Duca.
-</p>
-
-<p>
-Ai dieci di settembre di quell’anno 1547, que’ congiurati,
-con alcuni loro aderenti, in numero di trentasette
-persone, portanti soppanni armi coperte, côlta
-l’ora che il Duca avesse pranzato e i suoi ministri fossero
-pure a tavola, entrarono alla spicciolata nella cittadella,
-ove dimorava Pier Luigi, nullamente impediti
-dagli svizzeri che vi stavano a custodia e che di nulla
-certo erano in sospetto.
-</p>
-
-<p>
-Vuolsi che il Farnese fosse stato, per avvisi venuti
-da Milano e da Roma, prevenuto della trama; ma
-quando incalza il destino, invano vi si vuole porre
-ostacolo: egli allora non vi pose attenzione.
-</p>
-
-<p>
-Mentre adunque taluni de’ congiurati, uccidendo alcuni
-<span class="pagenum" id="Page_119">[119]</span>
-labardieri svizzeri e tedeschi, si impodestarono
-delle porte della cittadella e della sala, Giovanni Anguissola
-con due fidati suoi compagni penetrò in quest’ultima
-dove stava Pier Luigi in ragionamenti con
-Cesare Fogliano, e fattoglisi sopra, con poche pugnalate
-lo freddò, senza provare resistenza; perocchè il
-Duca, a causa di sua intemperanza, si fosse reso quasi
-infermo agli atti.
-</p>
-
-<p>
-Il popolo e il capitano delle milizie ducali Alessandro
-da Terni avrebbero voluto accorrere al parapiglia in
-fortezza; ma i congiurati ne avevano prevenuto il colpo
-alzando il ponte, e Agostino Landi, rappresentando al
-popolo il fatto e a lui mostrando il cadavere di Pier
-Luigi, gridò Libertà, Libertà, Imperio, ed annunziò
-l’imminente venuta, per S. M. Cattolica, di don Ferrante
-Gonzaga, governatore di Milano, colle truppe di
-Cesare, il quale due giorni dopo infatti capitò e prese
-possesso della città a nome dell’imperatore.
-</p>
-
-<p>
-Così si intendeva la libertà allora in Italia, e così
-poteva dire di noi con ragione alcun tempo dopo il Filicaia:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Per servir sempre o vincitori o vinti.</p>
-</div></div>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Poco frutto veramente raccolse del perpetrato assassinio
-il conte Giovanni Anguissola. Perocchè, se egli
-venne a rifugiarsi a Milano sotto le tende di Carlo V,
-il quale malgrado l’aver attizzato la congiura, non era
-però meno parente suo per la figliuola Margherita data
-<span class="pagenum" id="Page_120">[120]</span>
-in moglie ad Ottavio figlio di Pier Luigi, e se fu poi
-nominato al governo di Como; non egli potè tuttavia
-far tacere il grido della coscienza che l’accusava assassino,
-comunque le sue mani si fossero insanguinate
-del sangue di un tiranno.
-</p>
-
-<p>
-Papa Paolo III aveva risentito acerbissimo dolore
-della uccisione del figliuolo, e il re di Francia egualmente;
-nè si ritenne dal dissimularne i fieri risentimenti,
-se lo stesso suo ambasciatore in pieno palazzo a Coira
-ebbe a tirare all’Anguissola una stoccata, che per altro
-no’l tolse da questo mondo. Anche il sicario che in
-abito da frate lungo tempo fu veduto aggirarsi nelle
-circostanze di Como, aspettando luogo e tempo per
-iscannarlo, ed altri emissarî, con non dissimili propositi,
-se non vennero a capo del loro truce mandato,
-mantennero pur sempre nell’Anguissola quella paura
-continua e quelle agitazioni che gli dovevano turbar
-l’esistenza.
-</p>
-
-<p>
-Fu allora che nel 1570 egli elesse questo luogo, ove
-è la fonte da Plinio il Giovane descritta, a edificarvi
-questa villa, e dove, malgrado le naturali bellezze, la
-cascata e la magnificenza dell’edifizio, pure è impossibile
-difendere l’animo da un certo senso di malinconia.
-</p>
-
-<p>
-Ben poco il conte Giovanni Anguissola potè godere
-degli ozî non gai che qui egli si era preparato; la villa
-poscia venne acquistata dal conte Fabio Visconti Borromeo,
-indi dai Canarisi, sinchè pervenne al principe
-Emilio Belgiojoso, dove un amor tempestoso gli abbreviò
-una vita che era dapprima sembrata così sorridente
-ed elegante, passando per tal modo la proprietà della
-Pliniana alla figliuola sua che impalmò il milanese
-marchese Lodovico Trotti.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_121">[121]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-La mia storia era finita.
-</p>
-
-<p>
-I miei nipoti ripresero taciturni il remo, virarono la
-barca e si scostarono dall’austero luogo.
-</p>
-
-<p>
-Intanto le ombre scendevano giganti sul palazzo e
-ne’ giardini: al mio povero occhio, non armato in quell’istante
-dell’occhialino, parve per quella tetraggine e
-per le liane della cascata veder qualcosa che si agitasse,
-forse lo sparnazzare di qualche augello notturno,
-e l’immaginazione, ch’io medesimo avevo eccitata col
-richiamo di truci fatti antichi, mi raffigurò lo spettro
-del primo signore di quel luogo, dell’assassino, cioè, di
-Pier Luigi Farnese.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_123">[123]</span></p>
-
-<h2 id="esc11">ESCURSIONE UNDECIMA.
-<span class="smaller">DA MOLTRASIO A TORRIGIA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura nel 1863. — La
-villa Buttafava. — Pognana e Palanzo. — Premenù. — Ancora a
-Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi, Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — Villa
-Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa
-Savoja. — La Minerva, ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. — Ville
-Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — G. B. Lampugnani. — Sonetto
-a Katinka Evers. — Ville Rocca, Tarantola, Ottolini,
-Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. — Ville Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere
-dei fratelli Taroni. — Laglio. — Monumento a Giuseppe
-Franck. — Villa Galbiati. — Torrigia. — Villa Cetti. — La punta.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Perchè ci tratterremmo ancora in questo seno della
-Pliniana così severo e malinconico? Solo ne’ giorni più
-ardenti del luglio potrebbe fornirci un freschissimo
-recesso: or che siamo in pieno autunno, della frescura
-non abbiam troppo bisogno.
-</p>
-
-<p>
-E poi, le dolorose memorie che di questa parte
-conservo, mi fanno dire coll’Epico latino: <i>Eheu fuge...
-fuge litus avarum.</i>
-</p>
-
-<p>
-È vero che a pochi tratti avvi l’Orrido di Molina,
-che non è tempo certo sprecato il visitare e che è
-dato argomentare non esistesse in addietro, se nessuno
-degli scrittori del lago ne fa menzione. È veramente
-<span class="pagenum" id="Page_124">[124]</span>
-orrido, come invece quello di Moltrasio, che non lo
-è, ho preferito, per maggior verità, appellare Cascata.
-L’acqua si precipita per un burrone dall’altezza d’una
-cinquantina di metri e mette i brividi addosso a chi
-vi guarda.
-</p>
-
-<p>
-Presso a Lemna — paese, il cui nome greco, come
-altri che troveremo lungo il lago, rivela la presenza
-un giorno di una colonia greca, quella forse che vi si
-dice dedotta da Giulio Cesare — e giù al piede ove
-era un gruppo di case e una villa, una notte dell’ottobre
-1863, ospite io a Urio in casa della signora Ostinelli-Turati,
-sulla sponda opposta era un furiare di
-pioggia e di vento, e gli echi dei monti avevan dopo,
-in mezzo al silenzio succeduto, ripercosso dall’una all’altra sponda un forte e cupo rumore. Ognun che
-l’intese si domandò che avesse potuto essere. L’indomani
-mattina il sole riapparso illuminava a Lemna
-uno spaventoso disastro. Le acque infiltrandosi tra la
-roccia e la terra sovrapposta ve l’avevano staccata
-interamente; sicchè nel colmo della notte tutta quanta
-scivolando improvvisamente in basso e producendo un
-borro, o lavina, aveva abbattuto e invaso tutti i sottoposti
-casolari, seppellendovi sotto ben quarantacinque
-persone. Anche la villa Buttafava fu nella massima
-parte riempita di fango, e tale ne fu l’orrore della scena,
-che i proprietarî se ne debbono essere disgustati e
-fu detto infatti che non vi volessero più ritornare.
-</p>
-
-<p>
-Io visitai quel tristissimo e toccante spettacolo l’indomani
-e vidi più di un cadavere sterrarsi, più d’un
-orfano desolarsi, più d’un superstite reso quasi stupido
-dal dolore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_125">[125]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tutto il terreno franato e melmoso giaceva là; la
-roccia era nuda e da essa scendeva un rivolo d’acqua.
-</p>
-
-<p>
-Più avanti sull’alto vi sono i villaggi di Pognana e
-di Palanzo (nome pur greco quest’ultimo), ma deserti
-assai, perchè la più parte de’ loro abitanti emigrano
-mercanti girovaghi. Nulla poi offrono che chiamino a
-visitarli, se pur non interessi Premenù, che è uno dei
-soliti bacini o pozzi che su quest’Alpi si incontrano,
-ma non ha speciali particolarità.
-</p>
-
-<p>
-Ritraversiamo pertanto il lago e ritorniamo al sorriso
-della opposta sponda.
-</p>
-
-<p>
-Da Moltrasio a Torrigia non è che una serie di leggiadri
-palazzini. Disseminate per il paese vi sono case
-civili di villeggiatura; rasente il lago vi sono quelle dei
-signori Salterio, poi degli Invernizzi, a cui fa seguito
-la villa del barone Tarchini-Bonfanti, distintissimo
-medico milanese.
-</p>
-
-<p>
-Usciti appena dal primo paese, ci si offrono i due
-corpi di casa costituenti la villa della Duchessa di
-Piacenza, illustre dama francese che s’innamorò dell’Italia,
-o, a meglio dire, della nostra Lombardia, e
-da tanti anni divide il suo soggiorno fra Milano e il
-lago di Como. Della villa Pensiero dei conti Belgiojoso,
-che le vien dopo, già parlai nella escursione alla Cascata
-di Moltrasio; così passiamo a quella che succede,
-e che si denomina Rosiera: essa appartiene a Giovanni
-Casati, uno de’ migliori coreografi de’ nostri tempi, e
-il nome che le fu imposto ricorda appunto una delle
-più applaudite sue composizioni coreografiche date nel
-massimo teatro milanese.
-</p>
-
-<p>
-Un grazioso <i>chalet</i> svizzero, ch’era prima del nobile
-<span class="pagenum" id="Page_126">[126]</span>
-Vitali, fu ceduto ai signori Pavia e continua la lunga e
-graziosa sequela delle ville. Dopo di esso sorge la Partenope,
-che colla vicina Minerva venne fabbricata dal
-signor Ambrogio Robiati, per condurvi il suo collegio
-d’educazione maschile che aveva in Milano, e dove largheggiò
-cospicue somme a beneficio... di chi le comperò
-di poi a prezzi d’assai inferiori. La Partenope è divenuta
-ora proprietà del conte Gamberini di Imola, che
-v’ampliò il giardino, abbellì la casa, tutto informando
-alle proprie comodità. La Minerva ha mutato ora nome,
-quello assumendo di villa Elena, essendo al presente
-posseduta dalla russa contessa Elena Goloubtzoff nata
-Pahlen, sorella di quella generosissima contessa Samoyloff,
-che per tanti anni erogò in Milano gran parte
-del suo patrimonio in beneficenze. Essa pure sta annettendovi
-locali e migliorie e vi fa erigere scuderie che
-mancavano, poichè da qualche anno la via che corre
-dietro alla villa fu resa carrozzabile infino a Torrigia.
-</p>
-
-<p>
-Tra la Partenope e la Minerva, l’editore e libraio
-Gaetano Brigola di Milano si fabbricò la sua graziosa
-Igea, e può dire che il commercio librario, da lui con
-tanta intelligenza esercitato, <i>hæc otia fecit</i>. — Anche
-l’ing. cav. Savoja vi eresse a fianco un elegante casino.
-</p>
-
-<p>
-Fa séguito alla Minerva la villa della signora Ostinelli-Turati,
-due nomi che ricordano due notorie case
-librarie, la prima di Como, la seconda di Milano, nella
-quale, come già dissi al lettore, ebbi ospitalità cordialissima
-e più d’una volta, perchè ad amici della tempra
-de’ Turati rifiutare è offesa. Vuolsene ammirare la
-bella e buona architettura del cav. Dupuy.
-</p>
-
-<p>
-Vien presso il paesello di Urio, a fianco del quale
-<span class="pagenum" id="Page_127">[127]</span>
-scorre il torrente Strona e una grandiosa villa che
-già apparteneva ai Melzi e poscia di padrone in padrone
-capitò alle mani dell’avvocato Peduzzi, che la
-va affittando, finchè capiti qualche gran signore che
-se ne invaghisca e la ristauri e perfezioni, di che ha
-veramente bisogno per essere detta fra le più interessanti
-del lago. Evvi anche molto terreno addetto, attissimo
-a convertirsi in bel giardino, ed ha al piede
-una bella darsena, che all’uopo basterebbe a tramutarsi
-essa sola in villa.
-</p>
-
-<p>
-Quella detta <i>Jenny</i>, che seguita, è dei signori Uboldi;
-quindi la villa Calcagnini, e dopo altre due spettanti
-ai signori Taroni, una cioè al di là della strada, l’altra
-di qua e respiciente il lago.
-</p>
-
-<p>
-Sofia Fuoco, or fa qualch’anno rinomata danzatrice,
-uscita dagli insegnamenti del Blasis, si raccolse qui a
-Carate in una comoda villetta a riposarsi sui conquistati
-lauri teatrali. — Quivi si tramutò pure da una villeggiatura
-suburbana di Monza, ch’ebbe cara finchè fu
-rallegrata dal sorriso dell’unica figliuoletta Giuditta,
-leggiadra, spiritosa e di sè assai promettente, il mio
-amico dottor G. B. Lampugnani; ma rapitagli questa
-da inesorabil morte, più non volle rivederla, ricercando
-i conforti di tanta jattura a queste amenissime rive. Alla
-consorte sua, quell’esimia artista cantante che fu Katinka
-Evers, la quale ne divideva inconsolabile il dolore,
-io in quel suo domestico lutto rivolsi questo sonetto.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Alle lagrime il fren, povera afflitta,</p>
-<p class="i02"> Lascia libero pur, che n’hai ben d’onde:</p>
-<p class="i02"> No, non basta il saper che a più gioconde</p>
-<p class="i02"> Regïoni volò la tua Giuditta.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_128">[128]</span></p>
-<p class="i01">Solo t’è in cor la verità confitta</p>
-<p class="i02"> Che tu la chiami ed ella non risponde,</p>
-<p class="i02"> Che col tuo bacio il suo più non confonde.</p>
-<p class="i02"> Ch’ella per sempre t’ha quaggiù relitta.</p>
-<p class="i01">Era sì bella, sì gentil, modesta</p>
-<p class="i02"> E del suo spirto le virtù supreme</p>
-<p class="i02"> Così colpian ogni persona onesta;</p>
-<p class="i01">Che nell’acerbo duol che il cor ti preme,</p>
-<p class="i02"> Altra parola non so dir che questa:</p>
-<p class="i02"> Povera madre, lagrimiamo insieme.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Qui pure in Carate hanno ville il signor Rocca, che
-ristaurò la propria recentemente; il conte Alfonso Visconti,
-che dall’angustia dello spazio seppe trarre il
-miglior partito, e però chiamolla Ripiego ed ha assai
-leggiadra architettura; il Battaglia, il cav. dott. fisico
-Francesco Viglezzi, il Tarantola e la Ottolini, tutti accorrenti
-dalla ricca Milano; e qui la contessa Sangiuliani,
-presso la quale a sera convengono i villeggianti
-a conversari e danze. Al suo giardino la piena del lago
-ritolse, or fa qualch’anno, un chiosco ch’era in riva e
-che con tutto il mobiglio una bella notte scomparve, a
-nuova prova che il Lario non patisce gli si rubi terreno.
-Quindi si schierano in bella mostra le ville Lavizzari,
-Porro e Antongini, or passata quest’ultima in proprietà
-del nostro bravo generale Longoni, che ne abbelliva
-casa e giardino col miglior gusto, e che dopo
-le cure ed esercitazioni militari quivi
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Scende</i> del campo a tergere</p>
-<p class="i01">Il nobile sudor<a class="tag" id="tag16" href="#note16">[16]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-È nello stesso paese di Carate che i fratelli Taroni
-<span class="pagenum" id="Page_129">[129]</span>
-hanno operoso cantiere per la costruzione di ogni sorta
-d’imbarcazione del lago: navi, battelli, canotti, gondole,
-lancie, quattrassi e sandolini, tutto vi si fa e con bella
-eleganza.
-</p>
-
-<p>
-E così eccoci giunti a Laglio, altro paesello montano,
-senza alcuna particolarità, come tutti gli altri
-che discorriamo, costituiti dalla chiesa e suo campanile,
-da casupole di pescatori e tutt’al più da una osteriuccia,
-dove si eccettui il dottor Casella, del quale
-avverrà nella prossima escursione che più intrattenga
-il lettore.
-</p>
-
-<p>
-È fuori di Laglio che fu collocato il monumento piramidale
-ad un medico, Giuseppe Franck, che, transitando
-sul piroscafo, ognuno crede possa essere di Pietro,
-l’illustre, il quale lasciò molte opere della sua scienza,
-ma che non è; essendo invece eretto a Giuseppe, figlio,
-autore per altro egli pure, ma di meno riputate opere
-di medicina: nè si comprende perchè abbiasi voluto
-funestar con quel segno funebre il sorriso di questa
-sponda.
-</p>
-
-<p>
-Affrettiamoci invece a esaminare la villa che succede
-ed è de’ Galbiati, che ci avvicina a Torrigia, dove alla
-punta sporgente nel lago sorge la villa dei signori Cetti,
-alla famiglia de’ quali appartenne il gesuita Francesco
-Cetti, che a mezzo il secolo scorso insegnò e dettò
-opere lodatissime di storia naturale.
-</p>
-
-<p>
-Qui, in antico, forse perchè il lago restringesi, era
-una torre che diede per avventura nome al paese, <i>turris
-regia</i>, che aveva un faro, buono a dirigere a notte
-le imbarcazioni. Ora a notte questo tratto pescoso di
-lago è occupato dalle reti, che calate vi avvertono di
-<span class="pagenum" id="Page_130">[130]</span>
-loro presenza coll’agitarsi continuo de’ campanelli,
-scossi dall’onde o dal vento, i cui suoni scorrendo
-monotoni sulla superficie del lago, producono un singolare
-effetto per chi ignora che stanno a segnale de’
-pescatori.
-</p>
-
-<p>
-E qui fermandosi la via carrozzabile, arrestiamoci
-anche noi; rimanendoci una interessante escursione a
-compiere da qui, prima di allontanarci.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-130b"></a>
- <img src="images/ill-130b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Buco dell’Orso.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_131">[131]</span></p>
-
-<h2 id="esc12">ESCURSIONE DUODECIMA.
-<span class="smaller">IL BUCO DELL’ORSO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — Il cammino. — Il
-Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — Descrizione. — Visite di dotti. — Le
-scarpe di S. Pietro. — Questioni geologiche. — Paleontologia. — Gallerie
-o pozzi scoperti dopo. — La discesa.
-</p>
-</div>
-
-<h3>I.</h3>
-
-<p>
-Per l’escursione attuale mi risparmio la fatica d’intrattenervi
-del Buco dell’Orso con nuovo scritto: parmi
-ne dirà meglio quello che ne dettai nell’anno 1864,
-quando, come già feci sapere, essendo ospite ad Urio,
-consegnai nel seguente articolo le impressioni in me
-prodotte e le analoghe osservazioni. Doveano essere allora
-sì pochi i giorni che m’eran dati ai riposi autunnali,
-che neppure avevo fatto conto di procacciarmi
-questi nuovi e studiosi ricreamenti, a’ quali or chiamo
-a parte il lettore.
-</p>
-
-<p>
-Dopo le fatiche autunnali, qui venuto a ragion solo
-di riposo, a me sarebbe bastato il solo aspetto di questo
-tranquillo lago, sospinto nelle ore mattutine verso
-Como dall’immanchevole soffio del <i>Tivano</i> e nelle ore
-<span class="pagenum" id="Page_132">[132]</span>
-pomeridiane di colà respinto dalla <i>Breva</i>, quasi a giovamento
-delle cento vele che riconducono a’ paeselli delle
-riviere chi è corso per la mercanzia alla città; sarebbe
-bastata la voluttà di scivolarne la piana superficie sul
-burchio o sul canotto, mollemente adagiato in traccia
-della curiosa emozione che vi dà l’onda agitata, come
-la lasciano i piroscafi percorrenti la lunghezza del lago;
-sarebbe bastato in una parola il <i>dolce far niente</i> che
-ha sì recondite dolcezze per chi tutto l’anno si trova
-nel <i>mare magnum</i> della città, perchè potessi dire ottimamente
-impiegati i pochi giorni concessi; ma pure
-distrazione novella, impreveduta mi attendeva. Lascerò
-ora i simpatici ritrovi di parecchie ville che
-mi si dischiusero amicamente e che valsero tanto a
-ingannare deliziosamente le ore della sera, lunghe, interminabili
-alla campagna; lascerò le danze e le musiche
-da cui eran bandite le ricercate toalette, e piuttosto
-vi dirò di quella spedizione che feci in allegra
-compagnia al <i>Buco dell’Orso</i>, spedizione che interessa
-tanto il profano, quanto chi si piace di geologiche
-novità.
-</p>
-
-<h3>II.</h3>
-
-<p>
-A noi fu guida in questa alpestre escursione il bravo
-dottor Giuseppe Casella, medico condotto di Laglio e
-d’altre terre vicine.
-</p>
-
-<p>
-Chi sa quanti nell’udire tal nome si rammenteranno
-di giorni amenamente passati sul Lario! Perocchè il
-dottore Casella, colto e socievole quant’altri mai, è
-una vera fortuna per quanti passano i bei giorni di
-<span class="pagenum" id="Page_133">[133]</span>
-ottobre ne’ paesi di questo incantevole bacino: egli
-direbbesi il tratto d’unione fra l’una famiglia e l’altra,
-l’autore de’ progetti di gite e di comitive; senza lui
-non seguirebbero le ilari carovane che pellegrinano al
-<i>Piano del Tivano</i>; senza lui infine non avremmo compiuta
-l’ascesa al <i>Buco dell’Orso</i>.
-</p>
-
-<p>
-Egli aveva data la posta alle varie famiglie villeggianti
-ad Urio, Carate e Laglio per la mattina del
-5 d’ottobre al paese di Torrigia: si diceva che le leggiadre
-signore, che avrebbero fatto parte della brigata,
-sarebbero venute in abito d’amazzone, perocchè i
-greppi su cui avevasi a inerpicare, le boscaglie che si
-dovevano transitare avrebbero dilaniato crinolini e
-gonne, e di ciò pure ci ripromettevamo spettacolo sollazzevole;
-ma di questo fummo compiutamente delusi:
-al mattino ci trovammo al convegno in una ventina
-soltanto, le amazzoni brillarono per la loro assenza:
-una sola non era mancata, ma il suo costume,... di
-vestiario... ah! il suo costume non era quello che avevamo
-vagheggiato.
-</p>
-
-<p>
-Il dottor Casella diè il segno della partenza e ci
-precedette, e noi ci difilammo dietro a lui. Difilammo
-è la parola sola che conviene, perocchè non appena
-usciti di Torrigia fosse mestieri mettersi per l’angusto
-sentiero de’ monti. Presto una viuzza di ciottoli e di
-pietruzze acuminate provò il nostro coraggio, perchè
-difficilmente vi si potesse reggere; ma vinte le prime
-scabrosità, si ascese liberamente per le mille anfrattuosità
-di quella montagna. E qui notiamo, poichè ne
-viene il destro, come sia questa di roccia calcarea
-bigia azzurrognola, continuazione più o meno eguale
-<span class="pagenum" id="Page_134">[134]</span>
-di quella che incomincia appena fuor di Cernobbio e
-si prolunga fino all’insù del lago, costituita di tante
-sovrapposizioni o grosse lastre dello spessore talvolta
-d’oltre il mezzo metro, che valgono assai opportunamente
-alle costruzioni, sostituendo la materia laterizia
-con moltissimo vantaggio di resistenza e di spesa<a class="tag" id="tag17" href="#note17">[17]</a>.
-L’ombra e la frescura vi è procurata dai frequenti
-castani isolati o da macchioni, che vedevamo da montanine
-e garzonetti flagellati per farne cadere i già
-maturi frutti. Fuor di costoro non eran rotti que’ solenni
-silenzi che dalla lontana campanella delle capre
-che scorazzavano per i più alti dirupi, o dalla monotona
-cantilena delle fanciulle che pascolavano su qualche
-altipiano le loro magre giovenche. A tratti noi
-sostavamo a ripigliar lena, ad attendere i più tardi e
-ad ammirare i maravigliosi punti prospettici che ci si
-venivano mano mano presentando. Di fronte vedevamo
-il villaggio di Careno, più su quello di Zelbio, a destra
-Lemna, Molina e l’orrido suo, a manca Nesso e la
-punta di Cavagnola, e quando, voltandosi alquanto a
-manca la montuosa via, noi riguardavamo in basso,
-<span class="pagenum" id="Page_135">[135]</span>
-scorgevamo Brienno e più in là Argegno, il capoluogo
-della Valle Intelvi, e quei paeselli eziandio che dal
-greco nome accusano quali colonie vi stanziassero un
-giorno.
-</p>
-
-<p>
-Una colonna di denso fumo dal mezzo del lago svolgevasi
-lungamente per l’aere e pareva come una nuvola
-leggiera adagiarsi sulla costiera che ne stava
-dirimpetto, e noi seguendola coll’occhio potemmo appena
-distinguere ch’essa liberavasi da uno dei battelli
-a vapore che in quell’ora drizzava la prua verso la
-punta di Torrigia, perocchè noi dovessimo essere in
-quell’istante a seicento metri sopra il livello del lago.
-</p>
-
-<p>
-Il mattino si faceva alto, e noi, chiedendo consiglio
-alla voce imperiosa dello stomaco nostro, ci credevamo
-vicini alla meta, ma questa pareva discostarsi ognor
-più: essa ci era come il fatale miraggio del deserto.
-</p>
-
-<p>
-Poi si giunse dove il monte s’addentra e si forma
-come un letto torrenziale: colà la via si faceva più
-scabra e il nostro attento duce ne faceva avvertiti che
-non dovessimo riguardar in basso se temevamo delle
-vertigini, perchè paresse che a noi di sotto la valle si
-sprofondasse quasi a picco. Fuvvi un tratto di strada
-che era tutta pietra brulla e alquanto declive: a noi
-fu però mestieri d’addoppiare le precauzioni; una voce
-sola era sorta a segnale di scoraggiamento, ma la
-parola e l’esempio d’altri vinsero quelle paure, e dieci
-minuti dopo, per un sentiero apertoci fra virgulti ed
-arbusti, ci trovammo innanzi al <i>Buco dell’Orso</i>. Il viaggio
-aveva durato un’ora e mezzo. <i>Italiam! Italiam!</i>
-gridammo noi pure, che ci vedevamo giunti allo scopo
-del nostro pellegrinaggio, e in quest’inno di gioia c’entravan
-<span class="pagenum" id="Page_136">[136]</span>
-certo di molto gli acuti stimoli della fame. All’essere
-poetico preferisco l’essere veritiero.
-</p>
-
-<p>
-Ci sedemmo allora sui massi che sono sparsi avanti
-l’ingresso della caverna, e tratte le nostre copiose
-provvigioni, ci diemmo ad asciolvere con un appetito
-che meglio s’accostava alla voracità, mescendoci del
-buon vino e dell’acqua limpida e fresca che ci forniva
-una polla della caverna stessa.
-</p>
-
-<h3>III.</h3>
-
-<p>
-Poichè fummo tutti rifocillati, ci disponemmo ad entrare
-nella profonda cavità, e tutti allora accendemmo
-il moccolo, di che ognun di noi doveva esser munito
-a rompere le tenebre e godere delle bellezze naturali
-della natura, e dello spettacolo di che noi eravamo
-materia a noi stessi.
-</p>
-
-<p>
-A noi aveva il Casella saviamente consigliato di
-servirci di questi moccoli anzi che di torcie a vento
-o di legni resinosi, e perchè meno incommodi a portarsi
-fra quelle sassose latebre, e perchè ci avrebbero
-risparmiato d’ingoiarci l’esecrabile fumo che le altre
-fiaccole avrebbero mandato per quelle volte. Perdevamo
-così del pittoresco, ma innanzi tutto curar ne
-piacque il più conveniente, e pur di questo vogliamo
-essere riconoscenti all’esperto mentore nostro.
-</p>
-
-<p>
-Il Casella e don Baldassare Bernasconi, buon prete
-di Laglio della più eccellente pasta, che aveva voluto
-unirsi alla brigata, ci andavano innanzi rischiarando
-ed additando le traccie che avevamo a seguire, perocchè
-<span class="pagenum" id="Page_137">[137]</span>
-e i frequenti massi colà trascinati in antico dalle
-correnti o là sfranati dalla vôlta superiore, tutti investiti
-d’un’argilla umida e sdrucciolevole, e le filtrazioni dell’acqua che formavano rigagnoli, e le stalattiti
-della vôlta rendessero lento e pericoloso il passo. Dapprima
-avevamo trovato il suolo piano, poi s’era venuto
-abbassando con inclinazione sensibile, che ci obbligava
-a passare carpone per un angusto varco o pertugio,
-onde poter progredire.
-</p>
-
-<p>
-Come fummo giunti per entro una certa galleria
-più vasta, ci compiacemmo volgere addietro lo sguardo
-e riguardarci scambievolmente, e in verità tutti que’
-venti giovani, quale in piedi, quale assiso su d’enorme
-sasso, tutti il moccolo acceso alla mano, presentavano
-una scena curiosa, strana, suscitatrice di un mondo di
-idee.
-</p>
-
-<p>
-Fu qui che il dottor Casella, a renderci più importante
-la gita, a farci comprendere tutto l’interesse che
-aveva preso la scienza alla scoperta di quella grotta
-che a lui primo era dovuta, ad incoraggiarci a percorrerla
-interamente, ce ne venne raccontando per filo e
-per segno quella storia, che noi procaccerem modo di
-riassumere sotto brevità.
-</p>
-
-<p>
-Era la state del 1841, quando ad esso dottor Casella,
-che aveva udito parlare della esistenza d’una
-grotta superiormente a Torrigia, cui la tradizione popolare,
-che la credeva antica tana di orsi, aveva imposto
-il nome di <i>Buco dell’Orso</i>, prese vaghezza di
-rintracciarla. Associatosi alcuni amici, percorse la montagna,
-sinchè appunto sul versante del monte che sovrasta
-a Brienno, a due terzi di esso, rivolta a N. N. E.,
-<span class="pagenum" id="Page_138">[138]</span>
-la discopriva. Si presentava quella caverna quasi un
-ampio crepaccio apertosi nella roccia, alto metri 2,7,
-largo quattordici e profondo dieci, e pareva a prima
-giunta non dovesse aprire l’adito ad un lungo cammino.
-Sgominate le tenebre che vi regnavan perpetue
-col mezzo di faci ch’egli aveva seco recate, percorso quel
-tratto testè da me ricordato, parevagli avesse qui
-il suo termine l’antro che decoravasi di belle
-stalattiti e corrispondenti stalagmiti, come veggonsi
-frequenti nelle varie grotte che s’aprono nelle montagne
-che costeggiano questo lago. Se non che, piegando
-a destra alquanto, trovava quel pertugio che
-rivelavagli prolungarsi ulteriormente la caverna, e cacciatovisi
-animosamente dentro, si era veduto in quella
-più ampia galleria che sì pittorescamente a noi offeriva
-lo spettacolo di una processione che ritraeva del
-misterioso e dell’infernale, siccome a me rammentava
-il <i>facile descensus Averni</i> di Virgilio. Le cristallizzazioni
-or bianche, or grigie, or giallognole, bizzarre e
-spesso trasparenti, venivano riflesse da quella luce con
-bell’effetto; ma nulla di più interessante erasi offerto fin
-là, se si eccettui un cupo rumorío che richiamò
-pur la nostra attenzione, prodotto dallo scorrere di
-una fiumana dietro le non grosse pareti a destra dell’antro e che in verità sgomenta, poichè sembra che
-agevolmente possa dischiudersi un varco e irrompere
-ad allagar lo speco. Questa recondita corrente viene a
-gittarsi in un lago, che vietò la prima volta al Casella,
-ed a’ suoi compagni, come lo contese anche a noi, di
-andar più oltre. Dalla bocca dell’antro a questo speco
-la lunghezza è di passi 370 o metri duecento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_139">[139]</span>
-</p>
-
-<h3>IV.</h3>
-
-<p>
-Da quel dì il <i>Buco dell’Orso</i> fu scopo a frequenti
-pellegrinaggi del dott. Casella, e quando nel settembre
-1850 vi ritornò con don Vincenzo Barelli, proposto
-allora di Laglio, e con altri suoi amici, il caso lo favorì,
-poichè, avendo messo allo scoperto un frammento di
-costola uscente da quell’intonaco argilloso, lui e il
-Barelli consigliava a tentare altre escavazioni, che
-procacciarono infatti alcuni denti smisurati ed altre
-ossa gigantesche, che si ravvisarono come appartenenti
-ad animali, la cui specie ora più non esiste. Qualche
-tempo dopo il Casella vi scopriva un immane cranio,
-e questo, come le ossa già scoperte, veniva riconosciuto
-essere stato di orso, che Blumenbach e i naturalisti
-designano col nome di <i>Ursus Spæleus</i>. Queste
-spoglie petrefatte vennero dal Casella donate al civico
-Museo di Milano, dove, per la rarità di esse, il cranio venne
-formato in gesso ed inviato ad altri gabinetti
-di scienze naturali: tutte poi coordinate valsero alla
-ricomposizione d’uno scheletro che è di un grande interesse
-per la paleontologia.
-</p>
-
-<p>
-La curiosità nel Casella e nel prete Barelli di ulteriori
-indagini crebbe allora ognor più, e trasportatevi
-due navicelle, o <i>scarpe di S. Pietro</i>, come si chiamano quelle
-imbarcazioni da quei del lago<a class="tag" id="tag18" href="#note18">[18]</a>, poterono navigare
-<span class="pagenum" id="Page_140">[140]</span>
-tre laghetti, l’ultimo de’ quali, lungo circa cinquanta
-braccia, non fu possibile percorrerlo tutto
-quanto, perchè la vôlta vien così declinandosi al pelo
-dell’acqua che l’imbarcazione non vi può passare.
-La lunghezza quindi accessibile si valuta a trecento
-metri.
-</p>
-
-<p>
-Dopo Casella e Barelli la curiosità dei dotti fu vivamente
-eccitata, e da allora trassero a visitar il <i>Buco
-dell’Orso</i> e il dottor Emilio Cornalia, che ne lasciò
-un’accurata descrizione già per noi citata, e l’abate
-Antonio Stoppani, che vi consacrò pure una parte
-nella sua <i>Paleontologia Lombarda</i>, a cui rimandiamo
-il lettore per le più proprie informazioni della scienza,
-e il dott. Giovanni Omboni, e il prof. F. De Filippi, e il
-professor L. Patellani, e i fratelli Villa. A complemento
-anzi di questo scritto, io verrò spiccando alle
-memorie del Cornalia quel tanto che giovi a somministrare
-più esatte quelle notizie che hanno più stretta
-attinenza colla scienza, e così io pure avrò agevolato
-il cómpito che mi sono proposto, e il lettore vi avrà
-di certo guadagnato, più che con una semplice e inconcludente
-narrazione. Riferirò ciò che riguarda alle
-condizioni del suolo ed alle cause che produssero l’agglomeramento
-delle ossa fossili discoperte: le sole indagini,
-credo io, che interessi di istituire in argomento.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_141">[141]</span>
-</p>
-
-<h3>V.</h3>
-
-<p>
-“Giunti al punto di maggior declivio, scrive adunque il dottor Cornalia, il suolo comincia a rialzarsi
-tutto coperto di massi accatastati l’uno sull’altro. È
-tra questi giganteschi, ma ancor mal fermi macigni,
-che bisogna avanzarsi. Qui pure cominciano i depositi di
-argilla alternantisi con croste stalattitiche e strati di sabbie
-e ghiaie; le quali stratificazioni solo nelle parti
-più interne si mostrano con ordine disposte, lasciando
-là prendere precisa idea de’ loro rapporti. Altrove o
-l’uno o l’altro degli strati manca, il fossilifero rimanendo
-il più costante. Le pareti dello speco e i massi
-più voluminosi che ne ingombrano il suolo mostrano
-le striature che le correnti rovinose e trascinanti ciottoli
-sogliono imprimere alla superficie delle roccie che
-ne sopportano e frenano gli urti. Al di sopra di questi
-massi, e lungo tutti i fianchi della grotta, una crosta
-stalattitica vela agli occhi dell’osservatore la natura
-del terreno; la qual crosta in alcuni luoghi arriva alla
-grossezza di 0.08 e più. Spaccata, mostra una serie
-di zone o strati d’un bell’alabastro cristallizzato a varî
-colori, traccie delle successive deposizioni.
-</p>
-
-<p>
-„Più s’interna il torrente, di cui prima s’udiva solo
-il fragore tra i sassi profondo, e più comparisce alla
-superficie aggirandosi per un piano leggermente declive. — Di
-là poco un lago di qualche estensione occupa tutto
-il fondo che solo con un istrumento adattato alle
-<span class="pagenum" id="Page_142">[142]</span>
-angustie del luogo si può traghettare. A nuoto non vi
-si regge: l’acqua non ha più di 7 gr. R.<a class="tag" id="tag19" href="#note19">[19]</a>.
-</p>
-
-<p>
-„.... Fra la prima raccolta d’acqua e la seconda
-esistono, come io prevedeva, altre argille che bisognerà
-smuovere con regolari scavi... È nelle vicinanze del
-primo lago, ove non è necessaria una istraordinaria
-innondazione affinchè il livello delle acque s’elevi molto
-e v’abbandonino i loro depositi, che si osserva il maggiore
-numero di strati.
-</p>
-
-<p>
-„Superiore a tutti si ha uno strato di ghiaia, mista
-a sabbia nereggiante. I ciottoli sono in parte della
-calcarea che forma il monte, in parte di roccie d’altra
-natura. Questa sabbia si vede solo in siti limitati. È
-dovuta certamente alle ultime innondazioni che saranno
-state le più parziali. — Al di sotto delle ghiaie (ed
-ove queste non esistono, direttamente allo scoperto) si
-trova la prima crosta stalagmitica che s’estende quasi
-uniformemente da per tutto. Dopo il deposito calcareo
-havvi uno strato considerevole di un’argilla cinericcia
-d’una purezza e d’una finezza straordinaria. È compenetrata
-da molta umidità, sicchè lasciasi facilmente
-tagliare con una lamina da coltello e si spoglia in straterelli
-orizzontali esilissimi e paralleli. È si tenace da
-parere elastica, e non contiene nè sabbie, nè ciottoli,
-nè avanzi organici; questo deposito arriva anche a un
-metro di potenza, e lui oltrepassato si trova un’altra
-argilla di color bruno. Questo strato è piccolo (0<sup>m</sup> 1) e
-<span class="pagenum" id="Page_143">[143]</span>
-di poca importanza mancando in più luoghi. L’un deposito
-però è sempre assai distinto dall’altro. Ove l’argilla
-cinerea manca, la bruna è coperta direttamente
-dalla crosta calcarea. Lo strato che più di tutto deve
-attirare la nostra attenzione è il sottoposto fossilifero.
-Consta di un’argilla tutta distinta, grossolana, mista
-a del tritume calcareo; il suo colore è il gialliccio per
-ossido ferrico; la sua durezza varia, in alcune parti già
-compatta passando ad una marna in attualità di formazione.
-Questo strato contiene dei ciottoli, taluni anche
-voluminosi, arrotondati, per lo più ellittici e deposti
-col loro piano massimo orizzontale. Questi noduli
-non appartengono tutti al calcare bituminoso della
-montagna, ma altresì a roccia di diversa natura, e
-vanno misti a frammenti di stalattiti. L’argilla gialla
-costituisce uno strato di circa 0<sup>m</sup> 4 di spessore, ed è
-in essa che si rinviene la massima parte delle ossa.
-Continuando gli scavi, dopo questo strato si trova un’altra
-crosta stalagmitica simile per natura e potenza
-alla prima, sotto la quale si ripete un’argilla eguale
-alla fossilifera e che del pari contiene ossa sebbene
-in minore abbondanza. È però più compatta, come più
-anteriore; ed i fossili sono maggiormente petrificati.
-La potenza di questo strato non la conosco; poggiando
-direttamente sul masso, varierà secondo i luoghi. Nuovi
-siti tentati potranno in avvenire fornire differenti cifre
-per la potenza di questi strati; dipendendo questi dagli
-accidenti del suolo.
-</p>
-
-<p>
-„La natura e i rapporti di questi strati ci chiariscono
-sufficientemente del modo con cui si depositarono
-e delle cause che li produssero. Una corrente
-<span class="pagenum" id="Page_144">[144]</span>
-alquanto forte, e quale appunto sarà stata la più antica,
-fu quella che depose l’argilla ocracea. Lo provano la
-sua estensione, i ciottoli che contiene, le grosse
-ossa cilindriche che travolse. Gli altri strati indicano
-correnti più miti, che durarono però più tempo; infatti
-sono più limitati in estensione e composti di finissimo
-limo esenti di ciottoli e di ghiaie.
-</p>
-
-<p>
-„Questi depositi poi occuparono lungo spazio di
-tempo a formarsi e furono separati da lunghi intervalli,
-come ne sono prova i ripetuti e grossi strati
-stalagmitici interposti. La corrente attuale è del certo
-un tenue avanzo di quelli, cui gli strati descritti devono
-la loro esistenza, e che altre volte avrà sempre
-o assai di frequente occupato tutto il lume della caverna.
-Che se anche attualmente le acque venissero a
-crescere a dismisura e la crepa già esistente non bastasse
-ad inghiottire quelle che a metà della caverna
-si inabissano, esse, occupato tutto il primo basso fondo,
-si alzerebbero a segno di livello da uscire dall’apertura
-attuale della grotta.
-</p>
-
-<p>
-„Nel vedere questa successione di strati tanto simili
-a quelle descritte per le caverne ossifere di Francia,
-di Germania, di Ungheria, ecc. ecc., ricorre subito
-alla mente la possibilità della presenza di ossa fossili.
-Queste che io rinvenni, e delle quali sotto il rapporto
-paleontologico parlerò poi, hanno nel <i>Buco dell’Orso</i>
-due modi distinti di giacitura, che però accennano ad
-una medesima causa: le correnti.
-</p>
-
-<p>
-„L’uno di essi già indicai per incidenza: la giacitura
-cioè nel deposito dell’argilla giallastra inferiore alle
-prime due. È sulla fine di questo strato che esse
-<span class="pagenum" id="Page_145">[145]</span>
-si depositarono, ed anzi molte giacciono alla sua superficie
-tra l’argilla gialla e la bruna. Alcune anzi trovansi
-già in quest’ultima, e il colore bigio che assunsero
-indica la loro giacitura.
-</p>
-
-<p>
-„Anche la seconda argilla, quella che giace al di
-sotto della più antica crosta stalattitica, contiene questo
-avanzo organico, ma in minor copia: una sola
-mezza mascella inferiore e qualche osso della gamba
-(genere <i>Ursus</i>) io vi trovai in tutto fino ad ora. Questi
-pezzi sono più che gli altri alterati.
-</p>
-
-<p>
-„Le ossa robuste e solide sono le più numerose; le
-più fragili andarono quasi tutte perdute. Sebbene anche
-delle prime alcune siano abbondantissime, altre
-invece rare assai. Così, per esempio, mentre che raccolsi
-molte ossa del carpo e del tarso, e falangi (persin
-le unghiali), e piccoli molari, trovai appena una
-vertebra caudale e qualche incisivo. Forse perchè queste
-parti assai facili a staccarsi dal restante scheletro
-vennero dalle prime correnti in altre direzioni trascinate
-e altrove deposte. Una prova che queste ossa
-debbono la loro attuale giacitura alle correnti, la trovo
-in ciò che la maggior parte si ricetta nei piccoli seni
-che formano le rientranti e sporgenti pareti della
-grotta, e che rimangono per opera de’ massi difesi
-dall’impetuosa corrente. Ivi l’acqua, perdendo di sua
-forza e diffondendosi più tranquilla, potè deporre le
-ossa fin là travolte. Un altro modo di trovarsi le ossa
-nel <i>Buco dell’Orso</i> merita attenzione, giacchè spiega
-l’origine d’una natura particolare di roccie: impasto
-di ossami, di frantumi calcari e di marne da tempo
-celebri lungo le rive del Mediterraneo, intendo dire
-<span class="pagenum" id="Page_146">[146]</span>
-delle <i>breccie ossifere</i>. Su quei grossi macigni che dissi
-occupare per lungo tratto e molto spessore il suolo
-della caverna, l’acqua attualmente non scorre o scorrerà
-solo nelle epoche di massima innondazione, mentre
-che in tempi più remoti facilmente avrà raggiunto
-quel livello e vi avrà sopra trascinate le sostanze che
-travolgeva. Ma le ossa, e le voluminose di preferenza,
-e i grossi tritumi di roccia, percorsi alcuni dei meati
-esistenti tra i massi, vi si impegnarono e valsero anzi
-ad arrestare alla lor volta le sorvegnenti materie che
-tenevano la medesima via. Il limo, le sabbie sottili, ecc.
-passaron oltre per quella specie di filtro. Queste ossa
-così non restarono circondate dall’argilla che invase le
-altre. Che se però andarono prive d’una materia meccanicamente
-deposta, valsero ad attirare e trattenere
-chimicamente le particelle di carbonato calcare che le
-acque del torrente o stillanti contenevano, e di esse
-se ne fecero involucro e cemento. Io stesso, non senza
-fatica, introducendo delle picche tra gli interstizi dei
-macigni, riuscii a staccare molte ossa disordinatamente
-aggruppate e cementate da un calcare grossolano e
-cavernoso. Così ha origine una breccia, alla cui formazione
-noi siamo contemporanei e presenti, simile alle
-descritte da Cuvier<a class="tag" id="tag20" href="#note20">[20]</a> e da altri. — Così anche questo
-modo di trovarsi delle ossa è spiegato dalle correnti.
-Le quali sono provate altresì dalla mancanza di coproliti,
-dalla mancanza di quello strato di terra nera, bituminosa,
-comune in altre grotte e che s’attribuisce
-allo sfasciamento delle parti molli dell’animale; finalmente
-<span class="pagenum" id="Page_147">[147]</span>
-dalla mancanza delle ossa di animali che avrebbero
-potuto servire di cibo a quei primi feroci abitatori
-della caverna<a class="tag" id="tag21" href="#note21">[21]</a>.„
-</p>
-
-<h3>VI.</h3>
-
-<p>
-Il dottor Casella portò diversa opinione da quella
-del Cornalia circa alla causa di queste ossa riunite, ritrovate
-da quest’ultimo nelle correnti, e noi, riferendola,
-pensiamo poter egli alla sua volta avere ragioni
-forse maggiori di probabilità. Crede egli adunque che
-queste ossa possano aver appartenuto ad animali antidiluviani,
-giacchè per la loro mostruosa grandezza appartengono
-a specie ora affatto perduta. Su di che
-io penso non esservi controversia, ed anzi nell’opera
-di Figuier <i>La Terre avant le déluge</i>, parlando appunto
-dell’<i>Ursus Spæleus</i>, reca la descrizione e il disegno del
-cranio di tal animale scoperto dal Casella, regalato al
-Museo Civico di Milano, e da questo, come già avvertimmo,
-distribuito in esemplari di gesso a varî gabinetti
-di scienze naturali, come lo riprodusse istessamente
-nella sua <i>Paleontologia</i> l’abate Antonio Stoppani.
-A quell’epoca tali animali avranno per molte generazioni
-trovato rifugio in questa caverna, e successivamente
-in essa terminata la loro esistenza o per vecchiaia,
-o per alluvione, o per qualunque altra causa
-dipendente dai grandi sconvolgimenti geologici. Queste
-<span class="pagenum" id="Page_148">[148]</span>
-congetture non torrebbero egualmente che le correnti,
-introdottesi poscia nella caverna, abbiano ravvolte
-quelle ossa di que’ sedimenti che valsero o alla loro
-fossilizzazione, od a determinare quelle condizioni nelle
-quali si rinvennero a’ dì nostri. E mi pare ancor più
-probabile una tale supposizione in quanto mi sembri
-assai arduo l’immaginare che le correnti intime del
-monte possano avere trascinate le ossa intatte e giganti,
-quali si videro alcune di esse. L’ipotesi del dottor
-Cornalia ci obbligherebbe inoltre a premettere
-l’esistenza di un’altra località, da dove le correnti
-abbian potuto impodestarsi di quelle ossa per poi qui
-trascinarle; mentre la capacità di questa tana porge
-maggior argomento a credere che servisse prima a ricovero
-di orsi, come gli abitatori di questi monti per
-tradizione ne ebbero sempre credenza, se l’appellarono
-il <i>Buco dell’Orso</i>, assai prima che il dottor Casella discoprisse
-le ossa e queste si riconoscessero della specie
-<i>Ursus</i>, anzi da tempo immemoriale. Il qual argomento
-della tradizione deve essere di importantissima significazione
-in questa tesi.
-</p>
-
-<h3>VII.</h3>
-
-<p>
-Il medesimo dottor Cornalia, in questo lodato suo
-studio intorno ad <i>Alcune caverne ossifere dei monti del
-lago di Como</i>, ne dedusse le seguenti conclusioni, che
-è prezzo dell’opera il trascrivere, perchè speciali nella
-massima parte al <i>Buco dell’Orso</i> di cui parliamo.
-</p>
-
-<p>
-1.º Anche in Lombardia esistono caverne ossifere
-<span class="pagenum" id="Page_149">[149]</span>
-identiche a quelle di Germania, Francia, Inghilterra.
-Anche fra noi è la calcarea giurese che le offre.
-</p>
-
-<p>
-2.º Le grotte di questi monti, appendici ad una catena
-delle nostre Prealpi (catena Ceresia), riconoscono
-forse una sola epoca e una sola causa: l’emersione
-delle roccie che rialzarono e sconvolsero il calcare
-bigio.
-</p>
-
-<p>
-3.º Gli strati che si depositarono nelle caverne spettano
-o all’epoca <i>quadernaria</i>, o all’epoca <i>attuale</i>.
-</p>
-
-<p>
-4.º I fossili del <i>Buco dell’Orso</i> (quadernari) vi furono
-strascinati dalle correnti. Lo strato dei fossili,
-il sito profondo assai ove si rinvengono (continuamente
-umido e tenebroso), la mancanza di molte circostanze
-fanno preferire quest’opinione all’altra che ammette
-aver quegli animali vissuto là entro; — opinione che
-si adatta assai più ai depositi moderni delle altre
-grotte.
-</p>
-
-<p>
-5.º I varî depositi richiesero molto tempo a formarsi.
-La loro potenza, l’alternanza colle croste stalagmitiche,
-lo stato vario di fossilizzazione delle ossa in rapporto
-colla profondità lo provano.
-</p>
-
-<p>
-6.º Le ossa trovate spettano quali a specie ancora
-viventi tra noi, quali a specie perdute, e quali finalmente
-ad animali che ora vivono solo in paese più
-meridionale.
-</p>
-
-<h3>VIII.</h3>
-
-<p>
-In quanto a me, pellegrino recente al <i>Buco dell’Orso</i>,
-pago degli studî per altri fatti, mi bastava di constatarli,
-<span class="pagenum" id="Page_150">[150]</span>
-ma arrestandomi però sulla sponda del primo
-lago, perchè non avevo avvertito dapprima tampoco
-alla probabilità di tragittare quelle acque interne, e
-però non avevo provveduto le opportune imbarcazioni.
-Quivi nella parete friabile incidemmo io e i miei compagni
-i nostri nomi, espressione di quella contentezza
-che ci aveva dato la longanimità di avventurarci per
-quelle cavità tenebrose ed aspre. Seduti poscia su questi
-umidi massi ad asciugarci il sudore della fronte che
-ci gocciava, prodotto dal trascinarci a fatica collo stomaco
-pieno, e rimasti colà alquanto, ripigliammo poscia
-la processione del ritorno. Qualche moccolo veniva
-già meno, sollecitammo quindi i passi rifacendo il cammino
-percorso.
-</p>
-
-<p>
-E fu nel ritorno, a distanza di forse sessanta a settanta
-metri dell’uscita, che il buon prete Bernasconi
-mi faceva accorto della esistenza di un pozzo od apertura,
-per la quale si poteva calare in una galleria,
-sottoposta a quella che percorrevamo e dentro cui
-mostravasi pronto a calare, quando noi ne avessimo
-esternato il desiderio, siccome quegli che già vi fosse altre
-volte disceso, ciò che per altro non volemmo,
-accontentandoci di quegli schiarimenti ch’egli e il
-Casella ci fornirono. Io mi intratterrò alcun poco di
-questo pozzo, da che le precedenti relazioni del <i>Buco
-dell’Orso</i> non ne abbiano fatto ancora parola e da
-che potrebbe valere d’argomento ad altre indagini e
-discussioni geologiche. La discesa adunque è di circa
-quindici metri, e la galleria alla quale si riesce ne percorre
-circa quaranta, sempre nel senso stesso della
-lunghezza della galleria superiore verso N. N. E., e
-<span class="pagenum" id="Page_151">[151]</span>
-sempre a massi e piano ineguali, come è superiormente.
-Quasi in corrispondenza a questo pozzo se ne
-vede un altro nella galleria sottoposta, per il quale si
-cala ad una terza galleria, scendendovi per circa altri
-venti metri. In questa non è calato ancora alcuno,
-perchè presenta per avventura pericolo di franamento,
-nè sarebbe prudente l’esporsi a vedersi chiusa l’uscita
-e impossibilitato il ritorno. Converrebbe all’occorrenza
-prendere le maggiori precauzioni ed essere assistiti
-da più. Tuttavia nel fondo della terza inferiore galleria
-sentesi il mugghio delle correnti ancor più forte
-che non nella prima o superiore. Forse è la corrente
-stessa della galleria superiore che viene a scaricarsi e
-che forse esce da quelle latébre pel versante del monte
-e alimenta l’acqua o fonte detta il <i>Vermocane</i>, che
-serve a mettere in movimento il mulino che è di poco
-sopra Brienno.
-</p>
-
-<p>
-Nella galleria intermedia si trovarono e vi sono
-pure altre ossa della stessa specie che nella superiore,
-con questo solo divario che quelle della galleria superiore
-sonosi trovate intatte, perchè ravvolte nelle
-stratificazioni argillose che le hanno preservate dal
-contatto dell’aria, e quelle invece della galleria intermedia
-si veggono parte in istato di decomposizione, o
-tarlate, perchè non vennero ricoperte da veruno strato.
-Io ho avuto nelle mani ed esaminate e le une e le altre,
-come si conservano dal dottor Casella, e credetti
-nella predetta mia osservazione di ravvisare un’induzione
-di più che avvalora l’ipotesi del Casella, anzi
-che quella del Cornalia; perocchè se il rinvenirsi di
-tali ossa fosse l’effetto esclusivo delle correnti, tutte
-<span class="pagenum" id="Page_152">[152]</span>
-indistintamente le ossa sarebbersi ritrovate involute
-dai sedimenti argillosi: mentre invece è lecito di inferire
-che i petrefatti della galleria superiore saranno
-stati ricoperti da tali strati per i depositi che vi
-avranno fatto le correnti, e quelli della galleria intermedia,
-immuni dal passaggio di esse, saranno rimasti
-nello stato primitivo, dove cioè saranno morti gli
-orsi che in quella caverna debbono necessariamente
-un tempo aver avuto ricovero.
-</p>
-
-<p>
-Come poi queste gallerie inferiori siensi formate,
-io credo di spiegare dicendo, che tutte le probabilità
-conducono a ritenere che prima non fosse che una
-sola ed ampia caverna, che poi per la caduta di massi
-dalla vôlta siansi venute facendo; perocchè percorrerebbero
-esse nell’egual senso della galleria superiore
-quasi la medesima lunghezza.
-</p>
-
-<p>
-Siccome recentissima sia la scoperta di questi altri
-due pozzi, così chiamar io reputo su di essi l’attenzione
-dei nostri geologi e massime del Cornalia, dello
-Stoppani e dell’Omboni, i quali forse da una novella
-loro visita al <i>Buco dell’Orso</i> potrebbero trarre materia
-a nuovi studî non infecondi di buoni risultamenti
-per la geologia.
-</p>
-
-<h3>IX.</h3>
-
-<p>
-Finalmente, dopo un’ora che eravamo rimasti nell’antro,
-lieti, ma inzaccherati e molli degli stillicidi
-che non avevamo potuto evitare e de’ rigagnoli nei
-<span class="pagenum" id="Page_153">[153]</span>
-quali il piede non aveva fatto a meno di scivolare, via
-gettando la stearica che tuttavia ardeva,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Uscimmo quindi a riveder le stelle....</p>
-</div></div>
-
-<p>
-come direbbe Dante, o a meglio esser precisi, a riveder
-il più limpido sole, il quale era ormai giunto al
-meriggio.
-</p>
-
-<p>
-Allora riconoscemmo qualche disertore della nostra
-brigatella che, dati pochi passi appena nella oscurità
-della caverna, era tosto ritornato addietro; scambiata
-qualche celia e riposatici ancora alquanto, ripigliammo
-il primitivo sentiero.
-</p>
-
-<p>
-La discesa a Torrigia fu naturalmente più presta
-che non era stata la faticosa salita, e consolata alla
-pendice del monte dalla apparizione della leggiadra
-fanciulla del dottor Casella che ne veniva incontro a
-scusare la non involontaria mancanza alla gita.
-</p>
-
-<p>
-Se rivolgendo indietro lo sguardo alla asperità della
-via, ai disagi del camminare fra i dirupati meandri
-della caverna dell’Orso, io posso essere indotto a dire
-che non vi tornerei una seconda volta, per l’adipe
-che un cotal poco mi si è messa intorno ad accusare
-l’età che avanza a gran passi, è altresì indubitabile
-che io, che tutti che mi furono compagni in quella
-gita, conchiudemmo sinceramente assicurando d’essere
-lietissimi d’averla fatta.
-</p>
-
-<p>
-Ma prima di chiudere la presente escursione, mi
-sento in debito di porgere le mie scuse a quelle cortesi
-leggitrici che ho per avventura fatto sbadigliare,
-loro tenendo un linguaggio arido e tutto di scienza,
-esse che si attendevano amenità di racconto. Ma che
-<span class="pagenum" id="Page_154">[154]</span>
-farci? Il libro è fatto per tutti i lettori, massime se il
-libro è del genere del mio; epperò molteplici e svariatissimi
-i gusti, e nell’<i>olla potrida</i> degli argomenti non doveva
-dimenticare i palati dei geologi e dei naturalisti.
-D’altronde fra le molte caverne che ho già avvertito
-su questi monti, mi verrà perdonato se almeno scientificamente
-trattando di una, avrò chiarito la natura,
-assai somigliante, delle altre.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-154b"></a>
- <img src="images/ill-154b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Piano del Tivano.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_155">[155]</span></p>
-
-<h2 id="esc13">ESCURSIONE DECIMATERZA.
-<span class="smaller">IL PIANO DEL TIVANO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della Masera. — Nesso. — Erno,
-Veleso, Gerbio. — Il Piano del Tivano. — La brigata
-del Pian d’Erba. — Il Buco della Nicolina. — Vallombria. — Il palazzo
-di Andefleda. — La marcia della partenza.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Se si piglia il piroscafo che vien da Como, allorquando
-in faccia ad Argegno la campanella suona e
-l’impiegato grida — Argegno e Cavagnola — voi, se
-volete visitare il <i>Piano del Tivano</i>, è qui che dovete
-scendere, purchè non prenda capriccio all’Amministrazione
-di far sosta a Nesso, come accade in qualche
-stagione, perchè allora è a Nesso che converrà smontare.
-</p>
-
-<p>
-Ma d’ordinario la gita al Piano del Tivano non è
-che l’effetto di amichevoli concerti e spesso ben anco
-accada che l’andarvi sia combinato da amici che villeggino
-lungo il lago di Como e da amici che villeggino
-nel versante opposto del Tivano, cioè nel <i>Pian d’Erba</i>.
-Il convegno allora è più allegro e il lettore che mi segue
-lo vedrà.
-</p>
-
-<p>
-Ad ogni modo, se a questo convegno egli giunga col
-<span class="pagenum" id="Page_156">[156]</span>
-mezzo del vapore che vien da Como e ne smonti alla
-Cavagnola, non lasci di visitarne la modesta osteria:
-vi beverà buon vino; se no da un pozzo che è nella
-cantina ne faccia trarre acqua che troverà freschissima,
-come in nessun’altra parte del lago.
-</p>
-
-<p>
-Da Cavagnola, retrocedendo per un sentiero praticato
-fra’ boschi, giungerà a Nesso, punto di convegno
-della brigata che sale al Tivano; ma se non è giunta
-ancora e vuol visitare più giù qualche terra fino ai limiti
-di Pognana, che ho mentovato già con Palanzo e
-Lemna, oltre Nesso troverà un piccol gruppo di case,
-poi a egual distanza Careno, e a egual distanza ancora
-Quarsano. Ma importanza tutti questi luoghi non hanno,
-ove eccettui la <i>Grotta della Masera</i> sopra Careno, che
-può essere altro punto di passeggiata per chi brama
-di variare. Ma questa grotta non ha nè ossa fossili,
-come il <i>Buco dell’Orso</i> che abbiamo non ha guari visitato,
-e neppur ossa d’animali dell’epoca nostra, come
-il <i>Pertugio della Volpe</i> che abbiamo visto del pari: tutt’al
-più alcune ammoniti che interessano il geologo.
-Nondimeno ha la particolarità di un lago e fa veramente
-piacere su in alto la scoperta d’un capace bacino
-d’acqua; qui esso si sprofonda per un cammino
-di un quarto d’ora ed ha per fine una voragine.
-</p>
-
-<p>
-Ma ritorniam presto sui nostri passi, onde non farci
-aspettare da coloro che ci attendono a Nesso.
-</p>
-
-<p>
-E Nesso, rimpetto a tutti i paeselli che ho testè
-nominati, è grossa borgata e si distende per tre fila di
-case sulla montagna con bell’effetto per chi la riguarda
-dal lago: il torrente vi passa per mezzo con fragore
-che s’ode anche lontano. Que’ del paese vogliono che
-<span class="pagenum" id="Page_157">[157]</span>
-la loro chiesa prepositurale sia stata fondata da Sant’Ermagora: i passeggeri invece, e massime quelli che
-dai piroscafi osservano Nesso, ricordano che Gian Battista
-Bazzoni, morto in età assai provetta e dell’amicizia
-del quale mi onoravo, come ne son ricordevole
-del cuore, che aveva al par dell’ingegno eccellente, lo
-illustrò col suo <i>Falco della Rupe</i>, romanzo, che forse
-quarant’anni fa ebbe la propria voga, nè vuol essere
-ancora dimenticato.
-</p>
-
-<p>
-Ma raccoltici tutti in Nesso, acceleriamo i passi
-alla volta del Piano del Tivano. Pigli chi vuole la sua
-cavalcatura e su e su.
-</p>
-
-<p>
-Si arriva dapprima ad Erno, quindi a Veleso, poscia
-a Gerbio: il divertimento della salita è indescrivibile.
-Noi ci facciamo spettacolo di noi stessi; la lunga fila
-della carovana, or si vede spuntar da un greppo, or
-interrompersi, or riapparire. Quando è un cappellino
-da signora che domina, quando è un gruppo di amici;
-io resto ultimo, poichè mi piaccia godere dell’effetto
-curioso. Poi si intendono parole interrotte che pervengono
-da chi è in capo della fila, poi più spiccate di
-chi segue, poi un grido di chi incespica, uno scroscio
-di risa, un commento, uno scherzo: è un assieme lieto,
-piacevole, artistico.
-</p>
-
-<p>
-Il Tivano, per chi nol sa, è un’alta montagna che
-si eleva tra la Valassina ed il lago di Como: ecco perchè
-i villeggianti del Pian d’Erba si dan la posta con
-quelli del lago per ritrovarsi tutti in cima al monte e
-vi traggono, mettendosi per la via che, oltrepassato
-Canzo, Asso e Lasnigo, s’inoltra appunto per la Valassina.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_158">[158]</span>
-</p>
-
-<p>
-Sulla vetta è una grande spianata erbosa a 1280
-metri sul livello del mare, ed è questa che si designa
-col nome di <i>Piano dei Tivano</i>.
-</p>
-
-<p>
-I nostri contadini ci hanno preceduto colle gerla
-piene del pranzo; hanno disposto il luogo dove assiderci:
-ma que’ del pian d’Erba sono essi arrivati? Attendiamoli
-e intanto racconciamo le nostre toalette
-scomposte dalla disagiata cavalcatura.
-</p>
-
-<p>
-La piccola banda musicale seco noi venuta apre a
-un tratto i suoi concerti; sono gli amici che giungono
-trafelanti dalla Valassina, che si son visti spuntare
-dall’ultimo anfratto, e la musica nostra li annunzia.
-</p>
-
-<p>
-Allora saluti, strette di mano, baci fra donne, discorsi,
-complimenti, pettegolezzi narrati e scambiati:
-in cinque minuti que’ del Pian d’Erba han narrato a
-que’ del lago le storielle tutte del mercato di Lecco, di
-quello di Incino, gli episodî erotici, i <i>cancans</i> d’ogni
-villa; e di ricambio hanno fatto altrettanto que’ del
-lago con essi.
-</p>
-
-<p>
-Ma l’appetito ne reclama. Per un po’ si tace, intenti
-tutti a smascellare; poi si ripiglia il chiaccherio, si fa
-anzi, maggiore, a seconda che i fiaschi di buon vino si
-vuotano. Levate le mense improvvisate, incominciano
-le danze sull’erboso piano e le due brigate qui convenute
-si mescono a vivaci polcke, a più concitati valzer,
-a più vorticose galoppe.
-</p>
-
-<p>
-Ma anche questa vetta ha le sue curiosità per chi
-la sale e cerca di più utile che il ballare sulle ineguali
-zolle. Il naturalista vi ravvisa le torbe miste a enormi
-larici ed a petrolio, e conviene che l’altipiano potesse
-un giorno, come fu scritto, essere stato un lago: i curiosi
-<span class="pagenum" id="Page_159">[159]</span>
-corrono a vedere il <i>Buco della Nicolina</i>, che è
-una grande grotta, come le tante altre che ho diggià
-ricordate. Quando è stata assai piovosa la stagione, vi
-si vedono le acque che vi sono dentro scolate; ma deve
-essere ben profonda, se nessuno n’ha saputo trovare
-il fine.
-</p>
-
-<p>
-Un miglio infatti a distanza di questo Piano del
-Tivano e ad ostro del medesimo, è un’altra pianura
-circondata da scoscesi monti, che solo si vede in
-tempo d’estate abitata da’ pastori colle mandre numerose;
-essa appellasi Vallombria. Ora in una di quelle
-montagne si riscontra una forte e profonda spaccatura,
-per la quale vien detto che un dì essendo penetrato
-un cane, vi sarebbe poscia uscito per il Buco della
-Nicolina.
-</p>
-
-<p>
-Se mi chiedete poi se anco quassù si piaccia la tradizione
-di voler favoleggiare; anche quassù, vi risponderei.
-Perocchè senza darvi ragion di sorta, gli alpigiani
-vi narrino seriamente come vi fosse <i>ai tempi antichi</i>
-fabbricato un gran palazzo abitato da Andefleda, moglie
-del goto re Teodorico. Qualche cialtrone si sarà divertito
-alle spalle di questa buona gente, dandole a bere
-questa fiaba, e la poco spiritosa giunteria trovò presa
-in quegli animi semplici e per essi si è fatta pretta e
-indiscutibile storia.
-</p>
-
-<p>
-Ma l’aura imbruna; il cammino che ci resta a scendere
-vuol più ore: rifocillati e rinnovati di forze, salutiamo
-gli amici dell’opposto versante e disponiamoci
-a partire.
-</p>
-
-<p>
-La marcia della partenza suona, le resinose torcie a
-vento ardono e si squassano; i lampioni si accendono
-<span class="pagenum" id="Page_160">[160]</span>
-e ne dan nuovo e inatteso spettacolo; succede un bisbiglio di voci che si salutano, baci che scoccano, addii
-che si vanno ripetendo e allontanando delle due comitive e che gli echi ripercuotono, la canzone si intuona
-da una parte e dall’altra per gli opposti versanti, la
-secondano tutti, e allegramente si riprendono i sentieri
-che ci tornano a Nesso, dove i nostri barcaiuoli ne
-attendono per ricondurci alle nostre ville.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_161">[161]</span></p>
-
-<h2 id="esc14">ESCURSIONE DECIMAQUARTA.
-<span class="smaller">LA VALL’INTELVI.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — Sua parte
-nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta del 1806. — Cospirazione
-del 1833. — Insurrezione nel 1848. — Andrea Brenta. — I cospiratori
-del 1854. — L’insurrezione e i volontarî del 1859.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Vale davvero consacrare una buona giornata a percorrere
-questa alpestre, ma bella e simpatica parte del
-territorio comasco.
-</p>
-
-<p>
-Noi proseguendo il cammino nostro da Torrigia,
-lungo la sinistra sponda del lago, per certo tratto
-di riva non rinveniamo più nè ville, nè case; le prime
-che rompono la monotonia di quelle roccie, non più
-così fiorenti e verdeggianti, come quelle che abbiamo
-lasciate, sono i casolari del montuoso Brienno. Quivi
-furono trovate iscrizioni romane, di cui una rammenta
-un Archigene, dal quale si vuol derivata la denominazione
-del non discosto paese di Argegno e ne lo si dà
-per fondatore. Null’altro offre che valga ricordare.
-</p>
-
-<p>
-È da Argegno che si entra in Vall’Intelvi per due
-vie; l’una sulla sinistra del torrente Telo che va a
-Sant’Anna e Schignano; l’altra sulla destra, per la
-<span class="pagenum" id="Page_162">[162]</span>
-quale ponno ascendere carri, e riesce a San Sisino, a
-Castiglione e a San Fedele, e da cui si può andare a
-Lugano: ambe poi belle di alpestri bellezze.
-</p>
-
-<p>
-È dall’ultima via che si accede al Calvagione, o
-monte Gionaro, che è quello che conosciamo già col
-nome di Generoso.
-</p>
-
-<p>
-Tutta la Vall’Intelvi è bella di prospetti, di naturali
-bellezze, di vegetazione; essa è anche interessante
-per gli episodî delle sue sommosse, che attestano i suoi
-abitatori animosi e teneri di libertà.
-</p>
-
-<p>
-Vollero alcuni derivato il suo nome dall’intelligenza
-de’ suoi figli, quasi Val d’Intelletto; ma chi nelle carte
-dell’ottavo secolo la trovò indicata col nome di <i>Intellavi</i>,
-la volle parola corrotta da <i>Inter lacus</i>, sorgendo
-essa difatti fra il Lario ed il Ceresio.
-</p>
-
-<p>
-Nella guerra decenne, incominciata col 1118 ed ultimata
-il 1127 fra Milano e Como, e nella quale le
-terre del Lario si scissero parteggiando per quella o
-per questa città, questi alpigiani furono utilissimi difensori
-di Como, e poscia, al tempo della dominazione
-spagnuola, divennero le loro terre feudo dei Marliani.
-</p>
-
-<p>
-Bartolomeo Passerini, curato di Ramponio, terra
-della Vall’Intelvi, nel 1806, indegnato che Napoleone
-tradisse la libertà facendosi imperatore, alzò il vessillo
-della ribellione: lo seguirono gli altri curati di Dizasco
-e Cerano e seco loro trassero altri generosi; ma privi
-di armi e d’ogni altro mezzo, pochi gendarmi bastarono
-a disperderne il manipolo: e carcerati tutti, decapitati
-i capi, gli altri, dopo breve carcere, rimisero in
-libertà.
-</p>
-
-<p>
-Di sè non diè a parlare la Vall’Intelvi se non nel
-<span class="pagenum" id="Page_163">[163]</span>
-1833, quando essa ruminando una sollevazione ad ajutar
-la Giovine Italia, il governo Austriaco vi mandò il
-commissario Piccinini ad arrestare un Piazzoli, che si
-dava per l’anima della cospirazione in quella parte;
-ma una fucilata stese morto il commissario, il Piazzoli
-riparò in Isvizzera e ogni cosa fu ultimata.
-</p>
-
-<p>
-A maggiori avvenimenti fu teatro invece negli anni
-1848 e 1859, quando la causa dell’italiana indipendenza
-fu intrapresa seriamente; ma a narrarli mi valgo di
-quanto ne scrisse Gaetano Ferrabini e stampò a beneficio
-della famiglia di Andrea Brenta, perocchè per
-essere il Ferrabini mio cognato, non m’è tolto dal ricordarlo
-come fervente patriota, egli essendo stato animoso
-volontario nelle fazioni patrie allo Stelvio, dopo
-d’aver avuto nelle cinque giornate di Milano mutilato
-più d’un dito della destra mano dalle sciabole poliziesche.
-Come in quel di congiunto, metto franca la mano
-e senza scrupoli nel suo sacco<a class="tag" id="tag22" href="#note22">[22]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Argegno e la sua vallata singolarmente sono assai
-memorabili, come dissi, per la loro insurrezione dell’autunno 1848, quando volevasi, rivoluzionando tutta
-la parte montuosa della Lombardia, ritentare il nostro
-riscatto.
-</p>
-
-<p>
-Quell’ardimentoso rivolgimento, che si potrebbe appellare
-l’ultimo disperato sforzo della Lombardia per
-vendicarsi a libertà, perchè già chiusa colla peggio la
-male augurata campagna combattuta dall’armi sarde
-contro gli Austriaci colla capitolazione di Milano, fu
-<span class="pagenum" id="Page_164">[164]</span>
-iniziato in Argegno da <i>Andrea Brenta</i>, nativo di Varenna,
-ostiere e fornajo di San Fedele d’Intelvi, ove si
-stabilì fin dal 1833; uomo, che comunque di volgar
-condizione, era nondimeno distinto per l’ardore di patriottici
-sentimenti e degno al certo di più vasto ed
-importante arringo. Disceso costui, poco dopo la metà
-dell’ottobre, ad Argegno con soli quattro determinati
-compagni (fra cui piacemi segnalare il prete don Francesco
-Cavalli, in allora parroco del luogo di Pigra), vi
-disarmò subito la imperiale gendarmeria, e cacciandosi
-poi nella vallata, la faceva insorgere tutta quanta.
-</p>
-
-<p>
-Que’ gendarmi disarmati si portavano di cheto a
-Como, ove riferivano l’accaduto al comandante militare
-di questa città, generale Wimpfen. Il 27 di quel
-mese, ordinati da costui, giungevano ad Argegno, trasportati
-dai battelli a vapore, più di 700 Austriaci
-affin di reprimere quel movimento. — Avviaronsi essi
-per la strada a destra della valle; ma giunti appena
-al luogo detto Cavrano, o Crotto del Piazza, poco oltre
-la chiesa di S. Sisino, dovettero far sosta, perchè salutati
-da ben nudrita moschetteria dei nostri quivi destramente
-imboscati, quantunque non fossero questi
-che in numero di sette. Erano costoro il Brenta medesimo,
-i quattro suoi compagni, e Bernarda Niceforo
-e Grandi Andrea detto <i>Botris</i> di Argegno, i quali
-eransi ad essi aggiunti. — Si impegnò allora uno
-scambio non interrotto di fucilate, che lasciò credere
-a quelli di parte avversa che assai più numerosi fossero
-i sollevati coi quali avevano a fare, e non s’ebbe
-in quel primo scontro a lamentare dai nostri alcun
-danno, nè a perdere, ciò che meglio importava, la posizione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_165">[165]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il mattino del dì susseguente (28), gli Austriaci ripresero
-primi il fuoco, senza osare, per altro, avanzarsi
-oltre il summentovato luogo, certo sospettando che
-l’avvisaglia del giorno innanzi accennasse ad una più
-estesa partecipazione di tutti i valligiani. — Con molto
-accorgimento erano i nostri gagliardi qua e là distribuiti,
-e dietro le macchie degli alberi o gli accidenti
-del terreno montuoso mascherati; sorprendente era la
-lestezza che usavano nel ricaricare le bocche da fuoco;
-ed a tanto pervenne da ultimo il loro ardimento, che
-il summentovato Andrea Grandi, balzato solo fuor
-d’una macchia, stringendo sempre il proprio moschetto,
-simulando che altri molti il seguitassero, li andava
-ad alta voce chiamando ed eccitando a buttarsi su’ nemici;
-a tal che questi ne furono sgomentati in guisa
-che gli fuggirono davanti. E così finalmente procedettero
-le cose in quel giorno, che verso le due pomeridiane
-gli Austriaci, i quali già contavano perdite e
-feriti in buon dato, si trovarono costretti a volger le
-spalle e discendere precipitosi e nella massima confusione,
-raccogliendosi a mala pena in Argegno. — Avevano
-però prima gli infami, seguendo il barbaro loro
-costume, appiccato il fuoco a ventotto cascinali e a
-due crotti, di cui uno del Piazza, le rovine del quale
-veggonsi ancora oggidì.
-</p>
-
-<p>
-In Argegno, a rifarsi della vergognosa ritirata, usarono
-con quei terrieri, senza riguardo a sesso ed età,
-ogni modo di violenze, mali trattamenti e minaccie; e
-tolti con loro sette uomini del paese quali ostaggi, nelle
-persone di Antonio Cresseri, Francesco Peroni, Adriano
-Balzaretti, Santo Scotti, Giovanni Rigatti, Giovanni
-<span class="pagenum" id="Page_166">[166]</span>
-Santi ed altro di cui non si ha il nome, s’imbarcarono
-e si ricondussero a Como.
-</p>
-
-<p>
-Di quei sette statichi, i quali non è a dirsi a quali
-e quanti insulti e tormenti avessero, contro il diritto
-delle genti, a patire per opera di quei sicarî piuttosto
-che soldati, basterà rammentare come venissero tenuti
-per ben due intere giornate colle mani legate al tergo
-e senza cibo, e non ne fossero poi rimessi liberi che
-sei; l’altro, il Cresseri, uomo di avanzata età, ammogliato
-e con figli, essendo barbaramente fucilato in
-Como a’ 17 novembre di quell’anno, perchè lo si volle
-ritenere proprietario di una pistola sguernita di acciarino,
-rinvenuta dietro un muricciolo in Argegno presso
-cui s’era trovato nel momento del di lui arresto. — In
-quella stessa occasione che l’infelice Cresseri veniva
-messo a morte, questi avevasi a compagno di pena un
-tal De Maestri di Orzinovi, incolpato d’aver donate
-dodici lire a due giovani di una famiglia ungherese.
-</p>
-
-<p>
-Il Comitato della Emigrazione Italiana residente in
-Lugano, al quale avevano fatto ricapito dal precedente
-agosto gran parte di coloro che avevano anteposto l’esiglio
-al ritornare sotto gli artigli dell’Austria, venuto
-a cognizione di quella sollevazione, nella speranza
-avesse essa a prendere più vaste proporzioni, decretò
-sostenerla; e mandò a tale uopo danaro, armi e munizioni,
-e più di 400 militi, de’ quali il maggior numero
-disertori dalle bandiere dell’Austria, capitanati una
-parte dal generale D’Apice, l’altra dal comandante
-Arcioni.
-</p>
-
-<p>
-Nella Chiesa di S. Sisino, posta a breve distanza
-sopra Argegno, venne istituito un governo insurrezionale
-<span class="pagenum" id="Page_167">[167]</span>
-per la provincia di Como, il quale assumesse la
-direzione del movimento e delle operazioni militari; e
-allora fu che molti altri paesi del lago insorsero del
-pari, e corsero ad ajutare la insurrezione.
-</p>
-
-<p>
-Così provocati in più audace e considerevole modo
-gli Austriaci, ritornati in grosso corpo, tentarono essi
-più volte di penetrare nella Valle, non per le vie di
-Argegno soltanto, sibbene da varie altre direzioni; ma
-furono sempre e gagliardamente dovunque respinti con
-gravissimi loro danni, finchè nel giorno 3 novembre,
-dopo aver sostenuto con quelli del lago un breve fuoco,
-riuscirono, scortati da due guide di Finanza — Pensa
-e Melloni — che a loro vergogna van ricordati, a salire
-per il Bisbino, e avanzandosi a rapida marcia,
-pervennero poi ad impadronirsi delle vette dei monti
-che fiancheggiano a sinistra la parte della Vall’Intelvi,
-la qual si chiama di Schignano, dal paese di tal nome — ciò che non sarebbe stato loro possibile certamente,
-se il generale D’Apice, che fin dal giorno avanti occupava
-co’ suoi 200 bravi soldati quelle cime, veduti da
-lontano gli Austriaci, non avesse fatto retrocedere la
-sua truppa infino a Schignano.&nbsp;—
-</p>
-
-<p>
-È la gente di questo paese assai rimarchevole per
-islancio, per coraggio e per costanza in tutto che riguarda
-alla patria libertà: e dove il D’Apice avesse
-fatto debito assegnamento su di essa, avrebbe indubbiamente
-trovato nella medesima un validissimo appoggio.
-Ma egli, riuniti e fatti schierare sulla piazza
-comunale tutti gli uomini suoi, che sommavano, come
-si è detto, a meglio di 400, ordinò loro la marcia di
-ritirata per le gole che transitano al territorio della
-Svizzera.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_168">[168]</span>
-</p>
-
-<p>
-Perchè mai questo generale aveva egli lasciato scoperto
-il passo alla Valle dalla parte del Bisbino?....
-Perchè non ha poi riparato a tale mancanza approfittando
-delle magnifiche posizioni che avrebbe potuto
-agevolmente tenere con duecento militi valenti come
-quelli che erano sotto i proprî comandi, ed ardentissimi
-inoltre di battersi per la libertà d’Italia, e da
-dove si sarebbe potuto di leggieri, non che impedire al
-nemico d’inoltrarsi, respingerlo e sbaragliarlo quantunque
-assai superiore di forze; ed ordinava invece,
-all’appressarsi degli Austriaci, l’abbandono vigliacco di
-quel campo senza colpo ferire, lasciando così ai medesimi
-libera la via a discendere nella insorta vallata,
-che metteva poi tutta in loro balía ed in preda alle
-loro vendette?
-</p>
-
-<p>
-Operò così il D’Apice per codardia, ovvero per tradimento?.... Non si potè da alcuno asserire se per
-l’una o per l’altro; soltanto corse voce allora che forti
-dissidî fossero nati tra lui e il comandante Arcioni:
-certo è che egli bruttò la sua fama con quel fatto, che
-ridusse quella nobile insurrezione alle proporzioni d’una
-inutile fazione, che valse a nuovo pretesto alla bestiale
-ferocia dei nostri oppressori.
-</p>
-
-<p>
-Perdurando nella lotta con tanto vigore ed entusiasmo
-fino allora sostenuta, ed alla quale avevan già
-presa parte energica molti altri paesi del lago, è a
-credersi che, caldi com’erano tuttavia in quei giorni
-gli animi lombardi, si sarebbe tradotta in fatto la idea
-preconcetta di redimere nuovamente colla rivoluzione
-la Lombardia. Perocchè, alimentata la sollevazione e
-mantenuto inviolabile quel centro d’opposizione per
-<span class="pagenum" id="Page_169">[169]</span>
-alcuni mesi ancora, avrebbe di non poco contribuito
-alla campagna che si aprì nel marzo del successivo
-anno; e divergendo parte delle forze nemiche e costituendo
-un nucleo importante, sarebbe stato un freno ai
-tradimenti che disonestarono in quell’epoca il nome
-italiano e la nostra causa, ed un eccitamento a non
-vederla finita nella giornata infelice di Novara.
-</p>
-
-<p>
-I pochi dei nostri, quelli cioè di Argegno e della
-vallata cui s’erano collegati alcuni Ungheresi disertori
-dell’Austria, trovatisi soli nel vasto campo, distesisi
-in catena pel monte S. Bernardo, sperarono un
-momento, dandosi a molestare il nemico che loro stava
-di fronte, di potersi ancora sostenere. Ma dopo poche
-ore di accanito combattimento, scarsi troppo di numero,
-privi di chi sapesse con valentia dirigerli, difettosi affatto
-di viveri e disperando soccorsi, cessarono, ma
-onoratamente, dal loro gagliardo e generoso proposito.
-</p>
-
-<p>
-Gli Austriaci, cui erano toccate nei diversi fatti di
-quella rivoluzione considerevoli perdite, baldanzosi di
-trovarsi finalmente — senza alcun loro merito — padroni
-di quei luoghi, si diedero a fare stragi e mal
-governo.
-</p>
-
-<p>
-Il Casino, detto dei Signori, posto sulla cresta della
-montagna alla destra di Schignano e che dà alla Svizzera,
-fu da loro saccheggiato: la povera osteria del
-Brenta, noto ad essi per il promotore di quella sollevazione,
-soqquadrarono tutta quanta e poi diedero alle
-fiamme, sì che fu tolta alla diserta famiglia di lui, che
-s’era di là involata e ramingava altrove, la speranza
-perfino del ritorno: fucilarono un tal Domenico Ceresa
-detto <i>Tardett</i> di Schignano, che tentava sottrarre alla
-<span class="pagenum" id="Page_170">[170]</span>
-loro rapacità i proprî armenti, ed un Ungherese che,
-diretto alla Svizzera, si era per quelle vie smarrito.
-</p>
-
-<p>
-La insurrezione per tal guisa soffocata, ebbero la
-Valle Intelvi ed Argegno a deplorare in seguito, oltre
-ad enormi contribuzioni, la carcerazione e la morte di
-parecchi individui che furono dei più risoluti, il cui
-arresto avvenne nella festa di Pasqua del 1849 in una
-osteria di Casasco, chiamata del Foino, dove i medesimi
-trovavansi tuttora armati; e ciò in seguito a delazione
-fatta dalla Gendarmeria di Castiglione di Intelvi all’I.
-R. Comando Militare di Como. — Costoro erano: <i>Andrea
-Brenta, Giuseppe Manzoni, detto</i> Rossin, <i>un disertore
-ungherese, Giovanni Pizzala, Niceforo e Luigi
-Bernarda, uno svizzero ed un varesotto</i>.
-</p>
-
-<p>
-Meno i primi tre, che furono fucilati nel sesto giorno
-dopo la suddetta Pasqua, cioè a mezzo l’aprile (14), gli
-altri ottennero poi la libertà, perchè s’avesse anche il
-dovere di proclamare l’austriaca clemenza. Taluni di
-questi ultimi per altro, onde assicurarsi della vita, dovettero
-tosto emigrare, conscî che l’Austria non perdona
-e non oblía.
-</p>
-
-<p>
-Brenta, il caldo patriota, l’iniziatore di quell’insurrezione,
-andò incontro alla morte da coraggioso ed
-intrepido, siccome aveva vissuto. Egli contava soli 37
-anni. Sul luogo del supplizio, che fu il piano della Camerlata,
-stringendo la croce, simbolo del comune riscatto,
-rivolse al popolo efficaci parole di fede sulla
-redenzione della patria nostra, e moriva, come muoiono
-gli eroi, ricusando aver bendati gli occhi, poichè
-il morir per la patria non l’atterriva, e gridando: <i>Viva
-Italia!</i> Lo stesso ufficiale austriaco, che dovette comandare
-<span class="pagenum" id="Page_171">[171]</span>
-di far fuoco sopra di lui, fu talmente commosso
-da cotanto patriottismo ed intrepidezza, ch’ebbe a dire,
-che se gli fosse stato possibile, avrebbe voluto ad ogni
-costo salvar la vita di quel magnanimo. — Mentre veniva
-tradotto al luogo della esecuzione, al Giuseppe
-Manzoni che doveva subir l’egual pena e che si lamentava
-di dover per quel modo morire, così francamente
-parlava il Brenta: <i>Taci, e tienti contento, chè anche tu
-hai fatta la tua parte!</i>
-</p>
-
-<p>
-Queste prove d’eroismo si rinnovarono fortunatamente
-spesso tra noi in questi ultimi anni di lotta; e
-si vorrebbe che a perpetua memoria si scolpissero i
-nomi e i fasti gloriosi in marmorei monumenti, e che
-il paese non fosse così trascurato, siccome si mostra,
-della povera condizione delle famiglie de’ suoi martiri.
-Chi finora ha pensato a quella, per esempio, numerosa
-del Brenta? — Egli lasciava nella desolazione e nella
-miseria la moglie e nove teneri figli, che ancora attendono
-che la patria paghi inverso di essi il debito
-della riconoscenza.
-</p>
-
-<p>
-Ridotta la Valle Intelvi ed Argegno al silenzio, gittati
-nella costernazione per la morte di tanti suoi valorosi,
-non si diedero i loro abitatori a vigliacco avvilimento;
-ma chiusi nelle più generose aspirazioni,
-tenendo l’occhio alla capitale d’onde muovevano quotidianamente
-esempî di ostinata opposizione contra
-l’austriaco governo, stettero aspettando che suonasse
-nuovamente l’ora della riscossa. Impazienti per altro
-taluni de’ sunnominati, fra cui l’Andrea Grandi e un
-de’ Bernarda, nell’atto che dalla Svizzera, nell’anno
-1854, stavano riportando alle loro case le armi che
-<span class="pagenum" id="Page_172">[172]</span>
-avean ricevuto dal partito d’azione in Lugano, venivano
-arrestati e tradotti nelle segrete di Mantova, da
-dove, dopo la tortura inquisitoria di quei famigerati
-che furono Sanchez e Pichler, uscirono condannati
-agli ergastoli di Padova, da cui vennero liberati dall’amnistia del 1857, prima conseguenza del congresso
-di Plombières.
-</p>
-
-<p>
-Dieci anni durò la dolorosa prova e l’aspettazione
-degli animi: spuntò finalmente il 1859.
-</p>
-
-<p>
-Voci di guerra, mosse primamente dalle sponde della
-Senna, corsero presto anche le rive del Lario: il tempo
-della rivincita si appressava, quello dell’espiazione per
-l’Austria era imminente.
-</p>
-
-<p>
-Non tardò essa a scoppiare: noi tutti salutammo felici
-e benedicemmo la terribile distruggitrice dell’uman
-genere, la grande sventura dei popoli, la guerra: era
-essa l’unico mezzo onde porre fine alla sventura ancora
-più grande e deplorabile, la oppressione straniera.
-</p>
-
-<p>
-Sul principiar della guerra di quell’anno, Argegno,
-fra i più ardenti paesi di Lombardia, fremeva attendendo
-il momento propizio di infrangere alla sua volta,
-e per sempre, il giogo della schiavitù.
-</p>
-
-<p>
-Son note le ragioni che servirono a rompere le ostilità
-fra Piemonte ed Austria, ad allearsi Sardegna e
-Francia; son noti i gloriosi combattimenti dell’armi
-alleate: io non mi arresterò a tener conto di essi, onde
-venir difilato all’argomento mio.
-</p>
-
-<p>
-Giunse il 26 maggio: in quel mattino un battello a
-vapore percorreva il lago annunciando ai varî paesi
-d’ambe le sponde, allo scopo di farli insorgere, la vittoria
-riportata dal corpo del prode Garibaldi a Malnate,
-<span class="pagenum" id="Page_173">[173]</span>
-terra fra Varese e Como. Ognuno sa come il
-fatato Nizzardo, spiccatosi coi Cacciatori delle Alpi da
-lui comandati dal nucleo dell’esercito alleato, si fosse
-condotto pei paesi del Lago Maggiore a Varese, e di
-là avesse incominciato una serie di gloriosi combattimenti,
-di fatti d’armi arditi e fortunati: e però la notizia
-che si diffondeva era di non dubbia importanza.
-</p>
-
-<p>
-Don Battista Rosati, vicario della parrocchiale d’Argegno,
-uomo svisceratissimo della sua patria, italiano
-in cui fu sempre calda la fede della redenzione di essa,
-e che molto si adoperò nei tempi difficili a propagarla
-in quei dintorni, onde vi fosse prontezza d’ajuti nel
-giorno del cimento, messosi in un burchio, andò incontro
-a quel piroscafo per aver nuove da Como, e vi
-raccolse infatti la fausta novella.
-</p>
-
-<p>
-Ritornato costui alla sponda d’Argegno, non è a dirsi
-con quale accento di giubilo e di entusiasmo gridasse
-a’ suoi conterranei: <i>Figliuoli, viva Italia! — l’ora segnata
-dalla Provvidenza è giunta — vittoria di Garibaldi
-a Malnate — il generale Garibaldi colle sue valorose
-truppe è in vicinanza di Como. — Ringraziamo
-Iddio, e facciamo tosto il dover nostro.</i>
-</p>
-
-<p>
-E la gente d’Argegno fu pronta e sollecita alla riscossa.
-Avendo a capo quel medesimo prete, parecchi,
-de’ quali i nomi sono: Plinio Peroni, Giacomo Bernarda,
-Tomaso Spinelli, Antonio, Luigi e Santino fratelli Rosati,
-Costante Ambrosoli, Pasquale Grandi, Carlo
-Fraquelli, Antonio Visini, Giacomo e Antonio fratelli
-Grandi, Ernesto Bernarda, Carlo Patriarca, Andrea
-Grandi, Eugenio Zucchi, G. B. Bosisio ed Eugenio
-Bernarda — ristrettisi insieme, disarmarono in quel
-<span class="pagenum" id="Page_174">[174]</span>
-Comune i soldati austriaci, i finanzieri e i gendarmi;
-indi percorrendo la valle, dove si unì loro, prestando
-energico ajuto, un giovane milanese, l’ingegnere Tizzoni,
-che per lavori censuari colà si ritrovava, operarono
-dovunque il disarmo delle guardie di Finanza,
-fecero l’arresto del commissario di dette guardie in
-San Fedele d’Intelvi, signor Durini, uomo che si rese
-indegno del nome italiano e della illustre famiglia alla
-quale appartiene; e sarebbero pur riusciti ad arrestare
-anche quelle due guide di Finanza, Pensa e Melloni,
-che nella rivoluzione della Vall’Intelvi nel 1848 si
-erano infamati guidando gli Austriaci nella detta valle
-per la via del Bisbino, se costoro, avvertendo al pericolo
-che lor sovrastava, non se ne fossero in tempo
-sottratti. Essi vennero catturati in appresso per cura
-della R. Questura di Como.
-</p>
-
-<p>
-Cotali atti della gente di Argegno devono dirsi di
-sommo ardimento, considerato che nel giorno 26 maggio
-si compivano da quel solo paese, mentre le altre
-terre del lago se ne stavano ancora titubanti a cagione
-che l’Urban, generale dell’Austria, aveva in Como concentrato
-un corpo di oltre dodicimila uomini, e si mostrava
-disposto, bestiale siccome era, a far man bassa
-con chichessia avesse mostrato di partecipare al generale
-commovimento; talchè da tutti si dicevano impazziti
-gli abitanti di Argegno.
-</p>
-
-<p>
-I battelli a vapore del lago, che fin dal mattino di
-quel dì si emanciparono dal servizio austriaco, ebbero
-in detto giorno e nel susseguente ad unico sito di stazione
-la riva di Argegno: nè vi fu modo, finchè gli Austriaci
-rimasero, che si riconducessero a Como, dov’erano
-<span class="pagenum" id="Page_175">[175]</span>
-istantemente richiamati, perchè il capitano di uno
-di essi, lo Scannagatta, che collo scampanellar del
-suo piroscafo e con efficace parola avea contribuito
-potentemente a bandir quella sommossa, risoluto ad
-ogni audace impresa, seppe persuadere il rifiuto. — E
-gli abitanti di questo paese furono i primi altresì che,
-partendo la notte dal 27 al 28, si portarono a Como
-per ricevervi festosamente l’invitto Garibaldi e la valorosa
-sua armata, alla quale si unirono tosto come
-volontarî ventitrè di essi Argegnesi. E qui è da notarsi
-che la popolazione di Argegno, sommando soltanto a
-650 anime, forniva con quei 23 volontarî un ben importante
-contingente alla guerra nazionale.
-</p>
-
-<p>
-Onore pertanto a questa valorosa terra, onore a’ suoi
-animosi abitanti!...
-</p>
-
-<p>
-A coloro che, leggendo questo libro, avranno domandato
-a questa Escursione la semplice descrizione
-di luoghi, o romanzesche leggende, io penso che la narrazione
-che ho fatto invece di antichi e gloriosi fatti e
-della patriottica partecipazione di questa amena e magnifica
-valle all’epopea della italiana indipendenza,
-penso che sarà stato di largo compenso, come sarà di
-più efficace eccitamento a percorrerla ed ammirarla.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-176b"></a>
- <img src="images/ill-176b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Isola Comacina, Balbianello, Bellagio.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_177">[177]</span></p>
-
-<h2 id="esc15">ESCURSIONE DECIMAQUINTA.
-<span class="smaller">L’ISOLA COMACINA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. — Zocca
-dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La processione e la
-Scorobiessa. — Isola. — La torre del Soccorso. — Campo. — La villa
-Delmati. — Dosso di Lavedo. — Balbianello e la villa Arconati. — Il
-torrente Perlana. — La Madonna del Soccorso.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Riconducendoci ad Argegno, e da qui movendo all’insù
-del lago, seguendo la medesima sponda, dobbiamo
-questa volta proporre a meta della nostra peregrinazione
-questa Isola Comacina, un dì più famosa
-certo di quello non lo sia oggidì. Vi troveremo importanti
-memorie di storici avvenimenti, che non sarà, per
-chi ha cuore e amor di studî, discaro di ricordare.
-</p>
-
-<p>
-Intanto lungheggiando questa sponda, la sua severità,
-che ebbe, a vero dire, il suo principio dalla punta
-di Torrigia, è divertita dalle bellissime cascate di Camoggia,
-le cui acque con molto fragore balzan dalle
-alture e spumeggianti si gettano nel lago. Una semplice
-casetta da contadino sta al piede del monte e testimonia
-che vi ha chi sfrutta e que’ pascoli e que’ boschi.
-</p>
-
-<p>
-Dopo un certo tratto silenzioso e disabitato, si presenta
-<span class="pagenum" id="Page_178">[178]</span>
-Colono, paesello, come Blevio, Careno, forse
-Corinto in antico, Palanzo, Lemna e Nesso che già visitammo,
-il qual rivela nel suo nome, che ricorda altresì
-l’<i>Edipo a Colono</i> di Sofocle, la presenza di una
-immigrazione greca; la quale, come già altre volte notai,
-pur si manifesta nel nome di altre terre, come
-Campo, che troverem tra breve, Lenno, Dorio e Dervio,
-forse anticamente Delfo; avvalorandosi così la credenza
-di coloro che pretesero aver qui, come pur già
-dissi, Giulio Cesare dedotta una colonia ellenica di
-cinquecento uomini di prestanti famiglie. E pare che
-gli abitatori di questi paesi serbassero le costumanze
-antiche, computando gli anni dai consoli, e rammentando
-l’autorità dell’imperatore greco sedente in Costantinopoli,
-quantunque non ne avesse su di essi giurisdizione,
-negli anni di Cristo 571 e 572, a’ quali
-accennano due lapidi latine che si distinguono tuttavia
-in Lenno, e che riferirò a suo luogo.
-</p>
-
-<p>
-Tuttavia a Colono si hanno traccie sufficienti di colonia
-romana nei ricordi di un arco antico, che evidentemente
-lo attestano di romana architettura.
-</p>
-
-<p>
-Succede a Colono, Sala, paesello che vive di pescagione
-e sul confine del quale ha il suo letto il torrente
-Premonte, e sulla punta sporgente nel lago sorge la
-villa Beccaria, che appartenne a Cesare, l’immortale
-autore <i>Dei Delitti e delle Pene</i> e dove vi morì il suo
-degno figlio marchese Giulio; e la quale chi la visitò
-afferma somigliare ad un buon libro che attiene più
-che non prometta.
-</p>
-
-<p>
-Tutta questa parte, che forma un certo grazioso bacino,
-la si può dire una primavera anche nel verno: la
-<span class="pagenum" id="Page_179">[179]</span>
-neve, se cala, vi sparisce subito: il verde vi è costante
-e però agrumi e ulivi vi allignano, per la mitezza del
-clima, all’aperto, nè i fiori han d’uopo di serre: lo
-stesso che sul lago Maggiore avviene ne’ dintorni di
-Cannero, che si trovano nell’eguale condizione di postura.
-La calma che anche regna nelle onde di questo
-seno, a cui l’isola forma quasi baluardo contro l’ira
-dei venti e dei flutti, ha fatto dare a questo tratto
-dagli abitanti del paese la denominazione di Zocca
-dell’Olio. Perocchè davanti a questa villa Beccaria si
-schierino a fianco Sala e davanti l’Isola Comacina, a cui
-eravamo diretti, e che è anche la sola isola del lago.
-</p>
-
-<p>
-Essa conta tutta una storia; nè è a credersi che la
-sua estensione fosse quella che presenta oggidì, dovendo certamente essere stata maggiore, rôsa quindi
-all’intorno dalle innondazioni che via ne trascinarono
-poco a poco molto terreno.
-</p>
-
-<p>
-Chi conobbe l’itinerario d’Antonino, vuole che dell’Isola Comacina vi sia fatta menzione: certo all’epoca
-dell’invasione longobarda cominciò ad essere teatro di
-lotte animose e fiere. Un Francione, generale di Maurizio
-imperatore d’Oriente, vi si rifuggì e mantenne indipendente,
-l’isola appellando Cristopoli, quasi posta
-sotto la protezione speciale di Cristo. Ma Autari, re
-longobardo, la strinse e l’assalì vigorosamente con numerosa
-flottiglia, e dopo una gagliarda resistenza di
-sei mesi, l’ebbe per onorevole capitolazione di quel
-prode, che ottenne di ritirarsi colla moglie a Ravenna.
-Ricchissimo fu il bottino che vi fe’, occupandola, il longobardo.
-</p>
-
-<p>
-Successivamente fu l’isola ricovero a Gaidulfo duca
-<span class="pagenum" id="Page_180">[180]</span>
-di Bergamo, allorchè si ribellò a re Agilulfo; poi al re
-Cuniberto, quando dovette cedere alla prevalenza del
-duca Alachi di Brescia; quindi alla famiglia di Ausprando,
-dove per altro essa fu immolata dal suo nemico
-Ariberto, che a maggiore vendetta smantellò anche
-l’isola che l’aveva ricoverata.
-</p>
-
-<p>
-Quivi pure rifugiavasi la famiglia di Berengario nel
-962 dall’irruenza delle armi del suo più felice competitore
-Ottone di Germania, e gli abitanti di queste
-rive che, parteggiando per quest’ultimo, lo forzarono
-alla resa e ne disarmarono il castello, ebbero in premio
-la conferma dei diritti di comune all’isola nel seguente
-documento, che val la pena di conoscere:
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p>
-“In nome della santa ed indivisibile Trinità, Ottone,
-per voler di Dio, imperatore augusto.
-</p>
-
-<p>
-„Se assentiamo alla domanda degli altri nostri fedeli,
-molto più giustamente inclinar dobbiamo le orecchie
-alle preci della diletta consorte nostra. Sappiano
-dunque tutti i fedeli nostri e della santa Chiesa di Dio
-presenti e futuri, che Adelaide imperatrice augusta,
-moglie nostra, invocò la nostra clemenza, affinchè per
-amor suo gli abitanti dell’isola Comasca e del luogo
-che dicesi Menaggio ricevessimo sotto la nostra tutela
-e confermassimo coll’autorità nostra i privilegi che
-ebbero dagli antecessori nostri e da noi stessi aventi
-l’unzione imperiale, cioè di non far oste, non aver l’albergario,
-non dar la curatura, il terratico, il ripatico,
-e la decima del nostro regno, nè andar, se non tre
-volte l’anno, al placito generale in Milano. Tanto concediamo
-ecc. Dato all’ottavo avanti le calende di settembre
-(25 agosto), anno dell’incarnazione 962, I dell’impero
-del piissimo Ottone, indizione V, in Como.„
-</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_181">[181]</span>
-</p>
-
-<p>
-La giurisdizione politica dell’isola doveva estendersi
-a que’ giorni, oltre l’isola propriamente detta, a tutto
-il tratto da Argegno sino a Villa di Lenno, dall’una
-e dall’altra sponda.
-</p>
-
-<p>
-Gli isolani nella guerra dei dieci anni, dal 1118 al
-1127, mossa dai Comaschi a’ Milanesi stati prima
-amici coi primi, poscia congiuntamente a Menaggio,
-Gravedona e a tutte quelle terre del lago ch’erano a
-queste vicine, lor si chiarirono avversi; onde i Comaschi
-ne tiraron vendetta, desolando molti loro paesi e
-l’isola, che da allora cessò d’essere popolata e dal
-dare a parlare di sè.
-</p>
-
-<p>
-Oggi, a chi la vede, par non credibile che possa essere
-stata importante luogo: eppure fu scritto che sul
-ripiano più elevato sorgesse il castello, che i pochi abitanti
-odierni additano ancora ove fosse; che ben nove
-chiese vi esistessero e che il vescovo Litigerio vi avesse
-collocato perfino una Collegiata di canonici.
-</p>
-
-<p>
-Ruderi ad ogni modo di fortilizî veggonsi tuttavia,
-che si vanno però sempre struggendo, per sostituirvi
-piante e seminagioni, e in una festa annuale, nel 24
-giugno, per antichissima tradizione, si riproduce intorno
-ad essa una delle tante assurde e superstiziose
-scene, onde non è libero ancora il cristianesimo del
-contado.
-</p>
-
-<p>
-In quella giornata, sacra a San Giovanni Battista, il
-clero in processione vi gira in una gran barca detta la
-<i>Scorobiessa</i>, e negli anni addietro essa veniva altresì
-accompagnata dalla rappresentazione scenica della decollazione
-del Precursore.
-</p>
-
-<p>
-Raffiguravasi il re Erode, che, in mezzo al suo corteo,
-<span class="pagenum" id="Page_182">[182]</span>
-comandava decapitarsi il santo, il qual doveva essere
-un fantoccio, perchè realmente si vedeva, al
-calar del fendente, balzare la testa e il sangue sprizzare
-da un otre che vi era predisposto dentro, con immensa
-edificazione e gaudio della devota popolazione.
-</p>
-
-<p>
-In seguito della suddetta guerra decenne, gli abitanti,
-parte ripararono a Varenna; gli altri si fabbricarono
-sul lido le loro case, e il paese che ne uscì
-appellarono dal luogo che avevan dovuto abbandonare,
-Isola, dove risiedette anche la Collegiata che ho
-testè ricordata.
-</p>
-
-<p>
-Lasciando Isola, in su spingendo l’occhio, vedesi su
-d’un greppo un avanzo di torre, che denominano del
-Soccorso, di solida costruzione, quadrata, e che doveva
-servire o di vedetta o di momentaneo rifugio.
-</p>
-
-<p>
-Subito dopo Isola, è Campo, ove la villa che prima
-era dei Giovio, venduta poscia a Tolomeo Gallio, che di
-ville sul lago n’ebbe più d’una, ebbe a ritornare di poi
-ai Giovio; nel 1787 venne da essi ceduta al cardinale
-Angelo Durini, che l’ampliò ed arricchì di molto; e
-forse è questa la villa del prelato, che, colla scorta
-dell’Amoretti, io cercavo a Moltrasio invanamente.
-</p>
-
-<p>
-La superstizione, svegliata dal giuoco dei venti che
-vi producevano rumori, tenne lungo tempo disabitata
-la villa; ma essa ora appartiene ai signori Delmati, che
-l’abitano senza tema che diavoli e fantasime vi facciano
-ridda e tregenda.
-</p>
-
-<p>
-Proseguendo il cammino, giungesi al Dosso di Lavedo,
-ov’era prima un convento di Francescani, che,
-acquistato dallo splendido cardinale sunnominato, vi
-fabbricò un portico sull’eminenza, e ne costituì la villa
-<span class="pagenum" id="Page_183">[183]</span>
-che vi si vede, che si noma Balbianello, e spetta adesso
-al marchese Arconati. Da questa villa si domina il maraviglioso
-bacino della Tremezzina, cui ci tarda di
-giungere, e più giù il tratto di lago che abbiam trascorso
-in questa nostra escursione, la quale chiuderemo
-additando all’insù di Spurano ed Ossuccio il Santuario
-della Madonna del Soccorso, al quale conduce un’ampia
-strada fiancheggiata da quindici cappelle sul far di
-quelle della Madonna del Monte di Varese, con entro
-raffigurati, taluni in plastica, taluni in pittura, i religiosi
-misteri. L’opera di queste cappelle è dovuta alla
-pia costanza di Timoteo Snider, che fu eremita di questi
-monti, il quale e col mendicare e collo insistere
-presso le famiglie più facoltose, potè recare ad effetto
-il suo divisamento. Degli artisti che vi lavorarono, si
-addita un Francesco Torriani da Mendrisio per la cappella
-dell’Orazione di Gesù nell’Orto, dipinta; e un Agostino
-Silva, per le figure non senza merito scolpite in
-quella che rappresenta la disputa dei dottori, che è
-anche la più ricca cappella. Forse è pur egli l’autore
-di sculture di altre cappelle. Il Santuario è un bel
-tempio cui traggono continuamente, massime alla Madonna
-di settembre, i devoti. A mezzo la via, si passa
-sul torrente Perlana, traversandolo su di un ponte di
-legno, e le tumultuose sue acque, che mettono in movimento
-de’ mulini, precipitandosi al basso, formano
-una cascata di effetto assai pittoresco.
-</p>
-
-<p>
-L’origine del Santuario vogliono che derivi da una
-effigie mutilata di sasso rinvenuta colà, Dio sa come,
-da’ montanari, alla quale, appiccicata una testa e una
-figura di bambino, la salutarono Madonna, la venerarono
-<span class="pagenum" id="Page_184">[184]</span>
-in una chiesuola; poi, per grazia ricevuta, questa,
-a spesa de’ terrieri del lago, fu tramutata nel grandioso
-Santuario, conosciuto sotto il nome della Madonna
-del Soccorso, stato consacrato nel 1837 dal vescovo
-di Como, allora monsignor Bonesana.
-</p>
-
-<p>
-Un’altra statua si conserva ed è dipinta e porta infatti
-questa iscrizione: <i>Questa figura è quella che fu
-depinta quando questa gexia comenzò ad essere frequentata
-per li molti miracoli e grazie.</i>
-</p>
-
-<p>
-Legati e doni arricchirono la chiesa per parte di chi
-si professò riconoscente per qualche grazia colà supplicata
-ed ottenuta.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_185">[185]</span></p>
-
-<h2 id="esc16">ESCURSIONE DECIMASESTA.
-<span class="smaller">LA TREMEZZINA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura Carove
-e la <i>Commedia</i> di Plinio. — Ville Torri e Vacani. — Lenno. — Lapidi
-antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — Il chiostro di S. Benedetto. — Ville
-Litta, Barbavara, Carmagnola e Carcano. — Bolvedro. — Villa
-Busca. — Le ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De
-Orchi, Campagnani, Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di Tremezzo.
-— Albergo Bazzoni. — <i>Hôtel garni</i>. — Grianta. — La grotta.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Entrati in questo bacino, che è il più bello, il più
-ampio e il più ridente, una vera meraviglia insomma di
-terra e di acque, par che il cuore ci si allarghi, che si
-dilati il polmone a bevere quanto di questo aere purissimo
-è capace, e la mente corre a cercare immagini
-poetiche e versi che esprimano tutto quell’ineffabile
-sentimento che si prova. <i>Hic ver assiduum, atque alienis
-mensibus æstas</i><a class="tag" id="tag23" href="#note23">[23]</a>, come direbbe il Poeta delle
-Georgiche; ma se poi avviene che al fianco vi troviate
-un’Eva qualunque di questo paradiso, l’inno allora vi
-sgorga più limpido ed acceso, perocchè l’ammirazione
-divisa e più accesa si avvalori, si faccia maggiore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_186">[186]</span>
-</p>
-
-<p>
-Molt’anni addietro, ne’ passeggi che facevo tra questi
-monti, che ricingono verdeggianti queste rive; nelle
-gite del lago, durante il giorno; nelle sale di conversazione,
-a notte, non c’era caso, una giovinetta leggiadra
-e sola, piena di riserbo e cortese ad un tempo, io
-la scontravo sempre, s’anco avessi preferito, al chiudermi
-la sera in una sala, lentamente trascorrere in
-canotto sotto i vaghi palazzini; se mi giungevano i
-suoni or mesti, or lieti di Schubert o di Fumagalli,
-chiedendo da chi il piano-forte fosse stato tocco, ero
-certo mi si dicesse da lei, da quella giovinetta che
-aveva finito per appellare il <i>Genius loci</i>, per desiderarla
-in ogni escursione, per non divertirmi ov’ella non
-fosse. Era agevole farsi a quella simpatica abitudine.
-</p>
-
-<p>
-Lo seppe ella? Nol so: prima di partire, a mo’ di
-memoria, mi chiese de’ versi pel suo <i>Album</i>: eccoli,
-che non so com’io li abbia conservati.
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O del Lario incantevoli</p>
-<p class="i02"> E benedette sponde,</p>
-<p class="i02"> Ov’io passai dei liberi</p>
-<p class="i02"> Ozî l’ore gioconde,</p>
-<p class="i02"> Qual mai spirto cortese</p>
-<p class="i02"> A voi rivolse il piè</p>
-<p class="i02"> E in voi l’oblio discese,</p>
-<p class="i02"> E cancellarvi dal suo cor potè?</p>
-<p class="i01">Non io, non io: fra i turbini</p>
-<p class="i02"> Della città ravvolto,</p>
-<p class="i02"> Fra i polverosi codici,</p>
-<p class="i02"> Ne’ studi miei sepolto,</p>
-<p class="i02"> O nel rumor del giorno,</p>
-<p class="i02"> O nel notturno orror,</p>
-<p class="i02"> Sempre fa a voi ritorno</p>
-<p class="i02"> Sull’ale del pensiero il mesto cor.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_187">[187]</span></p>
-<p class="i01">E veggo allor sorridermi</p>
-<p class="i02"> Il vostro azzurro cielo,</p>
-<p class="i02"> Sento il mitissimo aëre</p>
-<p class="i02"> Scender nel petto anelo,</p>
-<p class="i02"> M’inerpico pei monti</p>
-<p class="i02"> Con fervido desir</p>
-<p class="i02"> Vaghissimi orizzonti,</p>
-<p class="i02"> Non prima immaginati, a discoprir.</p>
-<p class="i01">E fiso il guardo immobile,</p>
-<p class="i02"> Come se mai non pago,</p>
-<p class="i02"> Nell’onda queta e cerula</p>
-<p class="i02"> Del scintillante lago,</p>
-<p class="i02"> In cui superbe a mille</p>
-<p class="i02"> Come odalische in mar,</p>
-<p class="i02"> Terre, palagi e ville</p>
-<p class="i02"> La lor bellezza alternansi a specchiar.</p>
-<p class="i01">Poi, come fosse il genio</p>
-<p class="i02"> Di quelle rive amiche,</p>
-<p class="i02"> O come ondina e silfide</p>
-<p class="i02"> Delle canzoni antiche,</p>
-<p class="i02"> Dovunque il guardo io giro,</p>
-<p class="i02"> Nel suo leggiadro vel</p>
-<p class="i02"> Una fanciulla io miro,</p>
-<p class="i02"> Quasi una cara visïon di ciel.</p>
-<p class="i01">Entro la snella gondola,</p>
-<p class="i02"> Fra i ciclamin’ del monte</p>
-<p class="i02"> D’ogni ruscel sul margine,</p>
-<p class="i02"> Sempre mi sorge a fronte;</p>
-<p class="i02"> E i balli se rammento,</p>
-<p class="i02"> O l’ilare canzon,</p>
-<p class="i02"> Veggo il suo piè, ne sento</p>
-<p class="i02"> E mi accarezza di sua voce il suon.</p>
-<p class="i01">Anco i vocali avorii</p>
-<p class="i02"> Da lei percossi ascolto,</p>
-<p class="i02"> Seguo il vivace eloquio</p>
-<p class="i02"> Che sì le irradia il volto:</p>
-<p class="i02"> No, questi monti e il lago</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_188">[188]</span></p>
-<p class="i02"> Più non potrò veder</p>
-<p class="i02"> Che la gentile immago</p>
-<p class="i02"> Non s’affacci repente al mio pensier.</p>
-<p class="i01">O del Lario incantevoli</p>
-<p class="i02"> E benedette sponde,</p>
-<p class="i02"> Ov’io passai dei liberi</p>
-<p class="i02"> Ozî l’ore gioconde,</p>
-<p class="i02"> L’anima pellegrina</p>
-<p class="i02"> Sovente a voi verrà</p>
-<p class="i02"> A chieder la divina</p>
-<p class="i02"> Che m’ispiraste arcana voluttà.</p>
-<p class="i01">O voi, se a quelle floride</p>
-<p class="i02"> Pendici un dì trarrete,</p>
-<p class="i02"> E in quel leggiadro spirito</p>
-<p class="i02"> Se mai v’incontrerete,</p>
-<p class="i02"> Non creder che a me il canto</p>
-<p class="i02"> Fiamma volgar dettò:</p>
-<p class="i02"> — Ella fu a me soltanto</p>
-<p class="i02"> Musa che gli estri accese ed ispirò.&nbsp;—</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La Tremezzina, delle etimologie del cui nome faccio
-grazia al lettore, per non infilargliene di marchiane,
-seguendo i diversi che la pretesero indovinare, e che
-forse ebbe il suo nome da Tremezzo, paese che siede <i>tra
-mezzo</i> il bellissimo golfo, comprende quel tratto di lago
-che, dopo Balbianello, si distende fino a Menaggio, ed
-è in quanto ai monti a cui s’addossa tutto ricco della
-più rigogliosa vegetazione: a campi, a vigne, a uliveti,
-a giardini, a quando a quando intersecati da’ torrenti
-che portano abbondanti acque al lago; e in quanto alla
-sponda del lago, essa non è che una serie continua di
-ville, di paeselli, di palazzi, di alberghi, che riflettonsi
-vagamente nell’onde.
-</p>
-
-<p>
-Passiamoli tutti in rassegna.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_189">[189]</span>
-</p>
-
-<p>
-Primo del bacino è il paesello di Villa, interessante
-a vedersi, perocchè qui si dica vi fosse, nel luogo ove
-sorge adesso la villa dell’ingegnere Carove, la villeggiatura
-di Plinio il Giovane, ch’egli chiamava <i>Commedia</i>,
-e della quale dicono si veggano tuttavia avanzi
-entro il lago, allorchè limpida è l’onda. Qui vi hanno
-ville di presente anche le famiglie Torri e Vacani.
-</p>
-
-<p>
-Procedendo oltre, a breve distanza è Lenno, terricciuola
-non priva d’interesse ed ove ci tratterremo alquanto
-di più. Il suo nome è pur desunto da Grecia,
-Lenno, essendo un’isola del mar Egeo già sacra a Vulcano.
-Eravi in addietro un tempio periptero, o tutto
-recinto da portici, e nella cripta pur sussistente si leggono
-due lapidi cristiane, delle quali feci parola nella
-escursione passata, come testimonî che i greci qui immigrati
-continuarono per lungo tempo a contare gli
-anni come se ancora fossero stati nella madre patria.
-</p>
-
-<p>
-Eccole:
-</p>
-
-<p>
-<i>Hic requiescit in pace B. M.</i> (bonæ memoriæ) <i>Cyprianus
-qui vixit in hoc sæculo annos p. m. XXXII
-dep. sub. d. VII. octob. ind. V. post cons. d. n. Justini
-p. p. aug. ann. VI</i>, cioè nell’anno sesto dopo il consolato
-di Giustino nostro signore perpetuo augusto; lo
-che equivarrebbe all’anno 572 di Cristo.
-</p>
-
-<p>
-La seconda: .... <i>Vixit in hoc sæculo a p. m. XXVI
-dep. sub..... III post consulatum Basilii d. n.</i>; e sarebbe
-nel 545.
-</p>
-
-<p>
-A Lenno è il torrente detto dell’Acquafredda, che si
-butta nel lago: più sopra diede già il nome ad un’abbazia
-di Cistercensi soppressi nel 1785 da Giuseppe II;
-e chi la visita, salendo il monte, trova compenso alla
-<span class="pagenum" id="Page_190">[190]</span>
-fatica nel più superbo panorama che gli si distende
-avanti. Da questo chiostro, per sentieri praticati nel
-monte ed aspri, non par vero che si giunga poi ad altro
-edifizio non meno interessante e bello, il chiostro
-di S. Benedetto, dove l’architettura della chiesa dell’undecimo
-secolo merita essere veduta e dove mirabile
-del pari e pittoresca è la veduta.
-</p>
-
-<p>
-Non si lasci Lenno senza volgere lo sguardo alle
-ville dei Litta, dei Barbavara, dei Carmagnola e dei
-Rezia, ora Carcano, che si succedono, una dell’altra
-più bella.
-</p>
-
-<p>
-A Bolvedro, altro paesello che segue, havvi la villa
-più superba de’ marchesi Busca, dove l’ultimo di essi,
-Antonio, arricchì di opere d’arte il palazzo, ivi, fra
-l’altre, trovandosi quel bellissimo quadro del mio povero
-amico, Cesare Poggi, da cui è trattato l’evangelico
-episodio l’<i>Adultera</i>. Al giardino aggiunse nuove
-vaghezze. Narrano que’ di Bolvedro che appena sposa
-la marchesa Busca-Serbelloni, venuta a questa sua
-villa, ne avesse nell’unica notte che vi soggiornò così
-turbata la fantasia da creduti fantasmi, che rifattasi
-subito a Milano, non vi riportasse in tutta la sua vita
-più il piede. Lungo queste sponde abbiam già trovato
-radicate ubbíe e superstizioni, alimentate forse da
-qualche avvenimento di naturali fenomeni e dalla solitudine
-che vi regna, ma spariranno certo fra breve.
-Non così è infatti della erede ed attuale proprietaria, la
-gentile contessina Antonietta, figlia di que’ miei due dilettissimi
-amici che furono i marchesi Lodovico e Clementina
-Busca, rapiti troppo presto entrambi all’amor
-delle figlie ed all’affetto degli amici, che le prime letizie
-<span class="pagenum" id="Page_191">[191]</span>
-di un ben assortito connubio col giovane conte
-Sola rese ancora, non ha guari, più soavi nel soggiorno
-di questo suo Bolvedro.
-</p>
-
-<p>
-Delle ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della
-Tela, De Orchi, Campagnani, Sala, Mainoni, Guy ed
-altri avrebbesi a dire ed a lungo; ma come occuparci
-di tutte? Degne son esse di trovarsi l’una all’altra vicine
-e d’essere a Tremezzo, dove è il convegno di tutto il
-mondo elegante milanese. La villa Giulini, ora ad altri
-venduta, fu l’oggetto di tutte le cure del suo primo
-proprietario, che lo aveva fatto il più leggiadro ed
-olezzante nido. Comodità di casa, ricchezza di serre e
-giardino vaghissimo, oh! come lo ha egli potuto mutare
-col pur elegante suo palazzino di Milano?
-</p>
-
-<p>
-Nel caffè che si asside in mezzo a queste ville sontuose,
-riserbatevi ad entrare a sera, quando i villeggianti
-vi si danno la posta. Gli uomini al bigliardo, le
-signore s’accolgono tutte all’intorno di una sala a ripetersi
-gli avvenimenti della giornata, i progetti dell’indomani,
-le visite scambiate, i romanzi iniziati, le
-somme perdute al giuoco dagli eleganti fannulloni, le
-divertenti maldicenze, i pettegolezzi tutti cittadini, che
-qui concentrati, tramutano la quiete che vi si viene a
-ricercare in soggezione e preoccupazione. Ah! io amerei
-davvero non mescermi a tanta baraonda, per fruire
-invece delle sole dolcezze di questi luoghi.
-</p>
-
-<p>
-Nell’albergo Bazzoni e nell’<i>Hôtel garni</i> si convengono
-coloro che non avendo villa propria o possibilità
-di valersi dell’altrui, amano tuttavia godere di questo
-terrestre paradiso che si chiama la Tremezzina.
-</p>
-
-<p>
-Da qui breve è la via che conduce per boschi a
-<span class="pagenum" id="Page_192">[192]</span>
-Grianta, paese che dà ragione agli etimologi, che il
-nome dedur vorrebbero da <i>riant</i>, sorridente, perchè infatti
-è amena e lieta per ogni riguardo. Beyle vi collocò
-le più interessanti scene del suo bel romanzo la
-<i>Chartreuse de Parme</i>: io invece ricordo le case signorili
-dei Riva, dei Mainoni e de’ Malacrida.
-</p>
-
-<p>
-Montando più in alto si ritrova una delle molte
-grotte di questi monti che fiancheggiano il Lario, dove
-se ben si riguardasse al masso che vi esiste sconnesso
-dalla montagna, inorridirebbe pensando alla possibilità
-che un dì avesse a staccarsi e rovinar giù nel lago,
-suscitandovi uno sconvolgimento pari a quello che il
-masso staccatosi nella notte del 4 novembre 1856 di
-sopra le gallerie di Varenna ebbe già a produrre, cagionando
-non pochi danni.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-192b"></a>
- <img src="images/ill-192b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Villa Sommariva o Carlotta.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_193">[193]</span></p>
-
-<h2 id="esc17">ESCURSIONE DECIMASETTIMA.
-<span class="smaller">LA VILLA SOMMARIVA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere d’arte. — Giardino. — Carlotta
-di Prussia e il principe di Sax-Meiningen. — La Cadenabbia. — Albergo
-di Belvedere. — Ville Brentano, Noseda, Piatti,
-duca di Sangro e Seufferheld. — La Majolica. — L’albergo Righini. — Villa
-Ricordi. — Maxime Lari. — Questione filologica.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Dicono i Francesi: <i>à tout seigneur, tout honneur</i>; e
-però a questa villa denominata ancor Sommariva, che
-per universal sentimento si estima la più grandiosa e
-splendida di quante abbellano le ridenti sponde del
-Lario, vuolsi, come da quanti visitano questi luoghi,
-dedicare una speciale escursione.
-</p>
-
-<p>
-Sorge essa fra Tremezzo e la vicina Cadenabbia, isolata
-come una regina a cui le altre dame stieno per
-reverenza a certa distanza. È ingiustizia della sorte
-che non le sia stato conservato il nome del suo primo
-proprietario che la fe’ costrurre, del marchese Giorgio
-Clerici, cioè, che fu presidente a Milano del Senato
-e del quale pure era il magnifico palazzo nella contrada
-appunto detta de’ Clerici, convertito ora in sede
-della Corte d’Appello, dove pitture e dorature in profusione
-<span class="pagenum" id="Page_194">[194]</span>
-attestano ancora della immensa ricchezza di
-sua famiglia; perocchè il primo merito andrebbe dovuto
-a questo nome.
-</p>
-
-<p>
-Incominciata essa da quel patrizio, veniva ultimata
-da Anton Giorgio suo nipote, che, a dir di Gianbattista
-Giovio, l’amico di Foscolo, vi esercitò lo splendore
-e la magnificenza cinto d’ospiti numerosi e in
-banchetti luculei.
-</p>
-
-<p>
-Ma piacque tanto, e per la casa e per i ben disposti
-giardini, e per le acque che vi zampillavano, al lodigiano
-avvocato Sommariva, che fu tra i direttori della
-repubblica cisalpina e che vi si arricchì, a prova che
-in ogni maniera di governo la fame dell’oro prende
-sempre i maggiorenti, che se la fece sua, acquistandola.
-</p>
-
-<p>
-Nè è a dire quanto alla sua volta l’abbellisse ed arricchisse;
-dipinti e sculture vi recò de’ più eminenti
-artisti antichi e moderni. Parecchi quadri vi si veggono
-di scuola fiamminga; una bella testa, di Leonardo; e
-de’ moderni, l’ira di Achille, del Bossi, e le ceneri di
-Temistocle rese alla patria, dell’Appiani; un Marte disarmato
-dalle Grazie, del Landi; il bacio di Giulietta e
-Romeo, di Hayez; e la morte d’Atala, del Lordon. E di
-scultura, di antico, un’Andromeda che si fa passare per
-opera di greco scalpello; di moderno, il Palamede, il
-gruppo Amore e Psiche; e la Maddalena e la Tersicore
-di Canova, e diversi suoi modelli; e la fascia in basso
-rilievo rappresentante il trionfo d’Alessandro, di Thorwaldsen,
-allogato al grandissimo artista da Napoleone
-il Grande per il Quirinale di Roma e valutato ben settecentomila
-lire; un gruppo dell’Acquisti, raffigurante
-Marte e Venere; poi nell’attigua chiesuola due monumenti
-<span class="pagenum" id="Page_195">[195]</span>
-ai Sommariva, padre e figlio; l’uno eseguito da
-Pompeo Marchesi, l’altro da Pietro Tenerani con quattro
-statue di Luigi Manfredini, e una Deposizione dalla
-Croce, di Benedetto Cacciatori.
-</p>
-
-<p>
-A tanta ricchezza d’arte corrisponde la vaghezza
-del giardino e la peregrinità delle piante e de’ fiori.
-</p>
-
-<p>
-Vi si ponno spendere insomma nell’ammirazione più
-ore e partirne contenti.
-</p>
-
-<p>
-La villa fu anche detta Carlotta, perchè dopo acquistata
-da una principessa di Prussia di questo nome,
-che naturalmente l’aprì ad ospitarvi spesso regnanti e
-principi stranieri, e dalla quale, morta il 30 marzo
-1855, passò al marito di lei, il principe Giorgio, duca
-di Sax-Meiningen.
-</p>
-
-<p>
-Confina colla bellissima villa l’albergo della Bellavista
-(Hôtel de Bellevue) della Cadenabbia, — paese
-che originò forse da <i>cà de’ nauli</i> — e il forestiero anche
-più schifiltoso vi trova tutto e le lautezze e i comodi
-degli alberghi svizzeri.
-</p>
-
-<p>
-Dopo l’albergo e le poche case della Cadenabbia, si
-trovano le ville Brentano e Noseda, quelle dell’artista
-Piatti, e accanto, colla medesima architettura, quella
-dei duca di Sangro, che rivela che a quelle due ville
-presiedette il pensiero d’una fraterna amicizia. Seguita
-poi la villa de’ signori Seufferheld, e dopo, il paese mutandosi
-in quello della Majolica, segue l’albergo Righini,
-cui tien dietro la villa del principe de’ nostri musicali
-editori, Tito di Giovanni Ricordi, al quale Euterpe e
-Melpomene hanno preparato il più gradito e riposato
-nido. Vuolsi che il solo spartito del <i>Trovatore</i> di Verdi
-abbia, ne’ guadagni fruttati, fornito la spesa di così
-splendida villeggiatura.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_196">[196]</span>
-</p>
-
-<p>
-Oggi è breve la nostra escursione: ma in ricambio
-tante bellezze di natura e d’arte ammirabili ci occupano
-siffattamente, che è bene arrestarci e riandarle
-poi tutte nella memoria: <i>meminisse juvabit</i>.
-</p>
-
-<p>
-Immenso è il dominio dell’arte e immenso è il campo
-a meditare in esso, come ampio si presenta il bacino
-allo svolger del lido, appena tocca la villa Ricordi; e
-noi quivi fermadoci, pare che il vasto pelago armonizzi
-colla vastità del pensiero che accoglie e medita tutte
-le meraviglie vedute.
-</p>
-
-<p>
-Da qui si comprende come si potesse credere finora
-dai più, che <i>massimo</i> venisse chiamato il Lario, nella
-Georgica seconda di Virgilio, leggendone così i versi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>An mare, quod supra, memorem, quodque alluit infra?</i></p>
-<p class="i01"><i>Anne lacus tantos? te</i> <span class="smcap">Lari maxime</span>; <i>teque</i></p>
-<p class="i01"><i>Fluctibus et fremitu assurgens, Benace, marino?</i><a class="tag" id="tag24" href="#note24">[24]</a></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma forse il poeta volle dire invece: <i>te, Lari, Maxime;
-teque</i> etc., e così ricordare e il Lario e il Verbano,
-che tuttavia chiamiamo Maggiore, e il Benaco, che così
-meglio risponderebbe al concetto espresso da Virgilio
-nel <i>tantos lacus</i>, perchè due soli laghi, il Lario e il
-Benaco non sarebbero, a vero dire, <i>tanti laghi</i>. A coloro
-poi, i quali a questa lezione oppor volessero che
-in antico si chiamasse <i>Verbanus</i> e non <i>Maximus</i> quel
-<span class="pagenum" id="Page_197">[197]</span>
-lago, potrei rispondere che, se accademicamente quello
-fosse il suo nome, potrebbe anche essere stato che
-volgarmente venisse detto anche <i>Maximus</i>, se poi italianamente
-fu da poi appellato Maggiore.
-</p>
-
-<p>
-Congeneri esempî si potrebbero all’uopo recare; ma
-rammentandomi che il mio dire non deve essere irto
-di discettazioni filologiche, abbandono cui piaccia la
-nuova questione; chiedendo anche questa volta scusa,
-se immemore d’essere un semplice cicerone da campagna,
-ho dato mano per un istante alla ferula del pedagogo.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_199">[199]</span></p>
-
-<h2 id="esc18">ESCURSIONE DECIMOTTAVA.
-<span class="smaller">LA BELLAGINA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi Grosgalli. — Il
-Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa Besana. — S. Giovanni. — Ville
-Ciceri, Trotti e Poldi-Pezzoli. — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — La
-<i>Tragedia</i>, villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — Marchesino
-Stanga vi edifica la villa e que’ della Cavargna la distruggono. — Ercole
-Sfondrati la riedifica. — La Sfondrata. — La contessa
-di Borgomanero, tradizione. — La villa passa ai Serbelloni. — Parini vi
-ospita. — Ora mutata in albergo. — La Crella dei Frizzoni. — Pescaù. — La
-villa Giulia, ora albergo.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Anche la sponda opposta alla Tremezzina ha le sue
-vaghezze in questo bacino, le quali possono rivaleggiare
-con essa, e noi dalla Cavagnola dove siamo rimasti
-nel visitare tale sponda, costeggiamo colla nostra
-barca, che l’escursione riescirà amena ed istruttiva.
-</p>
-
-<p>
-Il primo tratto è un po’ malinconico, è vero, e disabitato;
-ma svoltato il piccolo promontorio ci vediamo
-avanti Lézzeno. Ecco il clivo è più coltivato, il dosso
-dei monti più selvoso, le case sparpagliate ne formano
-il paese e ve n’ha taluna di bella mostra, e quivi soleva
-passarvi gli ozî autunnali quel distinto oratore e
-pubblicista che fu il prete Ambrogio Ambrosoli, che vi
-<span class="pagenum" id="Page_200">[200]</span>
-morì il passato anno, il cui busto, scolpito da Pompeo
-Marchesi, fu, non ha guari, donato dalla <i>Gazzetta di Milano</i>,
-arringo ordinario de’ suoi liberali e dotti scritti,
-alla Società di mutuo soccorso tipografico della quale
-fu benemerito. Così più anni addietro da qui mossero
-due Mocchetti che ebbero qualche fama nelle lettere.
-Con tutto ciò gli abitatori di queste rive ne ripetono
-questa cattiva raccomandazione del paese:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Lezzen dalla mala fortuna,</p>
-<p class="i01">D’inverno non c’è sol, d’està la luna.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Avviene tuttavia che vi ci si trovi la particolarità di
-buoni fichi in primavera, che son quelli dell’anno precedente,
-che, non maturati in autunno, si compiono all’aprirsi
-della buona stagione dell’anno successivo.
-</p>
-
-<p>
-Un po’ più all’aprico, dopo Lézzeno, si specchia nel
-lago la villa Vigoni; poi segue il gruppo di case denominato
-Villa; quindi un altro detto la Cappelletta,
-dopo la quale si elevano i Sassi Grosgalli, brulli ed
-enormi massi e però formanti uno strano contrasto
-col rimanente del bacino tutto verdeggiante e sorridente.
-Scabra ne è la pendice che va a picco nel lago
-reso oscuro e tetro da essi, che vi progettano l’ombra
-e appena vi si può per aspro sentiero percorrerla.
-Sotto di essi, di fronte a Lenno, scavata nel sasso, evvi
-come un’ampia grotta, che i paesani chiamano il <i>Buco
-de’ Carpi</i>, forse perchè in quel riparo abbondano i
-pesci di questo nome, ed è qui che le genti de’ luoghi
-circonvicini narrano una storia pietosa d’amore, che
-formò soggetto ad una commovente novella di Antonio
-Picozzi, la quale provò anche una volta, dopo la <i>Guerra
-<span class="pagenum" id="Page_201">[201]</span>
-di Pret</i> del Porta, o la <i>Fuggitiva</i> del Grossi, la potenza
-del milanese vernacolo a trattare la cosa più seria ed
-anche lagrimosa.
-</p>
-
-<p>
-Se sapessi che il libro non andasse tra le mani di
-lombardi, sarei tratto a commettere un reato di contraffazione
-letteraria, riproducendo l’intero episodio
-nel suo bell’originale; ma siccome non sarà così, debbo
-chiedere venia al mio concittadino, se le sue belle e
-toccanti sestine riassumerò in modestissima prosa.
-</p>
-
-<p>
-Erano i tempi del primo Napoleone, di colui che ci
-aveva regalata quella coscrizione militare che colla
-guerra ne mieteva il fiore della nostra gioventù; e
-nella Tremezzina viveva un buono e aitante giovane,
-che s’era fidanzato a Teresa, la più leggiadra fanciulla
-dei dintorni. Poichè tutti ora sanno come costei fosse
-bella, per coloro che capiscono il vernacolo nostro non
-so trattenermi dal farne loro il ritratto coi versi del
-poeta:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">De sedes ann, dersett, minga deppù,</p>
-<p class="i02"> Bianca la carnagion, rosa el faccin,</p>
-<p class="i02"> Folt negher i cavej comè on velù,</p>
-<p class="i02"> Negher i bej oggioni de bambin....</p>
-<p class="i02"> Dal tutt’insemma con la prima oggiada</p>
-<p class="i02"> Se ghe vedeva l’anima ben fada.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Erano già intese le nozze che compier dovevansi
-nel successivo carnevale, e però la Teresa attendeva a
-prepararsi il suo corredo. Ma ecco un dì del settembre
-il Peppino, che a questo nome rispondeva l’innamorato
-garzone, facevasi attendere alquanto e la poverina a
-correre a pensar male. Nè l’ingannava il cuore. Cápita
-il fidanzato alla fine e tutto conturbato le narra come,
-<span class="pagenum" id="Page_202">[202]</span>
-côlto dalla coscrizione, egli debba il posdomani essere
-a Como all’estrazione del numero ed alla visita militare.
-Ognun pensi l’affanno della giovinetta. Il posdomani
-arriva, Peppino è a Como, è ritrovato abile al
-militare servizio, ei deve giurare.... è soldato e appena
-gli son concessi tre giorni agli addii, perchè ei
-dovrà marciare per la Russia.
-</p>
-
-<p>
-Egli è dunque di ritorno al paese; i tre giorni passano
-velocissimi fra i pianti della Teresa e i giuramenti
-del coscritto: l’ora della partenza definitiva è suonata.
-La povera tosa, presaga di sventure, poichè dentro di
-sè ella sente
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i09"> comè ona vôs</p>
-<p class="i01">Che tœujendegh el fiaa la ghe dis su:</p>
-<p class="i01">“Teresa, el tò Peppin tel vedet pu;„</p>
-</div></div>
-
-<p>
-non sa staccarsi da lui, e però s’imbarca ella pure con
-un suo minore fratello e lo vuole per qualche tratto
-accompagnare.
-</p>
-
-<p>
-Ma il tempo, triste dapprima, viene facendosi peggiore,
-l’uragano imperversa sul lago:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Han penna ciappaa el largh, che a pocch a pocch</p>
-<p class="i02"> Oltra el piœuv, se destend ona fiadura;</p>
-<p class="i02"> El ciel vers Val d’Intelvi a tocch a tocch</p>
-<p class="i02"> L’è già scur, burrascôs ch’el fa pagura;</p>
-<p class="i02"> Ma el coscritt per la sira a tutt i cost,</p>
-<p class="i02"> Piœuva, tempesta, l’ha de vess al post.</p>
-<p class="i01">Cress el brutt temp anmò col cress del vent</p>
-<p class="i02"> Ch’el sifola piangend in di orecc;</p>
-<p class="i02"> Ingajarda la sluscia in d’on moment,</p>
-<p class="i02"> Ch’el par che la stravacchen cont i secc;</p>
-<p class="i02"> No se pò pu andà innanz; bœugna cercà</p>
-<p class="i02"> Quai paes o quai riva de prodà.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_203">[203]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ma il vento ha sbattute le fragili imbarcazioni
-verso l’opposto lido, e giunte presso il <i>Buco dei
-Carpi</i>, qui dentro traggonle i rematori a riparo dalla
-bufera, attendendo ne passi la furia. Quivi nuova scena
-d’amore e di strazio. La Teresa coglie un ciclamino,
-che sbucciava tra i crepacci della grotta, e il porge al
-suo Peppino a memoria sua. Il vento si è alquanto
-calmato, il lago può ritentarsi di nuovo; i due amanti
-si abbracciano e baciano tra le lagrime e si son detti
-addio. Esce prima la barca che si dirizza col coscritta
-a Como, poi l’altra della Teresa. Si riguardano mestamente
-finchè lo possono, poi ognuno se ne va. La Teresa,
-di ritorno a casa, trova la madre del suo fidanzato
-affranta dal colpo che le è toccato d’esser priva
-del figlio, indi a pochi giorni se ne muore. La Teresa
-vive da allora nel corrotto e nel duolo, e sola consolazione
-è al suo cuore visitare talvolta il <i>Buco de’ Carpi</i>,
-testimonio de’ suoi estremi saluti al suo Peppino, e vi
-ci va anche soletta una volta almeno la settimana a
-nutricarvi il cespo de’ ciclamini da cui avea spiccato
-quello ch’ella aveva dato al suo povero amico. Ma ella
-pure deperiva in salute. Un venerdì dell’aprile, anniversario
-della partenza del suo Peppino, essa, giusta il
-consueto, si avviava al <i>Buco de’ Carpi</i>: il lago era tranquillo,
-era l’ora del vespro, e un pensiero di tristezza,
-un malore che provava, la sconsigliavano alla gita; ma
-l’idea che non andarvi sembrasse cosa di poco amore
-alla memoria del suo caro, la prosegue inesorabile.
-Essa dunque solca le onde col suo burchio, traversa il
-lago, vi è presso, è sull’orlo della grotta, già la prua
-vi penetra; quand’ecco un uccellaccio con rumoroso e
-<span class="pagenum" id="Page_204">[204]</span>
-largo sparnazzare d’ali, vi sbuca improvviso, rasenta
-la fronte della Teresa,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Scappand giò per el lagh alla distesa.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La povera tosa, per lo spavento dell’inatteso augello,
-si china onde schivarlo; il battello a quel suo movimento
-urta nel masso e si torce, ella perde l’equilibrio per la scossa, rovescia fuor dello stesso, gitta uno
-strido e giù va sotto l’onda. Due volte parve venisse
-ella respinta sulla superficie, e due volte risospinta
-giù, finchè l’onda si chiuse per sempre su di lei.
-</p>
-
-<p>
-I parenti più non la vedendo ritornare, andavano
-in cerca di lei, e dopo lungo affannarsi, trovarono il
-burchio vuoto, che dondolava a discrezione dell’onde,
-ma nulla di lei, per quanto la chiamassero altamente
-a voce. Solo due mesi dopo, un pescatore, ritirando le
-reti, ne raccolse la inanimata spoglia. Narra il poeta,
-che lo scheletro dell’infelice fanciulla stia ora nell’ossario
-di Lenno presso alla chiesa e vi appaja ginocchione;
-che il soldato reduce dalla Russia, quando
-credeva aver cessato di soffrire, ebbe il più fiero martirio,
-ritrovando morta e la madre e l’amante; sicchè
-non volesse più vivere che mesto e sconsolato nella
-memoria de’ suoi poveri morti.
-</p>
-
-<p>
-Proseguiamo ora l’escursione nostra.
-</p>
-
-<p>
-Oltrepassati i Sassi Grosgalli, si presenta la villa
-Besana e ritorna da questo lato pienamente ridente il
-golfo. Perocchè a breve tratto si schiera il paese di
-S. Giovanni colle belle ville dei Crivelli, ora Ciceri, e
-de’ Trotti; quest’ultima di stile fra il bizantino e il
-lombardo; succeduta poi da quella del nobile Poldi-Pezzoli,
-<span class="pagenum" id="Page_205">[205]</span>
-che prima era dei Taverna, più grandiosa e
-rinnovata da quell’abile architetto che è il milanese
-Balzaretti, al quale si debbono i nuovi giardini pubblici
-della sua città, e non poche architetture civili, fra cui
-ne primeggia la recentissima, appena ultimata, della
-Cassa di Risparmio in via Monte di Pietà. La casa qui,
-o piuttosto palazzo del nobile Poldi, si costituisce di
-tre corpi legati insieme da due eleganti terrazzi; il
-giardino poi è ricco di piante straniere, tra cui la
-canna di zucchero, il sovero, la canfora, l’<i>olea fragrans</i>
-e boschetti di magnolie che profuman l’aere
-tutt’all’intorno.
-</p>
-
-<p>
-Poi v’è una villa Luppia, e da ultimo si chiude a
-San Giovanni colla più superba villeggiatura del duca
-Melzi, che mi reclama maggiori parole.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Melzi D’Eril, che fu vicepresidente della
-repubblica italiana e poi duca di Lodi, l’edificò al
-principiare del secolo su disegno di quell’esimio artista
-che fu Giocondo Albertolli, del quale io già dettai
-le memorie biografiche e artistiche nel giornale
-dell’<i>Ingegnere-Architetto</i> del Saldini di Milano. Come
-quegli che ridusse alla sua castigatezza l’arte ornamentale,
-l’Albertolli vi portò semplicità di linee architettoniche,
-ma ad un tempo armoniche e di gusto.
-Il proprietario poi l’arricchì internamente d’ogni maniera
-d’opera d’arte. A memoria di quel suo antenato,
-Francesco Melzi, che fu allievo di Leonardo ed erede
-dello studio di lui, volle il duca che il pittore Giuseppe
-Bossi in quattro sopraporte monocromatiche dipingesse
-quattro episodî del sommo Leonardo, e l’opera
-riuscì egregia. Nell’un disegno vedesi Leonardo
-<span class="pagenum" id="Page_206">[206]</span>
-che insegna al Melzi il disegno: nel secondo, il gran
-maestro, che recinto da’ suoi scolari sta pingendo il
-proprio ritratto; nel terzo, la scena in cui lascia erede
-il Melzi; nel quarto, il Melzi che insegna nella scuola
-eredata da quel grande. — In altre sale ammiransi
-dipinti dello stesso Bossi, di Appiani, di Migliara e di
-Sanquirico; le statue, il Davide del Fraccaroli, l’Esmeralda,
-il busto somigliantissimo di Giocondo Albertolli,
-e copie de’ famosi capolavori antichi, il Laocoonte
-e la Cerere, e i busti di quattro imperatori romani
-e di Letizia e Giuseppina Bonaparte; oltre affreschi
-pregevolissimi di quel famoso prospettico che fu il
-sunnominato Sanquirico, per non dire d’opere di altri
-minori. Nella cappella mortuaria, pur disegno dell’Albertolli,
-e in cui riposano le ceneri del duca, vedesi
-l’avello lavorato da Vittorio Nesti; il Salvatore, scultura
-del Comolli e un bellissimo cartone del Bossi.
-</p>
-
-<p>
-Ma se è degno di osservazione il palazzo, non ne son
-meno i giardini, cui presta la natura del suolo, che è
-un colle, la cui cima sovraggiudica il busto d’Alfieri.
-Il marmoreo gruppo di Dante e Beatrice, sculto dal
-suddetto Comolli, è nel mezzo del viale che costeggia
-il lago; se poi l’economia dell’opera me lo concedesse,
-darei un mezzo trattato di botanica nel descrivere i
-fiori, le erbe, le piante che li decorano in tanta copia
-da essere eziandio altrettanti vivai per altre ville.
-</p>
-
-<p>
-Ma altre cose degnissime abbiamo a vedere in questa
-nostra escursione: affrettiamoci dunque alla vicina
-borgata di Bellagio.
-</p>
-
-<p>
-Oltre San Giovanni e i giardini della villa Melzi, è
-Bellagio, che gli etimologi fanno derivare da <i>Bilacus</i>,
-<span class="pagenum" id="Page_207">[207]</span>
-come a dire fra i due laghi, non altrimenti che in
-Isvizzera per la stessa ragione vi è Interlaken, perchè
-infatti Bellagio siede sulla punta d’un promontorio,
-che i paesani appellano Colunga, appunto perchè quasi
-una lingua di terra il cui capo si prolunghi nel pelago,
-dove il Lario che vien da Colico si divide in due rami,
-l’uno quello che già conosciamo e che va a Como, e
-l’altro che discende a Lecco. Una tale situazione dà a
-Bellagio una particolare vaghezza, nè per essa, nè per
-le magnifiche ville onde è lieto e che gli fan corona,
-e diciamo anche per i due ottimi alberghi, non vi ha
-persona che tragga alla Tremezzina, senza che ne traversi il lago e venga a vedere Bellagio. Tutta questa
-plaga può contenderla in bellezze di natura a quelle
-meraviglie cantate da’ poeti e levate a cielo da’ forestieri,
-che sono Posilippo e Mergellina, Portici e Sorrento.
-</p>
-
-<p>
-Voi vedete allora di che buon gusto dovesse essere
-Cajo Plinio Cecilio Secondo, detto il Giovane, nello
-eleggersi proprio la cima di questa scogliera che sta a
-capo del promontorio per erigervi la sua villa che, a
-riscontro di quella che nomò <i>Commedia</i> e che ricordammo
-a Villa presso a Lenno, come attesta il Giovio,
-o sul basso lido presso Varenna, come vorrebbe il
-Boldoni, appellò <i>Tragedia</i>.
-</p>
-
-<p>
-Più tardi, ne’ tempi di mezzo, come le altre terre
-del lago si facevano irte di fortilizî e torri, arnesi di
-guerra giovati spesso a contenere le rapine degli Elvezî
-che facevano frequenti scorrerie, ma ben anco a mantener
-vive le lotte fraterne e massime contro Como;
-anche Bellagio ebbe il suo forte castello, riparo di facinorosi
-<span class="pagenum" id="Page_208">[208]</span>
-e banditi, il quale venne poi fatto smantellare
-da Galeazzo Visconti nel 1375. Risiedeva allora in
-Bellagio un capitano del lago, e convien dire che vi
-facesse capo ogni terra del Lario, se i cattivi debitori
-di Cernobbio ve li abbiamo veduti cacciati nelle carceri
-di Bellagio, dove i loro compaesani vennero a
-trarneli colla forza al tempo di Filippo Visconti, come
-narrai quando dissi di quei paesi del primo bacino.
-</p>
-
-<p>
-Ogni traccia di efferatezza sparve dal colle di Bellagio
-qualche tempo dopo, quando un Marchesino Stanga,
-favorito di Lodovico il Moro, vi edificò una splendidissima
-villa. Ma non era appena compiuta, che que’
-della Val Cavargna, a vendicar non so qual torto, vennero
-furibondi e la misero a ferro ed a fuoco.
-</p>
-
-<p>
-Ercole Sfondrati, duca di Monte Marciano, nipote
-di papa Gregorio XIV e capitano suo nella spedizione
-che fece in ajuto della lega e contro il Bearnese, dopo
-le battaglie, avuto a sè infeudato il borgo, riparò su
-questo colle e vi rialzò la villa e riordinò i giardini,
-piantandovi lecci, quercie, allori, cipressi e pini, che
-pur esistono in gran parte, e vi eresse qui e qua sacre
-cappelle, che or non si veggono più.
-</p>
-
-<p>
-E un edificio esisteva pure verso il lato del ramo
-del lago che sporge a Lecco e che dicevasi la Sfondrata;
-e qui la tradizione del paese rammenta una di
-quelle infami memorie di dissolutezza e di crudeltà,
-onde in Francia andò tristamente famosa la Torre de
-Nesle, e in Italia si ricordano i trabocchetti di Castel
-dell’Ovo di Giovanna I regina di Napoli, e che io brevemente
-riassumo.
-</p>
-
-<p>
-Una Contessa di Borgomanero, forse legata per parentela
-<span class="pagenum" id="Page_209">[209]</span>
-agli Sfondrati, e qui dimorata per qualche
-tempo, abbandonandosi a osceni amori, vuolsi che facesse
-pei trabocchetti precipitar giù per le acute balze
-della scogliera che sta a picco del lago i mal capitati
-suoi amatori d’una notte, a ciò forse non ripetessero
-intorno le sue brutte lascivie, e fors’anco troppo presto
-desiderevole del nuovo; ma di più non se ne sa
-dire, e certo allude a questa tradizione la poesia
-scritta da signora che da un album dell’albergo della
-Cadenabbia trascrisse Cesare Cantù, diligentissimo indagatore
-d’ogni particolarità del lago, nella seguente
-terzina:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O ti piacesse più, solcando l’acque,</p>
-<p class="i02"> Veder le balze dell’opposto lido,</p>
-<p class="i02"> Ove talor precipitato giacque</p>
-<p class="i09"> Il drudo infido.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Poscia il feudo passò ai conti della Riviera, signori
-della Valassina; ma la villa degli Sfondrati passò per
-eredità ai Serbelloni, onde villa Serbelloni si noma
-in oggi tutto l’ampio recinto che chiude la vasta
-casa, che altamente reclama una migliore architettura
-esterna e più moderni riattamenti. Come Plinio, ne’
-tempi di Roma, Parini al principiar del secolo nostro
-veniva nella villa de’ Serbelloni a ricrearsi e ispirarsi,
-e ne aveva ben d’onde.
-</p>
-
-<p>
-Estintasi in questi ultimi anni questa patrizia famiglia,
-ora l’appigionò Antonio Mella per convertirla in
-albergo, a soccorso dell’altro che ha in riva al lago,
-detto della Gran Brettagna, l’uno e l’altro forniti di
-tutte le comodità.
-</p>
-
-<p>
-Un albergo ha pure in questo borgo Melchisedecco
-<span class="pagenum" id="Page_210">[210]</span>
-Gandola, sotto il nome di Antico albergo e pensione
-Genazzini, e vi ha pari importanza e fama.
-</p>
-
-<p>
-Più prossima alla punta è la Crella, villa dei Frizzoni
-da Bergamo, che su disegno di Rodolfo Vantini, di
-stile bramantesco, costò un ingente patrimonio. Bella,
-ricca, splendida, non è per avventura così comoda,
-come si vuole sia una villeggiatura molto più signorile.
-</p>
-
-<p>
-Per un ampio viale, che fa maravigliare come sia
-stato praticato nella roccia, da Pescaù, che sta in
-cima di Bellagio, si arriva alla villa Giulia, con dir
-della quale mi piace chiudere l’escursione per la Bellagina.
-Essa sta sul poggio a cavaliere dei due rami
-del lago e sorge maestosa, quantunque la facciata più
-bella riguardi, non saprei dire perchè, i giardini. Fu
-il luogo dapprima dei Camozzi, poi l’acquistò la famiglia
-Venini sullo scorcio del passato secolo, e don Pietro
-vi costruì la villa che volle portasse il nome della
-moglie, Giulia, onde ancor si designa, malgrado che
-divenisse poi proprietà di Leopoldo, re del Belgio, che
-vi condusse a grande spesa le acque e la rese una
-vera delizia regale, che non lo lusingò per altro così
-possentemente, da non cederla in affitto dodicenne al
-signor Mella che la tramutò in albergo. Il panorama
-stupendo che si gode dalla villa Giulia, dell’un ramo
-del lago e dell’altro, impreziosito da poggi fioriti, da
-grotte, da fontane, da ruscelli, da boschetti, da pratelli
-e da piante peregrine, e le attrattive d’ogni maniera
-che presenta, rendono questo luogo uno de’ più
-deliziosi ritrovi che lungo le sponde del Lario meritino
-d’essere visitati.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_211">[211]</span></p>
-
-<h2 id="esc19">ESCURSIONE DECIMANONA.
-<span class="smaller">IL SASSO RANCIO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. — Loveno. — Ville
-Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio, Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa
-Galbiati. — La Val Cavargna. — Porlezza. — Fabbrica
-di vetro. — Il Castello di Menaggio. — La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — Ligomana,
-Plesio e Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi
-al Sasso Rancio.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Visitata la Bellagina, riconduciamoci all’opposto
-lido, dove nuove dolcezze ne attendono. Veramente il
-bacino della Tremezzina non s’arresta alla villa Ricordi:
-non è lungi Menaggio, che vi è compreso, e
-merita che vi ci andiamo e vi vediamo le cose interessanti
-de’ dintorni. E poichè siam ritornati da questa
-parte, non lasciamo di rivolgere l’attenzione al Monte
-che sta sopra la Tremezzina e si appella degli Stampi,
-non per altro, che per la stranissima tradizione che
-corre nel paese, che lassù vi sostasse, al cessar del diluvio
-universale, l’arca di Noè. D’onde mai traesse
-origine la fiaba, è presto detto. Su quel monte, nel
-masso, si ravvisarono impronte di zampe d’animali
-della grandezza perfino di trenta centimetri, come si
-<span class="pagenum" id="Page_212">[212]</span>
-trovarono crostacei di tempi antidiluviani: ciò basta
-perchè il volgo, amante sempre del maraviglioso, sognasse
-che non sull’Ararat, ma su questo culmine posasse
-l’arca di quel patriarca.
-</p>
-
-<p>
-Oltre le ville che ho rammentate nella escursione della
-Tremezzina, la Majolica non offre che meriti vedere
-e neppur nominare. La continuazione della via
-carrozzabile da Majolica a Menaggio è sempre ne’ pii
-desideri; ma noi pigliamo il canotto: — è così bello
-lo scivolare su d’esso quando è calmo il lago.
-</p>
-
-<p>
-Nondimeno abbiatevi un avvertimento. Se anche un
-nuvoletto solo turba il sereno del cielo, non avventuratevi
-a traversare il lago da Bellagio alla Tremezzina;
-a più d’uno quel nuvoletto, non anco giunto a mezzo
-del lago, che, come dissi, qui è larghissimo, si dilatò,
-coprì tutto il cielo e apportò tempesta, naufragio e
-morte. Propriamente per dividersi il lago e formare i
-due rami, oltre che dalla valle di Menaggio, i venti vi
-soffiano e menano furibonda ridda e in nessuna parte
-del Lario come qui sono avvenuti tanti disastri.
-</p>
-
-<p>
-Ma poichè ho ricordata la valle di Menaggio, se vi
-fermate nella Tremezzina alcun giorno, non lasciate di percorrerla
-e ne sarete contenti. Vi troverete su d’un
-poggio assidersi Loveno, colle belle villeggiature dei
-Pensa, dei Garovaglio, degli Alberti, degli Azeglio e
-dei Mylius-Vigoni. I Garovaglio vi tengono una copiosa
-collezione di pregevoli stampe, massimamente inglesi,
-e un giardino interessante pei botanici.
-</p>
-
-<p>
-Nella sua villa Massimo d’Azeglio immaginò e scrisse
-parte del suo miglior romanzo <i>Ettore Fieramosca</i>, e
-raccolse alla sua volta buone stampe e buoni dipinti
-<span class="pagenum" id="Page_213">[213]</span>
-con quel gusto che ognun conobbe all’illustre romanziere
-e paesista. Nel palazzo Mylius vedreste poi preziosità
-artistiche ancor maggiori. Intanto vi piacerà
-l’architettura sua semplice, opera del Besia: meglio poi
-le ricchezze dell’interno e la sua eccellente distribuzione.
-Non dirò degli arredi, nè di altre splendidezze:
-solo restringendomi all’arte, e nella casa e nel giardino
-si ammirano statue e gruppi di rinomatissimi scultori,
-come la Nemesi, di Thorwaldsen; l’Eva, di Baruzzi;
-la Ruth, dell’Himos; oltre la madre di Mosè, del Gandolfi;
-il David, del Manfredini; il gruppo insigne della
-Igea, dell’Argenti. Circa a pitture, ve n’hanno dell’Hayez,
-del Servi, del Canella, dell’Uaed; e ad incisioni,
-tutte le battaglie napoleoniche del Longhi,
-ritratte dai famosi affreschi di Appiani. Il giardino ha
-rarità di fiori e d’alberi e di prospetti.
-</p>
-
-<p>
-Non lunge da Loveno, mette conto di vedere la bizzarra
-villa di Galbiati a Cardano, che non dovrebbe
-essere negletta dal suo attuale proprietario. Costò al
-barone Baldassare Galbiati assaissimo il far su quest’altura
-trasportare il gruppo della Clemenza di Tito,
-da lui acquistato allo scultore Comolli, ma non è opera
-che ne francasse la spesa. Piuttosto se visitate il sepolcreto
-domestico, vi ammirerete il monumento eretto
-dalla pietà del figlio Carlo al padre, collo scalpello di
-quell’esimio artista che è Antonio Tantardini. L’Angelo
-della Risurrezione che vi raffigurò è di un fortunatissimo
-ardimento, come d’una felicissima trovata. Maestra
-e sapiente ne è l’esecuzione.
-</p>
-
-<p>
-Se amanti di natura alpestre, vi direi di percorrere
-la Val Cavargna e poi di spingervi anche a Porlezza a
-<span class="pagenum" id="Page_214">[214]</span>
-vedervi la fabbrica di vetro de’ Campioni e a guardare
-il Ceresio che giunge fino al piede del borgo: ma io
-non vuo’ dimenticare il Lario che mi son proposto di
-farvi conoscere e però ritorniamo a Menaggio.
-</p>
-
-<p>
-Sovra il paese torreggia il castello, da cui si ha superba
-la vista e dove un ricco che l’acquistasse vi troverebbe
-motivi di magnifica villa. In basso, viene a
-gittarsi nel lago la Sanagra, acqua che dev’essere medicinale,
-se gli etimologi ne fan derivare il nome da
-<i>Sanat ægros</i>, cioè sana i malati. Entrando poi nel
-grosso borgo, importante per belle case e per commerci
-ed anche per alberghi, fra cui primeggia quello del
-Piantanida, che da Bergamo qui trasportò i suoi
-penati e vi adattò da un pajo d’anni tutti i conforti
-de’ più sontuosi, ed è da contarsi tra i migliori del
-lago.
-</p>
-
-<p>
-Sulla piazza è una delle lapidi massime dell’antichità,
-che così fu letta:
-</p>
-
-<div class="blockquote">
-<p class="center">
-<i>Minicius L. F. Ouf. Exoratus</i>,
-</p>
-
-<p>
-Flam. Divi Titi Aug. Vespasiani consensu Decurion. tr.
-mil. IIII vir. a. p. II. vir. i. d. præf. fabr. Cæsaris et
-consulis pontif. sibi et Geminæ q. f. Priscæ uxori et Miniciæ
-l. f. Bisiæ V. f.<a class="tag" id="tag25" href="#note25">[25]</a>.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Usciti di Menaggio, tenendoci sempre al lago, incontriamo
-<span class="pagenum" id="Page_215">[215]</span>
-Nobiallo. Il suo suolo abbonda di gesso, d’alabastro
-venato e di scagliola speculare. Levando lo
-sguardo al monte, scorgonsi i villaggi di Ligomana,
-Plesio e Naggio, dove dicono vi sieno vaghissime montanine.
-Non arrivai mai fin là, quantunque il bello facilmente
-mi seduca; ma d’altronde la comitiva tirava
-dritto, perchè la meta del nostro cammino di quel
-giorno era il <i>Sasso rancio</i>, e sarebbe stata poca
-creanza lasciare la compagnia.
-</p>
-
-<p>
-Mentre passando per costì ci approssimavamo a questo
-<i>Sasso</i>, più d’uno mi chiese perchè <i>rancio</i> lo si nomasse,
-e mi tornò facile il darne la spiegazione: il colore
-che tutto copre questa parte di monte è prodotto
-dall’ocra di ferro che si contiene nella roccia e che
-infatti vien cavato in copia a Gaeta, lì presso. Una signora,
-che aveva di recente letto il sentimentale romanzo
-di Davide Bertolotti, che si intitola appunto <i>Il
-Sasso rancio</i>, spiegò allora la sua erudizione, ripetendone
-brevemente l’intreccio con tanta gravità come
-fosse stata pretta storia.
-</p>
-
-<p>
-Giunti al Sasso, vi trovammo un’erta scogliera quasi
-a picco del lago, e vi si gode di là una magnifica vista.
-Vicino vi sono parecchie grotte che si sprofondano
-nelle viscere del monte.
-</p>
-
-<p>
-Su pel difficile sentiero, che serba il nome di via della
-<i>Regina</i>, che è la prosecuzione di quella che costeggia
-tutta la sponda sinistra del lago, nel 1799, quando le
-nostre belle contrade erano infestate dalle orde russe,
-un drapello di cavalleria cosacca di Souwarow volle
-peritarsi; ma gli irrequieti cavalli, accostumati a liberamente
-scorrazzare per le lande dell’Ukrania, sbizzarrendo,
-<span class="pagenum" id="Page_216">[216]</span>
-diruparono per que’ greppi, seco traendo nel
-precipizio anche molti de’ cavalieri.
-</p>
-
-<p>
-Noi invece che v’andammo a piedi non corremmo
-alcun pericolo; ricordammo lo storico fatto, misurammo
-tutta l’altezza del precipizio e inorridimmo, e
-vi trovammo invece alla fine della nostra escursione
-tutto quel divertimento che desidero a’ lettori.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_217">[217]</span></p>
-
-<h2 id="esc20">ESCURSIONE VENTESIMA.
-<span class="smaller">LE FERRIERE DI DONGO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il Medeghino. — Le
-Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa Polti. — Villa del vescovo
-di Como. — Chiese di S. Stefano e S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le
-miniere di ferro. — I forni fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le
-<i>Frate</i>.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-La manía de’ forastieri e villeggianti s’arresta per
-ordinario alla Tremezzina, nè più si cura delle altre
-bellezze del lago superiore. È ben vero che non c’è più
-quel sorriso continuo di ville che nella parte da noi
-già percorsa abbiam vedute; ma è vero altresì che
-v’hanno molte e molte ragioni a non dimenticare anche
-quest’altra parte del lago, che forse per l’artista
-riesce più interessante. Io ne dirò con sollecite parole
-de’ principali luoghi, acciò il libro non manchi al suo
-titolo.
-</p>
-
-<p>
-Secondando sempre la sinistra sponda del lago, passato
-avanti il <i>Sasso rancio</i> e San Siro, vedesi su d’un
-promontorio il paese e il castello dei Rezzonico, famiglia
-d’onde uscirono quel Clemente XIII, al quale il
-Canova lasciò famoso monumento in Roma, e i conti
-<span class="pagenum" id="Page_218">[218]</span>
-Gastone e Antongioseffo, buoni letterati. Il luogo ora
-è reso ameno per bellissimo parco fattovi all’intorno,
-per coltura e per magnifici limoni che vi fioriscono.
-</p>
-
-<p>
-Proseguendo, scorgesi un altro promontorio che si
-spinge nel lago e che un dì portava un castello ed era
-quello famoso di Musso, che ricorda le gesta di quel formidabile
-filibustiere, che fu Gian Giacomo Medici, detto
-il Medeghino di Milano. L’ebbero prima i Visconti,
-quindi il maresciallo Gian Giacomo Trivulzio, e in fine,
-per inganno, il Medici suddetto, che, fatta incetta della
-peggior ribaldaglia, vi si stabilì come in nido sicuro di
-rapaci avoltoi. A renderla più inespugnabile, la circondò
-d’opere militari d’ogni maniera, al compimento
-delle quali coll’esempio incoraggiavano perfino le sorelle
-di lui, Clarina e Margherita, la qual’ultima, sposa,
-al conte Giberto Borromeo, fu poi madre di quel Carlo
-che divenne arcivescovo di Milano, cardinale di Santa
-Chiesa e canonizzato da ultimo come santo. Era da
-questa rôcca che il Medeghino, approfittando della debolezza
-del governo di Lombardia, che ora stava nelle
-mani de’ Francesi, or passava a quelle degli Spagnuoli,
-ed a tratti ben anco funestato dalle orde alemanne,
-colla flottiglia che s’era formata di sette navi grosse a
-tre vele e quarant’otto remi, ed aveva armata cadauna
-perfin di cento uomini, tutta schiuma di scellerati,
-spandeva il terrore pel lago e rendevasi tanto formidabile
-e potente, da tenere a segno i Grigioni, ai quali
-anzi toglieva Chiavenna; da oppor resistenza agli Sforza
-dapprima, quindi ben anco all’esercito cesareo, capitanato
-dal duca di Leyva, che soleva dire dargli maggior
-fastidio il Medeghino che non tutto l’esercito dello
-<span class="pagenum" id="Page_219">[219]</span>
-Sforza; da trattar da pari co’ principi, battere moneta,
-e dopo d’avere assalito il territorio di Lecco, quello
-della Valtellina e la Valsolda, intitolavasi conte di
-Musso e di Lecco, governatore del lago e della Valsássina.
-Se Carlo V volle togliersi questa spina, gli fu
-giuocoforza venire a patti con lui, concedendogli forti
-somme di denaro, il feudo di Marignano col titolo di
-marchese e il comando di quell’esercito che gli affidava
-per abbattere a Siena l’ultimo avanzo di guelfa
-libertà. Ciò avveniva nel marzo 1532; e quando, in
-seguito a tali atti, egli abbandonava il suo castello di
-Musso, i Grigioni, che ne spiavano la partenza, inerpicavansi
-su per que’ greppi, impazienti di demolirlo;
-scortili il Medeghino, retrocedette, scese a terra e intimò
-rispettasser il castello finchè egli fosse in condizione
-di vederlo; e tanto imposero la sua presenza e
-la minaccia, che alla demolizione non si mise la
-mano che sol quando la sua nave non fu più veduta
-per il lago.
-</p>
-
-<p>
-Ora il picco sopra cui il castello si elevava, costituendosi
-d’un marmo saccaroide dolomitico, somministra
-marmi alla fabbrica del duomo di Como; le molte mine
-che ne aprirono le viscere, dischiusero un varco che
-lascia veder tutta la vallata che riesce a Dongo, e i signori
-Manzi, a cui spetta, accomodaronlo come a parco.
-</p>
-
-<p>
-Detto delle sorti di questo castellotto che meritamente
-servì a novellieri e romanzieri di largo e fantastico
-tema, avanzando, s’entra nel territorio delle
-Tre Pievi, che comprendeva nella sua giurisdizione
-Dongo, Gravedona e Sórico, e che ne’ tempi medievali
-costituiva di per sè una piccola repubblica, è vero, ma
-<span class="pagenum" id="Page_220">[220]</span>
-tale da sapersi far rispettare. E la piccola repubblica
-ebbe pure l’istoriografo suo nel vivace Rebuschini.
-</p>
-
-<p>
-Seguendo il parco dei signori Manzi che abbiam veduto
-a’ piedi delle rovine del castel di Musso, perveniamo
-in mezzo al seno dove sorge il palazzo di questi
-medesimi signori e dove siede il paese di Dongo. Altre
-case signorili qui vi sono, fra cui quella dei Polti: il
-vescovo di Como vi ha pure la sua villeggiatura, acquistata
-avendo il vescovo Romanò la villa che già fu di
-Antonio Cossoni, discendente di quel fra Daniele Cossoni
-che fu ministro di Filippo IV di Spagna.
-</p>
-
-<p>
-Qui villeggiava il notajo Sormani di Milano, che si
-ebbe a’ nostri giorni la maggior riputazione e clientela,
-ed al quale i figliuoli eressero nella parrocchiale di
-Santo Stefano un monumento. In questa chiesa vi sono
-anche mediocri statue del Salterio; affreschi di Giovan
-Mauro, Gian Battista e Marco della Rovere, detti i
-Fiamminghini, vi sono nell’altra chiesa di Santa Maria.
-</p>
-
-<p>
-Nella vicina valle dell’Albano vi sono ricche miniere
-di ferro e le si dan scoperte da un Giacomo di Desio
-nel 1460, che un’altra pure discoperse di rame presso
-Barbignano.
-</p>
-
-<p>
-Nell’archivio de’ Trivulzio di Milano leggesi un documento
-in cui è scritto che lo stesso Giacomo di Desio
-rinvenisse in questa valle massi di smeraldo e di rubino,
-forse schisto di color verde e qualche pirite di
-rame, certo non di quella grossezza nè tale da farne
-tavole e colonne; onde in benemerenza il duca gli assegnasse
-dieci scudi il mese di pensione, purchè quelle
-pietre ad altri non offerisse prima che a lui, per un
-prezzo da misurarsi a norma di loro volume; diritto
-<span class="pagenum" id="Page_221">[221]</span>
-poi da esso duca ceduto al maresciallo Gian Giacomo Trivulzio.
-</p>
-
-<p>
-Colle miniere era facile immaginare che presto vi
-si sarebbero stabiliti forni fusorî, e infatti furono attivati
-nel 1465 e furono per lungo tempo posseduti dai
-conti Giuliani di Milano.
-</p>
-
-<p>
-I Rubini per altro li acquistarono nel 1790 e vi
-portarono tali miglioramenti e incremento all’industria,
-da poter modellare la ghisa. Ma più ancora questa
-industria s’avantaggiò, quando nel 1839 venne costituita
-la società Rubini, Scalini e C. che le diè più
-ampio svolgimento; per modo che se ne’ primi quarant’anni
-del secolo producevano le cave per circa cinquantamila
-pesi, ora può dirsi che siasi il ricavo portato
-a diecimila quintali, di cui un terzo di ghisa,
-occupandovisi ben quattrocento operai.
-</p>
-
-<p>
-Visitare queste ferriere deve essere un amenissimo
-scopo di escursione a chiunque, sia per chi di questa
-industria sia intelligente, sia per qualsiasi profano che
-pur si interessi all’attivo lavoro ed al curioso processo,
-onde la roccia si tritura, il metallo si fonde, si schiumano
-le scorie, e poi l’incandescente e liquido ferro
-trabocca e si distende come un igneo torrente per le
-diverse forme che gli si vogliano far assumere e che
-raffreddandosi ritiene.
-</p>
-
-<p>
-Quelle terre che si mostrano sopra Dongo non sono
-indegne d’essere visitate per chi ama l’arte. Perocchè
-a Garzeno v’abbian pitture di Giovanni della Rovere
-suddetto, altro de’ Fiamminghini; ed a Brenzio ve n’abbian
-molte di Isidoro Bianchi da Campione, celebre
-pittore, allievo di Pier Francesco Mazzucchelli detto
-il Morazzone, e parecchie pure de’ Fiamminghini.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_222">[222]</span>
-</p>
-
-<p>
-D’una particolarità ancora di questo monte, alle cui
-pendici è Dongo, intratterò, e poi per questa escursione
-imporrò freno allo scilinguagnolo; ed è che le sue
-donne, per un voto fatto nella peste del secolo XVI,
-vestono da cappuccine, quantunque abbelliscano il
-grossolano costume di ricche cinture e finissime trine.
-Queste contigie non vietano che attraggano la curiosità
-di chi visita la montagna, e che loro si dia il
-nome di <i>frate</i>, appunto per il fratesco abbigliamento.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_223">[223]</span></p>
-
-<h2 id="esc21">ESCURSIONE VENTESIMAPRIMA.
-<span class="smaller">GRAVEDONA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle
-di Lesio. — Gravedona
-e la sua storia. — La chiesa di San Vincenzo. — S. Maria
-del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. — Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il
-Sasso acuto. — Domaso. — Gera. — Sórico.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Quanto torto si ha a non comprendere fra la parte
-di lago, che si suol meglio ricercare da’ forestieri e villeggianti,
-questo territorio delle <i>Tre Pievi</i>, già dissi.
-Esso divide infatti, col resto che già percorremmo, i
-bellissimi prospetti e la ricca vegetazione, e forse
-forse, perchè protetta a settentrione dall’alta schiena
-de’ monti che la difendono dai soffii gelati, ha mitezza
-di clima maggiore degli altri inferiori bacini, sicchè i
-giardini vi abbiano agrumi e fiori, e la camelia perfino
-vi alligni e prosperi, l’inverno senz’uopo di stufe.
-</p>
-
-<p>
-Noi, spiccandoci da Dongo, dove siamo restati nella
-nostra ultima escursione, e via trascorrendo Consiglio
-di Rumo e San Gregorio, giù scendendo, potremmo
-ammirare buoni dipinti del cavaliere Isidoro Bianchi,
-e salendo più in su, ove comincia il Pizzo di Gino,
-troveremmo la chiesuola di San Gottardo. Poi ci vediamo
-<span class="pagenum" id="Page_224">[224]</span>
-davanti la Valle di Lesio, oltrepassata la quale
-si sparpaglia sul pendio del monte la grossa borgata
-di Gravedona.
-</p>
-
-<p>
-Non fu solo il Rebuschini che ricordò nella sua <i>Storia
-delle Tre Pievi</i> gli avvenimenti di Gravedona: altro
-storico l’aveva preceduto, Anton Maria Stampa, che fu
-autore d’una <i>Storia dell’insigne borgo di Gravedona,
-altre volte repubblica</i>, da lui scritta a bandir la noja
-della prigione, perchè, sospettato di torbidi popolari,
-venne chiuso nel forte di Fuentes, che sta a capo del
-lago sulla via di Chiavenna e intorno al quale si potrebbero
-spendere molte parole, se dal mio soggetto
-non temessi di scostarmi soverchio. Non lasciò questo
-scrittore di rimontare a remotissimi tempi del suo insigne
-borgo, per isnocciolarne di grosse, e non so da
-qual codice infatti imparasse egli come prima Gravedona
-si appellasse Laricola; ma che poi, ivi stanziando,
-un Garbatone, figliuol d’un re Garibaldo anteriore a
-Brenno, vi imponesse il proprio nome e fosse il principio
-d’una serie di re e di eroi. Di tutto ciò si dispensa
-d’indicare le fonti: la tradizione è la sua autorità; ma
-invano anche questa voi domandereste a que’ della
-borgata.
-</p>
-
-<p>
-Il Rebuschini attinge invece a più verosimili tradizioni,
-e ricorda che Gravedona sostenesse onorevole
-parte nelle guerre repubblicane; che nel tempo del
-Barbarossa,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Di cui dolente ancor Milan ragiona,</p>
-</div></div>
-
-<p>
-come diceva a’ suoi giorni l’Alighieri, nel soggettarsi
-Lombardia, preponesse al governo delle <i>Tre Pievi</i> un
-<span class="pagenum" id="Page_225">[225]</span>
-Amizzone, uomo sanguinario e rapace, il quale, a togliere
-ogni motivo ad insurrezione, smantellava il castello
-di Gravedona e la Torre di Melia, e così inoltre
-operasse da tiranno, che stancati quegli alpigiani ne
-scuotessero il giogo ed egli fosse costretto a rifugiarsi
-in Valtellina. Rammenta pure come lo stesso Barbarossa,
-dopo la tregua di Venezia, tornando pel lago
-in Germania, venisse da que’ di Gravedona audacemente
-assalito, depredandolo delle bandiere e del corredo,
-e la corona stessa imperiale, tutta d’oro, caduta
-pur nelle mani loro, deponessero poi nella chiesa del
-Battistero, onde nella pace di Costanza volesse Federico
-esclusa dal parteciparne a’ beneficî Gravedona.
-</p>
-
-<p>
-Già toccai della parte dalle <i>Tre Pievi</i> avuta nella
-guerra decenne; poi Gravedona divenne feudo del cardinale
-Tolomeo Gallio, facoltosissimo ed influente, e
-che nutrendo pensiero di farne la capitale della Valtellina,
-al cui conquisto agognava, vi fabbricò, su buon
-disegno del Pellegrini, un grandioso e turrito palazzo,
-il cui loggiato si vede da chi viaggia per il lago. È in
-esso che fu detto che si volesse trasferire il Concilio
-ecumenico di Trento; ma non se n’ha nella storia
-alcun documento che tale intento comprovi; onde siffatta
-pretesa de’ Gravedonesi è suffragata unicamente
-dalla circostanza che nel detto palazzo si conservino
-solenni seggioloni con iscritto su ciascuno il nome de’
-cardinali.
-</p>
-
-<p>
-Dal Gallio passò il feudo alla ducal famiglia d’Alvito
-di Napoli, che la più parte del ricco mobigliare, onde
-istruivasi il palazzo, si trasportò nella sua casa di questa
-città e in quella di Genova; ma a conservare gli
-<span class="pagenum" id="Page_226">[226]</span>
-eredati diritti vi mantenne un commissario per amministrare
-la giustizia.
-</p>
-
-<p>
-Merita qui esser veduta la chiesa parrocchiale di
-S. Vincenzo, che si vuole del secolo V, con cripta di
-stile lombardo, e dove si vede il sepolcro del dottissimo
-cardinale Michelangelo Ricci, e tra gli arredi una pianeta
-di forma greca a bei ricami, una pace d’argento
-del XIV secolo, un calice egregiamente cesellato con
-molti giri di santi raffigurati in ismalto, non che una
-croce grande con ornati e figurine, lavorata per <i>Franciscum de Sancto Gregorio da Grabedona</i>. Nè si dimentichi
-di osservare il battistero di Santa Maria del
-Tiglio, che si pretende eretto dalla pia regina longobarda
-Teodolinda, alla quale per altro si attribuiscono
-troppe cose, perchè vi si possa credere sulla parola.
-Esso battistero è quadrilungo, con tre absidi pentagone
-all’esterno e con campanile ottagono di bell’effetto,
-e internamente ha una galleria nella parte superiore
-che lo gira tutt’all’intorno, e le pareti lasciano intravvedere
-come già fossero tutte rivestite di pitture.
-È qui dove esiste dipinta una Vergine col Bambino, or
-tutta rovinata dal tempo, che l’Aimoin nel suo libro
-<i>De Gestis Francorum</i>, afferma essere stata un tempo
-per più giorni sfolgorante di celeste luce. — Oggidì sappiamo
-quanto valore si abbiano codeste storie e miracoli,
-che preti ignoranti e pinzochere accreditano
-fra le zotiche popolazioni, come che loro non paja bastevole
-la buona e sana dottrina del Cristo a persuaderne
-la santità della religione.
-</p>
-
-<p>
-Agli amatori dell’arte si ponno additare altresì un
-buon quadro della scuola del Guercino nella chiesa de’
-<span class="pagenum" id="Page_227">[227]</span>
-Santi Gusmeo e Matteo; nella vicina terra di Peglio
-vi hanno i dipinti di Gian Mauro della Rovere, altro
-de’ Fiamminghini, che ho già mentovati, fra cui il proprio
-ritratto nel battistero; una Madonna del far di
-Bernardino Luini, una Santa Rosalia della scuola del
-Guercino, e minori pitture di un Antonio Scherino del
-1635, di Giovanni Valerio, del Rodriguez, del Caracciolo
-di Vercana, terra di questi dintorni; oltre la <i>Via
-Crucis</i> e il Trionfo della Morte nell’ossario, dipinti nel
-1715 da Alessandro Valdini; e a Liro, ne’ cui monti
-scopronsi a Darenco, Caprico e Ledi tre piccoli laghi;
-nella chiesa abbandonata di San Giacomo vi sono affreschi
-che portano la data del 1412 e il nome di
-Bernardo Somassi, al quale appartengono, e che metterebbe
-conto che fossero esaminati da chi avesse a
-ritessere la storia dell’arte italiana, massime ne’ suoi
-primi tempi.
-</p>
-
-<p>
-Sovra Gravedona i buoni passeggiatori non lasciano
-di montare al <i>Sasso acuto</i>, picco, la cui forma è designata
-dal suo qualificativo, che ha la vetta rilucente,
-ed ha sparso il cammino di lucide tormaline.
-</p>
-
-<p>
-Ma non volendoci adesso scostar dal lago, oltre Gravedona
-si distende, come in un semicerchio, Domaso,
-che si presenta più bello e seducente soggiorno se riguardi
-al suo vago prospetto ed all’attività de’ suoi
-commerci; ma chi non è avvezzo ai troppo vivi scorrazzamenti
-della <i>breva</i>, che sembra qui s’accolga, quasi
-l’antro di Eolo, per poi sprigionarsene sul lago, s’accorge
-presto che non è sì grato il dimorarvi. Da un’antica
-poesia di quell’Anton Maria Stampa che ho ricordato
-nella passata escursione, e che il Cantù ha
-<span class="pagenum" id="Page_228">[228]</span>
-pubblicata, raccogliesi che a que’ di Domaso venisse
-a’ suoi giorni appiccicato vituperevole epiteto, per essere
-talun del paese trascorso ad alcun atto d’empietà.
-Ecco i versi che vi fanno allusione:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O signori, udite come</p>
-<p class="i02"> A Domaso sia rimaso</p>
-<p class="i02"> Quell’orrendo soprannome</p>
-<p class="i02"> Di cui fe’ poc’anzi acquisto,</p>
-<p class="i02"> Del mozzar le braccia a Cristo.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Più avanti si incontra Gera, sito di pescatori, e più
-avanti ancora Sórico; ma le scialbe faccie de’ suoi abitatori
-ne avvertono dell’aria malsana a causa d’acque
-che vi stagnano; onde sarà bene che noi retrocediamo,
-perocchè di malinconie il mio lettore non ha di certo
-bisogno, e d’altronde da qui i canneti che vediamo ci
-annunciano presso la fine del lago.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_229">[229]</span></p>
-
-<h2 id="esc22">ESCURSIONE VENTESIMASECONDA.
-<span class="smaller">REGOLEDO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. — Dorio, Carenno
-e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. — L’Orrido. — Il Sasso
-di Morcate. — Riva di Gittana. — Varenna. — Albergo e villa Venini. — L’Uga
-e la Capuana. — Il Fiume Latte. — Regoledo.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Poichè siamo a capo del lago, visitiamo rapidamente
-anche le altre terre della sponda opposta a quella che
-abbiamo veduta.
-</p>
-
-<p>
-Prima si presenta Olgiasca; ma non ti rallegra: delle
-sue pietre calcaree silicee si fecero le colonne di S. Lorenzo
-di Milano, e al nostro tempo quelle dell’Arco
-del Sempione. Hai appena oltrepassato le case, che
-vedi addentrarsi il villaggio di Piona, forse da Peonia
-de’ Greci, che ha un piccolo ma pescoso lago, un vecchio
-ma bel monastero, ed una chiesa che si pretende
-esistere fin dal sesto secolo, perchè un’iscrizione che vi
-si lesse la disse consacrata da Sant’Agrippino nel 607.
-</p>
-
-<p>
-A poca distanza schierasi sul lido il paese di Colico,
-e le febbri che vi dominano sembrano legittimare il
-suo nome. Ciò malgrado, è attivissimo scalo, quivi mettendo
-capo i piroscafi che muovono da Como e moltissime
-<span class="pagenum" id="Page_230">[230]</span>
-navi di mercanzia e i molti viaggiatori diretti al
-paese di Chiavenna e di Valtellina; come le merci e i
-viaggiatori che si dirigono da questi luoghi a Lecco,
-Como e Milano. Un dì fu contea eretta dai Visconti
-pei Sanseverino; poi infeudata dal duca Lodovico Sforza
-al proprio cameriere Giovanni Casati, che dovette in
-seguito restituirla alla giurisdizione dei Comaschi, che
-provarono d’avervi diritto. I Caldarini l’ebbero poscia
-da Carlo V; e dopo passò prima ai Pusterla, quindi
-ad Anton Maria Quadrio e da ultimo a un Rubini di
-Dervio.
-</p>
-
-<p>
-Si succedono a Colico tre altre terre con nomi grecanici,
-Dorio, Corenno e Dervio, corrotti forse da Dori,
-Corinto e Delfo; d’interessante, Corenno presenta un
-castello di spettanza dei conti Andreani, e Dervio pure
-una rôcca di pittoresco effetto.
-</p>
-
-<p>
-Più assai offre argomento di intrattenerci la bella
-borgata di Bellano, che vi tien dietro e già fu corte
-degli arcivescovi di Milano, come ce lo fe’ sapere quel
-simpaticissimo ingegno, nativo di questo luogo, che fu
-Tomaso Grossi, nel suo <i>Marco Visconti</i>.
-</p>
-
-<p>
-Ha bella chiesa del secolo XIV di stile lombardo, a
-fasce la facciata di marmo bianco e nero, con bel finestrone
-rotondo nel mezzo recinto di fogliami in terra
-cotta. Se ne dà merito a Giovan da Campione, Antonio
-da Castellazzo e Cornelio da Osteno, i quali la architettarono.
-Or s’è fatto un bel viale lungo il lago a
-comodo di passeggiata, e lo si denominò dal sullodato
-concittadino poeta e notajo Tomaso Grossi, che col
-Manzoni tenne per tanti anni in Milano il primato
-delle lettere italiane, alle quali, oltre al <i>Marco Visconti</i>
-<span class="pagenum" id="Page_231">[231]</span>
-summentovato, che sarà sempre una bella e cara
-lettura, diede eziandio un poema dal titolo <i>I Lombardi
-alla prima Crociata</i>, e le novelle patetiche <i>Ildegonda</i>,
-<i>La Fuggitiva</i> e <i>Ulrico e Lida</i>, nonchè crebbe dicevolmente
-la collana de’ poeti vernacoli milanesi colla
-stessa <i>Fuggitiva</i> in dialetto, colla <i>Prineide</i> e colla <i>Pioggia
-d’oro</i><a class="tag" id="tag26" href="#note26">[26]</a>. Milano eresse alla sua memoria una statua
-nel cortile del Palazzo di Brera, opera di Vincenzo
-Vela, perocchè l’ebbe come suo per lunghissimo soggiorno;
-e Bellano ne commise il busto allo scalpello
-di Antonio Tantardini, onde collocarlo a capo del detto
-viale. Ma vorrei che l’obolo de’ suoi compaesani e degli
-amici ed estimatori che già concorsero, affrettasse
-l’esecuzione di questo che poi non è costosissimo monumento.
-Son già molt’anni che se ne parla.
-</p>
-
-<p>
-Era pure di Bellano Sigismondo Boldoni, medico ed
-egregio latinista e poeta del secolo XVII, avendo
-scritto in ottave la Caduta dei Longobardi, e latinamente
-intorno agli avvenimenti del suo lago.
-</p>
-
-<p>
-Dalla Valsássina, che finisce a Bellano, giunge la
-Pioverna, torrente che qui, gettandosi da un’altezza
-di forse sessanta metri, produce un orrido cui traggon
-tutti a vedere. Quando il luogo di sua caduta apparteneva
-alla famiglia Fumagalli, dalla quale ero
-considerato ne’ miei giorni d’infanzia coll’affetto di
-figliuolo, e che io, dopo tanta lontananza di tempo ho
-<span class="pagenum" id="Page_232">[232]</span>
-sempre nel cuore, su quell’abisso eravi un ponte sospeso
-a catene, sul quale essendo, anche perchè paresse
-malfermo e dondolasse, si rabbrividiva.
-</p>
-
-<p>
-Io non lo vidi, perchè già rotto nel 1816 da un
-masso che vi era rovinato.
-</p>
-
-<p>
-Ora il luogo divenuto proprietà dei signori Gavazzi,
-questi usufruttarono di quell’acqua per dar anima
-e moto ad officine, setificî, lanificî, cartiere, laminatoi
-e mulini, essendo ora Bellano uno de’ paesi del lago
-più industriosi.
-</p>
-
-<p>
-Poichè vi siamo presso, andiamo ora a vedere Varenna.
-</p>
-
-<p>
-Passiamo pel Sasso di Morcate, cui la mina ha squarciato
-le viscere, per continuarvi la strada militare, e
-giungiamo alla Riva di Gittana, di cui in addietro appena
-appena si sapeva da’ barcaiuoli il nome; non
-adesso che da tutte parti vi arriva la gente per ascendere
-a Regoledo, luogo silvestre non è gran tempo, divenuto
-oggidì uno de’ più popolati ritrovi termali.
-</p>
-
-<p>
-Ma prima di ascendervi anche noi, proseguiamo a
-Varenna, che fu già nella dipendenza degli arcivescovi
-di Milano. Già fiorente un dì, non conta ora più
-di un migliaio di persone, ciò che non impedisce che
-viva tuttavia sul labbro de’ suoi abitatori il ritornello
-che stereotipa il carattere de’ suoi abitatori:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Varenna su uno scoglio,</p>
-<p class="i01">Del mio non ho, del tuo non voglio;</p>
-<p class="i01">Ma piena son d’orgoglio.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-La grandiosa villa che quivi avevano gli Isimbardi
-fu ridotta ad albergo; i Venini ve l’hanno ancora; il
-<span class="pagenum" id="Page_233">[233]</span>
-clima è più che proprio a mantenervi anche fiori e
-piante esotiche.
-</p>
-
-<p>
-Poco discosta è la fonte Uga, che sgorga da un antro
-e trascorrendo sotto di un pergolato di allori,
-scende e s’unisce alla cascata artificiale della sottoposta
-Capuana.
-</p>
-
-<p>
-Finalmente si giunge alla cascata del Fiume Latte,
-le cui acque, per un cammino lunghissimo entro le viscere
-del monte, si gittan poi spumeggianti e fredde
-per un’altezza di trecento metri pei dirupi, e dopo
-d’avere rumorosamente giovato a mulini, ad una fabbrica
-di vetri e ad un filatojo, si confondono coll’acque
-del lago.
-</p>
-
-<p>
-Retrocediamo ora alla Riva di Gittana e saliamo a
-Regoledo.
-</p>
-
-<p>
-Chi parlava prima di Regoledo? Francesco Maglia
-di Milano, fabbricatore di carta, ritrattosi dal commercio,
-che abbandonava a’ suoi figli, su questa deliziosa
-e facile altura, che è di soli 225 metri sul
-livello del mare, vi edificò coraggiosamente un vasto
-e comodo stabilimento idroterapico.
-</p>
-
-<p>
-Superate le prime difficoltà che accompagnano sempre
-qualunque impresa ardita, Regoledo è divenuta
-ora una stazione estiva di moda. La sua posizione felice,
-il facile modo di giungervi, il buon trattamento,
-tutti gli apparecchi e le innovazioni dell’idroterapia,
-e l’assistenza d’un medico specialista, vi chiamano la
-più eletta compagnia, che anche rinnovandosi, non
-perde mai di suo valore.
-</p>
-
-<p>
-Da qui si può muovere a stupende escursioni, oltre
-che sul lago, anche per la Valsássina, sul Moncodine
-<span class="pagenum" id="Page_234">[234]</span>
-e sulla Grigna. La vegetazione che circonda Regoledo
-è bella e perfino lussureggiante, le acque son copiose,
-deliziosi i prospetti, l’aria pura ed eccellente; e però
-s’anco il medico non lo ordini, pellegrinate ne’ mesi
-di luglio e di agosto a Regoledo e vi ci starete, sotto
-tutti i riguardi, a meraviglia.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_235">[235]</span></p>
-
-<h2 id="esc23">ESCURSIONE VENTESIMATERZA.
-<span class="smaller">IL MERCATO DI LECCO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I Marroni. — Perledo
-e la Regina Teodolinda. — Lierna. — Olcio. — Villa
-Pini. — Mandello. — Abbadia. — La
-Gessima. — Lodovico Savelli. — Le Caviate
-e la Maddalena. — La strada militare. — Onno. — Parè. — Lecco. — Il
-Maglio. — Acquate e Pescarenico. — Il Galeotto. — Il Mercato di
-Lecco. — Le <i>robiole</i>. — Gli alberghi del <i>Leon d’Oro</i> e della <i>Croce di
-Malta</i>.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Noi coglieremo un bel giorno di sabato del mese
-d’ottobre per imbarcarci mattinieri sul piroscafo, che
-partito da Como, non va già, come d’ordinario, a Colico,
-ma a Lecco, perchè a chi villeggia lungo il Lario,
-come a chi villeggia nella Brianza superiore, il mercato
-che si fa a quella piccola ma leggiadra città, è
-una delle imperscrittibili mete alle eleganti escursioni.
-</p>
-
-<p>
-Noi abbiamo già dimezzato il cammino, ritrovandoci
-già oltre la punta di Bellagio, ed entrati in quel ramo
-del lago che appunto s’incammina a Lecco.
-</p>
-
-<p>
-E prima di scostarci da queste sponde, dopo la Sfondrata,
-oltre quel gruppo di povere case che si intitola
-Vassena, il romanzo di Grossi, che tutti abbiamo letto,
-ci suggerisce d’occuparci di Limonta, “terricciuola, — è
-<span class="pagenum" id="Page_236">[236]</span>
-scritto nel Marco Visconti — pressochè ascosa fra i
-castani al guardo di chi, spiccatosi dalla punta di Bellagio
-per navigare verso Lecco, la cerca a mezza costa
-in faccia a Lierna. Cominciando dall’ottavo secolo fino
-agli ultimi tempi che fur tolti i feudi in Lombardia,
-essa fu soggetta al monastero di Sant’Ambrogio di Milano,
-e l’abate, fra gli altri titoli, aveva quello di conte
-di Limonta e di Civenna, terra più in alto, al lembo
-della Valassina.„ I geologi e gli archeologi ricordano
-sovrastante a Limonta un masso del volume di circa
-cinquanta metri cubi, che sembrerebbe rovinare ad
-ogni più lieve scossa, ma che è sorretto invece da tre
-pietre della medesima natura. Su questo trovante si
-leggono scolpite le lettere:
-</p>
-
-<p class="center">
-P. L. D. B.
-</p>
-
-<p>
-che il chiarissimo archeologo cavaliere Bernardino
-Biondelli, interpretò per <i>Pietra Luna di Bellagio</i>. Infatti
-si denomina <i>Pietra Luna</i> un tale trovante e lo si
-pretende una reliquia del culto celtico, come qui dal
-linguaggio celtico si hanno più vestigia in molti nomi
-di paesi e monti, come Grianta e Grosgalli. Completerò
-le notizie intorno a questa minima terra, ricordando le
-cave di gesso che son proprio a lido, e quelle di marmo
-nero sul fianco del monte; onde gli scoppi delle mine
-destano frequentemente gli echi di quest’ultimo contrafforto
-delle Alpi; e per coloro che sono alquanto più
-epicurei, ricordando che il luogo è celebre pe’ suoi saporiti
-marroni. Anche la vicina terra di Civenna divide
-una tale gustosa particolarità, che un giorno era tutto
-a profitto dei detti monaci di Sant’Ambrogio. Qual
-<span class="pagenum" id="Page_237">[237]</span>
-gaudente non si sarebbe fatto monaco allora? Le più
-belle ville, le leccornie migliori, privilegi d’ogni sorta,
-immunità, tutto era per essi.
-</p>
-
-<p>
-La citazione del Grossi rammenta Lierna che sta in
-faccia a Limonta, ed è paese su’ cui greppi soprastanti
-si fanno vini che dicono buoni per chi patisce di gotta
-e di calcoli, mali oramai resi troppo comuni.
-</p>
-
-<p>
-Più in alto è Perledo, da dove si ha una magnifica
-vista. Lassù, dicesi dalla tradizione che la Regina Teodolinda — la
-quale in tutta questa parte di Lombardia
-si ha tutti i momenti e per tutte le occasioni alla
-mano —, dopo d’avere abdicato in favore del figlio
-Adaloaldo, s’avesse a ritirare per ivi passare nella
-quiete i vecchi giorni<a class="tag" id="tag27" href="#note27">[27]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Su questa riva orientale, dopo Lierna, si incontra
-Olcio, ove si scava pure marmo nero, del quale parte
-va alla fabbrica del duomo di Como; quindi si arriva
-a Mandello, grosso paese, dove il palazzo Airoldi, ora
-Pini, contavasi fra i più suntuosi del lago.
-</p>
-
-<p>
-Oltre Mandello è l’Abbadia, così chiamata per una
-antica badia che fu prima de’ Benedettini, e quindi
-de’ Servi di Maria, e vi son case di villeggiatura. Più
-avanti, verso Lecco, è la Gessima, luogo brullo e sassoso,
-che trae forse il suo nome dalla roccia propria a far
-gesso, e va ricordato da Paolo Giovio pel fatto miserando
-intervenuto a Lodovico Savelli, che, essendosi
-inerpicato per questa scogliera, scivolatogli il piè, e giù
-<span class="pagenum" id="Page_238">[238]</span>
-rovinando, potè nella caduta avvinghiarsi ad un ramo
-sporgente e colà vi stette, colla forza dell’istinto che
-ognuno ha della propria conservazione, per ben cinque
-ore; finchè, più non potendovisi sostenere e mancategli
-le forze, stremate vieppiù dalla sferza del sole, malgrado
-che que’ terrieri, inorriditi spettatori di quella
-scena, gli avessero disposto sotto letti di felci, di strame
-e di materassi, giù lasciandosi andare, prima di toccar
-terra s’era già reso cadavere. — Seguono le Caviate e
-poi la Maddalena, casali ultimi che rompono l’uniformità
-della strada militare, la quale da Lecco dirigesi
-a Colico e che corre tra il lago e la montagna brulla,
-cui di tratto in tratto ha squarciate, per aprirsi il
-varco, le pendici.
-</p>
-
-<p>
-Sull’opposta riva, rimpetto a Mandello, sorge il paesello di Onno, dove a notte le ardenti fornaci ti dicono
-che vi si produce calce; poscia Parè, sovra cui spuntano
-que’ picchi che si chiamano i <i>Corni di Canzo</i>, perchè
-dall’opposto versante sogguardano la grossa borgata
-di Canzo, e che stando sui bastioni di Milano, in una
-limpida giornata, si veggono a incitamento de’ molti che
-vi traggono a passare alle lietissime falde le autunnali
-vacanze.
-</p>
-
-<p>
-Ma ritraversiamo lo sguardo: Lecco c’è in faccia;
-la campanella del piroscafo ci annunzia che ci accostiamo
-al lido.
-</p>
-
-<p>
-Entrati in questo bel bacino tutto recinto di monti,
-non è possibile non ripetere mentalmente il saluto a
-questi luoghi, che leggemmo nel capitolo VIII dei <i>Promessi
-Sposi</i>: “Addio, montagne sorgenti dalle acque
-ed erette al cielo; cime ineguali, note a chi è cresciuto
-<span class="pagenum" id="Page_239">[239]</span>
-tra voi, e impresse nella sua mente non meno che lo
-sia l’aspetto de’ suoi più famigliari; torrenti, de’ quali
-egli distingue lo scroscio come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come
-branco di pecore pascenti; addio!„
-</p>
-
-<p>
-Con questa soave reminiscenza di Manzoni vi ho invitato a guardare tutto l’ameno territorio, che sembra,
-pei tanti paesi che si succedono senza interruzione, una
-sola città, fin su a Laorca, da dove per un risvolto di
-via si entra nella Valsássina.
-</p>
-
-<p>
-Ma che è codesto cupo e cadenzato rumore — potrà
-chiedere il lettore che mai non fu a Lecco — che s’intende lontano? — Gli risponderò coi superbi versi di
-Foscolo, che fu in questi luoghi ad ispirarsi, e ch’io
-spicco al <i>Carme delle Grazie</i>, e il quale tutto spira
-attica fragranza e venustà:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Come quando più gajo Euro provóca</p>
-<p class="i01">Sull’alba il queto Lario e a quel sussurro</p>
-<p class="i01">Canta il nocchiero, allegransi i propinqui</p>
-<p class="i01">Lïuti e molle il flauto si duole</p>
-<p class="i01">D’innamorati giovani e di ninfe</p>
-<p class="i01">Sulle gondole erranti; e dalla sponda</p>
-<p class="i01">Risponde il pastorel colla sua piva.</p>
-<p class="i01">Per entro i colli rintronano i corni</p>
-<p class="i01">Terror del capriol, mentre in cadenza</p>
-<p class="i01">Di Lecco il maglio, domator del bronzo,</p>
-<p class="i01">Fuma dagli antri ardenti; stupefatto</p>
-<p class="i01">Pende le reti il pescatore, ed ode.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-È dunque il maglio delle officine di ferro di Castello
-e San Giovanni, il cui martellare mi svegliava nel religioso
-efebeo a’ giorni della mia adolescenza.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_240">[240]</span>
-</p>
-
-<p>
-È, fra tutti i paesi che vedete sparpagliati in questo
-bel pendio fiancheggiato dal monte di San Martino e
-dal Resegone, che stanno Acquate all’insù, a lido
-Pescarenico, ove seguirono tante interessanti scene
-del romanzo del sommo nostro Manzoni, fatto così popolare
-che non v’abbia persona che, giungendo a
-Lecco, non s’informi d’ogni luogo in quel libro mentovato.
-E così pure domanda ognuno dove sia il <i>Galeotto</i>,
-bella palazzina dove il Manzoni appunto dimorò
-tanto tempo quando attendeva a scrivere questa sua
-opera d’oro, e che sta a mano destra di Lecco, a poco
-più d’un quarto di miglia.
-</p>
-
-<p>
-Ma via, scendiamo dal battello che è approdato,
-tocchiamo la terra che ha tenuto parola al vaticinio
-di questo illustre scrittore, affrettandosi a diventare
-città; e la è infatti per attività di commerci, se non
-per ampiezza, e mettiamoci nel mercato, che già ferve
-da più ore.
-</p>
-
-<p>
-Gentili signore e molte nostre cittadine conoscenze
-lo percorrono su e giù. A che mai son venuti? Quale
-attrattiva li ha chiamati? Non è già la brama di ammirarne
-le derrate e le merci esposte; chi mai ad esse
-ha pensato? Per quanto siano peregrine le <i>robiole</i> o
-cacini di Introbbio, che Valsássina vi spedisce, non son
-esse di certo per cui sono accorse. Ma per che dunque?
-La voga. È detto che il mercato di Lecco sia una gran
-cosa, massime a’ sabati d’ottobre, e ognun vi corre che
-stia in villa, o lungo il lago, o nel vicino Pian d’Erba,
-o nella restante Brianza superiore. Gli è che ognuno
-serve di spettacolo all’altro: giugne una carrozza, ne
-giugne un’altra; gli uni attendono a vederne scendere
-<span class="pagenum" id="Page_241">[241]</span>
-gli altri; son persone che si conoscono, che si salutano,
-che si stringono la mano, si baciano, si scambiano notizie
-e complimenti; poi a braccetto si passeggia a
-veder altri, poi si parla e si sparla di tutto; si ingombra
-il caffè; si impegna a fermarsi per la sera al teatro,
-che per consueto ha in autunno buona compagnia
-di canto; poi, se sì, si va all’albergo, il <i>Leon d’Oro</i> o
-la <i>Croce di Malta</i>, forniti d’ogni comodità; se no, dopo
-un pajo d’ore, chi rimonta in carrozza, chi riascende
-il vapore; gli uni vanno di qua, gli altri di là, tutti
-ritornano alle loro ville a diffondere alla loro volta le
-notizie e i pettegolezzi uditi, e a domandarsi spesso:
-ma infine, che cosa v’era a Lecco? Perchè vi ci si
-va? — e malgrado che la risposta che ognuno si dà a
-sè stesso non contenga grande costrutto, pure il sabato
-successivo vi si ritorna. Andatevi dunque anche
-voi, o miei cortesi lettori.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_243">[243]</span></p>
-
-<h2 id="esc24">ESCURSIONE VENTESIMAQUARTA.
-<span class="smaller">VALMADRERA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti illustri. — La
-chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. — Valmadrera. — La Chiesa. — Il
-trovante utilizzato. — Le Cappelle della <i>Via Crucis</i>. — La villa
-del signor Egidio Gavazzi. — La villa del signor Pietro Gavazzi.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Essendomi proposto di condurre il mio lettore dal
-lago di Como al Pian d’Erba, dopo il mercato di Lecco
-non l’obbligherò a rifar la via del lago; ma traversatolo
-in carrozza sul bel ponte di sotto il quale esce l’Adda,
-volgiam verso Malgrate che fronteggia Lecco, dove
-sono belle ville, e il colle o promontorio che si spinge
-nel lago, il qual si mostra tutto verdeggiante pei giardini
-che vi si adagiano. Sul vertice di esso si signoreggia
-tutto il vaghissimo territorio; e presso vi sono
-sparse altre case signorili e ville, e il tenere de’ Fate-bene-fratelli
-di Milano, che qui, come a Valmadrera,
-vi ereditarono dai Mandelli.
-</p>
-
-<p>
-Sempre quegli eterni etimologisti pretendono far
-credere che Grato si chiamasse prima questa terra,
-ma che per una immane strage che vi fecero i Comaschi
-<span class="pagenum" id="Page_244">[244]</span>
-nel 1126, mutasse in quello di Malgrate il nome;
-non altrimenti, per l’opposto, era accaduto a Malevento
-ne’ primi tempi della romana repubblica che una
-fortunata battaglia facesse alla città cangiare il nome
-in Benevento, che serba tuttavia.
-</p>
-
-<p>
-In Malgrate han casa gli Agudio, ed era in essa che
-Giuseppe Parini, ospite del canonico Candido Agudio,
-scriveva gran parte del suo poema <i>Il Giorno</i>. Anche
-il poeta vernacolo Balestrieri, vi fu ospite festeggiato e
-vi conduceva la traduzione in versi milanesi della <i>Gerusalemme</i>
-del Tasso; nè certo vi sarà rimasta muta
-la musa del fecondissimo abate Passeroni, che pur vi
-conveniva.
-</p>
-
-<p>
-Nella chiesa parrocchiale, che sta nella parte più
-alta del paese, cerchiamovi i due bei dipinti di Cherubino
-Cornienti, rappresentanti l’Annunciazione della
-Vergine e la Natività, e vedendoli, si sente maggiore il
-rammarico che sì giovane ne sia stato il loro autore
-rapito da morte.
-</p>
-
-<p>
-Lasciato Malgrate, poco avanti si vede a man destra,
-ed adagiata sulle pendici boscose del monte, Valmadrera.
-È un grosso borgo industrioso per fiorenti
-setificî, massime quello de’ fratelli Gavazzi, e per ottima
-calce che vi si cava; e l’attenzione e curiosità vi
-son deste per una bella chiesa, sacra a Sant’Antonio,
-architettata nel 1814 da Simone Cantoni, con modificazioni
-dell’ingegnere Bovara di Lecco, e nella quale
-sono affreschi pregevolissimi di Luigi Sabatelli da Firenze,
-che vi dipinse la visione dell’Apocalisse, ed un
-quadro antico del Lomazzo; un Cristo e Sant’Antonio,
-scolture di B. Cacciatori; e per le magnifiche villeggiature
-<span class="pagenum" id="Page_245">[245]</span>
-del signor Egidio e del signor Pietro Gavazzi,
-a non dir di qualche altra del pari interessante. Nè
-van dimenticate le cappelle della <i>Via Crucis</i>, di cui
-due condotte pure a buon fresco dall’egregio pittore
-Vitale Sala da Cernusco Lombardone, che in queste
-parti lasciò altre memorie del suo vigoroso pennello.
-</p>
-
-<p>
-Nella chiesa, oltre i suddetti affreschi del Sabatelli,
-merita essere ricordato che le quattro colonne di granito,
-del diametro ciascuna di metri due e mezzo e dell’altezza
-di metri ventisette, che sorreggono il cornicione
-e la vôlta a mo’ di cupola o lucernario, si sono
-tratte da un trovante ch’era sul monte di Valmadrera,
-a 1200 piedi sul livello del lago, che equivale a 1854
-su quello del mare.
-</p>
-
-<p>
-Nella villa dei signori fratelli Gavazzi poi molte altre
-ragioni vi sono di curioso interesse.
-</p>
-
-<p>
-A parte la bella posizione sua, che dovette indubbiamente
-costare assai al suo proprietario, per superare
-le difficoltà della roccia e l’ineguaglianza del terreno;
-tanto la casa, o grandioso palazzo che dir si dovrebbe,
-quanto il giardino, sono d’una vaghezza incomparabile.
-E siccome non tutto boscoso è il monte che serve di
-sfondo, ma v’è anche molta scogliera nuda; così tutta
-questa delizia si direbbe suscitata dalla magica bacchetta
-d’una benefica fata, e il vario genere vi crea il
-più grazioso contrasto.
-</p>
-
-<p>
-L’arte addita nell’unito oratorio, che è una rotonda
-d’ordine corintio, un monumento eretto alla memoria
-di Giuseppe Maria Gavazzi, lodevole opera di Benedetto
-Cacciatori, e un quadro pure lodevolissimo di
-Giuseppe Sabatelli.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_246">[246]</span>
-</p>
-
-<p>
-Nel giardino è un bel laghetto, perocchè l’acqua vi
-accresca vita e bellezza: vi sono profonde e spaziose
-grotte, chioschi eleganti e capanne da pastore, macchie
-d’alberelli, sabbiosi sentieri, tappeti erbosi, piante peregrine
-e fiori; tutto insomma disposto con meravigliosa
-sagacità e buon gusto.
-</p>
-
-<p>
-Presso alla sala da pranzo e da essa, mediante
-un’acconcia vetriata, si vede il giardino detto d’inverno,
-dove sono adunate piante e fiori, che sappiano anche
-nella stagione inclemente fare di sè bella mostra. Abbandono
-il pensiero di venir passando in rassegna le
-varie peregrine vegetazioni per tema di voler parere
-botanico, non lo essendo. Noto per altro e le stufe opportunamente
-erette a grandi vetriate col sistema dell’ingegnere
-Balzaretti, che nel giardinaggio è veramente
-maestro, e la bella fontana.
-</p>
-
-<p>
-Se, in una parola, il lettore vorrà veramente pellegrinare
-a Valmadrera, pria d’entrare al vicino Pian
-d’Erba, vedrà che la villa dei signori fratelli Gavazzi
-sorpasserà di molto quell’aspettazione che le mie povere
-e disadorne parole gli avranno per avventura
-ispirata.
-</p>
-
-<p>
-Non si diparta allora da quella borgata senza visitare anche l’altra villa del signor Pietro Gavazzi. Dal
-suo belvedere, che domina il grazioso palazzo, gli
-verrà dato di ammirare un leggiadrissimo panorama,
-di genere affatto diverso da quelli che, dai culmini
-che già abbiamo insieme ascesi, ci accadde di vedere
-spiegati avanti di noi.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_247">[247]</span></p>
-
-<h2 id="esc25">ESCURSIONE VENTESIMAQUINTA.
-<span class="smaller">IL MONTE BARO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. — Ello. — Ville
-Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa Paolina. — La Bellavista
-del signor Cereda. — Galbiate. — Palazzi Brioschi e Ballabio. — La
-villa Sanchioli e l’eco polisillabo. — Case Curti e Riva. — La chiesa di
-S. Michele. — La lapide di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe
-archeologiche. — L’effigie
-immobile. — La Rôcca di Re Desiderio. — La fanciulla
-nel pozzo. — Il Monte delle Crocette.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Essere in questi dintorni, sentirsi di buona gamba
-e volontà di veder cose nuove e provar grate emozioni,
-e non ascendere a Monte Baro, è pressochè impossibile.
-Pellegriniamovi noi pure, amico lettore, più fortunati
-se avremo con noi, e meglio ancora se ci saranno
-compagne le signore, perchè allora più lieta,
-svariata e simpatica ci parrà la gita.
-</p>
-
-<p>
-Eleggiamo la via di Galbiate, che tornerà men faticosa.
-E tuttavia questo bel paese è sul ciglio del
-monte; ma appunto per questo sarà più divertente
-l’escursione nostra.
-</p>
-
-<p>
-Mano mano che si ascende, l’orizzonte si allarga. Il
-ridentissimo bacino dell’antico Éupili si distende innanzi
-a noi. È dall’alto che terrem conto di tutto; intanto le terre che su questo monte, o piuttosto collina
-<span class="pagenum" id="Page_248">[248]</span>
-si veggono, sono Bartesate e Villavergano; più sopra
-Figina, ove si vede una casa che apparteneva agli Umiliati,
-e quindi Ello, che conta diverse villeggiature
-amenissime de’ Prinetti, dell’Annoni, del signor Pasquale
-de’ Vecchi, la villa Paolina, fabbricata dal general
-Pino, e quella dei Riva, che ha un giardino da
-cui si vede da una parte l’Adda e dall’altra il Pian
-d’Erba, e sovratutto quella che già fu del signor Bonomi
-ed ora è passata all’ingegnere Cereda, che per
-me ha la più simpatica postura della Brianza, come
-quella che sorga sulla parte più alta e libera del paese
-e domini tutto un meraviglioso orizzonte di monti e
-di colli, di laghi, di paesi. L’han detta <i>La Bellavista</i>;
-ma siccome è un nome affibbiato troppo comunemente
-tra noi a qualunque luogo che appena abbia una
-spanna di prospetto o di sfondo, così non rende tutto
-l’incanto che realmente possiede. Ben architettato e
-comodo ne è il palazzo, e stupendamente da natura
-mosso e accidentato il giardino, anzi parco che le sta
-intorno, ricco di boschetti e rarità botaniche; insomma
-un vero Eden.
-</p>
-
-<p>
-Giunti a Galbiate, ci accorgiamo come questo colle
-separi la valle dell’Adda da quella dell’Éupili; perocchè
-dall’opposto versante veggasi appunto quel fiume,
-che uscito tale di sotto del ponte di Lecco, rasenta
-Olginate e va giù a Brivio. Il duplice orizzonte è pertanto
-un pregio di poche località; godiamolo nel mentre
-raccogliamo il vigore per compiere la gita montana
-che abbiamo intrapresa. Guardando giù per la parte
-donde siamo venuti, vediamo tutta una serie di laghetti:
-quel d’Oggionno e quel d’Annone, che ne è
-<span class="pagenum" id="Page_249">[249]</span>
-appena diviso da una lingua di terra che chiaman
-Isella; quindi quel di Pusiano, poscia a mano manca
-quel più piccolo di Alserio. Senza molto dubitare si
-può essere indotti a credere che un dì fossero tutti
-uniti in un sol lago, che Plinio denomina l’Éupili, e
-dal quale esce il Lambro, ch’egli chiama il <i>Flumen
-frigidum</i>, fiume freddo, che ha le proprie scaturigini
-tra le montagne della Vallassina.
-</p>
-
-<p>
-In Galbiate poi, passando innanzi a bellissime case e
-palazzi, si è tratti a chiedere a chi appartengano: e si
-sa che sono proprietarî i Brioschi d’un palazzo, che sta
-sulla piazza della chiesa, con magnifiche sale ed ampie
-cantine, e che già fu del barone Pietro Custodi, il continuatore
-della <i>Storia di Milano</i> di P. Verri e il dotto
-economista; d’altro i Ballabio, con magnifico giardino
-verso Oggionno, e dove si incominciarono scene dolorose
-di domestico dramma, nel quale era catastrofe
-l’affogamento d’un bambino e scena ultima la Corte
-delle Assise di Milano per lo snaturato suo padre;
-quindi la villa Sanchioli, dove esiste un eco polisillabo,
-che ripete persino un intero endecasillabo, e le case
-de’ Curti e dei Riva.
-</p>
-
-<p>
-Se accadrà al lettore di tornare altra volta in Galbiate,
-perchè oggi siam diretti a Monte Baro, girando
-intorno al colle verso la parte della valle dell’Adda,
-non lasci di visitare la chiesa di San Michele che sta
-sul pendio verso Lecco. La sua fondazione è attribuita
-a Desiderio, l’ultimo re longobardo, e vi godrà di altro
-nuovo orizzonte, perchè si vedrà in faccia tutto il territorio
-di Lecco e il corso serpeggiante dell’Adda.
-</p>
-
-<p>
-Prima di lasciare Galbiate, decifriamo la lapide che
-si vede sulla piazza della chiesa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_250">[250]</span>
-</p>
-
-<p>
-Essa suona così:
-</p>
-
-<p class="center">
-Libertas<br />
-Quæ toto non bene venditur auro<br />
-Labore lite prætio parta<br />
-Galbiatensi viciniæ ac finitimis oppidis<br />
-Regia concessione firmata tandem arrisit<br />
-Felix dies XVII junii anni MDCLXXI.<br />
-Que infeudationis ac omnis inferioris judicii<br />
-excusso onere<br />
-Populus hic sub potentiss. regis Hispaniarum<br />
-Vicaria potestate nempe mediolanensis Senatus<br />
-Se immediate redegit.<br />
-Tantæ exemptionis memoriæ<br />
-Quam Francisci Georgii Ottolini<br />
-Regiæ ducalis Cameræ notarii<br />
-Autentica scripta privatim asservant<br />
-Hujus lapidis retentivæ custodiæ<br />
-Publice resignantur<br />
-Die XVIII septembris anno MDCLXXI<a class="tag" id="tag28" href="#note28">[28]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Così impariamo che Galbiate, ch’era una volta dipendenza
-del feudatario della Pieve d’Oggionno, ebbe
-a comperare a’ 17 giugno 1671 la propria emancipazione.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_251">[251]</span>
-</p>
-
-<p>
-Ora ripigliamo la strada pel monte Baro. Essa è
-montuosa, ma non aspra, e presto vi si arriva.
-</p>
-
-<p>
-Figuratevi quanto s’esercitasse l’erudizione intorno
-a questo monte! S’è detto prima che su questa sua
-vetta, dove noi ci troviamo adesso, vi fosse nientemeno
-che una città e che questa si denominasse Bara, i cui
-abitanti andassero poi a fondare Bergamo. Gli è tutto
-un sogno codesto, chè nulla rimase che dia presa soltanto
-ad argomentare che qualche fondamento avesse
-di verità, dove s’eccettui il nome del monte. Ma pure i
-barbassori che misero innanzi tal fiaba, sono nientemeno
-che Plinio il Vecchio, il quale per altro ciò afferma
-sulla fede di un vecchio autore, che dice essere
-Catone. E a Bara e da’ suoi abitatori si vuole discesa
-tutta la famiglia briantea.
-</p>
-
-<p>
-Non so poi davvero di qual ragione possa valere a
-rafforzare questa pretesa la tradizione di quella vecchia
-e rozza effigie che si venerava quassù, e che essendosi
-tentata da’ divoti di rimovere, onde porla in
-luogo più dicevole ed accessibile, non solo non vi riuscirono,
-ma rimasero colpiti da cecità. Ciò riferirebbesi
-ad êra cristiana. Quella effigie fu rivolta a culto cristiano,
-e quei di Galbiate vi eressero anzi una chiesa,
-nel 1480, che poi ebbero i Francescani, i quali vi studiarono
-la riforma del loro ordine, e vi stettero finchè
-Giuseppe II, nel 1810, volle sbarazzarsi di frati e di
-conventi.
-</p>
-
-<p>
-Qui sul monte vuolsi ancora che re Desiderio vi
-avesse una rôcca; e qui davanti alla chiesa, non fan più
-di quattr’anni, che in quel pozzo che vi si vede, precipitasse
-un’inconscia fanciulla, credendo riparare entro
-<span class="pagenum" id="Page_252">[252]</span>
-il recinto di muro dalla furia d’una buféra. Dicono vi
-rimanesse inavvertita ben sette giorni, a capo de’ quali,
-venuti per cagion d’una festa gli apparatori e udendo
-ascendere da quella profondità un gemito, calati dentro
-vi rinvenissero viva ancora, sebbene intirizzita, la
-poveretta che sopravisse con meraviglia di tutti.
-</p>
-
-<p>
-La vista da questa altura è maravigliosa, più che
-per la sua estensione — perchè da oriente è arrestata
-dalle vette de’ monti che le stanno in faccia, — per la
-sua vaghezza. Le digradanti colline che le stan sotto,
-i laghi che sembrano gli bacino i piedi, quel di Lecco
-e l’Adda da una parte, e quei di Oggionno e d’Annone
-dall’altra; gli altri leggiadri bacini, la miriade di paeselli
-e di casali disseminati per la valle dell’Adda e
-dell’Éupili, prestano allo sguardo uno di que’ panorami
-che a parole mal si sanno descrivere.
-</p>
-
-<p>
-Una bella selva di faggi sussiste ancora, entro cui i
-buoni Francescani s’erano aperta un’incantevole via,
-che se serviva di delizioso passeggio a que’ frati, or
-vale a riposo di chi pellegrina a questa vetta.
-</p>
-
-<p>
-Più su si sale al cocuzzolo del monte, dove furono
-infisse nel suolo tre crocette, che si veggono stando al
-basso della valle e che a quel più alto vertice fan dare
-il nome di Monte delle Crocette. Ivi naturalmente si
-allarga ancor più l’orizzonte e spazia vieppiù la vista.
-</p>
-
-<p>
-Ma l’ora si è fatta alta, e la salita, l’aria sottile del
-monte ci hanno reso acuto l’appetito; mano alle provvigioni.
-Non dimentichi il lettore la purissima linfa
-del monte, e con Properzio gridi a chi lo serve:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Et puris manibus sumite fontis aquam.</i></p>
-</div></div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_253">[253]</span></p>
-
-<h2 id="esc26">ESCURSIONE VENTESIMASESTA.
-<span class="smaller">LA VALLE DELL’ORO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — Il re Desiderio
-e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — La Valle dell’Oro. — Barzaguta. — La
-cascata.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Come già notai in una precedente escursione, anche
-dai bastioni orientali della nostra Milano, fra quella
-lunga fila di montagne di cerulea lontananza che contermina
-l’orizzonte, si distingue quel monte che elevandosi
-in due acute punte, vien detto dei <i>Corni di
-Canzo</i>, dal bel paese che loro dà il nome, e che divide
-la Brianza dalla Vallassina. Era ad essi che Giovanni
-Torti, il poeta della <i>Torre di Capua</i> e dei versi che
-Manzoni additava come <i>pochi ma valenti</i>, faceva cenno
-in questi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O selvose montagne, o gioghi erbosi,</p>
-<p class="i01">O di lontan sovreminenti al verde</p>
-<p class="i01">Cornuti massi, o dolce aere vitale...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Come appendice di questo monte, si protende un bel
-declivio che vien morendo in riva al lago di Annone.
-Su questo allegro pendío si posa il villaggio di Civate,
-<span class="pagenum" id="Page_254">[254]</span>
-o Clivate, come appellavasi in addietro, derivando la
-propria denominazione dalla sua stessa postura.
-</p>
-
-<p>
-Fu già Civate una grossa terra, che v’ha chi pretende
-perfino essere stata una piccola città, argomentando
-da alcune vicinanze, come <i>Borneu</i>, che vorrebbe dire
-Borgo nuovo, Castello o Castelnovo e la Selva di
-Diana. Certo in tempi meno rimoti fu signoria degli
-Abbati Commendatori del monastero benedettino de’
-SS. Pietro e Calocero, il quale sorge a mezzo del monte
-che sovraggiudica il paese stesso, e la storia e la tradizione
-hanno lasciato e all’eremo ed alla chiesa tutto
-ancora quell’interesse che pur l’avevano allorquando
-l’abbazia era nel pieno suo fiore.
-</p>
-
-<p>
-Per chi amasse conoscere per filo e per segno della
-origine del cenobio e della chiesa, degli scrittori che
-ne han parlato, fra’ quali Tristano Calco ed il Fiamma,
-Bernardino Corio e Ripamonti, per non dire dei
-tanti altri, farà bene a consultare le <i>Memorie storiche</i>
-che pubblicava l’abate Longoni<a class="tag" id="tag29" href="#note29">[29]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Tutti i cronisti, scrive codesto autore, citando il
-Corio, concordano quindi nell’affermare che Desiderio,
-l’ultimo re longobardo, innalzasse la chiesa di S. Pietro
-per compiere il voto per la guarigione del figlio
-Adalgisio od Adelchi, come lo chiama il Manzoni. Desiderio
-amava oltremodo questo suo figlio, che viene
-dipinto da Paolo il Diacono, da Varnefrido e da Manzoni
-<span class="pagenum" id="Page_255">[255]</span>
-stesso come duce valoroso; e lo avea in tanta considerazione,
-da chiamarlo a parte del regno, dividendo
-con esso lui gli onori ed il peso della corona.
-</p>
-
-<p>
-Il Corio narra come Desiderio, dopo la sconfitta
-avuta da Adriano a Spoleto, oppure, come meglio si
-vuole, dopo la fuga e la rotta de’ Longobardi dispersi
-dall’esercito franco, si ritirasse colle sue genti ne’ monti
-della Brianza ad un luogo detto Montebaro, dove si
-fortificasse in modo che di un monte solitario fosse divenuta
-una vera città opulenta. È quindi probabilissimo,
-inferisce il Longoni, che trovandosi in que’ luoghi
-andasse a caccia per quei circonvicini monti, che a
-quell’epoca erano per le folte selve abbondanti di selvaggina,
-e che abbattutosi Algiso in qualche fiera, che
-viene chiamata nelle cronache porco selvatico (cinghiale),
-o fosse assalito da essa, o nell’ucciderla restasse
-offeso dalle armi proprie o da quelle di altro
-cacciatore di lui seguace. Forse i monaci Benedettini,
-che si erano già sparsi nell’Italia e stabiliti negli eremi
-i più solitari, soccorsero il giovane Algiso o Adelchi
-nella sua sventura e lo curarono con affetto; per cui
-re Desiderio, mosso dalla premura da essi addimostrata,
-fece loro erigere una chiesa più vasta di quella di San
-Benedetto, che forse già esisteva, e la dotò di beni.
-</p>
-
-<p>
-Ma il Corio stesso riferiva supposizione diversa,
-quella cioè che il Fiamma aveva diggià udito.
-</p>
-
-<p>
-“Questo tempio fece edificare Desiderio a similitudine
-della Chiesa Pontificale in Roma. Et la cagione
-intervenne che, andando un dì Algisio, suo figliuolo,
-con assai comitiva et gran numero di carri alla caccia
-di porci (cignali) su quel monte dove è edificato il
-<span class="pagenum" id="Page_256">[256]</span>
-tempio, a caso ferendo un porco, di subito, per divina
-volontà, divenne cieco. La qual cosa intendendo il padre
-il votò a S. Pietro ad honore di cui, al figliuolo
-essendo ritornato il vedere, nel monte predetto fece
-edificare il memorato tempio e quello dotò di honoranti
-redditi, siccome nei suoi privilegi si contiene e
-per li quali si vede ancora la indulgenza che Adriano
-pontefice gli concesse.„
-</p>
-
-<p>
-La quale opinione dello storico milanese riceve il
-suo valore dalla popolare tradizione che ancora sussiste:
-perocchè i molti devoti che traggono a quella chiesa
-sogliano lavare gli occhi in una fonte di acqua viva
-che scaturisce presso alla stessa, e che pretendono sia
-pur quella che rese la vista all’infelice Adelchi.
-</p>
-
-<p>
-Ma che c’entrano, chiederà il lettore, tutte queste
-leggende colla Valle dell’Oro, di cui vi siete proposto
-di dire?
-</p>
-
-<p>
-— C’entrano sì, o discreto lettore.
-</p>
-
-<p>
-Perocchè, se visitando il Pian d’Erba, piace a te per
-avventura fra le cose meglio interessanti salire a que’
-venerabili avanzi dell’antico, dove tanta storia di nostra
-casa si può imparare, e sarà certo fra’ tuoi migliori
-partiti che ti allegrino il delizioso soggiorno, una delle
-due vie che vi conduce, transita appunto per la piccola
-Valle che si denomina dell’Oro; ed io, ponendoti
-al giorno della pietosa tradizione che ancor ripetesi
-dalla buona gente della montagna, ho pensato meglio
-invaghirti a salire per l’erta scabrosa, prendendo quel
-sentiero che parte da Civate, anzi che dal più agiato
-viottolo che dalla Croce così detta di Pieve mette fra
-dirupi e cespugli alla medesima meta.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-256b"></a>
- <img src="images/ill-256b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Valle dell’Oro.</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_257">[257]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’orrido pittoresco della Valle dell’Oro è del più
-bello artistico che immaginare si possa. Perchè chiamata
-dell’Oro, non è presto detto, variando al proposito
-le sentenze. V’ha chi attribuisce questo nome alle
-molte piante d’alloro di cui tutta quanta era un tempo
-disseminata; v’ha chi pensa esistesse un giorno qualche
-aurifera miniera, ma di traccie non se ne riscontrano;
-v’ha chi poi lo vorrebbe derivare — e potrebbe
-essere probabile — dal cognome di alcuna famiglia che
-là ebbe un giorno a possedere. Ma di siffatte investigazioni
-non credo possa venirne utile a chichessia e
-però passo oltre.
-</p>
-
-<p>
-Presso al poggio, designato da quei del paese col
-nome di <i>Barzaguta</i> (balza acuta), si discende verso un
-torrente, le cui acque nella caduta mettono in movimento
-mulini e filatoi. Poco dopo ne si para dinanzi
-una magnifica cascata, quella appunto di che or ti si
-offre il disegno. Il fondo di questa incantevole scena è
-costituito da due altissime e smisurate roccie, e le acque,
-precipitando spumeggianti e rumorose, formano
-nel letto del torrente un bel bacino. Al piede di esso
-l’occhio si perde in una gola oscura, attonito dapprima
-per le dirupate frane e pei pensili massi che sembrano
-ad ogni istante rovinare, e se mai ti piglia il talento
-di ascendere al sommo della cascata, una rozza gradinata
-praticata nella roccia ti agevola la salita.
-</p>
-
-<p>
-Oh sì, fra tanto frastuono delle acque cadenti, e fatto
-maggiore dagli echi che si ripercuotono, l’anima nostra
-è compresa da un insolito sentimento fra la meraviglia
-e l’orrore; gli svariati effetti di luce, le tinte ora cariche,
-ora sfumanti della intera scena, e quelle ombre,
-<span class="pagenum" id="Page_258">[258]</span>
-che i pittori chiamerebbero <i>portate</i>, e il cupo verde
-de’ cespugli, e il gruppo degli alberi, e l’enormità de’
-macigni, ne ingigantiscono così quelle sensazioni che
-ognun si sente quasi incatenato al luogo e mal si sa
-togliersi di colà.
-</p>
-
-<p>
-Il geologo poi in quest’orrido della Valle dell’Oro
-studia uno dei fatti più curiosi della sua scienza; cioè
-il gran banco madreporico, anzi muraglia di corallo
-che si stende per tutta la Lombardia, dove mal distinto
-dalla dolomia bianca e grigia che può dirsi azoica,
-dove conservando le forme di polipaio.
-</p>
-
-<p>
-Valle dell’Oro è pur chiamato quel povero gruppo
-di capanne, al quale scorge il sentiero che percorre la
-costa della rupe, e se il cammino scabroso ti ha fatto
-stanco, una polla di limpida e fresc’acqua colà ritrovi
-che ti ristora dall’arsura e ti fa cuore a terminare
-l’aggradevole pellegrinaggio.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_259">[259]</span></p>
-
-<h2 id="esc27">ESCURSIONE VENTESIMASETTIMA.
-<span class="smaller">LA CASA DEL PARINI.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San Fermo. — Bosisio. — La
-Chiesa e l’Oratorio — Casa Banfi. — Monumento ad Appiani
-e Parini. — Uno stregone dei tempi antichi. — La casa del Parini. — Lapide
-commemorativa. — Onta lavata.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Discendendo dall’altura di Civate, rasentati i laghi
-d’Oggionno e di Annone, de’ quali il lettore s’è già
-intrattenuto per averli veduti dalle vette di Galbiate
-e di Monte Baro, pigliamo la via che mena a Bosisio,
-chè oggi la nostra escursione è un caro pellegrinaggio
-alla casa in cui nacque quell’intemerato intelletto di
-Giuseppe Parini, che fu tanto lume delle italiane lettere
-e che si recò a sommo di gloria il poter dire
-di sè:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i12"> Io volsi</p>
-<p class="i01">L’Itale Muse a render saggi e buoni</p>
-<p class="i01">I cittadini miei<a class="tag" id="tag30" href="#note30">[30]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Vediamo da lungi Annone, che dà nome al lago, ma
-che non ha importanza speciale, malgrado la bella
-<span class="pagenum" id="Page_260">[260]</span>
-chiesa che vi sorge su disegno del Bovara, di stile jonico.
-E ad Annone dicono sia venuto il nome da uno
-dei trenta duchi longobardi. Se sul Monte Baro e in
-Civate la tradizione ricorda la presenza in questi luoghi
-di Desiderio e di Algiso, nulla di più facile che
-anche un altro duce di loro razza sia qui stato e abbia
-lasciato a’ posteri memoria di sè in questo paese.
-</p>
-
-<p>
-A mano destra, e addossata alla montagna, è quella
-parte di territorio che si denomina ancora la <i>Squadra
-dei Mauri</i>, e anche qui la tradizione spiega la denominazione,
-pretendendo stabilita qui una colonia di
-Mori... ma in qual tempo? Se ne tolgono d’impaccio
-questi fabbricatori di storia, rispondendo: al tempo
-delle invasioni, che io mal saprei definire ancora
-quando fosse, ignorando davvero che i Mori facessero
-mai invasioni nelle nostre parti e molto meno in queste.
-Compresa in tale Squadra è Cesana o San Fermo,
-come più propriamente si nomina, terra vaghissima e
-ferace, e che si han più dati per ritenere che avesse
-un giorno una maggiore importanza.
-</p>
-
-<p>
-Poi via trascorriamo Suello, e di contro a Cesana,
-pria di giungere a Pusiano, volgiamo a manca, e dopo
-breve cammino, girando pur alquanto intorno al lago
-di Pusiano, salutiamo Bosisio.
-</p>
-
-<p>
-Un dì, e non è molto, era poverissima terra; ora il
-comune è de’ più ricchi, grazie alle torbiere che si trovano
-sul suo, e che gli fruttarono e fruttano tuttavia
-una ingente moneta. Ogni fuoco di questo paese ha
-diritto ad una parte di torba; nè avviene qui ciò che
-altrove di queste parti si lamenta, che cioè i nullatenenti
-e i vagabondi si caccino nell’altrui per i boschi
-<span class="pagenum" id="Page_261">[261]</span>
-a far legna. E sovrabbonda in tanta quantità la torba,
-che ne può esser venduta con larghissimo ed annual
-beneficio.
-</p>
-
-<p>
-Tuttavia, malgrado l’antica povertà, non era l’arte
-nome affatto straniero in Bosisio, se nella sua chiesa
-parrocchiale ti veniva mostrata come preziosità una
-tavola dipinta da Gaudenzio Ferrari, una tela di quel
-più recente ma esimio artista Vitale Sala, di cui vedemmo
-già a Valmadrera due freschi, ed un’altra del
-Narducci nell’Oratorio di casa Appiani, architettato dal
-valente Moraglia, dove era un bellissimo quadro del
-sullodato Vitale Sala, rappresentante l’Annunciazione
-di Maria Vergine; e finalmente nella casa del signor
-Banfi, dove io fui l’ospite benvenuto nel 1845, si trovava
-che il colto proprietario aveva nel suo grazioso
-giardino, che digradava al lago di Pusiano, eretto monumento
-a due illustri che da Bosisio eran partiti a far
-parlar alto di sè stessi il mondo; ad Andrea Appiani,
-giustamente chiamato il <i>Pittor delle Grazie</i>, ed a Giuseppe
-Parini. E siffatta reverenza dimostrava il Banfi
-quando non s’era per anco da alcuno pensato a mettere
-pure una pietra commemorativa là dove l’illustre
-Poeta era nato ed aveva abitato; e su di quel monumento
-scolpiva i versi di lui, ne’ quali entrambi sono
-così rammentati, e son questi:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Te di stirpe gentile</p>
-<p class="i02"> E me di casa popolar, cred’io,</p>
-<p class="i02"> Dall’Éupili natio,</p>
-<p class="i02"> Come fortuna variò di stile,</p>
-<p class="i02"> Guidaron gli avi nostri</p>
-<p class="i02"> De la città fra i clamorosi chiostri.</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_262">[262]</span></p>
-<p class="i01">E noi dall’onde pure,</p>
-<p class="i02"> Dal chiaro cielo e da quell’aere vivo</p>
-<p class="i02"> Seme portammo attivo</p>
-<p class="i02"> Pronto a lavarne da le genti oscure,</p>
-<p class="i02"> Tu Appiani col pennello,</p>
-<p class="i02"> Ed io col plettro seguitando il bello<a class="tag" id="tag31" href="#note31">[31]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Dirò di più a chiarire la noncuranza. In quell’occasione
-mi rammento che, visitato per la prima volta il
-Pian d’Erba, all’incantevole vista de’ suoi facili colli,
-de’ suoi ridenti paesi, de’ tranquilli suoi laghi, m’erano
-venuti spontanei sul labbro i versi del cantore del
-<i>Giorno</i>, della satira mordace e potente, ma elegante e
-in guanti gialli, che così questi suoi luoghi salutava,
-quando, stomacato della vita politica e cittadina, faceva
-ad essi ritorno:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Colli beati e placidi</p>
-<p class="i02"> Che il vago Éupili mio</p>
-<p class="i02"> Cingete con dolcissimo</p>
-<p class="i02"> Insensibil pendio,</p>
-<p class="i02"> Dal bel rapir mi sento</p>
-<p class="i02"> Che natura vi diè,</p>
-<p class="i02"> Ed esule contento</p>
-<p class="i02"> A voi rivolgo il piè<a class="tag" id="tag32" href="#note32">[32]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E allora, trovandomi a Bosisio, andai percorrendo
-tutto il paese, cercando quale delle umili casette che lo
-costituivano sarebbe stata quella in cui schiuso aveva
-gli occhi alla vita il grande poeta; e come che nessuna
-<span class="pagenum" id="Page_263">[263]</span>
-mi paresse tale da invitarmi a chiedere se quella fosse,
-una comare, cui finalmente mi rivolsi perchè il mio
-desiderio facesse pago, incominciò a sbarrarmi gli occhi
-in faccia, maravigliata dallo intendere il nome di
-Parini; poi, quasi vergognando ch’io, straniero, fossi
-di lei più esperto del paese, come se raccogliesse in
-quel punto tutte le sue memorie, finì col dirmi sbadatamente:
-</p>
-
-<p>
-— Sì, sì; era uno stregone dei tempi antichi.
-</p>
-
-<p>
-Quindi, crollando il capo, mi significò che di più non
-avrebbe saputo aggiungervi, e molto meno dove fosse
-la casa de’ suoi padri.
-</p>
-
-<p>
-Povero Parini! Uno stregone!
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-262b"></a>
- <img src="images/ill-262b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Casa del Parini.</p>
-</div>
-
-<p>
-Pure la natale casetta scoprii finalmente a furia
-d’inchieste e d’induzioni; nè presi errore, da che due
-anni dopo, quando il sentimento della italiana rigenerazione
-parlò potente al cuore di tutti, e cercavamo
-raffermarci ne’ propositi santi e generosi col rimettere
-in onore le glorie del paese, e massime quelle che avevano
-gittato negli animi nostri il germe di essi, nelle
-opere del loro ingegno a noi lasciate, si impose il nome
-di Parini alla via dove sorgeva, e su di essa, in una
-solenne festa, fra un concorso infinito di popolo e di
-villani che non avevano mai sognato prima chi si fosse
-e pur allora ne capivano verbo, e fra letture di prose
-e di versi in onore di lui, fu collocata una lapide che
-recava sculte le seguenti parole:
-</p>
-
-<p class="center">
-<span class="smcap lowercase">A GIUSEPPE PARINI<br />
-GLORIA DELL’INGEGNO LOMBARDO<br />
-CHE NUOVI SENTIERI APRÌ<br />
-ALL’ITALICA POESIA<br />
-<span class="pagenum" id="Page_264">[264]</span>
-E LA FE’ POTENTE INTERPRETE<br />
-D’ALTI PENSIERI E DI SDEGNI MAGNANIMI<br />
-DERISOR SUBLIME DE’ FIACCHI COSTUMI<br />
-BANDITOR SINCERO DELLE VERITÀ PIÙ UTILI<br />
-MAESTRO D’UNO STILE PELLEGRINO TEMPERATO<br />
-CHE OBBEDISCE AL CONCETTO E GLI CRESCE ENERGIA<br />
-ALCUNI ESTIMATORI<br />
-PERCHÈ QUI DOVE POVERAMENTE NACQUE<br />
-E PRIMA S’ISPIRÒ NEL RISO<br />
-DI CIEL SÌ LIETO<br />
-ABBIA IL NOME DI LUI PERENNE OSSEQUIO<br />
-P. NEL MDCCCXLVII.</span>
-</p>
-
-<p>
-L’iscrizione, a mio avviso, avrebbe fatto meglio ad
-essere più concisa, e ricordar invece il dì in cui il
-grande cittadino e poeta nasceva. Avrebbe almen giovato
-a qualche cosa.
-</p>
-
-<p>
-Ad ogni modo la generazione presente ha lavata
-l’onta che Foscolo gittava al volto della città che l’ospitava,
-ch’egli acremente chiamava ne’ <i>Sepolcri</i>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i09"> lasciva</p>
-<p class="i01">D’evirati cantori allevatrice,</p>
-</div></div>
-
-<p>
-perchè non ombra, non pietra, non parola avesse posto
-a Parini: Milano, nel suo palazzo di Brera, rizzavagli
-maestoso monumento, affiggeva memore lapide
-sulla casa che l’aveva albergato e dava il nome di lui
-ad una nuova sua via.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_265">[265]</span></p>
-
-<h2 id="esc28">ESCURSIONE VENTESIMOTTAVA.
-<span class="smaller">L’ISOLA DE’ CIPRESSI.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in Italia. — Un mio processo. — Armi
-di pietra e palafitte lacustri. — Pusiano. — Villa Conti. — Scene
-di superstizione. — La Processione del Venerdì Santo. — L’Isola
-de’ Cipressi. — Il romanzo di Bertolotti.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Se vivo ancor fosse quell’eccellente uomo di Banfi,
-presso cui, vi dissi, ospitai nel 1845, non rifacendo
-più la via che ne condusse a Bosisio, dal giardino suo
-saremmo montati nella barchetta che vi stava legata,
-per pigliare il largo su questo lieto e tranquillo lago
-di Pusiano, onde condurci al paese che sta quasi di
-fronte e che gli diede il nome; ma di lui non resta
-che la buona memoria in chi lo conobbe d’anima
-aperta e cortese. Qui s’era ritirato a fruire d’una vita
-calma, dopo aver assistito a’ burrascosi avvenimenti
-che chiusero l’êra napoleonica e condussero sciaguratamente
-in Lombardia l’austriaca dominazione, che le
-pesò sul collo per quarantacinque anni; qui gli consolava
-gli estremi giorni l’amore d’una figliuola e qui
-costei vi soggiorna ora colla corona de’ suoi figliuoli.
-</p>
-
-<p>
-Ritorniamo adunque per la strada primitiva. In pochi
-minuti il lago ci riappare.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_266">[266]</span>
-</p>
-
-<p>
-Il suo bacino non è grande siccome un giorno,
-quando abbracciava tutto quello spazio che segnano
-da una parte il lago, ora detto d’Oggionno, e dall’altra
-quello d’Alserio; esso è quanto avanza del vecchio Éupili;
-ma se ha perduto in vastità, ha guadagnato, a
-mio credere, in vaghezza. Dall’una sponda corre l’occhio
-all’altra, e tutti si veggono e contano i paesi che
-vi seggono in riva e lo circondan dappresso.
-</p>
-
-<p>
-È inoltre pescoso, e vi si raccolgono specialmente
-anguille e lucci, tinche e barbi, arborelle e carpi, e
-vi si potrebbe ottenere di meglio, se la piscicoltura non
-fosse tra noi sì poco curata, o se fosse vissuto più a
-lungo quel Giuseppe Conti, che qui con molto amore
-la coltivava.
-</p>
-
-<p>
-Fu su questo lago che, nel 1820, per la prima volta
-in Italia fu visto un battello a vapore; ma al sospettoso
-governo d’allora, a quel governo che giunse a farmi
-sul serio un processo criminale nel 1855, per <i>perturbazione
-della pubblica tranquillità contro il nesso politico
-dell’impero</i> (!), per avere scritto che il finale del
-terzo atto del <i>Profeta</i> di Meyerbeer era una <i>ladra cosa</i>,
-essendosi capito ch’io aveva voluto alludere all’inno
-nazionale austriaco di Haydn, da cui quel finale aveva
-tolto qualche nota; a quel governo parve che il battello
-a vapore potesse essere invece qualche macchinazione
-che coprisse mene di carbonari; e il battello un
-bel dì fu riportato via.
-</p>
-
-<p>
-La scienza ha intorno a questo lago fatto qualche
-scoperta importante. Da un opuscolo pubblicato da quel
-dotto naturalista che è Antonio Villa, e che ha per
-titolo: <i>Gite malacologiche e geologiche nella Brianza e
-<span class="pagenum" id="Page_267">[267]</span>
-nei dintorni di Lecco</i>, negli <i>Atti della Società italiana
-di scienze naturali</i> (vol. IV, fasc. 6, 1863); non che dal
-<i>Fotografo</i> del 2 agosto 1856, in un articolo dei fratelli
-Antonio e G. B. Villa, rilevai come nella torba di Bosisio
-venne trovata dal signor Federico Landriani, alla
-profondità di circa tre metri dalla superficie, una scure
-riferibile, secondo l’archeologo prof. Biondelli, ai tempi
-del primo secolo dell’Impero Romano, di buon metallo
-e ben lavorato; e meglio ancora si rinvennero diverse
-punte di freccia, dell’epoca dei Galli Celti, di silice, e
-quindi della più remota antichità, quando cioè ancora
-non si conosceva l’arte di lavorare in ferro. Freccie
-di pietra silice si rinvennero anche nelle torbiere
-del lago, nel luogo detto Comarchia, assieme ad altri
-arnesi; e l’abate prof. Antonio Stoppani, presso a quest’Isola
-de’ Cipressi, nello stesso bacino del lago, trovò
-indizi di palafitte, ciò che potrà fornir lume a chi s’intrattiene
-intorno alle abitazioni lacustri degli antichi
-popoli.
-</p>
-
-<p>
-A capo del lago siede la terra di Pusiano. Il palazzo
-che vi si vede d’una architettura secentista, apparteneva
-ai marchesi Carpani; poi fu comperato dall’Arciduca
-Ferdinando d’Austria, che di questi luoghi si
-piaceva e vi veniva a villeggiare; e da ultimo venne
-alle mani de’ signori Conti, che vi aprirono una capace
-filanda. Apparteneva ad essi anche il lago, dal quale
-ho già detto esce il Lambro presso Mojana, che poco
-prima vi si era intromesso, ed ora è stato acquistato
-dal Comune di Bosisio.
-</p>
-
-<p>
-Altro d’interessante non saprei trovare in Pusiano
-oltre i suoi bellissimi dintorni, dove non fosse che per
-<span class="pagenum" id="Page_268">[268]</span>
-segnalare la buona fede e l’ignoranza de’ suoi terrieri
-sfruttata da’ chiesastri, che alle spalle d’una <i>Teresotta</i>,
-volgarmente conosciuta sotto il nome di <i>Calimera</i> e
-d’una sua sorella, <i>Angiolina</i>, che danno a bere d’essere
-ispirate da Dio, e tenute per sante, le si lasciano
-catechizzare in piazza e nella parrocchia, e per le
-quali traggono credenzoni da tante parti a portarvi
-regali e denaro, che scialano in pranzi ed in gallorie.
-Qual meraviglia allora che ivi pure si creda alla ciurmeria
-d’un’altra santocchia, nomata <i>Peppinetta</i>, che
-fa credere di vivere senza bisogno di nutrimento? Di
-queste tre, la più <i>astuta</i> è la <i>santa Calimera</i> (la serva
-del Curato), e come tale è anche la prediletta, ed ogni
-anno viene, con pubblica solennità, sposata a Gesù
-Cristo. Ella è poi quella che ha saputo e sa infondere
-tale fanatismo nelle masse ignoranti, che guai a chi
-osasse dir male di lei: quello sarebbe un uomo perduto,
-come lo fu un certo Bosisio, di Morchiuso, che,
-ad istigazione degli aderenti di quella santa, molti vogliono
-che sia stato ammazzato in mezzo ad una campagna,
-quantunque i partigiani della <i>santa</i> andassero,
-come vanno tuttavia gridando che sia morto di coléra
-fulminante. Tanto è vero quanto cantò Lucrezio:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Religio peperit scelerosa atque impia facta.</i></p>
-</div></div>
-
-<p>
-Compirò il quadro della superstizione che qui ha
-attecchito, riferendo i particolari fornitimi da un mio
-caro amico della processione del Venerdì Santo, da
-lui veduta nell’anno 1870, e che ha la somiglianza
-tutta d’una indecente mascherata.
-</p>
-
-<p>
-La processione veniva aperta da un picchetto di
-<span class="pagenum" id="Page_269">[269]</span>
-guardia nazionale, che a giusto titolo dovrebbe chiamarsi
-<i>guardia del sepolcro</i>, perocchè all’infuori di
-questo giorno essa non esista che sui ruoli. — La
-musica d’Asso, dall’uniforme inglese, dalle spalline
-di maggiore, dall’elmo polacco e dalla durlindana
-di dragone, la seguiva facendo risuonare l’aere di
-mesti concenti e di marcie funebri. — Subito dopo
-veniva la Confraternita di bianco e rosso vestita, tenendosi
-in mezzo qual prigioniero un eremita, che, mi
-si dice, rappresenti S. Miro. — Poi una miriade di
-angioletti, portanti ciascuno una lunga asta, in cima
-alla quale vi sono i diversi arnesi della passione, vale
-a dire, tamburo, dadi, martello, tenaglie, chiodi, corona
-di spine, spugna, ecc. ecc., insomma una bottega
-ambulante di giocattoli. — Coperta la faccia di un fitto
-velo, ed a piedi nudi imbrattati di fango, e di qualche
-altra cosa, un <i>ex gendarme austriaco</i> faceva da Cireneo,
-portandosi sulle spalle una pesantissima croce.
-</p>
-
-<p>
-Qui faccio una digressione per dire che per avere
-l’onore di rappresentare il Cireneo e portare la croce,
-si tiene un’asta pubblica, che in quest’anno subì un
-forte ribasso, e fruttò alla Santa Bottega soltanto
-L. 5.20, ultima offerta fatta dall’<i>ex gendarme</i>, mentre
-l’anno antecedente fu deliberata ad un pizzicagnolo
-per lire 20.
-</p>
-
-<p>
-Ora torniamo alla processione. — Il Cireneo ex gendarme,
-che un tempo scortava gli altri, quel venerdì
-era egli scortato da molti Giudei, faccie proibite, dalla
-barba posticcia, e vestiti alla spagnuola con elmo romano,
-meno uno che invece dell’elmo ha creduto meglio
-mettersi un kepì della nostra artiglieria. Alcuni
-<span class="pagenum" id="Page_270">[270]</span>
-di questi moderni Giudei tenevano le loro lancie rivolte
-con posa comica, mimica e tragica al Cireneo, nella
-tema che fuggisse per le campagne col dolce peso dei
-due travi formanti una croce; ed il rimanente appuntava
-le proprie lancie contro un uomo tutto vestito di
-rosso, dai capegli e barba di canapa, dai piedi scalzi
-trascinantesi una grossa catena, che, se non vado errato,
-doveva essere tolta poche ore prima dalla greppia
-di una stalla. Costui raffigurava il Cristo che saliva
-il Golgota, ma non era il Cristo falegname, bensì un
-Cristo ciabattino.
-</p>
-
-<p>
-Seguiva il Cristo un’altra Confraternita con alla
-testa S. Carlo in abito vescovile ed armato di pastorale.
-Alla Confraternita tenevan dietro alcuni vessilli
-neri, ed il <i>Velo del tempio</i>, portati da uomini vestiti
-in nero.
-</p>
-
-<p>
-Un’altra musica, quella del signor Perego di Cremnago,
-faceva eco alla prima coi suoi funerei concenti.
-Intanto i preti esilarati da quella musica intuonavano
-e cantavano il <i>Vexilla regis prodeunt</i>.
-</p>
-
-<p>
-Sotto poi un elegante baldacchino veniva portato da
-quattro uomini, vestiti alla foggia di sacerdoti pagani,
-il cadavere di Cristo, di modo che nella stessa processione
-vi si vedevano due Cristi: vivo l’uno, l’altro
-morto.
-</p>
-
-<p>
-Le tre Marie seguivano la bara, e dietro ad esse si
-scorgeva un nugolo di Santi, tutti in costume, e tra
-questi qualcuno di mia conoscenza, cioè, S. Luigi Gonzaga,
-S. Ambrogio, S. Maria Maddalena, S. Caterina
-da Siena, S. Margherita da Cortona, ecc. ecc.
-</p>
-
-<p>
-Quella però che ha fatto destare maggiore ilarità
-<span class="pagenum" id="Page_271">[271]</span>
-nel pubblico profano, e che, <i>incredibile dictu</i>, ha fatto
-ridere la stessa Madonna Assunta che le stava di dietro,
-fu Santa Rita, la quale sentendosi pungere le
-tempie dalla corona di spine che cingevale la testa,
-dimenticava la propria santità, e, come gli altri mortali,
-mandò acuti lai, infino a che gliela accomodarono
-per benino ed in modo da non risentirne più dolore.
-</p>
-
-<p>
-Chiudevano il corteo tutte le Madonne e gli Angeli
-d’ogni specie. L’Assunta la vedevi colle braccia alzate
-ed in atto di volare al cielo. L’Addolorata, con sette
-pugnali nel petto, teneva lo sguardo rivolto a terra,
-ed era immersa in profondo dolore. L’Immacolata tutta
-sorridente mostrava d’essere in un’estasi paradisiaca.
-</p>
-
-<p>
-La processione ritornò in chiesa, e poco dopo il Cireneo,
-il Cristo, i Giudei, gli Angioli, i Santi e le Madonne
-ridiventarono semplici mortali, contenti di aver
-dato alla Santa Bottega il loro obolo per aver fatto la
-loro parte in commedia.
-</p>
-
-<p>
-Innanzi a tutte queste giullerie, indegne dell’età
-presente, d’una cosa almeno si ha diritto di chiedere:
-e l’autorità intanto che fa?
-</p>
-
-<p>
-Era peccato che su queste sponde del lago non vi
-fossero belle imbarcazioni, onde mai non vi si vedessero
-sopra signori a diporto. Era appena se si poteva
-trovare qualche barchetta da pescatore per remigare
-all’isola de’ Cipressi, che unica sta nel mezzo di esso
-e che abbiamo eletta per iscopo della presente escursione.
-A cotale difetto pensò rimediare il Comune di
-Bosisio, che, volgendo la ricchezza procacciatagli dalla
-torba a migliorare le proprie sorti, vi stabilì eleganti
-navicelli che invitano ad ascendervi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_272">[272]</span>
-</p>
-
-<p>
-Voghiamo quindi adesso a questa graziosa isoletta.
-Non ha che l’estensione di ventiquattro antiche pertiche.
-Gli alti cipressi e pioppi, che si vedono sorgere
-come dall’onde, vi vennero piantati verso il 1770 dal
-proprietario di essa, marchese Molo, onde assunse il
-nome da quelli alberi, l’Isola de’ Cipressi. Il sullodato
-signor Giuseppe Conti, che vi fu dopo il proprietario,
-non son molt’anni ne aveva all’estremità praticato
-un taglio per istabilirvi un vivajo di pesci, studiosissimo
-com’era, e come più sopra ricordai, di piscicoltura.
-Nell’isola, del resto non si vedono ora particolarità
-maggiori delle ombre amiche che invitano a riposo
-nelle ore più calde del giorno: <i>frigus captabis opacum</i>,
-e dell’indistinto piacere che si prova di ritrovarsi in
-piccol luogo tutto recinto dalle acque.
-</p>
-
-<p>
-Da qui tuttavia, Davide Bertolotti, sentimentale
-scrittore e poeta, immaginò un suo gentile romanzo,
-che intitolò appunto <i>L’Isola de’ Cipressi</i>.
-</p>
-
-<p>
-Il Comune di Bosisio non farebbe, credo io, opera
-vana ed infeconda, traendo maggior profitto dalla bella
-isoletta, erigendovi qualche casetta e trattoria. Sarebbe
-certo attrattiva maggiore a visitarla, sarebbe
-richiamo pei villeggianti, che ne farebbero meta di
-passeggiata e di divertimento. Sapere, come adesso si
-sa, che nell’isola non c’è albergo, a pochi entra in
-capo di andarvi. Le vaghissime isole del Verbano, perchè
-fornite di case e di alberghi, sono da tutti frequentate
-e levate a cielo, come gemme di quelle acque;
-e perchè non lo potrebbe essere di queste l’Isola de’
-Cipressi?
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-272a"></a>
- <img src="images/ill-272a.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Isola dei Cipressi.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_273">[273]</span></p>
-
-<h2 id="esc29">ESCURSIONE VENTESIMANONA.
-<span class="smaller">IL BEL DOSSO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Corneno. — La <i>Cà di strii</i>. — Villa Besana. — Galliano. — Carella. — Mariaga. — Alpe
-di Carella. — Il Bel Dosso. — Villa Graziani. — Longone. — Osteria. — La
-Malpensata. — Penzano. — Bindella. — Villa
-Galimberti. — Proserpio. — Villa Baroggi. — Inarca.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Or lasciamo la vettura e camminiamo su queste
-magnifiche alture che seguono dopo Pusiano.
-</p>
-
-<p>
-Il primo paese che veggiamo è Corneno. Bella è la
-sua posizione e con qualche buona casa. Isolata ne
-sorge una, proprietà dei signori Conti, intorno alla
-quale corrono le più strambe dicerie. Vuolsi dal volgo
-che il diavolo vi faccia a fidanza, che s’odan la notte
-strascico di catene e lamenti; chi ne fornisce una storia,
-chi l’altra: certo si è che rimase il palazzo, a cui
-fu appiccicato il nome di <i>Palazzo del diavolo</i>, od anche
-di <i>Cà di strii</i>, molto tempo senza essere abitato, malgrado
-la felicissima sua situazione e la vista che vi si
-gode.
-</p>
-
-<p>
-Io raccolsi la tradizione, e ne feci subbietto d’un
-racconto nella mia opera delle <i>Tradizioni e leggende di
-Lombardia</i>; epperò, a non copiarmi, rimanderò il lettore
-a quel mio libro, s’egli ne voglia sapere di più.
-Anche adesso la <i>Cà di strii</i> non è abitata, ma mi fu
-<span class="pagenum" id="Page_274">[274]</span>
-detto che i suoi proprietarî abbian di meglio per villeggiare,
-nè quindi si cerchino di dare una smentita,
-col soggiornarvi, alle vecchie ed insulse ubbíe del
-paese. Nella villa Besana, ora proprietà del dottore
-Strambio, ed un tempo del pittore Andrea Appiani, su
-d’un camino, in una sala, l’illustre pittore disegnò col
-carbone <i>Amore che incatena il Tempo colle rose</i>, il qual
-disegno si conserva tuttavia difeso da cornice.
-</p>
-
-<p>
-Segue Galliano, terricciuola ove son case e giardini
-signorili. Nel grandioso giardino attinente l’ampia casa
-del milanese Paolo Biffi, notabilità della confetteria e
-pasticceria, che qui or passa i suoi vecchi giorni, veggonsi
-vecchie torri, istoriate da Giovanni Biffi nella
-sua narrazione <i>La Ghita del Carrobio</i>. In molta prossimità
-di Galliano trovansi i villaggi di Carella e Mariaga,
-pur onorati di case di villeggiatura. Dietro a
-questi si distendono ridenti valli intersecate da acque
-correnti, ed è in mezzo d’una di esse che la sua vita
-d’artista e di poeta passò qualche tempo quel vivace
-scrittore che è Antonio Ghislanzoni, togliendo a pigione
-una villetta, cui veramente poteva dire <i>parva sed
-apta mihi</i>; e là fui a trovarlo, sempre constatandogli
-il buon umore e la vena pronta ai motti, ai frizzi, alle
-piccanti osservazioni. È di là che mandava a Verdi, a
-Petrella e ad altri maestri i suoi libretti, di là i suoi
-articoli di critica musicale al giornale di Ricordi; di
-là i suoi romanzetti scherzevoli che ne han fatto di lui
-il nostro ameno Paul de Kock.
-</p>
-
-<p>
-Sopra queste alte vallate s’alza l’Alpe di Carella,
-che si può senza molta fatica ascendere e da dove si
-corre coll’occhio per un piano tutto sparso di paesi e
-<span class="pagenum" id="Page_275">[275]</span>
-di ville, fino a distinguere la freccia dell’aguglia del
-Duomo milanese, e più in là tutta la valle del Ticino.
-</p>
-
-<p>
-Io invece non abuserò delle gambe del lettore e, fattolo
-uscire da Galliano a una decina di minuti di
-cammino, batteremo alla porta del <i>Bel Dosso</i>, alla
-villeggiatura principesca di Francesco Graziani, il baritono
-dalla simpaticissima voce, che adoperò a raggranellar
-un’ingente fortuna, massime cantando per
-molti anni di seguito a Pietroburgo e Londra, e per
-la quale potè comperarsi questo superbo ritiro, che
-prima aveva appartenuto a due miei amici, che morte
-rapì nel fiore della loro età e delle speranze, voglio
-dire Giuseppe Galli e l’avvocato Paolo Emilio Beretta.
-Il Graziani vi spese d’aggiunta un’ingente somma ad
-abbellirla, a dotarla d’ogni comodità; dirò di più, a
-fregiare la casa di ricca e preziosa suppellettile, perocchè,
-fra le altre sale, una ne vidi con mobili intarsiati
-di malachite e con tavolo tutto di questa pietra;
-ma il meglio della villa esisteva già, e questo meglio è
-la sua posizione che la rende superiore a tutte l’altre,
-è l’essere sulla punta di un promontorio, per il che
-le è dato di tutte ammirare da un lato le bellezze del
-bacino dell’Éupili, ossia de’ laghi che già abbiamo veduti,
-e dall’altro quelle non minori del Pian d’Erba.
-</p>
-
-<p>
-Dal Bel Dosso si entra nel paese di Longone, dove
-qualche tempo fa si trovò un’ara coll’iscrizione: <i>Herculi
-invicto V. S. L. M; L. Domitius Germanus salvo
-patrono</i>. Essa fu portata nel giardino della villa Traversi
-a Desio. Qui a Longone raccomando l’osteria del
-paese, dove chi cerca appagar l’appetito con cibi casalinghi
-vi è di certo soddisfattissimo. Spesso l’osteria
-<span class="pagenum" id="Page_276">[276]</span>
-di Longone è il convegno de’ signori del Pian d’Erba,
-a colazioni e pranzi, massime se si possa contare su
-qualche lepre che vi si cucina a perfezione. Più sotto
-è Bindella con migliore orizzonte, di poco diverso da
-quello del Bel Dosso, con villa de’ Galimberti. Nel vicino
-Penzano due altri egregi artisti, i conjugi Agostino
-Dell’Armi e Luigia Ponti, si procacciarono una
-comoda villa.
-</p>
-
-<p>
-La strada di Longone, che dovremo rimontare per
-fare una corsa a Canzo ed Asso, ha principio alla Malpensata,
-dove riesce la strada provinciale che viene da
-Inverigo, per tripartirsi, procedendosi per un ramo a
-Pusiano e Lecco, per un altro ad Erba e per il terzo alla
-Vallassina. Qui presso al ponte della Malpensata
-si rinvennero sepolcri romani colla marca del figulino
-<i>R. I. D.</i> e vasi di terra contenenti uno specchio metallico,
-armille, braccialetti e monete dell’epoca imperiale.
-</p>
-
-<p>
-Arrestandoci per questa escursione a Longone, è
-impossibile che non montiamo al vicino villaggio di
-Proserpio, dove han villa gli Staurenghi, ora de’ Baroggi.
-Di qui era l’avv. Pietro Staurenghi, presso il
-quale crebbi all’avvocatura, e dove più d’una volta
-ebbi cortese ospitalità.
-</p>
-
-<p>
-Facile è correre colla mente a pensare che Proserpio
-derivi da Proserpina, la Iddia infernale, che gli
-scrittori dicono avesse qui delubro e culto.
-</p>
-
-<p>
-Rammento che il mio maestro ed amico, quando mi
-ebbe in sua casa, mi condusse alla non lontana Inarca,
-breve accolta di casolari che riguardano verso il lago
-Segrino, ma che nondimeno ha un superbo orizzonte.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_277">[277]</span></p>
-
-<h2 id="esc30">ESCURSIONE TRENTESIMA.
-<span class="smaller">LA VALLASSINA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il lago Segrino. — Canzo. — Il Vespetrò. — I Corni. — La fontana del
-Gajumo. — La cascata della Vallategna. — Il torcitojo Verza. — Scarenna. — La
-Casa dell’eremita. — Asso. — Lapide antica. — Arte. — La
-via al Pian del Tivano. — Pagnano, Fraino, Caglio, Gemù. — Il
-Ponte Oscuro. — Lasnigo. — Le donne della valle. — Le serve. — Onno. — San
-Carlo e la sua mula.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Lasciato addietro Longone, e mettendoci per la
-bella e spaziosa via, che da pochi anni fu compiuta,
-che scorge alla Vallassina, vediamo subito il Segrino e
-lo rasentiamo in tutta la sua lunghezza, che non è
-molta. Questi eterni chiaccheroni, che sono gli etimologisti,
-vorrebbero che il nome venisse a questo lago
-dal francese <i>chagrin</i>, affanno, quasi che il bacino sia
-tristo e malinconico. Piacemi rispondere ad essi anzi
-tutto che non potei mai comprendere per qual ragione
-si ostinino a dir tristo questo lago. Se non è
-tutt’all’intorno popolato di villaggi e palazzi, solo a
-capo del medesimo vedendovisi abitato, non significa
-per ciò solo che lo si debba condannare. Se in luogo
-del dosso verde e boscoso, che sta dalla riva opposta
-a quella che noi percorriamo, sorgessero picchi nudi e
-<span class="pagenum" id="Page_278">[278]</span>
-ferruginosi, potrebbesi aver ragione; ma quando invece
-questo bacino è tutt’all’intorno lieto di verzura,
-quantunque solitario, non può dirsi tale da meritarsi
-titolo di affannoso. Oltre di ciò, qual bisogno vi sarebbe
-stato di tôrre a prestanza al linguaggio francese
-un vocabolo per battezzarlo? Segrino finalmente si
-legge scritto in documenti antichi assai più della venuta
-de’ Francesi in Lombardia ai tempi di Carlo VIII,
-e quindi Segrino sarà un nome come qualunque altro,
-e se si sottrae diversamente all’interpretazione, segue
-la sorte della maggior parte degli altri nomi di laghi
-e di paesi.
-</p>
-
-<p>
-Oltre questo lago ci troviamo a capo del bivio in
-cui si scinde la strada della Vallassina; perocchè vediamo
-l’altra via che mette a Pontelambro, e che
-faremo noi pure al ritorno della presente escursione.
-</p>
-
-<p>
-Dopo due corte miglia da Longone, ci si affaccia
-Canzo. È borgata abbastanza grossa, che ha molte
-case di villeggiatura, sì che in questo tempo di autunno
-vi si vegga una vera colonia milanese; tanto così
-che venne eretto un teatro, dove si canta l’opera o si
-recita la commedia con affluenza di pubblico, e vi si
-fanno liete feste di ballo. Così popolato è sempre a
-sera il caffè, come di giorno frequenti sono gli equipaggi
-che da’ paesi circonvicini traggono a scopo di
-visita o di passeggiata. Famoso è poi il <i>vespetrò</i> che
-vi si fabbrica, liquore che arieggia la <i>chartreuse</i> di
-Grenoble, la quale ci giunge di Francia e che è sì ricerca
-e gustata.
-</p>
-
-<p>
-Succedono, al fianco destro di Canzo, i <i>Corni</i>, acuti
-picchi altissimi, a metri 1385 sul livello del mare, che
-<span class="pagenum" id="Page_279">[279]</span>
-a Milano, come già notai, si veggono; ma colla loro
-nudità non aggiungono tristezza, e solo formano contrasto
-col resto, che è tutto lussureggiante di vegetazione.
-</p>
-
-<p>
-Erano un dì rinomate le saje di Canzo che vi si
-fabbricavano; poi prevalse la seta, e vi ebbero e vi
-hanno filande e filatoj i Verza ed i Gavazzi.
-</p>
-
-<p>
-Traggono quei del paese, a titolo di divozione, a
-San Miro, che fu nativo di questo borgo, nella prima
-domenica di agosto, alla sagra che in onore di questo
-santo si celebra nel luogo solitario e alpestre che vien
-detto la <i>Fontana del Gajumo</i>. Come accade in simili
-circostanze, si merenda colà allegramente e la divozione
-si muta in un vero divertimento.
-</p>
-
-<p>
-Dopo Canzo, seguendo il corso della via che conduce
-ad Asso, il tuo cuore si esilara subito in questa
-nuova e vaghissima valle, dove si presenta al manco
-lato Asso, il non men bello paese da cui prende il
-nome tutto quell’importante territorio che si appella
-appunto Vallassina, e che si vede, come scena teatrale,
-posar sul fianco del burrone entro cui rumoreggia
-il Lambro, che non vi ha molto lontana la sua
-scaturigine.
-</p>
-
-<p>
-La cascata della Vallategna, balzante a picco da
-erta rupe, sulla cui vetta fa leggiadramente capolino
-il grande torcitojo dei signori Verza, spruzza nella
-sua caduta, colle sue spume minutissime come atomi
-di polve, a molti passi i viandanti. Altre cascatelle
-scendono giù dai monti selvosi, che quantunque restringano
-l’orizzonte, pure non tolgono bellezza alla
-graziosa valle, i cui facili e verdi declivî si avvivano
-<span class="pagenum" id="Page_280">[280]</span>
-di grotte e di abituri, di ville e casali, ed è dimezzata
-dal Lambro che vi scorre. Dall’opposta sponda è Scarenna, sopra la quale vi viene additata la Casa dell’eremita,
-ove è fama che sul finir del duodecimo secolo
-vivesse appunto un sant’uomo che s’era dato ad istruire
-la puerizia e contasse fra i suoi alunni anche quel
-Miro, che fu poi santo egli pure e che ho mentovato
-più sopra.
-</p>
-
-<p>
-Pochi passi e siamo ad Asso, il cui nome si suol dedurre
-dal celtico <i>as</i>, significante sorgente. Ebbe, ne’
-tempi efferati, castello di cui non esiste che la torre
-in rovina. Un’altra torre, arnese di guerra, era quella
-che fu poi convertita in campanile della chiesa prepositurale.
-</p>
-
-<p>
-Era Asso una delle Pievi che componevano la Martesana;
-a’ tempi pagani ebbe culto per Asclepio, nome
-greco di Esculapio, e forse da Asclepio derivò il nome
-suo, avendosene dagli antiquarî ad argomento l’iscrizione
-romana trovata in Vallassina fra Onno e Vassena,
-e che fu letta così dal dotto archeologo Giovanni
-Labus
-</p>
-
-<p class="center">
-Genio Asclepii<br />
-Lucius Plinius<br />
-Burrus et F. Plinius<br />
-Ternus votum solvunt.
-</p>
-
-<p>
-Nel medio evo fu Asso, come tutta la Vallassina,
-della mensa arcivescovile di Milano. Allo spirare della
-signoria de’ Visconti ne appare infeudato Facino Cane,
-celebre capitano di ventura e primo marito della sventuratissima
-Beatrice di Tenda, poi l’altro capitano
-<span class="pagenum" id="Page_281">[281]</span>
-Luigi del Verme e via via altri. Ebbe però governo
-proprio e statuto indipendente sino all’editto 16 maggio
-1765, in cui la Vallassina venne incorporata al
-ducato di Milano.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-280b"></a>
- <img src="images/ill-280b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Ponte Oscuro.</p>
-</div>
-
-<p>
-Visitando Asso, veggasi la prepositurale, dove son
-dipinti egregiamente i Misteri del rosario, ed è di
-Giulio Cesare Campi una pala rappresentante l’Annunciazione.
-Qui pure sonvi signorili famiglie, tra cui
-i Romagnoli, i Magnocavallo, i Merzario, i Mazza, per
-non dire di tutti, ecc.
-</p>
-
-<p>
-Gli è da Asso per Sormanno e per Rezzago che le
-allegre comitive, messe insieme dai paesi circonvicini,
-precedute da fanfare e ribechini, ascendevano, più frequenti
-in passato, per il piano del Tivano, e correvano
-a vedere quell’imbuto conosciuto sotto il nome
-del Buco della Nicolina, dove, provenienti dalle ville
-del lago di Como, pur salivano per l’opposto versante
-altre liete brigatelle a convegno concertato alla città,
-e da cui entrambe non si toglievano che a notte fra lo
-splendore delle faci resinose, come ho già fatto noto
-nell’apposita escursione.
-</p>
-
-<p>
-Fuori appena di Asso, il pittorico è ancor maggiore;
-perocchè, oltre le diverse intonazioni risultanti da’ caseggiati
-civili a’ rustici commisti, oltre le torri ed i
-villaggi sovrastanti di Pagnano e di Fraino ed i verdi
-altipiani di Caglio e di Gemù, ti si para subito davanti
-una scena di bell’effetto nella vista del Ponte
-Oscuro, che a certa altezza si gitta da un masso all’altro della roccia, su cui corre la via che scorge a
-Valbrona e sotto cui, tra grossi ciottoli e pietre staccate
-dalle pareti o rotolate dalle acque, scorre il Lambro,
-<span class="pagenum" id="Page_282">[282]</span>
-dinanzi al quale sembra la roccia si sia aperta e
-divisa per aprirgli il passaggio.
-</p>
-
-<p>
-A che i pittori e i <i>toristi</i> nostri, domando io, vanno
-cercando alla Svizzera scene e paesaggi per i loro
-quadri, per le loro impressioni, se la nostra Lombardia
-e i monti dell’alta nostra Brianza ponno loro
-offerirne di solenni e di belle, di svariate, e di ispiratrici
-egualmente?
-</p>
-
-<p>
-A chi volesse deliziarsi di maravigliosi punti di vista;
-a chi amasse gli erbosi altipiani alternare a’ villaggi,
-e a’ rugiadosi e impervi sentieri preferisse ampio
-e regolare cammino, io consiglierei volontieri di eleggere
-la recente strada che traversa tutta la Vallassina
-per il corso di ben dieci miglia e riesce a Bellagio,
-uno de’ più ameni paesi del Lario. Uscita appena dagli
-anfratti di Asso, quella strada ritorna ampia e comoda
-per Lasnigo, ove hanno villa i Rusconi ed altri,
-ed è prosecuzione di quella che dalla Malpensata
-conduce, per Longone, a Canzo ed Asso.
-</p>
-
-<p>
-Visitando la Vallassina, a questa vaghezza di natura
-inanimata, altre ne troverà della animata il lettore;
-e senza dire degli uomini d’un ingegno svegliato, industriosi
-ed ospitali, i quali più spesso cercando fortuna
-al di fuori e colà eziandio stabilendosi, non crebbero
-guari fortuna al loro luogo nativo, accennerò
-delle donne col giudizio che ne reca un non sospetto
-autore, l’oblato prevosto Vincenzo Mazza di Lasnigo,
-autore d’una storia manoscritta della Valle, veduta
-dal Cantù. Esse gli parvero modelli, come di avvenenza,
-così di costumatezza; sobrie, pudiche, casalinghe,
-matronali sì da rimovere qualsiasi licenza d’atti
-<span class="pagenum" id="Page_283">[283]</span>
-e di parole, e le fanciulle sanno all’uopo difendersi
-cogli zoccoli, con sassi e colle spadine che portano
-come un’aureola in capo. E poichè e alla città e altrove
-si ha tanto difetto di buone serventi, il buon
-prevosto vi fa sapere come le donne della Vallassina
-sieno ricercate come fantesche, nè v’abbia esempio che
-una sia stata espulsa da una casa. Non ho voluto dimenticare
-questa particolarità della Vallassina, perocchè
-ogni dì più cresca il lamento per la mancanza di
-buone serventi. Gli aumentati opificî e la corruzione
-cittadina e campagnola hanno distratto moltissime di
-queste donne dal mestiere del servire che un dì pareva
-loro sì profittevole cosa.
-</p>
-
-<p>
-Se a riposarsi di tratto in tratto dal cammino avvenga
-di interrogare quella buona gente alpestre, s’odono
-storie e tradizioni, leggende e fiabe a illustrazione
-di castelli e di paesi, di genti e di famiglie; e se non
-istessi io sull’avviso contro me stesso che di <i>tradizioni
-e leggende</i> parecchie son già stato narratore, potrei
-qui cingermi la giornea e ripetere quello che ho appreso nella Vallassina, nè il lettore sarebbe certo sì
-fortunato di finirla così presto d’esercitar meco la sua
-pazienza. Non tacerò tuttavia d’accennar ciò che i
-terrieri non chiamano fiaba o tradizione, ma pretta
-storia e miracolo. Già toccai alla sfuggita di Onno,
-terricciuola della Vallassina che siede sul versante del
-lago di Lecco; or bene raccontasi che quel vigile arcivescovo
-che fu San Carlo Borromeo, nel visitare
-tutta la sua diocesi onde conoscerla per l’appunto e
-recarvi i saggi suoi povvedimenti, percorrendo questi
-luoghi aspri e montani, qui presso ad Onno, cavalcando
-<span class="pagenum" id="Page_284">[284]</span>
-una mula, precipitasse con essa dentro un profondo
-precipizio, ma che per sommo di ventura — essi dicon
-miracolo — ne uscisse incolume.
-</p>
-
-<p>
-Ma io debbo, cortese lettore, qui arrestarmi, nè
-proseguire nella Vallassina, per non discostarmi troppo
-dal Pian d’Erba, nei confini del quale deve restringersi
-il mio libro.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_285">[285]</span></p>
-
-<h2 id="esc31">ESCURSIONE TRENTESIMAPRIMA.
-<span class="smaller">CASTELMARTE.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. — Fabbrica
-di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti, Prina e Mambretti. — <i>Ademprivo.</i> — Castelmarte. — Ville
-Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu
-Castelmarte capo della Martesana? — <i>Castrum Martis.</i> — Giunteria
-archeologica. — Reliquie antiche.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Ritornando per la strada percorsa venendo da Longone,
-giungendo ora dopo Canzo al bivio che ho già
-avvertito nella passata escursione, pigliam la via alla
-mano destra e presto ci saremo introdotti in una valletta
-amena, che il paesano denomina Val di Giano.
-</p>
-
-<p>
-È qui che ci si offre sull’altura a mano destra il
-paese di Caslino, che ora fa parlare di sè pe’ suoi cacini,
-e a cui si va per una bella strada, presso al luogo
-detto Mulino San Marco, dove c’è, oltre un recente
-filatojo e un mulino, una fabbrica di coltelleria di Dionigi
-Carpani, che gode assai credito, massime per certi
-coltelli da cucina.
-</p>
-
-<p>
-Caslino ha la sua storia, e il prevosto Carlo Annoni
-ne dettò una dotta Memoria. Ora vi sono altre filande
-e filatoj degli Invernizzi, dei Castelletti, Prina e Mambretti.
-Bella è la vallata erbosa del comune che sta
-dietro il paese, e dove per una specie di <i>ademprivo</i>,
-<span class="pagenum" id="Page_286">[286]</span>
-quelli abitanti pascolano le capre del cui latte si
-fanno i cacini suddetti.
-</p>
-
-<p>
-Dalla strada che seguiamo di Canzo, avanzando
-qualche passo, ci troviamo ai piedi del colle su cui
-pompeggia Castelmarte.
-</p>
-
-<p>
-In attesa che si faccia da Pontelambro la strada
-più ampia e più comoda, come se ne fa ora iniziatore
-quell’egregio uomo e rinomato operatore chirurgico
-che è il dottor cav. Lamberto Parravicini, inerpichiamoci
-per questo boscoso declivio.
-</p>
-
-<p>
-Non lungo è il cammino, e però presto ci troviamo
-in mezzo al paese.
-</p>
-
-<p>
-Dalle ville degli eredi Bertoglio, del dottor Parravicini
-sullodato, che acquistò il luogo che prima era di
-don Giulio Ferrario, l’autore del <i>Costume antico e moderno
-di tutte le nazioni</i> e d’altre opere dotte, non che
-da quella del ch. archeologo cav. Bernardino Biondelli
-si può godere il più superbo panorama. Distendesi
-avanti allo sguardo tutto il Pian d’Erba non solo, ma
-giù giù la Brianza inferiore co’ suoi mille paesi e ville;
-di qui il lago d’Alserio, di là quello di Pusiano, poi la
-lunga linea che segna il corso del Lambro, quindi un
-confine d’orizzonte che si perde nell’azzurro ondeggiante
-dei monti, che del resto non è difficile scernere e nominare.
-Una volta si montava a Castelmarte per ammirare
-le pitture de’ più rinomati artisti moderni nella
-villa Bertoglio e la raccolta completa di stampe in quella
-del Ferrario; ora invece la ragione principale di curiosità
-è nella villa del Biondelli, ove, fra tante pregevoli
-opere di pittura, di scoltura e d’incisione, è
-degno d’osservazione un gabinetto tutto di leggiadrie
-e lavori chinesi.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_287">[287]</span>
-</p>
-
-<p>
-L’amore che a questi luoghi indusse il dottor cav.
-Parravicini a far sua la villa che fu del Ferrario, fa
-credere che la ridurrà a quella proprietà e comodità
-dalla quale s’era venuta discostando per l’abbandono in
-cui per tant’anni s’era da eredi e da acquirenti lasciata.
-</p>
-
-<p>
-In quanto al paese, che dire? Dell’antico non avrei
-a ripetere che ciò che sembra una favola, perchè nulla
-nulla si ha che autorizzi a crederla una verità, che
-Castelmarte, cioè, sia stato il capoluogo della Martesana,
-che si sa comprendere molte pievi. Chi lo affermò
-non lo provò, nè mi fermerò oltre su questa maggiore
-importanza che a questa minima terra si vorrebbe
-aggiungere, cui solo dal nome (<i>Castrum Martis</i>) puossi
-a maggior ragione arguire che fosse un dì una rôcca e
-che vi avesse culto speciale Marte, il Dio della guerra.
-La sua eccelsa posizione rendevala propria a vedetta
-militare ed a luogo di difesa.
-</p>
-
-<p>
-Quanto piglierebbesi volontieri per le orecchie quell’inventore
-di fatti e glorie storiche, che, cancellando
-l’iscrizione della pietra che si vede incastrata nel muro
-esterno della parte posteriore della chiesa, e che forse
-un giorno avrà coperto una sepoltura, vi sostituì la seguente
-menzogna:
-</p>
-
-<p class="center">
-D. O. M.<br />
-Ugone Franc. Functo<br />
-Esecrandi hostis<br />
-Aerumnis Ecclesiæ<br />
-Ineundo bello<br />
-Hierosolyma red.<br />
-Ucitur jam Nicea<br />
-Nicomedia Antiochia<br />
-Bisantio Vanei Fin.<br />
-Boemon Tane. Bald.<br />
-<span class="pagenum" id="Page_288">[288]</span>
-Redeun. Trand. com.<br />
-Goffredus regens<br />
-Palestina gloria<br />
-Onusto mortuo in<br />
-Sanguine patriæ<br />
-Ossibus restitutis<br />
-Ubaldo Prinæ<br />
-Duci fido socio<br />
-Rinaldo Estensi<br />
-Ferrariensi principi.<br />
-M
-</p>
-
-<p>
-È facile accorgersi dal dirsi l’Ubaldo Prina fido
-compagno del Rinaldo da Casa d’Este, personaggio
-imaginario della <i>Gerusalemme liberata</i> del Tasso, come
-anche esso Ubaldo sia figlio della fantasia e della boria
-di qualche Prina, de’ quali abbondano questi paesi,
-e che a costui sia entrato il matto pensiero di giuntare
-gli archeologi dell’avvenire e farsene beffa, per altro
-non di buon genere.
-</p>
-
-<p>
-Piuttosto segnalerò l’esistenza di altri avanzi antichi
-incastrati nei muri esterni della detta chiesa parrocchiale,
-fra cui, sopra la porta interna del campanile, un
-leone in bassorilievo e due tirsi per istipiti di essa
-porta, poi nell’alto del campanile un busto di donna
-frammezzo a due d’uomini, con sotto alcune parole
-che si lessero <i>Ma.... conisi maximus</i> e che appajono
-di colore oscuro.
-</p>
-
-<p>
-Visto Castelmarte, fra le case Bertoglio e Parravicini
-evvi una stradicciuola che ci porta ad una stradetta
-o scala di ben quattrocento scaglioni a più riparti,
-per i quali, a guadagno di tempo, mettiamoci
-noi per condurci a Mazonio e Ponte, cui è destinata
-la ventura nostra escursione.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_289">[289]</span></p>
-
-<h2 id="esc32">ESCURSIONE TRENTESIMASECONDA.
-<span class="smaller">PONTELAMBRO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Mazonio. — La sua chiesa — Il pittor Ferrabini. — La Fusina. — Filatoio
-Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — La Bistonda. — L’annegato. — Pontelambro. — Case
-Guaita e Carpani. — Una lapide
-nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — Villa Matilde. — La Plejade de’
-poeti politici moderni, sonetti. — Affresco luinesco distrutto. — Villa
-Carpani. — Lezza. — Carpesino. — Arcellasco. — Resica. — Filatoj
-Ronchetti e Mambretti. — Brugora.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Scesi i quattrocento gradini della scala di Castelmarte,
-eccoci sulla via che ne adduce a Mazonio,
-gruppo di quattro case da contadini, a capo delle
-quali è la chiesa della parrocchia, che comprende,
-oltre Mazonio, Ponte, Lezza e Carpesino.
-</p>
-
-<p>
-La chiesa è bella, architettata da Simone Cantoni,
-sebbene non abbia ancora compiuta la facciata. Non
-ha quadri di valore, dove eccettui una tela del milanese
-Giuseppe Sogni raffigurante Sant’Anna. I freschi
-laterali all’altare sarebbero stati rinnovati da Pietro
-Ferrabini da Lodi, prospettico e frescante eccellente
-della scuola del celebre Sanquirico; ma mentre attendeva
-a disegnarne i cartoni e ad un tempo frescava la
-chiesa a Rancio di Lecco, cadeva da un ponte eretto
-nella chiesa, colpito da apoplessia. La posizione della
-<span class="pagenum" id="Page_290">[290]</span>
-chiesa di Ponte è piuttosto alta, e dal suo piazzaletto
-si ha un’allegra vista. Da questo si discende per una
-lunga scalea cordonata. Volgendo a destra, si va a Caslino,
-incominciando la via a montare.
-</p>
-
-<p>
-La Fusina è un cascinale, ove è cartiera, molino e
-torchio, che si presenta da questa parte dopo una casa
-incompiuta che siede su d’una specie di dosso, che sarebbe
-buon sito a casa di campagna, se non fosse signoreggiata
-dal vento, ma che non toglie sia nomata
-Bel Dosso. Fuor del cascinale, il Lambro ha il suo
-letto sassoso, e il più spesso con poc’acqua, sì che si
-passa a guado, tutt’al più facendo appoggio al piede
-di qualche ciottolo più grosso.
-</p>
-
-<p>
-È qui che dirompendosi il letto del torrente nella
-roccia del suolo lascia scoperto il fondo granitico, e
-l’acqua, raccogliendosi in un canale, va più rapida a
-mettere in movimento il bello stabilimento di filatura
-di seta del signor Ohli, condotto con tutta l’intelligenza
-e proprietà d’un vero prussiano, com’egli è.
-Questo punto chiamasi il <i>Zocco Romano</i>; ma perchè
-così si chiami non lo chiedete: nè io, nè quei del paese
-ve lo sapremmo dire. Certo è di una sua propria alpestre
-bellezza il luogo. Varcato il Lambro, s’entra come
-in una selva, dove, a mano manca, da un dirupo scende
-lungo la nuda roccia una vena sottile d’acqua che
-forma bacino, d’onde esce un rivolo, e il romantico
-sito è designato col poco romantico nome di <i>Zocco
-Battista</i>. Migliore è la cascata che a qualche centinaio
-di passi di distanza, a mano destra, si precipita da
-un’altezza di forse una sessantina di metri dentro un
-bacino assai più vasto e profondo e che s’incaverna di
-<span class="pagenum" id="Page_291">[291]</span>
-sotto il masso, e vien detta la <i>Bistonda</i>. Poetico è il
-ritrovo e quasi incamerata appare la cascata, e il raggio di sole che vi penetra vi si rifrange bellamente.
-Narrasi d’un garzone che venuto a bagnarsi in quest’acqua freschissima, inoltrando di troppo, vi sarebbe
-perito. Un poeta sentimentale vi troverebbe il soggetto
-d’un amore di Ondina, cui il nuzial talamo sarebbero
-state le liane della roccia galleggianti sulla superficie
-del limpido laghetto.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-290b"></a>
- <img src="images/ill-290b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">La Bistonda.</p>
-</div>
-
-<p>
-Tutto questo tratto solitario che s’addossa al monte,
-alla metà del quale corre l’alpestre via che da Caslino
-guida a Pontelambro, fiancheggiata da un rigagnolo
-che lascia parte delle sue linfe acciò si gittino a dar
-vaghezza al paesaggio in spumeggianti cascate, è d’una
-silvestre bellezza, e le ombre che presta giovano d’assai
-nella estiva calura.
-</p>
-
-<p>
-Or ritorneremo sui nostri passi, e dalla scalea della
-chiesa volgiamo all’opposto lato che or percorremmo
-per entrare in Ponte. A distinguerlo da Ponte di Valtellina
-gli si aggiunse il nome del fiume sulla cui
-sponda siede e che qui lo attraversa con un ponte, da
-cui certo il paese si nominò, e che è di un bello e ardito
-arco ristaurato in questi ultimi tempi, rendendosene
-più facile l’accesso col diminuirne la pendenza
-verso il paese; il quale va ognor più allargando la sua
-via principale che gli corre in mezzo, a scemare i pericoli
-de’ rotanti nello scambio ed a rinsanire ognor
-più le abitazioni. Continuandosi nelle migliorie, di cui
-vuol darsi lode al già suo sindaco, il cav. Giuseppe
-Guaita, che per esse affrontò ben anco l’impopolarità,
-è a sperare che sparisca la brutta fama guadagnatasi
-<span class="pagenum" id="Page_292">[292]</span>
-dal paese, che passa per essere copioso di gozzuti, che
-per altro io non vidi mai.
-</p>
-
-<p>
-Oltre la casa del predetto signor Guaita, ve n’ha
-pure altra signorile del signor Cesare Carpani, al quale
-molto è debitore il paese per aver concesso che da’ suoi
-fondi si derivasse l’acqua eccellente della quale è ora
-abbondevolmente fornito; ed altra casa della signora
-Erminia Carpani. Dalla prima si gode il prospetto severo
-della vallata di Caslino, degna dello studio e del
-pennello d’un artista. Qui infatti venivano negli anni
-scorsi e lo Stefani e il De Albertis e il Castoldi, che
-nell’autunno del passato 1871 vi perdette la buona e
-affettuosa moglie. Nel camposanto vi fu da lui collocato
-il monumento, pel quale io dettai, a memoria
-della egregia donna, la seguente iscrizione:
-</p>
-
-<p class="center">
-A Giovanna Castoldi-Villa<br />
-Che dalla natia Milano<br />
-Venuta invano a chiedere<br />
-Alla purezza di questo aere<br />
-I consueti conforti<br />
-Vi moriva addì XVI ottobre MDCCCLXXI<br />
-Il marito Guglielmo Castoldi pittore<br />
-E i giovanetti figli Romeo e Cesare<br />
-Seco portando ovunque<br />
-La santa memoria di sue miti virtù<br />
-Qui<br />
-Dove ne deposero inconsolabili le spoglie<br />
-P. Q. P.
-</p>
-
-<p>
-Presso il ponte e lungo il fiume sorge lo stabilimento
-a filatojo di seta già del Bonsignori, ora del Bressi;
-e a notte, allorquando vi si lavora, quelle tante finestre
-illuminate in quell’avvallamento in cui si trova
-<span class="pagenum" id="Page_293">[293]</span>
-servono di fantastico effetto alla villa Carpani ed alla
-villa Matilde, che stanno sulla sponda opposta, le quali
-s’uniscono ai voti delle case Cesare Carpani e Guaita,
-perchè il camino del vapore venga alzato e sia tolto
-l’incomodo fumo e il puzzo che in densa colonna si
-svolgono da esso.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-292b"></a>
- <img src="images/ill-292b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Villa Matilde a Pontelambro.</p>
-</div>
-
-<p>
-Nella primavera del 1863 io era ospite del signor
-Carlo Carpani, e nel passare questo ponte, rivolgendomi
-ad ammirare la pittoresca scena del Lambro dalla
-parte appunto di Caslino, meravigliavo come mai nessuno
-avesse mai pensato a tramutare in villa il brutto
-casolare che s’ascondeva tra i peschi e mille altre
-piante; perocchè la postura fosse fra le più invidiabili,
-essendo su facile poggio, avente a ridosso la montagna
-boscosa che gli serviva di sfondo magnifico, e al piede
-gli si sprofondava il Lambro col più pittoresco effetto;
-e sì mi invaghii dell’idea, che in breve ora ne conchiusi
-per me l’acquisto, e nel successivo anno s’elevava già
-su quell’eminenza la piccola mia villa, cui, in omaggio
-alla mia sposa, imponevo il nome di villa Matilde.
-</p>
-
-<p>
-Perdonerà il lettore, se l’affetto ch’io porto a questo
-loghicciuolo, al quale ebbi la presunzione d’essere io
-medesimo architetto, mi trasse qui a fornirgli il riscontro
-di sua veduta; nè poi, permettendo ch’io dica
-dell’opera mia, concederà che ne parli, togliendo alcuni
-brani da un’appendice a stampa del giornale <i>La
-Fama</i>, di quel mio dotto e dilettissimo amico che è
-Pietro Cominazzi, e che egli riprodusse a parte nell’accompagnarmi
-sette sonetti ad illustrazione di altrettanti
-medaglioni di marmo de’ quali decorai, per un
-mio concetto patriottico e letterario ad un tempo, la
-terrena sala.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_294">[294]</span>
-</p>
-
-<p>
-“E poichè parlasi del Pian d’Erba non vuole chi
-traduce<a class="tag" id="tag33" href="#note33">[33]</a> lasciarsi sfuggire il destro di ricordare la
-<i>Villa Matilde</i>, proprietà dello scrittore di queste lettere,
-un Casino Svizzero che, quasi grazioso nido d’augelli,
-si addossa al monte di San Salvatore non lungi
-dalle scaturigini del Lambro e sovrasta al popoloso ed
-industre borgo di Ponte. Coll’intuizione del poeta, il
-Curti scoperse quel sito, sebbene nascosto tra fittissime
-piante, e coll’ingegno dell’artista architetto il cangiò
-da umile abituro in leggiadra dimora, non angusta,
-ma comodissima, sebbene ristretta, togliendo ai massi
-della montagna lo spazio che facea d’uopo ad ampliarla
-ed a compierne la salita ed il giardino. L’amore alle
-arti, che il guidò nell’opera bella e sagace, e diresse
-ogni cosa dalle bisogne più ricercate alle più umili, il
-trasse ad arricchire l’amenissimo soggiorno di squisiti
-dipinti e di pregiate scolture, sette delle quali, a bella
-posta trattate in medaglioni con cui adornar si piacque
-un’ampia sala, recano, effigiate dallo scalpello del
-Tantardini, del Magni e del Buzzi-Leone, le sembianze
-dell’Alfieri, del Monti, del Foscolo, del Parini, del Niccolini,
-del Leopardi e del Giusti; oltre un bel gruppo
-di Giovanni Cabialia, cresciuto alla scuola di P. Marchesi. Una copiosa biblioteca conforta, nei riposi del
-corpo, lo spirito del Poeta, lo ristora delle assidue ed
-onorate fatiche del Foro e del Parlamento, e giova a
-rinvigorire la memoria dell’erudito, che da quel suo
-<span class="pagenum" id="Page_295">[295]</span>
-tranquillo e beato asilo scopre ne’ villaggi circostanti
-le grandi orme del Popolo Re. Fra i molti dipinti primeggiano
-un Salvator Rosa, un Maratti ed un Poussin,
-e recano fede del buon gusto e dell’amore del Curti
-allo stile classico ed immortale, e fra le opere moderne
-ha i primi onori un bel ritratto di donna, di Cesare
-Poggi e una bella tela del Castoldi, testè ammirata
-alla pubblica mostra nel Palazzo di Brera, nella quale
-si raccoglie e compenetra il bello per arte e per natura,
-esternamente visibile, della villa che abbiamo in
-guisa rapida e succinta imperfettamente descritta.„
-</p>
-
-<p>
-Più tardi, cioè nell’agosto 1870, il medesimo Cominazzi,
-regalandomi d’una sua pubblicazione <i>Plejade dei
-Poeti Politici Italiani moderni, medaglioni in marmo
-nella villa Matilde</i><a class="tag" id="tag34" href="#note34">[34]</a>, ristampando la lettera suddetta,
-vi soggiungeva:
-</p>
-
-<p>
-“Ora risalutando la villa e le sembianze dei Poeti,
-Plejade gloriosa da te riunita a ricordo di quegli illustri
-che fecero famosa ai nostri giorni o poco addietro
-nel politico arringo l’età che viviamo, pensai di tributare
-a ciascheduno di loro, col mio povero verso, l’omaggio
-di chi sente e non dimentica,
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">VITTORIO ALFIERI.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Dello scultore cav. Pietro Magni.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Onta e sprezzo a colui che te maestro,</p>
-<p class="i02"> Te non saluta libero poeta,</p>
-<p class="i02"> E nell’opra del tuo terribil estro</p>
-<p class="i02"> L’ingegno reverente non accheta!</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_296">[296]</span></p>
-<p class="i01">Tu per cammino al cieco volgo alpestro</p>
-<p class="i02"> Traevi ardito a generosa meta,</p>
-<p class="i02"> E noi guidavi, tu vigile e destro,</p>
-<p class="i02"> Al raggio singolar del tuo Pianeta:</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Di Libertà il Pianeta, e di quel lume,</p>
-<p class="i02"> — Fiaccola ai vivi, eterna gloria ai morti,&nbsp;—</p>
-<p class="i02"> Inconsumabil fiamma è il tuo volume.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Or che stupir se Libertà traligna</p>
-<p class="i02"> Quando Italia, non più popol di forti,</p>
-<p class="i02"> Al suo grande Astigian fatta è matrigna!</p>
-</div></div>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">GIUSEPPE PARINI.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Dello stesso.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">A te del vizio correttor sagace,</p>
-<p class="i02"> Gentil cantor del <i>nobile Mattino</i>,</p>
-<p class="i02"> Cui diede amico il Ciel del Venosino</p>
-<p class="i02"> Arguzia, grazia, fantasia ferace;</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">A te la moda, petulante, audace,</p>
-<p class="i02"> Fronda non tolse dell’allôr divino;</p>
-<p class="i02"> Chè fra l’ira di parte è tuo destino</p>
-<p class="i02"> Agli avversi vessilli intimar pace.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Tu l’aureo stil, le immagini venuste</p>
-<p class="i02"> Chiedi al passato e del saver la fonte,</p>
-<p class="i02"> Chiedi alla nuova età le idee robuste.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Così d’Arte sovrana il magistero</p>
-<p class="i02"> Stringe, di tempo e d’uom sfidando l’onte,</p>
-<p class="i02"> In connubio immortale il Bello e il Vero.</p>
-</div></div>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">VINCENZO MONTI.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Dello scultore cav. Antonio Tantardini.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Solo una volta il vidi, e ancor mi suona</p>
-<p class="i02"> Dentro la mente quella voce amica:</p>
-<p class="i02"> Non può l’età, che pur nulla perdona,</p>
-<p class="i02"> La sacra cancellar memoria antica:</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_297">[297]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Che splendida risorge e par mi dica</p>
-<p class="i02"> Nell’immagine sua: “Fa core e tuona</p>
-<p class="i02"> Contro una gente, che al ben far nimica,</p>
-<p class="i02"> Coll’insulto e l’oblio mi guiderdona.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Me cantor di Prometeo e di Bassville,</p>
-<p class="i02"> Redivivo Allighier me plaudía Roma,</p>
-<p class="i02"> Chè in quel Sol fisse io primo ho le pupille.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Per me, per me nell’italo idïoma</p>
-<p class="i02"> Men famosa non è l’ira d’Achille....</p>
-<p class="i02"> Or si nieghi l’alloro alla mia chioma!„</p>
-</div></div>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">UGO FOSCOLO.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Dello scultore Luigi Buzzi-Leone.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Spirto inquieto, indomito, iracondo,</p>
-<p class="i02"> Dei mali altrui più che de’ tuoi profeta,</p>
-<p class="i02"> Disdegnoso degli uomini, profondo</p>
-<p class="i02"> Critico e pensator, divin poeta:</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ond’è che il verso, onde il tuo stil fecondo</p>
-<p class="i02"> D’una tant’aura popolar si allieta?</p>
-<p class="i02"> Ond’è che tu, forse ad altrui secondo,</p>
-<p class="i02"> Della gloria primier tocchi la meta?</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="smcap">Libertà</span> e <span class="smcap">Patria</span>, che un amor congiunse,</p>
-<p class="i02"> — E di lor sole poche menti han sazie,&nbsp;—</p>
-<p class="i02"> Le magnanime idee t’ebber dischiuse.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Quando sull’urna tua scrisser le Muse:</p>
-<p class="i02"> “<i>Al Cantor de’ Sepolcri e delle Grazie</i>,„&nbsp;—</p>
-<p class="i02"> “<i>Alla Fede immutata</i>„ Italia aggiunse.</p>
-</div></div>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">GIAN. BATT. NICCOLINI.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Dello scultore cav. Antonio Tantardini.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Veglio, che pensi? Dal sembiante austero</p>
-<p class="i02"> Quanta spirar profetic’aura io miro,</p>
-<p class="i02"> L’aura che un tempo all’italo deliro</p>
-<p class="i02"> L’altrui scoverse menzogner pensiero?</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_298">[298]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">“Non credete a costei!<a class="tag" id="tag35" href="#note35">[35]</a> Sogna l’impero,</p>
-<p class="i02"> Sogna e cova nel petto onta e raggiro:</p>
-<p class="i02"> A Libertà, dei Popoli sospiro,</p>
-<p class="i02"> Può il varco aprir la cattedra di Piero?„</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">E il ver dicevi, o generoso Vate;</p>
-<p class="i02"> Colei tradiva, e lo stranier ribaldo</p>
-<p class="i02"> Ribadia le catene a Libertate.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Col verso intanto vigoroso e caldo</p>
-<p class="i02"> — Tremendo esempio alla più tarda etate&nbsp;—</p>
-<p class="i02"> Tu evocavi la grande ombra di Arnaldo.</p>
-</div></div>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">GIACOMO LEOPARDI.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Del medesimo.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Sofo e Poeta, Te l’Italia inchina</p>
-<p class="i02"> Sublime ingegno, e non bugiarda fama</p>
-<p class="i02"> Di tre favelle imperador ti chiama,</p>
-<p class="i02"> E tre corone al tuo capo destina.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Di Libertà, che indocile si ostina</p>
-<p class="i02"> Spezzare i ceppi della patria grama,</p>
-<p class="i02"> Svegli nei cor la generosa brama</p>
-<p class="i02"> Colla splendida tua mente indovina.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ecco, libera Italia, ed i nepoti</p>
-<p class="i02"> Alzare i marmi al Ghibellin sdegnoso,</p>
-<p class="i02"> Che scopria del futuro i mondi ignoti.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ma l’opra è monca... e Tu dal tuo riposo</p>
-<p class="i02"> Sorgi e un inerte popolo riscuoti,</p>
-<p class="i02"> Ad osar pronto ed a compir ritroso.</p>
-</div></div>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i04">GIUSEPPE GIUSTI.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><i>Dello scultore cav. P. Magni.</i></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">D’Archiloco lo strale e d’Aristarco</p>
-<p class="i02"> Il flagello tu vibri acre, temuto,</p>
-<p class="i02"> E collo stil sprezzatamente arguto</p>
-<p class="i02"> Facile t’apri agli intelletti il varco.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_299">[299]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Se il colpo aggiusta l’infallibil arco,</p>
-<p class="i02"> Punge e vellica a un tempo il ferro acuto,</p>
-<p class="i02"> Chè tu mai non obblii, prudente e astuto,</p>
-<p class="i02"> D’ammonir dilettando il doppio incarco.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Come, o Cantor di <i>Gingillino</i>, il verso,</p>
-<p class="i02"> Che dal semplice trae forma e vaghezza,</p>
-<p class="i02"> Nella mente s’addentra e vi si chiude!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Tal che il tuo dir, sì dall’altrui diverso,</p>
-<p class="i02"> Più volontier s’ascolta, e più s’apprezza,</p>
-<p class="i02"> Quanto si mostra men, la sua virtude.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Su Ponte, sotto l’arco presso la casa de’ Bonsignori,
-ora Bressi, eravi un fresco, riconosciuto come indubbiamente
-di Bernardino Luini; ma con imperdonabile
-incuria di tutti, abbandonato alle ingiurie del tempo e
-delle stagioni, in questi ultimi anni deperì e si scrostò
-talmente, che l’ultimo resto, fattovi sparire dal signor
-Bressi, non gli può essere ascritto a colpa.
-</p>
-
-<p>
-Ora non lasceremo Pontelambro senza ascendere la
-vicina e magnifica villa del signor Luigi Carpani, che
-l’eredò dal padre Carlo, e che fu già architettata dal
-Moraglia, con giardino eseguito su disegno di quel
-grande prospettico che fu Alessandro Sanquirico.
-</p>
-
-<p>
-Vi precede come una specie di parco, che le aggiunge
-grandiosità, con ampio viale fiancheggiato di
-alti alberi e roseti e tuje, e pel quale si monta in carrozza
-alla casa. In essa poi vi sono pregevoli quadri
-d’animali, del Londonio; qualche buon Fiammingo;
-due battaglie, del Borgognone; una tela d’Arienti ed
-una del Migliara. Recentemente il suo attuale proprietario
-vi recò altri pregevolissimi dipinti di scuole
-antiche, come lo Sposalizio di S. Caterina col Bambino,
-del Padovanino; una tavola di Cima da Conegliano
-<span class="pagenum" id="Page_300">[300]</span>
-rappresentante S. Giovanni Battista e S. Pietro
-Martire; una figura veneziana, di Gentile Bellini; quattro
-quadri di Santi Benedettini, di Daniele Crespi, e
-due tele di Brill, una testa del Velasquez, ecc. ecc. — Dallo
-spiazzo avanti la casa si ha una superba vista
-del Pian d’Erba.
-</p>
-
-<p>
-Uscendo dalla villa Carpani, in due passi s’è al
-paesello di Lezza, dove era un tempo un convento di
-Serviti, che il tennero dal 1508 al 1510 e che ora è
-abbandonato al nitro che ne invade i bei sotterranei.
-La piscina che vi fu eretta e coperta di portico, raccoglie
-l’acqua fresca e salubre che vi scende dal monte
-sovrastante.
-</p>
-
-<p>
-Lezza ha estremo bisogno di imitare Pontelambro e
-di dar mano al piccone ed al martello e allargare la
-sua unica via, così angusta da passarvi appena una
-carrozza, e causa che i diretti per la Vallassina abbandonassero
-affatto questa parte ed eleggessero esclusivamente
-la strada di Longone.
-</p>
-
-<p>
-Oltre Lezza, al di là del Lambro, siede Carpesino,
-che taluni presumono tragga il nome da <i>Carpe sinum</i>,
-piglia il porto; e se ciò fosse, sarebbe memoria che
-sin qui si estendesse l’Éupili. Vi hanno ville i Nava
-e i Caldara; più su vi è Brugora come sul ciglio di
-un pendío, e per istrade praticate fra’ boschi si va a
-Proserpio e Longone, che noi già abbiamo conosciuto;
-mentre progredendo per la via che qui ne condusse,
-si trova Arcellasco, poi la Resica, ove è un filatojo già
-de’ Carpani di Ponte, ora dei fratelli Ronchetti; e un
-altro dei Mambretti; e finalmente si giugne al ponte
-della Malpensata.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_301">[301]</span></p>
-
-<h2 id="esc33">ESCURSIONE TRENTESIMATERZA.
-<span class="smaller">SAN SALVATORE.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-I <i>Geritt</i>. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e Genolini. — Il torrente
-Bova. — La dara. — San Salvatore. — Il convento. — Il signor
-Boselli. — Giovanni Biffi. — Il tronco mellifero. — La villa Righetti.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Da Lezza, per una via ampia sì ma acclive e che
-mano mano si ascende scopre miglior orizzonte, perchè
-rivela da una parte il lago di Pusiano e dall’altra
-quello d’Alserio, e con essi i loro vicini paesi, si arriva
-a Mornico, villaggio che si confonde con quel di
-Crevenna, sì che il nome del primo, più che sulla pietra
-miliare, non è ripetuto da alcuno.
-</p>
-
-<p>
-A mezzo per altro di quest’ampia via dove si volge,
-formando angolo, s’apre una tal vista, che chi vi avesse
-a fabbricare una casa vi troverebbe certo a deliziare
-lo sguardo.
-</p>
-
-<p>
-Invece meno accorti speculatori, nel sottoposto vallone,
-vi eressero casini, tra cui quello detto dei Gerini
-(<i>Geritt</i>), nel quale già prendeva riposo dalle teatrali
-fatiche il tenore di bella fama Bulterini, e da qualche
-anno quella esimia artista soprano, che è la signora
-<span class="pagenum" id="Page_302">[302]</span>
-Enrichetta Berini e il di lei marito Osmondo Meini,
-basso cantante di egregia riputazione. In compenso
-della limitata vista, vi si gode della piena libertà,
-perchè fuor dell’accesso e dello sguardo comune.
-</p>
-
-<p>
-In Crevenna vi sono le ville dei signori Bressi e dei
-Genolini, e presso il paese si dirupa in profondo vallone
-il torrente Bova, che poi, quando mena le sue
-acque tumultuose, le gitta nel Lambro poco disotto a
-Carpesino.
-</p>
-
-<p>
-Nella villa de’ Genolini, quando apparteneva ai signori
-Fontana, traeva frequente ospite amatissimo quel
-gentile scrittore e poeta, che ognun conosce in Giulio
-Carcano, e quivi ispiravasi egli ad inni leggiadri, de’
-quali alcun breve saggio reca il presente mio libro.
-</p>
-
-<p>
-Sul piazzale della chiesa parrocchiale s’apre la via
-che guida a San Salvatore. Quantunque essa sia abbastanza
-erta, pure è ampia e tale da potersi valere
-della <i>dara</i>, specie di veicolo primitivo trascinato da’
-buoi, di che i proprietarî delle ville che vi sono a quell’altezza si valgono bene spesso.
-</p>
-
-<p>
-Merita di salire a San Salvatore, che, stando al piano
-vedesi poggiare a mezzo la montagna, cui dà il nome,
-come un nido di aquile.
-</p>
-
-<p>
-Quando si è giunti colà, si trova soddisfatti, perchè
-dal viale che sta innanzi al caseggiato si ha uno stupendo
-panorama, tale da far riscontro alla cima di
-Galbiate che gli sta di fronte sull’ultimo confine del
-bacino dell’Éupili antico.
-</p>
-
-<p>
-Pervenuto a quell’altezza, al cospetto di sì maravigliosa
-natura, a voi, come già a me, correrebbero al
-labbro i versi del buon Parini:
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_303">[303]</span>
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Oh beato terreno,</p>
-<p class="i02"> Del vago Éupili mio,</p>
-<p class="i02"> Ecco alfin nel tuo seno</p>
-<p class="i02"> M’accogli; e del natio</p>
-<p class="i02"> Aëre mi circondi,</p>
-<p class="i02"> E il petto avido inondi!<a class="tag" id="tag36" href="#note36">[36]</a></p>
-</div></div>
-
-<p>
-San Salvatore è un convento che già fu de’ Cappuccini,
-e che dalla loro soppressione fu tramutato in villeggiatura.
-L’ebbe il signor Boselli, rinomato istitutore
-di Milano, che qui conduceva i suoi convittori a ritemprare
-la salute, nelle vacanze autunnali, coll’aere
-puro che vi regna; ma sorvenuto il 1848, nelle memorande
-cinque giornate, caduto vittima del piombo
-austriaco, la villa venne dalle leggiadrissime sue figlie
-tenuta.
-</p>
-
-<p>
-Visitandola, più d’una volta vi trovai, come vi trovano
-tutti, il più grazioso ricevimento dalla gentilissima
-signora Irene Boselli, moglie a quel colto scrittore
-che è Giovanni Biffi, l’autore della <i>Ghita del Carrobio</i>
-e del <i>Prina</i>, il quale una volta mi fu anche cicerone
-del luogo, e mi mostrò parte a parte ogni sala, ogni
-cella, e la chiesa, a cui traggono i devoti di Crevenna
-in certe solennità, e sulla quale, non saprei con quanto
-diritto, spiega il Comune pretesa <i>ab immemorabili</i>, additandomi
-la stanza dove venne ospitato San Carlo
-Borromeo e i mobili da lui usati, e via via l’orto, il
-cascinale e il viale che poi mette al sentiero che percorre
-la montagna fino a Caslino. Quel giorno, sorridendo,
-dopo avermi condotto presso un gran tronco
-<span class="pagenum" id="Page_304">[304]</span>
-d’albero che giaceva in terra, mi ripeteva i versi del
-Manzoni:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Stillano miele i tronchi:</p>
-<p class="i01">Ove copriano i bronchi,</p>
-<p class="i01">Ivi germoglia il fior;</p>
-</div></div>
-
-<p>
-ed accennando a quel tronco abbattuto, dicevami come
-il dì prima avesse trovato essere stato tutto cavo e
-pieno del più eletto miele, che estraeva in due ben
-capaci recipienti. Da qui egli poi muoveva, infaticabile
-Nembrod, a cacciar lepri pei monti, delle quali prese
-frequenti fa parte agli amici.
-</p>
-
-<p>
-Il convento di San Salvatore è ora esclusiva proprietà
-della signora Boselli-Righetti, figliuola al sullodato
-istitutore milanese.
-</p>
-
-<p>
-Le comitive allegre ed instancabili, a San Salvatore
-non fanno spesso che una prima sosta; perocchè si dirigano
-sovente dopo per aspro sentiero al <i>Buco del
-Piombo</i>, cui ho riservata la ventura escursione, o alla
-<i>Colma</i>, che altro non è che il vertice del monte, dal
-quale è dato di spaziare per gli opposti versanti; e lo
-sguardo, signore da una parte del Pian d’Erba e della
-Brianza, dall’altra segue tutta la linea non meno superba
-del lago di Como. I coraggiosi son molti, e fra
-questi non mancano mai le gentili signore.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-304b"></a>
- <img src="images/ill-304b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Interno del Buco del Piombo.</p>
-</div>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_305">[305]</span></p>
-
-<h2 id="esc34">ESCURSIONE TRENTESIMAQUARTA.
-<span class="smaller">IL BUCO DEL PIOMBO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — Aneddoto. — Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — Concorso
-di gente. — I versi
-di Torti.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-E noi, poichè siamo già a San Salvatore, continuiamo
-la via pel <i>Buco del Piombo</i>. È lunga, è aspra,
-ma retrocedere per pigliar l’altra dell’opposto ciglione
-del monte non ne pare conveniente.
-</p>
-
-<p>
-È però cammino ameno e pittoresco, e se i piedi
-faticano, lo sguardo si diverte e gode.
-</p>
-
-<p>
-Sorpassiamo gli incidenti del cammino, ed eccoci di
-sotto al Buco del Piombo.
-</p>
-
-<p>
-Anni addietro abbisognava di certo coraggio per
-inerpicarsi fino al punto, dal quale, per mezzo d’una
-scala a mano, si poteva penetrare nell’antro; ma dopo
-che tutte queste Alpi, come le chiamano quei del paese,
-vennero in proprietà del conte Turati, che su di esse
-vi stabilì una razza di cavalli, la bisogna è mutata:
-l’accesso è reso più praticabile e comodo.
-</p>
-
-<p>
-Non creda il lettore che la caverna per la quale
-entriamo tenga fede al suo nome; traccia di piombo
-<span class="pagenum" id="Page_306">[306]</span>
-non vi si riscontra, nè pare vi sia stato mai; non
-diamo però le spese al cervello per indovinarne la
-ragion del nome; vi chiaccherarono intorno e scrissero
-assai e assai, ed un costrutto non se n’è per anco
-cavato. Narrasi anzi, a tale proposito, un aneddoto.
-Nel vicino convento de’ Cappuccini di San Salvatore,
-che abbiamo testè veduto, nella biblioteca del chiostro,
-stava un volume legato, sul cui dosso leggevasi il titolo:
-<i>Origine del Buco del Piombo</i>. La mano d’ogni
-visitatore correva a togliere il volume dallo scaffale,
-curioso di leggervi una tale origine; ma ne rimaneva
-scornato: il volume non era che un pezzo di legno foggiato
-a libro, fratesco scherzo, del quale si trova il
-riscontro in Venezia ai Frari, dove è consimile volume
-lavorato dal celebre Brustolon.
-</p>
-
-<p>
-Sull’ingresso dell’antro veggonsi avanzi di muraglie
-e d’arpioni, onde s’ha a credere che vi fossero applicate
-porte e che però vi abitasse gente. Serviva a vedetta
-militare od a presidio? era rifugio di predoni o
-di banditi? ricoveravan qui, com’altri presumono, i
-Longobardi cacciati dall’ira de’ Franchi? Non v’è memoria
-o scritto che il dica. L’atrio che sarebbe stata
-la parte abitabile, è spazioso: ha la larghezza di metri
-38, l’altezza di 42 e la lunghezza di 55, ed è sempre
-qui che le brigate che vi montano si rifocillano
-colle provvigioni di bocca mandate innanzi.
-</p>
-
-<p>
-Ma la caverna si interna e sprofonda per un vano
-quasi continuo della larghezza di metri nove e dell’altezza
-di otto, e vi si può camminare per circa 188
-metri coll’aiuto della luce del giorno; più avanti si va,
-si va accendendo qualche torcia, e dopo 18 metri di
-<span class="pagenum" id="Page_307">[307]</span>
-cammino, si giunge a un punto dove a destra s’apre
-altra caverna larga circa metri 1,30, ed avanzando per
-una trentina d’altri metri, leggesi una lapide che vi
-fu messa, del tenore seguente:
-</p>
-
-<p class="center">
-S. A. I. il Princ. Raineri Vicerè<br />
-Consigliere De-Capitani<br />
-Ciambellano conte Paar.<br />
-Gli 8 maggio 1819.
-</p>
-
-<p>
-Altri si spinsero più in là; trovarono che lo speco ora
-abbassavasi, ora rialzavasi; che acque vi correvano in
-ruscelli o formavano pozze; finchè non parve andare
-più avanti, forse essendo anche ciò pericoloso.
-</p>
-
-<p>
-Ho già detto a suo luogo come vi abbia chi opini
-che questa caverna vada e s’inoltri fin presso la fonte
-Pliniana del lago di Como; ma non sono che pure supposizioni,
-alle quali nulla porge fondamento.
-</p>
-
-<p>
-Sotto dell’antro, o Buco del Piombo, corre il torrente
-Bova, per mezzo a un letto franato e fra roccie, che
-ne fan quasi un orrido d’artistico effetto; ma pur di
-questo torrente ho parlato nella passata escursione.
-</p>
-
-<p>
-La curiosità chiama moltissimi visitatori al Buco del
-Piombo; dirò di più: non v’ha villeggiante o forestiero
-che sia venuto nel Pian d’Erba, il quale non l’abbia
-una volta almeno fatto scopo di una sua pellegrinazione.
-</p>
-
-<p>
-Così lo ricordava il Torti in que’ versi che dal Pian
-d’Erba dettava:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O selvose montagne, o gioghi erbosi,</p>
-<p class="i02"> O di lontan sovreminenti al verde</p>
-<p class="i02"> Cornuti massi, o dolce aere vitale,</p>
-<p class="i02"> O dal sol di settembre illuminate</p>
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_308">[308]</span></p>
-<p class="i02"> Felici rive, umili poggi e sparsi</p>
-<p class="i02"> Casali e ville, e pascoli e vigneti</p>
-<p class="i02"> Dell’Éupili ridente; o vasto speco</p>
-<p class="i02"> Di nome senza origine, su in alto</p>
-<p class="i02"> A mezzo monte dalle curve strade</p>
-<p class="i02"> Per gran paese riveduto sempre;</p>
-<p class="i02"> O collinetta sovra l’altre amica</p>
-<p class="i02"> Ov’io sedeva a contemplar la mesta</p>
-<p class="i02"> Valle del mio Segrin; voi già mia prima</p>
-<p class="i02"> Delizia e voluttà, di tutto l’anno</p>
-<p class="i02"> Speme e pensier...</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Oh! veramente son questi luoghi tali da ispirare e
-da accendere gli estri del poeta; nè vi fu amico delle
-Muse che a queste delizie del Pian d’Erba traendo,
-non se ne sia ispirato, non ne abbia poi ne’ carmi
-espresse le soavi dolcezze.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_309">[309]</span></p>
-
-<h2 id="esc35">ESCURSIONE TRENTESIMAQUINTA.
-<span class="smaller">LA VILLA AMALIA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria degli Angeli. — L’avv.
-Rocco Marliani. — Il palazzo, il giardino e il bosco. — Il
-monumento a Parini. — Monti e Foscolo ospiti. — Episodio
-della Mascheroniana. — La torre.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Ridiscesi a Crevenna, proseguiamo la via che ci condusse
-da Lezza, e dopo qualche centinaia di passi, ci
-ritroviamo ad Erba superiore.
-</p>
-
-<p>
-Noi riserbandoci a veder il paese, per ora arrestiamoci
-qui davanti alla villa Amalia, che ha innanzi
-vaghi tappeti d’erba e vasto piazzale. Due facciate ha
-la villa; l’una riguarda al giardino, l’altra alla corte:
-a quella cresce grandiosità una gradinata e un padiglione;
-a questa bellissimi bassorilievi in terra cotta;
-ma l’ingresso è per un cancello da questa parte che
-sta di fronte ad Erba. La chiesa laterale ti rammenta
-subito che un dì potesse essere questo luogo un convento.
-Infatti vi fu fabbricato da Guido Carpano e
-dalla chiesa fu detto di Santa Maria degli Angeli.
-</p>
-
-<p>
-Francesco Del Conte vi stabilì i Cappuccini; passò di
-poi ai Filippini; finchè al principiar del secolo corrente,
-<span class="pagenum" id="Page_310">[310]</span>
-l’avvocato milanese Rocco Marliani, consigliere
-della Corte d’Appello, l’acquistò, e su disegno di quel
-valente architetto che fu Leopoldo Polak, vi eresse la
-sontuosa villa che, dal nome della propria sposa, appellò
-Amalia.
-</p>
-
-<p>
-Nel cortile di essa lasciò memoria di ciò nell’iscrizione
-seguente:
-</p>
-
-<p class="center">
-Rochus Petri Fil. Marlianus<br />
-Domo Mediolano<br />
-Cœnobi veteris operibus a solo ampliatis<br />
-Villam extruxit ornavit<br />
-Amaliam<br />
-Ex conjugis karissimæ nomine appellandum<br />
-Anno 1801<a class="tag" id="tag37" href="#note37">[37]</a>.
-</p>
-
-<p>
-E dirimpetto a tal lapide stanno i seguenti versi
-d’Orazio:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus</p>
-<p class="i02"> Hortus ubi, et tecto vicinus jugis aquæ fons,</p>
-<p class="i02"> Et paulum sylvæ super his foret. Auctius, atque</p>
-<p class="i02"> Dî melius fecere. Bene est. Nihil amplius oro<a class="tag" id="tag38" href="#note38">[38]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Vi condusse il Marliani artisti ad abbellirla, e di
-<span class="pagenum" id="Page_311">[311]</span>
-Giuseppe Bossi infatti vedesi un’Aurora, dipinta nella
-sala di mezzo del palazzo; e nel giardino, o a meglio
-dire, nel bosco che vi fa parte, rizzò un tempietto sacro
-alla Prudenza, rappresentata da una statua che vi
-sorge nel mezzo, e poco appresso collocò due statue,
-Diana ed Atteone. Dove poi l’ombra è più oscura del
-bosco, eresse un monumento con un busto, opera di
-Giuseppe Franchi, tutto recinto di macchie d’alloro,
-fiancheggiato da funereo cipresso, e lo consacrò alla
-memoria di Giuseppe Parini, che fu sovente ospite
-venerato del Marliani; e comechè nel sottoposto sotterraneo
-ei vi avesse collocato un organo che, tocco,
-mandava una mesta armonia, così aveva fatto scolpire
-sulla base del monumento a Parini i quattro versi di
-lui, tolti all’ode <i>All’inclita Nice</i>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Qui ferma il passo, e attonito</p>
-<p class="i02"> Udrai del pio cantore</p>
-<p class="i02"> Le commosse reliquie</p>
-<p class="i02"> Sotto la terra argute sibilar.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E come Parini, qui venivano accolti dalla cordialità
-e dall’affetto riverente del Marliani anche Foscolo e
-Monti, il qual ultimo raccomandò alla imperitura memoria
-dei posteri il nome della villa, illustrando la
-tomba del grande poeta che vi è conservata, nelle seguenti
-terzine della sua <i>Mascheroniana</i>:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">I placidi cercai poggi felici</p>
-<p class="i02"> Che con dolce pendío cingon le liete</p>
-<p class="i02"> Dell’Éupili lagune irrigatrici;</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">E nel vederli mi sclamai: Salvete,</p>
-<p class="i02"> Piagge dilette al ciel, che al mio Parini</p>
-<p class="i02"> Foste cortesi di vostr’ombre quete!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_312">[312]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Quand’ei fabbro di numeri divini</p>
-<p class="i02"> L’acre bile fe’ dolce, e la vestía</p>
-<p class="i02"> Di tebani concenti e venosini,</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Parea de’ carmi suoi la melodia</p>
-<p class="i02"> Per quell’aura ancor viva; e l’aure e l’onde</p>
-<p class="i02"> E le selve eran tutte un’armonia.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Parean d’intorno i fior, l’erbe, le fronde</p>
-<p class="i02"> Animarsi e iterarmi in suon pietoso:</p>
-<p class="i02"> Il cantor nostro ov’è? chi lo nasconde?</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ed ecco in mezzo di recinto ombroso</p>
-<p class="i02"> Sculto un sasso funebre che dicea:</p>
-<p class="i02"> <i>Ai sacri Mani di Parin riposo</i>...</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Ed una non so ben se donna o dea</p>
-<p class="i02"> (Tese l’orecchio, aguzzò gli occhi il vate</p>
-<p class="i02"> E spianava le rughe e sorridea)</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Colle dita venia bianco rosate</p>
-<p class="i02"> Spargendolo di fiori e di mortella,</p>
-<p class="i02"> Di rispetto atteggiata e di pietate!</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Bella la guancia in suo pudor; più bella</p>
-<p class="i02"> Sulla fronte splendea l’alma serena</p>
-<p class="i02"> Come in limpido rio raggio di stella.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Poscia che dati i mirti ebbe a man piena,</p>
-<p class="i02"> Di lauro, che parea lieto fiorisse</p>
-<p class="i02"> Tra le sue man, fe’ al sasso una catena;</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">E un sospir trasse affettuoso e disse</p>
-<p class="i02"> Pace eterna all’amico; e te chiamando</p>
-<p class="i02"> I lumi al cielo sì pietosi affisse,</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Che gli occhi anch’io levai, fermo aspettando</p>
-<p class="i02"> Che tu scendessi, e vidi che mortale</p>
-<p class="i02"> Grido agli Eterni non salía più, quando</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01"><span class="pagenum" id="Page_313">[313]</span></p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Il costei prego a te non giunse; il quale</p>
-<p class="i02"> Se alle porte celesti invan percote,</p>
-<p class="i02"> Per là dentro passar null’altro ha l’ale.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Riverente in disparte alla devota</p>
-<p class="i02"> Ceremonia assistea, colle tranquille</p>
-<p class="i02"> Luci nel volto della donna immote,</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Uom d’alta cortesia, che il ciel sortille</p>
-<p class="i02"> Più che consorte, amico. Ed ei che vuole</p>
-<p class="i02"> Il voler delle care alme pupille,</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Sol per farle contente eccelsa mole</p>
-<p class="i02"> D’attico gusto ergea, su cui fermato</p>
-<p class="i02"> Pareami in cielo, per gioirne, il sole.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">E <i>Amalia</i> la dicea, dal nome amato</p>
-<p class="i02"> Di colei che del loco era la diva,</p>
-<p class="i02"> E più del cor che al suo congiunse il fato.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Al pietoso olocausto, a quella viva</p>
-<p class="i02"> Gara d’amor mirando, già di mente</p>
-<p class="i02"> Del mio gir oltre la cagion m’usciva.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Mossi alfine, e quei colli ove si sente</p>
-<p class="i02"> Tutto il bel di natura abbandonai</p>
-<p class="i02"> L’orme segnando al cor contrarie e lente<a class="tag" id="tag39" href="#note39">[39]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Fu lunga la citazione, ma in compenso splendida,
-come splendidi sono sempre i versi di Vincenzo Monti,
-al quale l’età più prosaica osa temeraria levarsi e
-contendere il lauro di poeta.
-</p>
-
-<p>
-La villa Amalia passò dopo a diversi signori, finchè
-pervenne al marchese Massimiliano Stampa Soncino,
-che vi aggiunse bellezze a bellezze.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_314">[314]</span>
-</p>
-
-<p>
-Dalla torre che vi sta, si può abbracciare collo
-sguardo il più stupendo orizzonte ed estasiarsi alla
-vista di monti e colli, di laghi e fiumi, di paesi e ville
-infinite e campagne e boschi.
-</p>
-
-<p>
-Gli amatori di botanica avrebbero per più d’un’ora
-a deliziarsi ammirando le infinite camelie di più qualità,
-boschetti di fusaria del Giappone, cespugli di azalee
-e di rododendri, e rose magnifiche, e mazzi di <i>olea
-fragrans</i>, per non dir d’altri molti e fiori e piante peregrine,
-che di loro vaghezza e profumo imparadisan
-la villa, degna della ricchezza e nobiltà del suo cortese
-proprietario, e però va meritamente tra le più splendide
-e deliziose della Brianza annoverata.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_315">[315]</span></p>
-
-<h2 id="esc36">ESCURSIONE TRENTESIMASESTA.
-<span class="smaller">ERBA.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il castello e la
-villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente Bocogna. — Villa Conti. — Erba
-Inferiore. — Pretura, ufficio telegrafico, albergo e botteghe. — Il
-caffè e gli <i>amaretti</i>. — Il teatro. — Ville Clerici e Brivio. — Vill’incino. — Mercato
-d’Incino. — <i>Liciniforum.</i> — Lapidi. — Ninfeo antico. — Fatti
-storici. — Il mercato del giovedì.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Questa borgata, che dà il suo nome al bellissimo
-territorio che vengo dichiarando al lettore, distendendosi
-su d’una eminenza a mo’ d’anfiteatro per quelli
-che la riguardano venendo dalla Malpensata, fa sì che
-alla parte più alta si assegnasse il nome di Erba Superiore,
-ed è certo la migliore, perocchè domini una
-quantità maggiore d’orizzonte, potendosi spingere
-l’occhio sin là presso Cesana e Galbiate, e vedere il
-Monte Baro, e via via quelle ridenti colline che finiscono
-alla Montevecchia, e quella ridente estensione
-della Brianza co’ suoi infiniti villaggi; mentre poi da
-sinistra si posa sui colli placidi e d’insensibil pendío
-di Proserpio, colla biancheggiante sua chiesa che s’avanza
-fin sull’estremo limite d’un promontorio, su Castelmarte
-e sui denti o corni di Canzo e sull’Alpe di
-Carella che, massime all’ora del tramonto, si veste
-<span class="pagenum" id="Page_316">[316]</span>
-delle più calde tinte che mano mano si vengono trasformando
-in auree, poi in porporine, quindi in violacee,
-finchè l’ombra notturna non le abbia confuse nell’uniforme
-bruno.
-</p>
-
-<p>
-Era certamente nell’ammirazione di questo stupendo
-panorama che lo scrittore d’<i>Angiola Maria</i>
-esclamava:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">O monti, o vette aeree,</p>
-<p class="i02"> O piani d’Erba, addio!</p>
-<p class="i02"> O valli, o poggi placidi</p>
-<p class="i02"> Dal fertile pendío,</p>
-<p class="i02"> Asil soave e muto</p>
-<p class="i02"> Di rustica beltà;</p>
-<p class="i02"> Io v’amo, io vi saluto</p>
-<p class="i02"> Con mesta voluttà.</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Salvete, o voi tranquille</p>
-<p class="i02"> Innumere borgate,</p>
-<p class="i02"> Liete cosparse ville,</p>
-<p class="i02"> Campagne invidïate!</p>
-<p class="i02"> Io v’amo, e in cor vi sento</p>
-<p class="i02"> Com’inno del mattin,</p>
-<p class="i02"> Come il primiero accento</p>
-<p class="i02"> Dell’italo bambin.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Erba non può contare, è vero, una storia ricca di
-avvenimenti; ma per l’aiuto dato all’armi milanesi
-alla battaglia da questi ultimi combattuta contro gli
-aderenti del Barbarossa nel nove agosto 1160 — fu
-una nobile e generosa azione — s’ebbe il diritto di
-cittadinanza, che le fu mantenuto anche in seguito e
-da Ottone Visconti, e dagli Spagnuoli e dai Tedeschi.
-Di più ne dice il prevosto Annoni nella sua <i>Memoria
-storica e archeologica intorno al Pian d’Erba</i>, cui rimando
-<span class="pagenum" id="Page_317">[317]</span>
-il lettore, per non essere tratto dall’amore degli
-storici studî a cingermi la giornea e mettere a
-cimento la pazienza di lui.
-</p>
-
-<p>
-Attivamente poi partecipa il suo territorio all’industria
-che meglio si fa alla Brianza, alla serica vo’ dire,
-potendo contare oltre quaranta filande e quaranta
-filatoi, e così vien presso agli altri distretti di Oggionno,
-di Vimercate e di Lecco, che si additano come
-i meglio dotati in Lombardia di congeneri stabilimenti.
-</p>
-
-<p>
-Sull’angolo sinistro d’Erba Superiore sorgeva un
-tempo, come del resto si riscontra in ogni terra di
-qualche importanza, il castello, ora convertito alla più
-felice villeggiatura de’ signori Valaperta, dove più
-d’una volta vidi ospite quel valoroso campione dell’arte pittorica moderna che è Francesco Hayez.
-</p>
-
-<p>
-Di sotto al castello si avvalla con grazioso effetto il
-terreno, epperò vien detto Pravalle, pel quale un dì
-precipitavasi il torrente Bocogna, menando i soliti
-guasti de’ suoi pari; ma i Valaperta ne rivolsero a
-bene le acque, facendole servire ad una filanda o
-filatoio.
-</p>
-
-<p>
-Sul ciglio dell’opposta eminenza, al di là di Pravalle,
-si pavoneggia la elegante villeggiatura de’ signori
-Conti, che divide coi Valaperta i vantaggi della fortunatissima
-posizione.
-</p>
-
-<p>
-Erba Superiore è occupata per lo più da ville o case
-da villeggiatura: il movimento principale è nondimeno
-in Erba Inferiore. La borgata è dotata di Pretura, di
-ufficio telegrafico e di albergo: ha tutte le botteghe
-occorrevoli al vitto, come in una città; massime le
-carni vi si trovano eccellenti dai villeggianti; al suo
-<span class="pagenum" id="Page_318">[318]</span>
-caffè, elegantemente riaddobbato di fresco e famoso pe’
-suoi <i>amaretti</i>, sorta di pasticcini torrefatti e che contendono
-il primato con quelli di Saronno, nelle ore
-pomeridiane d’autunno vi convengono i signori e le
-eleganti dei dintorni, sia venendovi a piedi, sia cogli
-equipaggi, felici del vedersi gli uni gli altri; perocchè,
-del resto, la sosta avvenga in una via ristretta e senza
-attrattiva di sorta.
-</p>
-
-<p>
-Sulla vetta dell’eminenza su cui seggono le sue case,
-il pittor Rosa, nel grandioso caseggiato da lui fabbricato
-e che affitta nelle ferie autunnali a famiglie per
-lo più milanesi in distinti e ammobigliati appartamenti,
-costruì un teatro, nel quale in quella stagione
-recita talvolta qualche drammatica compagnia sviata.
-</p>
-
-<p>
-O per la postale, o per sentieri si discende nel sottoposto
-piano a Vill’Incino, dove sorge la prepositurale
-nella cui giurisdizione è Erba. Scendendo per la
-prima, al risvolto trovasi la villa già Clerici, ora
-Mazzucchetti, che ognun veggendo augura veder tramutato
-in albergo, tanto se ne sente il bisogno e propizia
-ne appaia la posizione; ed a fianco di essa al
-principio della via che si interna e guida a Lezza sorge
-altra villa de’ signori Brivio ed un filatoio. Proseguendo
-invece per la postale, dopo la Clerici, a un centinaio
-di passi si è alla suddetta prepositurale. Alquanto più
-in là è Incino, o Mercato d’Incino, che, comunque
-spopolato tutti i dì della settimana all’infuori del giovedì,
-in cui v’è l’antichissimo mercato con opportuni
-portici e che diè nome al paese, pure ha memoria di
-fatti storici. Eravi certo una colonia romana e vi si
-trovarono sepolcri e ossa giganti e armature dell’epoca.
-<span class="pagenum" id="Page_319">[319]</span>
-Chiamavasi allora <i>Liciniforum</i>, ossia foro o mercato
-di Licinio, dal nome di qualche pretore o patrono che
-vi comandava la stazione militare, o la colonia; onde
-il conservato nome di per sè vale a scalzare d’ogni
-fondamento la pretesa di chi volle collocare <i>Liciniforum</i>
-nel luogo del poco discosto Parravicino.
-</p>
-
-<p>
-Del tempo romano qui si sterrarono e lessero due
-lapidi.
-</p>
-
-<p>
-La prima:
-</p>
-
-<p class="center">
-Herculi<br />
-C. Metilius<br />
-Secundus<br />
-Votum Solvit Libens Merito.
-</p>
-
-<p>
-La seconda:
-</p>
-
-<p class="center">
-Jovi Optimo Maximo<br />
-Cœsia Tullii Filia<br />
-Maxima<br />
-Sacerdos<br />
-Divae Matidiae<a class="tag" id="tag40" href="#note40">[40]</a>.
-</p>
-
-<p>
-Una terza lapide importa poi di qui riferire, come
-rinvenuta in alcune escavazioni, perchè forse fa cenno
-di un ninfeo qui esistito:
-</p>
-
-<p class="center">
-Lymphis Viribus Quintus Vibius<br />
-Severus votum solvit.
-</p>
-
-<p>
-Anche più tardi, nel medio-evo, da Landolfo da Cardano,
-arcivescovo di Milano (979-998), venne Incino
-eretto in capitanato, investendone della suprema autorità
-un suo fratello, come aveva egualmente fatto
-<span class="pagenum" id="Page_320">[320]</span>
-degli altri due capitanati di Carcano e Pirovano con
-Missaglia. I Comaschi e i Torriani, combattendo Ottone
-Visconti arcivescovo di Milano e capo di parte
-nobilesca, lo diroccarono. Su queste terre, in età più
-inoltrata, fervendo le lotte guelfe e ghibelline, la fazione
-guelfa portò desolazione e morte, soqquadrando ogni
-avere e commettendo i più infami assassinî.
-</p>
-
-<p>
-Era poi Incino la pieve più vasta ed importante
-dell’arcivescovato di Milano, e fino dal 1288 contava
-sotto la propria giurisdizione sessanta chiese. Alla sua prepositurale
-andava inoltre aggiunta una collegiata
-di più canonici, che San Carlo, nel 1584, trasferì alla,
-prossima chiesa di Vill’Incino, avendo trovato spopolato
-il paese. Quella chiesa antica è per altro degnissima,
-per la sua vetustà, di osservazione.
-</p>
-
-<p>
-Il giovedì, frequentatissimo è ora il mercato anche
-da’ villeggianti de’ dintorni; ma verso il meriggio si
-dirada il concorso, e poco poco il vecchio mercato di
-Incino ricade nel primitivo silenzio e nella solitudine.
-</p>
-
-<p>
-Con tutto ciò vi sono due decenti alberghi, dove trovan
-alloggio benestanti famiglie sempre nella stagione
-autunnale, e alle quali appunto la quotidiana solitudine
-toglie soggezione e aggiunge quella maggiore
-tranquillità che si accorre appunto dalla città a ricercare
-in campagna.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_321">[321]</span></p>
-
-<h2 id="esc37">ESCURSIONE TRENTESIMASETTIMA.
-<span class="smaller">LA VILLA ADELAIDE.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — Parravicino. — Ville
-Parravicini, Belgiojoso e Gariboldi. — La torre pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia
-contro il Barbarossa. — Orsenigo. — Il
-Carudo. — Le Lische Amare. — Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’
-ladri. — La Retusa. — Tassera. — La villa Adelaide.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Da Erba, salendo la via che corre sotto l’antico castello,
-ora villa Valaperta, e volgendo a manca, dietro
-la villa Conti è la strada che va a Parravicino e subito
-s’incontra la villa Maria, della contessa Maria Lurani.
-</p>
-
-<p>
-Solo prima dirò una parola di Bucinigo e Pomerio,
-che si comprendono nel Pian d’Erba; perocchè dopo
-segua Villalbese, celebre per ottime castagne e per
-freschissimi crotti, a cui gli amatori del buon vino corrono
-ad ogni lieta occasione, ma che entra in una diversa
-circoscrizione da quella del Pian d’Erba; onde
-avanti di esso mi convenga arrestarmi, perchè, tratto
-dalle bellezze dei luoghi, facilmente sarei fuorviato dal
-mio cómpito e arriverei presto per quella via a Como.
-</p>
-
-<p>
-Bucinigo, terricciuola resa vivace da filande e incannatoî,
-ha più d’una villa, e fra queste quella de’ signori
-Vidiserti, che giovami specialmente ricordare perchè
-famosa per la sua patriarcale ospitalità, ivi i moltissimi
-<span class="pagenum" id="Page_322">[322]</span>
-amici rinvenendo sempre la più graziosa accoglienza.
-A noi poco importa di discettare sulla pretesa
-di coloro che il nome al paese sia stato lasciato da un
-<i>buco iniquo</i>, che dicono esistere tuttavia in un giardino,
-e così appellato perchè nei tempi delle prepotenze feudali
-ivi si desse martirio agli infelici che non entravan
-nel genio de’ padroni; o sulla contraria opinione di chi
-invece dalla terminazione presume aver il nome radice
-celtica: lasciamo ai dotti il trarsi d’impaccio. La torre,
-di cui son superstiti pochi ruderi, rammenta le lotte
-fra loro sostenute dalle famiglie Sacco e Parravicino.
-</p>
-
-<p>
-A Pomerio, vicinissimo, veggonsi avanzi di fortificazioni,
-che dovevano esservi necessariamente per rispondere
-al nome di <i>post murum</i>, il quale d’altronde
-era nella terminologia militare d’allora.
-</p>
-
-<p>
-A Parravicino, vediamo seguitarsi tre o quattro ville
-graziose dei Parravicini, dei Belgiojoso e dei Gariboldi.
-</p>
-
-<p>
-Nel giardino de’ Belgiojoso vedesi una torre pendente,
-come il campanile di Pisa e la Carisenda di Bologna,
-ricordata da Dante nel canto XXXI dell’<i>Inferno</i>.
-</p>
-
-<p>
-Segna essa la dimora de’ Parravicini, che, sbandeggiati
-dai Rusconi di Como, qui venuti, diedero origine
-al villaggio.
-</p>
-
-<p>
-Di Casiglio non vale far cenno, che per dire essere
-nella sua chiesa il sepolcro di Beltramino Parravicino,
-il qual fu vescovo di Como e poi di Bologna.
-</p>
-
-<p>
-Fuor della strada, è Carcano, che fu già castello
-forte e sostenne più assedî, e diè origine alla patrizia
-famiglia de’ Carcano. In queste campagne fra Carcano,
-Orsenigo e Tassera, nel nove agosto 1160 fu combattuta
-una fiera battaglia fra gli aderenti di Federico
-<span class="pagenum" id="Page_323">[323]</span>
-Barbarossa e quelli de’ Milanesi, e che altri chiamano
-di Tassera, altri di Carcano, altri di Orsenigo; ma non
-importa il nome, mentre giovi invece conoscere come
-ne fosse felicissimo risultamento la sconfitta del Barbarossa
-e il pieno trionfo de’ Milanesi, determinato dall’improvviso
-intervento di quei di Orsenigo ed Erba,
-ai quali fu in guiderdone concesso di poi il diritto di
-cittadinanza. In mezzo a questi campi, l’arcivescovo
-Uberto da Pirovano, cantato aveva allora sul carroccio
-milanese la messa e tenuta una sacra arringa a’ soldati
-onde eccitarli alla pugna contro l’invasore straniero.
-Nel primo scontro, che fu terribile, quel sacro
-carro caduto nelle mani nemiche, veniva distrutto nel
-luogo detto il Carudo; ma poi, per l’insperato soccorso,
-ristorate d’un tratto le sorti della battaglia, i
-Milanesi s’erano presa la rivincita gloriosa.
-</p>
-
-<p>
-L’oste nemica si era spinta fino al lago d’Alserio,
-breve bacino di un miglio e un quarto di lunghezza e
-di mezzo di larghezza, sulla cui sponda è Alserio piccol
-paese che gli dà il nome. Era nel pantano delle Lische
-Amare che vuolsi s’impigliasse il corsiero del Barbarossa,
-onde il tempo perduto a districarsene gli avesse
-a riuscire fatale. — Castellazzo, paesello, su d’una facile
-eminenza, fu così detto da un forte che i Milanesi
-vi costrussero nel luglio del 1162 per contrapporre a
-quello di Carcano, ove si erano rifugiati, pronti a rinnovare
-le offese, i fautori dell’Enobarbo.
-</p>
-
-<p>
-Al piede di questa bella eminenza evvi un casale ed
-un’osteria, detta la <i>Ca’ de’ ladri</i>: è facile indovinare
-come la brutta denominazione le venisse dall’essere il
-luogo isolato e proprio, massime in addietro, a ricoverarvi
-siffatta genìa.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_324">[324]</span>
-</p>
-
-<p>
-Tutti questi paesi or sono animati da ville ed opificî,
-e nella parte più elevata di questo punto, vicino
-al lago, evvi la <i>Retusa</i>, fonte limpida, salubre e perenne,
-usufruttata a muovere macine, e ad animare
-stabilimenti di serica industria.
-</p>
-
-<p>
-Affrettiamoci invece a visitare la villa Adelaide, che
-sorge a Tassera e presso alla riva del lago d’Alserio.
-</p>
-
-<p>
-Dapprima l’ebbe la famiglia Imbonati, della quale fu
-ultimo rampollo quel marchese Carlo, alla cui memoria
-consacrò Manzoni splendidissimi versi sciolti, che ora
-ha il torto di respingere dalle edizioni fatte sotto gli
-auspicî suoi; poi l’ereditò il barone Patroni, che, fattala
-dall’architetto Clerichetti di Milano ultimare, riducendola
-a stile nordico, forse scozzese, diventò fra le
-più splendide che si conoscano anche per ricchezza degli
-interni adornamenti. I giardini sono egregiamente
-ordinati; getti d’acque perenni la ravvivano, comunque
-non sia tutto ciò giunto, per sentimento degli schifiltosi,
-a togliere quell’aria poco allegra che quel seno
-del lago vi dà. Morto il Patroni e legata ai Calvi la
-villa, questi la tennero per poco, vendendola a un commerciante
-genovese che volle lucrare togliendovi molti
-alberi; ma essa fortunatamente, fin allora chiamata
-Patroni, dal suo più generoso proprietario, venne di
-recente alle mani del cav. Domenico Basevi, che, profondendovi
-egregie somme, non solo la restituì al primitivo
-splendore, ma ne lo aumentò d’assai.
-</p>
-
-<p>
-Figuri quindi il lettore se non avessi allora ragione di
-dedicarle una speciale escursione.
-</p>
-
-<p>
-Oggi essa ha nuovo battesimo, e dal nome della sposa
-dell’attuale proprietario, si intitola <i>Villa Adelaide</i>.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_325">[325]</span></p>
-
-<h2 id="esc38">ESCURSIONE TRENTESIMOTTAVA.
-<span class="smaller">MONGUZZO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate Rota. — Nobero. — Le
-sue pesche. — Il Cavolto. — Le fornaci. — Monguzzo. — Il
-suo castello e la sua storia. — I marchesi Rosales. — Villeggiatura
-Mondolfo.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Tanto da questa parte ove ci troviamo, quanto dall’altra parte del lago d’Alserio, per la via che dalla
-Vallassina si va ad Inverigo, si può ascendere sulla
-vetta del colle su cui signoreggia Monguzzo: noi attendendo
-di continuare per la via di Parravicino nella
-ventura escursione, scegliamo adesso la seconda.
-</p>
-
-<p>
-Esciti da Vill’Incino, che già vedemmo, ci troviamo,
-dopo avere attraversato una strada che si chiude fra
-i campi, alla via provinciale della Malpensata, e, volgendo
-a ritroso di essa, cioè a destra, in poco tratto
-di cammino ci troviamo a Pontenuovo, da dove una
-via riesce a Merone, quindi a Moiana, Rogeno, Casletto
-e Garbagnate Rota, paesi tutti rallegrati da
-signorili villeggiature, che di poco discosti da Bosisio
-chiudono da una parte, all’intorno al lago di Pusiano,
-quel territorio che abbiam percorso del Pian d’Erba.
-Proseguendo poi per quella onde siam venuti, ci vediamo
-a Nobero, o Nobile, come altri chiama questo
-<span class="pagenum" id="Page_326">[326]</span>
-quadrato di caseggiati aperto da un lato, che, tinto per
-la più parte in roseo, ti accenna com’esso appartenga
-ad un solo proprietario, al signor dottor Domenico
-Porro, che personalmente attendendo alla sapiente
-direzione dei suoi fondi, ne ottiene i più fecondi risultamenti.
-Particolarità di questo villaggio sono le più
-eccellenti pesche, sulle quali conta il colono fra i prodotti
-a sè dovuti: diritto cotesto limitato a questi
-terrieri, onde moltiplicate se ne veggano le piante.
-</p>
-
-<p>
-Prima però d’entrare in Nobero, non sarà inopportuno
-dare uno sguardo al <i>Cavolto</i>, specie di serbatoio del
-Lambro, da cui si deduce l’acqua che va ad irrigare
-il real parco di Monza, dopo avere percorso una
-quindicina di miglia.
-</p>
-
-<p>
-Alle fornaci presso Nobile si fanno mattoni marmorati,
-valendosi di un’argilla che si cava dal pendío
-orientale d’un poggio, che ha un color plumbeo, e mescendola
-con altra ordinaria gialla.
-</p>
-
-<p>
-Per una strada praticata nel colle, si monta a Monguzzo.
-</p>
-
-<p>
-Il paese è in felicissima postura, perchè a mattino
-vede il Pian d’Erba, a mezzogiorno domina il bacino dell’Éupili, a ponente la Brianza, e a sera la villa del
-Soldo, Fabbrica e infiniti altri paeselli, tutto recinto poi
-l’orizzonte da una corona azzurra di montagne,
-colle onde del lago d’Alserio che gli baciano le pendici
-del colle su cui posa.
-</p>
-
-<p>
-In antico fu paese nella podestà dell’arciprete di
-Monza, che vi esercitava giurisdizione feudale, come
-su molte altre terre; quindi parve luogo a fortilizî, e
-vi fu fabbricato un acconcio castello, e Francesco II
-<span class="pagenum" id="Page_327">[327]</span>
-Sforza lo concedeva in feudo ad Alessando Bentivoglio,
-spodestato signore di Bologna e governatore del
-Milanese, della cui famiglia è la cappella che in Milano
-si vede nella chiesa di San Maurizio del Monastero
-Maggiore sul corso di porta Magenta.
-</p>
-
-<p>
-Ma quel famigerato prepotente del Gian Giacomo
-De’ Medici, detto il Medeghino, del quale già narrai
-in una passata escursione le ribalde gesta, lo lasciò
-per poco godere degli ozî di Monguzzo; perocchè, parendogliene
-la rôcca assai propria a’ suoi disegni, un
-dì, nel 1533, assalitola alla sprovvista, ne cacciò quelli
-che la presidiavano pel Bentivoglio, e se ne installò
-padrone, spargendo d’ogni intorno per le terre della
-Brianza, e massime per la Valsorda, il terrore. E taglieggiava
-da qui non i massai soltanto, ma anche i
-signori, che cercava di imprigionare e non rilasciare
-che contro enormi riscatti e teneva in allarme la fortezza
-di Brivio e massime di Trezzo di più grande
-importanza.
-</p>
-
-<p>
-Il Missaglia, amico di questo fiero capitano di ventura
-e storico di sue gesta, lo scagiona dall’aver
-tolto al Bentivoglio il castello, narrando come all’occupazione
-di esso fosse stato dallo Sforza medesimo
-ordinato, e fornendone le ragioni. “Possedeva, scrive
-egli, in quel tempo il castello di Monguzzo come suo
-proprio Alessandro Bentivoglio, figliuolo di Giovanni,
-già signore di Bologna, parente del duca e di molta
-autorità appresso lui, uomo di gran sincerità, ma poco
-inclinato all’armi. Il castellano, visto con che poca
-cura e guardia era tenuto quel luogo dal Bentivoglio,
-per sue lettere e col mezzo d’amici suoi, fece intendere
-<span class="pagenum" id="Page_328">[328]</span>
-al duca con quanta facilità e con quanto suo
-danno quel luogo, mal guardato, poteva capitare in
-mano degli imperiali (gli Spagnuoli di Carlo V comandati
-da Antonio De Leyva), offrendosi quando fosse rimesso
-alla sua custodia non solo di ben guardarlo, ma
-eziandio con la comodità di quello, danneggiare molto
-i nemici, ed assicurare quella parte del ducato dalle
-invasioni degli Spagnuoli; il che sarebbe stato come
-un freno a Lecco, tenuto da essi. Il duca, che, reso il
-castello di Milano, si trovava in Lodi, tolto dalle mani
-degli imperiali e dato alla lega da Lodovico Vistarino,
-benchè dopo la prigionia del Morone gli mostrasse
-poca inclinazione e poco fidasse di lui, pur conoscendo
-vere le sue ragioni e dubitando di peggio, e anco come
-quel ch’era posto in gran necessità di denari, sentiva
-volentieri che quel castello si avesse a guardare senza
-suo costo. Scrisse al Bentivoglio che rimettesse il castello
-alla guardia del Medici, e le lettere furono
-inviate a lui stesso, perchè le presentasse al Bentivoglio.
-Il Medici accortissimo, conoscendo quanto fosse
-per spiacere questo al Bentivoglio, e quanto egli potesse
-appresso il duca, dubitò, e ragionevolmente, che
-se gli mandava le lettere fosse per riuscire vano il suo
-disegno; onde con l’aiuto di molti principali del paese
-suoi amici fatta una buona raccolta di gente, accostastosi
-una notte a Monguzzo, e scalatolo, si appresentò
-alla rocchetta ove era il Bentivoglio con la sua famiglia
-e con le lettere ducali, e con la forza strinselo ad
-uscire dal castello<a class="tag" id="tag41" href="#note41">[41]</a>.„
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_329">[329]</span>
-</p>
-
-<p>
-Quando il De Leyva ebbe contezza della caduta di
-Monguzzo nelle mani del Medeghino, così se ne dolse,
-perchè da lui si attendesse maggior travaglio che non
-dal Bentivoglio, vi spacciò il conte Lodovico Belgioioso
-con buon nerbo di forze onde ritorglielo; ma questi,
-dopo varî assalti e perdita d’un centinaio d’uomini,
-disperando venire a capo del suo proposito, si levò di là.
-</p>
-
-<p>
-Certo Martino da Mondonico, animoso, ma avido di
-ricchezza, aveva saputo entrar nelle grazie del Medici
-ed ottenuto aveva da lui il commissariato di alcune
-tasse e contribuzioni che con durezza esigeva. Parve
-al De Leyva di poter guadagnar coll’oro il Mondonico,
-onde agevolarsi il conquisto di Monguzzo che gli intercettava
-la strada da Lecco a Milano, ed infatti se
-l’ebbe facilmente a’ suoi interessi. Ma l’ingordo traditore
-volle dapprima di compiere il tradimento arricchirsi,
-ed abusando del nome del Medici, si impadroniva
-un bel dì del castel di Perego. Poichè vi fu
-penetrato, buttata la maschera, vi prosciolse i prigionieri
-e si chiarì al servizio del De Leyva. Il Medici
-mandò subito il capitano Pellicione a riprendere il
-castello, e l’ebbe coi traditori, i quali condotti a Monguzzo
-vi vennero appiccati per la gola, e il Mondonico,
-posto prima a’ tormenti, fu poi vivo, siccome si meritava,
-inruotato.
-</p>
-
-<p>
-Poneva allora il Medeghino in suo luogo castellano
-di Monguzzo il fratello Battista; ma poi, quando gli
-parve trasferirlo a comandare la più importante fortezza
-di Lecco della quale s’era insignorito, vi sostituì
-il suddetto capitano Pellicione.
-</p>
-
-<p>
-Non mi so che il castello di Monguzzo fosse teatro
-<span class="pagenum" id="Page_330">[330]</span>
-a ulteriori fatti di guerra; perocchè buttata, a questo
-cerbero dalle tre gole, intendo dire del Medeghino,
-l’offa da Carlo V, col crearlo marchese di Marignano e
-coll’inviarlo altrove a portar guerra, spulezzò il Medeghino
-pur da questi luoghi.
-</p>
-
-<p>
-Più tardi il castello apparve tramutato in amenissima
-villeggiatura, mercè le cure dei marchesi Rosales
-alle cui mani pervenne; ma l’ultimo di essi, che molto
-di sua fortuna adoperò a pro dell’italiana indipendenza,
-nel 1853 la vendette al conte e banchiere Sebastiano
-Mondolfo, delle cui sapienti liberalità m’avvenne
-già di intrattenere, quando m’ebbi ad occupare
-dell’altra sua villa in Borgo Vico a Como.
-</p>
-
-<p>
-E liberalità sapienti operò anche qui in questa sua
-villeggiatura di Monguzzo, perocchè aprisse a sue spese una
-scuola, e nel cascinale che fe’ erigere introducesse
-molte comodità, per le quali mostrò come pur i poveri
-coloni chiamar si debbano, per migliorarli, a partecipare
-alle inevitabili esigenze del vivere sociale
-moderno.
-</p>
-
-<p>
-È una consolazione quando si vede alcuno de’ privilegiati
-dalla fortuna, in mezzo agli agî, rammentarsi
-che v’ha chi soffre e penuria e gli stende misericorde
-la mano. Sebastiano Mondolfo ha provato in tante occasioni
-d’essere uno di costoro.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_331">[331]</span></p>
-
-<h2 id="esc39">ESCURSIONE TRENTESIMANONA.
-<span class="smaller">IL SOLDO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il Soldo degli
-Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino e il parco. — Gli acquedotti. — Casino
-rustico. — Orsenigo. — Casa Carcano. — Anzano. — Villa
-del marchese Carcano. — Piccolo albergo. — Alzate. — Vecchio
-castello. — Palazzo Clerici. — Fabbrica. — Brenna e don Antonio Daverio.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-A stretto rigore, il colle di Monguzzo, a parer mio,
-chiuder dovrebbe il bacino del vecchio Éupili, o,
-come suolsi oggi dire, del Pian d’Erba; ma siccome è
-assai indeterminato anche nella mente di que’ del
-paese il confine di questa ridentissima porzione di
-territorio che designasi sotto la denominazione di Pian
-d’Erba, io credo non uscir da’ limiti che s’è prefisso
-il mio libro spingendo questa volta la nostra escursione
-da questa parte insino alla stupenda villeggiatura
-del Soldo.
-</p>
-
-<p>
-E d’altronde fosse anche fuori affatto della cerchia
-de’ paesi che dall’universale si assegna approssimativamente
-al Pian d’Erba, siccome al Soldo ci va ognuno che
-venga al Pian d’Erba; così anch’io non posso a
-meno che condurvi il mio lettore.
-</p>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_332">[332]</span>
-</p>
-
-<p>
-Vi arriveremo dalla via di Parravicino, alla quale
-facciamo ritorno, oltre la <i>Ca’ de’ ladri</i>, che abbiamo
-veduta.
-</p>
-
-<p>
-Lo si scorge presto, perchè esso s’alza tronfio sulla
-cima della più lieta eminenza e di là sembra accivettare
-quanti necessariamente percorrendo la via che mena
-alla Valsorda, vi rivolgono lo sguardo. Altri poggi vi
-stanno presso, tutti diligentemente coltivati, e di pertinenza
-del medesimo signore, del conte Turati, salito
-per operosi commerci in filati di cotone a sterminata
-ricchezza e al patriziato italiano.
-</p>
-
-<p>
-Allorquando si è sotto la collina del Soldo, vi pare
-di avere davanti una scena teatrale: mulino a vento,
-chioschi e padiglioni, <i>chalets</i> e <i>cottages</i>, introduzioni
-leggiadre di cose forestiere, viali, telegrafo, una ben
-ordinata e splendida vegetazione, il tutto incoronato
-dal palazzo che sta in cima. La prima impressione ci
-avverte subito che la villa gode di meritata fama.
-</p>
-
-<p>
-Molti rammentano ancora come quivi non fossero
-prima che una meschina sodaglia, borri profondi e
-frane, rovi ed arbusti inutili: non vi aveva infatti alla
-sommità del colle che un casolare di ragione del monastero
-di Sant’Ambrogio di Cantù. Chi mai avrebbe
-detto allora che si sarebbe tramutato tanto squallore
-nella più gioconda plaga? Questa metamorfosi prodigiosa,
-iniziata da don Giacomo Appiani d’Aragona,
-che ridusse quell’aspro colle a villa su disegno dell’egregio
-architetto Moraglia, del senno del quale già
-ammirammo in queste nostre escursioni non poche
-opere, fu perfezionata dal conte Turati.
-</p>
-
-<p>
-E veramente scrissero i signori Zoncada e Garovaglio
-<span class="pagenum" id="Page_333">[333]</span>
-nella loro opera <i>I giardini dell’alto Milanese e del
-Comasco</i>, levando a cielo il Soldo<a class="tag" id="tag42" href="#note42">[42]</a>. Sarebbe difficile,
-sentenziaron essi, trovare altrove più stupenda varietà
-di scene, più ampie vedute, più diverse, e nel tempo
-stesso, e qui è il merito dell’uomo, una struttura, un
-disegno meglio ideati, più acconci alla qualità del
-sito, più rispondenti agli ultimi progressi dell’arte de’
-giardini, una coltivazione più ricca, più lussureggiante,
-e per certe parti più degna che si pigli ad
-esempio. Sono pregi e bellezze che a comprenderle
-non arriva che la vista; per la parola è molto ancora
-se le riesca di lasciarle indovinare. Que’ viali, que’ passeggi,
-che larghi, agevoli, spazzati, girano il poggio
-serpeggiando con sì dolce movenza e dominando sempre
-l’immenso orizzonte; quelle costiere che verdi,
-fiorite, sparse d’ogni maniera di piante, si prolungano
-di qua, di là sì pittoresche fin giù nella valle; que’
-prati, que’ piani ameni dove l’occhio si riposa sì tranquillo
-e beato; quel contrasto tra il semplice e il
-grandioso, il ridente e l’austero, tra l’arte e la natura,
-per cui passi dalla rigida vegetazione delle Alpi alla
-sfoggiata delle zone più favorite dal sole; che li vedi
-affratellarsi, dal vivace padiglione Chinese al chiosco
-orientale e al positivo casolare dello svizzero o dell’olandese,
-dal ponte di legno che ricorda la primitiva
-età de’ pastori alle fontane marmoree, alle statue,
-opera di famosi scalpelli e documenti della più alta
-civiltà; bisogna vederli chi voglia farsene il giusto
-concetto: noi non possiamo che rammentare così a
-<span class="pagenum" id="Page_334">[334]</span>
-sbalzi, come la memoria ci soccorre, di tante meraviglie
-quelle pochissime delle quali ci è rimasta una impressione
-più profonda, e che per la qualità delle cose
-torna meno difficile a comunicarsi altrui.
-</p>
-
-<p>
-Così, per esempio, potrà di leggieri, pare a noi, anche
-chi mai non la vide, imaginare quale debba essere
-il magico effetto di quella serie di stufe tutte eleganti, tutte magnifiche, che giù giù pel dosso della
-collina discendono a gradinata, quasi emiciclo di vasto
-anfiteatro. Vi aggiunga colla fantasia i grandi balaustrati
-che la riparano per davanti con vasi di classica
-forma, con piante di rara bellezza; vi aggiunga grandi
-e piccole fontane in marmo ai diversi ripiani, belle
-tutte, bellissima qualcuna, quella vogliamo dire che
-raffigura le tre Grazie, opera di egregio scalpello, che
-ritrae quanto di più puro seppe mai creare il cinquecento;
-vi aggiunga appiè di quel dosso a disuguali distanze
-le spelonche, le grotte di vario genere, alte,
-spaziose, tortuose, foggiate a galleria, a labirinto, fornite
-a dovizie d’ogni comodità, con polle, zampilli,
-giuochi d’acqua d’ogni sorta, con istipi a tarsia, busti,
-are, idoletti, medaglioni, con seggiole, scannelli, divani,
-lettucci, tavoli e tavolini d’ottimo gusto; e tutto
-questo sotto il più bel cielo che occhio d’uomo possa
-vedere, e dovrà farsi certamente un concetto grande
-di questo luogo incantato. E sempre maggiore si farà
-chi consideri le difficoltà senza numero che bisognò
-superare per tramutarlo, di selvaggio che era, nella
-forma e stato presente. Una sola vogliamo qui accennare
-che valga per molte, tanto è grave; vedete quella
-copia d’acqua volta dall’un capo all’altro de’ giardini
-<span class="pagenum" id="Page_335">[335]</span>
-a sì diversi usi in forma qui di fontana, là di ruscello
-o di torrente, più giù di lago solcato da gai navicelli?
-Sul luogo in origine non se ne avea pur stilla; tutta,
-tutta quanta si derivò da lontani monti, e per magnifici
-acquedotti si condusse per mezzo a queste terre
-riarse dal sole con ingente dispendio.
-</p>
-
-<p>
-Essa infatti si condusse con ingente spesa fin dai
-monti d’Albese, facendola viaggiare per 9000 metri di
-tubi di ghisa.
-</p>
-
-<p>
-Lascio agli intelligenti di botanica il tener conto
-delle ricchezze d’alberi e fiori d’ogni clima e paese
-che qui son disseminati, e di estasiarsi davanti alle
-loro peregrine specie; io m’accontento di ammirare i
-leggiadri colori, di aspirare i soavissimi profumi: accetto
-i soli risultamenti e sarà meglio anche pel lettore,
-che certo non cercherà al mio libro un trattato
-di quella scienza.
-</p>
-
-<p>
-Piuttosto non lascerò di accennare che il palazzo, se
-non è forse corrispondente in vastità al giardino e
-parco, ha tuttavia da ospitare una cinquantina di persone. Il casino rustico che gli sta accanto è forse migliore
-nella sua semplicità; presso al casino svizzero
-vi è poi uno steccato che racchiude alcuni dei più rari
-animali indigeni e forestieri, fra cui primeggiano bellissimi
-merinos.
-</p>
-
-<p>
-Ah veramente aveva dunque ragione il nostro povero
-Raiberti, quando diceva di questa villa essere un
-<i>Sold che var un milion</i>!
-</p>
-
-<p>
-Fra le terre circostanti ho già nella precedente
-escursione nominato Orsenigo, quella terra che con
-Erba trasse in aiuto dell’armi milanesi contro quelle
-<span class="pagenum" id="Page_336">[336]</span>
-del Barbarossa: quivi adesso ricorderò la bella casa
-Carcano, architettata dal bravo Moraglia.
-</p>
-
-<p>
-Tirando dritto sulla via per la quale siamo venuti,
-tocchiamo Anzano, bello per la sua elevata postura e
-per la villa e grandioso parco del marchese Carcano;
-a man destra poi di questo paese, v’è la via che conduce
-ad Alzate al principiar della quale or si eresse
-un piccolo albergo. In Alzate poi, oltre qualche ricca
-casa, meritano osservazione un vecchio castello che si
-volle reliquia di romana potenza ed il palazzo Clerici.
-</p>
-
-<p>
-Ma, come che l’escursione nostra fosse bastevolmente
-lunga per le tante cose ammirate al <i>Soldo</i>, chiudiamola
-a Fabbrica, dove sulla eminenza sorge la villa dei
-conti Durini, che fruisce di bellissima vista e dalla,
-quale, vedendo a destra sul ciglio della collina che per
-l’opposto versante sogguarda al lago di Montorfano il
-paese di Brenna, ivi sapendo come vi sia stato dimenticato
-parroco quel fior di dottrina, di patriottismo e
-di bontà che è Antonio Daverio, mio maestro di latine
-ed italiane lettere, mi felicito della diversa e libera
-carriera da me poscia nella adolescenza abbracciata.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_337">[337]</span></p>
-
-<h2 id="esc40">ESCURSIONE QUARANTESIMA.
-<span class="smaller">INVERIGO.</span></h2>
-</div>
-
-<div class="blockchap">
-<p>
-Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo
-Ariberto. — Bacco di Brianza. — L’albergo. — La
-Rotonda. — Il castello e la villa Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — S.
-Maria della Noce. — Cremnago. — Villa Perego. — Il
-Cimitero.
-</p>
-</div>
-
-<p>
-Se ci siamo alquanto spinti al di fuori del Pian
-d’Erba dalla parte di Parravicino per vedere il Soldo
-de’ Turati, perchè non ci spingeremo ora oltre Nobero
-per ammirare la famosa Rotonda d’Inverigo e l’Orrido
-dello stesso paese, che chiamano da ogni dove dalla
-Brianza brigate di villeggianti e di curiosi; e la villa
-Perego di Cremnago?
-</p>
-
-<p>
-Centro Inverigo di tutta la Brianza, sarà per noi il
-limite ultimo delle escursioni che ci siam proposti di
-fare durante gli ozî autunnali.
-</p>
-
-<p>
-Da Nobero, che abbiam già visitato, per una bella
-strada si arriva a Lurago. Quivi è la villa del conte
-Sormani-Andreani, con bel giardino a pineti. Dapprima
-spettava alla patrizia famiglia Crivelli, che vi
-risiedeva ed era feudataria d’Inverigo. Posta nella
-<span class="pagenum" id="Page_338">[338]</span>
-parte alta del paese, la villa vi pompeggia e chiama
-lo sguardo di ognuno che passi.
-</p>
-
-<p>
-Poco fuori di Lurago, la via intristisce e si fa fangosa
-e trascurata fin oltre Inverigo e puossi dire fino
-ad Arosio, onde infiniti e generali i reclami dai moltissimi
-obbligati a percorrere questo stradale importante.
-E se ne riscossero finalmente i comuni limitrofi
-e l’autorità, e una nuova strada e più diretta fu ordinata
-ed appaltata, e comunque le opere ne procedano
-lentamente, fra breve sarà tuttavia un fatto compiuto.
-A sinistra di Lurago, prima d’arrivare ad Inverigo e
-sul ciglio della valle del Lambro, è Lambrugo, ov’era
-prima un chiostro di monache, tramutato poi in villa
-dalla famiglia Galli. Vi villeggia anche la famiglia
-Venini.
-</p>
-
-<p>
-Eccoci ad Inverigo. I soliti antiquarî vorrebbero
-originato il nome dalle due parole latine in aprico,
-come a dire un luogo situato all’aperto ed al sole; ma
-altri invece pretendono sia nome celtico: non ci frapponiamo
-noi a dir la nostra opinione, meglio sembrandoci
-d’accettarlo qual è. Piuttosto non sarà privo d’interesse
-il sapere come qui nel 1023 l’arcivescovo di Milano,
-Ariberto d’Intimiano, celebre nelle nostre storie
-per la parte presa nelle accanite contese surte pel celibato
-de’ preti, possedesse beni, ch’egli poi assegnò
-al rinomato monastero di San Dionigi da lui fondato
-in Milano.
-</p>
-
-<p>
-I colti gaudenti rammentano con maggior piacere
-che il vino d’Inverigo godeva fino in antico una tal
-quale riputazione fra i migliori, e appoggiano l’erudizione
-loro coll’autorità d’un poeta di nome Bertucci,
-<span class="pagenum" id="Page_339">[339]</span>
-che, arieggiando il Ditirambo del Redi, che ognun comosce,
-del <i>Bacco in Toscana</i>, scrisse alla sua volta un
-<i>Bacco di Brianza</i>, nel quale si leggono i seguenti
-versi, che pone in bocca allo stesso Nume:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Il terzo infine colma d’Inyerigo</p>
-<p class="i02"> Valentissimo vin, la cui mercede</p>
-<p class="i02"> Al par di Siracusa</p>
-<p class="i02"> Vanta Milano ancora il suo Archimede<a class="tag" id="tag43" href="#note43">[43]</a>.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma per associazione di idee, dal buon vino ricorre il
-pensiero all’albergo d’Inverigo. Quest’albergo, se non
-presenta i conforti tutti dell’eleganza e dell’esigenza
-forastiera, è nondimeno il migliore di tutta questa
-parte della Brianza, onde l’autunno vegga più famiglie
-di conto prendervi stanza ed esservi arcicontente.
-Sostiamoci quindi, amico lettore, e dopo esserci rifocillati,
-potremo pigliare le mosse per ascendere alla
-Rotonda.
-</p>
-
-<p>
-S’innalza essa sulla parte più elevata della collina,
-sotto cui si distende bellissima una valle, come tale
-pur ricordata nelle sue opere da Sant’Agostino, disseminata
-di paesi; la sua facciata, che giustamente fu
-detto rassomigliare a’ propilei d’Atene, è però rivolta
-a tramontana.
-</p>
-
-<p>
-La fabbricò il marchese e architetto Luigi Cagnola
-di Milano nell’anno 1813, — quegli cui è dovuta l’architettura
-<span class="pagenum" id="Page_340">[340]</span>
-dell’Arco del Sempione di Milano, — e vi
-spiegò tutta la grandiosità e il gusto classici, profondendovi
-egregie somme, a smentita di que’ cialtroni
-ch’erano venuti accusandolo d’architettar sempre grandiosamente
-quando si fosse trattato di non ispendere
-danari proprî.
-</p>
-
-<p>
-Il fabbricato ha nel mezzo un’ampia sala circolare,
-che s’alza gigante con cupola che costituisce la Rotonda;
-quindi tutto l’edifizio è esteriormente riquadrato,
-poste essendosi agli angoli le camere della restante
-abitazione. Il concetto d’una rotonda maestosa
-fece sì che gli altri locali fossero ad essa sagrificati.
-Fu compiuta così un’opera del più perfetto classicismo,
-se si vuole; ma dopo ciò, si domandano molti, cosa
-vuole, a che serve, perchè qui collocato questo gigantesco
-edificio? Come villa ha l’esteriore principesco;
-ma l’interno, a parte la sala principale della Rotonda,
-non vi corrisponde.
-</p>
-
-<p>
-Come nella facciata, così pure nella parte postica,
-a mezzogiorno, e che sogguarda la superba valle, vi
-sono ampie scalee; quella della facciata poggia sopra
-un sotterraneo; l’altra su d’un terrazzo recinto di
-balaustrata e sorretto da sei gigantesche cariatidi, che
-sono dello scalpello di Pompeo Marchesi.
-</p>
-
-<p>
-Fu da esso che il re di Napoli, Ferdinando II, padre
-dello spodestato, venuto tra noi, ammirando la
-sottoposta valle, di non so quante miglia di circuito,
-così ben coltivata e ordinata quasi ad aiuole di fiori,
-ebbe a chiedere bonariamente al marchese Cagnola,
-se tutto quel che si vedeva fosse giardino della sua
-villa.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-340b"></a>
- <img src="images/ill-340b.jpg" alt="" />
-<p class="caption">Orrido d’Inverigo.</p>
-</div>
-
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_341">[341]</span>
-</p>
-
-<p>
-Se la collina su cui posa la Rotonda si digrada al
-paese, dall’opposto lato risorge ad eminenza, sovra cui
-è il castello, ora palazzo e giardino del marchese Luigi
-Crivelli, che ognun desidera veder meglio curati, perchè
-abbian tutte le forme per costituire una delle più
-grandiose ville. Ha molti ed annosi cipressi, e su d’un
-altipiano a sinistra del palazzo vedesi una colossale
-statua di Ercole, alquanto offesa dagli anni, che da’
-terrieri si designa col nome di <i>Gigante</i>.
-</p>
-
-<p>
-Discendendo la collina de’ Crivelli, pei loro campi
-si va al bosco, dove la natura e i cataclismi hanno
-prodotto siffatte spaccature di roccia, per dove filtrano
-e scorrono limpide e fresche acque, che formano
-un Orrido dell’effetto il più pittoresco.
-</p>
-
-<p>
-E meglio ancora il produrrebbero, se l’acque più
-riunite scorressero; ma come l’età piega al positivo,
-così parte furono deviate a mettere in movimento
-mulini.
-</p>
-
-<p>
-Con tutto ciò all’Orrido d’Inverigo, di proprietà del
-marchese Luigi Crivelli suddetto, non v’ha chi venga
-al paese e che non tragga a vederlo, sovente convegno
-ad amiche brigatelle che lo eleggono a luogo di
-refezioni e riposo.
-</p>
-
-<p>
-A ponente della villa Crivelli si discende per uno
-stradone alla Madonna della Noce, luogo piacevole assai
-e al quale convengono a settimanale mercato da
-tutti i circonvicini paesi.
-</p>
-
-<p>
-Chi ama conoscere le migliori villeggiature e farsi
-adeguato concetto della ricchezza de’ loro proprietarî,
-essendo in Inverigo, non lascia di fare una scarrozzata
-a Cremnago, dove sorge il magnifico palazzo della famiglia
-<span class="pagenum" id="Page_342">[342]</span>
-Perego. Se gliene è dato l’accesso, potrà il lettore
-ammirarlo nelle sue parti tutte; e se nelle ampie
-scuderie vedrà molti cavalli e taluni anche pensionati
-a riposo perpetuo, sorretti persino da cinghie, potrà
-cavar argomento del cuore del ricchissimo padrone, il
-quale del resto non restrinse alle bestie sole gli effetti
-della sua bontà, prima avendola addimostrata nel dotare
-i suoi coloni di belle e comode case.
-</p>
-
-<p>
-Il cimitero del paese merita pure di essere veduto.
-È buona architettura di Giuseppe Chierichetti, e in
-esso è il sepolcreto della famiglia Perego. È questo un’edicola di forma quadrangolare e cilindrica, e alla
-parte superiore con gradinata e cupola d’ordine dorico,
-colle pareti laterali fregiate di colonne, quattro
-delle quali formano il pronao con cornice, architrave
-e frontone, entro cui leggesi scolpito <i>Hypogeum</i>, e
-tutto condotto in miarolo rosso. Le pareti interne
-sono a stucco lucido, la luce piove dal lucernario
-della cupola, e nel fondo è l’altare marmoreo, con
-un bel gruppo in marmo di Carrara, rappresentante
-la Maddalena a’ piedi della Croce, lodevole opera dello
-scultore Labus.
-</p>
-
-<p>
-Per ritornare ora al nostro Pian d’Erba, rifacciam
-la medesima via di Lurago e Nobero: è più agiata e
-vi giungeremo più presto.
-</p>
-
-<div class="chapter">
-<p><span class="pagenum" id="Page_343">[343]</span></p>
-
-<h2 id="conclusione">CONCLUSIONE.</h2>
-</div>
-
-<p>
-Altri paesi, altre ville, altre meraviglie di natura
-e d’arte ci solleticherebbero ad altre escursioni; ma
-invaderei la Brianza, della quale già qualche lembo
-abbiam tocco, e allora mi ci vorrebbe un altro volume;
-perocchè per essa a buon dritto potrebbesi citare del
-pari quanto l’Ariosto cantò de’ dintorni di Firenze:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">A veder pien di tante ville i colli</p>
-<p class="i02"> Par che il terren ve le germogli, come</p>
-<p class="i02"> Vermene germogliar suole e rampolli:</p>
-
-</div><div class="stanza">
-<p class="i01">Se dentro a un mur sotto un medesmo nome</p>
-<p class="i02"> Fosser raccolti i tuoi palagi sparsi,</p>
-<p class="i02"> Non ti sarian da pareggiar due Rome.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-E Baretti, proprio del suolo della nostra Brianza
-parlando, lo chiamava “il più delizioso paese di tutta
-Italia per la varietà delle sue vedute, per la placidezza
-de’ suoi fiumi, per la moltitudine de’ suoi laghi,
-ed offre il rezzo dei boschi, la verdura dei prati, il
-mormorio delle acque, e quella felice stravaganza che
-mette la natura ne’ suoi assortimenti; insomma in questo
-vaghissimo paese, ovunque si porti lo sguardo, non
-si scorgono che paesaggi ornati di tutte le grazie campestri,
-la cui contemplazione produce quei momenti
-di dolce meditazione, che tengono l’animo in grato
-riposo.„
-</p>
-
-<p>
-Io ho promesso condurre il lettore con me lungo le
-rive del Lario e al Pian d’Erba; credo avergli attenuta
-la promessa, mostrandogli quanto di meglio mi è
-<span class="pagenum" id="Page_344">[344]</span>
-sembrato. Che se alcuna cosa ho lasciato, se passai
-avanti qualche villa, senza farvi entrare il lettore, o,
-fors’anco senza pur nominarla, consideri che nell’imbarazzo
-di ricchezza di luoghi e di meraviglie in cui
-ci trovavamo, l’ommissione era agevole a commettersi,
-molto più che v’abbian di molti che si ricusin perfino
-a rivelar le più semplici cose, quasi che si tratti di
-violar, parlando, i loro domestici lari; epperò non mi
-resta che invocarne la sua indulgenza.
-</p>
-
-<p>
-Ho avuto il pensiero, unendo il mio dire intorno al
-Pian d’Erba a quello intorno al lago di Como, di
-chiamare più specialmente la curiosità del forastiero
-sul primo e d’invogliarlo a farne soggetto delle proprie
-escursioni; perocchè mi fosse sembrata non troppo
-nota questa parte sì bella di nostra Lombardia; e se
-avrò raggiunto in qualche modo l’intento, io mi chiamerò
-soddisfatto.
-</p>
-
-<div class="figcenter"><a id="fill-344"></a>
- <img src="images/ill-344.jpg" alt="FINE" />
-</div>
-
-<div class="somm">
-<p>
-<span class="pagenum" id="Page_345">[345]</span>
-</p>
-
-<h2><a id="indice" href="#indfront">
-INDICE.</a></h2>
-
-<table class="indice" summary="">
- <tr>
- <td>Introduzione</td> <td class="pag"><a href="#intro">Pag. 5</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione prima. — <span class="smcap lowercase">IL BARADELLO </span></td> <td class="pag"><a href="#esc1">9</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il Castello. — Uno sproposito di geografia. — Etimologia del Baradello. — Un cenno geologico. — La storia del castello. — Liutprando. — Barbarossa. — Camerlata. — Scopo del Baradello. — Napo della Torre. — La chiesa di San Carpoforo. — Lapide. — Villa Venini ora Castellini. — Il collegio alla Camerlata. — Opificî industriali. — Ville Larderia, Martignoni, Prudenziana e Carloni.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione seconda. — <span class="smcap lowercase">IL GENEROSO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc2">21</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">La città di Como. — La chiesa di S. Fedele. — La basilica di S. Abbondio. — Il Teatro. — Il Camposanto. — L’albergo Volta. — Chiasso. — Il Crotto e le <i>polpette</i> della Giovannina. — L’albergo di Mendrisio. — Dottore e albergatore. — Il Monte Generoso. — Salita. — L’albergo del dottor Pasta. — La cura dell’aria. — Geologia, fiora e fauna. — Il dottor Pasta. — L’albergo del Generoso. — Il tramonto. — Il Dosso-Bello. — La vetta. — Panorama. — Ancora l’albergo di Mendrisio. — Le Cantine di Mendrisio. — L’Ospizio. — Vincenzo Vela. — Ligornetto. — Le cave di Arzo. — Le acque solforose di Stabio. — San Pietro di Castello. — Romanzo storico.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione terza. — <span class="smcap lowercase">IL NINO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc3">45</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Brunate e la leggenda di Guglielmina. — La Grotta del Mago. — Le ville Castiglioni, Sessa, Pertusati e Cornaggia. — Villa Angiolini. — Villa Rattazzi. — U. Rattazzi e Maria Bonaparte Wyse. — Villa Pedraglio. — Le ville Trubetzkoi, Ricordi e Artaria. — La villa Carena inabissata. — Blevio. — La villa Bocarmé e la Comton, ora Lattuada. — Il Pertugio di Blevio. — Il Buco del Nasone. — Le ville Taglioni, Schuwaloff, Vigoni e Sparks. — La Roda e Giuditta Pasta. — Adele Curti. — Il Nino.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_346">[346]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione quarta. — <span class="smcap lowercase">L’OLMO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc4">53</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">San Fermo e i volontarî di Garibaldi. — Borgo Vico. — Villa Barbò. — Il Museo di monsignor Giovio e la villa Gallia. — Villa Saporiti, già Villani. — Bonaparte e i deputati di Como. — Palazzo Resta. — Ville Salazar, Bellotti, Mancini, Brivio, Belgiojoso, D’Adda e Pisa. — Villa Mondolfo. — L’Olmo del marchese Raimondi. — Caninio Rufo e Plinio il Giovane.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione quinta. — <span class="smcap lowercase">IL PERTUGIO DELLA VOLPE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc5">59</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Gite montane. — Il trovante dell’Alpe di S. Primo. — Il Sarizzo. — Grotte e Caverne. — Grumello. — Villa Celesia. — La Zuccotta e <i>I Tre Simili</i>. — Il signor G. B. Brambilla. — Villa Caprera del signor Loria. — La Tavernola e l’Albergo. — Villa Gonzales. — Il capitano De Cristoforis. — La Villa Bignami. — La Villa Blasis. — A Carlo Blasis. Versi. — Il Bisbino. — Il Pertugio della Volpe. — Marmi e pietre.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione sesta. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA D’ESTE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc6">69</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Cernobbio. — Debitori e Monache. — Villa Bolognini. — Villa Lejnati. — Villa Belinzaghi. — Garrovo. — Il general Pino. — La villa d’Este. — Giorgio IV d’Inghilterra. — La principessa di Galles. — Suo processo. — Sua morte. — Sue opere alla villa d’Este. — L’Albergo della Regina d’Inghilterra. — L’acqua della Coletta.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione settima. — <span class="smcap lowercase">IL PIZZO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc7">89</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Madama Musard. — La villa il Pizzo. — G. B. Speziano la fabbrica. — I conti Muggiasca. — Il Vicerè del Regno Lombardo-Veneto. — Migliorie. — La villa Curié.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ottava. — <span class="smcap lowercase">LA CASCATA DI MOLTRASIO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc8">93</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il bacino di Moltrasio. — L’osteria del Caramazza. — Un mio episodio. — Villa dei signori Nulli. — La leggenda della Ghita. — Perchè si nomi Moltrasio. — La Vignola dei Passalacqua. — E la villa Durini? — Geologia. — La cascata.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione nona. — <span class="smcap lowercase">MOMPIATTO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc9">105</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Perlasca. — Tradizione. — Villa Tanzi ora Taverna. — Torno. — Storia. — Gli sposi annegati. — Ville Croff, Righini, Antonelli. — La chiesa di S. Giovanni e pia leggenda. — Mompiatto. — Le sue monache. — La Pietra pendula e la Nariola.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decima. — <span class="smcap lowercase">LA PLINIANA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc10">111</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Le vittime del lago. — La villa Matilde dei signori Juva. — Villa Canzi. — La Pliniana. — Plinio il Giovane e il flusso e riflusso. — Spiegazione del fenomeno. — La Breva e il Tivano. — L’assassinio di Pier Luigi Farnese. — Giovanni Anguissola. — La villa e l’attuale proprietaria.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_347">[347]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione undecima. — <span class="smcap lowercase">DA MOLTRASIO A TORRIGIA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc11">123</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Orrido di Molina. — Lemna e la Colonia greca. — Una sventura nel 1163. — La villa Buttafava. — Pognana e Palazzo. — Premenù. — Ancora a Moltrasio. — Ville Salterio, Invernizzi, Tarchini-Bonfanti, De Plaisance. — Pensiero. — Rosiera. — Villa Pavia. — La Partenope. — Igea. — Villa Savoja. — La Minerva, ora villa Elena. — Villa Ostinelli-Turati. — Urio. — Ville Melzi, Jenny, Calcagnini, Taroni. — Sofia Fuoco. — G. B. Lampugnani. — Sonetto a Katinka Evers. — Ville Rocca, Tarantola, Ottolini, Battaglia, Viglezzi. — Villa Sangiuliani. — Ville Lavizzari, Porro e Longoni. — Cantiere dei fratelli Taroni. — Laglio. — Monumento a Giuseppe Franck. — Villa Galbiati. — Torrigia. — Villa Cetti. — La punta.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione duodecima. — <span class="smcap lowercase">IL BUCO DELL’ORSO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc12">131</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il dottor Casella di Laglio. — La brigatella. — La vista. — Il cammino. — Il Buco dell’Orso. — Sua scoperta. — Descrizione. — Visite di dotti. — Le scarpe di S. Pietro. — Questioni geologiche. — Paleontologia. — Gallerie o pozzi scoperti dopo. — La discesa.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimaterza. — <span class="smcap lowercase">IL PIANO DEL TIVANO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc13">155</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">La Cavagnola. — Careno e Quarsano. — La Grotta della Masera. — Nesso. — Erno, Veleso, Gerbio. — Il Piano del Tivano. — La brigata del Pian d’Erba. — Il Buco della Nicolina. — Vallombria. — Il palazzo di Andefleda. — La marcia della partenza.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimaquarta. — <span class="smcap lowercase">LA VALL’INTELVI</span></td> <td class="pag"><a href="#esc14">161</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Brienno. — Archigene fonda Argegno. — La Vall’Intelvi. — Sua parte nella guerra decenne. — Diventa feudo. — La rivolta del 1806. — Cospirazione del 1833. — Insurrezione nel 1848. — Andrea Brenta. — I cospiratori del 1854. — L’insurrezione e i volontarî del 1859.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimaquinta. — <span class="smcap lowercase">L’ISOLA COMACINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc15">177</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Le cascate di Camoggia. — Colono. — Sala. — Villa Beccaria. — Zocca dell’Olio. — Isola Comacina. — La sua storia. — La processione e la <i>Scorobiessa</i>. — Isola. — La torre del Soccorso. — Campo. — La villa Delmati. — Dosso di Lavedo. — Balbianello e la villa Arconati. — Il torrente Perlana. — La Madonna del Soccorso.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimasesta. — <span class="smcap lowercase">LA TREMEZZINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc16">185</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Le bellezze della Tremezzina. — Versi. — Villa. — Villeggiatura Carove e la <i>Commedia</i> di Plinio. — Ville Torri e Vacani. — Lenno. — Lapidi antiche. — L’abbazia dell’Acquafredda. — Il chiostro di S. Benedetto. — Ville Litta, Barbavara, Carmagnola e Carcano. — Bolvedro. — Villa Busca. — Le ville Spreafico, Scorpioni, Kramer, Gerli, Della Tela, De Orchi, Campagnani, Sala, Mainoni, Guy, Giulini. — Il caffè di Tremezzo. — Albergo Bazzoni. — <i>Hôtel garni</i>. — Grianta. — La grotta.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_348">[348]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimasettima. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA SOMMARIVA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc17">193</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">La villa Sommariva. — Suo primo proprietario. — Opere d’arte. — Giardino. — Carlotta di Prussia e il principe di Sax-Meiningen. — La Cadenabbia. — Albergo di Belvedere. — Ville Brentano, Noseda, Piatti, duca di Sangro e Seufferheld. — La Majolica. — L’albergo Righini. — Villa Ricordi. — <i>Maxime Lari.</i> — Questione filologica.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimottava. — <span class="smcap lowercase">LA BELLAGINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc18">201</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Lézzeno. — Villa Vigoni. — Villa e Cappelletta. — I Sassi Grosgalli. — Il Buco de’ Carpi. — Pietosa istoria. — Villa Besana. — S. Giovanni. — Ville Ciceri, Trotti e Poldi-Pezzoli. — Villa Luppia. — Villa Melzi. — Bellagio. — La <i>Tragedia</i>, villa di Plinio. — Il castello di Bellagio. — Marchesino Stanga vi edifica la villa e que’ della Cavargna la distruggono. — Ercole Sfondrati la riedifica. — La Sfondrata. — La Contessa di Borgomanero, tradizione. — La villa passa ai Serbelloni. — Parini vi ospita. — Ora mutata in albergo. — La Crella dei Frizzoni. — Pescaù. — La villa Giulia, ora albergo.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione decimanona. — <span class="smcap lowercase">IL SASSO RANCIO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc19">211</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il Monte degli Stampi e l’Arca di Noè. — Ville di Menaggio. — Loveno. — Ville Pensa, Garovaglio, Alberti, Azeglio, Mylius-Vigoni. — Cardano. — Villa Galbiati. — La Val Cavargna. — Porlezza. — Fabbrica di vetro. — Il Castello di Menaggio. — La Sanagra. — Lapide romana. — Nobiallo. — Ligomana, Plesio e Naggio. — Il Sasso Rancio. — I cosacchi al Sasso Rancio.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesima. — <span class="smcap lowercase">LE FERRIERE DI DONGO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc20">217</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Rezzonico e il suo Castello. — Il Castello di Musso. — Il Medeghino. — Le Tre Pievi. — Villa Manzi. — Dongo. — Casa Polti. — Villa del vescovo di Como. — Chiese di S. Stefano e S. Maria. — Valle dell’Albano. — Le miniere di ferro. — I forni fusori. — Garzeno. — Brenzio. — Le <i>Frate</i>.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimaprima. — <span class="smcap lowercase">GRAVEDONA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc21">223</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Consiglio di Rumo e San Gregorio. — Pizzo di Gino. — Valle di Lesio. — Gravedona e la sua storia. — La chiesa di San Vincenzo. — S. Maria del Tiglio. — La Madonna sfolgorante. — Peglio. — Liro e i tre laghetti. — Il Sasso acuto. — Domaso. — Gera. — Sórico.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimaseconda. — <span class="smcap lowercase">REGOLEDO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc22">229</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Olgiasca. — Piona e il suo lago. — Colico e i suoi padroni. — Dorio, Carenno e Dervio. — Bellano. — Grossi e Boldoni. — L’Orrido. — Il Sasso di Morcate. — Riva di Gittana. — Varenna. — Albergo e villa Venini. — L’Uga e la Capuana. — Il Fiume Latte. — Regoledo.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_349">[349]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimaterza. — <span class="smcap lowercase">IL MERCATO DI LECCO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc23">235</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Vassena. — Limonta. — La Pietra Luna. — Civenna. — I Marroni. — Perledo e la Regina Teodolinda. — Lierna. — Olcio. — Villa Pini. — Mandello. — Abbadia. — La Gessima. — Lodovico Savelli. — Le Caviate e la Maddalena. — La strada militare. — Onno. — Parè. — Lecco. — Il Maglio. — Acquate e Pescarenico. — Il Galeotto. — Il Mercato di Lecco. — Le <i>robiole</i>. — Gli alberghi del <i>Leon d’Oro</i> e della <i>Croce di Malta</i>.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimaquarta. — <span class="smcap lowercase">VALMADRERA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc24">243</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Malgrate. — Gli etimologisti. — Casa Agudio e i suoi ospiti illustri. — La chiesa parrocchiale e il pittore Cornienti. — Valmadrera. — La Chiesa. — Il trovante utilizzato. — Le Cappelle della <i>Via Crucis</i>. — La villa del signor Egidio Gavazzi. — La villa del signor Pietro Gavazzi.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimaquinta. — <span class="smcap lowercase">IL MONTE BARO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc25">247</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Bartesate, Villavergano, Figina. — La casa degli Umiliati. — Ello. — Ville Prinetti, Annoni, De’ Vecchi. — La villa Paolina. — La <i>Bellavista</i> del signor Cereda. — Galbiate. — Palazzi Brioschi e Ballabio. — La villa Sanchioli e l’eco polisillabo. — Case Curti e Riva. — La chiesa di S. Michele. — La lapide di piazza. — Il Monte Baro. — Fiabe archeologiche. — L’effigie immobile. — La Rocca di Re Desiderio. — La fanciulla nel pozzo. — Il Monte delle Crocette.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimasesta. — <span class="smcap lowercase">LA VALLE DELL’ORO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc26">253</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">I Corni di Canzo. — Civate. — Il monastero benedettino. — Il re Desiderio e Adelchi. — La tradizione del miracolo. — La Valle dell’Oro. — Barzaguta. — La cascata.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimasettima. — <span class="smcap lowercase">LA CASA DEL PARINI</span></td> <td class="pag"><a href="#esc27">259</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Annone. — La Squadra dei Mauri. — Suello. — Cesana e San Fermo. — Bosisio. — La Chiesa e l’Oratorio. — Casa Banfi. — Monumento ad Appiani e Parini. — Uno stregone dei tempi antichi. — La casa del Parini. — Lapide commemorativa. — Onta lavata.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimottava. — <span class="smcap lowercase">L’ISOLA DE’ CIPRESSI</span></td> <td class="pag"><a href="#esc28">265</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il lago di Pusiano. — Il primo battello a vapore in Italia. — Un mio processo. — Armi di pietra e palafitte lacustri. — Pusiano. — Villa Conti. — Scene di superstizione. — La Processione del Venerdì Santo. — L’Isola de’ Cipressi. — Il romanzo di Bertolotti.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione ventesimanona. — <span class="smcap lowercase">IL BEL DOSSO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc29">273</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Corneno. — La <i>Ca’ di strii</i>. — Villa Besana. — Galliano. — Carella. — Mariaga. — Alpe di Carella. — Il Bel Dosso. — Villa Graziani. — Longone. — Osteria. — La Malpensata. — Penzano. — Bindella. — Villa Galimberti. — Proserpio. — Villa Baroggi. — Inarca.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_350">[350]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesima. — <span class="smcap lowercase">LA VALLASSINA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc30">277</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il lago Segrino. — Canzo. — Il <i>Vespetrò</i>. — I Corni. — La fontana del Gajumo. — La cascata della Vallategna. — Il torcitoio Verza. — Scarenna. — La Casa dell’eremita. — Asso. — Lapide antica. — Arte. — La via al Pian del Tivano. — Pagnano, Fraino, Caglio, Gemù. — Il Ponte Oscuro. — Lasnigo. — Le donne della valle. — Le serve. — Onno. — San Carlo e la sua mula.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimaprima. — <span class="smcap lowercase">CASTELMARTE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc31">285</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Val di Giano. — Caslino e suoi cacini. — Mulino S. Marco. — Fabbrica di coltelleria. — Setificî Invernizzi, Castelletti, Prina e Mambretti. — <i>Ademprivo.</i> — Castelmarte. — Ville Bertoglio, Parravicini, Biondelli. — Fu Castelmarte capo della Martesana? — <i>Castrum Martis.</i> — Giunteria archeologica. — Reliquie antiche.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimaseconda. — <span class="smcap lowercase">PONTELAMBRO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc32">289</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Mazonio. — La sua chiesa. — Il pittor Ferrabini. — La Fusina. — Filatojo Ohli. — Zocco Romano. — Zocco Battista. — La Bistonda. — L’annegato. — Pontelambro. — Case Guaita e Carpani. — Una lapide nel Camposanto. — Filatojo Bressi. — Villa Matilde. — La Plejade de’ poeti politici moderni, sonetti. — Affresco luinesco distrutto. — Villa Carpani. — Lezza. — Carpesino. — Arcellasco. — Resica. — Filatoj Ronchetti e Mambretti. — Brugora.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimaterza. — <span class="smcap lowercase">SAN SALVATORE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc33">301</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">I <i>Geritt</i>. — Mornico. — Crevenna. — Ville Bressi e Genolini. — Il torrente Bova. — La dara. — San Salvatore. — Il convento. — Il signor Boselli. — Giovanni Biffi. — Il tronco mellifero. — La villa Righetti.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimaquarta. — <span class="smcap lowercase">IL BUCO DEL PIOMBO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc34">305</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">La strada. — Il Buco del Piombo. — Onde il nome? — Aneddoto. — Esterno. — Scopo. — Interno. — Iscrizione. — Concorso di gente. — I versi di Torti.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimaquinta. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA AMALIA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc35">309</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">La villa Amalia. — Guido Carpano e il convento di S. Maria degli Angeli. — L’avv. Rocco Marliani. — Il palazzo, il giardino e il bosco. — Il monumento a Parini. — Monti e Foscolo ospiti. — Episodio della Mascheroniana. — La torre.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimasesta. — <span class="smcap lowercase">ERBA</span></td> <td class="pag"><a href="#esc36">315</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Erba Superiore. — Il suo panorama. — La sua storia. — Il castello e la villa Valaperta. — Pravalle. — Il torrente Bocogna. — Villa Conti. — Erba Inferiore. — Pretura, ufficio telegrafico, albergo e botteghe. — Il caffè e gli <i>amaretti</i>. — Il teatro. — Ville Clerici e Brivio. — Vill’Incino. — Mercato d’Incino. — <i>Liciniforum.</i> — Lapidi. — Ninfeo antico. — Fatti storici. — Il mercato del giovedì.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td><span class="pagenum" id="Page_351">[351]</span></td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimasettima. — <span class="smcap lowercase">LA VILLA ADELAIDE</span></td> <td class="pag"><a href="#esc37">321</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Villa Maria. — Bucinigo. — Pomerio. — Villalbese. — Parravicino. — Ville Parravicini, Belgioioso e Gariboldi. — La torre pendente. — Casiglio. — Carcano. — Battaglia contro il Barbarossa. — Orsenigo. — Il Carudo. — Le Lische Amare. — Alserio. — Castellazzo. — La Ca’ de’ ladri. — La Retusa. — Tassera. — La villa Adelaide.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimottava. — <span class="smcap lowercase">MONGUZZO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc38">325</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Pontenuovo. — Merone, Mojana, Rogeno, Casletto e Garbagnate Rota. — Nobero. — Le sue pesche. — Il Cavolto. — Le fornaci. — Monguzzo. — Il suo castello e la sua storia. — I marchesi Rosales. — Villeggiatura Mondolfo.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione trentesimanona. — <span class="smcap lowercase">IL SOLDO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc39">331</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Il casolare del Monastero di Sant’Ambrogio di Cantù. — Il Soldo degli Appiani. — Villa Turati. — La casa, il giardino e il parco. — Gli acquedotti. — Casino rustico. — Orsenigo. — Casa Carcano. — Anzano. — Villa del marchese Carcano. — Piccolo albergo. — Alzate. — Vecchio castello. — Palazzo Clerici. — Fabbrica. — Brenna e don Antonio Daverio.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Escursione quarantesima. — <span class="smcap lowercase">INVERIGO</span></td> <td class="pag"><a href="#esc40">337</a></td>
- </tr>
- <tr>
- <td colspan="2" class="csum">Lurago. — Villa Sormani-Andreani. — Lambrugo. — Ville Galli e Venini. — Inverigo. — L’arcivescovo Ariberto. — Bacco di Brianza. — L’albergo. — La Rotonda. — Il castello e la villa Crivelli. — Il Gigante. — L’Orrido. — Cremnago. — S. Maria della Noce. — Villa Perego. — Il Cimitero.</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>&nbsp;</td>
- </tr>
- <tr>
- <td>Conclusione</td> <td class="pag"><a href="#conclusione">343</a></td>
- </tr>
-</table>
-<hr />
-</div>
-
-<div class="footnotes">
-
-<h2>
-NOTE:
-</h2>
-
-<div class="footnote" id="note1">
-<p><span class="label"><a href="#tag1">1</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Questo è il mordace epigramma od epitaffio che al vescovo di
-Nocera preparava quell’indemoniato:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Qui giace il Giovio storicone altissimo,</p>
-<p class="i02"> Che di tutto sparlò, fuor che dell’asino,</p>
-<p class="i02"> Scusandosi col dir: egli è mio prossimo.</p>
-</div></div>
-
-<p>
-Ma il Giovio era stato primo a scrivere di lui:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Qui giace l’Aretin poeta tosco,</p>
-<p class="i02"> Di tutti parlò mal, fuor che di Dio,</p>
-<p class="i02"> Scusandosi col dir: non lo conosco.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note2">
-<p><span class="label"><a href="#tag2">2</a>.&nbsp;&nbsp;</span>“Chi ricerca le sante spoglie, qui venga e le ritroverà.
-Questo altare le chiude in numero di sei che splendono di immensa
-luce. Qui sono Carpoforo, Cassio e Secondo, unitamente
-ad Esanto, Licinio e Severo. Costoro, dispregiando pel nome
-di Cristo la morte, nè temendo morire, vollero qui essere collocati.
-Nessuno potè mai dividerli nella tomba: santo e molto
-venerando essendo questo luogo, che ognuno rispetti ed anzi
-onori di doni. Qui da divino consiglio fu pur trasferito Felice,
-che pel primo predicò la divina parola; perocchè egli fu il primo
-patrono di Como; onde tenendo fede al nome di Felice, è meritamente
-felice su nei cieli.„</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note3">
-<p><span class="label"><a href="#tag3">3</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Promessi Sposi</i>, Cap. VIII.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note4">
-<p><span class="label"><a href="#tag4">4</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Vedi <i>Bullettino del Club alpino Italiano</i> (che si pubblica,
-in Torino), N. 13 del secondo semestre 1868, in un articolo dell’ingegnere
-Edoardo Kramer. Nello specchio delle ordinate
-che si vede in fine, oltre la misura fattane dal De Welden, si
-dà quella di Dufour, che è di soli metri 1698; di Oriani, che
-è di metri 1738, e del Lavizzari, che è di metri 1739.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note5">
-<p><span class="label"><a href="#tag5">5</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Lavizzari</span>, pag. 14.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note6">
-<p><span class="label"><a href="#tag6">6</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Il Monte Generoso ed i suoi dintorni</i>, del dottor Luigi Lavizzari.
-Lugano, tipografia Veladini, 1869.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note7">
-<p><span class="label"><a href="#tag7">7</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Nato nel 1490, in Belluno, fu uomo erudito nelle lettere
-greche e latine. Secondo il costume de’ letterati di que’ tempi,
-si impose questo nome togliendolo dalla famiglia Da Ponte
-quivi illustre. Fu precettore de’ figli di Lodovico Sforza, compose
-molte opere in greco e latino, che ignoro se pubblicate,
-e si meritò che Belluno gli decretasse una statua di bronzo.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note8">
-<p><span class="label"><a href="#tag8">8</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Sussiste tuttavia in Lombardia una frase imaginosa, che
-riesce identica a questa simbolica tradizione del gomitolo di
-refe consegnato da Margherita al figliuolo Giorgio. <i>Va distante
-un gomitolo di refe</i> significa appunto presso noi: va
-molto e molto lontano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note9">
-<p><span class="label"><a href="#tag9">9</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">C. Plinii</span>. <i>Epistol.</i>, Lib. 1-3.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note10">
-<p><span class="label"><a href="#tag10">10</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ne dettai la biografia nell’<i>Ingegnere Architetto</i>, giornale
-che si pubblica in Milano da B. Saldini.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note11">
-<p><span class="label"><a href="#tag11">11</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>I Misteri del Lario</i>, Racconto di Giuseppe Arnaud. Milano,
-1867, pubblicato nel giornale <i>La Lombardia</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note12">
-<p><span class="label"><a href="#tag12">12</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Una lapide incastrata nel muro di cinta d’un giardino
-ricorda il dolorosissimo caso di Enrico Lok, annegato in cospetto
-de’ proprî parenti e della moglie, che nulla poterono
-fare per lui!
-</p>
-
-<p class="center">
-<span class="smcap lowercase">GULIELMUS LOK<br />
-ANGLUS<br />
-SUBMERSUS<br />
-IN CONSPECTU<br />
-PARENTUM<br />
-ET CONJUGIS<br />
-14 SEPT. 1832 AET. 33</span>
-</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note13">
-<p><span class="label"><a href="#tag13">13</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">C. Plinii Cæcilii Secundi</span>. <i>Epistol.</i> Lib. IV, Cap. XXX.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note14">
-<p><span class="label"><a href="#tag14">14</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Tivano</i> è così detto sul lago il vento boreale o di tramontana.
-Ordinariamente è regolare, facendosi sentire in tempo
-di notte e cessando alla mattina poco prima dell’alzarsi del
-sole. Cessa egualmente la sua regolarità a mezzo il settembre.
-Lo stesso dicasi della <i>Breva</i> che succede al <i>Tivano</i>, e che si
-fa sentire dopo il meriggio, aiutando le imbarcazioni che a
-vela spiegata ritornano da Como.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note15">
-<p><span class="label"><a href="#tag15">15</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Amoretti</span>. <i>Viaggio da Milano ai tre laghi</i>. Milano, 1817,
-pag. 271.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note16">
-<p><span class="label"><a href="#tag16">16</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Manzoni.</span> <i>Adelchi</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note17">
-<p><span class="label"><a href="#tag17">17</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Questa roccia è quella stessa che forma il secondo dei
-cinque gruppi, di cui pare si componga la zona giurese nelle
-Alpi Lombarde e che giace tra l’arenaria rossa di Varenna,
-di S. Martino e d’Introbbio che le sta sotto, e il calcare bigio
-azzurrognolo talvolta arenaceo con fossili (Viggiù, Arzo, Saltrio)
-che lo ricopre. (Dott. Emilio Cornalia: <i>Su alcune caverne
-ossifere dei monti del Lago di Como</i>, inserte nei <i>Nuovi Annali
-delle Scienze naturali di Bologna</i>, fascicolo di gennaio e
-febbraio 1850 e riprodotte da lui nel <i>Manuale della provincia
-di Como</i> per l’anno bisestile 1852.)</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note18">
-<p><span class="label"><a href="#tag18">18</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Le <i>scarpe di S. Pietro</i>, così appellate forse da ciò che il
-principe degli Apostoli, alla chiamata di Cristo, camminò sul
-lago di Tiberiade, non sono altro che due imbarcazioni a foggia
-di lunga spola da tessitore, collegate insieme, oblunghe,
-cioè, e strette. Chiuse tutte e reggendovisi sopra, quasi servendosi
-di scarpa, è impossibile che anche per bufera si
-affondino.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note19">
-<p><span class="label"><a href="#tag19">19</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Per altro il dottor Casella ci assicurò d’avere il primo
-laghetto passato a nuoto in una delle prime sue visite.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note20">
-<p><span class="label"><a href="#tag20">20</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Ossements fossiles.</i> Tom. IV.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note21">
-<p><span class="label"><a href="#tag21">21</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Su alcune caverne ossifere</i>, ecc., superiormente citate.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note22">
-<p><span class="label"><a href="#tag22">22</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Argegno e la Vall’Intelvi</i>, negli anni 1848 e 1859 per
-Gaetano Ferrabini. Milano 1860. Tip. Fratelli Borroni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note23">
-<p><span class="label"><a href="#tag23">23</a>.&nbsp;&nbsp;</span><span class="smcap">Virgilio.</span> <i>Georgica II</i>, e si potrebbe così tradurre:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Perpetua qui la primavera ride,</p>
-<p class="i01">E la state ne’ mesi ancor non suoi.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note24">
-<p><span class="label"><a href="#tag24">24</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Eccone la versione:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Forse che il mar, che l’una e l’altra sponda</p>
-<p class="i01">Bagna io qui rammento? O i tanti laghi,</p>
-<p class="i01">E te, massimo Lario, e te, o Benaco,</p>
-<p class="i01">Che pari al mar, gonfi i tuoi flutti e fremi?</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note25">
-<p><span class="label"><a href="#tag25">25</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Eccone la versione: “Minicio Esorato, figlio di Lucio,
-della tribù Oufentina, flamine del divo Tito Augusto Vespasiano,
-per consenso dei decurioni, tribuno de’ soldati, quatuorviro
-con podestà di edile, duumviro di giustizia, prefetto dei
-fabbri di Cesare e del Console, pontefice, a sè ed alla moglie
-Geminia Prisca figlia di Quinto ed a Minicia Bisia figlia di
-Lucio, vivente fece.„</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note26">
-<p><span class="label"><a href="#tag26">26</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Io ne dettai la biografia, che fu mandata innanzi alle
-<i>Opere complete</i> sue pubblicate in Milano da Ernesto Oliva
-ed al <i>Marco Visconti</i>, edito pure più volte in Milano da Amalia
-Bettoni.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note27">
-<p><span class="label"><a href="#tag27">27</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Di questa Regina vedi il bello ed elegante studio fattone
-nelle <i>Donne illustri</i>, da quel gentile e colto intelletto di donna
-che fu Adele Curti.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note28">
-<p><span class="label"><a href="#tag28">28</a>.&nbsp;&nbsp;</span>“La libertà, che mal si vende per tutto l’oro, con fatica,
-litigio e denaro acquistata, a quella di Galbiate ed alle terre
-finittime arrise per regia concessione finalmente. Felice il
-giorno 17 giugno dell’anno 1671, nel quale, scosso il peso
-dell’infeudazione e d’ogni inferiore giurisdizione, questo popolo
-si ridusse direttamente sotto la vicaria podestà del potentissimo
-re delle Spagne e del Senato. La memoria di
-tanto riscatto, conservata privatamente negli scritti autentici
-di Francesco Giorgio Ottolini, notajo della Regia Camera
-ducale, viene pubblicamente affidata alla salda custodia di
-questa lapide il giorno diciotto settembre dell’anno 1671.„</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note29">
-<p><span class="label"><a href="#tag29">29</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Memorie storiche</i> della Chiesa ed Abbazia di S. Pietro al
-Monte, e del Monastero di S. Calocero in Civate, raccolte
-dall’abate Giacinto Longoni. Milano, 1850, tip. G. B. Radaelli.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note30">
-<p><span class="label"><a href="#tag30">30</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Al barone De Martini. Ediz. Reina.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note31">
-<p><span class="label"><a href="#tag31">31</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Frammenti d’Ode</i> ad Andrea Appiani.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note32">
-<p><span class="label"><a href="#tag32">32</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Ode: <i>La Vita Rustica</i>.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note33">
-<p><span class="label"><a href="#tag33">33</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Il mio amico Cominazzi aveva tradotte pel suo giornale
-due mie lettere francesi ch’io aveva dettate per le <i>Matinées
-Italiennes</i>, che si stampavano in Firenze.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note34">
-<p><span class="label"><a href="#tag34">34</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Milano, Tip. Guglielmini.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note35">
-<p><span class="label"><a href="#tag35">35</a>.&nbsp;&nbsp;</span>La Corte di Roma.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note36">
-<p><span class="label"><a href="#tag36">36</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>La salubrità dell’aria.</i> Ode.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note37">
-<p><span class="label"><a href="#tag37">37</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Rocco Marliani, figlio di Pietro, di Milano, ampliato il
-vecchio convento, eresse ed ornò la villa, che volle si chiamasse
-Amalia dal nome della sua carissima consorte, 1801.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note38">
-<p><span class="label"><a href="#tag38">38</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Satira VI.</i> Lib. II. Gargallo così li traduce:
-</p>
-
-<div class="poem"><div class="stanza">
-<p class="i01">Un discreto poder, nè già sì vasto,</p>
-<p class="i02"> Che avesse un orticello, e una fontana</p>
-<p class="i02"> D’acqua perenne, a la magion vicina;</p>
-<p class="i02"> Un po’ di bosco ancor per giunta; ed ecco</p>
-<p class="i02"> Tutto qual era il voto mio. Gli dei</p>
-<p class="i02"> Han fatto meglio e più: sien benedetti!</p>
-<p class="i02"> <span class="dotted">. . . . . . .</span>&nbsp; altro non chieggo.</p>
-</div></div>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note39">
-<p><span class="label"><a href="#tag39">39</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Canto IV. Edizione Resnati.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note40">
-<p><span class="label"><a href="#tag40">40</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Matidia era nipote di Trajano e suocera di Adriano;
-epperò qui la veggiamo divinizzata.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note41">
-<p><span class="label"><a href="#tag41">41</a>.&nbsp;&nbsp;</span><i>Vita di Gian Giacomo Medici</i>, di Marcantonio Missaglia.
-Milano, ediz. Colombo, 1854.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note42">
-<p><span class="label"><a href="#tag42">42</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Presso l’editore B. Saldini di Milano.</p>
-</div>
-
-<div class="footnote" id="note43">
-<p><span class="label"><a href="#tag43">43</a>.&nbsp;&nbsp;</span>Intende parlare del marchese Pietro Caravaggi, la cui
-famiglia molto possedeva in Inverigo, e il quale fu professore
-nelle matematiche presso l’università di Pavia, e morì nell’anno 1688.</p>
-</div>
-</div>
-
-<div class="tnote">
-<p class="tntitle">
-Nota del Trascrittore
-</p>
-
-<p>
-Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione
-minimi errori tipografici.
-</p>
-
-<p class="covernote">
-Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.
-</p>
-</div>
-
-<div style='display:block; margin-top:4em'>*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL LAGO DI COMO E IL PIAN D'ERBA ***</div>
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-Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg&#8482;
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-Volunteers and financial support to provide volunteers with the
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-Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org.
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-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
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-The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit
-501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
-state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
-Revenue Service. The Foundation&#8217;s EIN or federal tax identification
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-
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-The Foundation&#8217;s business office is located at 809 North 1500 West,
-Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up
-to date contact information can be found at the Foundation&#8217;s website
-and official page at www.gutenberg.org/contact
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-Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
-</div>
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-Project Gutenberg&#8482; depends upon and cannot survive without widespread
-public support and donations to carry out its mission of
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-freely distributed in machine-readable form accessible by the widest
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-($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
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-</div>
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-The Foundation is committed to complying with the laws regulating
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-States. Compliance requirements are not uniform and it takes a
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-While we cannot and do not solicit contributions from states where we
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-approach us with offers to donate.
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-any statements concerning tax treatment of donations received from
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-</div>
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-donate, please visit: www.gutenberg.org/donate
-</div>
-
-<div style='display:block; font-size:1.1em; margin:1em 0; font-weight:bold'>
-Section 5. General Information About Project Gutenberg&#8482; electronic works
-</div>
-
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-Professor Michael S. Hart was the originator of the Project
-Gutenberg&#8482; concept of a library of electronic works that could be
-freely shared with anyone. For forty years, he produced and
-distributed Project Gutenberg&#8482; eBooks with only a loose network of
-volunteer support.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Project Gutenberg&#8482; eBooks are often created from several printed
-editions, all of which are confirmed as not protected by copyright in
-the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not
-necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper
-edition.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-Most people start at our website which has the main PG search
-facility: <a href="https://www.gutenberg.org">www.gutenberg.org</a>.
-</div>
-
-<div style='display:block; margin:1em 0'>
-This website includes information about Project Gutenberg&#8482;,
-including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
-Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
-subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.
-</div>
-
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-
-</body>
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